Denuncio al mondo ed ai posteri con i miei libri tutte le illegalità tacitate ed impunite compiute dai poteri forti (tutte le mafie). Lo faccio con professionalità, senza pregiudizi od ideologie. Per non essere tacciato di mitomania, pazzia, calunnia, diffamazione, partigianeria, o di scrivere Fake News, riporto, in contraddittorio, la Cronaca e la faccio diventare storia. Quella Storia che nessun editore vuol pubblicare. Quelli editori che ormai nessuno più legge.

Gli editori ed i distributori censori si avvalgono dell'accusa di plagio, per cessare il rapporto. Plagio mai sollevato da alcuno in sede penale o civile, ma tanto basta per loro per censurarmi.

I miei contenuti non sono propalazioni o convinzioni personali. Mi avvalgo solo di fonti autorevoli e credibili, le quali sono doverosamente citate.

Io sono un sociologo storico: racconto la contemporaneità ad i posteri, senza censura od omertà, per uso di critica o di discussione, per ricerca e studio personale o a scopo culturale o didattico. A norma dell'art. 70, comma 1 della Legge sul diritto d'autore: "Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l'utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali."

L’autore ha il diritto esclusivo di utilizzare economicamente l’opera in ogni forma e modo (art. 12 comma 2 Legge sul Diritto d’Autore). La legge stessa però fissa alcuni limiti al contenuto patrimoniale del diritto d’autore per esigenze di pubblica informazione, di libera discussione delle idee, di diffusione della cultura e di studio. Si tratta di limitazioni all’esercizio del diritto di autore, giustificate da un interesse generale che prevale sull’interesse personale dell’autore.

L'art. 10 della Convenzione di Unione di Berna (resa esecutiva con L. n. 399 del 1978) Atto di Parigi del 1971, ratificata o presa ad esempio dalla maggioranza degli ordinamenti internazionali, prevede il diritto di citazione con le seguenti regole: 1) Sono lecite le citazioni tratte da un'opera già resa lecitamente accessibile al pubblico, nonché le citazioni di articoli di giornali e riviste periodiche nella forma di rassegne di stampe, a condizione che dette citazioni siano fatte conformemente ai buoni usi e nella misura giustificata dallo scopo.

Ai sensi dell’art. 101 della legge 633/1941: La riproduzione di informazioni e notizie è lecita purché non sia effettuata con l’impiego di atti contrari agli usi onesti in materia giornalistica e purché se ne citi la fonte. Appare chiaro in quest'ipotesi che oltre alla violazione del diritto d'autore è apprezzabile un'ulteriore violazione e cioè quella della concorrenza (il cosiddetto parassitismo giornalistico). Quindi in questo caso non si fa concorrenza illecita al giornale e al testo ma anzi dà un valore aggiunto al brano originale inserito in un contesto più ampio di discussione e di critica.

Ed ancora: "La libertà ex art. 70 comma I, legge sul diritto di autore, di riassumere citare o anche riprodurre brani di opere, per scopi di critica, discussione o insegnamento è ammessa e si giustifica se l'opera di critica o didattica abbia finalità autonome e distinte da quelle dell'opera citata e perciò i frammenti riprodotti non creino neppure una potenziale concorrenza con i diritti di utilizzazione economica spettanti all'autore dell'opera parzialmente riprodotta" (Cassazione Civile 07/03/1997 nr. 2089).

Per questi motivi Dichiaro di essere l’esclusivo autore del libro in oggetto e di tutti i libri pubblicati sul mio portale e le opere citate ai sensi di legge contengono l’autore e la fonte. Ai sensi di legge non ho bisogno di autorizzazione alla pubblicazione essendo opere pubbliche.

Promuovo in video tutto il territorio nazionale ingiustamente maltrattato e censurato. Ascolto e Consiglio le vittime discriminate ed inascoltate. Ogni giorno da tutto il mondo sui miei siti istituzionali, sui miei blog d'informazione personali e sui miei canali video sono seguito ed apprezzato da centinaia di migliaia di navigatori web. Per quello che faccio, per quello che dico e per quello che scrivo i media mi censurano e le istituzioni mi perseguitano. Le letture e le visioni delle mie opere sono gratuite. Anche l'uso è gratuito, basta indicare la fonte. Nessuno mi sovvenziona per le spese che sostengo e mi impediscono di lavorare per potermi mantenere. Non vivo solo di aria: Sostienimi o mi faranno cessare e vinceranno loro. 

Dr Antonio Giangrande  

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ANNO 2021

 

L’AMMINISTRAZIONE

 

SETTIMA PARTE

 

 

 

 

DI ANTONIO GIANGRANDE

 

 

  

 

 L’ITALIA ALLO SPECCHIO

IL DNA DEGLI ITALIANI

 

 

L’APOTEOSI

DI UN POPOLO DIFETTATO

 

Questo saggio è un aggiornamento temporale, pluritematico e pluriterritoriale, riferito al 2021, consequenziale a quello del 2020. Gli argomenti ed i territori trattati nei saggi periodici sono completati ed approfonditi in centinaia di saggi analitici specificatamente dedicati e già pubblicati negli stessi canali in forma Book o E-book, con raccolta di materiale riferito al periodo antecedente. Opere oggetto di studio e fonti propedeutiche a tesi di laurea ed inchieste giornalistiche.

Si troveranno delle recensioni deliranti e degradanti di queste opere. Il mio intento non è soggiogare l'assenso parlando del nulla, ma dimostrare che siamo un popolo difettato. In questo modo è ovvio che l'offeso si ribelli con la denigrazione del palesato.

 

IL GOVERNO

 

UNA BALLATA PER L’ITALIA (di Antonio Giangrande). L’ITALIA CHE SIAMO.

UNA BALLATA PER AVETRANA (di Antonio Giangrande). L’AVETRANA CHE SIAMO.

PRESENTAZIONE DELL’AUTORE.

LA SOLITA INVASIONE BARBARICA SABAUDA.

LA SOLITA ITALIOPOLI.

SOLITA LADRONIA.

SOLITO GOVERNOPOLI. MALGOVERNO ESEMPIO DI MORALITA’.

SOLITA APPALTOPOLI.

SOLITA CONCORSOPOLI ED ESAMOPOLI. I CONCORSI ED ESAMI DI STATO TRUCCATI.

ESAME DI AVVOCATO. LOBBY FORENSE, ABILITAZIONE TRUCCATA.

SOLITO SPRECOPOLI.

SOLITA SPECULOPOLI. L’ITALIA DELLE SPECULAZIONI.

 

L’AMMINISTRAZIONE

 

SOLITO DISSERVIZIOPOLI. LA DITTATURA DEI BUROCRATI.

SOLITA UGUAGLIANZIOPOLI.

IL COGLIONAVIRUS.

 

L’ACCOGLIENZA

 

SOLITA ITALIA RAZZISTA.

SOLITI PROFUGHI E FOIBE.

SOLITO PROFUGOPOLI. VITTIME E CARNEFICI.

 

GLI STATISTI

 

IL SOLITO AFFAIRE ALDO MORO.

IL SOLITO GIULIO ANDREOTTI. IL DIVO RE.

SOLITA TANGENTOPOLI. DA CRAXI A BERLUSCONI. LE MANI SPORCHE DI MANI PULITE.

SOLITO BERLUSCONI. L'ITALIANO PER ANTONOMASIA.

IL SOLITO COMUNISTA BENITO MUSSOLINI.

 

I PARTITI

 

SOLITI 5 STELLE… CADENTI.

SOLITA LEGOPOLI. LA LEGA DA LEGARE.

SOLITI COMUNISTI. CHI LI CONOSCE LI EVITA.

IL SOLITO AMICO TERRORISTA.

1968 TRAGICA ILLUSIONE IDEOLOGICA.

 

LA GIUSTIZIA

 

SOLITO STEFANO CUCCHI & COMPANY.

LA SOLITA SARAH SCAZZI. IL DELITTO DI AVETRANA.

LA SOLITA YARA GAMBIRASIO. IL DELITTO DI BREMBATE.

SOLITO DELITTO DI PERUGIA.

SOLITA ABUSOPOLI.

SOLITA MALAGIUSTIZIOPOLI.

SOLITA GIUSTIZIOPOLI.

SOLITA MANETTOPOLI.

SOLITA IMPUNITOPOLI. L’ITALIA DELL’IMPUNITA’.

I SOLITI MISTERI ITALIANI.

BOLOGNA: UNA STRAGE PARTIGIANA.

 

LA MAFIOSITA’

 

SOLITA MAFIOPOLI.

SOLITE MAFIE IN ITALIA.

SOLITA MAFIA DELL’ANTIMAFIA.

SOLITO RIINA. LA COLPA DEI PADRI RICADE SUI FIGLI.

SOLITO CAPORALATO. IPOCRISIA E SPECULAZIONE.

LA SOLITA USUROPOLI E FALLIMENTOPOLI.

SOLITA CASTOPOLI.

LA SOLITA MASSONERIOPOLI.

CONTRO TUTTE LE MAFIE.

 

LA CULTURA ED I MEDIA

 

LA SCIENZA E’ UN’OPINIONE.

SOLITO CONTROLLO E MANIPOLAZIONE MENTALE.

SOLITA SCUOLOPOLI ED IGNORANTOPOLI.

SOLITA CULTUROPOLI. DISCULTURA ED OSCURANTISMO.

SOLITO MEDIOPOLI. CENSURA, DISINFORMAZIONE, OMERTA'.

 

LO SPETTACOLO E LO SPORT

 

SOLITO SPETTACOLOPOLI.

SOLITO SANREMO.

SOLITO SPORTOPOLI. LO SPORT COL TRUCCO.

 

LA SOCIETA’

 

AUSPICI, RICORDI ED ANNIVERSARI.

I MORTI FAMOSI.

ELISABETTA E LA CORTE DEGLI SCANDALI.

MEGLIO UN GIORNO DA LEONI O CENTO DA AGNELLI?

 

L’AMBIENTE

 

LA SOLITA AGROFRODOPOLI.

SOLITO ANIMALOPOLI.

IL SOLITO TERREMOTO E…

IL SOLITO AMBIENTOPOLI.

 

IL TERRITORIO

 

SOLITO TRENTINO ALTO ADIGE.

SOLITO FRIULI VENEZIA GIULIA.

SOLITA VENEZIA ED IL VENETO.

SOLITA MILANO E LA LOMBARDIA.

SOLITO TORINO ED IL PIEMONTE E LA VAL D’AOSTA.

SOLITA GENOVA E LA LIGURIA.

SOLITA BOLOGNA, PARMA ED EMILIA ROMAGNA.

SOLITA FIRENZE E LA TOSCANA.

SOLITA SIENA.

SOLITA SARDEGNA.

SOLITE MARCHE.

SOLITA PERUGIA E L’UMBRIA.

SOLITA ROMA ED IL LAZIO.

SOLITO ABRUZZO.

SOLITO MOLISE.

SOLITA NAPOLI E LA CAMPANIA.

SOLITA BARI.

SOLITA FOGGIA.

SOLITA TARANTO.

SOLITA BRINDISI.

SOLITA LECCE.

SOLITA POTENZA E LA BASILICATA.

SOLITA REGGIO E LA CALABRIA.

SOLITA PALERMO, MESSINA E LA SICILIA.

 

LE RELIGIONI

 

SOLITO GESU’ CONTRO MAOMETTO.

 

FEMMINE E LGBTI

 

SOLITO CHI COMANDA IL MONDO: FEMMINE E LGBTI.

 

 

 

 

 

 

L’AMMINISTRAZIONE

INDICE PRIMA PARTE

 

 

SOLITO DISSERVIZIOPOLI. LA DITTATURA DEI BUROCRATI. (Ho scritto un saggio dedicato)

La Burocrazia Ottusa.

Il Diritto alla Casa.

Le Opere Bloccate.

Il Ponte sullo stretto di Messina.

Viabilità: Manutenzione e Controlli.

Le Opere Malfatte.

La Strage del Mottarone.

Il MOSE: scandalo infinito.

Ciclisti. I Pirati della Strada.

 

INDICE SECONDA PARTE

 

SOLITO DISSERVIZIOPOLI. LA DITTATURA DEI BUROCRATI. (Ho scritto un saggio dedicato)

L’Insicurezza.

La Strage di Ardea.

Armi libere e Sicurezza: discussione ideologica.

 

INDICE TERZA PARTE

 

SOLITA UGUAGLIANZIOPOLI. (Ho scritto un saggio dedicato)

Il Volontariato e la Partigianeria: Silvia Romano e gli altri.

Lavoro e stipendi. Lavori senza laurea e strapagati.

La Povertà e la presa per il culo del reddito di cittadinanza.

Le Disuguaglianze.

Martiri del Lavoro.

La Pensione Anticipata.

Sostegno e Burocrazia ai “Non Autosufficienti”.

L’evoluzione della specie e sintomi inabilitanti.

Malasanità.

Sanità Parassita.

La cura maschilista.

L’Organismo.

La Cicatrice.

L’Ipocondria.

Il Placebo.

Le Emorroidi.

L’HIV.

La Tripanofobia (o Belonefobia), ovvero la paura degli aghi.

La siringa.

L’Emorragia Cerebrale.

Il Mercato della Cura.

Le cure dei vari tumori.

Il metodo Di Bella.

Il Linfoma di Hodgkin.

La Diverticolite. Cos’è la Stenosi Diverticolare per cui è stato operato Bergoglio?

La Miastenia.

La Tachicardia e l’Infarto.

La SMA di Tipo 1.

L'Endometriosi, la malattia invisibile.

Sindrome dell’intestino irritabile.

Il Menisco.

Il Singhiozzo.

L’Idrocuzione: Congestione Alimentare. Fare il bagno dopo mangiato si può.

Vi scappa spesso la Pipì?

La Prostata.

La Vulvodinia.

La Cistite interstiziale.

L’Afonia.

La Ludopatia.

La sindrome metabolica. 

La Celiachia.

L’Obesità.

Il Fumo.

La Caduta dei capelli.

Borse e occhiaie.

La Blefarite.

L’Antigelo.

La Sindrome del Cuore Infranto.

La cura chiamata Amore.

Ridere fa bene.

La Parafilia.

L’Alzheimer e la Demenza senile.

La linea piatta del fine vita.

Imu e Tasi. Quando il Volontariato “va a farsi fottere”.

 

INDICE QUARTA PARTE

 

IL COGLIONAVIRUS. (Ho scritto un saggio dedicato)

Introduzione.

I Coronavirus.

La Febbre.

Protocolli sbagliati.

L’Influenza.

Il Raffreddore.

La Sars-CoV-2 e le sue varianti.

Il contagio.

I Test. Tamponi & Company.

Quarantena ed Isolamento.

I Sintomi.

I Postumi.

La Reinfezione.

Gli Immuni.

Positivi per mesi?

Gli Untori.

Morti per o morti con?

 

INDICE QUINTA PARTE

 

IL COGLIONAVIRUS. (Ho scritto un saggio dedicato)

Alle origini del Covid-19.

Epidemie e Profezie.

Quello che ci dicono e quello che non ci dicono.

Gli errori dell'Oms.

Gli Errori dell’Unione Europea.

Il Recovery Plan.

Gli Errori del Governo.

Virologi e politici, i falsi profeti del 2020.

CTS: gli Esperti o presunti tali.

Il Commissario Arcuri…

Fabrizio Curcio, capo della Protezione Civile.

Al posto di Arcuri. Francesco Paolo Figliuolo. Commissario straordinario per l'attuazione e il coordinamento delle misure sanitarie di contenimento e contrasto dell'emergenza epidemiologica Covid-19.

Fabrizio Curcio, capo della Protezione Civile.

 

INDICE SESTA PARTE

 

IL COGLIONAVIRUS. (Ho scritto un saggio dedicato)

2020. Un anno di Pandemia.

Gli Effetti di un anno di Covid.

Il costo per gli emarginati: Carcerati, stranieri e rom.

La Sanità trascurata.

Eroi o Untori?

Io Denuncio.

Succede nel mondo.

Succede in Germania. 

Succede in Olanda.

Succede in Francia.

Succede in Inghilterra.

Succede in Russia.

Succede in Cina. 

Succede in India.

Succede negli Usa.

Succede in Brasile.

Succede in Cile.

INDICE SETTIMA PARTE

 

IL COGLIONAVIRUS. (Ho scritto un saggio dedicato)

Vaccini e Cure.

La Reazione al Vaccino.

 

INDICE OTTAVA PARTE

 

IL COGLIONAVIRUS. (Ho scritto un saggio dedicato)

I Furbetti del Vaccino.

Il Vaccino ideologico.

Il Mercato dei Vaccini.

 

INDICE NONA PARTE

 

IL COGLIONAVIRUS. (Ho scritto un saggio dedicato)

Coronavirus e le mascherine.

Il Virus e gli animali.

La “Infopandemia”. Disinformazione e Censura.

Le Fake News.

La manipolazione mediatica.

Un Virus Cinese.

Un Virus Statunitense.

Un Virus Padano.

La Caduta degli Dei.

Gli Sciacalli razzisti.

Succede in Lombardia.

Succede nell’Alto Adige.

Succede nel Veneto.

Succede nel Lazio.

Succede in Puglia.

Succede in Sicilia.

 

INDICE DECIMA PARTE

 

IL COGLIONAVIRUS. (Ho scritto un saggio dedicato)

La Reclusione.

Gli Irresponsabili: gente del “Cazzo”.

Il Covid Pass: il Passaporto Sanitario.

 

INDICE UNDICESIMA PARTE

 

IL COGLIONAVIRUS. (Ho scritto un saggio dedicato)

Il tempo della Fobocrazia. Uno Stato Fondato sulla Paura.

Covid e Dad.

La pandemia è un affare di mafia.

Gli Arricchiti del Covid-19.

 

 

 

 

L’AMMINISTRAZIONE

SETTIMA PARTE

 

IL COGLIONAVIRUS. (Ho scritto un saggio dedicato)

·        Vaccini e Cure.

VACCINI.

La rivincita di AstraZeneca. Dal Regno Unito: dati migliori con questo vaccino ai fragili. Il Tempo il 27 dicembre 2021. Il vaccino AstraZeneca dietro i buoni risultati del Regno Unito nel conteggio giornaliero dei morti dovuti al Covid. Clive Dix, responsabile della task-force vaccinale della Gran Bretagna, ha rilasciato un'intervista al Daily Telegraph, elogiando il prodotto anglo-svedese, che in Italia non viene praticamente più somministrato dopo le roventi polemiche degli scorsi mesi: “Osservando i dati dell'Europa, all'aumento dei casi corrisponde anche un successivo aumento dei decessi. Ma questo non si verifica nel Regno Unito e dobbiamo capirne le ragioni. Personalmente, ritengo che ciò dipenda dal fatto che alla maggior parte delle nostre persone fragili sia stato dato il vaccino AstraZeneca”. Dix ha inoltre sottolineato che questo tipo di vaccino potrebbe aiutare a prevenire la grave malattia da Covid più a lungo rispetto ai vaccini a mRNA di Pfizer e Moderna: “Ipotizzo che l’immunità prodotta dal vaccino AstraZeneca potrebbe potenzialmente durare per tutta la vita”. L’analisi dei dati nelle prossime settimane potrebbe confermare tale ipotesi e dare un duro colpo al virus e a tutti quei governi europei che hanno bocciato AstraZeneca.

Niccolò Carratelli per "la Stampa" il 21 dicembre 2021. E sono cinque. Si chiama Nuvaxovid il quinto vaccino anti Covid autorizzato in Europa, l'unico a base di proteine. La commissione di Bruxelles ha dato il via libera all'immissione in commercio del siero prodotto dall'azienda americana di biotecnologie Novavax, dopo la raccomandazione scientifica positiva da parte dell'Ema, l'Agenzia europea per i medicinali. Che precede, come sempre, il disco verde della nostra Aifa, atteso in questi giorni. Ma, questa volta, anticipa anche la FDA americana, la cui approvazione è attesa all'inizio del 2022. Lo stesso vaccino, con il nome di Covovax, è stato, invece, già autorizzato dall'Organizzazione mondiale della sanità per l'uso in emergenza in India, Indonesia e Filippine. Creato grazie alla tecnologia delle nanoparticelle ricombinanti, usa le proteine dell'agente patogeno per stimolare il sistema immunitario. Per ora può essere somministrato dai 18 anni in su, con due dosi a distanza di 21 giorni, e viene conservato in normali frigoriferi (2-8 gradi), caratteristica che ne rende più semplice la distribuzione. Gli esperti dell'Ema hanno preso in esame due studi clinici, che hanno coinvolto in tutto 45mila persone. Il primo condotto negli Stati Uniti e in Messico, il secondo realizzato in Gran Bretagna: in entrambi i casi è stata riscontrata un'efficacia nel prevenire i sintomi del Covid intorno al 90%. Va detto che durante queste sperimentazioni la variante Omicron non c'era, quindi ad oggi «sono disponibili dati limitati sull'efficacia di Nuvaxovid» contro l'ultima minaccia, fanno sapere dall'Ema. D'altra parte, «magari questo vaccino farà breccia tra qualche no vax che ha paura dei vaccini a Rna - dice il virologo Fabrizio Pregliasco - perché si basa su una metodologia conosciuta da tempo per altre vaccinazioni, come l'epatite B e il papilloma virus». Ma anche la pertosse e la meningite. Proprio per questo la fornitura iniziale, attesa in Italia nel primo trimestre del 2022, potrebbe essere destinata alle prime dosi, con l'obiettivo di avvicinare all'iniezione chi finora se n'è tenuto alla larga, preferendo aspettare un prodotto più "tradizionale" e percepito come più sicuro. Da qui a marzo «gli Stati membri hanno ordinato circa 27 milioni di dosi», fanno sapere da Bruxelles, ma «Novavax sarà in grado di consegnare fino a 100 milioni di dosi nell'Unione europea», nel corso del prossimo anno. Per l'Italia, che di solito riceve il 13% degli ordini europei, parliamo di circa 3 milioni e mezzo di dosi entro marzo e oltre 13 milioni in totale. Sufficienti, in teoria, per recuperare tutti i 6 milioni di over 12 non vaccinati. E, in prospettiva, per garantire le dosi booster, che ci serviranno periodicamente, a un prezzo più basso di quello che paghiamo ora a Pfizer-BionTech, da cui abbiamo comunque già prenotato 2 miliardi e 400 milioni di dosi. Contro i 460 milioni ordinati a Moderna, che ieri ha diffuso i suoi dati preliminari sulla protezione contro la Omicron dopo la terza dose: con il dosaggio dimezzato, attualmente l'unico autorizzato, il livello di anticorpi neutralizzanti contro la nuova variante aumenta di circa 37 volte. Ma, secondo Moderna, una dose completa fa crescere il livello degli anticorpi di circa 83 volte rispetto alla protezione prima del booster. Per questo ha presentato all'Ema i dati necessari per ottenere il via libera anche con questa formulazione. Mentre ha fatto sapere che la sperimentazione clinica del vaccino specifico contro la Omicron comincerà all'inizio del 2022.

Il vaccino Novavax è subito un mistero: la terrificante ammissione dell'Ema sulla variante Omicron. Il Tempo il 21 dicembre 2021. Il vaccino di Novavax, il nuovo prodotto proteico anti-Covid approvato ieri dall’Agenzia europea del farmaco Ema, “è un vaccino che ha dimostrato efficienza e sicurezza pari ai precedenti, anche se a onor del vero non è stato testato contro la variante Omicron di Sars-Cov-2 quindi è difficile valutare quale sarà l’impatto su questa variante”. Ad ammetterlo senza troppi giri di parole all’Adnkronos Salute è l’infettivologo Roberto Cauda, consulente dell’Ema per le malattie infettive. Parole che gelano tutti sulla mutazione del virus, che presto sarà dominante in tutto il continente. “Questo è un vaccino più tradizionale - analizza Cauda - che ha la caratteristica di usare la tecnologia delle ‘proteine ricombinanti’ che è ormai molto collaudata. Per esempio il vaccino contro l’epatite B, e non solo questo, è stato fatto con questa tecnologia e parliamo di 20-30 anni fa. Quindi è un sistema che è stato già ampiamente impiegato. È una tecnologia - chiarisce l’esperto - che richiede più tempo e questo spiega perché, mentre per sviluppare gli altri vaccini c’è voluto qualche mese, per questo è stato necessario più di un anno. Come gli altri vaccini anche quello di Novavax contiene la proteina Spike, l’arpione che consente al virus di agganciarsi alla cellula, che nella fattispecie è nella forma di proteina mentre negli altri vaccini è in forma di Rna o Dna che poi produrrà la proteina”. La speranza di Cauda è che questo tipo di tecnologia possa convincere i no-vax più convinti: “È possibile che i riottosi che vedono di malocchio i vaccini genici possono in qualche modo cambiare idea e, fidandosi di una tecnologia più collaudata, aderire alla vaccinazione. Direi che ci sono tutte le premesse. Ovviamente non esiste un vaccino privo di effetti collaterali, ma gli effetti sono in qualche modo noti e non diversi dagli altri vaccini anti-Covid. L’importante - conclude l’infettivologo - è che siano effetti collaterali accettabili e in una percentuale molto bassa. Dopo l’approvazione di Aifa, che immagino arriverà a inizio 2022 i tempi di approvvigionamento penso che saranno brevi e ci sarà la possibilità di averlo in tempi rapidi. Potrebbe rappresentare una possibile opzione per i non vaccinati e potrà essere utilmente impiegato per il richiamo”. 

(ANSA il 20 giugno 2021) - L'Agenzia europea del farmaco (Ema) ha dato lil via libera all'immissione in commercio condizionata nell'Ue del vaccino anti-Covid Nuvaxovid, prodotto da Novavax. Lo ha deciso il Comitato tecnico per i medicinali a uso umano dell'Ema dopo una riunione straordinaria. E' il quinto vaccino contro il virus del Covid autorizzato in Europa. Nuvaxovid, spiega Ema in una nota, è un vaccino a base di proteine ;;e i dati esaminati dall'Agenzia Ue soddisfano i criteri Ue per efficacia, sicurezza e qualità. Due gli studi più grandi sul vaccino. Il primo, condotto in Messico e negli Stati Uniti, ha riscontrato una riduzione del 90,4% del numero di casi sintomatici di Covid-19 da 7 giorni dopo la seconda dose. Anche il secondo studio, condotto nel Regno Unito, ha mostrato una riduzione simile del numero di casi sintomatici di Covid-19, con l'efficacia del vaccino all'89,7%. Presi insieme, prosegue Ema, "i risultati dei due studi mostrano un'efficacia del vaccino per Nuvaxovid di circa il 90%". "La sicurezza e l'efficacia del vaccino - conclude la nota - continueranno a essere monitorate man mano che viene utilizzato in tutta l'Ue, attraverso il sistema di farmacovigilanza dell'Ue e ulteriori studi da parte dell'azienda e delle autorità europee". Gli studi principali su cui Ema si è basata per valutare il Nuvaxovid, studi in cui il vaccino mostrava un'efficacia del 90%, sono su 'vecchie' varianti e "attualmente sono disponibili dati limitati" sull'efficacia contro la variante Omicron. Lo rende noto l'Ema. "Il ceppo originale di SARS-CoV-2 e alcune varianti preoccupanti come Alpha e Beta erano i ceppi virali più comuni in circolazione quando gli studi erano in corso - si legge in una nota dell'Agenzia - attualmente sono disponibili dati limitati sull'efficacia di Nuvaxovid contro altre varianti preoccupanti, incluso Omicron".

Novavax approvato dall’Ema: è il quinto vaccino anti-Covid autorizzato in Europa. Asia Angaroni il 20/12/2021 su Notizie.it. L'Agenzia europea del farmaco ha dato il via libera al vaccino Novavax. Dopo l'autorizzazione, NVX-CoV2373 sarà commercializzato nell'Unione europea. L’Ema ha dato il via libera al nuovo vaccino anti-Covid, il quinto autorizzato in Europa. Si tratta di Novavax: la decisione arriva dopo una riunione straordinaria da parte del Comitato tecnico per i medicinali a uso umano dell’Ema.

Novavax approvato dall’Ema

Dopo l’autorizzazione, NVX-CoV2373 sarà commercializzato in Ue come vaccino Nuvaxovid Covid-19 (ricombinante, adiuvato).

Stanley C. Erck, presidente e ad dell’azienda, ha dichiarato: “Novavax apprezza l’opinione positiva del Chmp sul nostro vaccino e attendiamo con impazienza una decisione da parte della Commissione europea. Un’autorizzazione della Commissione consegnerebbe il primo vaccino a base di proteine all’Ue.

La possibilità di scegliere tra i vaccini porterà a un aumento dell’immunizzazione”.

Novavax approvato dall’Ema: è il primo a base di proteine

Il nuovo vaccino approvato dall’Agenzia europea del farmaco soddisfa i criteri Ue per efficacia, sicurezza e qualità. Due gli studi più grandi sul vaccino. Il primo, condotto in Messico e negli Stati Uniti, attesta una riduzione del 90,4% del numero di casi sintomatici di Covid-19 a partire dai 7 giorni successivi alla seconda somministrazione.

Anche il secondo studio, eseguito nel Regno Unito, ha mostrato una riduzione simile del numero di casi sintomatici, dimostrando una validità del vaccino pari all’89,7%.

A tal proposito, l’Ema ha fatto sapere: “I risultati dei due studi mostrano un’efficacia del vaccino per Nuvaxovid di circa il 90%. La sicurezza e l’efficacia del vaccino continueranno a essere monitorate man mano che viene utilizzato in tutta l’Ue, attraverso il sistema di farmacovigilanza dell’Ue e ulteriori studi da parte dell’azienda e delle autorità europee”.

Da linkiesta.it il 20 giugno 2021. «I dati sono stari revisionati, abbiamo mandato delle domande, l’azienda ha fornito delle risposte e oggi si decide. Se tutto risulta positivo si dà il via libera». Lo dice alla Stampa Armando Genazzani, professore ordinario di Farmacologia all’Università del Piemonte Orientale e rappresentante italiano nel comitato per l’approvazione dei farmaci dell’Agenzia europea del farmaco (Ema), che con molta probabilità oggi autorizzerà Nuvaxovid, il vaccino della casa farmaceutica americana Novavax. «C’è ottimismo sull’esito positivo», spiega. «Si tratta di un vaccino tradizionale costituito dalla proteina e non dall’mRna che la codifica. Si inietta solo la proteina dunque, una cosa che si fa da trent’anni, e quando l’organismo la riconosce si scatena una risposta anticorpale. La proteina inoltre si introduce con un adiuvante che facilita la risposta del sistema immunitario». La proteina in questione è la Spike del virus, «che infetta le nostre cellule e che l’organismo deve imparare a riconoscere». I vaccini a mRna «hanno una sequenza di acidi nucleici che codifica la proteina per riprodurla nell’organismo. In questo caso invece si salta un passaggio». E «per chi immotivatamente ha paura può rappresentare una rassicurazione».

L’efficacia resta alta: «Attorno al 90 per cento contro l’infezione come gli altri». Il farmaco «è stato testato sulle varianti risultando efficace. Su Omicron come per gli altri vaccini si attendono nuovi dati per fine anno, ma plausibilmente sarà efficace anche in questo caso al pari degli altri con la terza dose». E come gli altri è ipotizzabile che necessiti di una terza dose per bloccare la Omicron. Dopo l’approvazione dell’Ema, l’Aifa (Agenzia italiana del farmaco) «si adopererà per approvarlo in Italia prima di Natale. L’Europa ne ha comprate 200 milioni di dosi, che potrebbero essere distribuite subito dopo. Potrebbe essere proposto in particolare agli incerti, dunque soprattutto per le prime dosi». Il prossimo vaccino sarà Vla2001 della francese Valneva, che – spiega lo scienziato – «dovrebbe arrivare a metà 2022, il processo di valutazione è appena cominciato. Si tratta di un vaccino ancora più classico di Nuvaxovid, a virus inattivato, con risultati simili agli altri». Ma è importante ricordare il lavoro che fa il vaccino: «Crea delle cellule che producono anticorpi contro il virus proteggendo da infezione e contagiosità. E prepara altre soluzioni per il futuro. Quando l’organismo non percependo più il virus smette di produrre anticorpi, resta dunque una memoria immunitaria. Ecco perché tra i vaccinati chi pure si contagia non muore. Non a caso in tutta Europa la maggior parte dei malati gravi sono non vaccinati». E le medicine che l’Ema sta approvando «per quanto buone sono sempre inferiori ai vaccini. Inoltre, un vaccinato in difficoltà ha ancora il farmaco. Il No Vax ha solo una cartuccia a disposizione». «Sarebbe come gioire dei farmaci per il tumore…» Secondo Genazzani, con il vaccino «almeno per i nove mesi del Green Pass si è coperti verso la malattia grave. Bisogna però fare la terza dose, perché non sappiamo se la memoria cellulare duri per sempre. E poi in regime di pandemia e di fronte alla Omicron conviene affrettarsi». Anche perché i dati inglesi sulla Omicron «sono preoccupanti, perché sembra più contagiosa della Delta e non è confermato che sia meno patogenica. Vanno mantenute le misure precauzionali e aumentate le vaccinazioni, terze dosi comprese». Sui vaccini nei Paesi in via di sviluppo dice: «L’Ema autorizza continuamente nuovi siti produttivi europei anche per questo, ci sono donazioni e iniziative globali, ma servirebbero grandi investimenti delle case farmaceutiche supportati dai governi. La liberalizzazione dei brevetti non risolve il problema se non viene accompagnata da una strategia per il trasferimento tecnologico. Omicron è il campanello d’allarme di una variante nata in Africa, dove ci si vaccina poco e il virus circola di più, che preoccupa i Paesi avanzati». 

Adesso l'Ema approva il protocollo contrario dell'Italia: terza dose con Johnson & Johnson dopo Pfizer o Moderna. Il Tempo il 15 dicembre 2021. Chi ha fatto il vaccino monodose Johnson & Johnson, in Italia, deve fare il richiamo con una dose dei sieri mRna, Moderna o Pfizer. Ora dall'Europa arriva l'autorizzazione al percorso contrario: chi si è sottoposto a due dosi di Moderna o Pfizer può fare come terza dose "booster" una iniezione del vaccino prodotto da Janssen.  È la raccomandazione diffusa dall’Agenzia europea del farmaco Ema. Il suo Comitato per i medicinali a uso umano (Chmp) ha infatti concluso anche che «una dose di richiamo con il vaccino anti-Covid di Johnson & Johnson può essere somministrata dopo le 2 dosi di uno dei vaccini mRna autorizzati nell’Ue», cioè Comirnaty di Pfizer/BioNTech o Spikevax di Moderna. Questa raccomandazione si aggiunge a quella secondo cui una dose booster del vaccino Janssen può essere presa in considerazione almeno 2 mesi dopo la prima dello stesso vaccino nelle persone di età pari o superiore a 18 anni.

J&J, perché l'Ema ha dato l'ok al richiamo dopo 2 mesi. Alessandro Ferro il 15 Dicembre 2021 su Il Giornale. Via libera dell'Ema al richiamo vaccinale con il vaccino J&J dopo due mesi dall'unica dose e alla vaccinazione eterologa dopo il ciclo con Pfizer e Moderna. "Protezione al 100% dalle forme gravi". Il tanto bistrattato vaccino della Johnson&Johnson, l'unico monodose, sarà ancora utile e fondamentale nella lotta alla pandemia da Covid-19. L'Ema ha infatti dato l'ok alla seconda somministrazione dopo due mesi dalla prima (e unica) dose ma anche alla vaccinazione eterologa con chi aveva completato l'iter con Pfizer e Moderna.

I perchè della scelta

"Una dose booster del vaccino anti-Covid di Johnson & Johnson può essere presa in considerazione, almeno 2 mesi dopo la prima, nelle persone di età pari o superiore a 18 anni", ha affermato il Comitato per i medicinali a uso umano (Chmp) dell'Agenzia europea del farmaco Ema. Come ci siamo occupati sul Giornale.it, il richiamo del monodose si rende necessario già dopo 60 giorni per il calo rapido della sua protezione rispetto al ciclo vaccinale (doppio) degli altri vaccini attualmente in commercio. Da qui, la decisione e la raccomandanzione dell'Ema: chi ha già fatto la prima dose con J&J può fare anche la seconda con lo stesso vaccino perché, "somministrato almeno 2 mesi dopo la prima dose negli adulti, ha portato a un aumento degli anticorpi contro Sars-CoV-2", affermano gli esperti.

"Protezione al 100% dalle forme gravi"

Johnson & Johnson sottolinea che questa raccomandazione si basa sui dati che dimostrano che la dose booster del vaccino J&J ha aumentato la protezione al 75% contro le forme sintomatiche di Covid e una protezione del 100% contro le forme gravi almeno 14 giorni dopo la somministrazione. "Siamo lieti del parere positivo espresso oggi dal Chmp" ha affermato Loredana Bergamini, direttore medico di Janssen Italia, ad AdnKronos.

Ema ed Ecdc: vaccinazione eterologa più efficace. Niente controindicazioni al mix Pfizer-Moderna

L'eterologa con Janssenn

Ma non è tutto: a dimostrazione che questo siero anti-Covid sia efficace anche contro Omicron, l'Ema ha autorizzato la vaccinazione eterologa con il booster di Johnson&Johnson. "Può essere considerato come terza dose per chi si è sottoposto a Pfizer o Moderna" in precedenza. Quindi, la risposta anticorpale è forte anche se si fa la terza dose con questo vaccino a vettore virale e non necessiarmente con quello ad Rna messaggero. Si tratta senz'altro di un'ottima notizia nell'ottica di avere più vaccini a disposizioni e più armi contro la nuova variante del Covid-19.

"Rischio trombosi non noto"

Capitolo trombosi: gli esperti dell'Ema fanno sapere che il "rischio di trombosi in combinazione con trombocitopenia (Tts) o altri effetti collaterali molto rari dopo un richiamo non è noto e viene attentamente monitorato", aggiunge l'ente regolatorio Ue nella nota in cui spiega i contenuti della raccomandazione. Come succede per tutti i medicinali, l'Ema assicura che continuerà "a esaminare tutti i dati sulla sicurezza e l'efficacia del vaccino Janssen", come si legge su AdnKronos. I dati che sostengono la raccomandazione relativa al richiamo per il vaccino Janssen saranno disponibili nelle informazioni aggiornate sul prodotto.

A livello nazionale, sottolinea l'Ema, gli organismi di sanità pubblica "possono emettere raccomandazioni ufficiali" sull'uso dei booster a seguito di una dose di vaccino J&J o di due dosi di vaccini a mRna "tenendo conto della situazione epidemiologica locale, della disponibilità di vaccini, dei dati di efficacia e di quelli di sicurezza limitati per la dose di richiamo". A questo punto, si attende il parere dell'Aifa per capire se ci sarà il via libera anche nel nostro Paese al richiamo e al booster con il vaccino J&J.

Alessandro Ferro. Catanese classe '82, vivo tra Catania e Roma dove esercito la mia professione di giornalista dal 2012. Tifoso del Milan dalla nascita, la mia più grande passione è la meteorologia. Rimarranno indimenticabili gli anni in cui fui autore televisivo dell’unico canale italiano mai dedicato, Skymeteo24. Scrivo per ilGiornale.it dal mese di novembre del 2019 occupandomi soprattutto di cronaca, economia e numerosi approfondimenti riguardanti il Covid (purtroppo). Amo fare sport, organizzare eventi e stare in compagnia delle persone più care. Avviso ai naviganti: l’arancino è sempre maschio, diffidate da chi sostiene il contrario.

Dagotraduzione dal New York Post il 14 dicembre 2021. Secondo un nuovo studio pubblicato ieri, i vaccini COVID-19 di Pfizer e AstraZeneca non sono così efficaci nel combattere la variante Omicron rispetto ad altri ceppi. Nel documento in fase di pre-stampa, i ricercatori dell'Università di Oxford che hanno svolto lo studio hanno scritto di aver scoperto una «sostanziale caduta» negli anticorpi neutralizzanti quando i campioni di sangue sono stati infettati con la variante Omicron nonostante provenissero da persone che avevano ricevuto una doppia dose di vaccino Pfizer o AstraZeneca 28 giorni prima. Lo studio, che deve ancora essere sottoposto a revisione paritaria, ha scoperto che alcuni dei partecipanti «non sono riusciti affatto a neutralizzare [il virus]». «Questo porterà probabilmente a un aumento delle infezioni rivoluzionarie in individui precedentemente infetti o vaccinati due volte, che potrebbe guidare un'ulteriore ondata di infezioni, sebbene attualmente non ci siano prove di un aumento del potenziale per causare malattie gravi, ospedalizzazione o morte», hanno affermato gli autori dello studio. Ma gli scienziati hanno affermato che sono necessarie ulteriori ricerche per determinare se la variante elude altri tipi di immunità fornita dai vaccini. «Questi dati sono importanti ma sono solo una parte del quadro. Guardano solo gli anticorpi neutralizzanti dopo la seconda dose, ma non ci parlano dell'immunità cellulare, e anche questo sarà testato», ha affermato Matthew Snape, professore di Oxford e coautore dell'articolo. I ricercatori, tuttavia, hanno affermato che i risultati dovrebbero «trasmettere a casa il messaggio che coloro a cui viene offerta la vaccinazione di richiamo dovrebbero prenderla». «Sebbene non vi siano prove di un aumento del rischio di malattie gravi o di morte dovute al virus tra le popolazioni vaccinate, dobbiamo rimanere cauti, poiché un numero maggiore di casi rappresenterà comunque un onere considerevole per i sistemi sanitari», ha affermato Gavin Screaton, capo del dipartimento di scienze mediche dell'università e autore principale del documento. 

Covid, da Alfa a Omicron: effetto dei vaccini, contagiosità e sintomi delle varianti. Gli allarmi sono giustificati? Milena Gabanelli e Simona Ravizza su Il Corriere della Sera il 15 dicembre 2021. Ogni volta che viene identificata una nuova variante del Covid-19, e l’ennesima è l’Omicron, monta l’allerta delle autorità sanitarie. Ma cosa c’è dietro i ripetuti allarmi? Sono sempre giustificati? E perché – come stiamo vedendo in questi mesi – viene via via alzata l’asticella della percentuale di popolazione da vaccinare? Di certo, la formazione di varianti virali è un evento naturale proprio di tutti i virus, in particolare quelli con genoma a RnA come il Covid: le mutazioni genetiche sono alterazioni casuali nel genoma che avvengono in occasione della replicazione del virus all’interno delle cellule infette. Ma quando un virus crea copie di sé stesso cambiando con delle mutazioni si pongono tre tipi di problemi. Uno: la possibilità che sia più contagioso. Due: il rischio di una maggiore aggressività della malattia. Tre: l’eventuale capacità di reinfettare persone precedentemente immunizzate. 

Il primo mattone che cambia

L’origine porta la data del 5 gennaio 2020. È allora che i cinesi sequenziano l’intero genoma di un nuovo Coronavirus, che viene chiamato D614. Ma la diffusione è già in corso da qualche mese e il virus comincia a generare figli. Il 20 gennaio il primo mattone che cambia nella sequenza è questo: la D viene sostituita dalla G. Una modifica che gli dà maggiore contagiosità. Tutte le varianti sono figlie sue.

Cosa succede in Italia

Il 20 febbraio in provincia di Lodi viene identificato un grosso focolaio, e subito dopo in Val Seriana (Bergamo). Il Policlinico San Matteo di Pavia, che è il primo ospedale italiano a studiare le varianti, ne individua ben sette, tutte correlate allo stesso ceppo, anche se con caratteristiche diverse: qualcuna più lenta, altre più veloci (qui l’approfondimento). Dagli studi effettuati dal matematico-epidemiologo Stefano Merler della Fondazione Bruno Kessler (Fbk) e dall’Istituto superiore di Sanità (Iss) emerge che, in assenza di misure di controllo del virus, in quel momento il numero medio di persone infettate da un contagiato (R0) va da 2,8 a 3,1.Nell’estate 2020 calano le restrizioni, si riprende a viaggiare, e in Italia vengono introdotte almeno una decina di varianti virali presenti in altri Paesi, a cui viene assegnata una sigla: B.1, B1.1, B.1.5 ecc., a seconda del Paese di origine. Poi, dall’autunno 2020, l’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms) e il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ecdc) cominciano a classificare le varianti e a tracciare le nuove mutazioni per vedere quanto possono essere refrattarie ai vaccini in fase di sperimentazione. Nel settembre 2020 nel Regno Unito viene identificata l’Alfa, nello stesso periodo in Sudafrica viene trovata la Beta, e a dicembre 2020 in Brasile è tracciata la Gamma. 

Varianti in circolazione nel 2021

Da gennaio ad aprile 2021 in Italia Alfa, Beta e Gamma circolano in contemporanea. Stimare il loro R0, dunque quanti ne contagia un infetto, è complicato sia perché non ci sono più le condizioni iniziali (popolazione tutta suscettibile al virus, non vaccinata e assenza di misure di controllo) sia perché i calcoli devono tenere conto della co-presenza di diverse varianti. Ma nonostante questi limiti, è possibile calcolare la maggior trasmissibilità di una variante rispetto alle altre. Sempre con l’aiuto dei dati di Merler e dell’Iss, vediamo cosa succede. L’Alfa ha un indice di trasmissibilità superiore da 1,45 a 1,66 volte rispetto al virus del 2020. Vuol dire che in assenza di misure di controllo un infetto può contagiare in media circa altre 4,5 persone. Da aprile 2021 la variante Alfa circola quasi esclusivamente in tutt’Italia (91,6%), senza però dare segni di bucare i vaccini. 

Allerta Beta, Gamma, Delta

La variante Beta colpisce soprattutto in Alto Adige, ma data la sua scarsa diffusione sia geografica che temporale non ci sono stime su un’eventuale maggiore trasmissibilità. Studi preliminari dicono, però, che potrebbe essere in grado di infettare persone precedentemente immunizzate. La Gamma si diffonde in particolare nelle regioni dell’Italia centrale (Lazio, Umbria, Toscana). Il suo potenziale livello di contagiosità è superiore di 1,03-1,56volte rispetto al virus del 2020, vuol dire che in assenza di misure di controllo un infettato può contagiare in media circa altre 4,3 persone. Come la Beta, provoca un potenziale rischio di reinfezione. In termini di gravità, in generale, tutte si mostrano più aggressive rispetto al tipo di virus circolante nel 2020. Amaggio 2021 arriva anche in Italia la Delta, già identificata a dicembre 2020 in India. Il suo indice di trasmissibilità è superiore da 1,33 a 2,1 volte rispetto alla variante Alfa. Dunque, in assenza di controlli un contagiato può infettare in media altre 6,75 persone. Da luglio 2021 la variante Delta diventa dominante (94%).

La campagna vaccinale di massa

Ognuna di esse produce a sua volta varianti e mutazioni. Da fine dicembre 2020, però, è iniziata la più grande campagna di vaccinazione globale, aumentando in modo progressivo le coperture immunitarie, almeno nei Paesi più ricchi. Conseguenza: Alfa e Beta, che erano le più brutte, si sono quasi estinte. Quella che circola oggi è ancora prevalentemente la Delta. In ogni caso, tutte le nuove varianti sono emerse in Paesi a bassa o bassissima copertura vaccinale.

L’Omicron

In Sudafrica e Botswana la percentuale di popolazione vaccinata è del 20%, ed è lì che a novembre 2021 è stata sequenziata Omicron. È una variante con dentro 43 mutazioni, mentre per esempio la Delta ne aveva 8. Secondo Fausto Baldanti, direttore del Dipartimento di virologia del Policlinico San Matteo di Pavia, che osserva da inizio pandemia varianti e mutazioni, le 43 mutazioni di Omicron sono troppe rispetto alla struttura originale, e questo potrebbe non essere vantaggioso per il virus. In altre parole: per la popolazione non sarebbe problematico rispetto alle sue precedenti versioni. Lunedì c’è stato il primo infetto da Omicron sul territorio in Lombardia, a Legnano. Il laboratorio di virologia del Policlinico ha messo il virus in cultura. Una volta cresciuto in vitro, sarà messo a contatto con il siero di una persona vaccinata, e a quel punto si comprenderà a quale livello può interferire con il vaccino, e la differenza rispetto agli altri ceppi. Gli esiti si conosceranno fra una decina di giorni. Magari questa volta la sfanghiamo. 

Il circolo vizioso

Il problema di fondo resta: le varianti sono imprevedibili, e più circola il virus, più varianti nascono. Questo dato di fatto rende necessarie coperture vaccinali più alte, proprio per ostacolarne la diffusione.

In particolare, la percentuale di popolazione da immunizzare aumenta con l’R0 in modo proporzionale in base a una formula matematica

Quindi tenendo conto della velocità di diffusione, con l’R0 iniziale sarebbe stato sufficiente vaccinare grosso modo il 67% della popolazione. Queste coperture salgono al 78% quando si diffonde la variante Alfa e all’85% per la Delta 

Le stime però non considerano che i vaccini di cui disponiamo non sono perfetti nel proteggere dall’infezione: contro la variante Delta, ad esempio, l’efficacia con ciclo completo di due dosi è di circa l’80%, e va a diminuire dopo sei mesi. Quindi vuol dire che la percentuale di popolazione da vaccinare per arginare il virus si alza ancora. In conclusione: nessun singolo Paese è protetto, se i vaccini non arrivano e vengono somministrati a tappeto in ogni parte del mondo, poiché laddove le popolazioni sono poco immunizzate, varianti e mutazioni si moltiplicano e si esportano. Se poi, nei Paesi dove i vaccini ci sono, una fetta di popolazione non si immunizza, si innesca un circolo vizioso dal quale sarà difficile uscire.

Cosa sono Novovax e Valneva, i nuovi vaccini: quando arrivano in Italia i nuovi sieri anticovid. Riccardo Annibali su Il Riformista il 12 Dicembre 2021.  

Nell’arsenale per combattere il Covid 19 l’Ema ha in fase di approvazione due nuove armi. Il vaccino made in Usa Novavax prima e, in coda, lo studio del siero austro-francese Valneva. Il parere dell’Agenzia europea dei medicinali Ema sul Novavax “è attesa a dicembre, tra il 16 e il 20”, spiega il direttore generale Aifa, Nicola Magrini, in audizione in commissione Sanità del Senato.

Il Novavax, in particolare, potrebbe non dispiacere ai no vax – o almeno a chi non si è ancora vaccinato per paura, più che per ideologia – perché è basato su una vecchia tecnologia (non Mrna), e quindi super testata e più accettata dagli scettici, che sfrutta la tecnica delle proteine ricombinanti. Anche il Valneva potrebbe andare a genio ai più timorosi, perché utilizza il know-how del virus non attivato. Tra pochissimi giorni, il 15 dicembre, scatta l’obbligo vaccinale per nuove categorie di lavoratori, compresi gli insegnanti e le forze dell’ordine.

Si tratta comunque di due sieri diversi rispetto a quelli di Pfizer Biontech e Moderna che vengono usati per le terze dosi, e a quelli di Astrazeneca a Johnson&Johnson (a vettore virale). Oltretutto il Novovax potrebbe risolvere il problema della vaccinazione nei Paesi più poveri perché ha un costo contenuto e si può conservare in un frigorifero ‘normale’.

Il ‘Nuvaxovid’ (nome commerciale del vaccino di Novovax) utilizza quindi le proteine ricombinanti, in uso da tempo contro malattie come la pertosse. Quindi non c’entra nulla con la nuova tecnologia a Rna messaggero, invisa alla maggior parte dei contrari al vaccino. In pratica, le molecole sono in grado di assemblarsi per formare particelle simil-virali sulla base delle quali l’organismo produce la sua risposta immunitaria, scatenando la formazione di anticorpi.

Il preparato promette bene perché stando all’azienda l’efficacia è intorno al 90%. Da un’altra indagine, condotta negli Stati Uniti e in Messico, risulta il 100% di protezione contro la malattia moderata e grave e il 90,4% di efficacia totale.

Sergio Abrignani, membro del Comitato Tecnico Scientifico (Cts) e Ordinario di Patologia generale all’Università Statale di Milano, spiega come funziona parlando al Corriere: “È una tecnica utilizzata da più di trent’anni: ha permesso di produrre vaccini oggi usati anche per proteggere i neonati, senza il rischio di effetti collaterali di rilievo: sono quelli contro l’epatite B, il meningococco B, l’herpes zoster e l’Hpv. Può rappresentare un’arma importante verso indecisi e timorosi”, sottolinea l’esperto.

Anche il vaccino di Valneva è piuttosto diverso dai preparati finora utilizzati contro la pandemia: infatti si basa sul virus inattivato, che stimola la risposta immunitaria. E anche qui si tratterebbe di una tecnologià meno temuta da molti scettici.

Diversamente dagli altri quattro vaccini già autorizzati (due a mRna e due a vettore virale), Valneva contiene il virus Sars-CoV-2 non attivo, che non può causare la malattia, e contiene anche due ‘adiuvanti’, sostanze che aiutano a rafforzare la risposta immunitaria al vaccino. Riccardo Annibali

Diodato Pirone per “il Messaggero” l'11 dicembre 2021. Da gennaio contro il Covid dovrebbe arrivare un vaccino nuovo che usa una tecnologia vecchia, sperimentata da decenni contro malattie come la pertosse e la meningite. Si tratta del farmaco prodotto dall'americana Novavax che lancerà un vaccino contro il quale i no vax non potranno spargere il dubbio della sperimentalità del prodotto. Non solo. Poiché il Novavax sarà utilizzato soprattutto per le Terze Dosi consentirà di ampliare la possibilità di somministrazioni eterologhe, cioè fatte con vaccini diversi da quelli usati per le prime somministrazioni. E, l'eterologa, non è un segreto, è la combinazione consigliata da molti immunologi. C'è poi un terzo aspetto che bisognerà misurare sul campo ovvero la sua efficacia contro le ultime varianti. Già, ma quali sono le caratteristiche del nuovo vaccino? Quella più importante è che utilizza una tecnologia che gli addetti ai lavori chiamano proteine ricombinanti. Che cosa significa? In parole povere nel Novavax sono presenti nano-particelle di virus che vengono addizionate a una molecola che stimola la produzione di anticorpi. Si tratta di un vaccino ultra-classico. Diverso sia da quelli di Pfizer-BionTech e di Moderna che si basano sulla tecnica mRna la quale - semplificando - fornisce alle cellule del nostro organismo informazioni sul virus Sars CoV-2 e dunque fa scattare la reazione protettiva. Novavax è diverso anche da AstraZeneca e Johnson&Johnson che si basano sui cosiddetti adeno virus, ovvero organismi morti ma innocui per l'uomo la cui funzione è quella di simulare nel nostro corpo la presenza del Covid. Il fatto che il nuovo vaccino, che dovrebbe chiamarsi Nuvaxovid, utilizzi una tecnologia vecchia non deve far pensare che la società produttrice sia un'azienda arretrata. Tutt' altro. Novavax è una public company (la proprietà è di molti fondi di investimento) fondata in America nel 1987 non lontano da New York che oggi vale in Borsa una quindicina di miliardi. Si occupa di biotecnologie e ha un grosso centro di ricerca in Svezia. Il suo prodotto di classico ha solo la formula dell'uso delle nano-particelle ma per il resto si tratta di una soluzione avanzatissima. Il vaccino Novavax, infatti, è figlio di una ricerca decollata col maxi-finanziamento pubblico da 1,6 miliardi di dollari ottenuto durante l'amministrazione Trump nell'ambito dell'Operation Warp Speed destinata a garantire agli Usa alcune centinaia di milioni di dosi vaccinali. Diodato Pirone

Nei laboratori di Reithera dove si tenta il vaccino anti-Hiv. Francesco Castagna su L'Espresso l'1 dicembre 2021. Dopo lo stop ai fondi pubblici l’azienda biotech di Castel Romano (Roma), trova un nuovo sponsor nella fondazione di Bill Gates e si impegna nella ricerca di un antidoto a basso costo per la lotta all’AIDS. Si erano impegnati durante tutto il 2020 a trovare un vaccino italiano contro il Covid-19, i laboratori di Reithera non hanno arrestato la loro attività anche dopo lo stop della Corte dei Conti ad un finanziamento statale. Sul progetto ha pesato anche l’abbandono da parte dell’Istituto per le malattie infettive Spallanzani. La casa farmaceutica di Castel Romano, superate le critiche della comunità scientifica, si è orientata su un nuovo studio: la lotta all’Hiv. Il 3 novembre di quest’anno poi Reithera Srl aveva comunicato di voler utilizzare un fondo da 1,4 milioni, ricevuto dalla Fondazione Bill e Melinda Gates, per lo sviluppo di nuovi vaccini contro le varianti Covid e l’Hiv. Quest’ultimo allo stato attuale è in una prima fase di ricerca. Per non perdere gli sforzi fatti dall’inizio della pandemia, Reithera si è mossa per utilizzare la piattaforma tecnologica che aveva già messa in piedi per lo studio contro il Covid-19, sfruttandola anche per la lotta all’Hiv. Sul virus da immunodeficienza umana l’ultimo successo risale al 2009, con una cura sperimentata in Thailandia che si è dimostrata efficace in un terzo dei casi. Nonostante le riserve, i risultati di fase 1 e fase 2 di Reithera sul vaccino contro il Covid-19 hanno suscitato l’interesse della Fondazione Gates. I ricercatori infatti sostengono di aver ottenuto ottime risposte dagli anticorpi e di tipo cellulare contro gli antigeni di Sars Cov 2, quest’ultima molto importante per lo sviluppo poi di un nuovo vaccino contro l’Hiv. 40 anni fa, esattamente il 5 Giugno del 1981, questa malattia diventò un fenomeno endemico nei paesi sviluppati e tutti erano speranzosi su una possibile cura, senza farsi molti problemi sulle fasi di sperimentazione. Da allora i decessi a causa di questo virus furono 77,5 milioni e sono circa 33 milioni le persone morte per AIDS. Per fortuna la scoperta di una terapia antiretrovirale ha permesso a 27 milioni di persone (dei 37 con Hiv) di accedere alle terapie di cura, portando ad un calo significativo di persone che hanno sviluppato la sindrome da immunodeficienza acquisita (AIDS).

La presidente Reithera Antonella Folgori ha spiegato nel dettaglio la funzione della piattaforma tecnologica che stanno utilizzando per la produzione dei vaccini: “La fondazione Bill e Melinda Gates ha deciso di investire sulla nostra piattaforma tecnologica perché presenta una serie di caratteristiche molto importanti.”, dice Antonella Folgori, Presidente di ReiThera Srl, mentre mostra i laboratori. “Per prima cosa può essere utilizzata per lo sviluppo di diversi vaccini contro infezioni virali. Il processo di produzione di questo vaccino poi è ben standardizzato e può essere facilmente trasferito anche nei paesi a basso e medio reddito, possono quindi essere costruite delle cosiddette facilities per la produzione. È anche un vaccino termostabile e fornisce una risposta immunitaria completa, quindi non solo anticorpi ma anche linfociti T che permettono di non far sviluppare una malattia grave”. 

Angelo Raggioli, Head of Technology Development, si occupa della ricerca di vettori virali per vaccini e per curare malattie genetiche.  

A guidare dentro i laboratori Angelo Raggioli e Adriano Leuzzi, rispettivamente Head of Process Development e Head of Technology Development. Si parte da quello di “Sviluppo tecnologico”, che si occupa della ricerca di vettori virali per vaccini e per curare malattie genetiche. Il finanziamento serve per una sperimentazione di tipo preclinico, ciò vuol dire che si stanno svolgendo le ricerche su modelli cellulari e animali. L’obiettivo è quello di individuare il miglior immunogeno (un agente in grado di sviluppare una risposta immunitaria). Per il Covid-19 le case farmaceutiche hanno utilizzato la proteina Spike, si dovrà quindi trovare l’equivalente per l’Hiv. Il laboratorio partner della fondazione Gates ha identificato una serie di immunogeni da testare per individuare il migliore contro l’Hiv. “Per noi è stato importante venire a contatto con laboratori molto esperti nel campo di Hiv. Studiosi con un’esperienza ventennale in questo campo possono contribuire con un disegno più razionale dell’immunogeno rispetto a quello a chi non ci ha mai lavorato” – afferma Angelo Raggioli, spiegando che quello che Reithera Srl aggiunge al processo è una piattaforma tecnologica in grado di per sé di indurre una forte risposta cellulare (linfociti T). È la GRAd Cov2, basata sull’uso di vettori virali isolati da gorilla (GRAd), tra i più potenti per isolare sviluppare vaccini, che non si replicano all’interno dell’essere umano. Su questa piattaforma si basa il candidato vaccino contro il Covid-19 (GRAd Cov2)

La ricerca è destinata ai paesi a basso e medio reddito, nello specifico in Africa. Si mira quindi ad un processo di produzione facilmente trasferibile in siti esterni, dove l’Hiv colpisce senza tregua e l’accesso alle cure per il Covid-19 è quasi inesistente. La piattaforma, sostiene l’azienda, è in grado di rispondere a queste esigenze. 

Adriano Leuzzi, Head of Process Development, si occupa di ottimizzare la fase successiva di produzione. Nella foto il corridoio vetrato dal quale è possibile osservare l'area di produzione GMP (buone pratiche di produzione) 

Con Adriano Leuzzi si parte dal dipartimento di sviluppo e di processo. Qui ci si occupa di ottimizzare la fase successiva di produzione. Per far sì che il vettore virale venga prodotto e poi modificato, in maniera tale da arrivare ad un potenziale vaccino, in questo laboratorio si utilizzano strumenti come i bioreattori. 

Uno dei bioreattori che rappresentano il sistema che permette alle cellule di crescere e funzionare come delle fabbriche di vettore virale 

Questi macchinari rappresentano il sistema che permette alle cellule di crescere e funzionare come delle fabbriche di vettore virale. Strumenti attraverso i quali, in maniera molto sofisticata, è possibile monitorare la riproduzione delle cellule in un ambiente artificiale. Questo processo avviene tramite il controllo costante di una serie di parametri, che devono essere tenuti sotto osservazione e ottimizzati: nutrienti, ossigeno, scambi gassosi, PH. Una volta raggiunta una certa concentrazione delle cellule per cui il vettore virale è in grado di replicarsi, viene sottoposto al processo di purificazione. Migliore è la qualità di questa tecnica e più efficace sarà il vaccino. Il lavoro di questo dipartimento è quello di prendere il prodotto che arriva dal reparto di ricerca e sviluppo per costruire intorno a questo un processo di operazioni che permettano di averne uno pulito, sicuro e in grado di fornire un’efficace risposta immunitaria. “In questo laboratorio” – spiega Adriano Leuzzi – “lavoriamo su una scala detta pilota e una volta identificato il processo di qualità e pulizia del vaccino, lo trasliamo alla facility di produzione GMP del lotto clinico (ovvero chi si occupa di produrre medicinali secondo le linee guida europee)”.

L’obiettivo è quindi quello di ottimizzare e adattare il processo di produzione di un vaccino utilizzando diverse tecnologie, come quella dei bioreattori. Lo scopo è sempre quello di contenere i costi.

“Reithera è un’azienda che è stata scelta” – afferma Antonella Folgori – “proprio perché al suo interno ha sia la parte di ricerca e sviluppo, ma anche la parte di produzione GMP (buone pratiche di produzione)”. In quest’ultimo settore le attività si svolgono oltre un corridoio vetrato. Una serie di aree classificate: stanze per l’espansione e la coltura cellulare.

Per il Covid-19 è stata costruita un’area per la produzione su larga scala del vaccino, al cui interno sono presenti bioreattori grazie ai quali è stato preventivato di poter coprire una richiesta di dosi di 50-100 milioni di dosi all’anno.

Sul fronte della ricerca del vaccino contro l’Hiv si sta procedendo invece su due filoni: individuare l’agente immunogeno migliore da una parte e dall’altra il perfezionamento del vettore dal punto di vista genetico, ovvero la ricerca della tecnologia più buona.

Dagotraduzione dal Telegraph il 25 novembre 2021. Secondo gli scienziati, uno dei motivi per cui la Gran Bretagna sembra affrontare oggi il Covid meglio del resto d’Europa è che il vaccino AstraZeneca potrebbe offrire un'immunità più duratura rispetto alle altre soluzioni. Pascal Soriot, amministratore delegato di AstraZeneca, ha affermato che in Gran Bretagna la decisione di somministrare agli anziani il vaccino di Oxford potrebbe essere uno dei motivi per cui il Regno Unito non vede «così tanti ricoveri rispetto all'Europa» nonostante un numero elevato di casi. Il Telegraph ha appreso che l'azienda farmaceutica si sta preparando a rilasciare dati che dimostrano che il suo vaccino offre immunità a lungo termine alle cellule T per le persone anziane anche dopo che gli anticorpi sono diminuiti. Soriot ha affermato che l'immunità fornita dalle cellule T potrebbe essere «più duratura». Diversi paesi, tra cui Francia, Germania, Spagna e Belgio, hanno limitato il vaccino AstraZeneca ai minori di 65 anni nelle prime fasi del loro lancio, sostenendo che non c'erano dati sufficienti per dimostrare che funzionasse per le persone anziane. In Francia, martedì, per la prima volta da agosto, i contagi giornalieri hanno superato quota 30.000, con un aumento del 63 per cento in una settimana. La Germania ha confermato di voler rendere obbligatoria la vaccinazione per i soldati. La media di sette giorni dei decessi per Covid nel paese è ora il doppio di quella della Gran Bretagna. «I leader europei nutrivano tutte queste preoccupazioni infondate su AstraZeneca e sul suo utilizzo nelle persone anziane», ha affermato una fonte governativa di alto livello. «Se guardiamo i dati, si può vedere che usarli presto è stato incredibilmente utile in termini di protezione da questa malattia più a lungo nelle persone anziane e vulnerabili». Gli esperti britannici hanno affermato che le affermazioni di Soriot erano "plausibili" e potrebbero essere la ragione per cui i ricoveri e i decessi sono stati relativamente bassi anche se i contagi restano alti. Il dottor Peter English, ex redattore di Vaccines in Practice che in precedenza ha presieduto il comitato di medicina della salute pubblica BMA, ha dichiarato: «Le persone il cui sistema immunitario ha prodotto una forte risposta delle cellule T ma una risposta anticorpale più debole potrebbero avere maggiori probabilità di essere infettate, ma hanno maggiori probabilità di essere in grado di combattere l'infezione e avranno molte meno probabilità di sviluppare una malattia grave». Commentando l'elevata infezione del Regno Unito ma i bassi tassi di ospedalizzazione, ha affermato: «È plausibile che ciò abbia generato un'eccellente risposta dei linfociti T, il che significa che mentre le persone possono ancora essere infette e infettive, è improbabile che stiano seriamente male». Il professor Matthew Snape, dell'Università di Oxford, che è stato investigatore capo degli studi sui vaccini di richiamo, ha dichiarato: «Le migliori risposte dei linfociti T sembrano arrivare se si somministra una prima dose del vaccino AstraZeneca seguita da Pfizer». Steve Baker, il vicepresidente del Covid Recovery Group dei parlamentari conservatori settici di lockdown, ha criticato i politici europei per aver snobbato il colpo e ha chiesto che i dati di AstraZeneca siano resi pubblici.

(ANSA il 30 novembre 2021) - I primi dati mostrano che con 3 dosi di vaccino Pfizer si è protetti dalla variante Omicron. Lo ha detto il ministro della sanità israeliano Nitzan Horowitz. "La situazione - ha spiegato citato da Times of Israel - è sotto controllo e non c'è motivo di panico. Ci aspettavamo una nuova variante e siamo pronti... Nei prossimi giorni avremo informazioni più precise sull'efficacia del vaccino ma le prime indicazioni mostrano che coloro che hanno un richiamo sono molto probabilmente protetti contro questa variante".

Pfizer, uno studio inquietante: quanto dura lo scudo del vaccino, le nuove cifre. Libero Quotidiano il 26 novembre 2021. Con il passare del tempo l’efficacia dei vaccini anti-Covid diminuisce sensibilmente e aumenta di conseguenza il rischio di infettarsi. Il livello di immunizzazione del siero Pfizer-BioNTech, per esempio, inizia a calare già dopo i primi tre mesi. E' quanto emerge dai dati raccolti da un nuovo studio effettuato in Israele dagli esperti del Research Institute of Leumit Health Services e pubblicati sul British Medical Journal (BMJ). Israele è stato tra i primi paesi a lanciare una massiccia campagna di vaccinazione contro il Covid-19 già a dicembre 2020 e a combattere una recrudescenza di casi con i richiami e le terze dosi. E ora ha analizzato da vicino il calo dell'immunità post vaccino. Lo studio ha riguardato oltre 80mila adulti (età media 44 anni) che avevano ricevuto la seconda dose di Pfizer da almeno tre settimane, nessuno di loro aveva precedente contratto il Covid-19. Risultato: se il vaccino di Pfizer fornisce un’elevata protezione dal Covid nelle settimane successive all’inoculazione, la sua efficacia inizia a scendere dopo tre mesi. In tutti i gruppi di età, l'1,3 per cento delle persone sono risultate positive dopo 21-89 giorni dalla seconda dose, 2,4 per cento dopo 90-119 giorni, 4,6 per cento dopo 120-149 giorni, 10,3% dopo 150-179 giorni; 15,5% dopo 180 giorni o più. In conclusione, rispetto ai primi 90 giorni dopo la seconda dose, il rischio di infezione in tutti i gruppi di età è risultato di 2,37 volte più alto dopo 90-119 giorni; 2,66 volte più alto dopo 120-149 giorni; 2,82 volte dopo 150-179 giorni e così via. Appare chiaro, hanno concluso gli studiosi, che l'immunità diminuisce e il rischio di contagiarsi aumenta dopo i primi tre mesi dalla doppia vaccinazione. Una notizia per nulla rassicurante. 

Alessandro Gonzato per “Libero quotidiano” il 12 dicembre 2021. Un non vaccinato ha 16,6 volte in più la possibilità di morire di Covid rispetto a chi si è fatto somministrare la terza dose. Il dato è contenuto nell'ultimo rapporto dell'Istituto Superiore di Sanità ed è stato diffuso ieri nelle stesse drammatiche ore in cui a Trento un no-vax di 50 anni è morto dopo aver rifiutato di essere intubato. Il rischio di decesso di un non vaccinato è 11,1 volte superiore rispetto a chi lo è da meno di 5 mesi e 6,9 volte rispetto a un vaccinato da più di 5. Dal 22 ottobre al 21 novembre, si legge nel documento dell'Istituto, il tasso di ricoveri in terapia intensiva dei non vaccinati (19 per 100 mila) è circa 9 volte più alto di quello dei vaccinati con ciclo completo da oltre 5 mesi (2 ricoveri in intensiva per 100 mila) e 6 volte rispetto ai vaccinati con ciclo completo entro 5 mesi (3 ricoveri in intensiva per 100 mila). L'Istituto superiore di sanità ha fornito anche nuove indicazioni sulla durata del vaccino. «Dopo 5 mesi dal completamento del ciclo l'efficacia nel prevenire la malattia sia nella forma sintomatica che asintomatica scende dal 74% al 39. Rimane elevata l'efficacia nel prevenire casi di malattia severa», prosegue il rapporto, «in quanto l'efficacia nei vaccinati con ciclo completo è pari al 93%, mentre risulta pari all'84 nei vaccinati con ciclo completo oltre i 5 mesi. L'efficacia nel prevenire la diagnosi e casi di malattia severa sale rispettivamente al 77% e al 93 nei soggetti vaccinati con dose aggiuntiva-booster». Il rapporto spiega che in questo momento l'efficacia complessiva dei vaccini nell'evitare il contagio è del 65%, nell'evitare ospedalizzazioni dell'88,7, nel prevenire i ricoveri del 93,5 e i decessi dell'89,2%. Altri dati. Nell'ultima settimana, rileva l'Iss, c'è stato «un aumento dell'incidenza del contagio in tutte le fasce d'età, in particolare nella popolazione con meno di 12 anni, attualmente non eleggibile per la vaccinazione». Tra i 6 e gli 11 anni, entrando nel dettaglio, viene evidenziata una maggior crescita dei contagi a partire dalla seconda settimana di ottobre, con un'impennata negli ultimi 15 giorni. Nei bambini fino ai 9 anni l'incidenza nell'ultima settimana ha raggiunto valori superiori a 250 casi per 100 mia abitanti. Il bollettino di ieri riporta 21.042 nuovi contagi (mai così tanti dal 3 aprile) e un tasso di positività in crescita, al 3,7% (venerdì era al 2,8). In tutto i pazienti in terapia intensiva sono 818, soltanto 2 in più. 96 i morti (venerdì ne erano stati comunicati 118). In Calabria, che da domani entrerà in zona gialla, il tasso di positività è cresciuto in un giorno dal 4,9 al 6,7%. A Matera torna l'obbligo di mascherina all'aperto. Prendendo in esame i dati delle singole regioni si nota il calo drastico di ricoveri rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso, e ciò inevitabilmente è legato alla campagna vaccinale. Riportiamo un caso su tutti, quello del Piemonte, dove il numero di contagi dal 4 al 10 dicembre (8.273) è pressoché identico a quello del 2020 (8.600) ma le ospedalizzazioni sono quasi 10 volte meno (40 posti occupati in terapia intensiva contro i 341 del 2020 e 455 posti letto ordinari contro 4.200). L'anno scorso la percentuale di positivi al tampone era dell'8,2 e oggi è al 2,2. Notevole l'impatto dei vaccini anche sulla riduzione della mortalità: da 457 decessi a 12. «Tutto questo», ha detto il governatore del Piemonte Alberto Cirio, «conferma il valore della nostra campagna vaccinale. I dati della Fondazione Gimbe ci mettono in testa per terze dosi assieme alla Toscana». Intanto nel Regno Unito un modello di previsione della London School of Hygiene&Tropical Medicine desta preoccupazione: la variante Omicron potrebbe causare fino a 75 mila morti (questo lo scenario peggiore) nei prossimi 5 mesi «se non verranno prese ulteriori misure». Il timore dei ricercatori è che la variante sudafricana possa causare un numero di contagi e ospedalizzazioni maggiori che a gennaio 2021. Nello scenario migliore, dice il modello inglese, Omicron potrebbe portare a un picco di oltre 2 mila ricoveri al giorno.

La verità nei dati: cosa succede nelle terapie intensive. Samuele Finetti il 27 Novembre 2021 su Il Giornale. L'ultimo rapporto dell'Istituto superiore di sanità fotografa la situazione del contagio: chi rischia di più. Se non fosse per i vaccini, la situazione nelle terapie intensive sarebbe più grave. E di parecchio. A confermarlo sono i dati dell'ultimo rapporto settimanale dell'Istituto superiore di sanità, che ribadisce ancora una volta come il livello di protezione garantito dal vaccino sia decisivo rispetto al rischio di contrarre il Covid in forma grave. Nell'ultimo mese il tasso di terapie intensive nei non vaccinati in Italia è a 6,7 per centomila, mentre nei vaccinati da meno di sei mesi è a 0,54 per centomila, dodici volte più basso. "Negli ultimi trenta giorni - si legge nel report - sono stati notificati 61.908 casi (37,7%) fra i non vaccinati, 4.260 casi (2.6%) fra i vaccinati con ciclo incompleto, 81.740 casi (49,7%) fra i vaccinati con ciclo completo entro sei mesi, 15.519 (9,4%) fra i vaccinati con ciclo completo da oltre sei mesi e 969 casi (0,6%) fra i vaccinati con ciclo completo con dose aggiuntiva/booster. Il 49,1% delle ospedalizzazioni, il 64,2% dei ricoveri in terapia intensiva e il 44% dei decessi sono avvenuti tra coloro che non hanno ricevuto alcuna dose di vaccino". Sebbene l'efficacia tenda ad affievolirsi col passare dei mesi - "dopo sei mesi dal completamento del ciclo vaccinale, scende dal 72% al 40% l'efficacia nel prevenire qualsiasi diagnosi sintomatica o asintomatica di COVID-19 rispetto ai non vaccinati", spiega il rapporto - è innegabile che il vaccino sia fondamentale per evitare di contrarre la malattia in forma severa, anche dopo sei mesi dalla seconda dose: "Si osserva una decrescita dell'efficacia vaccinale di circa 10 punti percentuali, in quanto l'efficacia per i vaccinati con ciclo completo da meno di sei mesi è pari al 91,6%, mentre risulta pari all'80,9% per i vaccinati con ciclo completo da oltre sei mesi, rispetto ai non vaccinati". Tanto che, spiega una ulteriore ricerca dell'Iss, nei primi nove mesi di quest'anno i vaccini anti Covid hanno evitato oltre 22mila decessi e quasi 10mila ingressi nelle terapie intensive nella sola Italia. L'ultimo rapporto fotografa la settimana in cui l'Ema, l'agenzia europea del farmaco, ha dato il via libera per la vaccinazione con Pfizer dei bambini dai 5 agli 11 anni. É proprio la fascia d'età scolare quella dove, complice il rientro a scuola, si registra nelle ultime settimane l'aumento più significativo di contagi. Tra l'8 e il 21 novembre, in questa popolazione sono stati segnalati oltre 30mila nuovi casi, con 153 ricoveri e 3 ingressi nelle terapie intensive: si conferma dunque l'andamento osservato nei sette giorni precedenti, "con il 27% dei casi diagnosticati nella popolazione di età scolare. Il 51% dei casi in età scolare è stato diagnosticato nella fascia d'età 6-11 anni, il 32% nella fascia 12-19 anni e solo il 11% e il 6% sono stati diagnosticati, rispettivamente tra i 3 e i 5 anni e sotto i 3 anni".

Samuele Finetti. Nato in Brianza nel 1995. Due grandi passioni: la Storia, specie quella dell’Italia contemporanea, che ho coltivato all’Università Statale di Milano, dove mi sono laureato con una tesi sulla strage di piazza Fontana. E poi il giornalismo, con una frase sempre in mente: «Voglio poter fare, soltanto, una cronaca di fatti e di parole veri». Ostinatamente prezzoliniano

Milena Gabanelli e Simona Ravizza per il "Corriere della Sera" il 26 novembre 2021. Ieri, 25 novembre, l’Ema ha dato il via libera in Europa alla vaccinazione sui bambini fra i 5 e gli 11 anni. E ora la domanda che assilla tutti i genitori è: conviene vaccinarli? Dal bollettino dell’Istituto superiore di Sanità risulta che da inizio epidemia al 17 novembre, su 3,2 milioni bambini dai 6 agli 11 anni (fascia di età disponibile dai report Iss) se ne sono contagiati 241.739, sono stati ricoverati 1.407, e sono finiti in Terapia intensiva in 36. Nove i deceduti. Fare due conti può aiutare a pesare meglio i dati: vuol dire che tra chi è risultato positivo al Covid tra i 6 e gli 11 anni, 6 su mille sono andati in ospedale, 1 su 10 mila in Terapia intensiva e 4 su 100 mila sono morti. Come effetto collaterale della malattia può comparire, poi, a settimane di distanza la sindrome infiammatoria multi-sistemica, caratterizzata da febbre alta, sintomi gastrointestinali (dolore addominale, nausea e vomito), insufficienza cardiaca e alterazioni neurologiche: 239 i casi di giovanissimi colpiti secondo il Gruppo di studio di reumatologia della Società italiana di pediatria. Rispetto alla fascia di età dei loro genitori se non vaccinati, i bambini tra i 6 e gli 11 anni rischiano di essere ricoverati 10 volte in meno, 70 volte in meno di finire in Terapia intensiva e 50 volte in meno di morire. Su 2,9 milioni di 40-59 enni oggi non ancora vaccinati, solo negli ultimi 30 giorni si sono contati 19.051 contagi, 1.055 ricoveri, 126 in Terapia intensiva, 46 decessi. 

Bambini e adolescenti: qual è il rischio di ricovero

Per avere un quadro ancora più preciso i numeri vanno messi in relazione alla platea da cui provengono, ossia bisogna vedere cosa succede su ogni 100 mila bambini e ragazzi di una determinata fascia d’età. Dai 20 anni in giù: su 100 mila fra i 19-16 anni, 89 finiscono ricoverati e 3 in Terapia intensiva. Fra i 15 e i 12, i ricoverati sono 57, e 2 in Terapia intensiva. I bambini fra gli 11 e i 6 anni: 44 vengono ricoverati e 1 finisce in Terapia intensiva.

Le reazioni avverse negli adolescenti

Adesso vediamo cosa succede su 100 mila ragazzi vaccinati con Pfizer/BioNTech. Il vaccino è stato sperimentato su 1.100 12-15 enni e su 300 16-17 enni. Nel dossier Pfizer non compaiono il rischio di miocardite (un’infiammazione del cuore) e di pericardite (un’infiammazione della membrana che avvolge il cuore). Gli effetti collaterali si sono visti dopo la somministrazione su larga scala, partita a maggio negli Usa e a giugno in Europa: su 100 mila vaccinati da 1 a 4 miocarditi e pericarditi, colpiti nel 70% dei casi i maschi. Per Moderna fino a 10-13 su 100 mila (fonte Ema). Nessun decesso noto. 

Il vaccino pediatrico

E siamo al vaccino per la fascia tra i 5 e gli 11 anni. È stato sperimentato con dose pediatrica, cioè un terzo rispetto agli over 12, su 3.116 bambini, e con il placebo su 1.500. L’efficacia riscontrata contro il contagio è del 90,7%. Contro il rischio di ricovero e di finire in Terapia intensiva la protezione è verosimilmente più alta (come dimostra il vaccino sugli adulti). L’Fda ha dato il via libera il 29 ottobre, scrivendo: «Il numero di partecipanti all’attuale programma di sviluppo clinico è troppo piccolo per essere rilevato qualsiasi potenziale rischio di miocardite associato alla vaccinazione. Il vaccino Covid-19 nei partecipanti di età compresa tra 5 e <12 anni sarà studiato in 5 studi sulla sicurezza post-autorizzazione, incluso uno studio di follow-up di 5 anni per valutare a lungo termine le sequele di miocardite/pericardite post-vaccinazione». Sempre l’Fda specifica poi: «I database di sorveglianza sulla sicurezza dei farmaci israeliani suggeriscono che i tassi di incidenza di rari casi post-vaccinazione di miocardite raggiungono il picco negli individui di età compresa tra 16 e 19 anni, maschi, e diminuiscono negli adolescenti, dai 12 ai 15 anni. Inoltre, la dose per i bambini di età compresi tra 5 e <12 anni è 1/3 della dose somministrata ai vaccinati più adulti (10 mg contro 30 mg). Sulla base di queste informazioni, è ragionevole prevedere che i tassi di miocardite post-vaccino saranno probabilmente ancora più bassi tra 5 e <12 anni di età, rispetto a quelli osservati negli adolescenti di età compresa tra 12 e 15 anni». 

Negli Usa vaccinati 2,4 milioni di bimbi

Negli Usa hanno iniziato l’8 novembre e finora hanno vaccinato 2,4 milioni di bimbi tra i 5 e gli 11 anni. Al momento le uniche informazioni disponibili sono quelle del Vaers, il dataset americano sugli eventi avversi: a ieri risultavano 607 miocarditi/pericarditi tra i 5 e i 17 anni, che vorrebbe dire all’incirca un caso ogni 10 mila vaccinati. Ma si tratta di dati ancora tutti da verificare e validare, poiché il sistema statunitense si basa sulle segnalazioni spontanee, anche dei singoli individui, e pubblicate in tempo reale. In Israele l’autorità sanitaria HMOs l’ha autorizzato il 15 novembre, e le prime somministrazioni sono partite il 23 novembre. In Europa bisogna attendere l’arrivo delle dosi con formulazione pediatrica e poi distribuirle. Verosimilmente la campagna vaccinale sui 5-11 enni sarà avviata attorno alla metà di dicembre, e i vari Paesi inizieranno prima dai bambini a rischio, per poi scendere fino alla prima elementare. 

Come pende la bilancia nelle altre vaccinazioni

Come sempre vanno messi sul piatto della bilancia i problemi che i bambini rischiano di avere contraendo la malattia con le reazioni avverse che può dare il vaccino. È il rapporto rischi-benefici che nelle altre vaccinazioni, sperimentate sempre all’incirca su tremila bambini e poi somministrate a centinaia di migliaia, è da tempo ben definito. Chi s’ammala rischia di morire nell’1% dei casi con la pertosse, nel 5% con l’haemophilus influenzae di tipo B, nel 2-10% con la poliomielite (che orami è quasi totalmente eradicata), nel 5-10% con la difterite, nel 10-20% con il tetano, fino al 25% con l’epatite B. La difterite contratta in maniera naturale può dare complicanze neurologiche nel 20% dei casi e cardiache nel 10-25% dei casi, la poliomielite un rischio paralisi dell’1%, mentre l’epatite se contratta nel primo anno di vita può cronicizzarsi nel 90% dei casi. Per quel che riguarda le reazioni avverse alla vaccinazione esavalente sono: convulsioni in 1 caso su 200 mila, shock anafilattico in 1-6 su 1 milione e infiammazione dei nervi della colonna cervicale 5-10 casi su un milione. Il morbillo e la rosolia possono causare una grave diminuzione dei trombociti in uno su 3 mila, le stesse conseguenze si riscontrano come reazione avversa del vaccino in un bambino su 30 mila. 

Conclusioni

Dai dati disponibili finora per il vaccino contro il Covid tra i 5 e gli 11 anni è comprovato il rapporto rischi-benefici a livello di comunità. L’immunizzazione dei più piccoli permetterà di raggiungere un importante obiettivo di Sanità pubblica: dare una botta alla circolazione del virus visto che oggi tra tutti i bambini in età scolare che si contagiano, la metà appartiene proprio a questa fascia di età. L’Istituto superiore di Sanità e la Fondazione Bruno Kessler sottolineano: «Un ritorno completo alla vita pre-pandemia potrebbe essere raggiunto in sicurezza solo se più del 90% della popolazione, compresi i bambini dai 5 anni in su, sarà vaccinato utilizzando vaccini mRNA sviluppati nel 2020». In attesa di risultati sulle reazioni avverse su larga scala, ogni genitore dovrà consultarsi con il proprio pediatra. Ma serviranno anche altre risposte, prima tra tutte se ci dovranno essere eventuali modifiche al calendario vaccinale tradizionale: rispetto ai richiami per le vaccinazioni obbligatorie previste in questa fascia d’età come si inserisce quella contro il Covid? Intanto il beneficio certo è che vaccinando i più piccoli si andranno a proteggere anche tutti gli adulti che il vaccino non lo hanno fatto.

Il dossier Ema sui bimbi. "In dieci Paesi europei quasi 10mila ricoverati". Enza Cusmai il 24 Novembre 2021 su Il Giornale. L'Authority: 820mila casi pediatrici e 18 morti Ieri tavolo tecnico, domani l'ok al siero 5-11enni. Dopo Israele, che ieri ha allargato la platea dei vaccinabili arruolando i più piccoli, anche l'Europa potrà proteggere i suoi bambini dal Covid con Pfizer a due dosi ridotte. Domani Ema darà il via libera ufficiale alla somministrazione per la fascia dai 5 agli 11 anni. Poi ci sarà l'assenso dell'Aifa, ed è pensabile che da dicembre i genitori prenotati per la terza dose accompagneranno negli hub vaccinali anche i figli per la loro prima iniezione contro il virus. L'accordo per un'autorizzazione condizionata (come per tutti i vaccini finora in commercio) al vaccino per i bambini è arrivato a conclusione di una riunione scientifica dell'Ecdc dell'agenzia del farmaco europeo, che ha visto l'adesione anche dei paesi più refrattari a ogni tipo di immunizzazione. Come la Norvegia, che ha già detto che userà la doppia dose di Pfizer solo per i bimbi più fragili. Ogni Stato membro, del resto, è libero di fissare paletti per la distribuzione delle dosi ma l'ok dell'Agenzia del farmaco europea garantisce la sicurezza e l'efficacia del vaccino. Ovviamente, anche su questo fronte, ci saranno opinioni opposte. Per esempio, il leader di Fratelli d'Italia Giorgia Meloni, come mamma, ha già annunciato che non vaccinerà sua figlia perché i rischi «pesano» sul piatto della bilancia più dei benefici. Ma è davvero così? È utile scorrere alcuni dati raccolti dal Cds americano (centro di prevenzione e controllo americano) e dall'omonimo Ecdc dell'Ema. Negli Usa, dove hanno già vaccinato già oltre trecentomila bambini, si sono contati 94 decessi nella fascia 5-11 anni al due novembre scorso. Oltre alle giovani vite spezzate a causa delle complicanze del virus, sono finiti in ospedale 8.300 minori e i casi positivi tra i bambini hanno sfiorato i due milioni (oltre un milione e 900 mila). In Europa i decessi trai più piccoli sono stati 18 ma tra il 27 luglio e il 3 ottobre, cioè quando la pandemia non aveva preso il sopravvento soprattutto tra i paesi dell'est Europa. All'Ema sono stati segnalati casi solo da dieci dei 27 paesi della Ue: Italia, Austria, Cipro, Finlandia, Germania, Irlanda, Slovacchia, Svezia, Lussemburgo e Malta. E nonostante la parzialità del report, in questi territori si sono contati 820mila contagi sintomatici pediatrici e 9624 ricoveri ospedalieri con conseguenti problematiche legate al long covid. Passiamo dai rischi ai benefici. Oltre alla scolarità e alla socialità garantita anche ai più piccoli, i benefici passano, dicono all'Ema, da «un'ottima» sicurezza del vaccino, alla «eccellente» efficacia di copertura immunizzante (supera il 90%). I piccoli, infatti, si ammalano, per fortuna meno che gli adulti, ma finiscono in ospedale e a volte perdono la vita. Inoltre, secondo Ema incidono per il 10-15% sulla diffusione del contagio. Quanto agli eventi avversi, lo studio clinico su cui si basa l'approvazione non ha rilevato casi di miocarditi. Il campione è ristretto a 3mila casi clinici, però in Ema sono ottimisti: questi stati infiammatori del muscolo cardiaco seguono lo stesso profilo di quanto succede quotidianamente anche in tempi non sospetti pre-pandemici: si manifestano mediamente tra i 16-25 anni in giovani adulti maschi e la patologia scema sotto i quindici anni. Enza Cusmai 

In Onda, Ilaria Capua: "Quello che non potevamo dirvi prima sul vaccino". Pandemia, una pesante rivelazione. Libero Quotidiano il 14 novembre 2021. Siamo a In Onda, la puntata è quella su La7 di sabato 13 novembre. Ospite in collegamento con il programma condotto da David Parenzo e Concita De Gregorio ecco Ilaria Capua. Si parla di Covid, di vaccino, di terza dose. E Parenzo si rivolge all'esperta: "Non ci avevate detto che ci sarebbe stata una quarta ondata, ci avete detto che sarebbero bastate due dosi di vaccino. E in questo interstizio si infila la propaganda no-vax. Qual è il quadro che possiamo dare per il futuro?". "La scienza si muove per tentativi, tante cose le sappiamo ma tante non le sappiamo - premette con onestà Ilaria Capua -. Questo vuol dire che  bisogna anche saper comunicare che certe cose non le sappiamo. Ma comunque dobbiamo anche poter comunicare che nelle pieghe delle cose che un po' si sanno e un po' non si sanno si va avanti. Ma certe cose dette prima (il riferimento è ad alcune tesi no-vax che erano state fatte ascoltare, ndr) si sa che non sono vere: certe cose non sono accettabili. C'è un margine di incertezza nella scienza, come in tutto, ma non può essere preso come lazo per tirare dentro tutto", insiste la Capua. E ancora: "Volevo aggiungere che non è vero che era stato detto che non ci sarebbe stata una nuova ondata. Il virus, una volta sorpassato un certo tasso di infezione, si è endemizzato, e l'endemizzazione porta proprio a questo: delle ondate che si rincorrono, rincorrono l'inverno, gli emisferi più freddi. La terza dose? Non ve lo potevamo dire prima, come facevamo a dirvelo prima? Sappiamo che i vaccini si usano in una, due, tre dosi oppure anche in una dose l'anno. Noi, comunità scientifica, abbiamo sviluppato una serie di prodotti di cui non potevamo conoscere la durata. Abbiamo visto che l'immunità inizia a decadere dopo un numero di mesi, dunque bisogna ritirala un po' su perché siamo all'inizio dell'inverno. Questo virus purtroppo non andrà via: dobbiamo imparare a conviverci, entrare in una nuova mappa mentale in cui conosciamo molto meglio di prima l'avversario e abbiamo strumenti di prevenzione e cura", conclude Ilaria Capua. Insomma, la guerra contro il Covid sarà ancora lunga, molto lunga.

Cristina Marrone per il “Corriere della Sera” il 14 novembre 2021. Da quando la variante Delta è diventata predominante, a sei mesi dalla fine del ciclo vaccinale anti Covid la protezione dei vaccini dall'infezione cala in modo drastico, in particolare per quanto riguarda il monodose Johnson&Johnson. Lo afferma una ricerca condotta dal Public Health Institute di Oakland, dal Veterans Affairs Medical Center di San Francisco e dall'University of Texas Health Science Center da poco pubblicata su Science. Il team di ricercatori ha analizzato l'efficacia dei tre vaccini approvati negli Stati Uniti (Pfizer-BioNTech, Moderna e Johnson&Johnson, assente AstraZeneca che negli Stati Uniti non è stato approvato) nel proteggere dal contagio, dalla malattia e dalla morte i veterani dell'esercito americano (che rappresentano il 2,7% della popolazione degli Stati Uniti). L'indagine è stata condotta tra il 1° febbraio e il 1° ottobre 2021 su 780.225 veterani (di cui 498.148 completamente vaccinati). Lo «scudo»: marzo 2021 e settembre 2021 I ricercatori hanno scoperto che all'inizio di marzo, mentre la variante Delta stava prendendo piede negli Stati Uniti, i tre vaccini erano più o meno uguali nella loro capacità di prevenire le infezioni. In particolar è emerso che nel marzo 202 1 la protezione dall'infezione era: 86,4% per i vaccinati con J&J; 86,9% per i vaccinati con Pfizer-BioNtech; 89,2% per i vaccinati con Moderna. Ma la situazione è completamente cambiata nel giro di sei mesi, cioé quando la variante è diventata ceppo dominante. Nel settembre 2021 infatti l'efficacia per quanto riguarda l'infezione era scesa al: 13,1% per i vaccinati con J&J; 43,3% per i vaccinati con Pfizer-BioNTech; 58% per i vaccinati con Moderna. Sorprende il calo così accentuato del vaccino monodose Johnson&Johnson nella protezione dall'infezione. Il Germania, uno degli Stati più colpiti in Europa dalla nuova ondata di Covid, il Robert Koch Institute ha segnalato che circa il 26% dei pazienti è completamente vaccinato, con un numero che sale al 34% per i ricoverati over 60. L'Istituto ha anche reso noto che le infezioni tra i vaccinati sono percentualmente più comuni tra chi è vaccinato con il preparato monodose Janssen. In Italia (dove questo vaccino è stato somministrato a 1,6 milioni di persone) le nuove linee guida indicano che chi si è vaccinato con J&J può fare il richiamo da subito (a prescindere dall'età) a patto che siano passati sei mesi dalla somministrazione del monodose e riceverà un richiamo con Pfizer o Moderna. Negli Stati Uniti la Food and Drug Administration ha autorizzato il richiamo per J&J, raccomandandolo a tutte le persone dai 18 anni in su che hanno ricevuto la prima dose almeno due mesi prima. L'efficacia contro la morte da Covid Nello stesso studio di Science i ricercatori hanno anche esaminato la protezione dei vaccini dalla morte da Covid e a differenza dal rischio di infezione, l'efficacia nei confronti dei decessi causati da Covid-19 è rimasta alta nel tempo e, come già dimostrato in molti altri studi, i vaccinati hanno un rischio molto più basso di morte dopo aver contratto il virus rispetto ai non vaccinati, anche a distanza di mesi dalla vaccinazione, sebbene siano emerse differenze per età e tipo di vaccino. A distanza di otto mesi dal ciclo vaccinale completo, il tasso di protezione medio era dell'81,7% negli under 65 e del 71,6% negli over 65. Al di sotto dei 65 anni, l'efficacia per vaccino contro la morte da Covid era del 73% per J&J, dell'81,5% per Moderna e dell'84,3% per Pfizer-BioNtech. Negli over 65 la protezione era invece del 52,2% per J&J, del 75,5% per Moderna e del 70,1% per Pfizer-BioNTech. «Nonostante l'aumento del rischio di infezione dovuto alla variante Delta, l'efficacia contro i decessi è rimasta alta e, rispetto ai non vaccinati, i veterani completamente vaccinati avevano un rischio molto più basso di morte dopo l'infezione» hanno scritto i ricercatori che incoraggiano la terza dose per tutta la popolazione per bloccare la circolazione del virus, oltre l'uso di mascherine, lavaggio mani e distanziamento per ridurre i tassi di infezione.

Vaccino, crollo della protezione: ecco qual è il siero peggiore, una differenza abissale. Libero Quotidiano il 13 novembre 2021. Qual è l'efficacia dei vaccini Pfizer, Moderna e Johnson&Johnson a sei mesi dall'iniezione? Ha provato a rispondere a questa domanda uno studio americano, di recente pubblicato sulla rivista Science. La ricerca ha sottolineato che la protezione di questi farmaci dall'infezione è calata in modo drastico, soprattutto da quando la variante Delta è diventata predominante. Il vaccino che ha "perso" di più è il J&J. Lo studio americano, in particolare, si è concentrato sull'efficacia dei vaccini nel proteggere dal contagio, dalla malattia e dalla morte i veterani dell’esercito americano. L’indagine è stata condotta tra il primo febbraio e il primo ottobre 2021 su 780.225 veterani. Dunque i ricercatori, come riporta il Corriere della Sera, hanno scoperto che all’inizio di marzo, mentre la variante Delta stava iniziando a diffondersi negli Stati Uniti, i tre vaccini erano più o meno uguali nella loro capacità di prevenire le infezioni. La protezione dall’infezione era dell'86,4% per i vaccinati con J&J, dell'86,9% per i vaccinati con Pfizer-BioNtech e dell'89,2% per i vaccinati con Moderna. A sei mesi di distanza, però, la situazione è cambiata. A settembre 2021, infatti, l’efficacia nel proteggere dall’infezione è scesa al 13,1% per i vaccinati con J&J, al 43,3% per i vaccinati con Pfizer-BioNTech e al 58% per i vaccinati con Moderna. Il calo più pesante, come dimostrano i numeri, è quello registrato da Johnson&Johnson. Un discorso a parte merita invece la protezione dalla morte. Anche questo aspetto, infatti, è stato esaminato nello studio. A differenza del rischio di infezione, però, l’efficacia nei confronti dei decessi causati da Covid-19 è rimasta alta nel tempo. "Rispetto ai non vaccinati, i veterani completamente vaccinati avevano un rischio molto più basso di morte dopo l’infezione", hanno scritto i ricercatori, che incoraggiano la terza dose per tutta la popolazione così da bloccare la circolazione del virus.

Grazia Longo per “la Stampa” il 14 novembre 2021. Rispetto a un anno fa, in cui imperavano coprifuoco e divieti, il vaccino anti Covid ha sicuramente cambiato le nostre vite, restituendoci un po' di normalità. Ma purtroppo non è ancora finita, le insidie della quarta ondata sono dietro l'angolo. Secondo l'Istituto superiore di sanità, dopo i 6 mesi dal completamento del ciclo vaccinale «si osserva una forte diminuzione dell'efficacia vaccinale nel prevenire le diagnosi in corrispondenza di tutte le fasce di età. In generale, su tutta la popolazione, l'efficacia vaccinale passa dal 76% nei vaccinati con ciclo completo entro i sei mesi rispetto ai non vaccinati, al 50% nei vaccinati con ciclo completo oltre i sei mesi rispetto ai non vaccinati». Per quanto riguarda i ricoveri, poi, «quelli tra i non vaccinati sono 7 volte più alti rispetto ai vaccinati da meno di sei mesi e 6 volte più alti rispetto ai vaccinati da oltre sei mesi. Tra gli over 80, infine, i decessi tra i non vaccinati sono 10 volte più alti contro i vaccinati entro sei mesi e 6 volte più alti contro i vaccinati da più di 6 mesi». Anche per questo il governo è al lavoro per affrontare la quarta ondata ribadendo che è necessario non abbassare la guardia, mentre si discute su proroga stato emergenza e nodi legati alla durata e all'obbligo del Green Pass. A breve dovrebbe arrivare l'obbligo di terza dose per sanitari e personale Rsa. Le stime degli esperti dicono che in Italia per Natale i casi potrebbero essere fra 25 e 30 mila. Ieri i nuovi contagi di coronavirus sono stati 8.544 (contro gli 8.516 di venerdì), i decessi sono stati 53 (venerdì erano stati 68) per un totale di 132.739 vittime da febbraio 2020. In lieve discesa il tasso di positività da 1,7% a 1,6%. Il microbiologo Guido Rasi, consulente del Commissario all'emergenza Figliuolo, lancia l'allarme per il contagio dei bambini e la diffusione del virus a scuola: «Il problema vero è che per le scuole non è stato fatto niente di strutturale: non è tanto una questione di classi affollate, quanto di gestione dei flussi in entrata e in uscita». Ma il presidente dell'Associazione nazionale presidi Antonello Giannelli replica che «più di così non si poteva fare. Sul tema dei trasporti non è stato fatto praticamente niente: è sotto gli occhi di tutti che i mezzi pubblici sono strapieni, che non c'è controllo su quanti salgono e sull'uso delle mascherine. Inoltre tutti gli studi dimostrano che le scuole non sono veicoli di contagio».

"Una roccia che rappresenta la Puglia che amiamo di più". Chi è Antonella Spica, la dottoressa record che in 10 mesi ha somministrato 23mila vaccini. Roberta Davi su Il Riformista il 10 Novembre 2021. Ventitremila vaccini anti-covid somministrati in 10 mesi “senza fermarsi mai”. Numeri da record per Antonella Spica, medico del dipartimento di Prevenzione dell’Asl Bari, che la Regione Puglia ha ringraziato pubblicamente sui social: “Un esempio della dedizione con cui la Puglia intera sta affrontando ogni fase della pandemia da Covid-19, senza lasciare indietro nessuno/a.” Ma lei non vuole prendersi il merito di tutto, ha dichiarato a Repubblica: “Questo è un lavoro di squadra, sia ben chiaro” ha sottolineato. “E non smetterò di ringraziare il direttore del dipartimento Domenico Lagravinese per la fiducia che ha avuto in me.”

Un impegno costante

La dottoressa Spica, 58 anni, non si è mai tirata indietro. In questi 21 mesi ha eseguito tamponi a tappeto nelle Residenze Sanitarie Assistenziali (RSA), e ha vaccinato migliaia di persone nelle stesse strutture residenziali, semi-residenziali, il CARA di Bari, nei centri di assistenza e cura per le persone con disabilità.  Ha somministrato il vaccino anche gli over 80, agli afghani arrivati in Italia e ai più fragili a domicilio. In una giornata, con l’unità Mobile, ha raggiunto la cifra di 550 vaccinazioni. “Una roccia che rappresenta la Puglia che amiamo di più. Quella che di fronte all’emergenza risponde ogni giorno ‘Presente’. Immensa gratitudine. Grazie dottoressa” si legge ancora sul post pubblicato sulla pagina Facebook della Regione. Antonella Spica, in passato direttrice di una Rsa nel barese, è sempre stata in prima linea da quando il Covid è arrivato nella sua Regione. Ora il suo impegno ora continua con la terza dose: “Non c’è un motivo per non vaccinarsi, è l’unico mezzo che abbiamo per poterci difendere da questo virus che sappiamo tutti a cosa può portare” ha dichiarato. Un successo per l’area metropolitana confermato anche dal direttore generale dell’Azienda sanitaria, Antonio Sanguedolce: “È un risultato straordinario difficile da raggiungere in città così grandi come Bari. I cittadini hanno dato ulteriore prova di estrema fiducia nella vaccinazione che resta l’unica arma efficace capace di proteggere dal Covid.” Secondo gli ultimi dati, aggiornati al 4 novembre, la campagna di vaccinazione della Asl di Bari ha finora raggiunto quasi due milioni di somministrazioni, di cui 31.078 terze dosi. La copertura vaccinale dei residenti over 12 è del 91% per la prima dose e all’88% per il ciclo completo. Roberta Davi

Covid, chi sono i super-resistenti al virus che non si ammalano. Chiara Nava su Notizie.it il 3 novembre 2021. Ci sono delle persone considerate super-resistenti al Covid, che di conseguenza non si ammalano mai. Chi sono queste persone? Esistono persone che non hanno bisogno del vaccino per proteggersi dal Covid, perché sono resistenti al Coronavirus e non si ammalano. È stato avviato uno studio per scoprire chi sono le persone che non rischiano neanche di avere un lievissimo sintomo. Questa ricerca, coordinata dall’Università di Melbourne e dalla Fondazione per la ricerca biomedica dell’Accademia di Atene, è stata pubblicata sulla rivista scientifica Nature Immunology. “La variabilità clinica in risposta all’infezione, virale o meno, può essere spiegata, almeno in alcuni individui, da fattori genetici umani” hanno spiegato i ricercatori. Ci sono state tante famiglie che si sono infettate ma una sola persona non si è contagiata. Questo vuol dire che “alcuni individui altamente esposti possano essere resistenti all’infezione con questo virus”. Gli scienziati hanno esaminato alcuni casi di suscettibilità geneticamente determinata a esiti gravi di due malattie infettive, ovvero la tubercolosi e il Covid, coprendo in modo più approfondito tre casi noti di resistenza congenita alle infezioni. Hanno considerato i geni “candidati” direttamente rilevanti per la resistenza all’infezione di Coronavirus e hanno proposto “una strategia per il reclutamento e l’analisi genetica di individui che sono naturalmente resistenti all’infezione del virus”. Sono necessari altri studi per capire meglio i meccanismi che causano la resistenza congenita all’infezione, che potrebbero fornire “un quadro per l’uso di queste conoscenze a fini terapeutici”. “In tutte malattie infettive c’è sempre una quota di persone che sono naturalmente resistenti all’infezione” ha dichiarato Fausto Baldanti, che da mesi analizza le varianti del Covid nel laboratorio di virologia molecolare del Policlinico San Matteo di Pavia. Esistono delle persone naturalmente resistenti al Covid, come esistono per altre malattie infettive. “Anche quelle più terribili non uccidono il 100% delle persone coinvolte: il vaiolo, ad esempio, ha una mortalità dell’80%, l’ebola del 90%” ha dichiarato Baldanti a Repubblica. Uno dei meccanismi potrebbe essere l’immunità preesistente, dovuta ad infezioni simili. Alcune persone resistono al Covid perché avevano contratto una precedente infezione dovuta ad altri Coronavirus. “L’aver contratto qualcosa di simile al Covid conferisce una protezione perché ha generato una risposta crociata” ha spiegato l’esperto. Fausto Baldanti è un esempio di questa resistenza. “Da un campione di sangue che avevo prelevato tre anni fa e poi conservato, ho scoperto di aver prodotto una risposta immunitaria contro il Covid” ha dichiarato. Ha spiegato che aveva contratto un beta coronavirus umano che si chiama HKU1. Si stima che il 25-30% delle persone che non si infettano hanno una risposta T-cellulare residuale provocata da un’infezione con un virus “parente” del Covid. Questo può proteggerli da una nuova infezione o determinare un’infezione asintomatica. Un altro meccanismo di protezione naturale potrebbe essere dovuto a qualche tratto genetico che è favorevole nei confronti della nuova infezione. “Ad esempio individui che hanno una densità di recettori Ace2 e Trmpss (proteine) più bassa risulterebbero meno infettabili” ha spiegato Baldanti. Se un soggetto con una variazione genica ha contratto una precedente infezione è “praticamente intangibile”. Scoprirlo, però, è molto difficile. Baldanti se ne è accordo dopo tre anni, senza mai un tampone positivo. Secondo le stime, le persone con varianti genetiche che resistono al Covid sono meno del 10%.

Eugenia Tognotti per "la Stampa" il 2 Novembre 2021. Un solo clic. Zero dolore. Il vaccino cerotto che non ha bisogno di aghi e siringhe non è dietro l'angolo, intendiamoci. Ed è stato testato solo sui topi, al momento. Ma c'è, comunque, il tanto per entusiasmarsi di fronte alla promessa, anticipata già dal titolo dell'articolo pubblicato l'altro ieri da «Science Advances»: «Protezione completa con un vaccino spike SARS-CoV-2 somministrato con cerotto cutaneo monodose». In campo il candidato al vaccino Hexapro dell'Università del Texas, ancora in fase di sperimentazione in studi clinici nella formulazione iniettabile. È curioso, ma non è un caso, occorre dire, che la notizia dei brillanti risultati della ricerca sia stata annunciata da molti giornali con titoli che enfatizzano la possibilità di una vaccinazione Covid-19 senza ago. Una sottolineatura che evoca l'antico fantasma che attraversa due secoli di storia della vaccinazione, a cominciare dall'antivaiolosa effettuata con un ago particolare, a due punte, che inoculava sotto la pelle diverse dosi di virus, causando una piccola escoriazione. Quanto può aver influito, quell'antica paura, tramandata di generazione in generazione, a far crescere la riluttanza a sottoporsi al vaccino anti-Covid, se è vero che, secondo i dati dell'Oms, il 10 per cento della popolazione globale soffre di belonefobia o paura dell'ago, un disturbo psichiatrico ufficialmente riconosciuto che, come tale, compare nel Manuale Diagnostico e Statistico dei disturbi mentali? Quanti, tra quei milioni di non vaccinati in Italia, stanno ritardando o rifiutando il vaccino bloccati dall'ansia e dal timore d'introdurre un ago nel proprio corpo? Non sarebbe opportuno che la campagna d'immunizzazione prevedesse centri d'ascolto con esperti in grado di affrontare un disturbo che forse contribuisce a rallentarla? Aprirà un futuro di vaccini senza aghi la corsa alla ricerca sui cerotti vaccinali? Tra i vari gruppi di ricerca, quello australiano che ha testato il cerotto cutaneo con HexaPro, più stabile al calore e più economico da realizzare rispetto ai vaccini esistenti. Non esagera parlando di «fantastiche risposte» il responsabile del team, David Muller, ricercatore senior di Chimica e Bioscienze molecolari, Università del Queensland (QU). Il vaccino cerotto cutaneo viene somministrato con il clic di un minuscolo dispositivo rotondo sulla parte superiore del braccio. È più piccolo di un'unghia, in plastica solida, e misura solo 7 millimetri per 7. Su di esso, migliaia di microproiezioni rivestite di vaccino che vengono applicate sulla pelle per alcuni secondi per fornirlo alle cellule immunitarie sotto la superficie. Al contrario di un pur minuscolo ago, sono così piccoli che non prelevano sangue né attivano le terminazioni nervose e il dolore. I cerotti a microaghi sono già ampiamente utilizzati in medicina. I vaccini cerotti anti-Covid allo studio potrebbero contribuire a rimuovere gli ostacoli disseminati sulla strada dell'interminabile guerra alla pandemia globale, aprendo uno scenario tra i più promettenti che si possano immaginare: la necessità di trasportare e conservare i vaccini a basse temperature, dove l'accesso all'elettricità è difficile; la carenza di siringhe e di celle frigorifere; la scarsità di personale sanitario, da cui dipende, tra l'altro, la difficoltà di raggiungere l'obiettivo di vaccinare completamente, entro fine anno, almeno il 40 per cento della popolazione di tutte le 54 nazioni africane. I vaccini patch potrebbero perfino essere inviati per posta o addirittura consegnati da droni in luoghi impervi e difficili da raggiungere, in modo che chiunque possa auto-amministrarli. I ricercatori della QU e i capi della società di biotecnologie Vaxxas - che sta pianificando di condurre dalla metà del prossimo anno i test sull'uomo - affermano che i cerotti vaccinali, utilizzati per inoculare i topi con il vaccino Hexapro, hanno prodotto forti risposte immunitarie che si sono dimostrate efficaci negli animali esposti. Non solo. Quando il vaccino viene somministrato tramite l'applicatore HD-MAP (il cerotto per microarray ad alta intensità) piuttosto che con un ago, produce risposte immunitarie migliori e più veloci. Inoltre, mette fuori gioco più varianti, comprese quelle del Regno Unito e del Sudafrica. È molto più facile da usare di un ago: è sufficiente un semplice clic su un applicatore sulla pelle. Altri gruppi stanno lavorando su cerotti vaccinali stabili che non richiedono un applicatore e si attaccano alla pelle come un cerotto, per poi scomparire. Rispetto al solido cerotto del gruppo di scienziati dell'Università del Queensland sarebbero praticamente indolori. Le guerre - tra lutti e rovine - producono poderosi progressi nella lotta alle malattie. Nel secondo conflitto mondiale, la minaccia della malaria, in tante aree del mondo, spinse un gigantesco progetto finanziato dagli Stati Uniti, che condusse a mettere in campo la clorochina - il prezioso farmaco per la prevenzione e il trattamento della malaria, oltre ad una miriade di altre intuizioni chemioterapiche. In quest' altra guerra contro il coronavirus, la ricerca scientifica sta dando una nuova direzione al futuro in cui l'mRna trasformerà il modo in cui trattiamo le malattie, dall'influenza al cancro.

I primi test fanno sperare. Cerotto anti Covid, come funziona la soluzione low-cost e monodose al posto del vaccino. Redazione su Il Riformista il 30 Ottobre 2021. Come un normalissimo cerotto si applica sulla cute e con ‘un’unica dose’ potrebbe avere un ruolo chiave nella lotta al Covid, in particolare nei Paesi con risorse limitate perché costa poco e si conserva a lungo a temperatura ambiente. Testato su modelli animali, il vaccino (a somministrazione cutanea senza aghi) riesce a neutralizzare il virus e induce una forte risposta anticorpale. Resi noti sulla rivista Science Advances, sono i risultati di uno studio condotto tra America e Australia rispettivamente all’Università del Texas e presso la Queensland University. Oltre al vantaggio di somministrarlo con un semplice cerotto dermico senza iniezione, il vaccino è low cost e facile da produrre su vasta scala, inoltre si conserva bene a temperatura ambiente (25 gradi) anche per oltre 30 giorni e può resistere per una settimana anche a temperature elevate (40 gradi). Il vaccino – che viene ‘caricato’ su un cerotto dermico con 5000 microaghetti impercettibili per somministrarlo attraverso la cute – è un prodotto, già in fase di sperimentazione clinica, chiamato Hexapro. Il funzionamento di Hexapro si basa su una versione modificata della proteina virale Spike, che la rende più stabile più a lungo. Negli studi su animali condotti finora è emerso che il cerotto-vaccino è efficace nel difenderli dall’infezione e induce una forte risposta immunitaria, maggiore di quella del vaccino somministrato per iniezione.

Data la semplicità dell’applicazione e la facile conservazione, se ai test clinici si dimostrasse efficace, il vaccino-cerotto potrebbe divenire utilissimo nei paesi che hanno minore accesso ai vaccini.

Il pasticcio del vaccino Johnson & Johnson. Dati allarmanti ma Palazzo Chigi tace. Dario Martini su Il Tempo il 31 ottobre 2021. In Italia ci sono un milione e mezzo di vaccinati con Johnson&Johnson che, in base alle ultime evidenze scientifiche, dovrebbero fare la seconda dose al più presto. Invece, sono stati completamente dimenticati dalle autorità sanitarie e dal ministero della Salute. La Fda americana, l’equivalente della nostra agenzia del farmaco, il 20 ottobre scorso ha dato il via libera al "richiamo" al vaccino monodose, spiegando che la seconda somministrazione va fatta due mesi dopo la prima. Quasi tutti gli italiani immunizzati con questo siero hanno superato abbondantemente questo lasso di tempo. Una vera e propria beffa. Sorprende il fatto che gli scienziati americani se ne siano accorti solo adesso. Il loro parere, però, è inequivocabile: «Il vaccino J&J ha prestazioni in termini di efficacia inferiori a Pfizer e Moderna». Inizialmente sembrava che le nostre autorità sanitarie avessero recepito il problema. Una settimana fa, Walter Ricciardi, consulente per il Covid del ministro Speranza, è andato in televisione per spiegare che «l’efficacia del vaccino J&J cala dopo due mesi». Facendo riferimento proprio agli studi americani, ha aggiunto: «La protezione dopo 60 giorni cala sensibilmente, a maggior ragione con la variante Delta». Per il consulente del ministro bisogna dare la priorità agli over 60. Eppure, negli Stati Uniti, si ritiene che la nuova dose debba essere destinata a tutti i maggiorenni. Subito doopo Ricciardi è intervenuto Franco Locatelli, coordinatore del Cts e presidente del Consiglio superiore di sanità: «È di queste ore la notizia che è in corso un processo di revisione da parte di Fda, e successivamente anche da parte di Ema, per la somministrazione di una seconda dose con un vaccino mRna, che avrebbe il vantaggio di generare una risposta immunologica anche migliore. Anche somministrandolo oltre due mesi non inficia l’efficacia. Appena arriveranno le indicazioni delle agenzie regolatorie, si farà tutto velocemente». Tre giorni dopo è stata la vota del sottosegretario alla Salute Pierpaolo Sileri: «Ci sarà una priorità per coloro che hanno fatto il vaccino J&J che dovranno fare la seconda dose. Le indicazioni saranno date a breve in maniera chiara ed esaustiva». È comprensibile che di fronte a tutte queste dichiarazioni gli italiani che hanno ricevuto il monodose J&J, ormai molti mesi fa, abbiano iniziato a preoccuparsi. Alcuni hanno cercato anche di prenotare il richiamo. Ma hanno sbattuto contro un muro di gomma. Intanto il tempo passa e dal ministero della Salute tutto tace. Pare che la prossima settimana, il 2 e il 3 dicembre, la Commissione consultiva tecnico-scientifica dell’Aifa esaminerà la questione. Solo allora, forse, la situazione si sbloccherà. Come detto da Locatelli, la seconda dose per il milione e mezzo di vaccinati con Johnson&Johnson sarà fatta con un siero diverso, Pfizer e Moderna. Ipotesi contemplata anche dalle autorità sanitarie americane. Queste ultime, però, non vietano che possa ripetersi una somministrazione con J&J. L’azienda produttrice di questo vaccino rassicura che non ci sono particolari controindicazioni rispetto a quelle già conosciute. Anzi, la dose "booster" fa schizzare in alto gli anticorpi: «Se somministrata 56 giorni dopo la prima, ha fornito il 100% di protezione contro le forme gravi/critiche di Covid». Se invece viene iniettata «dopo 6 mesi fornisce un aumento degli anticorpi di 12 volte». 

Vaccinati ma contagiati, è boom di medici e infermieri infettati dal Covid. Dar. Mar. su Il Tempo il 30 ottobre 2021. Sono sicuramente vaccinati, eppure i contagi salgono anche tra gli operatori sanitari. I medici e gli infermieri infettati dal Covid nell'ultima settimana sono 522, in aumento rispetto alla settimana precedente, quando erano stati 386 (136 in più). A rilevarlo è l'Istituto superiore di sanità nel suo ultimo report appena pubblicato. L'Iss però fa notare che l'aumento dei contagi in corsia è comunque in linea con quello nel resto della popolazione, e resta stabile attorno al 3,6%. Anche medici e infermieri, per i quali vige l'obbligo vaccinale contro il Covid, pena la sospensione dal servizio, non sono quindi indenni all'aumento dei contagi che sta riguardando tutta Italia. Sempre l'Iss, infatti, scrive: "Sono in aumento l’incidenza in tutte le fasce di età, sebbene si osservino valori più elevati dell’incidenza nella popolazione 0-19 anni. In leggero aumento l’età mediana dei soggetti che hanno contratto l’infezione da virus SARS-CoV-2 negli ultimi 14 giorni (42 anni, rispetto a 41 anni delle due settimane precedenti)". Inoltre, "l’incidenza settimanale a livello nazionale è di 41 casi per 100.000 abitanti, rispetto a 29 casi per 100.000 abitanti della settimana precedente". 

Più contagiati in corsia. "Aumento sotto gli occhi di tutti", così il Covid colpisce medici e infermieri già vaccinati. Dario Martini su Il Tempo il 31 ottobre 2021. Aumentano i casi di Covid in corsia. I medici e gli infermieri contagiati negli ultimi sette giorni sono 522. La settimana precedente erano 386. Un campanello d’allarme da non sottovalutare, soprattutto se pensiamo che il personale sanitario è tutto vaccinato. Chi non si è immunizzato, infatti, è stato sospeso dal lavoro. L’Istituto superiore di sanità, però, tende a non ingigantire il problema, facendo notare che l’aumento è in linea con quello della popolazione generale, e «la percentuale degli operatori sanitari rimane stabile al 3,6%». I sindacati degli infermieri non sono dello stesso avviso. Il Nursing up ricorda che «qualche settimana fa eravamo stati i primi a lanciare l’allarme sul rischio concreto di una nuova recrudescenza di contagi degli operatori sanitari, analizzando quello che era stato a settembre il primo nuovo picco delle infezioni estrapolato dai dati dell’Iss. E ci meravigliammo non poco di come gli stessi vertici dell’Istituto, interpellati da alcuni giornali al riguardo, avevano sminuito la gravità della situazione». Oggi, il sindacato fa notare che «a distanza di poche settimane, dopo una calma che evidentemente era solo apparente, l’aumento costante delle infezioni dei professionisti della sanità, lento ma pericolosamente costante, è di nuovo sotto gli occhi di tutti».

Ecco alcuni numeri forniti dal Nursing up: «Negli ultimi trenta giorni siamo passati dai 1.377 operatori sanitari contagiati di lunedì 25 ottobre (25 settembre-25 ottobre), ai 1.720 di venerdì 29 ottobre (29 settembre-29 ottobre). Oggi se ne contano 1.734 (30 ottobre), ovvero 14 contagiati in più in 24 ore». Poi l’attacco: «Crediamo ancora una volta che l’opinione pubblica non abbia l’anello al naso». Va ricordato che i medici e gli infermieri possono fare la terza dose di vaccino. Attualmente è del 13% la percentuale degli operatori in servizio negli ospedali e nelle strutture sanitarie ad aver ricevuto il nuovo richiamo contro il Covid. Su un milione di dosi booster somministrate in tutta Italia, secondo l’analisi condotta da Fiaso (Federazione Italiana Aziende Sanitarie e Ospedaliere) sugli open data messi a disposizione dalla struttura del Commissario straordinario per l’emergenza, circa 170mila sono andate a soggetti tra 20 e 60 anni che rappresentano per lo più la platea di personale sanitario, in tutto 1 milione 400mila unità, a cui è destinato il richiamo vaccinale. «Le Aziende sanitarie e ospedaliere sono impegnate al massimo per proteggere i professionisti e l’intero sistema. Da circa due settimane è partita la campagna di immunizzazione con la terza dose per gli operatori sanitari che sono stati i primi, ormai dieci mesi fa, a ricevere la vaccinazione e per i quali è previsto il richiamo che consente di rafforzare ulteriormente la risposta immunitaria», commenta Giovanni Migliore, presidente Fiaso, che aggiunge: «In alcune strutture si sta procedendo con la co-somministrazione del vaccino antinfluenzale e di quello contro il Covid, una soluzione organizzativa che consente di ottimizzare le risorse e di garantire in una sola seduta vaccinale una doppia protezione. Circa il 13% del personale sanitario ha già ricevuto la dose booster e si tratta per lo più di operatori ancora impegnati in prima linea nei reparti Covid dai pronto soccorso alle rianimazioni».

Il nuovo Cts lavora nell'ombra. Nessun verbale online, alla faccia della trasparenza. Il Tempo l'11 maggio 2021. Comitato nuovo, abitudini vecchie. Come quella alla scarsa trasparenza. Già perché il Comitato tecnico-scientifico (Cts) che supporta il governo di Mario Draghi nella gestione dell'emergenza Covid fornendo le indicazioni scientifiche che, almeno in teoria, dovrebbero stare alla base delle misure contro la diffusione del Covid, è stato rinnovato il 16 marzo scorso con una nuova squadra guidata da Franco Locatelli, presidente del Consiglio superiore di Sanità del ministero della Salute, che ha preso il posto dell'ex coordinatore Agostino Miozzo. Ma la pubblicazione dei verbali delle riunioni in cui si discute del futuro degli italiani sul sito della Protezione civile è ferma al 12 marzo, ultimi lampi del primo Cts. Dopo le pressioni sulla divulgazione dei resoconti ci eravamo abituati a un ritardo di trenta-quaranta giorni tra lo svolgimento delle riunioni degli esperti e la pubblicazione dei resoconti. Ma qui si attende ancora il verbale della prima riunione e siamo ben oltre i tempi visti finora. Non è escluso che ci siano difficoltà tecniche e di "avvio" delle operazioni di segreteria, ma certo che la pubblicazione dei verbali ferma a marzo rappresenta un passo indietro notevole nella trasparenza dell'azione del Cts. Il nuovo Cts varato dopo la nascita del governo Draghi è formato da 12 componenti: il coordinatore è Locatelli, come portavoce è stato scelto invece Silvio Brusaferro, presidente dell'Istituto superiore di Sanità. Partecipano al Cts, Sergio Fiorentino (segretario), Giuseppe Ippolito, Cinzia Caporale, Giorgio Palù, Giovanni Rezza, Fabio Ciciliano, Sergio Abrignani, Alessia Melegaro, Alberto Giovanni Gerli, Donato Greco.  

Covid e pandemia dei non vaccinati, le bugie sono dannose e ingrossano il popolo no vax. Franco Bechis su Il Tempo il 06 novembre 2021. Il coordinatore del Cts, professore Franco Locatelli, ieri in conferenza stampa ha voluto platealmente sposare la tesi del ministro della Salute tedesco, Jens Spahn, secondo cui oggi saremmo in presenza di una “pandemia dei non vaccinati”. L'affermazione non è lontana dalla verità anche in Italia, perché è vero che la maggioranza dei ricoverati in terapia intensiva e dei decessi nell'ultimo mese secondo il bollettino Iss è effettivamente di non vaccinati. In terapia intensiva per Covid sono finiti in tutto 474 italiani dai 12 anni in su, e di questi 332 erano non vaccinati (70%), 128 avevano ricevuto due dosi di vaccino e 14 una sola dose. Sui decessi il confronto è ancora più risicato: fra il 3 settembre e il 3 ottobre sono stati in tutto 1.012 e di questi 511 erano di non vaccinati (50,49%), 461 di vaccinati con ciclo completo e 40 di vaccinati con una sola dose. Nella categoria degli ultraottantenni per altro il 57,5% dei decessi (337 ) è stato fra vaccinati a ciclo completo, il 3,8% (22) è stato fra vaccinati con una sola dose e solo il 38,7% (227) risultava del tutto non vaccinato. Sempre fra gli ultraottantenni nei 30 giorni indicati dal rapporto Iss non sono stati tantissimi per fortuna i ricoveri in terapia intensiva: in tutto 66. Ma il 68,2% di ultraottantenni finiti in terapia intensiva aveva doppia dose di vaccino da tempo, e solo il 30,3% non risultava vaccinata. Che la pandemia sia solo di non vaccinati è una verità dunque molto parziale visti questi numeri, e con i dati italiani la tesi di Spahn andrebbe presa molto a spanne. Dal professore Locatelli ci saremmo attesi spiegazioni su questi numeri che un po' inquietano, essendo lui lo scienziato, perché noi non sappiamo il motivo per cui i numeri delle ospedalizzazioni, dei ricoveri in terapia intensiva e purtroppo anche dei decessi fra completamente vaccinati sia diventato con il passare del tempo sempre meno irrilevante. Per gli ultraottantenni la spiegazione potrebbe essere quella che abbiamo già avanzato da queste colonne: puramente matematica. I vaccini hanno una protezione dal virus del 90%, quindi per il 10% dei vaccinati è come se quelle fiale non funzionassero del tutto o comunque parzialmente. Sopra quell'età hanno chiuso il ciclo vaccinale 4,3 milioni di italiani. Il 10% di loro significa quindi 430 mila italiani su cui il vaccino non ha avuto l'effetto protettivo che c'è stato fra tutti gli altri. Sono vaccinati, ma è come se non lo fossero. I veri non vaccinati ultraottantenni sono invece 240 mila, quasi la metà dei vaccinati con ciclo completo su cui le fiale però non hanno funzionato a dovere. E' ovvio che contagi, ospedalizzazioni, terapie intensive e purtroppo anche decessi capitino di più nel gruppo dei vaccinati che in quello dei non vaccinati. Ma per tutti gli altri sono gli scienziati a dovere dare spiegazioni: la protezione del vaccino sta scemando con il passare del tempo ed è per questo che è necessaria la seconda dose? La protezione dichiarata si è rivelata inferiore alle previsioni? O ci sono anche qui spiegazioni matematiche anche se meno evidenti? La scelta del nostro Cts ieri rappresentato dal professore Locatelli- che per altro è fra i pochi a essere definito scienziato, avendo uno dei più alti h-index in Italia, è stata quella di negare la realtà, per non doverla spiegare. Il coordinatore del comitato tecnico scientifico che assiste il governo ha affermato sicuro che dai rapporti Iss risultano “zero ricoveri in terapia intensiva di vaccinati completi dai 59 anni di età in giù”. Bisognerebbe apporre il timbro “Fake News” su queste parole, perché non sono vere. I rapporti Iss settimanali degli ultimi 140 giorni dicono che al di sotto dei 59 anni di età ci sono stati 44 ricoveri di vaccinati a ciclo completo in terapia intensiva Covid al di sotto dei 59 anni e che di questi 4 sono stati di pazienti fra 12 e 39 anni. Pochi, molti meno di quelli dei non vaccinati. Ma non zero. E dobbiamo dire che nello stesso periodo sono morti di Covid 3 vaccinati con prima e seconda dose che avevano meno di 39 anni e 29 vaccinati completi che avevano fra 40 e 59 anni. Numeri piccoli, per fortuna, lontanissimi da quelli cui siamo stati abituati nei periodi peggiori della pandemia. Sono numeri che per altro confermano che con il vaccino la protezione dal virus è notevolmente più alta e il rischio di ammalarsi gravemente notevolmente ridotto rispetto ai non vaccinati. Perché allora negarli e dire zero quando zero non è? Si pensa di tranquillizzare di più la popolazione così e di spingerla meglio a fare la terza dose del vaccino? Ecco, non sarà il mestiere del professore Locatelli fare il comunicatore, ma posso assicurare che ogni piccola bugia su queste cose si trasforma in un macigno che poi non levi dalla strada manco con le gru. Dire zero quando invece qualche decina di casi c'è stata è come buttare benzina sul fuoco delle paure o delle contrarietà ideologiche verso quei vaccini. Grazie alla conferenza stampa di ieri da domani quel fuoco scoppierà con fiamme più alte di prima.

Fiorenza Sarzanini, Simona Ravizza per il "Corriere della Sera" il 5 dicembre 2021. Chi non è vaccinato «rischia di contagiarsi 6 volte in più dei vaccinati se ha meno di 39 anni e all'incirca 4 volte in più dai 40 in anni in su». È questa analisi dell'Istituto superiore di sanità effettuata calcolando l'incidenza dei nuovi positivi da Covid-19 su 100 mila abitanti ad aver convinto il governo sulla necessità di dare una nuova spinta alla campagna gestita dal generale Francesco Paolo Figliuolo. Muovendosi su un doppio binario: cercare di persuadere i milioni di italiani ancora restii a immunizzarsi e accelerare sulla terza dose. I dati aggiornati al 24 ottobre non tengono conto dell'impennata registrata negli ultimi giorni, ma consentono di individuare in quali settori e fasce d'età si deve intervenire con maggiore urgenza. Tenendo conto che i dati di altri Paesi più avanti nelle somministrazioni, primo fra tutti Israele, dimostrano come dopo alcuni mesi l'effetto dei vaccini comincia a scemare e dunque è necessario programmare la terza dose, come già in Italia si sta facendo con chi ha più di 60 anni. In Germania - dove soltanto il 66,8 % degli abitanti ha ricevuto una doppia dose - il ministro della Salute Jens Spahn ha chiesto misure restrittive per fare fronte «alla pandemia dei non vaccinati che è enorme». In Italia la situazione è ancora sotto controllo, il numero dei posti occupati nelle aree mediche e nelle terapie intensive rimane sotto il livello di criticità. Ma la curva epidemiologica ha ricominciato a salire e il governo cerca di fermare la corsa del virus prima che arrivi il freddo e soprattutto il periodo delle festività di dicembre quando le occasioni di socialità e, dunque, di contagio risultano maggiori. Lo fa esaminando i dati aggiornati ogni settimana. Il bollettino di oggi sarà determinante per comprendere quanto veloce sia la risalita della curva, certamente i vertici dell'Istituto ribadiranno la necessità di «mantenere elevata l'attenzione e applicare e rispettare misure e comportamenti raccomandati per limitare l'ulteriore aumento della circolazione virale». L'analisi sulla protezione del vaccino viene effettuata sulla base dell'incidenza per 100 mila abitanti: quante persone immunizzate si contagiano, vengono ricoverate o finiscono in terapia intensiva. Lo stesso calcolo viene realizzato poi per i non vaccinati. E dimostra come «tra i 12 e i 59 anni in rianimazione non è finito alcun vaccinato e rimangono molto basse le percentuali di ospedalizzati». Nella fascia d'età tra i 60 e i 79 anni «emerge che il vaccino continua a proteggere quasi totalmente dal ricovero in rianimazione». E in area medica, come era già emerso in precedenti report , di solito viene ricoverato chi soffre già anche di altre malattie. Secondo l'ultimo bollettino dell'Istituto superiore di Sanità questa è la situazione del periodo che va dal 24 settembre al 24 ottobre scorso: «Nella fascia d'età tra 12 e 39 anni ci sono stati in un mese 404 nuovi contagiati tra i non vaccinati contro 70 tra i vaccinati; le persone ricoverate in area medica sono state 13 contro lo 0,7; in terapia intensiva lo 0,75 contro zero. Nella fascia d'età tra i 40 e i 59 anni, tra i nuovi contagiati 354 erano no vax mentre 89 erano immunizzati; in area medica il rapporto è stato di 28 contro 1,3: in terapia intensiva 3 contro zero. Nella fascia d'età tra i 60 e i 79 anni: i nuovi contagiati non immunizzati sono stati 300 e quelli vaccinati 77; sono stati ricoverati 65 no vax contro 5 in area medica; 12 contro 0,5 in terapia intensiva. Tra gli over 80 i contagiati non vaccinati sono stati 388, quelli immunizzati 95; in ospedale sono finite 160 persone contro 21; in terapia intensiva 8 contro 1». L'incidenza dei decessi su 100 mila abitanti dimostra che «tra i 60 e i 79 anni ci sono state 16 vittime tra i non vaccinati contro 1 di chi ha fatto due dosi, mentre per gli over 80 i morti tra chi non era immunizzato sono stati 93, soltanto 8 tra chi aveva completato il ciclo». Tradotti in rischio, questi numeri vogliono dire che i non vaccinati rischiano di contagiarsi da 4 a 6 volte in più, di essere ricoverati 20 volte in più fino a 59 anni, poi circa 12 volte dai 60 anni in su, e 8 volte se over 80. Per quanto riguarda le terapie intensive «i non immunizzati rischiano 30 volte in più fino a 59 anni, 21 volte in più tra i 60 e i 79 anni, 8 volte in più per gli over 80». Questi dati sono sovrapponibili a quelli già registrati nelle scorse settimane, a riprova che per il momento l'efficacia dei vaccini anche a distanza di tempo resta in ogni caso altissima. Nell'ultimo mese sono finiti in ospedale 2.836 non vaccinati contro 1.814 vaccinati con due dosi. A livello generale, dunque, il rapporto è ancora tutto a vantaggio di chi è immunizzato: su 5 ospedalizzati, tre sono senza vaccino contro i due che invece l'hanno fatto. Per le terapie intensive ci sono stati 331 non vaccinati e 128 vaccinati. Qui la distanza è ancora maggiore: in rianimazione più di due pazienti su tre non hanno fatto la vaccinazione contro il Covid. L'osservazione costante dei numeri relativi alla pandemia ha già evidenziato come a lungo andare i numeri assoluti hanno un effetto ingannevole: più la popolazione è protetta maggiore diventa infatti il numero di chi può finire in ospedale anche con le due dosi. È quello che viene definito paradosso vaccinale. Ciò succede già oggi per i contagi: tra gli over 80 e i 60-79 enni, la percentuale di vaccinati è decisamente alta, rispettivamente a quota 92,7% e 87,4%: in entrambi i casi in numeri assoluti le infezioni sono più alte tra chi ha fatto le due dosi rispetto a chi è senza (4.033 contro 941 e 9.175 contro 4.207). E ormai tra i 40-59 enni, immunizzati al 76,5%, la diffusione del contagio sempre in dati assoluti è simile: 12.623 vaccinati contro 12.266 no. Bisogna dunque effettuare le percentuali sulle platee di riferimento: i cittadini vaccinati con ciclo completo sono 41 milioni e 915.257, i no vax 9 milioni 231.487. Ebbene nell'ultimo mese la percentuale dei nuovi contagiati tra chi non si è immunizzato è pari allo 0,37%, tra chi è immunizzato è pari allo 0,08%.

Massimo Gramellini per il "Corriere della Sera" il 19 ottobre 2021. «Hai visto che Colin Powell è morto di Covid nonostante avesse fatto due dosi di vaccino? Ecco la prova che vaccinarsi non serve a niente». In realtà è la prova che neanche il vaccino rende immortali. Colin Powell aveva 84 anni (7 in più della aspettativa media di vita di un maschio statunitense) e soffriva di una grave patologia pregressa, il mieloma. Eppure, in America e non solo, furoreggia il dibattito sulla morte di «Covid Powell». Ci si aggrappa a un'eccezione (fra l'altro capziosa, lo abbiamo appena visto) per delegittimare una regola suffragata da dati inequivocabili, come conferma l'inchiesta di Milena Gabanelli e Simona Ravizza sul Corriere : ormai, tra morti e ricoverati, si trovano quasi soltanto persone che non hanno fatto il vaccino, e aggrapparsi a quel «quasi» per delegittimarne l'efficacia è un'operazione disonesta intellettualmente. Il guaio è che nell'era delle fake news (a cui pure Powell diede il suo contributo con la pantomima sulla bomba di Saddam) non è solo la scienza a essere messa in dubbio, ma la stessa oggettività dei dati, il loro valore di prova inconfutabile. Anzi, più un dato proviene da fonte autorevole, più è sospettabile di essere stato manipolato. Negare la realtà non è più considerato sintomo di malafede o di follia, ma di libertà. Se non mi sta bene che oggi sia martedì, troverò sicuramente un sito che mi conforterà nell'idea che oggi è domenica e che il calendario che mi obbliga ad alzarmi dal letto conferma l'esistenza di un complotto contro di me.

Covid: vaccinati, ma ricoverati. Chi sono e perché. Milena Gabanelli e Simona Ravizza su Il Corriere della Sera il 18 ottobre 2021. C’è una domanda che si pongono in tanti, vaccinati e non: chi sono quelli che nonostante abbiano ricevuto la doppia dose finiscono in ospedale? Tra i 9,5 milioni di italiani che oggi non hanno ancora aderito alla campagna vaccinale questo interrogativo ha sicuramente un peso, e non ritengono convincente quello che tutte le autorità sanitarie del mondo stanno ripetendo da mesi sulla enorme riduzione del rischio di infezione da virus SARS-Cov-2. Dal bollettino dell’Istituto superiore di Sanità del primo ottobre: «Nelle persone completamente vaccinate la copertura dal contagio è del 77% rispetto a quelle non vaccinate, del 93% per l’ospedalizzazione, 95% per i ricoveri in terapia intensiva e per i decessi». L’obiezione comune – sentita in banca, dal parrucchiere, in posta, fuori da scuola, fra i manifestanti – è che ci si può ammalare lo stesso, e allora perché farsi iniettare delle sostanze che chissà quali effetti potranno avere subito o in futuro? La scienza insegna che tutti i vaccini, per i loro meccanismi di azione, possono dare effetti collaterali solo a breve termine (99% dei casi). Ma nessuno, è vero, è sicuro ed efficace al 100%. Dunque, per capire perché conviene vaccinarsi è utile esaminare, in modo più concreto di quanto fatto finora, i dati ottenuti in esclusiva su chi si ammala anche da vaccinato. 

Dove pende la bilancia

Prendiamo sempre l’ultimo bollettino dell’Istituto superiore di Sanità pubblicato il primo ottobre e che fotografa gli ultimi 30 giorni, ovvero il mese di settembre. Su 120.244 contagiati totali, 70.900 non sono vaccinati e 40.060 completamente vaccinati. I ricoverati per Covid non vaccinati sono 6.160, e 2.408 con due dosi. In terapia intensiva ci sono 717 non vaccinati e 174 vaccinati. Dunque, i numeri parlano da soli, ma non abbastanza perché va considerata la platea da cui provengono: i 2.408 arrivano dall’ampio bacino dei 37,4 milioni di vaccinati con ciclo completo (a settembre), i 717 dagli 11,7 milioni che non hanno ricevuto nemmeno una dose. Ma man mano che la platea di riferimento cambia, è evidente che questi dati si modificheranno. Oggi di fatto due su tre che si contagiano e vengono ricoverati sono non vaccinati (e 3 su 4 di quelli in terapia intensiva), ma più crescono coloro che fanno il vaccino, più sono destinati ad alzarsi tutti i valori che li riguardano, fino ad arrivare a un possibile ribaltamento della situazione. Già adesso in ospedale, a livello nazionale, abbiamo 1.175 over 80 ricoverati per Covid vaccinati contro i 673 non vaccinati. Il motivo è che gli ottantenni immunizzati sono 4,2 milioni (92%), mentre solo 274.400 (6%) non lo sono. Allora come si fa ad avere una statistica oggettiva? 

L’incidenza su 100 mila abitanti: cosa ci dice

Non bisogna considerare i numeri assoluti, ma quel che succede su 100 mila abitanti e per fascia di età. I dati che riportiamo sono prodotti dall’Iss. Partiamo proprio dagli over 80: su 100 mila non vaccinati si contagiano in 602, vanno in ospedale 245, in rianimazione 13. Su 100.000 vaccinati si contagiano 116, finiscono in ospedale 28, in rianimazione 1. Tra i 12-39 anni non vaccinati: contagiati 692, finiti in ospedale 25, 1 in terapia intensiva. Fra i vaccinati con ciclo completo i contagiati sono 110, 1 ospedalizzato, 0,05 in terapia intensiva. Tra i 40-59 anni non vaccinati si contagiano 540 contro 113 vaccinati, in ospedale 54 contro 2, in rianimazione 6 contro 0,13. Sessanta-79enni si contagiano in 449 contro 94, vanno in ospedale 107 contro 7, in terapia intensiva 20 contro 1. 

In sintesi: fino a 59 anni il rischio di essere ricoverato è venti volte più alto per un non vaccinato, quindici volte in più per un 60-79 enne, e di nove volte in più per un over 80. Sempre l’elaborazione dati dell’Istituto superiore di Sanità mostra che l’età mediana di chi è vaccinato con due dosi finisce in ospedale prevalentemente in età più avanzata, 79 anni, che scende a 52 anni per i non vaccinati. In terapia intensiva per i non vaccinati è 61 anni, contro i 74 dei vaccinati. L’età mediana si differenzia dalla media perché rappresenta il valore intermedio fra gli estremi. 

Chi sono i vaccinati che finiscono all’ospedale?

Resta la domanda: chi è vaccinato perché finisce in ospedale? L’Istituto superiore di Sanità non ha statistiche affinate sulle malattie pregresse dei ricoverati per Covid perché dipendono dalle Regioni. Il Veneto ha analizzato le cartelle cliniche dei suoi 2.348 pazienti ospedalizzati per Covid tra il 1 maggio e il 31 agosto 2021, e con questi dati è possibile andare più a fondo proprio sul loro precedente stato di salute. Guardiamo, per esempio, la fascia 60-79 anni. Con zero patologie fra i non vaccinati vediamo 163 ospedalizzati e 82 in terapia intensiva; fra i vaccinati sono 12 e 2 in terapia intensiva. Con 1 patologia i non vaccinati sono 201, 141 in rianimazione; fra i vaccinati 22 e 3 in terapia intensiva. Con 2-3 patologie 189, 120 in terapia intensiva, fra i vaccinati sono 31, e 11 in terapia intensiva. Sappiamo, però, che i dati assoluti possono trarre in inganno. A maggio, per esempio, i non vaccinati sessantenni erano più dei vaccinati della stessa fascia di età: è comprensibile, dunque, che i ricoverati tra i non vaccinati siano di più indipendentemente dall’efficacia del vaccino. Per questo è indispensabile avere una platea di riferimento dove inquadrarli, e nei quattro mesi presi in considerazione questa platea cambia enormemente di settimana in settimana. Allo stesso tempo sappiamo che quando la stragrande maggioranza sarà vaccinata, in ospedale ci andranno perlopiù i vaccinati, lo stiamo già vedendo a livello nazionale per gli ultraottantenni. Però fatto 100 i ricoverati vaccinati, e 100 quelli non vaccinati, i dati del Veneto danno indicazioni importanti e chiare. 

Fra i 40 e i 79 anni ha già di suo una patologia rilevante il 30-32% dei vaccinati finiti in ospedale per avere contratto il virus, e il 46% di patologie ne ha due o tre. Parliamo di diabete, malattie cardiovascolari, renali, respiratorie, oncologiche. Al contrario i non vaccinati hanno più rischi di finire in ospedale anche da sani: per esempio tra i 40-59 anni il 61% non ha nessuna patologia pregressa. Cresce anche la durata media del ricovero: 25 giorni per i 60-79enni non vaccinati, contro i 15 per i vaccinati. 

Patologie: il livello di protezione

Un’altra analisi preliminare dell’Ats di Milano mette a confronto 2.220.667 vaccinati che hanno avuto 3.136 ricoveri (0,1%), contro 472.215 non vaccinati che hanno avuto 5.818 ricoveri (1,2%). I due gruppi sono stati osservati dal primo gennaio al 30 settembre del 2021. I dati di ricovero dei vaccinati mostrano chiaramente come il rischio di ospedalizzazione aumenta proporzionalmente in relazione a determinate patologie, da quella più bassa come l’ipertensione, poi via via salendo c’è il diabete, cardiopatie, broncopneumopatie, trapiantati e immunocompromessi. Il vaccino, in ogni caso riduce il rischio di finire in ospedale sia per i sani (93%), sia per chi soffre di patologie croniche. Ma per le categorie dei trapiantati e degli immunocompromessi può esserci una percentuale di protezione lievemente inferiore (87%). 

Infine, per quel che riguarda i decessi delle persone vaccinate, su un campione di 171 cartelle cliniche su 1.440 esaminate dall’Iss (al 5 ottobre), emerge che l’età media dei vaccinati con ciclo completo morti di Covid è di 86 anni e con 5 patologie pregresse, contro gli 80 anni e tre patologie dei non vaccinati, o che hanno ricevuto una sola dose. Questi i fatti.

Da Ansa.it il 5 ottobre 2021. La casa farmaceutica AstraZeneca ha chiesto alla Food and drug administration Usa di approvare con autorizzazione di emergenza quello che potrebbe rivelarsi il primo trattamento a base di anticorpi per prevenire il Covid sintomatico in persone immuno-compromesse, o che non possono fare il vaccino per motivi di salute. La terapia - in sigla AZD7442 - sarebbe appunto la prima combinazione anticorpale ad azione prolungata, diretta a fasce specifiche di popolazione, offrendo un'alternativa all'immunizzazione per chi non risponde adeguatamente ai vaccini.

Covid, dagli anticorpi dei lama uno spray per bloccare il virus. Daniele Mastrogiacomo su La Repubblica l’1 ottobre 2021. Annunciato da Scientific Reports, un nuovo report conferma la scoperta: una serie di nanoanticorpi sembrano impedire l'ingresso del virus nelle cellule e funzionare anche con le mutazioni. I lama contro il Covid. Sì, proprio loro: i quadrupedi camelidi che affollano le Ande e le montagne del Tibet sembrano avere tutte le caratteristiche per difenderci dal male di questo inizio secolo. C'erano già stati segnali in questo senso, oltre alle indicazioni che arrivano dai curandeos e i vecchi saggi dei paesini arroccati sulle più alte vette del mondo. Si diceva che i loro anticorpi erano in grado di contrastare Sars-CoV-2 e impedire che infettasse le nostre cellule. Adesso ci sono nuove conferme. Scientifiche. Uno dei tanti gruppi di ricercatori che da anni studia le particolarità genetiche di questo animale e le sue possibili applicazioni in campo immunitario ha messo a punto un rapporto che presenta risultati incoraggianti. Già pubblicato su Scientific Reports sette mesi fa, il nuovo report conferma le scoperte e ne aggiunge altre a conferma di una speranza che presto potrebbe diventare realtà medica. Il gruppo è guidato dai ricercatori dei NIH, i National Institutes of Health, agenzia del Dipartimento della Salute degli Stati Uniti. I ricercatori hanno isolato una serie di nanoanticorpi presenti nel sangue dei lama che si dimostrano particolarmente attivi contro la Sars-2. Sono generati naturalmente da una specie di lama noti come Cormac e presenti sulle sommità della catena andina. Uno di questi anticorpi, chiamato NIH-Co Vnb-112, potrebbe prevenire le infezioni e bloccare le particelle di virus a partire da quello che genera il Covid. I piccoli anticorpi sembrano agire anche sotto forma liquida o via aerea facendo ipotizzare il loro uso anche per inalazione. Insomma, adattato come anti virus potrebbe essere messo dentro uno spray nasale che ci spruzziamo come facciamo quando abbiamo fastidiosi raffreddori. Il Cornac usato negli esperimenti è un maschio di 16 anni allevato nelle fattorie del Triple J Farms, nei Laboratori Kent, a Bellinghgam, negli Usa: un centro di indagine, sviluppo e produzione di composti per la medicina e la veterinaria. Nei 32 ettari che circondano il complesso vivono vari gruppi di lama, pecore, capre e asini. "Eravamo concentrati sull'uso dei nanocorpi per migliorare le immagini cerebrali", racconta a La Avanguardia il professor Evan Brody che fa parte dell'equipe. "Quando è sopraggiunta la pandemia abbiamo pensato che era l'occasione della vita e ci siamo messi all'opera. Adesso speriamo che questi nonoanticorpi siano versatili e si possano applicare anche al Coronavirus. Tutto lascia pensare sia così". Il nanoanticorpo è un tipo speciale di protettore creato naturalmente dal sistema immunologico dei camelidi, gruppo di animali che comprende cammelli, lama e alpaca. Queste proteine pesano circa una decima parte di quelli che si trovano all'interno del nostro organismo. Giocano un ruolo fondamentale nella difesa del sistema immunologico perché riconoscono le proteine nei virus, nei batteri e in tutti gli altri invasori infetti noti comunemente come antigeni. Sono meno stabili e meno costosi da produrre oltre ad essere più semplici da disegnare rispetto agli altri anticorpi.

"Agiscono come una chiave", spiega il professor Diego Esparza, l'autore principale dello studio, in una nota diffusa dallo stesso NIH. "Le nostre indagini hanno dimostrato che il nanoanticorpo si unisce al recettore Ace2 da 2 a 10 volte più forte che quelli costruiti in laboratorio". Perché è naturale. E solo dalla natura, per di più animale, può arrivare l'antidoto al virus trasmesso all'uomo da un altro animale.

Vaccino ai bambini, Pfizer: “Sicuro ed efficace nella fascia 5-11 anni”. La casa farmaceutica pubblica i risultati dei trial clinici: i dati saranno sottoposti "il prima possibile" agli enti regolatori di Ue e Usa. su Il Dubbio il 20 settembre 2021. Il vaccino anti-Covid di Pfizer è sicuro per i bambini tra i 5 e gli 11 anni. Lo ha riferito la casa farmaceutica citando i risultati dei trial clinici. I dati devono ancora essere sottoposti alla valutazione della Fda e il processo potrebbe completarsi entro la fine di settembre. «Nei partecipanti di età5-11 anni, il vaccino si è mostrato sicuro, ben tollerato e con una forte risposta degli anticorpi», ha fatto sapere Pfizer-BioNTech, precisando che in quella fascia di età è stato somministrato a un dosaggio inferiore (due dosi da 10microgrammi a distanza di 21 giorni, rispetto a 30 microgrammi). L’intenzione è di presentare i dati alle autorità regolatorie di Ue, Usa e nel resto del mondo «il prima possibile». Quelli di Pfizer sono i primi risultati disponibili: i test clinici di Moderna sui bambini 6-11 anni sono ancora in corso.  Pfizer e BioNTech intendono presentare «il prima possibile» i dati sul loro vaccino anti-Covid nella fascia 5-11 anni alla statunitense Food and Drug Administration (Fda) e all’Agenzia europea del farmaco Ema, ma anche ad altri enti regolatori. Da un lato, spiegano, è «prevista una richiesta all’Ema per aggiornare l’autorizzazione condizionata all’immissione in commercio dell’Ue». Dall’altro, per gli Stati Uniti, le aziende prevedono di includere i dati in una presentazione a breve termine per l’autorizzazione all’uso di emergenza (Eua), mentre continuano ad accumulare dati di sicurezza ed efficacia necessari per presentare la richiesta di approvazione completa in questa fascia di età. «Negli ultimi 9 mesi, centinaia di milioni di persone di età pari o superiore a 12 anni provenienti da tutto il mondo hanno ricevuto il nostro vaccino anti-Covid. Siamo ansiosi di estendere la protezione offerta dal vaccino a questa popolazione più giovane, soggetta all’autorizzazione regolatoria, mentre seguiamo la diffusione della variante Delta e la sostanziale minaccia che rappresenta per i bambini», afferma Albert Bourla, presidente e Ceo di Pfizer. «Da luglio i casi pediatrici di Covid sono aumentati di circa il 240%negli Stati Uniti, evidenziando la necessità di vaccinazione» da un punto di vista di salute pubblica, aggiunge. «Questi risultati della sperimentazione – conclude – forniscono una solida base per richiedere l’autorizzazione del nostro vaccino per i bambini dai 5 agli 11 anni e prevediamo di presentarli con urgenza alla Fda e ad altri regolatori». «Ci aspettiamo una autorizzazione per uso emergenziale entro fine ottobre 2021», commenta il virologo Guido Silvestri, docente alla Emory University di Atlanta.  «Lo studio ha coinvolto oltre2.200 bambini negli Usa, tra cui, e lo dico con grande orgoglio, anche mio figlio Nicholas di quasi 11 anni», racconta il virologo. «Ricordiamo – evidenzia lo scienziato – che il dosaggio del vaccino è di due dosi da 10 microgrammi (un terzo della dose per adulti), fatte a 3 settimane di distanza tra loro. I principali risultati dello studio indicano una efficacia nel generare anticorpi neutralizzanti il virus pari a quella dimostrata dallo stesso vaccino nella fascia di età superiore e la sostanziale assenza di effetti collaterali non rari», perché «quelli rari non potrebbero emergere in questo tipo ditrial clinico». Secondo Silvestri, «questo studio è una tappa essenziale nella grande marcia verso la vaccinazione universale contro Covid-19, che riteniamo necessaria sia per ridurre sempre più i danni causati da questo virus molto trasmissibile e clinicamente insidioso, e sia per eliminare una volta per tutte ogni tentazione di affrontare questa malattia con interventi “non-farmacologici” (le cosiddette chiusure) di efficacia modesta ed effetti collaterali enormi».

Da Corriere.it l'11 settembre 2021. È «forte» la riduzione del rischio di infezione da virus SARS-Cov-2 nelle persone completamente vaccinate rispetto a quelle non vaccinate: 77% per la diagnosi, 93% per l’ospedalizzazione, 96% per i ricoveri in terapia intensiva e per i decessi. È questo il dato aggiornato all’8 settembre sulla protezione e l’efficacia vaccinale pubblicato nel report esteso dell’Istituto Superiore di Sanità diffuso oggi. Il tasso di ospedalizzazione negli ultimi 30 giorni per i non vaccinati è di circa nove volte più alto rispetto ai vaccinati con ciclo completo (219,1 rispetto a 24,5 ricoveri per 100.000 abitanti). Fra gli over 80 negli ultimi 30 giorni il tasso di ricoveri in terapia intensiva dei vaccinati con ciclo completo è ben tredici volte più basso dei non vaccinati (1,1 contro 14,8 per 100.000 abitanti) mentre il tasso di decesso è quindici volte più alto nei non vaccinati rispetto ai vaccinati con ciclo completo (76,2 contro il 5,0 per 100.000 abitanti). Sono i dati del Report Esteso Covid dell’Iss.

Articolo di “The Economist” - dalla rassegna stampa estera di “Epr Comunicazione” il 10 settembre 2021. Se hai intenzione di prendere il covid-19, scherza Jacob Hopkins, uno studente universitario, il posto più sicuro per farlo è un ospedale. Così a marzo Hopkins si è sdraiato su un letto del Royal Free Hospital di Londra mentre i medici gli mettevano nel naso gocce di liquido che portavano il virus sars-cov-2. Hopkins era uno dei 36 partecipanti al primo "human challenge trial" (hct) per il covid-19. I trial umani sono una parte importante della ricerca medica. Studiare persone malate nell'ambiente controllato di un laboratorio permette agli scienziati di raccogliere informazioni preziose su come funzionano le malattie molto più rapidamente che affidarsi ai dati disordinati e incerti del mondo reale. Dalla seconda guerra mondiale, circa 40.000 volontari si sono lasciati infettare da tutto, dalla malaria e dal tifo alla febbre dengue e al colera – scrive The Economist. Ma anche se l'idea di fare un hct per covid-19 è stato discusso fin dai primi giorni della pandemia, si è dimostrato abbastanza controverso che solo la Gran Bretagna ha permesso loro di andare avanti. (Un secondo hct è in corso presso l'Università di Oxford.) I risultati della prova Royal Free, condotto con l'aiuto dell'Imperial College di Londra e una società chiamata hvivo, che è specializzata in hcts, sono attesi nelle prossime settimane. Includeranno dettagli sul corso naturale dell'infezione del covid-19, quanto bene fanno i diversi test nel rilevare le infezioni, quanta esposizione a sars-cov-2 è necessaria per infettare qualcuno e quanto sono utili le mascherine per prevenire la trasmissione. Nonostante le preoccupazioni per la sicurezza, le prove hanno proceduto senza incidenti, dice Andrew Catchpole, direttore scientifico di hvivo. I volontari nelle prove hanno avuto solo sintomi lievi. E i dati generati sembrano essere molto utili. Il dottor Catchpole dice che lui e il suo team erano "sbalorditi" da quanto fosse coerente il corso della malattia in diversi volontari. Lo spargimento di particelle virali, per esempio - che possono poi andare a infettare gli altri - di solito inizia entro pochi giorni di infezione, in genere fino al quarto giorno, dopo di che aumenta molto rapidamente. Un altro filone della prova mira a inchiodare solo quanto tempo ci vuole, dopo che un individuo è infettato, per covid-19 per essere rilevato, sia dagli economici, ampiamente utilizzati test, e dai più costosi, più accurati pcr. Durante la sperimentazione, i ricercatori hanno condotto frequenti tamponi delle stanze in cui erano confinati i volontari. Questo ha permesso loro di capire esattamente quando le particelle virali infettive - al contrario di semplici macchie passive di materiale genetico - erano presenti nella stanza. Ci sarà anche più da dire sui sintomi neurologici del covid-19, e sulla risposta immunitaria degli individui infetti. Nonostante questa promessa di dati, gli hcts per il covid-19 rimangono controversi. Gli oppositori sottolineano che il covid-19 è una malattia potenzialmente pericolosa che non è ben compresa o sempre trattabile. "Long covid", una condizione misteriosa in cui i sintomi persistono per mesi, è una possibilità, così come la morte. Jan Helge Solbakk, capo della ricerca presso il Centro di Etica Medica di Oslo, dice che non c'è più alcun argomento valido a favore degli hct ora che i vaccini sono stati sviluppati e testati. I sostenitori replicano che il livello di sicurezza dei precedenti hct è "eccezionale", e che i rischi possono essere minimizzati dando a volontari giovani e sani la più piccola dose possibile di virus. Arthur Caplan, professore di etica medica alla Grossman School of Medicine dell'Università di New York, fa notare che le sperimentazioni di farmaci comportano anche il rischio di lesioni o morte, eppure non sono controverse. Dice che gli oppositori degli hct non si stanno concentrando sulla ricerca che è ancora necessaria, anche su nuovi vaccini, o sul tempo che ci vorrà per ottenere tali dati senza hct. Li accusa di "pensiero morale confuso". La sperimentazione ha infettato i partecipanti con il ceppo originale di sars-cov-2 che è emerso per la prima volta in Cina nel 2019. Ciò significa che non tutti i dati saranno generalizzabili alla variante Delta del virus, che è diventata dominante in molti paesi. Ma il dottor Catchpole dice che si aspetta almeno una certa coerenza nei risultati riguardanti la dose minima necessaria per l'infezione. E avendo condotto una serie di hcts in modo sicuro, dovrebbe essere più facile intraprenderne altre in futuro. Ulteriori prove potrebbero consentire test più rapidi di vaccini contro nuove varianti di sars-cov-2, per esempio, o confronti strettamente controllati di diversi vaccini per vedere qual è il più efficace. (Queste domande potrebbero richiedere anni per rispondere con i dati del mondo reale). Potrebbero anche aiutare a ottenere risposte rapide su quanto bene i farmaci nuovi o esistenti funzionano contro il covid-19. Adrian Hill, il direttore dello Jenner Institute, un ente di ricerca sui vaccini con sede a Oxford, dice che i rischi di condurre gli hct sono stati ridotti dalla disponibilità di nuovi trattamenti per il covid-19, come gli anticorpi monoclonali. Eppure, anche in Gran Bretagna, le discussioni sulla sicurezza hanno ritardato l'inizio delle prove di mesi. È improbabile che il covid-19 sia l'ultima nuova malattia che il mondo deve affrontare, dice il dottor Hill. Per aiutare a salvare vite in futuro, vorrebbe vedere le questioni etiche intorno a hcts risolti prima che la prossima pandemia arriva.

Positivi dopo la prima dose, cosa fare con il vaccino: i chiarimenti del Ministero. Debora Faravelli il 10/09/2021 su Notizie.it. Gianni Rezza ha firmato una circolare per chiarire come devono comportarsi i cittadini che risultano positivi dopo la prima dose di vaccino. Il Ministero della Salute ha diffuso una circolare contenente alcuni chiarimenti per i soggetti che risultano positivi al Covid dopo aver effettuato la prima dose di vaccino spiegando chi deve sottoporsi anche alla seconda e chi può dire completato il ciclo di immunizzazione. Il testo differenzia due casi: chi si è contagiato entro due settimane dalla vaccinazione e chi invece è risultato positivo dopo 14 giorni. Nella prima eventualità il Ministero indica di completare il ciclo vaccinale con la seconda dose, che va effettuata entro sei mesi dal contagio. Nel secondo caso invece la schedula vaccinale è da intendersi completata in quanto l’infezione stessa è da considerarsi equivalente alla somministrazione della seconda dose. La circolare precisa però che l’eventuale somministrazione di una seconda dose non è comunque controindicata. La stessa cosa vale anche per i soggetti guariti, in precedenza non vaccinati, che hanno ricevuto una sola dose di vaccino dopo l’infezione. Il documento si conclude affermando che “l’esecuzione di test sierologici, volti a individuare la risposta anticorpale nei confronti del virus, non è indicata ai fini del processo decisionale vaccinale”.

Elena Dusi per “la Repubblica” il 9 settembre 2021. A fine agosto Israele aveva 10 mila contagi al giorno, più che a gennaio. In quel momento è arrivato uno studio preoccupante. Le persone vaccinate a gennaio avevano una probabilità del 53% superiore di infettarsi rispetto a chi aveva ricevuto le iniezioni a marzo. Sembrava arrivato il giorno tanto temuto: quando avremmo visto l'efficacia dei vaccini calare. Dopo soli 9 mesi dall'arrivo delle prime fiale, un po' di delusione è comprensibile. Israele si è affrettata ad avviare il terzo ciclo di somministrazioni. Anche l'Italia ha dato il via libera alla terza dose, ma solo a categorie ben precise, con il via libera dell'Agenzia italiana del farmaco atteso a breve. A fine settembre l'ulteriore iniezione è prevista per circa 3 milioni di immunodepressi. A dicembre toccherà agli over 80 e da gennaio agli operatori sanitari. Alle statistiche israeliane si sono aggiunte quelle americane e inglesi, non dissimili, accompagnate anche lì da un forte aumento dei contagi: 160 mila al giorno negli Usa, quasi 40 mila nel Regno Unito. Numeri da ondata pre-vaccini per quanto riguarda le infezioni, ma con una percentuale di morti grandemente ridotta. I dati raccolti a New York confermano che le curve dei vaccinati che si contagiano sono molto differenti dalle curve di chi si ammala gravemente. Il rischio di ricovero fra i vaccinati è basso e non aumenta col tempo: meno 95% rispetto ai non vaccinati. Israele calcola un meno 85%, per gli inglesi è meno 96%. In Italia segnali di un calo di efficacia non si notano. La fondazione Gimbe calcola che sono aumentati gli operatori sanitari contagiati (questa categoria era stata immunizzata per prima, a partire dal 27 dicembre, e oggi è quasi al 98% di copertura): 2.553 a luglio e 2.460 ad agosto. In primavera erano calati a 265. Ma Gimbe stessa ammette che la causa potrebbe essere l'aumento dei casi nella popolazione generale. Un focolaio di 6 persone (5 vaccinate) si è registrato all'ospedale di Trento. Una decina i contagiati al Sant' Eugenio di Roma, 15 in una Rsa, del cosentino, immunizzate. Ma nessuno di loro ha sintomi che non siano lievi. I vaccini allora stanno perdendo efficacia? Di fronte alla variante Delta, arrivata a giugno, sicuramente sì. Di fronte al passare del tempo, probabilmente no. Che i vaccini, messi a punto con il coronavirus di Wuhan, non fossero perfetti di fronte alla Delta, era prevedibile. Una ricerca su Nature ha visto che gli anticorpi dei guariti hanno un'efficacia ridotta di 5,7 volte rispetto al virus di Wuhan. Per gli anticorpi dei vaccinati il calo è di 8 volte. L'università di San Diego ha misurato un'efficacia del 90% a marzo, scesa al 65,5% a luglio, con la Delta ormai prevalente. E poi c'è il fattore tempo. «Il numero di anticorpi si dimezza approssimativamente in tre mesi» spiega Andrea Mengarelli, responsabile dell'unità di ematologia dell'Istituto oncologico Regina Elena a Roma. «Nei nostri pazienti il sistema immunitario è meno efficiente. Già in partenza i livelli non erano alti. Oggi siamo scesi a valori che potrebbero essere insufficienti ». Nel caso delle persone fragili, dunque, la terza dose sembra molto importante. Anche nei sani si vede un calo degli anticorpi. «Ma più importante sarebbe osservare le cellule della memoria immunitaria» spiega Andrea Cossarizza, immunologo all'università di Modena. Sono loro a determinare la durata di un vaccino. «Ma mentre gli anticorpi li misuri nel sangue, per un esame accurato dei linfociti serve un prelievo nei linfonodi o nella milza. Non è un caso che le informazioni sulla durata dei vaccini non siano ancora conclusive».

Paolo Russo per “la Stampa” il 18 settembre 2021. Fino a ieri la campanella che spaventava di più virologi ed epidemiologi era quella scolastica. Ora però a far suonare l'allarme è quella della ripresa dei contagi tra il personale sanitario. Non solo perché medici e infermieri sono a contatto con i malati più esposti a rischio Covid. Ma perché questo potrebbe essere il segnale di allerta sulla durata della protezione vaccinale, che potrebbe non essere di un anno e più come molti esperti speravano. I professionisti sanitari sono stati infatti i primi ad essere immunizzati a gennaio e questa recrudescenza improvvisa dei casi fa sorgere più di un sospetto. Compreso quello che la variante Delta possa in qualche modo rendere la vita più breve agli anticorpi messi in circolo dal vaccino. Comunque sia i dati del monitoraggio «Epicentro» dell'Iss sono inequivocabili. Se dall'11 giugno alla stessa data di luglio si contavano appena 212 contagi, durante il mese di agosto sono balzati a 1.951. Un incremento del 600% che potrebbe essere anche sottostimato visto che la rilevazione è stata fatta durante il clou delle vacanze, quando molti camici bianchi erano in ferie e non del tutto solerti a farsi il tampone per un po' di tosse o raffreddore. Perché, è bene precisarlo, il vaccino comunque continua a proteggere dalle forme gravi di malattia, visto che i ricoverati nei reparti ordinari sono pochi e che non risultano medici o infermieri finiti in terapia intensiva o deceduti. A essere più colpito da questa recrudescenza dei contagi è stato soprattutto il personale infermieristico, che secondo l'Inail rappresenta circa l'82% dei nuovi positivi al virus e che in questo momento conta una media di 50 positivi al giorno. Questo perché sono proprio gli infermieri quelli che hanno il maggior contatto fisico con i malati. La nuova circolare del ministero della Salute emanata martedì fa partire dal 20 settembre la somministrazione della terza dose, per ora limitandola agli «immunocompromessi», trapiantati e malati oncologici in testa. Poi la dose «booster» verrà somministrata agli altri pazienti fragili. Ospiti delle Rsa, ultraottantenni e infine le «popolazioni connotate da un alto rischio per esposizione professionale». Leggi appunto medici e infermieri. Che allarmati dalla ripresa dei contagi chiedono ora di accelerare i tempi e non finire in fondo alla lista. La presidente dell'Ordine degli infermieri (Fnopi), Barbara Mangiacavalli, è allarmata. «Gli effetti della ridotta immunità con il virus ancora circolante nelle sue varianti più invasive mette a rischio non solo gli infermieri, ma anche i loro assistiti, che per lo più sono fragili e hanno bisogno della massima assistenza». E riguardo ai tempi della terza dose chiede di stringere i tempi, perché non si deve correre un rischio sul filo del rasoio e non si può per le scelte incaute di pochi che non rispettano le regole tornare a livelli che rischiano ancora di mettere in crisi i servizi sanitari per mancanza di personale». Accende i fari anche il presidente dell'Ordine dei medici, Filippo Anelli, per il quale «la situazione va monitorata nelle prossime settimane e se dovessero aumentare i casi di Covid tra il personale sanitario il richiamo andrebbe fatto a tutta la categoria in tempi più rapidi». «Decisioni risolutive» le chiede anche il presidente del sindacato Nursing up, che parla di situazioni «non del tutto chiare» riferendosi ai focolai divampati al Sant' Eugenio di Roma, all'Ospedale dei Castelli romani e nella sala operativa del 118 a Palermo. Spie rosse accese che segnalano la necessità di rifare il pieno di anticorpi agli antesignani della vaccinazione.

Silvia Turin per corriere.it il 19 settembre 2021. Israele ha approvato già dal 30 luglio la somministrazione di una terza dose (richiamo) del vaccino Pfizer a persone di età pari o superiore a 60 anni e che avevano ricevuto una seconda dose di vaccino almeno 5 mesi prima. Come successo in inverno e in estate con i dati sull’efficacia vaccinale, il Paese anticipa il futuro di quel che succederà con il vaccino (e con la terza dose), anche se ogni nazione ha delle peculiarità che influenzano i risultati e che rendono i dati non direttamente e totalmente applicabili a ogni realtà.

La terza dose agli anziani. Il primo studio sulle terze dosi in Israele è stato pubblicato sul New England Journal of Medicine il 15 settembre e mostra che la terza dose raggiunge lo scopo: chi è stato vaccinato ha avuto 19 volte meno probabilità di avere una grave malattia da Covid rispetto a chi è stato vaccinato con due dosi e la probabilità di contagiarsi è scesa di 11 volte. I dati vengono dal database del Ministero della Salute israeliano e riguardano 1.137.804 persone di età pari o superiore a 60 anni e che erano state completamente vaccinate 5 mesi prima, monitorate nel periodo dal 30 luglio al 31 agosto 2021. Nell’analisi primaria, gli studiosi hanno confrontato il tasso di infezioni Covid e il tasso di malattia grave tra coloro che avevano ricevuto la terza dose almeno 12 giorni prima (gruppo di richiamo) e coloro che non avevano ricevuto la terza dose, ma erano completamente vaccinati. Nell’analisi secondaria è stato valutato il tasso di infezione da 4 a 6 giorni dopo la terza dose, rispetto al tasso di almeno 12 giorni dopo il richiamo. 

Efficacia «tornata» al 95%. I risultati hanno mostrato che nel gruppo vaccinato con la terza dose da almeno 12 giorni, il tasso di infezione era inferiore di 11,3 volte, il tasso di malattia grave era inferiore di un fattore di 19,5. Nell’analisi secondaria il tasso di infezione confermata almeno 12 giorni dopo la vaccinazione era inferiore al tasso dopo 4-6 giorni di un fattore di 5,4. Ogni giorno durante il periodo da 12 a 25 giorni dopo aver ricevuto la terza dose, il «gruppo di richiamo» ha avuto un tasso di infezione confermata inferiore a quello del gruppo «senza richiamo» di un fattore da 7 a 20. Gli studiosi spiegano che la terza dose, in presenza di variante Delta, riporta l’efficacia del vaccino tra i soggetti che hanno ricevuto il richiamo a circa il 95%, un valore simile all’efficacia del vaccino «originale» riportata contro la variante Alfa. 

Il programma e le domande senza risposta. Israele adesso ha esteso il programma di richiamo all’intera popolazione adulta. In Italia la terza dose viene prevista per chi è a rischio di sviluppare grave Covid: chi ha una serie di patologie (persone fragili) o a rischio professionale (sanitari). Le somministrazioni partiranno lunedì. La domanda che deve avere ancora risposta adesso è quanti mesi durerà l’effetto benefico della terza dose.

In Italia partita la somministrazione della terza dose del vaccino. Terza dose di Pfizer: dopo 4 mesi ridotta la protezione contro i ricoveri. Redazione su Il Riformista il 19 Settembre 2021. Il Comitato scientifico della Food and Drug Administration (Fda), l’autorità regolatoria degli Stati Uniti, si è espresso e ha detto ‘sì’ alla terza dose di Pfizer per le persone fragili o che hanno più di 65 anni di età a partire dai sei mesi dopo la seconda dose. Si tratta solo di una raccomandazione e il verdetto definitivo della Fda arriverà la prossima settimana. Al momento, per il resto della popolazione Usa, non è prevista la terza somministrazione del vaccino anti Covid-19. Cruciale per questa decisione la pubblicazione della raccomandazione del Centro per il controllo e la prevenzione delle malattie su alcuni dati che indicano che il livello di protezione contro i ricoveri: le persone che hanno ricevuto il vaccino Pfizer vedono la copertura dal virus ridotta nei quattro mesi successivi alla vaccinazione completa.

Ricoveri. Secondo gli studi del Cdc, da due settimane dopo la seconda dose Pfizer a quattro mesi dopo, le persone sono protette da ospedalizzazioni al 91 per cento. Dopo i 120 giorni dalla somministrazione della seconda dose, l’efficacia del vaccino contro i ricoveri scende al 77 per cento. Discorso diverso per il siero Moderna, che non ha mostrato una diminuzione comparabile nello stesso lasso di tempo. Dopo quattro mesi, infatti, l’efficacia contro la malattia grave è stata valutata al 92 per cento: un livello uguale all’efficacia raggiunta subito dopo la somministrazione (il 93 per cento). Il vaccino Moderna ha anche prodotto livelli di anticorpi post-vaccinazione più elevati rispetto agli altri due vaccini. Lo studio ha preso in considerazione 3.689 persone senza condizioni di immunocompromissione, ricoverate in 21 ospedali statunitensi in 18 Stati dall’11 marzo al 15 agosto; tra questi sono compresi cento volontari sani arruolati in tre ospedali, dopo un periodo che va dalle due alle sei settimane successivo alla vaccinazione completa.

La terza dose in Italia. La settimana scorsa in Italia è partita la somministrazione della terza dose del vaccino per le persone immunodepresse e per coloro che hanno subito un trapianto di un organo solido. La volontà delle autorità sanitarie nazionali è quella di tutelare la popolazione a fronte della dilagante diffusione della variante Delta. In Italia i dati dell’ultimo monitoraggio dell’Istituto Superiore di Sanità (Iss), pubblicati venerdì, mostrano numeri incoraggianti: un’efficacia contro le ospedalizzazioni dei vaccini del 93,1 per cento e contro il ricovero in terapia intensiva del 95,4 per cento (periodo 4 aprile-12 settembre).

Michele Bocci per repubblica.it il 9 settembre 2021. E' arrivato il via libera di Aifa alla terza dose di vaccino per certe categorie di cittadini. La Cts, Commissione tecnico scientifica, dell'agenzia del farmaco ha iniziato la discussione sul tema martedì scorso e ha avuto bisogno di un po' più tempo del previsto per giungere alla conclusione, comunque scontata. Si è parlato delle categorie per le quali autorizzare una nuova somministrazione. L'indicazione, comunque, è quella di fare la terza dose non prima di sei mesi dopo la seconda somministrazione. Va detto che già prima che gli esperti che si occupano dell'approvazione dei farmaci iniziassero il loro lavoro, già in molti avevano detto che a partire da questo settembre si faranno le terze dosi a persone con problemi al sistema immunitario (provocati ad esempio da trapianti e cancro), poi ad anziani, in particolare over 80 e ospiti delle Rsa, e infine al personale sanitario. Lo stesso ministro alla Salute Roberto Speranza aveva detto martedì, alla conclusione del G20 a Roma, che si sarebbero certamente fatte le terze dosi. Stessa cosa ha poi fatto il commissario per l'emergenza Francesco Figliuolo. I tecnici dunque hanno seguito la stessa linea. L'Italia si muove dunque prima che arrivi un parere sul punto di Ema, l'agenzia regolatoria europea, che ha spiegato di avere bisogno ancora di alcune settimane per concludere uno studio specifico sulla terza dose, nel quale sono arruolate 300 persone. Anche l'agenzia europea prende in considerazione la nuova somministrazione solo dopo sei mesi dalla seconda. E Marco Cavaleri, responsabile della strategia sui vaccini dell'agenzia europea, ha detto che le autorità nazionali "possono procedere in ogni caso con piani per somministrare dosi addizionali o richiami di vaccino, come misura proattiva per proteggere la salute pubblica, prima che una decisione da parte del regolatore possa essere presa. Questo tipo di decisioni sono pienamente comprese dall'Agenzia nel contesto di emergenza in cui siamo".

Paolo Russo per “La Stampa” il 9 settembre 2021. L'ok dell'Aifa alla terza dose arriverà ad ore e riguarderà solo i vaccini a Rna messaggero, quindi per ora Pfizer e Moderna, anche per chi fino adesso ha fatto AstraZeneca o Johnson&Johnson. Un via libera che arriva dopo la lettura da parte dei tecnici del ministero della Salute dei dati israeliani, non ancora pubblicati, sull'efficacia del richiamo aggiuntivo nella popolazione fragile, che ha visto crescere a oltre il 90% la protezione dal semplice contagio e tra il 95 e il 100% quella da forme gravi di malattia. Da qui la decisione di rompere gli indugi, senza attendere le versione aggiornata dei vaccini in funzione anti-Delta, in fase di sperimentazione ma che non vedranno luce prima della fine dell'anno. E mentre l'Aifa accende il semaforo verde, al ministero della Salute si danno gli ultimi ritocchi al piano per la somministrazione del «booster», come i tecnici chiamano l'ulteriore richiamo, che già a partire da fine mese verrà somministrato a circa tre milioni di immunodepressi, «compresi quelli che hanno ricevuto da poco la seconda dose, perché questo non è da considerare un richiamo ma il completamento del ciclo vaccinale per chi ha un sistema immunitario in qualche misura compromesso», spiega un super tecnico del ministro Speranza. Quindi per ottenere la terza dose non bisognerà attendere i sei mesi che erano stati indicati come tempo certo di durata della difesa anticorpale, velocizzando non poco le operazioni, che andranno avanti di pari passo con il proseguimento della campagna tra chi non è ancora immunizzato. Alla lista degli eventi diritto al «booster» stanno lavorando Salute e Cts, che per certo danno al momento l'avvio dell'operazione per gli immunodepressi. Ai quali dovrebbero poi far seguito a novembre i 570 mila ospiti e dipendenti delle Rsa, tra i quali si stanno già diffondendo nuovi focolai. A seguire, ma sempre entro l'anno, sarà la volta dei 4,4 milioni di over 80, in parte già ricompresi nella categoria degli «immunocompromessi», come li ha definiti il generale Figliuolo. Infine dovrebbe essere il turno del milione e 900 mila operatori della sanità. Operazione complessa, perché rischia di rallentare l'erogazione delle prestazioni sanitarie, dove le liste di attesa si sono allungate e di molto, con il blocco delle attività ordinarie imposto dalla pandemia. Per questo al ministero della Salute si aspettano i dati degli studi in corso sulla durata della copertura vaccinale prima di dare il via libera all'operazione. Che nel 2022 dovrebbe interessare via via tutto il resto della popolazione, procedendo per fasce di età come è avvenuto per le prime due dosi. Intanto a fine mese inizieranno a mostrare il braccio per la terza puntura i tre milioni che hanno in qualche modo compromesso il funzionamento del loro sistema immunitario. Quindi non soltanto affetti da Hiv, trapiantati e malati oncologici sottoposti a chemioterapia da non più di sei mesi. Ma anche le tante persone affette da malattie autoimmuni che hanno dovuto sottoporsi a terapie a base di immunosoppressori, diabetici e cardiopatici gravi, grandi obesi, pazienti con malattie neurologiche e cardiovascolari importanti, malati di fibrosi cistica o con funzionalità renale e respiratoria compromesse. Con qualche ritocco più o meno la lista dei pazienti fragili da immunizzare prioritariamente secondo il primo piano vaccinale. Spetterà alle strutture sanitarie che li hanno eventualmente in carico contattare questi pazienti per avviarli alla terza dose. Che dovranno prenotarsi da soli in caso contrario, sperando che la lista integrale degli aventi diritto venga pubblicata in bella evidenza e senza far ricorso a terminologie scientifiche delle malattie sconosciute ai più. Chi non è assistito in regime di day hospital o day service dovrà fare ancora riferimento agli hub vaccinali, che dovrebbero però sempre più essere affiancati da medici di famiglia e pediatri. Sperando che questa volta le dosi non arrivino ai loro studi con il contagocce.

Anticipato il parere dell'Ema. Terza dose del vaccino anti-Covid, Aifa dà l’ok: priorità agli immunodepressi, richiamo dopo sei mesi. Redazione su Il Riformista il 9 Settembre 2021. Via libera dalla Commissione tecnico scientifica dell’Aifa, l’Agenzia italiana del farmaco, alla terza dose per la vaccinazione anti-Covid. La priorità sarà data in una prima fase ad alcune categorie: immunodepressi, anziani (più di 80 anni), personale nelle RSA e infine il personale sanitario. Una decisione, quella dell’Aifa, che non sorprende e che di fatto era già stata anticipata dal ministro della Salute Roberto Speranza nel corso del G20 a Roma, dove il ministro aveva sottolineato che si sarebbero certamente introdotte le terze dosi di vaccino anti-Covid. La somministrazione dovrebbe iniziare, per le categorie più a rischio come gli immunodepressi, ad esempio pazienti oncologici e trapiantati, già a fine settembre. Secondo un primo ‘calendario’ il governo dovrebbe quindi procedere nel mese di dicembre col richiamo contro il Covid-19 per gli over 80, circa 4 milioni di persone, compresi gli ospiti delle Rsa. Quindi a gennaio e febbraio del 2022 toccherà agli operatori sanitari, circa 2 milioni di persone. Nei prossimi gironi è invece atteso anche il parere dell’Ema, l’Agenzia europea del farmaco, che la scorsa settimana ha avviato la valutazione della domanda presentata da Pfizer-BioNTech. Proprio dall’Ema Marco Cavaleri, responsabile della strategia sui vaccini dell’Agenzia europea, aveva invitato i vari Paesi a procedere con “piani autonomi per somministrare dosi addizionali o richiami di vaccino”, indicazione prontamente eseguita dall’Italia. Quanto alle tempistiche, la somministrazione della terza dose avverrà sei mesi dopo la seconda e riguarderà i soggetti con età superiore a 16 anni. Discorso diverso invece per immunodepressi e i trapiantati che invece dovranno ricevere il terzo richiamo dopo almeno 28 giorni dalla seconda iniezione. Secondo le indicazioni dell’Agenzia i vaccini da utilizzare per il nuovo richiamo dovranno essere quelli a mRna e quindi Pfizer e Moderna.

LE PAROLE DI FIGLIUOLO – Sulla questione è intervenuto oggi il generale Francesco Paolo Figliuolo, commissario straordinario all’emergenza Covid-19, in occasione della sua visita all’ospedale di Piacenza. “Stiamo affinando le platee per poter dare un richiamo a coloro i quali ne hanno più necessità che, in questo momento, sono quello che clinicamente sono chiamati immunocompromessi. Verrà quindi dato loro un booster e si stima una platea di circa tre milioni di persone”, ha spiegato il commissario. “Ho sentito questa mattina il ministro della Salute, Roberto Speranza: stiamo chiudendo i protocolli, poi il Cts dell’Aifa, che è l’organo competente, darà le sue indicazioni credo entro la fine della settimana – ha specificato Figliuolo -. Poi, entro il mese di settembre, partiremo con questo richiamo. Aspettiamo poi le indicazioni del Cts per vedere di fare una terza dose per super anziani, fragili, le persone nelle residenze sanitarie assistenziali o nelle Cra e chi è in prima linea”.

Speranza, da Aifa ok a terza dose. (ANSA il 9 settembre 2021) "Aifa oggi ha chiuso il suo lavoro sulla terza dose e in questi minuti è in corso il Cda di Aifa e Aifa ha dato il via libera alla terza dose con un percorso: partiremo dai più fragili che dopo due dosi non hanno protezione necessaria. Ci sarà poi una circolare del ministero in merito". Così il ministro della Salute Roberto Speranza al festival della salute. "Dopo la prima fascia partiremo dai primi che sono stati vaccinati: mettere in sicurezza le Rsa è una priorità e poi dobbiamo salvaguardare gli over-80 ed il personale sanitario. Riconfermo che sulla disponibilità di dosi non abbiamo difficoltà. Possiamo garantire la terza dose" (ANSA). 

Da ilgiorno.it il 9 settembre 2021. L'annuncio era arrivato direttamente dal ministro Roberto Speranza durante la conferenza stampa finale del G20 della Salute: "La terza dose in Italia ci sarà, partiremo sicuramente già a settembre per le persone che hanno fragilità di natura immunitaria", aveva sottolineato. Ora ecco un altro passo in avanti. Il Consiglio di Amministrazione dell'Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa), convocato in via d'urgenza, "ha approvato all'unanimità l'utilizzo di una dose aggiuntiva di vaccino contro il Covid". 

Terza dose, chi ne avrà diritto. L'ok dell'Aifa alla terza dose riguarda soggetti con immunosoppressione grave, in accordo alla valutazione del medico curante, quali ad esempio trapiantati, oncologici, dializzati, oltre che gli anziani (over 80) e i ricoverati nelle Rsa". Lo rende noto l'Aifa in un comunicato. Per gli operatori sanitari, il richiamo "è previsto in condizioni di particolare esposizione a rischio".

Quali vaccini saranno usati. Per i richiami, sempre tenendo presente le indicazioni espresse dalla Commissione tecnico scientifica dell'Aifa, verranno utilizzati i vaccini a mRna, ovvero le dosi Pfizer e Moderna. 

Le tempistiche. La terza dose di richiamo del vaccino anti-Covid dovrebbe essere somministrata "almeno dopo 28 giorni" dalla seconda dose per quanto riguarda i soggetti immunodepressi e i trapiantati. Il richiamo andrebbe invece effettuato "almeno dopo sei mesi" per le altre categorie indicate, ovvero grandi anziani, ospiti delle Rsa e personale sanitario a rischio. 

Dati da valutare. Nel parere della Commissione Aifa sulla terza dose non è inclusa la popolazione generale perché per la valutazione del richiamo sulla popolazione più ampia sono attesi ulteriori dati. A precisarlo è la stessa Aifa. Nel provvedimento, spiega, "non viene inclusa la popolazione generale in attesa che Ema valuti i dati forniti dalle aziende produttrici dei vaccini. L'estensione di tale misura a livello nazionale, assunta in anticipo rispetto alla posizione Ema, si configura come importante atto di sanità pubblica per la tutela della popolazione più esposta a forme gravi di Covid".

Il ministro Speranza. "Aifa oggi ha chiuso il suo lavoro sulla terza dose. C'è il via libera con un percorso delineato: partiremo dai più fragili che dopo due dosi non hanno la protezione necessaria. Ci sarà poi una circolare del Ministero in merito", così il ministro della Salute Roberto Speranza. "Dopo la prima fascia partiremo dai primi che sono stati vaccinati: mettere in sicurezza le Rsa è una priorità e poi dobbiamo salvaguardare gli over 80 ed il personale sanitario. Riconfermo che sulla disponibilità di dosi non abbiamo difficoltà. Possiamo garantire la terza dose".

FRANCESCO PAOLO FIGLIUOLO. "Siamo pronti. Posso dire che le dosi ci sono, ne abbiamo in maniera più che sufficiente per poter fronteggiare questo richiamo". Lo ha detto il generale Francesco Paolo Figliuolo, commissario per l'emergenza Covid, al termine della visita all'ospedale di Piacenza. "Gli scienziati - ha spiegato - parlano di un richiamo con vaccini Pfizer e Moderna: a livello tecnico ci stiamo già muovendo, stiamo mettendo a punto gli ultimi dettagli sui sistemi informatici poi daremo le indicazioni alle Regioni e alle Province autonome per far scattare la campagna". 

"L'obiettivo è raggiungere il 40% della popolazione mondiale entro il 2021". Patto di Roma sui vaccini approvato all’unanimità: “Terza dose al via già da settembre”. Antonio Lamorte su Il Riformista il 6 Settembre 2021. È stato approvato all’unanimità il cosiddetto Patto per Roma: un accordo sui vaccini, la loro distribuzione e diffusione, raggiunto nell’ambito del G20 della Salute che si è tenuto nella Capitale. “Da Roma un messaggio al mondo contro il covid – ha annunciato il ministro della Salute Roberto Speranza – L’anno scorso il G20 si chiuse senza una dichiarazione approvata. Lavoreremo per contrastare il covid che è ancora un nemico insidioso. Noi dobbiamo assumere impegni di bilancio che poi non possono diventare una camicia di forza, noi vogliamo portare il vaccino in tutto il mondo, faremo tutti gli investimenti necessari”. La due giorni del summit ai Musei Capitolini. Lo scorso 31 agosto la Commissione Europea ha fatto sapere che il 70% della popolazione adulta ora è completamente vaccinato: oltre 256 milioni di persone nell’Unione Europea hanno completato il ciclo. A preoccupare è più la differenza con l’Est Europa: gli ultimi dati del Centro Europeo per il controllo delle malattie Ecdc ha sottolineato, aggiornati al 29 agosto, riportava il 20% in Bulgaria, il 32,3% in Romania, il 46,4% in Lettonia, il 47,7% in Croazia, il 49,4% in Slovacchia, mentre a Malta il 91%, in Irlanda l’87,6%, in Portogallo l’83,2% come in Belgio, in Francia il 75,2%, in Germania il 72,2% e in Italia il 70,1%. Ad alzare l’asticella a Est solo l’Ungheria al 65,1%, grazie anche al vaccino russo Sputnik non approvato comunque dall’Agenzia Europea del Farmaco (Ema), e la Polonia al 58,1%. Il direttore generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità Tedros Ghebreyesus ha dichiarato che “l’Africa ha la copertura vaccinale più bassa, con il 2%. Questo è inaccettabile”. Spesso sono scetticismo e i No Vax a incidere più che la distribuzione. Speranza sostiene che tra i Paesi ci sono “distanze sbagliate e non sostenibili”. Perciò il G20 si è impegnato a intervenire per potenziare la distribuzione anche in collaborazione del programma Covax e favorendo la produzione sul posto. “In linea con l’Oms, sosteniamo l’obiettivo di vaccinare almeno il 40% della popolazione globale entro la fine del 2021. Riaffermiamo l’impegno dei nostri Leader al Global Health Summit per rafforzare le capacità produttive locali e regionali, sviluppare una capacità regolatoria regionale e promuovere standard minimi di qualità dei prodotti medicali”, hanno affermato i ministri della Salute del G20 nella Dichiarazione Finale. Le azioni chiave focalizzate riguardano quattro aree prioritarie: “Ripresa sana e sostenibile; costruire resilienza One Health; risposta coordinata e collaborativa; vaccini, terapeutici e diagnostici accessibili”. Speranza ha anche dichiarato che l’intenzione è di insistere nell’approccio One Health, ovvero globale, “guardando a esseri umani, animali e ambiente come un unico ecosistema”. Quindi i Paesi del G20 si sono impegnati a portare i vaccini anche nei Paesi più fragili. La conferenza stampa è stata anche occasione di annunci per quanto riguarda la situazione in Italia, dove nel frattempo si sono superate le 79 milioni di somministrazioni per oltre 38 milioni 790mila persone che hanno completato il ciclo, il 71,82% della popolazione over 12 anni. Il ministro ha annunciato che “la terza dose in Italia ci sarà, partiremo già da settembre con pazienti fragili come gli oncologici o i trapiantati. Su questo punto già Ema e Ecdc si sono espresse. Dunque già nel mese di settembre partiranno in Italia queste prime terze dosi, poi analizzeremo per proseguire con gli over80 e residenti Rsa e personale sanitario, che sono le prime categorie che hanno ricevuto il vaccino e da quale si partirà”. Prevista prossimamente anche l’estensione del Green Pass, la certificazione che attesta la vaccinazione, la guarigione o un tampone negativo. L’Ema ha intanto avviato un’indagine su una terza dose di vaccino Pfizer BioNTech, da somministrare sei mesi dopo la seconda dose, a 16enni e over 16. L’esito è atteso nelle prossime settimane.

Antonio Lamorte. Giornalista professionista. Ha frequentato studiato e si è laureato in lingue. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Ha collaborato con l’agenzia di stampa AdnKronos. Ha scritto di sport, cultura, spettacoli.

Vaccino, il genetista Mauro Giacca: "Così il siero ripara il cuore dopo l'infarto", la più straordinaria scoperta. Andrea Cappelli su Libero Quotidiano il 03 settembre 2021. Covid, quale autunno ci aspetta? A dare una risposta alla questione cruciale dei nostri giorni saranno il genetista Mauro Giacca (ordinario al King' s College di Londra) e il presidente Aifa Giorgio Palù, con un dialogo nell'ambito del Link Festival che avrà luogo oggi alle 18 alla Fincantieri Newsroom di piazza Unità a Trieste. In attesa del convegno, lo scienziato di fama internazionale Mauro Giacca anticipa a Libero alcuni spunti interessanti sul tema. Assieme alla sua équipe, infatti, il prof. Giacca sta verificando la possibilità di utilizzare la modalità di inoculazione dei vaccini Pfizer e Moderna per curare patologie diverse dal Covid, come la rigenerazione di un cuore infartuato.

Il vaccino anti- Covid ripara anche il cuore?

«Per completezza è corretto specificare che non il vaccino quanto le tecniche di somministrazione dei vaccini Pfizer e Moderna possono essere impiegate anche per rigenerare il cuore. Una scoperta straordinaria, considerato che al mondo ci sono più di 60 milioni di persone che soffrono di scompensi cardiaci».

In che modo queste tecniche rigenerano il cuore?

«Una breve premessa. Nella nostra formazione genetica esistono dei geni che hanno funzione di produrre piccole molecole di RNA chiamate microRNA. Dei circa 2000 micro-RNA che esistono, alcuni sono in grado di stimolare la riparazione cardiaca. La tecnica Pfizer e Moderna si basa su sferette di lipidi (grassi) che contengono RNA messaggero, in grado di codificare la proteina Spike del virus. Noi non facciamo altro che prendere le stesse "sferette" e inserire al loro interno un microRNA, che entra nelle cellule cardiache spingendole a replicarsi. Il processo porta alla rigenerazione del cuore dopo un infarto.

Interessante.

«Ma anche sul Covid stiamo facendo importanti scoperte...».

Ci spieghi.

«L'équipe del King' s College che ho l'onore di guidare ha scoperto che la Niclosamide, un comune farmaco antiparassitario, potrebbe risultare efficace nell'arresto della fusione cellulare, indotta dalla proteina Spike del coronavirus. Questo farmaco (che in India è in fase avanzata di sperimentazione) non solo impedisce la replicazione del virus ma ne blocca anche i danni che quest' ultimo arreca all'organismo».

Cosa dobbiamo aspettarci in autunno?

«Se la gente continuerà a vaccinarsi sia la diffusione del virus che il suo impatto saranno ridotti. Con ogni probabilità ci sarà comunque un leggero aumento dei contagi ma a livello individuale i vaccini dovrebbero garantire un'adeguata protezione, riducendo la gravità della malattia».

Si parla di una terza dose. Che ne pensa?

«Probabilmente la terza dose è indispensabile, a partire dalle persone fragili e da chi si è vaccinato prima, come gli operatori sanitari. Stiamo osservano che per chi si è sottoposto al vaccino a inizio anno l'immunità comincia un poco a calare...Per questo ritengo che a un anno di distanza dalla prima inoculazione sia utile procedere con la terza dose».

Come agire nei confronti dei No vax?

«Una piccola percentuale di loro è "perduta": non rinuncerà alle sue convinzioni. Ma la maggioranza è semplicemente male informata. I cosiddetti No vax non sono né stupidi né ignoranti, molti di loro sono laureati. Dobbiamo convincerli trasmettendo loro informazioni corrette».

Quando torneremo alla vita pre Covid?

«Possiamo cercare di tornare a fare una vita normale senza rinunciare, per ora, alla mascherina. Il nostro traguardo è tornare al cinema, allo stadio e alla socialità conservando le giuste precauzioni, facendo tesoro di questa esperienza». 

Vaccini, che fine ha fatto AstraZeneca: nessuno lo vuole più, le fiale stanno per scadere e molte sono finite nel cestino. Elena Dusi su La Repubblica il 27 agosto 2021. Ricordate quando c’era AstraZeneca? Con i Nas che ispezionavano i magazzini della Catalent di Anagni, la ditta che infialava il vaccino, sospettando accaparramenti del prezioso prodotto. E con il premier Draghi che col pugno di ferro bloccava l’export in Australia. Oggi invece perfino la sentenza della Corte Europea che imponeva alla casa farmaceutica la consegna di 80 milioni di dosi è rimasta lettera morta. Quel vaccino sembra esser diventato ingombrante. Non lo chiede più nessuno stato. In Italia da inizio luglio non ci sono consegne. Le 585mila dosi settimanali somministrate a fine giugno, quando pure il problema delle trombosi era emerso da un paio di mesi, si sono ridotte a 26mila oggi: quasi tutti richiami. Il Lazio ha dichiarato che esaurite le scorte procederà solo con i vaccini a Rna, Pfizer e Moderna. Diverse Regioni hanno restituito le fiale al commissario per il Covid Francesco Figliuolo. Il governo all’inizio di agosto ha donato 1,4 milioni di dosi alla Tunisia. Il problema riguarda anche Johnson&Johnson. A metà luglio quasi metà delle fiale di questo vaccino era ferma in frigorifero. Peccato che i vaccini contro il Covid scadano. La durata di AstraZeneca ad esempio è di sei mesi, come Pfizer e Moderna (sono quattro per Johnson&Johnon). Per evitare di ritrovarsi con dosi inutilizzabili, il Canada ha per esempio scelto la soluzione più facile: estenderla di un mese. Lo stesso hanno deciso gli Stati Uniti con Johnson&Johnson, valido sei settimane in più per decreto. L’Olanda ha fatto la scelta del cestino, suscitando l’ira via twitter del medico vaccinatore dell’università di Leida Dennis Mook-Kanamori, ripreso dal Washington Post: “E’ deplorevole, arrogante, egoista!! Il ministero della salute ha deciso consapevolmente di buttare via 200.000 vaccini AstraZeneca che avrebbero potuto essere usati per Covax. Mi fa star male!!!”. Covax è il programma dell’Oms per portare le fiale nei paesi poveri. Né quello olandese è l’unico esempio di vaccini sprecati. Richard Mihigo, direttore del dipartimento vaccini dell’Oms, ufficio Africa, il 15 luglio ha denunciato la distruzione di 450mila dosi di vaccini scaduti in 9 paesi del continente, in maggior parte AstraZeneca. La causa: il ritardo della spedizione da parte dei paesi donatori. Con le fiale spedite a metà marzo ormai prossime alla scadenza (13 aprile), i paesi non sono riusciti a distribuirle in tempo. Il Malawi, per rassicurare la popolazione che le dosi scartate non sarebbero state usate, le ha bruciate pubblicamente a maggio. Un rogo che parla dell’ingiustizia della campagna di immunizzazione nel mondo, con una copertura media del 58% nei paesi sviluppati e del 2% in quelli poveri. Gli Stati Uniti nel frattempo tengono in frigo, perché una quota della popolazione è riluttante, 26 milioni di dosi inutilizzate. Il paese ha acquistato in tutto 1,4 miliardi di dosi (non tutte ancora consegnate): abbastanza per arrivare al quarto richiamo. I vari giornali degli stati hanno riferito di 65mila dosi buttate in Alabama, 81mila in Iowa e 110mila in Georgia. Una ricostruzione degli sprechi di vaccini nel mondo è appena arrivata dalla rivista medica British Medical Journal. Secondo l’articolo, Germania, Gran Bretagna, Canada, Lituania, Polonia, Romania e Israele hanno già dovuto gettar via una quota dei loro vaccini troppo vecchi. Israele in particolare a giugno è stata accusata dall’Autorità Palestinese di volergli donare fiale Pfizer ormai quasi scadute. La cessione è stata cancellata su richiesta dei palestinesi. Riguardava 1,4 milioni di dosi valide in parte fino alla fine del mese, in parte fino a fine luglio. Israele ha ammesso che la scadenza era vicina, ma ha ricordato che le fiale erano sicure fino a quella data, e lei stessa le stava usando per immunizzare gli adolescenti. Un tentativo di cedere quegli stessi vaccini alla Gran Bretagna è fallito subito dopo per non precisate “ragioni tecniche”, spiega sempre il British. Solo la Corea del Sud, a metà luglio, ha accettato la metà del lotto ancora valida, 700mila dosi, avendo una copertura ancora molto bassa e una nuova ondata del virus in corso, per cercare di proteggersi in zona Cesarini.

Bloccate dal Giappone 1,6 milioni di dosi di vaccino Moderna: "Fiale contaminate". La Repubblica il 26 agosto 2021. Lo stock fermato è stato prodotto in Spagna. La sospensione dell'uso del vaccino inizia oggi. Richiesta un'indagine urgente. Dopo le segnalazioni di contaminazione in diversi lotti di vaccino Moderna il Giappone ha bloccato l'uso di 1,63 milioni di dosi. Lo hanno reso noto il produttore di farmaci Takeda e il ministero della Salute. Takeda, responsabile delle vendite e della distribuzione di Moderna in Giappone, ha affermato di aver "ricevuto segnalazioni da diversi centri di vaccinazione secondo cui sono state trovate sostanze estranee all'interno di fiale non aperte di lotti specifici". La partita sotto indagine è stata prodotta in Spagna. "Inoltre - ha poi spiegato il distrubutore giapponese - previa consultazione con il ministero della salute, abbiamo deciso di sospendere l'uso del vaccino dal lotto dal 26 agosto". L'azienda ha dichiarato di aver informato Moderna e di aver "richiesto un'indagine urgente". L'azienda farmaceutica per ora non ha ancora risposto alla richiesta di commento sulla vicenda. Takeda non ha fornito dettagli sulla natura della contaminazione, ma ha affermato di non aver ricevuto finora alcuna segnalazione di problemi di salute derivanti dalle dosi interessate. Il ministero della Salute giapponese ha affermato che lavorerà con Takeda per garantire dosi alternative per evitare l'interruzione del programma di vaccini del paese, che è aumentato dopo un avvio a rilento. Circa il 43% della popolazione giapponese attualmente ha completato il ciclo vaccinale, ma il Paese sta combattendo un'ondata record di casi di virus a causa della variante Delta. Circa 15.500 persone sono morte di Covid-19 nel paese durante la pandemia e gran parte del Giappone è soggetta a restrizioni legate al virus.

Da leggo.it il 25 agosto 2021. Il richiamo del vaccino Johnson & Johnson genera un aumento degli anticorpi di 9 volte rispetto ai 28 giorni dopo la prima dose. Ad affermarlo è la casa farmaceutica J&J dopo aver condotto degli studi negli Stati Uniti e in Europa su 2000 partecipanti. I dati provengono da due studi di fase 2 condotti negli Stati Uniti e in Europa su 2000 partecipanti in previsione della potenziale necessità di un richiamo. I dati sono stati presentati in pre-pubblicazione su medRxiv. A luglio l'azienda aveva rilasciato i dati provvisori, pubblicati su New England Journal of Medicine, che dimostravano una risposta immunitaria stabile per otto mesi dopo l'immunizzazione. «Sappiamo che una singola dose del nostro vaccino genera risposte immunitarie forti e robuste che sono durevoli e persistenti per otto mesi - ha sottolineato Mathai Mammen, capo della Ricerca e Sviluppo di Janseen -. Con questi nuovi dati stiamo vedendo che una dose di richiamo del vaccino ai partecipanti allo studio, che erano precedentemente immunizzati con il nostro vaccino, aumenta ulteriormente le risposte anticorpali». J&J sta dialogando con l'Fda, i Cdc e l'Ema sulla necessità di offrire una dose di richiamo del vaccino Janssen. «Non vediamo l'ora di discutere con i funzionari della sanità pubblica della potenziale strategia per il nostro vaccino monodose, pensando ad un richiamo dopo otto mesi dalla prima dose».

(ANSA il 23 agosto 2021) La Food and Drug Administration (Fda) ha dato l'approvazione completa e definitiva al vaccino anti Covid della Pfizer. Finora è stato utilizzato grazie a un'autorizzazione d'emergenza. (ANSA).

Usa, il vaccino Pfizer è stato autorizzato definitivamente dalla Fda: cosa significa e cosa cambia ora? Federica Palman il 23/08/2021 su Notizie.it. Negli Usa, la Fda ha ufficialmente autorizzato il vaccino anti-Covid-19 prodotto da Pfizer/BioNTech. Finora era stato usato con autorizzazione d'emergenza. Il vaccino contro il Covid-19 Comirnaty della Pfizer/BioNTech è stato definitivamente approvato negli Stati Uniti dalla Food and Drugs Administration (Fda). Finora era stato utilizzato nel Paese grazie a un’autorizzazione d’emergenza concessa dall’ente governativo, che rimane per la fascia di età 12-15 e per la somministrazione della terza dose alle persone immunocompromesse. La Fda sta valutando inoltre di approvare il vaccino anti-Covid dell’azienda farmaceutica Moderna, anch’esso prodotto negli Stati Uniti.

Usa, il vaccino Pfizer è stato autorizzato definitivamente dalla Fda: possibile introdurre l’obbligo vaccinale. L’approvazione del vaccino Pfizer potrebbe far scattare l‘obbligo di vaccinazione per i dipendenti di diverse organizzazioni pubbliche e private. Il Pentagono ha annunciato che tutti i militari in servizio attivo saranno tenuti a immunizzarsi. United Airlines chiederà ai dipendenti una prova dell’avvenuta vaccinazione entro cinque settimane. Lo Stato dell’Oregon imporrà la copertura a tutti i lavoratori statali, così come faranno molte Università in Louisiana e Minnesota. Da New York,il sindaco Bill de Blasio ha dichiarato che gli insegnanti e il personale della scuola pubblica saranno tenuti a vaccinarsi. I responsabili sanitari federali e statali sperano inoltre che questo passo della Fda possa convincere i cittadini che ancora non si sono vaccinati a causa dello scetticismo dovuto all’autorizzazione d’emergenza.

Usa, il vaccino Pfizer è stato autorizzato definitivamente dalla Fda: la situazione in Europa. In Europa, la Commissione europea ha concesso l’autorizzazione per l’immissione in commercio condizionata (Cma) del vaccino messo a punto da BioNTech e Pfizer. Nel dicembre del 2020, l’Agenzia europea per i medicinali (Ema) aveva raccomandato ai singoli Stati di rilasciare in modo provvisorio le Cma per i vaccini anti-Covid. L’Agenzia italiana del farmaco aveva recepito queste decisioni e autorizzato l’utilizzo di quanto approvato a livello europeo nel Paese.

Usa, il vaccino Pfizer è stato autorizzato definitivamente dalla Fda: cos’è l’autorizzazione per l’immissione in commercio condizionata. La Cma certifica la sicurezza, l’efficacia e la qualità del prodotto, così come che i benefici siano maggiori dei rischi, e consente agli sviluppatori del vaccino di presentare dati supplementari anche dopo questo tipo di autorizzazione (al contrario di quelle normali, che prevedono che i dati vengano presentati tutti prima del rilascio del prodotto). La Cma fornisce più garanzie rispetto a un’autorizzazione d’emergenza, che garantisce semplicemente l’uso temporaneo di un vaccino non autorizzato a determinate condizioni. Infatti, con la Cma tutti i controlli di farmacovigilanza e di fabbricazione, compresi quelli per i lotti per i vaccini e altri obblighi successivi all’approvazione, devono essere svolti in modo giuridicamente vincolante e vengono valutati periodicamente dai comitati scientifici dell’Ema. Inoltre, con la Cma è possibile, se necessario, ricorrere a un’azione normativa.

Le dosi soddisfano i 5 requisiti necessari per imporle con una legge. Via libera a vaccini obbligatori e green pass, respinti tutti i ricorsi: le 5 condizioni necessarie. Salvatore Curreri su Il Riformista il 29 Agosto 2021. Per quanto interlocutoria, la decisione con cui la Corte europea dei diritti dell’uomo, lo scorso 24 agosto, ha provvisoriamente respinto la richiesta di 672 vigili del fuoco francesi di misure cautelari contro la legge che impone loro di vaccinarsi contro il Covid-19 s’inserisce in un sempre più consistente filone giurisprudenziale favorevole all’introduzione di simili obblighi. Tale decisione, infatti, fa seguito a quella – stavolta definitiva e per di più presa dalla Grande Camera della stessa Corte europea – che, lo scorso 8 aprile, ha respinto il ricorso di alcuni genitori contro la legge della Repubblica ceca che, come da noi, vieta l’iscrizione alla scuola d’infanzia ai bambini non vaccinati. In Francia il Consiglio costituzionale, lo scorso 5 agosto, non ha bocciato né l’obbligo di vaccinazione per gli operatori sanitari, né le limitazioni introdotte per chi non ha il c.d. green pass, ritenendole un ragionevole punto di equilibrio tra la tutela della libertà di circolazione e quella della salute collettiva. Nel nostro paese, i Tribunali di Belluno (23 marzo) e Modena (23 luglio), pronunciandosi sulle sospensioni dal servizio senza retribuzione adottate nei confronti di personale sanitario rifiutatosi di vaccinarsi contro il Covid-19 ancor prima che per costoro fosse introdotto il relativo obbligo (art. 4 decreto legge n. 44 del 1° aprile 2021), avevano comunque ritenuti tali provvedimenti fin da allora legittimi in forza dell’obbligo del datore di lavoro di garantire la salute e la sicurezza degli altri dipendenti e degli stessi pazienti. Ad analoga conclusione è pervenuto il Tar di Lecce (4 agosto), respingendo l’istanza cautelare di un dipendente dell’Asl di Brindisi sospeso dal servizio perché non vaccinato. Infine il Tribunale di Roma (28 luglio) ha ritenuto legittimo il provvedimento con cui un villaggio turistico (settore produttivo in cui non è previsto l’obbligo di vaccinazione) ha deciso di sospendere dall’attività e dalla retribuzione una dipendente dichiarata dal medico competente parzialmente inidonea a svolgere le sue mansioni perché non poteva “essere in contatto con i residenti del villaggio”. Il fatto che tutti coloro che hanno fatto ricorso al giudice, nazionale e no, per contestare la legittimità (costituzionale) degli obblighi vaccinali si sono visti puntualmente respingere le loro pretese non si deve alla #dittaturasanitaria-ordita-percomplotto-giudaicomassonico-daipoteriforti-edellecasefarmaceutiche-controlenostrelibertà – come (senza hashtag) avrebbe un tempo scritto la Fallaci per metterli alla berlina – ma, più semplicemente, per l’inconsistenza scientifica e giuridica degli argomenti opposti, frutto di una visione egoistica e individualista inevitabilmente recessiva di fronte all’interesse pubblico di contrastare la diffusione della pandemia da Covid-19. Come più volte chiarito dalla Corte costituzionale, trattamenti sanitari obbligatori collettivi, come sono le vaccinazioni, possono essere imposti dallo Stato per legge (il che permette la discussione parlamentare, e quindi pubblica, su di essi), alle seguenti cinque condizioni:

1) va preventivamente dimostrata in sede scientifica l’efficacia delle vaccinazioni nel prevenire e debellare malattie infettive e diffusive. Si obietta: i vaccini contro il Covid-19 sono in fase sperimentale per cui non possono essere imposti perché non se ne conoscono gli effetti a lungo termine. Replico: i vaccini sono stati approvati dalle autorità competenti italiane e straniere (v. da ultimo l’approvazione definitiva del Pfizer da parte della Food and drug administration Usa) in tempi più rapidi del previsto grazie a un sistema di revisione su scala mondiale e progressiva; in ogni caso che oggi la massima parte dei ricoverati e deceduti sia non vaccinata dimostra inequivocabilmente la loro efficacia. Infine, quanto agli effetti a lungo termine, costoro dovrebbero trovare il coraggio di spiegare ai parenti di quanti deceduti non vaccinati, che hanno fatto bene a non sottoporsi alla vaccinazione perché sperimentale…

2) la vaccinazione deve tutelare la salute non solo individuale ma anche collettiva. Essa infatti è legittima solo se diretta «non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri, giacché è proprio tale ulteriore scopo, attinente alla salute come interesse della collettività, a giustificare la compressione di quella autodeterminazione dell’uomo che inerisce al diritto di ciascuno alla salute in quanto diritto fondamentale» (C. cost. 307/1990). Chi, appellandosi all’art. 32 Cost., oppone che non si possono introdurre trattamenti sanitari obbligatori lesivi del rispetto della persona umana dovrebbe dimostrare, contrariamente a ogni evidenza come sostenuto al punto 1), che ci troviamo di fronte a un trattamento sanitario a beneficio della salute della collettività ma a scapito di quella del singolo. Forse vale la pena ricordare a costoro che tale limite fu introdotto in Assemblea costituente, su proposta di Aldo Moro, per evitare che lo Stato potesse, come nel programma nazista Aktion 14, imporre pratiche sanitarie eugenetiche “per il miglioramento della razza” radicalmente lesive della dignità umana, come la soppressione o sterilizzazione obbligatoria degli handicappati e dei portatori di malattie ereditarie o l’uso di pazienti vivi per sperimentazioni mediche. Il che svela l’abnormità del paragone e la mancanza di senso di misura e di proporzioni di chi si appella a un simile limite.

3) la vaccinazione non deve incidere “negativamente sullo stato di salute di colui che è obbligato, salvo che per quelle solo conseguenze che appaiono normali e, pertanto, tollerabili” (C. cost., 5/2018, 8.2.1) o siano comunque marginali e statisticamente inevitabili (C. cost., 118/1996, 4). Pertanto, le vaccinazioni non sono di per sé incostituzionali quando per eliminare una malattia infettiva comportano purtroppo il rarissimo ma inevitabile rischio di conseguenze di salute negative per chi vi si sottopone. In tali casi, infatti, il legislatore, pur essendo dinanzi a una “scelta tragica”, giacché «sofferenza e benessere non sono equamente ripartiti tra tutti, ma stanno integralmente a danno degli uni o a vantaggio degli altri» (C. cost., 118/1996), può privilegiare la salvezza dei molti rispetto al sacrificio dei pochi;

4) in forza di questa dimensione solidarista, chi, a causa di una vaccinazione subisce una menomazione permanente della propria integrità psico-fisica ha diritto a essere non solo risarcito ma anche indennizzato nonché a ricevere misure di sostegno assistenziale. Ciò a prescindere che la vaccinazione sia obbligatoria o promossa dalle pubbliche autorità in vista della sua capillare diffusione nella società. Difatti, così come il singolo espone a rischio la propria salute per un interesse collettivo, egualmente la stessa collettività deve essere disposta a condividere il peso delle eventuali remote conseguenze negative che egli può subire (C. cost. 27/1998). La tesi, amplificata dalla Meloni, per cui lo Stato non introduce l’obbligo vaccinale per non dover pagare indennizzi non è quindi vera.

5) infine, il sacrificio della libertà di autodeterminazione personale deve essere proporzionale e ragionevole rispetto all’interesse della collettività al non diffondersi della malattia. Pertanto, in un’ottica di bilanciamento tra mezzi e fini, la vaccinazione può essere dapprima solo raccomandata, poi prevista come onere o requisito obbligatorio temporaneo per chi vuole compiere determinate attività sociale o economiche (c.d. green pass), infine resa obbligatoria per tutti. Questa è esattamente la prudente strada finora perseguita da tutti i governi, compreso il nostro. Il rispetto di queste cinque condizioni fa sì che nulla osti sul piano costituzionale perché la strada finora percorsa venga completata, introducendo – se la maggioranza parlamentare lo riterrà opportuno – l’obbligo vaccinale per tutti. Salvatore Curreri 

Vittorio De Vecchi Lajolo per ilfattoquotidiano.it il 21 settembre 2021. Gad Lerner sostiene che i non vaccinati andrebbero “dichiarati fuori legge” esattamente come gli evasori fiscali. L’idea non è originalissima: ci aveva già pensato Roberto Burioni qualche mese fa a lanciare l’anatema dell’evasione fiscale, salvo poi invertire la rotta per definire i non vaccinati più sobriamente “sorci”. Più recentemente, Giuliano Cazzola ha invocato i cannoni di Bava Beccaris per fare piazza pulita dei no-vax, mentre Renato Brunetta auspica un progressivo “schiacciamento” (cit.) dei non vaccinati ai margini della vita sociale. Su tutto aleggia il soave monito del Presidente della Repubblica, secondo cui “non si può invocare la libertà per non vaccinarsi”. Pochi chilometri più a nord, in Germania, nessun partito sostiene l’obbligo vaccinale: anche Olaf Scholz, possibile futuro cancelliere, lo ha escluso categoricamente. La Frankfurter Allgemeine (il secondo quotidiano del paese, di orientamento liberal-conservatore) ad agosto pubblicava un articolo dall’eloquente catenaccio “Non è compito dello Stato proteggere il cittadino da se stesso”. Diversi costituzionalisti, tra cui il prof. Alexander Thiele dell’università di Gottinga ritengono che l’obbligo sarebbe giustificabile solo qualora il fenomeno epidemico divenisse completamente incontrollabile. Il 13 settembre 2021 la Süddeutsche (primo quotidiano del paese, di orientamento liberal-progressista) pubblica un articolo sulla recente decisione del governo federale di mettere il turbo alla campagna vaccinale creando centri vaccinali pop-up un po’ dappertutto (in autobus, allo zoo di Berlino, presso alcuni chioschi di kebabbari etc.) per convincere gli indecisi – tesi di fondo: è un errore aumentare la pressione, giusto invece migliorare informazione e disponibilità. Sulla stessa linea il telegiornale della prima rete televisiva pubblica ARD, in cui la psicologa e professoressa dell’università di Costanza, Katrin Schmelz, si spinge fino a sostenere che l’obbligo in queste condizioni sarebbe un errore, perché la propensione a vaccinarsi (ovviamente) è molto più alta quando esiste una scelta, che quando si è costretti ad adempiere ad un obbligo. La mascherina obbligatoria generalizzata (anche all’aperto) in Germania non è mai esistita. Ancora oggi, il green-pass all’italiana è completamente sconosciuto: non serve nel trasporto pubblico e neanche i lavoratori del settore sanitario sono soggetti a obbligo vaccinale (ma ad obbligo di tampone). E, naturalmente, nessuna persona si azzarda a definire pubblicamente i non vaccinati sorci, evasori fiscali, gente da mettere fuori legge, da schiacciare o da prendere a cannonate. Sarà perché in Germania ormai sono tutti vaccinati? No, anzi: “solo” il 62,7% della popolazione è completamente immunizzato[1], contro il 68% [2] di quella italiana. Allora forse in Germania non esistono no-vax? Falso anche questo, come dimostrano le manifestazioni (ben più frequentate degli sparuti drappelli di no-vax italiani) che hanno invaso Berlino, Stoccarda, Monaco, Amburgo e tante altre città. Allora si vede che in Germania ci sono meno casi, meno contagi e dunque il problema è percepito come meno urgente? No, anche su questo i numeri non mentono: secondo i dati più recenti, l’incidenza settimanale in Germania è di 76,3 casi per 100.000 abitanti contro i 64 dell’Italia. Forse che la legge tedesca non consente l’introduzione di un obbligo? Sbagliato: anche la legge fondamentale della Repubblica Federale – seppur in modo meno esplicito dell’art. 32 della Costituzione Italiana – riconosce la possibilità di introdurre un obbligo di vaccinazione per le categorie a rischio (che, in astratto, potrebbero anche coincidere con l’intera popolazione). Insomma, o la Germania [3] sta commettendo un azzardo spaventoso, oppure in Italia regna una psicosi collettiva. Sicuramente si fa largo un sospetto: che, semplicemente, non sia necessario spingersi a tali estremi. Forse la sensibilizzazione degli indecisi può avvenire sulla base di dati scientifici presentati in modo trasparente (cioè nell’unico modo che la scienza ammette) invece che sulla base di volgari – a mio avviso – invettive moraliste; forse nel dibattito pubblico è possibile dissentire senza perdere il rispetto che in una democrazia è dovuto a tutti, anche a chi sostiene posizioni estreme, assurde, non condivisibili; forse in un sana democrazia liberale il governo sostiene il cittadino a fare scelta consapevole invece di obbligarlo a seguire le sue direttive con paternalismo ottocentesco.

[2] Il dato del governo (oltre il 70%) si riferisce alla popolazione sopra i 12 anni. Sulla popolazione totale la percentuale è lievemente inferiore, intorno al 68%. [3] E non solo la Germania. Bisogna tener presente che nessun paese (salvo Indonesia e un paio di regimi autoritari centroasiatici) ha introdotto l’obbligo vaccinale contro il Covid (neanche la Cina), la Danimarca ha invece revocato tutte le misure di contenimento, nel Regno Unito il governo ha deciso di abbandonare l’idea del green-pass etc. In Italia, al contrario, due terzi della popolazione apparentemente sosterrebbero l’obbligo vaccinale.

Articolo su "El Pais" dalla rassegna stampa di "Epr Comunicazione" il 25 settembre 2021. Il ritmo della vaccinazione contro il Covid – leggiamo su El Pais - ha subito un rallentamento in molti paesi ricchi e, a differenza dei primi mesi della campagna di vaccinazione, quando ciò che mancava erano le fiale, ora mancano le braccia a cui iniettare il farmaco. In Spagna, più del 75% della popolazione ha già completato il programma di vaccinazione, ma questi alti livelli di copertura sono ancora una chimera in alcuni paesi vicini: gli Stati Uniti sono fermi a più del 50% e l'Italia a circa il 64%. La Francia è in testa con l'81%. Precisamente, mentre mezzo mondo lotta per procurarsi dei vaccini che sono ancora inaccessibili per loro, questi tre paesi, che hanno accumulato dosi inutilizzate, devono obbligare i loro cittadini a vaccinarsi. Con diversi gradi di severità, tutti e tre hanno optato per l'applicazione forzata: partendo dal più severo, l'Italia, che ha ordinato a tutti i lavoratori di essere vaccinati; alla direttiva degli Stati Uniti che impone la vaccinazione dei dipendenti federali; alla Francia, che ha ordinato agli operatori sanitari di essere vaccinati entro il 15 settembre. La polemica sulle vaccinazioni obbligatorie è inoltre balzata fuori dagli uffici scientifici e nelle strade: a Parigi, per esempio, gli attivisti anti-vaccini manifestano ogni sabato contro la direttiva del governo francese.

Italia: la prima nel mondo occidentale a renderlo obbligatorio

L'Italia è il primo paese del mondo occidentale a rendere la vaccinazione obbligatoria per tutti i lavoratori, una popolazione di circa 23 milioni di persone. La formula tecnica utilizzata evita, giustamente, di parlare di imposizione giuridica. Ma il decreto approvato dal governo di Mario Draghi giovedì scorso richiede il certificato verde che attesta di aver ricevuto il siero contro il covid-19 per poter lavorare: o come lavoratore autonomo o come dipendente in un'azienda. La garanzia sarà richiesta anche per l'assistenza domestica o i servizi a domicilio, come un idraulico. Queste categorie si aggiungono all'obbligo esistente di mostrare il pass verde in cinema, teatri, palestre e ristoranti. La misura, approvata all'unanimità dal Consiglio dei ministri, è stata accolta con favore anche dagli italiani. Nel centro di Roma, accanto alle rovine del Senato romano in Piazza Largo Argentina, il 28enne Daniel Polaco vende ogni giorno riviste e giornali nel suo chiosco. Nella piccola impresa lavorano lui, suo padre e un dipendente che ora dovrà anche ottenere un certificato verde. "Penso che sia giusto. Se stai a casa, non farti vaccinare, ma se esci, vai al ristorante o in palestra, devi farti vaccinare per motivi di sicurezza. Questa è una pandemia. Ed è vero che ogni lavoro è diverso. Se lo fai all'aperto, può sollevare dei dubbi, ma non puoi andare caso per caso”. All'inizio della pandemia, Polaco non la pensava così. Arrivò a dire che non si sarebbe fatto vaccinare. "Ho pensato che non c'era stato il tempo di studiarlo e di verificare che non ci fossero effetti collaterali. Ma ho vissuto in prima persona il dramma dei parenti morti e ho cambiato idea", dice. Le aziende si troveranno di fronte alla necessità di monitorare i loro lavoratori utilizzando un lettore di codici QR. I dipendenti che non rispettano la nuova regola saranno multati fino a 1.500 euro. Coloro che non hanno il certificato di vaccinazione saranno mandati a casa e, se non presentano il documento entro cinque giorni, saranno sospesi dal lavoro e dalla retribuzione. Marco Vitalli gestisce un negozio di abbigliamento in Via del Corso a Roma. Dodici persone lavorano su due turni. Il negozio è quasi sempre pieno di clienti e gli stessi impiegati ritengono che ci debba essere un controllo. Pietro Buonerba, che lavora nel negozio da quattro anni, non ha dubbi. "Ci sono 23 milioni di lavoratori in Italia. Se un piccolo gruppo decide di opporsi alla vaccinazione, ci mette tutti a rischio. Penso che la decisione sia valida, anche se può sollevare qualche dubbio sulla libertà di ognuno di agire come vuole. La situazione è estrema ed è importante agire in modo unito", dice. 

100 milioni di lavoratori colpiti negli Stati Uniti

La Casa Bianca ha ordinato ai dipendenti del ramo esecutivo e ai lavoratori federali di essere vaccinati contro il coronavirus, oltre a redigere un regolamento che richiederà lo stesso per le aziende con più di 100 dipendenti. "Sto esaurendo la pazienza", ha detto il presidente Joe Biden, annunciando la misura dopo che la variante delta del virus ha mandato i tassi di infezione in estate a livelli non visti da mesi, con più di 1.000 persone che muoiono ogni giorno, quasi tutte non vaccinate. In totale, quasi 100 milioni di lavoratori sono interessati, il che significa due terzi della forza lavoro statunitense. Tuttavia, la tradizione politica che prevale in questo paese, a cui ora si unisce la destra più recalcitrante sotto il marchio di Donald Trump, ha subito fatto scattare i campanelli d'allarme denunciando l'incostituzionalità del decreto presidenziale. La decisione del democratico è stata rapidamente contestata e in più di 24 stati i procuratori generali hanno fatto sapere alla Casa Bianca che se persiste nel renderla obbligatoria dovrà affrontare "azioni legali". La stragrande maggioranza di questi stati sono repubblicani e hanno un'alta incidenza di covid-19, come il Texas e la Florida. "È illegale", dice Marjorie Lansky, 52 anni, di Arlington, Virginia, a proposito dell'inoculazione obbligatoria. Il figlio della signora Lansky - Josh, un postino - è uno di quei casi che si trovano tra l'incudine e il martello: farsi vaccinare entro il periodo di grazia di 75 giorni concesso dall'amministrazione Biden o affrontare il licenziamento. L'unica eccezione per non rispettare l'ordine esecutivo di Biden è rivendicare motivi religiosi. Il figlio maggiore di Lansky non ne ha. Sua madre parla per lui e gli assicura che dovrà essere vaccinato anche se non lo ha fatto fino ad ora, per motivi puramente "personali" che non ha ancora specificato. Come Josh Lansky, circa 80 milioni di persone negli Stati Uniti hanno deciso di non essere vaccinati. Anche se il presidente ha avvertito che se "i governatori degli Stati non contribuiranno a fermare la pandemia" userà il potere conferitogli dalla presidenza, Biden è consapevole che non è possibile esigere la vaccinazione per tutti gli americani, poiché, dopo tutto, spetta a ogni Stato renderla obbligatoria. Con la Costituzione come testimone, che garantisce la sua libertà, e appellandosi alla separazione dei poteri, Jeff Cooper assicura che nessuno, nemmeno il presidente, può obbligarlo a sottoporsi all'ormai famoso colpo di pistola. "Siamo cavie nelle mani delle multinazionali farmaceutiche", dice il 48enne mentre lascia il suo lavoro al Dipartimento del Tesoro. Più del 53% degli americani ha ricevuto il corso completo di vaccini covid-19, secondo i Centers for Disease Control and Prevention (CDC). 

Francia: Macron vince la scommessa dei certificati Covid

La data è finalmente arrivata: 15 settembre. E quel giorno, i pochi operatori sanitari in Francia che non avevano fatto almeno una prima vaccinazione hanno cominciato a usare ogni sorta di stratagemma per salvare il loro lavoro. Senza vaccinazione, secondo la legge annunciata dal presidente Emmanuel Macron il 12 luglio e adottata in agosto, gli operatori sanitari non vaccinati rischiano la sospensione del lavoro e della paga. Maria, un'infermiera di 49 anni in un ospedale alla periferia di Parigi, si è messa in malattia una settimana fa. "Un po' a causa di questo [il vaccino], e a causa della stanchezza, e della fatica mentale e fisica: siamo sotto pressione. Se potessi scegliere, non lo prenderei", risponde. "Ma visto che non puoi scegliere..." E quando tornerà in ospedale? "Non lo so." Come altri operatori sanitari intervistati a Parigi per questa cronaca, Maria non ha voluto dare il suo cognome. Nora, che ha 59 anni e lavora nel reparto di radiologia di un altro ospedale, spiega che un amico medico ha firmato un certificato che la esenta dall'essere vaccinata. "Il mio corpo non può sopportare un corpo estraneo, né i farmaci", dice. Rachid, 45 anni, infermiere in un reparto di psicologia, è in vacanza. Il fatto che ora sia in vacanza, dice Rachid, è una coincidenza, ma gli permette di evitare, almeno fino al suo ritorno al lavoro in ottobre, la data critica a partire dalla quale ha affrontato un dilemma: o si vaccina o rimane in strada. In Francia, non c'è un obbligo diretto di vaccinare tutta la popolazione. Macron ha optato per un'altra strategia: incoraggiare la vaccinazione. In primo luogo, ha reso obbligatoria la presentazione di un certificato sanitario - che dimostra che il titolare è stato vaccinato o è risultato negativo in un recente test di covid-19 - per entrare in cinema, caffè, ristoranti, musei, treni a lunga percorrenza e aerei, tra gli altri spazi pubblici. Il messaggio: per divertirsi, bisogna vaccinarsi. L'altra parte della strategia consisteva nel costringere gli operatori sanitari a farsi vaccinare sotto la minaccia della disoccupazione. È stata una scommessa rischiosa per Macron, ma ha funzionato bene. In un paese in cui il 60% della popolazione era riluttante a vaccinarsi a gennaio, oggi l'81% è vaccinato, davanti a Regno Unito, Israele e Spagna. In un paese in cui lo scetticismo anti-vaccino tra gli operatori sanitari era preoccupante, oggi il 90% degli operatori sanitari sono stati vaccinati e, secondo il ministro della salute Olivier Véran, solo circa 3.000 sono stati temporaneamente sospesi dal lavoro, un numero esiguo in un settore che impiega 2,7 milioni di persone. Alcuni degli ultimi recalcitranti - come Maria, Nora e Rachid - erano alle varie manifestazioni di sabato a Parigi contro il certificato sanitario. Cédric Baron, uno psicologo di 39 anni che ha smesso di andare al lavoro mercoledì, era anche in uno di essi in piazza del Trocadero. Non è stato vaccinato e non ha intenzione di essere vaccinato. "Se fossi stato vaccinato", dice, "avrei mantenuto il mio lavoro".

Barbara Acquaviti per "Il Messaggero" il 20 novembre 2021. «Pacifico e conclamato». Il presidente emerito della Corte costituzionale, Giovanni Maria Flick, sceglie questi due aggettivi per spiegare perché, a suo giudizio, non ci sia alcun dubbio sul fatto che l'obbligo vaccinale sia costituzionale: «Se così non fosse vivremmo in perenne incostituzionalità da quando i vaccini sono stati introdotti per legge e definiti vincolanti salvo l'ipotesi in cui non possa essere somministrato per ragioni specifiche». 

Ora però la scelta dell'Austria, che lo imporrà da febbraio insieme alla posizione (favorevole) del presidente di Confindustria, riaprono il dibattito anche in Italia. Quali sono gli articoli della Costituzione a cui bisogna fare riferimento?

«L'articolo 16 è quello in cui si parla delle possibili limitazioni alla libertà di circolazione e soggiorno mentre l'articolo 32 è quello in cui si dice che nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. Entrambi esprimono un concetto che è già presente nell'articolo 2 della Costituzione: ci sono diritti fondamentali inviolabili della persona e ci sono i doveri inderogabili, tra cui quelli di solidarietà sociale. La mediazione tra i due punti va effettuata alla luce delle indicazioni costituzionali. E le indicazioni costituzionali sulla possibilità di introdurre l'obbligo vaccinale sono conclamate e pacifiche. A mio giudizio non c'è da discutere, come dimostrano i vaccini previsti per l'ammissione scolastica dei bambini». 

Se è così palese allora perché ci si ritrova a discuterne nuovamente nel pieno di una pandemia?

«Perché noi siamo capaci di discutere di tutto. Mi pare che il gusto di contraddire le decisioni dell'autorità sia troppo connaturato nella mentalità italiana. E invece è la scienza che deve formulare delle ipotesi, sperimentarle secondo la prassi e le regole, e quando ha i risultati li deve comunicare alla politica. Ed è quest' ultima che deve prendersi la responsabilità di attuare quello che la scienza suggerisce». 

Perché secondo lei non si è deciso di prevedere l'obbligo di vaccino sin dall'inizio?

«Noi purtroppo siamo un Paese con una situazione politica un po' instabile, con una maggioranza - e lo stiamo vedendo in questi giorni - non dico di emergenza, ma quasi. Io credo che abbiano pesato in primo luogo le difficoltà di introdurre una legge: quali sanzioni, quali metodi di accertamento? Un secondo motivo potrebbe essere il timore di una protesta ancora più violenta. La terza ragione, l'unica che mi sembra fondata purché sia previsto un limite e sia impedita la violenza, è stata la ricerca di persuasione. Una buona legge è quella che viene accolta dai destinatari, che viene capita o comunque accettata in nome della convivenza. Tutto questo un po' è mancato». 

Cosa ne pensa del caso Cunial, la deputata a cui è stato consentito, seppur con molti paletti, di accedere in Parlamento senza Green pass?

«Con tutto il rispetto per la Camera e per la sua sovranità, il fatto che una parlamentare che deliberatamente dica non faccio il vaccino e non ho Green pass venga ammessa tranquillante, mi dà da pensare. Tutto questo accade perché in fondo c'è un discorso di negoziazione nel Green pass. Non nasce come un obbligo, ma come un modo per dimostrare che non si è contagiosi. Io credo che la tendenza italica sia un po' quella di considerare la linea più breve per arrivare a congiungere due punti non la linea retta, come ci insegnavano nella geometria euclidea, ma la spirale». 

L'obbligo vaccinale può essere introdotto per decreto?

«Si può anche fare con decreto legge il quale però non è il toccasana, e ancor meno lo è il Dpcm di buona memoria. Esso è un'anticipazione urgente dell'assoluta necessità della legge e va convalidato entro 60 giorni dalle Camere. Quindi il timore è che poi venga bocciato per ragioni politiche alimentando ulteriori situazioni di confusione». 

Remuzzi: "Ecco perché l'obbligo vaccinale non deve essere un tabù". Marta Moriconi il 27 Novembre 2021 su Il Giornale. Obiettivo: vaccinare più persone possibili. Il Giornale.it ne ha parlato con il direttore dell'Istituto Mario Negri, il professor Giuseppe Remuzzi. Nel decreto legge approvato ieri che detta "misure urgenti" per evitare che la pandemia mieta nuove vittime risalta tra le novità l’estensione dell'obbligo del vaccino a nuove categorie e l’istituzione del super Green pass a partire dal 6 dicembre. Obiettivo: vaccinare più persone possibili. Il Giornale.it ne ha parlato con il direttore dell'Istituto Mario Negri, il professor Giuseppe Remuzzi.

Il super Green pass che spetta solo a vaccinati o guariti per le attività ricreative la trova d’accordo? E’ una misura sufficiente?

“Siamo in una situazione che potrebbe evolvere o in più ricoveri e morti oppure che ci potrebbe premiare come i migliori d’Europa. Cosa succederà? Non siamo in grado di prevederlo ora, tanto più che abbiamo scoperto una nuova sottovariante della variante Delta negli Stati Uniti. Per questo dobbiamo fare il massimo sforzo proprio adesso, per ottenere più pazienti vaccinati possibili. Il super Green pass va nella giusta direzione”.

Cosa risponde a chi dice che il nostro Paese è stato fino a poco tempo fa l’unico Paese ad aver approvato regole tanto restrittive e limitanti?

“Nei dibattiti televisivi si ascoltano tanti discorsi qualunquisti. Abbiamo visto come stanno messi gli altri Paesi d’Europa. Se confrontiamo Italia, Spagna e Portogallo con Romania e Bulgaria e perfino se guardiamo più in là, alla Russia, la differenza è enorme. Noi abbiamo fatto meglio e lo abbiamo fatto sui tre fronti possibili: vaccino, Green pass e comportamenti individuali”.

Il super Green pass però, non obbligherà i bambini a fare il vaccino. Questo mentre proprio oggi arriva la notizia che l'Agenzia europea per i medicinali (Ema) ha approvato il vaccino di Pfizer per quelli tra 5 e 11 anni.

“Su Science e sul New York Times sono usciti di recente due importanti articoli in merito a questa delicata questione. Uno invitava a vaccinare i bambini riportando il calcolo che negli Usa finora sono stati ospedalizzati 8000 bambini dai 5 agli 8 anni non vaccinati e sono morti 172 di loro. E nessuno è morto di vaccino, quindi sono stati 172 bambini che sono morti per niente. L’altro articolo spiegava come la scelta di non dare un vaccino ai bambini non sia una scelta di libertà, ma la scelta di accettare un rischio diverso e molto più serio”.

Le potrebbero ribattere che sul bambino decidono i genitori…

“I bambini hanno i loro diritti, i genitori non possono decidere ad esempio, che non vadano a scuola, tanto è vero che si chiama scuola dell’obbligo”.

Ci pare di intuire che lei approvi l’estensione dell'obbligo del vaccino…

“L’obbligatorietà non è il mio mestiere, posso dire che l’obbligo non dovrà essere un tabù se il super Green pass non basterà. Per ora è buona come misura. Leggendo Giovanni Maria Flick si può capire come sia del tutto costituzionale obbligare le persone a vaccinarsi. Non voglio dire che si debbano obbligare, le soluzioni possono essere tante, la politica deve scegliere, noi diciamo solo che adesso si deve vaccinare il più possibile. Vaccinarsi è un dovere verso gli altri e la salute pubblica e la medicina non sono un’area per scelte personali. Come avrete notato, in questi due anni, le situazioni evolvono continuamente, e non si può lasciare un tema così al giudizio della gente. Che un vaccino possa durare cinque o quattro mesi etc, lo sappiamo solo verificandolo e man mano che arrivano i dati da chi ha fatto gli studi. I cittadini devono essere informati al meglio ma poi non può essere il singolo cittadino a decidere quale sia il farmaco più indicato per lui”.

In molti ritengono che nessuno ha il diritto di mettere in discussione le loro decisioni.

“Tu sei libero di tenere la tua casa in disordine, di accumulare la tua spazzatura nelle stanze ma non hai il diritto di buttarla giù dalla finestra. Per questo io vorrei che le personalità scientifiche non partecipassero a certi spettacoli televisivi, perché altrimenti il pubblico mette sullo stesso piano il Professor Bassetti, il professor Abrignani etc con l’opinione di un giornalista o di un opinion leader. Ma non è così. E’ importante che parlino i medici ma in un contesto non impostato come uno show. Ecco, ci manca una sorta di Piero Angela che moderi un dibattito tra medici”.

La nuova misura governativa sembra mettere d'accordo tutto il mondo scientifico comunque. Ma in un mondo globalizzato ogni sforzo rischierà di essere vano se non si vaccinano tutti i popoli?

“Certo. Finché non è vaccinato il mondo non stiamo tranquilli e non abbiamo risolto il problema, ma abbiamo evitato almeno 12000 morti col vaccino che mi sembrano tanti. Adesso gli Usa stanno procedendo a vaccinare più persone. Si incomincia a farlo anche in Africa. Presto arriveranno i nuovi vaccini poi, a Rmna o anche i proteici, che funzionano contro tutte le varianti di coronavirus”. Marta Moriconi

Niccolò Carratelli per "la Stampa" il 24 novembre 2021. Cosa vuol dire obbligo vaccinale? O meglio, come si applica davvero? Abbiamo chiarito che sarebbe pienamente costituzionale. Siamo in attesa di capire se mai ci sarà la volontà politica (e una maggioranza parlamentare) per approvare una legge che imponga agli italiani l'iniezione anti Covid. Nel frattempo, c'è una domanda che riassume la grande confusione sul tema, l'ha posta qualche sera fa in tv il presidente del Veneto, Luca Zaia: «Vorrei che qualcuno mi spiegasse per filo e per segno come si fa concretamente: con l'accompagnamento coatto? Con l'ammanettamento, l'arresto per la vaccinazione?». Difficile anche solo immaginare che qualcuno possa finire in carcere o ai domiciliari per non essersi vaccinato. Come pure non è pensabile che i No Vax vengano sottoposti a un trattamento sanitario obbligatorio, stanati casa per casa da infermieri armati di siringa. Il tema della sanzione, di cosa si rischia se non si fa il vaccino è, però, cruciale. Oltre 6 milioni senza una dose Prendiamo gli operatori sanitari e i lavoratori delle Rsa, le uniche categorie in Italia ad oggi obbligate a vaccinarsi contro il Covid (con il nuovo decreto anche per la terza dose). Se rifiutano l'iniezione vengono sospesi dal servizio, lasciati a casa senza stipendio. È successo a 2.113 medici, 500 dei quali si sono poi convinti a scoprire il braccio e sono rientrati a lavoro: meno di un quarto del totale, gli altri resistono rinunciando alla busta paga. Per legge non possono essere licenziati. Succederà lo stesso anche con gli altri lavoratori No Vax, a cui per ora basta fare un tampone? D'altra parte, escludendo che le forze dell'ordine possano mettersi a fermare sistematicamente le persone per strada per chiedere il certificato vaccinale, i luoghi di lavoro restano la principale occasione di controllo. Ma non tutti i 6 milioni e 700mila italiani over 12 tuttora senza la prima dose lavorano. E, soprattutto, molti sono lavoratori autonomi, artigiani, liberi professionisti, quindi datori di lavoro (e controllori) di sé stessi: già ora eludono serenamente l'obbligo di Green Pass, senza disturbarsi a fare il tampone, potranno fare lo stesso con quello di vaccinazione. Senza contare che un milione e 100mila sono ragazzi tra i 12 e i 19 anni, che vanno a scuola, senza bisogno del vaccino (o del Green Pass). Per loro, eventualmente, si dovrà adottare una disciplina simile a quella fissata dalla legge Lorenzin del 2017 per gli studenti dai 6 ai 16 anni: per tutelare il diritto allo studio, vanno in classe anche da non vaccinati e i genitori inadempienti possono vedersi infliggere una multa da 100 a 500 euro, su iniziativa della Asl competente, in base a quante delle dieci vaccinazioni pediatriche obbligatorie vengono saltate. Non è dato sapere, però, quante sanzioni di questo tipo siano state comminate in Italia negli ultimi tre anni, pare non esistano dati ufficiali. La strada austriaca E allora torniamo al tema centrale: cosa rischierebbe davvero chi non dovesse rispettare l'eventuale obbligo di vaccinazione. Probabilmente solo una multa, magari più alta di quella che si paga ora se si viene beccati senza Green Pass o si viola una delle regole anti Covid. In Austria, primo Paese dell'Unione europea a introdurre l'obbligo vaccinale, che scatterà da febbraio (non è ancora chiaro per quali fasce anagrafiche), la bozza di legge prevede sanzioni amministrative pesanti, fino a 3.600 euro. Insomma, se non basterà tagliarli fuori dalla vita sociale (con il super Green Pass solo per i vaccinati, per accedere ai luoghi dello svago), l'ultimo tentativo per recuperare i No Vax sarebbe prenderli dal portafoglio: niente stipendio e multa tripla da versare allo Stato.

PERCHÉ IL VACCINO NON E’ OBBLIGATORIO? Flavia Amabile per “la Stampa” il 23 agosto 2021. Se ne discute ogni giorno di più. Si litiga ogni giorno di più ma per il momento l'obbligo vaccinale è lontano dai tavoli del governo. Al ministero della Salute sarebbero anche favorevoli ma fonti vicine al dicastero fanno capire che non ci sono le condizioni. Per introdurre un obbligo è necessaria una legge che dovrebbe essere votata dal governo e poi dal Parlamento. Sul Green Pass Draghi è riuscito a ottenere l'approvazione all'unanimità da parte del Consiglio dei ministri ma il decreto è stato travolto da una valanga di emendamenti alla Camera anche da parte della stessa maggioranza. L'esecutivo quindi sa che su una misura ancora più coercitiva come l'obbligo vaccinale difficilmente si troverebbero i numeri in Consiglio dei ministri e ancora più difficilmente in Parlamento. Nulla però esclude che la situazione cambi nelle prossime settimane sottolineano dal ministero della Salute. E lo ha precisato due giorni fa anche il sottosegretario alla Salute Andrea Costa che ha definito l'obbligo l'«ultima ipotesi» se la campagna non dovesse raggiungere l'obiettivo dell'80% dei vaccinati entro fine settembre. Per il momento il governo resta convinto della necessità di convincere gli italiani vaccinarsi senza ricorrere a obblighi. Una linea condivisa quasi ovunque nel mondo. Lo ha ricordato ieri il presidente della Regione Emilia Romagna Stefano Bonaccini a margine del suo intervento al Meeting di Rimini che ha confermato di essere a favore dei vaccini ma ha ricordato che «nessun Paese al mondo, tranne l'Indonesia e forse l'Uzbekistan, ha finora stabilito l'obbligo di vaccino anti Covid». Eppure in tanti stanno chiedendo al governo di decidersi. Alcuni anche con la voglia di scaricare sull'esecutivo ogni responsabilità, come ha denunciato ieri il presidente di Confindustria Vincenzo Bonomi che dopo la richiesta della Cisl di due giorni fa all'esecutivo di intervenire sull'obbligo, ha attaccato il sindacato. «È troppo facile rimandare la lattina alla politica. C'è una differenza di posizione tra i partiti che difficilmente potrà farci arrivare a una legge. Ma possiamo sederci a un tavolo oggi stesso», ha spiegato Bonomi invitando i rappresentanti dei lavoratori a raggiungere un accordo e evitare ulteriori chiusure. La decisione, quindi, è innanzitutto politica ma, nonostante le pressioni di alcuni settori della popolazione, ovunque i governi preferiscono affidarsi alla responsabilità dei cittadini perché l'obbligo è una fonte di grane certe. In Italia l'obbligo è stato introdotto solo per chi esercita professioni sanitarie e, in modo indiretto, nelle scuole e nelle università, chiedendo il Green Pass per i lavoratori, e nelle università anche per gli studenti. Un migliaio di sanitari, tra medici e infermieri, hanno presentato un ricorso al Tar della Toscana per chiedere la sospensione dei provvedimenti nei confronti di coloro che non si sono vaccinati. Lo ha confermato due giorni fa Tiziana Vigni, avvocata che li assiste nella causa. «Abbiamo già notificato ed è in corso di deposito del ricorso con circa 1.000 ricorrenti ma stiamo raccogliendo altre firme, circa 200, per un altro ricorso uguale». Sono solo una parte dei tanti ricorsi presentati da aprile in poi, quando è stato introdotto l'obbligo di vaccino per i sanitari, da parte di chi ha deciso di opporsi. Nelle ultime settimane, Tar e giudici hanno respinto molti di questi ricorsi ma l'opposizione legale non si ferma. Francesco Fontana, avvocato, presidente di Iustitia in Veritate, sta monitorando 200 casi di sanitari non vaccinati decisi a impugnare le sospensioni che stanno per arrivare dalle amministrazioni. «L'obbligo non ha alcun fondamento. Da un lato si viene obbligati a firmare un consenso che per legge dovrebbe essere libero e dall'altro lo Stato si dichiara esente da ogni responsabilità in caso di effetti sulla salute» spiega. La battaglia è appena iniziata nel mondo della scuola dove il Green Pass obbligatorio ha creato molto malcontento. Marcello Pacifico, presidente dell'Anief ha avuto solo in tre giorni duemila adesioni per presentare ricorso. E si prepara a tre azioni, la prima contro il Green Pass nelle università, la seconda al Tar per chiedere la disapplicazione dell'obbligo nelle scuole e la terza al tribunale ordinario per contestare la discriminazione in contrasto con il regolamento comunitario.

GLI SCIENZIATI SPINGONO PER L'OBBLIGO DI VACCINO: «EMERGENZA SANITARIA». Mauro Evangelisti per “il Messaggero” il 23 agosto 2021. Parlare di obbligo vaccinale, quanto meno per alcune categorie oltre agli operatori sanitari o per determinate fasce di età, non è più un tabù. Il tema è sul tavolo del governo ora che la campagna di immunizzazione ha subito un rallentamento, con una diminuzione del numero di iniezioni quotidiane, mentre nei reparti di terapia intensiva i pazienti sono quasi tutte persone che non hanno ricevuto la seconda dose e, molto più spesso, neanche la prima. Per oggi è atteso l'intervento del ministro della Sanità, Roberto Speranza, al Meeting di Rimini. Da settimane uno dei membri più ascoltati del Comitato tecnico scientifico, il professor Sergio Abrignani, immunologo dell'Università Statale di Milano, lo ripete: siamo nel pieno di una emergenza sanitaria, l'unico modo per uscirne è prevedere l'obbligo vaccinale, perché serve a ridurre la circolazione del virus e a limitarne gli effetti negativi. Abrignani aggiunge sempre che il sostegno allo strumento dell'obbligo del vaccino anti Covid è una sua posizione personale, ma ormai su questo tema le pressioni a fare di più sono molteplici. Ad esempio, anche un altro componente del Comitato tecnico scientifico, Fabio Ciciliano, invita a prendere in considerazione questa soluzione. E ieri è tornato alla carica il governatore della Liguria, Giovanni Toti, il primo a dire senza troppi giri di parole che il vaccino sopra i 50 anni deve essere obbligatorio. Ieri ha scritto sul suo profilo Facebook: «Se entro la settimana prossima non avremo un sufficiente numero di prenotazioni per il vaccino e i numeri non saranno cambiati, sarà il caso di passare all'obbligo vaccinale per alcune categorie. Non vedo perché un lavoratore vaccinato debba essere costretto a convivere con un non vaccinato oppure un insegnante vaccinato debba partecipare alle riunioni didattiche con insegnanti e personale non vaccinato. E banalmente perché un cittadino che si è diligentemente vaccinato debba dividere il posto in autobus con un non vaccinato. Forse qualcuno spera di far chiudere ancora l'Italia, per giocare sulla paura e la miseria. Questo non deve accadere». Toti sfida anche i No vax ricordando che i letti di ospedale sono pieni di persone non vaccinate, oltre 4 milioni di cittadini tra i 50 e i 60 anni «non si sono né prenotati né vaccinati: sono proprio loro che finiscono in ospedale». Morale: «Non possiamo rimanere schiavi di superstizioni, di battaglie di retroguardia e men che meno di meschini giochi politici, di chi strumentalizza e sfrutta per interesse una vera e propria macchina di insulti organizzata sui social da pochi fanatici No vax». Anche all'interno del governo la riflessione è cominciata, dopo che il consulente del commissario Figliuolo, il professor Guido Rasi, si è schierato a favore dell'obbligo vaccinale. Parallelo, ma non sovrapponibile, corre l'applicazione di un altro tipo di strumento che, va sempre ricordato, non è necessariamente collegato al vaccino perché si può ottenere anche con un semplice tampone antigenico negativo eseguito nelle ultime 48 ore. Dice il sottosegretario alla Sanità, Andrea Costa: «Per l'obbligo di Green pass penso a tutte quelle attività dove c'è da garantire la continuità di un servizio, per esempio gli operatori del Trasporto pubblico locale, i dipendenti dei market e dei servizi essenziali. E anche gli impiegati degli uffici comunali e pubblici dovranno tornare alla normalità e in presenza: hanno la responsabilità di garantire un servizio al Paese e a contatto con il pubblico». Per il segretario del Partito democratico, Enrico Letta, che parla all'indomani dell'attacco del presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, che ha criticato i sindacati perché si sono opposti al Green pass nelle aziende e nelle mense: «Il nostro Paese deve far esperienza dei mesi scorsi. Non si può sbagliare. Noi abbiamo oggi uno strumento in più: il Green pass, le vaccinazioni. Bisogna che sia esteso al maggior numero di attività, solo così noi saremo in grado di dare libertà alle attività e alle persone e quindi alla ripresa in sicurezza. A partire dalla scuola che è la grande priorità. L'impegno che dobbiamo mettere è mai più dad: i dati degli Invalsi dimostrano che disastro è stata la dad. Io sono la massima espansione del Green pass. Invoco che ci sia un lavoro a tre tra istituzioni, sindacati e rappresentanti delle imprese per trovare le soluzioni migliori: abbiamo tutti voglia di soluzioni e non di problemi. L'importante che ciascuno faccia la sua parte». Mauro Evangelisti

Sergio Harari per il “Corriere della Sera” il 7 settembre 2021. L'obbligatorietà dei vaccini di cui tanto si discute in questi giorni non è certo una novità e stupisce un po' il clamore che accompagna il dibattito pubblico se si considera che il primo obbligo vaccinale fu introdotto nel nostro Paese all'indomani dell'unità d'Italia, nel 1888, per arginare la diffusione del vaiolo. L'obbligo fu poi abolito nel 1981, dopo che nel 1979 l'Oms aveva dichiarato la completa eradicazione in tutto il mondo della malattia. Successivamente divennero obbligatorie le vaccinazioni contro la difterite (1939), la poliomielite (1966), il tetano (1968) e l'epatite B (1991). L'Italia è stato poi uno dei primi Paesi a introdurre nel 2006 la vaccinazione universale facoltativa per le infezioni da Papilloma Virus, importante misura preventiva contro il cancro della cervice uterina. Il provvedimento necessitò dell'inserimento di uno specifico emendamento alla Legge finanziaria del 2008 per sostenere la campagna vaccinale dato l'elevato costo del vaccino (allora circa 500 euro per la schedula di tre dosi). A seguito della legge n. 119 del 31 luglio 2017, sono state rese obbligatorie altre 6 vaccinazioni oltre alle quattro già in vigore (difterite, tetano, poliomielite ed epatite B), quelle per morbillo, parotite e rosolia, pertosse, Haemophilus tipo b e varicella. La stessa legge prevede inoltre quattro vaccinazioni fortemente raccomandate, ma non obbligatorie, ad offerta attiva e gratuita da parte di Regioni e Province autonome: l'anti-meningococcica B, l'anti-meningococcica C, l'anti-pneumococcica e l'anti-rotavirus. Tralasciando le polemiche politiche e venendo ai dati scientifici, l'obbligo vaccinale non è quindi certo una novità, né nel mondo né nel nostro Paese, e rappresenta l'unica possibilità per debellare alcune malattie infettive: la storia, a partire dall'esempio del vaiolo, ne è testimone. D'altra parte, tra obbligo e semplici misure di convincimento non ci sono dubbi sulla maggiore efficacia del primo e anche qui la storia può esserci di aiuto. Nel 2007 la Regione Veneto ricorse contro l'obbligo vaccinale per i minori fino ai 16 anni di età, sostenendo tra i vari argomenti che una campagna di sensibilizzazione e comunicazione ai cittadini avrebbe ottenuto risultati migliori che la coercizione, ma non fu così: nei 10 anni durante i quali fu in vigore la libera scelta le coperture vaccinali della popolazione veneta furono inferiori al resto del Paese. Nel 2017 la Corte Costituzionale respinse infine definitivamente il ricorso con la motivazione che «le misure in questione rappresentano una scelta spettante al legislatore nazionale. Questa scelta non è irragionevole, poiché volta a tutelare la salute individuale e collettiva e fondata sul dovere di solidarietà nel prevenire e limitare la diffusione di alcune malattie». Forse le stesse ragioni di solidarietà e tutela della salute collettiva si potrebbero addurre per l'introduzione dell'obbligo vaccinale anche per il Sars-CoV-2. Lasciando una parte, seppur limitata e minore, della popolazione scoperta dalla copertura vaccinale, oltre al rischio al quale andrebbero incontro i soggetti non immunizzati, lasceremmo terreno fertile al virus per proseguire nella sua sopravvivenza, mutare, continuare a circolare e prima o poi dare luogo a varianti pericolose. L'esempio che stiamo vivendo in questi mesi con la rapidissima diffusione della delta e le prime preoccupanti segnalazioni di altre, come la lambda, ne sono la controprova. Per questo l'obbligatorietà, una volta ottenute le approvazioni finali degli enti regolatori Fda e Ema, è una strada non solo ragionevole ma molto probabilmente l'unica che possa garantire una duratura via d'uscita dalla pandemia e che possa mettere al riparo il Paese dal pericolo di nuove ondate che avrebbero drammatiche ripercussioni di salute e economiche. I vaccini per il Sars-CoV-2 hanno avuto una prova sul campo, di «real life» come si dice tecnicamente, che mai in passato ha avuto nessun vaccino nella storia della medicina, ad oggi oltre 5 miliardi e mezzo di persone sono state immunizzate e ormai conosciamo bene i rari e circoscritti effetti collaterali. La storia dei vaccini ci insegna, come ha recentemente ricordato Antony Fauci, che i possibili effetti collaterali si manifestano, quando occorrono, nell'arco di qualche settimana dalla inoculazione, mai di anni, non si capisce quindi sulla base di quale argomento biologico qualcuno possa supporre qualcosa di diverso per quelli attualmente in uso contro il Coronavirus. L'ipotesi poi di un terzo richiamo non è certo una novità, anche le vaccinazioni per il tetano e l'epatite B, che come già ricordato sono obbligatorie da anni, prevedono un ciclo di tre somministrazioni. Una volta adottato l'obbligo vaccinale resterebbero aperti altri importanti problemi per sconfiggere la pandemia: la diffusione della vaccinazione nelle aree più povere del mondo, l'adozione di misure uniformi di sorveglianza, prevenzione e controllo a livello europeo e non solo (l'Oms in questo senso dopo i tanti errori commessi potrebbe riacquisire un ruolo importante), la necessità di dover eventualmente implementare campagne con successivi richiami (così come si fa, ad esempio, con l'influenza stagionale o per altre malattie infettive), mentre restano ancora scarse le armi terapeutiche contro la malattia una volta che si è manifestata in forma conclamata.

Vaccini, ecco tutti gli obblighi imposti finora dallo Stato. Giampiero il 27/07/2021 su Notizie.it. Vaccini, ecco tutti gli obblighi imposti finora dallo Stato: dalla questione green pass fino a quella giuridica che impone una legge parlamentare. Vaccini e leggi che li regolano, tutti gli obblighi imposti finora dallo Stato sono figli di situazioni normative di emergenza che nel corso della storia si sono ripetute in maniera periodica. E l’ultima in ordine di tempo è esattamente quella che stiamo vivendo nella fase finale di questo concitato biennio, con il governo Draghi che ha normato ad esempio sull’obbligatorietà del green pass a partire dal 6 agosto. Come sempre accade in maniera ricorrente l’Esecutivo ha una specie di “mission” che prende piede anche dall’obbligatorietà di un documento che della vaccinazione è conseguenza: convincere gli indecisi. Pare che la cosa stia funzionando, a contare il boom di prenotazioni per i vaccini di questi giorni, ma con le epidemie massive i “pare” non servono, perciò il governo sta valutando l’obbligatorietà. E qui la questione, se non fosse urgente, darebbe adito ad analisi sociologiche, e partirebbe da una domanda: i No Vax crescono e sono più aggressivi perché il governo li ha “punti sul vivo” con il green pass o il green pass serve esattamente per vanificare una riottosità che i No Vax hanno sempre avuto? In maggioranza l’obbligo vaccinale esteso da sanitari a docenti e personale connesso è visto con favore da molti, in primis da Forza Italia, ma la faccenda è ancora prospettica e non ci sono leggi o decreti in merito. Renato Brunetta, che presiede il dicastero della Pubblica Amministrazione, non ha dubbi: l’obbligo va esteso a chi fa front office nella pubblica amministrazione e a chi lavora nei servizi pubblici. Lo spauracchio è la ripresa di settembre che non è poi così lontana, ovvio. Tuttavia in tema di vaccinazioni obbligatoria c’è la questione giurisprudenziale che pesa, non tanto in termini di merito, quanto di mezzo e forma, ma in Italia e con la democrazia parlamentare forma e merito coincidono, vediamo perché.

Il costituzionalista Cassese sui vaccini e su tutti gli obblighi: “Serve una legge”. A Il Dubbio lo spiega Sabino Cassese che della Corte Costituzionale è presidente emerito: “La Costituzione dispone che possono essere introdotti trattamenti sanitari obbligatori, ponendo un solo limite: quello di farlo per legge”. Tradotto: niente decreto da palazzo Chigi, se si vuol farlo tocca al Parlamento e alla sua composita capacità legiferativa. E ancora: ”La Costituzione stabilisce che la Repubblica tutela la salute, aggiungendo che lo fa sia per tutelare un diritto dell’individuo, sia per assicurare un interesse della collettività. Quindi possono essere disposti trattamenti sanitari obbligatori. La Consulta ha aggiunto che la legge che li dispone deve essere non discriminatoria e proporzionata”. E in merito i precedenti non mancano: nel 1939, 1963, 1966, 1991 e 2017 vennero varate leggi che obbligano i cittadini e sottoporsi a diversi tipi di vaccini. Tanto che chi è in età pediatrica, “da zero a 16 anni, è già soggetto a un obbligo vaccinale. Questo obbligo riguarda ben 10 vaccinazioni”.

Vaccini, ecco tutti gli obblighi e le malattie che abbiamo sconfitto o domato Fu con quelle leggi che molte malattie vennero eradicate, cioè letteralmente cancellate dal pianeta togliendo il terreno sotto i rispettivi agenti patogeni con vaccinazioni massive. Poliomielite, vaiolo e morbillo sono alcune di esse. Nel ‘39 fu resa obbligatoria la vaccinazione contro la difterite entro i primi due anni di vita. Al vaccino anti polio toccò nel 1966, al tetano con una legge del ‘63 integrata nel ‘68, all’epatite B nel 1991. L’obbligo a vaccinare contro il vaiolo venne sospeso nel 1977, quando l’eradicazione era in corso negli ultimi focolai indiani e russi ed abolito nel 1981, quando “variola maior” esisteva solo conservato in alcuni siti refrigerati del CDC di Atlanta.

Vaccini, quali sono tutti gli obblighi condensati nella legge 119/2017. Senza contare che la legge 119/2017 ha rimesso sul tavolo l’obbligatorietà di un gruppo di vaccinazioni per gli italiani fra 0 e 16 anni, nella crono di oggi quindi a partire dai nati del 2001. Quali sono? Anti-poliomielitica; anti-difterica; anti-tetanica; anti-epatite B; anti-pertosse; anti Haemophilus Influenzale tipo B; anti-morbillo; anti-rosolia; anti-parotite; anti-varicella, quest’ultimo a partire dai nati nel 2017.

Da “La Stampa” il 25 luglio 2021. La vaccinazione come tutti gli eventi di massa fa parlare di sé, dando vita a quella che in termini scientifici si definisce aneddotica, cioè il sentito dire senza verifiche, che col passaparola spesso diventa fake news. Ecco una carrellata di bufale, che alimentano la diffidenza nei confronti della via maestra per uscire dalla pandemia. 

1) I vaccini contro il Covid-19 sono sperimentali. 

No, tutti i vaccini approvati dall’Ema sono il risultato di sperimentazioni concluse e successive revisioni, per cui sono sicuri ed efficaci. Quando in rarissimi casi e fasce precise di popolazione ci sono stati problemi le autorità lo hanno comunicato e hanno modificato i criteri di vaccinazione. 

2) Gli effetti collaterali si vedono nel tempo. 

La maggior parte degli effetti collaterali si manifesta entro pochi minuti e al massimo entro due giorni. Si tratta di eventi rari e leggeri, a meno di soffrire di patologie particolari per le quali c’è la visita medica precedente la vaccinazione. I centri vaccinali hanno tutta l’attrezzatura per fare fronte a particolari situazioni ed è per questo che dopo la dose si attendono 15 minuti in osservazione. 

3) Dentro i vaccini c’è il metallo.

Una volta forse, e non ne è mai stata dimostrata la pericolosità nelle quantità contenuta nei vaccini. Oggi nel Pfizer ci sono mRna, composti chimici, colesterolo, potassio cloruro, potassio diidrogeno fosfato, sodio cloruro, fosfato disodico diidrato, saccarosio e acqua. E nell’AstraZeneca adenovirus di scimpanzé, L-istidina, L-istidina cloridrato monoidrato, cloruro di magnesio esaidrato, polisorbato 80, saccarosio, disodio edetato e acqua. 

4) I vaccini fanno venire l’autismo.

E’ una leggenda che risale al vaccino contro il morbillo e nasce da uno studio fraudolento di un medico inglese radiato dall’albo. Numerose ricerche scientifiche provano l’esatto opposto. 

5) I vaccini indeboliscono il sistema immunitario. 

Al contrario, sono un’ottima ginnastica per l’organismo e secondo gli immunologi qualsiasi vaccino fortifica almeno in parte contro tutti gli agenti patogeni. 

6) Meglio prendere la malattia in forma lieve che vaccinarsi. 

Ammalarsi di una patologia prevenibile con il vaccino impegna il sistema immunitario molto più di quanto accada sottoponendosi alla vaccinazione, ed espone a parecchi rischi soprattutto nel caso di un virus nuovo i cui effetti a breve e lungo termine sono tutti da studiare. 

7) I vaccini a Rna cambiano il codice genetico.

Impossibile, l’Rna messaggero trasporta semplicemente le istruzioni per la produzione della proteina Spike utilizzata dal virus per attaccarsi alle cellule, così che l’organismo produca gli anticorpi specifici. 

8) Se la malattia per i giovani è simile all’influenza è inutile vaccinarsi. 

Purtroppo ci sono rari casi di ricoveri con sintomi gravi anche nelle fasce di età minori, nonché serie preoccupazioni per gli effetti del long Covid pure sugli asintomatici guariti. E poi ci sono giovani particolarmente esposti, fragili o con altre malattie. Bisogna inoltre pensare al ruolo sociale dei ragazzi, alle famiglie e alle istituzioni che li circondano, dalla scuola ai centri sportivi. Infine, non è corretto paragonare il Covid all’influenza, sia per la sua storia sia perché anche per quest'ultima è consigliata la vaccinazione a bambini, anziani e fragili. 

9) La vaccinazione ai bambini fa male. 

La posizione della Società italiana di pediatria è di consigliare caldamente il vaccino a tutti i ragazzi dai 12 anni in su, come da autorizzazione dell’Ema. Il motivo per cui non si vaccinano ancora i più piccoli è che sono in corso le verifiche sugli studi riguardanti quelle fasce di età, ma è probabile che entro pochi mesi arrivi il via libera dai 6 anni in su.

Da blitzquotidiano.it il 6 agosto 2021. Novavax presto potrebbe essere autorizzato in Europa diventando così il quinto vaccino autorizzato dopo quello di Pfizer, di Moderna, di AstraZeneca e Johnson & Johnson. La casa farmaceutica, anche in questo caso è statunitense. La Commissione Ue ha firmato un accordo per fornire ai Paesi dell’Unione fino a 200 milioni di dosi che arriveranno nel quarto trimestre 2021 e poi a seguire nei prossimi due anni.

Novavax quinto vaccino in Europa non appena verrà giudicato “sicuro ed efficace”. L’intesa diventerà operativa non appena il vaccino sarà giudicato “sicuro ed efficace” dall’Agenzia europea per i medicinali. Si tratta di un vaccino proteico che, come dichiarato anche dalla Commissione europea sembra efficace contro tutte le varianti. Stella Kyriakides, la commissaria alla salute, ha sottolineato che “l’accordo con Novavax amplia il nostro portafoglio includendo un altro vaccino a base di proteine, tipologia che sta dando promettenti risultati nei trial clinici”. Novavax è un vaccino a base di proteine ricombinanti. I vaccini attualmente in commercio sono a vettore virale, a mRna e a virus inattivato. Come spiega al Corriere Sergio Abrignani, professore ordinario di Patologia generale all’Università Statale di Milano e direttore dell’Istituto nazionale di Genetica molecolare “Romeo ed Enrica Invernizzi”, oltre che membro del Comitato tecnico-scientifico per l’emergenza Covid: “NVX-CoV2373 (è il nome del vaccino) agisce in modo diverso. Introduce nell’organismo la proteina Spike messa a punto in laboratorio” che viene mixata con un adiuvante a base di saponina. Il mix “serve per stimolare il sistema immunitario innato. Quest’ultimo aiuta a sua volta l’innesco della ‘risposta adattativa’ ovvero i linfociti T e B, e di conseguenza la produzione di anticorpi diretti contro il coronavirus”. 

Novavax vaccino che può convincere gli indecisi. Essendo un vaccino a proteine ricombinanti, tecnica utilizzata e conosciuta da più di trent’anni, Novavax, a detta di Abrignani potrebbe convincere gli scettici. Questo tipo di tecnica ha infatti permesso di produrre vaccini oggi usati anche per proteggere i neonati. Vaccini che non hanno effetti collaterali di rilievo e che curano epatite B, il meningococco B, l’herpes zoster e l’Hpv. Il trial clinico di fase 3 mostra intanto che Novavax ha un’efficacia simile a quelli a mRna come Pfizer e Moderna. Lo studio conclusivo e pubblicato sul New England Journal of Medicine, ha confermato un’efficacia del 96,4% contro il ceppo originario del virus, dell’86,3% contro la variante Alfa e dell’89,7% in generale. Negli Stati Uniti e Messico è stata condotta un’altra indagine che ha mostrato un’efficacia pari al 100% contro la malattia moderata e grave e il 90,4% di efficacia totale. In Sudafrica si è rivelato efficace contro la variante Beta, la più cattiva tra tutte che ha però un’efficacia limitata. Il vaccino NVX-CoV2373 contiene inoltre un antigene proteico purificato che non permette al virus di replicarsi. Novavax, anche in questo caso due iniezioni. Si conserva in frigo e può essere usato per le terze dosi. Anche in questo caso le iniezioni sono due che vengono fatte a 21 giorni di distanza. Il vaccino va inoltre tenuto in frigo, a 2-8 gradi. La sua approvazione potrebbe arrivare dopo l’estate e potrebbe essere usato per le terze dosi. 

Ecco le 12 fake news sui vaccini (che l’Iss intende smentire). Ecco le 12 fake news sui vaccini che l'Istituto Superiore di Sanità smentisce, pubblicando un vademecum con le informazioni corrette. Ecco "bufale" e verità. Il Corriere.it-Il Dubbio il 9 agosto 2021. Da «I vaccini causano il contagio» a «D’estate non serve vaccinarsi» sono molte le fake news che circolano sui vaccini anti Covid. Ecco allora un vademecum, a cura del Gruppo Vaccini dell’Istituto superiore di Sanità, con le risposte alle principali “bufale” che si trovano in rete. Le 12 fake news sui vaccini:

«Non si conoscono gli effetti a breve e lungo termine, i vaccini sono stati prodotti troppo velocemente e le uniche informazioni vengono dalle aziende» – Il sistema di farmacovigilanza per i vaccini contro il Sars-Cov-2 è lo stesso di tutti gli altri farmaci e vaccini già approvati in precedenza. Dopo i risultati degli studi autorizzativi effettuati su decine di migliaia di individui di diversa età, che sono stati condotti anche in questo caso, vengono raccolte le segnalazioni dalle agenzie regolatorie nazionali e internazionali di possibili eventi avversi temporalmente correlate con la vaccinazione. In caso vengano evidenziati eventi avversi non manifestatisi durante gli studi autorizzativi, se dopo un’indagine approfondita viene sospettata o dimostrata una relazione causale con la vaccinazione, vengono aggiunti all’elenco delle reazioni avverse e che sono elencate nelle schede informative dei vari vaccini (farmacovigilanza post marketing).

«I vaccini anti Covid sono sperimentali» – I vaccini autorizzati contro il Sars-Cov-2 hanno completato tutti i passaggi della sperimentazione necessari per l’autorizzazione all’immissione in commercio senza saltarne alcuno. Per questi vaccini il processo di sviluppo ha subito un’accelerazione senza precedenti a livello globale ma al momento della loro autorizzazione da parte dell’Agenzia Europea per il farmaco erano state percorse tutte le stesse tappe dell’iter di sperimentazione previste per gli altri vaccini in commercio. I vaccini attualmente usati nella campagna vaccinale in Italia (Comirnaty di Pfizer-BioNtech, Vaxzevria di Astrazeneca, Spikevax Moderna, Vaccino anti COVID-19 Janssen) pertanto non sono sperimentali, ma preparati regolarmente immessi in commercio dopo aver completato l’iter che ha testato la loro qualità, sicurezza ed efficacia.

«I vaccini provocano l’infezione» – I vaccini attualmente in uso in Italia usano la tecnologia a mRNA (Pfizer-Biontech e Moderna) e quella a vettore virale (Astrazeneca e Janssen). In entrambi i casi si introducono nell’organismo le istruzioni per produrre frammenti della proteina che il virus usa per “agganciare” la cellula. Quindi non viene utilizzato il SArs-CoV-2 vivo e infettante. Una eventuale malattia COVID-19 successiva alla vaccinazione può essere quindi causata solo da una infezione naturale del virus contratta indipendentemente dal vaccino.

«I vaccinati sono contagiosi» – Questo è possibile perché, come per tutti i vaccini esistenti, l’efficacia anche se molto alta non è del 100%, e ci possono essere quindi i cosiddetti “fallimenti vaccinali”. Inoltre anche un soggetto che risponde al vaccino si può ritenere immunizzato solo dopo almeno una settimana dal completamento del ciclo. Un livello di copertura della popolazione alto nella popolazione minimizza il rischio di trasmissione tra individui suscettibili all’infezione. I dati provenienti dai paesi con una campagna vaccinale avanzata, Italia compresa, hanno dimostrato che il vaccino protegge dalle conseguenze peggiori della malattia, dal ricovero al decesso, oltre 9 persone ogni 10 vaccinate. La vaccinazione riduce anche la capacità di infettare dei vaccinati.

«Vengono nascosti effetti collaterali e decessi post vaccino» – I dati della farmaco-vigilanza sono pubblici. In Italia l’Agenzia Italiana per il farmaco (AIFA) pubblica periodicamente il resoconto le segnalazioni di sospetti eventi avversi, e lo stesso fa l’autorità europea Ema.

«Il vaccino causa infertilità e aborti» – Al momento non c’è nessuna evidenza scientifica di un effetto negativo dei vaccini sulla fertilità maschile o femminile. Per quanto riguarda la somministrazione del vaccino in gravidanza, le prime osservazioni, soprattutto dei dati Usa dove sono migliaia le donne immunizzate durante la gestazione, non hanno rilevato un aumento di rischio di effetti avversi per madri e neonati.

«Il vaccino modifica il nostro DNA» – I vaccini anti COVID-19 non cambiano e non interagiscono in alcun modo con il DNA. Sia i vaccini a mRNA che a vettore virale forniscono istruzioni alle nostre cellule utili ad attivare una risposta immunitaria così da proteggere contro il Sars-Cov-2.

«Il vaccino causa trombosi e miocarditi» – Tutti i farmaci e i vaccini possono avere effetti collaterali. Le Agenzie regolatorie riportano queste due patologie, che peraltro sono anche tra quelle causate dall’infezione, come rari effetti avversi della vaccinazione. Proprio per la loro estrema rarità questi effetti lasciano comunque il rapporto benefici-rischi a favore dei primi, come rilevato da tutte le agenzie regolatorie internazionali.

«I produttori di vaccini e i medici fanno firmare il consenso per evitare responsabilità» – La vaccinazione è un atto medico, e prevede quindi la firma di un consenso informato per essere sicuri che il vaccinando comprenda i benefici e rischi connessi.

«Dai 19/20 anni in giù per i soggetti sani è impossibile morire per Covid e pure manifestare sintomi gravi» – Anche se nelle fasce più giovani il rischio di sviluppare un’infezione sintomatica è minore rispetto agli adulti, è comunque presente. Dall’inizio della pandemia al 17 luglio ad esempio ci sono stati 28 decessi nella fascia di età 0-20 anni. In ogni caso lo scopo della vaccinazione anche nelle fasce di età più giovani è anche quello di limitare a livello di popolazione la circolazione del virus e permettere quindi di uscire dalla pandemia, oltre che di proteggere i soggetti più fragili.

«Più vacciniamo più escono nuove varianti» – Le varianti emergono perché il virus, replicandosi, tende a sviluppare nuove mutazioni. I vaccini, riducendo la circolazione, limitano quindi la possibilità che il virus muti. Le varianti in circolazione in questo momento inoltre, compresa la “Delta”, sono state osservate per la prima volta lo scorso dicembre, quando ancora le campagne vaccinali erano iniziate in pochissimi paesi

«D’estate il virus scompare, è inutile vaccinarsi o mettere le mascherine» – La trasmissione del virus è facilitata dalla frequentazione degli ambienti chiusi, ma anche all’aperto, in caso di assembramenti, è possibile la sua circolazione, ed è quindi necessario adottare le misure opportune.

Tutte le fake news sui vaccini: non è vero che sono stati autorizzati in emergenza, l’Ema non può farlo. Redazione sabato 31 Luglio 2021 su Il Secolo d'Italia. I vaccini contro Covid-19 sono stati autorizzati in emergenza? E’ una delle domande che circola in rete e una delle certezze del fronte no vax. Gli scettici del siero immunizzante, infatti, parlano di vaccino sperimentale e definiscono “cavie” coloro che accettano di vaccinarsi. Il portale anti fake-news della Fnomceo, la Federazione nazionale degli ordini dei medici e odontoiatri “Dottore ma è vero che?”, ha deciso di replicare alle fake news che circolano sui vaccini.

Gli iter che consentono di accelerare l’approvazione. All’Agenzia europea per i medicinali (Ema) non è permesso – chiarisce il portale Fnomceo – rilasciare approvazioni di emergenza. Tutt’al più, ma in circostanze eccezionali, ha raccomandato l’uso compassionevole di alcuni farmaci, come ha spiegato l’Associazione italiana di oncologia medica (Aiom), che ben conosce le norme che disciplinano l’immissione in commercio dei medicinali, dal momento che le cure per il cancro sono spesso oggetto di iter approvativi accelerati con la speranza di andare incontro alle esigenze dei malati: le approvazioni di emergenza da parte dei Paesi membri sono consentite, ma costringono gli Stati ad assumersi la piena responsabilità dell’operazione. La Commissione Europea ha invitato gli Stati membri a non ricorrere alle autorizzazioni nazionali di emergenza per i vaccini per Covid-19, perché potrebbero limitare la capacità dell’autorità regolatoria europea di verificare efficacia e sicurezza dei vari prodotti.

Per i vaccini l’approvazione c’è stata per “circostanze eccezionali”. Dunque, come sono stati approvati i vaccini utilizzati in Italia? “I vaccini contro Covid-19 attualmente in uso nel nostro Paese sono stati approvati dalla Ema “under exceptional circumstances”. In altre parole, il percorso di approvazione è stato più veloce perché le nazioni europee stanno vivendo un periodo eccezionalmente difficile dal punto di vista sanitario. I medicinali possono essere approvati con questa procedura qualora siano destinati a curare, prevenire o diagnosticare malattie gravemente debilitanti o potenzialmente letali.

Ma i dati su efficacia e sicurezza sono completi. Disponiamo quindi di dati incompleti su efficacia e sicurezza dei vaccini? No: nella storia della medicina – ricorda il sito anti-fake – pochi farmaci sono stati valutati per sicurezza ed efficacia in modo così accurato come sta avvenendo per i vaccini contro Covid-19. Al 27 luglio 2021 sono state somministrate quasi 66 milioni di dosi di vaccini in Italia. Tutte le vaccinazioni effettuate sono monitorare attraverso il sistema di farmacovigilanza del sistema sanitario italiano. Più di 180 milioni di dosi del vaccino Pfizer e 133 milioni di Moderna sono state somministrate negli Stati Uniti. Inoltre – si legge sul sito Fnomceo – continuano a essere svolti studi che hanno l’obiettivo di monitorare l’efficacia: dal momento dell’approvazione iniziale, una serie di studi clinici sono stati sottoposti a revisione critica (peer review) e pubblicati su riviste importanti, utilizzando i dati raccolti in Israele, Qatar, Regno Unito, Stati Uniti e in altri Paesi. In altre parole, i vaccini a mRNA sono stati ampiamente dimostrati sicuri ed efficaci da studi clinici, ricerche indipendenti e dall’esperienza di milioni di persone in tutto il mondo che li hanno ricevuti.

Draghi: “I vaccinati non contagiano”. La Federazione dei medici lo smentisce: “Fake news”. Luisa Perri lunedì 26 Luglio 2021 su Il Secolo d'Italia. Il presidente del Consiglio, Mario Draghi ha sparato una bufala colossale sul vaccino, che è passata sotto silenzio: “I vaccinati non sono contagiosi”, ha detto il premier in conferenza stampa in occasione della presentazione del Green pass.

Draghi e la bufala dei vaccinati non contagiosi. La gaffe di Draghi è stata pressoché ignorata da tutti (o quasi). Solo il giornale Open di Enrico Mentana ha avuto il coraggio di riferire correttamente il fatto. Avete letto commenti indignati o allarmati? Muti i Burioni e Crisanti di turno. Zitto il ministro Speranza. Silenti i vertici dell’Iss. Non uno straccio di virologo che abbia detto a Draghi quello che non viene risparmiato a Meloni, Salvini e ad altre personalità della vita politica o sociale, quando parlano del Covid. Non tutti i leader di governo sono così fortunati. Per alcune frasi sul Covid, il presidente americano Donald Trump è stato censurato, bannato, bloccato e segnalato. Sia da Twitter che da Facebook.

Che cosa ha detto il premier? «Il Green Pass è una misura con cui gli italiani possono continuare ad esercitare le proprie attività, a divertirsi e andare al ristorante, a partecipare a spettacolo all’aperto o al chiuso con la garanzia, però, di ritrovarsi tra persone che non sono contagiose. In questo senso è una misura che, nonostante abbia chiaramente delle difficoltà di applicazione, è una misura che dà serenità, non che toglie serenità. Grazie».

La Fnomceo smentisce Draghi sui vaccinati. Da quando è scoppiata la pandemia, la Federazione dei medici ha allestito una task force che fornisce chiarimenti ai giornalisti e ai cittadini. Interpellati dal Secolo d’Italia, alla nostra precisa domanda: “I vaccinati che hanno completato il ciclo vaccinale possono contagiare?”. La risposta smentisce categoricamente il premier. 

Il caso dei positivi sull’Amerigo Vespucci dove sono tutti vaccinati. «La risposta è sì: una persona vaccinata può infettarsi e contagiare – spiegano dalla Fnomceo, l’Ordine nazionale dei medici, tramite il team di dottoremaeveroche, il sito anti fake- news rivolto a medici e cittadini -. Tuttavia, come dimostra il recente caso dell’Amerigo Vespucci, il vaccino riduce moltissimo entrambi questi rischi. Non solo tutti i casi sono stati lievi o asintomatici – cosa che potrebbe essere anche legata all’età – ma soprattutto l’infezione non si è diffusa oltre un ristretto numero di persone, una ventina su oltre trecento. E questo nonostante si trattasse di una comunità chiusa».  Andrebbe ricordato che il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump ha avuto i suoi interventi censurati per dichiarazioni ritenute “inesatte” e “fuorvianti”. Per Draghi, invece, i solitamente solerti censori dei Social si sono improvvisamente distratti. Zuckerberg & c. inizieranno a “segnalare” anche le conferenze stampa di Palazzo Chigi?

Dagotraduzione dalla Nbc il 28 luglio 2021. I Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie degli Stati Uniti martedì hanno pubblicato nuove linee guida raccomandando l'uso di maschere per interni in aree con alti tassi di trasmissione dopo che nuovi dati hanno suggerito che gli individui completamente vaccinati non stanno solo contraendo il Covid-19, ma potrebbero potenzialmente infettare altri. Il direttore del CDC Rochelle Walensky ha affermato che studi recenti hanno dimostrato che gli individui vaccinati che vengono infettati da Covid hanno la stessa carica virale dei non vaccinati, rendendo possibile la diffusione del virus ad altri. Sulla base di tale scoperta, Walensky ha affermato che il CDC raccomanda anche a tutti i bambini delle scuole di indossare maschere in autunno. «Stiamo vedendo ora che è effettivamente possibile che può trasmettere ulteriormente, ed è questa la ragione del cambiamento", ha detto Walensky. Dopo l'annuncio, lo staff della Casa Bianca ha iniziato a indossare maschere e il vicepresidente Kamala Harris ne ha indossata una durante un evento martedì pomeriggio in cui ha invitato più americani a farsi vaccinare per ridurre la diffusione del virus. «Le persone hanno bisogno di essere vaccinate, questo è l'unico modo per risolvere questa cosa, a nessuno piace indossare una maschera. Fatevi vaccinare», ha detto Harris. La Casa Bianca ha poi affermato che avrebbe richiesto a tutti coloro che si trovano nella Casa Bianca e nei suoi uffici di indossare maschere a partire da mercoledì. Nel frattempo, il medico curante del Campidoglio, Brian Monahan, ha notificato martedì agli uffici della Camera che sarebbero state necessarie «maschere per il viso filtranti ben adattate, di grado medico» all'interno degli edifici degli uffici della Camera e dell'edificio del Campidoglio. Ha inviato una lettera simile al leader della maggioranza al Senato Chuck Schumer, DN.Y., e al leader della minoranza Mitch McConnell, R-Ky., raccomandando ai senatori e al personale di indossare una maschera al chiuso a Capitol Hill in risposta alle nuove linee guida sulle maschere del CDC. I funzionari dell'amministrazione sostengono ancora che i vaccinati rappresentano una percentuale molto piccola di trasmissione, che si verifica principalmente tra le persone non vaccinate. Walensky ha affermato che la decisione di chiamare un ritorno all'uso della maschera non è stata presa alla leggera e che spera che sarà temporanea, fino a quando i ranghi dei vaccinati non aumenteranno e la quantità di virus in circolazione nella comunità non diminuirà. «Non è una notizia gradita che il mascheramento farà parte della vita delle persone che sono già state vaccinate», ha detto Walensky. «Questi nuovi dati pesano molto su di me, questa nuova guida ha pesato molto su di me e volevo solo trasmettere che questa non è stata una decisione presa alla leggera». La guida arriva dopo un dibattito interno tra i funzionari sanitari: se rispondere a questi risultati semplicemente informando il pubblico su di essi o raccomandando ulteriori restrizioni, incluso il ritorno all'uso uniforme della maschera interna sia per gli individui vaccinati che per quelli non vaccinati. I funzionari dell'amministrazione hanno lottato negli ultimi giorni su come rispondere al crescente numero di infezioni da Covid e ricoveri tra coloro che sono completamente vaccinati, nonostante le pressioni degli esperti di sanità pubblica per rimettere in atto le raccomandazioni sulle mascherine. Gran parte dell'agenda interna di Biden punta a far superare la pandemia al Paese e a spostare l'attenzione su altre priorità, come le infrastrutture e i diritti di voto. «L'annuncio odierno del CDC – e cioè che nuove ricerche e preoccupazioni sulla variante delta portano il CDC a raccomandare un ritorno al mascheramento in alcune parti del paese - è un altro passo nel nostro viaggio per sconfiggere questo virus. Spero che tutti gli americani che vivono nelle aree indicate dalla guida del CDC la seguirà. Lo farò sicuramente quando viaggerò in queste aree», ha detto Biden. All’interno dell’amministrazione la preoccupazione sul ritorno dell’obbligo di mascherina è stata forte: il fatto di poter circolare anche senza è stato un grande incentivo alla vaccinazione.  Il segretario stampa della Casa Bianca Jen Psaki ha detto lunedì che il presidente seguirà tutte le linee guida del CDC sull'uso delle maschere quando si recherà nei luoghi in cui sono raccomandate. Mentre i vaccini Covid hanno portato a un forte calo di nuove infezioni, decessi e ricoveri, numerosi studi hanno scoperto che sono meno efficaci contro la nuova variante delta che ora rappresenta la stragrande maggioranza delle infezioni negli Stati Uniti. Data l'infettività della variante, alcuni esperti di salute ora mettono anche in dubbio l'efficacia delle maschere di stoffa standard e chiedono che le maschere come la KN95 siano raccomandate per l'uso indoor per tutti, in particolare tra gli anziani e gli immunocompromessi. Uno studio ha scoperto che le persone infette dalla variante delta trasportavano 1.000 volte il virus rispetto ai ceppi precedenti. Nonostante una spinta negli ultimi due mesi da parte dell'amministrazione Biden per aumentare il numero di persone vaccinate, il numero di vaccinazioni giornaliere si è stabilizzato a circa 500.000 al giorno e Biden deve ancora raggiungere il suo obiettivo del 4 luglio di ottenere il 70% degli adulti almeno parzialmente vaccinato. Non è noto quanto siano diffuse le infezioni tra i vaccinati negli Stati Uniti. Il CDC ha dichiarato a maggio che smetterà di monitorare il numero di infezioni nelle persone vaccinate, a parte i casi in cui una persona completamente vaccinata è stata ricoverata o è morta. Walensky ha detto lunedì che l'agenzia ha monitorato gruppi specifici per le infezioni rivoluzionarie e che presto riporterà i dati. Finora i dati limitati portano i medici a valutare alla cieca il rischio che la nuova variante rappresenta per i loro pazienti. La scorsa settimana in Israele i ricercatori hanno pubblicato dati che mostrano come il vaccino Pfizer-BioNTech abbia un efficacia del 39% contro la prevenzione dal contagio della variante delta, e del 91% nel prevenire malattie gravi. «È una politica molto miope non raccogliere quei dati perché temono che vengano interpretati erroneamente da persone che pensano che i vaccini non funzionino», ha affermato Christopher Murray, direttore dell'Institute for Health Metrics and Evaluation presso il Università di Washington. «Essenzialmente ci sta rendendo un po' ciechi di fronte a ciò che sta realmente accadendo». Ma nonostante la mancanza di dati dal CDC, le prove aneddotiche sono diffuse, con casi di alto profilo di gruppi di individui completamente vaccinati che vengono infettati - come un gruppo di democratici della legislatura del Texas, un funzionario della Casa Bianca, un gruppo di New York Yankees e un atleta olimpico. Michael Osterholm, direttore del Centro per la ricerca sulle malattie infettive dell'Università del Minnesota, ha affermato di essere particolarmente preoccupato per il numero crescente di casi in cui sta sentendo parlare di gruppi di individui vaccinati che vengono infettati. Il CDC ha affermato che i dati indicano che i vaccinati non possono diffondere il virus ad altre persone vaccinate, ma Osterholm ha affermato che i gruppi di casi tra i vaccinati suggeriscono il contrario. In un cluster di oltre 200 casi a Provincetown, nel Massachusetts, il 70% dei casi positivi al Covid dal 1° luglio sono stati tra individui vaccinati, ha dichiarato il responsabile della città Alex Morse in un'intervista a MSNBC. Una piccola percentuale di coloro che sono completamente vaccinati continua anche a essere ricoverata in ospedale e muore a causa del virus, in particolare nelle aree che vedono un'impennata dei casi della variante delta. Al Texas Medical Center di Houston, il 10% degli oltre 250 pazienti Covid ricoverati è stato vaccinato, ha detto un portavoce dell'ospedale. A Las Vegas, secondo il Southern Nevada Health District, a luglio l'11% dei ricoveri per Covid era stato di persone completamente vaccinate. Un portavoce del sistema sanitario dell'Università del Kansas ha dichiarato il 15 luglio che il 16% dei pazienti ricoverati erano persone completamente vaccinate. I funzionari ospedalieri hanno aggiunto, tuttavia, che coloro che sono vaccinati hanno meno probabilità di essere in terapia intensiva o morire, e quasi tutti coloro che sono stati ricoverati dopo le vaccinazioni avevano gravi condizioni di base. A livello nazionale, il CDC ha monitorato oltre 4.000 casi di persone completamente vaccinate ricoverate in ospedale con sintomi di Covid al 19 luglio, in aumento del 9% rispetto alla settimana precedente. L'agenzia ha affermato che un totale di 849 persone vaccinate sono morte, di cui 58 nella settimana del 12 luglio, secondo i dati riportati al CDC dai dipartimenti sanitari locali.

Laura Cuppini per il "Corriere della Sera" il 28 luglio 2021.

Professor Abrignani, chi è vaccinato contro il Covid può comunque infettarsi e trasmettere l'infezione?

«Premesso che il rischio zero in medicina non esiste e che sta circolando una variante estremamente contagiosa, la Delta, la vaccinazione riduce in modo impressionante sia il rischio di ospedalizzazione e morte, che il numero di contagi. Dunque anche le possibilità di trasmettere il virus: se non sono positivo, non posso infettare altre persone». 

Sergio Abrignani è professore ordinario di Patologia generale all'Università Statale di Milano e direttore dell'Istituto nazionale di genetica molecolare «Romeo ed Enrica Invernizzi», oltre che membro del Comitato tecnico-scientifico per l'emergenza.

Di che percentuali stiamo parlando?

«Nelle fasi più pesanti della pandemia, sia in Italia che in Gran Bretagna c'era un morto ogni 50 infettati, ora - a 6 mesi e mezzo dall'inizio della campagna vaccinale e con una variante super diffusiva divenuta predominante - in Gran Bretagna si stima circa un morto ogni 500 infettati. Il ciclo completo di vaccino Pfizer (due dosi) protegge all'88% da malattia grave e morte e tra il 65 e il 90%, secondo gli ultimi dati inglesi, dal rischio di contagiarsi e quindi trasmettere l'infezione. Pensiamo a un ambiente chiuso con uno o più positivi: se i presenti sono tutti vaccinati se ne infettano nel peggiore dei casi 65 su 100, se non sono vaccinati la percentuale può salire al 100 per cento. La variante Delta ha un R0 stimato di 5-8 (i soggetti che può contagiare un positivo), il ceppo di Wuhan aveva un R0 di 2,5 e la variante Alfa è a 4-5». 

I no vax sostengono che nei giovani gli effetti collaterali dei vaccini possono superare i benefici. È così?

«No, è fondamentale che gli under 40 si vaccinino, per vari motivi: proteggere sé stessi, i propri cari (soprattutto se fragili) ed evitare che il virus continui a circolare. Nell'ultimo mese l'età media dei nuovi contagi è 27 anni e il 24,8% dei casi ha riguardato la fascia 0-18 anni. Lasciare un'intera fetta di popolazione non vaccinata può portare allo sviluppo di nuove varianti». 

Quanto incide la fascia under 18 nel superamento della pandemia?

«In Italia i ragazzi tra i 12 e i 17 anni - oggi vaccinabili con Pfizer - sono circa 3 milioni. Un bacino molto vasto per l'infezione. Inoltre i rischi legati a Covid nei bambini non sono pari a zero: in questo anno e mezzo i morti tra 0 e 19 anni sono stati 28, secondo dati dell'Iss. Con i vaccini possiamo evitare che se ne aggiungano altri. 

I minori con fragilità sono per fortuna pochi (pensiamo per esempio ai pazienti oncologici), ma non dimentichiamo che in Italia circa un bambino su dieci è obeso (9,4%) e l'obesità rappresenta uno dei fattori di rischio per le forme gravi di Covid. Non solo. In molte famiglie ci sono persone che, seppur vaccinate, non sono protette. Basti pensare ai tanti pazienti in chemioterapia o che assumono farmaci immunosoppressori. Vaccinare un figlio o un nipote significa ridurre drasticamente le probabilità che un padre o un nonno fragili finiscano in ospedale per Covid con altissimi rischi di morte».

Anche per i bambini i benefici della vaccinazione superano i rischi?

«Certamente. Da Israele sono arrivati dati su casi di miocarditi nei giovani vaccinati, poi confermati dai Centers for disease control and prevention (Cdc) statunitensi. Si è visto che c'è un legame con il vaccino Pfizer, ma si tratta di eventi lievi che si risolvono in pochi giorni.

Nessun ragazzo è morto a causa del vaccino Covid mentre, come vediamo per esempio in Indonesia, il virus uccide anche in quelle fasce di età. Secondo un'analisi dei Cdc, un milione di dosi di vaccino Pfizer possono, nella fascia 12-29 anni, evitare 23.500 casi di Covid, circa 1.500 ricoveri, 211 ingressi in terapia intensiva e 12 decessi. Il tutto a fronte di un rischio di 43-52 casi di miocardite. Che la bilancia penda dalla parte del vaccino è evidente».

Perché alcuni Paesi, come la Gran Bretagna, consigliano la vaccinazione solo ai minori fragili?

«In Gran Bretagna è stato autorizzato l'uso del vaccino Pfizer negli adolescenti ed è fortemente consigliato per i minori a rischio. Questo può dipendere dal fatto che nel Paese è stato vaccinato con doppia dose più del 70% della popolazione. Se aggiungiamo i guariti (circa il 10%), si comprende come sia stata già raggiunta un'immunità diffusa che consente di tenere sotto controllo contagi, ricoveri e decessi. La Gran Bretagna ha iniziato la campagna vaccinale prima di noi. In Italia dobbiamo procedere a pieno ritmo proteggendo tutte le fasce di età per evitare che la situazione torni a peggiorare». 

Il vaccino è l'arma vincente per sconfiggere il virus?

«Sì, non possiamo confidare nella stagionalità o nell'esaurimento naturale dell'infezione. Pensiamo alla polio: la malattia è stata debellata in quasi tutto il mondo grazie al vaccino. A livello globale abbiamo superato i 3 miliardi e mezzo di dosi somministrate contro Covid. Gli eventi avversi sono stati limitati, pensiamo alle trombosi rare collegate ai vaccini a vettore virale per le quali le Agenzie regolatorie hanno cambiato la destinazione per fasce di età. Quelli a mRna hanno mostrato un'efficacia e una sicurezza di altissimo livello e si sta studiando un loro possibile utilizzo anche nei bambini under 12». 

Perché anche i vaccinati devono fare la quarantena? E quanto sono contagiosi? Silvia Turin su Il Corriere della Sera il 19/7/2021. Il punto sugli studi e le regole con l’avanzata della variante Delta. L’infettività dipende dalla carica virale: essere completamente vaccinati la abbassa e ci rende meno contagiosi. Boris Johnson è stato «costretto» all’isolamento proprio alla vigilia della fine di tutte le restrizioni in Inghilterra: il primo ministro è stato infatti raggiunto dall’avviso di obbligo di quarantena a causa di una riunione avuta venerdì con il ministro della Sanità, Sajid Javid, risultato positivo al coronavirus pur essendo completamente vaccinato, come d’altronde lo è Boris Johnson. In Gran Bretagna la quarantena scatta se si viene «segnalati» dalla app di tracciamento del Covid e attualmente oltre mezzo milione di cittadini comuni in tutta l’Inghilterra è costretto a isolarsi perché ha avuto contatti con persone contagiate.

Ha senso isolarsi dopo un contatto a rischio per una persona completamente vaccinata? 

«Non ha senso con le varianti precedenti, perché i vaccini proteggono anche dall’infezione. Con la variante Delta il rischio di infettarsi è più alto, tuttavia il virus si replica meno proprio perché c’è il vaccino, infatti le persone che si sono vaccinate o non sviluppano sintomi o fanno una forma lievissima di malattia, proprio perché hanno una bassa carica virale e quindi, nella stragrande maggioranza dei casi, sono anche non contagiose», spiega l’immunologa Antonella Viola.

Qual è l’orientamento rispetto alla quarantena in Usa ed Europa? 

«I Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie (CDC) Usa sono stati i primi a dire che le persone vaccinate non sarebbero state testate, non sarebbero andate in quarantena e potevano non usare la mascherina. In Europa la comunicazione non è stata così chiara e ogni Paese ha fatto da solo. In Italia c’è ancora l’obbligo di quarantena, che però non è possibile pensare di mantenere nel tempo», dice Viola.

C’è una differenza di rischio con chi avesse fatto solo una dose? 

Ci sono dati da Israele che dicono che già una dose fa abbassare la carica virale: nei vaccinati positivi è stata misurata una riduzione fino a 4 volte (per le infezioni che si sono verificate 12-28 giorni dopo la prima dose). «Le cariche virali ridotte suggeriscono una minore infettività, però per prudenza, quando diciamo che non è necessario fare la quarantena, ci riferiamo a soggetti completamente vaccinati» , specifica l’immunologa.

Un vaccinato positivo quanto è contagioso per gli altri?

Ci sono una serie di studi che hanno analizzato la variante Alfa e hanno dimostrato che le possibilità che un vaccinato possa contagiare sono bassissime. Con la variante Delta non ci sono ancora dati pubblicati, ma sono in corso gli studi. Anthony Fauci, il consulente medico della Casa Bianca, ha dichiarato essere «un’ipotesi ragionevole» che le persone completamente vaccinate positive abbiano «molto meno» virus nelle vie aeree rispetto alle persone non vaccinate con infezioni asintomatiche. «Quello che vediamo è che le persone vaccinate non si infettano allo stesso modo e nella gran parte dei casi non hanno sintomi. Questo significa che la carica virale è bassa e hanno una possibilità inferiore di contagiare gli altri». La pecca di questo tipo di studi è che una persona vaccinata sarà testata molto meno e, se anche fosse positiva sarebbe facilmente asintomatica e quindi, ancora una volta, sottoposta meno a tamponi.

Può dipendere anche dal tipo di vaccino con cui sono stato immunizzato? 

«Sì, è possibile che ci siano dei vaccini che abbiano una maggiore capacità di offrire immunità neutralizzante nelle vie aeree e quindi di bloccare meglio la replicazione virale», osserva l’esperta.

Cosa dobbiamo fare con la variante Delta con le regole su quarantena e mascherine?

«Dobbiamo dare un segnale chiaro a chi ha fatto le due dosi: sarei per togliere la quarantena, tuttavia dobbiamo dire alle persone vaccinate che la situazione è cambiata. Con la variante Delta è bene che, quando si trovano con persone non vaccinate, usino mascherina e distanziamento perché potrebbe esserci un rischio, seppure bassissimo, di contagiarle e farle ammalare», conclude la specialista. 

Covid, Vidal contagiato dopo essere stato vaccinato: il centrocampista cileno è ricoverato in ospedale. Asia Angaroni l'1/06/2021 su Notizie.it. Arturo Vidal, giocatore dell'Inter, è stato ricoverato dopo la positività al Covid. "A chi può, chiedo di vaccinarsi", dice il centrocampista cileno. Dopo la soddisfazione per la vittoria del campionato con la maglia neroazzurra, Arturo Vidal è volato in Cile per giocare con i suoi compagni la Copa America. Tuttavia, il centrocampista è già fermo a causa del Covid: risultato positivo al virus, Vidal è stato ricoverato. Era stato vaccinato tre giorni prima, ma ora è risultato positivo al coronavirus: Arturo Vidal è stato ricoverato dopo la positività al test. Il centrocampista cileno è rimasto isolato per 72 ore nel ritiro della nazionale che a Santiago del Estero incontrerà l’Argentina per le qualificazioni ai prossimi Mondiali di Qatar 2022. Il giocatore ha manifestato una “sindrome febbrile dovuta a tonsillite”. Venerdì 28 maggio era stato vaccinato con i suoi compagni di Nazionale. Per il momento il suo impegno accanto a La Roja si ferma e deve pensare a riprendersi. Una nota ufficiale della squadra comunica: “Arturo è stato ricoverato e isolato dal gruppo per più di 72 ore come misura preventiva di una grave tonsillite pleurica”. In Cile l’emergenza Covid-19 continua a fare paura. Nel Paese si registrano circa 6000 contagi al giorno e dall’inizio della pandemia si contano 29.000 vittime per 1,3 milioni di contagi complessivi. “Felice con il vaccino”, scriveva Arturo Vidal sul suo profilo Instagram, condividendo i suoi scatti. Solo pochi giorni dopo però, ha comunicato ai fan la sua positività al Covid-19. “Sfortunatamente il controllo di oggi ha dato esito positivo al Covid”, ha scritto su Instagram. Ha spiegato che è la conseguenza di un contatto avuto “con un amico asintomatico”. Questa volta non potrà scendere in campo con la Nazionale, comunica Vidal, ma “sosterrò i miei compagni con tutta la mia forza”. Poi ha sottolineato: “Mi riprenderò presto per poter vestire nuovamente La Roja de Todos”. Nel suo post su Instagram, Vidal ha ringraziato i medici che “stanno curando tutti noi cileni che stiamo combattendo contro questa terribile pandemia”. Quindi ha ribadito: “E chiedo per favore che chi può vaccinarsi lo faccia”. Dopo aver fatto sapere ai tifosi di essere risultato positivo al virus, Vidal ha ricevuto l’affetto e l’incoraggiamento di amici e sostenitori cileni, interisti e non solo. Non si fermano i messaggi di supporto per il centrocampista, che dai fan sta ricevendo tanta forza per guarire presto dalla malattia. “Che peccato, forza king”, si legge tra i commenti su Instagram. Ma anche: “Rimetti presto fratello” e “Un forte abbraccio, guarisci presto”.

Riccardo Galli per blitzquotidiano.it il 29 luglio 2021. Vaccini, una propaganda velenosa, surreale e suicida, una vera e propria overdose di roba-parole mal tagliata sussurra maligna che i vaccini servono a poco. Non è solo falso, è spudoratamente falso. Il fatto che poi la menzogna piaccia, che crogiolarsi nella menzogna sia piacere in cui indulgono in molti appartiene ad altra e grave patologia. Di Covid, di questa patologia, prima che esistessero e fossero somministrati i vaccini moriva un infetto su 50. Dopo sei mesi di vaccini alla popolazione i morti di Covid sono uno ogni 500 infetti e contagiati. I talebani del vaccino strumento del maligno in Terra diranno che coronavirus è diventato clemente, seppur mai esistito. Diranno che è l’estate, il caldo, le cure. Diranno che è la prova che Covid è solo un’influenza. Diranno la qualunque e, soprattutto, diranno la qualunque e il suo contrario. Diranno e dicono infatti che Covid è influenza e che di Covid si muore anche se vaccinati.

Morti di Covid anche se vaccinati. Non è la prova che vaccino serve a poco o chissà davvero a cosa serve? Come prova è un po’ quantitativamente esile: i morti per Covid pur avendo ricevuto due dosi di vaccino sono meno dell’un per cento di chi non ce l’ha fatta a superare la malattia (da quando vaccino esiste). E come prova, se sottoposta ad analisi qualitativa, come prova si squaglia. I morti per Covid anche se vaccinati non solo pochissimi, in più età media 89 anni e ciascuno con almeno (!) cinque altre patologie. Eccole: cardiopatia ischemica, fibrillazione atriale, scompenso cardiaco, ictus, ipertensione. Il vaccino non li ha salvati, a 89 anni di media e in queste condizioni di mala salute nella li avrebbe salvati. 

Quante persone sono state salvate dai vaccini. I vaccini hanno “solo” salvato quei 9 su 10 infetti che altrimenti sarebbero morti, la differenza acclarata e documentata tra un morto su 50 infetti prima dei vaccini e un morto ogni 500 infetti dopo i vaccini.

(ANSA il 27 luglio 2021. ) Quasi 99 deceduti per Covid su 100 dallo scorso febbraio non avevano terminato il ciclo vaccinale, e fra quelli che invece lo avevano completato si riscontra un'età media più alta e un numero medio di patologie pregresse maggiori rispetto alla media. Lo afferma un approfondimento contenuto nel report periodico sui decessi dell'Istituto Superiore di Sanità. Fino al 21 luglio sono 423 i decessi SARS-COV-2 positivi in vaccinati con "ciclo vaccinale completo" e rappresentano l'1,2% di tutti i decessi SARS-COV-2 positivi avvenuti dallo scorso 1 febbraio (in totale 35.776 decessi). L'1 febbraio, spiega l'Iss, è scelto come data indice perché corrisponde alle cinque settimane necessarie per il completamento del ciclo vaccinale a partire dall'inizio della campagna. L'analisi è basata su un campione di 70 cartelle cliniche dei 423 decessi SARS-COV-2 positivi avvenuti fino al 21/07/2021 in vaccinati con "ciclo vaccinale completo" (16.5%). Rispetto alla totalità dei decessi per cui sono state analizzate le cartelle cliniche, rileva l'Iss, nel campione dei deceduti con "ciclo vaccinale completo" l'età media risulta decisamente elevata (88.6 vs. 80 anni). Inoltre, il numero medio di patologie osservate in questo gruppo di decessi è di 5,0, molto più elevato rispetto ai decessi della popolazione generale (3,7). Dopo l'insufficienza respiratoria acuta, le sovrainfezioni sono le complicanze maggiormente diffuse nelle persone decedute con ciclo vaccinale completo. Terapia antibiotica e steroidea sono le terapie più utilizzate su questi pazienti. "I risultati qui presentati - conclude il report - possono avere due possibili spiegazioni. In primis, i pazienti molto anziani e con numerose patologie possono avere una ridotta risposta immunitaria e pertanto essere suscettibili all'infezione da SARS-CoV-2 e alle sue complicanze pur essendo stati vaccinati. In secundis, questo risultato può essere spiegato dal fatto che è stata data priorità per la vaccinazione alle persone più anziane e vulnerabili e che quindi questa rappresenta la popolazione con maggiore prevalenza di vaccinazione a ciclo completo alla data in cui è stata eseguita questa valutazione". 

Mauro Evangelisti per "il Messaggero" il 12 agosto 2021. «I vaccini stanno funzionando. E bene. Stanno fermando i casi gravi. Ai 4,5 milioni di over 50 che rifiutano il vaccino dico solo: guardate i dati. E tenete conto che la variante Delta ha una capacità di trasmissione da 6 a 8 volte più alta del ceppo originale. Se non si è vaccinati, è quasi impossibile non essere contagiati» dice il professor Massimo Ciccozzi, direttore del laboratorio di Statistica medica ed Epidemiologia molecolare dell'Università Campus Bio-medico di Roma che insieme ad alcuni colleghi ha pubblicato una lettera sul Journal of Medical Virology dal titolo d'impatto: «Mentre discutiamo sui vaccini, il virus se la ride». Guardatevi i dati, dice il professor Ciccozzi.

SCENARIO E l'ultimo report dell'Istituto superiore di sanità, sulla base dell'esperienza italiana, dice questo: con il ciclo completo della vaccinazione la protezione dal decesso è del 96,6 per cento. Tra l'11 giugno e l'11 luglio di 180 morti per Covid presi in considerazione, i vaccinati erano solo 34. «E di questi - ricorda Ciccozzi - 29 erano over 80 con varie patologie». Non solo: in un reparto di terapia intensiva, 9 pazienti Covid su 10 non sono vaccinati. Travolti da dichiarazioni, notizie che rimbalzano dai vari Paesi, numeri non sempre semplici da interpretare, i cittadini si domandano: ma i vaccini stanno funzionando? La sintesi, che emerge dall'ultimo studio dell'Istituto superiore di sanità, e che coincide più o meno con gli studi che arrivano anche dall'estero, è: sì, stanno funzionando, stanno riducendo il numero dei ricoveri, anche se con la variante Delta c'è una minore efficacia nel fermare l'infezione. Cosa significa? Semplificando: se sei vaccinato, hai molte meno possibilità di finire in ospedale rispetto a una persona che non è vaccinata. Hai anche molte meno possibilità di infettarti, ma in questo caso il margine di incertezza sale. Per questo motivo ieri il direttore dell'Oxford Vaccine Group, Sir Andrew Pollard, ha affermato: «Non è possibile raggiungere l'immunità di gregge con l'attuale variante Delta del coronavirus. La variante Delta infetterà ancora le persone che sono state vaccinate. E questo significa che chiunque non sia ancora vaccinato a un certo punto incontrerà il virus e non abbiamo nulla che possa fermare completamente quella trasmissione».

FUTURO Per questo, ormai molti virologi ed epidemiologi sono concordi: Sars-CoV-2 diventerà endemica, continuerà a circolare normalmente, ma non sarà un grande problema, perché se la maggioranza di noi sarà vaccinata, se lo saranno soprattutto le categorie più fragili, di conseguenza ricoveri e decessi saranno pochi e dunque la convivenza sarà accettabile. Perché ancora non siamo a questo punto? Malgrado l'Italia sia uno dei Paesi al mondo che ha vaccinato più persone, siamo ancora lontani dal traguardo: tra gli over 12, vale a dire i vaccinabili, c'è ancora oltre il 30 per cento di persone che ha rifiutato l'iniezione e non è protetto.

CONVIVENZA L'ultimo report dell'Istituto superiore di sanità analizza nel dettaglio infezioni, ricoveri e decessi per Covid tra il 25 giugno e il 25 luglio. Immaginate di entrare in un reparto di terapia intensiva che raccoglie tutti i malati che, purtroppo, in Italia hanno dovuto affrontare questa esperienza: gli ingressi sono stati 203, ma di quelli la stragrande maggioranza, 180, non è stata vaccinata o, in misura minore, ha ricevuto solo una dose di vaccino. Andiamo oltre, analizziamo i decessi sempre attingendo dai dati dell'Istituto superiore di sanità: su 180 morti i vaccinati sono solo 34 (dati del periodo 11 giugno - 11 luglio). Non solo: di quei 34, 29 sono over 80, la fascia di età per la quale il tasso di letalità è molto più alto; per fortuna il 90 per cento degli over 80 è protetto con la doppia iniezione, se non lo fosse stato quel dato sarebbe molto più doloroso. I ricoveri ospedalieri, dunque considerando anche quelli in area medica, riflettono lo stesso scenario: su 3.000 pazienti Covid, solo un settimo sono vaccinati, 404. Ancora: di quei 2.526 ricoveri di non immunizzati, 932 hanno meno di 40 anni, a dimostrazione che non è vero che se sei giovane non rischi nulla. Conclude il professor Massimo Ciccozzi: «Il nostro obiettivo non è più l'immunità di gregge, ma la protezione di più persone possibile. Se il vaccino evita la malattia grave e il ricovero, allora possiamo convivere con Sars-CoV-2, così come facciamo storicamente con altri virus».

Marina Amaduzzi per "corrieredibologna.corriere.it" il 12 agosto 2021. «Se non ci fosse il vaccino avremmo il triplo dei ricoveri, vista la contagiosità della variante Delta. Su dieci pazienti nove non sono vaccinati: qualcosa vorrà dire no?». Andrea Zanoni dirige la Covid Intensive Care, la terapia intensiva Covid al padiglione 25 del Sant’Orsola dove sono ricoverate 42 persone in degenza ordinaria e 10 appunto in terapia intensiva. 

Com’è la situazione?

«I ricoveri sono aumentati molto rispetto all’agosto dell’anno scorso. Abbiamo aperto due reparti di degenza ordinaria invece di uno mezzo vuoto l’estate scorsa. In terapia intensiva ho 10 pazienti, contro i 3-4 dell’anno scorso. Insomma, c’è una pressione maggiore, ancora niente di drammatico sia ben chiaro, ma la situazione è più impegnativa».

Sono cambiati i pazienti?

«Sì decisamente. Ci sono più pazienti giovani, in terapia intensiva abbiamo avuto anche un ragazzo di 23 anni, senza comorbilità, che è stato intubato e poi estubato. L’età media dunque si è molto abbassata anche nelle degenze ordinarie dove però arrivano forme di malattia più leggere. Gli anziani sono pochissimi, così come i non vaccinati». 

Anche in terapia intensiva non sono vaccinati?

«Di quelli che ho ricoverati ora tutti, a parte uno, hanno la polmonite bilaterale, l’altro è entrato per altre patologie e dallo screening pre-ricovero è risultato positivo. I 9 con la polmonite sono tutti non vaccinati, a parte uno». 

È una ulteriore dimostrazione della differenza che fa il vaccino no?

«Assolutamente, non c’è alcun dubbio. Se non avessimo i vaccini avremo il triplo dei malati. I vaccini poi non coprono al 100% ma al 98%, per cui c’è sempre quel 2% di possibilità di sviluppare la malattia che però non è una forma lieve, breve, leggera. È vero anche che i vaccinati possono essere contagiosi, ma gli studi mostrano che il tempo di contagiosità si riduce a un quarto, quindi con meno possibilità di far circolare il virus. A meno di nuove varianti il vaccino funziona. Stiamo proteggendo le parti ricche del mondo, dove non è stata fatta una campagna vaccinale e dove c’è un’ampia circolazione del virus le probabilità che si sviluppino altre varianti è alta». 

Tornando alla comunità bolognese, cosa si aspetta per settembre?

«In realtà di questi tempi pensavo di essere vuoto come l’anno scorso, di essere in una situazione migliore. Questo stato di cose ci ha colto di sorpresa, pensavamo di passare un’estate più tranquilla, invece la passiamo con più pazienti e più pazienti intubati. Le previsioni degli esperti dell’Università di Bologna dicono che ci sarà un incremento ulteriore tra fine agosto e l’inizio di settembre. È il picco previsto da loro, anche se non è paragonabile a quello che abbiamo vissuto a marzo. Dovrebbe essere un’onda più breve e con un numero di ricoveri molto inferiore. Ci aspettiamo di essere un po’ sotto stress a fine agosto».

E dopo?

«Tutto dipende dalla campagna vaccinale. Siamo ancora dentro questa pandemia, credo che ne avremo ancora per tutto il 2022, ma per restare all’autunno molto dipenderà anche dalle decisioni che saranno prese sulla scuola. Solo i ragazzini vaccinati andranno a scuola in caso di focolaio e i non vaccinati in dad? Sono decisioni che conteranno. Tornando ai miei 10 pazienti di adesso, otto sono no vax, persone di 60-70 anni che sono stati contagiati dai figli o dai nipoti». 

Ma quando un no vax viene ricoverato si pente?

«In genere quando ti senti dire ti addormentiamo perché ti intubiamo il pentimento viene da sè. A parte una signora che ha detto chiaramente che se la vaccinavamo mentre era sotto anestesia ci avrebbe denunciato. La testa della gente è anche questa. Devo essere sincero: sono quasi più stanco degli atteggiamenti di chi non vuole vaccinarsi che del Covid in sé, ne sentiamo di tutti i colori».

Melania Rizzoli per “Libero quotidiano” il 14 agosto 2021. Chi non si vaccina non è un negazionista, ma ha semplicemente paura. Una paura mascherata da scetticismo, diffidenza, perplessità e sfiducia nelle istituzioni, un timore che va ben al di là dei movimenti anti-vax che protestano ideologicamente nel nostro Paese. La maggioranza dei soggetti paurosi che rifiutano il vaccino contro il Covid infatti, ha un sistema neurobiologico che li porta a valutare le informazioni in modo pessimistico, cioè dando più peso a quelle negative e scoraggianti, ha riserve nei confronti dei farmaci dei quali evidenzia gli effetti collaterali piuttosto che i benefici, e per questo interpreta in maniera errata dati de-contestualizzati, arrivando a convinzioni personali senza validità logica e scientifica, perché la paura, si sa, non è mai razionale. Lo studio e l'analisi delle caratteristiche psicologiche delle persone che ancora esitano o resistono alla vaccinazione, che la rifiutano oche hanno dubbi sulla utilità, validità e sicurezza, un'indagine eseguita su decine di migliaia di soggetti residenti in tutte le Regioni, conferma che la paura e la diffidenza sono i due sentimenti prevalenti riguardo a questo tema, che andrebbero gestiti sullo stesso piano da cui si generano, quello emotivo, che in queste persone appare fragile e vulnerabile, scosso da emozioni radicate che riemergono associando il siero preventivo ad eventi avversi, a rischi certi o ad elevata probabilità di morte. La paura è un sentimento che non può essere ignorato o represso, che spesso produce comportamenti aggressivi, rabbiosi e irresponsabili, e più questo sentimento cresce, più sfoga nel diniego, nella negazione dell'esistenza stessa del virus, della pericolosità dell'epidemia e del suo miracoloso rimedio. Coloro che ammettono chiaramente di avere paura sono le persone più evolute intellettualmente e culturalmente, mentre la maggioranza dei soggetti che si ritengono coraggiosi a rifiutare il vaccino, che lo dichiarano pubblicamente, vivono questa loro resistenza come un'occasione liberatoria per dare sfogo al proprio desiderio latente di vivere in guerra contro tutto e tutti, di distinguersi mettendosi in trincea, tipico atteggiamento delle personalità frustrate, sociopatiche, ansiose per natura, depresse, vittime nella vita quotidiana e nel lavoro di continui sensi di persecuzione e di ingiustizia per non essere valorizzati secondo le loro aspirazioni, cosa che li spinge ad assumere comportamenti contrari, ossessivi, paranoidi o maniacali, che arrivano all'urlo di piazza e nei social per dare valore al proprio io, per ottenere consensi fuori dal pensiero di gruppo e cercare una realizzazione personale finalmente soddisfacente in nome di una libertà di pensiero e azione che pure nessuno gli nega. In pratica queste persone sono passate dalla paura del Coronavirus, che le ha perseguitate per oltre un anno, con le notizie di migliaia di morti al giorno, tutti non vaccinati, alla paura del vaccino salvifico, nel quale non credono, non hanno fiducia, nonostante l'evidenza dei fatti dimostri come la vaccinazione di massa in atto abbia fatto crollare contagi, ricoveri e migliaia di decessi in tutta Italia, tranne che nei non vaccinati, per i quali sarà quasi impossibile non restare contagiati. La responsabilità di tutto questo in parte è dovuta alla comunicazione disastrosa e spesso contraddittoria che è stata fatta in tv e sui media nei mesi passati, la quale ha contribuito a rafforzare false credenze e superstizioni che hanno viaggiato velocissime sui social, influenzando migliaia di utenti più del virus, in un passaparola da pianerottolo divenuto immediatamente virale. È sulla base di queste paure che gli attivisti.       

Fabio Savelli per corriere.it il 14 agosto 2021. Chi si contagia di Covid tra gli over 80 e non è vaccinato ha una probabilità di morte venti volte maggiore di chi è immunizzato con due dosi nella stessa fascia d’età. Tra i 60 e i 79 anni la differenza di letalità tra i vaccinati e chi non lo è diventa ancora più eclatante: 30 volte maggiore il rischio di morte per chi non si è coperto. Tra i 40 e i 59 anni diminuisce invece di cinque volte il rischio di finire in ospedale. Tra i più giovani, 12-39 anni, siamo al rischio zero per casi in terapia intensiva tra i vaccinati. In quattro mesi, dal 4 aprile all’8 agosto, neanche un episodio. Sono i dati che l’Istituto superiore di Sanità ha diffuso ieri. Prendono in considerazione contagiati, ricoveri ordinari o in terapia intensiva e decessi legati al Covid. Sono gli stessi mesi in cui la campagna vaccinale ha accelerato diventando massiva, arrivando a coprire oltre 35,3 milioni di connazionali con doppia dose e circa 38 milioni con una. Il rapporto dell’Iss, presieduto da Silvio Brusaferro, è il frutto dell’analisi congiunta dei dati dell’anagrafe nazionale vaccini con quelli della sorveglianza Covid-19 che affluiscono dalle regioni. 

Gli over 80. Il rischio decesso tra gli over 80 diverge enormemente tra chi si è coperto e chi no. Senza due dosi chi appartiene a questa fascia d’età ha il 96,69% in più di probabilità di morire a causa del virus rispetto a chi si è immunizzato. Con una dose soltanto la differenza scende al 74,22%, un divario comunque ampio. I numeri assoluti sono più chiari: da aprile ad oggi sono deceduti 28 over 80 che avevano ricevuto due dosi e appartenevano dunque ai 4 milioni di vaccinati di questa fascia. Tra i non vaccinati il rapporto è completamente diverso: sono morti 54 anziani sui 418 mila non coperti. I contagi sono stati 756: la letalità è ancora oggi molto alta, oltre l’8%, se non ci si vaccina. Tra chi è immunizzato i contagiati sono stati invece 2.017, un numero superiore. Questo perché si è verificato quello che gli esperti chiamano «paradosso vaccinale». I numeri di casi Covid tra i vaccinati sono superiori a chi non lo è perché abbiamo coperto oltre il 93% della platea. 

La fascia 60-79 anni. In questa fascia si trovano le stesse differenze. Ancor più interessanti in caso di ospedalizzazioni in terapia intensiva, un rischio concreto per chi contrae il Covid. Chi ha completato il ciclo vaccinale, che l’Iss considera 14 giorni dopo dalla somministrazione della seconda dose, il rischio di finire allettati in carenza di ossigeno scende del 97,79% rispetto a chi non è vaccinato. E del 90,57% per chi ha ricevuto una dose sola. Ci sono stati appena 17 vaccinati con doppia dose finiti in carenza di ossigeno in questi 4 mesi. E 6 decessi su oltre 8,3 milioni di vaccinati di queste due decadi. Tra i non immunizzati i numeri divergono chiaramente: 104 persone sono finite in area medica critica (con 64 decessi) su una platea di gran lunga inferiore: 2,8 milioni di non vaccinati. 

La fascia 40-59 anni. Anche in queste due decadi differenze sostanziali tra le due categorie: vaccinati e non. Il calcolo sui ricoveri in via ordinaria a causa del Covid è esemplificativo: in quattro mesi in questa fascia d’età sono stati ricoverati 1.081 persone non vaccinate su oltre 16.800 contagiati. Significa che tra i non coperti c’è una probabilità su 16 di essere ricoverati, seppur in posti letto di degenza ordinaria. Se invece ci si vaccina la proporzione cambia sensibilmente. Appena 89 vaccinati con doppia dose sono stati ricoverati per Covid su 7,3 milioni di immunizzati. I contagi tra i vaccinati sono stati 6.873. Significa che c’è un caso ogni 77 contagi che finisce in ospedale. 

La fascia 12-39 anni. È quella dove l’analisi sull’efficacia vaccinale è più complicata perché è minore la capacità di tracciamento dei contagi. Scrive l’Iss che «una quota di infezioni asintomatiche o con sintomi lievi non siano diagnosticate, e questo è verosimile si verifichi più frequentemente nella popolazione giovane». In più tra i giovani non vaccinati c’è un altro elemento: «Lo stigma e la paura di eventuali restrizioni alla loro vita sociale conseguenti un’eventuale diagnosi» determinano una «sottostima del rischio». Significa che i numeri dei casi Covid sono sottostimati e quindi cambiano le proporzioni complessive. L’Iss registra la diminuzione del 68,32% del rischio di contagiarsi per i vaccinati con doppia dose rispetto a chi non lo è. Che scende al 41,34% con una dose soltanto. Ma si tratta, come dicevamo, di stime per difetto. Perché l’efficacia vaccinale è probabilmente molto superiore.

Covid, lo studio Iss conferma: ospedalizzazione 7 volte più alta per i non vaccinati, aumentano i contagi tra i bambini. Redazione su Il Riformista il 14 Agosto 2021. Aumentano i casi di contagio tra i bambini con età inferiore ai 9 anni. Mentre il tasso di ospedalizzazione per i non vaccinati è stato oltre sette volte più alto rispetto ai vaccinati con ciclo completo negli ultimi 30 giorni. A fotografare la situazione Covid in Italia è il rapporto di sorveglianza integrata settimanale dell’Istituto Superiore di Sanità, che mette in risalto anche come la variante Delta, ormai diffusa in Europa così come in Italia, continui a far aumentare le infezioni da Sars-Cov2 nel nostro Paese.

Allerta contagi tra i bambini. Secondo il rapporto Iss, da fine giugno si è osservato un aumento dell’incidenza settimanale tra 0 e 40 anni. Nonostante il dato non sia ancora consolidato, il documento sottolinea come nell’ultima settimana sia stato registrato un incremento particolare nella fascia di età 0-9 anni, con un’incidenza di poco superiore a 50 casi per 100.000 abitanti: è la prima volta che accade da inizio maggio. 

I numeri, simili alla settimana precedente, indicano che l’incidenza nella fascia di età 10-19 è pari a 156 per 100.000 abitanti; nella fascia 20-29 a 146 per 100.000 abitanti. Mentre nelle fasce 30-39 e 40-49 è rispettivamente a quota 79 e 56 per 100.000 abitanti.

Il confronto tra vaccinati e non vaccinati. Il report evidenzia inoltre come negli ultimi 30 giorni, il 26,3% delle diagnosi di Sars-Cov2, il 40,7% delle ospedalizzazioni, il 61,3% dei ricoveri in terapia intensiva e il 62,1% dei decessi negli over 80 siano avvenuti tra non vaccinati. Stesso discorso per ciò che riguarda il tasso di ospedalizzazione negli ultimi 30 giorni, con  52 ricoveri tra coloro che non hanno ricevuto alcuna dose di vaccino contro i 7 dei vaccinati.

L’effetto “paradosso”. Quando le vaccinazioni nella popolazione raggiungono alti livelli di copertura, ecco verificarsi il fenomeno denominato “effetto paradosso”, per cui il numero assoluto di infezioni, ospedalizzazioni e decessi può essere simile tra vaccinati e non vaccinati, a causa della progressiva diminuzione nel numero di questi ultimi. Per esempio, si legge nel rapporto dell’Iss, nella fascia di età 80+, dove la copertura vaccinale si attesta intorno al 90%, il numero di ospedalizzazioni tra vaccinati con doppia dose è pari a 294, mentre nei non vaccinati è leggermente più basso, a quota 220.

Casi in aumento. Nel mese di agosto i contagi risultano in aumento a livello nazionale, passando a 68 per 100.000 abitanti nella settimana 2-8 agosto contro i 62 del periodo tra il 26 luglio e il 1° agosto, con un’incidenza settimanale che rimane superiore rispetto alla soglia settimanale di 50 casi ogni 100.000 abitanti “che potrebbe consentire il controllo della trasmissione basato sul contenimento ovvero sull’identificazione dei casi e sul tracciamento dei loro contatti” si legge sul documento. Resta così fondamentale rispettare le regole anti-covid, evitando comportamenti a rischio. “Una più elevata copertura vaccinale ed il completamento dei cicli di vaccinazione rappresentano gli strumenti principali per prevenire ulteriori recrudescenze di episodi di aumentata circolazione del virus sostenuta da varianti emergenti con maggiore trasmissibilità” sottolineano gli esperti.

IL 99 PER CENTO DEI MORTI PER COVID NON ERA VACCINATO. In Italia sono soprattutto i non vaccinati a finire in ospedale o a morire a causa del Covid. Dei 35.776 decessi dal 1° febbraio al 21 luglio, 423 erano vaccinati. Federico Cenci su Il Quotidiano del Sud il 28 luglio 2021. Sono soprattutto i non vaccinati a finire in ospedale o a morire a causa del Covid in Italia. È quanto emerge da un approfondimento del rapporto periodico sui decessi dell’Istituto superiore di sanità (Iss). Il testo riferisce che «quasi 99 deceduti per Covid su 100 dallo scorso febbraio non avevano terminato il ciclo vaccinale, e fra quelli che invece lo avevano completato si riscontra un’età media più alta e un numero medio di patologie pregresse maggiori rispetto alla media».

IL RAPPORTO. Il periodo preso in considerazione arriva fino al 21 luglio: in quella data sono state 423 le vittime del virus cinese che avevano completato il ciclo vaccinale, pari a una percentuale dell’1,2% di tutti i decessi per Covid avvenuti dallo scorso primo febbraio, per un totale di 35.776 morti. L’Iss spiega che il primo febbraio è stato scelto «come data indice perché corrisponde alle cinque settimane necessarie per il completamento del ciclo vaccinale a partire dall’inizio della campagna». Gli esperti rilevano inoltre che l’età media di questi 423 morti risulta più elevata di quella delle vittime del Covid in generale (86,6 anni contro 80). Altra indicazione emersa dal rapporto dell’Iss è quella relativa al numero di patologie pregresse delle vittime: sono mediamente 5, un dato – osservano gli esperti – «molto più elevato rispetto ai decessi della popolazione generale». In quest’ottica, dopo l’insufficienza respiratoria acuta, «le sovrainfezioni sono le complicanze maggiormente diffuse nelle persone decedute con ciclo vaccinale completo». L’Iss offre due possibili letture a questo risultato: la prima è che «i pazienti molto anziani e con numerose patologie possono avere una ridotta risposta immunitaria e pertanto essere suscettibili all’infezione da Sars-Cov-2 e alle sue complicanze pur essendo stati vaccinati»; la seconda è che la categoria degli anziani «rappresenta la popolazione con maggiore prevalenza di vaccinazione a ciclo completo alla data in cui è stata eseguita questa valutazione» in quanto ad anziani e vulnerabili è stata data priorità nella campagna vaccinale.

NUMERI RELATIVI E ASSOLUTI. Va inoltre rilevato che quattro mesi dopo l’inizio della rilevazione, il 2 giugno, data in cui la campagna vaccinale è stata aperta a tutta la popolazione, soltanto il 20,7% degli italiani aveva completato il ciclo, per un totale di 12.506.509 di persone. Quest’ultimo aspetto dimostra che nel periodo di maggior impeto del virus, a cavallo tra l’inverno e la primavera scorsi, il numero di persone che avevano completato il ciclo vaccinale in Italia era ancora scarso (il 31 marzo aveva ricevuto due dosi 3.245.884 persone, vale a dire il 5,4% della popolazione), motivo per cui era statisticamente molto più probabile che i non vaccinati potessero essere contagiati. Per avere dunque un dato comparativo efficace, le percentuali di vaccinati e non vaccinati dovrebbero essere equamente distribuite. Del resto lo stesso Iss la scorsa settimana ha pubblicato un altro rapporto in cui precisava la distinzione tra numeri assoluti e numeri relativi: «Se le vaccinazioni nella popolazione raggiungono alti livelli di copertura, si verifica l’effetto paradosso per cui il numero assoluto di infezioni, ospedalizzazioni e decessi può essere simile tra i vaccinati rispetto ai non vaccinati». Per esempio, spiegava l’Iss in quel rapporto, «nella fascia di età 80+, dove la copertura vaccinale è alta, si osserva che il numero di ospedalizzazioni fra vaccinati con ciclo completo e non vaccinati è simile». Dall’altra parte, si legge ancora, «il tasso di ospedalizzazione negli ultimi 30 giorni nei non vaccinati è circa dieci volte più alto rispetto a quello dei vaccinati con ciclo completo (28 vs 3 per 100 mila abitanti)».

VACCINI INNOVATIVI A MESSINA. Sul fronte delle vaccinazioni si registra inoltre che la città di Messina potrebbe fare da apripista per la somministrazione attraverso una tecnologia innovativa già utilizzata negli Stati Uniti, in Australia e in India. Essa consiste in un getto ad alta velocità che sostituisce completamente l’utilizzo dell’ago, quindi della tradizionale puntura, e garantisce un totale assorbimento del vaccino per via intramuscolare. Il dispositivo medico “Comfort-in”, certificato CE, è ideato per somministrazioni sub-cutanee o intramuscolari di sostanze medicamentose.

"Neanche un vaccinato nelle terapie intensive, la battaglia la vinciamo". Alberto Giannoni il 4 Settembre 2021 su Il Giornale. Il virologo del San Raffaele ottimista sui dati "Se i no-vax resteranno sotto il 20%, è fatta". Milano. Massimo Clementi, docente e direttore del laboratorio di virologia e microbiologia del San Raffaele, i dati lombardi attestano che ora, in terapia intensiva, ci sono solo persone non vaccinate. Chi si vaccina, dunque, non finisce in terapia intensiva.

«E molto raramente in ospedale. I vaccini, anche se in modo non assoluto, proteggono, fino al 95%, dalla malattia. L'infezione può attecchire ma la malattia molto difficilmente».

Si confermano le previsioni più ottimistiche?

«Tutti ci stiamo facendo un'esperienza su questo. Non è vero che procediamo sperimentando, ma certamente, questa infezione, alcuni elementi di novità li ha. La stiamo combattendo bene, come confermano questi dati, e altri che abbiamo. Stiamo vincendo una battaglia difficile».

La stiamo vincendo?

«Io sono molto ottimista. Se ci vacciniamo sì. L'aspetto più rilevante consiste nel fatto che, malgrado i vaccini siano stati progettati tenendo conto della sequenza del 2019, quella di Wuhan, proteggono dalle varianti più aggressive. La stessa Delta, nel nostro Paese, ha fatto salire inizialmente il numero dei ricoverati, poi rimasto stabile, ma non si è vista una ripresa come in altri Paesi che hanno attuato una strategia diversa. Dobbiamo essere soddisfatti per aver tenuto testa a questa variante più insidiosa e diffusibile».

Chi è vaccinato non si ammala ma può contagiare?

«Sì. La vaccinazione, avvenendo per via parenterale, non dà immunità nell'apparato respiratorio, il punto di ingresso del virus. Questa transitoria positività, questa possibilità di replica, fa sì che il soggetto vaccinato, a bassi titoli e per pochi giorni, sia comunque infettante. È possibile il virus possa albergare e trasmettersi. La vaccinazione non è sterilizzante. Ma protegge dalla malattia».

Scuole, cosa suggerisce?

«Quel che si sta facendo: andare avanti vaccinando il più possibile, anche ragazzi giovani, e quella quota, circa 2 milioni circa di over 50, che per diversi motivi non si sono vaccinati. Più riusciamo in queste due fasce più ci avvicineremo a un'immunità di popolazione che ci protegge. Al tempo stesso, visto che i primi, personale ospedaliero e anziani, sono stati vaccinati fra gennaio e marzo, e visto il decremento dell'immunità in 9-11 mesi, occorre iniziare i richiami con terza dose, importantissima, in grado di dare una protezione forte e di bloccare qualsiasi variante. Ce lo dicono gli israeliani con 2 milioni di terze dosi, un quinto degli abitanti».

Vedremo un decremento costante dei casi o un andamento «a ondate»?

«È impossibile che una pandemia scompaia dalla mattina alla sera come altre più piccole, come la Sars 1 del 2003. Lo scenario migliore prevede casi residuali e una convivenza con il virus, che diventerà uno dei tanti, fastidiosi agenti infettanti, senza darci troppe preoccupazioni. Al contrario, se questa fascia di non vaccinati resterà sopra il 20% è possibile che una qualche ripresa - attraverso la circolazione del virus - possa dare origine a nuove varianti. Io confido che si possa raggiungere un'immunità sempre maggiore. Anche alla luce di questi dati lombardi».

Si avverte un po' di stanchezza e una certa insofferenza nella popolazione.

«Comprensibile, ma ho visto dei ragazzi, che giocano a basket, che si sono tutti vaccinati per avere il green pass, e alcuni avevano i genitori non vaccinati e contrari. Lo considerano un valore. Quindi ci sono luci e ombre. Tanta gente è stanca, ma c'è voglia di chiudere la partita».

Terza dose: sarà l'ultima o avremo richiami annuali?

«Potrebbe essere quella definitiva ma è difficile fare previsioni. Potrebbe bastare, in ogni caso non sarebbe un gran danno, come il vaccino anti-influenzale».

La sanità italiana, in particolare quella lombarda, hanno tenuto o devono ripensarsi?

«Confrontandoci con gli altri direi che, dopo forse un iniziale sbandamento, c'è stata una risposta importante, efficiente e adeguata. E l'organizzazione della campagna vaccinale, anche grazie al generale degli Alpini, ha marciato come doveva». Alberto Giannoni

I morti vaccinati sono solo l'1,2%. "Sì alla terza dose per i più fragili". Enza Cusmai il 19 Agosto 2021 su Il Giornale. Decessi quasi solo tra i no vax, gli altri erano anziani ultra 80enni e malati. Bassetti: "Questi i numeri da comunicare". In una Rsa in Calabria 20 contagi e salvi in 15: "Senza cura sarebbe stata un'ecatombe". Nella piccola Rsa calabrese «Antonino Messina» di Sant'Eufemia di Aspromonte, mai sfiorata nella prima e seconda ondata di Covid, i 21 ospiti a luglio sono stati investiti dalla Delta come un tornado nonostante l'attenzione maniacale per le misure di prevenzione e sicurezza. In tre giorni, il centro si è autoisolato sopportando l'incognita della nuova variante. Tutti gli anziani non autosufficienti del centro, vaccinati con due dosi a gennaio scorso, sono risultati positivi ma la maggior parte di loro hanno resistito alla malattia rivelando sintomi simil-influenzali. Solo cinque anziani con gravi comorbilità non ce l'hanno fatta. «Erano persone con patologie gravissime che avevano sviluppato pochi anticorpi nonostante le due dosi di vaccino», spiega la direttrice sanitaria Carmela Cannizzaro. «Se i nostri ospiti non fossero stati vaccinati qui ci sarebbe stata un'ecatombe», aggiunge la direttrice Rossana Panarello che ha blindato la struttura per settimane mettendo in quarantena tutti i 27 operatori di cui sei infettati ma guariti dopo pochi giorni di febbriciattola e mal di gola. Il caso dell'Rsa calabrese la dice lunga su quante morti abbia risparmiato il vaccino nonostante la Delta. Ma quando contiamo ogni giorno decine di decessi viene da domandarsi chi e perché? In Campania, per esempio, confermano che il 95 per cento dei morti quotidiani per il virus non era stati vaccinati. In Sardegna emerge invece che i non vaccinati affollano soprattutto le corsie delle aree Covid, ma nelle intensive ci vanno anche quelli immunizzati, spesso anziani fragili con scarsa copertura anticorpale. I numeri su scala nazionale lo confermano. Da febbraio ad oggi, in Italia solo 423 vittime del covid era state vaccinate su un totale di 35.776 decessi. E questo corrisponde all'1,2 del totale. La media dei pazienti vaccinati era di circa 88 anni con cinque comorbilità. «Una quota irrisoria di decessi commenta il virologo Fabrizio Pregliasco . E questi numeri ci confermano che la vaccinazione è efficacissima e copre anche la variante Delta dalle forme gravi di malattia. Semmai aggiunge - ritengo che sia necessaria la terza dose per i soggetti più fragili, perché secondo la nostra osservazione i titoli anticorpali, in questa fascia di popolazione, sono calati. Da ottobre in poi le loro difese immunitarie degli anziani vanno rinforzate». Stessa idea di Matteo Bassetti, direttore della clinica di Malattie infettive del San Martino di Genova: «Basta terrorizzare gli italiani con i dati sui contagi, quello che conta è che finiscono in terapia intensiva e muoiono quasi solo i non vaccinati». Il virologo ancora alle prese con attacchi violentissimi dei no vax (mail di ieri: speriamo che l'autunno ti faccia cadere come le foglie, un bell' infarto e via..) sostiene, dunque, che sia inevitabile la terza dose sia pure per i fragili anche perché ammette che si sono verificati diversi focolai per la Delta nelle rsa sparsi qua e là lungo lo Stivale. Al Trivulzio di Milano, però, la nuova ondata ha lasciato indenne la struttura che attualmente è covid-free. Ma l'attenzione è altissima. Ieri 69 decessi (mai così tanti dallo scorso 11 giugno), i contagi sono 7.162 con il tasso di positività è ora al 3,2 per cento. Ma se in Italia il virus sale con gradualità, negli Stati Uniti è di nuovo emergenza: ieri si sono contati oltre mille morti, 42 ogni ora. E le autorità sanitarie accelerano sulla terza dose: oltre 155 milioni di persone la potranno ricevere dal 20 settembre. «I dati disponibili spiegano gli esperti- mostrano che la protezione contro il SARS-CoV-2 inizia a diminuire nel tempo dopo le iniziali dosi di vaccino e, in associazione con la variante Delta, cominciamo a vedere le prove di una ridotta protezione contro sintomi lievi e moderati della malattia». Enza Cusmai

Vaccino, il report dell'Iss: quei 35mila morti che l'Italia avrebbe potuto evitare. Brunella Bolloli su Libero Quotidiano il 28 luglio 2021. Età media 88 anni e mezzo, un numero elevato di patologie, complicazioni provocate da infezioni e scarsa risposta immunitaria dovuta all'età. L'ultimo report diffuso dall'Istituto Superiore di Sanità parla chiaro: da febbraio ad oggi quasi 99 deceduti su 100 non avevano terminato il ciclo vaccinale e tra coloro che avevano ricevuto la doppia dose non si registrano ragazzini sani come pesci che sono stati spazzati via in una manciata di giorni dal Covid. Erano, invece, persone molto anziane e, purtroppo, molto malate, un mix di fattori che non ha lasciato loro scampo. Alla voce "caratteristiche demografiche dei deceduti" il documento dell'Iss cita gli anni (le donne decedute erano più in là degli anni rispetto agli uomini) e le "comorbilità": cardiopatia ischemica, fibrillazione atriale, scompenso cardiaco, ictus, ipertensione arteriosa passando dal diabete, dal cancro, fino all'obesità. Alcuni avevano ben 5 patologie insieme, croniche e preesistenti al Coronavirus, il che significa che in un fisico già così fiaccato anche una doppia dose non ha potuto strapparli dalla morte.

COPERTURA. Medici e scienziati, del resto, non hanno mai assicurato una copertura del cento per cento contro Sars-Cov2, gli studi clinici hanno evidenziato un'efficacia dei vaccini in uso in Italia con valori tra l'88 e il 97%. Ma di sicuro per morire ci deve essere stato qualche altro fattore di rischio oltre al virus. In particolare, dal primo febbraio (scelto come data indice perché corrisponde alle cinque settimane necessarie per il completamento del ciclo vaccinale a partire dall'inizio della campagna) e fino al 21 luglio, sono stati 423 i decessi Sars-Cov-2 positivi in vaccinati con ciclo vaccinale completo. Una cifra che rappresenta l'1,2% di tutti i decessi Sars-Cov-2 positivi avvenuti dal 1 febbraio, (in totale 35.776 decessi) e che, letta al contrario, conferma che quasi tutti i morti da Covid da sei mesi a questa parte non avevano fatto la profilassi, o comunque non avevano completato il ciclo e ancora di più conferma che il vaccino avrebbe salvato vite, liberato i reparti delle terapie intensive ed evitato tante altre morti, almeno 35mila. L'analisi è basata su un campione di 70 cartelle cliniche delle 423 vittime sottoposte a terapia antibiotica e steroidea, ma, si legge nel rapporto, «a causa di una ridotta risposta immunitaria suscettibili all'infezione da Sars-Cov-2 e alle sue complicanze pur essendo stati vaccinati». L'istituto superiore di Sanità fa poi anche un confronto tra le diverse ondate del Covid individuando tre periodi dall'inizio della pandemia ad oggi: la fase iniziale (marzo-maggio 2020), il secondo periodo (giugno-settembre 2020) e il terzo (ottobre 2020-luglio 2021) con l'incognita di agosto che, ipotizzano in tanti, potrebbe provocare una quarta ondata per colpa della variante Delta e delle riaperture. Rispetto alla prima ondata epidemica, i deceduti della seconda avevano una maggiore complessità clinica, infatti anche l'utilizzo dei farmaci è diverso: meno antivirali e maggior uso di steroidi.

CONTAGI E RICOVERI. In quanto ai contagi, l'ultimo bollettino registra un aumento dei casi in Italia ma, per la prima volta, negli ultimi 3-4 giorni si osserva un rallentamento della velocità di crescita. Un primo segnale da monitorare, anche se è troppo presto per dire se si tratti di una reale inversione di tendenza della curva epidemica e, dunque, serve prudenza. I numeri giornalieri dell'epidemia, infatti, sono ancora in salita. I nuovi positivi sono 4.522, 24 invece le vittime (lunedì erano state 22). Il tasso di positività, pari all'1,9%, è invece in calo rispetto al 3,5% del giorno precedente. Sempre su base giornaliera, continuano inoltre a salire i ricoveri: sono 189 i pazienti ricoverati in intensiva per Covid, 7 in più rispetto a lunedì e i ricoverati nei reparti ordinari sono 1.611 (+99). Di questi pazienti ospedalizzati quasi nessuno aveva completato il ciclo vaccinale, mentre i no-vax continuano a riempire i social di "bufale", come quelle che i vaccini fanno morire (ma non c'è nessuna evidenza scientifica in tal senso) e ad improvvisare manifestazioni rivendicando il diritto d'infettare.

Diodato Pirone per “il Messaggero” il 25 luglio 2021. Una volta si sarebbe detto che la matematica non è un'opinione. E forse non c'è modo migliore per spiegare l'effetto delle vaccinazioni se non quello di ricorrere ai numeri per dimostrare che il Sars Cov-2, il maledetto virus che ci ha stravolto la vita da quasi due anni, ormai colpisce e ha effetti gravi solo sulla platea dei non vaccinati. Come se non bastassero i dati israeliani o quelli inglesi o quelli americani (con l'incredibile differenza di decessi da Covid determinata dal diverso livello di vaccinazione nei vari Stati) prendiamo le cifre diffuse dall'Istituto Superiore di Sanità per il periodo 21 giugno - 4 luglio. Ebbene in quelle due settimane i decessi da Covid sono stati quasi tutti concentrati fra i non vaccinati: il 100% nella fascia fra 12 e 29 anni; il 92% fra i quarantenni e i cinquantenni, l'81% fra chi aveva fra 60 e 79 anni e il 70% per i nati dal 1941 e annate precedenti. Fra i vaccinati sotto i 60 anni non è stato registrato neanche un morto causato dal Covid-19. Il vaccino insomma il suo lavoro di protezione lo sta facendo egregiamente. Non a caso la fascia di italiani più vaccinata, quella composta da persone ultraottantenni, ha visto crollare del 500% la propria quota di contagi in relazione al totale della popolazione. Il grafico che pubblichiamo in alto a destra è esplicito: all'inizio dell'anno i contagi fra gli ultraottantenni (che rappresentano grosso modo il 7% della popolazione italiana) erano il 10% del totale, oggi sono ridotti al 2% o giù di lì con un lievissimo incremento dovuto all'ingresso sul palcoscenico della ipercontagiosa variante Delta. Ma torniamo alle cifre dell'Istituto Superiore di Sanità. Un altro dato che certifica l'effetto positivo dei vaccini è quello dei ricoveri in terapia intensiva. In questa fase ce ne sono pochissimi contro i quasi 4.000 letti occupati di aprile. Ma quei pochi sono per l'85%, cioè per la quasi totalità, pazienti che non erano vaccinati quando sono entrati in ospedale. Solo il 10,6% delle terapie intensive sono assegnate a pazienti con una sola dose vaccinale. Mentre appena il 4,3% dei ricoveri più gravi è legato alle condizioni di pazienti cui sono state somministrate le classiche due dosi. Se così stanno le cose è lecito chiedersi quale scenario si sta preparando per l'Italia per il prossimo autunno. Partiamo da un paletto preciso: il vaccino protegge bene solo dopo la seconda dose. E i dati ci dicono che gli italiani che sono in questa condizione a ieri (ore 18.25) era 29 milioni e 655 mila pari alla metà della popolazione complessiva. Dunque c'è ancora un bel pezzo di strada da fare anche se altri 5,5 milioni di italiani hanno già fatto la prima dose. Che non ci sia tempo da perdere lo dimostrano le previsioni degli esperti che parlano di un livello di 25/30.000 nuovi contagi giornalieri a partire dalla seconda metà di agosto causati dalla variante Delta che è molto contagiosa. L'aumento esponenziale delle vaccinazioni è fondamentale per impedire che questa grande quantità di infezioni si trasformi in una nuova ondata di ospedalizzazioni e di decessi e, quindi, in un nuovo stop alla ripresa dell'economia. I più recenti dati inglesi, dove i vaccinati con doppia dose sono 36,5 milioni, un dato non lontanissimo da quello italiano, ci dicono che fra i nuovi contagiati con variante Delta il 2% finisce in ospedale e lo 0,4% non ce la fa a sopravvivere alla malattia. Questo significa che anche in Italia ci dobbiamo aspettare che su ogni 10.000 contagiati futuri circa 200 (il 2%) andranno ad occupare letti d'ospedale e 40 (lo 0,4%) moriranno. Dati gravi ma non terrificanti come quelli del primo Covid che erano fino a 5 volte superiori sia per i ricoveri che per i decessi. Anche su questo fronte la matematica non scherza. Ma abbiamo capito che c'è un solo modo per impedire che quei numeri per ora solo ipotetici diventino una realtà: vaccinarsi il più presto possibile. Diodato Pirone

Da Adnkronos.com il 12 agosto 2021. Fanno breccia nello scudo vaccinale e per questo le chiamano infezioni “breakthrough”. Sono i contagi che si verificano fra persone vaccinate. Con l'ascesa delle varianti Covid, in particolare la Delta, questi dati sono costantemente sotto i riflettori e vengono monitorati attentamente per cogliere eventuali segnali di cedimento nella profilassi. Uno studio Usa non ancora pubblicato, e quindi non sottoposto a revisione paritaria, ma disponibile in versione preprint sulla piattaforma “Medrxiv”, mette a confronto l'efficacia dei due vaccini a mRna, Moderna e Pfizer/BioNTech. L'analisi è stata condotta su dati del Mayo Clinic Health System da gennaio a luglio 2021, periodo in cui erano molto diffuse sia la variante Alfa che la Delta, e mostra che l'efficacia contro l'infezione sembrerebbe essersi ridotta meno per Moderna. «Abbiamo definito gruppi di persone del Minnesota vaccinate e non (25.589 persone per ciascuno dei due gruppi), abbinate per età, sesso, etnia, storia di precedenti test per Sars-CoV-2 e data della vaccinazione completa», spiegano gli autori che riportano i risultati della loro analisi su più fronti. «Entrambi i vaccini sono stati altamente efficaci durante questo periodo di studio contro l'infezione da Sars-CoV-2 e contro i ricoveri per Covid. A luglio, però, se l'efficacia contro il ricovero è rimasta elevata, l'efficacia contro l'infezione è risultata inferiore per tutti e due i prodotti scudo (Moderna 76%, Pfizer 42%), con una riduzione più pronunciata per il vaccino Pfizer». Questo calo si verificava mentre in Minnesota la prevalenza della variante Delta aumentava dallo 0,7% di maggio a oltre il 70% di luglio, e la prevalenza di Alfa calava dall'85% al 13% nello stesso periodo di tempo. Confrontando i tassi di infezione tra vaccinati nei siti del Mayo Clinic Health System in più stati (Minnesota, Wisconsin, Arizona, Florida e Iowa), il vaccino Moderna ha mostrato una riduzione di due volte del rischio di infezioni “breakthrough” rispetto a Pfizer. In Florida, che a luglio stava vivendo la sua più grande ondata di Covid, il rischio di infezione dopo vaccinazione completa era inferiore di circa il 60% con Moderna rispetto a Pfizer. Lo studio osservazionale, va precisato, evidenzia che entrambi i vaccini a mRna proteggono fortemente contro infezioni e malattie gravi, ma giustifica un'ulteriore valutazione dei meccanismi alla base delle differenze nella loro efficacia, concludono gli autori. 

Efficacia anche contro le varianti. Quanto è efficace il vaccino Moderna, lo studio: “Al 93% a 6 mesi dalla seconda dose”. Elena Del Mastro su Il Riformista il 5 Agosto 2021. “Siamo lieti che il nostro vaccino Covid-19 mostri un’efficacia duratura del 93% per sei mesi, ma riconosciamo che la variante Delta è una nuova significativa minaccia, quindi dobbiamo rimanere vigili”. Così l’amministratore delegato di Moderna, Stéphane Bancel, ha annunciato il risultato degli studi su uno dei vaccini più utilizzati in tutto il mondo. Fondamentale anche il passaggio sull’efficacia contro la Variante Delta. Per l’ad ci sono “risposte anticorpali robuste” contro importanti varianti di preoccupazione di Sars-CoV-2, sono state osservate per i 3 candidati richiami vaccinali attualmente in fase 2 di sperimentazione da parte di Moderna. In uno studio di fase 2, riferisce Moderna, è stata valutata la vaccinazione con 50 microgrammi di 3 diversi candidati ‘booster’. Le solide risposte anticorpali sono state osservate sia contro il ceppo D614G del coronavirus pandemico, sia contro le varianti di preoccupazione principali, tra cui la brasiliana Gamma (P.1), la sudafricana Beta (B.1.351) e l’indiana Delta (B.1.617.2). I candidati al richiamo includevano sia una dose booster dell’attuale vaccino, sia i due prodotti sperimentali mRna-1273.351 e mRna-1273.211. I livelli di anticorpi neutralizzanti dopo il richiamo si avvicinavano a quelli osservati dopo la vaccinazione primaria con 2 dosi da 100 microgrammi di mRna-1273, cioè dell’attuale vaccino Moderna. L’ad ha annunciato anche la creazione di un nuovo vaccino di nuova generazione. “Sono orgoglioso dei progressi dei nostri team”, ha commentato Stéphane Bancel. “Ora abbiamo candidati mRna in studi clinici in 5 aree terapeutiche, tra cui malattie infettive, cardiovascolare, oncologica, malattie rare e malattie autoimmuni. Siamo lieti che il nostro vaccino Covid mostri un’efficacia duratura del 93% per 6 mesi, ma riconosciamo che la variante Delta è una nuova significativa minaccia, quindi dobbiamo rimanere vigili”. Guardando al futuro, Bancel aggiunge: “Abbiamo iniziato a preparare studi in fase avanzata per il nostro vaccino antinfluenzale e per quello contro il virus respiratorio sinciziale (Rsv), che ha ricevuto la designazione rapida dalla Fda pochi giorni fa, e guardiamo avanti alla nostra visione di una singola dose di richiamo annuale che fornisca protezione contro Covid, influenza e Rsv per gli adulti. Crediamo che questo sia solo l’inizio”.

Elena Del Mastro. Laureata in Filosofia, classe 1990, è appassionata di politica e tecnologia. È innamorata di Napoli di cui cerca di raccontare le mille sfaccettature, raccontando le storie delle persone, cercando di rimanere distante dagli stereotipi.

Antonio Caperna per "il Giornale" il 4 agosto 2021. La necessità della terza dosa sta catalizzando il dibattito scientifico e politico dell'estate. Se da un lato, infatti, si spinge per raggiungere la massima copertura della popolazione, ragionando sui giovani per il prossimo anno scolastico e su qualche milione di over 50 ancora scoperto, dall'altra non si hanno le idee chiare se attivarsi in una nuova campagna vaccinale e soprattutto a chi destinarla. Il rischio concreto è di andare in ordine sparso con alcune nazioni che hanno già deciso (Israele, Germania, Gran Bretagna), altre con qualche dubbio (Italia), altre ancora lontane dal dibattito (Svizzera) mentre l'Agenzia europea del farmaco Ema ha ribadito ancora una volta, tramite il direttore esecutivo, Emer Cooke, che «al momento non ci sono dati sufficienti per indicare che sia necessario un richiamo. Per alcune popolazioni si potrebbe iniziare a vedere la necessità, il che non significa che ce ne sia bisogno in generale». La questione, perciò, assume soprattutto i caratteri di una scelta politica anche per metter un freno alla recrudescenza di contagi per la variante Delta, poiché dal punto di vista scientifico mancano le prove per una decisione definitiva. Lo studio condotto in Israele e pubblicato sul New England Journal of Medicine, infatti, è solo un primo passo: su 11.500 operatori sanitari coinvolti ne sono stati identificati solamente 39 vaccinati e reinfettati con sintomi lievi o nessuno; tra questi in appena 22 lavoratori si hanno avute misurazioni anticorpali. I ricercatori hanno poi esaminato i dati di 104 lavoratori completamente vaccinati, che non sono stati infettati pur essendo stati a contatto con il virus. Il confronto ha mostrato che i livelli di anticorpi neutralizzanti erano più bassi tra coloro che sono stati infettati, fornendo la prima prova diretta di questo effetto. Un dato simile si era ottenuto durante gli studi clinici per Astrazeneca. Il numero esiguo del campione e il fatto che «l'analisi non fornisce un livello specifico di anticorpi associato alla protezione, e su questo è necessario ora indagare», sottolineano gli autori, lascia qualche dubbio. Da considerare poi i dati sulle reinfezioni nei guariti da Covid, come riportato a fine maggio su Jama Internal Medicine. In questa situazione complessa il dg della Prevenzione del ministero della Salute, Gianni Rezza, ha sottolineato comunque la necessità di decidere «nel giro di un mese chi vaccinare e in quali tempi con una terza dose. Una decisione che va meditata bene. Probabilmente saranno persone più fragili e immunodepresse ma non sappiamo quando. C'è indecisione, perché non ci sono ancora evidenze forti per poter dire che la faremo a tutti piuttosto che ad alcuni». In Israele intanto, è partita la somministrazione su base volontaria agli over 60, anche se in un sondaggio, solo il 52% degli israeliani con due dosi sarebbe disponibile alla terza. Secondo la ricerca, rilanciata dal Jerusalem Post, appena il 47% degli under 60 riceverebbe un'ulteriore dose, che sale al 67% negli over 60. La vicina Svizzera è attendista, con Virginie Masserey dell'Ufsp, che ribadisce innanzitutto la necessità vaccinare chi ancora è scoperto e dopo si penserà alla terza dose. La Germania e la Gran Bretagna invece puntano già al 1 settembre: i ministri della Salute dei Länder hanno approvato all'unanimità un piano per iniziare con Pfizer o Moderna dalle persone anziane e a rischio; Oltremanica il governo sta «preparando un piano di richiami» per 32 milioni di persone tra over 50, fragili, lavoratori dell'assistenza e della sanità ma i dettagli della decisione finale saranno resi pubblici «a tempo debito» anche sulla base di studi in corso.

Vaccino Pfizer meno efficace dopo 6 mesi, servirà una terza dose: lo studio. Chiara Nava il 31 luglio 2021 su Notizie.it. Il vaccino Pfizer diventa meno efficace dopo sei mesi dalla somministrazione, per questo motivo servirà una terza dose. Lo studio della Pfizer. Il vaccino Pfizer diventa meno efficace dopo sei mesi dalla somministrazione, per questo motivo servirà una terza dose. Lo studio della Pfizer, che ha arruolato volontari in Europa e nelle Americhe. Il vaccino della Pfizer e della Biontech perde efficacia nel giro di sei mesi. A rivelarlo uno studio della stessa casa farmaceutica americana. L’efficacia scende dal 96% all’84%, secondo i dati pubblicati in preprint, non ancora sottoposti a peer-review. Stat News ha riportato che secondo uno studio di Pfizer, in corso su oltre 44.000 persone, l’efficacia del vaccino nel prevenire qualsiasi infezione da Covid-19, che causa anche sintomi minori, tende ad essere meno efficace dopo sei mesi dalla somministrazione, con una diminuzione del 6% della sua efficacia. Questi sono i risultati dlelo studio Pfizer.

Terza dose Pfizer: i dati. Il vaccino Moderna risulta efficace al 90% contro il Covid-19 sintomatico e al 95% contro la malattia grave dopo sei mesi, come ha comunicato la società in aprile. Johnson&Johnson non ha ancora rivelato i dati di efficacia a sei mesi, come riferito da Stat News. Il vaccino Pfizer, invece, secondo lo studio che ha arruolato volontari in Europa e nelle Americhe, ha rivelato una diminuzione dell’efficacia a distanza di sei mesi dalla somministrazione. Questo sicuramente fa pensare alla necessità di effettuare una terza dose, nella speranza che sia più duratura rispetto alla seconda dose. Lo studio, però, non ha valutato se il vaccino è meno efficace anche contro la variante Delta.

Vaccino Pfizer meno efficace: ipotesi la terza dose. Con i risultati di questo studio si torna a parlare della possibilità di fare una terza dose di vaccino. La questione è stata trattata in diverse occasioni. La possibilità di effettuare una terza dose è sempre più concreta, anche se per il momento non hanno ancora stabilito dopo quanto tempo si dovrà effettuare. Se anche l’efficacia della terza dose si dovesse rivelare minore dopo alcuni mesi, potrebbe esserci la possibilità di effettuare nuove dosi. Il capo della ricerca e sviluppo dell’azienda farmaceutica Pfizer ha dichiarato che si aspetta che la terza dose sia “un po’ più duratura” della seconda dose. Lo studio ha confermato una diminuzione dell’efficacia del 6% in soli sei mesi.

Da ansa.it il 2 agosto 2021. La risposta immunitaria che si ha con due dosi di vaccino anti-Covid AstraZeneca è minore rispetto a quella osservata con il mix di vaccini con prima dose di Astrazeneca e seconda a Rna e anche con due dosi di vaccino ad Rna. Il regime eterologo non sembra avere la stessa efficacia invece se la prima dose è a Rna e la seconda con AstraZeneca. Lo precisa l'Organizzazione mondiale della sanità nelle nuove raccomandazioni sul vaccino anti-Covid di AstraZeneca. È bene però ricorrere al mix di vaccini, afferma l'Oms, solo in particolari situazioni di interruzione nelle forniture visto che gli studi sono su un campione limitato. L'Oms precisa che con il regime misto di vaccini si è anche osservata una maggiore, anche se accettabile, reattogenicità. "Anche se i dati al momento sono incoraggianti, serve cautela nell'interpretarli - precisa nell'aggiornamento delle raccomandazioni - visto il campione limitato e la mancanza di follow up, specialmente sui dati relativi alla sicurezza. Al momento non ci infatti sono studi sull'efficacia del vaccino in regime eterologo. Più dati arriveranno a breve, così come nuove raccomandazioni". Il regime eterologo con i due tipi di vaccino "è da considerarsi off-label - conclude - e non ci sono attualmente dati per preferire il regime eterologo rispetto agli altri vaccini". È "plausibile, anche se il meccanismo biologico alla base è ancora da chiarire" la relazione causale tra la somministrazione del vaccino anti-Covid di AstraZeneca e una sindrome molto rara della coagulazione del sangue di trombosi e trombocitopenia, avvenuta tra i 3 e 30 giorni dopo la vaccinazione. Il rischio stimato è di 1 caso per 100.000 adulti vaccinati, con la maggior parte dei casi riportati nel Regno Unito e nell'Unione europea, mentre molto pochi ne sono stati segnalati fuori dall'Europa, nonostante l'uso estensivo del vaccino in questi paesi. Lo precisa l'Organizzazione mondiale della sanità (Oms) nell'aggiornamento delle sue raccomandazioni sul vaccino sviluppato da AstraZeneca. I dati disponibili dall'Europa e altri paesi, come l'Australia, suggeriscono un rischio maggiore per i giovani rispetto agli anziani, mentre altri fattori di rischio non sono stati identificati. Non si sa ancora se il rischio di questa rara sindrome si abbia dopo la seconda dose di vaccino. Per quanto riguarda invece i casi di sindrome di Guillan-Barrè riportati dopo questo vaccino, sono "molto rari", continua l'Oms, e "una reazione di causale non è stata confermata né stabilita. Servono maggiori studi per confermarla. Sulla base dei dati disponibili - conclude l'Oms - i potenziali benefici di questo vaccino continuano a superare ogni potenziale rischio di Guillan-Barrè, soprattutto considerata la maggiore trasmissibilità della variante Delta".

Nessuna connessione causale con la sindrome di Guillan-Barrè che restano "molto rari". “Doppia dose di Astrazeneca è meno efficace del mix con Moderna e Pfizer”, la conferma dell’Oms. Elena Del Mastro su Il Riformista il 2 Agosto 2021. La risposta immunitaria con due dosi di vaccino anti-Covid AstraZeneca è minore rispetto a quella osservata con il mix di vaccini con prima dose di AstraZeneca e seconda a Rna e anche con due dosi di vaccino ad Rna come Pfizer e Moderna. Il regime eterologo non sembra avere la stessa efficacia invece se la prima dose è a Rna e la seconda con AstraZeneca. Lo precisa l’Organizzazione mondiale della sanità nelle nuove raccomandazioni sul vaccino anti-Covid di AstraZeneca. È bene pero ricorrere al mix di vaccini, afferma l’Oms, solo in particolari situazioni di interruzione nelle forniture visto che gli studi sono su un campione limitato. L’Oms precisa che con il regime misto di vaccini si è anche osservata una maggiore, anche se accettabile, reattogenicità. “Anche se i dati al momento sono incoraggianti, serve cautela nell’interpretarli – precisa nell’aggiornamento delle raccomandazioni – visto il campione limitato e la mancanza di follow up, specialmente sui dati relativi alla sicurezza. Al momento non ci infatti sono studi sull’efficacia del vaccino in regime eterologo. Piu dati arriveranno a breve, cosi come nuove raccomandazioni”. Il regime eterologo con i due tipi di vaccino “è da considerarsi off-label – conclude – e non ci sono attualmente dati per preferire il regime eterologo rispetto agli altri vaccini”.

“Plausibile nesso tra Astrazeneca e casi di trombosi”. L’Oms ha nuovi aggiornamenti anche per quanto riguarda le trombosi. È “plausibile, anche se il meccanismo biologico alla base è ancora da chiarire” la relazione causale tra la somministrazione del vaccino anti-Covid di AstraZeneca e una sindrome molto rara della coagulazione del sangue di trombosi e trombocitopenia, avvenuta tra i 3 e 30 giorni dopo la vaccinazione. Il rischio stimato è di 1 caso per 100.000 adulti vaccinati, con la maggior parte dei casi riportati nel Regno Unito e nell’Unione europea, mentre molto pochi ne sono stati segnalati fuori dall’Europa, nonostante l’uso estensivo del vaccino in questi paesi. Lo precisa l’Organizzazione mondiale della sanita’ (Oms) nell’aggiornamento delle sue raccomandazioni sul vaccino sviluppato da AstraZeneca. I dati disponibili dall’Europa e altri paesi, come l’Australia, suggeriscono un rischio maggiore per i giovani rispetto agli anziani, mentre altri fattori di rischio non sono stati identificati. Non si sa ancora se il rischio di questa rara sindrome si abbia dopo la seconda dose di vaccino. Per quanto riguarda invece i casi di sindrome di Guillan-Barre’ riportati dopo questo vaccino, sono “molto rari”, continua l’Oms, e “una reazione di causale non è stata confermata nè stabilita. Servono maggiori studi per confermarla. Sulla base dei dati disponibili – conclude l’Oms – i potenziali benefici di questo vaccino continuano a superare ogni potenziale rischio di Guillan-Barre’, soprattutto considerata la maggiore trasmissibilità della variante Delta”.

Elena Del Mastro. Laureata in Filosofia, classe 1990, è appassionata di politica e tecnologia. È innamorata di Napoli di cui cerca di raccontare le mille sfaccettature, raccontando le storie delle persone, cercando di rimanere distante dagli stereotipi.

Uno studio inglese: due dosi di AstraZeneca o Pfizer proteggono dalla variante Delta. Il Quotidiano del Sud il 23 luglio 2021. DUE dosi di vaccino Pfizer o AstraZeneca proteggono dalla variante Delta del Covid, con solo una piccola diminuzione di efficacia. Lo conferma uno studio inglese dell’agenzia sanitaria Public Health England, pubblicato sul New England Journal of Medicine. Per l’analisi che arriva dalla Gran Bretagna sono stati utilizzati i dati dei positivi in Inghilterra di cui era stato sequenziato il virus, per un totale di circa 20mila casi di variante Delta, elaborati in due modi diversi. Due dosi di vaccino Pfizer sono risultate efficaci all’88% nel prevenire la malattia sintomatica, contro il 93,7% della Alfa. Per quanto riguarda l’efficacia dell’AstraZeneca, con due dosi è risultata del 67%, più alta quindi del 60% riportato da altri studi, rispetto al 74,5% della Alfa. L’analisi ha confermato anche che una sola dose non basta: per entrambi i vaccini l’efficacia dell’immunizzazione parziale di ferma intorno al 30%. Ad una conclusione diversa erano arrivati gli esperti del ministero della Salute israeliano, che avevano preso in considerazione i dati relativi ai contagi nel Paese tra le persone protette con il vaccino Pfizer, l’unico usato. Secondo i numeri diffusi l’efficacia era passata dal 94% osservato per le altre varianti al 64% della Delta, ferma restando un’elevata protezione nei confronti delle forme più gravi della malattia e del rischio di decesso.

I dati disponibili in Italia. Al problema dell’efficacia però, suggerisce uno studio sempre inglese pubblicato su Lancet, potrebbe aggiungersi quello della durata degli anticorpi dati dal vaccino. Quelli generati dalla seconda dose, affermano gli esperti dell’University college di Londra, iniziano a diminuire dopo poche settimane, e il calo potrebbe indicare la necessità di un richiamo, almeno per le persone più fragili. Lo affermano i ricercatori dell’University College di Londra in uno studio pubblicato sulla rivista Lancet. In Italia ancora non ci sono studi specifici per la variante Delta, ma secondo gli ultimi dati dell’Istituto Superiore di Sanità per quanto riguarda l’infezione il ciclo completo di vaccinazioni ha un’efficacia tra il 79,8% e l’81,5%, a seconda della fascia d’età.

Fabio Savelli per il “Corriere della Sera” il 19 luglio 2021. È l'ultimo rapporto, il più aggiornato. Misura in maniera sempre più attendibile l'impatto dei vaccini sul decorso delle infezioni Covid in parallelo col progredire della campagna che estende l'immunizzazione su fasce sempre più ampie della popolazione. Il periodo preso in esame dall'Istituto Superiore di Sanità, che lo ha redatto, comprende gli ultimi 30 giorni. Si tratta di un'istantanea più accurata perché i numeri di vaccinati sono ormai nell'ordine di diversi milioni e permettono riflessioni ponderate sulla differenza tra chi vaccinato lo è e chi ancora no. Il primo effetto è l'efficacia complessiva della vaccinazione che «è superiore al 70% nel prevenire l'infezione in vaccinati con ciclo incompleto» e «superiore all'88% per i vaccinati con ciclo completo». L'efficacia nel prevenire l'ospedalizzazione sale «all'80,8% con ciclo incompleto» e «al 94,6% con ciclo completo». Mentre «nel prevenire i ricoveri in terapia intensiva è pari all'88,1% con ciclo incompleto e al 97,3% con ciclo completo». Sui decessi la diapositiva è incoraggiante: «L'efficacia è pari a 79% con ciclo incompleto e al 95,8% con ciclo completo». Con una nota metodologica: si tratta di stime che non tengono in conto fattori che potrebbero influire nella valutazione come la presenza nei soggetti infetti di «comorbidità», cioè con patologie che potrebbero moltiplicare il rischio. 

LA FASCIA 12-39 ANNI. Si tratta della fascia d'età che ha cominciato da circa un mese con le somministrazioni. È entrata ora nel vivo della campagna. Ha un'indice letalità da Covid quasi irrilevante ma ha una mobilità maggiore e quindi maggiori capacità di trasmissibilità del virus. L'88,4% dei contagi di questo ultimo mese e in questa fascia d'età è avvenuto in soggetti non vaccinati. L'8,1% dei casi era stato coperto con una dose. Il 3,4% con due dosi. Le ospedalizzazioni riguardano per il 97,2% quelli senza copertura e solo lo 0,8% tra chi ha completato il ciclo vaccinale. Ci sono stati zero decessi per chi era vaccinato, mentre l'87,5% degli eventi avversi in chi non era vaccinato.

LA FASCIA 40-59 ANNI. Con questa anagrafica differenze analoghe tra i non vaccinati e chi lo è. Il 71,3% dei casi Covid di questo ultimo mese, segnala l'Iss, riguarda soggetti privi di copertura vaccinale, il 19,7% aveva avuto una dose, solo il 9% aveva completato il ciclo vaccinale. In questa fascia d'età siamo al rischio zero di vaccinati che finiscono in terapia intensiva. Non ci sono casi segnalati. Perché il 95,7% di chi ha avuto bisogno dell'ossigeno non era stato vaccinato. Anche sui decessi proporzioni analoghe: il 90% non era vaccinato, solo il 2% aveva ricevuto le due dosi, l'8% solo una.

LA FASCIA 60-79 ANNI. In questa fascia la letalità Covid non è stata irrilevante. Nell'ultimo mese le proporzioni sono cambiate facendo pendere la bilancia ampiamente dalla parte dei vaccinati. Il 47,7% dei nuovi casi non era vaccinato, solo il 18,2% invece aveva completato il ciclo vaccinale. Di chi è finito in terapia intensiva il 71,2% era privo di copertura, con doppia dose la percentuale è scesa al 3%, al 25,8% con una dose sola. Il 73,1% dei deceduti non era vaccinato, solo il 5,6% aveva completato il ciclo.

GLI OVER 80. Anche in questa fascia c'è una differenza sostanziale tra i vaccinati e non. Tra gli ospedalizzati il divario si accorcia solo per le degenze ordinarie: il 49,9% dei ricoverati non era vaccinato contro il 42,1% che lo era. Ma l'80,8% di chi è finito in terapia intensiva in assistenza respiratoria non aveva fatto la vaccinazione e solo il 19,2% aveva ricevuto il ciclo completo di due dosi. Anche i decessi toccano per il 65,9% chi non ha voluto «coprirsi». Il 24,7% invece lo era.

Israele, "152 morti dopo la doppia dose di vaccino". Lo studio e le cifre drammatiche: dubbi su Pfizer. Libero Quotidiano il 17 luglio 2021. Altre pessime notizie da Israele, uno dei paesi più avanti a livello mondiale nella campagna di vaccinazione del coronavirus e che però, a fronte dell'aumento di contagi e vittime, è stato costretto a introdurre, recentemente, nuove restrizioni. Tra queste brutte notizie, in mattinata, le parole del primo ministro, Naftali Bennett, che ha sottolineato come il vaccino Pfizer sia meno efficace contro la variante Delta. "Non sappiamo esattamente fino a che punto il vaccino aiuti - ha spiegato Bennett -, ma è significativamente inferiore".  In Israele, oltre 5,7 milioni di persone hanno ricevuto almeno un'iniezione del vaccino Pfizer. E il Paese continua a spingere i cittadini a vaccinarsi, in particolare gli adolescenti: il punto è che come detto i contagi sono tornati a salire. Il numero più alto, da marzo a questa parte, è stato registrato giovedì, con l'1,52% dei tamponi positivi. Ma è una seconda la notizia più inquietante che arriva sempre da Israele: si apprende infatti che 152 persone si sono ammalate di coronavirus e morte nonostante avessero ricevuto entrambe le dosi di vaccino. Tutte le vittime avevano in comune l'età avanzata e un sistema immunitario indebolito, oltre ad altre patologie. Ma il dato, ovviamente, desta più di una preoccupazione. Le cifre sono quelle contenute in una ricerca in via di pubblicazione sulla rivista Clinical Microbiology and Infection, ricerca condotta in 17 ospedali di Israele sotto la guida di Tal Brosh-Nissimov, dell'Università Samson Assuta Ashdod e dell'Università Ben Gurion. Anche per questa ragione, Israele si prepara alla terza dose di vaccino: una consegna è prevista per il primo agosto, in anticipo rispetto a settembre, la prima ipotesi. 

Quando vaccinarsi dopo la guarigione dal Covid. Today.it il 22/7/2021. La circolare del ministero. A coloro che hanno avuto il virus basterà una sola dose di vaccino entro un anno. Lo comunica il ministero della Salute con la circolare firmata dal direttore generale della Prevenzione Gianni Rezza. I guariti dal Covid quando possono vaccinarsi? A coloro che hanno avuto il virus basterà una sola dose di vaccino entro un anno. Lo annuncia il ministero della Salute con la circolare, firmata dal direttore generale della Prevenzione Gianni Rezza, di aggiornamento delle indicazioni sulla vaccinazione dei soggetti che hanno avuto un'infezione da Sars-CoV-2. "E' possibile considerare la somministrazione di un'unica dose di vaccino anti-SarsCoV-2/Covid-19 nei soggetti con pregressa infezione da Sars-CoV-2 (decorsa in maniera sintomatica o asintomatica), purché la vaccinazione venga eseguita preferibilmente entro i 6 mesi dalla stessa e comunque non oltre 12 mesi dalla guarigione", si legge nella circolare. "Per i soggetti con condizioni di immunodeficienza, primitiva o secondaria a trattamenti farmacologici, in caso di pregressa infezione da Sars-CoV-2, resta valida la raccomandazione di proseguire con la schedula vaccinale completa prevista", chiarisce il ministero. Inoltre, "come da indicazioni dell'Oms, l'esecuzione di test sierologici, volti a individuare la risposta anticorpale nei confronti del virus, non è raccomandata ai fini del processo decisionale vaccinale". Chi ha avuto il Covid-19, anche con una forma lieve della malattia, sviluppa quasi sempre un’immunità (quindi una protezione contro il virus) che dura circa un anno. E’ la scoperta di un team di ricercatori della Rockefeller University (USA). Dallo studio, pubblicato sulla rivista Nature, è emerso anche che la vaccinazione nei pazienti guariti migliora ulteriormente la loro risposta immunitaria e conferisce una forte protezione anche dalle varianti più preoccupanti, come la Delta. Uno studio dell'IRCCS 'Sacro Cuore Don Calabria' di Negrar di Valpolicella, nel Veronese, avrebbe dimostrato che la somministrazione di un vaccino a mRNA a chi è guarito dal Covid porta a una risposta anticorpale migliore se avviene dopo 10 mesi dal contagio anziché a distanza più ravvicinata come da precedenti indicazioni del ministero della Salute. 

Il nuovo provvedimento atteso in tempi brevi. Vaccino ai guariti dal Covid, Costa: “Una dose entro 12 mesi e non più 6, ci sono evidenze scientifiche”. Elena Del Mastro su Il Riformista il  21 Luglio 2021. Per chi è guarito dal Covid 19 come deve comportarsi con i vaccini? Ancora una volta le evidenze scientifiche portano il Governo italiano a un nuovo cambio di rotta. Le persone guarite da Covid-19 potranno effettuare una unica dose di vaccino entro 12 mesi dal primo tampone positivo dopo la malattia. Lo ha detto all’ANSA il sottosegretario alla Salute Andrea Costa, precisando che si estendono così i tempi della normativa attuale, che prevede un’unica dose vaccinale entro 6 mesi dalla guarigione. Ciò, ha precisato, “sulla base delle nuove evidenze scientifiche” relative alla durata della immunità. Un provvedimento in merito, ha annunciato Costa, “verrà adottato in tempi brevi, già probabilmente entro questa settimana”. Quello che è accaduto, spiega Costa, è che “molti cittadini che hanno contratto Covid-19 e che facevano una dose di vaccino, avevano poi difficoltà ad ottenere il green pass, e ciò perchè in alcune regioni la dose era somministrata magari dopo i sei mesi previsti. Quindi, la piattaforma del sistema non faceva generare il green pass dal momento che l’algoritmo prevedeva la vaccinazione per i guariti entro i sei mesi”. Se l’immunizzazione veniva quindi effettuata a sei mesi e 1 giorno, ad esempio, il sistema non riconosceva l’unica dose come ciclo completo – come è previsto che sia per i soggetti che hanno già contratto Covid-19 – ma classificava in automatico quella vaccinazione come incompleta e necessitante di una seconda dose ai fini del green pass. Questo, ha affermato Costa, “è un problema che riguarda già qualche migliaia di cittadini e che ora risolveremo”. Sui nuovi parametri relativi alle percentuali di occupazione per Covid dei reparti di terapia intensiva e ordinari “non si esclude anche una ipotesi modulare in base all’incidenza dei casi. Quindi, potrebbero esserci anche delle percentuali variabili a seconda dell’incidenza dei contagi nelle diverse regioni”. Lo spiega all’ANSA il sottosegretario alla Salute Andrea Costa. Questo, rileva, “potrebbe essere un modo per dare risposte più puntuali e cercare di non generalizzare, perchè a volte generalizzando si rischia di penalizzare dei territori”. “Ad oggi 38 milioni di italiani sono già in possesso del green pass e tra i temi sul tavolo c’è anche quello di prevedere il diritto al green pass non più con la prima dose ma con il ciclo vaccinale completato di due dosi, o di un’unica dose per chi ha già contratto Covid-19”. Ciò, ha detto, “prevederà ovviamente una sorta di periodo transitorio per coloro che avevano già il green pass a seguito di una prima dose di vaccino: continueranno ad avere il green pass valido fino alla somministrazione della seconda dose, quindi non si negano diritti a chi li ha già acquisiti”.

Elena Del Mastro. Laureata in Filosofia, classe 1990, è appassionata di politica e tecnologia. È innamorata di Napoli di cui cerca di raccontare le mille sfaccettature, raccontando le storie delle persone, cercando di rimanere distante dagli stereotipi.

Col vaccino sei protetto? Ecco la verità sulle dosi. Alessandro Ferro il 5 Luglio 2021 su Il Giornale. Dalla variante Alfa alla Delta: tutto quello che c'è da sapere sull'efficacia e durata della protezione dei vaccini. In attesa che i vaccini ad Rna vengano "aggiornati", ci sono nuove ottime notizie sulla protezione di quelli attualmente in uso su tutta la popolazione: nonostante la variante Delta, Pfizer e Moderna hanno un'efficacia, con due dosi, del 91% nel prevenire l'infezione e all'81% dopo la singola dose.

Cosa dice lo studio. A rilevare questi numeri è un nuovo studio appena pubblicato sul New England Journal of Medicine condotto in Usa su 3975 sanitari: tra i partecipanti con l'infezione (solo il 5%) la carica media virale era inferiore del 40% nei partecipanti parzialmente o completamente vaccinati rispetto ai partecipanti non vaccinati. E poi, è stato visto che il rischio di sintomi febbrili era inferiore del 58% e la durata della malattia molto più breve, con 2,3 giorni in meno di malattia a letto. Insomma, rispetto ai dati iniziali di protezione al 95% con Pfizer e 94% con Moderna (sempre con ciclo completo), la variante Delta ne ha abbassato soltanto di due-tre punti percentuali l'efficacia. Attenzione, però, perché nell'intervallo tra prima e seconda dose la protezione è ovviamente minore anche nei confronti della variante Alfa (ex inglese) con 70-75% di protezione con Pfizer e 50-60% con AstraZeneca.

Il pericolo si chiama Delta. Come detto, però, le varianti abbassano l'efficacia dei vaccini prodotti e sviluppati molti mesi fa: se contro quella Alfa, la variante attualmente dominante in Italia, la protezione contro malattia severa ed infezione è sempre molto alta, con la variante Delta scende all'85-90%, ciò significa che il 10-15% di chi è completamente vaccino può infettarsi ma, sottolineamolo, senza sviluppare (quasi mai) forme gravi di malattia. Per AstraZeneca, invece, da un livello del 70-75% si scende al 65-70%. Con una dose soltanto nei confronti della Delta, invece, c'è un crollo: con Pfizer si arriva appena al 30% di efficacia e con AstraZeneca al 20%. Questo significa che può infettarsi il 70-80% delle persone entro le due settimane dalla prima iniezione perché il sistema immunitario non avrà ancora sviluppato anticorpi a sufficienza. Come detto, però, e come dimostra l'Inghilterra, i casi inglesi aumentano ma restano molto bassi i decessi ed i ricoveri in terapia intensiva dimostrando come, anche con la variante Delta, i vaccini attualmente in uso funzionano molto bene.

Quanto dura la protezione. Mentre gli studi si moltiplicano, non c'è ancora una reale conoscenza sulla durata della copertura dal vaccino: come riporta il Corriere, i primi ad essere vaccinati sono stati i medici che hanno finito entrambe le dosi a fine gennaio e da quattro a sei mesi dalla prima dose è il momento migliore per essere protetti. Per quanto riguarda, invece, chi ancora non ha ricevuto alcuna dose di vaccino, contro la variante Delta il rischio di contrarre il virus è altissimo, chi ha fatto una dose è protetto almeno 20-30%, chi è guarito dalla malattia al 60-70%, chi ha fatto due dosi di vaccino è al 70-80% mentre, chi ha già avuto l'infezione e si è vaccinato, è coperto almeno al 90%. Come detto in apertura, però, i vaccini che probabilmente riceveremo nel 2022 (la cosiddetta terza dose o richiamo) dovranno essere adattati al nuovo virus in circolazione: quelli ad Rna, fortunatamente, in poche settimane possono essere cambiati ed adattati alle nuove varianti del Covid-19, un enorme passo in più verso il pieno ritorno alla normalità. 

Alessandro Ferro. Catanese classe '82, vivo tra Catania e Roma dove esercito la mia professione di giornalista dal 2012. Tifoso del Milan dalla nascita, la mia più grande passione è la meteorologia. Rimarranno indimenticabili gli anni in cui fui autore televisivo dell’unico canale italiano mai dedicato, Skymeteo24. Scrivo per ilGiornale.it dal mese di novembre del 2019 occupandomi soprattutto di cronaca, economia e numerosi approfondimenti riguardanti il Covid (purtroppo). Amo fare sport, organizzare eventi e stare in compagnia delle persone più care. Avviso ai naviganti: l’arancino è sempre m... 

Terza dose di vaccino Pfizer e Moderna non necessaria: lo studio della Washington University. Alessandro Artuso il 4 luglio 2021 su Notizie.it. La questione della terza dose di vaccino è al centro di un ampio dibattito scientifico: le novità arrivano da alcuni studi. Una grandissima parte delle persone che hanno ricevuto con il vaccino Pfizer e Moderna, sieri a mRna, potrebbero non necessitare della terza dose. La notizia è stata lanciata grazie ad uno studio pubblicato sulla rivista Nature. Secondo questo studio i richiami non sarebbero necessari, almeno fino a quando i virus e le varianti non cambieranno in maniera radicale.   

Terza dose di vaccino, cosa dice lo studio. Lo studio è stato pubblicato su Nature e prende spazio grazie al lavoro degli immunologi della Washington University di Saint Louis. Gli studiosi hanno analizzato gli anticorpi di 77 persone che sono state contagiate dal Covid-19.

Terza dose di vaccino, la novità. Già alcune ricerche effettuate in precedenza avevano parlato delle pochissime possibilità di infettarsi nuovamente. I pazienti reduci dal Covid-19 raggiungono infatti l’immunità, seppur in maniera temporanea e quindi non definitiva. Secondo lo studio dopo quasi un anno gli ex pazienti hanno mostrato una quantità di anticorpi importante per prevenire il Coronavirus.

Terza dose di vaccino, altri studi al vaglio degli esperti. La vaccinazione è risultata quindi efficace e paragonata ad una sorta di fabbrica di plasmacellule della memoria esistente nel corpo. Questo dato dimostrerebbe quindi una resistenza al virus a lunga gittata. Gli scienziati hanno realizzato anche un altro studio grazie alla Rockfeller University di New York che ha controllato le cellule B di 63 persone reduci dal Covid-19. I ricercatori credono che chi abbia contratto il Covid con una sola vaccinazione possa avere un’immunità di tipo permanente. Anche per la vaccinazione eterologa uno studio pubblicato su Lancet ha confermato che la somministrazione di due vaccini differenti darebbe una maggiore risposta immunitaria. La vaccinazione eterologa è diventata teatro di discordia e di ampio dibattito: sulla questione è intervenuto Marco Cavaleri, capo della strategia di vaccinazione dell’Ema. “È storicamente provato che la vaccinazione eterologa è efficace e ha una solida base scientifica” ha dichiarato Cavaleri nel corso della conferenza stampa dell’Ema. Intanto è scontro aperto sulla questione vaccini contro il Covid-19 per Alberto Zangrillo e Walter Ricciardi. All’origine della diatriba un tweet che causerebbe, secondo Zangrillo, “una grande confusione e terrorismo psicologico”. La vicenda parte da alcune risposte offerte dal consulente del ministro Roberto Speranza sui social network. 

Vaccino Johnson&Johnson efficace contro la Variante Delta, anche a 8 mesi dall’inoculazione. Riccardo Castrichini il 4 luglio 2021 su Notizie.it. Contro la variante Delta il vaccino Johnson&Johnson ha efficacia protettiva anche dopo 8 mesi dalla somministrazione.

Variante Delta: il vaccino Johnson&Johnson efficace dopo 8 mesi. Un po’ in tutto il mondo gli scienziati studiano quale possa essere la risposta dei vaccini covid attualmente approvati contro la variante Delta. Si cerca in particolar modo di capire se i vaccinati possono considerarsi al sicuro da questa nuova mutazione del virus che ha preso a circolare con grande impeto anche in Europa. In riferimento al vaccino Johnson&Johnson, la casa produttrice ha diffuso un comunicato stampa nel quale si legge che il siero monodose ha un’elevata attività neutralizzante contro la variante Delta anche 8 mesi dopo l’inoculazione. A dimostrarlo ci sarebbero due studi in pre-stampa, uno dei quali verrà presto pubblicato su una rivista scientifica.

Variante Delta, la copertura del vaccino Johnson&Johnson. Nello specifico, nel primo dei due studi presentati in data 1 luglio a biorXiv, gli scienziati si sono occupati di testare “l’attività neutralizzante degli anticorpi di otto partecipanti vaccinati in seno studio di Fase 3 ENSEMBLE”. Le analisi effettuate hanno fatto emergere che l’attività anticorporale contro la variante Delta del vaccino Johnson&Johnson è addirittura più alta rispetto a quella che si era registrata contro la variante Beta, comunemente definita la mutazione del virus Sudafricana. Per quanto riguarda invece il secondo studio, questo è stato condotto dagli scienziati del Beth Israel Deaconess Medical Center coordinati dal professor Dan Barouch. Dall’attività svolta è emerso che sia la risposta anticorporale che cellulare indotta dal vaccino Johnson&Johnson persistono anche 8 mesi dopo l’unica inoculazione prevista. È stato inoltre riscontrata una forte produzione di cellule T, nello specifico cellule T CD8+, specializzate nella caccia e nella distruzione delle cellule infettate dal patogeno del virus.

Variante Delta: il vaccino Johnson&Johnson efficace dopo 8 mesi. Il professor Mathai Mammen, dirigente ricercatore presso Janssen Research & Development, sezione di Johnson&Johnson e responsabile della creazione del vaccino, si è così espresso sul tema: “I dati attuali su otto mesi mostrano che il vaccino COVID-19 a iniezione singola di Johnson & Johnson genera una forte risposta anticorpale neutralizzante che non diminuisce; piuttosto, osserviamo un miglioramento nel tempo. Inoltre – ha aggiunto – osserviamo una risposta immunitaria cellulare persistente e particolarmente robusta e duratura”. Anche Paul Stoffels, vicepresidente del comitato esecutivo e direttore scientifico di Johnson&Johnson, ha commentato gli esiti degli studi clinici condotti: “Riteniamo – ha concluso – che il nostro vaccino offra una protezione duratura contro la COVID-19 e susciti un’attività neutralizzante contro la variante Delta. Ciò si aggiunge al solido corpo di dati clinici che supportano la capacità del nostro vaccino a iniezione singola di proteggere da molteplici varianti di preoccupazione”.

Dagotraduzione da Study Finds il 26 giugno 2021. Secondo un importante scienziato genetico, un rivoluzionario vaccino per "supereroi" ispirato al codice del DNA degli atleti olimpici potrebbe aiutare a trasformare la società nel prossimo decennio. Euan Ashley, professore di medicina e genetica alla Stanford University, sostiene che il vaccino fornirebbe una protezione permanente contro tre delle prime dieci cause di morte. Grazie ai progressi dell’ingegneria genetica, il cosiddetto vaccino "supereroe" potrebbe offrire una protezione simultanea a lungo termine contro malattie cardiache, ictus, morbo di Alzheimer e malattie del fegato. Questo trattamento rivoluzionario fornirebbe il progetto di cellule "ideali" di uomini e donne i cui geni sono più resistenti alle malattie di quelli della persona media, insieme a un "manuale di istruzioni" per aiutare il corpo a «riparare, modificare e migliorare» le proprie versioni. Una singola dose potrebbe portare a un «aggiornamento genetico a livello del corpo» che ridurrebbe il rischio di morte prematura in alcuni adulti fino al 50%. Ashley dice che, prima di essere esteso alla popolazione, il vaccino sarà somministrato a coloro che hanno gravi necessità cliniche. Gli studi clinici sui singoli componenti dovrebbero iniziare entro il 2026, e il vaccino combinato sarà disponibile entro 10-15 anni. Se le scoperte nella ricerca e nella tecnologia del genoma continueranno ad evolversi allo stesso ritmo, secondo Ashley il vaccino potrebbe essere ampiamente disponibile in tutto il mondo in soli 10 anni. Il prof. Ashley, 49 anni, è il direttore fondatore del Center for Inherited Cardiovascular Disease di Stanford e del suo programma di genomica clinica. «La medicina genomica è stata promessa per decenni, ma grazie ai progressi nel campo stiamo raggiungendo la fase in cui quella promessa è destinata a diventare realtà, inaugurando una nuova era audace di trattamenti medici», ha detto. «Presto avremo gli strumenti di ingegneria genetica per riparare, modificare e migliorare il DNA associato a una serie di malattie, per renderci tutti meno inclini a sviluppare queste malattie nel corso della nostra vita. Questo, ovviamente, non vuol dire che possiamo far vivere le persone per sempre e non possiamo garantire che l'aspettativa di vita aumenterà, ma è probabile che in molti casi si possano evitare le morti premature», continua Ashley. «I progressi nella modifica del DNA porteranno all’idea di persone con geni “superumani” - più resistenti alle malattie – non più fantascienza ma come un fatto scientifico assoluto. Potenzialmente milioni di persone potrebbero essere influenzate da questa tecnologia». «Il vaccino ha il potenziale di ridurre notevolmente il carico di malattie con una componente genetica come il morbo di Alzheimer, malattie del fegato, malattie coronariche e condizioni associate come ictus e demenza vascolare», continua il genetista di Stanford. «Non è solo possibile, ma probabile, che un vaccino simile sarà disponibile nei prossimi 10-15 anni, e i benefici del trattamento diventeranno evidenti entro i successivi due o tre decenni. Considerando solo gli attacchi cardiaci mortali, il nuovo trattamento potrebbe portare a ridurne l'incidenza fino al 50%». Al contrario dei vaccini tradizionali, i vaccini genomici, come quello «supereroe», forniscono stringhe di codice genetico a determinate cellule per correggerne gli errori, modificando la lettera di Dna che ci rende predisposti a una determinata malattia. Per garantire che questi codici raggiungano gli organi giusti e non vengano distrutti sulla strada dal nostro sistema immunitario, vengono inseriti dentro ad alcuni virus inattivati o racchiusi in lipidi (particelle di grasso) che li trasportano a destinazione. È lo stesso procedimento utilizzato per il vaccino Pfizer-BioNTech. Gli scienziati paragonano l'editing genetico alla funzione di "correzione automatica" utilizzata dai programmi di scrittura. Invece di riscrivere le parole, l'editing genetico riscrive il DNA corrotto. La tecnica non è nuova, ma resta poco testata, almeno sugli esseri umani. «L'editing genetico sta diventando maggiorenne, portando con sé l'eccitante possibilità di prevenire malattie gravi nella popolazione prima che si sviluppino», aggiunge il prof. Ashley. «Non tutti saranno suscettibili a queste malattie ma, per coloro che lo sono, questo sarà un nuovo approccio rivoluzionario alla prevenzione». Per realizzare un vaccino «supereroe» è necessario prima di tutto trovare persone particolarmente resistenti alle malattie o capaci di combatterle. Il campione olimpico finlandese Eero Mäntyranta, per esempio, ha scoperto di avere un livello insolitamente alto di emoglobina, a significare un eccesso di globuli rossi che trasportano ossigeno. Quest’abbondanza gli permette di aumentare i livelli di resistenza. E non è il solo: c’è l'americana Sharlayne Tracy, che ha livelli di colesterolo insolitamente bassi; un ragazzo pakistano, insensibile al dolore. Il numero esatto di persone con geni sovrumani non è noto, ma si creda possano essere diversi milioni di persone. Il prof. Ashley ritiene che i database genetici come la BioBank britannica, che attualmente detiene informazioni sanitarie e genetiche su oltre 500.000 persone, svolgeranno un ruolo cruciale nello sviluppo di vaccini genetici. Hanno già scoperto geni sovrumani per malattie cardiache, epatiche e morbo di Alzheimer e potrebbero essere la chiave per la prevenzione del cancro e altre malattie terminali in futuro.

Vaccini anti Covid, confermata l'efficacia nei pazienti affetti da cancro. Maria Girardi il 15 Giugno 2021 su Il Giornale. Lo studio è stato condotto dai ricercatori del Montefiore Health System e dell'Albert Einstein College of Medicine. Sin dai primi giorni della pandemia di Covid ci si è chiesto in che modo se la sarebbero cavata i pazienti in trattamento attivo del cancro qualora fossero stati colpiti dal virus. Le preoccupazioni, in gran parte, erano dovute agli effetti che i tumori e le relative cure possono avere sul sistema immunitario. Ora che i vaccini anti coronavirus sono ampiamente disponibili, ci si interroga circa la sicurezza e l'efficacia degli stessi in queste persone vulnerabili. A fornire una risposta uno studio pubblicato su "Cancer Cell" e condotto dai ricercatori del Montefiore Health System e dell'Albert Einstein College of Medicine nel Bronx. In una revisione di 200 soggetti con ampio spettro di diagnosi di cancro, gli scienziati hanno scoperto che, dopo la vaccinazione completa, il 94% di essi ha mostrato complessivamente la sieroconversione. Quest'ultima è stata determinata dalla presenza di anticorpi contro la proteina spike del Covid. I tassi di risposta erano molto alti tra gli individui con tumori solidi (98%), ma inferiori (85%) nelle persone affette da determinate neoplasie del sangue. Tuttavia anche la maggior parte di essi ha sviluppato una risposta immunitaria. Diversa la situazione per i pazienti sottoposti ad alcuni trattamenti. Coloro che ricevevano terapie per i tumori ematologici che agiscono uccidendo le cellule B (rituximab o CAR-T), ad esempio, avevano tassi di sieroconversione del 70%. Per quelli che avevano avuto di recente trapianti di midollo osseo o di cellule staminali, il tasso era del 74%. Tali numeri, come assicurano gli scienziati, erano comunque più alti del previsto. Più precisamente, i risultati si sono rivelati maggiormente incoraggianti per chi soffriva di neoplasie del sangue che colpiscono le cellule mieloidi piuttosto che quelle linfoidi. Gli effetti collaterali della vaccinazione osservati in questa popolazione non sono stati peggiori rispetto ad altri gruppi. Non un singolo individuo è dovuto andare al pronto soccorso o essere ricoverato in ospedale. Dall'inizio dell'emergenza sanitaria è noto che i pazienti oncologici che contraggono il Covid hanno tassi più elevati di mortalità. «Questo studio - affermano gli autori -conferma che non è necessario che le persone attendano la vaccinazione fino a quando non terminano la chemioterapia o l'immunoterapia. I pazienti devono sentirsi rassicurati dal fatto che i vaccini sono sicuri e funzionano bene».

Maria Girardi. Nasco a Bari nel 1991 e qui mi laureo in Lettere Moderne con una tesi su L'isola di Arturo di Elsa Morante. Come il giovane eroe morantiano, sono alla perenne ricerca della mia "Procida" e ad essa approdo mentre passeggio in mezzo al verde o quando vedo film drammatici

DA leggo.it il 28 giugno 2021. La protezione prodotta dai vaccini a mRna, cioè Pfizer e Moderna, potrebbe funzionare per un tempo molto lungo contro il coronavirus. A dirlo è uno studio della Washington University di Saint Louis, pubblicato sulla rivista Nature, secondo cui i vaccini prodotti da Pfizer-BioNTech e Moderna potrebbero proteggerci addirittura per anni dal virus Sars-CoV-2. I risultati dello studio - si legge sul New York Times - si aggiungono ad altri che dimostrerebbero che la maggior parte delle persone immunizzate con i vaccini a mRna potrebbe non avere bisogno di richiami, almeno fino a quando il virus e le sue varianti non dovessero mutare radicalmente dalle forme attuali. Dallo studio emerge poi che, nelle persone sopravvissute al Covid-19, le cellule immunitarie che riconoscono il virus rimangono nel midollo osseo per almeno otto mesi dopo l'infezione. Sulla base di questi risultati, i ricercatori credono che l'immunità possa durare anni, forse una vita, nelle persone che sono state infettate e poi vaccinate. Non è al momento chiaro se la vaccinazione da sola possa avere un effetto altrettanto duraturo. Lo studio non ha valutato il vaccino prodotto da Johnson & Johnson (a vettore virale), ma secondo i ricercatori proteggerebbe meno a lungo rispetto ai vaccini a Rna messaggero.

Durata dell’immunità e mix tra vaccini anti Covid diversi: cosa (ancora) non sappiamo. Federico Giuliani su Inside Over il 29 maggio 2021. Decine di vaccini autorizzati, quasi 2 miliardi di dosi effettive iniettate in tutto il mondo e altre centinaia di milioni di flaconcini pronti a essere utilizzati da qui ai prossimi mesi. La battaglia contro il Sars-CoV-2 procede a gonfie vele e, mai come adesso, la luce in fondo al tunnel appare così vicina. Gli ultimi dati fotografano una situazione incoraggiante, anche se permangono evidenti disparità tra i Paesi più ricchi, dove le campagne vaccinali non destano problemi, e quelli in via di sviluppo, alle prese con importanti problemi strutturali. In ogni caso, sempre più persone sono immunizzate contro il Covid. Eppure ci sono ancora diverse domande senza risposta. Una volta che un cittadino qualunque riceverà la sua doppia dose, sarà per sempre protetto contro il Sars-CoV-2? Gli esperti sono al lavoro per capire dopo quanto tempo le persone completamente vaccinate avranno bisogno di ulteriori richiami e, soprattutto, se sarà possibile iniettare un vaccino diverso rispetto al primo ricevuto. “Come sappiamo, il Covid non scomparirà presto e sappiamo che gli anticorpi diminuiscono nel tempo, quindi sarà necessaria una spinta in qualche momento. Non posso prevedere quando”, ha affermato al Wall Street Journal John Beigel, direttore associato per la ricerca clinica presso la Divisione di microbiologia e malattie infettive, dell’Istituto nazionale americano di allergie e malattie infettive.

I due nodi da sciogliere. Negli Stati Uniti sono in corso varie prove per cercare di sciogliere il nodo dell’immunità e quello della diversità tra i vaccini. Detto in altre parole, gli scienziati hanno intenzione di far luce su due aspetti. Innanzitutto, per quanto tempo i vaccinati possono vantare la loro immunità contro il virus? Sappiamo che l’immunità indotta da un vaccino contro la maggior parte delle malattie diminuisce con il passare del tempo. Ma poco o niente sappiamo del comportamento immunitario dei vaccini anti Covid. La comunità scientifica deve identificare al più presto una soglia: quello sotto il quale il livello di immunità è troppo basso per proteggere le persone. Dopo di che devono chiedersi quanto tempo impiegherà l’immunità per decadere fino al di sotto di quel livello. Se dare una risposta a questa domanda è ostico, ancor più complesso è risolvere il secondo enigma. Ossia: una persona completamente vaccinata – ipotizziamo – con il vaccino Pfizer-BioNTech a febbraio, potrà ricevere, in futuro, la terza dose di Moderna o dovrà mantenersi sul Pfizer? Ci sono vantaggi nel passare da un vaccino all’altro oppure tutto ciò comporterà dei rischi?

Anticorpi, immunità, combinazioni di vaccini. I campioni di sangue delle prime persone vaccinate un anno fa potranno aiutare gli esperti a determinare se gli anticorpi continueranno a esistere o svaniranno e, in quest’ultimo caso, in quanto tempo spariranno dai radar. Le prime ricerche lasciavano ipotizzare che gli anticorpi resistessero per almeno sei mesi, fatta eccezione delle varianti di Covid che in teoria possono complicare lo scenario. Altri studi sostengono che gli anticorpi diminuiscono dopo che le persone si sono riprese dall’infezione, ma solo fino a un certo punto. Dopo una data soglia, i suddetti anticorpi si stabilizzerebbero e persisterebbero per quasi un anno.

Capitolo vaccini: il rebus si complica. Chi, ad esempio, ha ricevuto il monodose Johnson & Johnson a gennaio, nel prossimo futuro, in vista della terza dose, potrà cambiare marchio o dovrà mantenere lo stesso vaccino? Occorrono sperimentazioni per testare quali combinazioni funzioneranno meglio. Potrebbe anche avvenire la stessa cosa che accade con il vaccino anti influenzale: la maggior parte delle persone non sa quale azienda produce il vaccino che riceve ogni anno. E per quanto riguarda l’immunità, è sì possibile che le persone vaccinate possano ammalarsi dopo un certo lasso di tempo. Ma è anche plausibile che il loro sistema immunitario riesca comunque a riconoscere il virus e schermarlo. “Non lo sappiamo per certo”, ripetono in coro gli esperti.

Vaccino, niente più fasce d'età: c'è la data per le prenotazioni libere. Alessandro Imperiali il 27 Maggio 2021 su Il Giornale. Con l'arrivo entro il prossimo mese di 28 milioni di dosi, accelera la campagna vaccinale. C'è la data per la prenotazione senza limiti d'età. Entro il 10 giugno verrà decisa la data per la quale non ci saranno più restrizioni e limiti d'età per le prenotazioni del vaccino. Poco più di dieci giorni e gli italiani sapranno quando potranno fissarla, anche se hanno meno di 40 anni. La campagna vaccinale procede spedita e le dosi consegnate, più quelle che in breve tempo arriveranno, permettono al Generale Francesco Paolo Figliuolo, commissario straordinario per il contrasto dell'emergenza Covid, e alla sua struttura di pianificare, nelle prossime due settimane, un'ulteriore accelerazione. È previsto nei prossimi giorni l'arrivo di 8,5 milioni di dosi che andranno a completare la fornitura prevista per maggio. Sono 20 milioni, invece, le dosi che arriveranno secondo programma e accordi nel mese di giugno. Per un totale di 28 milioni di dosi. Numeri che non solo permettono di coprire le fasce d'età previste in questo momento ma di fare anche un ulteriore passo in avanti. Come scrive il Corriere.it, è stato proprio il Generale Figliuolo in persona a fare un quadro della situazione: "Sugli over 80, che è la categoria più a rischio, abbiamo vaccinato oltre il 90%, ne mancano all’appello 460 mila. Per gli over 70 siamo all’80% e ne mancano 1,2 milioni, sugli over 60 siamo a oltre il 65% e ne mancano all’appello 2,6 milioni, considerando la platea calcolata su tessera sanitaria. Adesso dobbiamo terminare queste classi andando a intercettarle in una maniera più proattiva rispetto a quello che è stato fatto finora". L'obiettivo principale è quello di allineare i numeri delle regioni evitando di fatto che ci siano alcune che restino indietro, soprattutto rispetto ai soggetti fragili. La data non viene annunciata in questi giorni, ma verrà fatto tra due settimane, proprio per dare la precedenza a tutti gli over 60 che non hanno ancora ricevuto il vaccino. La circolare riguardo le prenotazioni libere per tutti è ideata proprio con il fine di evitare che ci sia un lavoro eterogeneo. Le regioni che sono più avanti con le vaccinazioni, infatti, hanno già cominciato a vaccinare i più giovani. Il Lazio tra il primo e il tre giugno conta di vaccinare tutti i maturandi. La Lombardia ha aperto la vaccinazione agli over 30, l'Alto Adige, da oggi, prenoterà tutti coloro che hanno più di 18 anni. L'Emilia-Romagna ha aperto tre hub interaziendali per i lavoratori.

Il vaccino in ferie. "Prenderemo una decisione insieme ma la situazione deve essere armonica e uguale ovunque", ha dichiarato Figliuolo riguardo il nodo da sciogliere sulla somministrazione della seconda dose per chi è in vacanza e, dunque, lontano dalla propria residenza. La Lombardia, attraverso il presidente della regione Attilio Fontana, ha dichiarato che si adeguerà alle scelte del generale. Altri governatori però hanno dichiarato che per invogliare il turismo faranno in modo di assicurare una dose a chi è lontano da casa. Un'altra circolare, già diramata, prevede che tutti coloro che hanno in programma un soggiorno di almeno tre settimane non hanno di che preoccuparsi dal momento che possono ottenere la seconda dose. Il problema sorge per chi ha previsto delle vacanze brevi ma, durante un incontro con le Regioni, Figliuolo ha assicurato che "si arriverà a un compromesso".

Alessandro Imperiali. Nato il 27 gennaio 2001, romano di nascita e di sangue. Studio Scienze Politiche e Relazioni Internazionali alla Sapienza e ho preso la maturità classica al Liceo Massimiliano Massimo. Sono vicepresidente dell'Associazione Ex Alunni Istituto Massimo e responsabile di ciò che...

Paolo Russo per "la Stampa" il 26 maggio 2021. Draghi chiama e l'Ema risponde. Al premier che chiede dall'agenzia un segnale sulla possibilità di fare il richiamo con un vaccino diverso dal primo e di rilasciare il pass vaccinale anche con una sola dose, i super esperti di Amsterdam rispondono con due si e un no. Sì all'ipotesi di fare il richiamo con Pfizer dopo aver fatto la prima puntura con AstraZeneca, sì anche al pass con una sola dose, ma no se la si è fatta con un vaccino a Rna messaggero, ossia con Pfizer o Moderna. Posizioni che come sua abitudine l'Ema esprimerà in forma molto più sfumata, lasciando poi ai singoli Stati, o meglio alla Commissione Ue, il compito di tradurre le sue indicazioni scientifiche in provvedimenti. Da adottare al più presto, visto che il green pass europeo, come confermato dallo stesso Draghi, «sarà pronto a metà giugno». Anche i pareri dell'Ema sui quesiti posti dal premier potrebbero arrivare dopo l'atteso via libera domani al vaccino per gli adolescenti tra i 12 e i 15 anni targato Pfizer.

Protezione più lunga. L'Agenzia europea del farmaco dovrebbe mandare un segnale anche sulla durata del pass. «Ragionevolmente potrebbe essere fissata in un primo momento a 9 mesi, come già fatto dall'Italia, perché gli studi osservazionali sugli anticorpi dei vaccinati fino ad ora non si sono potuti spingere più indietro nel tempo. Ma presumibilmente il termine potrà poi essere prorogato almeno a un anno senza che i cittadini debbano chiedere alcun nuovo certificato», spiega una fonte autorevole dal palazzo di Amsterdam. Resta da capire se il pass in formato europeo seguirà le orme di quello italiano, che viene rilasciato anche dopo la sola prima dose. A questo proposito gli studi in mano all'Ema dicono che questo è possibile per il bistrattato AstraZeneca, che dopo una puntura dà una protezione maggiore di quelli a Rna messaggero. Da qui un probabile via libera che non discriminerebbe chi assumendo il vaccino targato AZ dovrebbe aspettare tre mesi per ottenere il pass. Riguardo il mix di vaccini tra prima e seconda dose un primo studio britannico e uno nuovo spagnolo, dai quali sono però attesi dati più consolidati, confermerebbero quanto affermato da Draghi al Consiglio Ue dedicato al Covid, ossia che fare una prima dose con AstraZeneca e il richiamo con uno dei vaccini a Rna messaggero fornirebbe una risposta anticorpale persino maggiore a quella che si ottiene ricorrendo in entrambi i casi al ritrovato di Oxford. Con un doppio vantaggio. Quello di superare le resistenze di chi, soprattutto tra gli insegnanti, ingiustificatamente punta comunque i piedi davanti al richiamo con Az. E rendere più appetibile lo stesso vaccino anglo-svedese alla popolazione giovane, che non vuole correre il rischio di dover interrompere le vacanze ad agosto per il richiamo, previsto con AstraZeneca a tre mesi. «E che potrebbe invece ridursi tra le 8 e le 12 settimane facendo la seconda dose con Pfizer», chiarisce la medesima fonte dell'Ema.

I timori. Tutti calcoli che non fanno però i conti con le varianti. La sudafricana e la brasiliana in particolare. Con la prima i dati in possesso dell'agenzia europea dicono che AstraZeneca è efficace solo al 10%, mentre con la brasiliana si dimezza scendendo al 40%. Vanno meglio quelli a Rna, che scendono al 50% con la prima dose per risalire all'80 con la seconda. Mentre studi osservazionali britannici sulla variante indiana dimostrerebbero una efficacia del 30% dopo la singola dose e del 59% con due. Per questo sono da guardare al microscopio i dati dal nuovo studio osservazionale dell'Iss, che danno la brasiliana in crescita dal 4 al 6% nel Paese. Ma con punte del 18,3% nel Lazio, di oltre il 14% in Umbria, Alto Adige e Valle d' Aosta, dell'11% in Toscana e dell'8,6 in Liguria. Realtà da tenere sotto stretta osservazione.

Efficacia maggiore dopo 28 giorni. Prima dose del vaccino, dopo quanto tempo si è immuni e quanto è efficace. Elena Del Mastro su Il Riformista il 21 Maggio 2021. La campagna vaccinale per sconfiggere il coronavirus in Italia procede spedita. Una parte della popolazione ha ricevuto solo la prima dose e dovrà aspettare ancora per la seconda. Ma fatta la prima dose, dopo quanti giorni si è protetti contro il virus? È stato studiato che i quattro vaccini attualmente in uso in Italia, Pfizer, Moderna, Johnson & Johnson e AstraZeneca, iniziano ad avere un effetto protettivo dopo 7-10 giorni dalla prima inoculazione. Effetto che aumenta con il passare dei giorni. In base alla pubblicazione del 27 aprile sulla rivista scientifica British Journal of Medicine (BMJ), bisogna aspettare 28 giorni per vedere tutta l’efficacia della prima dose. Anche per Johnson & Johnson, il vaccino a una sola dose, l’efficacia maggiore si riscontra a 28 giorni dall’inoculazione. Secondo i dati del BMJ dopo la prima dose la possibilità di contrarre il Covid in maniera sintomatica è ridotta del 60-70%, scende dell’80% invece la possibilità di finire in ospedale con sintomi gravi. Negli Usa (dove Pfizer è utilizzato accanto a Moderna) il dato è stato calcolato su operatori sanitari e over 65 anni che, rispettivamente, mostrano una riduzione del contagio sintomatico dell’82% e del 64%. L’efficacia di Johnson & Johnson è del 66,9% per Covid sintomatico e sale all’85,4% riguardo ai casi di malattia grave. Dei vaccini gli scienziati hanno fiducia al 100% perché il loro obiettivo è la riduzione del Covid sintomatico o grave e questa efficacia è stata appurata. Non è ancora certo in quale percentuale si possa trasmettere o contrarre il Covid dopo la prima dose di vaccino. Ma i dati dei contagi in tutta Europa certificano che la prima dose di vaccino ha abbattuto drasticamente il numero di contagi. Uno studio specifico, svolto sempre in Gran Bretagna, ha misurato questa riduzione in famiglie dove fosse presente un positivo (il caso più pericoloso) e la trasmissione si è dimezzata. In un nuovo studio (sempre in UK e sempre sui due vaccini) si parla di una riduzione del 65%. Per questo motivo risulta importante fare la prima dose il prima possibile. Se per qualche motivo la seconda dovesse essere rimandata dal punto di vista immunologico non è un problema. Aspettare 2-3 mesi non cambia niente. L’unico consiglio medico è quello di non ritardare la seconda dose oltre i sei mesi: c’è comunque molto tempo per organizzarsi e farla.

Elena Del Mastro. Laureata in Filosofia, classe 1990, è appassionata di politica e tecnologia. È innamorata di Napoli di cui cerca di raccontare le mille sfaccettature, raccontando le storie delle persone, cercando di rimanere distante dagli stereotipi.

Quanto durano davvero i vaccini? Ecco tutti i dubbi. Alessandro Ferro il 21 Maggio 2021 su Il Giornale. Secondo quanto riportato dall'Aifa, la durata dei vaccini è compresa fra i 9 ed i 12 mesi. Il siero di AstraZeneca, però, potrebbe coprire per un periodo maggiore: ecco perché. Man mano che passano i giorni, le settimane ed i mesi sappiamo sempre di più sul virus ma soprattutto sui vaccini, argomento che quotidianamente è all'ordine del giorno (giustamente). Ma sono tanti, ancora, i dubbi e le ipotesi sulla durata degli anticorpi che ci proteggono contro la malattia.

Domande senza risposta. Con un meccanismo nuovo ed unico nella storia dell'umanità, stiamo acquisendo nuove conoscenze ogni giorno che passa in contemporanea alla pandemia ed alla somministrazione vaccinale semplicemente perché il Sars-Cov-2 è spuntato fuori all'improvviso cogliendoci del tutto impreparati, non c'era mai stato il precedente di vaccini messi a punto e somministrati in meno di un anno e non c'erano mai stati vaccini con la tecnica nuovissima dell'Rna messaggero (vedi Pfizer, Moderna e a brevissimo anche CureVac). La prima domanda che, spontaneamente, noi tutti ci facciamo è: quanto dura la protezione dopo la vaccinazione? Sei, nove, dodici mesi o di più? Nessuno, al momento, lo sa. L'Aifa, nella propria sezione Faq, a questa domanda risponde che "la durata della protezione non è ancora definita con certezza perché fino ad ora il periodo di osservazione è stato necessariamente di pochi mesi, ma le conoscenze sugli altri tipi di coronavirus suggeriscono che dovrebbe essere di almeno 9-12 mesi".

Alcune ipotesi in campo. In questi mesi abbiamo sentito tanti epidemiologi ed esperti virologi che ci hanno detto, con certezza, che mentre la prima dose serve per avere una prima immunizzazione dal Covid, la seconda, chiamata booster (cioé richiamo), serve per aumentare gli anticorpi e farli durare di più nel tempo. Ecco il criterio con cui quasi tutte le Big Pharma hanno lavorato sui loro prodotti ad eccezione di Johnson&Johnson che prevede un'unica somministrazione. Nel tempo, poi, è cambiata anche l'intervallo con cui si somministra la seconda dose, e qui potrebbe esserci un punto di svolta: recentissimi studi hanno dimostrato che Pfizer, somministrato dopo 42 giorni o addirittura tre mesi, aiuta l'organismo ad avere una risposta anticorpale più forte. Ma è quello che si fa con AstraZeneca già da mesi, da quando cioé la seconda dose è stata spostata di 12 settimane. Comincia a serpeggiare l'ipotesi, infatti, che un richiamo ritardato nel tempo possa consentire una copertura più lunga arrivando anche ad un anno completo e, perché no, magari di più. Queste ipotesi, al momento, valgono soltanto per il siero anglo-svedese ma potrebbero essere valide anche per il vaccino Pfizer se verrà estesa da 42 giorni a tre mesi la seconda dose che consente la copertura completa.

Cosa sappiamo. I dubbi non mancano, sono tanti ed è logico che sia così. Le certezze che abbiamo, però, ci dicono che il pass vaccinale avrà la durata di un anno e ci si dovrà rivaccinare (quindi terza dose) entro i 12 mesi dalla prima dose, non dalla seconda. Questo è un punto importante che è stato spesso oggetto di confusione. "Il richiamo deve essere fatto entro un anno dall'aver ricevuto la prima dose di qualsiasi vaccino", ci hanno detto gli esperti. Va da sè, quindi, che i primi vaccinati a gennaio (operatori sanitari, anziani delle Rsa) rimarranno immunizzati per tutto il periodo estivo ed autunnale: secondo quelle che sono le attuali conoscenze, ci si dovrà preoccupare di fare il richiamo non prima di dicembre. Piuttosto, dopo quanto tempo si è protetti dopo aver fatto il vaccino? Per il Pfizer "l’efficacia è stata dimostrata dopo una settimana dalla seconda dose", scrive l'Aifa anche se un certo grado di protezione viene riconosciuta da molti scienziati anche dopo la prima; per quanto riguarda Moderna, invece, la copertura si raggiunge "due settimane dopo la seconda dose". Su AstraZeneca, invece, la risposta dell'Aifa è più articolata. "La protezione inizia da circa 3 settimane dopo la somministrazione della prima dose di Vaxzevria e persiste fino a 12 settimane. Tuttavia, fino a 15 giorni dopo la somministrazione della seconda dose la protezione potrebbe essere incompleta. Inoltre, come accade con tutti i vaccini, anche la vaccinazione con Vaxzevria potrebbe non proteggere tutti i soggetti vaccinati". Niente paura, perché contro la malattia grave AstraZeneca copre al 99%: eventuali sintomi dopo la somministrazione completa, come si è visto fino ad oggi, sono blandi e si risolvono spontaneamente in 2-3 giorni. Infine, c'è il vaccino Johnson&Johnson, l'unico ad essere monodose: in questo caso, l'Aifa afferma "che la protezione inizia circa 14 giorni dopo la vaccinazione".

Vaccini conseguenze ed effetti: 95% no contagio, 99% no Covid grave. Astrazeneca? Salva vita al 95%. Da "blitzquotidiano.it" il 14 maggio 2021. Vaccini conseguenze ed effetti. Mal di testa, febbre, stanchezza? Ipnotizzati dal dito non vediamo la luna, conseguenze ed effetti dei vaccini misurati ad oggi sono: meno 95% contagi tra i vaccinati, crollo della malattia in forma grave del 99 per cento tra i vaccinati. AstraZeneca? Stronca la mortalità da Covid del 95%.

Vaccini: studio italiano, tutti 95% di efficacia, stop casi gravi. (ANSA il 13 maggio 2021) Il "primo studio" organizzato in Italia sull'efficacia dei vaccini conferma che "tutti e tre i vaccini sono molto efficaci". I risultati sono stati presentati ieri in una conferenza a Bologna dall'epidemiologo pescarese Lamberto Manzoli in collaborazione con l'Università di Ferrara. Secondo Manzoli tre sono i punti decisivi dello studio statistico compiuti su 37 mila persone che hanno ricevuto il vaccino in provincia di Pescara dal 2 gennaio al 24 aprile, e i cui dati completi sono stati elaborati dalla Asl del capoluogo adriatico. "Per prima cosa - spiega il dottor Manzoli - abbiamo registrato il -95% di infezioni successive al virus dopo i tempi di produzione di anticorpi rispetto ai residenti adulti. Poi un -99% di malattia conclamata nei riceventi il vaccino. In più un -90% di decessi, ma il dato è condizionato dal fatto che abbiamo registrato un solo morto, una donna di 96 anni, contro i 206 non vaccinati dello stesso periodo, quindi è un dato non probante". Secondo lo studio i dati sono in linea con quanto emerso in studi esteri e sono statisticamente trasportabili su scala nazionale "Non ci aspetteremmo conclusioni diverse - puntualizza il dottor Manzoli, che in precedenza aveva lavorato con l'Agenzia Sanitaria Regionale abruzzese - ce lo dice la logica. Tra sei mesi potremo ristudiare nuovi dati, ma riteniamo improbabile che non ci fornisca le stesse conferme. Tra le cose interessanti c'è da rilevare che siccome in Abruzzo la variante inglese in questo periodo è stata dominante, anche in questo caso i vaccini sono stati efficaci. C'è un dato che non abbiamo potuto pubblicare che è quello degli eventuali effetti negativi, ma sappiamo che c'è una sorveglianza stretta e però posso dire che anche in questo caso i risultati sono positivi", conclude l'epidemiologo abruzzese.

Silvia Turin per corriere.it il 13 maggio 2021.

Vaccini e varianti: l’efficacia.

La casa farmaceutica Pfizer ha dichiarato che non esistono evidenze che sia necessaria una nuova formula del suo vaccino contro le varianti. Che cosa significa?

Il vaccino Pfizer si è dimostrato in grado di proteggere le persone anche nei confronti delle varianti di SARS-CoV-2 più temute. L’ultimo studio in ordine di tempo, svolto in Qatar contro le varianti inglese e sudafricana, ha mostrato una buona efficacia del vaccino, che diventa ottima nella prevenzione di malattie gravi o fatali indotte dal SARS-CoV-2 mutato.

Anche Moderna ha buoni risultati, inoltre sta studiando un potenziamento del suo vaccino, che ha generato buoni anticorpi contro la variante sudafricana, e un prodotto specifico formulato contro tutte le varianti, che ha generato anticorpi ancora migliori negli studi clinici di Fase 2.

Come si è arrivati a questo risultato?

Da subito le case farmaceutiche hanno iniziato a fare ricerche nei confronti delle varianti più diffuse (sostanzialmente l’inglese, la sudafricana e la brasiliana) e hanno visto che gli anticorpi indotti dal vaccino sono in grado di bloccarle tutte.

Anche i vaccini a vettore virale come AstraZeneca e Johnson & Johnson sono efficaci contro le varianti?

Sembra che non ci sia una differenza marcata tra vaccini a RNA messaggero e a vettore adenovirale e che tutti siano in grado di difenderci. Riguardo ad AstraZeneca inizialmente c’erano dati che suggerivano che funzionasse meno bene nei confronti della variante sudafricana, ma in studi successivi le analisi si sono dimostrate migliori, specie nei confronti della brasiliana. Tutti e quattro i vaccini in uso oggi in Italia proteggono anche dalle varianti, soprattutto nel prevenire gravi conseguenze da Covid-19. Ricordiamo che in Italia la variante dominante è ormai l’inglese (prevalente al 91,6%), mentre la brasiliana rappresenta il 4,5% dei casi e tutte le altre sono sotto lo 0,5%.

I vaccini cinesi rispondono altrettanto bene?

I vaccini cinesi funzionano meno bene anche nei confronti del virus originario (senza mutazioni significative), perché hanno una protezione massima del 50%. In alcuni Paesi dove sono stati utilizzati, come il Cile o le Seychelles, i contagi sono aumentati nonostante un’altissima percentuale di popolazione immunizzata (rispettivamente il 45% e il 60%).

Dovessero sorgere mutazioni peggiori?

Le autorità di Nuova Delhi dicono che sia Astra Zeneca sia Pfizer sono efficaci contro la variante indiana. con la nuova tecnologica dell’RNA messaggero, nel caso di mutazioni nuove si troverebbe una nuova composizione in tempi abbastanza rapidi: si parla di un paio di mesi dall’inizio del processo all’approvazione.

La durata dell’immunità

La buona risposta contro le varianti è un’indicazione utile anche per i guariti?

Sicuramente l’immunità indotta dalla malattia non è altrettanto valida come quella indotta dai vaccini, specialmente contro le varianti. Il suggerimento fortissimo, anche per chi è guarito, è quello di vaccinarsi. Per chi ha fatto il virus da meno di sei mesi basta una singola dose.

Per quanto tempo i vaccini ci proteggeranno? Ci sono nuove evidenze?

I dati - solidi - che vengono dal mondo reale dimostrano come, anche quando la quantità di anticorpi che si misura nel sangue (con i test sierologici) scende, non diminuiscono le “cellule di memoria”, che in un secondo incontro con il virus si attiverebbero immediatamente producendo altri anticorpi. Siamo arrivati a oltre sette mesi di durata, ma la forchetta dovrebbe ampliarsi ancora.

Alcuni scienziati propongono di studiare un vaccino pan-coronavirus, funzionerebbe contro tutte le varianti?

Si. Sarebbe un vaccino a tecnologia RNA “a prova di varianti”. Potrebbe forse anche fornire una certa protezione da future epidemie di betacoronavirus zoonotici e una piattaforma valida per l’ulteriore sviluppo di vaccini pan-betacoronavirus.

Luigi Gaetani per “la Repubblica” il 14 maggio 2021. Il 14 maggio la Storia ci parla di attualità. In questa data, nel 1948, David Ben Gurion proclamò l'istituzione dello Stato d'Israele. Neanche ventiquattr'ore dopo, le truppe di Egitto, Giordania, Siria, Libano e Iraq invasero il Paese. Iniziò così la prima guerra arabo-israeliana (nello Stato ebraico ricordata come "Guerra d'indipendenza"). Era sempre il 14 maggio - del 1798 - quando il primo vaccino efficace mai sviluppato fu inoculato a un bambino inglese di otto anni, James Phipps. L'intuizione l'aveva avuta il medico britannico Edward Jenner: si era accorto che le mungitrici che si infettavano con il vaiolo bovino - una forma più leggera del morbo - poi non sviluppavano la variante umana, molto più grave. Così pensò di iniettare al piccolo Phipps il materiale prelevato dalle lesioni da vaiolo bovino apparse sulle mani di una giovane lattaia. Funzionò. E la nuova rivoluzionaria tecnica, destinata a cambiare il destino dell'umanità, prenderà il nome dalla malattia delle mucche: variolae vaccinae (vaiolo "vaccino").

Giuseppe Remuzzi per il "Corriere della Sera" il 29 novembre 2021. «Perché poliomielite sì e Covid-19 no?». Se lo chiede in questi giorni, in un bellissimo articolo pubblicato sul Washington Post, Ashish Jha che è rettore della Brown University School of Public Health. Il virus della poliomielite circolava in forma endemica da millenni. Le prime epidemie importanti si sono registrate in Europa fin dagli inizi del 1900, subito dopo il virus ha fatto la sua comparsa negli Stati Uniti e ha raggiunto il suo picco negli anni 40 e 50: in quel periodo la malattia paralizzava o uccideva più di mezzo milione di persone nel mondo ogni anno. La popolazione era in preda al panico: i genitori temevano per i loro bambini, il virus immobilizzava i muscoli e c'era l'incubo del «polmone d'acciaio», una macchina dentro la quale bambini, e qualche volta adulti, venivano rinchiusi: fuori solo capo e collo, era la macchina che respirava per loro e avrebbe continuato a farlo per il resto della vita. Ma per il virus della poliomielite, come per quello del Covid, non è che tutti quelli che si infettavano dovessero per forza ammalarsi, i tre quarti non avevano sintomi e la gran parte degli altri aveva disturbi trascurabili, simili all'influenza, che guarivano da soli nel giro di pochi giorni. Solo lo 0,1 per cento di quelli che si infettavano sviluppava complicazioni. Adesso, a tanti anni di distanza, a quali conclusioni ci porta il confronto tra la poliomielite e il Covid-19? I bambini sono meno suscettibili degli adulti al coronavirus, questo lo sanno tutti ed è la ragione per cui non li si vorrebbe vaccinare, ma a pensarci bene era un po' così anche per la polio: è vero che colpiva specialmente i piccoli, ma si andava incontro a un decorso più grave quando la malattia si manifestava in età adulta. In ogni caso, nonostante solo una piccola parte di coloro che contraevano l'infezione si ammalasse gravemente di polio o morisse - la più grave epidemia di polio ha colpito gli Stati Uniti nel 1952 causando oltre 21 mila casi e tremila vittime - tutti accolsero con entusiasmo il vaccino messo a punto da Jonas Salk. Fu annunciato ufficialmente al mondo il 12 aprile 1955. Le famiglie ricevettero un vademecum: «Genitori, questo messaggio riguarda voi e i vostri bambini». Tutti leggevano quelle istruzioni e le seguivano. Il vaccino fu reso obbligatorio e lo è rimasto fino a oggi. Con una differenza fondamentale: quello di Salk era un virus inattivato, il processo per rendere innocuo il virus non riesce sempre alla perfezione, per cui capitava, anche se raramente, che fosse proprio il vaccino a causare la polio. «Non potrebbe succedere la stessa cosa per il vaccino contro il Covid-19?», si chiedono oggi molti genitori. La risposta è no, non può proprio succedere: il vaccino di oggi non è fatto con un virus, che per quanto inattivato è sempre un virus intero; con il vaccino contro il Covid-19 il processo è completamente diverso, per cui è assolutamente impossibile che chi si immunizza contragga la malattia. Non solo: i vaccini contro il Covid-19 - infinitamente più affidabili di quello di Salk contro la polio - sono già stati somministrati a più di quattro miliardi di persone nel mondo (tra cui decine di milioni di bambini; in tutto oltre 7,6 miliardi di dosi) e risultano essere i più efficaci e anche i più sicuri della storia della medicina. Negli anni delle epidemie di polio più severe non c'era la capacità di fare screening tra la popolazione, si testava solo chi aveva già i sintomi della malattia e stava sviluppando una forma severa dell'infezione. Un po' come se oggi si dovesse aspettare a fare il tampone ai nostri bambini quando il Covid li ha già costretti a un ricovero in ospedale. La polio alla fine non c'è più, sarà così anche per il Covid-19? Penso proprio di no. Questo virus è troppo contagioso per essere vinto con il solo vaccino, sapremo tenerlo sotto controllo, causerà forme più lievi, ma starà con noi per un bel po'. A patto che si vaccinino i bambini, se no potrebbero essere proprio loro a essere più colpiti dal virus - e sta già succedendo - e a sviluppare forme più gravi di quelle che abbiamo visto finora. La vittima più illustre della polio fu il Presidente degli Stati Uniti Franklin Delano Roosevelt: a 39 anni fu colpito da una severa forma della malattia, così prima lanciò una fondazione e poi una vera e propria campagna per debellare la polio: con la cosiddetta «March of Dimes» si chiedeva ai cittadini di mandare monetine alla Casa Bianca per raccogliere fondi destinati a sconfiggere la paralisi infantile. Quando arrivò il vaccino di Salk, il mondo intero tirò un sospiro di sollievo. «Ma cosa sarebbe successo - chiede il dottor Ashish Jha - se negli anni 50 ci fossero stati movimenti contrari al vaccino? Avremmo avuto lo stesso livello di copertura contro la polio? Ci avrebbero detto che la maggior parte dei bambini non rischiavano niente e che i più erano asintomatici? E che quelli che morivano erano di fatto pochissimi?». Vacciniamoli i bambini, contro Sars-CoV-2, oggi come abbiamo fatto con la polio.

Vaccini, così l'esercito degli infelici fu sconfitto da uno zuccherino. Donatella Di Pietrantonio su La Repubblica il 4 aprile 2021. Albert Bruce Sabin somministra il vaccino contro la poliomielite. La scrittrice ricorda quando i paesi del suo Abruzzo erano pieni di persone con malformazioni causate dalla poliomielite. Malattia che venne debellata, negli anni Sessanta, dalla campagna vaccinale di massa nelle scuole. Fino a non molti anni fa gli infelici si aggiravano ancora per le vie del paese. Attraversavano la piazza nel loro modo storto e claudicante, ognuno diverso dall’altro, come diverse erano le deformità. Venivano per lo più dalla campagna e non rinunciavano al mercato del sabato. Si fermavano a guardare le bancarelle e a comprare qualcosa, nell’incrociarsi si scambiavano appena un cenno di saluto riconoscendosi a malincuore nella invalidità dell’altro. Ricordo una donna, sempre con la borsetta nera a due manici, vestita con una sua modesta eleganza per l’unica uscita settimanale. Non usava il bastone, a ogni passo era costretta a inclinarsi di parecchi gradi con il busto e poi a rialzarsi, così procedeva verso il furgone della porchetta. Mi impressionava quel suo inchino continuo, a ogni passo, tutta la vita. Nel dialetto dei nostri anziani infelice significa storpio. A seconda della sede della disabilità classificano: infelice a un braccio, a una gamba. E se una di quelle persone si comportava male, mio nonno sentenziava: non ti fidare di chi è segnato dal Padreterno. A segnarli non è stato il Padreterno, ma il virus della poliomielite. Gli infelici sono stati bambini prima dell’introduzione del vaccino antipolio, alla fine degli anni ’50. Oppure abitavano dove le notizie delle campagne vaccinali non arrivavano, ma i contagi a volte sì. Quella generazione scomparsa prima del tempo ha scontato l’arretratezza di certi luoghi di nascita in cui la malattia era considerata un destino, una sfortuna o anche il meritato castigo per colpe proprie o dei padri. I paralitici erano affidati non solo alle famiglie, ma anche alle nostre piccole comunità solidali e pietose, che se ne prendevano cura tacendo un fondo di segreta repulsione. Sono nata e cresciuta negli anni ’60 e mi sembra di aver vissuto un secolo.  Abitavo lontano dal mare, dalle vie di comunicazione, dalla modernità. Ho visto scomparire un mondo. Lo stesso che D’Annunzio raccontava nelle Novelle della Pescara e nel Trionfo della Morte, che Francesco Paolo Michetti ritraeva in fotografia e in pittura tra ‘800 e ‘900: gli storpi in processione verso il Santuario della Madonna dei Miracoli a Casalbordino. Frequentavo le elementari in una piccola scuola tinteggiata di rosa, che spiccava nel verde o nella neve, a seconda delle stagioni. Dalle finestre vedevamo la capigliatura rocciosa della Bella Addormentata e il bosco di faggi secolari. Appena arrivati accendevamo la stufa di terracotta e tossicchiavamo un po’ per il fumo. La maestra lo lasciava fare a noi, che eravamo abituati a maneggiare la legna e il fuoco. La scuola era la sola presenza dello Stato nelle sue contrade più sperdute. Una mattina è venuto un medico a portarci degli zuccherini, ha detto. Prima di darceli ci ha spiegato a cosa servivano, contro una brutta malattia di cui ha scandito il nome: PO-LIO-MIE-LI-TE. Ci ha domandato se conoscevamo qualcuno con una gamba deforme. Nello spazio tra i banchi e la cattedra Bruno ha mimato l’andatura di un suo zio infelice, esagerando un po’. La maestra gli ha chiesto di restare lì, e a noi di metterci in fila dietro di lui. Il dottore ha bagnato una zolletta con un liquido rosa e gliel’ha messa in bocca, poi a tutti gli altri. Sembrava il prete che dava l’ostia consacrata, però senza dire: il Corpo di Cristo. Nessuno di noi voleva diventare come lo zio di Bruno e anche se lo zuccherino non sapeva di fragola, l’abbiamo lasciato sciogliere sulla lingua e deglutito. In quelle settimane milioni di bambini italiani ricevevano la loro dose di vaccino Sabin e noi, così lontani, eravamo parte della comunità di scolari diffusa su tutto lo Stivale che pendeva alla parete, un po’ scurito dal fumo della stufa. Esistevamo. Guardo con un misto di pena e tenerezza la fotografia delle pluriclassi di allora, scattata dietro la scuola: con i grembiuli della prima elementare diventati troppo corti sorridevamo all’obiettivo, magri e fiduciosi. Eravamo poveri ma sani. Bruno persino elegante, con una giacchetta blu per l’occasione, ma si vede che non era sua. Lo zio di cui imitava il trascinamento della gamba è morto presto, l’infelice. La poliomielite e il vaiolo sono stati debellati su scala planetaria, in seguito alle campagne vaccinali di massa. Il morbillo invece l’abbiamo preso quasi tutti. Ho rischiato la vita, mi ha raccontato poi mia madre. Sentivo la sua voce angosciata che diceva: “il termometro è pieno”. Non aveva il paracetamolo, né il telefono per chiamare il medico del paese. Mi copriva invece di raffreddarmi, le avevano insegnato così. Gli astronauti dell’Apollo 11 erano usciti dal televisore di Luisa - l’unica della contrada a possederne uno – e si muovevano intorno a me nelle tute spaziali bombate, con quei passi privi di gravità. Li avrei seguiti sulla Luna, ma per fortuna non hanno voluto. Se ne sono andati all’alba e io sono sfebbrata inzuppando di sudore anche il materasso. Mia zia ha detto che san Gabriele mi aveva fatto la grazia. Ripassavo a mente queste storie mentre ero in fila davanti all’aula magna dell’ospedale di Pescara. Medici, odontoiatri e infermieri: potevamo sembrare studenti, a parte i segni delle nostre varie età. Non ci trovavamo lì per una lezione o un congresso, stavamo per ricevere la seconda dose del vaccino anti-Sars Cov 2. Una dottoressa bionda elencava i possibili effetti collaterali e si chiedeva se avrebbe potuto lavorare il giorno dopo. Con la febbre no, con la spossatezza forse. Una collega le ha risposto che lei aveva già l’Oki nella borsa. Eravamo meno medici che pazienti, con una battuta o una risata nervosa sfogavamo la stanchezza di un anno vissuto nel rischio quotidiano di ammalarci e morire. Qualcuno parlava dei recettori ACE 2 a cui il virus si lega per entrare nelle cellule umane e dell’ormai famosa proteina Spike, come sede di possibili mutazioni. Ho sentito parlare anche d’altro, di turni, della riorganizzazione di un reparto, ma ogni argomento era viziato da una sorta di irrilevanza, sullo sfondo cupo della pandemia. Alla prima inoculazione, tre settimane avanti, eravamo più leggeri e speranzosi. Avevo ricevuto la puntura al deltoide quasi con la stessa fiducia della bambina che si lasciava sciogliere sulla lingua la salvifica zolletta. Poi il dilagare delle varianti e l’aumento di letti occupati nelle terapie intensive avevano spento l’entusiasmo. Un’infermiera gentile mi ha punto sul braccio segnato dalle cicatrici ancora visibili dell’antivaiolosa. Ho aspettato la mezz’ora prescritta per il monitoraggio di eventuali reazioni avverse e sono andata via senza certezze. Adesso dovrei essere già immune – per quanto tempo? - dal virus che conosciamo, ma chissà se in un posto impensabile del pianeta è già “nata” la mutazione che non sarà riconosciuta dalle mie difese. Fuori ho ritrovato la città nella luce di una primavera che è cominciata lo stesso.

Giovanni Battista Grassi è il “nobel negato” che svelò il segreto della malaria. Riccardo Chiaberge su l'Inkiesta il 14 Ottobre 2021. Il medico italiano (1854-1925, lombardo ma vissuto a Roma) dimostrò che la trasmissione dell’infezione avveniva dalla zanzara anofele all’uomo, sventando la teoria dell’aria malsana come veicolo di contagio. Uno dei classici sempreverdi delle pagine culturali è il pezzo sui Nobel negati. Ogni anno in questa stagione qualcuno deve farsene carico, spesso su richiesta del direttore, soprattutto quando, come succede quasi sempre, non c’è nessun italiano tra i premiati (quest’anno, con Giorgio Parisi, è stato una felice eccezione). E allora parte la carrellata dei trombati illustri: Joyce, Tolstoj, Borges, Virginia Woolf, Philip Roth… E la geremiade sui nostri grandi ingiustamente esclusi, da Ungaretti a Moravia. Maledetti svedesi! In compenso l’hanno dato a Dario Fo, che non era degno! Ricordo un tale che negli anni Ottanta ne aveva fatto una missione, e ai primi refoli d’autunno martellava tutti i capiredattori della cultura d’Italia per patrocinare la causa del poeta Mario Luzi, a suo dire boicottato da una satanica consorteria, il cui grande burattinaio sarebbe stato chissà perché un noto ambasciatore e storico. Che poi, anche ammesso che il complotto fosse reale, non era chiaro come riuscisse a condizionare l’Accademia di Stoccolma. Sta di fatto che il povero Luzi passò a miglior vita senza vedere l’agognato (e forse meritato) alloro. Confesso di non avere mai capito questa ossessione per il Nobel della letteratura, assegnato il più delle volte sulla base di un discutibile manuale Cencelli geopolitico, o peggio dei capricci di qualche traduttore scandinavo. Ben più serie sono le esclusioni immotivate in campo scientifico, dove dovrebbe regnare un rigoroso criterio meritocratico. Uno dei casi più assurdi e scandalosi è quello di Giovanni Battista Grassi. Mai sentito? Infatti nessuno ne parla. Eppure il suo nome dovrebbe tornare alla ribalta in questi tempi di pandemia, tanto più dopo che l’Oms ha dato il via libera al primo vaccino contro la malaria. Perché della lotta alla malaria Grassi è stato uno dei pionieri, forse il più grande di tutti. Fu il medico italiano (1854-1925, lombardo di nascita, ma vissuto a Roma) a dimostrare la trasmissione dell’infezione dalla zanzara anofele all’uomo, mandando definitivamente al macero la vecchia teoria dei “miasmi”, dell’aria malsana come veicolo di contagio. Altri prima di lui, tra cui Robert Koch, il padre tedesco della batteriologia, avevano sospettato che l’insetto fosse in qualche modo coinvolto. Ma non erano mai arrivati a risultati probanti. Il francese Alphonse Laveran, nel 1880, aveva scoperto i plasmodi, microorganismi responsabili della “febbre palustre”, senza però individuare la particolare specie di zanzara che fa da vettore. Nell’ottobre del 1898 Grassi e i suoi colleghi compiono il passo decisivo: catturano un bel po’ di anofeli nel delta del Tevere e gli offrono in pasto un paziente affetto da plasmodio falciforme, quello che provoca la forma più grave di malaria. Poi mettono le zanzare così infettate nella camera di un volontario sano. Dieci giorni dopo, l’uomo sviluppa i sintomi della malattia. È la prova regina che Grassi stava cercando. Seguono, l’anno successivo, esperimenti su larga scala a Pian Capaccio, in Campania, una delle peggiori zone malariche d’Italia. Che confermano definitivamente la nuova teoria. I plasmodi della malaria non circolano liberamente nell’ambiente, in nessuno stadio della loro esistenza: vivono in un circuito chiuso tra il corpo umano e quello dell’insetto, tra l’ospite intermedio e quello finale. Una scoperta da Nobel, non vi pare? E invece no. Negli stessi anni (tra il 1895 e il ’97) in India, senza comunicare in nessun modo con Grassi, un medico britannico, Ronald Ross, fa anche lui ricerche sulla malaria. Si mette a dissezionare le zanzare del genere Culex, e trova il plasmodio nel loro stomaco. Ma è il parassita della malaria “aviaria”, quella che infetta gli uccelli. Ed è proprio lavorando sugli uccelli che Ross riesce a provare la trasmissione della malattia attraverso la puntura degli insetti. E arriva alla conclusione che, per analogia, la stessa cosa debba succedere con gli umani. Un’intuizione fondamentale, che però senza gli esperimenti di Grassi sarebbe rimasta allo stadio di ipotesi. Ma quando il comitato Nobel discuterà la questione, nel 1902, darà il premio a Ross e non allo zoologo romano. La Britannica, alla voce Ross, non menziona nemmeno il suo concorrente sconfitto. Alla voce malaria, invece, si limita a ricordare la controversia che seguì il Nobel come “una delle dispute più al vetriolo della scienza moderna”. Il povero Grassi si ritirò dalla scena, deluso e amareggiato, proprio quando il parlamento italiano approvava la campagna antimalarica basata in gran parte sul suo lavoro, e mentre la scuola romana di malariologia da lui fondata era ormai diventata la più prestigiosa d’Europa.  Gli hanno dedicato qualche ospedale e un po’ di vie qua e là, a Fiumicino, a Ostia, nei luoghi della malaria. A Milano si chiama così, guarda caso, la strada che passa davanti al Sacco. Per il resto, l’oblio è assoluto. Uno come Grassi meriterebbe come minimo un biopic o una miniserie. Ma in tv e sui social si preferisce parlare, anzi blaterare di Nobel convertiti al verbo novax come Luc Montagnier o di un Giulio Tarro che si autocandida all’insaputa degli accademici di Svezia. E i patridioti sovranisti si scaldano per l’italianità dei cetrioli di mare invece che per il genio, italianissimo e misconosciuto, della lotta alla malaria. 

Lo scienziato moriva il 3 marzo 1993. Albert Sabin, l’inventore del vaccino anti-polio che rinunciò al brevetto: “Lo dono ai bimbi del mondo”. Antonio Lamorte su Il Riformista il 3 Marzo 2021. Il 3 marzo del 1993 moriva a 86 anni all’ospedale della Georgetown University di Washington Bruce Albert Sabin. È diventato famoso anche come “l’uomo della zolletta di zucchero”: era stato infatti lui a ideare il più diffuso vaccino contro la poliomielite che veniva somministrato con una zolletta imbevuta. Il suo nome viene spesso citato in questi giorni per via della pandemia da coronavirus, dell’andamento lento della campagna vaccinale, dei brevetti: chi propone di condividerli e chi dice che è impossibile. “È il mio regalo a tutti i bambini del mondo”, disse invece Sabin che visse una vita piuttosto rocambolesca, spesso drammatica. Non ha mai vinto il Premio Nobel per la Medicina ma è finito nel ritornello della canzone del film Mary Poppins con quel “poco di zucchero e la pillola va giù”. Un inno, allegro e inconsapevole, alla sconfitta di un’epidemia tragica.  Sabin era nato nel 1906 nel ghetto di Bialystok, in Polonia, una città parte dell’Impero Russo. Quando aveva 15 anni era partito con la famiglia per gli Stati Uniti. Il padre Jacob era artigiano: aveva deciso di partire per via della crescente ostilità anti-ebraica che si andava diffondendo in Europa. Bruce Albert fin dalla nascita era quasi cieco dall’occhio destro. Con l’appoggio dello zio, divenne un promettente studente di odontoiatria alla New York University. Quando però lesse il libro I cacciatori di microbi di Paul de Kruif cambiò idea: non più dentista, ma medicina. Microbiologia, per la precisione: un’epifania. L’aneddotica sulla sua vita racconta che andasse perfino raccogliendo microbi per la città, lì dove capitava: stagni, polvere, cassonetti della spazzatura e via dicendo. Sabin si laureò, divenne capo della ricerca pediatrica, assistente di William Hallock Park, celebre per gli studi sulla difterite. Approfondì quindi lo studio delle malattie infettive: la poliomielite era una piaga in quegli anni. La malattia virale aveva paralizzato tra il 1951 e il 1955 oltre 28mila bambini. Diverse migliaia le vittime. Nel solo 51 negli USA aveva colpito 21mila persone; in Italia oltre 8mila nel 1958. La poliomielite colpisce il sistema nervoso centrale e in particolare i neuroni del midollo spinale. Il contagio avviene per via oro-fecale: ingestione di acqua o cibi contaminati o tramite la saliva e le goccioline emesse con i colpi di tosse e gli starnuti da soggetti ammalati o portatori sani. La fascia più a rischio sono i bambini sotto i cinque anni di età. L’1% dei malati sviluppano paralisi, il 5-10% una meningite asettica. Un vaccino annunciato negli Stati Uniti nel 1934 si era rivelato inefficace, anzi letale. Il Presidente Franklin Delano Roosvelt il 3 gennaio del 1938, costretto su una sedia a rotelle con una diagnosi di poliomielite – che in seguito sarebbe stata contestata – scrisse un appello sui quotidiani e fondò la National Foundation for Infantile Paralysis allo scopo di raccogliere fondi per la lotta alla malattia. La campagna, alimentata anche da volti noti, fece esplodere l’attenzione sulla poliomielite. Sabin era uno scienziato rigoroso, egocentrico, intransigente. Un’esplosione di contagi a New York lo aveva spinto a studiare la polio. Lo fece dal 1931 all’University of Cincinnati, nello stato dell’Ohio. Il suo primo grande risultato fu capire che non si trattava di un virus respiratorio: ma che vive e si moltiplica nell’intestino. Aveva inaugurato l’epoca degli enterovirus. Ma allo scoppio della II Seconda Guerra Mondiale Sabin partì come ufficiale medico: sbarcò in Sicilia e poi a Okinawa, in Giappone; a Berlino aveva intanto assistito a una terribile epidemia di polio. Quando tornò in America riprese le sue ricerche armando un laboratorio con 10mila topi e 160 scimpanzé. Mise a punto così un vaccino che si basava su ceppi indeboliti e che andava somministrato per via orale. Ma Jonas Salk, ricercatore della University of Pittsburgh, aveva realizzato intanto tre vaccini, uno per ogni tipo fondamentale di polio, a partire da virus uccisi e conservati in formalina, che gli USA nel 1952 approvarono. Il farmaco di Salk tuttavia non preveniva il contagio iniziale e veniva somministrato tramite iniezione. A chiamare in causa gli sforzi di Sabin fu l’Unione Sovietica che, con altri Paesi dell’Est europeo, richiese allo scienziato di sperimentare il farmaco sulla sua popolazione. Fu un successo: il primo Paese a produrlo su scala industriale fu la Cecoslovacchia, poi la nativa Polonia, l’Urss stessa, la Repubblica Democratica Tedesca e la Jugoslavia. L’autorizzazione in Italia arrivò nel 1963, dal 1966 il vaccino divenne obbligatorio. In ritardo arrivarono anche gli Stati Uniti. Si vaccinarono milioni di bambini in tutto il mondo. L’ultimo caso negli Usa risale al 1979, in Italia al 1982. Sabin divenne molto celebre: ricevette 40 lauree honoris causa, il Premio Feltrinelli, la Medaglia Nazionale per la Scienza. Divenne anche presidente del Weizmann Institute of Science di Rehovot, in Israele, e dopo la pensione continuò a studiare i tumori, il morbillo e la leucemia. “Non dobbiamo morire in maniera troppo miserabile – diceva – La medicina deve impegnarsi perché la gente, arrivata a una certa età, possa coricarsi e morire nel sonno senza soffrire”. Se dolce come lo zucchero era il suo farmaco, altrettanto non era lui a quanto pare: dai modi spesso burberi, anche per una vita fin dall’infanzia segnata da drammatici sconvolgimenti. Che non finirono in età adulta: la sua prima moglie, madre delle figlie Amy Deborah – chiamate come le nipoti uccise dalle SS durante la guerra – si tolse la vita trangugiando barbiturici nel 1966. Eredi dello scienziato vivono in Italia, tra Milano, Biella e Bologna. “Il vaccino di Sabin – si legge sul sito dell’Istituto Superiore di Sanità – somministrato fino ad anni recenti anche in Italia, ha permesso di eradicare la poliomielite in Europa ed è raccomandato dall’Organizzazione mondiale della sanità nella sua campagna di eradicazione della malattia a livello mondiale”. Se Sabin così spesso viene tirato in causa in questi giorni è per la sua decisione di non brevettare la sua invenzione, rinunciando allo sfruttamento commerciale dell’industria farmaceutica. “Tanti insistevano che brevettassi il vaccino, ma non ho voluto. È il mio regalo a tutti i bambini del mondo”, disse e non guadagnò un dollaro dalla sua scoperta. Donò i ceppi virali all’Urss, superando le gare sull’orlo della Cortina di Ferro, tra Usa e Urss, in piena Guerra Fredda, e continuò a vivere del suo stipendio da professore. Molti lo tirano quindi in ballo per la campagna vaccinale, e la penuria di farmaci, contro il coronavirus che avanza a fatica in queste settimane, questi mesi. La questione è argomento di dibattito ormai da mesi. Oxfam ed Emergency hanno scritto un appello al governo per la liberalizzazione dei brevetti “ponendo fine al monopolio delle case farmaceutiche. A cominciare dal vaccino italiano Reithera, in dirittura d’arrivo”. Un brevetto riconosce un monopolio: un’esclusiva di produzione, uso e vendita. Vale di solito 20 anni. Questo meccanismo è considerato da molti economisti ed esperti un incentivo per investire nella ricerca. È anche vero però che molte ricerche vengono – e sono state, nel caso specifico – finanziate da ingenti investimenti pubblici. I vaccini sono anche farmaci poco redditizi rispetto a quelli che vengono assunti per una malattia cronica. I governi hanno in effetti la possibilità di sospendere momentaneamente il monopolio, da Risoluzione 58.5 dell’Assemblea Mondiale della Sanità (Ams). Una strada alternativa, come ha ricordato il Post in un lungo e approfondito articolo sulla questione, potrebbe essere una licenza su base volontaria da parte delle aziende farmaceutiche che permetta la produzione ad altre società. Il dibattito è comunque molto più complesso di così e si ramifica in tutti i brevetti che possono esserci dentro un solo vaccino, nelle norme per gli stabilimenti industriali, negli accordi e le collaborazioni tra case farmaceutiche (Sanofi e Novartis si occupano dell’imballaggio e del confezionamento dei lotti di Pfizer e BioNTech, per esempio), nelle autorizzazioni in arrivo per altri vaccini.

LA COPPIA A CUI DOVETE DIRE GRAZIE - I CONIUGI TEDESCHI DI ORIGINE TURCA UGUR SAHIN E OZLEM TURECI, FONDATORI DI BIONTECH, SPIEGANO COME HANNO DISEGNATO L'ANTI-COVID OLTRE UN ANNO FA: "ERA IL 25 GENNAIO 2020, NE ABBIAMO DISCUSSO A COLAZIONE PARLANDO DI VIRUS. POI È STATO SVILUPPATO IN 48 ORE, TUTTO IL RESTO DEL TEMPO È SERVITO PER STUDI E TEST. MA NOI PUNTIAMO ALLA CURA CONTRO IL CANCRO. SE SI RIMANE SANI È UN BENE VIVERE ANCHE FINO A 200 ANNI..."Dagospia il 22 marzo 2021. Articolo di Mathias Dopfner pubblicato dal “Corriere della Sera” il 22 marzo 2021.

Il 25 gennaio 2020 stavate facendo colazione, parlando dello strano virus in Cina. Lo stesso giorno c'è stato il primo contagio in Germania. Verità o leggenda?

Ugur Sahin: «È vero. Venerdì sera avevo letto un articolo sulla rivista Lancet. Il focolaio di Wuhan era noto da tre settimane. Ho fatto qualche ricerca, e mi sono convinto che l'epidemia non si sarebbe limitata alla Cina. Ne abbiamo discusso a colazione: non avevamo dubbi che il virus sarebbe arrivato in tutto il mondo. Ma sapevamo di essere in possesso di una tecnologia che ci avrebbe permesso di sviluppare un vaccino molto rapidamente. Sapevamo di dover fare qualcosa».

Özlem Türeci: «Sulle riviste mediche avevamo letto della nuova malattia polmonare nella provincia di Hubei. Ugur ha cominciato a pianificare i primi passi per lo sviluppo di un vaccino subito. Abbiamo deciso nel weekend, il team si è messo al lavoro lunedì».

In un certo senso, il momento perfetto per applicare le conoscenze della tecnologia mRna a un grande caso concreto?

S: «Sì, benché avessimo in mente altre cose per il 2020, tutta la ricerca sul cancro, l'avevamo appena presentata a San Francisco. Improvvisamente, tutto è cambiato».

Può spiegarmi in parole semplici che cosa è l'mRna?

S: «L'mRna è un pezzo di informazione genetica che mette a disposizione delle cellule un piano specifico per costruire le proteine. È un processo naturale nelle cellule, come quando si prende un hard disk, il Dna, e si fa una copia, l'Rna, che si chiama Rna messaggero. Abbiamo trovato molto interessante questo messaggero, perché ha una caratteristica fantastica. È un vettore di informazioni, come un'email, che dopo che è stata aperta viene cancellata. La cellula svolge la sua funzione naturale e opera secondo le nostre istruzioni. Il trucco, per restare sull'esempio dell'email, è di assicurarsi che il messaggio non finisca nello spam, ma che venga effettivamente usato per dare istruzioni. Se riusciamo a farlo in modo efficiente, la cellula farà quello che deve fare».

Ingannare il sistema immunitario che crede di avere un virus, benché in realtà non ci sia?

S: «Sì. È un training del sistema immunitario senza avere bisogno del virus».

È vero che il vaccino è stato sviluppato in 48 ore, e tutto il resto del tempo è stato necessario per studi e test?

S: «Sì, abbiamo creato 10 candidati in tempo breve, e poi altri 10. Non sapevamo quale era il candidato giusto, perché sapevamo ancora poco del virus».

Quindi, avete iniziato con 20 varianti?

S: «Si può dire che il vaccino di oggi è stato disponibile già nel febbraio dell'anno scorso. Ma non era chiaro se funzionava. Servono dati e risultati clinici da studi molto ampi».

Qual è stato il momento eureka? Quando avete capito: ci siamo riusciti!

S: «Più tardi ancora. Una domenica di novembre. Avevamo terminato la fase 3 dello studio con più di 40.000 volontari e ci aspettava la valutazione di una commissione indipendente. Ci siamo svegliati presto al mattino, sapevamo che era il giorno della verità. Avevamo creato il vaccino migliore possibile, ma non sapevamo come avrebbe reagito il virus. Eravamo pronti a una valutazione negativa. Alle 8 di sera i colleghi dagli Stati Uniti ci chiamano. Resto in apnea 5 secondi, poi la voce all'altro capo della linea dice: "Il risultato è positivo, con un'efficacia superiore al 90%". Questo è stato il momento eureka».

Voi siete stati incredibilmente veloci, ma l'Ue ha ordinato il vostro vaccino con molta lentezza. Siete preoccupati del fatto che l'Europa sembri poco efficace nel trovare soluzioni in questa crisi globale?

S: «Secondo me non si dovrebbe parlare di colpevoli in una crisi. Le persone con le quali collaboriamo nell'Ue sono tutte orientate alle soluzioni. L'Ue agisce e ognuno deve dare il suo contributo. Siamo sulla strada giusta».

È così diplomatico che potrebbe anche lavorare per la Ue. Qualche consiglio costruttivo al governo tedesco?

T: «Non ho un consiglio preciso. Penso che si tratti di una macchina che corre per la prima volta: ha bisogno di molte corse per trovare una routine. È un processo di apprendimento su tutti i livelli. Come funziona la distribuzione? Come si trasporta il vaccino? Come lo si conserva? Come s'informano le persone che si vogliono vaccinare? Che cosa si fa con il vaccino che avanza? Sono temi complessi, serve una collaborazione di tanti attori».

Si può dire che i tedeschi siano stati troppo perfezionisti e poco pragmatici?

S: «Si è trattato di correttezza, che è giusto, ma abbiamo anche bisogno di pragmatismo».

Con quale percentuale di vaccinati potremmo dire di avercela fatta e esserne fuori?

T: «Non si sa ancora. Tanti esperti ritengono quando saremo al 70%».

S: «È molto importante vaccinare gli anziani. Hanno un rischio più alto di ammalarsi. Quando saremo riusciti a immunizzare gli anziani, raggiungeremo ben presto una situazione in cui la mortalità e il ricovero caleranno».

Consiglia a ogni ragazzo over 16 di vaccinarsi?

S: «Sì, anche ai ragazzi, ma più tardi dopo ulteriori test clinici. La loro percentuale è importante per raggiungere l' immunità di gregge».

Quando la Germania raggiungerà la percentuale del 70%?

S: «Possiamo immaginarci che succederà a fine settembre».

Il vostro obiettivo: battere il virus oppure conviverci?

S: «Il virus non sparirà. Vedremo se avremo bisogno di una vaccinazione ogni anno oppure ogni 5 anni».

Voi non volevate lottare contro una pandemia, ma trovare una terapia contro il cancro.

T: «Siamo oncologi. Sappiamo bene che cosa devono sopportare i pazienti malati di cancro. Le terapie standard per molte forme tumorali raggiungono molto rapidamente il limite, e si deve informare il paziente che purtroppo non se ne possono offrire altre. Ci siamo resi conto molto presto che si potrebbe fare molto di più se i risultati della ricerca fossero portati al paziente in tempo reale. Non vedevamo nessun altro modo per farlo che diventare imprenditori. Abbiamo fondato aziende e Ong per sviluppare farmaci contro il cancro. La nostra idea è quella di usare il sistema immunitario contro il cancro. Questo è l'obiettivo di BioNTech».

L'azienda vale molto, e avete molta disponibilità di denaro. Quanti candidati ha, in questo momento, per farmaci contro il cancro?

S: «Abbiamo 30 candidati. È vero, il successo del vaccino porta una trasformazione all'azienda. Per la prima volta abbiamo vere entrate da reinvestire».

I vostri successi dipendono molto dai dati, dall'analisi dei dati e dalla loro trasparenza. Israele sembra il laboratorio del coronavirus più interessante, perché i dati di più del 90% della popolazione sono disponibili. E quindi si possono trarre tante conclusioni. E i conflitti sulla privacy?

S: «L'idea di base è: più sappiamo del paziente e del suo tumore, meglio possiamo adattare i nostri farmaci. Naturalmente, noi generiamo dati. Per esempio, esaminiamo il tumore del paziente e determiniamo la mutazione in modo da sviluppare poi un farmaco individualizzato. Per generare questi dati abbiamo bisogno di un accordo con il paziente. Serve un modulo informativo che deve essere molto chiaro sull'uso dei dati. Questo è molto importante anche per noi. Non abbiamo intenzione di sviluppare un modello di business con questi dati. I dati che abbiamo non sono resi disponibili a nessuno».

Mai?

S: «Mai».

Quando tra cent'anni ci guarderemo indietro, sarete ricordati come gli inventori del primo vaccino contro il coronavirus o quelli che più hanno contribuito nella lotta al cancro?

T: «Noi ci auguriamo il secondo. Il cancro è un male altrettanto grande di una pandemia, anche se non viene percepito così».

Quanto a lungo può vivere un uomo?

S: «Dal punto di vista biologico, possiamo già immaginarci che con dei trattamenti la durata della vita possa significativamente allungarsi».

T: «È un campo in cui ci sono molti progressi, per esempio nella medicina rigenerativa».

Ed è un bene, arrivare a 200 anni?

T: «Se rimaniamo sani. Alla fine si tratta di questo: invecchiare senza malattie o fragilità».

Siete figli di Gastarbeiter (lavoratori stranieri, ndr), lei signora Türeci nata in Germania, lei Sahin in Anatolia. Che legami avete con la Turchia?

S: «I nostri genitori sono morti, lì abbiamo ancora dei parenti».

Tra di voi parlate tedesco?

T: «Sì».

Che ne pensate della Turchia attuale?

S: «La conosciamo poco per dare giudizi».

E la libertà, cos'è per voi?

S: «Per me è la possibilità di decidere da soli cosa fare».

T: «È la base dell'innovazione, del cambiamento, della trasformazione. Che non esistono senza la libertà».

Anche se vivete di vaccini, vi siete dichiarati contro l'obbligo di vaccino. Per una questione di libertà?

S: «Sì, ognuno deve decidere per sé. Ma noi dobbiamo garantire trasparenza, perché ciascuno lo possa fare».

Cos'è l'amuleto che porta sempre?

S: «In turco si chiama Nazar Boncuk. È un occhio che protegge dagli sguardi maligni».

(Traduzione di Christina Ciszek)

Coronavirus, "la cura era pronta nel 2003". La rivelazione di Andrea Gambotto: "In Italia tempi troppo lunghi". Alessandro Gonzato su Libero Quotidiano il 21 marzo 2021. Il vaccino anti-Covid era pronto nel 2003. Sarebbe bastato finanziarne lo sviluppo e la produzione per evitare che 17 anni dopo il virus sconvolgesse il mondo. Lo studio era stato pubblicato su Lancet, rivista scientifica considerata la Bibbia del settore. Nessuno l'ha considerato. Una bestemmia. L'antidoto, denominato "PittCoVacc", è stato creato da uno scienziato italiano, Andrea Gambotto, professore di Microbiologia e Genetica molecolare e ricercatore dell'Università di Pittsburgh, in Pennsylvania, Nord-Est degli Stati Uniti. Si tratta di un cerotto con microaghi attraverso cui si potrebbe, o meglio, si sarebbe potuta inoculare la proteina contro il Covid. Per il trasporto non sarebbero serviti camion speciali né per la conservazione potenti frigoriferi. «Cercavamo un vaccino per la Sars», ha spiegato Gambotto all'Espresso, «e siamo riusciti a immunizzare le scimmie usando un adenovirus come vettore virale. Nessuno però ha mai finanziato i test clinici sull'uomo. Fosse andata diversamente l'anno scorso avremmo potuto circoscrivere l'epidemia alla Cina».

IL RUOLO DI FAUCI. Gambotto è uno dei massimi esperti di Covid. Con la sua squadra ha realizzato i primi studi sui 3 Coronavirus che hanno contagiato l'uomo, quello della Sars, della Mers e il CoV-2. Poco dopo le prime notizie su ciò che stava accadendo a Wuhan ha scongelato il vaccino testato sulle scimmie. Lo scienziato l'anno scorso si è accorto che funzionava anche contro la malattia del secolo ma era troppo tardi: «Non siamo più andati avanti perché avremmo dovuto comunque iniziare gli studi di fase 1 e 2, e abbiamo preferito chiederli su un nuovo vaccino, che abbiamo elaborato in 10 giorni». Il cerotto anti-Covid doveva essere finanziato dall'Università di Pittsburgh ma soprattutto dal National Institute of Health, l'agenzia di ricerca biomedica americana, ma quest' ultima nel 2004 sostenne che tanto la Sars era finita, e nel 2014, riferisce Gambotto, quando arrivò la Mers l'Istituto disse «che era solo una malattia mediorientale dei cammelli». Il tasso di letalità della Mers, sebbene la patologia abbia provocato nel mondo appena 330 decessi, fu del 34%, con picchi del 75 in Gran Bretagna (il dato, ricavato dal Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie, è aggiornato a luglio 2014). L'Agenzia biomedica è controllata dal National Institute of Allergy and Infectious Disease, diretto dal 1984 da Anthony Fauci, l'immunologo a capo della task force statunitense contro il Covid e che qualche mese dopo lo scoppio della pandemia ha rotto con Donald Trump. La tesi dell'Espresso è che Trump abbia deliberatamente ignorato il cerotto salvavita «per inondare di miliardi le case farmaceutiche» produttrici dei vaccini oggi disponibili. È però pure possibile che Fauci, col tempo sempre più vicino alle posizioni del futuro presidente Joe Biden, abbia nascosto al tycoon che il farmaco anti-virus c'era già, o che comunque abbia omesso particolari importanti. È un'ipotesi, così come dovrebbe essere quella dell'Espresso, a meno che non si voglia affermare che l'ex capo della Casa Bianca per compiacere le Big Pharma abbia mandato a morire 500mila persone e condannato alla disoccupazione milioni di connazionali.

TROPPA BUROCRAZIA. Persa la speranza in America il professor Gambotto ha tentato di produrre il vaccino in Italia ma è stato subito fermato dalla burocrazia. Le autorità sanitarie hanno ricevuto la documentazione a dicembre sennonché l'iter sarebbe dovuto ricominciare daccapo dato che l'Europa non accetta le ricerche dei laboratori accademici statunitensi. Il 20 febbraio l'Istituto superiore di sanità ha messo fine al discorso: «Se avessimo voluto realizzare il vaccino in Italia», ha affermato lo scienziato sempre all'Espresso, «avremmo dovuto chiedere due autorizzazioni, una per il siero e l'altra per il dispositivo-cerotto, e i tempi sarebbero stati ancora più lunghi». Alla fine l'iter per il cerotto è stato avviato dall'Fda, l'ente regolatore americano, e in Europa, da Pittsburgh, potrebbe arrivare un vaccino-spray nasale. Speriamo. Intanto si continua a crepare.

Un vaccino mai approvato contro la Sars funziona anche per il Covid: «Poteva fermare la pandemia». Gambotto (Università di Pittsburgh): «Il primo studio è del 2003, nel 2020 avremmo potuto lanciare il PittCoVacc, un cerotto con micro-aghi in grado di arrestare la corsa del virus». Ma l’amministrazione Trump ha lasciato a secco i centri di ricerca per inondare di miliardi le case farmaceutiche. E le industrie hanno ricominciato la ricerca da zero. Andrea Tornago su L'Espresso il 19 marzo 2021. Il professor Andrea Gambotto, ricercatore dell’università di Pittsburgh, che ha elaborato il primo vaccino contro Sars, Mers e Sars-CoV-2. Il professor Andrea Gambotto sorride ironico nel suo studio all’Università di Pittsburgh, in Pennsylvania. «Stavolta hanno vinto le case farmaceutiche - ammette - ma abbiamo imparato molto. Alla prossima pandemia non ci faremo trovare impreparati». Scienziato italiano trapiantato negli Usa, dove è ricercatore di punta dell’eccellenza Upmc, University of Pittsburgh Medical Center, è stato il primo studioso a individuare nel 2003 la proteina «spike» come bersaglio dei vaccini anti coronavirus. Racconta all’Espresso i risultati del suo gruppo di ricerca e il difficile rapporto con i governi e le case farmaceutiche. Rivelando una notizia: l’esistenza fin dal 2003 di un vaccino contro i coronavirus, mai testato sull’uomo, dal funzionamento simile a quello dei vaccini usati oggi contro il Covid-19. «Cercavamo un vaccino per la Sars - ricorda Gambotto - e riuscimmo a immunizzare le scimmie usando un adenovirus come vettore virale. Il nostro studio del 2003 pubblicato su Lancet è il primo in letteratura sul tema. Ma all’epoca nessuno finanziò i trial clinici sull’uomo. Altrimenti nel 2020 avremmo avuto già da subito un vaccino efficace anche contro il Sars-CoV-2, almeno per le fasi iniziali dell’epidemia, che così forse poteva essere circoscritta alla Cina».

«AVEVAMO IL VACCINO DAL 2003». Pochi ricercatori al mondo conoscono i coronavirus come il professor Gambotto e il suo gruppo di ricerca di Pittsburgh. Le prime pubblicazioni relative a potenziali vaccini sui tre coronavirus passati all’uomo, quelli responsabili di Sars (2002) e Mers (2012), predecessori del Sars-CoV-2, e quello del Covid-19, portano la loro firma. Eppure nessuno li ha coinvolti nella corsa mondiale al vaccino o ha bussato alla loro porta per chiedere di rispolverare il vaccino sperimentato e mai testato contro le «polmoniti killer» della Sars, una malattia ben più letale che si è autoestinta verso la fine del 2003. Poco dopo lo scoppio dell’epidemia in Cina, all’inizio del 2020, a Pittsburgh i collaboratori di Gambotto scongelano i sieri delle scimmie vaccinate con il prodotto sperimentale contro il virus della Sars. «Ci siamo accorti subito a febbraio 2020 che il siero delle scimmie immunizzate contro la prima Sars funzionava anche contro il nuovo coronavirus - prosegue Gambotto - c’era una notevole cross-attività. In pratica qui noi il vaccino ce l’avevamo da 18 anni nel frigorifero. Non siamo andati più a fondo perché avremmo dovuto comunque iniziare gli studi di fase uno e due, e abbiamo preferito chiederli su un nuovo vaccino, che abbiamo elaborato in dieci giorni». 

I TRIAL CLINICI MANCATI. Perché il vaccino contro la Sars non fu testato sull’uomo? E chi doveva finanziare i costosi studi clinici che avrebbero portato all’approvazione delle autorità regolatorie? Il progetto, spiegano da Upmc, doveva essere finanziato «in casa» dall’Università di Pittsburgh e dalla stessa Upmc con il contributo determinante del National Institute of Health (Nih), l’agenzia per la ricerca biomedica del governo degli Stati Uniti. «Nel 2004 ci risposero che tanto la Sars era scomparsa - ricorda Gambotto-. Anche nel 2014, quando arrivò la Mers, con una letalità del 35 per cento, ci dissero che era solo una malattia mediorientale dei cammelli. Non capivano perché fosse necessario investire in un vaccino. Ora purtroppo sappiamo perché». Upmc è un centro no profit che investe tutti i margini in sviluppo e non può sostenere da solo i costi della sperimentazione. L’istituto del Nih che si occupa delle malattie infettive, il National Institute of Allergy and Infectious Desases (Niaid) è diretto dal 1984 da Anthony Fauci, immunologo di fama mondiale e membro di spicco della task force per l’emergenza coronavirus della Casa Bianca. L’Espresso ha cercato di contattarlo per chiedergli di ricostruire il ruolo delle agenzie governative Usa nella decisione di abbandonare il progetto del vaccino contro la Sars, ma non è stato possibile: un messaggio automatico fa sapere che né il dottor Fauci né il suo staff possono rispondere a causa del suo «lavoro nella task force» e dell’«elevato numero di messaggi». Il 17 aprile 2020, intervistato da Fox News, Fauci ha fatto riferimento in questi termini al vaccino mai nato: «La Sars è tutta un’altra storia. Avevamo sviluppato un vaccino, eravamo in procinto di fargli attraversare le varie fasi, era sicuro e aveva una buona efficacia. Ma poi la Sars è scomparsa. E non abbiamo più avuto bisogno di produrre un vaccino». Nel 2004 gli Stati Uniti erano nel pieno della guerra all’Iraq e la lotta alle pandemie non era certo al centro del programma dell’amministrazione di George W. Bush. 

NESSUNO VUOLE IL «PITTCOVACC». A distanza di quasi vent’anni, la storia sembra ripetersi. Pittsburgh ha trovato in tempi record un nuovo innovativo vaccino contro il Sars-CoV-2, una proteina che si può inoculare grazie a un semplice cerotto dotato di microaghi. Facilità di trasporto e di conservazione, possibilità di produzione praticamente illimitata. Si chiama «PittCoVacc». Il 2 aprile 2020 lo studio scientifico è già su Lancet e il professor Gambotto annuncia a un’Italia in lockdown la scoperta del primo vaccino anti-Covid: «Un cerotto con micro-aghi fermerà la corsa del virus» fa sapere insieme al professor Bruno Gridelli, a capo della divisione italiana di Upmc. Ma l’amministrazione Trump lascia a secco i centri di ricerca accademici e decide di inondare di miliardi le case farmaceutiche. Le principali industrie del farmaco però decidono di sviluppare da sole nei loro laboratori, ricominciando da zero, la tecnologia sperimentata per la prima volta a Pittsburgh diciotto anni fa, la cosiddetta «piattaforma adenovirale». Nascono così, in pochi mesi, i vaccini AstraZeneca, Johnson & Johnson, Sputnik V e i due sieri cinesi. Mentre i ricercatori arrivati per primi, nella corsa della scienza al vaccino, oggi sono ancora in attesa dei via libera delle agenzie regolatorie. Anche perché nel frattempo Pittsburgh decide di produrre il vaccino in Italia e i tempi si allungano ulteriormente.

SERVONO 20 MILIARDI DI VACCINI. Le carte arrivano a Roma nel dicembre scorso. Tutto il processo seguito negli Usa dev’essere trasferito in Europa e riprodotto da capo, in quanto i laboratori accademici americani non sono validati dalle autorità europee. Upmc così si trova costretta ad accantonare il programma del vaccino-cerotto, anche per via di un parere trasmesso il 20 febbraio scorso dall’Istituto superiore di sanità: «In sostanza se avessimo voluto produrre in Italia il cerotto con microaghi avremmo dovuto chiedere due autorizzazioni, una per il vaccino e una per il dispositivo cerotto - spiega il professor Gambotto - con tempi ancora più lunghi». Il vaccino di Pittsburgh così cambia nome e tecnologia: non più «PittCoVacc» ma «UPMCoVacc», un vaccino adenovirale «classico», che a differenza degli altri però sarà somministrabile via spray nasale, con notevoli vantaggi produttivi, di conservazione e di trasporto. L’iter per il cerotto PittCoVacc invece viene avviato presso l’Fda statunitense. E chissà che non si riveli il vaccino in grado di immunizzare gran parte della popolazione mondiale. «Non ci dimentichiamo che per sconfiggere la pandemia abbiamo bisogno di 20 miliardi di vaccini - conclude Gambotto - e al ritmo attuale ci arriveremo nel 2028. Le mutazioni saranno più veloci della vaccinazione. La sfida ormai è elaborare vaccini prima dello scoppio delle pandemie e mettere a punto un sistema pubblico-privato che permetta di produrre miliardi di vaccini in un periodo di tempo molto breve. Un dispositivo come il cerotto in questo senso potrebbe salvarci: la distribuzione potrebbe essere velocissima in tutto il mondo e non dare alcuna possibilità di emergere alle varianti». 

Uccisa da un'overdose la figlia del medico eroe che ci salvò dalla Sars. Stefano Vladovich il 28/3/2021 su Il Giornale. Roma. Tragedia sulla Cassia, a Roma. Stroncata da un'overdose Maddalena Urbani, 21 anni, figlia di Carlo Urbani, il virologo che ha isolato il virus della Sars. E la magistratura apre un'indagine per «morte come conseguenza di altro reato». Quando arrivano i sanitari del 118, allertati da una donna, per la giovane non c'è nulla da fare. Stroncata da sostanze stupefacenti non meglio identificate si legge sul referto del medico legale. Tomba di Nerone, via Vibo Mariano 14, Roma Nord. Sono le 13,30 di ieri quando viene chiamato il 112. Il locatario della casa popolare è un siriano di 64 anni, agli arresti domiciliari per spaccio di droga (deve scontare una pena di sei mesi). Ma da quanto tempo è morta Maddalena? L'uomo viene interrogato fino a tarda sera dagli uomini del commissariato Flaminio e dalla squadra mobile romana. La polizia scientifica, intanto, reperta impronte, effetti personali e tracce di droga. Da chiarire cosa ci facesse la 21enne assieme a un'amica nell'appartamento del cittadino siriano, cosa abbia assunto di preciso e, soprattutto, chi ha fornito la dose letale alla terzogenita dell'infettivologo morto nel 2003 in Thailandia, colpito dallo stesso virus da lui scoperto e isolato. Tre figli. Tommaso, 33 anni, Luca 28 e Maddalena, tutti impegnati come il padre nel volontariato. Tommaso, in particolare, si occupa di logistica umanitaria per Medici Senza Frontiere e per Intersos in Africa. Assieme alla madre, Giuliana Chiorrini, e ai suoi fratelli, Maddalena si era scontrata con il sistema sanitario della sua Regione, le Marche, quando vengono decisi drammatici tagli all'ospedale di Jesi intitolato alla memoria del papà, nativo di Castelplanio. Tanto da minacciare, se non si fosse arrivati a una soluzione, la rimozione del suo nome dalla struttura ospedaliera. Il microbiologo muore dopo aver contratto la Sars, «Polmonite Atipica», da un uomo d'affari americano ricoverato ad Hanoi, in Vietnam. Urbani capisce immediatamente che si tratta di una nuova malattia e allerta l'Organizzazione Mondiale della Sanità, l'Oms. Due settimane dopo, in volo da Hanoi a Bangkok, Urbani viene colto da febbre. Chiede di essere messo in quarantena. Il suo intervento, a dir poco tempestivo, ha permesso di salvare migliaia di vite e di debellare in poco tempo la Sars in tutto l'Estremo Oriente, impedendo che si propagasse, come accaduto per il Covid-19, nel resto del Mondo. Il suo metodo anti pandemie, detto protocollo Urbani, resta l'unico metodo internazionale per combattere virus altamente infettivi di questo tipo.

Il corpo di Maddalena viene portato all'Istituto di Medicina Legale del policlinico Gemelli dove verranno effettuati, nei prossimi giorni, l'esame autoptico e i test tossicologici. Da stabilire esattamente le sostanze assunte e se ci fossero malattie congenite che potrebbero aver provocato la morte associate alla droga. Non si escludono responsabilità dirette dello spacciatore che potrebbe essere iscritto nel registro degli indagati. L'uomo dovrà spiegare come abbia fatto a ricevere droga in regime di arresti domiciliari e come abbia fatto ad ospitare la 21enne e la sua amica nonostante i controlli. Una famiglia perbene gli Urbani, stimata ed apprezzata non solo per il sacrifico dello scopritore della Sars, ma per l'eredità lasciata ai figli, in prima linea con organizzazioni mediche impegnate nel paesi del terzo Mondo.

La 20enne, morta di overdose, figlia del medico che scoprì la Sars. Maddalena Urbani, il fratello Luca: “Spirito libero, ma ha sofferto più di tutti la mancanza di papà”. Antonio Lamorte su Il Riformista il 29 Marzo 2021. Maddalena Urbani era uno spirito libero. È morta per overdose, a 20 anni. Era figlia di Carlo Urbani, il medico e scienziato che nel 2003 scoprì la Sars – sindrome respiratoria acuta grave – e morì a causa della stessa, a Bangkok, capitale della Thailandia. È stato insignito della Gran Croce d’Onore dell’Ordine della Stella d’Italia. Un lutto che la ragazza neanche poteva ricordare, ma che ha sofferto per tutta la sua vita. È stata ritrovata in un appartamento alla periferia di Roma Nord. Arrestato un 62enne, proprietario dell’appartamento dove Urbani è stata trovata. Un uomo siriano, già agli arresti domiciliari per reati di droga. Un’overdose forse dovuta a eroina o a un mix di sostanze. Sequestrata l’abitazione. Indaga la Procura di Roma. L’autopsia al Policlinico Gemelli chiarirà le cause del decesso. “Si era rimessa a studiare, voleva diplomarsi. Lavorava in un bar di Perugia. Era amata da tutti. Un anno fa il suo principale mi ha detto che di ragazzi dietro al bancone ne aveva visti passare a centinaia ma mai una brava come lei”, ha detto il fratello, Luca Urbani, 25 anni, in un’intervista al Corriere della Sera. Nessuno temeva una fine del genere. L’ultima volta che i due si erano sentiti, due giorni prima della morte. A influire sulla già fragile personalità della sorella, dice, alcune cattive compagnie. “Non immaginavamo che si facesse però eravamo preoccupati. Perugia è famosa per certi ambienti non proprio puliti. Maddy diceva di ripudiare la droga pesante. Non era una tossicodipendente, non di quelle droghe”. Uno spirito libero, Maddalena, che comunque ha sempre sofferto la mancanza del padre. “Quando papà è morto lei aveva tre anni. Noi fratelli siamo tornati da soli in Italia in attesa che mamma ci raggiungesse dal Vietnam. Maddy ne ha risentito più di tutti perché per anni ha vissuto il padre attraverso la risonanza mediatica. Soffriva interiormente e non lo dava a vedere. Quando si parlava di papà lei si teneva in disparte, come se volesse estraniarsi. Come se in cuor suo gli rimproverasse di averla lasciata. È capitato che abbia passato qualche esperienza negativa. A 19 anni è andata a Perugia che è la città che è. A lei piaceva stare lì”.

Alessia Marani per "il Messaggero" il 30 marzo 2021. Maddalena si poteva salvare. Si era sentita male già venerdì sera e aveva trascorso tutta la notte «respirando male e rantolando», dodici ore di agonia prima di morire stroncata da una sospetta overdose tra le braccia dell' amica Carola sabato mattina nella casa dove Abdul Aziz Rajab, un trafficante di droga siriano di 64 anni, stava scontando i domiciliari. Con il sospetto che sia stata anche stuprata. L' uomo da ieri, dopo essere stato portato in carcere perché trovato in possesso di eroina, è formalmente indagato dalla Procura di Roma per morte in conseguenza di altro delitto. Sarà ascoltato in carcere domani. Ma non è l' unico su cui sono puntati i fari degli inquirenti. Perché a cedere la droga a Maddalena, ventenne figlia del medico eroe vittima della Sars Carlo Urbani, sarebbe stato un altro pusher, anche lui straniero, il libico, con il quale la ragazza si era data appuntamento in via Vibio Mariano sulla Cassia. É a lui che ora gli inquirenti danno la caccia. «Tu rimani qua», aveva detto Maddalena all' amica lasciandola seduta su una panchina, allontanandosi con lo straniero per poi tornare dopo una mezz' ora. È lì che Maddi avrebbe cominciato a stare male. Carola, ha messo tutto a verbale con gli investigatori della Squadra Mobile e si è confidata anche con Giuseppe Dolciami, il titolare del bar di Perugia dove Maddalena lavorava e che per lei era come un secondo padre.

L' AUTOPSIA «La sua amica mi ha telefonato sabato mattina con il cellulare di Malia, così si faceva chiamare Maddalena - racconta Giuseppe, da tutti conosciuto come Celentano che a Perugia gestisce il bar Via Gluck - mi ha mandato un vocale, era sconvolta». Il racconto lascia senza fiato. Gli inquirenti stanno cercando riscontri sul telefonino di Maddalena, sequestrato, e attendono conferme dai risultati dell' autopsia che verrà eseguita stamani al Gemelli. L' esame autoptico dovrà stabilire a che ora risale effettivamente la morte della ventenne (la chiamata al 118 è delle 13,30 di sabato) e se questa ha subito violenza; oltre a dire quale sostanza ha provocato l' overdose. Forse un mix di droghe e sostanze psicotrope, i tranquillanti che la ragazza aveva iniziato ad assumere da circa un mese perché la notte non dormiva.

OMISSIONE DI SOCCORSO «Lo straniero ci ha portate nell' appartamento di Abdul e poi se ne è andato», ha spiegato Carola agli inquirenti. Le due ragazze arrivate a Roma nel tardo pomeriggio con il treno partito da Perugia alle 14, da quel momento restano sole con Abdul. Il quale a un certo punto manda Carola a fare la spesa e a comprare due casse d' acqua. C' è il sospetto che sia stata solo una scusa per rimanere solo con Maddalena. «Quando ho chiesto a Carola se pensava come me che quell' uomo abbia abusato di Maddalena, lei non ha negato lasciandomi intendere il peggio», dice il barista di Perugia. Le condizioni della ventenne durante la notte non migliorano. Carola la veglia, ha paura. «Ho implorato il siriano di chiamare i soccorsi, ma lui non ne voleva sapere, mi terrorizzava, non sapevo che fare», le parole della ventitreenne. Finché la mattina dopo la studentessa perugina vince la paura, prova a praticare il massaggio cardiaco all' amica, prende il telefono e chiama i soccorsi. Nel frattempo aveva avvisato anche Giuseppe, «di nascosto dal siriano». Ma quando l' ambulanza arriva Maddalena era già morta. L' inchiesta dovrà fare luce sulle lunghe ore di agonia di Maddalena. Nei confronti del siriano potrebbe aggiungersi l' accusa di omissione di soccorso o mutare nel concorso in omicidio. Non era la prima volta che Malia andava a Roma. I viaggi sarebbero iniziati dopo l' arresto di Aziz, già implicato in un traffico internazionale di droga in un' operazione dei carabinieri di Cagliari. Con Maddalena si erano conosciuti a Perugia dove il siriano teneva le fila del giro di spaccio di piazza Grimana, non lontano dalla casa dove nel 2007 si consumò l' omicidio di Meredith Kercher. «Maddalena era una ragazza speciale e fragile - ricorda il titolare del bar - gli spacciatori si sono gettati su di lei come sciacalli sulla preda».

Adelaide Pierucci per "il Messaggero" il 31 marzo 2021. Una spremuta d'arancia e un letto dove riposare. Si sarebbe dato da fare per accoglierla perché stava male, non per fornirle droga, peggio ancora eroina. Il primo sfogo con gli investigatori al momento del fermo Abdul Aziz Rajab, il sessantaquattrenne siriano sospettato di aver fornito sabato la dose letale a Maddalena Urbani, la figlia ventunenne dello scienziato scopritore della Sars Carlo Urbani, morta nella sua casa, a Tomba di Nerone, sulla Cassia, cozza con un primo riscontro. L'esame autoptico sul corpo della ragazza conferma la morte per overdose per un mix di sostanze, a partire da alcol e eroina. Gli esami avviati ieri all'istituto di medicina legale del Policlinico Gemelli, però, si prospettano lunghi e complessi. Su ordine del procuratore aggiunto Nunzia d'Elia e del sostituto Pietro Pollidori è stato messo in campo un pool di esperti composto dal medico legale Antonio Oliva, la genetista forense Francesca Scarnicci e la tossicologa Sabina Strano Rossi. Bisognerà accertare quali e quante sostanze abbia assunto la giovane, da quanto tempo fosse morte, e se sia stata vittima di attenzioni sessuali.

LA RICOSTRUZIONE. Quel giorno Maddalena era con un amica che ha fornito la stessa versione, poco credibile, del siriano, un sessantenne con una carrellata di arresti e condanne per reati legati allo spaccio. La ragazza ha riferito che Maddalena Urbani si sarebbe sentita male in strada: «Era nervosa. E stava per perdere conoscenza. E allora ho pensato di chiedere aiuto a Abdul, che noi chiamiamo Zio'». Rajab racconta una versione convergente. «Quando ho soccorso Maddalena in casa non stava bene, soprattutto era su di giri. Le ho offerto un succo d'arancia e un letto dove riposare. Ma poi non si svegliava. Ci siamo preoccupati. Sono stato io a chiamare i soccorsi, il 118. Non ho nessuna responsabilità per la sua morte. La conoscevo da qualche tempo. Sono addolorato». Gli investigatori ella Squadra Mobile e dei colleghi del Flaminio dubitano della ricostruzione e sospettano anche che l'allarme sia scattato tardi per evitare problemi che poi sarebbero diventati insuperabili. Al momento dell'arrivo dei soccorritori la ventenne era già morta, nella camera da letto dell'uomo. Su sollecito degli inquirenti a giorni la giovane sarà riascoltata affinché chiarisca le contraddizioni emerse.

L'INTERROGATORIO. Rajab, invece, sarà interrogato oggi, in carcere, a Regina Coeli, dal gip Gaspare Sturzo, dopo il fermo di polizia avallato dalla procura decisa a trattenerlo in carcere. In casa dell'uomo è stata trovata una traccia di eroina, nemmeno una dose, che l'ha portato all'arresto per detenzione di sostanza stupefacente a fine di spaccio. Ma si profila la contestazione più grave di morte come conseguenza di altro reato, appunto lo spaccio. Gli inquirenti d'altra parte non si aspettavano di trovare grossi quantitativi in casa. L'uomo potrebbe aver avuto il tempo di disfarsi di tutto ciò che fosse per lui è scomodo. Al momento della tragedia Abdul Aziz Rajab stava scontando gli arresti domiciliari per l'ultima condanna, una pena di 1 anno e mesi incassata ad agosto dopo che era stato trovato alla fermata del bus vicino casa con una decina di dosi di eroina in tasca. Un aggravante per lui. Ma la sua precaria salute aveva spinto i giudici ad accordargli, su richiesta dell'avvocato Andrea Palmiero, i domiciliari nella sua casa in via Vibio Mariano, al civico 14, dove sabato è stata trovata morta Maddalena Urbani. Una stamberga sudicia, senza nemmeno l'acqua calda. Una casa dove il siriano non avrebbe potuto ricevere nessuno, tanto più una ragazza in crisi per una sospetta overdose. A pesare sulla posizione di Rajab anche altre grane. La penultima del 2017, altra condanna, a 4 anni di carcere in appello per lo smercio di un centinaio di dosi, sempre di eroina.

Ecco il vaccino nelle uova: "Un miliardo di dosi all'anno". Alessandro Ferro il 24 Aprile 2021 su Il Giornale. Un vaccino prodotto direttamente dalle uova in fase embrionale che mette insieme due differenti tecnologie: potrebbe essere questa la soluzione vincere per i Paesi più poveri. Non mancano, però, alcuni dubbi. Un nuovo vaccino contro il Covid-19 in sperimentazione in Sud America ed Estremo Oriente può rappresentare una concreta speranza per uscire definitivamente dalla pandemia: la "rivoluzione", che rivoluzione non è, sarà quella di usare le uova di pollo ancora in fase embrionale.

Di cosa si tratta. Abbiamo capito che, per uscire dalla pandemia, una malattia che interessa ogni angolo di mondo, non possiamo basarci soltanto su due-tre vaccini. Anche perché, come stiamo scoprendo strada facendo, alcuni presentano dei problemi o sono "consigliati" soltanto per determinate fasce d'età. E se il Covid rimanesse anche nel luogo più sperduto della Terra la pandemia potrebbe ripartire daccapo. Ecco perché è necessario avere più frecce al nostro arco ed ecco perché alcuni ricercatori stanno cercando di mettere in piedi NDV-HXP-S, primo vaccino negli studi clinici ad utilizzare un nuovo design molecolare che è ampiamente previsto per creare anticorpi più potenti rispetto all'attuale generazione di vaccini. E il nuovo vaccino potrebbe essere molto più facile da realizzare. Ne parla il New York Times: " I vaccini esistenti di aziende come Pfizer e Johnson & Johnson devono essere prodotti in fabbriche specializzate utilizzando ingredienti difficili da acquisire. Al contrario, il nuovo vaccino può essere prodotto in serie nelle uova di gallina, le stesse uova che producono miliardi di vaccini antinfluenzali ogni anno nelle fabbriche di tutto il mondo".

Caratteristiche del vaccino con le uova. Come funziona e in cosa consiste questo vaccino prodotto con le uova? Per capirlo dobbiamo partire dall'Inghilterra con una breve introduzione. "C'è un virus chiamato virus della malattia di Newcastle, cittadina inglese dove è stato scoperto, che infetta quasi ed esclusivamente il pollame, sia selvatico che di allevamento, ed è una malattia molto temuta dagli allevatori, la 'malattia di Marek' dal patologo ungherese Joszef Marek che la descrisse per primo. Questo virus era già noto qualche anno fa perché, essendo un cugino stretto del virus del morbillo e del virus del cimurro del cane, malattia simile al morbillo ma che si manifesta soltanto sull'animale, una decina di anni fa fu preso in considerazione perché è stato dimostrato essere oncolitico", ha affermato in esclusiva per ilGiornale.it il Prof. Pasquale Ferrante, ordinario di Microbiologia clinica all'Università Statale di Milano e Direttore Sanitario della struttura Istituto Clinico Città Studi. Qual è il significato di oncolitico? "Che le sue proteine, selettivamente, distruggono le cellule tumorali. Per questo motivo c'è un filone di ricerca che si è focalizzato sulla possiblità di utilizzare questo virus direttamente come agente oncolitico. Con il Sars-Cov-2, invece, ricercatori di Newcastle hanno deciso di usare la proteina Spike così com'è assieme ad un'altra proteina Spike da loro modificata affinché acquisisca particolari caratteristiche di replicazione diventando, secondo gli studi, più efficace nell'indurre la risposta anticorpale", ci dice il Prof. Ferrante. In pratica, i ricercatori hanno fatto questo "costrutto" di Spike del Sars-Cov-2 potenzialmente usabile come vaccino.

Così si utilizzano uova embrionate di pollo. Se NDV-HXP-S si dimostrerà sicuro ed efficace, i produttori di vaccini antinfluenzali potrebbero produrne oltre un miliardo di dosi all'anno. I Paesi a basso e medio reddito che attualmente lottano per ottenere vaccini dai paesi più ricchi potrebbero essere in grado di produrre NDV-HXP-S per se stessi o acquistarlo a basso costo da quelli vicini. Ma cosa succede una volta che l'uovo viene messo all'interno dell'incubatore? "All'interno di quest'uovo crescerà un pulcino, l'ambiente ideale per la crescita dei virus soprattutto respiratori come l'influenza. Nel pulcino abbiamo un embrione di apparato respiratorio, un micro ambiente naturale e sterile che viene utilizzato. La tecnologia di coltivare i virus in queste uova embrionate di pollo o, se si preferisce, nell'uovo di gallina, è una tecnologia in uso sin dagli anni '50 che ha permesso di scoprire tanti virus. La maggior parte dei vaccini antifluenzali prodotti fino a 10-15 anni fa venivano prodotti nell'uovo embrionato di pollo", spiega Ferrante.

Differenze con i vaccini ad Rna. Pfizer e Moderna sono due vaccini che puntano sull'utilizzo della Spike veicolata dall'Rna messaggero in grado di sintetizzarla una volta entrata dentro la cellula; invece, il tanto contestato AstraZeneca e J&J sono dei vaccini che usano sempre la Skipe ma veicolata all'interno del corpo umano da adenovirus, cioè virus animali o umani di solito poco patogeni. "In questo caso hanno deciso di utilizzare NDV-HXP-S perché è un agente che non infetta assolutamente l'uomo ed è facilmente producibile. Si è unita un'alta tecnologia che modifica la Spike assieme all'idea di eliminare il bisogno di dipendere dalle industrie con i reattori molecolari e produrre una cosa semplice semplice utilizzando l'uovo embrionato di pollo, per venire incontro anche alle esigenze dei Paesi del Terzo mondo ed in via di sviluppo. Con uova embrionate di pollo si intendono uova di gallina dopo essere state fecondate", afferma il virologo. Gli esperimenti condotti finora e pubblicati su The Lancet sono stati fatti sui topi e dimostrano che questi vaccini sono efficaci, si sono immunizzati senza essersi infettati. "È come gli adenovirus che non dà gravi problemi all'uomo, solitamente si infettano gli allevatori con una congiuntivite che può durare 5-6 giorni. La novità sta nell'accoppiare queste due tecnologie, se si dovesse passare ad una fase di produzione bisogna assicurarsi che siano efficaci e sicuri".

Alcuni limiti della ricerca. Nella vita, però, non è tutto oro quello che luccica: nonostante i vantaggi che abbiamo appena descritto, esistono almeno due problematiche differenti che potrebbero mettere i bastoni fra le ruote al vaccino creato con le uova. "Il fascino sentimentale di questa faccenda è che sposa una tecnologia naturale che conosciamo da 50 anni con qualcosa di ultrasofisticato. Ma c'è un problema - sottolinea il Prof. Ferrante - L'idea di usare l'uovo embrionato di pollo è di per sè geniale perché è uno strumento semplice ma rimane il problema che il Sars-Cov-2 si sta rivelando più complicato del previsto da affrontare. Tutti i dubbi, le necessità ed i chiarimenti dovranno essere eseguiti con altri vaccini in un ambiente un po' più sofisticato perché le Spike che sono utilizzate hanno dimostrato di essere efficaci ed essere in grado di dare quella risposta che vogliamo dal vaccino", afferma Ferrante.

Il problema maggiore per questo vaccino. Il secondo problema è relativo alla piattaforma utilizzata, quella cioè con vettore virale simile ad AstraZeneca e J&J che sta suscitando controversie ed alcuni problemi in determintate categorie della popolazione. La preferenza per i vaccini ad Rna e la diffidenza per gli altri potrebbe rallentare la sua espansione. "Questo tipo di vaccino che utilizza un vettore virale, anche se non è l'adeno ma NDV, a questo punto, probabilmente rallenterà l'interesse perché pare che i vaccini con i vettori stanno dando alcuni problemi", spiega il Prof., che spiega qual è il criterio utilizzato da questo vaccino. "Utilizza un virus NDV come vettore, dentro questo virus mettiamo la capacità di esprimre la proteina Spike e in questo modo diventa il vettore che trascina nelle cellule il potenziale per produrla. I vaccini ad Rna sono una roba più avanzata e tecnologicamente affascinanti in questo momento. Adesso, tra l'altro, si è aperto anche il fronte delle varianti che è tutto da discutere e da capire", conclude.

(ANSA il 23 aprile 2021) Una dose di vaccino AstraZeneca o Pfizer riduce il rischio di contagio da coronavirus di quasi due terzi. Lo ha rilevato uno studio dell'Università di Oxford in collaborazione con l'Office for National Statistics che ha analizzato i risultati dei test del Covid di oltre 350.000 persone nel Regno Unito tra dicembre e aprile. I ricercatori hanno scoperto che 21 giorni dopo la somministrazione della prima dose, il tempo necessario al sistema immunitario per reagire, le infezioni da coronavirus sono diminuite del 65%. 

Ecco tutta la verità sui vaccini: "Così combattono le varianti". Arriva il primo studio sull'efficacia dei vaccini sulle varianti del Covid. Realizzato all'Ospedale San Matteo di Pavia, ce ne parla il professor Fausto Baldanti responsabile del laboratorio di Virologia molecolare. Roberta Damiata - Sab, 03/04/2021 - su Il Giornale. C'è ancora molta confusione sull’effettiva efficacia dei vaccini rispetto alle numerose varianti Covid. C’è chi sostiene che la copertura sia parziale, chi invece che è efficace solo per alcune delle varianti più note. A chiarire le idee arriva uno studio italiano che ha testato dall’inizio delle vaccinazioni la risposta immunitaria effettiva su queste varianti, con risultati sorprendenti. Ce ne parla il professor Fausto Baldanti responsabile del laboratorio di virologia molecolare dell’ospedale San Matteo di Pavia.

Prima di addentrarci nello studio realizzato nel suo ospedale, può spiegare qual è la differenza tra le tre varianti più note: l'Inglese, la Brasiliana e la Sudafricana.

"Queste varianti sono tutte derivate dal ceppo cinese che ha dato origine a questa pandemia. Il virus diffondendosi nel mondo ha avuto mutazioni in vari punti del suo genoma. Noi siamo interessati a quelle della proteina Spike che permette l'ingresso del virus nella cellula, e determina la maggiore risposta immunitaria nei suoi confronti. In particolare in una parte di questa che si chiama RBD (Receptor-Binding Domain) che è la parte virale che si trova sulla punta della proteina, e permette il legame del virus con la cellula. È ovvio che questa parte, così importante per il virus per entrare nella cellula e infettarla, è anche uno dei bersagli principali della risposta dei nostri anticorpi neutralizzanti, che sono un particolare tipo di anticorpi capaci di inattivare il virus rendendolo inefficace e non più in grado di infettare. Questi RDB che ricoprono questa porzione della proteina, impediscono il legame del virus con la cellula e quindi l'infezione. Però le varianti hanno una mutazione che rende la proteina virale più appiccicosa e quindi il virus si aggancia meglio, infetta di più e produce anche più virus. Questo è il motivo per cui sono più contagiose. La variante Inglese è una mutazione in una parte che si chiama 501 (dove il numero segnala la posizione della mutazione all'interno del genoma di Sars Cov 2). Le altre due varianti, la Brasiliana e la Sudafricana, hanno invece una mutazione in posizione 484, che si pensa che sia legata ad una minore risposta agli anticorpi. Per essere ancora più precisi, la Sudafricana oltre alla 484 ha anche una mutazione in un'altra posizione la 417”.

Ogni giorno si sente parlare di nuove mutazioni, perché però si attenzionano solo queste tre che ha appena citato?

"C’è una particolare attenzione alla loro circolazione per vari motivi: Il primo soprattutto per quella Inglese, per verificare la sua maggiore diffusibilità, confermata in tutti i paesi e anche in Italia dove ad oggi è la variane predominante oltre alla più contagiosa. Le atre due invece sono controllate per la possibile perdita di efficacia dei vaccini nei loro confronti. Per quanto riguarda le centinaia di altre che ogni giorno vengono scoperte, le abbiamo seguite sin dall'inizio dalla prima ondata, e abbiamo notato durante il corso di tutto l'anno che non hanno particolare rilevanza perché presentano solo piccole variazioni”.

È corretto dire che le mutazioni sono una forma di protezione del virus non estinguersi?

“Questo è un virus di origina animale che sta cercando di trovare il miglior compromesso per la biologia umana (infettare ma non uccidere perché se muore l'organismo muore anche il virus ndr) e quindi in questi casi il virus muta casualmente creando tantissime varianti. La maggior parte di queste si perderanno, scompariranno, e verranno soppiantate da altre che hanno una migliore interazione con l'organismo. Alla fine la migliore sarà quella che vedrà il virus perdere di aggressività quindi di capacità di uccidere l'organismo”.

Fino ad ora si diceva che con le varianti il virus diventava più contagioso ma meno mortale, però il numero dei decessi in questo periodo sembrano invece dire altro.

“In realtà in prospettiva su queste varianti non possiamo ancora affermarlo. Dobbiamo distinguere tra quello che è un evento che si può attendere su un arco temporale che non conosciamo, rispetto a quello che osserviamo giorno per giorno. Quindi la teoria ci dice che il virus cercherà di adattarsi all'uomo perdendo patogenicità (virulenza ndr), ma quanto questo percorso sarà lungo, al momento non lo sappiamo. Sicuramente l'intervento della vaccinazione dovrebbe accorciare questi tempi, perché dovrebbe azzoppare la replicazione del virus nella popolazione”.

Come si è svolto il vostro studio sull'efficacia dei vaccini sulle varianti?

“Quando si parla di uno studio sui vaccini si può fare in due modi: in maniera estesa su tantissimi soggetti vaccinati analizzando un solo parametro, come ad esempio la produzione di anticorpi, oppure su un numero più piccolo di soggetti sempre vaccinati, analizzando però molto più approfonditamente tutta la cinetica in produzione (ovvero la velocità di reazione ndr) della risposta immunitaria. Noi abbiamo fatto il secondo sui primi 150 vaccinati del nostro ospedale tra cui c'ero anche io. Abbiamo studiato la risposta immunologica al tempo 0, ovvero prima della vaccinazione, a tre settimane dopo la prima dose, e a tre settimane dopo la seconda dose. In ciascuno di questi periodi abbiamo analizzato: gli anticorpi totali generati, gli anticorpi neutralizzanti generati e la risposta T generata. Per specificare e comprendere meglio, la risposta T è il secondo elemento che regge la risposta immunitaria, praticamente una doppia via che la natura ci ha fornito per il controllo delle infezioni in generale. Nel nostro organismo infatti non c'è solo la produzione di anticorpi prodotti dai B linfociti ( che sono cellule del sistema immunitario che hanno il compito di produrre anticorpi), ma anche dei T linfociti che sono cellule che uccidono le cellule infette. Da questo studio sono venute fuori cose molto interessanti: i soggetti che hanno già avuto il Covid, dopo la prima dose di vaccino avevano raggiunto i livelli massimi di anticorpi e parliamo anche di soggetti che hanno preso il virus in maniera asintomatica. Chi invece non ha avuto il Covid ha avuto bisogno delle due dosi per raggiungere i livelli massimi. Un’altra cosa che abbiamo notato è che la risposta neutralizzante, cioè quella componente di anticorpi che impedisce l'ingresso del virus nella cellula che si genera dopo la vaccinazione, è in grado di neutralizzare la variante cinese, italiana, inglese e brasiliana in eguale misura. C’è solo una lieve riduzione di efficacia per quanto riguarda la mutazione Sudafricana, anche se per essere corretti le risposte dei T linfociti è uguale alle altre. Questo ci dice sostanzialmente che vaccinandoci siamo protetti anche da queste varianti”.

Su quale vaccino avete fatto questo studio?

“Sul primo uscito, anche se io non ho dubbi circa gli altri, perché alla fine lo stimolo che generano Pfizer, Moderna e AstraZeneca è lo stesso. In tutti infatti c’è la proteina S che sviluppa lo stesso tipo di risposta immunitaria. Ora stiamo iniziando un altro studio sui pazienti fragili”.

Secondo quanto riporta il vostro studio si può quindi ipotizzare che nei pazienti che hanno avuto il Covid, si può fare una sola dose di vaccino?

“Abbiamo fatto lo studio all'inizio delle vaccinazioni, abbiamo quindi seguito la scheda della prima fase della vaccinazione, che prevedeva due dosi. Però il dato che è venuto fuori è indubbio che sarà molto utile a modulare ciò che arriverà dopo”.

Un ultimo chiarimento, chi è vaccinato può contagiarsi o contagiare?

“In rari casi chi è stato vaccinato, parliamo dell’arco di tempo tra la prima e la seconda dose, può risultare positivo al virus. Di questi rari casi andranno fatti studi molto approfonditi. Per quanto riguarda il fatto di poter contagiare, lo stiamo studiando ora”.

Ecco perché alcuni soggetti risultano positivi dopo il vaccino. Andreoni: “Il vaccino non protegge dall’infezione ma dalla malattia”. Almeno un immunizzato su 10 può prendere comunque il virus. Valentina Dardari - Dom, 21/03/2021 - su Il Giornale. Tante le domande sul vaccino, alcune delle quali non hanno ancora una risposta certa. Tra queste ci si chiede quanta durata avrà l’immunità data grazie all’inoculazione del siero. La risposta però si potrà avere solo con il passare del tempo. Un’altra che invece ha già un responso, seppur parziale, è quella relativa al fatto che alcuni soggetti, nonostante abbiano ricevuto il vaccino, siano risultati comunque positivi.

Positivo anche chi ha ricevuto il vaccino. Come riportato dal Messaggero, Massimo Andreoni, primario del reparto di Malattie infettive del Policlinico Tor Vergata di Roma, ha spiegato che “il vaccino non è stato sviluppato per proteggere le persone dall'infezione, ma dalla malattia”. Può quindi capitare che una persona, un evento non comune, che è stata vaccinata risulti positiva al test. “Dai dati aggiornati sulla protezione dall'infezione asintomatica dei vaccinati emerge che solo 1-2 persone vaccinate su 10 rischiano di infettarsi” ha tenuto a precisare Giovanni Maga, direttore dell'Istituto di genetica molecolare del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Igm). Maga ha anche aggiunto che l’'80-90% delle persone, quindi, risulta protetto anche dall'infezione asintomatica. Alquanto improbabile però che un immunizzato possa ammalarsi in modo grave. Secondo quanto affermato dall’esperto, i dati in mano agli studiosi mostrano che i soggetti vaccinati, indipendentemente dal siero inoculato, hanno più del 90% di possibilità di non sviluppare forme gravi dell’infezione da Covid-19.

Chi è immunizzato può contagiare gli altri?

E anche il fatto che possa contagiare le altre persone è altamente improbabile. Come precisato da Andreoni “ è così per gli altri vaccini che usiamo ormai da tantissimo tempo. Perché per diventare contagiosi è necessario che il virus si replichi un certo numero di volte. Se non lo fa perché si è vaccinati, di conseguenza né si sviluppa la malattia è né si diventa contagiosi”. In rari casi può capitare anche che chi è stato vaccinato non abbia però anticorpi e risulti quindi negativo al test sierologico. Questo però non vuole assolutamente dire che il vaccino non sia utile. Maga ha sottolineato che “il test sierologico individua gli anticorpi sviluppati a seguito della vaccinazione che si trovano in circolo nel sangue ma che non sono la sola misura dell'immunità di una persona al virus”. Quindi, una persona potrebbe avere comunque una memoria immunitaria del virus una volta incontrato, anche se non ha anticorpi che si vedono con il test sierologico. “Ci sono infatti delle cellule, responsabili della memoria immunologica, che si attivano e aggrediscono le cellule infette o producono anticorpi utili soltanto quando l'organismo viene esposto al virus contro il quale hanno imparato a difendersi” ha aggiunto. Ancora non è chiaro quanto possa durare l’immunità dei guariti o di coloro che sono stati vaccinati. Sembra però che chi è guarito dopo aver contratto il virus sviluppi degli anticorpi che durano meno rispetto a chi ha invece ricevuto il vaccino. “Questo comunque non esclude che il nostro sistema immunitario possa aver sviluppato una memoria non visibile al test sierologico anche in caso di guarigione”.

Coronavirus, vaccinare prima chi è sovrappeso: “È il secondo fattore di rischio dopo l’età”. Le iene News il 04 marzo 2021. Uno studio internazionale per la Giornata mondiale contro l’obesità: “Più morti per Covid nei paesi come Italia, Regno Unito e Stati Uniti dove ci sono alte percentuali di persone sovrappeso: vanno vaccinate prima degli altri”. Ecco tutti i dati. I paesi che hanno percentuali più alte di persone sovrappeso come Regno Unito e Stati Uniti ma anche Italia, contano anche percentuali più alte di morti per Covid. Per questo i governi dovrebbe dare loro priorità nelle vaccinazioni e anche nei tamponi. Lo sostiene uno studio dell’associazione internazionale World Obesity Federation, che lo diffonde in occasione della Giornata mondiale contro l’obesità del 4 marzo. In generale, la grande maggioranza dei morti per coronavirus nel mondo, 2,2 milioni su due milioni e mezzo, si concentrano in paesi con alti numeri di persone sovrappeso, che in Gran Bretagna e in Italia per esempio superano il 50% degli adulti. La percentuale di vittime sarebbe 10 volte più alta, secondo la ricerca, in chi ha un indice di massa corporea superiore al livello “normale” di 25 kg/m2. Tra i paesi dove questo succede per oltre la metà degli adulti, il Belgio ha la percentuale più alta di vittime per coronavirus. Seguono Slovenia, Regno Unito, Italia, Montenegro e Stati Uniti. Al contrario il Vietnam che ha il numero più alto di “magri” è il secondo con livelli meno alti di morti. “La correlazione tra obesità e tassi di mortalità per Covid-19 è chiara”, sostiene il direttore generale dell’Oms, Tedros Adhanom Ghebreyesus commentando lo studio. Stiamo parlando, secondo la ricerca del secondo fattore di rischio dopo l’età. Nelle terapie intensive della Gran Bretagna, come riporta il quotidiano inglese The Guardian, il 64% dei pazienti è obeso, il 24% sovrappeso, il 12% normopeso. Il problema non sarebbe direttamente collegato ai livelli di sviluppo. “Ci sono paesi ricchi come Giappone e Corea del Sud con bassi livelli di persone sovrappeso e di morti per Covid”, dichiara Tim Lobstein, autore del rapporto ed ex consulente del governo britannico e dell’Oms. “Così come paesi con livelli più bassi di redditi come Sudafrica e Brasile, dove l’essere sovrappeso riguarda più della metà della popolazione registrano alte percentuali di vittime per coronavirus”. Anche la Fondazione Veronesi ricorda, per la Giornata mondiale contro l’obesità, come si tratti del secondo fattore di rischio per i decessi per Covid, anche perché di associa spesso a problemi di ipertensione e di diabete. Il problema, come accennato, riguarda anche l’Italia e anche i più giovani: 3 bambini su 10 sono sovrappeso, uno su 10 obeso. E il tema della priorità nelle vaccinazioni, di cui vi parliamo qui sopra con Alice Martinelli fugando ogni dubbio sui rischi, diventa così fondamentale in tutto il mondo.

Cristina Marrone per "corriere.it" il 18 marzo 2021.

I guariti da Covid-19 devono vaccinarsi?

Sì, perché ad oggi non sappiamo quanto duri la protezione del sistema immunitario dopo l’infezione da Covid-19 (asintomatica o sintomatica) ed è inoltre probabile che la risposta non sia univoca da persona a persona. «La quantità di anticorpi dopo l’infezione non è in genere comparabile a quella più elevata che si ottiene dopo l’immunizzazione: vaccinando anche i guariti si raggiunge il potenziamento e l’ottimizzazione della risposta immune» spiega Mario Clerici, professore ordinario di Immunologia all’Università di Milano e direttore scientifico della Fondazione Don Gnocchi.

Quando devono farlo?

Le nuove linee guida pubblicate dall’Istituto Superiore di Sanità stabiliscono che chi è guarito da oltre sei mesi dovrebbe fare entrambe le dosi, mentre è raccomandata un’unica dose dopo almeno tre mesi dall’infezione documentata e preferibilmente entro sei mesi. Fanno eccezione gli immunodepressi che, seppur guariti da Covid-19 devono essere vaccinati al più presto con doppia dose.

Perché una sola dose?

La singola dose funziona come un richiamo e stimola un’elevata quantità di anticorpi. La raccomandazione si basa su pubblicazioni citate dall’Iss in cui si è visto che «nelle persone con pregressa infezione da Sars-CoV-2 la risposta immunitaria evocata dalla prima dose di vaccino mRNA è robusta e paragonabile e persino superiore a quella ottenuta con due dosi nei soggetti sieronegativi». Inoltre secondo dati molto preliminari «è ipotizzabile che la risposta immunitaria alla seconda dose» in chi è già stato infettato «possa essere irrilevante o controproducente». I dati si riferiscono ai vaccini mRNA e secondo l’Iss non ci sono differenze per altre tipologie di prodotti. «La scelta della singola dose nei primi sei mesi dall’infezione -puntualizza tuttavia Clerici - deriva più che altro dal fatto che c’è carenza di vaccini ed è giusto in questo momento privilegiare chi è ancora suscettibile. Anche i guariti dovrebbero comunque seguire il protocollo classico con doppia dose e lo potranno fare una volta che ci sarà maggior disponibilità del prodotto, tra qualche mese.

Esiste un vaccino raccomandato per chi ha avuto Covid-19?

«No, non lo sappiamo. Non c’è nessun trial clinico che suggerisca una tipologia di vaccino migliore dell’altra per i vaccinati – aggiunge l’immunologo - ma visto che si parla di monodose, per buonsenso si potrebbe pensare a Johnson&Johnson. Sarebbe comunque una scelta che non deriva dalla pratica clinica».

Quanto dura l’immunità sviluppata da una precedente infezione?

Il documento dell’Iss riporta uno studio multicentrico su 6.600 operatori sanitari del Regno Unito che ha valutato il rischio di reinfezione: «La durata dell’effetto protettivo dell’infezione ha una mediana di 5 mesi». Tuttavia altri studi riportano dati di memoria immunologia anche superiore agli otto mesi.

Che cosa succede se scopro con un test sierologico che non ho più anticorpi nonostante una malattia recente?

«Il fatto che ci sia una risposta anticorpale debole o assente a distanza di mesi – chiarisce l’immunologo - non significa che non ci sia protezione. La risposta immunitaria a breve termine è mediata dalle cellule B che producono anticorpi, ed è quanto rileva un test sierologico. Esistono però anche le cellule T di memoria, che stimolano la produzione degli anticorpi quando c’è il contatto con il virus. Studi ci dicono che uomini e scimmie infettati da Sars-CoV-2 pur non avendo cellule B hanno i linfociti T. Il problema è che le cellule di memoria non le possiamo andare a cercare».

Non esiste un test per misurare i linfociti T?

«No, non è possibile farlo. È una procedura molto complessa, possibile solo in strutture di ricerca altamente specializzate, utilizzata in alcuni studi proprio per misurare la durata della protezione di memoria» spiega Clerici.

È utile fare il test sierologico per accertare se si è già stati colpiti dal virus?

L’Iss dice che non è indicato. «Non c’è motivo– conferma il professore – perché anche se si ha avuto un’infezione, pur senza sintomi, l’indicazione è quella di vaccinarsi. Vincolare il vaccino alla presenza o assenza di anticorpi non ha senso».

Non è pericoloso fare la doppia dose se si ha già avuto l’infezione magari senza saperlo?

«No, al limite possono verificarsi reazioni avverse come febbre, brividi e dolori muscolari, debolezza, mal di testa più duraturi - conclude l’immunologo-. È una risposta attesa perché si va a sollecitare al massimo una risposta immunitaria che già c’è, ma nessuno degli effetti collaterali è stato così serio da suggerire di non fare la seconda dose».

La circolare. Vaccino, una sola dose ai guariti dal covid: il via libera del ministero. Antonio Lamorte su Il Riformista il 4 Marzo 2021. Novità nella campagna vaccinale anti-covid: sarà possibile somministrare un’unica dose di vaccino, senza alcun richiamo, ai soggetti che hanno già avuto un’infezione da SarsCov2. È quanto indica una nuova circolare firmata dal direttore della Prevenzione del ministero della Salute Giovanni Rezza. Una linea che era stata già anticipata dal Consiglio Superiore di Sanità e dall’Agenzia Italiana del farmaco (Aifa). La ratio dietro il provvedimento si basa sull’assunto che i soggetti che hanno già contratto l’infezione e ne siano guariti abbiano sviluppato un certo grado di immunità. In tutto (dati aggiornati al 3 marzo 2021) i positivi in Italia dall’inizio dell’emergenza sono stati 2.976.274, 98.635 le vittime e 2.440.218 i guariti . La circolare chiarisce che “è possibile considerare la somministrazione di un’unica dose di vaccino” anti-Covid-19 nei soggetti con “pregressa infezione da SARS-CoV-2 (decorsa in maniera sintomatica o asintomatica)”, “purché la vaccinazione venga eseguita ad almeno 3 mesi di distanza dalla documentata infezione e preferibilmente entro i 6 mesi dalla stessa”. Da questa modalità sono però esclusi i soggetti con particolari problemi di salute: “Ciò non è da intendersi applicabile ai soggetti che presentino condizioni di immunodeficienza, primitiva o secondaria a trattamenti farmacologici” in quanto non essendo prevedibile la protezione immunologica seguita all’infezione e la durata della stessa si raccomanda quindi di seguire il ciclo classico con la doppia inoculazione. A preoccupare sono però sempre le varianti, a causa delle quali si stanno registrando dei picchi di contagi in alcune aree del Paese. Secondo un report dell’Istituto superiore di sanità (Iss) con il ministero della Salute insieme ai laboratori regionali e alla Fondazione Bruno Kessler, in Italia, al 18 febbraio scorso, il 54% delle infezioni Covid-19 è dovuto alla variante inglese del virus SarsCov2, il 4,3% a quella brasiliana e lo 0,4% a quella sudafricana. Le raccomandazioni della nuova circolare sono quindi modificabili ed il ministero sottolinea che “potrebbero essere oggetto di rivisitazione qualora dovessero emergere e diffondersi varianti di SARS-CoV-2 connotate da un particolare rischio di reinfezione”. All’alba di oggi, giovedì quattro febbraio 2021, sono state in totale 4.757.890 le somministrazioni in Italia. Il totale delle persone vaccinate, alle quali è stata somministrata sia la prima che la seconda dose, sono 1.496.267. I dati sono del sito ufficiale del Report del governo. Il bollettino diffuso ieri dal ministero della Salute ha registrato 20.884 nuovi positivi, 347 le vittime, con tasso tamponi-contagiati al 5,8%. Altre 84 persone sono entrate in terapia intensiva.

Il vaccino anti-coronavirus? "Ai già infettati una sola dose". Il presidente del Consiglio superiore di sanità annuncia una circolare del Ministero che prevede una sola dose di vaccino per le persone già infettate dal Covid-19. Francesca Bernasconi - Mar, 02/03/2021 - su Il Giornale. Una sola dose di vaccini per le persone che in passato hanno già contratto il Covid-19. Lo ha annunciato Franco Locatelli, durante la conferenza stampa tenuta per esporre le misure contenute nel nuovo Dpcm firmato oggi da Mario Draghi, che sarà in vigore dal 6 marzo al 6 aprile. Il presidente del Consiglio superiore di sanità (Css) ha precisato, rispondendo a una domanda durante la conferenza stampa a Palazzo Chigi: "Per quanto riguarda i soggetti già infettati in passato domani verrà diffusa una circolare del ministero per la quale vi è stato un parere formulato sia dall'Aifa che dal Css secondo cui vi sarà una sola dose". Locatelli ha spiegato che la decisione deriva dal fatto che "l'infezione svolge una funzione di priming". Fanno però eccezione "i soggetti immunodepressi, per i quali si preferisce continuare con due somministrazioni". Il presidente del Css ha parlato anche delle diverse varianti del virus che si stanno diffondendo in Italia e del loro rapporto con il vaccino, messo a punto prima del loro sviluppo. "Sappiamo da tempo che la variante inglese non mostra resistenza all'effetto protettivo della vaccinazione con i vaccini disponibili, per la variante brasiliana credo vada sottolineato che vi sono segnalazioni di soggetti che si sono reinfettati", ha dichiarato Locatelli. Ma, precisa il presidente del Css, "non vi è nessuna pubblicazione scientifica che abbia messo nero su bianco questa informazione". Per quanto riguarda la variante nigeriana, identificata nella zona di Brescia, sottolinea: "Il virus con un meccanismo di pressione selettiva tende a mutare e tendono ad emergere alcune varianti. Da qui a dire che questa variante possa sfuggire all'effetto dei vaccini sarei cauto". Infine, Locatelli riferisce anche sulle sperimentazioni dei vaccini nella popolazione pediatrica, i cui risultati verrano resi disponibili nelle prossime settimane. "La risposta immunitaria sui bambini è brillante, anche più di quella osservata negli adulti - ha aggiunto - Si potrà quindi poi considerare la vaccinazione anche in età pediatrica".

Mi.Bo. per "La Stampa" il 23 febbraio 2021. Chi è stato infettato dal coronavirus da più di sei mesi farà il vaccino, ma in una sola dose. Chi invece è risultato positivo più di recente dovrà aspettare. È quasi pronto il documento del ministero della Salute, dell'Istituto superiore di sanità, di Inail e di Aifa nel quale verranno risistemate una serie di questioni legate al virus e sarà affrontato anche il tema della vaccinazione per chi è stato malato. Si cambierà quanto è stato previsto fino ad ora. Oggi sono 2 milioni e 335 mila gli italiani che sono stati positivi e quindi hanno sviluppato una carica di anticorpi variabile contro il virus. All'inizio della campagna si era previsto di farli aspettare, cioè vaccinarli con prima dose e richiamo alla fine, una volta coperte le altre persone. Nell'ultimo periodo, però, sono usciti studi e altri Paesi hanno preso decisioni diverse. In Francia ad esempio si farà una dose soltanto. Uno dei lavori scientifici è stato realizzato dal gruppo di Alberto Mantovani, direttore scientifico dell'Humanitas di Milano. «Nel lavoro, coordinato da Maria Rescigno, abbiamo osservato che nelle persone che hanno avuto il Covid, con la prima dose di vaccino c'è una risposta straordinaria del livello di anticorpi. Questo e altri studi suggeriscono che vada seriamente considerata l'ipotesi di dare una sola dose a chi ha già avuto Covid sintomatico». Da una parte è un vantaggio per la persona che viene vaccinata «e per risparmiare tossicità», dall'altra il vantaggio è per la collettività perché diventano così disponibili centinaia di migliaia di dosi da usare per altre persone. In questo momento, con le consegne che ancora stentano, non è poco. Aifa, in particolare il comitato scientifico per la sorveglianza dei vaccini, è tra le istituzioni sanitarie che si stanno occupando di questo tema. Gli esperti hanno suggerito di aspettare comunque sei mesi prima di fare la singola dose a chi ha avuto l'infezione. La stessa linea è sposata anche dal ministero. Da chiarire ci sono però ancora un paio di aspetti importanti. Prima di tutto va deciso da quando iniziare a contare i sei mesi. Presumibilmente il periodo partirà dal tampone negativo che decreta la fine dell'infezione. Poi bisogna stabilire se la regola vale solo per i sintomatici o anche per le persone che non hanno avuto sintomi. La strada scelta potrebbe essere la seconda. Il punto di partenza è che, comunque, vaccinare chi ha già avuto il coronavirus non ha effetti negativi sull'organismo, come hanno più volte spiegato gli esperti. E del resto tra medici e infermieri, categorie particolarmente colpite dall'infezione, sarebbero stati in tanti coloro che hanno scelto comunque di fare il vaccino, anche se erano stati contagiati dal coronavirus. Più che altro, decidere di far aspettare queste persone permette di proteggere prima chi rientra nelle categorie più a rischio. Se ci si guarda indietro, la gran parte dei casi registrati in Italia risale proprio all'ultimo periodo. Il primo settembre dell'anno scorso, cioè appunto sei mesi fa, i casi nel nostro Paese erano stati appena 200mila. Queste persone, da ora in avanti, potrebbero avere la loro dose singola di vaccino. Il grosso di chi è stato contagiato, oltre 2 milioni di persone, verrebbe invece vaccinato più avanti. Sempre nel documento che verrà presto reso noto si prevederà che chi, dopo la prima dose di vaccino, ha avuto comunque la malattia (cosa che è avvenuta in un certo numero di casi), non debba fare il richiamo. Si ritiene che il nuovo incontro con il coronavirus serva a concludere il percorso di immunizzazione proprio come se fosse una seconda somministrazione.

1 dose basta. Dagospia il 24 febbraio 2021. Da un articolo di "The Guardian" per la rassegna stampa di "Epr Comunicazione" il 24 febbraio 2021. Le prove del mondo reale dei programmi di vaccinazione contro il Covid in Inghilterra e Scozia mostrano che una dose di vaccino dà un'alta protezione contro la malattia grave e il ricovero in ospedale - e protegge anche dalla malattia lieve senza sintomi nelle persone più giovani. I primi dati reali dai programmi di vaccinazione di massa sono promettenti, e anche se i risultati non includono prove che impediscono la trasmissione completamente, ci sono dati che mostrano che stanno fermando alcune persone dall'infettarsi, il che dovrebbe rallentare la diffusione del coronavirus – riporta The Guardian. Tre studi sono giunti a conclusioni altrettanto positive sulla protezione offerta dai vaccini - uno in Scozia e due in Inghilterra - anche se sono stati impostati per guardare gli effetti in diversi gruppi di persone. In Inghilterra, lo studio Siren sugli operatori sanitari sotto i 65 anni ha trovato che una dose del vaccino Pfizer/BioNTech ha ridotto il rischio di prendere il virus del 70% - e dell'85% dopo la seconda dose. Gli operatori sanitari sono stati tutti testati per il virus ogni due settimane, quindi lo studio ha raccolto le infezioni asintomatiche così come quelle che avevano sintomi. Public Health England ha anche pubblicato i risultati dei test di routine negli over 80, che sono a più alto rischio di ammalarsi gravemente e morire di Covid. È stato rilevato che 3 settimane dopo la prima dose, il vaccino Pfizer/BioNTech era efficace al 57% contro la malattia sintomatica, sia lieve che più grave. Anche se non molte persone hanno avuto una seconda dose, le prove suggeriscono che l'efficacia salga all'85% in coloro che lo hanno fatto. I dati mostrano anche che le persone vaccinate che prendono l'infezione sono molto più protette contro la malattia grave, l'ospedalizzazione e la morte. "Oltre alla riduzione dell'infezione sintomatica, la protezione del vaccino contro la malattia più grave da una singola dose è ancora più alta - almeno il 75%", ha detto Mary Ramsay, capo dell'immunizzazione al PHE, in un briefing. Ha detto che questi risultati giustificano la politica del governo di dare una prima dose a milioni di persone e ritardare la seconda dose fino a 12 settimane dopo. Ramsay ha detto: "Penso che questo rafforzi la politica di dare la singola dose a più persone per prevenire più morti e più ricoveri ora e poi tornare più tardi e ottenere la seconda dose, che darà loro una protezione più duratura e potenzialmente una migliore protezione". Matt Hancock ha detto che i risultati sono la prova che la strategia ha avuto successo. Il ministro alla salute ha detto: "Questo rapporto cruciale mostra che i vaccini funzionano - è estremamente incoraggiante vedere la prova che il vaccino Pfizer offre un alto grado di protezione contro il coronavirus". I dati dalla Scozia sono stati altrettanto incoraggianti. Mentre gli studi in Inghilterra hanno esaminato solo le persone a cui è stato dato il vaccino Pfizer/BioNTech, che era disponibile dalla prima settimana di dicembre, gli esperti scozzesi hanno analizzato i dati di entrambi i vaccini per un periodo di 28 giorni. Entro la quarta settimana dopo aver ricevuto la dose iniziale, i vaccini Pfizer e Oxford/AstraZeneca avevano ridotto il rischio di ricoveri ospedalieri per Covid-19 rispettivamente dell'85% e del 94%, secondo uno studio delle università scozzesi e della Public Health Scotland. Tra le persone di 80 anni e più, la vaccinazione è stata associata a una riduzione dell'81% del rischio di ricovero in ospedale nella quarta settimana, quando i risultati per entrambi i vaccini sono stati combinati. Gli scienziati, il cui lavoro è disponibile online ma non è stato ancora sottoposto a peer-review, hanno detto che i risultati dei due vaccini non dovrebbero essere confrontati. C'erano più dati sulle persone a cui era stato dato il vaccino Pfizer, mentre il vaccino AstraZeneca era stato somministrato per lo più a persone anziane.

Vittorio Sabadin per la Stampa il 4 aprile 2021. Milioni di persone hanno già ricevuto il vaccino, milioni di altre lo attendono e tutte si fanno le stesse domande. E' sicuro? Avrò la febbre? Sarò contagioso? Dovrò portare ancora la mascherina? E le varianti? Ecco le risposte della scienza e degli esperti.

1. E' vero che gli effetti collaterali della seconda dose possono essere gravi? Mal di testa, dolori muscolari e affaticamento sono più comuni in chi ha ricevuto la seconda dose di Pfizer-BioNTech e Moderna. I sintomi sono spesso uguali a quelli di una brutta influenza. Questi effetti collaterali possono anche non manifestarsi, ma è meglio prevedere la possibilità di doversi prendere un paio di giorni di riposo. Negli Stati Uniti, solo il 7% delle persone ha avuto brividi e febbre dopo la prima dose, ma il 26% li ha avuti dopo la seconda. Gli effetti collaterali sono il segnale che il sistema immunitario si sta attrezzando a respingere il virus.

2. Se non si hanno effetti collaterali vuol dire che il vaccino non funziona? Molte persone non manifestano alcun effetto collaterale dopo il vaccino, ma questo non significa che il sistema immunitario non ha reagito. Il 95% dei soggetti vaccinati con Moderna che non presentavano disturbi dopo l'iniezione è risultato completamente protetto dal virus. I giovani e le donne hanno reazioni più forti al vaccino rispetto alle persone anziane, il cui sistema immunitario è indebolito. Il vaccino offre comunque una protezione anche ai soggetti il cui sistema immunitario è fortemente indebolito da malattie preesistenti come il cancro o l'HIV.

3. Le donne sono più soggette agli effetti collaterali? Le femmine producono quasi il doppio degli anticorpi rispetto ai maschi quando ricevono un vaccino. Anche nel vaccino del Covid gli effetti collaterali si sono rivelati più frequenti nelle donne in una ricerca su 13 milioni di dosi iniettate negli Stati Uniti. Le reazioni gravi al vaccino sono molto rare, ma quasi tutti i casi di anafilassi si sono verificati nelle donne. Ma lo stesso avviene per i vaccini contro l'influenza, il morbillo, la parotite e l'epatite. Gli estrogeni femminili possono stimolare la risposta immunitaria, mentre il testosterone maschile può attenuarla.

4. E' consigliato prendere un antidolorifico prima dell'iniezione? Meglio di no. Analgesici come il paracetamolo o l'ibuprofene possono prevenire il dolore al braccio, il mal di testa o la febbre, ma potrebbero anche attenuare la risposta immunitaria dell'organismo.

5. E prenderlo dopo? Se il malessere è gestibile senza analgesici è meglio non prenderli, perché potrebbero attenuare alcuni degli effetti del vaccino.

6. Gli effetti collaterali sono più forti se si è già avuto il Covid? Alcune ricerche hanno evidenziato reazioni più forti al vaccino da parte di persone già infettate dal virus. La presenza di significativi effetti collaterali dopo la prima dose può essere il segnale che si è stati contagiati in passato in maniera asintomatica.

7. Il vaccino protegge dalle mutazioni del virus? Quelli attualmente disponibili sono efficaci contro la variante inglese. Le mutazioni identificate in Sud Africa e in Brasile sono più pericolose, perché riescono ancora ad aggirare gli anticorpi delle persone vaccinate. In ogni caso i vaccini hanno un alto grado di efficacia anche contro queste varianti e proteggono dagli sviluppi più gravi del contagio. Gli scienziati stanno mettendo a punto richiami per neutralizzare anche le mutazioni più resistenti. Combattere una variante è molto più semplice e rapido che realizzare un vaccino.

8. Chi ha già avuto il Covid può limitarsi a una dose di vaccino? Alcuni studi portano a pensare che una dose potrebbe bastare a proteggere chi ha già avuto il Covid, ma le linee guida delle strutture sanitarie non sono cambiate al riguardo. Il rilascio di un passaporto vaccinale potrebbe inoltre essere legato alla dimostrazione che si sono seguite le procedure previste fino alla seconda vaccinazione. Anche le compagnie aeree potrebbero pretendere la prova che si sono fatte le due vaccinazioni.

9. Dopo l'iniezione bisogna continuare a indossare la mascherina? Meglio di sì. Gli scienziati sono ancora divisi sulla possibilità che un vaccinato possa essere ancora contagioso ed è meglio continuare a proteggere se stessi e gli altri finché la maggior parte delle persone non sarà immunizzata. Chi ha preso il vaccino può comunque sentirsi molto protetto: è estremamente improbabile che vada in ospedale a causa del Covid. (Le raccomandazioni riportate sono state espresse al New York Times dal dottor Paul Offit, docente della University of Pennsylvania e membro del gruppo consultivo sul vaccino della Food and Drug Administration)

Margherita De Bac per il “Corriere della Sera” il 14 marzo 2021.

1 Perché anche i soggetti che sono stati vaccinati ricevendo due dosi devono restare a casa se abitano nelle zone rosse?

Anche quando si è protetti dal vaccino non è completamente esclusa la possibilità di infettarsi. Tutti i vaccini, non solo gli anti-Covid, non sono uno scudo al 100%. L'immunità arriva fino a una certa percentuale (nel caso dei preparati AstraZeneca, Pfizer e Moderna si va dal 70 al 95%) e molto dipende dalla risposta individuale che può essere più o meno pronta. Alcuni non reagiscono in modo ottimale.

2 Vale per tutti i vaccini contro le malattie infettive?

Anche chi fa l'antinfluenzale, che tra l'altro ha una copertura inferiore rispetto agli anti-Covid, non schiva la probabilità di prendere l'infezione.

3 Quindi chi ha completato il ciclo di inoculazioni deve comportarsi come tutti?

Deve restare a casa e rispettare i limiti di spostamento imposti nelle varie Regioni, indossare le mascherina e curare l'igiene delle mani. Questi sono farmaci nuovi, le campagne vaccinali sono cominciate da poche settimane, il numero delle persone che hanno ricevuto le dosi è ancora troppo limitato per trarre conclusioni definitive. Dunque è bene osservare le regole e considerarsi potenzialmente esposti per non rischiare di essere contagiati dal virus. Con alte probabilità non ci ammaleremo, ma potremmo sviluppare una forma asintomatica che passa il Sars-CoV-2 ad altri.

4 Quanto dura la protezione?

Non lo sappiamo, lo vedremo nel tempo. Molti vaccini hanno bisogno di un richiamo, più o meno ravvicinato.

5 Arriverà il momento in cui il vaccinato, forte di un ideale patentino, potrà sentirsi libero, come in Israele?

Certo che arriverà. Quando raggiungeremo una certa percentuale di popolazione vaccinata, fino all'immunità di gregge, il virus circolerà di meno e allora i vincoli potranno cadere. Non adesso, con l'epidemia al picco, l'incidenza alta, gli ospedali di nuovo sotto pressione, l'indice di replicazione Rt superiore all'unità. Il ritorno alla vita normale non avverrà all'improvviso.

6 È colpa delle varianti?

Anche. I dati sulla protezione dei vaccini dai ceppi mutati non sono sufficienti. Sembrano però difendere dalle forme più severe della malattia ed è bene farli. ( Ha risposto Arnaldo Caruso, presidente della Società italiana di virologia).

Qual è il vaccino migliore? Ecco perché è impossibile stabilirlo. "Popolazioni differenti, periodo di osservazione, contesto geografico, caratteristiche demografiche e cliniche dei partecipanti": sono soltanto alcuni degli aspetti per cui è impossibile stabilire quale sia adesso il miglior vaccino anti-Covid. Alessandro Ferro - Mer, 24/03/2021 - su Il Giornale. "Per me Pfizer", "No no, io preferisco Moderna", "Macchè, il miglior vaccino sarà Johnson e Johnson, il monodose in arrivo": queste sono soltanto alcune delle conversazioni che si fanno in famiglia, in ufficio o al bar (quando ci si poteva andare) tra familiari, colleghi ed amici.

Qual è il vaccino migliore? In base alle attuali conoscenze che vengono riportate dalle case farmaceutiche produttrici o, più semplicemente, alla "sensazione", la gente comincia ad avere delle preferenze che fanno propendere per un vaccino piuttosto che un altro. Il discorso, però, è molto più complesso di quanto si creda perché non si può, allo stato attuale, fare una classifica dei vaccini stabilendo quale sia il migliore semplicemente perché un vaccino migliore di un altro non c'è, non in senso assoluto. Ad esempio, un vaccino che offre una protezione del 70% contro il Covid-19 potrebbe essere uno strumento prezioso contro la pandemia di Coronavirus in Africa, soprattutto se quel vaccino è economico e non deve essere conservato a temperature estremamente fredde. Ma cosa succederebbe se un altro vaccino, più costoso da acquistare e da conservare, fosse efficace al 95%? "Dovremmo inviare il vaccino meno efficace in Africa? O dovremmo cercare un modo per rafforzare la cella frigorifera?", si domandano i ricercatori e leader di governo di tutto il mondo mentre fanno il punto della situazione sulla pandemia globale che ha ucciso più di 2,7 milioni di persone.

Perché è impossibile stabilirlo. Data la velocità della domanda e le scorte limitate, qualsiasi sforzo per classificare i vaccini dovrà tenere conto non solo dell'efficacia dichiarata ma anche delle forniture, dei costi, della logistica di implementazione, della durata, della protezione che offrono e della loro capacità di respingere tutte le varianti emergenti. Anche così, però, molte persone potrebbero trovare difficile distogliere lo sguardo dai risultati degli studi clinici che suggeriscono un divario di efficacia. Finora sono state somministrate più di 200 milioni di dosi di vaccini contro il Coronavirus e sono stati raccolti dati da studi clinici in diversi Paesi. I migliori risultati di questi studi suggeriscono una gamma di protezione: dal 95% di efficacia per un vaccino prodotto da Pfizer di New York City e BioNTech di Mainz, Germania, a circa il 70% suggerito dai risultati iniziali su un vaccino prodotto da AstraZeneca di Cambridge e l'Università di Oxford. "Potrebbe essere allettante, ma semplicemente non è possibile confrontare direttamente l'efficacia dei vaccini solo sulla base di quei risultati", afferma David Kennedy, Prof. di Ecologia e Malattie Infettive all'Università della Pennsylvania come viene riportato da un articolo pubblicato su Nature. "Ogni misura di efficacia è accompagnata da un grado di incertezza e gli studi potrebbero avere definizioni diverse di criteri importanti, come ciò che costituisce un attacco 'grave' di Covid-19 rispetto a uno 'moderato'", aggiunge.

"Il migliore? Quello disponibile quando è il mio turno". Ma perché è così difficile classificare quale dei vaccini anti-Covid sia il migliore? "Perché cambiano le variabili da un Paese ad un altro. Ci si dovrebbe chiedere: migliore per cosa? Se il criterio è il vaccino con la massima efficacia (94-95%) ma è delicatissimo al punto di necessitare di ultra-congelatori in Paesi in cui la logistica non lo permette, questo vaccino non è di prima scelta", afferma in esclusiva per ilgiornale.it il Prof. Alessandro Diana, vaccinologo e docente di Medicina all'Università di Ginevra, in Svizzera. L'esperto ci spiega come, nello scorso mese di settembre, in un meeting con numerosi esperti nello sviluppo dei vaccini, sul proprio quaderno di appunti aveva scritto come tutti concordassero nel dire che, se per il mese di maggio 2021 ci sarebbe stato un solo vaccino efficace al 60%, sarebbe stato un miracolo. "Un vaccino efficace al 70%? Ma è ottimo! Non dimentichiamoci quanto sostenevano gli esperti a settembre 2020... Lo scopo globale della vaccinazione è quello di evitare le complicazioni (ricoveri e decessi) specialmente per le persone con fattori di rischio. Quindi, il miglior vaccino è quello disponibile al momento in cui mi sono deciso a vaccinarmi", specifica chiaramente il Prof. Diana.

Perché sono così difficili da confrontare? "Gli studi clinici di valutazione della sicurezza ed efficacia dei vaccini sono stati condotti in popolazioni differenti per periodo di osservazione, contesto geografico, caratteristiche demografiche e cliniche dei partecipanti. L'efficacia osservata e la frequenza e tipologia di eventi avversi possono essere influenzate da molti fattori, tra cui l'età dei soggetti, il loro stato di salute, il tipo di virus circolante nel momento dello studio, le misure di contenimento in vigore", afferma in esclusiva per ilgiornale.it il Prof. Francesco Remuzzi, Direttore dell’istituto Ricerche Farmacologiche Mario Negri di Milano, che ci spiega anche come le stesse considerazioni e cautele vanno applicate nel momento in cui si paragonano le segnalazioni di effetti indesiderati o l'efficacia sul campo, nel corso delle campagne vaccinali. "Se un vaccino è offerto prevalentemente ad una popolazione mediamente più anziana e un altro ad una più giovane, gli effetti indesiderati possono essere differenti e lo stesso può avvenire per l'efficacia protettiva". Insomma, al momento non è possibile confrontarli tra loro, confronto che sarebbe possibile "solo con uno studio di comparazione tra vaccini differenti in gruppi con caratteristiche simili. I dati oggi disponibili documentano, in ogni caso, che per tutti i vaccini disponibili non ci sono differenze nell'efficacia di prevenire le formi più gravi di Covid-19 e i decessi, che è molto elevata", sottolinea Remuzzi. "Approfondire le conoscenze". Nonostante il lancio di diversi vaccini, potrebbero ancora essere necessari dei mesi prima che possano essere classificati. "È in corso una campagna vaccinale a livello internazionale che ha già coinvolto e coinvolgerà decine di milioni di persone ed è possibile avere informazioni per approfondire meglio, sul campo e nella pratica, il profilo di sicurezza ed efficacia in termini relativamente brevi", afferma l'esperto, che riporta l'esempio delle analisi già disponibili in Israele e nel Regno Unito sull'impatto che hanno avuto le vaccinazioni fino a questo momento. "Ci sono possibili effetti indesiderati estremamente rari che possono essere osservati solo dopo che un numero molto elevato di persone è stato vaccinato. Questo avviene, però, con tutti i vaccini e i farmaci e il profilo di sicurezza è favorevole e sufficientemente indagato per tutti i vaccini", ci dice. Il ruolo delle tempistiche. C’è un ruolo che hanno le diverse tempistiche con cui viene somministrato: ad esempio il Regno Unito ha iniziato AstraZeneca un mese prima di noi. "Quando il Regno Unito ha omologato l'Astra Zeneca con una procedura d'urgenza e malgrado la 'bocciatura' del primo studio fase 3 - ci dice il vaccinologo Diana - il loro sistema sanitario era al collasso. Bisogna agire, e la storia ha dato loro ragione compreso la decisioni di allungare l'intervallo della seconda dose dopo 8-12 settimane". In definitiva, allo stato attuale, una classificazione dei vaccini in base alla qualità (questo è migliore di quello e perché) non si può ancora fare. "Direi di no e raccomanderei alle persone con fattori di rischio di non fare gli schizzinosi: ci saremmo accontentati di un solo vaccino efficace al 60%, non dimentichiamocelo. A mia madre con fattori di rischio direi di non aspettare perché 'il miglior vaccino è quello disponibile', come ho detto in precedenza", conclude.

Report choc dell’Iss: tutti i dubbi sui vaccini. Max Del Papa il 23 Marzo 2021 su Nicolaporro.it. Sono una ventina di smilze paginette in formato Pdf (25 considerando le fonti e gli stacchi imposti dalla realizzazione grafica), riassunti nel burocratichese titolo “Indicazioni ad interim sulle misure di prevenzione e controllo delle infezioni da SARS-CoV-2 in tema di varianti e vaccinazione anti-COVID-19 Gruppo di Lavoro ISS Prevenzione e Controllo delle Infezioni”; più sinteticamente, è il Rapporto ISS Covid 19 n. 4 risalente allo scorso 13 marzo, elaborato a cura dell’Istituto Superiore di Sanità, a cur a di non meno di 25 studiosi: quanti geni lavorano solo per noi, come nella Rai di Renato Zero. Viva l’ISS, dunque, che ci fa crescere sani e però parte subito, sembrerebbe (e speriamo che lo sia: diversamente, la faccenda aggiungerebbe odore a già cospicue maleolenze) con una topica deliziosa: “Al febbraio 2020, sono state segnalate tre varianti che destano particolare preoccupazione, la già menzionata VOC 202012/01 identificata per la prima volta nel Regno Unito, la 501Y. V2 (denominata anche B.1.351) identificata in Sudafrica e la P1 con origine in Brasile”. Febbraio 2020? quando ancora si sapeva poco e niente, almeno ufficialmente, del ceppo originario? Interdetti, c’inoltriamo nel rapporto, strutturato secondo uno schema pedagogico di domanda e risposta, dunque ad uso delle masse, o forse per meglio usare le masse.

Varianti e misure di prevenzione. Primo quesito: “La circolazione delle varianti richiede una modifica delle misure di prevenzione e protezione non farmacologiche (distanziamento fisico, mascherine, igiene delle mani) in ambito comunitario e assistenziale?”. Si risponde: “No, non è indicato modificare le misure di prevenzione e protezione basate sul distanziamento fisico, sull’uso delle mascherine e sull’igiene delle mani; al contrario, si ritiene necessaria una applicazione estremamente attenta e rigorosa di queste misure”. Tradotto: le “misure di prevenzione” debbono restare e se mai venire ulteriormente irrobustite. Compreso il lockdown? La risposta non è data, ma è facilmente intuibile. Quindi si scende nei dettagli, si fa per dire: “(…) Anche se non vi sono attualmente evidenze scientifiche della necessità di un isolamento in stanza singola di pazienti con infezioni da varianti virali, tuttavia, in presenza di diagnosi sospetta o certa di infezione da varianti 501Y.V2 o P1 di SARS-CoV-2, o di nuove VOC non ancora significativamente diffuse nella popolazione, si suggerisce, laddove possibile, di adottare l’isolamento in stanza singola o strategie di cohorting di pazienti infetti da una stessa variante. (…) Coerentemente con il documento del 18 e del 20 gennaio 2021 dell’Haut Conseil de la Santé Publique (HCSP) francese, 9 non è possibile identificare clinicamente tutti i pazienti che sono infetti / portatori delle nuove varianti virali e, pertanto, le misure di prevenzione e cura devono rimanere invariate. (…)”. Oscuro ma decifrabile, lo studio prosegue all’insegna dell’incertezza: “Relativamente al distanziamento fisico, non vi sono evidenze scientifiche che dimostrino la necessità di un incremento della distanza di sicurezza a seguito della comparsa delle nuove varianti virali; tuttavia, si ritiene che un metro rimanga la distanza minima da adottare e che sarebbe opportuno aumentare il distanziamento fisico fino a due metri (…)”. È la linea fin qui seguita: siccome non ne sappiamo ancora abbastanza, allora tutto fermo, tutto chiuso e distanziato. Con i vaccini l’incubo finirà? Dopodiché, il documento si sofferma sui sieri finora approvati: quelli che dovrebbero garantire una veloce e definitiva fuoruscita dall’allucinante segregazione cui siamo sottoposti ormai da 13 mesi. Davvero? “Gli studi clinici condotti finora hanno permesso di dimostrare l’efficacia dei vaccini nella prevenzione delle forme clinicamente manifeste di COVID-19, anche se la protezione, come per molti altri vaccini, non è del 100%. Inoltre, non è ancora noto quanto i vaccini proteggano le persone vaccinate anche dall’acquisizione dell’infezione”. Perfetto: siamo ancora agli studi clinici, che tuttavia non forniscono certezze. “È possibile, infatti, che la vaccinazione non protegga altrettanto bene nei confronti della malattia asintomatica (infezione) e che, quindi, i soggetti vaccinati possano ancora acquisire SARS-CoV-2, non presentare sintomi e trasmettere l’infezione ad altri soggetti (…). Studi preliminari in vitro condotti sulla risposta immunologica (umorale e cellulare) evocata dai due vaccini a mRNA, BioNtech/Pfizer e Moderna, hanno evidenziato una ridotta attività neutralizzante da parte del siero dei soggetti vaccinati nei confronti della variante sud-africana e della variante brasiliana (…) Non è ancora noto quale sia l’impatto delle varianti per la protezione nei confronti delle forme di malattia severa, con ospedalizzazione ed esito letale. La Who afferma che lo studio ha un campione troppo limitato per una valutazione sulla malattia severa ma che evidenze indirette mostrano una protezione contro questa forma; alla luce di ciò, la Who raccomanda attualmente l’uso del vaccino AZD1222 di AstraZeneca secondo la già stabilita roadmap nazionale di definizione delle priorità, anche se sono presenti varianti in un Paese. Per nessuno dei vaccini in utilizzo è nota al momento la durata della protezione ottenuta con la vaccinazione. Gli studi che attualmente sono in corso forniranno in futuro utili informazioni a tale riguardo”. Siamo al trionfo del dubbio, alla sagra dell’incertezza, alla fiera dell’eventualità; in altre parole: vi invitiamo caldamente a vaccinarvi, ma non garantiamo niente visto che siamo agli “studi preliminari” che “non forniscono certezze”. Con il che, si potrebbe anche parlare di sperimentazione umana su scala mondiale. La guida dell’ISS, difatti, prosegue con un’altra questione: “I lavoratori vaccinati, inclusi gli operatori sanitari, devono mantenere l’uso dei Dpi e dei dispositivi medici, l’igiene delle mani, il distanziamento fisico e le altre precauzioni sul luogo di lavoro?”. Si risponde: “Tutti i lavoratori, inclusi gli operatori sanitari, devono continuare a utilizzare rigorosamente i Dpi, i dispositivi medici prescritti, l’igiene delle mani, il distanziamento fisico e le altre precauzioni secondo la valutazione del rischio, indipendentemente dallo stato di vaccinazione e aderire a eventuali programmi di screening dell’infezione (…) Si ribadisce che nessun vaccino anti-COVID-19 conferisce un livello di protezione del 100%, la durata della protezione vaccinale non è ancora stata stabilita, la risposta protettiva al vaccino può variare da individuo a individuo e, al momento, non è noto se i vaccini impediscano completamente la trasmissione di SARS-CoV-2 (infezioni asintomatiche). Quindi, seppur diminuito, non è possibile al momento escludere un rischio di contagio anche in coloro che sono stati vaccinati (…) In conclusione, ogni lavoratore, inclusi gli operatori sanitari, anche se ha completato il ciclo vaccinale (…) dovrà continuare a mantenere le stesse misure di prevenzione, protezione e precauzione valide per i soggetti non vaccinati, in particolare osservare il distanziamento fisico (laddove possibile), indossare un’appropriata protezione respiratoria, igienizzarsi o lavarsi le mani secondo procedure consolidate”. Lecito, a questo punto, domandarsi cosa cambia in concreto dopo la vaccinazione di massa. La successiva problematica, se possibile, peggiora ulteriormente le cose: “Se una persona vaccinata con una o due dosi viene identificata come contatto stretto di un caso positivo, bisogna adottare le misure previste per i contatti stretti?”. Si risponde: “Se una persona viene in contatto stretto con un caso positivo per SARS-CoV-2, secondo le definizioni previste dalle Circolari del Ministero della Salute, questa deve essere considerata un contatto stretto anche se vaccinata, e devono, pertanto, essere adottate tutte le disposizioni prescritte dalle Autorità sanitarie (…) La vaccinazione anti-COVID-19 è efficace nella prevenzione della malattia sintomatica, ma la protezione non raggiunge mai il 100%. Inoltre, non è ancora noto se le persone vaccinate possano comunque acquisire l’infezione da SARS-CoV-2 ed eventualmente trasmetterla ad altri soggetti. Infine, è verosimile che alcune VOC possano eludere la risposta immunitaria evocata dalla vaccinazione, e, quindi, infettare i soggetti vaccinati. (…) Pertanto, in base alle informazioni attualmente disponibili, una persona, anche se vaccinata anti-COVID-19, dopo un’esposizione definibile ad alto rischio e considerata “contatto stretto” di un caso COVID-19, deve adottare le stesse indicazioni preventive valide per una persona non sottoposta a vaccinazione. A prescindere dal tipo di vaccino ricevuto, dal numero di dosi e dal tempo intercorso dalla vaccinazione, in generale, la persona vaccinata considerata “contatto stretto” deve osservare, purché sempre asintomatica, un periodo di quarantena di 10 giorni dall’ultima esposizione con un test antigenico o molecolare negativo effettuato in decima giornata o di 14 giorni dall’ultima esposizione al caso, come da indicazioni contenute nella Circolare n. 32850 del 12/10/2.

I fallimenti vaccinali. Dulcis in fundo, viene affrontato l’aspetto dei cosiddetti fallimenti vaccinali; ma, ancora una volta, le indicazioni del documento a cura dell’ISS sono a dir poco vaghe, in una forma cautelativa che tutto fa tranne rassicurare: “Quali casi sono da considerarsi fallimenti vaccinali?”. Risposta: “Anche i soggetti vaccinati, seppur con rischio ridotto, possono andare incontro a infezione da SARS-CoV-2 poiché nessun vaccino è efficace al 100% e la risposta immunitaria alla vaccinazione può variare da soggetto a soggetto. Inoltre, la durata della protezione non è stata ancora definita. (…) Va specificato che i vaccini anti-COVID-19 attualmente disponibili, come riportato nelle rispettive schede tecniche, sono autorizzati per la prevenzione di malattia COVID-19 sintomatica e non per la prevenzione dell’infezione asintomatica (e di conseguenza la possibilità di avere un risultato positivo al tampone molecolare): pertanto, la definizione di fallimento vaccinale deve essere ancora standardizzata per la malattia asintomatica alla luce degli studi autorizzativi mirati alla sola malattia COVID-19 in forma sintomatica. Oltre a quanto riportato, deve essere considerato il fatto che, poiché lo sviluppo dei vaccini anti-COVID19 è stato molto rapido, non sono ancora state acquisite informazioni sulla durata a lungo termine della protezione successiva alla vaccinazione. (…) Una persona può infettarsi nei giorni immediatamente successivi alla vaccinazione, in quanto l’organismo necessita di un tempo minimo per sviluppare una completa risposta immunitaria protettiva (…) mentre per il vaccino AstraZeneca la protezione inizia da circa 3 settimane dopo la somministrazione della prima dose. Per tutti i vaccini al momento in uso in Italia è necessaria la somministrazione della seconda dose di vaccino al fine di ottenere una protezione ottimale”. Qui c’è almeno un passaggio inquietante, dove si specifica che “lo sviluppo dei vaccini è stato molto rapido, di conseguenza non sono state raggiunte informazioni certe circa l’effettiva protezione. È la conferma di quanto obiettano non i negazionisti, ma gli scettici del vaccino: come può un siero elaborato in troppo breve tempo lasciare tranquilli? Il rapporto non fornisce certezze, anzi, in forma retorica, si chiede: “I programmi di screening dell’infezione degli operatori sanitari, inclusi quelli delle strutture residenziali socioassistenziali e sociosanitarie, devono essere modificati dopo l’introduzione della vaccinazione?”. E si risponde: “Alla luce delle conoscenze acquisite, non si ritiene, al momento, di dovere modificare i programmi di screening dell’infezione da SARS-CoV-2 in atto per gli operatori sanitari mantenendo inalterata la frequenza dei test. (…) Poiché, al momento, è impossibile correlare in modo preciso il titolo di anticorpi con il livello di protezione, la presenza di anticorpi all’esame sierologico non esime la persona dall’uso dei DPI e dispositivi medici, nonché dal seguire tutte le precauzioni standard e specifiche per impedire la trasmissione dell’infezione da SARS-CoV-2”. Alla luce delle conoscenze acquisite… Al momento è impossibile correlare… Tutte conferme di una sostanziale, e allarmante, condizione di incertezza nel mondo scientifico. C’è spazio per un ultimo aspetto: “I contatti stretti di un caso di COVID-19 quando possono essere vaccinati?”. Risposta: “I contatti stretti di COVID-19 dovrebbero terminare la quarantena di 10-14 giorni secondo quanto previsto dalle normative ministeriali vigenti prima di potere essere sottoposti a vaccinazione. (…) Di conseguenza, le persone esposte ad un caso noto di COVID-19, identificate come contatti stretti, non devono possono (sic!) recarsi presso i centri vaccinali (anche per non rischiare di esporre a SARS-CoV-2 le persone nei mezzi pubblici, il personale sanitario deputato alle vaccinazioni, le altre persone presenti nel centro vaccinale, ecc.), ma devono terminare la quarantena di 10-14 giorni, secondo quanto previsto dalle normative ministeriali vigenti, prima di potere essere vaccinate”.

Chi ha avuto il Covid deve vaccinarsi? Il meglio, come di prassi, arriva in fondo, e affronta la più urgente delle questioni: “Chi ha avuto il COVID-19 deve comunque vaccinarsi? È a rischio di avere delle reazioni avverse più frequenti o gravi al vaccino?”. Risposta: “La vaccinazione anti-COVID-19 si è dimostrata sicura anche in soggetti con precedente infezione da SARS-CoV-2, e, pertanto, può essere offerta indipendentemente da una pregressa infezione sintomatica o asintomatica da SARS-CoV-2. Ai fini della vaccinazione, non è indicato eseguire test diagnostici per accertare una pregressa infezione. È possibile considerare la somministrazione di un’unica dose di vaccino anti-COVID-19 nei soggetti con pregressa infezione da SARS-CoV-2 (decorsa in maniera sintomatica o asintomatica), purché la vaccinazione venga eseguita ad almeno 3 mesi di distanza dalla documentata infezione e, preferibilmente, entro i 6 mesi dalla stessa. Fanno eccezione i soggetti che presentino condizioni di immunodeficienza, primitiva o secondaria a trattamenti farmacologici, i quali, pur con pregressa infezione da SARS-CoV-2, devono essere vaccinati quanto prima e con un ciclo vaccinale di due dosi”. Quindi, quasi di passata, scivolando sul pericolo: (…) Sulla base di dati molto preliminari è ipotizzabile che la risposta immunitaria alla seconda dose nei soggetti con pregressa infezione possa essere irrilevante o persino controproducente. Sebbene questi dati si riferiscano ai vaccini a mRNA, è ragionevole assumere che non vi siano differenze per altre tipologie di vaccini “. persino controproducente? In quale senso? In che misura? Il rapporto non approfondisce. 

Vaccini, troppe perplessità: chiesto il ritiro. Gioia Locati il 5 marzo 2021 su Il Giornale. Tre notizie su cui riflettere. La prima riguarda il video che trovate a questo link. Il filmato ritrae alcuni medici e farmacisti del Trentino Alto Adige che informano la popolazione sulle vaccinazioni in corso. Sono una decina, in rappresentanza di un centinaio di colleghi (perlopiù impegnati nel privato) e invitano alla prudenza verso la nuovissima terapia genica propria di questi primi vaccini in commercio poiché, essendo innovativi, è più quello che si ignora di ciò che si conosce. Il video ha avuto migliaia di visualizzazioni in pochi giorni. Per la precisione: 120mila in 24 ore solo dalla pagina Facebook. La seconda notizia è la reazione della stampa da un lato, e degli Ordini dei medici di Trento e di Bolzano dall’altro, che non hanno apprezzato le dichiarazioni dei professionisti e stanno valutando provvedimenti disciplinari. La terza, invece, riguarda le azioni legali nei confronti della Commissione UE. Medici e infermieri altoatesini chiedono di annullare la distribuzione dei vaccini sperimentali su base genica in tutta Europa. Secondo i ricorrenti, che stanno presentando esposti al Tribunale europeo, sarebbero  violate la normativa comunitaria sulla garanzia della sicurezza dei medicinali e le rispettive procedure.

Il video. I medici che appaiono nel filmato precisano che “è la prima volta che si provano vaccini con questa tecnologia: l’RNA messaggero fornisce istruzioni alle nostre cellule, induce un’espressione genica di cui non si conoscono gli effetti”. Affermano che sono “più di 20 anni che si cerca di far approvare questa tecnologia nei farmaci oncologici ma l’approvazione al commercio non è mai arrivata (al momento esiste solo un farmaco per l’amiloidosi che si basa sull’RNA messaggero”). Ricordano che “in questo caso l’approvazione al commercio è stata velocissima, 11 mesi fra produzione e test, per effetto della pandemia”. Fanno presente che “l’efficacia al 95%, dichiarata dalle aziende produttrici, è stata messa in dubbio da uno studio del British Medical Journal, che stima l’efficacia fra il 19 e il 29%”. E che le autorità regolatorie hanno concesso ai nuovi vaccini un’autorizzazione al commercio “condizionata” di un anno poiché gli studi clinici condotti sulla popolazione si concluderanno negli anni 2022 e 2023. Dicono che non si conoscono gli effetti sulla fertilità, maschile e femminile (vedasi bugiardino). Che non si conosce l’interazione con altri farmaci (vedasi bugiardino). Che non si sa ancora se la persona vaccinata, una volta incontrato il virus, lo possa diffondere agli altri proprio come chi si è infettato e non ha fatto il vaccino (vedasi bugiardino). “L’intento del video è quello di informare i cittadini italiani e tedeschi – visto che ci troviamo in una zona di frontiera – poiché le spiegazioni fornite dalla Sanità pubblica sono assai carenti – ci spiega Hannes Loacker, farmacista – È nostro dovere illustrare alla popolazione come funziona un farmaco in modo comprensibile per permettergli di fare una scelta responsabile. Lo stabilisce la legge italiana ma anche la Convenzione di Oviedo sui diritti dell’uomo”.

La reazione. La stampa locale ha definito il video “no-vax” e annunciato che l’azienda sanitaria dell’Alto Adige presenterà un esposto in Procura per procurato allarme. “Al momento non abbiamo ricevuto nulla – chiarisce il chirurgo e ortopedico Roberto Cappelletti, uno dei medici che ha parlato nel video. Respingo l’accusa di no-vax poiché, come ogni mio collega sa, ogni vaccino è un prodotto diverso dall’altro, e per dovere, dovremmo parlare accuratamente di ciascuno. Il video tocca aspetti delle nuove tecnologie applicate ai vaccini che non sono ancora stati chiariti. L’Ordine dei Medici ha fatto sapere, in via informale, che chi non si vaccina è indegno. Non ci sentiamo indegni né di aver manifestato perplessità, né di applicare, in mancanza di dati, il principio di precauzione”. Quanto al procurato allarme, semmai è il contrario. Spieghiamo che la Covid ha effetti seri su una categoria circoscritta di persone, con più patologie”.

La richiesta di annullare la distribuzione dei vaccini. Loacker ci informa che dal 16 febbraio sono state presentate al Tribunale UE le prime due azioni di annullamento delle rispettive decisioni della Commissione UE sull’autorizzazione condizionata di immissione in commercio dei vaccini Comirnaty (Pfitzer/BioNTech) e Moderna, “vista la grave violazione della normativa comunitaria in materia di farmaci”. L’azione di annullamento della decisione della Commissione UE relativa all’autorizzazione del vaccino AstraZeneca verrà presentata prossimamente. Spiega Loacker: “Dato che l’Italia, come gli altri Paesi dell’UE, illegittimamente non si si è opposta all’autorizzazione centralizzata di questi vaccini a terapia genica, e l’autorizzazione per l’immissione nel mercato UE è avvenuta da parte della Commissione UE, è fondamentale un’impugnazione a livello comunitario degli illegittimi atti comunitari”. In particolare: “La normativa comunitaria mette al primo posto l’obbligo delle autorità di garantire ai cittadini la sicurezza dei medicinali, soprattutto se sono destinati a tutta la popolazione. Visto che a rischio di salute per il Sars-Cov-2 è una percentuale di cittadini molto limitata, è un azzardo, oltre che vietato dalla normativa comunitaria, mettere a rischio la salute di tutta la popolazione con farmaci di cui non si sa nulla”. Secondo i ricorrenti mancano i presupposti per l’autorizzazione all’immissione in commercio condizionata, come precisato dal Codice comunitario dei medicinali per uso umano, vedasi direttiva del Parlamento europeo del 2001, qui.

In sintesi:

1) il beneficio di questi vaccini non è dimostrato;

2) i rischi sono ancora tutti da esplorare;

3) non si sa se i vaccinati impediscano la circolazione del virus;

4) manca il rapporto rischio/beneficio;

5) non è probabile che si aggiungano in seguito dati clinici completi poiché la procedura di approvazione ha trattato questi prodotti come vaccini e non come terapia genica;

6) i nuovi prodotti non rispondono nemmeno a effettive esigenze mediche insoddisfatte, dato che sono stati anche i medici italiani ad aver dimostrato che esistono già farmaci (peraltro poco costosi) che, se utilizzati bene, garantiscono le cure. 

Medici italiani che, ricordiamolo, sono ricorsi ripetutamente al TAR per contrastare le istruzioni carenti del Ministero della Salute e dell’AIFA  (vietata per mesi l’idrossiclorochina, cliccate qui, e raccomandato solo il paracetamolo e la vigile attesa) per farsi confermare la legittimità dell’uso di farmaci infondatamente vietati per curare i malati di Covid-19. La Commissione UE ha tempo rispettivamente fino al 17 marzo e 6 aprile per costituirsi in giudizio. È stata chiesta l’applicazione del rito accelerato. Possono intervenire a sostegno tutti i cittadini UE.

Lotta al coronavirus, i vaccini utilizzati nel mondo: tecniche utilizzate e differenze. Francesco Ridolfi su Il Quotidiano Del Sud il 23 febbraio 2021. La parola d’ordine in questi giorni è vaccino. La corsa ad acquisire dosi dei vaccini attualmente disponibili, in particolare il Pfizer/Biontec, il Moderna e l’Astrazeneca, è la priorità per il Governo ma anche per le Regioni Italiane senza contare l’impegno attivo che sta mettendo in campo in questo settore l’Unione Europea. Ma il dibattito si è acceso negli ultimi tempi sulla validità dei singoli vaccini anche perché se il Covid-19 è uno (al netto delle innumerevoli varianti che stanno sorgendo nel mondo) le tecniche di vaccinazione per contrastarlo sono molte di più.

Vaccini anti Covid: I diversi approcci scientifici. Il primo passo per comprendere di cosa si sta parlando in riferimento ai vaccini e comprendere la tecnica che le case farmaceutiche stanno utilizzando per rendere immune l’essere umano da quella specifica tipologia di coronavirus che è il covid 19. In particolare emergono allo stato attuale 4 approcci diversi:

I vaccini prodotti su base di Rna o Dna

I vaccini proteici

I vaccini basati sui vettori adenovirali umani

I vaccini basati sul virus disattivato

Vaccino RNA e DNA. Per quanto riguarda il vaccino basato su Rna o Dna, si tratta della tipologia principale adottata nel mondo occidentale e funziona attraverso l’iniezione di una sequenza di RNA che dovrebbe indurre le cellule a produrre una proteina, l’ormai celeberrima proteina Spike, simile a quella che in realtà il nostro organismo deve debellare. Una volta indotta la risposta immunitaria, dovrebbero prodursi gli anticorpi che si attiveranno anche qualora il virus dovesse essere contratto. Appartengono a questa tipologia di vaccini quelli della Pfizer/Biontech e di Moderna entrambi finanziati direttamente dagli USA e sono stati certificati con una efficacia del 95%. In entrambi i vaccini sono necessarie due dosi per via intramuscolare per ottenere l’immunità, per il Pfizer dopo 21 giorni per Moderna 28 giorni dopo la prima.  In entrambi i casi il vaccino non contiene il virus e, dunque, non fa ammalare, ma introduce nell’organismo solo l’informazione genetica che viene sfruttata per realizzare copie della proteina Spike. Il vaccino che si basa sul DNA funziona sostanzialmente allo stesso modo, ma, invece che un frammento di Rna, viene utilizzato un frammento di DNA sintetizzato in laboratorio. Appartiene a questa tipologia il vaccino di Astrazeneca, che utilizza un vettore virale inattivato di scimpanzé, e a cui viene attribuita una efficacia del 60%.

Vaccino proteico. In questa tipologia di vaccini, una volta ottenuta in laboratorio la sequenza di RNA virale, vengono sintetizzate le sue proteine che verranno poi iniettate nell’organismo attraverso l’utilizzo di una soluzione che contiene anche altre sostanze. Attraverso questa iniezione viene attivata la risposta immunitaria e dunque la produzione degli anticorpi necessari per combattere il virus.

I vaccini basati sui vettori adenovirali umani (Vaccino Russo). Il vaccino russo, prodotto dal Centro Gamaleya, è stato chiamato Sputnik V, ed è basato sui vettori adenovirali umani. È stato registrato dal Ministero della Salute russo l’11 agosto dello scorso anno diventando il primo vaccino ufficiale contro il covid 19. Ha manifestato un’efficacia per il 95% dopo circa 40/42 giorni dall’iniezione. Secondo gli scienziati russi, questo tipo di vaccino consentirebbe una risposta immunitaria più forte e a lungo termine. Con lo Sputnik V, il Coronavirus “non viene iniettato” quindi non comporta il rischio di contrarre il virus, poiché il vaccino presenta solo informazioni genetiche del rivestimento proteico esterno, le cosiddette “punte” della corona. Gli effetti collaterali non sono stati gravi, ed è stato già richiesto per 1 miliardo di dosi.

I vaccini basati sul virus inattivato (Vaccini cinesi). I vaccini cinesi contro il Covid in fase avanzata si basano sulla tecnologia del virus inattivato. A differenza delle altre sperimentazioni i cinesi hanno voluto percorrere la strada classica dei vaccini ossia l’utilizzo dello stesso virus che viene “disattivato” e inoculato nell’organismo in modo da consentire a quest’ultimo di conoscerlo e, in caso di contagio, riconoscerlo e batterlo. Si tratta di un sistema che potrebbe garantire comunque grande efficacia ma i vaccini cinesi non hanno superato ancora la terza fase, perché l’inattivazione del virus richiede tempistiche lunghe. La stessa metodologia è stata utilizzata per i vaccini Sinovac e Sinopharm. I cinesi hanno scelto di realizzare con Sinopharm un vaccino standard, con un’efficacia di circa il 79%, facile da trasportare, avendo bisogno solo di refrigerazione ordinaria. Sembra avere un’efficacia maggiore il vaccino della Sinovac.

Lo Sputnik e tutti i suoi “gemelli”. Federico Giuliani su Inside Ove il 13 marzo 2021. Siamo ormai abituati da qualche mese a leggere il nome delle stesse case farmaceutiche: Pfizer-BioNTech, AstraZeneca e Moderna. Da poco si è aggiunta alla lista anche Johnson & Johnson, il cui vaccino anti Covid è stato appena autorizzato dall’Agenzia del farmaco europea (Ema) dopo il via libera ricevuto negli Stati Uniti. Non tutti forse sanno che, al netto dei vaccini finiti sul mercato internazionale, i ricercatori di tutto il mondo stanno testando qualcosa come 75 sieri, tra i 42 fermi alla Fase 1, i 30 in Fase 2 e i 21 in Fase 3. Senza contare gli (almeno) altri 78 ancora in fase di sperimentazione attiva sugli animali. Nei prossimi mesi, hanno ripetuto gli esperti, l’Europa e il mondo intero saranno travolti da una marea di farmaci capaci di debellare il Sars-CoV-2. Non c’è motivo di non credere a tale affermazione, anche e soprattutto alla luce dei numeri sopra riportati. Dunque, con una mole così ingente di vaccini in rampa di lancio, è pressoché scontato attenderci l’entrata in scena di nuovi nomi da memorizzare. Soffermandoci sul contesto europeo, dobbiamo però fare una distinzione tra i vaccini non ancora autorizzati che potrebbero presto ottenere il semaforo verde – è il caso di Sputnik – e quelli, invece, che arriveranno “dal nulla”.

Sputnik e Johnson & Johnson. Appare scontato partire dallo Sputnik, il vaccino russo finito, nelle ultime settimane, nell’occhio del ciclone mediatico. L’Ema ha reso noto di aver avviato l’iter per la revisione del siero. Si dovrà adesso attendere qualche settimana per valutarne la conformità agli standard dell’Unione europea “in materia di efficienza, sicurezza e qualità”. Nel frattempo, le trattative per la produzione del vaccino in Italia sono andate avanti. Lo Sputnik sarà prodotto sul territorio italiano dall’Adienne Pharma & Biotech, azienda farmaceutica italo-svizzera, anche se le dosi non entreranno sul mercato prima della fine dell’anno corrente. Lo ha dichiarato all’agenzia Tass il presidente della società con sede a Lugano, Antonio Di Naro. “Abbiamo avviato degli scambi di competenze tecnologiche 15 giorni fa, termineremo questo processo in un paio di mesi, quindi effettueremo dei test; a luglio produrremo un lotto per la valutazione che non sarà destinato alla vendita; poi a settembre-ottobre un lotto per la registrazione, raccoglieremo i dati che verranno inviati all’agenzia italiana del farmaco, che a sua volta dovrà controllare la nostra produzione”, ha detto Di Naro, secondo cui “sino alla fine del 2021 l’azienda non produrrà lotti per la vendita”.Abbiamo poi parlato dell’Ad26.COV2.S, il siero monodose sviluppato da Johnson & Johsnon. È stato autorizzato per l’uso emergenziale negli Stati Uniti e in Europa, anche se nel Vecchio Continente le sue fiale rischiano di non essere disponibili almeno fino alla metà di aprile. Secondo quanto riportato da Politico, i diplomatici Ue temono che le consegne concordate con l’azienda – la quale, ricordiamolo, produce in Usa – possano essere bloccate dal governo americano. Washington sta infatti continuando a seguire la linea vaccinale “America First” impostata da Joe Biden.

Gli altri vaccini. In rampa di lancio troviamo il CvnCoV sviluppato dalla tedesca CureVac e l’NVX-CoV2373 dell’americana Novavax. Il primo ha avviato lo scorso dicembre una sperimentazione di Fase 3, mentre l’Unione europea ha iniziato, a febbraio, il processo di revisione continua del siero. È probabile che la fumata bianca possa arrivare tra aprile e l’inizio di maggio. Intanto CureVac ha già negoziato un accordo per fornire all’Ue fino a 225 milioni di dosi del vaccino. A luglio il governo americano ha investito qualcosa come 1.6 miliardi di dollari per sostenere le sperimentazioni cliniche e la produzione del vaccino Novavax. A settembre l’azienda statunitense ha lanciato i test di Fase 3. I risultati dovrebbero arrivare ad aprile, mentre il siero – se non dovessero esserci intoppi – potrebbe essere autorizzato dalla FDA americana a maggio. Difficile, tuttavia, pensare che l’NVX-CoV2373 possa essere disponibile per il mercato europeo, almeno in un primo momento. Interessante, poi, la situazione relativa ad altri due vaccini, già usati nei rispettivi Paesi di produzione. Il russo EpicVacCorona è una sorta di alter ego dello Sputnik. Prodotto dal Vector Institute, come riportato dal New York Times, ha superato i test di Fase 3, anche se deve ancora presentare i risultati della sperimentazione. A gennaio, Mosca ha lanciato una campagna vaccinale che ha incluso anche il suddetto siero.

L’altro vaccino si chiama Covaxin, un prodotto nato grazie alla collaborazione tra l’Indian Council of Medical Researc, il National Institute of Virology e l’azienda indiana Bharat Biotech; al momento, è stato approvato all’uso d’emergenza in India e in Zimbabwe. Infine, tra i vaccini già diffusi in gran parte del mondo, troviamo i sieri cinesi: dal Sinopharm al CanSino, passando per il Sinovac. Anche queste potrebbero  essere altri armi interessanti da poter impiegare nella lotta contro il virus.

Tutti i segreti dei 7 vaccini. Qual è davvero il più efficace. Sono sette i vaccini più importanti: da Pfizer e Moderna a Sputnik V, ecco quali di questi potrebbero cambiare il volto della pandemia. Importanti novità riguardano AstraZeneca, più efficace di Pfizer con la prima dose. Alessandro Ferro - Gio, 04/03/2021 - su Il Giornale. Parola d'ordine: vaccini. È inevitabile che sarà questa la più cliccata e pronunciata del 2021 almeno fin quando la pandemia da Covid-19 non darà un po' di tregua ed il virus comincerà a "morire". Per fare in modo che accada, soltanto i vaccini potranno mettere punto al disastro mondiale facendoci tornare alla vita di prima.

Qual è la situazione?

Il 27 dicembre 2020 è stato il D-day europeo con le prime somministrazioni simboliche del vaccino Pzifer-BioNtech nel nostro Paese. Da quel giorno sono passati due mesi e mezzo e nel frattempo si sono aggiunti anche quello realizzato da Moderna e l'italo-inglese AstraZeneca. A giorni dovrebbe arrivare il via libera anche per Johnson&Johnson, l'unico ad essere monodose mentre alcuni altri sono in fase di sperimentazione e pronti ad essere lanciati nei prossimi mesi. Pian piano avremo un tale sovraffolamento da capirci poco: è bene fare un po' di chiarezza ed una carrellata dei 7 principali vaccini che sono e saranno a disposizione prossimamente con la nostra infografica ed il parere di due esperti che abbiamo intervistato. "In quanto vaccinologo chimico ho avuto modo di seguire lo sviluppo di questi vaccini. La prima cosa che ripeto spesso è che a settembre scorso, in un meeting con esperti nello sviluppo dei vaccini, sul mio quaderno di appunti ho scritto che tutti concordavano nel dire che, se per il mese di maggio 2021 avremmo avuto un vaccino efficace al 60% sarebbe stato un miracolo", ha dichiarato in esclusiva per ilgiornale.it il Prof. Alessandro Diana, vaccinologo e docente di Medicina all'Università di Ginevra, in Svizzera. Beh, la Scienza ce ne ha già dati alcuni e con un'efficacia molto elevata. "Per l'Epifania avevamo già più di un vaccino e siamo stati tutti rimasti stupiti dell'efficacia di quelli ad mRna al 94-95%, nessuno se l'aspettava".

Pfizer/BioNtech. Il suo nome tecnico è Comirnaty ed è il primo vaccino approvato con la nuova tecnica ad Rna messaggero: le cellule ricevono l'mRNA dentro un piccolo involucro di grassi (per entrare nelle cellule) e lo usano come stampo per ricavare proteine virali. Da sola, senza il resto del virus, la proteina Spike è innocua ma mette in allarme il sistema immunitario per fargli produrre anticorpi. Si conserva a temperature glaciali comprese tra -90 °C e -60 °C (qui il nostro pezzo). Il vaccino messo a punto dall'azienda americana Pfizer assieme alla società farmaceutica tedesca BioNtech, ha conquistato il mercato europeo già a fine 2020. È quello più utilizzato al momento in Italia che aveva inizialmente acquistato 27,3 milioni di dosi alle quali se ne sono aggiunte 13,2 come recita la tabella del Ministero della Salute che trovate anche all'interno del pezzo. L'efficacia, ed è questa la cosa più importante, è del 95% dopo la somministrazione di entrambe le dosi.

Moderna. Il vaccino della società statunitense Moderna si potrebbe quasi definire fratello gemello del Pfizer/BioNtech per la stessa tecnica ad Rna messaggero, per la stessa efficacia del 95% con la somministrazione completa di due dosi e per la conservazione anch'essa sottozero ma a temperature più "alte" intorno a -20°C. È arrivato poco dopo quello Pfizer, intorno a metà gennaio grazie all'approvazione dell'Ema ma ha subìto degli intoppi a causa di problemi nella produzione ma soprattutto distribuzione. L'Italia aveva inizialmente acquistato 10 milioni di dosi che ha raddoppiato successivamente per un totale di 20 milioni. La problematica maggiore rimane, al momento, la quasi totale mancanza nel nostro Paese anche se la situazione dovrebbe sbloccarsi da qui a breve. "Pfizer e Moderna sono un po' come una Rolls Royce ma molto fragile: hanno un'efficacia del 94-95%, una Rolls, ma sono fragilissimi perché hanno bisogno di super congelatori per una conservazione a -80 gradi (Pfizer) e -20 (Moderna) e si sa che questi vaccini, a causa della logistica, sarà molto difficili darli in alcuni Paesi in via di sviluppo dove non c'è elettricità e mancano tante cose", ci dice il Prof. Diana.

AstraZeneca. Finora, è il vaccino più travagliato di tutti: un errore nel dosaggio durante i trials, poi corretto, ne ha ritardato l'approvazione da parte di Ema ed Aifa. E ancora, i dati incompleti sopra la popolazione oltre i 65 anni che non consentono, al momento, la somministrazione alla fascia d'età più anziana. Come se non bastasse, la partenza del vaccino di Oxford e Pomezia è stata ad handicap perché, nonostante l'efficacia del 62% nel contrarre l'infezione e del 100% nei casi gravi sia ottima, paragonato a quelli Pfizer e Moderna è stato giudicato quasi come fosse "non buono". A differenza dei primi due, il vaccino di AstraZeneca si basa sul vettore virale, utilizza cioè un virus (in questo caso quello dello scimpanzé) innocuo per l’uomo che funge da navicella per trasportare nelle cellule umane il codice genetico delle proteine del virus contro le quali si vuole innescare la produzione di anticorpi. La diffidenza è arrivata anche per la poco chiarezza nella somministrazione della seconda dose: in un primo momento si era detto dopo 4-6 settimane, adesso si è deciso per la somministrazione tra le 8 e le 12 settimane secondo quanto riportato dall'Organizzazione Mondiale della Sanità. L'Italia aveva puntato tutto su questo vaccino acquistando un totale di 40 milioni di dosi: l'azienda è pronta a cedere le licenze per accelerarne la produzione. Le ultimissime novità. "Un pre-print della Publich Healt inglese insieme all'Istituto d'Igiene di Londra e Glasgow ha mostrato che l'efficacia della vaccinazione con Pfizer e AstraZeneca è dell'80% nel prevenire l'ospedalizzazione già con una dose oltre a ridurre anche la malattia sintomatica", dice in esclusiva al nostro giornale il Prof. Giuseppe Remuzzi, Direttore dell'Istituto per le Ricerche Farmacologiche Mario Negri di Milano. "Entrambi questi due vaccini hanno un effetto simile e la protezione è mantenuta per 6 settimane, naturalmente la seconda dose protegge ancora di più ma quella di AstraZeneca va comunqe rimandata a 12 settimane" aggiunge Remuzzi che dà una notizia molto importante che rende giustizia anche al vaccino italo-inglese. "Una singola dose di AstraZeneca riduce l'ospedalizzazione del 90% ed è più efficace di Pfizer, lo riporta il NewYorTimes anticipando la letteratura scientifica. È uno studio condotto dal Sistema Sanitario inglese, molto simile ad altri studi scozzesi. Sono queste le novità più grosse", ci dice.

Johnson & Johnson. Prodotto dall'azienda farmaceutica Janssen con sede in Belgio, è un altro vaccino su cui l'Italia ha puntato molto acquistandone 26,5 milioni di dosi: la novità principale rispetto a tutti gli altri riguarda la somministrazione perché è l'unico ad essere monodose, un vantaggio non da poco. Un altro punto di forza è la conservazione in frigorifero, come quelli tradizionali, ad una temperatura compresa tra 2 e 8 gradi. "Una dose, invece di due, cambia molto ed è veramente un vantaggio", afferma il vaccinologo Diana. La cosa più importante di tutte è l'efficacia che è "pure ottima perché siamo intorno all'80% vaccino ed è anche lui vettoriale come AstraZeneca. Vaccini di questa tipologia hanno il vantaggio che si possono conservare in frigorifero e non negli ultra congelatori come quelli ad mRna di Pfizer, Moderna e Curevac", aggiunge. Come abbiamo trattato di recente, è stato appena approvato dall'Fda americana ed, a giorni, si attende il via libera anche dall'Agenzia Europea del Farmaco previsto per l'11 marzo. Sarebbe il quarto vaccino approvato in Europa dopo i primi tre già trattati.

Curevac. Un vaccino di cui ancora sappiamo poco è quello della CureVac, a base di Rna messaggero come Pfizer e Moderna sviluppato dall'azienda biofarmaceutica tedesca. "Aspettiamo gli studi di fase 3 che arriveranno tra poco", ci dice Diana. L'Italia, per non sbagliare, ha già acquistato 29 milioni di dosi ma difficilmente prima di fine maggio-giugno sarà approvato dall'Ema e, di conseguenza, anche dall'Aifa. Non sappiamo a quale temperatura sarà conservato né, come detto, l'efficacia. In questa situazione, l'Unione Europea ha dimostrato tutta la sua fragilità firmando un contratto al buio ma acquistando 225 milioni di dosi. "Mentre l'appaltatore (l'azienda CureVac, ndr) ha dato la priorità ed accelerato i suoi sforzi per sviluppare e produrre il prodotto alla luce dell'attuale pandemia di Covid-19, vi è tuttavia una sostanziale incertezza su questi sforzi, con particolare riguardo allo sviluppo clinico del prodotto rispetto alla capacità di mostrare un'efficacia sufficiente per prevenire un'infezione da COVID-19", si legge sul contratto.

Novavax. Al contrario, si dice un gran bene di Novavax, una società americana di sviluppo di vaccini con sede a Gaithersburg, in Maryland, ma con strutture anche in Svezia. La tipologia vaccinale è simile ad altri già utilizzati in passato. "È un vaccino inattivato, non ad mRna, la proteina Spike è stata purificata in laboratorio con un adiuvante. Appartiene ad una tecnologia dei vaccini che conoscevamo come quella per Epatite B e l'antitetanica, è tecnologia molto più conosciuta. Ci siamo stupiti anche nel vedere che gli studi dimostrino come questo vaccino induce un alto tasso di anticorpi ed ha stupito anche per l'efficacia. È un vaccino promettente che completa l'armata contro questo virus", afferma il vaccinologo che vive in Svizzera. Inoltre, il vaccino di Novavax non ha bisogno di essere mantenuto a temperature gelide ed è un enorme vantaggio per ospedali, cliniche e farmacie che non hanno capacità di congelamento. Anche in questo caso, però, saranno necessarie due dosi.

Sputnik V. Dulcis in fundo, il vaccino russo di Putin tanto bistrattato alcuni mesi fa quanto voluto adesso anche dall'Italia: a far cambiare idea alla comunità scientifica ed alla collettività sono stati i risultati pubblicati su The Lancet pochi giorni fa che ne hanno certificato l'efficacia del 91,6% e fino al 100% nelle forme più gravi (qui un pezzo sul vaccino russo). Tra gli altri vantaggi, la conservazione può avvenire in un normale frigorifero tra 2 e gli 8 gradi. Va somministrato in due dosi a distanza di 21 giorni l'una dall'altra. "Ero il primo ad essere scettico così come la comunità scientifica perché non c'erano dati - ci dice il Prof. Diana - Per molto tempo ci dovevamo accontentare soltanto dei comunicati stampa russi che dicevano che il vaccino funzionava. Quando tre settimane fa è stato pubblicato l'articolo su The Lancet, devo dire che la lettura di questo studio è ottima sia a livello scientifico sia per come è stato ideato, è un vaccino vettoriale ed hanno cambiato i due vettori entrambi ad adenovirus. Se qualcuno mi dicesse se oggi lo accetterei direi di si". A San Marino già si usa ed in Europa se ne parla sempre di più: acquisteremo anche questo?

Piccolo problema: mancano i vaccini. Questa carrellata ci fa ben sperare ma soprattutto sognare: si perché, ad oggi, di questi numerosi studi non rimangono che gli studi stessi. I vaccini scarseggiano ovunque e le previsioni più ottimistiche lanciate a dicembre sulla corsa alla vaccinazione sono cadute, per adesso, nel vuoto. "Se avremo abbastanza vaccini non c'è ragione di aspettare per fare richiamo per Pfizer e Moderna, se non ne avremo abbastanza bisogna vaccinare tutti gli anziani il più rapidamente possibile con tutto quello che c'è. Il Washington Post titola 'The best vaccine is the one you can get', Il vaccino migliore è quello che puoi avere", ci dice il Prof. Remuzzi, secondo cui un numero consistente di dosi dovrebbe arrivare nei prossimi giorni. "Se nel giro di una settimana ce ne saranno abbastanza per vaccinare gli anziani anche con i richiami faremo senz'altro così perché facilita il lavoro delle autorità regolatorie. Altrimenti faremo con quello che abbiamo". Il Direttore dell'Istituto Mario Negri sottolinea come, anche con una dose, si possa evitare il rischio di una malattia severa. "Secondo l'ultimi lavoro pubblicato su Jama Network, Moderna ha il 92% efficacia dopo la prima dose, Pzifer 52% dopo la prima dose e Astrazeneca al 64%. Tutti questi vaccini, però, proteggono contro il serial Covid al 100%. Quelle percentuali sono contro qualunque sintomo, il 100% è contro la malattia severa". "Gesti barriera". Ecco perché, in attesa che si raggiunga l'immunità di gregge (e la strada è ancora lunga), dovremo continuare ad utilizzare tutte le precazioni a cui siamo ormai abituati da un anno esatto a questa parte. "La vaccinazione aiuterà ad uscire dalla pandemia ma non è tutto, abbiamo bisogno dei gesti barriera: mascherine, distanziamento, lavaggio delle mani ed apertura delle finestre, il ricircolo dell'aria aiuta - afferma il Prof. Diana - La novità che potremo avere fra qualche settimana è che le vaccinazioni non solo proteggono le persone vaccinate ad evitare complicazioni ma aiuterebbero anche a diminuire la trasmissione tra una persona ed un'altra. Questo è un grande argomento perché significa che il vaccinato, oltre al beneficio individuale, non contamina altre persone. Se fra qualche settimana avremo questa evidenza ci permetterà di allentare i gesti barriera. Non oggi ma sarà così nei prossimi mesi". 

Covid, vaccini Pfizer, Moderna, AstraZeneca: quanto sono efficaci? Domande e risposte. Sara Bettoni su Il Corriere della Sera il 26/2/2021.

1 - I vaccini approvati contro Sars-Cov-2 funzionano?

«È necessaria una premessa — dice Carlo Federico Perno, direttore di Microbiologia dell’ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma e in precedenza al Niguarda di Milano —. Non sappiamo ancora tutto di questi vaccini, ma non possiamo permetterci di aspettare. Ogni giorno acquisiamo nuovi dati, per questo anche chi è capace e preparato cambia idea. Detto ciò, a oggi i vaccini Pfizer e Moderna risultano estremamente potenti. Proteggono dalla malattia e in buona parte anche dall’infezione».

2 - Perché si distinguono i due aspetti?

«La differenza è sostanziale. Nel primo caso, si valuta l’efficacia nell’evitare che il virus si replichi e si sviluppi la malattia grave. Nel secondo la capacità di proteggerci dal contagio e quindi dalla possibilità di essere contagiosi».

3 - Cosa si intende per malattia grave?

«Finché ci sono sintomi solo simil influenzali, la patologia non è considerata grave».

4 - Come è collegata la vaccinazione anti-Covid ai sintomi più «leggeri»?

«C’è una correlazione diretta tra la quantità di virus e la gravità della malattia. Il vaccino, anche se non è completamente efficace, riduce il virus circolante nel corpo. E di conseguenza si ha meno danno».

5 - Se un vaccinato si ammala o contagia vuol dire che l’iniezione non ha funzionato? «Non è un segno diretto o indiretto dell’efficacia del vaccino. Quando ci infettiamo, l’organismo risponde producendo anticorpi in un tempo non inferiore ai 7/10 giorni. Il vaccino mima l’infezione naturale. Chi riceve l’iniezione non è protetto da subito».

6 - Può trasmettere l’infezione ad altri?

«Se la quantità di virus è inferiore, diminuisce questa possibilità. Ma una piccola quantità può comunque contagiare: anche i vaccinati devono tenere la mascherina».

7 - Quanto dura la protezione?

«Diversi mesi, non è ancora noto quanti. Le prime informazioni ci dicono però che gli anticorpi potrebbero rimanere a lungo».

8 - Cosa sappiamo del vaccino AstraZeneca?

«Non è ancora nota la sua reale efficacia. Al momento sembra decisamente buona per gli under 55, attorno all’80 per cento e probabilmente anche per gli under 65».

(DIRE il 7 marzo 2021) Il vaccino AstraZeneca potrà essere somministrato anche alle persone con più di 65 anni. Lo conferma il ministro della Salute Roberto Speranza a “Mezz’ora in più” su Raitre. “Ci sono nuove evidenze scientifiche che dimostrano come questo vaccino possa essere utilizzato su tutte le fasce generazionali”, spiega. “Abbiamo ricevuto da pochissime ore dal Consiglio Superiore di sanità “il via libera”, “io spero già domani o massimo da dopodomani ci sarà una circolare del ministero in questa direzione”. È una notizia che “ci aiuta e ci permetterà di avere un pieno utilizzo” e di procedere “In maniera più spedita” anche per vaccinare le persone più fragili”.

Vaccino AstraZeneca agli over 80, Bassetti: "Una svolta, serve coraggio". Secondo il primario del San Martino di Genova Matteo Bassetti, la possibilità di estendere a tutti l'Astra-Zeneca potrebbe essere una svolta: “Non me l’aspettavo di arrivare ad oggi con così pochi vaccinati”. Sofia Dinolfo - Sab, 06/03/2021 - su Il Giornale. Buone novità per quanto riguarda l'uso del vaccino contro il coronavirus. In due articoli scientifici in pre-print emerge che quello Astra-Zeneca potrebbe funzionare anche su chi ha più di 80 anni. Una grande notizia in un periodo in cui l’Italia è impegnata nella corsa contro il tempo contro il Covid con risultati che fin qui non sono ancora quelli sperati. La notizia è stata accolta positivamente dal direttore della Clinica Malattie Infettive del Policlinico San Martino di Genova, Matteo Bassetti: Mi auguro- ha detto su il Giornale.it il professore- che presto Aifa riveda la raccomandazione e che renda il vaccino Astra-Zeneca disponibile per tutti e non più solo per chi ha meno 65 anni”.

Quali sarebbero i benefici? Se si potesse estendere il vaccino Astra-Zeneca a tutta la popolazione senza distinzioni di età, si potrebbe allargare lo scudo protettivo contro il coronavirus e accelerare anche i tempi della campagna vaccinale. “Avere a disposizione il vaccino Astra-Zeneca che può essere utilizzato su tutti – dichiara Matteo Bassetti -vorrebbe dire avere tre vaccini che vanno bene per tutti. Questo renderebbe più facile la calendarizzazione delle vaccinazioni e soprattutto, considerando che Astra-Zeneca consente di inoculare la seconda dose fino a 4 mesi dopo, guadagnare tempo. In questo modo- prosegue il professore-potremmo fare la prima dose al maggior numero di persone possibili e poi, fra 3 o 4 mesi iniziare con le seconde dosi. Nel frattempo i vaccini potrebbero arrivare”.

A questo punto, secondo il direttore del San Martino, risulterebbe attuabile con maggiori risultati il metodo seguito In Inghilterra. Qui, quasi 22 milioni di persone hanno ricevuto la prima dose e i casi di contagio giornalieri sono diminuiti notevolmente. I nuovi affetti dal virus non arrivano mai a superare al giorno i 7mila casi. Purtroppo, almeno per il momento, in Italia non ci sono molti vaccini Astra-Zeneca a disposizione.

“Ci vuole più coraggio”. Scelte scientifiche ad impatto diretto e maggiore coraggio nell’adottare decisioni diverse dal solito ma dalle quali poter trarre benefici. Questa è secondo Matteo Bassetti la ricetta per continuare a lottare contro il coronavirus e che vede l’Inghilterra più avanti rispetto a noi. “Secondo me gli inglesi- afferma il professore- sono stati più coraggiosi. Quando si gestisce un’emergenza bisogna avere un atteggiamento diverso rispetto alla gestione della normale amministrazione. Il giudizio sul nuovo vaccino per il Covid, non può essere lo stesso di un vaccino antinfluenzale, bisogna provare a dare un nostro contributo. L’Ema, ad esempio, ha approvato il vaccino Astra-Zeneca per chi aveva più di 18 anni e noi l’abbiamo approvato in Italia per chi ne aveva fino ai 55. In questo abbiamo avuto poco coraggio”. Bassetti non si limita solamente a quello che è accaduto fino ad oggi, ma lancia un monito: “Bisogna avere più coraggio nelle scelte future assumendo anche delle responsabilità scientifiche nel dire qualche cosa di unico come hanno fatto gli inglesi. Non possiamo andare sempre dietro gli altri. Noi abbiamo tutta la forza nel settore scientifico italiano di prendere delle decisioni e assumerci le responsabilità”

"Sono sopra la soglia critica". I nuovi colori delle regioni. Qual è lo stato di salute dell’Italia? Da qualche giorno in Italia i dati giornalieri sul coronavirus sono tornati ad aumentare in maniera veloce tanto da imporre il ritorno della zona arancione in Abruzzo, Marche, Piemonte, Toscana, Umbria, Friuli Venezia Giulia, nelle Province Autonome di Trento e Bolzano. In Lombardia è entrata in vigore la zona arancione “rafforzata” che, nelle prossime ore, potrebbe portare ad ulteriori restrizioni rispetto a quelle degli scorsi giorni. Basilicata e Molise in zona rossa assieme a Campania ed Emilia Romagna. Aumentano i ricoveri negli ospedali e anche quelli nei reparti di terapia intensiva. Nel bollettino del 5 marzo si contano 24.036 nuovi casi di contagio e i dati, per alcune Regioni, confermano l’arrivo della terza ondata. “Avremmo potuto fare a meno della terza ondata e di buona parte dei contagi- ci dice Matteo Bassetti- se la vaccinazione si fosse fatta in maniera più capillare e più ampia di quanto abbiamo fatto. Fondamentalmente è una terza ondata molto legata alla non efficacia della campagna vaccinale. Non me l’aspettavo di arrivare ad oggi con così pochi vaccinati. Mi aspettavo almeno il doppio”.

Così il vaccino AstraZeneca è finito nell’occhio del ciclone. Federico Giuliani su Inside Over il 10 marzo 2021. Somministrazioni interrotte e poi riprese, rigorosi limiti di età oltre i quali non iniettare il siero, dosi non utilizzate, strani malori registrati un po’ in tutto il mondo, effetti collaterali improvvisi e presunte morti conseguenti alla sua inoculazione. L’AZD1222 è finito nell’occhio del ciclone e continua a far parlare di sé. Il vaccino realizzato dall’azienda anglo-svedese AstraZeneca, in collaborazione con l’Università di Oxford, ha ricevuto l’approvazione dall’Ema, l’Agenzia europea del farmaco, lo scorso 29 gennaio. Da quel momento in poi, gli enti regolatori dei Paesi membri dell’Ue hanno via via autorizzato l’antidoto a distanza di qualche settimana. In Italia il semaforo verde dell’Aifa, seppur condizionato, è arrivato il 30 gennaio, con la raccomandazione del suo utilizzo preferenziale sugli under 55. A causa di alcuni dubbi in merito all’efficacia del siero per i soggetti più anziani – dubbi derivanti dalla scarsità di pazienti appartenenti a quella fascia di età arruolati negli studi clinici -, l’Agenzia italiana del farmaco ha preferito mettere un argine. Eppure, l’Ema aveva autorizzato l’AstraZeneca, in Unione europea, per tutti i pazienti che avessero più di 18 anni. L’Aifa, in sostanza, si è adeguata alla decisione europea, pur raccomandando un uso limitato del farmaco.

Le prime incertezze. Inutile girarci intorno: la maggior parte dei dubbi che oggi avvolge il vaccino AstraZeneca, nasce da un’approvazione del siero a dir poco pasticciata. Le comunicazioni lanciate dagli enti regolatori, spesso in contrasto tra loro e titubanti, hanno contribuito a generare confusione e incertezza tra le persone. In altre parole, l’AZD1222 è un vaccino che, fin da subito, pagato dazio a causa di un pessimo messaggio di accompagnamento al pubblico. D’accordo la situazione di emergenza, e la necessità di affidarsi a nuove armi contro il Sars-CoV-2 nel minor tempo possibile. Forse, però, era meglio aspettare di avere qualche sicurezza teorica in più sull’efficacia dell’AstraZeneca, anziché avventurarsi in percorsi irti di ostacoli. Cosa mai possono pensare i non addetti ai lavori – molti dei quali già diffidenti nei confronti dei vaccini – se, ad esempio, l’Ema parla di autorizzazione per tutti gli over 18 e l’Aifa raccomanda la non somministrazione agli over 55? Tra l’altro, l’ente italiano ha inizialmente diffuso un comunicato emblematico, definendo l’AstraZeneca “uno strumento che rafforza la campagna vaccinale in Italia”, nonostante i dati a disposizione “indichino una efficacia inferiore a quella degli altri due vaccini disponibili” (seppure comparare i tre sieri disponibili risultasse complesso).

Tra sospensioni e limitazioni. AstraZeneca è un vaccino a vettore virale che richiede l’iniezione di due dosi. Per avere effetto, utilizza un virus quasi identico a quello del Sars-CoV-2 ma non aggressivo, sul quale vengono incollate informazioni genetiche chiamate a far scattare la risposta immunitaria nei pazienti. Il farmaco ha superato un problema dello studio clinico di Fase 3, durante il quale si era scoperta – pare per errore – un’efficacia maggiore del prodotto dopo la somministrazione di una dose e mezza anziché due, come da prassi. Successivamente, in Germania è stata stoppata l’inoculazione dell’AstraZeneca per gli over 65 a causa dei soliti, pochi dati relativi a questa fascia di età. All’inizio di marzo, sempre dalle parti di Berlino, è cambiato tutto. “La commissione vaccini ora raccomanda il vaccino AstraZeneca anche per le persone oltre i 65 anni. Questa è una buona notizia per gli anziani che stanno aspettando la somministrazione”, ha annunciato il ministro della Sanità, Jens Spahn. Anzi: “I nuovi dati – ha aggiunto il ministro – mostrano anche che il vaccino è perfino più efficace quando la prima e la seconda dose vengono somministrate a distanza di 12 settimane“. L’Italia, e altri Paesi, estendono il siero anche agli over 65. Situazione caotica anche nel resto del mondo. A febbraio il Sud Africa ha deciso di sospendere la somministrazione del vaccino AstraZeneca per gli effetti ridotti sulla variante sudafricana del virus. In Austria, a quanto pare in via del tutto precauzionale, è stato ritirato il lotto del quale faceva parte una dose del siero AstraZeneca somministrato a un’infermiera, poi deceduta dopo la vaccinazione. La morte della donna non è stata collegata al vaccino, anche se sono in corso indagini approfondite. Certo è che, in un simile turbinio di indiscrezioni, incertezze e cambi di passo, la nomea del siero in questione ha subito un contraccolpo pressoché fatale. E questo nonostante – sostengono gli esperti – AstraZeneca svolga alla perfezione il suo compito: ridurre le ospedalizzazioni e le manifestazioni più gravi della malattia.

La verità su varianti e vaccini. Le varianti preoccupano e si stanno mettendo a punto nuovi vaccini. Clementi e Garattini ci spiegano come stanno le cose. Alessandro Ferro, Lunedì 15/02/2021 su Il Giornale. Neanche il tempo di aver creato ed avere a disposizione vaccini innovativi ad Rna-messaggero che già si pensa e si cerca di produrre i cosiddetti "vaccini di seconda generazione".

Nuovi vaccini contro le varianti. Sia chiaro, non è che quelli che stiamo utilizzando nella lotta anti-Covid siano da buttare ma, anzi, sono il trampolino per avere l'upgrade, un po' come quando si compra un nuovo smartphone appena messo in commercio che necessita di aggiornamenti che vengono rilasciati dalla case madre. Con i nuovi vaccini anti-Covid in cui la tecnologia è fondamentale si fa più o meno la stessa cosa: la seconda generazione è già sviluppata ma occorrono ulterori aggiustamenti. Tutto questo perché il Sars-Cov-2 "corre" veloce e muta altrettanto velocemente. Sono ormai sotto gli occhi di tutti le mutazioni principali, quella inglese, brasiliana e sudafricana (ce ne siamo occupati in questo Focus) che, pur cambiando soltanto in minima parte la loro sequenza, rischiano di mettere a repentaglio l'efficacia degli attuali vaccini sviluppati a tempo di record.

Cosa accade e come adattarli. Una delle modalità per adattare i vaccini già esistenti alle nuove mutazioni è quella di usare un nuovo Rna messaggero, che contenga cioè le sequenze nucleotidiche variate. Tecnicamente, la proteina Spike del virus è costituita da due porzioni entrambe importanti, la porzione S1 e la porzione S2. La porzione S1 contiene una regione chiamata Rbd (receptor binding domain) che è la chiave che serve a legarsi alla cellula bersaglio aderendo al suo recettore (serratura) denominato Ace2. La porzione S2, una volta aperta la porta, consente l’ingresso del virus nella cellula. Le mutazioni riguardano quasi tutte l'Rbd, la parte più esterna della proteina. Per nostra fortuna, questi nuovi vaccini sono duttili ed è facile attuare delle modifiche.

"La stessa cosa si fa con il virus dell'influenza". "Non solo è attuabile, ma in realtà le stiamo già attuando perché è quello che si fa per l'influenza: ogni anno si corregge il vaccino quando il virus cambia e si sviluppano nuove varianti. Il vaccino dell'anno precedente o non va più bene o, comunque, non è ottimale. In questa pandemia sembra che ci si accorga soltanto ora che questo virus può cambiare", dice in esclusiva per ilgiornale.it il Prof. Massimo Clementi, Direttore del Laboratorio di Microbiologia e Virologia dell'Irccs Ospedale San Raffaele di Milano. Il Prof. tende, comunque, a rassicurare tutti: allo stato attuale i vaccini funzionano. "In Sudafrica si è detto che il vaccino AstraZeneca sia meno efficace su quella variante ma è da provare, tutti gli altri vaccini funzionano. Da un punto di vista meramente pratico possiamo stare sostanzialmente tranquilli, le varianti che si sono generate non alterano la risposta alla vaccinazione. Ciò non significa che non sia necessario un miglioramento ed un adeguamento dei vaccini che, tra l'altro, sono costruiti in un modo da poter essere adeguati molto facilmente", afferma Clementi. Esattamente come per il vaccino influenzale, quindi, si adegueranno quelli contro il Covid se dovesse continuare a mutare.

"Varie modalità per modificare i vaccini". "Moderna ha già detto che sta preparando un vaccino per la variante sudafricana, ci sarà una modifica che è già disponibile. Questi vaccini ad Rna hanno il vantaggio che possono essere facilmente modificabili, si calcola sia necessario un periodo relativamente limitato per fare queste variazioni. In altri casi, qualcuno ha suggerito che si possano fare tre somministrazioni invece di due. Ci sono varie modalità", ha detto in esclusiva per noi il Prof. Silvio Garattini, farmacologo e fondatore dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri di Milano. Lo scienziato italiano ci rassicura anche su AstraZeneca, vaccino non ad Rna. "Nel caso di AstraZeneca si tratta di cambiare soltanto un vettore, un adenovirus che porta l'Rna dentro le cellule. Basta cambiare l'Rna per avere risposte contro le proteine modificate", sottolinea. "Vale così anche per il vaccino russo Sputnik - aggiunge Clementi - Ma al momento non serve perché è uscito un lavoro sull'efficacia degli anticorpi nei confronti di tutte e tre le varianti".

"Adeguamento automatico". La Scienza e la Medicina, in modo complementare, ci hanno catapultato in un mondo nuovo accelerato dalla pandemia. Ricordiamo agli amici No-Vax che è da tanti anni che viene studiata questa nuova tipologia di vaccino, non è spuntata all'improvviso. "I vaccini si possono modificare, vale per tutti ma per quelli ad Rna messaggero si tratta di una correzione banale, è molto semplice cambiare la sequenza di Rna. L'importante è che non debbano ripetersi le tre fasi che portano via molto tempo ma, così come per il vaccino del virus dell'influenza, ci sia un adeguamento automatico - ci dice il Prof. Clementi - il vaccino rimane lo stesso, cambia semplicemente la sequenza della regione Spike". Insomma, con piccole correzioni che incorpora un nuovo codice, si può neutralizzare sia la variante che la Spike della variante.

Unico vaccino pluricombinato? A questo punto la domanda sorge spontanea: e si mettesse a punto un unico vaccino pluricombinato, cioè con più di una proteina come avviene per i vaccini anti-papilloma e anti-pertosse? Nel caso del Covid, però, la risposta è negativa. "Per quanto possiamo combinare più sequenze e produrre un vaccino nei confronti di tutte le sequenze che ci sono, c'è sempre la possibilità che il virus sfugga generando una variante che non è contenuta in quella miscela", ci dice Clementi. La differenza con i papilloma virus è che questi sono molto stabili, il Covid invece non lo è perché "totalmente instabile dal punto di vista genetico. Potremmo farlo ma riducendo un po' l'attività: avendo 4 proteine diverse avremmo per ciascuna singola proteina una potenzialità inferiore rispetto ad averne una sola", aggiunge. È la storia di Hiv ed epatite C per i quali non ci sono vaccini che funzionino ma cure con i farmaci. Nel caso della pandemia, però, che si diffonde in modo totalmente diverso dalle altre malattie, è "indispensabile sviluppare una vaccinazione, non si blocca il Covid se non viene vaccinata tutta la popolazione. È per questo che bisognerebbe andare più veloci, altrimenti si dà la possibilità al virus di trovare altre strade per resistere. Bisogna metterlo in una condizione da non poter trovare più una via di fuga", conclude Clementi.

"Cosa sta circolando?" Anche Silvio Garattini è sulla stessa lunghezza d'onda: il vaccino pluricombinato è complicato perché "bisogna vedere quante varianti abbiano il sopravvento", ci dice, e non è una via così percorribile. L'esigenza più grossa, intanto, è quella di "fare una continua analisi del virus che circola: in gran Bretagna hanno sequenziato più di 130mila genomi, in Italia ne abbiamo fatti qualche migliaia, non sappiamo cosa circola, abbiamo identificato le varianti ma non quanto circolino, se in una piccola area o se è molto diffusa in tutta Italia. Se non sappiamo questo non sapremo cosa fare nè con i vaccini di prima nè con quelli di seconda generazione - ci dice lo scienziato - L'esigenza di avere vaccini si accompagna all'esigenza di sapere cosa circola veramente.

"Prudenza, non sappiamo cosa accadrà". "Ritengo importante che bisogna cercare di far presto e non dare alla gente l'impressione che abbiamo risolto il problema": è un appello chiaro quello dello scienziato, non bisogna cullarsi sull'idea che tra vaccini e monoclonali si sia risolto il problema ma bisogna basarsi sulle regole di protezione con mascherine, distanziamento, lavaggio delle mani ed evitare i luoghi affollati. "Guardandosi in giro sembra che questo sia diventato ciò che fa una parte della popolazione che si comporta come se non ci fosse niente, questo aggrava la situazione. Dobbiamo essere preparati, nessuno sa come si svilupperà la pandemia in futuro". Il Prof. Garattini denuncia soprattutto l'enorme ritardo nella vaccinazione ed è fondamentale che ne arrivino di nuovi "per le varianti attuali e quelle che potranno esserci nei prossimi mesi. È molto difficile che si possa raggiungere una immunità di gregge prima della fine dell'anno e, se guardiamo a tutto il mondo, probabilmente ci vorrà molto più tempo. Il vaccino è poco disponibile per i Paesi con basso reddito, dobbiamo prepararci a questo".

"È necessario un lavoro diverso". L'idea è di realizzare una catena di fabbriche pronte a sviluppare vaccini man mano che si rendono necessari, un programma europeo per tutti producendo di più di quanto fatto perché "la vaccinazione va fatta dappertutto, è quello che ragionevolmente si dovrebbe fare", ci dice. "Bisogna fare un lavoro di previsione che non abbiamo fatto in passato prenotando vaccini, dobbiamo evitare di rifare gli stessi errori, mettiamoci in una condizione di mettere a punto le cose che sono necessarie seguendo lo scenario più negativo, più sfavorevole. Se poi non si svilupperanno varianti che sono più dannose, tanto meglio", conclude.

Covid: il vaccino sarà spray. Valentina Arcovio su La Repubblica il 15 Febbraio 2021. La versione spray del vaccino. Nebulizzato o in pillole, con virus inattivato o a DNA: ecco tutti i candidati presentati all'Accademia delle Scienze a New York. In pillola o spray. Oppure stampati al bisogno o spediti per posta. Presto agli attuali vaccini anti-Covid in corso di somministrazione in tutto il mondo se ne aggiungeranno molti altri. Per certi versi più innovativi e, si spera, efficaci anche contro le varianti emergenti di Sars-CoV-2. E' il mondo che ne ha bisogno, non solo per la diffusione di nuove versioni del virus, ma anche per porre rimedio alle forti disuguaglianze nell'accesso ai vaccini e alle poche opzioni di vaccinazione per i bambini. I candidati più promettenti sono stati presentati in occasione di un incontro virtuale organizzato dall'Accademia delle scienze di New York. Finora, tutti i vaccini anti-Covid9 approvati sono iniettabili. La società biotecnologica Codagenix, a Farmingdale, New York, sta invece lavorando a uno spray nasale. Questa tecnologia utilizza una versione viva, ma indebolita, del coronavirus in grado di stimolare una risposta immunitaria. Tuttavia questo approccio viene guardato con scetticismo. “E' la forma di vaccino più efficace, è monodose, fornisce un'immunità ampia e robusta, ma la maggior parte delle persone lo considera rischioso per la sicurezza”, afferma Robert Coleman, Ceo di Codagenix. Il motivo principale sta proprio nel metodo di produzione. Questi vaccini vengono prodotti mediante un processo di “tentativi ed errori”, in cui il virus viene coltivato in cellule animali fino a quando non acquisisce abbastanza mutazioni da diventare innocuo per l'uomo. I virus in questi vaccini possono occasionalmente ritornare alla versione precedente e diventare quindi nuovamente pericolosi e possono iniziare a circolare tra le persone, innescando nuove ondate epidemiche. Tuttavia, Codagenix sintetizza il genoma del coronavirus a partire da zero e introduce mutazioni genetiche che indeboliscono il virus. Il virus indebolito può replicarsi lentamente e stimolare la risposta immunitaria, ma non è in grado di causare la malattia. Il team ritiene che il genoma sia così pesantemente modificato - ha 283 mutazioni rispetto al virus originale - che non vi è alcun rischio che torni a essere pericoloso. “La chiamiamo morte per mille tagli”, dice Coleman. Un vantaggio di questo approccio è che il sistema immunitario incontra il virus intero, quindi fornisce un'ampia risposta, che potenzialmente gli consente di essere più efficace contro le varianti, anche se su questo mancano ancora specifici test. Il vaccino viene somministrato in una singola dose con una spruzzata nel naso. Attualmente è in fase I di sperimentazione, ma nei piani sono previsti anche test sui bambini. In Francia, invece, la società Valneva ha sviluppato un vaccino basato sul virus intero inattivato, che non può replicarsi ma che induce comunque una risposta immunitaria. Convenzionalmente, questi virus vengono inattivati utilizzando sostanze chimiche o radiazioni ultraviolette. Il virus inattivato viene quindi purificato, concentrato e miscelato con una sostanza chiamata adiuvante, che potenzia la risposta del sistema immunitario. È una tecnologia promettente e già utilizzata in molti vaccini antinfluenzali. “Sono eccezionalmente sicuri”, afferma Thomas Lingelbach, Ceo di Valneva. Quindi il vaccino potrebbe essere somministrato a popolazioni vulnerabili come quelle a rischio di sviluppare una reazione allergica ad altri tipi di vaccino. Il prodotto di Valneva, che prevede due somministrazioni, è attualmente in fase di sperimentazione I / II. In programma ci sarebbero anche test sui bambini. Da Inovio Pharmaceuticals, invece, arriva un vaccino a DNA, diverso da quelli sviluppati e prodotti da Pfizer/BioNTech e Moderna. Quest'ultimi, infatti, utilizzano l'RNA messaggero (mRNA), che viene iniettato nelle cellule muscolari che, in questo modo, traducono il codice genetico dell'RNA e producono proteine virali che stimolano una risposta immunitaria. Nonostante entrambi i vaccini abbiano un'efficacia di circa il 95% contro le gravi forme di Covid-19, hanno degli svantaggi: devono essere mantenuti rigorosamente al freddo durante la distribuzione e non possono essere conservati a lungo una volta "scongelati". Il vaccino a DNA, come quello sviluppato da Inovio Pharmaceuticals, invece, non ha questo limite. Il siero sviluppato dalla società americana è composto da un frammento di DNA sintetizzato in laboratorio in grado d’indurre le cellule a produrre una proteina simile alla Spike, quella verso cui si vuole indurre la risposta immunitaria. I vaccini a DNA non hanno bisogno di essere refrigerati e possono essere conservati per un anno a temperatura ambiente e fino a 5 anni in frigorifero. Il vaccino di Inovio contiene solo DNA e acqua, quindi è anche meno probabile che provochi reazioni allergiche. Il vaccino a due dosi di Inovio è attualmente in fase di sperimentazione II. Un altro vaccino innovativo è quello di CureVac, in Germania. E' un vaccino mRNA diverso da quello di Pfizer-BioNTech e Moderna. Qest'ultimi utilizzano mRNA che è stato modificato chimicamente in modo da poter eludere le difese del sistema immunitario innato che altrimenti distruggere l'mRNA estraneo in quanto considerato minaccioso. La modifica viene effettuata aggiungendo nucleotidi sintetici, i mattoni dell'RNA, che non si trovano in natura. Tuttavia, queste modifiche “smorzano” l'immunità innata, la nostra prima linea di difesa che è anche indispensabile per l'immunità adattativa: gli anticorpi imparano a riconoscere il virus e i globuli bianchi chiamati cellule T lo distruggono. CureVac utilizza mRNA costituito da nucleotidi presenti in natura, stabilizzati in modo diverso. “Questo induce una forte risposta immunitaria innata e anche adattativa”, afferma Stefan Mueller di CureVac. L'azienda sta inoltre sviluppando una stampante portatile per mRNA, in collaborazione con Tesla, per produrre rapidamente mRNA. Queste stampanti potrebbero essere portate dove serve il vaccino per produrlo su richiesta. Il vaccino di CureVac è in fase di sperimentazione III. La società di biotecnologie Vaxart, con sede a San Francisco, propone invece una soluzione che rende inutile l'uso di siringhe e aghi, procedura che può rallentare la vaccinazione. Il suo vaccino, attualmente nelle prime fasi di sviluppo, è in pillola e potrebbe essere distribuito addirittura per posta. “Il vaccino viene da te”, dice Sean Tucker, direttore scientifico di Vaxart. Questa pillola contiene un adenovirus umano indebolito chiamato Ad5 caricato con geni del coronavirus - sia la proteina spike che la proteina nucleocapside, che forma il guscio del virus - più un adiuvante. Le compresse sono progettate per degradarsi nell'intestino tenue, stimolando una risposta immunitaria. I risultati di uno studio di fase I, annunciati durante l'incontro virtuale organizzato dall'Accademia delle scienze di New York, mostrano che la pillola induce una risposta dai linfociti T nel sangue e dagli anticorpi nel rivestimento del naso. Tuttavia, non ha prodotto anticorpi nel flusso sanguigno, sollevando dubbi sulla sua potenziale efficacia. Dalla Cina, precisamente dai laboratori della CanSino Biologics a Shanghai, è allo sviluppo un vaccino simile a quello di Oxford/AstraZeneca. Il CEO Xuefeng Yu ha detto alla conferenza che il vaccino è in fase di sperimentazione III. Il siero è già stato somministrato a più di 150mila militari cinesi senza che siano stati segnalati effetti negativi, sebbene non ci siano dati di efficacia perché ci sarebbero pochi casi in Cina. Nella sperimentazione sono stati coinvolti anche i bambini. Come parte dello studio di fase II, infatti, 30 bambini di età compresa tra i 6 e i 12 anni, provenienti da Tiazhou, nella provincia di Jiangsu, hanno già ricevuto due dosi. Yu dice che l'azienda sta ora analizzando i dati sulla sicurezza e l'efficacia. Nel frattempo la Global Coronavirus Vaccine Initiative (GCVI), istituita da Peter Hotez del Baylor College of Medicine di Houston, in Texas, e i suoi colleghi hanno un vaccino in fase di sperimentazione II in India “semplice e diretto”, dice Hotez. Il loro obiettivo è quello di portare il vaccino in ogni parte del mondo, soprattutto nei paesi poveri. Del resto, la stessa Organizzazione mondiale della sanità ha avvertito che la pandemia non finirà finché il mondo intero non sarà vaccinato. Il vaccino di GCVI contiene una parte vitale della proteina spike, coltivata in un lievito transgenico e mescolata con un adiuvante. Questo tipo di vaccino ha un ottimo “curriculum” ed è simile a un comune vaccino contro l'epatite B. Questi vaccini costano circa 3 dollari per due dosi. L'esperienza suggerisce che sarà adatto ai bambini. Il GCVI richiederà l'autorizzazione all'uso di emergenza in India entro pochi mesi e sta negoziando con i produttori in Africa, America Latina e Medio Oriente.

Da "agi.it" il 15 gennaio 2021. Alcune particolari condizioni, come la depressione, lo stress, la solitudine, potrebbero ridurre l'efficacia del vaccino contro Covid-19. Pubblicata sulla rivista Perspectives on Psychological Science, questa ipotesi è stata formulata dagli scienziati della Ohio State University, che hanno indagato sui possibili effetti collaterali di una serie di condizioni fisiche e mentali sulla somministrazione delle dosi immunizzanti. "I vaccini rappresentano uno dei progressi più efficaci nella storia della medicina - afferma Annelise Madison, ricercatrice presso la Ohio State University - perchè proteggono la società da un'ampia gamma di malattie altrimenti estremamente pericolose, come il vaiolo o la poliomielite. Ma è fondamentale garantire che la maggior parte della popolazione sia correttamente immunizzata per ottenere l'immunità di gregge". Il team ha analizzato la risposta anticorpale, uno degli aspetti del sistema immunitario adattativo, per valutare quali fattori possano influenzare la resa del vaccino. "I test hanno dimostrato che i vaccini per Covid-19 approvati per la distribuzione negli Stati Uniti sono altamente efficaci nel produrre una robusta risposta immunitaria - continua l'esperta - anche se qualcuno potrebbe non trarne pieno beneficio sin dall'inizio. Alcuni fattori ambientali, la genetica, la salute fisica e mentale di un individuo potrebbero indebolire il sistema immunitario del corpo, rallentando la risposta al vaccino". Oltre alle difficoltà fisiche legate alla pandemia, gli autori ribadiscono la significativa componente di salute mentale, responsabile di sentimenti quali ansia e depressione, che provoca una serie di situazioni spiacevoli associate a Covid-19. "I vaccini agiscono sul sistema immunitario - prosegue Janice Kiecolt-Glaser, direttrice dell'Istituto per la ricerca di medicina comportamentale presso la Ohio State University e autore senior della ricerca - per cui un ritardo nella risposta immunitaria potrebbe rendere meno efficace la procedura immunizzante". Tra i risvolti positivi della situazione, gli scienziati indicano l'elevata efficacia dei vaccini approvati e in via di somministrazione e la relativa semplicità con cui è possibile predisporre l'organismo a massimizzarne l'effetto. "Impegnarsi nell'attività fisica e dormire bene nelle 24 ore precedenti al vaccino - conclude Madison - sono comportamenti che riducono l'effetto negativo di una serie di condizioni psicologiche e fisiche che potrebbero altrimenti ritardare i benefici del vaccino. In questo modo possiamo fare in modo che la risposta anticorpale avvenga nel modo migliore e più tempestivo possibile".

Covid-19  e vaccini. Ogni giorno di ritardo nella somministrazione del vaccino contro il Covid-19 equivale a decine di aziende chiuse in più, a centinaia di morti in più, a migliaia di infettati in più, a milioni di reclusi in più.

Eppure nella sgangherata Italia si riesce a vaccinare una minima percentuale di persone, rispetto alle dosi già ricevute, e comunque dosi, di per sé, ritenute insufficienti rispetto alla popolazione.

Oltretutto, proprio nella operosa Lombardia leghista si frena nella vaccinazione, perché si pensa prima alle ferie dei sanitari.

Morire con il vaccino pronto è morire due volte. Giampiero Casoni su Notizie.it il 04/01/2021. Ci saranno i morti "più morti di tutti": quelli che se ne andranno quando c’è la "cura", ma non faranno in tempo ad averla, figli di una lentezza che davvero non capiamo. Piccolo preambolo tecnico mainstream: la regione Lombardia ha 10 milioni di abitanti e “conta”, in pia e lodevole intenzione, di vaccinare 140mila persone per febbraio. Ad oggi siamo nell’ordine del migliaio e bruscoli annessi dal V Day del 27 dicembre. Nel resto dello stivale non va certamente meglio e la regione col Pirellone è in bilancia solo per questioni di calibro territoriale con la nazione di Tel Aviv. Israele, che non è una regione ma uno stato, ha infatti circa 9 milioni di abitanti ed è più o meno nello stesso ordine di grandezza della Lombardia. Ha iniziato a vaccinare il 19 dicembre, otto giorni prima e ad oggi ha somministrato Pfizer a un milione di persone. Un milione di vaccinati su nove in 13 giorni, con una sanità gheparda che ha allibito il pianeta. Da noi i bollettini regionali pigolano come cardellini in fregola, con annesse foto da pastura social, ogni volta che 70/80 dosi arrivano a contatto di spalla di qualche decina di pazienti o camici bianchi. In tutto questo molti, troppi media con paturnie da angolo retto hanno messo in tacca di mira non la spaventosa lentezza con cui stiamo risolvendo il problema, ma gli scemi che il problema non lo vedono, cioè quei quattro disastrati terrapiattardi dei no vax. Perché fa più notizia l’elefante bianco della foresta che brucia, ovvio quanto sconcertante. Ergo, ci ritroviamo frames ed approfondimenti sul talebanesimo zen della Brigliadori o sul medico che non vuole vaccinarsi invece che botte di pungolo ai generali di una battaglia che non è ancora vinta. E le guerre, è bene ricordarlo, si vincono col Genio, oltre che con gli Incursori. Tutto questo per distrarre dal fatto che a noi non mancano i vaccini, né mancano le persone da vaccinare. Però mancano quelli che i vaccini li fanno e manca un piano di vaccinazione che prenda non dico il galoppo, ma almeno il trotto spinto, a cominciare dai software fino al personale che, non dimentichiamolo, ha anche la sanità ordinaria da gestire. Israele è un caso di eccellenza limite perché ha messo in moto l’esercito più organizzato del mondo e non ha frange radical chic che latrano ogni sei secondi di tagliare i fondi alla difesa. Tuttavia il dato è un altro: il 23 marzo in Israele si voterà e Netanyahu deve farsi bullo e bello per la bisogna, mettendo assieme necessità etica e di governo con opportunismo politico. Perché c’è poco da fare: un governo senza acqua alla gola e con ataviche tare logistiche è un governo tardo. E un governo tardo può creare, per fisiologica incapacità e non certo per volontà precisa, una forbice temporale fra la prima puntura e l’immunità generalizzata, cioè lo scampato pericolo a livello di sistema complesso, non di singole unità del medesimo. Una cosa che a casa mia sta fra tragedia e paradosso amaro. Perché in mezzo a quella forbice ci saranno i morti “più morti di tutti”: quelli che se ne andranno quando c’è la “cura”, ma non faranno in tempo ad averla. La stima a contare una immunità di gregge per novembre di quest’anno? Senza scalmane statistiche diciamo che fino ad allora molte centinaia di italiani moriranno perché la cosa che non li avrebbe fatti morire non è arrivata all’altezza della loro spalla. E in mezzo a quei mille sfigatissimi figli di una lentezza che davvero non capiamo, potenzialmente, c’è ognuno di noi.

Simona Ravizza e Lorenzo Salvia per il “Corriere della Sera” il 12 febbraio 2021. Settimana scorsa, Roma. Squilla il telefono di una funzionaria che lavora all'emergenza. La chiamata arriva dal Brasile: «I tamponi non li avete voluti, ora vedo che avete problemi con i vaccini. Io posso farvi avere almeno un milione di dosi. Interessa?». L'offerta riguarda AstraZeneca, autorizzato solo pochi giorni prima e che ieri, per inciso, l'Organizzazione mondiale della Sanità ha raccomandato anche per gli over 65. Il prezzo è trattabile, tra i 15 e i 20 euro a dose. Molto più alto di quello pagato dall'Ue, poco sotto i 2 euro. «No, grazie». Clic. Non c'è bisogno di scendere nel dark web per trovare il mercato parallelo dei vaccini. Domanda e offerta si incrociano o almeno si sfiorano all'ombra dei canali ufficiali. Perché non ci sono solo le Regioni che cercano forniture parallele, alla luce del sole. Ma anche intermediari più o meno misteriosi che si fanno avanti spontaneamente. Facile immaginare cosa potrà succedere quando il vaccino russo Sputnik arriverà a San Marino, che lo sta per comprare. All'ufficio del commissario all'emergenza Domenico Arcuri negli ultimi giorni sono arrivate tre mail da tre indirizzi diversi. Anche in questo caso venivano offerte forniture aggiuntive. Non solo AstraZeneca ma anche il più ricercato Pfizer. In una mail, in particolare, si parla della possibilità di avere «milioni di dosi in più». Anche in questo caso i prezzi sono sensibilmente più alti di quelli previsti dal contratto con l'Unione europea. Le mail non arrivano dalle case farmaceutiche, naturalmente. Ma da intermediari che, dopo un esame sommario, non sembrano proprio il massimo dell'affidabilità. Gli uffici del commissario hanno segnalato il tutto al Nas, il Nucleo antisofisticazioni dei carabinieri. C'è poi una variazione sul tema, raccontata in un servizio mandato in onda ieri notte da Piazza Pulita, su La7. A Milano l'8 febbraio il commercialista Alessandro Arrighi e l'imprenditore Luigi Crespi, con buoni agganci in Regione, vengono contattati da un intermediario. L'uomo, italiano, dice di avere una società in Italia e una in Svizzera. Offre AstraZeneca a 13 euro per fiala e Pfizer a 75 euro per fiala. I vaccini verrebbero consegnati alla società svizzera, che non è nell'Unione europea e quindi può muoversi come vuole. Per poi essere trasferiti in Italia. Ai due l'intermediario offre un compenso da 20 centesimi a fiala. L'affare non si fa, AstraZeneca nega che sia possibile. Anzi, invita a stare attenti alle contraffazioni, insomma ai vaccini falsi. Il governatore del Veneto Luca Zaia lo dice pubblicamente da giorni. La Regione cerca alla luce del sole forniture aggiuntive per accelerare la campagna. Un annuncio che, evidentemente, ha attirato l'attenzione. Qualche offerta è arrivata direttamente a lui, sul telefonino. Altre le hanno ricevute gli uffici della Regione. C'è anche - dicono i ben informati - un intermediario americano. Lo stesso è successo in Emilia-Romagna. In questo caso le offerte sono arrivate dall'Europa dell'Est. Qualche contatto c'è stato anche nelle altre Regioni che si sono messe in scia, seppur più timidamente, come il Friuli-Venezia Giulia e la Campania. Il mercato parallelo è un dato di fatto. Ma, intermediari oscuri a parte, se tutto è in regola si può fare? Il Veneto ha sempre detto di voler fare tutto a norma di legge. Agli uffici dell'Aifa è stata annunciata, anche se non è ancora arrivata, una lettera firmata da Luciano Flor, direttore generale della Sanità veneta. Quella lettera chiede formalmente l'autorizzazione a importare vaccini, in aggiunta e in parallelo alle forniture nazionali, che poi sono quelle contrattate dall'Unione europea. I contratti europei vietano agli Stati l'acquisto parallelo. Non alle Regioni attraverso le loro Aziende sanitarie. In gioco c'è la salute pubblica ed è difficile dire di no, anche per una questione di responsabilità. C'è un dettaglio, però, che non è un dettaglio. Se una Regione riuscisse a comprare per conto proprio un milione di dosi, quel milione di dosi potrebbe essere scalato dalla fornitura nazionale. Per capire: l'acquisto fatto dal Veneto per conto proprio, e a prezzi probabilmente più alti, finirebbe per aiutare le altre Regioni, che si spartirebbero quel milione di dosi nazionali «risparmiato». Ne vale la pena?

Giuseppe Liturri per "La Verità" il 2 febbraio 2021. Il tema della gestione dell'approvvigionamento dei vaccini ha mandato in subbuglio diverse capitali europee, e non solo, nell'ultimo fine settimana. Dublino, Londra e Belfast, Seul, Tokyo e Ottawa. Ma anche Bruxelles, Berlino e Parigi hanno vissuto momenti concitati. È infatti accaduto contro il Covid, ha pensato bene di mettere sotto controllo l'export di vaccini al di fuori della Ue. Prima un semplice obbligo di notifica, inasprito poi con un vero e proprio regime di autorizzazione preventiva. Peccato che tutto questo sia avvenuto toccando un nervo scoperto importantissimo nei rapporti tra Ue e Uk: la frontiera tra Belfast e Dublino, la cui apertura permanente era stato uno degli aspetti più critici dei negoziati conclusisi solo qualche settimana fa. La Commissione aveva intenzione di applicare i controlli anche a quella frontiera ed è riuscita a far arrabbiare tutti contemporaneamente e, se possibile, a peggiorare la situazione innescando una goffa retromarcia. Sui media stranieri, solitamente teneri con la Commissione - a partire da El Pais, seguito da Guardian, Telegraph e accompagnati da interventi su Bloomberg e sul Financial Times - è stato un coro di disapprovazione. El Pais titolava sulla «credibilità della von der Leyen che si incrina», sempre sul quotidiano spagnolo il commentatore Wolfgang Munchau ha intonato un de profundis per la Ue che «all'inizio faceva alcune cose buone. Adesso ne fa molte male». Secondo Munchau, la volontà di intestarsi la fase delle trattative, degli acquisti e della distribuzione ha fatto andare in sovraccarico la Ue, in quanto del tutto impreparata - dal punto di vista istituzionale e dei meccanismi di governo - a farsi carico di tale compito. La complessità dei meccanismi legali e istituzionali della Ue si è rivelata inidonea alla gestione di un progetto in cui il tempo è fattore scarso e, per tale motivo, determinante. E quando un motore è su di giri rischia di esplodere, ha chiosato Munchau, facendo riferimento all'unione monetaria, che condivide con la vicenda dei vaccini le stesse difettose regole di governo. Nella giornata di ieri, come riportato da Bloomberg, hanno cominciato a volare anche gli stracci all'interno della Commissione. Infatti il portavoce della presidente, Eric Mamer, ha dichiarato alla stampa che la gestione del dossier, e quindi l'affannoso dietro front sul tema dei controlli alle frontiere, era di competenza del vice presidente esecutivo Valdis Dombrovskis. Il quale si è difeso parlando di una risposta all'emergenza sanitaria creatasi nell'Unione. Risposta che si è rivelata un infortunio politico di notevole portata che ha messo ha nudo tutti i difetti dell'assetto istituzionale e dei meccanismi di governo della Ue. Il confronto con il Regno Unito si è mostrato impietoso, al punto che perfino un quotidiano come il Guardian, non certo tenero con il premier Boris Johnson, sabato scorso ha raccontato con dovizia di particolari la lunga corsa cominciata già a fine gennaio, mentre da noi eravamo ancora ad «abbraccia un cinese». Giovedì 30 gennaio 2020 gli scienziati della Università di Oxford erano già riuniti a discutere del vaccino. I motivi che hanno portato i britannici a somministrare 12,5 dosi ogni 100 abitanti, contro 2,5 della Ue e gli 8,8 degli Usa, sono riassumibili in una sigla ed un nome e cognome: Vtf (Vaccine task force) e Kate Bingham nominata al vertice da Johnson già a fine aprile. Col risultato che l'ordine firmato ad Oxford Astrazeneca reca la data del 17 maggio, mentre la Ue ci è arrivata ad agosto. Tre mesi di vantaggio. Ma ancor prima della nomina della Bingham, l'industria farmaceutica inglese aveva compiuto passi da gigante nell'ampliamento della capacità produttiva necessaria per la produzione di vaccini su una scala senza precedenti. La squadra della Bingham aveva con sé il meglio delle competenze scientifiche, organizzative, militari e, soprattutto, tanto denaro. Basti pensare che il Regno Unito ha potuto pagare alle case farmaceutiche a fondo perduto, senza obbligo di risultato, ben 1,9 miliardi di euro, contro 1,78 della Ue e 9 miliardi degli Usa. Ma la complessità decisionale ha avuto un ruolo determinante per l'accumularsi del ritardo della Ue. La Presidente ha fatto un'enorme fatica per mettere d'accordo 27 Paesi, tra i quali non tutti concordavano sulla necessità di sborsare somme così rilevanti. Nel mentre, l'orologio continuava a correre. Ieri pomeriggio è addirittura intervenuta la Cancelliera tedesca Angela Merkel in una videoconferenza con i top manager delle case farmaceutiche, la von der Leyen stessa e i leader regionali tedeschi. La Ue ha pure avuto la sfortuna di puntare sul cavallo sbagliato (Curevac) mentre Astrazeneca si è rivelata ex post la scelta forse più azzeccata. Ai britannici non sarà sembrato vero di assistere già nei primi mesi post Brexit alla più plastica dimostrazione dei vantaggi dell'agilità e della speditezza del processo decisionale, al confronto di una Ue malata di «comitatologia». «Ci vuole un grande pennello, non un pennello grande», era il motto di un famoso spot pubblicitario dei primi anni '80.

E L'ITALIA VA AVANTI LENTA: SU CENTO DOSI PRONTE SOLO SETTE GIÀ INIETTATE. Corrado Zunino per “la Repubblica” il 2 gennaio 2021. Più che una falsa partenza, nel Paese a organizzazione variabile, questo è un falso arrivo. Le dosi per le vaccinazioni c' erano, come annunciato. Sono atterrati gli aerei gialli della Dhl e i camion militari di scorta ai van frigorifero sono arrivati ai 203 ospedali. Era stato allestito da giorni il grande hub italiano, a Pratica di Mare. C'era, ecco, il Piano di Arcuri per il reperimento e la consegna dei vaccini Pfizer anti Covid, l' ultimo piano affidato al manager pubblico dopo quello per le mascherine chirurgiche, i banchi monoposto, gli stantuffi delle siringhe. Poi, però, mancavano i medici vaccinatori nelle residenze sanitarie e il personale tutto negli ospedali, quello che doveva vaccinare e quello che doveva essere vaccinato. Era rarefatto, come accade a ogni fine anno. Sono stati un "routine day" d' ospedale, la notte e il giorno che hanno ruotato attorno al Capodanno: turni contingentati e pochi abilitati a vaccinare. Un giorno di routine dopo il V-Day, la passerella di domenica 27 dicembre. La partenza delle vaccinazioni nelle prime 48 ore non è stata falsa o lenta ovunque. Nell' Italia a organizzazione variabile, su 469.950 dosi a disposizione, negli ultimi due giorni, ne sono state usate - dato di ieri sera alle 23 - 35.850. Il 7,6 per cento, in media, nel Paese. Il problema è che in Friuli Venezia Giulia e nella Provincia autonoma di Bolzano siamo sopra il 16 per cento dei vaccini consegnati e iniettati. Nel Lazio poco sotto. In Calabria, Basilicata, Valle d' Aosta, nella Provincia di Trento e nel Molise viaggiamo, invece, attorno al 2 per cento. In Sardegna all' uno e sei. Anche in Lombardia, la regione più colpita dalla pandemia e crudelmente messa a nudo nei suoi deficit sanitari, la percentuale di vaccini utilizzati nei primi due giorni è stata del 2,6 per cento. La Sicilia ha una distanza stridente tra la disponibilità e l' utilizzo. Domenico Arcuri, lo sbroglia-rogne del governo Conte, si dice comunque soddisfatto, ricorda che il 27 scorso sono state consegnate 9.750 dosi di Pfizer «e sono state interamente somministrate». Ma quello era il Vip day, le iniezioni al governatore De Luca e a pochi prescelti. Quando la campagna è diventata di massa, dalla mattina di giovedì 31 appunto, al vaccino non ha corrisposto il vaccinato. C' è un problema generale di produzione industriale in tutta Europa e di ritardi nella consegna. Il capo della startup tedesca BioNTech, che produce le dosi con Pfizer, ha avvertito: «Da soli non riusciremo a coprire il fabbisogno». Ma a questa emergenza mondiale, da noi le prime 48 ore hanno aggiunto una questione specifica di organizzazione di base, in diversi ospedali e diverse residenze per anziani. Pierpaolo Sileri, viceministro della Salute, prova a spiegare. «È davvero presto per dire che la partenza sia stata lenta. Certo, colpisce che in Germania siano state iniettate 165 mila dosi e in Israele un milione di persone siano state già immunizzate, ma è pure vero che la campagna vaccinale è iniziata da due giorni». Altri Paesi europei, Grecia e Francia, per esempio, hanno numeri inferiori ai nostri. «Io stesso», continua Sileri, «ho rimproverato una responsabile del Pio Albergo Trivulzio di Milano quando ha spiegato che le 1.500 dosi arrivate alla struttura il giovedì sarebbero state utilizzate solo il lunedì successivo». Diversi ospedali italiani hanno fatto questa scelta conservativa, non hanno approntato turni speciali, «ma griderò allo scandalo solo se il 6 gennaio le 469.950 dosi della prima settimana non saranno state usate tutte». È probabile che questi numeri bassi continueranno oggi e domani, sabato e domenica. Uno dei motivi per cui ci sono differenze così larghe tra le regioni, spiegano al ministero, è dovuto al fatto che giovedì 31 e venerdì 1 risultavano sguarnite soprattutto le amministrazioni ospedaliere e probabilmente non tutti i dati sono stati inseriti: «Quei trentaseimila vaccinati sono sottostimati», dice Sileri citando gli affanni dell' organizzazione sanitaria in Calabria. In questa fase iniziale, l' 85,5 delle vaccinazioni è andata agli "operatori sanitari e sociosanitari": sono 31.716 in tutto. Ma quando i turni in ospedale torneranno a essere pieni, diventerà chiaro il problema della mancanza dei vaccinatori. La Sicilia, ad esempio, ha solo 345 abilitati, ne servirebbero 1300. E i frutti del bando per 15 mila nuove figure specializzate allestito sempre da Arcuri, si vedranno solo a febbraio.

Umberto Rapetto per infosec.news il 3 gennaio 2021. Il Commissario straordinario per l’emergenza Covid-19 – come si legge nel titolo di La Repubblica e su tanti altri quotidiani – ribadisce l’ambizioso obiettivo di 65mila vaccinazioni al giorno. Si potrebbe pensare che la maestra oppure il professore cui competevano le materie scientifiche siano morti prima della fine dell’anno scolastico e non abbiano avuto modo di ultimare il programma didattico nonostante che a quei tempi veniva svolto “in presenza”. Non conosco la scuola elementare (o “primaria” come ci piace chiamarla oggi) frequentata dal dottor Domenico Arcuri nella sua infanzia e tanto meno ho notizie della salute e della sorte dell’insegnante che gli ha dato i primi rudimenti con la non sempre digeribile arte del calcolo. Ho ben presente, però, il liceo in cui “der Kommissar” ha conseguito la maturità, perché alla “Nunziatella” di Napoli ci sono stato anch’io qualche anno prima. Non ho avuto notizia di eventi luttuosi che abbiano segnato tra il 1978 e il 1981 la vita della Scuola Militare privando lo storico istituto con radici borboniche di un suo professore di Matematica e Fisica. Debbo quindi escludere che la ridotta dimestichezza con le moltiplicazioni e le divisioni sia da imputare al mancato completamento del corso in quella materia. Proviamo umilmente a spiegare a chi ha in mano il nostro destino che la sua stima non combacia con le promesse di “immunizzare” l’Italia entro la fine del 2021. Procediamo con calma così da aiutare anche chi non è dotato di un pallottoliere o di una “app” equivalente. Per agevolare i conteggi immaginiamo la cifra tonda di 60milioni di vaccinandi nel nostro Paese. Se prendiamo 60.000.000 e lo dividiamo per 65.000, scopriamo che quest’ultima cifra “sta” nella precedente 923 volte. Il risultato è 59.995.000 che andiamo a mettere in colonna e, sottraendolo, ci si accorge che ci dà un resto di 5.000. A voler esser tignosi si potrebbe dire che dedicando la massima ostinazione si apprende che il risultato finale è 923,0769 con l’avanzo di altre briciole di decimali. Siccome – reduci dalle festività trascorse con bollettini sanitari e previsioni di colorazioni regionali al posto di mortaretti e cotillons – siamo tutti più buoni, immaginiamo che i giorni occorrenti (salvo imprevisti, ovviamente) sono 923. Se si comincia la somministrazione di 65 mila dosi oggi e non si smette mai – nemmeno nei festivi – con questo ritmo fino all’ultimo giorno, la parola “fine” alla campagna di vaccinazione è prevista per il 15 luglio 2023. Chi vuole ripetere il calcolo e si vuol fare aiutare da Excel, scriva nella prima cella 3 gennaio 2021, in quella subito sotto “923”, nella terza “=A1+A2”…Nella cella A3 comparirà il risultato. Senza imprevisti, ovviamente.  

Fonti Lega, frasi Gallera non rappresentano Lombardia. (ANSA il 3 gennaio 2021) "Le dichiarazioni dell'assessore Gallera non sono state condivise e non rappresentano il pensiero del governo della Lombardia. Non possono comunque essere strumentalizzate dal governo Conte per accusare la Lombardia di ritardi nella campagna vaccinale". Lo sottolineano fonti della Lega.

Bufera per la frase sui vaccini. La Lega si dissocia da Gallera. Il Carroccio gela l'assessore: "Le dichiarazioni di Gallera non sono state condivise, non rappresentano la Lombardia". Federico Giuliani, Domenica 03/01/2021 su Il Giornale "Le dichiarazioni dell'assessore Gallera non sono state condivise e non rappresentano il pensiero del governo della Lombardia. Non possono comunque essere strumentalizzate dal governo Conte per accusare la Lombardia di ritardi nella campagna vaccinale". Queste sono le inaspettate parole rilasciate da non meglio specificate fonti della Lega in merito alle recenti esternazioni di Giulio Gallera sulla campagna di vaccinazione portata avanti dalla Lombardia.

Le parole di Gallera. L'affondo leghista, registrato da tutte le agenzie, arriva come una sorta di fulmine a ciel sereno. Ma, soprattutto, arrivano dopo l'intervista rilasciata dall'assessore al Welfare della Regione Lombardia al quotidiano La Stampa. In quell'occasione, a proposito del ritardo nella somministrazione dei vaccini nel territorio lombardo, Gallera aveva dichiarato: "Abbiamo medici e infermieri che hanno 50 giorni di ferie arretrate. Non li faccio rientrare in servizio per un vaccino nei giorni di festa". Una posizione netta, un concetto forse troppo diretto, che probabilmente non è piaciuto ad alcuni esponenti del Carroccio. "Ci avevano detto che i vaccini sarebbero arrivati a metà gennaio, poi il 4 gennaio. E noi - aveva sottolineato Gallera - ci siamo organizzati per quella data. Solo nelle strutture sanitarie pubbliche ci sono 120 mila dipendenti. Non ci si può improvvisare, abbiamo preparato un'agenda. Il 31 era l'ultimo giorno dell'anno, poi ci sarebbero stati tre giorni di festa". Infine la promessa, di raggiungere l'obiettivo in tempo, nonostante i nodi ancora da sciogliere: "Assicuro tutti che faremo in tempo, nei tempi previsti. La vaccinazione è una priorità. E il 17 gennaio iniziamo con i richiami per chi ha avuto una prima somministrazione". Fonti leghiste, a quanto pare, hanno voluto chiarire la posizione del proprio partito sulla vicenda.

Nell'occhio del ciclone. L'uscita di Gallera, con la conseguente precisazione della Lega, hanno scatenato una mezza tempesta intorno all'assessore. In prima fila gli esponenti del Partito Democratico. "La Lega fa sapere che Gallera non rappresenta il governo della Regione Lombardia. Finalmente lo dice anche la Lega: Gallera dimettiti!", ha scritto su Twitter la deputata dem Lia Quartapelle, capogruppo Pd il commissione Esteri alla Camera. "Non meglio specificate fonti della Lega - ha invece commentato il deputato dem Emanuele Fiano, della Presidenza del Gruppo Pd alla Camer - scaricano per l'ennesima volta l'assessore alla Sanità della Lombardia, Giulio Gallera. Lo fanno dopo che lo stesso, investito dalle critiche per il bassissimo livello di vaccinazioni effettuate nei primi giorni della campagna vaccinale, che pone la Lombardia in fondo alla classifica italiana, ha replicato arrampicandosi sui vetri". Fiano ha inoltre sottolineato che "sfiduciare l'assessore che per i lombardi ricopre il ruolo più importante in questa fase, per di più con una dichiarazione anonima, rende ancora più paradossale e confusa la situazione". "La Lega sia chiara, stanno scaricando Gallera?", ha concluso lo stesso Fiano.

Stefano Landi per il “Corriere della Sera” il 3 gennaio 2021. Fa discutere, a tratti già litigare, la corsa al vaccino. Intesa questa volta come la graduatoria delle vaccinazioni fatte da ogni Regione al netto delle (poche) dosi di Pfizer già recapitate. Così monta la prima polemica, quella di chi accusa la Lombardia di falsa partenza. La discussione gira intorno a quel 3 per cento di somministrazioni già eseguite rispetto alle 80.595 mila dosi a disposizione. Con l'opposizione locale, che per voce di Pd e 5 Stelle, grida all'ennesima brutta figura. E con l'assessore al Welfare lombardo Giulio Gallera costretto a una replica che non pensava di dover tirar fuori a poche ore dal semaforo verde della campagna: «Chi utilizza delle graduatorie riferite a tre giorni, di cui uno festivo, per continuare a cavalcare polemiche pretestuose, dimostra assenza di responsabilità istituzionale e politica». E annuncia da domani il primo vero cambio di passo: «La nostra agenda prevede almeno 10 mila vaccinazioni al giorno. Un numero che, con tutte le strutture a regime, potrà salire in questa prima fase tra personale medico e ospiti di Rsa fino a 15 mila». Per spiegare le verità che stanno nel mezzo bisogna partire dalla distribuzione dei primi lotti di Pfizer. Che non sono arrivati a destinazione tutti insieme, come da prima ipotesi, ma frazionati. La Lombardia, che essendo la regione più popolosa si prepara ad affrontare la profilassi più ampia, ha optato, a differenza di altre Regioni, per una distribuzione su 65 hub, anche se solo 34 ricevono direttamente da Pfizer le consegne. Una strategia che pagherà nel lungo periodo, ma che non ha favorito il ritmo dei primi giorni. Ma come mai, sempre stando alla graduatoria del sito che in tempo reale aggiorna la progressione delle somministrazioni, la Lombardia ha eseguito solo il 4 per cento dei vaccini già inoculati in Italia? Qui bisogna fare i conti con il calendario. Il piano originario, al netto dei ritardi di consegna, dovuti anche al maltempo, prevedeva di aprire l'agenda dal 4 gennaio. «Una scelta ponderata, motivata anche dal fatto che nei giorni delle festività parte del personale ha goduto di un sacrosanto riposo, visto che dal mese di febbraio, come in nessun altra regione italiana, è sotto pressione per la violenza con cui il virus ha colpito il nostro territorio», aggiunge Gallera. Troppo complicato modificare i turni del personale per guadagnare un paio di giorni, con il rischio di imballare ospedali ancora sotto pressione con quasi 4 mila ricoverati Covid, fra rianimazioni e altri reparti. La prova del nove si avrà nei prossimi due-tre giorni, contando che si vaccinerà a pieno ritmo anche il giorno dell'Epifania e l'adesione è stata quasi ovunque intorno al 90 per cento. Al Pirellone sono certi non solo di stare nella scadenza complessiva di fine febbraio della prima fascia di popolazione, ma anche di balzare ai vertici della graduatoria regionale nel giro di pochi giorni. Per ora si è scelto di rodare la macchina vaccinando primari e capi reparto. «Ci sarà da abituarsi all'idea che le date di consegna ballano e balleranno - conclude il responsabile operativo della campagna vaccinale in Lombardia Giacomo Lucchini -. Bisognerà essere bravi a rendere elastiche le agende senza perdere ritmo».

Fabio Poletti per “La Stampa” il 3 gennaio 2021. Lombardia al 31 dicembre fanalino di coda tra le regioni per numero di vaccinazioni anti Covid effettuate: solo 2.446, appena il 3% dei primi 80 mila vaccini a disposizione. Ma l'assessore alla Sanità lombardo Giulio Gallera non ci sta: «Agghiacciante una simile classifica. Per non parlare di quelle regioni che hanno fatto la corsa per dimostrare di essere più brave di chissà chi. Noi siamo una regione seria. Partiamo domani con 6000 vaccinazioni al giorno nei 65 hub regionali. I conti facciamoli tra 15 o 20 giorni». Il commissario lombardo ai vaccini Giacomo Lucchini guarda ancora più avanti: «Abbiamo la capacità in Lombardia di arrivare a 10 mila vaccinazioni al giorno, anche 13 mila con le Rsa. Garantiamo che a fine febbraio saranno vaccinate 340 mila persone, tra personale sanitario e Rsa. A Brescia abbiamo adesioni al 94%, la media è 75-80%».

Dunque assessore Giulio Gallera, Regione Lombardia è pronta. Ma perché solo 2171 vaccinazioni il 31 dicembre?

«Ci avevano detto che i vaccini sarebbero arrivati a metà gennaio, poi il 4 gennaio. E noi ci siamo organizzati per quella data. Solo nelle strutture sanitarie pubbliche ci sono 120 mila dipendenti. Non ci si può improvvisare, abbiamo preparato un'agenda. Il 31 era l'ultimo giorno dell'anno, poi ci sarebbero stati tre giorni di festa. Abbiamo medici e infermieri che hanno 50 giorni di ferie arretrate. Non li faccio rientrare in servizio per un vaccino nei giorni di festa. Ma assicuro tutti che faremo in tempo, nei tempi previsti. La vaccinazione è una priorità. E il 17 gennaio iniziamo con i richiami per chi ha avuto una prima somministrazione».

Prima i sanitari.

«Sì ma non tutto il personale di un reparto. Non possiamo correre il rischio di bloccare una struttura se ci fosse qualche reazione allergica. Anche questo weekend sono state fatte delle vaccinazioni. Ma per noi si parte il 4 gennaio. Iniziamo con 6 mila vaccinazioni al giorno, poi andremo a crescere nel numero in tutti i 65 hub lombardi. Naturalmente dobbiamo vedere quanti vaccini ci verranno mandati. Iniziamo con il personale sanitario, poi gli anziani ospiti delle Rsa, i più fragili e infine per fasce di età. Nelle Rsa stiamo facendo un lavoro capillare tra operatori e pazienti. Abbiamo per gli anziani ospiti il problema di tutori e famigliari».

La Lombardia ha 10 milioni di abitanti. Quanti ne volete vaccinare? Ma soprattutto, arriveranno i vaccini per tutti?

«Su quest' ultima domanda il tema è del governo. Ci fidiamo del governo quando ci ha detto: "Vaccinateli tutti". È una responsabilità precisa. Adesso riceviamo 80 mila vaccini a settimana da Pfizer-Biotech. Aspettiamo che Ema l'agenzia europea per il farmaco mercoledì validi il vaccino Moderna. Poi aspettiamo tutti gli altri».

Quanti ne serviranno per la Lombardia?

«Gli esperti ci dicono che l'immunità di gregge si raggiunge quando il 70% della popolazione è vaccinata. Ma già al 30% gli scienziati ci assicurano che c'è una riduzione dei contagi».

A livello nazionale si stanno cercando 3 mila medici e 12 mila infermieri per somministrare il vaccino. Basteranno i 65 hub per vaccinare tutti?

«Qui abbiamo già trovato altri 600 siti esterni, palazzetti dello Sport, centri civici... Basta che arrivino i vaccini, in tempo e correttamente».

In che senso?

«Pfizer in alcuni hub ha consegnato zero vaccini, in altri il doppio. Sono cose che ci possono stare in questa situazione, ma ci ha costretto a rimodulare le consegne».

Problema siringhe: vi siete lamentati perché centralmente non sono state fornite quelle da 1 cc., più adatte per le dosi.

«Vero, ma capisco che sia un momento complicato per tutti. Abbiamo chiesto alle strutture sanitarie lombarde di sopperire con i propri mezzi».

Un privato cittadino come fa a sapere che è il suo turno?

«Ci saranno call center, il sito della Regione, stiamo incrociando i dati tra codice fiscale e cellulare per mandare un sms. E se serve potremo utilizzare anche l'app Immuni per mandare un messaggio».

Il 7 si torna a scuola? La Lombardia torna gialla?

«La valutazione tocca all'Istituto Superiore di Sanità. I dati in Lombardia oggi sono migliori anche se c'è stata una piccola crescita per le feste. Siamo la quarta regione dopo Veneto, Lazio e Campania. Sulla scuola vedremo, magari gradualmente, all'inizio solo il 50% in presenza. La situazione è migliorata ma va tenuta sotto controllo».

Maurizio Belpietro per "la Verità" il 24 febbraio 2021. Spesso le persone mi chiedono come faccia a rimanere calmo durante trasmissioni televisive in cui alcuni ospiti dicono palesi stupidaggini. Ogni volta rispondo che l'imperturbabilità è una dote di famiglia, ma anche a me qualche volta capita di non riuscire a restare impassibile. L'altra sera, nel programma di Barbara Palombelli, trovandomi davanti un senatore del Pd con l'aria di voler impartire lezioni nonostante abbia molto da imparare, non mi sono trattenuto. Avevo appena finito di spiegare i ritardi nella campagna vaccinale, quando con l'aria del maestrino della penna rossa Antonio Misiani ha cominciato il suo intervento invitandomi a informarmi meglio. Ora, si dà il caso che, a differenza di molti politici, io prima di partecipare a qualsiasi trasmissione chieda quale sia l'argomento di cui dovrò parlare e, se non ho conoscenza della materia, occupo qualche ora del mio tempo a leggere e documentarmi. Nel caso in questione, mi ero appena riletto i dati delle vaccinazioni nel nostro Paese, confrontandoli con quelli di altri e scrivendone un editoriale sulla Verità. I numeri erano impietosi, perché dall'iniziale vantaggio accumulato nelle prime settimane di inoculazione, abbiamo via via rallentato, fino addirittura a essere sotto la media europea. Ovviamente questo Misiani non lo sapeva, ma siccome doveva difendere l'operato del governo di cui fino al 13 febbraio ha fatto parte, ossia quello di Giuseppe Conte, voleva sostenere che con lui e i suoi compagni alla guida del Paese era filato tutto a gonfie vele e per questo si è messo a cianciare di percentuali pubblicate su un sito internazionale. Beh, non c'è bisogno di scomodare database stranieri, perché è sufficiente consultare quello fatto dal Sole 24 Ore per ottenere le informazioni necessarie e ogni lettore, se lo desidera, può verificare. Dal canto mio, i numeri e le percentuali le conosco a memoria e so che molti Paesi europei stanno facendo meglio dell'Italia, per non parlare poi di altri che stanno fuori dalla Ue. A Misiani ho citato la Spagna, la Polonia, i Paesi scandinavi, la Serbia, la Slovenia eccetera, ma il senatore non pareva convinto. Sarà dunque il caso di riassumere. Ieri l'Italia aveva vaccinato 3,6 milioni di persone, 2,3 milioni con una sola dose e 1,3 milioni con la seconda. In pratica, il 5,97% della popolazione. Per capire come siamo messi è sufficiente dare un'occhiata ad altri Paesi. In Israele è stato vaccinato l'87% della popolazione, negli Emirati Arabi Uniti il 56%, nel Regno Unito il 27%, negli Stati Uniti il 19,19%, in Cile il 15,66%, in Serbia il 14,5%, in Turchia l'8,11%, in Romania il 7,32%, in Svizzera il 7,07%, in Norvegia il 7,18%, in Marocco il 6,98%. Tralascio le isole e le piccole comunità, perché i numeri sono poco significativi, ma nel caso dei Paesi che ho citato parliamo di milioni di persone: 64 in America, 18 in Gran Bretagna, 7,5 in Israele, 6,8 in Turchia, 5,5 negli Emirati, 2,5 in Marocco. Metto i valori assoluti per farvi capire che non siamo di fronte a poche migliaia di vaccinati, ma a numeri importanti, che richiedono una vera e propria mobilitazione delle strutture sanitarie e d'emergenza di una nazione. Di fronte a queste cifre, qualcuno potrebbe obiettare che stiamo parlando di Paesi extra Ue, che hanno potuto comprare i vaccini pagandoli e somministrandoli come volevano, senza cioè seguire le indicazioni - e soprattutto gli errori - di Bruxelles. Vero. Tuttavia, davanti a noi con le inoculazioni non ci sono solo nazioni extraeuropee, ma anche quelle che fanno parte dell'Unione. Alcuni esempi per il senatore Misiani? Eccoli. La Danimarca ha già vaccinato l'8,57% della popolazione, la Romania il 7,32%, la Polonia il 7,29%, la Lituania il 7,13%, la Slovacchia il 7%, la Grecia il 7%, la Slovenia il 6,94%, l'Ungheria 6,86%, l'Estonia il 6,69%, il Portogallo il 6,67%, l'Irlanda il 6,9%, la Spagna il 6,61%, la Finlandia il 6,57%, la Germania il 6,23%. La media dei Paesi Ue è pari al 6,05% e l'Italia è, come dicevo, al 5,97%. Peggio di noi fanno solo la Francia, la Repubblica Ceca, i Paesi Bassi, l'Austria e la Croazia. E tralascio Malta, che sta al 14,5% per l'esiguità dei numeri. Ecco, questi sono i dati che, lunedì sera in tv, Misiani ha dimostrato di non conoscere. Tuttavia, con la spocchia e il complesso di superiorità che contraddistingue la sinistra, mi ha invitato a informarmi. Lo so, nei talk show, non bisognerebbe accavallare le voci, perché altrimenti a casa gli ascoltatori non capiscono che cosa si dice. Ma ne ho le tasche piene di politici che, oltre a ignorare i fatti, si presentano nelle trasmissioni con l'aria arrogante di chi può impartire lezioni. Di sciocchezze e balle nell'ultimo anno ne ho sentite troppe e non ne posso più di sopportare l'esibizione televisiva dell'esercito di incompetenti che affolla gli studi televisivi.

(ANSA il 26 febbraio 2021) - "Noi dobbiamo esigere che le case farmaceutiche rispettino quanto avevano promesso. Forse qui c'è stata da parte della Commissione una sottovalutazione di quanto le promesse delle case farmaceutiche avrebbero potuto dimostrarsi non attendibili del tutto". Lo ha detto il commissario all'economia Paolo Gentiloni parlando a Radio Anch'io.

Da corriere.it il 25 febbraio 2021. Il virologo Roberto Burioni attacca Sandra Gallina, direttrice generale alla Salute della Commissione nella Ue: «A sinistra - scrive Burioni sui social pubblicando due cv - la persona che ha trattato per l’acquisto dei vaccini per l’UE. A destra la persona che ha trattato per l’acquisto dei vaccini in UK. Trova le differenze». Nella foto, a sinistra si vede il cv di Sandra Gallina, a destra una presentazione di Kate Bingham. Gallina, friulana, è stata chiamata d’urgenza da Von der Leyen in estate per negoziare i contratti dei vaccini con le case farmaceutiche, dopo aver avuto un ruolo di primo piano nel concludere il trattato di libero scambio con l’America Latina (Mercosur). Burioni, in un altro post, insiste nel suo attacco: «La funzionaria che ha condotto la trattativa dell’EU per i vaccini è laureata alla scuola interpreti e ha avuto a che fare per la prima volta con la sanità nel luglio 2020. Prima si occupava di agricoltura e pesca. Non è questa l’EU che voglio».

Francesco Malfetano Diodato Pirone per "Il Messaggero" il 2 marzo 2021. Perché le vaccinazioni vanno a rilento? E come mai alcune Regioni sono rimaste molto indietro nelle somministrazioni rispetto ad altre che invece filano come treni? Per orientarsi nella giungla della campagna vaccinale bisogna fissare un paletto. «Purtroppo nella Sanità italiana impera la cultura del cavillo, tutti si riparano le spalle e nessuno prende decisioni semplici e pratiche come hanno fatto gli inglesi», spiega l'epidemiologo Pier Luigi Lopalco, assessore alla Sanità della Puglia. Proprio la cultura del cavillo ha creato una enorme confusione intorno al vaccino AstraZeneca di cui da metà febbraio sono arrivate in Italia 1,5 milioni di dosi (463.000 venerdì notte) delle quali solo 332.000 (il 22% del totale) risultavano somministrate al pomeriggio di ieri. Che cosa è successo? «Il problema con AstraZeneca - confida uno dei tecnici della Stato-Regioni che ha seguito da vicino la parabola della campagna vaccinale - è nato con la decisione iniziale di vincolare il vaccino solo a persone che avevano meno di 55 anni». Una decisione presa dall'Aifa (l'Agenzia che controlla i farmaci) spaccando in quattro il capello dei casi sperimentati da AstraZeneca prima dell'approvazione del vaccino arrivata il 15 febbraio. «Quel limite dei 55 anni che invece era di 65 anni in Germania e che non è mai esistito in Gran Bretagna ha fatto saltare molti piani organizzativi - spiegano allo Stato-Regioni - Che senso ha vaccinare i professori di una scuola fino a 55 anni lasciando in balia del Covid-19 un loro collega di 56 anni?». Di fatto le Regioni mentre iniziavano a protestare col ministero della Sanità si sono fermate. Rimettendosi in moto solo dieci giorni dopo quando l'Aifa ha rivisto le carte e ha alzato a 65 anni il limite per la somministrazione dell'AstraZeneca, limite che peraltro probabilmente salterà nei prossimi giorni. «Le campagne vaccinali - spiega Lopalco - si fanno come abbiamo fatto fra novembre e dicembre con il vaccino anti-influenzale: nessuno conosce la marca dei vaccini anti-influenzali che sono stati somministrati a manetta». Uno scenario che mentre è già visibile con i vaccini Pfizer e Moderna (con i quali ormai si viaggia alla velocità di oltre 100.000 somministrazioni al giorno) per l'AstraZeneca è ancora un miraggio. Sapete a domenica scorsa quanti AstraZeneca aveva usato la Basilicata: zero. E le Marche? 82. E la Sardegna? Meno di 4.000. Briciole. Alla difficoltà di selezionare i vaccini infatti si aggiunge la disorganizzazione endemica dei sistemi sanitari di alcune Regioni. «Alcune strutture già fragili - assicurano sempre alla Stato-Regioni - all'improvviso si sono dovute confrontare con l'organizzazione di due canali vaccinali, uno per Pfizer e Moderna e l'altro per Astrazeneca. Questo senza avere personale sufficiente». Dulcis in fundo nelle scelte di alcune Regioni è riapparso il nemico italiano per eccellenza: l'ufficio complicazioni cose semplici che domina le burocrazie. Il caso della Sardegna è forse quello più evidente. Questa Regione è rimasta indietrissimo nella vaccinazione degli ultraottantenni: ne ha fatto appena 7.000 pari al 6,2% dei suoi 112.000 nonni, ben quindici volte meno di quanto ha fatto il Lazio con le sue 126.000 somministrazioni a questa categoria. Come mai? Le cose in Sardegna funzionano così. La Asl territoriale comunica a un Comune due giorni prima della vaccinazione gli elenchi degli ultraottantenni cui somministrare il farmaco. I vigili del Comune avvisano gli anziani, si accertano che vogliono essere vaccinati e li fanno tamponare. Infine carte e risultato del tampone alla mano i nonni debbono farsi accompagnare dai parenti nel centro vaccinale più vicino che generalmente dista non meno di mezz'ora di macchina. Alcuni sistemi sanitari regionali poi sono arrivati alla pandemia in condizione di disordine e debolezza senza pari. La Calabria è a quota 1,5 medici su 1.000 abitanti, il Friuli a 2,1. Non si spiega diversamente la ragione per cui la Calabria abbia ricevuto a ieri ben 186.000 dosi e ne abbia inoculate solo 102.000. Siamo a quota 54% nell'uso dei vaccini. È vero che la Regione ha fatto il pieno la domenica per somministrare durante tutta la settimana ma quel 54% è inaccettabilmente più modesto dell'88% della piccola Valle d'Aosta e del 77% della ben più grande Campania. Il comportamento di quest'ultima Regione sfata però il falso mito della scarsità del personale. In Campania i dipendenti del servizio sanitario sono 41.000 per 5,8 milioni di abitanti mentre il Veneto vanta 57.400 lavoratori per la sua Sanità su 4,9 milioni di abitanti. Ma la Campania ha effettuato a ieri 400.000 somministrazioni e il Veneto 340.000.

Il “mistero” del vaccino AstraZeneca: l’Italia ha le dosi ma non le usa. Federico Giuliani su Inside Over l'8 marzo 2021. Grazie all’approvazione del vaccino AstraZneca – che si sarebbe aggiunto al Pfizer-BioNTech – dalla fine di dicembre 2020 all’aprile 2021, l’Italia sarebbe stata sommersa da milioni e milioni di vaccini. Almeno, così annunciava il ministro della Salute, Roberto Speranza, nel corso di un’intervista rilasciata al quotidiano La Stampa lo scorso 28 dicembre. Gli italiani avrebbero ricevuto in dono dall’Unione europea – va da sé, grazie al contributo dell’allora governo giallorosso – dosi a sufficienza per arrivare ad aprile più sereni. “Noi già dal primo aprile potremmo avere 13 milioni di vaccinati e così avremmo già raggiunto la Fase Uno, cioè quella che ci consente di avere il primo impatto epidemiologico”, spiegava Speranza, sottolineando come le Regioni, questa volta, non avrebbero avuto alibi, dato che la gestione sarebbe stata centralizzata sul piano delle forniture “e per il resto gli abbiamo dato 15 mila assunzioni in più”. AstraZeneca avrebbe insomma contribuito in maniera decisiva a spostare gli equilibri della lotta al virus. Nel caso in cui il siero realizzato dall’azienda anglo-svedese avesse ricevuto semaforo verde, ragionava Speranza, “entro il primo trimestre si aggiungeranno altri 16 milioni di dosi”.

Una situazione paradossale. Abbiamo utilizzato il condizionale, visto che alla fine le cose sono andate diversamente. Non c’è stato neppure il tempo di gioire per l’avvio della campagna vaccinale, che le case farmaceutiche – tra cui AstraZeneca – hanno comunicato un rallentamento nelle consegne di dosi pattuite. Un taglio delle dosi, questo, inaspettato e ricollegato a non meglio specificati lavori per accrescere le capacità produttive degli stabilimenti. A distanza di qualche settimana dall’annuncio, e dopo mille polemiche, i media inglesi sono usciti con un’inchiesta che ha sottolineato un fatto piuttosto bizzarro. Pare che i Paesi membri dell’Ue, non si sa bene per quale motivo, abbiano a disposizione un bel po’ di vaccini inutilizzati, per lo più sieri realizzati da AstraZeneca. Parliamo di qualcosa come quattro dosi su cinque stoccate, in attesa di essere inoculate ai cittadini. E qui arriviamo all’Italia. Una notizia riportata dal The Telegraph parla chiaro: a quanto pare, nessuno Stato dell’Unione europea avrebbe una scorta di vaccini AstraZeneca più grande di quella posseduta da Roma, o avrebbe usato una percentuale minore delle sue scorte.

La situazione dell’Italia. In definitiva, l’Italia ha rallentato la propria campagna di vaccinazione lamentando una pericolosa carenza di sieri, e questo al netto delle promesse, evidentemente non certe, fatte dagli esponenti dell’ex governo giallorosso. Non solo: l’Italia, con il permesso della Commissione europea, ha poi bloccato una spedizione di 250mila dosi AstraZeneca diretta all’Australia. Sarebbe però anche emerso che Roma avrebbe rallentato il piano vaccinale – e impedito l’export di vaccini – nonostante potesse contare sul più grande stock di AstraZeneca dell’intera Unione europea, nonché il terzo più grande stock totale di sieri, includendo sia Pfizer-BioNTech che Moderna, alle spalle di Francia e Germania. Il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie ha affermato che l’Italia ha più di 1.5 milioni di vaccini AstraZeneca e, fino a venerdì, ne aveva usati appena il 21,3%. Per fare un esempio, la Germania ha 1.4 milioni di dosi AstraZeneca ma ne ha usate il 32%; la Francia 1.1 milioni (il 24% somministrate). In definitiva, ha concluso il Telegraph, Roma ha somministrato il 67,6% dei vaccini a disposizione, 4,3 milioni delle sue scorte, ed è in ritardo rispetto alla maggior parte dell’Ue. Due domande sorgono spontanee: dove sono finite le dosi promesse a dicembre da Speranza? E perché, se le cifre fossero confermate, l’Italia non sta usando tutte le dosi a sua disposizione?

ABBIAMO I FRIGORIFERI PIENI DI VACCINI FERMI AD ASPETTARE 3 MILIONI DI DOSI. Camilla Conti per "la Verità" il 9 marzo 2021. «Davanti a noi ci sono settimane dure, ma abbiamo nuovi strumenti. Avremo molte più dosi di vaccino in arrivo e la possibilità di costruire spazi, ci saranno sempre più luoghi in Italia dove vaccinarsi», ha detto ieri il ministro della Salute, Roberto Speranza, durante la presentazione del treno sanitario e dell'hub alla stazione Termini. Tutto bene, quindi? No. Per nulla. Perché quello che il ministro continua a non citare nelle sue rassicurazioni è il terzo elemento della catena vaccini-vaccinandi-vaccinatori che deve essere organizzata per estrarre il massimo della produttività da ciascuna delle risorse impiegate, come una catena di montaggio da cui deve uscire come prodotto un cittadino immunizzato al Covid. Gli spazi per vaccinare ci sono, i vaccini non sono mai mancati e non mancano. Anzi, paradossalmente abbiamo il problema opposto perché lo stock sta diventando sempre più difficile da smaltire. E anche da calcolare, visto che il contatore delle consegne si è inceppato di nuovo. Si tratta dei dati grezzi pubblicati sul sito Github direttamente dal ministero della Salute che poi fluiscono sul report quotidiano, pubblicato online sul portale del governo. Ebbene, il «cruscotto digitale» dei vaccini ha ricominciato ad andare in tilt sulle consegne - rimaste ferme per sei giorni e ripartite magicamente ieri sera, caricando però solo le Pfizer - facendo sballare anche gli altri indicatori, compresi quelli sulle scorte. Una stima si può comunque elaborare in base alle commesse previste. E il numero di dosi ancora in frigo è preoccupante: 3,1 milioni. Vediamo come siamo arrivati a questo numero partendo da Pfizer: secondo il contatore Github, fermo al 4 marzo, sono state consegnate 5.202.990 dosi. Se si aggiungono quelle previste per ieri, arriviamo a quota 5.852.990. Poiché ne sono state somministrate 4.549.667, abbiamo 1.303.323 dosi non inoculate. Per Moderna parliamo di 743.000 dosi consegnate (493.000 sul cruscotto del ministero non aggiornato, ma dovrebbero essersene aggiunte 250.000 nell'ultima settimana) e di 192.492 somministrate, con una scorta quindi di 550.508 vaccini. Quanto ad Astrazeneca, qui i calcoli si fanno ancora più complessi perché secondo Github sono state consegnate 1.512.000 dosi cui però vanno sommati 470.000 vaccini che dovrebbero essere arrivati tra il 6 marzo e ieri, per un totale di 1.982.000 vaccini. Ebbene, di questi ne sono stati somministrati 675.519 creando una scorta di 1.306.481. Facendo la somma delle dosi non ancora utilizzate di Pfizer, Moderna e Astrazeneca già consegnati, otteniamo un totale di 3.160.312. E anche se la stima sulle dosi di Astrazeneca non ancora contabilizzate sul contatore fosse sbagliata, viaggeremmo comunque attorno ai 2,8-3 milioni. Un'enormità. Destinata ad aumentare, considerando che entro la fine di marzo potrebbero arrivare a più di 10 milioni di dosi di tutti e tre i vaccini già previsti. E anche se riuscissimo a tenere un ritmo di 200.000 vaccinazioni al giorno, (la vaccinazione di massa è comunque destinata a partire dopo aprile), significa arrivare a circa 6 milioni di somministrazioni, accumulando altre 4 milioni di scorte. Quindi, riassumendo: i vaccini ci sono, i target di persone da vaccinare sono lì che aspettano di essere raggiunti. Il ritmo però non può decollare senza vaccinatori, ovvero i rinforzi per inoculare le dosi senza lasciarle ferme nei frigoriferi. La Verità lo scrive ormai da settimane, riportando con un mantra il monito degli esperti di logistica industriale (che al governo avrebbero dovuto ascoltare prima di varare una campagna che per mesi ha navigato a vista). Nel frattempo, ieri il ministero della Salute ha dato il via libera all'utilizzo del vaccino Astrazeneca anche nei soggetti sopra i 65 anni di età, esclusi però i soggetti «estremamente vulnerabili» per particolari patologie. In una circolare firmata dal direttore della prevenzione del ministero, Gianni Rezza, viene spiegato che «ulteriori evidenze scientifiche resesi disponibili, non solo confermano il profilo di sicurezza favorevole relativo al vaccino ma indicano che, anche nei soggetti di età superiore ai 65 anni, la somministrazione del vaccino Astrazeneca è in grado di indurre una significativa protezione». Attenzione, però. Questa indicazione, precisa il ministero, «non è applicabile ai soggetti identificati come estremamente vulnerabili in ragione di condizioni di immunodeficienza, primitiva o secondaria a trattamenti farmacologici o per patologia concomitante che aumenti considerevolmente il rischio di sviluppare forme fatali di Covid-19». In questi soggetti, si conferma dunque l'indicazione a un uso preferenziale dei vaccini «a Rna messaggero». E, sempre ieri, si è tenuto un vertice tra i ministri della Salute e degli Affari regionali, Speranza e Gelmini, il commissario per l'emergenza, Figliuolo, il capo della Protezione civile, Curcio, e l'ad di Poste, Del Fante, per fare il punto sull'aspetto logistico e «sull'implementazione del piano vaccini». Dopo la circolare su Astrazeneca, il Lazio ha rimodulato le prenotazioni per gli over 70. In Lombardia sono, intanto, 124.054 gli over 80 vaccinati alla data di ieri, dopo tre settimane dal via. Si tratta del 22% tra quanti hanno fatto richiesta, ossia 575.219 cittadini. Il programma del Pirellone per gli over 80 prevedeva che nelle prime tre settimane venissero vaccinate circa 165.000 persone. In totale, al 7 marzo, sono state somministrate 832.327 dosi. La piattaforma della Regione per le prenotazioni dei vaccini degli over 80 ha però sollevato diverse polemiche per i ritardi nella programmazione.

FRIGORIFERI PIENI DI VACCINI MANCANO ANCORA I VACCINATORI. Maurizio Belpietro per "la Verità" il 9 marzo 2021. Roberto Speranza ha promesso di vaccinare tutti gli italiani entro l'estate. Ammettiamo pure che il ministro della Salute non parlasse proprio di 60 milioni di persone, ma solo di quella parte di loro in età da vaccino, escludendo dunque gli infanti e i minorenni. Mettiamo pure che in tv l'esponente di Liberi e uguali si sia allargato un po' e volesse dire che per la fine di settembre sarebbero stati immunizzati gran parte dei cittadini, così da rendere effettiva l'immunità di gregge. Tuttavia, una volta scremata la cifra dai bambini, da alcune migliaia di pazienti affetti da malattie autoimmuni, che dunque non possono essere vaccinate, eliminati anche un certo numero di No vax, cioè di chi mai e poi mai si farebbe inoculare qualche farmaco, alla fine rimangono pur sempre più di 40 milioni di persone. Per comodità diciamo 45, ossia circa il 70 per cento della popolazione. Ora, come abbiamo già spiegato, per vaccinare un numero così elevato in sei mesi, bisogna procedere con almeno 150.000 iniezioni al giorno, festività comprese. Se poi si considera che dosi come quelle di Pfizer e Astrazeneca, per essere efficaci, hanno bisogno di un richiamo dopo un certo numero di settimane, si arriva a 300.000 vaccinazioni al giorno. Cioè, se non si riesce a mantenere una media di 300.000 iniezioni al giorno, il raggiungimento dell'obiettivo di rendere immune il 70 per cento degli italiani è un'operazione impossibile. Per lo meno fino a che non ci verranno consegnate le dosi del vaccino della Johnson & Johnson, che non prevede il richiamo. Tuttavia, anche considerando che una parte dei cittadini sarà trattata con il farmaco messo a punto dalla multinazionale americana e senza la necessità di una seconda iniezione, rimane pur sempre il problema di fare almeno 200-250.000 vaccinazioni al giorno: un numero che non è una sciocchezza. Nei primi due mesi e mezzo, a ricevere il farmaco sono stati in media circa 70.000 persone al giorno. È vero che ora, da quando è stato rimosso Domenico Arcuri, a dirigere le operazioni c'è un generale esperto in emergenze e logistica, tuttavia stiamo procedendo con una media di poco superiore a 90.000 vaccinazioni quotidiane. Dunque, ben lontani dall'obiettivo. Al momento, siamo ad appena 5,7 milioni di italiani immunizzati e per rispettare la cronotabella promessa da Speranza, all'appello mancano ancora circa 37 milioni di persone, se non 40. Insomma, cambiato il commissario all'emergenza, la soluzione di un problema chiamato Covid, che ha già provocato più di 100.000 morti e centinaia di migliaia di disoccupati, nonostante le parole rassicuranti di Speranza (e anche di Mario Draghi) appare ancora lontana. Per questo ci permettiamo di richiamare un paio di fatti. Il primo è costituito dal numero di dosi che ci sono state consegnate: al momento risultano dati all'Italia 8,5 milioni di vaccini, dei quali ne sono stati utilizzati poco più di 5,5 milioni. Significa che circa 3 milioni di dosi stanno in frigorifero, inutilizzate: in principio si pensava che un certo numero di fiale dovessero essere tenute di scorta, per consentire la seconda iniezione. Ma ormai si è capito che quelle conservate stanno lì perché al momento non si riesce a vaccinare tutti.È probabile che presto, nei frigoriferi delle aziende sanitarie, le dosi a disposizione aumentino. Nel secondo trimestre Astrazeneca dovrebbe consegnare all'Italia 10 milioni di vaccini, a cui si aggiungeranno circa 18 milioni del farmaco della Pfizer, più altri 7 di Johnson & Johnson, 7 di Curevac e 4,6 di Moderna, per un totale di quasi 47 milioni di dosi. Possiamo stare tranquilli, dunque, che prima o poi avremo il farmaco che ci renderà immuni al Covid? Non proprio, perché pur in presenza di milioni di vaccini, siamo ancora in attesa di sapere chi ci vaccinerà e quando. Prenotarsi non si può, anche perché le piattaforme che dovrebbero consentire di iscriversi a un'ipotetica lista d'attesa non ci sono. Il piano vaccinale, se esiste, è custodito gelosamente da qualche funzionario, non si sa se ministeriale o regionale. E, ultimo in ordine di citazione ma non d'importanza, c'è il problema del personale medico-infermieristico. Chi la farà l'inoculazione dato che mancano gli addetti? Al momento, i 15.000 effettivi promessi da Arcuri non ci sono e nessuno ha idea di come reperirli. O meglio: un'idea ci sarebbe: basterebbe cambiare una legge che impone il vincolo di esclusiva agli infermieri del servizio sanitario, obbligandoli a operare solo nella struttura da cui dipendono. In pratica, basterebbe permettere a chi lavora in un ospedale pubblico di lavorare anche per privati o per qualche altra amministrazione. Ovviamente, si tratta dell'uovo di Colombo, ma siccome è una cosa semplice, di buon senso, finora nessuno dei cervelloni che si occupano della nostra salute ci ha pensato. Chiediamo a Draghi di farci un pensiero, perché se ci appellassimo a Speranza finirebbe come con i contratti per i vaccini che annunciò a giugno dello scorso anno: non pervenuti. Uguale a quasi tutto ciò che era stato promesso dal precedente governo.

La Mafia come alibi del fallimento.

Giuseppe Ayala: così la mafia approfitta del Covid. Veronica Grimaldi l'1 gennaio 2021 su Il Giornale. Giuseppe Ayala, un magistrato che ha combattuto la mafia in prima linea nella sua Sicilia al fianco di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e poi una lunga esperienza in Parlamento. Gli abbiamo chiesto in quale modo la mafia sta approfittando della crisi provocata dalla pandemia.

A distanza di dieci mesi dall’inizio dell’emergenza sanitaria legata al Covid, quali sono state le ripercussioni sul sistema della Giustizia? 

«La principale ripercussione della pandemia sulla Giustizia italiana riguarda l’ulteriore aggravamento della principale patologia che, da tempo immemore, l’affligge: la sua insopportabile lentezza. Ho assistito a non so quanti annunci dei governi succedutisi nel tempo alla guida del Paese sulla necessità di ” sveltire” la risposta giudiziaria. Agli annunci, però, non è mai seguita alcuna idonea riforma.  Se pensiamo che un illustre giurista dello scorso secolo asseriva che: “Non c’è peggiore giustizia della tardiva giustizia”, non ci resta che constatare quanto avesse ragione. L’effetto Covid, insomma, ha ulteriormente aggravato una situazione già di per se patologica».

Nei prossimi mesi o anni, l’emergenza sanitaria si tradurrà sempre di più in emergenza economica. Come vede il futuro?

«Il futuro che ci attende non so che colore avrà. Escludo che lo si possa immaginare roseo. Molto dipende dalle scelte politiche  che saranno messe in atto per renderlo meno pesante. Purtroppo da quello che vedo non mi sentirei di coltivare alcun ottimismo. Con la speranza di essere smentito dai fatti, naturalmente».

Cosa pensa riguardo a tutti i processi caduti in prescrizione  causa Covid?

«L’aumento del numero delle prescrizioni maturate grazie, si fa per dire, al Covid rafforza una convinzione che mi accompagna da tempo:  occorre metter mano ad alcune riforme che rendano questa causa di estinzione del reato quanto più rara possibile. E torniamo, così, alle riflessione sulla lentezza di cui ho parlato pocanzi».

Ritiene che la pandemia e la crisi provocata dal lockdown possano favorire le organizzazioni mafiose?

«Il rischio c’è e, per fortuna, vedo che se ne sono resi conto alcuni esponenti delle nostre Istituzioni. Occorrerà essere particolarmente vigili nel mondo dell’economia in generale. In quella privata per evitare che capitali mafiosi  vengano accettati da imprenditori in difficoltà per salvare la loro azienda. In quella pubblica occorrerà sgranare ancora di più gli occhi sul settore degli appalti  per garantire la trasparenza delle aggiudicazioni. Questioni vecchie, non c’è dubbio, ma potenzialmente aggravate proprio dall’effetto Covid».

Perché la mafia al Sud spesso arriva prima dello Stato?

«Tradizionalmente era così. Oggi vedo una situazione diversa. La mafia, parlo di Cosa Nostra, ha subito colpi molto duri, soprattutto per opera della magistratura,  per cui fa fatica ad arrivare prima dello Stato. Ciò non vuol dire affatto che è stata sconfitta. Ma che non goda di buona salute è sicuro. La guardia, insomma, deve continuare ad essere mantenuta alta, molto alta».

La mafia è un problema di ordine pubblico o culturale?

«La mafia, anzi direi meglio le mafie, sono innanzitutto un problema criminale che, in quanto tale, va combattuto in termini di repressione.  Sul decisivo piano della prevenzione, poi, lo Stato dovrebbe farsi carico di diffondere, specie nelle giovani generazioni, un’autentica cultura della legalità. Tanto più il rispetto delle regole è osservato, tanto più la mafia fatica ad inquinare i settori della società che la interessano. Quelli economici innanzitutto».

Esiste una connessione tra il potere mafioso e i problemi della sanità nel Sud evidenziati dalla pandemia?

«Certo che esiste. In quel settore girano un sacco di soldi  e la mafia a quelli guarda con grande attenzione. Spesso, nei miei incontri con gli studenti, spiego che la mafia può aver piazzato i suoi tentacoli ovunque, ma so per certo dove questo non è avvenuto : dove non ci sono soldi».

L’Unione europea è preparata a combattere il dilagare delle mafie?

«Non credo a sufficienza. Forse non tutti i Paesi della UE si rendono conto di essere potenzialmente a rischio di infiltrazioni mafiose. Non c’è da meravigliarsi più di tanto. In Italia, fino a non molti anni fa, al Nord si credeva che la mafia fosse un problema del Sud del Paese. I fatti hanno dimostrato che oggi, e da tempo, molte regioni del Nord Italia sono afflitte da pesantissime presenze mafiose. E torniamo al discorso dei soldi. Tanto più ce ne sono in giro, tanto più alla mafia  viene l’acquolina in bocca. Denunciavo questo rischio già negli anni ottanta e non mi pare di aver ricevuto un apprezzabile consenso dalle parti del Po. E non solo. Se tanto mi da tanto, anche l’Europa finirà con il muoversi in maniera più efficace. Ma quando?»

Qual è il suo stato d’animo da inizio pandemia ad oggi?

«Il mio stato d’animo mi induce ad essere molto guardingo. Non mi sono chiuso in casa terrorizzato dal rischio di essere contagiato. Mi sono limitato a ridimensionare, nel numero e nelle occasioni, i miei rapporti sociali. L’arrivo del vaccino mi conforta sul futuro e, allora, penso alla napoletana: ” A da passa’ a nuttata!”».

Quali sono i suoi interessi da quando ha smesso la toga?

«Sono in pensione da otto anni. Questo mi consente di occuparmi dei miei interessi culturali e, in particolare, della lettura che ho sempre amato. E poi dedico più tempo alla Fondazione Falcone, della quale sono il vice presidente. Credo molto nella principale attività che svolgiamo attraverso progetti sulla legalità con molte scuole e università in tutta Italia».

Vaccino, il grafico della fondazione Gimbe: un gap impressionante tra dosi disponibili e somministrate. Libero Quotidiano il 28 febbraio 2021. Del fatto che abbiamo pochi vaccini e neppure li usiamo ve ne abbiamo già dato conto. Insomma, contro il coronavirus non solo gli errori dell'Europa, ma anche quelli tutti italiani: con la regia di Domenico Arcuri, neppure riusciamo a somministrare le dosi di siero in nostro possesso. E ora una conferma a tal riguardo arriva anche dalla fondazione Gimbe, che con il presidente Nino Cartabellotta passa all'attacco: "Protestiamo giustamente perché arrivano pochi vaccini. Ma intanto quasi 1,8 milioni stanno serenamente al fresco". E a corredo delle parole, un grafico che mostra in modo plastico lo scandalo: nell'immagine, le dosi consegnate all'Italia e quelle somministrate. Il tutto mentre in Italia i morti per Covid da inizio pandemia sono più di 97mila. Scandalo confermato da Roberto Burioni: "Arrivano pochi vaccini ma se quelli che arrivano rimangono nei frigoriferi, il guaio diventa ancora maggiore", scrive il virologo su Twitter. Nel grafico elaborato dalla Fondazione Gimbe, sulla base dei dati resi pubblici dal commissario per l'emergenza Covid in tandem con il ministero della Salute, si comprende in modo lampante come il gap sia di proporzioni inquietanti. Il gap, ovviamente, è tra le dosi vaccinali disponibili e quelle somministrate. Quasi 1,8 milioni di fiale inutilizzate, a fronte di una fornitura in continuo ribasso, stanno "serenamente al fresco", sottolinea Cartabellotta riferendosi ai vaccini stoccati a meno 75 gradi. Insomma, in Italia la campagna vaccinalo non solo non decolla, ma continua a rallentare. Il tutto mentre la drammatica terza ondata sta iniziando a manifestarsi in tutta la sua potenza. Potremmo così arrivare a fine di marzo senza aver immunizzato le fasce di popolazione a rischio, così come prevedeva il piano originale.  La continua revisione al ribasso, documentata dai 4 aggiornamenti ufficiali delle forniture attese, in soli 2 mesi ha quasi dimezzato le dosi previste per il primo trimestre 2021 che sono precipitate da 28,3 a 15,7 milioni. Sempre la fondazione Gimbe mette in evidenza come delle dosi previste per i primi tre mesi del 2021, al 24 febbraio ne sono state date alle regioni soltanto un terzo. Per entrare nel dettaglio, soltanto  il 43% del siero Pfizer-BioNtech (3.905. 460 su 9.012.748), un meno 18,4 di quello Moderna (244.600 su 1.330. 000) e il 19,6% di AstraZeneca (1.048.800 su 5.352.250). Per parlare in termini pratici, se si volessero rispettare le scadenze del piano vaccinale originario, ora dovremmo procedere al ritmo di 2,3 milioni di dosa alla settimana. Cifre assolutamente irrealistiche e fuori portata.

I vaccini che nessuno usa. La verità in questo grafico. Il grafico elaborato dalla Fondazione Gimbe mostra l'ampio divario tra le dosi attualmente disponibili e quelle somministrate. Rosa Scognamiglio - Dom, 28/02/2021 - su Il Giornale. "Protestiamo giustamente perché arrivano pochi vaccini. Ma intanto quasi 1,8 milioni stanno serenamente al fresco". Lo scrive su Twitter Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe, postando il "grafico dello scandalo" che evidenzia il divario fra il totale delle dosi consegnate all’Italia e il totale di quelle somministrate. Sulla stessa lunghezza d'onda anche il virologo Roberto Burioni che "cinguetta" con tono solenne: "Arrivano pochi vaccini - scrive -ma se quelli che ci arrivano rimangono nei frigoriferi, il guaio diventa ancora maggiore".

Il grafico sui vaccini. Nel grafico elaborato dalla Fondazione Gimbe, sulla base dei dati divulgati dal commissario per l'emergenza Covid-19 in accordo con il ministero della Salute, si evince chiaramente un gap di proporzioni "mostruose" tra le dosi vaccinali disponibili e quelle somministrate. Quasi 1,8 milioni di fiale, a fronte di una fornitura in continuo ribasso, stanno "serenamente al fresco" - come fa notare Nino Cartabellotta nel tweet - nelle celle Ult (i frigoriferi temperati a -75°C dove si conservano i vaccini).

A che punto sono le forniture? La campagna vaccinale continua a rallentare il passo col rischio che, in previsione di una nuova impennata di casi prevista per il mese di marzo, non si riesca ad immunizzare le cosiddette "fasce a rischio" della popolazione in tempo utile per evitare l'ennesimo disastro sanitario. La continua revisione al ribasso, documentata dai 4 aggiornamenti ufficiali delle forniture attese, in soli 2 mesi ha quasi dimezzato le dosi previste per il primo trimestre 2021 che sono precipitate da 28,3 a 15,7 milioni. Secondo quanto si apprende da una elaborazione Gimbe, delle dosi previste per il primo trimestre 2021, al 24 febbraio ne sono state consegnate alle Regioni solo un terzo. Nello specifico, solo il 43% del siero Pfizer-BioNtech (3.905. 460 su 9.012.748), un mero 18,4 di quello Moderna (244.600 su 1.330. 000) e il 19,6% di AstraZeneca (1.048.800 su 5.352.250). Per rispettare le scadenze del piano vaccinale originario, dovrebbero essere somministrati in media 2.3 milioni di dosi a settimana: un miraggio.

Il numero di vaccini somministrati. A fronte dell'approvvigionamento deficitario anche le inoculazioni procedono al rilento. Al 24 febbraio (aggiornamento ore 08.01) hanno completato il ciclo vaccinale con la seconda dose oltre 1,34 milioni di persone (2,25% della popolazione), con marcate differenze regionali: dal 1,58% dell’Abruzzo al 4,17% della P.A. di Bolzano (figura 6). "Se l’obiettivo della prima fase della campagna vaccinale – spiega il Presidente della Fondazione Gimbe – era proteggere, oltre al personale sanitario e socio-sanitario, le persone più fragili (ospiti RSA e over 80), aver somministrato oltre 655 mila dosi (17,7%) al personale non sanitario (figura 7) stride con l’esigua copertura degli over 80: su oltre 4,4 milioni solo 380 mila (8,6%) hanno ricevuto la prima dose di vaccino e circa 127 mila (2,9%) hanno completato il ciclo vaccinale (figura 8). Un’inversione di priorità, non prevista dal piano vaccinale, che sta ritardando la protezione della categoria che ha pagato il tributo più alto in termini di vite umane".

Michele Bocci per "la Repubblica" il 14 gennaio 2021. È durata pochi giorni la speranza di avere più dosi di vaccino Pfizer allo stesso prezzo. Giusto il tempo che Ema sistemasse la questione delle fiale. L'8 gennaio il Chmp, il Comitato per i medicinali per l'uso umano dell'agenzia regolatoria europea, ha stabilito che ogni fiala contiene sei dosi, e non cinque come indicato fino a quel momento. E così, visto che l'Italia, come gli altri Paesi europei, ha fatto un contratto per l'acquisto di dosi di vaccino (e non per le fiale) l'azienda farmaceutica ha buone ragioni per smettere di fare un "regalo" agli Stati, tanto più in un periodo di enorme richiesta, che mette sotto pressione la produzione. Quando si sono iniziate ad usare le prime partite del vaccino Pfizer-Biontech in tutto il mondo si è visto che una volta estratte cinque dosi con le siringhe di precisione resta uno sfrido, un residuo di materiale sufficiente a fare almeno un'altra somministrazione (anche due in certi casi). Aifa e il ministero alla Salute hanno dato un preliminare via libera all'estrazione di sei dosi e a quel punto ci si è trovati con il 20% dei vaccini in più rispetto a quelli attesi e pagati. Anche per questo motivo nei dati comunicati quotidianamente dalla struttura del commissario straordinario all'emergenza Domenico Arcuri sull'andamento delle vaccinazioni sono spuntate alcune regioni che avevano fatto oltre il 100% delle dosi consegnate. Dopo la decisione di Ema però, e quindi con la consegna di questa settimana all'Italia le dosi per ogni fiala sono ufficialmente diventate sei e quindi Pfizer può mandare meno fiale o farsi pagare di più se ne invia la quantità prevista inizialmente (ipotesi remota). Così il vantaggio si trasforma in rischio, quello di non riuscire, per errori nei dosaggi a estrarre tutte e sei le dosi e quindi a sprecarne una. In certi Paesi europei si lamentano di non aver siringhe adeguate per questa operazione. In Italia da questo punto di vista dovremmo essere a posto, visto che sono state acquistare siringhe di precisione, anche se è vero che su quelle inizialmente consegnate dalla struttura commissariale ci sono state proteste delle Regioni perché non erano ritenute adeguate per calcolare i dosaggi. Adesso comunque starebbero arrivando le siringhe giuste. Mentre le Regioni vaccinano lavoratori della sanità (ma anche alcuni non sanitari) e operatori e ospiti delle Rsa, al ministero alla Salute si prepara l'ordine delle categorie, con relativi numeri di cittadini che le compongono, che devono essere vaccinate successivamente. Tutti sono d'accordo con il partire dagli over 80, come del resto previsto nel piano strategico per la vaccinazione. Dopo si dovrebbe proseguire con chi ha più di 60 anni. La ministra all'Istruzione Lucia Azzolina ha però ricordato che dopo tocca alle categorie essenziali, tra le quali quella degli insegnanti. Il tutto ovviamente sarà possibile solo se arriveranno altri vaccini. E un aspetto fondamentale da chiarire riguarda quello di AstraZeneca, atteso per i primi di febbraio. Ancora non si sa se sarà autorizzato per tutti coloro che hanno più di 16 anni o per gli under 55. Oggi comunque si parlerà anche di questi aspetti in un incontro con le Regioni, dove si sta procedendo un po' in ordine sparso, non solo per quanto riguarda le categorie vaccinate ma anche sui sistemi di prenotazione e su chi dovrà occuparsi delle somministrazioni quando ci saranno più vaccini. Intanto sono oltre 850 mila le persone alle quali è stata somministrata la prima dose.

Laura Berlinghieri per "la Stampa" il 16 febbraio 2021. Ventisette milioni di dosi di vaccino contro il Covid. È quanto è stato offerto al Veneto da due intermediari di case farmaceutiche produttrici di vaccini approvati dall' Ema, l'agenzia europea per i medicinali. I contratti giacciono sulla scrivania del segretario generale della sanità regionale, Luciano Flor, pronti a essere firmati. Ma c'è un presupposto non aggirabile: il via libera del commissario Domenico Arcuri, chiamato in causa dall' Aifa, l'agenzia italiana del farmaco. I dettagli delle offerte arrivate non possono ancora essere diffusi - e quindi prezzi, tempi e modalità di consegna e di verifica, tutti già nero su bianco, trasmessi dalla Regione a Roma -, perché coperti dal vincolo di riservatezza. Ma, in una campagna vaccinale che fatica a decollare, vista la penuria di dosi, potrebbe essere questa la chiave di volta. «Ci sono arrivati due contratti per iscritto. In uno ci sono proposti 12 milioni di dosi di vaccino, nell' altro 15 milioni» spiega Luca Zaia. Un' enormità anche per una regione popolosa come il Veneto, dove sono circa 4 milioni le persone vaccinabili. D'altra parte, appena una manciata di giorni fa, era lo stesso presidente leghista ad aprire alle altre regioni: «Quando vedrà i numeri, Flor dirà "C'è un magazzino con questa potenzialità"». Precisando, ieri: «La speranza è di avere scoperto una via di fornitura nuova, di cui l'Italia si possa giovare. Cosa ce ne facciamo di 12 milioni di dosi? Le portiamo in dote» le parole del presidente, che aggiungeva: «So di colleghi che stanno facendo i miei stessi ragionamenti». Già negli ultimi giorni si era parlato infatti di un asse del nord est, con un interesse comune di Veneto, Emilia-Romagna e Friuli-Venezia Giulia, pronte ad andare sul mercato per strappare condizioni più vantaggiose. Ma è un'iniziativa che ha fatto proseliti: Lombardia - «Siamo in contatto con il Veneto e altre due regioni, per verificare i requisiti per acquisti autonomi» diceva, pochi giorni fa, Letizia Moratti -, Piemonte, Liguria, Campania, tutte intenzionate a gettarsi sul canale parallelo, per ammissione dei rispettivi presidenti. Un comportamento che, parlando della "sua" regione, Andrea Crisanti ha bollato come «disgustoso e immorale». Ora, la richiesta del Veneto di negoziare l'acquisto e importare i vaccini approvati dall' Ema è stata spedita al commissario Arcuri, su indicazione dell' Aifa, prima destinataria della missiva. «L'agenzia ha risposto che riconosce la carenza di vaccini e che quindi ricorre il presupposto per la nostra domanda» spiegava ieri il veneto Flor. «Ma, stanti le normative, la valutazione sull' autorizzazione va indirizzata alla struttura commissariale del governo». Mentre la posizione della Commissione Ue resta la stessa: va bene, purché non si intacchino i lotti già coperti dalla strategia dell' Unione. La palla ritorna quindi in Italia. Spedita la lettera ad Arcuri, si attende un responso che potrebbe avere impatti ben oltre i confini della regione governata da Luca Zaia. Basti pensare che, in tutta Italia, sono circa 1.3 milioni le persone a cui sono state somministrate due dosi di vaccino. Ora, improvvisamente, sono offerti 27 milioni di dosi. Assicura il presidente veneto, «con costi uguali o inferiori a quelli pagati finora». Zaia si smarca poi da qualsiasi polemica - «Questo non è il mercato nero e gli intermediari con cui dialoghiamo non sono dei "mestieranti"» -; certo, appare difficile non interrogarsi sul perché una regione, da sola, riesca dove un Paese intero non è riuscito. «Probabilmente ci sono dei canali che prevedono l' inserimento di intermediari, che acquistano interi lotti che ora hanno in magazzino. E magari il magazzino è la fabbrica stessa», la spiegazione di Zaia. «Perché Israele ha vaccinato tutti e in Gran Bretagna non c' è un problema di dosi? Il mondo è più grande dell' Unione europea e non credo che le aziende stiano vendendo solo agli Stati membri».

Veneto, i 27 milioni di vaccini offerti a Zaia via mail: «Prezzi in linea con l’Ue, dosi in meno di un mese». Marco Bonet su Il Corriere della Sera il 17/2/2021. «Il mio sogno è il Veneto Covid-free». E per realizzarlo, il presidente Luca Zaia è disposto a (quasi) tutto. Frustrato dai continui ritardi nelle forniture del vaccino (dopo Pfizer e AstraZeneca ieri è stato il turno di Moderna), Zaia ha deciso di provare a far da sé: «Sul mio tavolo ci sono due offerte per un totale di 27 milioni di dosi. Attendo l’autorizzazione del commissario Domenico Arcuri per firmare. Ci siamo sentiti e sono in corso verifiche sulla provenienza, la sicurezza e l’affidabilità dei lotti che ci sono stati proposti». L’annuncio è sorprendente, vista la situazione in cui versa la campagna vaccinale in Italia. Eppure, giura Zaia, lui si è limitato ad assecondare il mercato, «non abbiamo cercato nessuno».

La proposta via mail. Tutto è nato da una serie di banalissime email che la sua segreteria ha ricevuto a fine gennaio, quando esplosero le polemiche sulle sforbiciate imposte dalla case farmaceutiche alle forniture concordate con l’Europa. Si trattava di sei offerte, passate al setaccio dai tecnici della Regione: «In alcuni casi i prezzi erano superiori di 5-6 volte rispetto a quelli concordati dall’Ue, in altri perfino più bassi, di circa il 10 per cento — spiega il direttore della Sanità, Luciano Flor — e abbiamo svolto accertamenti sui soggetti proponenti, per evitare di cadere in truffe o in situazioni poco chiare». Alla fine, delle sei offerte, ne sono rimaste due: una per 12 milioni di dosi, l’altra per 15 milioni. I dettagli sono coperti da un patto di riservatezza, ma Zaia assicura che i prezzi «sono in linea con quelli stabiliti dall’Ue», mentre Flor sgombra il campo dall’accusa, lanciata tra gli altri dal professore Andrea Crisanti, di essersi rivolto a un «mercato opaco». «La trattativa — afferma — è stata resa pubblica e gli intermediari (le case produttrici hanno respinto contatti diretti, ndr) li conosciamo, ci hanno già fornito mascherine e ventilatori polmonari durante la prima ondata». Pare si tratti in entrambi i casi del vaccino prodotto da Pfizer, mentre Flor ha fatto sapere che «una volta ottenuta l’autorizzazione i contratti si possono chiudere in 3-4 giorni e le dosi possono arrivare in meno di un mese». Ma chi deve dare il fatidico via libera, a cui guardano con interesse anche Lombardia, Emilia Romagna, Piemonte e Friuli Venezia Giulia? Il Veneto ha scritto ad Aifa il 4 febbraio, ma l’agenzia ha rinviato ad Arcuri. Il Veneto ha quindi spedito analoga lettera lunedì al commissario e Arcuri ha chiamato Zaia chiedendo alcuni chiarimenti. «Procederemo nell’ottica della massima collaborazione — dice il presidente —. Siamo pronti a mettere a disposizione dello Stato e delle altre Regioni il canale che abbiamo aperto». Pare, comunque, che sia necessaria anche l’autorizzazione del ministero della Salute, trattandosi di un’operazione che impatta su accordi comunitari. L’ipotesi è che le dosi acquistate «in parallelo» possano essere scalate dalle forniture nazionali, generando un surplus che verrebbe ridistribuito tra le altre Regioni. Questo a patto che lo Stato garantisca la copertura finanziaria, pagando le dosi «extra» come avrebbe pagato quelle inserite nell’accordo Ue. Quanto all’obiezione «etica» sull’opportunità di rivolgersi al libero mercato, il presidente del Veneto taglia corto: «Israele ha già vaccinato 5 milioni di persone, la Gran Bretagna procede al doppio della nostra velocità, si rincorrono indiscrezioni sugli acquisti extra della Germania. I vaccini ci sono: se non li compriamo noi, li comprerà qualcun altro».

Marco Bresolin e Fabio Poletti per "la Stampa" il 17 febbraio 2021. Un milione di dosi di purissimo AstraZeneca offerti da un intermediario brasiliano all' ufficio del commissario all'emergenza Domenico Arcuri. Un'altra offerta pronta per il Pirellone in Lombardia assai consistente. Spiega l'intermediario che giura di avere società in Svizzera e in Italia: «Volete Pfizer, ce l'ho! AstraZeneca in questo momento ho qualche problema. Però se Ema lo autorizzasse ho pronto anche lo Sputnik. Ho già i contratti». Poi ci sono le 27 milioni di dosi, in due tranche da 12 e 15 milioni, che il Governatore veneto Luca Zaia giura di poter comperare in un amen e per cui ha chiesto autorizzazione a Roma. «Ce le hanno offerte intermediari di un'azienda che collabora già con noi, fornendoci altri medicinali», assicurano da Palazzo Balbi. Senza sprofondare nel dark web sembra che ci siano vaccini ovunque, basta chiederli. Un mercato parallelo che vorrebbe saltare alla giugulare di Stati e Regioni che fanno fatica a trovare vaccini. Ma questi intermediari sono veramente affidabili? Le case farmaceutiche prendono le distanze e l'ufficio europeo per la lotta antifrode (Olaf) ha aperto un' inchiesta dopo aver ricevuto una serie di denunce da parte delle autorità pubbliche di diversi Stati Ue. Sotto la lente dell' Olaf ci sono offerte per circa 250 milioni di dosi con richieste di denaro che superano i 2 miliardi di euro. «Si tratta di truffe» ripetono dagli uffici di Bruxelles dell'Olaf. Vaccini contraffatti o, nella stragrande maggioranza dei casi, millanterie: spediscono qualche campione del vaccino, chiedono il versamento di un acconto, poi spariscono. E in effetti vien da chiedersi come sia possibile che sul mercato europeo, dove nel primo trimestre di quest' anno arriveranno tramite i canali ufficiali 100 milioni di dosi, ci sia una così ampia disponibilità di fiale sottobanco. Il mediatore "lombardo", non senza qualche lacuna ha una sua spiegazione: «Io li compero dai rivenditori. Anche a Dubai. Certo i prezzi lievitano. C'è la logistica e una filiera. Da me il vaccino Pfizer costa 75 euro (quasi 4 volte tanto, ndr). Ma in una settimana, massimo 10 giorni, posso darvi tutto quello che volete». L'intermediario aveva agganciato l'ex sondaggista Luigi Crespi e il commercialista Alessandro Arrighi, ritenendo che avessero rapporti in Regione. Loro sono filati da Piazza Pulita su La7 e ora dicono: «Magari non ci saranno reati ma è immorale e disgustoso». L'intermediario insiste e giura di giocare a carte scoperte: «Le aziende produttrici dopo che hanno onorato l'accordo con la Ue possono vendere a chiunque. Non so se le Regioni possono comperare...». AstraZeneca, dalla sede centrale di Basiglio alle porte di Milano, smentisce e teme che si tratti di vaccini contraffatti. Spiega la responsabile dei rapporti coi media Ilaria Piuzzi: «Abbiamo sentito anche noi le dichiarazioni del governatore veneto. Per quanto ci riguarda è impossibile. Non esistono mercati paralleli. Non ci sono intermediari. Non possiamo vendere a privati, singoli Stati o enti locali. Ci sono vincoli precisi nel contratto con la Ue. Per tutelarci abbiamo fatto un esposto al Nas dei carabinieri». Sulla stessa linea anche Pfizer: «Non stiamo fornendo il nostro vaccino al mercato privato in questo momento - spiega a "La Stampa" una portavoce dell' azienda americana -. Durante le pandemia, i nostri contratti sono con i governi. È importante che i vaccini rimangano all' interno della catena di fornitura stabilita». Ma allora da dove arrivano i vaccini sventolati da Zaia? Il governatore ha parlato di «due diversi lotti» da altrettante società che hanno già ottenuto il via libera dall' Ema. Che al momento sono tre: Moderna, Pfizer/BioNTech e AstraZeneca. Due su tre smentiscono l' esistenza di questi canali e Moderna ha appena annunciato all' Ue un rallentamento delle consegne a febbraio in seguito a una serie di problemi. Nei giorni scorsi il premier ceco Andrej Babis ha rivelato in Parlamento di aver ricevuto (e rifiutato) un' offerta per acquistare il vaccino di AstraZeneca da un intermediario basato a Dubai. Alla firma del contratto chiedeva un acconto pari al 50%. Prendi i soldi e scappa.

Da "la Repubblica" il 20 febbraio 2021. In Italia nessun governatore potrà acquistare vaccini dal mercato parallelo. Se lo facesse, infatti, dovrebbe poi spiegare alla magistratura contabile (e non solo) cosa ha comprato. E soprattutto perché lo ha fatto a un prezzo superiore rispetto a quello stabilito tra il nostro governo (per il tramite del Commissario straordinario) e la Commissione europea. Partono anche da questa considerazione - per poi arrivare in tutto il mondo, dal Brasile ai Balcani - le indagini che in questi giorni tre procure hanno aperto sugli intermediari, veri o fasulli, che offrono vaccini alle Regioni e alla struttura commissariale. Una delle inchiesta è stata istruita a Roma proprio sulla base della segnalazione di Arcuri che ha ricevuto tre mail da parte di presunti broker farmaceutici. «Gentile commissario - si legge in una di queste - le scriviamo per offrirle la disponibilità di ingenti dosi di vaccino». Nella missiva si fa espressamente riferimento ad AstraZeneca anche se le persone in questione si presentano non come fornitori, ma come intermediari. Costi e tempi non sono indicati. Ma si chiede, nel caso ci sia l'interesse, di firmare una lettera di intenti. Il tipo di offerte visionata da Arcuri non è così differente da quella che è arrivata in queste settimane ad alcune Regioni: al Veneto, all'Emilia Romagna, alla Puglia. Probabilmente anche altrove. I carabinieri del Nucleo antisofisticazione stanno effettuando approfondimenti. Si sono fatti una prima idea di cosa sta accadendo. Ci sono due filoni e corrono paralleli. Da una parte, i millantatori: non hanno a disposizione i vaccini, né sanno dove prenderli, ma provano lo stesso a truffare le pubbliche amministrazioni. Le uniche che, in teoria, potrebbero accettare l'acquisto di dosi di vaccino, visto che i colossi produttori hanno escluso la vendita ai privati. Per questo vengono bollati come "fake" o poco più, i tentativi di smercio a prezzi altissimi sul deep web. Proprio ieri il Nas ha oscurato tre pagine web che offrivano "vaccini anti Covid". È possibile però che una sorta di mercato nero più ridotto, locale, si sia aperto in ambito ospedaliero. Qualche evidenza investigativa è stata trovata a Roma: con le siringhe di alta precisione è infatti possibile tirare fuori dalle fiale qualche goccia in più oltre alla sesta dose, in modo da ricavarne alcune extra. Ma torniamo ai broker. Il secondo filone riguarda gli intermediari che lavorano per multinazionali e per stati esteri extra Ue. È stata individuato, per esempio, un italiano che fa affari con il Brasile e che si propone come promotore di AstraZeneca. Ha offerto un numero importante di dosi al mercato italiano. È la stessa offerta arrivata al governatore del Veneto, Luca Zaia. Che, per valutarla, ha interpellato l'Agenzia italiana del farmaco e il commissario Arcuri. Non solo. Per tutelare la Regione, il 12 febbraio ha inviato una segnalazione ai carabinieri del Nas. Che ieri hanno bussato alla porta del direttore generale della sanità del Veneto, Luciano Flor, per acquisire la documentazione. A mandarli è stata la procura di Perugia guidata da Raffaele Cantone che ha aperto un fascicolo dopo un episodio avvenuto presso la sede della Regione Umbria. Il 28 gennaio scorso un commercialista messinese di 40 anni si è presentato ad alcuni funzionari, sostenendo di poter portare in Italia «grossi quantitativi di vaccino AstraZeneca». I carabinieri hanno perquisito la sua abitazione a Messina per capire a che gioco stesse giocando: era una truffa o aveva davvero le disponibilità delle dosi? L'uomo è incensurato ma a casa sua non sono stati trovati contatti o documenti riferibili all'azienda anglo- svedese. Durante le prime fasi della pandemia aveva provato a vendere anche mascherine. AstraZeneca ha smentito che fosse un suo intermediario. Al momento è indagato per tentata truffa.

Marco Bresolin per "la Stampa" il 18 febbraio 2021. L'acquisto di vaccini al di fuori dei canali Ue «è estremamente rischioso» perché «stiamo assistendo a un crescente numero di truffe». Ursula von der Leyen mette in guardia dagli intermediari che contattano governi e amministrazione locali per offrire i farmaci. La presidente della Commissione europea lo fa rispondendo a una domanda sulle ultime mosse di alcune regioni italiane, Veneto in primis, dopo che il presidente Luca Zaia ha detto di essere in contatto con alcuni mediatori che avrebbero assicurato la fornitura di 27 milioni di dosi del farmaco prodotto da Pfizer. «La garanzia che ci sia effettivamente quel vaccino all'interno delle fiale è pari a zero - ha puntualizzato von der Leyen -. Non si sa che percorso abbiano fatto quelle dosi, né se la catena del freddo sia stata rispettata. Chi compra su quel mercato si prende un rischio». Ma il Veneto va avanti, dice di aver ottenuto la garanzia che quei vaccini arriveranno «direttamente dai siti produttivi europei ed extra-Ue» e Zaia assicura di avere dalla sua parte anche Friuli-Venezia Giulia, Lombardia, Emilia-Romagna, Trentino Alto Adige e Marche. Il dossier è nelle mani di Luciano Flor, direttore generale della Sanità regionale, che spiega di aver ricevuto una ventina di offerte diverse: «A sei di queste abbiamo risposto e due ci hanno mandato proposte dettagliate». Si tratterebbe di due lotti da 12 e 15 milioni di dosi di vaccini Pfizer, nonostante l'azienda continui a smentire l'esistenza di canali di vendita paralleli. L'offerta viene però ritenuta credibile e interessante dalla Regione, anche se lo stesso Flor spiega di non aver ancora negoziato né sul prezzo né sulla tempistica delle consegne. Ha solo detto di aver richiesto informazioni aggiunte ai mediatori, come il numero di lotto e la scadenza, «per ottenere l'autorizzazione ministeriale all'importazione». Una risposta è attesa entro oggi. Proprio ieri la Commissione ha annunciato la firma del secondo contratto con Pfizer/BioNtech che consentirà di acquistare ulteriori 200 milioni di dosi del vaccino (più un'opzione per altri 100 milioni) che si aggiungeranno ai 300 milioni già ordinati nel 2020. All'Italia spettano circa 27 milioni di dosi nel quadro nel nuovo accordo, che era già stato annunciato all'inizio di gennaio. È invece notizia di ieri il via libera a un nuovo contratto con Moderna: 150 milioni di dosi arriveranno quest' anno e altrettante sono state opzionate per il 2022. L'Ue aveva già acquistato 160 milioni di dosi del vaccino americano. Bruxelles non esclude di dover far ricorso un giorno anche a Sputnik V, ma ieri von der Leyen è parsa molto fredda: «Ci chiediamo come mai la Russia offra milioni di dosi quando ancora non ha vaccinato tutta la sua popolazione». In ogni caso l'eventuale acquisto dovrà passare da un'autorizzazione dell'Ema e da «un'ispezione nei loro siti produttivi» che sono situati in territorio extra-Ue. Thierry Breton ha spiegato che, data la particolare tecnologia, non sarà facile produrlo in Europa. Nel frattempo si lavora per incrementare la produzione dei vaccini che hanno già ottenuto il via libera dall'Ema. Per rispondere alle polemiche delle scorse settimane, la Commissione ora vuole introdurre nei contratti «un piano dettagliato e credibile» con «tempistiche affidabili» - anche se forse ormai è troppo tardi. Si lavora per riconvertire alcuni impianti situati sul territorio europeo, ma c'è il nodo delle licenze. Al momento la Commissione si limita a «sostenere la cooperazione tra imprese» e a «sviluppare un meccanismo specifico per il rilascio delle licenze», ma solo «su base volontaria». L'Ue non intende usare lo strumento della licenza obbligatoria. Breton è in contatto con i Paesi per individuare potenziali siti industriali per la realizzazione dei vaccini e ha fornito rassicurazioni su AstraZeneca, che aveva rallentato le consegne in seguito ad alcuni problemi: un aiuto - ha spiegato - potrebbe arrivare anche dalla fabbrica di Anagni, dove vengono realizzate alcune fasi del processo produttivo. C'è infine la lotta alle varianti al centro del progetto «Hera Incubator» che è stato approvato ieri dal collegio dei commissari. Sono stati stanziati 75 milioni di euro dal bilancio per sviluppare test specializzati nell'individuazione delle mutazioni: al momento soltanto l'1% dei tamponi viene analizzato. Bruxelles chiede agli Stati di arrivare almeno al 5% e di condividere i dati. Si è inoltre deciso di incentivare lo sviluppo di vaccini in grado rispondere alle varianti, anche attraverso l'introduzione di una procedura di approvazione accelerata all'Ema che garantirà un percorso più rapido per i farmaci che hanno già avuto l'autorizzazione e che vengono modificati.

Monica Serra per "la Stampa" il 18 febbraio 2021. Si agitano nel dark web, ma anche su siti che appaiono e scompaiono magicamente. Provano ad avvicinare enti locali e grandi società. Qualcuno di loro, dal Brasile, ha contattato addirittura il commissario per l'emergenza Domenico Arcuri, mentre il governatore del Veneto, Luca Zaia, si è detto pronto ad acquistare autonomamente 27 milioni di dosi di vaccino anti Covid. Qualche oscuro broker ha provato a offrirne ingenti quantitativi pure alla Regione Lombardia. Ma ora su questo mercato parallelo del vaccino più richiesto e più difficile da trovare al mondo vogliono vederci chiaro i magistrati di Milano. Il procuratore aggiunto Eugenio Fusco, a capo del pool Antitruffe della procura, ha aperto un fascicolo al momento contro ignoti per frode nell'esercizio del commercio. Sulla sua scrivania è arrivata la prima informativa redatta dagli investigatori del Nucleo speciale frodi tecnologiche della Gdf, diretto dal comandante Gian Luca Berruti. Nel frattempo anche l'aggiunto Tiziana Siciliano, a capo del dipartimento Ambiente, salute e lavoro, ha affidato alcune verifiche ai carabinieri del Nas. Indagini che poi, con ogni probabilità, confluiranno in un'unica inchiesta che sarà coordinata da entrambi i magistrati, come già successo per le truffe con mascherine e gel igienizzanti venduti a prezzi esagerati da «speculatori dell'emergenza» quando questi beni erano quasi introvabili, all'inizio della prima ondata del coronavirus. Che cosa c'è - si chiedono i magistrati - nelle fiale che questi «oscuri soggetti» propinano a destra e a manca? Non è chiaro se si tratti di vaccini finti e pericolosi per la salute pubblica oppure veri, ma che seguono canali irregolari. Dove si approvvigionano i presunti broker? Chi sono? Gli inquirenti cercano risposte a tutte queste domande. Il prezzo applicato alle fiale è in genere trattabile, tra i 15 e i 30 euro a dose, anche di più. Molto più alto di quello pagato dall'Unione europea. Anche se proprio il governatore Zaia, che è pronto ad acquistarle, sostiene di avere sulla scrivania due proposte di contratto per 27 milioni di dosi di Pfizer a prezzi più o meno in linea con quelli Ue. Alla sua segreteria sarebbero arrivate tante offerte e, su indicazione dell'Aifa, ora è in attesa del via libera di Roma. Le case farmaceutiche, intanto, prendono le distanze. AstraZeneca dice di aver già presentato un esposto al Nas: «Per quanto ci riguarda non esistono mercati paralleli. Non possiamo vendere a privati, singoli Stati o enti locali. Ci sono vincoli precisi nel contratto con l'Ue». La delicata questione è già al centro di un'inchiesta dell'Ufficio europeo per la lotta antifrode (Olaf) dopo le tante segnalazioni ricevute da autorità pubbliche di diversi Stati europei. Nel mirino ci sono offerte per circa 250 milioni di dosi con richieste di denaro che superano i due miliardi di euro. Negli uffici dell'Olaf a Bruxelles sono certi si tratti di «truffe»: vaccini contraffatti o millanterie per racimolare i soldi degli acconti per gli ordini e sparire. Anche in Lombardia si muovono strani soggetti. Uno di loro, intervistato ieri da La Stampa, sostiene di acquistare i vaccini all'estero, anche Dubai, a prezzi più alti: «Da me una dose di Pfizer costa 75 euro». L'intermediario, che giura di avere società in Svizzera e in Italia, è lo stesso che l'8 febbraio aveva provato ad agganciare l'ex sondaggista Luigi Crespi e il commercialista Alessandro Arrighi, ritenendo che avessero buone conoscenze in Regione. Sono stati proprio loro, però, a denunciare tutto alla trasmissione di La7 Piazza Pulita. Un mondo oscuro, fatto di personaggi più o meno misteriosi, su cui ora anche la procura di Milano ha deciso di accendere un faro per evitare che si tratti solo di un'enorme speculazione sulla pelle di milioni di cittadini che attendono il vaccino.

La truffa dei vaccini: non solo il filone veneto. Inchieste in tutta Italia. La procura di Perugia ordina perquisizioni negli uffici di Zaia. Caccia agli intermediari. Nino Materi Venerdì 19/02/2021 su Il Giornale. Appena in tempo. Se non è una «stangata», poco ci manca. Quella sugli «intermediari dei vaccini» rischiava di trasformarsi - se non nella truffa del secolo - in un colossale imbroglio. Un possibile raggiro da milioni di euro. Diversi governatori - a cominciare da quello veneto - stavano per cascarci dentro con mani e piedi, ma in extremis Luca Zaia (in queste ore smentito clamorosamente dalla Pfizer) ha pensato bene di rendere di dominio pubblico l'«offerta vantaggiosa» (arrivata «tramite un semplice scambio di mail») e così la magistratura ha cominciato a sentire puzza di bruciato. Le stesse «offerte vantaggiose» erano infatti giunte più o meno con le stesse modalità e relativo «prezzario» anche ad altri colleghi di Zaia: in Lombardia e Umbria. Si tratta delle regioni in cui le procure hanno avviato indagini e sequestri ipotizzando il reato di truffa, ma non è escluso che analoghe iniziative giudiziarie siano avviate in altre zone d'Italia. Fatto sta che sull'intero territorio nazionale c'è ora la massima attenzione sul fenomeno dei «venditori che spediscono i presunti vaccini, vantando potenziali scorte già disponibili» (l'allarme è di Ville Itälä, direttore generale di Olaf, l'Ufficio europeo per la lotta antifrode). La prima a muoversi è stata la procura di Perugia che ha ordinato ai Nas di acquisire alcuni documenti presso la struttura del Commissario straordinario per l'emergenza Covid e all'Aifa; acquisizione che riguarderà anche la sede della Regione Veneto e i diretti uffici di Zaia. Obiettivo: accertare i presunti proponenti di forniture di vaccino in deroga agli accordi con le autorità centrali. La sensazione è che «l'acquisto fai-da-te dei vaccino» presenti - al di là degli aspetti etici e morali - rilevanti profili di illegalità. La trappola di frodi e contraffazioni è a portata di clic. Criminali senza scrupoli da una parte e amministratori ingenui dall'altra possono trasformarsi in un mix pericolosissimo, contagioso almeno quanto il Covid. E in una campagna di vaccinazione che va già a rilento, questo del «commercio parallelo dei vaccini» rappresenta una variabile impazzita da evitare assolutamente. E così in Veneto, Lombardia, Abruzzo e Umbria le procure dei capoluoghi di regione hanno dato mandato ai carabinieri del Nas di acquisire alcuni documenti presso la struttura del Commissario straordinario per l'emergenza Covid e all'Aifa. Lo scopo è comune: accertare se siano state inoltrate dalle istituzioni regionali «istanze ai fini dell'approvvigionamento diretto dei farmaci anti-covid», individuando nel contempo i «soggetti che abbiano proposto ai suddetti enti locali l'acquisto dei vaccini in deroga agli accordi con le Autorità centrali». Da giorni le case farmaceutiche di Pfizer e AstraZeneca avevano sottolineato di «non aver previsto per il momento la fornitura il proprio vaccino al mercato privato», senza contare che gli Stati membri dell'Ue hanno un vincolo «a non acquistare fuori dall'Europa». Di ieri l'ennesima precisazione dell'Unione Europea: «Gli intermediari non possono proporre i loro vaccini, perché non li forniscono a privati, ma solo ai Governi». «Di fronte a queste parole il presidente Zaia ha il dovere di denunciare in Procura portando tutte le carte, non può tirare dritto come se niente fosse, dicendo che non ha seguito la trattativa o scaricando sul commissario Arcuri, girandogli le offerte», denunciano in una nota sei consiglieri regionali del Veneto. Ma è solo la punta dell'iceberg. Le inchieste promettono sviluppi devastanti. Gli scandali legati alle mascherine e ai tamponi pare abbiano insegnato poco. O niente.

Vaccino, perse 27 milioni di dosi: "Affari regolari, ma ora è tardi", la testimonianza del mediatore. Libero Quotidiano il 22 febbraio 2021. Partiamo da un dato: dire che non esista al mondo qualcuno pronto a metter all'asta vaccini è semplicemente falso. Quel che sappiamo di certo è che almeno un venditore c'è: il Sud Africa ha ufficialmente annunciato che rinuncerà a utilizzare i suoi stock ricevuti da AstraZeneca perché ritenuti non sufficientemente validi nel contrastare la variante di Covid nata a Città del Capo. E solo per questo mese si tratta di 1,5 milioni di dosi. Fiale che non verranno certo buttate, ma che il governo ha detto di voler far fruttare per ripagarsi la spesa. Ovviamente i prodotti sono stati offerti prima all'Unione Africana, che tuttavia per ora non ha manifestato particolari interessi. Non tutti i Paesi del terzo mondo stanno sgomitando per far incetta di fialette. Per esempio, la Tanzania ha un governante folle che non crede nella pandemia e di conseguenza ha rifiutato di partire con campagne di immunizzazione. In un quadro simile un governante astuto potrebbe tranquillamente e legittimamente inserirsi per strappare un accordo con Pretoria. L'astuzia, tuttavia, pare non esser più di casa in Italia. E' di ieri la notizia che la stessa Astrazeneca ha tagliato del 15% le forniture al nostro Paese. Ricapitolando: in Sud Africa i vaccini di quella marca sono in eccedenza, da noi vengono di nuovo tagliati. Molto curioso. E tutto questo fa pensare che l'Italia si stia facendo soffiare decine di milioni di dosi di fiale sotto il naso. Almeno 27, solo in Veneto. 

IL SORPASSO. Molti Paesi hanno sfruttato le varie occasioni per superarci nella classifica dei Paesi più immunizzati del pianeta. Il Cile è riuscito a fare il triplo delle somministrazioni della media Ue, il Marocco ha superato l'Italia e così via. Per non parlare degli arabi o degli israeliani. Il mercato mondiale non è così limpido come qualcuno ci racconta, altrimenti non si spiegherebbe come mai il 75% degli antivirus sia finito alle 10 nazioni più ricche del pianeta. Noi, però, siamo in fondo alla fila. Le autorità italiane se qualcuno gli offre farmaci preferiscono passare la mano. Per non rischiare. La ragione per cui i nostri politici scappano terrorizzati sono evidenti: sono già tre le procure al lavoro per analizzare le lettere piovute in varie amministrazioni del nostro Paese, dalla segreteria del commissario Arcuri fino agli uffici di Luca Zaia in Veneto passando per il grattacielo Pirelli a Milano, sede dell'assessorato alla Salute ora diretto da Letizia Moratti. Le Regioni, visto il pressing giudiziario, hanno dovuto passare immediatamente la pratica al governo, chiedendo che prima fosse Palazzo Chigi a valutare la possibilità di aprire trattative. Il tutto per non correre il pericolo di finire dietro le sbarre con l'accusa di truffa. E Arcuri e Speranza ovviamente hanno fatto vari passi indietro, forti anche delle prime informazioni arrivate ai pm che indagano sul caso. Pare che uno di questi intermediari sia titolare di una società con solo 1000 euro di capitale. Il che però non significa molto: perché un intermediario dovrebbe possedere beni per milioni? 

L'AGENTE. In questo senso è molto interessante quanto riferito in un'intervista a Repubblica da Juri Gasparotti, broker farmaceutico bresciano, la cui società, la J.& G., è a Novigrad, regolarmente registrata in Croazia. L'agente ha spiegato di lavorare per un'enorme società farmaceutica, che ha raggiunto accordi per acquistare milioni di vaccini da AstraZeneca. Vaccini che la suddetta azienda ora vorrebbe rivendere a chi è più interessato. Per questo Gasparotti si è messo pazientemente a mandare lettere a varie figure istituzionali che potevano plausibilmente essere interessate. Tutto vero? Non c'è certezza, ma il nostro uomo avvisa: il pagamento della merce sarebbe avvenuto soltanto alla consegna e dopo i dovuti controlli. Quindi non c'era alcuna possibilità di truffa. O almeno così dice. Comunque sia, c'è un altro grosso problema. Ormai l'offerta non è più valida. Abbiamo aspettato troppo l'atteso via libera del governo: i presunti stock hanno già preso altre rotte. Così come successo in Veneto, dove abbiamo fatto scadere il termine per trattare i 27 milioni di vaccini Pfizer. Ora non ci resta che aspettare le forniture Ue e sperare che finalmente qualcosa vada per il verso giusto. Viste le premesse, ci sarà da piangere.

Il mercato nero dei medicinali "Funzionano anche per il Covid". Con l’arrivo della pandemia è iniziato il traffico di farmaci per curare i sintomi del Covid, prodotti dai nomi impronunciabili e dalla composizione sconosciuta che non dispongono di nessun tipo di autorizzazione da parte dell’Aifa. Elena Barlozzari e Alessandra Benignetti, Martedì 16/02/2021 su Il Giornale. Se chiedi ad un cinese dove poter acquistare un ottimo rimedio antinfluenzale ti dirà: "In erboristeria". Passeggiando per le strade del rione Esquilino, anche conosciuto come la Chinatown romana, il leitmotiv è sempre lo stesso. "Cerchiamo un rimedio naturale per curare tosse e febbre", esordiamo più volte affacciandoci nelle tante attività cinesi della zona. "Andate in erboristeria, noi ci curiamo lì", è la risposta. "Sì ma quale prodotto chiediamo?". Il coro è unanime: "Ganmano Qingre, in Cina lo prendiamo tutti i giorni, va bene anche per curare il Covid". Qui tutti sembrano pronti a scommettere sulla bontà del prodotto. "Di solito funziona, e se non dovesse funzionare state pur certe che non fa male, perché è un rimedio naturale". Decidiamo così di tentare l’acquisto. La bottega che ci viene indicata però è semichiusa. Il titolare sta armeggiando dietro al bancone, circondato da scartoffie e pile di scatoloni. Ci facciamo notare al di là del vetro e gli chiediamo se può darci una confezione del medicinale di cui tanto abbiamo sentito parlare. L’uomo allarga le braccia: "Non ce l’ho più, me lo hanno sequestrato". È amareggiato: "Non so perché lo hanno bloccato, lo vendo da anni e nessuno mi ha mai detto nulla, è un mix di estratti di piante usato nella medicina tradizionale cinese, non c’è niente di chimico". E qui veniamo all’inchiesta condotta dai carabinieri del Nas. Come ricostruito da Il Tempo, l’attività di indagine parte lo scorso 9 aprile proprio da Roma. In pieno lockdown la polizia locale ferma un imprenditore cinese a bordo di una utilitaria. Sta trasportando duecento confezioni di "Lianhua Qingwen Jionang", un preparato a base di piante medicinali che in Italia non può essere commercializzato. È un ricettatore? Quelle dosi in realtà fanno parte del carico di aiuti umanitari arrivati da Pechino il 12 marzo. L’uomo dice di volerle distribuire gratuitamente ai connazionali. Quanti farmaci analoghi sono attualmente in circolazione? Gli investigatori se lo domandano e iniziano a passare al setaccio supermarket etnici ed erboristerie gestite da cittadini asiatici. Anche il negozio dove siamo capitate noi finisce in mezzo ad una maxi retata che si conclude con il sequestro di 437 confezioni di farmaci fuorilegge. Più di duemila pillole di "Ganmao Qingre Keli" e "Zhongyao Peifang Keli" utilizzate dalla comunità cinese per la cura dei sintomi del Covid. Prodotti dai nomi impronunciabili e dalla composizione sconosciuta che non dispongono di nessun tipo di autorizzazione da parte dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa). L’attività di monitoraggio dei farmaci clandestini sinora ha portato al sequestro di circa 150mila unità farmaceutiche su tutto il territorio nazionale e all’oscuramento di più di duecento siti internet. "Il traffico di farmaci falsificati c’è sempre stato, prima della pandemia riguardava soprattutto medicinali utilizzati per la sfera sessuale oppure per il doping o il lifestyle, adesso invece – osserva Katja Carboni del nucleo carabinieri Aifa – abbiamo antibiotici, antinfiammatori, cortisonici e antifebbrili che possono dare effetti cardiotossici o epatotossici". "La pericolosità di questi farmaci – continua – non è solo nel principio attivo, che può essere sovradosato o sottodosato, ma in tutte le loro componenti: al posto dello zucchero in passato abbiamo trovato la calce come eccipiente". I rischi riguardano anche modalità di conservazione e materiali di confezionamento. "Se una fiala è realizzata con un vetro scadente, ad esempio, potrebbe rilasciare dei frammenti". C’è un modo per difendersi da tutto questo? "Sul portale tracciabilità del farmaco del ministero della Salute – spiega ancora il tenente colonnello – c’è la sezione verifica bollino, qui il cittadino può inserire il codice dell’autorizzazione all’immissione in commercio del farmaco e quello identificativo della confezione per verificare se il medicinale è legale, in caso contrario deve immediatamente segnalarlo ai Nas". Ma le direttrici del commercio illegale di medicinali portano anche al Continente Nero. Nei bagagli di un cittadino africano, sbarcato a Fiumicino a fine gennaio, sono state ritrovate 6.840 capsule e 66 confezioni di flaconi. Un carico dal valore di 30mila euro di medicinali antibiotici e antinfiammatori probabilmente destinati al mercato nero che è alimentato dalla pandemia. Peccato che tra i principi attivi ce ne fossero alcuni altamente tossici per il cuore, e che nessuno dei rimedi fosse autorizzato dalle autorità italiane.

Ricavi, licenze e produzione: la verità sul business dei vaccini. Una legge impedisce alle case farmaceutiche di cedere la licenza e consentire ad altri di produrre vaccini più velocemente: così siamo "ostaggio" di chi ha il brevetto. Alessandro Ferro, Martedì 16/02/2021 su Il Giornale. Il ricavo dei vaccini anti-Covid delle big Pharma ha numeri da capogiro: tra i 50 ed i 75 miliardi di dollari soltanto nel 2021 sui contratti di fornitura di tutte le aziende che, per prime, hanno sviluppato l'arma contro il virus e che sono stati resi pubblici finora. Se a questo si aggiunge la quotazione in Borsa di Pfizer e Moderna per arrivare a Johnson & Johnson e Novavax, il valore complessivo di queste aziende è lievitato anche di 100 miliardi.

I problemi di produzione. È indubbio che si tratti dell'affare del secolo per queste poche case farmaceutiche senza contare gli altri vaccini ancora in sperimentazione che arriveranno entro la fine del 2021: più durerà la pandemia, maggiori saranno i ricavi. Unione Europea e Stati Uniti hanno messo un'enorme massa di denaro pubblico per accelerarne lo sviluppo e garantirne la produzione. Come scrive Repubblica, la capitalizzazione di Moderna è lievitata in un anno di 60 miliardi, quella di Biontech è raddoppiata a 117. Il valore di Novavax, un altro farmaco arrivato quasi al traguardo e ad alta efficacia si è gonfiato del 6000%. L'impatto dei vaccini anti-Covid sulle quotazioni di big come Pfizer, Astrazeneca e J&J è stato invece molto più contenuto - nel caso degli inglesi addirittura negativo - anche perché il peso nei nuovi prodotti sul loro portafoglio di farmaci è molto più ridotto. Il problema maggiore, però, non riguarda i ricavi delle singole aziende ma ciò che riguarda la produzione: come si può sperare di "correre" più velocemente delle varianti del virus se i produttori dei vaccini non possono star dietro alla più grande domanda mondiale della storia? È ovvio che da soli non possono farcela ma, al momento, non esistono altre strade: siamo "ostaggio" delle Big e small Pharma non per colpa loro ma per un problema di legge vigente.

Cosa dice la legge in vigore. "La questione dei vaccini è seria perché ha preso il mondo occidentale alla sprovvista", ha detto in esclusiva per ilgiornale.it il Prof. Stefano Zamagni, ordinario di Economia Politica all'Università di Bologna e Professore a contratto di Economia politica internazionale alla Johns Hopkins University in Baltimora, negli Stati Uniti. Zamagni ci ha spiegato, in tema di vaccinazione anti-Covid che interessa il globo intero, la differenza che il bene comune ha rispetto al bene pubblico e quello privato per capire cosa sta succedendo in questo preciso momento. "I beni comuni, che si studiano in Scienza economica hanno certe caratteristiche che non li rendono nè pubblici nè privati. Poiché il mondo occidentale, fino ad ora, non aveva mai avuto bisogno di una vaccinazione di massa come quella attuale, studiosi di diversi discipline e politici non si sono mai posti il problema di modificare l'assetto giuridico internazionale per dire che i beni comuni non possono essere brevettati. Oggetto di brevettabilità sono soltanto i beni privati e quelli pubblici ma non quelli comuni, questo lo sanno tutti", ci dice il professore. Cosa significa tutto ciò? Che, con il brevetto delle Big Pharma, la produzione non può essere concessa a nessun'altra azienda se non a loro stesse, le uniche a poter produrre i vaccini. In questo modo, però, si rallenta enormemente il processo di vaccinazione per raggiungere l'immunità di gregge perché è impossibile soddisfare, in breve tempo, la richiesta per avere miliardi di fiale a disposizione.

"Vanno usate le licenze". I beni comuni, quindi, sono la terza categoria di beni dopo quelli privati e quelli pubblici. La teoria economica è d'accordo sul fatto che non possano essere brevettati. Qual è allora il sistema che si dovrebbe usare? "Quello delle licenze: la proprietà intellettuale dell'impresa che ha fatto la scoperta resta sua ma lo sfruttamento, cioè la produzione del vaccino, deve essere data a licenza anche ad altri che la vogliono prendere" afferma Zamagna. Chi la prende, ovviamente, deve pagare una royalty all'impresa che l'ha fatta, cioè un un pagamento legalmente vincolante effettuato ad un individuo o ad un'impresa (come in questo caso) per l'uso continuo dei suoi beni originariamente creati, comprese opere protette da copyright, franchising e risorse naturali. Il prof. fa l'esempio di cosa avviene quando si pubblica un libro. "L'autore lo concede alla casa editrice la quale decide che, su ogni copia venduta, la percentuale sia ad esempio del 5%. Dal momento che questo non si è pensato per i vaccini, le quattro case farmaceutiche produttrici che devono produrre hanno una capacità produttiva limitata. Il risultato è che la gente muore, metaforicamente parlando. È giusto che questo accada soltanto perché loro insistono nel volere produrre ciò che non sono in grado? Basterebbe porsi soltanto questa domanda". Insomma, non sono le Big Pharma a non voler condere la licenza perché vogliono guadagnare di più, "è soltanto perché non c'è la normativa, quella esistente è ancora basata sui beni privati ed i beni pubblici", sottolinea.

Il precedente del vaccino antipolio. A fine pandemia, Unione Europea e Stati Uniti riscriveranno le regole della brevettabilità, fissate a suo tempo quando ancora la tematica dei 'commons', cioè dei beni comuni, non si era posta e si andrà verso il sistema delle licenze. È bene ricordare due precedenti di buon senso che hanno fatto storia di molti anni fa, quando nei primi anni '60 Jonas Salk, scienziato americano che realizzò il primo vaccino contro la poliomelite, si oppose al brevetto. Stessa cosa fece anche Albert Sabin, che sviluppò il più diffuso vaccino contro la poliomelite, dicendo di rinunciare al brevetto perché altrimenti i bambini sarebbero continuati a morire. "Adesso ci troviamo con le case farmaceutiche che utilizzano la normativa esistente perché i governi non hanno provveduto, e la normativa esistente dice che il soggetto imprenditoriale che inventa deve avere lo sfruttamento della produzione per un lasso di tempo variabile di 10,15 o 20 anni a seconda dei casi - afferma Zamagni - Ci si può soltanto appellare al buon cuore: chiedere a Pzifer, Moderna e AstraZeneca di lavorare giorno e notte per aumentare le dosi". In un modo diverso, le imprese non ci avrebbero rimesso perché avrebbero ottenuto le royalty, l'esempio dei libri che ci ha fatto il professore è lampante. "In Italia abbiamo tre case farmaceutiche: se avessero ottenuto la licenza, ora sarebbe diverso. Su ogni flacone venduto, riservavano una percentuale da dare all Pfizer ed alle altre".

"Le regole riguarderanno il futuro". Ormai, gli studi di laboratorio su questo maledetto virus sono stati iniziati 10-11 mesi fa. "Le regole riguardano il futuro, non il passato: l'Unione europea non può fare, adesso, una regola, che imponga comportamenti diversi alle imprese farmaceutiche che hanno iniziato il processo, pensiamo al principio basico del diritto - afferma - È chiaro che a questo punto i risultati sarebbero gli stessi ma è importante sapere che alla fine di questa pandemia le regole verranno cambiate". Se si andrà in quella direzione, è la volta buona che possano nascere, in vista di future e possibili pandemie, dei laboratori creati ad hoc per i vaccini anti-pandemici così come in Italia adesso abbiamo le imprese che producono mascherine. "Quando un anno fa è scoppiata la pandemia, in Italia non c'era nessuna impresa che sapesse produrle", aggiunge Zamagni.

Piano etico contro piano economico. Il problema va approfondito anche sul piano etico: non si può mettere sullo stesso piano un oggetto che serva a soddisfare bisogni personali con oggetti che servono a salvare la vita come i vaccini. "Non si può mettere il valore della vita sullo stesso piano di quello economico, l'errore che si fa è esattamente questo, ecco perché non si potrebbero rendere brevettabili a differenza dei beni di consumo che non sono essenziali per la tua vita. Di fronte al vaccino non c'è libertà di scelta, è indispensabile per la vita. Come dice anche Papa Francesco, il vaccino deve essere universale, non si può darlo a chi ha più soldi". Il caso delle GAFAM. Ed alla gente che ironizza e si scaglia contro le case farmaceutiche che si arricchiscono? "Sono piani diversi - ci dice Zamagni - L'anno scorso, a seguito del Covid, le GAFAM (cioè Google, Apple, Facebook, Amazon e Microsoft, ndr), quindi le 5 maggiori multinazionali dell'informazione e della comunicazione, hanno incrementato i profitti di 650 miliardi in un anno. Grazie al Covid, hanno potuto vendere i diritti su piattaforme e con altre modalità. Vale la stessa cosa: che merito hanno? Non hanno alcun merito, semplicemente è scoppiata la pandemia e loro hanno colto la palla al balzo", afferma il professore. In quel caso, il ragionamento riguarda il sistema di tassazione che afferma come chi produca un valore debba tenerselo ma il valore di 650 miliardi in più non è stato prodotto da loro, è indotto. "Il caso dei vaccini è diverso, non è un problema di tassazione ma di produzione: le poche case farmaceutiche, anche se lavorano giorno e notte, più di tanto non possono produrre. Non bisogna essere ingegneri per capirlo, ecco perché ci vogliono le licenze". In questo caso, le case produttrici dei vaccini si difendono dicendo che non hanno colpe se i governi dei Paesi non hanno previsto le licenze. "Uno che gioca in Borsa e ottiene un extra profitto dalla speculazione finanziaria e paga il 15% di tasse quando invece sul lavoro si paga il 42%? È un problema serio ma non è tipico delle case farmaceutiche, riguarda anche altri ambiti e settori. Il problema è di rendere accessibili a tutti questi sieri salvavita", conclude Zamagni.

(Adnkronos il 26 febbraio 2021) - Quattro dosi su cinque del vaccino AstraZeneca consegnate ai Paesi UE non sono ancora state utilizzate. E' quanto rivela il Guardian, che ha condotto una propria indagine sull'impiego nei Paesi dell'Unione del vaccino sviluppato dall'azienda farmaceutica anglo-svedese in collaborazione con l'Univesità di Oxford. Analizzando i dati dell'European Centre for Disease Prevention and Control (Ecdc) e di altre fonti ufficiali, si stima che 4.849.752 dosi delle 6.134.707 distribuite tra i 27 Paesi UE debbano ancora essere somministrate. Tracciando alcuni esempi, suscettibili di qualche margine di errore a causa della tempistica nella raccolta dei dati, il Belgio ha ricevuto 201.600 dosi di AstraZeneca e ne ha somministrate appena 9.832; La Bulgaria ha ricevuto 117.600 dosi e ne ha somministrate 2.035 (1.73%), la Germania ha ricevuto 1.452.000 e ne ha somministrate 189.206 (13%); un po' meglio, in percentuale, ha fatto l'Italia, che secondo i dati Ecdc ha ricevuto 499.200 dosi di Astrazeneca e ne ha somministrate 96.621 (19%). La Francia non ha fornito all'Ecdc i dati sulle somministrazioni di Astrazeneca, ma secondo quanto rilevato dal sito Covidtracker.fr, si stima che su 1.137.600 dosi ricevute ne siano finora state impiegate appena 125.859 (11%). Un fattore significativo di questa situazione potrebbe essere la decisione delle autorità di Francia, Germania, Italia e Polonia di raccomandare il vaccino Astrazeneca solo per le persone di età inferiore ai 65 anni e l'incapacità logistica di destinare il vaccino a classi di età più giovani. Un altro fattore potrebbe essere anche la riluttanza di molti cittadini a farsi somministrare il vaccino Astrazeneca, dopo la campagna di stampa che ne ha messo in discussione la sicurezza e l'efficacia. Come ha ammesso la stessa cancelliera tedesca Angela Merkel in un'intervista alla Frankfurter Allgemeine Zeitung, tra gli europei c'è un "problema di accettazione" del vaccino anglo-svedese.

Il giallo del vaccino Astrazeneca: “4 dosi su 5 ancora inutilizzate”. Federico Giuliani su Inside Over il 28 febbraio 2021. L’Unione europea è a secco di vaccini anti Covid, eppure i Paesi membri, gli stessi che lamentano i ritardi nelle consegne delle case farmaceutiche, hanno a disposizione diverse dosi non ancora inutilizzate, in particolare del siero realizzato da AstraZeneca. Stiamo parlando di quantitativi importanti, circa quattro dosi su cinque stoccate in attesa di essere iniettate nelle braccia della popolazione. È il Guardian a far luce su questo fenomeno alquanto singolare, soprattutto considerando il delicatissimo periodo che stiamo attraversando. Proprio adesso che il virus ha ripreso a correre, e che servirebbe il massimo tasso di vaccinazione possibile, è stato scoperto che vari governi non stanno usando tutte le fiale fin qui ricevute. Ricapitolando: le big pharma hanno annunciato un taglio nelle consegne delle dosi e diversi Stati sono stati costretti a rallentare la campagna di vaccinazione. Nell’occhio del ciclone è finita l’Unione europea, per gli opachi accordi messi nero su bianco tra Bruxelles e le industrie del farmaco – intese che, a quanto pare, risultano meno efficaci di quelle strette da Stati Uniti, Israele e Regno Unito -, e le stesse case farmaceutiche, accusate di non rispettare i contratti, preferendo dirottare le consegne da una nazione all’altra, a seconda delle convenienze economiche. Detto altrimenti, indipendentemente dai patti, chi sarebbe disposto a mettere sul piatto un prezzo migliore riceverebbe il vaccino in anticipo rispetto agli altri.

Dosi non usate. Un’indagine condotta sull’uso del vaccino AstraZeneca nei Paesi membri dell’Ue ha fatto emergere valori a dir poco singolari. Stando ai dati dello European Centre for Disease Prevention and Control (Ecdc), il Guardian ha stimato che 4.849.752 dosi delle 6.134.707 distribuite tra i 27 Stati Ue debbano ancora essere somministrate ai cittadini. Può aver influito la decisione delle autorità francesi, tedesche, polacche e italiane di raccomandare l’uso dell’Astrazeneca solo agli under 65. Ma una simile spiegazione non è sufficiente per spiegare quanto avvenuto. Giusto per fare qualche esempio concreto, e prendendo in considerazione un comprensibile margine di errore nella raccolta dei dati, il Belgio ha ottenuto dall’azienda anglo-svedese la bellezza di 201.600 dosi; ebbene, ne ha somministrate 9.832. La Germania ha ottenuto 1.452.000 dosi, somministrandone appena il 13%, cioè 189.206. Ancora peggio ha fatto la Bulgaria, con 117.600 dosi ricevute e solo 2.035 (1,73%) iniettate. In Svezia, invece, ci sono 26.595 dosi usate su 100.200 ricevute.

Che cosa è successo? E l’Italia? Ha fatto un po’ meglio degli altri Paesi citati, ma anche Roma ha numerose scorte non ancora utilizzate. I dati Ecdc parlano di 499.200 dosi ricevute e 96.621 somministrate (19%). La Francia, che non ha fornito dati al suddetto Ecdc in merito al vaccino AstraZeneca, dovrebbe aver impiegato 125.859 dosi su 1.137.600 ricevute, circa l’11%. Difficile dare una spiegazione plausibile. È molto probabile che, data la campagna di stampa che nelle ultime settimane ha messo in discussione l’efficacia dell’Astrazeneca, molte persone possano aver preso le distanze dal farmaco Astrazeneca. Come se non bastasse, nel corso di un’intervista rilasciata alla Frankfurter Allgemeine Zeitung, Angela Merkel ha spiegato che l’Astrazeneca “è un vaccino affidabile, efficace e sicuro, approvato dall’European Medicines Agency (Ema) e raccomandato in Germania fino all’età di 65 anni” e che, insomma, non c’è motivo di non fidarsi. Quando però hanno chiesto alla Merkel se fosse disposta ad assumere quel tipo di vaccino, la cancelliera ha risposto di aver 66 anni e di non appartenere “al gruppo per il quale è raccomandato Astrazeneca”. Il professor Thomas Mertens, che presiede la commissione permanente della Germania sulla vaccinazione, è stato tuttavia chiarissimo. “Stiamo lavorando molto duramente su questo punto per cercare di convincere le persone ad accettare il vaccino e per ricostruire la fiducia nella popolazione. È un problema psicologico e purtroppo ci vorrà del tempo per raggiungere questo obiettivo”, ha spiegato a Bbc Radio 4.

Da leggo.it il 26 febbraio 2021. «Io ho 66 anni e non appartengo al gruppo per cui AstraZeneca è consigliato» ma «è un vaccino affidabile, efficace e sicuro ed è stato approvato dall'agenzia europea del farmaco e in Germania consigliato fino ai 65 anni di età». La cancelliera Angela Merkel è stata chiamata a "dare il buon esempio" ai cittadini tedeschi sottoponendosi al vaccino anti-Covid davanti alle telecamere e dissipare così i dubbi della popolazione, ma in un'intervista al quotidiano Frankfurter Allgemeine Zeitung ha spiegato che non si farà iniettare una dose del siero AstraZeneca. La Germania è uno dei numerosi paesi europei in cui il vaccino AstraZeneca non è attualmente approvato per gli over 65 a causa della mancanza di dati clinici sufficienti a dimostrare la sua efficacia nelle persone più  anziane. Nel Paese c'è una massiccia adesione al movimento dei no-vax e un recente sondaggio ha rilevato che il 34% dei cittadini non vuole vaccinarsi, tanto che al momento sono state somministrate solo 240mila delle 1.54 milioni di dosi fornite da AstraZeneca. Secondo i rapporti diffusi in Germania, molte persone annullano gli appuntamenti per la vaccinazione o semplicemente non si presentano quando vengono a sapere che verrà loro somministrato il siero Astrazeneca. Nel frattempo, ai viaggiatori britannici è stata offerta qualche speranza per un viaggio nel continente entro quest'anno dopo che la Merkel ha spiegato in conferenza stampa che i certificati di vaccinazione digitali saranno probabilmente disponibili prima dell'estate. «Tutti concordano sul fatto che abbiamo bisogno di un certificato di vaccinazione digitale», ha detto la cancelliera, aggiungendo che la Commissione europea avrebbe bisogno di circa tre mesi per creare la base tecnica per tali documenti. Tuttavia, ha affermato che non è stato vaccinato un numero sufficiente di persone da revocare le restrizioni sui viaggi non essenziali e l'UE ha vaccinato solo circa il 6% della sua popolazione. Le restrizioni, che includono il divieto di viaggi non essenziali dal Regno Unito, dovrebbero rimanere in vigore fino a quando la cifra non sarà più vicina al 70% degli adulti. La Gran Bretagna ha vaccinato circa il 28% delle persone e le compagnie di viaggio hanno segnalato un aumento delle prenotazioni per le vacanze dopo che Boris Johnson ha affermato che il divieto di viaggi internazionali potrebbe essere revocato il 17 maggio.

Angela Merkel rifiuta il vaccino AstraZeneca: "Non è consigliato per la mia età". Libero Quotidiano il 26 febbraio 2021. Angela Merkel non ha voluto farsi iniettare la dose contro il coronavirus: "Io ho 66 anni e non appartengo al gruppo per cui AstraZeneca è consigliato" ma "è un vaccino affidabile, efficace e sicuro ed è stato approvato dall'agenzia europea del farmaco e in Germania consigliato fino ai 65 anni di età". La cancelliera Merkel doveva sottoporsi al vaccino anti-Covid davanti alle telecamere per convincere i tedeschi a seguirla ma in un'intervista al quotidiano tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung ha spiegato che non si farà iniettare la dose del siero AstraZeneca. Il vaccino AstraZeneca in Germania non è approvato per gli over 65 perché non ci sono dati clinici sufficienti a dimostrare la sua efficacia nelle persone più  anziane. Ma in tutta Europa, sostiene il Guardian in una inchiesta clamorosa, quattro dosi su cinque del vaccino anti Covid di AstraZeneca non sono ancora state utilizzate. Analizzando i dati dell'European Centre for Disease Prevention and Control (Ecdc) e di altre fonti ufficiali, si stima che 4.849.752 dosi delle 6.134.707 distribuite tra i 27 Paesi Ue debbano ancora essere somministrate. Un fattore significativo di questa situazione potrebbe essere la decisione delle autorità di Francia, Germania, Italia e Polonia di raccomandare il vaccino Astrazeneca solo per le persone di età inferiore ai 65 anni e l'incapacità logistica di destinare il vaccino a classi di età più giovani. Un altro fattore potrebbe essere anche la riluttanza di molti cittadini a farsi somministrare il vaccino Astrazeneca, dopo la campagna di stampa che ne ha messo in discussione la sicurezza e l'efficacia. Come ha ammesso la stessa cancelliera tedesca tra gli europei c'è un "problema di accettazione" del vaccino anglo-svedese. E la cosa la riguarda direttamente visto che è stata lei la prima a non farselo iniettare e a non dare il "buon esempio".

BUONGIORNO OMS! – L’ORGANIZZAZIONE MONDIALE DELLA SANITÀ HA APPROVATO IL VACCINO PFIZER-BIONTECH. CON COMODO: NEL REGNO UNITO L’OK È ARRIVATO L’8 DICEMBRE, PRATICAMENTE UN MESE FA. Dagospia il 2 gennaio 2021. (ANSA il 2 gennaio 2021) - ROMA, 02 GEN - L'organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha approvato il vaccino Pfizer-BioNTech: la decisione rappresenta una svola per i Paesi in via di sviluppo privi di propri organismi di regolamentazione in materia sanitaria, che potranno così accelerare i loro iter per il via libera al vaccino ed iniziare i relativi programmi di immunizzazione. Lo riporta la Cnn. Il vaccino Pfizer-BioNTech è stato approvato dal Regno Unito l'8 dicembre scorso e poi dagli Stati Uniti, dal Canada e dall'Unione europea. (ANSA).

Dagospia il 5 gennaio 2021. Riceviamo e pubblichiamo: Lettera 14. Caro Dago, Covid, persino il Messico ha approvato il vaccino AstraZeneca/Oxford. Gli unici idioti che continuano a non dare l'approvazione per l'utilizzo, sono gli europei. Che evidentemente devono continuare ad accontentare la Merkel acquistando quello prodotto da Stati Uniti e Germania (Pfizer-BioNTech) che costa ben 7 volte di più! Senza contare i soldi spesi in energia elettrica per conservarlo a -80 gradi. Baldassarre Chilmeni

Dagospia il 7 gennaio 2021. LA GRANDE TRUFFA DEI VACCINI - ITALIA E FRANCIA ORA SPINGONO INSIEME PER AVERE ASTRAZENECA ENTRO FINE GENNAIO. MA COSTANDO QUELLO ITALO-INGLESE 2,80 EURO A DOSE (PUÒ ESSERE CONSERVATO ANCHE IN FRIGO) CONTRO I 20 DI PFIZER-BIONTECH E DI MODERNA ((CON TRASPORTO A -80 GRADI), L’EMA HA “RALLENTATO” CON MILLE CAVILLI L’AUTORIZZAZIONE PER DARE TEMPO AI TEDESCHI-AMERICANI DI RIMPINGUARE LE CASSE (IL BUSINESS VALE 50 MILIARDI DI DOLLARI) - PERCHÉ LE FORNITURE DI ASTRAZENECA DIVENTANO VITALI PER LA CAMPAGNA DI MASSA.

Michele Bocci per “la Repubblica” il 7 gennaio 2021. Una buona notizia ma un numero di dosi che non basta a tranquillizzare sui tempi di immunizzazione dei cittadini italiani. Da Moderna arriveranno pochi vaccini e per non essere costretti ad aspettare aprile per far partire il grosso della campagna vaccinale è necessario avere a disposizione anche le fiale di AstraZeneca. Come noto, gli studi sul vaccino sviluppato dall' azienda farmaceutica con l' Università di Oxford hanno avuto un rallentamento ma comunque la richiesta di autorizzazione alle autorità regolatorie non sarebbe lontana. E proprio per non perdere altro tempo il ministro alla Salute italiano Roberto Speranza e quello francese Olivier Véran hanno fatto insieme pressioni su Ema, che autorizza i farmaci in Europa, perché decida prima possibile, nel rispetto delle sue procedure che valutano sicurezza ed efficacia di tutti i medicinali immessi sul mercato. Se tutto va bene, il via libera potrebbe arrivare a fine gennaio, cosa che permetterebbe di avere le dosi disponibili a febbraio, e quindi di dare la svolta alla campagna vaccinale. Ieri Speranza, con il ministro agli Affari regionali Francesco Boccia e il commissario straordinario per l' emergenza Domenico Arcuri ha incontrato le Regioni per fare il punto sulla situazione, premettendo che l' Italia è la seconda in Europa dopo la Germania come numero di vaccini già fatti. Riguardo a Moderna, è stato spiegato che all' inizio non arriveranno molte dosi. A gennaio ne sono attese 110 mila, a febbraio 650 mila e a marzo 570 mila. Nel primo trimestre ci saranno quindi invii quasi simbolici. Nel secondo i milioni inviati dalla società americana saranno 4,65, nel terzo 7,97 e nel quarto 7,31. In tutto si tratta di poco più di 21 milioni di dosi. Anche per il vaccino di Moderna è necessario il richiamo. Pfizer continuerà a fare le sue consegne, anche se il ritardo in quella prevista per l' altro ieri ha preoccupato un po' tutti. Comunque, la multinazionale Usa a febbraio dovrebbe inviare 3,36 milioni di dosi, a marzo 4,76, nel secondo trimestre 12,75, nel terzo 14,11 e nel quarto 3,32. Se si considerano Pfizer e Moderna, fino al 31 marzo in Italia arriveranno poco più di 9 milioni di dosi. Non moltissime, visto che servirebbero a vaccinare oltre 4,5 milioni di persone (4,9 se si considerano quelle già somministrate). Per questo si spera in AstraZeneca, che entro marzo ha promesso oltre 16 milioni di dosi (e altre 24 nel secondo trimestre). Se non dovessero arrivare, si punterà su Johnson&Johnson, altra multinazionale il cui vaccino deve ancora essere approvato. Quell'azienda dal secondo trimestre, appunto a partire da aprile, invierà 14,81 milioni di dosi e nel terzo addirittura 32,3. Va precisato che il suo è l' unico vaccino che non ha bisogno di un richiamo e quindi se gli studi diranno che funzione ed è sicuro, da solo potrebbe coprire buona parte della popolazione italiana. L' obiettivo di Arcuri (che vorrebbe aver coperto 13,7 milioni di persone ad aprile e 21,5 a maggio) è di completare la vaccinazione volontaria entro fine agosto. Riguardo alla velocità di vaccinazione in questo avvio della campagna, alla riunione di ieri l' assessore alla Salute del Lazio Alessio D' Amato ha spiegato che si potrebbero fare anche più iniezioni ogni giorno. «Ma visto che le dosi non sono molte nei prossimi due mesi viaggiano col freno a mano tirato». Ha chiesto poi la garanzia della puntualità nelle consegne. Arcuri, che annuncia per il 20 gennaio l' invio dei primi 1.500 vaccinatori assunti a tempo determinato nelle Regioni, ha parlato di «giornata di tregenda» riferendosi a martedì, quando Pfizer ha annunciato di non poter inviare tutte le dosi previste per questa settimana. Le altre dovrebbero comunque arrivare oggi. «Faccio un lavoro complicato con Pfizer per richiamarla formalmente e sostanzialmente alla puntualità», ha detto, spiegando di confidare che i difetti distributivi progressivamente saranno superati. Ci vuole costanza nelle consegne, ha concordato con D' Amato.«Se viene rapidamente approvato il vaccino di AstraZeneca lo scenario cambierebbe », ha detto ancora Arcuri alle Regioni, spiegando anche di avere fiducia nella velocità di Johnson& Johnson.

Pfizer ritarda le consegne del vaccino, Arcuri: “Pronte azioni legali”. Redazione su Il Riformista il 20 Gennaio 2021. Allarme vaccino anti-covid in Italia a causa dei ritardi delle consegne da parte di Pfizer. E’ quanto annuncia il Commissario straordinario per l’emergenza Covid, Domenico Arcuri. “Ho ricevuto una unanime solidarietà da parte di tutti i presidenti delle regioni e delle province autonome del nostro paese nel corso della riunione appena conclusa alla presenza dei ministri Speranza e Boccia”, spiega Arcuri. “La tutela della salute dei cittadini italiani non è una questione negoziabile. La campagna vaccinale non può essere rallentata, tantomeno per le somministrazioni delle seconde dosi ai tanti italiani a cui è stata già somministrata la prima”. “Purtroppo l’esito delle interlocuzioni anche odierne con Pfizer non ha sortito gli effetti che auspicavamo. Infatti l’azienda – ha aggiunto il Commissario straordinario – ci ha comunicato che anche nel corso della prossima settimana non solo non verranno consegnate in Italia le dosi che sono state unilateralmente e senza preavviso non consegnate in questa settimana, pari al 29%, ma ci sarà una pur lieve ulteriore riduzione delle consegne. Di conseguenza si è discusso quali azioni intraprendere a tutela dei cittadini italiani e della loro salute in tutte le sedi, civili e penali, in cui ciò sarà possibile. Si è unanimemente deciso che tali azioni verranno intraprese a partire dai prossimi giorni in un quadro unitario”. Nel corso della riunione con i rappresentanti delle Regioni, cui hanno partecipato anche il ministro Roberto Speranza e i rappresentanti delle Regioni, tra loro i governatori Stefano Bonaccini (Emilia), Donato Toma (Molise), Marco Marsilio (Marche), Luca Zaia (Veneto), Attilio Fontana(Lombardia) e l’assessore lombardo al Welfare Letizia Moratti, il ministro per gli Affari Regionali Francesco Boccia ha ringraziato le regioni per aver aderito unitariamente alla proposta di azione legale congiunta commissario stato regioni contro Pfizer. Secondo quanto si apprende, domani grazie alla decisione presa durante la riunione verrà attivato il contenzioso attraverso avvocatura dello Stato.

Marco Bresolin per "La Stampa" il 20 gennaio 2021. Cosa succede se un'azienda, in questo caso Pfizer/BioNTech, non rispetta i tempi di consegna dei vaccini? Al momento nessuno è in grado di rispondere alla domanda perché sui contratti vige una clausola di riservatezza che impedisce di conoscerne i dettagli. E anche se ora la multinazionale Usa ha annunciato che renderà noto l'accordo siglato con i governi Ue, gli interrogativi sono destinati a rimanere tali perché con ogni probabilità il documento verrà pubblicato con una serie di «omissis». Esattamente come è stato fatto con quello di CureVac. La mancanza di trasparenza ha scatenato le proteste degli europarlamentari, che accusano la Commissione di occultare informazioni importanti per i cittadini: secondo il capogruppo dei liberali, Dacian Ciolos, questo atteggiamento «mette a rischio la loro fiducia nei vaccini». Ma dall'esecutivo Ue ammettono di non poterci fare nulla: «Abbiamo le mani legate dalle clausole di riservatezza», si è difesa Stella Kyriakides, commissaria alla Salute. Nei giorni scorsi il contratto siglato con CureVac è stato messo a disposizione degli eurodeputati, ma a una serie di condizioni molto rigide: per consultarlo era necessario recarsi fisicamente in un ufficio della Commissione, solo per pochi minuti, senza la possibilità di scattare fotografie o prendere appunti. E con sorpresa finale: le parti più interessati erano censurate. Niente dettagli sui prezzi, sui pagamenti e sulle consegne. Sul contratto siglato dalla Commissione con CureVac c'è una tabella con il numero delle dosi da consegnare (che però è oscurato) con cadenze trimestrali. Da Bruxelles spiegano che «i dettagli delle consegne sono disciplinati dagli accordi tra le case farmaceutiche e i singoli Stati». Ma da un punto di vista legale le aziende che producono vaccini potrebbero essere vincolate a rispettare solo la quantità prevista all'interno di ogni trimestre e non il calendario settimanale. Questo spiegherebbe perché, nei giorni scorsi, Pfizer ha assicurato a Ursula von der Leyen che tutte le dosi previste per i primi tre mesi dell'anno arriveranno entro marzo. L'intesa con Pfizer, come detto, è ancora ignota. Ma se fosse in linea con quella siglata con CureVac ci sarebbero pochi margini per contestare i ritardi. Nel contratto si legge: «In caso di ritardo nella fornitura del prodotto rispetto al programma di consegna stimato, il contraente informerà la Commissione non appena ragionevolmente possibile, spiegando le ragioni del ritardo e presentando un programma di consegne rivisto che dovrebbe essere il più vicino possibile al programma di consegne stimato, tenendo in considerazione le ragioni del ritardo». Se così fosse, non ci sarebbero conseguenze per l'azienda. Pfizer ha giustificato i ritardi con un temporaneo rallentamento della produzione che è finalizzato a una sua ulteriore espansione. Sembra che la frenata sia dovuta a una mancanza di scorte delle materie prime. A questo si aggiunge il caos legato al numero di dosi per fiala: inizialmente erano 5, ma alcuni Stati - attraverso speciali siringhe - sono riusciti a estrarne 6. Tanto che anche l'Agenzia europea del farmaco ha dato il via libera all'estrazione della sesta dose. Pfizer/BioNTech, però, non ha alcuna intenzione di regalarla: la dose in più viene conteggiata come tutte le altre e il problema è che alcuni Stati (come la Francia o la stessa Germania) sono al momento a corto delle siringhe necessarie, dunque si ritrovano con meno vaccini rispetto a quelli ordinati. Dalla Commissione Ue sono però ottimisti e assicurano che a fine marzo arriverà «una quantità impressionante di vaccini». L'esecutivo Ue ha fissato obiettivi ambiziosi per i governi: entro la fine dell'estate si punta a vaccinare il 70% degli adulti, mentre entro la fine di marzo l'80% del personale sanitario e degli over 80.

Claudia Voltattorni per il "Corriere della Sera"  il 20 gennaio 2021. Oggi l'Italia attende 241.020 dosi di vaccino Pfizer. Dovevano arrivare ieri. Ne sono state consegnate solo 53.820. E questo dopo che già lo scorso venerdì ne sono arrivate 165 mila in meno. Un ennesimo ritardo che il direttore generale dell'Aifa, l'Agenzia italiana del farmaco, Nicola Magrini, definisce «molto preoccupante» e che mette le Regioni in stato di allarme perché una consegna a singhiozzo rischia di far saltare l'intero piano vaccinale, con ritardi sia nella prima vaccinazione sia nel richiamo. Non solo. La consegna ritardata ha creato disparità tra le Regioni con arrivi in alcuni casi ridotti di oltre la metà, come in Veneto, Sardegna, Friuli-Venezia Giulia, Emilia-Romagna. Dopo aver cambiato a sorpresa e unilateralmente la tempistica di consegna motivandola con problemi di assestamento nella produzione, il colosso farmaceutico Usa Pfizer promette che dal 25 gennaio tutto tornerà regolare. Ma il commissario straordinario all'emergenza Domenico Arcuri fa sapere che «l'azienda ci ha comunicato che anche nel corso della prossima settimana non solo non verranno consegnate in Italia le dosi non consegnate in questa settimana, pari al 29%, ma ci sarà una pur lieve ulteriore riduzione delle consegne». Un comportamento «deplorevole» e, nell'incontro di ieri sera con le Regioni e i ministri di Salute e Affari regionali, Roberto Speranza e Francesco Boccia, ipotizza un esposto alla procura «per inadempimento del contratto pubblico: valuteremo - spiega - quali azioni intraprendere a tutela dei cittadini italiani e della loro salute in tutte le sedi, civili e penali, in cui ciò sarà possibile». Oggi partirà il contenzioso attraverso l'avvocatura dello Stato, dice Boccia: «Pretendiamo chiarezza e rispetto per il nostro Paese sugli accordi europei presi». E il presidente della Conferenza Stato-Regioni e presidente dell'Emilia-Romagna Stefano Bonaccini assicura l'appoggio delle Regioni «per tutte le azioni che si vorranno intraprendere allo scopo di tutelare il diritto alla salute dei cittadini italiani». Nel frattempo, per tamponare i «buchi» lasciati dai ritardi di Pfizer, d'accordo con le Regioni, il governo vara un nuovo piano di distribuzione dei vaccini con un meccanismo di solidarietà tra le Regioni per garantire i richiami: chi ha conservato più dosi di scorta le cederebbe a chi ha somministrato più vaccini rimanendo poi senza. Ma intanto ecco già i primi effetti dei ritardi con lo slittamento deciso da Lazio, Piemonte e Puglia dell'inizio della vaccinazione degli ultraottantenni e dei 400 mila pazienti oncologici. L'obiettivo era quello di vaccinare over 80 e sanitari entro la fine di marzo. Ieri un milione e 200 mila persone ha ricevuto il vaccino, per 4.285 è arrivata la seconda dose. Non si placa poi la polemica sulle parole della vicepresidente della Lombardia Letizia Moratti che legava la consegna dei vaccini al Pil. Ma in una lettera inviata ad Arcuri, Moratti spiega di non aver mai «pensato di declinare vaccini e reddito, il Pil cui mi riferivo è un indicatore finanziario, produttivo, economico». Nonostante ciò, accuse e critiche sono arrivate un po' da tutte le parti, a partire dal ministro Boccia: «Un'ipotesi contraria alla civiltà e ai diritti universali». Poi il sindaco di Milano Beppe Sala, «mi cadono le braccia», e il governatore della Campania Vincenzo De Luca: «Siamo ad un passo dalla barbarie».

La causa a Pfizer per sequestrare le dosi pattuite. Mistero sul contratto. La mossa consente all'Avvocatura dello Stato di bloccare le fiale che spettano al nostro Paese e sanzionare il produttore. Ma il governo deve depositare gli accordi che l'Ue tiene "coperti". Luca Fazzo, Giovedì 21/01/2021 su Il Giornale. Adesso, volente o nolente, il governo dovrà tirare fuori dal cassetto il contratto segreto firmato dalla Commissione europea con il colosso Pfizer per la fornitura di Corminaty, il primo vaccino per il Covid-19 approvato dalle agenzie del farmaco europee. Perché se davvero l'Italia è decisa a fare la voce grossa con la multinazionale per la riduzione unilaterale della fornitura, e a rivolgersi alla magistratura per costringerla al rispetto degli accordi, bisognerà spiegare almeno al giudice quali sono questi patti. Si dovrà, cioè, sollevare almeno in parte il velo che ricopre gli accordi presi: ancora l'altro ieri il commissario europeo alla salute Stella Kyriakides non ha voluto rivelare ai parlamentari quali sanzioni preveda l'accordo, e nei prossimi giorni gli eurodeputati potranno solo leggere l'accordo senza farne copia, con 50 minuti di tempo a testa. Un velo di riservatezza che i vertici della Ue hanno finora motivato con la necessità di tutelare sia i segreti industriali di Pfizer-Biontech, sia di non divulgare il contenuto economico, cioè il prezzo pagato per ogni dose. Ma è chiaro che nessun ricorso e nessuna denuncia può partire contro Pfizer se non si deposita per intero il contratto che regola la fornitura. Ma quali sono le chance di ottenere per via giudiziaria il rispetto degli accordi presi? L'altro ieri il ministro per gli Affari regionali, il piddino Francesco Boccia, ha ipotizzato apertamente una denuncia penale nei confronti di Pfizer per inadempienza contrattuale. Sarebbe una mossa di notevole impatto mediatico ma difficilmente in grado di sortire risultati concreti in tempi utili: prima che un magistrato affronti la pratica, la valuti, intervenga, il piano di somministrazione dei vaccini si spera che sia in fase avanzata. Per questo è più probabile che - se la dilazione delle consegne dovesse proseguire - il governo scelga di affidarsi alla magistratura civile: e proprio in questa direzione sembra andare l'affidamento della pratica nei giorni scorsi all'Avvocatura dello Stato. E qui dalla sua parte il governo ha due strumenti. Uno che fa da sempre parte del codice di procedura civile, l'articolo 700 che consente ricorsi e provvedimenti d'urgenza in caso di danno grave e imminente. L'altro è uno strumento più recente, inserito all'articolo 614bis, e si chiama «astreinte»: prevede la possibilità per il giudice di stabilire una sanzione fissa, immediatamente esecutiva, stabilendo «la somma di denaro dovuta dall'obbligato per ogni violazione o inosservanza successiva ovvero per ogni ritardo nell'esecuzione del provvedimento». In pratica, l'Avvocatura dello Stato potrebbe chiedere un provvedimento d'urgenza per dichiarare l'inadempienza contrattuale di Pfizer, e un ordine alla multinazionale di consegnare tutte le dosi previste. E nel caso che, come probabile, costringere materialmente il colosso a consegnare tutte le dosi, chiedere che per ogni giorno di ritardo il colosso debba versare una somma che, viste le dimensioni miliardarie del contratto, potrebbe risultare assai salata. In questo modo, al danno di immagine per Pfizer si aggiungerebbe un pesante danno economico. La domanda ora è: questa prospettiva, questo rischio, saranno sufficienti a convincere nei prossimi giorni l'azienda newyorkese a tornare sui suoi passi? Per rispondere, bisognerebbe conoscere il dettaglio cruciale che la Kyriakides si è ben guardata dal rendere noto al Parlamento di Bruxelles: quali clausole sono previste in caso di ritardi nelle forniture di vaccino? Al momento della firma dell'accordo, ad avere il coltello dalla parte del manico era sicuramente Pfizer, i governi erano alla ricerca disperata di un primo farmaco, e avrebbero accettato qualunque condizione, anche la più pesante, pur di portare a casa le dosi. Se tra le clausole capestro ci fosse anche la rinuncia ad intraprendere azioni legali contro le eventuali inadempienze di Pfizer, fare causa diverrebbe impossibile. E i proclami di questi giorni si rivelerebbero in tutta la loro inconsistenza.

Mezz'ora in più, "sapete quanto ci guadagna Pfizer?": la clausola contrattuale che consente il taglio delle dosi. Libero Quotidiano il 24 gennaio 2021. Lucia Annunziata si è avvalsa del collegamento con Marc Boatenga da Bruxelles per affrontare il delicato tema del vaccino Pfizer. Ospite di Mezz’ora in più su Rai3, l’europarlamentare ha spiegato alcune clausole contrattuali che giocano tutte a favore dell’azienda americana. “Si è scoperto che si possono estrarre non cinque ma sei dosi e quindi Pfizer ha comunicato che, siccome il contratto parla di dosi e non di fiale, adesso darà meno fiale ai paesi coinvolti”, ha dichiarato Boatenga che ha poi sottolineato che si tratta di un’interpretazione “molto stretta” del contratto. “Capisco il punto di vista di Pzifer che vuole fare il 20% di profitto in più e lo farà, ma dal punto di vista della salute pubblica non ci conviene perché rimaniamo in penuria”, ha commentato amaramente l’europarlamentare. Il quale poi ha evidenziato un altro aspetto contrattuale che ritiene piuttosto grave: “In caso di vizi segreti nei vaccini risponderanno i governi, e quindi le istituzioni europee. In caso di risarcimento la responsabilità economica ricadrà quindi sugli stati membri e non sulle case farmaceutiche”.

Causa a Pfizer, i pro e i contro di un'azione legale: "Non è escluso il blocco delle consegne dei vaccini". Fabio Tonacci su La Repubblica il 25 gennaio 2021. Il professore emerito di Diritto pubblico alla Sapienza Federico Tedeschini e l'avvocato amministrativista Dario De Blasi rispondono alle domande su tempi e modalità di un eventuale giudizio civile del governo contro le aziende inadempienti. Dopo il taglio delle dosi e i ritardi nelle consegne da parte di Pfizer, il governo italiano ha annunciato che, come primo atto, presenterà una diffida.

Cosa comporta? 

"La diffida - risponde l'avvocato amministrativista Dario De Blasi, partner dello studio internazionale Silaw - è l'atto con il quale si contesta l'inadempimento contrattuale e si richiama la controparte al rispetto degli impegni entro un certo termine". 

Cosa succede se il termine scade?

"L'Italia potrà chiedere in via giudiziaria l'adempimento o la risoluzione del contratto, oltre al risarcimento dei danni". 

ll contratto con Pfizer è stato firmato dalla Commissione a Bruxelles. È possibile intentare una causa civile anche in Italia?

"Dipende dalle clausole che vi sono state inserite. Le parti possono aver individuato l'autorità che ha giurisdizione sulle controversie. Non si può escludere che, trattandosi di un rapporto internazionale, le parti abbiano optato per la devoluzione delle controversie a un'istituzione arbitrale internazionale". 

Pfizer sostiene che il taglio del 29% delle dosi sia temporaneo e dovuto alla ristrutturazione della fabbrica di Puurs. Basta questo a evitarle l'accusa di inadempienza?

"Per sottrarsi alla responsabilità - dice De Blasi - deve dimostrare che l'inadempimento è dovuto a cause ad essa non imputabili, quali il caso fortuito, la forza maggiore o l'impossibilità sopravvenuta". 

Le consegne sono settimanali, ma la fornitura è calcolata su base trimestrale. Se Pfizer a marzo sarà riuscita a recuperare, ci saranno ancora i margini per la causa?

"Non credo. Il produttore può invocare il beneficio del termine trimestrale per poter adempiere alla consegna delle dosi". 

Mediamente che tempi ha una causa civile di questo tipo?

"Un giudizio arbitrale può svolgersi anche in pochi mesi. Per un giudizio ordinario di fronte al giudice italiano pare ragionevole ipotizzare almeno un paio d'anni". 

Nelle more di una causa, Pfizer potrebbe decidere di interrompere la fornitura?

"Potrebbe, sì - spiega Federico Tedeschini, amministrativista e professore emerito di Diritto pubblico alla Sapienza di Roma - le multinazionali sono molto potenti, per questo è più efficace un'azione del governo dell'Unione". 

La causa civile e il paventato esposto penale per danni alla salute pubblica sono gli unici strumenti a disposizione del nostro governo?

"C'è anche un'altra ipotesi, secondo me la più dissuasiva. Ad oggi ci sono le condizioni perché il Garante della concorrenza, d'ufficio, apra un'istruttoria per valutare se il comportamento di Pfizer e di AstraZeneca, che ha anch'essa annunciato un taglio del 60 per cento delle forniture, oltre a configurare l'ipotesi di pratica commerciale scorretta possa realizzare un'intesa tendente a restringere la concorrenza".

Se così fosse, cosa accadrebbe?

"La sanzione per le case farmaceutiche - dice Tedeschini - potrebbe essere pari al profitto derivato dall'ipotizzata intesa. L'istruttoria si può concludere in qualche mese".

Niccolò Carratelli per "la Stampa" il 26 gennaio 2021.

Dosi e non fiale. Consegne su base trimestrale e non settimanale. Quando all' Avvocatura dello Stato hanno letto il contratto stipulato con Pfizer, hanno capito subito che per il nostro governo non sarà facile mettere con le spalle al muro la multinazionale americana. La diffida inviata ieri, per conto del Commissario per l' emergenza Covid, Domenico Arcuri, chiede il «rispetto degli obblighi contrattuali relativi, anzitutto, alla mancata consegna di dosi destinate alla campagna di vaccinazione della popolazione italiana». Con la minaccia di «ulteriori azioni da intraprendere, in sede nazionale ed europea, a tutela della regolare prosecuzione della campagna e della salute dei cittadini». Una causa civile con richiesta di risarcimento danni, un esposto penale per danno procurato alla salute pubblica, un' iniziativa da sollecitare alla Commissione europea per avviare una controversia presso il foro di Bruxelles, visto che lì è stato firmato il contratto principale con Pfizer, di cui i contratti dei singoli Paesi sono semplici declinazioni. In teoria è tutto possibile, in pratica il percorso è piuttosto accidentato.

I paletti del contratto. Perché se è vero che finora Pfizer non ha consegnato praticamente mai all' Italia il numero esatto di dosi annunciate ogni settimana, con riduzioni via via più pesanti (il 30% e il 20% in meno nelle ultime due settimane) è anche vero che da nessuna parte, nel contratto, vengono indicati i dettagli delle forniture settimanali. C' è solo il riferimento alle 8 milioni e 700 mila dosi da recapitare all' Italia entro il 31 marzo: se a quella data la consegna non sarà stata completata, si potrà avviare una contestazione e pretendere il pagamento di una penale. Non sicuro, tra l' altro, perché l' azienda, sempre in base al contratto, avrebbe prima la possibilità di "rimediare" all' inadempienza. Al momento, con la spedizione attesa tra oggi e domani, arriveremo a un totale di 2 milioni e 300 mila dosi, poco più di un quarto della quantità prevista nel primo trimestre. Pfizer ha già assicurato che dalla prossima settimana il ritmo delle forniture tornerà regolare. Senza dubbio, a febbraio e marzo Pfizer dovrà aumentare il numero di fiale da inviarci e non ridurlo, come ha fatto ultimamente, approfittando del riconteggio autorizzato dall' Ema: 6 dosi utili in ogni fiala invece che 5. Ma, fino a prova contraria, è difficile sostenere l' accusa di non aver rispettato il volume di consegne previsto. Le ragioni del Commissario A meno che non vengano ritenute vincolanti le comunicazioni intercorse tra Pfizer e la struttura commissariale, in cui veniva illustrato nel dettaglio il numero delle dosi in spedizione per ogni settimana. Quello sì disatteso, anche con un preavviso minimo. «Se l'Avvocatura si è mossa in questo senso, evidentemente ritiene ci siano basi legali solide su cui agire - spiegano dallo staff di Arcuri - noi abbiamo fornito tutta la documentazione utile». Altro comportamento contestato, l' aver stabilito in modo unilaterale a quali Regioni tagliare in misura maggiore la fornitura, creando inevitabilmente degli squilibri nella gestione della campagna vaccinale a livello locale, in particolare per la pianificazione dei richiami. Il punto, però, è che la battaglia legale è rischiosa anche dal punto di vista dei rapporti con Pfizer, almeno finché saremo dipendenti dal loro vaccino, come lo siamo stati finora. Anche per questo il commissario Arcuri ha mandato un messaggio chiaro: «Per gli italiani i vaccini sono più importanti di qualsiasi risarcimento, ma non deve succedere che non arrivino né i vaccini né il risarcimento economico». Potendo scegliere, quindi, meglio tutti i vaccini, il prima possibile, perché «la speranza, nonostante tutto, è che l' immunità di gregge si possa raggiungere in autunno».

Indennizzi per danni da vaccino Covid: sì all’ordine del giorno della Lega, ma il risarcimento esiste già. Chiara Nava il 09/09/2021 su Notizie.it. Il Governo ha detto sì all’ordine del giorno della Lega, sugli indennizzi per danni da vaccino, ma questo risarcimento esiste già. Secondo La Stampa sarebbe la merce di scambio per avere l’ok della Lega all’estensione del Green pass. Il Governo ha deciso di dire sì agli indennizzi per i danni da vaccino contro il Covid. Secondo La Stampa, questa sarebbe merce di scambio per ottenere l’ok della Lega all’estensione della certificazione verde per alcune categorie di lavoratori. Il quotidiano che Palazzo Chigi ha chiesto ai leghisti di trasformare gli emendamenti in ordini del giorno, quindi non vincolanti, ai quali il governo darà un parere positivo. Tra questi anche gli indennizzi per le persone che dimostreranno di aver avuto un danno fisico in seguito alla somministrazione del vaccino anti-Covid, l’utilizzo degli anticorpi monoclonali, la semplificazione dei test salivari e le maggiori tutele per i più fragili. Qualcosa, però, sembra proprio non tornare. Come ha ricordato Eugenia Tognotti su La Stampa, e come sostengono le sentenze, lo Stato deve già risarcire eventuali danni fisici da vaccinazione anti-Covid. Anche se non è in vigore l’obbligo vaccinale e la legge 25 febbraio 1992 n.210 stabilisce che “chiunque abbia riportato, a causa di vaccinazioni obbligatorie per legge o per ordinanza di una autorità sanitaria italiana, lesioni o infermità, dalle quali sia derivata una menomazione permanente della integrità psico-fisica, ha diritto ad un indennizzo da parte dello Stato, alle condizioni e nei modi stabiliti dalla presente legge“, la Corte Costituzionale ha sottolineato che tra obbligo e raccomandazioni non ci sono grandi differenze. “La ragione che fonda il diritto all’indennizzo del singolo non risiede allora nel fatto che questi si sia sottoposto a un trattamento obbligatorio: riposa, piuttosto, sul necessario adempimento, che si impone alla collettività, di un dovere di solidarietà, laddove le conseguenze negative per l’integrità psico-fisica derivino da un trattamento sanitario (obbligatorio o raccomandato che sia) effettuato nell’interesse della collettività stessa, oltre che in quello individuale”. Questo significa che il Governo ha detto sì alla Lega per qualcosa che in realtà esisteva già. Lorenzo Cuocolo, costituzionalista e professore ordinario di diritto pubblico comparato all’Università di Genova, ha spiegato che un lavoratore obbligato ad esibire il Green pass potrebbe già ottenere un indennizzo se dovesse riportare danni dovuti al vaccino. “Se un insegnante si vaccina per continuare a lavorare e dovesse avere un’invalidità o una malattia permanente, può senza alcun dubbio rivolgersi allo Stato per farsi risarcire. Si dice che lo Stato attualmente obbliga a vaccinarsi senza assumersi responsabilità, ma di fatto non è vero” ha dichiarato. Quindi, il Governo ha cosa ha detto si? L’ordine del giorno della Lega, accettato soprattutto per ottenere un voto positivo all’estensione del Green pass, riguarda qualcosa che esiste già da tempo.  

Vaccino, clausola segreta: “Le reazioni avverse le paga lo Stato”. In questo modo l'azienda farmaceutica si è tutelata contro eventuali ricorsi legali. Valentina Dardari, Martedì 26/01/2021 su Il Giornale.  L’azienda farmaceutica Pfizer-Biontech ha pensato bene di tutelarsi nel caso la somministrazione del vaccino da lei prodotto dia reazioni avverse.

Il contratto che tutela la Pfizer. Infatti, come riportato da Repubblica, se si legge attentamente il contratto firmato lo scorso novembre tra la Commissione europea e l’azienda statunitense, e anche le due lettere d’ordine di 39 milioni di dosi al nostro Paese firmate dal commissario straordinario Domenico Arcuri, si capisce che, in caso di problemi, la multinazionale produttrice difficilmente risponde. Intanto, la ditta americana è stata la prima a riuscire a ottenere il via libera dagli enti regolatori europei, staccando tutte le altre. E lo ha fatto con un prodotto costoso, grezzo ma che sembra essere efficace. Il prezzo per dose è di 15,5 euro che, per 300 milioni di dosi, vuol dire in totale 4,6 miliardi. Non poco considerando che è anche difficile da conservare, dato che va tenuto a una temperatura di -75 gradi e viaggia in scatole congelate. Ma torniamo al contratto che Pfizer-Biontech ha stipulato per il suo prezioso vaccino. Uno stuolo di avvocati deve aver pensato bene quali clausole e parole utilizzare per evitare che l’azienda possa finire nei guai. Prima di tutto nel contratto vi sono delle formule apposite che tutelano il più possibile l’azienda da reclami nel caso il cronoprogramma non venga rispettato. Si è inoltre parata le spalle anche nei confronti dei destinatari che riceveranno il vaccino ovvero, in caso di reazioni avverse in seguito alla sua somministrazione, la Pfizer non è responsabile in automatico per eventuali richieste di risarcimenti o indennizzi. Chi paga allora? Lo Stato italiano.

A pagare è lo Stato. Una fonte qualificata che lavora nel settore ha infatti spiegato a Repubblica che “nei contratti stipulati dalle Regioni per i normali vaccini antinfluenzali, o per quelli presenti sul mercato da anni, clausole del genere di solito non ci sono”. E nel nostro Paese la legge 210 del 1992 obbliga lo Stato a indennizzare coloro che ricevono danni irreversibili da trasfusioni, somministrazioni di emoderivati e vaccinazioni. Dato che i vaccini autorizzati solitamente sono molto sicuri, questa legge viene applicata molto raramente e di solito per errori umani o dosaggi sbagliati. In ogni caso, la Pfizer ha preferito non correre rischi e preservarsi da qualsiasi azione legale da parte di chi subisce reazioni avverse anche se temporanee. Discorso diverso nel caso in cui il vaccino, dichiarato efficace al 95%, non dovesse funzionare. Sarebbe alla fine partita una diffida da parte dell’Avvocatura generale dello Stato, voluta soprattutto da Arcuri visto come stavano andando le cose, indirizzata all'azienda americana “perché adempia ai propri obblighi contrattuali relativi, anzitutto, alla mancata consegna delle dosi destinate alla campagna di vaccinazione della popolazione italiana”. Secondo quanto concordato inizialemente con la Pfizer, a gennaio sarebbero dovute arrivare circa 469mila dosi a settimana.

Le dosi di vaccino non consegnate. Poi, lo scorso 8 gennaio, l’Ema ha dato il via libera all’estrazione di 6 dosi e non 5 da ogni fiala di vaccino. Dal 18 al 24 gennaio però qualcosa non è andato come previsto. Invece delle 562mila dosi attese, ne sono arrivate solo 397mila, ovvero il taglio unilaterale del 29% comunicato dall’azienda e motivato con “problemi di manutenzione del sito produttivo belga di Puurs”. Stessa cosa accade questa settimana, quando invece delle 562mila dosi ne arrivano 455mila, il 20% in meno. A questo punto parte la diffida. Leggendo l’accordo Pfizer-Ue, le penali per il mancato rispetto dei termini ci sono, valgono il 20 per cento del valore delle dosi che non sono state consegnate. Però, l'applicazione non è automatica, e il volume della fornitura viene calcolato sui tre mesi. Quindi, solo il prossimo 31 marzo si saprà se il contratto è stato violato oppure no. Questa clausola di garanzia impone che, prima della sanzione, vengano cercati altri modi per trovare un accordo, come per esempio il rimborso delle fiale non consegnate e, come ultima spiaggia, la cessazione del contratto. In questo modo la Pfizer-Biontech è comunque salvaguardata.

Fiorenza Sarzanini e Lorenzo Salvia per il “Corriere della Sera” il 25 gennaio 2021. Otto gennaio 2021: è questa la data chiave per comprendere perché l' Italia non potrà rispettare i tempi della campagna vaccinale che doveva chiudere a fine settembre. E per capire come il colosso americano Pfizer abbia avuto gioco facile sui contratti firmati con l' Unione europea per la fornitura di 300 milioni di dosi del vaccino contro il Covid-19. Quel giorno Pfizer ha infatti ottenuto dall' Ema, l' agenzia europea del farmaco, l' autorizzazione a sostenere che ogni fiala prodotta con il suo marchio contiene 6 dosi di vaccino e non 5. Un calcolo mai effettuato durante le trattative, né tantomeno al momento di siglare gli accordi con l' Ue. Clausole, penali, scadenze e costi: eccolo il contratto firmato dalla Commissione Ue con la multinazionale, identico a quello chiuso con le altre cinque case farmaceutiche che producono il vaccino. Un atto secretato che rivela un dettaglio clamoroso: in caso di inadempienze le penali non scattano in maniera automatica. E questo consente alla multinazionale - dunque a tutte e sei le case farmaceutiche - violazioni difficili da contestare e contrastare. Non solo. Nei documenti a disposizione dell' Avvocatura dello Stato per la diffida che già oggi potrebbe partire è confermato che BioNTech, l'azienda tedesca associata a Pfizer nella produzione del vaccino, ha siglato un contratto parallelo con la Germania che si aggiunge a quello concordato da Bruxelles. E che rischia di minare la distribuzione equa delle dosi tra gli Stati dell'Unione stabilita in percentuale rispetto agli abitanti di ogni Paese, visto che garantisce a Berlino una fornitura aggiuntiva di 30 milioni di dosi. Prima ancora di firmare il contratto definitivo, la Commissione guidata da Ursula von der Leyen si impegna con Pfizer e BioNTech a finanziare la ricerca e la sperimentazione del vaccino in vista della possibile approvazione delle agenzie regolatorie, Ema per l' Europa e poi quelle nazionali, Aifa per l' Italia. Siamo tra ottobre e novembre, nel pieno della seconda ondata. Bisogna fare in fretta, cercare di immunizzare quante più persone è possibile. Eppure il vaccino appare ancora un miraggio. L'Italia e gli altri membri dell'Unione si piegano dunque alla linea imposta da Bruxelles. Accettano di versare soldi a fondo perduto. Si prendono il rischio di perderli qualora i test dovessero avere esito negativo. L' 11 novembre il contratto viene firmato. Il 21 dicembre 2020 l' Ema approva il vaccino di Pfizer-BioNTech. Si stabilisce la ripartizione di 300 milioni di dosi. All' Italia spettano inizialmente 26,5 milioni di dosi che diventano 40 milioni dopo la firma di un contratto aggiuntivo. È il 13,46 % del totale. Nel primo trimestre del 2021 la fornitura prevista è di 8,7 milioni di dosi. Attenzione, nei contratti si parla sempre di dosi, mai di fiale. È questo il dettaglio che servirà poi a cambiare il verso della storia. Non solo. I termini dell' accordo europeo sono vincolanti per tutti gli Stati. E hanno una serie di disposizioni molto precise. Dopo la firma della Commissione europea ogni Stato sottoscrive due lettere d' ordine secondo uno schema predeterminato da Bruxelles, identico per ciascuno Stato membro. «Le condizioni sono interamente previste dal contratto con l' Unione europea e reiteratamente richiamate negli ordini firmati dagli Stati che ne sono una mera esecuzione». Vengono fissate quantità, costi e tempi delle forniture per ogni Paese. I contratti prevedono «allocazioni di dosi su base trimestrale». Le consegne avvengono invece «su base settimanale e secondo le indicazioni successivamente ricevute da Pfizer». Nel contratto le penali «sono esclusivamente sulle forniture trimestrali e non su quelle settimanali». Per avere chiare le conseguenze basta esaminare quanto sta accadendo in questi giorni, così come viene riportato nei documenti a disposizione dell' avvocatura dello Stato: «Finora in nessuna settimana Pfizer ha consegnato effettivamente le dosi che aveva comunicato in precedenza». In quella del 18 gennaio «ne ha consegnate 397.800 invece di 562.770». Nell' ultima settimana c' è stato «un taglio del 29%, che nella prossima scende al 20%». Fino al 31 marzo - quando si avrà il bilancio definitivo del primo trimestre - non potranno esserci contestazioni. Ecco perché l' Italia si muove in autonomia, determinata a contestare il programma di forniture settimanali. Ma non è l' insidia peggiore. La vera clausola di salvaguardia per Pfizer e le altre società farmaceutiche è in quell' articolo dell' accordo che chiarisce termini ed entità delle sanzioni previste in caso di inadempienza. Il contratto fissa infatti «una penale del 20% del valore delle dosi non consegnate» che aumenta in base ai giorni di ritardo. Ma chiarisce che «l' applicazione delle penali non è automatica»: alla fine del primo trimestre deve inizialmente essere esplorata la strada per un «rimedio» alla inadempienza. Tra le possibilità ci sono: il diritto al rimborso, la cessazione del contratto e, solo alla fine, l' applicazione della penale. Un meccanismo che di fatto lascia alle aziende la totale libertà di azione compresa, almeno in teoria, l' eventualità di pagare le penali a fronte di un' offerta alternativa che dovesse rivelarsi più vantaggiosa. Nella consapevolezza che - quando arriveranno sul mercato gli altri vaccini - quello di Pfizer-BioNTech rimane il più complesso da gestire. Costa infatti 14 euro a dose e ha bisogno della catena dell' ultra freddo visto che va conservato a -75°. Per avere un raffronto si può dire che il vaccino AstraZeneca costerà 2 euro a dose e potrà essere conservato a -8°. All' inizio viene comunicato che ogni fiala contiene 5 dosi. Tutto cambia però l' 8 gennaio, a forniture già concordate, quando Ema certifica che «da un' ampolla del vaccino anti Covid Pfizer-BioNTech si potranno vaccinare 6 persone invece di 5». Una nota dell' agenzia chiarisce che «il Comitato per i medicinali per uso umano (Chmp) dell' Ema ha raccomandato di aggiornare le informazioni sul prodotto per Comirnaty (quello di Pfizer-BioNTech) per chiarire che ogni flaconcino contiene 6 dosi del vaccino». Poi le modalità di somministrazione: «Per estrarre sei dosi da una singola fiala, è necessario utilizzare siringhe o aghi a basso volume morto. La combinazione di ago e siringa a basso volume deve avere un volume morto non superiore a 35 microlitri. Se si utilizzano siringhe e aghi standard, potrebbe non esserci abbastanza vaccino per estrarre una sesta dose da una fiala. Se la quantità di vaccino rimanente nel flaconcino dopo la quinta dose non è in grado di fornire una dose completa (0,3 ml), l' operatore sanitario deve eliminarla». Sembra una buona notizia perché gli Stati contano di avere il 20 % di dosi in più senza dover ricorrere a forniture aggiuntive. In realtà è l' appiglio che Pfizer può utilizzare per ridurre le consegne concordate. Nelle lettere d' ordine dei singoli Stati si parla infatti sempre di dosi e mai di fiale. Il 15 gennaio Pfizer comunica però ufficialmente a tutti i referenti europei - per l' Italia il commissario Domenico Arcuri - che «a partire dal 18 gennaio 2021 ogni vassoio spedito conterrà 1.170 dosi e non più 975, con una riduzione del 20 % del numero di fiale». I tagli effettuati finora da Pfizer - che più volte ha promesso di voler «tornare a regime nelle forniture già dalla prossima settimana - sono stati ancora più marcati di quelli che sarebbero serviti a compensare il passaggio da 5 a 6 dosi per fiala. La settimana scorsa, come già ricordato, la riduzione è stata del 29%. Non solo. Perché è stato deciso unilateralmente in quali regioni e con quale intensità ridurre le consegne: in sei regioni non ci sono state variazioni mentre in altre sei il taglio è stato pesante, tra il 49 e il 60%. Per questo la diffida per inadempimento che già oggi potrebbe partire dall' Italia nei confronti di Pfizer contesterà il fatto che «non è stata rispettata la pianificazione settimanale» comportando «pregiudizi per la corretta prosecuzione della campagna vaccinale, impostata sulla base delle formali pianificazioni» di Pfizer. Un esempio è lo slittamento della campagna per le persone con più di 80 anni, confermato ieri. Il tutto causando «potenziali danni alla salute della popolazione italiana, nell' interesse della quale i contratti sono stati sottoscritti». Anche perché i «ritardi nella fornitura sono dipesi da circostanze esclusivamente aziendali». Dopo la diffida, restano due strade possibili. La prima è quella penale: presentazione di un esposto alla Procura di Roma per «verificare la veridicità che le forniture siano state destinate ad altri Paesi», ipotesi più volte smentita dall' azienda, e una «valutazione su frode nelle pubbliche forniture e aggiotaggio». L' altra strada è chiedere all' Unione europea di «valutare l' avvio di una controversia presso il foro di Bruxelles nell' interesse dell' Italia, come Stato membro». Azioni necessarie a pretendere il rispetto dei patti sottoscritti.

Fabio Tonacci per "la Repubblica" il 26 gennaio 2021. Scorrendo le clausole del contratto "madre" stipulato lo scorso novembre tra la Commissione europea e Pfizer-BionTech, e quelle inserite nelle due lettere d' ordine firmate successivamente dal commissario Domenico Arcuri per la fornitura all' Italia di 39 milioni di dosi in sei mesi, non è difficile intuire da che parte sia il manico del coltello.La multinazionale americana è stata la prima a ottenere l' autorizzazione dagli enti regolatori europei. In Occidente, la grande corsa al vaccino l' ha vinta lei. Con un prodotto che è grezzo ma efficace, costoso (la Commissione ha ordinato 300 milioni di dosi al prezzo unitario di 15,5 euro, per un importo totale di 4,6 miliardi) e di non facile conservazione dovendo viaggiare in scatole congelate a -75 gradi. Quando si è trattato di mettere su carta l' impegno immane di distribuire le fiale su tutto il territorio dell' Unione, Pfizer si è tutelata per bene. Ha preteso che nel contratto venissero inserite formule per garantirsi il più possibile da reclami in caso di mancato rispetto del cronoprogramma. E si è tutelata anche nei confronti dei destinatari finali del vaccino: in caso di reazioni avverse alla somministrazione, la Pfizer non è automaticamente responsabile per eventuali richieste di risarcimenti e indennizzi. A pagare è lo Stato italiano. «Nei contratti stipulati dalle Regioni per i normali vaccini antinfluenzali, o per quelli presenti sul mercato da anni, clausole del genere di solito non ci sono», conferma a Repubblica una fonte qualificata che lavora nel settore. Anche perché in Italia esiste una legge (la 210 del 1992) che obbliga lo Stato a indennizzare chi subisce danni irreversibili da trasfusioni, somministrazioni di emoderivati e vaccinazioni. Si applica a eventi rarissimi, causati quasi sempre da dosaggi sbagliati o da errori umani nelle procedure. I vaccini autorizzati, del resto, hanno un livello di sicurezza molto alto. E tuttavia Pfizer si è voluta tutelare da qualsiasi tipo di causa intentata da chi lamenta reazioni avverse, anche solo temporanee, al farmaco inoculato. La clausola non copre, invece, il caso in cui il vaccino (la cui è efficacia contro il Covid-19 è stata testata, in fase di sperimentazione, al 95 per cento) non dovesse funzionare. Anche l' impianto contrattuale che regola l' inadempienza nelle forniture appare, nel complesso, sbilanciato a favore di Pfizer. È di queste ore la notizia dell' invio da parte dell' Avvocatura generale dello Stato di una diffida alla casa farmaceutica «perché adempia ai propri obblighi contrattuali relativi, anzitutto, alla mancata consegna delle dosi destinate alla campagna di vaccinazione della popolazione italiana». È stato soprattutto Arcuri a volerla, dopo la piega che hanno preso le forniture nelle ultime due settimane. Nella pianificazione concordataa fine dicembre con Pfizer, e sui cui il governo ha basato il programma delle vaccinazioni, era stato stabilito che a gennaio l' azienda ci avrebbe fornito in media 469 mila dosi alla settimana. L' 8 gennaio l' Ema, l' ente regolatore europeo, ha autorizzato l' estrazione di 6 dosi da ogni fiala (inizialmente erano 5), aumentando così il computo dei vaccini spediti. Fin qui tutto bene. Per la settimana dal 18 al 24 gennaio Arcuri si aspettava l' arrivo di 562 mila dosi, ma Pfizer ne ha inviate solo 397 mila: è l' ormaifamoso taglio unilaterale del 29 per cento, comunicato con una mail e motivato con «problemi di manutenzione del sito produttivo belga di Puurs». Anche questa settimana le dosi previste erano 562 mila, ma dal Belgio ne arriveranno 455 mila, circa il 20 per cento in meno. Dunque, la diffida. Leggiamo ora l' accordo Pfizer-Ue.Le penali per il mancato rispetto dei termini ci sono, valgono il 20 per cento del valore delle dosi non consegnate, ma: 1) l' applicazione «non è automatica»; 2) il volume della fornitura è calcolato su base trimestrale, quindi non si può stabilire se ci sia violazione contrattuale prima del 31 marzo prossimo. È una clausola di garanzia che impone, prima della sanzione, l' obbligo di provare altre vie per ricomporre la lite, quali il rimborso delle fiale non consegnate e, al limite, la cessazione del contratto. Misure intermedie che proteggono, prima di tutto, l' azienda.

(Adnkronos il 27 gennaio 2021) – Vaccino anti-Covid, Sanofi affiancherà la Pfizer. "La aiuterà nella produzione di oltre 100 milioni di dosi da qui alla fine dell'anno" ha annunciato l'Amministratore delegato del gruppo farmaceutico francese, Paul Hudson, in un'intervista a "Le Figaro". "Dall'inizio dell'epidemia, Sanofi è stata impegnata nella lotta contro Covid-19, lavorando allo sviluppo di farmaci e di due vaccini. Dal momento che siamo in ritardo di qualche mese sul nostro vaccino principale - ha spiegato il numero uno di Sanofi - ci siamo chiesti come renderci utili adesso, in quale altro modo partecipare allo sforzo collettivo per uscire da questa crisi il più rapidamente possibile. Abbiamo studiato le diverse opzioni possibili prima di rivolgerci a Pfizer/BioNTech con cui abbiamo firmato un accordo martedì". "Utilizzeremo il nostro stabilimento di Francoforte, in Germania - conclude Hudson - per confezionare il prodotto che ci verrà fornito da Pfizer-BioNTech a partire da luglio".

Da ilmessaggero.it il 27 gennaio 2021. L'Istituto Pasteur, il più importante organismo di ricerca francese, ha annunciato oggi di aver deciso lo stop allo sviluppo del suo principale progetto di vaccino contro il Covid-19, in partnership con il gruppo Merck (MSD), poiché i primi test hanno mostrato che è meno efficace di quanto si sperasse. Pasteur è il secondo centro di ricerca francese ad annunciare il flop dopo il laboratorio Sanofi, che a dicembre ha fatto sapere che il suo vaccino è in ritardo e sarà pronto soltanto a fine 2021, anche in quel caso per risultati meno buoni del previsto.

Scontro Ue-AstraZeneca: “Basta segreti, rendiamo pubblico il contratto”. Simona Musco su Il Dubbio il 27 gennaio 2021. Polemiche dopo la riduzione delle dosi destinate all’Europa: «Fiale spedite anche fuori dai confini». Ma l’azienda smentisce. La tensione tra AstraZeneca e l’Ue è altissima. E non solo perché l’azienda farmaceutica, nelle scorse settimane, ha annunciato una riduzione di quasi il 60% delle dosi impegnate nell’Unione nel primo trimestre a causa di un problema in uno stabilimento in Belgio. Ma anche perché il Ceo dell’azienda, Pascal Soriot, in un’intervista a Repubblica e al network Lena ha infuocato ulteriormente gli animi. «Non c’è alcun obbligo verso l’Ue. Nel contratto con gli europei c’è scritto chiaramente: “Best effort”. Ossia: “Faremo del nostro meglio”». E i ritardi, rispetto alle dosi consegnate nel Regno Unito, sarebbero dovuti al fatto che l’Ue ha firmato il contratto tre mesi dopo. «Tra l’altro – ha aggiunto – al momento, all’Europa va il 17% della produzione totale del vaccino di Oxford/AstraZeneca, nonostante gli europei siano il 5% della popolazione mondiale. E poi questo è un vaccino no profit per noi. Non ne ricaviamo un soldo». L’impegno, non appena arriverà l’approvazione Ema, «è recapitare all’Ue 17 milioni di dosi entro la fine di febbraio. Di queste, 2,5 circa in Italia», ha chiarito Soriot. Per andare incontro alle richieste europee, l’azienda si è detta disponibile ad anticipare al 7 febbraio l’inizio delle consegne, anziché il 15. Ma alla Commissione Ue non basta: i negoziatori hanno chiesto di dirottare in Europa parte dei vaccini prodotti nel Regno Unito, richiesta che non è andata giù al premier Boris Johnson, già irritato per la proposta di Bruxelles di voler controllare l’export delle dosi. «Spero che i nostri amici europei – ha detto Johnson – onorino i contratti». L’Ue, intanto, contesta la ricostruzione di Soriot, chiedendo lo svincolo dalla clausola di segretezza per poter pubblicare il contratto e smentire la teoria che la dosi per l’Ue debbano essere limitate alla fabbrica in Belgio. Secondo fonti della Commissione, infatti, le dosi possono essere prodotte in quattro impianti, due dei quali in Gran Bretagna, un terzo in Belgio, dove Soriot ha dichiarato esserci problemi di prestazioni, e l’ultimo in Germania. Secondo il Ceo di AstraZeneca, però, l’impianto in Gran Bretagna sarebbe destinato in via esclusiva al solo Regno Unito. Ma l’Ue insiste, definendo scorrette le affermazioni del Ceo. «La versione che l’azienda non abbia un obbligo di consegna» dei vaccini «perché ha firmato un accordo sul “miglior sforzo possibile”» nella produzione di dosi «non è né corretta nè accettabile», ha detto la commissaria europea alla Salute, Stella Kyriakides, nel corso di una conferenza stampa. «Rigettiamo la logica primo arrivato primo servito», ha aggiunto. «È inaccettabile, c’è un dovere morale da rispettare». Ma a infastidire l’Europa è anche il sospetto che l’azienda abbia venduto all’estero le dosi prodotte negli impianti europei grazie ai fondi Ue (336 milioni già stanziati ma non tutti già erogati), opzione totalmente smentita da Soriot: «Un’ipotesi insensata, sul vaccino non facciamo profitti». Ma secondo i dati delle dogane, dall’Ue sarebbero stati spediti diversi vaccini fuori Europa. Non solo: a Bruxelles i dubbi riguardano anche le «contrastanti» giustificazioni sui ritardi, che «non dimostrano l’enorme taglio, perchè all’Ue nel primo trimestre arriverà un quarto delle dosi concordate ed è evidente che non può trattarsi di un guasto in un impianto». E per vederci chiaro l’Ue si sta organizzando con le autorità belghe per fare «un’ispezione nel sito produttivo». Il contratto – secondo la Commissione – prevede che prima dell’autorizzazione dell’Ema (che dovrebbe arrivare venerdì) l’azienda produca stock per farsi trovare subito pronta dopo l’ok. «Abbiamo sottoscritto un Contratto di acquisto anticipato per un prodotto che all’epoca non esisteva e che ancora oggi non è ancora autorizzato. E l’abbiamo firmato proprio per garantire che l’azienda costruisca la capacità produttiva per produrre il vaccino in anticipo, in modo che possa erogare un certo volume di dosi il giorno in cui viene autorizzato – ha spiegato la commissaria Kyriakides -. Non essere in grado di garantire la capacità di produzione è contro il testo e lo spirito del nostro accordo», ha insistito.

Vaccini, "cosa c'è scritto davvero". Contratti capestro, parla il testimone: così Pfizer e AstraZeneca ci hanno fregato. Libero Quotidiano il 28 gennaio 2021. Gli accordi sul vaccino tra la Commissione europea e le aziende produttrici puzzano di marci, non a caso non è possibile visionare alcun tipo di contratto. E quindi bisogna fidarsi di chi, come l’europarlamentare Marc Botenga, è riuscito a vederne almeno uno, quello con CureVac, mentre di quello con Pfizer non vi è traccia. “Che cosa mi ha colpito? Il prezzo non c’era - ha spiegato al Fatto Quotidiano - e c’erano omissis anche su quantità e tempistica delle consegne. Mi ha colpito leggere che, nonostante i Paesi europei abbiano finanziato la ricerca del vaccino, i brevetti restano di proprietà unica della compagnia e sarà la Commissione a doversi assumere il rischio finanziario in caso di vizi segreti e di reazioni avverse”. Nel frattempo l’amministratore delegato di AstraZeneca ha dichiarato che nel contratto non c’è alcun obbligo verso l’Ue per quanto riguarda le consegne, ma c’è solamente scritto “faremo il meglio possibile”. Incredibile il pacco che si è fatta rifilare l’Europa, impossibile che sia stato casuale: “Penso che abbia avuto paura della reazione dell’opinione pubblica - è la teoria di Botenga - i contratti sono stati fatti velocemente, alcune clausole potevano scatenare critiche e complicazioni. Quella sui vizi segreti è nuova in Europa. E sul brevetto siamo stati più generosi persino degli Stati Uniti. Lì il brevetto del vaccino di Moderna è per metà pubblico, dato che è stato finanziato quasi totalmente dal governo. Da noi sono tutti privati”. E quindi non resta che prendercelo in saccoccia grazie alla mirabolante Europa: AstraZeneca ha quindi tutto il diritto di tagliare le consegne, tra l’altro senza che l’Italia e gli altri Stati Ue possano avere uno sconto. Da questo punto di vista i contratti sono chiarissimi: i governi devono pagare un acconto sul totale delle dosi di vaccino loro assegnate indipendentemente dal fatto che nel primo trimestre l’azienda fornirà soltanto il 40% delle dosi pattuite. In pratica i Paesi sono obbligati ad acquistare il vaccino senza possibilità di rinegoziare, mentre AstraZeneca ha svelato di avere la possibilità di allungare i tempi di consegna, mentre quelli di pagamento da parte dei governi devono essere rispettati eccome. 

Accordo AstraZeneca-Ue sui vaccini, svelati alcuni omissis oscurati: 870 milioni per la prima fornitura. Antonello Guerrera il 29 gennaio 2021 su La Repubblica. Nel primo file pdf del contratto caricato sul sito della Commissione europea, e poi sostituito, si vedono alcune delle parti più sensibili oscurate. Un altro colpo di scena nella battaglia tra Ue e AstraZeneca sul vaccino anti Covid di Oxford innescata dall’intervista a Repubblica del Ceo dell’azienda Pascal Soriot e dai ritardi della consegna delle dosi. Nel primo file pdf del contratto di fornitura caricato stamattina sul sito della Commissione Europea, e successivamente sostituito a pasticcio compiuto, si vedono parzialmente le parti più sensibili oscurate. E ci sono particolari molto interessanti. Uno su tutti: l’Ue e i singoli stati membri si sono impegnati complessivamente per 870 milioni di euro con Astrazeneca per la prima fornitura di 300 milioni di dosi e altre 100 milioni opzionabili. Una cifra che sinora non era stata rivelata. L’errore di chi ha caricato il file sul sito sta nel fatto che le righe iniziali di ogni capoverso sono visibili se si clicca sulla funzione “segnalibri” del lettore di Pdf “Acrobat Reader” se si legge il testo nella piccola finestra che si apre a sinistra. Il primo ad accorgersene è stato il giornalista Markus Becker del settimanale tedesco Spiegel. Nelle parti oscurate ma leggibili nella sezione segnalibri si legge per esempio il valore dell’accordo tra Unione Europea e la multinazionale britannico-svedese: 870 milioni di euro che includono tutti i costi diretti e indiretti per AstraZeneca per la produzione del vaccino anti Coronavirus di Oxford, tra cui spese della manodopera, materiali, stabilimenti, costi amministrativi per lo stoccaggio e la distribuzione dei vaccini. L’accordo tra le parti è che, se da un lato il suo impegno è “no profit”, Astrazeneca non deve perderci nulla e quindi deve tenere informata la Commissione sulle spese supplementari. In caso queste sforino il 20% del totale, devono essere giustificate e provate dalla multinazionale. Sempre mediante la funzione “segnalibri” di Acrobat reader, si legge che l’Ue, come istituzione, si è impegnata per 336 milioni di euro: due terzi di questi li avrebbe già pagati a inizio settembre, cinque giorni dopo l’entrata in vigore del contratto firmato il 27 agosto scorso. Il resto del denaro dovrebbe arrivare da Bruxelles ad AstraZeneca entro 20 giorni dalla prima consegna di vaccino, dunque si presume a fine febbraio. Il resto delle spese della casa farmaceutica, ossia poco più di 500 milioni, dovrebbe essere pagato dai 27 stati membri, ma non è chiaro come e quando dal file, in quanto quelle parti permangono illeggibili anche nella sezione segnalibri. Negli omissis ci sono anche dettagli sulla fornitura opzionale di 100 milioni di dosi del vaccino di Oxford, supplementari alle 300 iniziali: se l’Ue deciderà di utilizzarle, AstraZeneca nel contratto si impegna a renderle disponibili entro il 1 luglio 2021.

Il potere delle Big Pharma: così tengono in scacco i Paesi sui vaccini anti Covid. Federico Giuliani su Inside Over il 28 gennaio 2021. Pfizer-BioNTech, Moderna, AstraZeneca, Johnson&Johnson: sono questi i quattro vaccini anti Covid in rampa di lancio, pronti o in procinto di essere lanciati sui mercati europei. Al momento, soltanto Pfizer e Moderna hanno ricevuto il via libera dell’Ema. Gli altri sono in attesa del semaforo verde, che, da qui alle prossime settimane, potrebbe accendersi anche per altri antidoti. Il mercato dei vaccini contro il coronavirus, insomma, è attivissimo. E non potrebbe essere altrimenti, considerando l’ingente quantità di denaro investita da molteplici soggetti – tanto pubblici quanto privati – nella ricerca portata avanti dalle singole case farmaceutiche, impegnate a realizzare un’arma con la quale sconfiggere il Sars-CoV-2. A causa di ritardi, inghippi burocratici e piani vaccinali dei singoli Stati da rivedere, il tema dei vaccini ha generato numerose polemiche. Ma, in particolare, sotto i riflettori è finita l’opacità degli accordi stipulati tra l’Unione europea e le aziende produttrici di vaccini. Le intese sono secretate, così come i prezzi pagati da Bruxelles per ogni singola dose e altre informazioni rilevanti. Il poco che sappiamo, è figlio di indiscrezioni della stampa o deriva da annunci di leader europei.

Il coltello dalla parte del manico. Nei giorni scorsi sono emerse indiscrezioni clamorose riguardo l’accordo Ue-Pfizer. L’azienda americana, ad esempio, non può essere sanzionata in caso di ritardi o problemi settimanali. Le penali scattano soltanto sulle forniture trimestrali. Questo significa che Pfizer, così come le altre case farmaceutiche, potrebbe tranquillamente decidere di sospendere le spedizioni concordate verso un dato Paese per un paio di settimane, salvo poi recuperare il ritardo in un secondo momento. L’importante, stando alle notizie trapelate, è che tutto sia in regola nell’arco del trimestre. Come se non bastasse, la mannaia sulle società scatterebbe soltanto come extrema ratio. È prevista una penale pari al 20% del valore delle dosi non consegnate, a salire in base ai giorni di ritardo accumulati. Attenzione però, perché l’applicazione delle suddette penali non è affatto automatica. Prima di arrivare alle sanzioni bisogna esplorare strade alternative, come il diritto al rimborso. Questo significa che Pfizer (o chi per lei) potrebbe ricevere un’offerta più vantaggiosa rispetto a quella già in essere con un dato Stato e fare due conti. A quel punto potrebbe essere più conveniente pagare la penale, cestinare la vecchia intesa e fiondarsi sulla nuova.

Una pioggia di soldi. Stando a quanto riferito dal Fatto Quotidiano, ammonterebbe a circa 20 miliardi di dollari la cifra investita da vari soggetti nella corsa al vaccino. La lista è lunghissima, include gli Stati ma comprende anche le donazioni di Bill Gates, del fondatore di Alibaba, Jack Ma, di filantropi e Ong. Quasi la metà dei soldi, ovvero 9,5 miliardi, proverrebbe dalle casse statali di un buon numero di Paesi (come ricostruito nella terza tabella di questo articolo). Ebbene, molti di questi Paesi sono proprio quelli che oggi si ritrovano a secco di vaccini per colpa dei ritardi nelle consegne dei vaccini vaccini causati dalle Big Pharma che loro stessi hanno finanziato. Giusto per fare un esempio, la Germania ha messo sul tavolo 345 milioni di euro per Pfizer-BioNTech ma adesso è stata costretta a rivedere la propria campagna vaccinale a causa dei citati ritardi. Altro che vaccino disponibile per tutti e in modo equo: alla fine dei giochi, alcuni Paesi saranno trattati meglio di altri. E il bello, a causa dei contratti segreti – la Commissione europea ha consentito a pochi europarlamentari di guardare i contratti firmati per un’oretta, senza foto – è che non sapremo pressoché niente delle dinamiche intercorse tra le parti. Il vaccino, dunque, galleggia nel libero mercato e si muove in base alla legge della domanda e dell’offerta. Detto altrimenti: le dosi finiscono prima dove l’offerta è maggiore. A furia di ripetere che l’accesso al vaccino sarebbe stato garantito a chiunque in maniera equa, le Big Pharma sono riuscite a stringere tra le mani il coltello dalla parte del manico.

Camilla Conti per "La Verità" il 19 gennaio 2021. Il presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha fatto la voce grossa chiedendo a Pfizer il rispetto del calendario per le consegne dei vaccini. Il commissario straordinario Domenico Arcuri è partito all'attacco minacciando il ricorso alle vie legali e i governatori di alcune regioni sono già scesi sul piede di guerra. Ma è davvero tutta colpa della Pfizer? E, soprattutto: l'Italia è davvero rimasta a secco di vaccini? Sembra, piuttosto, un gran pasticcio di cui tutti gli attori - Pfizer, l'Ue cui spetta la firma dei contratti e anche l'Italia dove, su spinta degli allarmi di governo, c'è stata la gara tra le regioni a chi vaccinava di più - sono in parte complici. L'equivoco di partenza sta nella differenza tra dosi e flaconi consegnati. Quando si sono iniziate ad usare le prime partite del vaccino Pfizer-Biontech si è visto che una volta estratte cinque dosi con le siringhe di precisione resta un residuo di materiale sufficiente a fare almeno un'altra somministrazione. Pfizer aveva usato questo escamotage per non avere problemi nel caso venissero utilizzate quelle siringhe che intrappolano liquido tra siringa e attacco dell'ago. L'Aifa (l'agenzia italiana per il farmaco) e il ministero alla Salute, sulla scia dell'Fda americana, avevano dato un preliminare via libera all'estrazione di sei dosi e a quel punto ci si è trovati con il 20% dei vaccini in più rispetto a quelli attesi e pagati. L'8 gennaio però, l'Ema (l'Agenzia europea per i medicinali) ha stabilito ufficialmente che ogni fiala contiene sei dosi, e non cinque come indicato fino a quel momento. L'Ue, però, per conto dei Paesi, ha fatto un contratto per l'acquisto di dosi di vaccino - e non per i flaconi. Dopo la decisione dell'Ema le dosi per ogni fiala sono ufficialmente diventate sei e quindi Pfizer ha dovuto trovare un modo per evitare quel «regalo» agli Stati e quindi decidere se mandare meno fiale oppure inviarne la quantità prevista inizialmente facendosi però pagare di più. Così il 15 gennaio BioNtech, ovvero il partner tedesco che lavora in tandem con gli americani sui vaccini, e Pfizer hanno diffuso un comunicato congiunto per annunciare lo sviluppo di un piano che consentirà il potenziamento delle capacità in Europa per fornire più dosi dal secondo trimestre. «Per ottenere questo, però, sono necessarie alcune modifiche dei processi di produzione. Di conseguenza, la struttura di Puurs, in Belgio, ridurrà temporaneamente il numero di dosi somministrate in questa settimana», viene aggiunto. Le consegne sono così rallentate senza però fare esplicito riferimento al «malinteso» delle dosi che avrebbe potuto portare a un contenzioso con l'Ue imbarazzante sia per Bruxelles sia per la stessa Pfizer che con BioNtech ha tutto l'interesse a continuare a fare affari con l'Europa per le prossime commesse. Quanto all'Italia, oggi Arcuri si lamenta ma nel frattempo ha comunque consentito l'utilizzo di quella «scorta» inattesa e ha lasciato correre le Regioni verso lo stallo attuale. Non a caso nei dati comunicati quotidianamente dalla struttura del commissario straordinario sull'andamento delle vaccinazioni è spuntato chi aveva fatto oltre il 100% delle dosi consegnate. Lo stesso Arcuri ha subito chiesto ai governatori più virtuosi, ovvero con più disponibilità di dosi rimaste, uno «sforzo di solidarietà». La questione dei ritardi è dunque politica, non tecnica. Se, infatti, rifacciamo il calcolo sulle consegne fino al 7 gennaio come cinque dosi, e quelle dopo come sei, si scopre che Pfizer è ancora in pari con gli invii se non addirittura già in credito. Secondo i dati pubblicati sul sito Git-Hub direttamente dal ministero della Salute, le dosi totali consegnate al 17 gennaio 2021 sono 1.455.675, di cui 46.800 dosi del vaccino Moderna e 1.408.875 (considerano cinque dosi a flacone) del vaccino Pfizer. Quest'ultima, in base al contratto firmato per il primo lotto, avrebbe dovuto consegnare 1.823.975 dosi, come pubblicamente confermato a dicembre in sede Conferenza Stato-Regioni. Se aggiungiamo i vaccini arrivati ieri (397.800 dosi, calcolandone sei per ogni fiala, anziché cinque), risulta che Pfizer avrà consegnato entro oggi 1.853.475 dosi rispettando quindi il contratto e quindi quanto era stato calcolato dal governo italiano per portare a termine il piano del primo giro della cosiddetta Fase 1. Tanto che nel comunicato del 15 gennaio Pfizer-BioNtech assicura che tornerà al programma originale delle consegne alla Ue «a partire dalla settimana del 25 gennaio», come confermato ieri dall'ad di Pfizer Italia. Così dopo il 25 verranno inviate le dosi giuste per pareggiare i conti senza quel 20% in più che avrebbe dovuto essere poi pagato. Non solo. La produzione verrà aumentata sia grazie all'utilizzo del nuovo impianto di Marburg in Germania che dovrebbe essere pronto entro la fine di febbraio aggiungendo ulteriori 750 milioni di dosi alla capacità produttiva di BioNtech, sia perché il colosso americano Baxter ha annunciato che tra la fine di febbraio e l'inizio di marzo inizierà la produzione del vaccino di Pfizer e BioNtech presso il suo stabilimento di Halle, in Germania, con un contratto di 18 mesi che coprirà la fornitura di centinaia di milioni di dosi.

L'Ema rassicura: tutto risolto. Intanto Pfizer riduce le consegne europee del farmaco. Report Rai 16 gennaio 2021 ore 16:31. Lo scorso novembre l’Ema, l’agenzia europea che ha il compito di approvare i farmaci, aveva scoperto che alcuni lotti della produzione industriale dei vaccini Pfizer avevano una qualità inferiore rispetto a quelli utilizzati nei trials clinici e aveva chiesto all’azienda di risolvere urgentemente il problema. È quanto emerge dagli Ema Leaks, un insieme di mail interne scambiate tra il 10 e il 25 novembre e di documenti riservati provenienti dai server dell’agenzia e finiti sul dark web, che Report è in grado di rivelare in collaborazione con i giornalisti investigativi del progetto “Behind the pledge”. Proprio ieri Pfizer ha annunciato una riduzione delle forniture di vaccini del 29% in diversi Paesi europei a causa “dell'adeguamento delle strutture e dei processi in fabbrica che richiede nuovi test di qualità e approvazioni da parte delle autorità”. Lo stop, afferma Pfizer, ha l’obiettivo di ampliare la produzione a partire dal 15 febbraio. Secondo quanto ci comunica la casa farmaceutica, non esiste alcun collegamento tra i problemi emersi lo scorso novembre nel dialogo con i regolatori e l’attuale riduzione delle forniture. In una mail interna del 24 novembre, un funzionario dell’Ema scrive di “differenze nel livello di integrità dell’mRna”, comparando il materiale per le prove cliniche e quello di alcuni lotti destinati all’immissione in commercio. Secondo i documenti ritrovati nel dark web “i vaccini utilizzati negli studi clinici avevano tra il 69% e l'81% di Rna "intatto". Al contrario, i dati sui lotti prodotti nelle linee di produzione hanno rivelato percentuali inferiori, in media 59%. Un "punto critico", ha detto un funzionario dell’Ema, il 23 novembre. Il 25 novembre, secondo quanto emerge da un report contenuto nella “Rolling review” - strumento regolatorio che l’Ema usa per velocizzare l’approvazione di farmaci promettenti - l’agenzia scrive: “C’è qualche indicazione che un aggiustamento del processo di produzione può ripristinare i livelli di integrità osservati durante la fase clinica, ma rimangono dubbi sulla riproducibilità, e sono attesi ulteriori dati”. L’Ema si riserva di avanzare all’azienda “richieste ulteriori di dati dopo l’autorizzazione”. In un ulteriore Report interno del 30 novembre l’Ema scrive: “La comparabilità tra materiale clinico e commerciale non è stata ancora dimostrata, il che solleva incertezze sulla coerenza della qualità del prodotto e quindi incertezze per quanto riguarda la sicurezza e l'efficacia del prodotto commerciale”. Dalla documentazione emerge che Pfizer è stata in grado di risolvere il problema, raggiungendo una integrità del 75%, ma ciò potrebbe aver comportato un rallentamento della produzione, come riportato anche del Wall Street Journal del 3 dicembre. L'Ema, da noi sollecitata, conferma che “durante la valutazione sono state sollevate questioni relative all'integrità dell'mRNA per il vaccino Comirnaty”, precisando però che"l'azienda è stata in grado di risolvere questi problemi e fornire le informazioni e i dati necessari per emettere la raccomandazione positiva per l’autorizzazione questo vaccino”. L’agenzia ieri ha diramato una nota secondo la quale i documenti sarebbero stati manipolati ma ci ha confermato l’esistenza delle “questioni che emergono dai documenti pubblicati”.

Nella documentazione degli Ema Leaks emergono anche le pressioni esercitate della Commissione e dagli Stati membri sui regolatori per arrivare nel più breve tempo possibile all’approvazione del vaccino. Nella puntata di lunedì 25 gennaio Report racconterà come è avvenuta l'autorizzazione dei vaccini, quali sono i dati sulla loro efficacia, e svelerà alcune dei documenti ufficiali dell'Ema Leak.

Pietro Senaldi, il sospetto su Joe Biden: "Si è “rubato” il vaccino degli italiani (con l'aiuto della Germania) per fare bella figura?" Pietro Senaldi su Libero Quotidiano il 20 gennaio 2021. Donald Trump ha finanziato la ricerca per i vaccini anti-Covid con circa dieci miliardi di dollari, ha assunto l'immunologo Anthony Fauci anziché Domenico Arcuri e ha promesso alla sua gente: «Prima gli americani», anche nelle profilassi. Siccome però è sovranista e non si porta la mascherina anche alla toilette, media e politici progressisti gli hanno appiccicato l'etichetta del negazionista. Il suo successore, Joe Biden non ha fatto ancora nulla sul fronte Covid, se non confermare Fauci e vaccinarsi con una dose di Pfizer, alla quale Donald ha stanziato due miliardi, ma passerà per l'uomo che avrà immunizzato gli Usa. Il neopresidente ha giurato infatti che in tre mesi saranno vaccinati cento milioni di americani. Bravo lui, anche se su questo proposito aleggia un inquietante sospetto, che il governo italiano e il commissario Arcuri, a diretta domanda, non smentiscono.

Si ha ragione di credere che il rallentamento che la vaccinazione sta avendo nel nostro Paese sia collegato strettamente all'accelerazione programmata oltre Oceano. Per essere più espliciti, si dà il caso che Biden nei fatti sia più sovranista di Trump e abbia applicato il motto «prima gli americani» in termini spietati nei confronti dell'alleato Europa. Si vocifera che il taglio del 29% della fornitura di dosi Pfizer attese per le prossime settimane in Italia non sia dovuto a una indifferibile riprogrammazione della capacità produttiva dello stabilimento europeo della multinazionale americana volto a renderla più efficiente. La sensazione, anzi l'accusa, è che l'azienda farmaceutica abbia distratto verso gli Stati Uniti quantità di siero inizialmente destinate a Europa e Italia, così da consentire a Biden di rafforzare la propria immagine e mettere il suo Paese in sicurezza prima di noi, pronto a bruciarci nella ripartenza economica attesa dopo la pandemia. Pfizer smentisce, ma non sa motivare l'improvviso cambio di programma, caduto sull'Europa infetta come un fulmine a ciel sereno. La decisione di privilegiare Biden sarebbe perfettamente in linea con la politica aziendale del colosso Usa. Due mesi fa, pubblicamente ringraziata dai progressisti, anche di casa nostra, la multinazionale attese il voto presidenziale Usa prima di annunciare la messa sul mercato del proprio vaccino, notizia che avrebbe potuto favorire Trump.

TEMPISTICHE SOSPETTE. A voler essere maliziosi, si potrebbe ricordare che il mese scorso Pfizer fu protagonista di un incedente diplomatico. Si scoprì che la Germania aveva comprato solo per sé trenta milioni di dosi di vaccino, in aggiunta ai trecento milioni acquistate dalla Ue per ripartirle tra gli Stati membri. Come se Berlino sospettasse che era il caso di far rifornimento extra perché la fornitura comunitaria avrebbe potuto essere tagliata. D'altronde, beffa, si è scoperto in questi giorni che gli accordi d'acquisto siglati dall'Europa, capitanata dalle feldmarescialle Merkel e von der Leyen, con l'azienda americana non impongono tempi di consegna, a differenza di quelli fatti da Berlino autonomamente. Ne consegue che, mentre tedeschi e statunitensi si inoculano il siero a ritmi da catena di montaggio, noi dobbiamo attendere in seconda fila senza neppure poter chiedere i danni. Fantapolitica? Biden si insedia domani ma da tempo manda segnali distensivi alla Germania, rassicurando che il suo mandato sarà l'opposto di quello di Trump, che contro Berlino scatenò una guerra commerciale che determinò la prima crisi economica tedesca da vent' anni a questa parte. Tra Casa Bianca e Cancelleria si sta consolidando un patto di ferro che vede la Merkel e chi le succederà come punto di riferimento europeo per gli States nella lotta a Cina e Russia. Le pressioni della leader tedesca, lo scorso anno, per favorire l'acquisto da parte di Pfizer della piccola azienda germanica Biontech, detentrice del brevetto del vaccino, sono parte integrante dell'accordo.

MOTIVAZIONI POLITICHE. E il resto dell'Europa, Italia in particolare? Il taglio delle forniture rallenta la profilassi in 14 Regioni del nostro Paese su venti. Lombardia, Emilia Romagna, Piemonte, Friuli Venezia-Giulia e Veneto sono le più danneggiate. Il nostro Paese attende la data salvifica del 29 gennaio, quando l'Agenzia Europea del Farmaco (Ema) potrebbe dare il via libera al siero anglo-italiano Astrazeneca-Irbm, che dovrebbe garantirci sedici milioni di dosi nei prossimi mesi e cinquanta entro l'anno. Si tratta di un vaccino naturale, a differenza di quelli sintetici di Pfizer e Moderna, e dal bassissimo costo (2 euro contro 28 a dose). Sempre i maligni sostengono che ci sia anche la motivazione economica alla base del rallentamento del via libera da parte dell'Europa filo-tedesca. Ci si aspetta che l'Ema vieti di somministrare Astrazeneca-Irbm a chi ha più di 55 anni. La motivazione è che il siero è stato testato per lo più su cavie non anziane. Ma non si può non notare che il tetto all'età è funzionale a tenere aperta un'ampia quota di mercato al costoso vaccino americano-tedesco. Anche perché i primi casi di effetti collaterali, tra cui anche la morte, tra anziani immunizzati con Pfizer dimostrano che la sicurezza totale non appartiene al mondo della farmacologia e i vaccini tradizionali sono forse meno efficaci ma forse anche più sani. Ieri, nel suo discorso alla Camera, per puntellarsi il premier Conte ha millantato rapporti con Biden e messo in guardia dal pericolo di consegnare l'Italia ai sovranisti di casa nostra. Il nostro premier, pur di fermare Salvini e Meloni, tifa per i sovranisti stranieri, Angela e Joe. L'ultima mazzata è arrivata in serata, quando Arcuri ha dovuto annunciare altri «incredibili ritardi» nella consegna delle dosi di vaccino Pfizer attese per questa settimana. La conseguenza è che non potremmo somministrare il siero a diecimila medici e slitterà di un mese la profilassi per gli ottantenni.

L'Ue attacca: "Le nostre fiale a Londra". Dopo i ritardi ora minaccia di non far partire le dosi di Astrazeneca. Redazione, Mercoledì 27/01/2021 su Il Giornale. Continua la guerra dei vaccini tra i Paesi dell'Unione Europea e la Gran Bretagna. I vaccini Astrazeneca destinati (e pagati) dall'Unione europea potrebbero essere infatti finiti in Gran Bretagna. È la denuncia, riportata dal Telegraph, che viene lanciata da fonti diplomatiche di Bruxelles. Il sospetto, fanno sapere le fonti, è che la casa farmaceutica britannico-svedese abbia dirottato sul Regno Unito le forniture di vaccini destinate all'Unione europea perché il governo britannico ha pagato di più ed approvato prima il farmaco. Questa rivelazione giunge all'indomani della minaccia di Bruxelles di bloccare le esportazioni di vaccini verso Paesi non Ue, lanciata dopo che Astrazeneca ha annunciato di non essere in grado di adempiere ai propri obblighi contrattuali. Oggi, inoltre, la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, intervenendo al World Economic Forum di Davos, ha sottolineato che «le aziende devono rispettare i loro obblighi e per questo creeremo un meccanismo di trasparenza alle esportazioni di vaccini». Il Regno Unito, ricorda il Telegraph, dipende dal vaccino Pfizer, che è prodotto in Belgio, e attende consegne per 3,5 milioni di dosi nelle prossime tre settimane. Queste forniture potrebbero essere a rischio, se la Ue decidesse di bloccare le esportazioni, dopo la controversia sul vaccino Astrazeneca, la cui approvazione definitiva dall'Ema è prevista per la fine di questa settimana. La Ue lo scorso agosto ha concluso con Astrazeneca un accordo per una fornitura fino a 400 milioni di dosi del vaccino. Secondo quanto emerso negli ultimi giorni, le consegne potrebbero essere ridotte del 60 per cento nel primo trimestre di quest'anno, un calo di 31 milioni di dosi. A dicembre, il governo britannico aveva annunciato che quattro milioni di dosi del vaccino sviluppato da AstraZeneca e dall'Università di Oxford sarebbero state consegnate entro la fine del 2020. Downing Street aveva anche chiarito che le forniture sarebbero state importate dagli stabilimenti in Germania e Olanda, perché gli impianti nel Regno Unito, che attualmente garantiscono tutte le forniture britanniche, avevano subito dei ritardi. Alla casa farmaceutica è stato chiesto come mai questi problemi di produzione non abbiano riguardato le forniture destinate al Regno Unito. Anche il ministro della Salute tedesco, Jens Spahn, si è detto favorevole a una restrizione alle esportazioni di vaccini prodotti nell'Ue, sulla base dei ritardi che si accumulano nella consegna. E intanto l'Agenzia svedese per la sanità pubblica ha sospeso il pagamento per i vaccini Covid-19 a Pfizer in attesa di chiarimenti sulla quantità di dosi disponibili in ciascuna fiala. La Svezia ora chiede che la Commissione Europea e Pfizer raggiungano un accordo sul numero di dosi in ogni fiala. «Nel frattempo, abbiamo detto alla società che dobbiamo rimandare il pagamento fino a quando non avremo chiarimenti», ha detto a Dagens Nyheter il capo epidemiologo Anders Tegnell.

(ANSA il 26 gennaio 2021) La Svezia ha sospeso i pagamenti per i vaccini a Pfizer. Lo rendono noto i media svedesi spiegando che la sospensione è legata alla quantità di dosi prelevabili da ogni fiala dopo che la casa farmaceutica ha fatto sapere che con particolari aghi era possibile prelevarne sei invece che cinque, addebitando la dose aggiuntiva alle forniture. "È inaccettabile. Se un Paese ha la possibilità di ricevere solo cinque dosi, ha ricevuto meno dosi allo stesso prezzo", ha affermato il coordinatore svedese per i vaccini Richard Bergström al giornale Dagens Nyheter.

L'Italia potrebbe spendere per i vaccini anti Covid 1,5 miliardi di euro, l'intera Europa oltre 11 miliardi. Report Rai 18 dicembre 2020 ore 12:05. L'Italia potrebbe spendere per i vaccini anti Covid 1,5 miliardi di euro, l'intera Europa oltre 11 miliardi. Il costo reale dei vaccini acquistati dall'Ue è pubblico da ieri sera, anche se per errore. La ministra del bilancio del Belgio, Eva De Bleeker, ha pubblicato su Twitter una tabella che svela il valore economico dei contratti firmati da Bruxelles con le case farmaceutiche, finora rimasto segreto a causa di stringenti clausole di riservatezza. La ministra ha subito cancellato il post, ma naturalmente era troppo tardi. Dalla tabella emerge che i vaccini più costosi sono proprio quelli di Pfizer/Biontech (12 euro a dose) e Moderna (18 dollari a dose), cioè delle prime case farmaceutiche che potrebbero ottenere l'approvazione dell'Ema, l'agenzia regolatoria europea. Il meno costoso è quello di Astrazeneca, che aveva annunciato un prezzo "no profit". L'azienda non ha ancora presentato l'istanza per la messa in commercio all'Ema, per problemi nello svolgimento dei trials clinici. A firmare i contratti definendo i prezzi è stata Bruxelles, ma a pagare saranno i singoli Stati. Ed ecco quanto potrebbe costare all'Italia la campagna prevista nel Piano vaccini del governo, divisa per ogni singola casa farmaceutica

ASTRAZENECA - 40,38 mln di dosi X 1,78 euro = 71.876.400 euro

J&J - 53,84 ml  di dosi x 8,50$ = 373.093.298,2 euro

PFIZER/BIONTECH 26,92 mln di dosi x12 euro = 323.040.000 euro

SANOFI/GSK 40,38 mln di dosi x 7,56 euro  = 305.272.800 euro

CUREVAC 30,285 mln di dosi x 10 euro = 302.850.000 euro

MODERNA 10,768 mln di dosi x 18$ = 158.015.985,12 euro

totale 202,573 mln di dosi - costo 1.534.148.483,32 euro

All'Italia spetta il 13,46% dei vaccini acquistati dall'Ue, cioè 202,573 mln di dosi. Da cui possiamo ricavare che per acquistare 1,5 miliardi di dosi l'intera UE spenderà 11,397 mld di euro. Naturalmente queste cifre potrebbero cambiare qualora alcuni dei vaccini non superassero il vaglio dell'Ema, l'agenzia regolatoria europea. In quel caso però parte di queste risorse resterebbero nelle casse delle case farmaceutiche. Gli accordi firmati con le aziende prevedono infatti che l'Ue prende in carico parte del rischio di mancata approvazione dei farmaci. Quanto è ancora un segreto. Così come segrete restano le clausole che potrebbero esonerare le case farmaceutiche dalla responsabilità civile per eventuali eventi avversi dei vaccini. Della segretezza sui contratti firmati con le case farmaceutiche per il vaccino Covid si era occupato il servizio: "Il segreti del virus dello scimpanzé" di Manuele Bonaccorsi.

Prezzi, dosi e accordi: perché Pfizer sta snobbando l’Europa. Alberto Bellotto, Federico Giuliani, su Inside Over il 22 gennaio 2021. Negli ultimi giorni, Pfizer-BioNTech, la prima casa farmaceutica produttrice di vaccini anti Covid approvata in Europa, ha comunicato ritardi nella distribuzione dei sieri ai vari Paesi membri dell’Ue. L’azienda ha fatto sapere di doversi preparare per potenziare la propria capacità di produzione. Dunque: lavori in corso e tanti saluti alle consegne previste e programmate, per la gioia, va da sé, dei governi europei che aspettavano con ansia nuovi vaccini. Lo stabilimento Pfizer incaricato di rifornire sia l’Europa che gli Stati Uniti si trova a Puurs, in Belgio. Ebbene, anche questa struttura ha dovuto frenare per rispettare le esigenze aziendali. Solo che – sarà sicuramente un caso – il giorno dopo l’annuncio del neo presidente americano Joe Biden di voler somministrare 100milioni di dosi Pfizer-BioNTech ai cittadini statunitensi in 100 giorni, il 15 gennaio il colosso farmaceutico ha informato la Commissione europea del taglio della distribuzione dei vaccini ai membri dell’Unione europea. Stiamo parlando di una riduzione che dovrebbe toccare quasi un terzo degli antidoti precedentemente pattuiti dai contratti, i cui contenuti restano tutt’ora coperti dal segreto. Il punto è che il congelamento della consegna degli antidoti ha, di fatto, riguardato soltanto l’Europa. Non gli Stati Uniti e altre nazioni extra Ue.

Una questione economica? Per quale motivo, quindi, soltanto l’Europa rischia di dover fare i conti con gli incomprensibili ritardi delle consegne Pfizer? Il motivo potrebbe essere prettamente economico. Secondo quanto riportato dal Fatto Quotidiano, la causa del differente trattamento di riguardo starebbe principalmente nel prezzo che ogni governo sta pagando per ricevere i vaccini dalle singole case farmaceutiche. Sia chiaro: le cifre sono segrete. Anche se, usando le dichiarazioni dei politici e altri numeri ufficiosi, è possibile farsi un’idea generale della situazione. L’Unione europea è riuscita a stipulare con Pfizer-BioNTech un accordo assai vantaggioso. Bruxelles paga ciascuna dose 5 dollari in meno di Washington e, addirittura, 15 in meno di Israele. L’Europa, infatti, paga 14,50 dollari per ogni singola dose Pfizer, contro i 19,50 degli Stati Uniti e i 28 di Israele. Nei dati, ripresi da Airfinity, troviamo anche i 10 dollari a dose sborsati dal Sudafrica e i 6,75 dell’Unione africana. E il costo degli altri vaccini? La tabella è incompleta. Ma, da quel che sappiamo, una dose di AstraZeneca costerà all’Ue 2,15 dollari, a fronte dei 3 che dovrà sborsare il Sudafrica e i meno di 4 dell’America Latina. Moderna costa invece 18 dollari all’Ue e 15 agli Stati Uniti. Proseguiamo con le dosi di Johnson&Johnson (8,5 dollari per l’Europa, 10 per gli Usa e l’Unione africana), Curevac (12 per Bruxelles) e Sanofi-Gsk (9 per Bruxelles, meno di 12 per Washington).

Effetto boomerang. Dando un’occhiata alle cifre, e considerando le dosi Pfizer, potrebbe sembrare che l’Europa, per una volta, abbia portato a casa un grande accordo a discapito del resto del mondo. Peccato che quell’intesa d’oro rischia adesso di trasformarsi in un boomerang. Pfizer ha infatti rallentato le consegne in Europa; guarda caso, il partner con il quale aveva stretto l’accordo meno vantaggioso del lotto dei Paesi “più ricchi”. La casa farmaceutica, fanno notare in molti, avrebbe potuto ritardare la distribuzione negli Stati Uniti o in altri Paesi; ma non l’ha fatto e probabilmente non lo farà mai. Il dubbio, incrociando questi elementi, è che chi ha speso di più per acquistare il vaccino stia ricevendo un trattamento migliore. Resta, poi, da capire che cosa succederà ai prezzi dei sieri da qui ai prossimi mesi, quando arriveranno sul mercato internazionale nuovi vaccini. In particolare, i riflettori sono puntati su AstraZeneca, il cui prezzo per singola dose, come detto, si aggirerà intorno ai 2,50 dollari. Chissà che l’invasione di nuovi antidoti più economici non possa cambiare le cifre sul tavolo.

Alessandra Puato per “L’Economia – Corriere della Sera” il 25 gennaio 2021. Ma quanto vale il mercato mondiale dei vaccini anti-Covid? Fino a 60 miliardi di euro quest'anno, stima il Crédit Suisse, per poco più 4 miliardi di vaccinazioni a circa due miliardi di persone. È più del triplo del valore globale dei vaccini tradizionali, che lo scorso anno è stato di almeno 17 miliardi di euro (dati Iqvia a settembre). Sessanta miliardi è una cifra orientativa, visto che i contenuti dei contratti fra le case farmaceutiche e i governi - nel caso europeo, la Commissione Ue - non sono stati resi pubblici. Per il calcolo si è presupposto infatti un prezzo medio effettivo per dose in base alla legge della domanda e dell' offerta: fra i 15 e i 25 euro, una ventina di euro in media. È più delle stime sui prezzi circolate per l' Ue, che vanno dagli 1,78 euro a dose per AstraZeneca ai 18 euro di Moderna (e 60 dollari, però, per alcune vaccinazioni in Cina). «Ci sono Paesi disposti a pagare di più (come Israele, ndr) - dice Lorenzo Biasio, analista di Crédit Suisse -. Il prezzo oggi lo fa la domanda, perché manca la capacità produttiva. Ci aspettiamo un significativo calo dei prezzi già dal 2022». Ma ne vale la pena, visto che il costo della pandemia «viene stimato in 2-3 trilioni di dollari». Per l'Ue, secondo altre stime circolate, si è parlato di una spesa di 11 miliardi a fronte di 2,3 miliardi di dosi. All'Italia spettano 202,5 milioni di dosi, per una spesa minima sul miliardo e mezzo. Anche qui: è il triplo dell'intero mercato dei vaccini tradizionali del Paese, che a novembre era di 405 milioni (fonte Iqvia). Si registra un effetto positivo sull'indotto. «L'impatto delle cure anti-Covid sull'industria farmaceutica in Italia è positivo - dice Massimo Scaccabarozzi, presidente di Farmindustria e ceo di Janssen Italia (J&J, il gruppo di cui fa parte, ha in cantiere fino a 400 milioni di dosi per l'Ue e venderà durante la pandemia il vaccino al prezzo di costo) -. Janssen e AstraZeneca, per esempio, hanno una collaborazione con la Catalent di Anagni per il finishing e l'infialamento. E Menarini ha messo a disposizione gli impianti per gli anticorpi monoclonali con Toscana Life Science. È stato fatto uno sforzo incredibile». Il lato negativo è che, in generale, l'affare è opaco: contratti secretati, non si sa quando né come avverranno i pagamenti dall'Ue o dagli Stati. E per i grandi produttori è volatile, non continuativo. «Ci sarà un effetto sui ricavi di breve periodo - dice Biasio -. E nelle capitalizzazioni di Borsa dei produttori il valore è stato già incamerato. Vediamo più rischi di ribasso che opportunità di rialzo». È un business rischioso, basta un calo sensibile d'efficacia o nelle consegne e si ferma tutto, ma è redditizio sul breve periodo. Raduna almeno otto società mondiali. Tre sono americane: Pfizer (con la tedesca BioNtech, vaccino già in distribuzione), Moderna capitanata dal miliardario francese Stéphane Bancel (vaccino in distribuzione) e Johnson & Johnson-Janssen del ceo Alex Gorsky (vaccino atteso a fine marzo-inizio aprile). Due sono britanniche: l'AstraZeneca del veterinario Pascal Soriot (con Oxford e l'italiana Irbm, vaccino all' approvazione Ue) e Gsk, alleata della francese Sanofi (vaccino atteso entro il 2022) guidata dai ceo Emma Walmsley (Gsk) e Paul Hudson (Sanofi). Poi c'è la tedesca CureVac del neonominato Franz-Werner Haas: in ritardo, si è ora accordata con Bayer per accelerare. In più, Cina e Russia. A Pechino corre la Sinopharm del plenipotenziario Yong Liu (vaccino già in distribuzione): azienda di Stato come Sinovac e CanSino, anch'esse al lavoro. Dice Blasio: «La Cina, a differenza di altri, ha annunciato l'impegno a distribuire il vaccino nei mercati emergenti. Anche questa è diplomazia». In Russia, il pallino del vaccino Sputnik IV è in mano a Rdif, il «fondo di Putin» guidato da Kirill Dmitriev che nel 2019 ha firmato con Cdp un accordo di cooperazione. Rdif vi ha investito, il vaccino è in distribuzione. Ancora poco chiara la ripartizione geografica. In Italia, la Irbm prosegue da Pomezia i lavori nell'alleanza con AstraZeneca. È guidata dall'azionista, presidente e ceo Piero di Lorenzo che ha dichiarato: «Siamo pronti a produrre». La Pfizer guidata dal ceo Albert Bourla - contestato per avere venduto azioni per 5,6 milioni di dollari il giorno dell'annuncio, in novembre, si difese dicendo che era una finestra temporale già decisa - è quella che il vaccino anti-Covid l'ha prodotto per prima. Ora sta affrontando la tempesta per l'inattesa frenata. «La prossima settimana le consegne torneranno regolari - ha detto il gruppo al Corriere giovedì 21 -. Sono in corso gli interventi per ampliare lo stabilimento di Puurs, in Belgio». Ma lo stesso giorno il commissario all'emergenza Domenico Arcuri ha detto che no, questa settimana ci sarà per l'Italia un calo della fornitura del 20%. Ma quanto ci vuole per produrre un vaccino? «Dai quattro ai sei mesi e impianti sofisticati, non lo si può affidare a chiunque», dice Scaccabarozzi. I tempi lunghi non erano prevedibili? Pfizer è un esempio dell'indeterminatezza di questo mercato, tra la fretta di arginare la pandemia, i rischi di annunci imprudenti, le possibili speculazioni. E il giudizio della Borsa, che riflette anche altre variabili. Se Moderna nell'ultimo anno è schizzata da 22 dollari a 133, Pfizer dopo il picco a 42,5 dollari l'8 dicembre, giorno del via libera da parte dell'Fda, viaggia ora a 36 (21 gennaio), meno di un anno fa. Non c' entra il Covid, dicono gli analisti, ma l'ultimo test, fallito, su un farmaco per prevenire il cancro al seno.

Covid, Palù e l’efficacia di Astra Zeneca contro le varianti. Notizie.it il 16/02/2021. Giorgio Palù e l'efficacia di Astra Zeneca. Il presidente dell'Agenzia italiana del farmaco ha detto la sua ad Uno Mattina. Giorgio Palù scommette sull’efficacia di Astra Zeneca. E lo fa individuandone la potenziale efficacia per gli over 55 con un richiamo a 12 settimane. Il presidente dell’Agenzia italiana del farmaco, l’Aifa, che nelle ultime ore aveva sconsigliato la divisione a zone colorate e suggerito due mesi di sacrifici ha detto la sua in merito al vaccino in questione durante la puntata di "Uno Mattina". “Anche AstraZeneca è un vaccino efficace”. Così su Rai1 Giorgio Palù ha detto la sua in merito all’efficacia del vaccino Astra Zeneca ed ai criteri di somministrazione adottati da quei paesi che per primi ne avevano validato e normato l’utilizzo. Fra di essi spicca ovviamente il Regno Unito. Proprio Palù, che a dicembre aveva detto che la vaccinazione è efficace anche contro le varianti a proposito della situazione britannica ha detto: “Probabilmente gli inglesi – che lo hanno sperimentato ritardando la seconda somministrazione dalle 8 alle 12 settimane perché ovviamente immersi nella crisi di una diffusione rapida delle varianti di Sars-CoV-2 – hanno trovato che questi soggetti erano protetti, che potevano coprire una maggior parte della popolazione. Quindi probabilmente anche noi rivaluteremo se occorre questo suggerimento”. Prende piede quindi l’idea, per ora in via di valutazione ma in odor di applicazione protocollare, di adattare la somministrazione di Astra Zeneca alla diffusione delle numerose varianti del virus.

Giampiero Casoni. Giampiero Casoni è nato a San Vittore del Lazio nel 1968. Dopo gli studi classici, ha intrapreso la carriera giornalistica con le alterne vicende tipiche della stampa locale e di un carattere che lui stesso definisce "refrattario alla lima". Responsabile della cronaca giudiziaria di quotidiani come Ciociaria Oggi e La Provincia e dei primi free press del territorio per oltre 15 anni, appassionato di storia e dei fenomeni malavitosi. Nei primi anni del nuovo millennio ha esordito anche come scrittore e ha iniziato a collaborare con agenzie di stampa e testate online a carattere nazionale, sempre come corrispondente di cronaca nera e giudiziaria.

L. Ram. per “il Messaggero” il 15 febbraio 2021. Il vaccino anti Covid di AstraZeneca funziona meglio del previsto già dopo la prima dose. E offre una protezione maggiore se trascorrono almeno 12 settimane tra la prima e la seconda somministrazione. Almeno questo emerge in uno studio dell' Università di Oxford pubblicato nei giorni scorsi in preprint dalla rivista The Lancet. Il titolo è The influence of the timing of the booster dose on immunogenicity and efficacy (somministrazione a dose singola e l' influenza della tempistica della dose di richiamo sull' immunogenicità e l' efficacia del vaccini). Va ricordato che AstraZeneca è uno dei tre vaccini già autorizzati in Europa e in Italia, la somministrazione è già iniziata anche nel nostro Paese, ma con un limite suggerito dall' Aifa (agenzia del farmaco) che esclude gli over 55. Lo studio analizza la fase 3 della sperimentazione e arriva ad alcune conclusioni interessanti: c' è una riduzione della trasmissione del virus e dei casi gravi. Più di 22 giorni dopo la prima dose non si è verificato alcun caso grave di malattia né ricoveri, secondo i primi dati dei trial clinici svolti in Gran Bretagna, Brasile e Sudafrica, discussi in una conferenza stampa virtuale. I risultati dimostrano un' efficacia del vaccino del 76 per cento dopo una prima dose, che si mantiene fino alla seconda. E l' efficacia aumenta all' 82% con un intervallo di 3 mesi. I dati mostrano, sempre secondo l' analisi svolta dall' Università di Oxford, che il vaccino ha il potenziale di ridurre la trasmissione asintomatica del virus. Dall'analisi dei tamponi settimanali dei volontari nel trial britannico, emerge che le positività al tampone molecolare sono diminuite del 67 per cento dopo una dose e del 50 per cento dopo due. Questo, secondo AstraZeneca, garantisce un «impatto sostanziale sulla trasmissione di Sars-Cov-2». I risultati pubblicati su Lancet riguardano 17.177 partecipanti, di cui 332 casi sintomatici di Covid, arruolati nei trial di fase 3 in Gran Bretagna, Brasile e Sudafrica, altri 201 casi rispetto a quelli precedentemente riportati. «Questa prima analisi - sostiene Mene Pangalos, vicepresidente esecutivo R&S BioPharmaceuticals, AstraZeneca - riconferma che il nostro vaccino previene malattie gravi e tiene le persone fuori dall' ospedale. Inoltre, l' estensione dell' intervallo di somministrazione fra le dosi non solo aumenta l' efficacia del vaccino, ma consente anche a più persone di essere vaccinate in anticipo. Insieme alle nuove scoperte sulla trasmissione ridotta, riteniamo che questo vaccino avrà un impatto reale sulla pandemia». Questo scenario va a rafforzare la scelta del Regno Unito che, travolto dalla diffusione della variante inglese, sta strategicamente vaccinando più persone possibile con la prima dose, privilegiando questa mossa al completamento della doppia somministrazione.

Francesco Rigatelli per “la Stampa” l'8 febbraio 2021. Non ci sta ad arrivare terzo dopo Pfizer e Moderna Piero Di Lorenzo, amministratore delegato dell' Irbm di Pomezia che con l' Università di Oxford ha lavorato al vaccino AstraZeneca. «La fornitura andrà presto a regime e l' efficacia potrebbe salire all' 82% dopo una rivalutazione dell' Ema (l' Agenzia europea del farmaco, ndr.)».

Domenica sono arrivate 250mila dosi, ma le prossime?

«AstraZeneca sta facendo uno sforzo per recuperare le consegne di gennaio. Per quanto ne so entro il 14 arriveranno altre 350 mila dosi ed entro il 25 700 mila. Si lavora per ulteriori 4 milioni a marzo».

Qual è il problema?

«I vaccini sono prodotti biologici complessi e aumentarne la produzione non dà sempre i risultati desiderati. In particolare nello stabilimento in Belgio c'è stato un forte ritardo».

Ora è superato?

«È in via di soluzione, la pressione è pazzesca e ci lavorano giorno e notte».

Quando finiranno i problemi di rifornimento?

«Da marzo-aprile è credibile che arrivino dosi sufficienti per la vaccinazione di massa. Sono anche abbastanza ottimista sull' organizzazione della campagna».

Qual è un obiettivo realistico?

«Che entro giugno siano vaccinati gli over 70 e le categorie più esposte. Questo ci permetterebbe un' estate con maggiori prospettive positive».

Irbm di cosa si sta occupando?

«Abbiamo fornito il vettore virale per il vaccino di Oxford, prodotto le dosi sperimentali per le tre fasi cliniche e ora facciamo i test sulle produzioni in Inghilterra, Australia e India. Inoltre stiamo mettendo su una produzione italiana da 10 milioni di dosi a partire da maggio».

Credete nell' autoproduzione?

«Sì, anche se non tutte le aziende possono produrre vaccini. Servono impianti sofisticati e test lunghi. La vera strada è attendere le dosi prenotate. Se poi realtà importanti non impegnate sui vaccini, come Sanofi e Novartis, prestano i loro impianti è una buona notizia».

La critica ad AstraZeneca è di aver fatto una sperimentazione pasticciata in conseguenza della quale le autorità non hanno potuto fare altro che approvarne il vaccino con un'efficacia del 62%.

«La sperimentazione è stata fatta in Inghilterra, Brasile, Sudafrica e Stati Uniti con risultati difficili da paragonare. Il famoso errore della mezza dose fu un disguido rilevato dopo tre giorni e trasformato in un ulteriore protocollo, con mezza dose e una dose intera dopo un mese, che ha dato un' efficacia del 91%».

Per l'Ema non è stato provato su un numero di persone sufficiente e l'unico protocollo approvabile è risultato quello di due dosi piene, la seconda un mese, con efficacia del 62% e la raccomandazione di usarlo per gli under 65.

«Sì, ma nel frattempo AstraZeneca ha concluso altre sperimentazioni che dimostrano un' efficacia del 76% con una dose, che sale all' 82 con la seconda dopo tre mesi, con punte del 92. Inoltre, la percentuale scoperta non svilupperebbe la malattia in modo grave».

Dunque il miglior modo di usare il vaccino sarebbe questo?

«Sì, il nuovo studio è stato mandato alla rivista Lancet e a giorni arriverà all' Ema».

Se l'Ema lo approvasse andrebbe rivista la strategia di vaccinazione, che prevede AstraZeneca solo per insegnanti e forze dell' ordine?

«Sì, i nuovi dati dovrebbero permettere l' approvazione per tutti. Il tempo di tre mesi tra la prima e la seconda dose darebbe la possibilità di vaccinare molte più persone. Inoltre, AstraZeneca costa solo 2,80 euro, e non ha bisogno di aerei, elicotteri e depositi con frigo a meno 80 gradi».

Quanto tempo serve per aggiornare il vaccino in caso di varianti?

«Tre settimane, anche se al momento il problema non esiste.

Le varianti vanno monitorate e sottoposte a test specifici, ma non c' è evidenza che richiedano modifiche dei vaccini».

E la variante sudafricana?

«Una variante deve diventare predominante prima di impensierire, poi servono studi lunghi, di mesi, per stabilire se supera il vaccino. Il resto sono chiacchiere».

Come si raggiungerà la protezione della popolazione?

«Difficile determinare quota e data dell' immunità di gregge. Avere già i vaccini è un miracolo, ma non sappiamo se dovremo usarli più volte per rinnovare la protezione, aggiornarli per una variante o metterli nel cassetto nel caso il virus sparisse».

Come si faranno a vaccinare anche i Paesi più poveri?

«La Fondazione Gates ci ha fatto un' ordinazione per l' Africa. Sul tema da parte dei grandi Paesi servirà molto impegno, ma temo arriverà dopo la loro vaccinazione».

Mauro Evangelisti per "Il Messaggero" l'11 febbraio 2021. Il vertice tra Regioni, Aifa e Ministero della Salute sul limite di età di AstraZeneca, ieri pomeriggio, ha vissuto attimi di tensione. Per l'Agenzia del farmaco c'erano il direttore generale Nicola Magrini e il presidente Giorgio Palù. Di fronte all'insistenza degli assessori regionali alla Salute perché si innalzasse quanto meno da 55 a 65 anni l'età limite per quel vaccino, hanno replicato, sia pure con sfumature diverse: le nostre erano solo delle considerazioni, non erano imposizioni, il Ministero della Salute può aprire a un utilizzo più ampio. Gianni Rezza, direttore Prevenzione del Ministero della Salute, ha ribattuto, non proprio felice di questa consegna delle responsabilità: ci sono due pareri, uno di Aifa e uno del Consiglio superiore di Sanità, che indicano che bisogna dare il vaccino di AstraZeneca agli under 55, non potete chiederci di fare finta di nulla. Sintesi: Aifa si prenda la responsabilità di ritirare quella indicazione. Alla fine è stato deciso di insediare un tavolo tecnico, chiesto dalle Regioni, con Ministero, Istituto superiore di Sanità, Agenas e Aifa per «sgomberare il campo dalle incertezze che stanno creando difficoltà all'andamento della campagna vaccinale contro il Covid-19». Molto probabile che il limite sia innalzato a 65 anni, serve solo trovare una formula che preveda una sorta di «responsabilità condivisa» della decisione. E bisogna fare presto, visto che da qui a fine mese arriveranno 1,2 milioni di dosi. AstraZeneca, anche se ha una efficacia minore rispetto ai vaccini Rna, ha due pregi: non necessita della catena del freddo (e dunque è di semplicissima distribuzione) e la seconda dose va somministrata dopo 10-12 settimane, questo fa sì che la prima (che comunque garantisce una parziale protezione) sia rapidamente inoculata a molte persone. Appena ci sarà il via libera fino ai 65 anni, scatterà la vaccinazione per categorie: tutto il personale scolastico, le forze dell'ordine, i servizi essenziali. Ma cosa sta succedendo? Siamo passati da Ema (agenzia del farmaco europeo) che suggeriva di utilizzare AstraZeneca solo per gli under 55 ad Aifa (agenzia italiana) che in sostanza ribadiva la stessa indicazione; siamo arrivati all'Organizzazione mondiale della sanità che, ieri, ha detto il contrario: questo vaccino può essere utilizzato anche per gli anziani.

Non solo: il Sud Africa ha bloccato la somministrazione di AstraZeneca perché non offre sufficiente protezione contro la variante che si è sviluppata da quelle parti, il Comitato scientifico dell'Oms invece afferma l'opposto: è raccomandato l'uso «anche se in un Paese sono presenti delle varianti».

Tornando in Europa: Germania e Francia hanno deciso di riservare AstraZeneca agli under 65, Italia e Spagna agli under 55. Ricapitolando: Oms (e l'Università di Oxford dove il vaccino AstraZeneca è stato sviluppato) dice che va bene anche per gli anziani; Ema e Aifa osservano che comunque i dati a disposizione danno garanzie solo per gli under 55; i Paesi europei si dividono tra chi mantiene quel limite e chi lo alza a 65, mentre il Regno Unito lo sta usando senza distinzioni. Non è il massimo per rassicurare i cittadini. Ieri gli assessori regionali alla Salute hanno incontrato i rappresentanti di Aifa per chiedere anche un'altra cosa: autorizzare altri vaccini presenti sul mercato come Sputnik 5. La strada del via libera su scala nazionale, come ha fatto l'Ungheria per Sputnik, appare però molto complicata. Intanto, la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, al Parlamento europeo ha citato l'Italia tra i tre esempi positivi per il livello di immunizzazioni. «A fine febbraio, in Polonia, il 94% del personale sanitario, e l'80% degli ospiti delle case di riposo sono stati vaccinati. In Danimarca per le case di riposo siamo al 93%, in Italia oltre il 4% della popolazione è stato vaccinato».

Matteo Civillini e Gianluca Paolucci per la Stampa il 7 febbraio 2021. Da zero a oltre 50 miliardi di dollari a livello globale solo nel 2021. È quanto vale in termini di ricavi il mercato dei vaccini per il Covid19, sulla base dei contratti di fornitura noti finora e dei dati divulgati dai produttori. L' affare del secolo per le case farmaceutiche. Senza contare il russo Sputnik V e i vaccini cinesi. E senza contare quelli ancora in fase di sperimentazione che arriveranno sul mercato solo verso la fine dell' anno. Un valore che potrebbe addirittura crescere nei prossimi anni, con la ripetizione delle campagne vaccinali di massa e il venir meno del «prezzo pandemico», ovvero un prezzo calmierato dagli stessi produttori per contrastare gli effetti dell' emergenza sanitaria in corso. Il 17 dicembre scorso la sottosegretaria al Bilancio belga Eva De Bleeker ha reso noto con un tweet il prezzo pagato dall' Unione europea per i vaccini Covid prenotati dai vari produttori. Il tweet è stato poi cancellato: quei dati erano protetti da clausole contrattuali di riservatezza. A distanza di poco più di un mese, anche grazie a quel tweet, è possibile calcolare con un certo grado di approssimazione quanto vale l' enorme torta dei vaccini anti-pandemia. La fetta più grande di questa gigantesca torta andrà a Pfizer-BioNTech. È suo il primo vaccino che ha ottenuto il via libera nei principali paesi ed è arrivato sul mercato già alla fine dello scorso anno. Secondo quanto ha reso noto la casa americana qualche giorno fa, i ricavi del vaccino sono attesi a 15 miliardi di dollari nel 2021. Il colosso americano - che si dice pronto a produrre fino a 2 miliardi di dosi quest' anno - dividerà i ricavi lordi al 50% con il proprio partner tedesco. Tolti costi di produzione e distribuzione, Pfizer si attende un margine di guadagno netto che va dal 25 al 30%. Il vero business, però, dovrebbe arrivare in futuro: Pfizer ritiene infatti sempre più probabile che per combattere il virus - e tutte le sue varianti - sarà necessario somministrare richiami annuali, come per la normale influenza. In questo scenario, l' azienda americana si aspetta un rapido aumento dei margini di guadagno soprattutto con l' aumento dei prezzi. Oggi il tariffario per singola dose del vaccino Pfizer-BioNTech va dai 14,70 dollari pagati dall' Ue ai 19,50 dollari pagati dagli Stati Uniti, fino ai 23,50 dollari di Israele.

Chi con la pandemia ha fatto il grande salto è Moderna. Fino allo scorso anno era una piccola società biotecnologica, adesso è una delle protagoniste del mercato. Il suo fatturato - di 60,2 milioni nel 2019 e stimato in 519 milioni nel 2020 - è atteso a 11,7 miliardi di dollari nel 2021. Con gli accordi sottoscritti finora ha già incassato 2,8 miliardi di dollari di anticipi. Come per Pfizer, chi ha contribuito allo sviluppo ottiene lo sconto. Gli Usa, che hanno sostenuto finanziariamente la ricerca di Moderna, pagano 15 dollari per ogni dose mentre i paesi Ue pagano 18 dollari a dose.

AstraZeneca, che incontra problemi crescenti in alcuni paesi occidentali, è di gran lunga il più economico di quelli già sul mercato e anche per questo ha raccolto contratti per oltre 3 miliardi di dosi. Basandosi sul prezzo pagato dalla Ue ovvero 2,16 dollari per dose, sugli oltre due miliardi di dosi prodotte in autonomia AstraZeneca incasserebbe direttamente 4,4 miliardi di dollari. Una parte consistente, circa un miliardo, vengono prodotti su licenza dal Serum Institute of India (Sii). Il governo indiano pagherà 3,40 dollari a dose - per un totale di 3,40 miliardi di dollari. Tra vaccini prodotti «in casa» e dai licenziatari, dunque il giro d' affari del vaccino Astrazeneca dovrebbe aggirarsi sui 7,40 miliardi di dollari in una prima fase. I prezzi anche in questo caso saranno differenziati, anche fortemente, in funzione delle quantità ordinate e della «forza contrattuale» del singolo Stato. L' acquisto centralizzato della Ue è stato di 300 milioni di dosi, con l' opzione per altri 100 milioni. Il Sudafrica, che ha ordinato 1,5 milioni di dosi del vaccino AstraZeneca dall' istituto indiano pagherà 5,25 dollari a dose, più del doppio del prezzo di Bruxelles. Probabile, inoltre, che finita la fase acuta dell' emergenza, le tariffe possano aumentare per tutti. L' azienda anglo-svedese, infatti, ha promesso di vendere il vaccino al costo di produzione solamente durante il corso della pandemia. Poi Astrazeneca avrà ampia discrezione di ritenere la pandemia terminata: stando all' accordo firmato con un distributore brasiliano, questo potrebbe avvenire già dal prossimo luglio.

In ritardo rispetto agli annunci Johnson & Johnson. Il produttore americano ha già incamerato ordini per 350 milioni di dosi: gli acquirenti principali sono Unione europea (200 milioni) Usa (100 milioni) e Gran Bretagna (30 milioni). Il prezzo promesso, 10 dollari a dose, aggiunge al nostro calcolo altri 3,5 miliardi di dollari. Va precisato però che i primi ordini della Ue sono però stati al prezzo scontato di 8,5 dollari a dose. La società ha annunciato l' obiettivo di produrre un miliardo di dosi entro la fine dell' anno.

Dall'Europa arrivano invece due vaccini ancora fermi alla fase di studio clinico e destinati a non comparire sul mercato prima di settembre.Il primo è quello del duo Sanofi-GlaxoSmithKline che, ad oggi, ha raccolto ordini per 712 milioni di dosi al prezzo di vendita di 7,56 euro ciascuna. Al cambio attuale, sono 6,34 miliardi di dollari. Il secondo è prodotto dalla tedesca Curevac.

L' Unione Europea - unico acquirente finora - ha opzionato 225 milioni di dosi a 10 euro l' una. Più difficile quantificare il peso finanziario dei vaccini provenienti da Russia e Cina.

Sponsorizzato da fondo sovrano russo Rdif, lo Sputnik V dovrebbe essere venduto a circa 10 dollari per dose. Abbiamo chiesto a Rdif dettagli su contratti e prezzi, ma non abbiamo ottenuto risposta. Rdif ha siglato contratti con 17 paesi e comunicato di essere pronta a produrre fino a 1,7 miliardi di dosi nel 2021.

Arrivano dalla Cina invece i vaccini di Sinopharm e Sinovac. Prodotto da un' azienda di stato, il primo è stato ad oggi venduto principalmente nei paesi del Golfo e in Sud America. Sinopharm non ha reso noto il costo del vaccino. Tuttavia, il governo del Peru ha dichiarato di aver speso 26 milioni di dollari per una fornitura iniziale di un milione di dosi - per un costo unitario di 26 dollari. Sinovac, invece, ha raggiunto accordi principalmente con Turchia e alcuni paesi del sud-est asiatico. Il prezzo pagato dall' Indonesia è di 13,60 dollari a dose.

Rimane un' incognita il candidato vaccino italiano di Reithera. L' azienda biotech di Castel Romano deve ancora iniziare gli studi di fase 2 e l' iter per arrivare a un' eventuale approvazione appare ancora lungo. Nel frattempo, su Reithera ha scommesso il commissario Covid-19 Domenico Arcuri. Invitalia ha firmato un contratto di sviluppo con Reithera: acquisirà il 27% del capitale con un investimento di 81 milioni di euro.

Claudio Antonelli per "la Verità" il 7 luglio 2021. È triste ma tocca fare un esercizio di memoria e tornare ai primi di gennaio, quando la totalità delle televisioni e quasi tutti i giornali si bevevano le dichiarazioni di Domenico Arcuri. Allora commissario all' emergenza e oggi ancora numero uno di Invitalia. Il giorno prima della Befana dichiarò all' Ansa: «Proviamo a raggiungere una qualche indipendenza anche nella dotazione dei vaccini», disse durante la presentazione dei risultati della fase 1 della sperimentazione del vaccino Reithera all' Istituto Spallanzani. All'inizio della prossima settimana la società, con un importante stabilimento a Castel Romano, presenterà i risultati della fase 2. La possibilità che siano buoni è molto elevata. Ma il report non cambierà la situazione. Il sogno di avere un vaccino italiano è rimasto nel cassetto di Arcuri e adesso si sta trasformando in un incubo (finanziario) per l'azienda e in una opportunità sprecata per il Paese. Da gennaio a oggi si è susseguita infatti una serie di batoste, frutto di scelte errate e tempistiche sbagliate, collegate certamente alla strategia voluta dall' ex commissario emergenziale. Gli step sono pochi, ma vale la pena ripercorrerli. A metà marzo del 2020 l'Istituto Spallanzani, molto vicino a Nicola Zingaretti, chiude un accordo con Reithera e avvia il primo mini finanziamento. Il 23 marzo il Consiglio nazionale delle ricerche approva il protocollo d' intesa con lo Spallanzani. L' ospedale riceve così 8 milioni di euro: 5 dalla Regione Lazio di Zingaretti e 3 proprio dal Cnr di Massimo Inguscio. Il tentativo è quello di legare la piccola azienda a una struttura fondamentale per la sanità laziale e, in caso di successo, pure per il marketing del Pd. È solo nei mesi di aprile e maggio che i vertici di Reithera fanno la conoscenza di Arcuri che fresco di nomina li convoca per ammonirli. Guai a seguire le sirene di fondi esteri. Il vaccino sarebbe dovuto rimanere italiano, anche a costo di brandire l'arma del golden power. Un' arma che il commissario non avrebbe mai potuto usare né per funzione né per merito. Eppure il fondo che si era affacciato a Roma scompare e Invitalia comincia a palesarsi come partner. Solo che la promessa di 88 milioni per finanziare il vaccino tarda a tal punto che viene finalizzata solo ai primi di febbraio, quando in teoria la sperimentazione sarebbe potuta essere già a buon punto. Se non bastasse, quando Invitalia diventa socio versa soltanto 11 degli 88 milioni: parte di questi viene destinata a rinnovare il sito produttivo e parte per l'azionariato. Anche in questo caso le critiche all' operazione sono merce rara da trovare sui quotidiani italiani. Eppure sono trascorsi quasi 12 mesi dal primo incontro tra Spallanzani e Cnr. A onor del vero la notizia passa subito dopo in secondo piano, perché con l'arrivo di Mario Draghi, Arcuri decade da commissario. A capire subito l'andazzo è però Zingaretti, che consapevole di aver perso il treno del vaccino tricolore torna al primo amore dei comunisti: Mosca. Non a caso, per cercare di trovare strade alternative lo Spallanzani lancia l'idea del partner russo. A metà aprile Regione Lazio, Spallanzani e Istituto Gamaleya firmano un accordo con l'intento di portare in Italia il vaccino Sputnik. I pilastri del documento si basano sulla collaborazione scientifica e lo scambio di materiali e conoscenza. Da un lato si vuole approfondire l'efficacia del vaccino sulle varianti e dall' altro avviare una sperimentazione su 600 volontari italiani che hanno già ricevuto la prima dose con Astrazeneca e sarebbero disposti a farsi iniettare, per la seconda, il siero russo. Dalle comunicazioni ufficiali si capisce che l'obiettivo è una pianificazione congiunta e una conduzione di studi clinici con l'impiego del vaccino Sputnik, nonché l'avvio della fase 4 in contesti reali. I russi in cambio possono avere l'accesso ai dati genetici tratti dalla biobanca dell'istituto. Noi alla Verità abbiamo subito denunciato il pericolo. Per fortuna, grazia alla moral suasion di Mario Draghi, l'operazione è naufragata. D' altronde permettere a un singolo governatore di impegnare il Paese in un accordo geopolitico sarebbe stato sbagliato oltre che controproducente (con Wasghinton). E così anche questo progetto che avrebbe potuto permettere, in un secondo tempo, allo stabilimento di operare per l'insacchettamento di un vaccino terzo, è terminato prima ancora di cominciare. Ma la vera doccia fredda per Reithera è arrivata a metà maggio, quando la Corte dei conti boccia il contratto con Invitalia. L' investimento per il progetto Reithera non può comprendere l' acquisto della sede operativa, «mentre la spesa per la realizzazione del solo impianto di infialamento e confezionamento ammonterebbe a 7,7 milioni e non raggiungerebbe la soglia minima di 10 milioni di euro prevista dalle normative», ha spiegato la Corte dei conti nelle motivazioni che hanno portato alla ricusazione del visto al decreto del ministero dello Sviluppo economico, che a sua volta approvava l' accordo gestito da Arcuri. Adesso il Mise ha organizzato più incontri. Ma oltre le parole nessuno è andato. Solo per lo sviluppo della fase 3 ci vorrebbero 80 milioni. Esattamente la cifra promessa e mai versata dall' ex commissario. Che peccato. Anche se Giancarlo Giorgetti trovasse una soluzione, il rischio di portare a termine un vaccino superato è praticamente un dato di fatto. A questo punto qualcuno dovrebbe chiedere conto ad Arcuri di quanto non è stato fatto.

Paolo Russo per “La Stampa” il 12 luglio 2021. Quella di Reithera, il vaccino italiano che però parla svizzero, è una storia sbagliata. Emblema di una strategia vaccinale, almeno sul piano produttivo e della ricerca, tutta da rifare. Perché mentre Stati Uniti, Regno Unito, Francia e Germania puntavano miliardi sui vaccini vincenti, noi sul piatto abbiamo messo poche fiches e tutte sulle caselle sbagliate. Un vaccino italiano appartenente alla famiglia di quelli a vettore virale, che l'Europa smetterà di utilizzare il prossimo anno, presentato come autoctono ma sperimentato da una azienda controllata al 100% dalla società svizzera Keires e con un management legato a doppio filo con il gigante farmaceutico britannico Glaxo. Mentre del famoso polo produttivo italiano sbandierato a più riprese del Mise non si sente più parlare. Forse perché anche qui si è puntato sul cavallo sbagliato: il vaccino CureVac, l'unico di quelli a Rna messaggero ad essere stato bocciato dall'Ema perché con una efficacia inferiore al 50%. Ma partiamo dell'inizio di questa storia sbagliata. Dall'innamoramento del Governo Conte, dell'allora commissario Arcuri e del Pd di Zingaretti per quell'embrione di vaccino che era il Grad-Cov-2 dell'azienda Reithera di Castel Romano. «Una fabbrichetta con un fatturato da ridere e 200 mila euro di capitale», come la definisce in modo irriverente il professore ordinario di Microbiologia all'Università di Padova, Andrea Crisanti. Siamo al marzo dello scorso anno quando il super-ospedale romano Spallanzani, avanguardia nella ricerca sui virus, chiude un accordo con ReiThera per avviare la sperimentazione del vaccino. Per farlo riceve 5 milioni dalla regione Lazio e 3 dal Cnr. In tutto 8 milioni di euro. Gli unici fino a qui sborsati dall'Italia per la ricerca di un vaccino anti-Covid contro il miliardo e 200 milioni di dollari messi sul piatto dagli Usa per portare a termine le sperimentazioni sugli antidoti a Rna messaggero che ora dominano i mercati, 900 milioni di sterline investite dalla Gran Bretagna per AstraZeneca che comunque è venuto alla luce, 400 milioni spesi dalla Germania per creare uno stabilimento nuovo di zecca della sua Biontech e alzare la soglia di produzione del vaccino co-firmato con Pfizer. Mentre la Francia, visto fallire il progetto della sua Sanofi, non ha esitato un attimo a imporre all'azienda, finanziandola, di mettersi a produrre l'antidoto dell'americana Pfizer. Da noi si punta su Reithera, per la quale palesa il suo interesse anche un fondo internazionale. Ma Arcuri ammonisce i vertici dell'azienda: «Il vaccino deve rimanere italiano», come se poi le dosi non andassero comunque ripartite in quota parte per tutti i Paesi Ue. Il fondo comunque si dilegua e Invitalia, di cui Arcuri è Ad, decide di acquistare il 30% del capitale sociale dell'impresa laziale. L'ex commissario ha in borsa 380 milioni di euro stanziati con il decreto di agosto per mettere piede dentro aziende considerate strategiche nella lotta al Covid. Ma passano i mesi e fino alla fine del 2020 a Reithera non arriva il becco di un quattrino. Poi a gennaio di quest' anno la svolta. Viene siglato l'accordo, bocciato a maggio dalla Corte dei Conti, che destinerebbe all'azienda 81 milioni di euro per avviare la fase due della sperimentazione. Quella un po' più allargata sull'uomo dalla quale però presto si sfilerà lo Spallanzani, senza mai giustificarne il motivo. «Perché era oramai inutile continuare a spendersi per un vaccino a vettore virale destinato a finire come gli altri in un binario morto» si spiffera nel palazzo della Salute di Lungotevere Ripa. «Per gettarsi su un'altra impresa fallita in partenza, quella della sperimentazione del russo Sputnik», mormora qualche voce critica dentro l'ospedale romano. Ma a dicembre l'entusiasmo delle nostre istituzioni scientifiche e sanitarie è alle stelle per i risultati ancora più che preliminari della fase uno. Lo è il direttore dell'Aifa, Nicola Magrini, che benedice anche l'accordo con l'azienda, raggiunto grazie «a una serie di facili e snelli rapporti personali e alla collaborazione con la struttura commissariale», non manca di sottolineare. Mentre il direttore scientifico dello Spallanzani, Giuseppe Ippolito, parla di «risultati incoraggianti», con nessuna delle 100 persone coinvolte ad aver segnalato eventi avversi e oltre il 90% ad aver sviluppato anticorpi. A dire la verità quei dati presentati in conferenza stampa non convincono altri scienziati, come l'immunologa Antonella Viola e il microbiologo Enrico Bucci, secondo il quale «l'attività anticorpale, al contrario di altri vaccini, non sembrava nemmeno raggiungere quella indotta dall'infezione naturale». Pur tra botte e risposta polemici si va avanti. Fino alla doccia fredda di maggio, quando la Corte dei Conti boccia senza se e senza ma l'accordo quadro dal quale poi sarebbe dovuto discernere quello di sviluppo, con procedura fast track, per utilizzare gli 81 milioni rimasti nelle casseforti statali. I magistrati contabili contestano il fatto che l'investimento non può comprendere l'acquisto di una sede operativa e che le spese non sono ammissibili «per le finalità generali, produttive o di ricerca, anche per conto terzi, come si evince invece nel progetto presentato». Rilievi che si sarebbero potuti aggirare riformulando il contratto quadro. Ma fino ad ora il Mise di Giorgetti non ha mosso foglia. E il commissario Figliuolo ha espresso la sua perplessità sul progetto in sé, ricordando che «c'è stato lo stop al finanziamento perché la società sta aspettando lo scientific advice dell'Ema, conditio sine qua non per entrare nella fase 3 della sperimentazione». La prossima settimana Reithera presenterà i dati della fase 2 che indicano al 92,5% la quota di vaccinati nella quale sono stati rilevati anticorpi. Ma l'azienda sa che non sarà facile trovare gli ingenti finanziamenti per la fase 3 di un vaccino della famiglia a vettore virale sulla quale nessuno più punta. E infatti ha fatto il passo avanti proponendosi come produttore di quelli a Rna messaggero, «grazie ai nostri bioreattori che in Italia non ha nessuno». Anche su questo dal Mise per ora nessuna risposta. Eppure proprio dal Ministero per lo sviluppo è partito da tre mesi il tavolo con Farmindustria per avviare «il polo vaccinale produttivo italiano». Del quale era stato promesso l'annuncio per giugno. Ma dal Mise ci dicono che «ancora non ci sono novità». Forse perché si sono puntate le fiches sulla produzione tricolore del tedesco CureVac, bocciato ora dall'Ema. Agli euroscettici fautori dell'autarchia vaccinale verrebbe da dire, «meno male che l'Europa c'è».

QUELLA VARIANTE FIRMATA DA UN GIUDICE. In un’Italia che vuole cambiare ci si interroga sul caso del vaccino italiano Reithera bloccato da un singolo magistrato. Roberto Napoletano su Il Quotidiano del Sud il 13 luglio 2021. Non può essere un giudice contabile a bloccare un programma nazionale di ricerca così strategico per l’Italia. Se non è un programma strategico ma un suo sottoprodotto allora abbiamo scherzato, ma siamo sempre quel Paese poco serio di prima. Se, altro caso da non sottovalutare, per competere ai bandi di gara del Next Generation Eu per gli asili nido dei loro territori, i singoli Comuni debbono aspettare le Regioni con le loro burocrazie incuranti di tutto di sicuro non riusciranno a realizzarli. Bisogna vigilare su che cosa accade negli scantinati delle resistenze organizzate al cambiamento che si annidano nelle magistrature contabili e nelle authority debordanti così come tra i mandarini delle nomenclature regionali. Il problema di oggi per l’economia reale e i mercati si chiama variante Delta. La domanda è se questa nuova parte della pandemia ferma o no la ripresa delle attività. Questo si chiedono i mercati. Questo sta mettendo in crisi mezza Europa e vede Paesi come Francia, Spagna, Portogallo, in forme e modalità differenti, registrare battute d’arresto nella battaglia contro la diffusione dei contagi e/o costretti a fare fronte a nuove emergenze. Banalizzare non aiuta. La festa italiana per il meritatissimo successo ai campionati europei e lo spirito di squadra dimostrato che è quello che più serve oggi al Paese, non ci esime da interrogarci prudenzialmente se lo 0,7% di prodotto interno lordo sarà in più o in meno. Perché deve essere chiaro a tutti che se agli inevitabili e diffusi assembramenti legati alla grande festa dello sport italiano non si risponde accelerando ulteriormente sulla campagna di vaccinazione e mantenendo i comportamenti di sicurezza, diventa reale il rischio di un ribaltamento prima delle aspettative e poi della situazione. Questo è il rischio capitale da scongiurare con ogni mezzo prima di tutto nel cuore di questa calda estate. Abbiamo, come è noto, piena fiducia nel governo di unità nazionale e di chi lo guida. La squadra di governo non ha bucato uno solo degli appuntamenti con il cronoprogramma delle riforme concordato con l’Europa che è l’unica chance concreta che abbiamo di rimettere in moto la macchina degli investimenti pubblici e, di conseguenza, di mobilitare quelli privati. Questo è il cuore della scommessa strategica di trasformare un Paese da venti anni a crescita zero in un altro Paese capace di crescere a ritmi da miracolo economico. Il fatto che i partiti continuino a fare rumore, ma riconoscono l’ultima parola a Draghi sulle cose che contano, ci conforta e, soprattutto, consente finalmente al Paese di decidere dopo due decenni di rumorosi rinvii di ogni tipo di decisione. Anche il Presidente Draghi deve, però, stare molto attento a chi nella amministrazione dello Stato a livello centrale e in quella territoriale a livello regionale continua nel frattempo a operare come se nulla fosse accaduto. Né il nuovo ’29 mondiale che richiede risposte con tutt’altra velocità né le scelte di indirizzo e operative già compiute con il metodo Draghi per l’attuazione del Recovery Plan italiano. Prendiamo il caso del vaccino italiano Reithera. Non sappiamo chi abbia ragione. Chi sostiene che abbia superato brillantemente anche la seconda serie di test con un’elevatissima produzione di anticorpi. O chi viceversa ribatte che senza la terza fila di test attuata con i canoni della trasparenza internazionale non è possibile valutare la resa effettiva di quegli anticorpi prodotti. Quello che sappiamo con certezza è che un giudice della Corte dei conti ha bloccato l’erogazione dei fondi deliberati all’azienda italiana impegnata in questo delicato lavoro che è prima di tutto un lavoro contro il tempo. A prendere queste decisioni in un’Italia che vuole cambiare non può essere un singolo giudice di quella Corte dei conti che non ci stancheremo mai di ringraziare per il lavoro di verità compiuto sulla anomala distribuzione della spesa pubblica tra Nord e Sud del Paese. Non può essere un giudice contabile a bloccare un programma nazionale di ricerca così strategico per l’Italia. Se non è un programma strategico ma un suo sottoprodotto allora abbiamo scherzato, ma siamo sempre quel Paese poco serio di prima. Se, altro caso da non sottovalutare, per competere ai bandi di gara del Next Generation Eu per gli asili nido dei loro territori, i singoli Comuni debbono aspettare le Regioni che fanno la programmazione e che con le loro burocrazie incuranti di tutto e tutti si prendono tempo fino alla fine del 2022, allora continuano a vincere quelli di prima e gli asili nido non si faranno. I Comuni vedranno solo aumentare i loro deficit di bilancio perché quei soldi dovranno pure restituirli in quanto non potranno spenderli e bene nei tempi prestabiliti. No, così, come la prendi prendi, proprio non va. Siamo contenti che si freni sull’autonomia differenziata e che il ciclo di riforme cammini. Questa è la partita chiave che solo la capacità di decidere e il gioco di squadra che Draghi è stato capace di innescare ci permettono oggi di giocare senza complessi e con il rispetto del mondo. Ci permettiamo, però, di suggerire di vigilare su che cosa accade negli scantinati delle resistenze organizzate al cambiamento che si annidano nelle magistrature contabili e nelle authority debordanti così come tra i mandarini delle nomenclature regionali. Presidente Draghi, anche qui, anzi qui oggi con urgenza prioritaria, bisogna battere un colpo secco. Che valga di esempio per tutti e funzioni da bussola per l’oggi e per il domani. Servono lo stesso piglio con cui chiese proprio alla Corte dei conti, alla sua prima uscita da capo del governo, di guardarsi in faccia e di parlarsi tra di loro e con gli altri interlocutori con la lealtà che devono avere uomini che servono lo stesso Stato. Servono la stessa determinazione e le stesse modalità di intervento di quei poteri di richiamo previste dalla nuova governance del Recovery Plan per stroncare sul nascere il solito movimentismo di interessi regionale che può solo bloccare tutto. Sono gli stessi mandarini che non spendono da sempre i fondi europei e poi aspettano le scadenze per piazzare le loro marchette. Proprio non se ne può più.

Fuori dal Coro, sospetto di Mario Giordano su Domenico Arcuri e Reithera: "Storia di un finanziamento dubbio". Libero Quotidiano il 18 maggio 2021. Domenico Arcuri non è più commissario per l'emergenza coronavirus, ma i suoi fallimenti fanno ancora discutere. A parlare dell'ultimo è proprio Mario Giordano in occasione della puntata del 18 maggio di Fuori dal Coro. "Ancora tu, ma non dovevamo vederci più? Lo scandalo del vaccino italiano, l'ultimo clamoroso flop di Arcuri. Storia di un finanziamento dubbio (89 milioni di euro) e di una sperimentazione fermata a metà. Chi ne risponderà? Aspettatevi di tutto", cinguetta in vista dell'appuntamento. E infatti la Corte dei conti ha bocciato il vaccino italiano Reithera. Oltre a essere considerato un brutto colpo per l'Italia che sperava nell'arrivo di nuove dosi contro il coronavirus, la notizia rappresenta l'ennesimo flop di Arcuri. Era stato proprio l'ad di Invitalia a sottoscrisse l'accordo con l'azienda di Castel Romano per lo sviluppo e la produzione di 100 milioni di dosi. Su questo atto, ad oggi che Arcuri è stato sostituito dal generale Figliuolo, i magistrati contabili hanno fatto mancare il loro visto, in qualità di organo di controllo per vigilare sull'utilizzo delle risorse pubbliche. A cercare di rimettere a poste le cose è stato Pierpaolo Sileri: "Sul vaccino italiano Reithera una qualche soluzione dovrà essere trovata e immagino che ci si stia pensando", si è espresso il sottosegretario alla Salute ospite di Radio anch’io, su Rai Radio1. "Sicuramente avere la possibilità di poter contare su un vaccino fatto in casa è un’opportunità per tutta l’Italia, però aspettiamo un attimo prima di pronunciarci su questo è una cosa in fieri". Ugualmente ottimista l'attuale commissario: "È chiaro che è importantissimo avere autonomia di produrre vaccini ma ai fini della campagna vaccinale abbiamo 4 vaccini, presto 5 con l’arrivo del tedesco Curevac, che chiaramente ci mette al sicuro per le somministrazioni. Il nostro vaccino ReiThera è più in un ottica di medio e lungo termine ed è fortemente attenzionato dal ministero dello Sviluppo Economico". In ogni caso l'antidoto italiano serve eccome. 

Da repubblica.it il 14 maggio 2021. La Corte dei Conti ha bloccato i fondi per ReiThera. La biotech di Castel Romano che sta sperimentando il vaccino italiano non riceverà gli 81 milioni promessi a gennaio da Invitalia. Il progetto, arrivato alla fase due delle sperimentazioni, rischia di finire qui. Senza quei finanziamenti ReiThera non potrà avviare la fase 3 né ricevere l’autorizzazione all’uso. Il vaccino aveva avuto risultati positivi nella fase uno. Ha appena completato la fase due su circa mille volontari ed è in attesa di raccogliere i risultati. La palla passa ora al governo, che dovrà decidere come procedere, e in particolare al Ministero per lo sviluppo economico, che all’inizio dell’anno aveva approvato il cofinanziamento. “Lo schema dell’investimento è illegittimo e quindi nullo” si è limitata a commentare la Corte, il cui parere era atteso da un mese e mezzo circa. I vertici di ReiThera, che nel progetto del vaccino ha investito 12 milioni propri, hanno accolto la notizia - arrivata tramite la stampa, senza alcuna comunicazione ufficiale - con sorpresa. Il loro unico commento è che restano in attesa di leggere il parere formale della Corte. La breve nota dei magistrati è stata: "La sezione centrale della Corte dei Conti a conclusione dell'adunanza del 11 maggio 2021 ha deliberato di ricusare il visto sul decreto" relativo all'approvazione "dell'Accordo di sviluppo sottoscritto in data 17 febbraio 2021 dal Ministero dello Sviluppo economico, da Invitalia spa e dalla Società ReiThera srl, volto a sostenere il programma di sviluppo industriale da realizzare presso lo stabilimento produttivo sito in Castel Romano".

Da open.online il 21 maggio 2021. La Sezione centrale del controllo di legittimità sugli del Governo e delle Amministrazioni dello Stato della Corte dei conti ha reso note le motivazioni alla base della ricusazione dello scorso 14 maggio del visto e della conseguente registrazione del decreto del Mise con cui è stato approvato l’accordo di sviluppo con ReiThera. L’accordo del 17 febbraio 2021 sottoscritto dal Mise, dall’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa – Invitalia e dalla Società ReiThera, era volto a sostenere il programma di sviluppo industriale da realizzare presso lo stabilimento produttivo sito in Castel Romano (RM). «In particolare, tale programma prevedeva un progetto di investimento finalizzato all’ampliamento dello stabilimento produttivo sito in Castel Romano e un progetto di ricerca industriale e sviluppo sperimentale destinato a completare la sperimentazione clinica (studi clinici di fase 2 e 3) del vaccino anti Covid-19», spiega la Corte nella nota.

Le motivazioni della Corte dei conti. «La sezione ha ritenuto il progetto di investimento proposto inconciliabile con la condizione posta dall’art. 15, comma 1, del DM 9 dicembre 2014, secondo cui le spese sono ammissibili “nella misura necessaria alle finalità del progetto oggetto della richiesta di agevolazioni” e non, come invece risulta dal progetto presentato, per le finalità generali – produttive o di ricerca, anche per conto terzi – perseguite da ReiThera, né per le ancor più generali finalità di rafforzare la consistenza patrimoniale dell’impresa». «Il progetto di investimento produttivo, infatti, ai sensi dell’art. 14, comma 2, del citato D.M. non può riguardare l’intero complesso aziendale ma solo determinate “unità produttive'”», precisa inoltre la sezione centrale. «L’acquisto della proprietà della sede operativa della società, sita in Castel Romano (RM), per un previsto importo di euro 4.000.000,00, non attiene alla singola “unità produttiva” – continua la nota – rappresentata dal realizzando impianto di infialamento e confezionamento, come sostenuto dall’amministrazione, ma riguarda l’intera sede dove la società svolge il complesso delle sue attività che ‘nel 2019 ha riguardato essenzialmente attività di ricerca e sviluppo per conto della società controllante Keires A.G.’, come riportato nella stessa Relazione di Invitalia». La decisione della Corte dei Conti si basa quindi sull’inammissibilità del progetto di investimento costituito dall’acquisto della proprietà della sede operativa della società «che non consente, pertanto – si conclude -, ad avviso della Sezione, al solo investimento rappresentato dalla realizzazione dell’impianto di infialamento e confezionamento, per un importo di euro 7.734.126,68, di raggiungere la soglia minima di 10 milioni di euro prescritta all’art. 5, comma 3, del D.M. 9 dicembre 2014, per la validità dell’investimento produttivo. L’assenza di un valido e sufficiente investimento produttivo, ai sensi degli artt. 5, 14 e 15 del D.M. 9 dicembre 2014, non ha, pertanto, consentito di ammettere al visto di legittimità l’atto in esame».

Ecco perché è stato bloccato il vaccino ReiThera. Alessandro Ferro il 21 Maggio 2021 su Il Giornale. La Corte dei Conti ha bloccato la sperimentazione del vaccino ReiThera perché l'azienda avrebbe voluto utilizzare una parte dei fondi anche per ampliare lo stabilimento produttivo. "Progetto inammissibile". "Inconciliabile": è quanto ha scritto la Corte dei Conti che ha bloccato la sperimentazione del vaccino italiano anti-Covid della ReiThera: la società avrebbe utilizzato quei finanziamenti anche per ampliare lo stabilimento produttivo non limitandosi unicamente allo sviluppo di un siero contro il virus Sars-Cov-2. Ecco così scoperto il motivo per cui, alcuni giorni fa, era stata bloccata la sperimentazione cogliendo di sorpresa tutti i ricercatori ed i volontari (qui il nostro pezzo).

Cosa scrive la Corte. "Tale programma prevedeva un progetto di investimento finalizzato all'ampliamento dello stabilimento produttivo sito in Castel Romano e un progetto di ricerca industriale e sviluppo sperimentale destinato a completare la sperimentazione clinica (studi clinici di fase 2 e 3) del vaccino anti Covid-19", ha scritto la Sezione centrale del controllo di legittimità sugli atti del Governo e delle amministrazioni dello Stato della Corte dei Conti nel rendere note le motivazioni alla base della ricusazione del visto. La Sezione ha, inoltre, ritenuto il progetto di investimento proposto "inconciliabile" con la condizione posta dal decreto ministeriale 9 dicembre 2014, secondo cui "le spese sono ammissibili nella misura necessaria alle finalità del progetto oggetto della richiesta di agevolazioni e non, come invece risulta dal progetto presentato, per le finalità generali - produttive o di ricerca, anche per conto terzi - perseguite da ReiThera, nè per le ancor più generali finalità di rafforzare la consistenza patrimoniale dell'impresa". Lo si apprende da alcune agenzie battute dall'Agi.

"Assenza di un valido investimento produttivo". A quanto pare, quindi, l'azienda di Castel Romano avrebbe chiesto finanziamenti anche per altri interventi che nulla hanno a che vedere con il vaccino anti-Covid, da qui lo stop all'erogazione dei fondi (81 milioni promessi nell'accordo del 17 febbraio tra Mise, Invitalia e ReiThera). "L'assenza di un valido e sufficiente investimento produttivo", ai sensi degli articoli 5, 14 e 15 del decreto ministeriale 9 dicembre 2014, "non ha, pertanto, consentito di ammettere al visto di legittimità l'atto in esame", riporta una nota della Corte dei Conti la quale sottolinea che, il progetto di investimento produttivo, ai sensi dello stesso decreto ministeriale, "non può riguardare l'intero complesso aziendale ma solo determinate 'unità produttive". Secondo quanto si apprende, l'acquisto della proprietà della sede operativa di ReiThera a Castel Romano, in provincia di Roma, per un importo previsto di 4 milioni di euro, "non attiene alla singola unità produttiva rappresentata dal realizzando impianto di infialamento e confezionamento, come sostenuto dall'Amministrazione, ma riguarda l'intera sede dove la Società svolge il complesso delle sue attività che nel 2019 ha riguardato essenzialmente attività di ricerca e sviluppo per conto della società controllante Keires A.G', come riportato nella stessa Relazione di Invitalia".

"Progetto inammissibile". "L'inammissibilità del progetto di investimento costituito dall'acquisto della proprietà della sede operativa della Società - conclude la Corte - non consente, pertanto, ad avviso della Sezione, al solo investimento rappresentato dalla realizzazione dell'impianto di infialamento e confezionamento, per un importo di euro 7.734.126,68, di raggiungere la soglia minima di 10 milioni di euro prescritta dal decreto ministeriale per la validità dell'investimento produttivo".

"Mise pronto a fare la sua parte". "Il Mise è disponibile a contribuire al progetto del vaccino Reithera nelle forme e nei modi consentiti utilizzando diversi e innovativi strumenti previsti anche dalle nuove norme". Così, in una nota, il Ministro dello sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, anche in previsione di un incontro con ReiThera e dopo le motivazioni della Corte dei Conti. Una mano d'aiuto arriva, però, anche da altre fonti. "La fase 3 della sperimentazione del vaccino dipende da ReiThera e dagli investimenti", ha affermato Francesco Vaia, Direttore dello Spallanzani di Roma durante la trasmissione "Agorà". "Siamo pronti a riprendere il nostro lavoro. La ripresa della sperimentazione dovrà però essere valutata da chi finanzia lo studio. Come Spallanzani siamo pronti e disponibili", ha dichiarato dopo la decisione della Corte dei Conti di bloccare una parte del finanziamento. Lo stop della Corte dei Conti al decreto che attivava il finanziamento per ReiThera, l'azienda che sta sviluppando un vaccino anti-Covid made in Italy, "è molto grave perché così si rischia di fermare la possibilità di avere un nostro vaccino e di produrlo". Lo ha dichiarato all'AndKronos Salute Silvio Garattini, Presidente dell'Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri Irccs. "Quando si ferma la ricerca per un problema burocrazia non va mai bene", osserva lo scienziato.

Sarina Biraghi per "La Verità" il 12 maggio 2021. Dopo gli accordi e gli annunci il vaccino made in Italy Reithera è ancora in alto mare, mentre il direttore scientifico dello Spallanzani Giuseppe Ippolito afferma: «Noi non abbiamo fatto la fase 2». A rivelarlo è stato ieri sera il servizio di Fuori dal coro, di Mario Giordano. Mistero dunque sul vaccino, sponsorizzato dal governo, prodotto nello stabilimento di Castel Romano che avrebbe dovuto evitare al Paese il problema di carenza di dosi. Lo scorso gennaio era stato annunciato che il vaccino, la cui progettazione era iniziata già nel 2020 e la sperimentazione era tutta nelle mani dell'Inmi romano, nasceva grazie a 5 milioni messi in campo dalla Regione Lazio di Nicola Zingaretti, 3 milioni dal Cnr del presidente Massimo Inguscio e 80 milioni di Invitalia guidata dall'ex commissario Domenico Arcuri. La presenza dello Spallanzani era proprio la garanzia per far ottenere i finanziamenti pubblici a Reithera, azienda privata controllata al 100% da Keires, società con sede a Basilea, in Svizzera. La conferenza stampa dello scorso 5 gennaio aveva di fatto confermato l’avvio della fase 1 della sperimentazione nell'Istituto nazionale per le malattie infettive della Capitale. A marzo, quando la Reithera stabilisce la partenza della fase 2, anche gli ospedali «Goretti» di Latina e il «Moscati» di Avellino erano stati individuati, insieme ad altri 24, come centri di sperimentazione, coordinati dallo Spallanzani, e iniziavano la ricerca dei 900 volontari che avrebbero ricevuto 800 euro di rimborso. Da allora però, nessun dato ufficiale e tantomeno pubblicazioni dei risultati su riviste scientifiche, come da prassi. Lo scorso 22 aprile l'azienda biotech ReiThera confermava di essere fortemente impegnata nella fase 2-3 della sperimentazione clinica, avviata a marzo, del vaccino GRAd-COV2 basato sulla tecnologia proprietaria dell'adenovirus isolato dal gorilla, una tecnologia simile a quella di altri vaccini già approvati dall'Ema. «La sperimentazione procede a pieno ritmo» aveva detto la presidente Antonella Folgori, «Abbiamo riscontrato una forte adesione e partecipazione allo studio di fase 2, grazie all'impegno dei numerosi centri clinici e sperimentatori coinvolti, al supporto di Invitalia e dell'Inmi Spallanzani, oltre alla dedizione del team di ReiThera». A testimonianza del forte impegno la realizzazione a Castel Romano di una nuova area di produzione equipaggiata con bioreattori con una capacità complessiva di 3.000 litri con un potenziale produttivo annuo tra 50 e 100 milioni di dosi. E invece, lo Spallanzani, secondo quanto riferito dal proprio direttore scientifico, non ha seguito la fase 2. Siamo a maggio e mentre si discute dell'allerta scorte soprattutto per Pfizer, il vaccino tricolore tarda ad arrivare, non sappiamo che fine hanno fatto gli 89 milioni di investimento ma sappiamo, come conferma il prof. Ippolito, che «lo Spallanzani non ha fatto la fase 2 del vaccino». Siamo sicuri che la sperimentazione stia andando avanti? E se così fosse, quando finalmente avremo un vaccino tutto italiano pagato peraltro con i soldi degli italiani?

I signori dei vaccini anti-Covid, un affare mondiale da 60 miliardi. Alessandra Puato su Il Corriere della Sera il 23/1/2021. Sono almeno otto le società mondiali in gara per il vaccino anti-Covid, almeno otto i grandi personaggi di questo enorme mercato che, stima il Crédit Suisse, vale almeno 60 miliardi di dollari (è il triplo dei vaccini tradizionali). Tre aziende sono americane: la Pfizer di Albert Bourla (con BioNtech, vaccino già in distribuzione), la Moderna capitanata dal miliardario francese Stéphane Bancel (vaccino in distribuzione) e la Johnson & Johnson-Janssen (vaccino atteso per fine marzo-aprile) del ceo Alex Gorsky che ha preso pubblicamente posizioni antirazziste (lo scorso giugno ha scritto una lettera ai suoi dipendenti «in protesta contro le morti violente di George Floyd, Breonna Taylor e Ahmaud Arbery» e ha vinto un premio dalla Robert J. Kennedy Human Rights Foundation). Due società sono britanniche: l’Astra Zeneca del veterinario Pascal Soriot (con Oxford e l’italiana Irbm, vaccino all’approvazione Ue) e Gsk, alleata della francese Sanofi (vaccino atteso entro il 2022). Al timone ci sono gli amministratori delegati Emma Walmsley (Gsk) e Paul Hudson (Sanofi).

Tedeschi, russi e cinesi. Poi c’è la tedesca CureVac del neonominato Franz-Werner Haas: in ritardo, si è ora accordata con Bayer per accelerare. In più, Cina e Russia. A Pechino corre la Sinopharm del plenipotenziario Yong Liu (vaccino già in distribuzione): azienda di Stato come Sinovac e CanSino, anch’esse al lavoro. In Russia, il pallino del vaccino Sputnik IV è in mano a Rdif, il «fondo di Putin» (vaccino in distribuzione).

Il caso Pfizer. La Pfizer guidata dal ceo Albert Bourla — contestato per avere venduto azioni per 5,6 milioni di dollari il giorno dell’annuncio dell’efficacia del vaccino, in novembre, si difese dicendo che era una finestra temporale già decisa — è quella che il vaccino anti-Covid l’ha prodotto per prima. Ora sta affrontando la tempesta per l’inattesa frenata. È l’esempio dell’indeterminatezza di questo mercato. Che è opaco e rischioso, ma sta portando benefici all’indotto della farmaceutica italiana. Trovate le storie, i calcoli e le analisi sull’Economia del Corriere della Sera, in edicola lunedì gratis con il quotidiano.

 Floriana Bulfon per “la Repubblica” l'1 febbraio 2021. A fine luglio in Italia la grande corsa al vaccino avvista un primo traguardo. Lo stabilimento Irbm di Pomezia annuncia che entro pochi mesi l'antidoto contro il Covid sarà distribuito: un passo avanti decisivo realizzato in collaborazione con lo Jenner Institute di Oxford e l'azienda AstraZeneca. Ma poche ore dopo scatta l'attacco: i sistemi di posta elettronica dell'azienda farmaceutica laziale vengono presi di mira dagli incursori telematici. L'inizio di un assedio durato mesi, che ha portato il nostro Paese nella prima linea della grande guerra cibernetica per i vaccini. L'assalto è stato rivelato a Repubblica il 3 dicembre da Piero Di Lorenzo, il presidente di Irbm. Adesso però l'esame condotto dagli inquirenti permette di ricostruire le tracce dei cyber criminali, con indizi che accreditano l'ipotesi di un'operazione gestita per conto di entità statali: una pista che porta alla Cina. In realtà, il raid iniziale per saggiare le difese dell'azienda è stato condotto attraverso un indirizzo IP russo, che quello stesso giorno tenta di entrare in alcuni server governativi indonesiani. Poi le irruzioni si sono ripetute, ondata dopo ondata, per settimane: il culmine viene registrato ad agosto, proprio quando la Commissione europea firma il contratto con AstraZeneca per acquistare l'antidoto sviluppato in collaborazione con Irbm. Nell'azienda di Pomezia i tentativi di penetrare nei computer sono decine. Arrivano da IP differenti ma il provider è sempre lo stesso e le impronte paiono portare verso la Russia. Ma alcuni elementi sono apparsi anomali. Gli IP infatti erano già stati segnalati in passato per attività di frode: non si trattava del canale migliore per gestire un'incursione sofisticata. E come spiega un investigatore, «soprattutto in un momento di alta tensione diplomatica per la "guerra cibernetica dei vaccini", se fossero stati i russi, non avrebbero utilizzato un IP del loro Paese». Questa prima ondata di raid ha avuto modalità molto tradizionali ed è stata respinta dalle difese dell'azienda, in collaborazione con la nostra intelligence. Ma gli autori non si sono arresi. «Da quando è stato reso pubblico il prezzo di vendita del vaccino - ha spiegato il presidente di Irbm Piero Di Lorenzo a Repubblica - abbiamo cominciato a subire attacchi hacker professionali violentissimi. Sette, lanciati dall'estero, il cui obiettivo sarebbe stato di entrare nel server e rubare i dati sensibili dell'operazione vaccino». I bastioni informatici hanno resistito, ma in pratica tutti i dipendenti hanno dovuto rinunciare a usare posta elettronica e smartphone: un grave ostacolo alle attività. La seconda fase dell'assalto si è mossa lungo una direttrice differente. I cyber criminali prendono di mira un sito interno che permette da internet l'accesso a tutti i pc e i server dell'azienda. Per entrare questa volta si connettono con IP TOR, lo strumento usato per garantire l'anonimato nel dark net. È un'escalation: proprio nel giorno dell'annuncio della prima dose di vaccino, molti computer nello stabilimento di Pomezia registrano connessioni anomale. Che portano però a un server già schedato in passato. Per gli investigatori è la pistola fumante che permetterebbe di attribuire l'attacco: «In passato questo server è stato utilizzato in una campagna ostile del gruppo cinese Apt10». Apt10, alias CVNX o Stone Panda, è stato al centro di un'indagine del Dipartimento di giustizia Usa, che ha accusato i servizi segreti di Pechino come mandanti delle operazioni. Dall'inizio della pandemia, sotto il coordinamento dell'ufficio del ministero per la sicurezza di Tianjin, gli hacker di Apt10 avrebbero bersagliato aziende, atenei e ospedali impegnati nello studio del virus e dei farmaci per contrastarlo. Le loro azioni sono state avvistate negli Stati Uniti, in Giappone, in Europa. Poi dall'inizio della scorsa estate si sono focalizzati sui vaccini. Hanno messo nel mirino i consorzi in pole position nella competizione: Pfizer-Biontech, Moderna, AstraZeneca. Poi hanno spostato il tiro seguendo l'evolversi della situazione: la fase di produzione; le autorizzazioni dell'Ema, l'agenzia Ue del farmaco; le catene di distribuzione e conservazione a bassa temperatura dei farmaci. I signori della guerra telematica sono sapienti e fanno di tutto per mimetizzare le loro mosse: spesso agiscono con i metodi dei criminali, chiedendo riscatti per restituire i dati trafugati o facendosi pagare per interrompere il bombardamento dei server. Mentre in realtà a loro interessa conquistare le informazioni chiave sui vaccini, sulle tecniche per distillarli e confezionarli. Una questione decisiva per il governo di Pechino: come ha rivelato il Washington Post , le autorità stanno rivedendo i piani per la vaccinazione perché le aziende della Repubblica popolare non riescono a produrre le quantità necessarie.

DAGONEWS il 22 febbraio 2021. Le persone in Germania e Francia si rifiutano di farsi inoculare con il vaccino AstraZeneca dopo che i loro leader hanno messo in guardia sull’efficacia. A venerdì in Germania sono state usate solo 150.000 dosi su 1,5 milioni disponibili mentre molti saltano deliberatamente l’appuntamento quando scoprono che riceranno il vaccino di Oxford. I politici di tutta Europa, incluso Emmanuel Macron, hanno alimentato i timori che il vaccino sia "quasi inefficace" sulle persone di età superiore ai 65 anni. Dopo una campagna che ha creato sfiducia nelle persone, però, ora i leader fanno retromarcia esortando a non avere dubbi sul vaccino di Astrazeneca visto che un rifiuto potrebbe far deragliare la campagna vaccinare in Europa. La Germania e la Francia hanno vaccinato solo il 6% della loro popolazione, mentre il Regno Unito ha distribuito dosi a oltre il 26% delle persone. A Berlino, i centri di vaccinazione Tegel, che offrono solo il vaccino AstraZeneca, dicono che 200 persone gestiscono i 3.800 appuntamenti giornalieri. In Francia, anche gli operatori sanitari hanno rifiutato il vaccino dopo i commenti di Macron durante l'accesa discussione sulla sua efficacia. L'Agenzia europea per i medicinali lo ha approvato per tutti gli adulti, ma la Germania ha stabilito che non dovrebbe essere somministrato agli over 65. Karl Lauterbach, epidemiologo e deputato socialdemocratico in Germania, ha dichiarato: «Le cabine di vaccinazione sono pronte, il vaccino è lì e lo sono anche le squadre di vaccinazione. Ma il vaccino rimane inutilizzato perché non si presentano abbastanza persone per l'appuntamento. Questa è una situazione assurda e insopportabile». Il sindaco di Berlino, Michael Muller, ha minacciato di mandare la gente in coda se rifiuteranno il vaccino di Oxford a favore di quello della Pfizer. Ha detto a Tageepiegel: «Non permetterò che decine di migliaia di dosi si trovino sui nostri scaffali mentre milioni di persone in tutto il paese aspettano di essere immunizzate». Anche il ministro della salute tedesco, Jens Spahn, ha appoggiato il vaccino, dicendo che è stato un "privilegio" ricevere un'iniezione con il vaccino britannico "sicuro ed efficace". Altri paesi tra cui Spagna, Ungheria, Svezia e Norvegia non vaccinano con Astrazeneca gli over 65.Una scelta, al momento, dettata solo dalla mancanza di dati che sono in continuo aggiornamento.

Dagospia il 22 febbraio 2021. Da “Radio Cusano Campus”. Piero Di Lorenzo, presidente e amministratore delegato di Irbm Pomezia, è intervenuto ai microfoni della trasmissione “L’Italia s’è desta”, condotta dal direttore Gianluca Fabi, Matteo Torrioli e Daniel Moretti su Radio Cusano Campus. Sul taglio della fornitura di Astrazeneca. “Questa storia che non arrivano le dosi è diventata insopportabile –ha affermato Di Lorenzo-. Ho cercato di far capire che quando si parla di produzione di vaccino non si parla di produzione di saponette, il vaccino presuppone una cultura cellulare. Quando si semina il grano, uno si aspetta che da quella semina vengano fuori tot quintali di grano, se vengono meno il 7% di quintali con chi se la prende? Se la può prendere solo col cielo. Nel caso specifico del vaccino, quando fai una programmazione, hai uno stock di riserva, ma in questo caso non c’era la possibilità di integrare quel quid che madre Natura non ha consentito di portare a casa. In una condizione di fiducia reciproca, si dice: purtroppo manca il 7%, la prossima volta cercheremo di rintegrare. Entro la fine di marzo ci sarà la consegna di 5 milioni di dosi e così sarà. Astrazeneca ha assicurato che nel secondo trimestre dell’anno, il 99% delle dosi sarà quello promesso e ci sarà anche un recupero. Nella penultima consegna c’erano più dosi di quelle che dovevano arrivare e nessuno le ha notate, quando c’è un po’ di meno allora ci sono i titoloni. Non si giustifica questo accanimento sul vaccino Astrazeneca, è un tiro al vaccino insopporabile. Ho il sospetto che questo vaccino dia fastidio perché costa troppo poco. L’Università di Oxford, facendo una cosa da prefazione ad un libro di etica, ha imposto l’idea che il vaccino è veramente un bene comune. E’ stata fatta una scelta etica, in pandemia non si guadagna sul vaccino e quindi il vaccino è venduto a 2 euro e 80 centesimi. Ho l’impressione che il tutto venga strumentalizzato per aprire la corsa e guadagnare tanto”. Sull’efficacia del vaccino Astrazeneca. “Non ci sono problemi di nessun tipo per la variante inglese, il vaccino Astrazeneca è efficace sulla variante inglese così come sul ceppo originario. Il titolo invece è stato: bloccano la somministrazione del vaccino Astrazeneca in Sud Africa. Il test è stato fatto solo su 200 persone, man mano che andranno avanti le sperimentazioni vedremo. Il vaccino è efficace al 100% sulla malattia grave, questo significa che chi prenderà l’infezione al 100% non andrà a finire in ospedale. Effetti collaterali? Avere un dolorino sulla spalla o un po’ di senso di stanchezza dopo aver fatto il vaccino è assolutamente fisiologico”.

(ANSA il 23 febbraio 2021) È stata pubblicata la circolare del Ministero della Salute che innalza da 55 a 65 anni l'età di chi potrà ricevere il vaccino anti-Covid di AstraZeneca. La decisione è stata presa dopo il parere della Commissione dell'Agenzia italiana del farmaco (Aifa) e, come precisa la circolare, arriva "da nuove evidenze scientifiche che riportano stime di efficacia del vaccino superiori a quelle precedentemente riportate". Le indicazioni della circolare ministeriale fanno seguito alle nuove raccomandazioni internazionali, tra cui il parere del gruppo SAGE dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), e alle precisazioni del Consiglio Superiore di Sanità (Iss). Aggiornando le "Raccomandazioni ad interim sui gruppi target della vaccinazione anti-SARS-CoV-2" dell'8 febbraio 2021, rendono quindi possibile l'utilizzo del vaccino Astrazeneca per persone "nella fascia di età compresa tra i 18 e i 65 anni (coorte 1956)", compresi "i soggetti con condizioni che possono aumentare il rischio di sviluppare forme severe di Covid-19" ma "ad eccezione dei soggetti estremamente vulnerabili".

Putin usa il vaccino Sputnik come arma politica in Europa. E dà fastidio al colosso Pfizer. Adele Sirocchi martedì 23 Febbraio 2021 su Il Secolo d'Italia. Fonti sempre più autorevoli affermano che il vaccino Sputnik è ottimo. Lo ha sottoscritto il prestigioso istituto Spallanzani, lo ha ribadito il virologo Massimo Clementi. Eppure Ursula von der Leyen ancora cerca di mettere i bastoni tra le ruote al vaccino prodotto dallo zar Putin con l’obiettivo di ritardarne l’arrivo in Europa. Già dall’annuncio dello Sputnik V, lo scorso agosto, si era capito che l’Europa guardava con freddezza all’arma anti covid che viene dalla Russia preferendo optare per i vaccini anglosvedese (Astrazeneca) e americano (Pfizer). Poi però è arrivata la prestigiosa rivista Lancet che ha certificato che l’efficacia del vaccino Sputnik è del 91,6%. Impossibile ignorare la circostanza. La repubblica di San Marino ha così rotto gli indugi e sta trattando per avere il siero russo. Seguendo l’esempio dell’Ungheria che, stanca dei ritardi dell’Ue, ha deciso di approvarne la vendita sul suo territorio. Ancora, il presidente di Intesa Russia, Antonio Fallico, ha sottolineato che «le aziende italiane hanno la capacità, e in alcuni casi sarebbero già pronte, a produrlo ma serve capire qual è l’agenda del governo italiano che non appena avrà completato la sua compagine al livello dei sottosegretari potrà esprimersi al riguardo». Ursula von der Leyen è stata chiara: se la Russia chiederà l’autorizzazione all’Ema per vendere il vaccino ai paesi europei bisognerà controllare al filiera di produzione. Per avere il via libera dall’agenzia europea del farmaco è in corso un lavoro per adattare gli standard russi a quelli europei. Il processo si completerà entro la fine del mese, dopo l’Ema dovrà studiare la documentazione. L’obiettivo di Putin è però, scrive il Giornale, “quello di aumentare il numero di Stati europei che, come l’Ungheria di Orbán, facciano approvare lo Sputnik dalle agenzie del farmaco nazionali. Incrinando, di fatto, la strategia unica della Von der Leyen. Il piano di Putin sta intanto spaccando il fronte del cosiddetto gruppo di Visegrád, l’accordo di cooperazione politica che riunisce Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia”. “Oltre all’Ungheria – continua Il Giornale – che è diventato il primo Paese dei 27 ad approvare il vaccino, a Bratislava il governo di coalizione slovacco ha avviato le discussioni per seguire la stessa strada dopo aver criticato il meccanismo di acquisto congiunto di vaccini dell’Unione europea e dei presunti ritardi nelle consegne dei vaccini. Infine, anche i media locali croati confermano il vivo interesse del governo di Andrej Plenkovic per il farmaco di Mosca”. Ad oggi oltre 50 Paesi hanno ordinato dosi del vaccino russo. “Ben 31 – scrive Repubblica – lo hanno autorizzato – prima la Bielorussia, ultimi San Marino e Gabon – e mercati chiave come Brasile e India sono prossimi a farlo. Mosca ora punta sull’Unione europea dove i programmi di immunizzazione stentano a decollare a causa della carenza di approvvigionamento. La Russia può contare sul sostegno della cancelliera tedesca Angela Merkel che si è offerta di accelerare il processo di approvazione presso l’Agenzia europea per i medicinali (Ema)”. Non solo, Sputnik è più economico: costa meno di 20 dollari per un’immunizzazione in due dosi.  Se in Asia domina la Cina e solo pochi Paesi come la Birmania hanno optato per Sputnik V, per nazioni come l’Iran è un’alternativa politica più appetibile rispetto ai vaccini occidentali. Ma la Russia si sta facendo strada anche in Paesi come gli Emirati Arabi Uniti tradizionalmente vicini agli Usa. In pratica il vaccino Sputnik è un’arma che Putin sta utilizzando anche in chiave geopolitica e con successo.

PERCHÉ L’EMA NON HA ANCORA APPROVATO IL VACCINO DI ASTRAZENECA/OXFORD, CHE COSTA UN DECIMO DI QUELLO DI PFIZER E SI PUÒ CONSERVARE ANCHE IN FRIGORIFERO? Dagospia il 2 gennaio 2021. Maria Pirro per “il Messaggero” il 2 gennaio 2021. «Ema, l' agenzia europea per i medicinali, ha tutto per decidere», assicura Piero Di Lorenzo, amministratore delegato e presidente dell' Irbm di Pomezia, la biotech italiana che con l' Università di Oxford ha messo a punto il vaccino AstraZeneca autorizzato in altri Paesi ma non nell' Unione.

Quando è stata completata la documentazione?

«Tutta è stata presentata nel corso della rolling review, quindi progressivamente».

Serve qualche integrazione?

«Non manca più nulla, ma l' Ema ha il diritto di chiedere ulteriori approfondimenti».

Li ha chiesti?

«Non bisogna produrre altro, per quanto a mia conoscenza».

La valutazione riguarda la somministrazione di due dosi piene?

«Vari dosaggi, perché vengono sottoposte tutte le sperimentazione fatte. Poi, l' agenzia regolatoria in piena autonomia decide quali validare».

Dopo il libera nel Regno Unito, in Argentina e, ieri, in India, ce ne sono altri in arrivo?

«Si aspetta ad horas quello dell' Australia».

Per questi Paesi, in quanto tempo si può raggiungere l' immunità di gregge?

«Nessuno è in grado di fare previsioni, ci sono troppe variabili: dal numero degli abitanti a quanti decidono di sottoporsi alla campagna di prevenzione».

Secondo Walter Ricciardi, consigliere del ministro della salute, Roberto Speranza, un altro mese per valutare di dati di AstraZeneca è troppo: l' Ema deve accelerare.

«Non posso decidere io quanto tempo occorre, è totalmente discrezionale».

Perché il Regno Unito ha fatto prima?

«La documentazione è stata presentata contemporaneamente nel Regno Unito e all' Ema».

Resta aperta la questione del dosaggio con un' efficacia del 62 per cento, dando due dosi piene (0,5 ml, autorizzate dagli inglesi), e del 90 con dosi diverse (al momento provate solo su 2000 cavie).

«Somministrare dosi diverse non è stato un errore nella ricerca, ma una contingenza fortunata: gli scienziati hanno provato un dosaggio differente in base a un calcolo fatto diversamente, e dopo tre giorni hanno visto che quel conto non funzionava perché dava la metà. A quel punto avrebbero potuto integrare la vaccinazione, risolvendo il problema. E invece, è stata fatta la scelta scientifica di aprire un' altra linea di ricerca e, per questo, sono state immediatamente avvertite le agenzie regolatorie che hanno autorizzato».

Ci sono anche altri protocolli approvati?

«Nove quelli in corso, con circa 50mila cavie e diversi target di età, da 18 ai 55 anni e dai 55 in su. E, tra questi, c' è la sperimentazione del mezzo dosaggio che continua ad andare avanti. Anche per capire per quanto tempo la protezione sarà efficace, occorre continuare a studiare».

Intanto, gli inglesi hanno autorizzato le due dosi piene.

«Le autorizzazioni sono comunque provvisorie, nel senso che vengono concesse data l' urgenza e sottoposte a un controllo successivo. Dunque, lo studio in corso su tutti i dosaggi non si interrompe, continua, e sono previsti approfondimenti delle linee ricerca in altri Paesi».

Dove?

«Nuovi studi in Russia e Giappone per valutare le variabili».

Questi studi servono anche a valutare gli effetti collaterali: quali registrati?

«Al momento non ci sono controindicazioni degne di rilievo: le solite lievi, come il dolore al braccio e la febbre che può venire il giorno dopo».

Previsioni sulla durata della protezione?

«Nessuno oggi è in grado di dare una risposta, anche per questo la documentazione alle agenzie regolatorie continua a essere consegnata man mano che la sperimentazione va avanti, e durerà ancora anni».

Categorie escluse, ad esempio le donne incinte?

«Non ci sono al momento limitazioni o prescrizioni se non quelle normali, di prudenza, in campo medico: le agenzie hanno autorizzato la somministrazione dai 18».

E gli immunodepressi?

«Vaccinarli è delicato, deve autorizzare il medico».

Come funziona il richiamo?

«Va fatto tra 4 e 12 settimane, gli inglesi hanno scelto il tempo massimo probabilmente per coinvolgere un numero superiore persone di persone».

Come giudica l' obbligo della vaccinazione?

«Penso che sia più utile una campagna di sensibilizzazione: l' obbligo non è mai foriero di consenso, viene sempre visto con un po' di sospetto».

Gian Micalessin per “il Giornale” il 16 gennaio 2021. Il sospetto è quello di un piano per affossare i vaccini seminando il panico tra i cittadini europei e inducendoli a rifiutare le inoculazioni anti-Covid. A farlo capire è l' Agenzia Europea per il Farmaco (Ema). Proprio ieri l' Agenzia ha reso pubblici alcuni particolari emersi nel corso dell' indagine sulla sottrazione di dati e documenti riguardanti l' approvazione dei vaccini Pfizer e Moderna. La sottrazione, avvenuta lo scorso 9 dicembre, è stata messa a segno da alcuni hackers che dopo esser penetrati negli archivi digitali dell' Agenzia starebbero ora disseminando in rete i documenti trafugati. Quel che più preoccupa i funzionari dell' Ema è l' apparente manipolazione dei documenti. La contraffazione punterebbe ad avvalorare il sospetto che nel corso dell' omologazione dei vaccini, avvenuta in tempi molto più rapidi rispetto agli standard consueti, siano state saltate o accelerate alcune procedure rendendo potenzialmente pericolosa la somministrazione. La manipolazione verrebbe realizzata alterando i contenuti di alcune delle mail scambiate da funzionari e sanitari durante i processi di verifica dei vaccini Pfizer e Moderna. «I dati e i contenuti - spiega un aggiornamento diffuso ieri dall' Ema - sono stati alterati dagli hackers prima della pubblicazione in modo da minare la fiducia nei vaccini». Se così fosse si tratterebbe di un' operazione dai connotati a dir poco terroristici. In molte nazioni europee, come la Francia, fette consistenti dell' opinione pubblica temono effetti collaterali e sono, già ora, assai restie ad accettare le campagne d' immunizzazione programmate dal governo. La diffusione di mail e documenti modificati al preciso scopo di amplificare l' insicurezza del pubblico potrebbe dunque vanificare l' unica arma capace di arginare la pandemia. Ma chi può aver organizzato l' operazione? I sospetti cadono ovviamente su gruppi di hackers no-vax pronti a tutto pur di sabotare la distribuzione dei vaccini. Ma fin qui non sono stati fatti nomi di persone o gruppi specifici. L'Ema nel frattempo si premura di raccomandare «il massimo della cautela» nel valutare i documenti emersi in Rete ricordando che «sono stati manipolati prima della loro pubblicazione online, in modo tale da minare la fiducia nei vaccini». In quei settori dell' opinione pubblica più sensibili o più esposti alle tesi complottiste simili precisazioni potrebbero, però, aver scarso effetto. O peggio, venir interpretate come l' estremo tentativo dell' Ema di smentire le «prove» rese pubbliche dagli autori dell' incursione. Una parte dei documenti sottratti è stata rinvenuta il 5 gennaio in un forum del cosiddetto «dark web» (la parte della Rete inaccessibile con i normali provider) dalla Yarix una società italiana di sicurezza digitale. La società dopo il rinvenimento ha steso un rapporto e l' ha messo a disposizione degli inquirenti . Stando al rapporto il materiale, suddiviso in 5 cartelle e 50 file denominati «Ema Leaks», conteneva, oltre ai commenti degli studiosi protagonisti della valutazione del vaccino Pfizer, anche il report di qualità e la relazione finale di un meeting interno di Ema dello scorso 26 novembre. Ma sul «dark web» sarebbe finito molto altro materiale. Tra questo le istruzioni riservate sulla strumentazione adatta a riprodurre il vaccino e un documento del 20 novembre con le risposte della Fda, l' agenzia americana del farmaco sull' efficacia dei due farmaci. Ma il bottino comprenderebbe anche l' agenda degli incontri riservati svoltisi all' Ema per approvare il lancio del vaccino avvenuto durante il V-day dello scorso 27 dicembre. In questa sezione erano contenute anche le mail intercorse tra i funzionari e vari file provenienti da Eudralink, il portale interno dell' Ema che dovrebbe garantire comunicazioni sicure e riservate al personale dell' agenzia.

Elena Dusi per repubblica.it il 17 gennaio 2021. Ventinove anziani che erano già in gravi condizioni sono morti in Norvegia dopo aver ricevuto il vaccino. La coincidenza temporale non significa che siano morti a causa del vaccino.

Vaccino Covid e anziani. Normalmente, ogni settimana, fra gli ospiti delle residenze per anziani norvegesi si registrano 400 decessi e in Norvegia le vaccinazioni vanno avanti dal 17 dicembre. Ma la Noma, l’autorità farmaceutica di Oslo, ha chiesto ai medici di valutare con più cautela le condizioni delle persone che stanno per vaccinare, se sono in uno stato di salute precario. In Germania 10 morti avvenute in prossimità della vaccinazione sono ugualmente oggetto di esame. In Italia l’Aifa non ha registrato episodi simili: le morti di due anziani successive al vaccino sono state analizzate, ma attribuite con chiarezza ad altre malattie. Né arrivano notizie di questo tipo dalla Gran Bretagna. Per le persone molto malate è sempre prevista una valutazione del medico prima della vaccinazione, che viene rimandata se ci sono infezioni o febbre o terapie in corso con antibiotici o cortisonici.

Il legame tra vaccino Covid e decessi. “Non c’è un legame certo tra la vaccinazione e la morte. Potrebbe essere una coincidenza, ma non ne siamo sicuri” ha spiegato il direttore della Noma, Steinar Madsen, al British Medical Journal. Tredici degli anziani deceduti sono stati sottoposti ad autopsia e l’agenzia norvegese suggerisce che anche i lievi effetti collaterali di una vaccinazione (febbriciattola, nausea, diarrea) potrebbero aver contribuito alle morti. “Esiste la possibilità che queste reazioni normali, che non sono pericolose in individui giovani o sani, possano aggravare le condizioni già precarie degli anziani fragili” ha proseguito Madsen. “Non siamo preoccupati, perché i casi sono stati veramente rari, ma chiederemo ai medici di condurre una valutazione extra, quando si trovano di fronte a questo tipo di pazienti”. La raccomandazione prevede di soppesare anche con i familiari rischi e benefici della vaccinazione.

Le questioni etiche. “Per chi ha un’aspettativa di vita molto breve il beneficio potrebbe essere marginale o irrilevante” ha fatto sapere il Norwegian Institute of Public Health. Ma anche decidere di escludere dal vaccino persone molto malate porrebbe problemi etici non indifferenti. “Se avessi un paziente anziano, magari con una demenza o altre patologie, non mi sentirei di negargli il vaccino. Se lo facessi, mi troverei di fronte a questioni etiche enormi e alla possibilità di una fonte di contagio non gestita” ragiona Roberto Bernabei, geriatra del Policlinico Gemelli di Roma e membro del Comitato tecnico scientifico. Per Andrea Cossarizza, immunologo dell’università di Modena e Reggio Emilia, “negli anziani la risposta immunitaria dell'organismo a uno stimolo, compresi i vaccini, è in genere meno efficace che nei giovani, e quindi l’ultima cosa che mi aspetterei è una reazione eccessiva che ne causi la morte”.

La fase di sperimentazione sugli anziani. La Norvegia ha iniziato a usare da diverse settimane il vaccino di Pfizer-BioNTech. "Le sperimentazioni sull'uomo sono state molto ampie, ma non hanno coinvolto persone con malattie acute o stati di salute instabili. Anche gli anziani sopra agli 85 anni sono stati molto pochi" spiega in una nota la Noma. "In Norvegia stiamo conducendo la campagna vaccinale fra anziani e ospiti delle Rsa con condizioni di salute molto gravi, è dunque atteso che si verifichino dei decessi in coincidenza temporale con la vaccinazione".

L'Italia ribadisce l'importanza di proteggere gli anziani. L'Aifa, Agenzia italiana del farmaco, ribadisce che la priorità in questo momento è proteggere operatori sanitari e anziani. "C'è sempre una valutazione del medico prima dell'iniezione. Se ci sono infezioni, febbre, terapie in corso con cortisonici o altre controindicazioni, la vaccinazione viene rimandata" spiega Vittorio Demicheli, che presiede il Comitato scientifico per la sorveglianza sui vaccini Covid, un organismo indipendente istituito dall'Aifa, l'Agenzia italiana del farmaco. Nessun allarme o cambio di rotta dunque per quanto riguarda l'Italia. "Abbiamo una grande esperienza con l'antinfluenzale negli anziani e non abbiamo mai riscontrato effetti collaterali che possano aver accelerato un decesso" spiega Demicheli. "Non ci sono indizi che ci facciano dubitare della scelta fatta. Stiamo proteggendo i più fragili con il prodotto migliore che abbiamo - aggiunge - In Italia fra le molte decine di migliaia di vaccini già fatti nelle Rsa non è stato segnalato nulla di grave".

Norvegia: "Niente allarmismi". In Norvegia, 23 persone molto anziane sono decedute dopo aver ricevuto la dose di vaccino Pfizer a causa degli effetti collaterali noti, pericolosi in pazienti molto fragili. Francesca Galici, sabato 16/01/2021, su Il Giornale.  In Norvegia sono stati registrati finora 23 decessi riconducibili al vaccino. A renderlo noto è la Norwegian Medicines Agency (NoMa). È importante specificare che si tratta di persone anziane e fragili che avevano ricevuto nei giorni precedenti il vaccino Pfizer-BioNTech. "La valutazione condotta suggerisce che reazioni avverse comuni ai vaccini a mRna, come febbre e nausea, possono avere contribuito a un esito fatale in alcuni pazienti fragili", ha dichiarato il medico capo del NoMa, Sigurd Hortemo. Una delle spiegazioni per questi decessi offerte dalla Norwegian Medicines Agency è il basso numero di soggetti over 85 coinvolti nei trials. Durante i test pare non siano stati fatti studi su pazienti over e fragili, instabili e con malattie in fase acuta. Il caso ha destato clamore in Norvegia. La notizia si è diffusa rapidamente anche all'estero. L'agenzia di stampa Bloomerg ha intrpellato il Norwegian Institute of Public Health sui decessi dei 23 anziani e la risposta è stata chiara: "Per pazienti con più grave fragilità, anche gli effetti collaterali relativamente lievi dei vaccini possono avere gravi conseguenze. Per coloro che hanno comunque una vita residua molto breve, il beneficio del vaccino può essere marginale o irrilevante". In sostanza, il Norwegian Institute of Public Health sottolinea come per gli anziani in età molto avanzata è irrilevante l'efficacia del vaccino, soprattutto nei pazienti particolarmente fragiie. Per loro, anche gli effetti collaterali più blandi ben noti possono avere conseguenze tali da condurre alla morte. Questa conclusione è arrivata dopo l'autopsia di 13 dei 23 pazienti deceduti per "associate alla vaccinazione anti-Covid". L'esame ha evidenziato proprio l'incidenza letale dei comuni effetti collaterali nei pazienti in età molto avanzata, che presentavano gravi fragilità connesse proprio all'anagrafica. Il Norwegian Institute of Public Health ci tiene a spegnere gli allarmismi: "Non significa che soltanto i pazienti giovani debbano essere sottoposti alla vaccinazione. Rappresenta un dato che va studiato e valutato per quanto riguarda la risposta al siero Pfizer. Nulla di particolarmente allarmistico, soprattutto in considerazione della bassissima percentuale di effetti collaterali rispetto alle somministrazioni effettuate in Norvegia". Sono più di 25 mila i norvegesi che finora hanno ricevuto la prima dose del vaccino contro il coronavirus. Meno di una settimana fa in Italia si è registrato un caso lieve di paresi facciale in una giovane infermiera abruzzese che pochi giorni prima aveva ricevuto la prima dose del vaccino Pfizer-BionTech. Anche stavolta i medici hanno invitato a non allarmarsi perché si tratta di un raro ma noto effetto collaterale senza conseguenze definitive, guaribile in pochi giorni.

Ci danno vaccini depotenziati. Ecco la verità sulle dosi Pfizer. Scambio di mail riservate tra l’azienda farmaceutica e l’Ema. Ma l’Agenzia europea del farmaco assicura che il problema non esiste. Valentina Dardari, Giovedì 21/01/2021 su Il Giornale. Il vaccino della Pfizer continua a far parlare di sé, nel bene e nel male. Prima un rallentamento nella fornitura delle dosi e adesso un problema qualitativo riscontrato in alcuni lotti prodotti dall’azienda a novembre. I due fatti, come assicurato dalla Pfizer non avrebbero alcun legame. Per quanto riguarda il rallentamento delle forniture di vaccino del 29% in diversi Paesi dell’Europa, l’azienda ha spiegato che è dovuto “all’adeguamento delle strutture e dei processi in fabbrica, che richiede nuovi test di qualità e approvazioni da parte delle autorità”. Questo rallentamento dovrebbe anche permettere di aumentare la produzione del vaccino dal prossimo 15 febbraio. Per quanto invece riguarda il secondo problema, ovvero quello della qualità inferiore di alcuni lotti, come riportato dal Corriere, il fatto sarebbe emerso da uno scambio di mail riservate a novembre tra l’Agenzia europea del farmaco e l’azienda stessa produttrice del vaccino.

Lotti di vaccino con livello integrità inferiore. Secondo quanto ricostruito, l’Ema si sarebbe accorta che in alcuni lotti destinati alla popolazione vi era una qualità inferiore rispetto a quelli che erano stati usati nei test clinici e subito aveva chiesto alla Pfizer di intervenire e risolvere in modo celere il problema riscontrato. Lo scambio di mail è stato poi hackerato e pubblicato nel dark web, dove dei giornalisti belgi hanno recuperato i documenti riservati. Nei prossimi giorni la trasmissione di Rai3 Report si occuperà di quanto avvenuto.

"La prima dose del vaccino è meno efficace di quanto affermato da Pfizer". In una mail dello scorso 24 novembre si parlava di “differenze nel livello di integrità dell’mRna” riferendosi alla comparazione di alcuni lotti destinati alla popolazione con altri utilizzati nei trial clinici. Gli autori della trasmissione hanno reso noto che “l’Ema, da noi sollecitata, conferma che durante la valutazione sono state sollevate questioni relative all’integrità dell’mRna per il vaccino Comirnaty (prodotto da Pfizer/BioNTech, ndr), precisando però che l’azienda è stata in grado di risolvere questi problemi e fornire le informazioni e i dati necessari per emettere la raccomandazione positiva per l’autorizzazione questo vaccino”. Marco Cavaleri, responsabile della Strategia vaccini dell’Ema, consultato da Enrica Battifoglia dell’agenzia Ansa, ha confermato che durante la fase di produzione, e soprattutto nei primissimi lotti di prova, la quantità di Rna messaggero integro alla base del vaccino era minore rispetto a quella contenuta nei lotti utilizzati nella sperimentazione clinica. Cavaleri ha spiegato: “Abbiamo iniziato in ottobre la procedura di rolling review del vaccino Pfizer/BioNTech e a novembre abbiamo discusso i dati preliminari sottoposti dall’azienda per l’avvio della produzione commerciale”. Ha inoltre tenuto a sottolineare che “quando si ha a che fare con prodotti biologici o di nuova generazione come la molecola di mRna incapsulata in nanoparticelle lipidiche può accadere che siano necessari aggiustamenti quando avviene il passaggio alla produzione in grandi quantità”.

Sicurezza ed efficacia sono salve. All’azienda Pfizer sono state fatte domande sia per capire come comportarsi per mantenere i livelli il più possibile simili a quelli visti con le dosi utilizzate nella sperimentazione clinica, sia per capire il possibile impatto sull’efficacia e sulla sicurezza del vaccino.

"Non ci mandano tutti i vaccini": Cosa sta succedendo a Pfizer. Come riportato da Cavaleri, l’azienda avrebbe fornito spiegazioni su entrambe le domande poste. Ulteriori test clinici hanno dimostrato che anche una minore quantità di mRna può garantire l’efficacia del vaccino e che la risposta immunitaria rimane la stessa. Da dire anche che “i frammenti di mRna degradato, peraltro presenti anche nei lotti clinici, non sono un problema per la sicurezza e vengono rapidamente distrutti nell’organismo”. Cavaleri ha spiegato che è stata definita una soglia minima di mRna accettabile, e che questa è in grado di preservare sia la sicurezza che l’efficacia. Lo studio di altri dati ha portato l’Ema a considerare il vaccino Pfizer adeguato e che la produzione seguente era stata fatta cercando di ottenere lotti con una quantità di mRna il più vicino possibile a quella utilizzata nei trial clinici.

Dagotraduzione dal Dailymail.com il 17 aprile 2021. Secondo il Wall Street Journal, l'azienda americana Johnson & Johnson ha contattato privatamente gli altri produttori di vaccini per chiedere loro di unire gli sforzi per la ricerca sui rischi di coaguli di sangue. Il quotidiano racconta che la J&J voleva creare un'alleanza con le altre aziende per comunicare con una sola voce benefici e rischi dei vaccini e dei coaguli di sangue. Ma solo AstraZeneca - che in Europa è da settimane al centro di una controversia sui rischi di coaguli del sangue - ha aderito. I dirigenti di Pfizer e Moderna, invece, hanno declinato l'invito. Il loro vaccino, ritengono le due aziende, è sicuro, e unirsi al progetto potrebbe macchiare la loro reputazione. Il vaccino J&J è stato accolto come una svolta nella lotta al coronavirus perché prevede una sola dose e non deve essere conservato a temperature specifiche come quelli di Pfizer-BioNTech e Moderna. La sua sospensione per via dei nove casi di pazienti colpiti da CVST (trombosi del seno venoso cerebrale) è stata un brutto colpo per gli americani. Il CVST è un raro tipo di coagulo del sangue che blocca i canali del seno venoso del cervello e può causare emorragie. Si verifica in circa cinque persone ogni milione. In sei dei nove casi, la CVST si è verificata in combinazione con bassi livelli di piastrine nel sangue, patologia nota anche come trombocitopenia. Allo stop di J&J fanno eco le preoccupazioni sul vaccino di AstraZeneca-University of Oxford. L'autorità europea del farmaco ha infatti dichiarato che potrebbe esserci un collegamento, anche se per il momento non ci sono prove. Nonostante il rifiuto di Moderna e Pfizer, la pandemia ha portato a nuove alleanze nel campo farmaceutico. L'azienda francese Sanofi, avendo rinunciato al suo vaccino per via dei risultati deludenti, si è alleata a febbraio con la Pfizer per produrre quello statunitense. «Ci siamo chiesti come renderci utili nel presente, come partecipare allo sforzo collettivo per uscire da questa crisi il più rapidamente possibile» ha detto a Le Figaro l'amministratore di Sanofi Paul Hudson. L'azienda Merck & Co ha messo a disposizione di J&J due dei suoi stabilimenti, uno per il confezionamento e uno per la produzione dei vaccini monodose.

Cosa non ci convince del vaccino Pfizer. Paolo Becchi e Giulio Tarro, 19 gennaio 2021 su Nicolaporro.it. La storia dell’umanità è stata forgiata da micidiali microorganismi. In passato catastrofiche epidemie come la peste – che in Europa nel medioevo uccise i due terzi della popolazione – o il vaiolo, unite a quello che a quei tempi era un alto tasso di natalità, hanno permesso il ripopolamento, in determinate aree del nostro pianeta, di persone caratterizzate da gruppi sanguigni particolarmente resistenti a microbi come la yersinia pestis o virus come il variola virus. Solo a partire dalla fine dell’Ottocento la medicina è stata in grado di scoprire gli agenti eziologici delle principali malattie a carattere epidemico e a mettere in atto strategie per contenerle.

Perché vaccinarsi. Innanzitutto, le vaccinazioni. Il principio sul quale si basano i vaccini è, come è noto, inoculare nel soggetto sano quantità attenuate (o parti di questo) dell’agente patogeno, del virus insomma, in modo da suscitare nell’organismo una reazione immunitaria capace di proteggerlo. Oltre a questo beneficio ve ne è un altro altrettanto importante: la vaccinazione del singolo individuo riduce il numero dei soggetti che possono trasmettere l’infezione, perché chi si vaccina non solo non si ammala ma non è in grado di trasmettere l’infezione. Si può raggiungere, quindi, quella che è stata definita “’immunità di gregge” (herd immunity), la quale finisce con il fornire una tutela anche ai soggetti che non sono stati vaccinati. Una qualsiasi vaccinazione per poter proteggere una comunità deve interessare una grande percentuale degli individui che la compongono; in taluni casi il vaccino può anche provocare gravi effetti sulla salute delle persone sottoposte alla vaccinazione, ma col tempo i progressi fatti nella preparazione dei vaccini tradizionali hanno ridotto di molto i rischi. Nessun dubbio quindi sull’utilità e l’efficacia dei vaccini.

Cos’è un vaccino? Ma cosa è precisamente un vaccino? Il vaccino viene definito come “mezzo biologico di difesa antinfettivo adoperato per stimolare le reazioni immunitarie verso infezioni batteriche o virali”. Questa una delle definizioni più diffuse. Il meccanismo mediante cui agisce il vaccino è quello di stimolare la produzione degli anticorpi specifici per se stesso, in modo da neutralizzare l’effetto biologico, cioè contagio ed effetto patologico, sull’organismo ospite. Ci sono diversi tipi di vaccini, nel caso attuale, per la verità, forse anche troppi. Ma una differenza ci pare oggi fondamentale. Alcuni utilizzano virus, altri no. I vaccini più tradizionali sono quelli cinesi e indiani, a virus disattivato, ma anche il vaccino prodotto dai russi utilizza un adenovirus come vettore contenente le istruzioni per produrre la glicoproteina “spike” che permette al virus di legarsi alle cellule umane, che utilizzerà successivamente come fotocopiatrici per creare nuove copie di se stesso. Il nostro sistema immunitario impara a riconoscere la proteina del virus “ibrido” e meno aggressivo, conservando la memoria dell’agente incontrato. Ma come funzionano i “vaccini” di Pfizer e Moderna che ora vengono impiegati in Italia? La tecnica di iniettare non un virus ma frammenti di RNA messaggero (mRNA) consiste nell’utilizzare una molecola speculare al Dna del virus per la produzione delle proteine costituendi la particella virale che ha il fine di indurre la glicoproteina “spike” del coronavirus, che viene usata per i recettori Ace2 delle cellule bersaglio al fine di produrre questi antigeni nelle nostre cellule mediante l’informazione dell’mRNA. Viene quindi stimolata la produzione di anticorpi specifici come le immunoglobuline nei riguardi di questi antigeni specifici virali per stabilire l’immunità del soggetto vaccinato. Si tratta dunque una nuova terapia genica, mai utilizzata prima d’ora, basata sua molecola che contiene le istruzioni per la sintesi nell’organismo umano di nuove proteine le quali dovrebbero permettere di resistere meglio all’attacco dello stesso virus. Questa nuova tecnica può essere considerata compatibile con la definizione di vaccino entrata da tempo nell’uso? Insomma, stanno vaccinando o stanno sperimentando su vastissima scala un nuovo farmaco? La nuova tecnica può essere considerata compatibile con la definizione di vaccino come “mezzo biologico”, mentre qui si tratta di un nuovo farmaco basato su frammenti di una molecola speculare al Dna? Sono domande lecite e non si dica che la “scienza” abbia già fornito le risposte, perché la “vera” sperimentazione di questo nuovo farmaco comincia adesso con le vaccinazioni. E solo tra diversi anni, forse, sapremo che effetti ha prodotto.

Vaccino, effetti collaterali. Non è vero, si obbietta, ci sono stati i trial clinici che hanno consentito l’approvazione del farmaco. Ci sarebbe molto da dire al riguardo, ad esempio che essi non includevano pazienti con malattie acute o instabili e pochi erano i soggetti volontari over ottanta. Inoltre la produzione del vaccino genico è iniziata – a quanto pare – ben prima dei risultati dei trial. Infine il dottor Peter Doshi, scienziato dell’Università del Maryland, il 4 gennaio 2021 ha pubblicato sul British Medical Journal, come anche riportato dal New York Times, uno studio sui vaccini della Pfizer e Moderna che tra l’altro riporta l’efficacia dal 19 al 29% e non al 95% come da loro affermato. Insomma, persino sull’efficacia sono stati avanzati dubbi. Ma il problema più grande – a nostro avviso – riguarda la sicurezza di questi “vaccini”. Chi può oggi escludere che questi “vaccini” non possano indurre una risposta infiammatoria non specifica nei riguardi dell’mRNA che aumenta la risposta specifica ed immune? Sappiamo che nel caso di una infezione virale che infetta i linfociti, produttori degli anticorpi, vengono sintetizzate nuove proteine umane chiamate fattori di trascrizione. In altre parole, alcune regioni del genoma del virus si legano al genoma delle cellule umane. Questa unione virale con i fattori di trascrizione umana modificano l’espressione dei geni virali vicini. Si è visto di recente che viene messo in opera un meccanismo di attivazione di alcuni geni umani associati che predispongono al rischio di malattie autoimmuni, come il lupus, la sclerosi multipla, l’artrite reumatoide, le malattie infiammatorie intestinali, il diabete di tipo 1, l’artrite idiopatica giovanile e la malattia celiaca. Inoltre, nei soggetti in età fertile l’RNA messaggero potrebbe indurre modifiche sugli spermatogoni o sugli ovuli con prospettive di alterazioni genetiche nei feti che solo il tempo potrà essere in grado di escludere. Non è forse questa la ragione per cui questo tipo di vaccino viene sconsigliato alle donne incinte, come pure viene sconsigliata la gravidanza fino a due mesi dopo la sua inoculazione? Ma allora perché non sconsigliare questo farmaco non solo alle donne incinte ma anche ai soggetti in età fertile? Ora però dopo quello che è successo in Norvegia in questi giorni pare che anche per gli anziani ci siano problemi. In Norvegia si sta cercando di approfondire il decesso di 23 persone anziane che sono decedute dopo il “vaccino” contro il coronavirus prodotto dalla Pfizer – BioNtech. Si presume che gli effetti collaterali comuni possano contribuire ad un peggioramento delle patologie gravi nelle persone anziane. Tali decessi hanno fatto sì che il “vaccino” Pfizer non venga più inoculato in Norvegia nei pazienti anziani “molto fragili” evidentemente perché c’è il sospetto che il vaccino dia loro il colpo di grazia. Anche negli Stati Uniti ci sono già 55 morti avvenute dopo l’uso di vaccini che utilizzano l’RNA messaggero. Dobbiamo correre tutti questi rischi di fronte ad un farmaco approvato in fretta e furia, che al momento ci viene di fatto imposto come unico vaccino, anche se propriamente non è un vaccino? Un vaccino inventato da una piccola azienda tedesca biotecnologica, sino a ieri con i conti in rosso, che da tempo senza successo lavorava su quella molecola RNA per altri fini e che ora grazie all’americana Pfizer (seconda tra le Big Pharma mondiali) si è trasformata nel “viagra” dei vaccini? Un “vaccino” che garantisce una breve immunità individuale e che quindi dovrà essere ripetuto a distanza circa di un anno, e che tra l’altro non è neppure in grado di impedire agli stessi vaccinati la trasmissione del virus? E ancora, perché l’Italia non ha prodotto un suo vaccino a virus inattivato o a vettore virale e invece dobbiamo diventare le cavie di Pfizer, con il rischio, tra l’altro, di non avere nei tempi prescritti la seconda dose del vaccino che è indispensabile per la sua efficacia? Perché non offrire ai cittadini italiani la possibilità di scegliere tra un vaccino tradizionale e questo nuovo farmaco? Perché il 25 % dei medici o forse più – non sarebbe male un sondaggio al riguardo di Alessandra Ghisleri – non vorrebbe fare il Pfizer o il Moderna?

Dubbi sull’efficacia dei vaccini. Beninteso, noi non abbiano niente in contrario riguardo alle ricerche su questa molecola che è capace di interagire con molte altre molecole, abbiamo solo dei dubbi sul fatto che essa possa funzionare come un vaccino e non siamo gli unici ad avere questi dubbi. Una genetista francese che da tempo si occupa dell’RNA, la dottoressa Alexandra Henrion-Caude, che dirige in Francia un Istituto di ricerca genetica, ha di recente manifestato dubbi analoghi. La produzione di proteine è regolata da alcuni interruttori, l’epigenoma, che dicono alle cellule di leggere le informazioni contenute nel gene. Questi interruttori accendendosi e spegnendosi agiscono sulla metilazione. Questo può succedere nel nostro organismo anche quando vi introduciamo la molecola RNA messaggero. Ora, elevati livelli di metilazione producono una inattivazione, un “silenziamento”, di quei geni oncosoppressori che ci proteggono dai tumori. Anche di questo bisognerebbe tener conto. Amarcord. I vaccini antipolio, tipo Sabin che si somministravano per via orale contengono virus attenuati che moltiplicandosi per un breve periodo nell’intestino, determinano la produzione di anticorpi e quindi l’immunizzazione. Chi faceva questo vaccino era immune per lungo tempo o forse addirittura per sempre e immunizza anche gli altri. Chi oggi si vaccina con Pfizer o Moderna si immunizza per pochi mesi, può infettare gli altri e non possiamo neppure escludere che metta a rischio la propria salute. Paolo Becchi e Giulio Tarro, 19 gennaio 2021

«Non somministrate il vaccino Moderna alle donne incinte». L’avvertimento dell’Oms. Sara Gentile martedì 26 Gennaio 2021 su Il Secolo D'Italia. Non somministrare il vaccino Moderna contro Covid-19 alle donne incinte. A meno che i benefici dell’immunizzazione non superino i potenziali rischi, come per le operatrici sanitarie, più esposte al virus. O per le future mamme con altre patologie che le mettono in particolare pericolo di forme gravi di Covid. Questa l’indicazione del Gruppo strategico di esperti (Sage) dell’Organizzazione mondiale della sanità sulle vaccinazioni, che ha emanato una serie di raccomandazioni preliminari sull’uso del secondo vaccino a mRna approvato contro Covid. Il Sage ha riconosciuto la mancanza di dati sulla sicurezza del vaccino nelle donne che allattano ma, dato il meccanismo d’azione, ritiene improbabile che possa rappresentare un rischio. Gli esperti raccomandano, dunque, che il vaccino venga offerto a una donna che allatta ed è parte di un gruppo per cui la vaccinazione è raccomandata, come ad esempio gli operatori sanitari. Sempre per quanto riguarda il vaccino Moderna, l’indicazione è di somministrare le due dosi a distanza di 28 giorni l’una dall’altra. Sulla base delle attuali evidenze scientifiche, il Sage afferma che l’intervallo fra le due dosi può essere allargato a 42 giorni. Questo se ritenuto necessario per circostanze eccezionali legate al pesante carico di Covid in un Paese. È il limite massimo, l’intervallo più lungo fra le due dosi analizzato nei dati preliminari del trial di fase 3. Ma le evidenze sono poche. La maggioranza dei volontari ha ricevuto la seconda dose a una minore distanza dalla prima, avvertono gli esperti. In ogni caso, il Sage raccomanda di non dimezzare la dose. E ancora, si evidenzia la necessità di somministrare il vaccino solo in contesti in cui eventuali reazioni anafilattiche possano essere trattate. Il Sage ha fornito poi raccomandazioni specifiche sugli stretti limiti di esclusione della vaccinazione. E sul periodo di osservazione post-immunizzazione, nonché sulla gestione, sul monitoraggio e sulla segnalazione di eventuali eventi di sicurezza.

Da “Ansa” il 24 febbraio 2021.  Il vaccino anti-Covid monodose della Johnson&Johnson fornisce una protezione forte contro il virus e può ridurre il contagio dalle persone vaccinate. Lo afferma la Food and Drug Administration in una nuova analisi postata online e riportata dai media americani. Il vaccino ha il 72% di efficacia negli Usa e il 64% in Sudafrica.

Da “ilmattino.it” il 24 febbraio 2021. Alla fine il via libera per il vaccino Johnson & Johnson è arrivato, almeno negli Stati Uniti. Gli esperti della Food and Drug Administration (Fda), l'agenzia federale americana che si occupa della regolamentazione dei farmaci, hanno approvato l'uso d'emergenza del vaccino monodose di Johnson & Johnson; si tratta di un passo fondamentale verso l'approvazione definitiva del terzo vaccino sul mercato statunitense. Gli esperto dell'agenzia parlano di una "forte protezione" rilevata con l'uso del vaccino monodose, il 72% di efficacia negli Usa e il 64% in Sudafrica. In media, si tratta del  66.9% dopo 14 giorni dalla somministrazione, e del 66,1 dopo 28 giorni. Si tratta comunque, come nota il virologo Roberto Burioni in un tweet, di una «efficacia complessiva buona, 66% (ma decisamente inferiore a vaccini a mRNA)», che assicura una «ottima prevenzione delle infezioni gravi (meno negli anziani), con dati di sicurezza confortanti». L'analisi della Fda, riporta il Washington Post, ha rilevato che il vaccino previene le malattie gravi che risultano in ospedalizzazioni e decessi. Questo apre la strada ad una probabile autorizzazione al vaccino già a partire da questa settimana. Se autorizzato definitivamente, quello Johnson & Johnson diventerebbe il terzo vaccino impiegato negli Usa. «Non sono risultati effetti avversi o problemi nei diversi sottogruppi esaminati, divisi per età, etnia, o precedenti infezioni da  SARS-CoV-2», è scritto nell'analisi del vaccino effettuata dalla FDA. Per questo è stata raccomandata l'approvazione per uso d'emergenza, secondo i protocolli vigenti. La casa farmaceutica si è già impegnata a consegnare 20 milioni di vaccini agli Stati Uniti. Il vaccino di Johnson & Johnson usa una tecnologia già consolidata, quella che parte dalla modifica degli adenovirus, come il prodotto messo a punto da AstraZeneca. Per l'Europa, ci si aspetta una simile decisione di approvazione, che dovrebbe arrivare verso la metà o la fine di marzo.  Il gruppo francese aveva già siglato un accordo analogo con Pfizer-BioNTech, per la produzione di oltre 125 milioni di dosi.

Usciti i dati di Johnson&Johnson: il vaccino efficace al 66%. Elena Dusi il 29 gennaio 2021 su La Repubblica. Su questo vaccino sono riposte molte speranze: l'Europa ne ha acquistate 400 milioni di dosi e non ha bisogno di richiamo. Il funzionamento però oscilla a seconda delle varianti: è del 72% nei test negli Stati Uniti ma scende al 57% in Sudafrica. Prevenuti l'85% dei casi gravi, quelli che portano a ricovero e decesso. "Un'arma in più, ma non ancora il colpo del ko per il coronavirus". La casa farmaceutica americana Johnson&Johnson, da cui l'Unione Europea ha acquistato 400 milioni di dosi di vaccino, ha pubblicato i risultati delle sue sperimentazioni. L'efficacia complessiva è del 66% (Moderna e Pfizer arrivano al 95%). Ma i dati variano molto a seconda dei vari paesi in cui i test sono stati condotti. E delle varianti che vi circolano. Se negli Stati Uniti, dove i ceppi sudafricano e brasiliano non sono ancora prevalenti, il vaccino proteggerebbe il 72% delle persone, la percentuale cala fra i volontari in America Latina (66%) e in Sudafrica (57%). Johnson&Johnson è uno dei vaccini più attesi nel mondo, perché non ha bisogno del richiamo e può essere conservato a temperatura di frigo (2-8 gradi). Negli Stati Uniti l'azienda chiederà l'autorizzazione al commercio già la prossima settimana. Anche Novavax, poche ore fa, ha pubblicato dei dati molto discrepanti, con un'efficacia complessiva dell'89% che cala al 60% nel braccio di sperimentazione sudafricano. Il tema delle varianti che inficiano l'efficacia dei vaccini si sta confermando come uno dei più preoccupanti in questo momento. Se prendiamo in considerazione l'obiettivo dell'immunità di gregge, un calo di efficacia del 30% da parte di un vaccino non è poi così diverso dalla mancata consegna del 30% delle dosi da parte di una ditta. Anche i dati molto alti di Moderna e Pfizer vanno rivisti sotto questa nuova luce: i loro test sono stati condotti principalmente negli Stati Uniti e prima della diffusione delle nuove varianti. Messo a confronto con il ceppo sudafricano, lo stesso vaccino di Pfizer e BioNTech aveva rivelato un calo di efficacia del 20%. Con questi nuovi dati, il traguardo dell'immunità del pianeta nei confronti del coronavirus dovrebbe essere spostato di molti mesi più in là. Nonostante l'inquietudine per la variante brasiliana, i risultati di Johnson&Johnson sono positivi perché nei 44 mila volontari coinvolti hanno tagliato dell'85% i casi gravi di Covid, quelli che portano a ricovero o a morte. Questa percentuale resta costante in tutti i continenti in cui si sono svolti i test, e a prescindere dalle varianti. Anche se non spazzerà via il coronavirus dal mondo, anche questo vaccino potrebbe contribuire a rendere il Covid una malattia meno letale di quello che è oggi. Come dicono alcuni ricercatori: è un'arma in più, ma non il colpo del ko per il coronavirus. Mentre Moderna e Pfizer sono vaccini a Rna messaggero, Johnson&Johnson usa il metodo del vettore virale: un adenovirus viene ingegnerizzato, al suo genoma viene aggiunta la sequenza che permette alle cellule di produrre la proteina spike del coronavirus. Fra i volontari non ci sono stati effetti collaterali significativi: come per gli altri vaccini, un po' di febbre e dolore nel punto dell'iniezione. J&J ha avviato anche un test molto vasto (30 mila volontari) per vedere se due dosi aumentano l'efficacia, ma i risultati saranno pronti solo quest'estate.

Oxford efficace al 60%, Johnson si ferma al 66%. In Israele Pfizer ha funzionato sul 99% dei casi. J&J pronta a chiedere l'ok alle Autorità europee, ma la copertura non è alta. Moderna, reazioni allergiche estremamente rare. Sputnik allo studio di Ema. Daniela Uva, Sabato 30/01/2021 su Il Giornale. Dopo una lunghissima attesa il via libera dell'Agenzia europea del farmaco è arrivato. Il vaccino AstraZeneca ha ottenuto l'autorizzazione dell'Ema, che di fatto apre le porte dell'Ue al farmaco sul quale molti Paesi, Italia compresa, hanno puntato moltissimo. I dati attualmente disponibili indicano un'efficacia che si aggira sul 60%, ma a far discutere in queste ore è la possibilità di utilizzare il vaccino di Oxford anche sulla popolazione più anziana. Ema ha dato l'ok anche per i cittadini over 55, mentre già due giorni fa la Germania aveva posto un deciso paletto: via libera solo agli under 65. Perché la maggior parte dei test condotti finora ha riguardato persone fra 18 e 55 anni. Naturalmente quello di AstraZeneca non è l'unico farmaco a disposizione. L'Ue ha già aperto da tempo a Pfizer-Biontech e Moderna, efficaci fra il 90 e il 95% dei casi. Vediamo allora quali sono i vaccini ai quali è legato il futuro della campagna di immunizzazione nel nostro Paese.

PFIZER-BIONTECH. Al momento è il prodotto più sicuro e più efficace. Autorizzato dall'Ema poco prima di Natale, il vaccino messo a punto da Pfizer-Biontech ha avviato la campagna vaccinale nell'Ue il 27 dicembre. Dopo la conclusione della sperimentazione di fase 3, il farmaco ha evidenziato un'efficacia superiore al 94% sugli over 65, dimostrando di funzionare anche contro la variante inglese. Ulteriori riscontri positivi sono arrivati dall'ospedale Bambino Gesù. Il monitoraggio condotto sui sanitari vaccinati ha dimostrato che il farmaco ha funzionato nel 99% dei casi, sviluppando anticorpi contro il Covid 21 giorni dopo la prima dose. Una settimana dopo la prima inoculazione il tasso è salito al cento per cento. Ulteriori notizie positive arrivano da Israele dove il vaccino si è dimostrato efficace nel 92% dei casi, su 750mila cittadini coperti solo lo 0,04% ha sviluppato una forma molto lieve del virus. Mentre l'Ema, nel suo rapporto, ha confermato la sicurezza del farmaco.

MODERNA. Si è dimostrato molto efficace dopo la sperimentazione di fase tre, toccando il 94,1%. Così l'approvazione da parte di Ema è arrivata i primi di gennaio, seguita da quella dell'Aifa. Il nostro Paese attendeva 764mila dosi entro febbraio, ma l'azienda farmaceutica ha fatto sapere che taglierà le consegne del 20%. Anche in questo caso le notizie sulla sicurezza rassicurano: i casi di grave reazione allergica sono estremamente rari.

JOHNSON AND JOHNSON. Anche Johnson and Johnson sarebbe sul punto di chiedere l'autorizzazione a Ema. Intanto la multinazionale, con la quale l'Ue ha raggiunto un accordo per 200 milioni di dosi, ha annunciato un'efficacia del 66% nella terza e ultima fase di sperimentazione. Ecco perché adesso spera che il via libera possa arrivare già a febbraio. La percentuale di copertura è più bassa rispetto a Pfizer e Moderna, ma questo vaccino richiede una sola somministrazione ed è più pratico da conservare, visto che non è necessario ricorrere a potenti congelatori.

SINOVAC E SPUTNIK. Sullo sfondo restano il vaccino cinese e quello russo. Di entrambi si sa piuttosto poco. Il siero cinese sarebbe efficace solo al 50%, mentre quello prodotto da Mosca garantirebbe una protezione - stando ai russi - superiore al 95%. Ma mentre è difficile che le autorità europee decidano a breve di aprile una procedura di controllo su Sinovac, ci sono già stati contatti tra Mosca e Ema per l'analisi scientifica di Sputnik.

Siero Astrazeneca, dubbi sull'efficacia. "Bassa protezione e anziani scoperti". L'accusa: cura debole per gli over 65. L'azienda smentisce. Atteso l'ok di Ema: "Decideranno gli Stati a chi darla. Contatti con 15 produttori di vaccini, c'è anche Sputnik". Moderna: "Stop alle donne incinte". Maria Sorbi, Mercoledì 27/01/2021 su Il Giornale. Dire che sulla vicenda vaccini ci sia confusione è dire poco. Le notizie si rincorrono, vengono smentite e lasciano spazio a dubbi che in questa fase proprio non vorremmo avere. E così, tra documenti mai resi pubblici e una trasparenza che lascia un po' a desiderare, vien fuori che il siero Astrazeneca, già meno performante rispetto a quelli di Pfizer e Moderna, potrebbe davvero non essere efficace sugli over 65. L'azienda smentisce quanto dato per vero dalla stampa tedesca ma il quesito rimane finché Ema non si pronuncerà. Si spera nelle prossime ore. «La data più certa per l'autorizzazione ad Astrazeneca è venerdì 29 - spiega Marco Cavaleri, responsabile Vaccini dell'agenzia del farmaco europea -. L'azienda ci sta inviando gli ultimi dati sul vaccino anti-Covid sviluppato da Oxford e Irbm di Pomezia». A quanto pare l'ok verrà dato per l'utilizzo su tutta la popolazione, e non solo per gli under 55 come ipotizzato più volte, senza distinzioni di età. «Saranno poi le singole autorità sanitarie degli Stati, se lo riterranno opportuno, a decidere per quali fasce di popolazione utilizzare quel vaccino» precisa Cavalieri. Che aggiunge: «Sebbene i dati sugli anziani non siano abbastanza, si ritiene che comunque anche per loro ci sia un buon rapporto rischi-benefici». Restano poco convinti parecchi infettivologi italiani, che guardano con sospetto quella percentuale di efficacia che non si spinge oltre il 70% (contro il 95% delle aziende americane). Il rischio non sarebbe tanto legato alla sicurezza, che ha passato l'esame, ma la reale copertura. E se non garantiamo quella, sarà dura raggiungere l'immunità di gregge. Altra notizia che fa traballare il piano vaccini: la formula di Moderna non va somministrata alle donne incinte. A frenare è il gruppo strategico di esperti dell'Oms che raccomanda «niente vaccino a meno che i benefici dell'immunizzazione non superino i potenziali rischi, come per le operatrici sanitarie, più esposte al virus, o per le future mamme con altre patologie che le mettono in particolare pericolo di forme gravi di Covid». Buone speranze arrivino invece dalla multinazionale Johnson & Johnson, pronta a presentare i risultati della fase tre della sperimentazione già la prossima settimana. L'esperienza ci ha insegnato a prendere con le pinze gli annunci delle case farmaceutiche ma, a sentire l'ad Alex Gorsky, sembra fatta: «Pensiamo di avere un robusto set di dati sul nostro candidato vaccino e non vedo l'ora di condividere i risultati della sperimentazione, già la prossima settimana». Se così fosse, a febbraio potrebbe arrivare l'autorizzazione della Fda statunitense e il vantaggio sarebbe che per essere efficace il vaccino ha bisogno di una sola dose. Avere una varietà ampia di vaccini è fondamentale sia per coprire quante più somministrazioni possibili, sia per rispondere alle esigenze delle varie fasce di popolazione, soprattutto in base all'età. E su questo fronte Emer Cook, direttrice dell'Ema, rende noto che si stanno valutando altri 15 candidati vaccino compreso lo Sputnik russo. Più antidoti servono anche per giocare d'anticipo sulle nuove varianti del virus in circolazione. A cominciare da quella brasiliana. Dopo il paziente sbarcato a Malpensa e ricoverato a Varese, ieri un nuovo caso è stato identificato in Abruzzo. L'Istituto zooprofilattico dell'Aquila ha evidenziato tre casi. Si tratta di una famiglia di Poggio Picenze di ritorno dal Brasile. Un caso tempestivamente individuato e isolato. La famiglia, dopo la quarantena, verrà sottoposta al vaccino. A quanto pare il Brasile sta esportando la versione più rapida e temuta dell'infezione un po' ovunque. Stati Uniti compresi. Il dipartimento della Sanità del Minnesota ha reso noto di aver identificato un caso in un residente rientrato di recente da un viaggio in Brasile. La variante è stata sequenziata in un tampone fatto il 9 gennaio.

Daily Mail il 26 gennaio 2021. Il ministero della salute tedesco sconfessa i giornali Handelsblatt e Bild, secondo cui il vaccino Covid Oxford/AstraZeneca non funziona nelle persone anziane: una affermazione falsa e senza dati a supporto. L'Università di Oxford ha rigettato il rapporto, dicendo che non c'erano "basi" per l'accusa e che i loro dati sono già stati "divulgati in modo trasparente". AstraZeneca, che ha prodotto il vaccino per conto di Oxford, ha affermato che era "completamente errato".

Marco Bresolin per "la Stampa" il 26 gennaio 2021. È stato il primo cavallo su cui l' Italia e l' intera Unione europea avevano deciso di puntare, ma da qualche giorno AstraZeneca sta mandando i tilt i piani di vaccinazione di tutti i governi Ue. E per il momento non si vedono vie d' uscita: l' azienda ha annunciato un taglio del 60% nella fornitura di vaccini anti-Covid da qui alla fine di marzo, ma non è stata ancora in grado di fornire spiegazioni sufficienti per giustificarlo e non ha nemmeno saputo proporre soluzioni alternative. Gli accordi prevedevano 80 milioni di dosi, ne arriveranno solo 31. «Questo non è accettabile» ha reagito ieri Stella Kyriakides, commissaria Ue alla Salute, annunciando che d' ora in poi Bruxelles chiederà di rendicontare tutte le consegne effettuate fuori dall' Ue per verificare eventuali dirottamenti dei vaccini. L' irritazione in casa Ue è molto forte. Anche perché alla fine di agosto, vale a dire al momento della firma del contratto da 300 milioni di dosi (più un' opzione per ulteriori 100 milioni), la Commissione aveva versato 336 milioni di euro ad AstraZeneca. Un anticipo per sostenere le attività di ricerca e per finanziare l' avvio della produzione prima ancora dell' approvazione da parte dell' Agenzia europea del farmaco. L' ok dovrebbe arrivare venerdì, anche se le ultime indiscrezioni dicono che probabilmente il vaccino non sarà disponibile per gli over 65. Nell' attesa, i governi si chiedono: come è possibile che a pochi giorni dal via libera l'azienda scopra di non poter garantire la quantità di dosi concordate nel primo trimestre? Che fine hanno fatto i vaccini prodotti in anticipo? A queste e ad altre domande i vertici di AstraZeneca non hanno saputo rispondere. Nel weekend la commissaria Kyriakides aveva già spedito una lettera di fuoco e ieri i responsabili dell' azienda sono stati convocati al tavolo con i rappresentanti dei 27 governi. «Ma le risposte non sono state sufficienti» ha ribadito la commissaria, che ieri sera li ha costretti a un nuovo confronto. «L' Unione europea - ha ribadito - ha prefinanziato lo sviluppo del vaccino e la produzione, per questo vuole avere un ritorno. Vogliamo sapere con esattezza quante dosi sono state prodotte da AstraZeneca, ma anche dove e a chi sono state vendute». L'azienda si è giustificata dicendo che il taglio delle forniture è legato a problemi di produzione riscontrati nello stabilimento di Seneffe, in Belgio, gestito dalla società partner Novasep. Il sospetto della Commissione è che l' azienda possa aver dirottato verso altri Paesi parte dei vaccini destinati all' Europa, anche se per ora non ci sono elementi concreti a sostegno di questa ipotesi. AstraZeneca ha siglato contratti anche con gli Stati Uniti (fino a 300 milioni di dosi) e con il Regno Unito (100 milioni), Paesi in cui la distribuzione è iniziata da settimane in seguito all' approvazione delle rispettive autorità nazionali. Hanno invece lamentato ritardi simili a quelli europei anche l'Australia e la Thailandia. Ieri Pascal Soriot, amministratore delegato di AstraZeneca, ha assicurato a Ursula von der Leyen che l' azienda farà il possibile per consegnare al più presto le dosi promesse ai Paesi Ue. Ma senza fornire cifre. Se l' approvazione da parte dell' Ema arrivasse venerdì, la distribuzione dovrebbe iniziare intorno al 15 di febbraio. Ma nei primi 45 giorni arriveranno solo 31 milioni di dosi anziché 80 milioni: potrebbero esserci gli estremi per un' azione legale o comunque per chiedere all' azienda il pagamento di una penale, visto che il contratto fissa il volume di dosi da consegnare entro ogni trimestre. Ma da Bruxelles spiegano che è ancora presto per addentrarsi in questa strada, anche in ragione del fatto che al momento non c' è nemmeno l' autorizzazione dell' Ema. Sono invece rientrati gli allarmi legati al vaccino di Pfizer-BioNTech: dopo il temporaneo rallentamento della scorsa settimana, ieri ha ripreso la consegna delle dosi ai ritmi concordati. Anche l' azienda americana, come tutte le altre, sarà costretta a rendicontare eventuali dosi esportate fuori dall' Ue, ma ha già respinto le accuse di «dirottamento». Intanto la Commissione europea ha raccomandato a tutti i governi di impedire i viaggi non essenziali da e per le regioni con più di 500 contagi ogni 100 mila abitanti: per l' Italia rientrerebbero nella categoria il Veneto, l' Emilia-Romagna, il Friuli-Venezia-Giulia e la provincia autonoma di Bolzano.

"La prima dose del vaccino è meno efficace di quanto affermato da Pfizer". Le autorità israeliane hanno ultimamente messo anche in dubbio il fatto che il siero Pfizer possa proteggere efficacemente dalle varianti del virus. Gerry Freda, Mercoledì 20/01/2021 su Il Giornale. Le autorità israeliane hanno ultimamente messo sotto accusa il vaccino Pfizer, in quanto il siero prodotto dall’azienda farmaceutica statunitense si sarebbe rivelato “meno efficace” del previsto. A finire nel mirino di Gerusalemme è, in particolare, il livello di immunità al Covid sviluppato nell’organismo umano per effetto della prima dose di siero, che sembrerebbe inferiore a quanto promesso dalla stessa ditta Usa. Nonostante la scoperta di una protezione meno efficace garantita contro l’infezione dalla prima somministrazione dell’antidoto, la campagna di vaccinazione di massa In Israele sta andando avanti spedita, con 2 milioni di cittadini già vaccinati e più di 400mila che hanno fatto anche il richiamo. A denunciare i limiti della protezione anti-Covid offerta dalla prima dose di siero Pfizer, malgrado quest’ultima avesse fornito dati maggiormente rassicuranti al governo Netanyahu, è stato ultimamente Nachman Ash, coordinatore nazionale della strategia di immunizzazione messa a punto dall’esecutivo citato. Egli avrebbe lanciato martedì la sua accusa a carico del colosso farmaceutico, nel corso di una riunione con gli alti dirigenti del ministero della Salute, evidenziando il fatto che molte persone, ossia 12,400 individui, si sono infettate nel Paese mediorientale fra la prima e la seconda dose. Ciò, a detta dell’esperto israeliano, sarebbe una dimostrazione del fatto che la prima somministrazione di siero garantirebbe una protezione “meno efficace di quanto avevamo pensato” e quindi inferiore rispetto a quanto asserito finora dai dati forniti da Pfizer alle autorità di Gerusalemme. In base ai dati incriminati, la ditta farmaceutica Usa aveva rimarcato che il suo siero aveva un’efficacia del 52% dopo la prima dose, che saliva al 95% dopo l’inoculazione della seconda. Ash ha invece messo in dubbio le percentuali presentate dall’azienda, principalmente quelle relative agli effetti della prima dose. Tuttavia, il coordinatore della strategia vaccinale di Gerusalemme ha, durante il vertice al ministero della Salute, avanzato dubbi anche sulla reale protezione fornita dal richiamo, segnalando che 69 cittadini si sarebbero ad oggi infettati pur avendo ricevuto la seconda dose di siero e asserendo di conseguenza che quest’ultima non garantirebbe in maniera inequivocabile l’immunità contro le varianti del coronavirus. Nonostante le sue perplessità circa l’efficacia protettiva dell’antidoto Pfizer, Ash non ha sollecitato ultimamente l’esecutivo Netanyahu a prolungare lo stato di massima allerta nel Paese e il conseguente coprifuoco nazionale, sostenendo che non sarebbe necessario estendere per altre due settimane le restrizioni anti-contagio, dato che basterebbe protrarle solo per un'altra settimana e mezza. L’efficacia del siero Pfizer, messa in discussione da Ash, era stata però magnificata pochi giorni prima da Sharon Alroy-Preis, capo del dipartimento di Sanità pubblica presso il ministero della Salute, secondo cui il medesimo antidoto starebbe contribuendo a ridurre del 50% le infezioni da Covid.

Il vaccino anti Covid ci cambia il Dna? Smontata la bufala No Vax. La bufala del Dna modificato a causa del vaccino circola in rete da settimane. Con la Presidente della Società Italiana di Microbiologia abbiamo smontato pezzo dopo pezzo questa fake news. "Non c'è alcuna possibilità che accada". Alessandro Ferro, Sabato 23/01/2021 su Il Giornale. Il vaccino contro il Covid cambierebbe il Dna: è questa la folle notizia che, da settimane, ogni tanto capita di leggere nell'infinito mondo della rete Internet. Chi frequenta social network, blog e canali vari si sarà certamente imbattuto in qualche utente che, pur non avendo idea di cosa scrivere, si è lasciato andare ad affermazioni di questo tipo. È vero che non bisogna dare spazio a minoranze del genere ma, trattandosi di un argomento delicato che riguarda il mondo intero, è bene smontare pezzo per pezzo questa fake news che non ha alcun senso di esistere.

Come si moltiplica il virus. Sull'argomento è dovuto intervenire anche l'Istituto Superiore di Sanità con le Faq sul Covid a cui ha aggiunto una nuova sezione per confutare le bufale più diffuse online e fuori dal web. Innanzitutto, come funzionano i vaccini ad mRna messi a punto dalla Pfizer-BioNtech e Moderna? Cominciamo spiegando che, il nuovo Coronavirus o Sars-Cov-2 non è altro che un involucro proteico circondato da "corone" di spine (da cui deriva il nome) chiamate Spike ed al cui interno c'è l'Rna del virus, in pratica il suo Dna, quindi il suo libretto di istruzioni per costruire se stesso. Il virus, come gli essere umani, vuole fare dei "figli": si vuole moltiplicare ma non può farlo da solo, ha bisogno di entrare nelle nostre cellule e sfruttare alcune di queste parti, in particolare i ribosomi, per potersi moltiplicare.

Ribosomi e anticorpi. Una volta entrato nel nostro organismo, il virus sfrutta questi ribosomi come fossero una stampante: tramite le istruzioni che gli vengono date, i ribosomi leggono e costruiscono le cose che servono al virus rispetto a quelle che servono a noi. È questa l'infezione che si ha quando siamo infettati dal Coronavirus: il virus si moltiplica e si diffonde andando di cellula in cellula, incontrando altri ribosomi e ripetendo il processo della "stampante". A quel punto, se gli anticorpi riescono ad essere più veloci del virus, lo distruggono e noi guariamo; quando, invece, non riescono a stargli dietro, si hanno sintomi gravi che portano alla mancanza di ossigeno nei polmoni, alla terapia intensiva ed a tutti i problemi che purtroppo ormai conosciamo.

Come funziona il vaccino ad mRna. Cosa hanno pensato di fare Pfizer e Moderna? Di sfruttare le stesse armi che ha il virus: hanno ritato fuori il suo materiale genetico (Rna) ed hanno scoperto che una parte del suo "libretto di istruzioni" serve a produrre le famose corone con il quale il virus si attacca alle nostre cellule. Hanno preso soltanto questa parte e l'hanno messa nel vaccino: per poterla inserire, vista la sua instabilità, l'hanno inserita in una "bolla" di lipidi, cioè grassi, per farla resistere. A questo punto il vaccino cosa fa? Dà ai ribosomi le istruzioni che serviranno a riconoscere le corone del Coronavirus quando (se mai) entrerà nell'organismo ed i ribosomi creano soltanto le spine della corona, che sono innocue ma serviranno a riconoscere e bloccare il virus. Gli anticorpi, a questo punto, riconoscono queste coroncine come estranee e le "mangiano" (quindi le eliminano) memorizzando l'informazione. Dopodiché, se e quando entrerà il vero virus, gli anticorpi si ricorderanno delle spine che hanno mangiato e l'infezione sarà sconfitta. A questo serve il vaccino, questo fa il vaccino. Non cambia alcun Dna.

"Cambierà la vaccinologia". "Questo vaccino è a Rna messaggero, il virus non c'è e non c'è nient'altro che l'Rna che codifica la proteina Spike, quella che serve al virus ad agganciare il recettore sulle nostre cellule. Questo mRna è una delle prime meraviglie che abbiamo potuto valutare e che credo faranno cambiare tutta la vaccinologia futura perché si è riuscito ad usare il 'messaggero', che è instabile e si degrada facilmente diventando subito una proteina", ha detto in esclusiva per ilgiornale.it la Prof.ssa Stefania Stefani, Presidente della Società Italiana di Microbiologia (SIM). "L'averla mantenuta stabile all'interno di questa nano-particella lipidica che i due vaccini, Pfizer-BioNtech e Moderna hanno come tecnologia, fa in modo che venga veicolata e mantenuta efficiente all'interno delle cellule", sottolinea la microbiologa.

Vaccino Pfizer, Melania Rizzoli: ecco il segreto tecnologico che lo rende sicuro al 100%. Melania Rizzoli su Libero Quotidiano il 03 gennaio 2021. I nuovi vaccini contro il Sars-Covid19 sono frutto di una ricerca che non ha precedenti nella storia dell'uomo, di una collaborazione tra il mondo scientifico e le case farmaceutiche mai vista prima per ottenere la sintesi di un farmaco, basato su una tecnologia totalmente innovativa che ha sviluppato un prodotto sicuro, a rapido effetto, efficace ed immediatamente disponibile per i popoli di ogni nazione. Una percentuale importante di italiani è ancora esitante e poco propensa a sottoporsi alla vaccinazione, soprattutto quella compresa tra i 35 e i 55 anni, per il timore legato alla sicurezza del siero profilattico, per le modalità veloci del suo sviluppo e test, ed anche per il timore di effetti collaterali o modificazioni genetiche che in realtà non esistono. Le perplessità più insistenti riguardano i due nuovi vaccini sviluppati da BioNTech-Pfizer e da Moderna, entrambi a base di RnaMessaggero (o mRna), il quale, a differenza del Dna che può sopravvivere per settimane o mesi a temperatura ambiente e si conserva addirittura per secoli in alcuni fossili, l'Rna è una molecola effimera e fragile, che è presente nella cellula unicamente durante lo svolgimento della sua specifica funzione, quando porta il suo «messaggio», per poi degradarsi molto facilmente e rapidamente. Per questo motivo i vaccini ad Rna messaggero devono essere conservati a temperature fino agli 80gradi sotto zero, ed all'interno del vaccino l'Rna è protetto e incapsulato in microsfere di grasso (liposomi) le quali, una volta iniettate nel nostro corpo, liberano il fragile Rna messaggero che contiene tutte le informazione necessarie per produrre la famosa Proteina Spike del Covid19, quella utilizzata dal Corona come un uncino per agganciarsi alle cellule respiratorie, entrare nel loro interno e provocare la letale polmonite interstiziale. Da sola, senza il resto del virus, la Spike è innocua, ma mette in allarme il sistema immunitario che la riconosce come estranea e si attiva immediatamente a produrre anticorpi contro la stessa. Questa modalità in pratica imita ciò che il virus Cov19 fa in natura, ma con la differenza che l'mRna del vaccino è in grado di codificare solamente il frammento della proteina virale incriminata, e le migliaia di copie della proteina Spike prodotte dal vaccino, da sole attivano una forte risposta immunitaria, con anticorpi prodotti contro questa proteina, impedendo quindi al virus, ingannato dal fatto che non trova più agganci, di infettare il soggetto vaccinato, in qualunque momento esso ne venga a contatto. Questi anticorpi, che sono le cellule della memoria immunologica, resteranno nel nostro corpo a protezione per mesi e forse anni nel caso il Virus si ripresentasse, e siccome se non ci infettiamo più non possiamo contagiare chi ci sta accanto, questi vaccini proteggono ognuno di noi ma anche tutti gli altri che ci circondano.

20 ANNI DI STUDI. Quando nella scorsa primavera gli scienziati hanno pubblicato la sequenza genetica completa del Sars-Covid19 ci sono voluti solo 42 giorni per ottenere un mRna candidato al vaccino, e i tempi da record non hanno mai trascurato la sicurezza, anche perché i ricercatori di Moderna e BioN-Tech lavoravano da almeno 20 anni sulla terapia genica dei vaccini a Rna, acquisendo una esperienza straordinaria ed unica su questa molecola. Nei due decenni però il progresso era rimasto lento in quanto l'Rna è notoriamente instabile e facilmente degradabile, ma i ricercatori hanno trovato il modo di stabilizzarlo inserendolo in piccole particelle grassose al fine di poterlo somministrare come vaccino, e impedendo che le stesse si rompano al di sopra delle normali temperature di congelamento. I vantaggi dei sieri a Rna rispetto ai vaccini tradizionali proteici includono, oltre alla velocità di produzione, l'induzione dell'immunità cellulare e del l'immunità umorale, ovvero una doppia difesa e una doppia protezione dal Coronavirus. È importante aggiungere che questi due vaccini sono in grado di sviluppare una forte risposta immunitaria anche negli individui over 70, nei quali la stessa è notoriamente più lenta, più debole e fragile, rendendo quindi anche questa categoria vulnerabile non più a rischio delle conseguenze dell'infezione virale. Per le condizioni di stabilità e quindi di efficacia, il vaccino Pfizer potrà essere conservato per 5 giorni una volta posto in celle con temperatura di refrigerazione normali, ovvero leggermente superiori allo 0, mentre quello Moderna può restare stabile fino a 30 giorni in condizioni che vanno da 2*C agli 8*C, e per entrambi la durata di conservazione è di 6 mesi.

IL DNA NON C'ENTRA. Per chi teme modificazioni genetiche è importante ribadire che questi due vaccini, oltre a non avere «istruzioni» per modificare il Dna, essendo a base di RnaMessaggero, questo non entra mai nel nucleo della cellula, che non può essere alterato in nessun modo, perché la molecola si degrada pochi giorni dopo aver eseguito il suo compito specifico e la sua protezione è valutata di almeno 9-12 mesi. Inoltre la vaccinazione non contrasta con una precedente infezione da Coronavirus, anzi potenzia la sua memoria immunitaria, e questa farmaco innovativo può essere facilmente modificato nel caso insorgano varianti del virus. Il potenziale di questa tecnologia si spinge però ben oltre il Covid poiché lo stesso principio, introdurre istruzioni in forma di mRna nell'organismo, potrebbe essere sfruttato per spingere il corpo umano a produrre proteine complesse o esprimere potenti «anticorpi monoclonali», una sorta di vaccino «anticancro», allenando il sistema immunitario a riconoscere le proteine specifiche prodotte dai tumori, stimolando le cellule della difesa ad uccidere le cellule infette o cancerose. Una importantissima ed ottima notizia per un futuro terapeutico speriamo immediato.

Vera Viola per “il Sole 24 Ore” il 4 gennaio 2021. Si contano sulle dita di una mano le imprese italiane che producono ultra-frigoriferi capaci di raggiungere la temperatura di -80 gradi richiesta per lo stoccaggio e il trasporto di vaccini anti Covid. E in particolare di quello prodotto dalla americana Pfizer che, per primo, sarà in distribuzione in Italia da metà gennaio. In questi giorni queste imprese raddoppiano la produzione per far fronte a una domanda in forte crescita e sperimentano nuove soluzioni tecnologiche. Ma lamentano di non aver ricevuto, né dal commissariato anti covid né da altre istituzioni, indicazioni su fabbisogno, organizzazione e programmi. La Angelantoni di Perugia è un' azienda storica del settore. «Produciamo ultra frigoriferi che possono stabilmente mantenere una temperatura di -80 gradi - spiega Gianluigi Angelantoni, presidente dell' omonimo gruppo - Questi nostri freezer possono contenere da 5mila a 15 mila flaconi di vaccino. Di solito produciamo circa 300 congelatori di questo tipo ogni anno; ma stiamo potenziando la produzione per più che raddoppiare e sfornarne almeno 60 al mese». Angelantoni è una delle poche imprese italiane specializzate nei frigoriferi per il settore biomedicale, utilizzati per la conservazione di organi da trapianto, cellule staminali, tessuti tumorali da destinare alla ricerca. Nell' ultimo mese ha registrato un picco di ordini. «Solo a dicembre ci sono stati commissionati 127 congelatori - precisa il presidente - per il 90% richiesti dall' Italia. Non possiamo assumere altri impegni con consegna prima di febbraio». Quali i committenti? «Per lo più ospedali, Asl e in alcuni casi la Regione. Due gare sono in corso, bandite da Regioni per vari centri ospedalieri. Il commissario Arcuri dice che Pfizer invierà le dosi di vaccino fino alla destinazione finale - conclude l' imprenditore perugino - Ma, a nostro avviso ci vorrà un hub capace di fare da polmone specie quando aumenteranno le quantità in distribuzione. Dotarsi di magazzini refrigerati a meno 80 gradi è necessario». La Angelantoni, con 300 dipendenti, nel 1961 è stata la prima a toccare la temperatura di - 100 gradi. Sua principale concorrente è la toscana Kw. Nata nel 1953, compete a livello mondiale con una ampia gamma di prodotti con temperature operative da -125°C a +300°C. «Le Regioni cominciano a muoversi - dice Stefano Fabiani presidente di Kw - ormai per quanto riguarda la nostra azienda siamo saturi di ordini con una capacità produttiva di 80 congelatori al mese. Ma non vedo rischi, di congelatori negli ospedali ce ne sono e laddove mancano ci sarà la possibilità e il tempo per dotarsene». Intanto in Campania, un' alleanza punta a migliorare la distribuzione del vaccino anti covid. L' irpina Desmon che produce ultra congelatori per uso medicale e Tecnam, l' azienda della famiglia Pascale che costruisce aerei ultraleggeri, uniranno le forze per offrire una soluzione utile alla imminente distribuzione dei vaccini anti covid. Tecnam e Desmon, hanno un progetto che si basa su prodotti e tecnologie già esistenti e certificate nei rispettivi ambiti di utilizzo: la loro proposta è sul tavolo del commissario Domenico Arcuri. Tecnam, con il velivolo bimotore Tecnam P2012 Traveller è in grado di operare da piste semi-preparate (erba o terreno) oltre che da aeroporti e in spazi di decollo e atterraggio, di soli 560 o 370 metri rispettivamente, potendo pertanto essere operativo anche presso aviosuperfici o aeroporti minori. Il Tecnam P2012 Traveller, potrà contenere fino a 4 box refrigerati DVSS (con un carico di 160.000 dosi di vaccino): ciascun box refrigerato è infatti in grado di contenere circa 40.000 dosi di vaccino. Questo ha una capacità di mantenimento della temperatura fino a -86°C, senza utilizzo di ghiaccio secco e con capacità di mantenimento termico fino a 40 ore quando non collegato ad alimentazione elettrica. Il velivolo Tecnam assicura la possibilità di raggiungere l' intero territorio nazionale, dall' aeroporto di Pratica di Mare, individuato dal Governo come hub per l' importazione dei vaccini, in meno di due ore alla velocità di crociera di 170 nodi. Desmon produce frigoriferi professionali per i settori food service e per il medicale. E tra questi ultimi un ultra congelatore a meno 80 gradi, utile per la conservazione del vaccino anti covid, la cui produzione partirà a metà gennaio. Ma la società irpina è in grado di provvedere anche a quella che è la difficoltà maggiore da superare e che riguarda il trasporto, soprattutto in zone con scarsa disponibilità di energia elettrica. «La nostra soluzione per questa esigenza è una attrezzatura refrigerata, predisposta in modo da continuare a generare freddo anche in assenza di alimentazione elettrica, ma con la capacità del sistema di accumulare l'energia termica necessaria. Anche per questo secondo congelatore la produzione partirà a gennaio». Questo prodotto è la riformulazione di un precedente progetto di Desmon realizzato in collaborazione con il Cnr, che consiste in un pozzetto congelatore con sistema a refrigerazione passiva che ha ricevuto il riconoscimento Smart Label per il design e la tecnologia. Desmon nasce nel 94, è una impresa familiare fondata da Corrado De Santis, suo fratello Ciriaco e sua moglie Federica Vozzella. Lo stabilimento industriale è nell' area di Nusco, in provincia di Avellino, una delle aree create dopo il terremoto dell' 80. Nel 2015 è stata acquisita dalla multinazionale americana Middleby Corporation Company quotata in borsa al Nasdaq con sede a Elgin, nell' Illinois. La produzione resta però in Campania. Sempre a nord, opera nel settore del ghiaccio anche la Nocivelli Epta group, più orientata al settore food. «Al momento non produrremo frigoriferi per i vaccini - dice Marco Nocivelli, presidente e ad della bresciana Epta, con 958 milioni di fatturato, seimila dipendenti, una mezza dozzina di marchi specializzati nella refrigerazione commerciale presenti in tutto il mondo - poiché di solito operiamo nel campo dell' alimentazione. Siamo però specializzati nei frigoriferi a temperatura ultra bassa». Nocivelli che è anche ex presidente di Anima, l'associazione di categoria di Confindustria, aggiunge: «Parliamo di un comparto composto da poche aziende e con elevate competenze. Che si stanno attrezzando per far sì che il Paese non si ritrovi sprovvisto come è accaduto nella primavera scorsa per i dispositivi medici e i ventilatori». E infine snocciola pochi dati: export per 2 miliardi con manutenzione compresa e circa 10mila dipendenti. I concorrenti internazionali, che pure sono presenti in Italia, sono di tutt' altra dimensione: ci sono tra gli altri, i giapponesi della Panasonic, i cinesi di Haier, per citarne solo alcuni. «Ma attenzione - puntualizza Angelantoni - ci vuole organizzazione per non rischiare di penalizzare le aziende italiane. Seconde a nessuno per tecnologia e più efficienti per il servizio».

(ANSA-AFP il 2 febbraio 2021) - Il gruppo farmaceutico americano Pfizer stima che le vendite del vaccino anti-Covid, sviluppato in partnership con l'azienda tedesca BioNTech, porteranno entrate per 15 miliardi di dollari nel 2021. Il vaccino sarebbe quindi uno dei più grandi "successi" nella storia dell'industria farmaceutica. Pfizer, che ha pubblicato oggi i suoi risultati trimestrali, prevede di generare un margine netto su questo prodotto del 25/29%.

Fabio Pavesi per affaritaliani.it il 5 febbraio 2021. Neanche la più grave pandemia mondiale, dopo la Spagnola del 1918, che sta producendo milioni di morti e congelando le attività economiche a livello planetario, ha scosso le inesorabili leggi del mercato. Poca offerta del vaccino anti-Covid a coprire molta domanda non può che lasciare in mano all’oligopolio di Big Pharma l’arma del prezzo. Normale in un mondo normale, meno ovvio in un contesto di drammatica emergenza socio-sanitaria con pesanti riflessi sull’economia. Niente ha scalfito il potere in mano ai big farmaceutici di poter fare il loro cinico gioco. Dare i vaccini al miglior offerente, temporeggiare sui lotti in produzione, insomma approfittare del contesto del salva-vita in mano a poche compagnie per lucrare il più possibile. Il caso Pfizer e in misura minore AstraZeneca insegna molte cose sul rapporto troppo spesso ineguale tra Stato e mercato. Il colosso Usa ha appena rilasciato le sue previsioni sul 2021. Ebbene sappiamo che quest’anno solo dalle vendite del vaccino co-prodotto con la tedesca BionTEch, Pfizer si attende ricavi aggiuntivi per la bellezza di 15 miliardi di dollari, di fatto un terzo in più dei ricavi già astronomici di Pfizer conseguito solo con il prodotto anti-Covid. I conti di Pfizer, con o senza vaccino, sono da sempre strabilianti. L’anno scorso il gigante Usa ha realizzato ricavi per 42 miliardi di dollari. Ma quel che fa di Big Pharma un settore tra i più lucrativi sono i margini di profitto. Nel 2020 (senza vaccino) su 42 miliardi di ricavi la casa americana ha portato a casa 9,6 miliardi di utili netti. L’anno prima il 2019 gli utili sono stati di ben 16 miliardi di dollari, ben il 40% del fatturato, complice la cessione di una divisione che ha fruttato da sola 8 miliardi di ricavi. In media Pfizer, come del resto molti dei Big Pharma, realizza ogni anno utili pari al 20-25% dei suoi ricavi. Sole le grandi Big Tech sono capaci di fare meglio. Quindi stiamo parlando di un settore strutturalmente iper redditizio. In un’economia di guerra come può essere la pandemia Covid, ci si aspetta che per un prodotto così essenziale per la salute pubblica si trovi un meccanismo che stemperi la logica del profitto a tutti i costi. Così non è stato e le recenti polemiche sugli approvvigionamenti e i livelli di prezzo la dicono lunga sullo scarso potere in mano ai Governi mondiali nella contrattazione sul vaccino salva-vita. Pfizer avrebbe potuto vendere il vaccino a prezzo di costo rinunciando ai margini di profitto. Non avrebbe nuociuto più di tanto alla sua ricchezza conclamata. Invece non è andata così. Lo dicono i prezzi. Di recente Pfizer ha contrattato con il Governo Usa l’aumento nel 2021 delle forniture per altre 100 milioni di dosi dopo le 200 già contrattate. Il prezzo per 100 milioni di dosi? 1,95 miliardi cioè 19,5 dollari a dose. Del resto nelle proiezioni finanziarie di quest’anno Pfizer si aspetta di fornire 2 miliardi di dosi a livello globale per un incasso appunto di 15 miliardi di dollari. La metà del ricavi totali dato che condividerà al 50% con Biontech. Ecco che si può stimare un prezzo medio a dose di 15 dollari. Troppi, pochi? Dipende da quanto hai speso per trovare e produrre il vaccino. Si scopre così che il vaccino sarà l’affare della vita per il colosso americano. Per la ricerca e sviluppo Pfizer ha speso l’anno scorso un miliardo in più del 2019. Presumendo per eccesso che tutta la spesa aggiuntiva in ricerca sia da attribuire al vaccino, la sua scoperta è costata 1 miliardo. Cifra analoga andrà in produzione e commercializzazione per arrivare a costi per 2 miliardi. E quanto è costata la collaborazione con la tedesca BionTech che ha concorso a sviluppare il prodotto che immunizza dal Covid? Pochi milioni. Un totale di 230 milioni di dollari tra contributi diretti alla ricerca e sottoscrizioni di azioni BionTech. Alla fine la vendita per 15 miliardi vale oltre 7 volte i costi diretti. Vendite che arricchiranno Pfizer di oltre 3 miliardi di dollari in più di nuovi utili nel 2021 per il solo vaccino. Il prezzo politico Pfizer l’ha contrattato solo con Covax, l’ente del partneriato pubblico-privato che opera sotto l’insegna Gavi, l’alleanza globale per i vaccini, impegnata nei Paesi poveri. Pfizer venderà a prezzo di costo a Covax ma solo per 40 milioni di dosi. Si poteva fare di più e meglio quindi. Gli Stati e i Governi potevano chiedere a gran voce, data la situazione di emergenza drammatica, la commercializzazione del vaccino corrispondendo a Pfizer solo tutti i costi diretti. Certo nessun profitto aggiuntivo per la casa farmaceutica, ma anche nessun aggravio per Stati che stanno pagando con nuovo debito futuro miliardario gli aiuti a pioggia per imprese e cittadini a livello mondiale. Pfizer sarebbe sopravvissuta tranquillamente con i suoi 9-10 miliardi di utili sfornati anche senza il  miracoloso vaccino anno su anno. Tanto per dare un’idea della potenza finanziaria del colosso del pharma, nel 2020 ha deliberato la bellezza di 8,4 miliardi di dollari di dividendi ai suoi azionisti. Soldi che potevano stare in cassa per più che compensare gli eventuali mancati utili da un accordo politico con i Governi di tutto il mondo per un vaccino a prezzo di costo. Ma è il mercato bellezza, che non si ferma davanti a niente e nessuno.

Coronavirus, i vaccini sviluppati anche con soldi pubblici ma i brevetti nelle mani delle case farmaceutiche. Le Iene News il 09 febbraio 2021. I vaccini contro il coronavirus sono stati sviluppati anche grazie a ingenti finanziamenti pubblici. Eppure sembra che negli accordi non sia stata prevista nessuna clausola sull’uso dei brevetti, lasciati quindi nelle mani delle case farmaceutiche. Le aziende private così possono ottenere profitti da capogiro, mentre gli stati più poveri del mondo non si possono permettere di comprare i vaccini

Miliardi di persone rischiano di non poter comprare i vaccini mentre alcune case farmaceutiche ottengono profitti da decine di miliardi di dollari. Com’è possibile un simile cortocircuito, mentre la pandemia più grave degli ultimi cento anni sferza il pianeta lasciando sul selciato milioni di morti? Alcune case farmaceutiche, nonostante abbiano ricevuto ingenti soldi pubblici per sviluppare i vaccini, hanno deciso di fare profitto sul vaccino contro il coronavirus e non condividere il brevetto. E così la parte più povera del pianeta non può acquistare le dosi necessarie mentre i paesi ricchi si fanno la guerra economica per strappare più forniture possibili, molte più di quelle effettivamente necessarie. Bisogna innanzitutto sgombrare il campo da dubbi: le case farmaceutiche, aziende private che hanno investito moltissimo denaro nello sviluppo del vaccino contro il coronavirus, hanno il diritto di fare profitto sulla vendita dei propri prodotti. Ma sono in molti in questo periodo ad essersi chiesti: è moralmente accettabile che le aziende, sovvenzionate con denaro pubblico nello sviluppo del vaccino per il coronavirus, e in una condizione pandemica così grave in tutto il mondo, facciano profitto su questo specifico prodotto? A farsi questa domanda è stato per ultimo il premio Nobel per l’economia Joseph Stiglitz, che in un’intervista a Repubblica ha detto: “Non è pensabile che un oligopolio di aziende private detenga il potere inattaccabile di decidere chi, quando e dove potrà vaccinarsi contro il Covid: devono cedere i brevetti che invece tengono tuttora stretti”. La polemica a cui si riferisce Stigltiz è nota: mentre i paesi ricchi hanno acquistato quasi interamente le dosi di vaccino inizialmente disponibili, molti a medio e basso reddito sono rimaste a bocca asciutta. Perché? Semplicemente perché non possono permettersi di “fare a gara” con realtà molto ricche come l’Unione europea o gli Stati Uniti. Una situazione che era già stata duramente criticata dall’Oms: “Il mondo è sull’orlo di un catastrofico fallimento morale, e il prezzo di questo fallimento sarà pagato con le vite dei cittadini più poveri del mondo. Non è giusto che i giovani in salute nei paesi ricchi siano vaccinati prima dei medici e degli anziani dei paesi poveri”, ha dichiarato il direttore generale dell’Oms, Tedros Adhanom. Oxfam e da Amnesty International a dicembre avevano fotografato la situazione in modo impressionante: il 90% degli abitanti di 67 paesi a reddito medio o basso non avranno accesso al vaccino contro il coronavirus nel 2021. Dati confermati recentemente dall’Ocse: l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico ha certificato che gli abitanti dei paesi ad alto reddito saranno tutti vaccinati entro la prima metà del 2022, mentre per quelli più poveri l’immunità di gregge non arriverà prima del 2024. Un ritardo di un anno e mezzo che realisticamente costerà milioni di morti in tutto il mondo. Un ritardo che dipende - non completamente, ma in parte - dal fatto che i vaccini sviluppati dalle case farmaceutiche contro il coronavirus siano protetti da brevetti e dunque non accessibili per il libero sviluppo di massa. Perché le istituzioni pubbliche hanno commesso un gravissimo errore: al momento di fornire i fondi per lo sviluppo del vaccino, pare non si siano assicurate che i brevetti fossero quantomeno disponibili ai laboratori pubblici per la produzione nelle fasi più calde della pandemia. E questo nonostante alle case farmaceutiche sia arrivato un vero e proprio fiume di soldi. Secondo i dati pubblicati dalla BBC alla fine del 2020, le istituzioni pubbliche hanno fornito 9,7 miliardi di euro per sviluppare i vaccini. Le organizzazioni no profit hanno aggiunto ulteriori 1,7 miliardi. La maggior parte dei costi, comunque, sono stati sostenuti dalle case farmaceutiche stesse o da altri investitori privati. A ogni modo alcune di queste aziende hanno deciso di vendere il proprio prodotto al prezzo di produzione, senza ricercare un guadagno: è il caso di AstraZeneca - che lo ha confermato fino al miglioramento della situazione pandemica - e di Johnson&Johnson, che ha calmierato il prezzo. Ma parliamo di decisioni lasciate alle singole case farmaceutiche, su cui le istituzioni pubbliche hanno colpevolmente mancato nel garantire ai loro cittadini la soluzione migliore possibile. Infatti non tutte hanno fatto la stessa scelta: Pfizer ha annunciato una settimana fa di prevedere ricavi di 15 miliardi di dollari dalla vendita di circa 2 miliardi di dose di vaccini. Secondo quanto riporta Il Fatto Quotidiano, Pfizer ha ricevuto mezzo miliardo di euro di fondi pubblici per lo sviluppo del vaccino. Con un prezzo di vendita stimato da BBC tra i 18 e i 19 dollari a dose, molti paesi poveri del mondo non si possono permettere di acquistarli. La stessa scelta è stata fatta anche da Moderna, le cui fiale costano (sempre secondo le stime della BBC) tra i 25 e i 37 dollari a seconda dell’accordo di acquisto. L’azienda ha ricevuto oltre due miliardi di euro di fondi pubblici per sviluppare il vaccino. Moderna però, a differenza di Pfizer, non ha annunciato quanto prevede di guadagnare con la vendita del vaccino. Insomma, le istituzioni hanno deciso di lasciare tutta la partita nelle mani delle case farmaceutiche. E i risultati si sono visti nelle ultime settimane, con ritardi su ritardi nelle forniture e l’apparente impotenza dell’Unione europea nel far rispettare gli accordi. Accordi che, è bene ricordarlo, sono secretati: non sappiamo nemmeno con certezza quanto stiamo pagando per ogni singola dose di vaccino. Ci sono stati, per la verità, alcuni recenti sviluppi per cercare di superare questo collo di bottiglia: la società francese Sanofi, di cui lo stato detiene una quota di minoranza vicino al 16%, ha annunciato un accordo con Pfizer e BioNTech per produrre 125 milioni di dosi di vaccino destinate all’Unione europea. Un importante passo avanti, anche se ristretto all’accordo tra due case farmaceutiche private sulla produzione di un bene che verrà comunque venduto alla stessa cifra concordata nel contratto d’acquisto dell’Unione europea. Così, mentre l’Occidente si interroga sulle scelte compiute, c’è una larga fetta del pianeta che si deve affidare completamente a Covax per aver accesso al vaccino contro il coronavirus. Covax è un programma internazionale cogestito dall’Organizzazione mondiale della sanità per garantire lo sviluppo e la distribuzione del vaccino nei paesi più poveri del mondo. Entro la fine di quest’anno - quando probabilmente tutti gli stati ad alto reddito avranno raggiunto l’immunità di gregge - Covax conta di fornire dosi sufficienti a vaccinare il 20% dei poveri del mondo. Una cifra assolutamente insufficiente a proteggere miliardi di vite umane, costrette nella morsa del coronavirus dalla miopia delle istituzioni pubbliche del mondo. Non è scontato che una temporanea sospensione dei brevetti risolverebbe tutti i problemi nella distribuzione dei vaccini: servono infatti stabilimenti attrezzati per produrli, risorse economiche e materiali adeguati. Inoltre non bisogna sottovalutare che le case farmaceutiche hanno comunque investito miliardi di dollari nello sviluppo dei vaccini, e privarle della possibilità quantomeno di rientrare delle spese sarebbe disastroso nell’ottica di futuri investimenti per sconfiggere le altre malattie. Molte voci si sono alzate in opposizione a quest’idea, dall’italiana Federfarma fino a varie testate giornalistiche. Se però questo potesse aiutare, l’ipotesi andrebbe presa in considerazione. Anche perché la risoluzione 58.5 dell’organo legislativo dell’Oms permette ai governi di utilizzare un brevetto anche senza il consenso del proprietario in caso di pandemia. Cioè l’Italia domani, se volesse, potrebbe in teoria iniziare a produrre in proprio i vaccini senza doverne rendere conto alle case farmaceutiche. Sono passati due mesi dall’inizio della campagna vaccinale e nonostante i ritardi nelle forniture e l’impossibilità per i paesi poveri di acquistare le dosi, nessuno lo ha ancora fatto.

PERCHÉ GLI STATI UNITI (PFIZER) E LA GERMANIA (BIONTECH) CONTINUANO AD ATTACCARE E SOLLEVARE DUBBI SULL’EFFICACIA DEL VACCINO DELL’AZIENDA ANGLO-SVEDESE ASTRAZENECA (SECONDO LA GERMANIA EFFICACE SOLO PER LE PERSONE DI ETÀ COMPRESA TRA 18 E 64 ANNI)?

Vaccino Covid, Pfizer chiese all'Unione europea 54,08 euro a dose. Poi il compromesso. Libero Quotidiano il 19 febbraio 2021. Le trattative dell'Ue con l'azienda Pfizer per i vaccini anti-Covid non sono state facilissime. Pare, infatti, che all'inizio Pfizer-BioNTech avesse proposto all'Unione il proprio farmaco al prezzo esorbitante di 54,08 euro a dose, per un contratto del valore di 27 miliardi di euro per 500 milioni di dosi. Lo rivela un retroscena riportato dai media tedeschi Ndr, Wdr e Suddeutscher Zeitung. Ecco spiegato il ritardo della Commissione europea, che non sapeva se firmare il contratto oppure no. L'acquisto è stato formalizzato, infatti, solo a novembre, dopo che si è riusciti a strappare un prezzo più basso: 15,50 euro a dose. Il presidente della commissione sui farmaci dell'Ordine dei medici tedeschi, Wolf Dieter LudwigIl, ha definito il costo iniziale del siero "un prezzo dubbio che lascia pensare a una ricerca di profitto in nessun modo giustificata nell'attuale situazione di pandemia". Stando al retroscena, però, gli Stati Uniti sarebbero stati più bravi dell'Europa nelle trattative: sarebbero riusciti a ottenere un prezzo più basso di quello proposto dall'azienda, 16 euro a dose, già a luglio 2020. Procedendo così con un ordine da 100 milioni di dosi per un totale di 1,95 miliardi di dollari. A far discutere, comunque, non è solo la questione dei prezzi. Al centro della polemica c'è anche una dichiarazione del consorzio americano-tedesco, secondo cui lo sviluppo del vaccino sarebbe stato "completamente autofinanziato". Affermazione non vera. O almeno vera a metà. Potrebbe valere per Pfizer ma non per BioNTech, che invece ha ricevuto sia dalla Germania che dall'Ue milioni di euro per le ricerche.

 (ANSA il 29 gennaio 2021) "Vogliamo pubblicare oggi" il contratto con AstraZeneca. "Stiamo discutendo con la società di quali parti devono essere oscurate". Lo ha detto la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, parlando all'emittente tedesca Deutschlandfunk.

(ANSA il 29 gennaio 2021) La Germania si aspetta un'approvazione di AstraZeneca da parte dell'Ue, ma con delle limitazioni. Lo ha detto il ministro della Salute tedesco, Jens Spahn, in conferenza stampa a Berlino.

DAGOREPORT il 29 gennaio 2021. IL FILM DEL VACCINO ASTRAZENECA. Alcuni giornali tedeschi, tra cui Handelsblatt e Bild, citando fonti del governo di Berlino - che ovviamente subito è stato costretto a smentire - hanno scritto che il vaccino di Astrazeneca avrebbe una efficacia addirittura dell’8% sugli anziani over 65. L’azienda ha subito risposto che tali affermazioni “sono completamente sbagliate” ed ha aggiunto: “a novembre, abbiamo pubblicato dati su "The Lancet" che dimostrano che gli anziani hanno mostrato forti risposte immunitarie al vaccino con il 100% che produceva anticorpi specifici contro la proteina Spike del Coronavirus, Sars-Cov2 dopo la seconda dose”. La notizia pubblicata è talmente incredibile che si stenta a credere che due giornali ritenuti seri possano averla stampata. Ma perché, allora ci chiediamo, questi tabloid tedeschi, anche autorevoli, dopo quelli americani che hanno lanciato attacchi forsennati contro Astrazeneca, continuano ad attaccare e sollevare dubbi sull’efficacia del vaccino dell’azienda anglo-svedese? Perché tanto livore su un siero che ormai è già stato approvato in molti stati come Inghilterra e India ed è stato inoculato a milioni di persone senza evidenziare alcun effetto collaterale degno di nota e su cui, ormai, sono in arrivo non dati sperimentali, ma report di grandi campagne vaccinali? Perché un trattamento tanto acrimonioso, astioso e malevolo da parte della stampa americana e tedesca? Dagospia si è fatti un’idea. Sbagliata forse, ma è la nostra idea maturata dopo una serie di riflessioni su fatti concreti. La colpa di Astrazeneca non è quella di avere fatto errori nella procedura della sperimentazione clinica. Tutte le menate sulla mezza dose, la dose intera e le altre amenità criticate dalla stampa americana e tedesca sono il dito che indica la luna. Astrazeneca non è una startup di ragazzini speranzosi, ma una multinazionale con centinaia di testi clinici all’attivo. L’idea che ci passa nel cervello, quindi, è che l’errore vero di Astrazeneca sia stato solo di aver fissato un prezzo di € 2,80 a dose, importo che sovvertiva il mercato del farmaco occidentale. Che i russi e i cinesi vendessero il vaccino a pochi euro e usassero quell’arma per aumentare la loro influenza politica nelle aree povere del pianeta era ed è una cosa scontata e quindi accettabile e accettata dai potenti del mondo occidentale. Ma che nelle due aree ricche del mondo, USA ed Europa, una multinazionale farmaceutica rompesse le regole del mercato in nome di una convinzione etica, danneggiando gli interessi di chi sul pianeta può ciò che vuole, era ed è una cosa intollerabile. Prima riflessione: quali governanti occidentali avrebbero potuto comprare una sola dose del vaccino di Pfizer (americana)–Biontech (tedesca), con un prezzo di 15/20 euro a dose ed una logistica pazzesca, se fosse arrivato sul mercato prima o contemporaneamente al loro vaccino quello di Astrazeneca che costa € 2,80 a dose e si può distribuire in farmacia come l’antinfluenzale? I cittadini li avrebbero inseguiti con i forconi, perché stiamo parlando per un miliardo di dosi di un costo di 15/20 miliardi di euro all’anno contro 2,8 miliardi. Un sovrapprezzo di una quindicina di miliardi, (ripetiamo, miliardi) di euro. (Praticamente il costo di una finanziaria di uno stato ricco). Oltretutto, Pfizer e Biontech hanno il passaporto della prima potenza economica e militare del mondo e della potenza padrona dell’Europa. Astrazeneca invece è protetta da quel sovranista trumpiano, brutto sporco e cattivo, di Boris Johnson che è fuori dell’Europa ed ha perso il grande alleato che doveva accompagnarlo ad una Brexit felice, sostituito dall’amministrazione Biden di tutt’altro umore nei suoi confronti. Ma hanno dimenticato che Boris Johnson è stato il primo a credere nel vaccino che stavano sviluppando l’Università di Oxford insieme all’italiana IRBM di Pomezia. A febbraio 2020 il governo inglese ha finanziato la ricerca ed a maggio ha firmato il contratto con Astrazeneca, (a cui era stato conferito il ruolo di produrre e distribuire il vaccino su scala globale), per una fornitura di 100 milioni di dosi prodotte in laboratori inglesi che il governo stesso aveva subito riunito in Consorzio. L’unione europea si è svegliata solo ad agosto 2020 quando ha visto che Astrazeneca era vicina alla conclusione della sperimentazione clinica di Fase 3 con almeno tre mesi di vantaggio su tutti i concorrenti. E qui casca l’asino. Infatti, se già era intollerabile che nei libri di storia piantasse la bandierina del primo vaccino anticovid una multinazionale inglese e non una americana, sicuramente sarà apparso troppo, troppo “irritante” che questo vaccino costasse 2,80 euro a dose. E, guarda caso, subito è cominciata sui giornali americani e poi tedeschi la menata dell’efficacia più o meno giusta per gli anziani, i neonati e le fanciulle in fiore e poi la denuncia dei presunti errori nella sperimentazione, nella conferenza stampa di presentazione dei dati etc. etc., anche se ancora oggi l’unica multinazionale ad aver pubblicato i dati di Fase 3 su una rivista scientifica di primordine come ‘’Lancet’’ è proprio Astrazeneca. Ma nel frattempo è cominciato lo stillicidio delle interviste, delle dichiarazioni e degli annunci di “fonti autorevoli” che distillavano dubbi, sospetti e supposizioni sul vaccino di Oxford. Il tutto prontamente ripreso e amplificato da giornali e TV e fatto proprio dall’esercito di professori, veri o finti, virologi, epidemiologi, microbiologi, infermieri e portantini che in emozionate interviste parlavano e parlano, parlano, parlano e affermano la qualunque, ovviamente spesso riprendendo, (forse talvolta su commissione), i dubbi sull’efficacia del vaccino Astrazeneca. E quindi l’obiettivo di lorsignori è stato raggiunto. Il virus del dubbio è stato inoculato nelle coronarie del sistema informativo occidentale. Ma, all’improvviso, solo dopo che Pfizer/Biontech avevano fatto il pieno di ordini d’acquisto a 15/20 euro a dose, olé!, l’Europa si è ricordata che c’era il vaccino di Astrazeneca: il processo di autorizzazione quindi è stato finalmente velocizzato, cominciando la pantomima della faccia feroce con la multinazionale in nome della tutela dell’interesse alla salute dei cittadini europei. Alla Commissione europea hanno dimenticato che a febbraio e maggio 2020, mentre il governo inglese pagava la ricerca del vaccino A2D1222, loro dormivano, ovviamente senza ricordarsi del vero e proprio boicottaggio che Astrazeneca ha subito e continua a subire da sei mesi, pur potendo il vaccino essere approvato a ottobre scorso con ovvia accelerazione della produzione. E poi ci scandalizziamo delle cose assurde che accadono nei regimi dittatoriali nella convinzione che certe cose nelle democrazie occidentali non possano accadere. E allora la conclusione che ci scappa è una sola: approvate questo vaccino sperando che arrivi prima possibile in farmacia e per cortesia piantatela con le fake sull’efficacia 8% o 80% o 100%. I cittadini non sono stupidi. E se verrà approvato con la limitazione delle persone over 65 tutti sapremo il perché c’è quel detto: “follow the money”.

Nelle mani del vaccino. Report Rai PUNTATA DEL 25/01/2021 di Manuele Bonaccorsi, Lorenzo Vendemiale, consulenza Ludovica Jona, collaborazione Marzia Amico. Il vaccino ci porterà definitivamente fuori dalla pandemia? Dai test svolti dalle case farmaceutiche emerge un’elevata sicurezza ed efficacia, ma non si sa se permetterà di interrompere la trasmissione del virus. Infatti, nonostante ogni giorno nel mondo vengano effettuati milioni di tamponi, proprio per intercettare gli asintomatici, i volontari dei trial clinici sono stati testati solo in caso di sintomi. La conseguenza? Non sappiamo se il vaccino ci protegga solo dalla malattia o anche dall’infezione e quindi se potremo raggiungere l’immunità di gregge. Con testimonianze dei volontari e interviste ai massimi esperti americani ed europei che hanno valutato i vaccini, l’inchiesta racconterà come sono avvenuti i trial di Pfizer e Moderna, e quale impatto il vaccino potrà avere nella lotta contro l’epidemia. Report, inoltre, in collaborazione col collettivo di giornalisti investigativi Behind the Pledge, svelerà in esclusiva i cosiddetti “EmaLeaks”, mail e documenti interni da cui emergono le pressioni politiche sull’Agenzia europea del farmaco per accelerare il processo di autorizzazione. Pressioni avvenute proprio mentre i commissari dell’Ema riscontravano alcuni problemi nella produzione del vaccino Pfizer. - Il contratto firmato dalla commissione europea con la compagnia tedesca Curevac per l’acquisto di 225 milioni di dosi di vaccino. Il prezzo non è visibile, perché cancellato insieme a tutte le altre informazioni sensibili.

NELLE MANI DEL VACCINO di Manuele Bonaccorsi – Lorenzo Vendemiale Consulenza Ludovica Jona Collaborazione Marzia Amico Immagini Matteo Delbò – Fabio Martinelli Montaggio Lorenzo Sellari Grafica Giorgio Vallati.

CLIP MANUELE BONACCORSI FUORI CAMPO I vaccini attualmente disponibili bloccheranno solo la malattia o anche il contagio? E quanto durerà la protezione? In Belgio c'è chi sta lavorando a una soluzione che potrebbe essere definitiva. L’università di Leuven punta a un vaccino che sia d’aiuto in tutte le parti del mondo, e che magari duri per sempre.

JOHAN NEYTS – PROFESSORE VIROLOGIA UNIVERSITÀ DI LEUVEN - BELGIO Il nostro candidato vaccino è unico, si basa su quello contro la febbre gialla, con cui sono già state vaccinate 800 milioni di persone. Con una sola iniezione, saremo protetti da due malattie diverse, e per lungo tempo.

LORENZO VENDEMIALE Invece i vaccini che abbiamo oggi a disposizione che durata hanno?

JOHAN NEYTS – PROFESSORE VIROLOGIA UNIVERSITÀ DI LEUVEN - BELGIO Sembrano simili a quelli anti influenzali: chi si vaccinerà nel 2021, è probabile che debba ripeterlo nel 2022, e così via. Noi invece puntiamo all’immunità permanente, e a bloccare la trasmissione.

LORENZO VENDEMIALE Alle grandi compagnie, però, forse conviene di più un vaccino che necessita di due dosi ogni anno. E ai Paesi del terzo mondo?

JOHAN NEYTS – PROFESSORE VIROLOGIA UNIVERSITÀ DI LEUVEN - BELGIO I Big Pharma vogliono fare soldi ma il problema è più grande che contenere il Covid nel mondo occidentale. Ci vuole un vaccino che sia utilizzabile in tutto il pianeta, altrimenti il virus potrebbe ritornarci come un boomerang MANUELE BONACCORSI FUORI CAMPO I ricercatori di Leuven non si concentrano solo sul vaccino, ma anche su un obiettivo altrettanto importante, trovare un farmaco anti Covid.

JOHAN NEYTS – PROFESSORE VIROLOGIA UNIVERSITÀ DI LEUVEN - BELGIO Pensate a quello che è successo a Bergamo all’inizio dell’epidemia, a quanto avrebbe fatto la differenza averne uno a disposizione. Abbiamo bisogno di un farmaco specifico contro la famiglia del Coronavirus, che è molto ampia. Potrebbe esserci una mutazione immune al vaccino, o magari la prossima volta emergerà un virus più letale, o che colpirà i bambini, e noi non possiamo più farci trovare impreparati. ---

SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Ora passiamo ai vaccini con dei documenti inediti provenienti dagli Emaleaks, una fuga di notizie che testimonia il braccio di ferro tra governo, Ema, l’agenzia del farmaco, e le case farmaceutiche per l’approvazione del vaccino. I nostri Manuele Bonaccorsi e Lorenzo Vendemiale sono andati il 27 dicembre al Vaxine Day.

MANUELE BONACCORSI Chi prende il vaccino potrà continuare, volendo, a diffondere?

MATTEO BASSETTI – DIRETTORE MALATTIE INFETTIVE OSPEDALE SAN MARTINO GENOVA Al momento non abbiamo dati certi. Io mi auguro che prevenga anche l’infezione e quindi possa anche ridurre in qualche modo la trasmissione del virus.

MANUELE BONACCORSI FUORI CAMPO Ai pazienti che si fanno vaccinare viene consegnato un consenso informato. È questo. Al punto 4 è scritto: “Il vaccino non può essere somministrato alle donne in gravidanza e in fase di allattamento”. Eppure, secondo l’Aifa, l’agenzia del farmaco italiana, a farlo non ci sarebbe alcun problema.

NICOLA MAGRINI – DIRETTORE GENERALE AIFA La gravidanza e l’allattamento è chiaramente specificato che il vaccino può essere somministrato perché i benefici potenziali possono superare i rischi.

MANUELE BONACCORSI Come si spiega questa contraddizione?

MATTEO BASSETTI – DIRETTORE MALATTIE INFETTIVE OSPEDALE SAN MARTINO GENOVA Io credo che questa sarà una delle cose che andrebbero chiarite, io credo che le donne in gravidanza debbano rientrare tra le potenziali candidate.

MANUELE BONACCORSI Il consenso che avete firmato voi da dove vi proviene, l’avete scritto voi?

MATTEO BASSETTI – DIRETTORE MALATTIE INFETTIVE OSPEDALE SAN MARTINO GENOVA Il consenso credo che venga dal ministero.

MANUELE BONACCORSI FUORI CAMPO Poi c’è la terza posizione, quella dell’Oms. Il vaccino Pfizer in caso di gravidanza va dato solo alle donne a maggior rischio, come le operatrici sanitarie. Nei trial non ci sono dati sufficienti e così Pfizer nel suo foglietto illustrativo, lo sconsiglia.

MANUELE BONACCORSI Questo è il modulo di consenso informato che ho visto nel Vaccine day.

NICOLA MAGRINI – DIRETTORE GENERALE AIFA E’ stato cambiato prontamente dopo che sia sul sito Aifa che l’Agenzia europea hanno ribadito che non è una controindicazione.

MANUELE BONACCORSI L’Oms, però, raccomanda di non usare il vaccino nelle donne incinta, mi sembra una posizione diversa o non capisco io?

NICOLA MAGRINI – DIRETTORE GENERALE AIFA Aifa dice esattamente la stessa cosa dell’Oms. La vaccinazione con i vaccini mRna non è una controindicazione. Noi quando andremo alle vaccinazioni di massa io penso che le vaccineremo tutte a copertura, anche quelle che non sono operatori sanitari.

MANUELE BONACCORSI FUORI CAMPO Altra questione che non è risolta riguarda i minori. Il vaccino di Moderna può essere somministrato solo dai 18 anni in su, quello di Pfizer già dai 16. Su questo, all’interno dell’Fda, l’agenzia che ha approvato il vaccino negli Stati Uniti, non tutti erano d’accordo.

CODY MEISSNER – COMMISSIONE FDA - USA Mi sono astenuto perché nei trials c’erano solo 80 ragazzi fra i 16 e i 18 anni che hanno ricevuto il vaccino. Non sentivo ci fossero dati sufficienti per giustificare la somministrazione a milioni di ragazzi.

MANUELE BONACCORSI FUORI CAMPO Pfizer ha annunciato di aver iniziato solo adesso i test sugli adolescenti. È una questione fondamentale a quanto ci dice un altro membro dell’FDA.

ARCHANA CHATTERJEE – COMMISSIONE FDA - USA Io sono una pediatra, e posso dire che i bambini non sembrano molto colpiti dalla malattia ma sono decisamente coinvolti nella trasmissione del virus. Per raggiungere l’immunità di massa, di cui tutti parlano, bisogna vaccinare il 70-75% della popolazione. Considerando che i bambini sono circa il 30%, se li lasciamo fuori, bisognerebbe vaccinare l’intera popolazione adulta, cosa che è impossibile.

LORENZO VENDEMIALE È un problema anche per la riapertura delle scuole.

ARCHANA CHATTERJEE – COMMISSIONE FDA - USA In tutto il mondo l’istruzione ha sofferto un duro colpo perché non si sa come contenere la diffusione del virus nelle scuole. È fondamentale raccogliere dati sufficienti per vaccinare anche i bambini.

MANUELE BONACCORSI FUORI CAMPO Proprio la diffusione del contagio favorisce le mutazioni del virus: l’ultima è quella francese, che si aggiunge alle varianti sudafricana, brasiliana e del Regno Unito, che ha un alto grado di mortalità, ha ammesso Boris Johnson pochi giorni fa. MANUELE BONACCORSI Il fatto che il vaccino non produca immunità e che quindi il virus possa continuare a girare, può aumentare la possibilità di mutazione?

ANDREA CRISANTI - PROFESSORE MICROBIOLOGIA UNIVERSITA’ DI PADOVA Sì, perché il virus potrebbe continuare a circolare. L’epidemia è iniziata con un virus che noi chiamiamo variante di Wuhan, questo virus è stato soppiantato completamente da un’altra variante, che aveva un R0 leggermente più elevato. La variante inglese sembra avere un R0 più elevato e questa è la ragione per cui ha soppiantato la variante originale. Il virus può mutare e in qualche modo eludere la capacità del vaccino di neutralizzarlo. Però più noi diminuiamo la probabilità di contatto e meno il virus muta. Bisognerebbe fare un bel lockdown di 4-6 settimane per abbattere la trasmissione e vaccinare tutti il prima possibile perché anche nel caso in cui emergesse una mutazione resistente al vaccino, non sarebbe in grado di diffondersi.

SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Per fortuna i vaccini sembrano fare effetto su queste varianti. C’è ancora da testare quella brasiliana e quella sudafricana ma la sensazione è questa. E poi, non è detto che la variante sia necessariamente peggiorativa. Tornando al fatto invece del problema del contagio tra chi si è vaccinato, se mancano i dati, anche tra i bambini, come hanno detto coloro che quel vaccino lo hanno approvato, i membri dell’FDI, un perché c’è. Allora, andando a guardare dentro i dati: Pfizer il vaccino l’ha testato su 40 mila persone, la metà ha usato, per la metà il placebo. Ora, su 20 mila effettivamente vaccinati, non sappiamo quanti sono stati effettivamente contagiati, sappiamo, però, che hanno contratto il Covid solo otto persone, quello sintomatico. Mentre invece tra i restanti 20 mila a cui è stato iniettato il placebo, ci sono stati 162 casi di Covid con sintomi. Mentre per il caso del vaccino Moderna su 30 mila testati, anche qua la metà sono stati testati con il placebo, si sono registrati su 15 mila effettivamente vaccinati solo cinque casi che hanno contratto il virus. Anche qui, non sappiamo in quanti si sono contagiati di quelli vaccinati. Mentre quelli che sono stati trattati con il placebo in 90 hanno contratto il virus con sintomi. Questo che significa, significa che i vaccini sono sicuri, affidabili, non hanno importanti reazioni avverse, almeno per quello che sappiamo in questo momento. Ma come sono stati fatti i trial? È stata, probabilmente, un’occasione persa. Ora, noi siamo andati a vedere come li ha condotti l’unico paese europeo autorizzato a collaborare con gli studi.

LARS POHLMEIER – MEDICO DI BASE BREMA - GERMANIA Benvenuti, sono Lars Pohlmeier. Questo è il mio studio di medicina di base, ma facciamo anche ricerca clinica per il vaccino Pfizer BionTech. Prego, mi segua. Qui c’è il vaccino, conservato a -70. Devo chiudere velocemente perché la temperatura cala. La catena del freddo deve essere preservata. Ora mi scusi, devo andare nello studio.

MANUELE BONACCORSI FUORI CAMPO È un sabato pomeriggio, ma il dottor Pohlmeier continua a ricevere i volontari del trial.

LARS POHLMEIER – MEDICO DI BASE BREMA - GERMANIA Lei a inizio dicembre ha avuto un forte mal di gola e oggi c’è la visita di controllo. Quando è passato il mal di gola?

UTE DREYER – VOLONTARIA TRIAL PFIZER-BIONTECH Cinque giorni dopo. Poi lei mi ha fatto il tampone e dopo un paio di giorni mi è arrivato l’esito negativo.

LARS POHLMEIER – MEDICO DI BASE BREMA - GERMANIA Ok, inserisco nel sistema i suoi dati che saranno disponibili a livello mondiale per tutti coloro che lavorano a questo studio. Allora, possiamo andare in laboratorio.

MANUELE BONACCORSI Certo che la vostra salute la controllano spesso. Chissà quanti tamponi ha fatto durante i trial.

UTE DREYER – VOLONTARIA TRIAL PFIZER-BIONTECH No, solo un’altra volta, il giorno prima dell’iniezione.

MANUELE BONACCORSI FUORI CAMPO Anche Reinhard Schmidt, 60 anni, paziente del dottor Polmeir, è un volontario del trial Pfizer BionTech. MANUELE BONACCORSI Dopo aver fatto l’iniezione lei ha fatto dei tamponi?

REINHARD SCHMIDT – VOLONTARIO TRIAL PFIZER-BIONTECH Prima della puntura mi è stato fatto un tampone ma non conosco il risultato. Poi nient‘altro.

MANUELE BONACCORSI Scusi dottore, ma ai volontari viene fatto il tampone solo se hanno dei sintomi?

LARS POHLMEIER – MEDICO DI BASE BREMA - GERMANIA I pazienti hanno ricevuto l’indicazione di contattarci solo qualora si presentasse un sintomo di Covid-19. Non viene fatto un tampone di routine, e quindi non possiamo stabilire se le persone vaccinate trasmettano o meno il virus, pur senza ammalarsi. MANUELE BONACCORSI Come mai non si è fatta un’analisi di questo tipo, che pure è importante all’interno di una pandemia.

LARS POHLMEIER – MEDICO DI BASE BREMA - GERMANIA Questa domanda la deve rivolgere a Pfizer, che ha dettato i parametri di questo studio.

MANUELE BONACCORSI FUORI CAMPO E lo stesso è accaduto nei trial per il vaccino Moderna. La sperimentazione si è svolta negli Usa. Lei è Lindy Washburn, volontaria del New Jersey.

LINDY WASHBURN – VOLONTARIA TRIAL MODERNA Mi hanno fatto la prima dose a settembre, ed ero convinta di aver ricevuto il placebo, poi ho ricevuto la seconda. Mi sentivo stanca, la sera ho misurato la temperatura e avevo quasi 38.

 MANUELE BONACCORSI E a quel punto le hanno fatto il tampone?

LINDY WASHBURN – VOLONTARIA TRIAL MODERNA No, perché poteva essere la reazione al vaccino. Dopo la seconda dose mi avevano detto che avrei potuto avere dei sintomi e che non c’era nulla di cui preoccuparsi.

PETER DOSHI – PROFESSORE SERVIZI FARMACEUTI UNIVERSITÀ DEL MARYLAND - USA Nei trial, cioè, succede l’esatto opposto di quanto accade nella vita reale, dove le persone vengono costantemente testate.

MANUELE BONACCORSI FUORI CAMPO Peter Doshi, professore all’Università del Maryland, è uno tra i massimi esperti mondiali di trial clinici. Ha studiato quelli dei vaccini Pfizer e Moderna e su questi ha sollevato quesiti importanti come quello sugli asintomatici, che non sono inclusi tra i casi su cui è stata calcolata l’efficacia.

PETER DOSHI – PROFESSORE SERVIZI FARMACEUTI UNIVERSITÀ DEL MARYLAND - USA I vaccini hanno il 95% di efficacia, ma questo si riferisce a un aspetto molto specifico: è la riduzione dei casi sintomatici, che hanno avuto un tampone positivo. Non è una riduzione del 95% delle infezioni. I test non sono stati concepiti per rilevare questo.

MANUELE BONACCORSI FUORI CAMPO Cioè, i vaccinati sono immuni dalla malattia, ma potrebbero essere portatori di virus e a loro volta trasmetterlo. MANUELE BONACCORSI Se la situazione è questa vuol dire che il virus…

ANDREA CRISANTI – PROFESSORE MICROBIOLOGIA UNIVERSITÀ DI PADOVA Potrebbe anche circolare in presenza del vaccino, certo.

MANUELE BONACCORSI Continuerebbe a girare.

ANDREA CRISANTI – PROFESSORE MICROBIOLOGIA UNIVERSITÀ DI PADOVA Potrebbe, non lo sa nessuno questo ancora però, bisogna essere onesti.

MANUELE BONACCORSI Quindi, se fosse così, noi con una vaccinazione anche molto ampia non produrremmo l’effetto di eradicare il virus, di farlo sparire.

ANDREA CRISANTI – PROFESSORE MICROBIOLOGIA UNIVERSITÀ DI PADOVA Ma, guardi, l’eradicazione del virus è un obiettivo molto ambizioso e che fino a ora è stato raggiunto soltanto con quello del vaiolo.

NICOLA MAGRINI – DIRETTORE GENERALE AIFA Se mi dice: è automatico che vaccinati tutti c’è l’immunità di gregge e non circolerà più, le dico di no, che non è automatico.

PETER DOSHI – PROFESSORE SERVIZI FARMACEUTI UNIVERSITÀ DEL MARYLAND - USA Credo che molte persone faranno il vaccino con l’idea che non lo stanno facendo per se stesse, ma per gli altri, per la collettività. Il problema, però, è che quest’idea si basa sulla capacità del vaccino di prevenire l’infezione e fermare la trasmissione del virus. Potrebbe essere, ma al momento semplicemente non sappiamo se sarà così.

MANUELE BONACCORSI FUORI CAMPO Queste domande potrebbero rimanere senza risposta anche in futuro, perché con le campagne di vaccinazione avviate c’è il rischio di non avere più i dati di controllo del gruppo placebo.

LINDY WASHBURN – VOLONTARIA TRIAL MODERNA Ora che lo studio è completo, io voglio il vaccino. Mi faranno altri esami e se ero nel gruppo placebo, mi daranno subito il vaccino, perché i volontari possono saltare la coda.

PETER DOSHI – PROFESSORE SERVIZI FARMACEUTI UNIVERSITÀ DEL MARYLAND - USA Se perdiamo il gruppo placebo, perderemo la possibilità di verificare, sul lungo periodo, il vaccino in termini di efficacia ed eventi avversi. Ciò di cui noi adesso abbiamo bisogno è un programma di farmacovigilanza molto forte.

MANUELE BONACCORSI FUORI CAMPO La farmacovigilanza è lo studio che le autorità sanitarie fanno sui farmaci dopo averli immessi in commercio. Ma l’Aifa, l’agenzia italiana, questo studio sugli asintomatici non lo sta facendo.

MANUELE BONACCORSI Si capirà anche se il vaccino previene i casi asintomatici?

NICOLA MAGRINI – DIRETTORE GENERALE AIFA Sì, no, questo per studiarlo dobbiamo tornare a fare i tamponi e non penso che metteremo su un sistema di verifica coi tamponi sui vaccinati.

MANUELE BONACCORSI FUORI CAMPO In attesa di nuove ricerche realizzate dalle aziende che ci dicano se il vaccino impedisca non solo di ammalarsi ma anche di infettarsi in assenza di sintomi, sugli asintomatici sono disponibili per ora solo dati molto parziali, ricavati all’interno dei trial di Moderna, come ci rivela la commissaria dell’FDA Chatterje.

ARCHANA CHATTERJEE – COMMISSIONE FDA - USA Oltre ai casi positivi hanno cercato gli asintomatici in un gruppo ristretto di volontari: ne hanno trovati 38 fra chi ha ricevuto il placebo e di meno, 14, fra chi ha ricevuto il vaccino. Sono numeri molto piccoli, ma sembra che ci sia comunque una certa protezione.

LORENZO VENDEMIALE Così, però, la percentuale di efficacia sarebbe molto più bassa del 95%.

ARCHANA CHATTERJEE – COMMISSIONE FDA - USA Sì, se fate i calcoli, è così.

MANUELE BONACCORSI FUORI CAMPO Insomma, se i trial avessero cercato anche gli asintomatici, il risultato di efficacia sarebbe stato inferiore rispetto al 95% dichiarato trionfalmente dall’azienda a novembre. Neppure l’Ema, l’agenzia europea che ha il compito di approvare i vaccini, ha chiesto di fare i tamponi a tutti i volontari.

GUIDO RASI - DIRETTORE EMA 2015-2020 Beh, come prima fase era importante sapere se avevamo uno strumento per proteggerci e diventare immuni o no.

MANUELE BONACCORSI Sarebbe bastato fare ogni settimana un tampone a tutti i partecipanti al trial. Parliamo di un virus che per l'80% dei casi è asintomatico, quindi.

GUIDO RASI - DIRETTORE EMA 2015-2020 Giustamente, ha centrato, ma non è possibile proprio farlo o perlomeno allunga i tempi in maniera mostruosa.

MANUELE BONACCORSI Quindi nulla esclude che io possa infettarmi col virus, e a mia volta trasmetterlo.

GUIDO RASI - DIRETTORE EMA 2015-2020 Non lo esclude, è giusto. Ma in questo momento non abbiamo questa risposta.

MANUELE BONACCORSI E non era possibile andare a cercare questa informazione nel trial? Era tecnicamente impossibile? GUIDO RASI - DIRETTORE EMA 2015-2020 Ah! Con il senno del poi, col senno del poi forse sì ma col senno di poi siamo tutti campioni del mondo.

MANUELE BONACCORSI FUORI CAMPO Ma in base a quali criteri è stato scelto di fare una tipologia di trial rispetto all’altra?

PETER DOSHI – PROFESSORE SERVIZI FARMACEUTI UNIVERSITÀ DEL MARYLAND - USA Quando si è trattato di stabilire come strutturare i trial, il regolatore ha dato due opzioni alle aziende: provare una riduzione dell’infezione dal Covid, o una riduzione dalla malattia del Covid. Tutte le compagnie hanno scelto la seconda. MANUELE BONACCORSI Perché hanno fatto questa scelta?

PETER DOSHI – PROFESSORE SERVIZI FARMACEUTI UNIVERSITÀ DEL MARYLAND - USA Bé, per una risposta ufficiale dovreste chiedere alle aziende.

MANUELE BONACCORSI FUORI CAMPO La risposta l’ha già data il capo del dipartimento medico di Moderna, Tal Zaks, in una dichiarazione rilasciata al British Medical Journal: “E’ una questione di tempo. E ovviamente di soldi”.

TAL ZAKS - CAPO DIPARTIMENTO MEDICO MODERNA I nostri test non dimostreranno la prevenzione dalla trasmissione, perché per farlo dovresti fare tamponi due volte la settimana a un sacco di gente per un lungo periodo, e questo sarebbe insostenibile. Stiamo parlando già di un trial piuttosto grande, da 30mila persone. Se volete un trial da 300mila persone, bisogna chiedere a chi ci mette i soldi, perché ce ne vogliono dieci volte di più.

MANUELE BONACCORSI FUORI CAMPO Moderna è stata finanziata con 1,9 miliardi di dollari dal governo americano. Mentre BionTech ha ricevuto 300 milioni di euro da quello tedesco. Come sono stati spesi questi soldi?

MARC BOTENGA – EUROPARLAMENTARE SUE-SVN Quello che mi dà molto fastidio è che l’Unione europea abbia dato così tanti soldi, miliardi di euro, all’industria farmaceutica, senza nemmeno chiedere trasparenza su quanto costasse cosa. Per il vaccino della Pfizer è uscito che pagheremo a dose 15,50 euro. Il prezzo garantirebbe alla Pfizer delle entrate di più o meno 20 miliardi per l’anno prossimo.

MANUELE BONACCORSI FUORI CAMPO L’annuncio di una efficacia sui sintomatici del 95%, avvenuto il 9 novembre, ha prodotto ulteriori guadagni finanziari per le case farmaceutiche.

VALERIO BASELLI – MORNINGSTAR Pfizer è salita fino al 15%, poi ha chiuso a +8%. BionTech è salita del 14%. Una cosa interessante da notare è che il titolo Pfizer, in realtà, poi è tornato ai valori preannuncio nel giro di una settimana. Il 9 novembre il Ceo di Pfizer, Alberto Bourla, vende quasi il 60% delle sue partecipazioni in Pfizer per un totale di 5,6 milioni di dollari.

SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Anche i dirigenti di Moderna hanno venduto i loro pacchetti azionari e hanno avuto il loro bell’incasso, 284 milioni di dollari. Solamente il Ceo, Stephane Bancel, ha incassato 81 milioni di dollari. Ecco, Moderna e Pfizer hanno incassato, per sviluppare la ricerca e la produzione, miliardi di dollari, tuttavia non ci hanno dato le risposte a delle domande importanti. Tutti gli scienziati del mondo hanno identificato la pericolosità di questo virus nella sua capacità di trasmettersi anche attraverso gli asintomatici, che sono l’80%, ma non hanno raccolto dei dati su questo aspetto. Ecco, e questo provoca un rischio: c’è chi si vaccina convinto di proteggere oltre che se stesso soprattutto le persone più fragili e questo invece non sappiamo se avviene. Quindi, è consigliabile anche se si è fatto il vaccino di continuare a utilizzare le mascherine e mantenere il distanziamento sociale. Se non abbiamo però delle risposte sulla trasmettibilità del contagio da parte di chi si è vaccinato c’è un perché e la risposta ce l’ha data il responsabile del dipartimento medico di Moderna, Tal Zaks: i nostri test – dice – non dimostreranno la prevenzione dalla trasmissione, perché per farlo bisognerebbe fare due tamponi. Insomma, abbiamo capito che avrebbero dovuto spendere di più e forse far passare un po’ più di tempo. Evidentemente non gli bastano i soldi che hanno incassato fino ad adesso e quelli che incasseranno in futuro. E ora, gli Emaleaks, documenti riservati che testimoniano il braccio di ferro tra governi, Ema, agenzia del farmaco, e le case farmaceutiche per approvare il vaccino.

CODY MEISSNER – COMMISSIONE FDA - USA Per approvare un vaccino ci possono volere anche dieci anni. Ma questa è una situazione unica, dovevamo bilanciare due esigenze: la sicurezza, ma anche la necessità di avere un vaccino, perché tanta gente sta morendo, qui negli Stati Uniti come da voi in Italia.

MANUELE BONACCORSI FUORI CAMPO Mai prima del Covid un vaccino era stato scoperto e approvato in così breve tempo, 11 mesi. In Europa, l’approvazione è compito dell’agenzia Ema, che è indipendente dalla politica. Ma come dice il mediatore europeo le pressioni ci sono state.

EMILY O'REILLY – OMBUDSMAN - MEDIATORE EUROPEO L’Ema non ha mai dovuto affrontare una sfida così dura. C’è una grande pressione affinché l’approvazione sia data rapidamente.

LORENZO VENDEMIALE Pressioni da chi?

 EMILY O'REILLY –OMBUDSMAN - MEDIATORE EUROPEO Bè, tutti possono sentire la pressione politica che c’è.

MANUELE BONACCORSI FUORI CAMPO Ma secondo Guido Rasi, microbiologo a RomaTre e fino allo scorso novembre direttore generale dell’Ema, l’agenzia sarebbe impermeabile alle pressioni della politica.

GUIDO RASI - DIRETTORE EMA 2015-2020 All’Ema non gliene può importare di meno e l'ha visto, l’ha visto dai risultati.

MANUELE BONACCORSI L’Ema non ci casca ma gli stati ci provano.

GUIDO RASI - DIRETTORE EMA 2015-2020 Ci provano! Ma le faccio un esempio. Mi telefona il ministro o il capo di un'agenzia per conto del ministro e mi dice: cosa si può fare? Chiaro che c'è una grossa pressione emotiva lì dietro.

MANUELE BONACCORSI FUORI CAMPO Negli Usa, Trump è stato duramente criticato per le sue pressioni nei confronti dei regolatori. Ma in Europa è andata molto diversamente? Report, insieme al collettivo di giornalismo investigativo “Behind the pladge”, è in grado di svelare i documenti segreti dell’EmaLeaks. In alcune mail interne il numero due dell’Ema Noel Wathion commenta le pressioni subite dalla Commissione per accelerare l’autorizzazione MAIL - 19 novembre “Atmosfera tesa, a tratti sgradevole. Ci ha dato un assaggio di cosa l’EMA si può aspettare se tradirà le aspettative. Almeno ora ci è chiaro quello che non sarebbe accettato dalla Commissione: un ritardo di diverse settimane rispetto all’autorizzazione dell’Fda americana o dell’autorità britannica”.

MANUELE BONACCORSI FUORI CAMPO Proprio il 19 novembre la presidente della Commissione europea, Ursula Von der Leyen, aveva rilasciato questa dichiarazione:

URSULA VON DER LEYEN – PRESIDENTE COMMISSIONE UE Un’autorizzazione per BionTech e Moderna potrebbe arrivare nella seconda metà di dicembre.

MANUELE BONACCORSI FUORI CAMPO Questa dichiarazione irrita i dirigenti dell’agenzia del farmaco impegnati nelle verifiche MAIL - 20 novembre Ora lei ha identificato due vaccini che potrebbero essere approvati prima della fine dell’anno mentre ci sono ancora problemi con entrambi! Ora dobbiamo capire se tutto questo può essere risolto in tempo, senza compromettere la solidità del processo di approvazione!”.

MANUELE BONACCORSI FUORI CAMPO E delle pressioni della Commissione Ue in quelle settimane ci parla ancora più esplicitamente una dirigente dell’Agenzia europea del farmaco DIRIGENTE EMA Avevamo un incontro settimanale con la commissione. Ci chiedevano di velocizzare. Si sbagliavano, perché noi dovevamo verificare la qualità della produzione delle dosi per 500 milioni di persone, in modo che ogni fiala, dalla Finlandia a Cipro, avesse le stesse caratteristiche. Meglio ritardare 20 giorni rispetto all’Fda che correre rischi. Il problema erano gli Stati membri: Francia, Danimarca, Spagna e Ungheria, che minacciavano di autorizzare in autonomia il vaccino. La Commissione subiva la loro pressione e la scaricava su noi.

MANUELE BONACCORSI FUORI CAMPO La Commissione, cioè, chiede di velocizzare il più possibile la decisione finale, o gli stati potrebbero scavalcare l’agenzia. L’Ema è preoccupata: non vuole essere esautorata anche perché, in quelle settimane così concitate, sono in corso verifiche delicate e minuziose. In una mail del 23 novembre, i tecnici dell’Ema evidenziano un problema nella produzione Pfizer. MAIL - 23 novembre Una differenza significativa nella percentuale di integrità dell’mRna è stata osservata tra i lotti dei test (78%) e i lotti commerciali (55%). Impatto. Le potenziali conseguenze della perdita di integrità, sia in termini di sicurezza che di efficacia, deve ancora essere definita. Se questo sarà o meno un motivo di stop, dipenderà dalla rilevanza di queste osservazioni.

DIRIGENTE EMA Il problema era nato nel passaggio alla produzione di massa. Eravamo pronti a chiedere un nuovo studio e nuovi dati su questo problema. Ma sarebbero passati almeno altri due mesi.

SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Cosa si intuisce, che l’Ema, pressata da una parte dai governi che gli chiedevano di fare più in fretta e dalle case farmaceutiche ha mantenuto la schiena dritta. Ha subito delle pressioni anche quando Pfizer aveva presentato una serie di lotti di vaccino da destinarsi al commercio con una qualità più bassa rispetto a quelli con cui aveva fatto i test. Pfizer ci scrive che comunque il problema, ci assicurano tutti, sia Ema che Pfizer, è stato risolto inoltre Pfizer ci scrive che tutti i lotti sono testati da un laboratorio indipendente e che addirittura il vaccino è testato ben due volte prima di essere messo in commercio. Nel corso della nostra inchiesta il nostro Manuele Bonaccorsi e Lorenzo Vendemiale hanno anche raccolto informazioni sulla strategia di quel furbacchione di Ceo di Pfizer, Bourla, che giocava un po’ su due tavoli, no: andava da Ema e gli diceva guarda che c’è l’Fda che sta per approvare il nostro vaccino e viceversa. Forse aveva fretta di far approvare il vaccino per andare in borsa e capitalizzare dalla vendita delle sue azioni. Poi che cosa è successo, che ora dobbiamo aspettare i vaccini promessi da Pfizer, questo perché avevamo puntato sul cavallo che è più in ritardo, Astrazeneca, il vaccino fatto dall’Università di Oxford in collaborazione con l’Irbm di Pomezia del nostro Pietro Di Lorenzo di cui abbiamo anche già parlato. Ha il pregio di costare meno, 6 euro il trattamento completo circa rispetto ai 30 della Pfizer, però è in attesa ancora di approvazione. Perché bisogna fare chiarezza su alcuni dati: intanto, ha testato poco gli over settantenni, solo il 4%, poi ha subito uno stop da parte dell’Fda negli Stati Uniti perché vogliono vederci chiaro su come sono stati condotti i trial, vogliono vederci chiaro soprattutto sull’utilizzo della seconda dose, quella che completa il trattamento. Secondo Astrazeneca, basterebbe una mezza dose, se ne sono accorti per errore perché hanno iniettato sui volontari un quantitativo minore di vaccino. Però, è in attesa di approvazione tuttavia hanno già annunciato che consegneranno il 60% in meno di prodotto rispetto a quanto stabilito. Abbiamo capito che tutti hanno venduto la pelle dell’orso prima di averlo catturato. Sia Conte che Arcuri hanno minacciato azioni legali nei confronti delle case farmaceutiche però bisogna vedere se la spunteranno, perché bisognerebbe andare a vedere dentro i contratti. Ora, ne hanno pubblicato uno solo, quello di Curevac però pubblicato si fa per dire perché come potete vedere è pieno di omissis. Comunque, c’è una parte che è interessante, riguarda proprio la tempistica della consegna dei vaccini. C’è un punto dove viene scritto: “Le parti riconoscono che c’è il rischio che la tempistica per l’aumento della produzione possa subire un ritardo”. Ecco, se la cavano semplicemente informando del ritardo e stabilendo una nuova scadenza. Ecco, se fossero così tutti i contratti, crediamo che probabilmente le azioni legali di Arcuri e Conte non andranno a buon fine. Però, per saperlo bisognerebbe pubblicarli, massima trasparenza, e invece sono ancora tutti secretati. L’unica cosa che sappiamo è che se ci dovessero essere delle reazioni avverse, i danni li pagheranno gli stati. Ecco, insomma, paga Pantalone, come al solito. E ora altri documenti inediti, riguardano i verbali della task force di governo dove emerge un’imbarazzante sottovalutazione della pericolosità del virus.

BIONTECH, SERVONO ALTRI VACCINI, I NOSTRI NON BASTANO. Luca Mirone per l’ANSA il 2 gennaio 2021. La campagna di vaccinazione anti-Covid ha raggiunto finora quasi dieci milioni di persone in tutto il mondo, ma la strada sarà lunga e non priva di ostacoli. La Biontech ha avvertito che da sola non ce la farà a coprire la domanda ed ha chiesto all'Europa di approvare altri farmaci in fretta. La pandemia, del resto, non allenta la presa, tanto che l'Oms ha dato il via libera all'utilizzo del prodotto Pfizer in tutto il mondo per accelerare. Il mese di dicembre ha segnato la svolta nella lotta al coronavirus, con le prime dosi del vaccino prodotto dall'azienda farmaceutica tedesca Biontech, in collaborazione con l'americana Pfizer, inoculate nelle fasce più a rischio in Gran Bretagna, Nord America e Unione europea (ultima a iniziare, il 27). Mentre Russia e Cina stanno facendo da sole con i propri farmaci. Il problema, adesso, è che il peso della distribuzione è quasi tutto sulle spalle della Biontech, l'unica ad aver ricevuto il via libera in Ue, Usa e Canada. "La situazione non è buona", ha avvertito il capo del colosso tedesco Ugur Sahin, rilevando che si è "creato un vuoto perché mancano altri vaccini approvati e dobbiamo colmarlo con il nostro vaccino". Per questo Biontech punta a rendere operativo un nuovo impianto di produzione nella città tedesca di Marburg a febbraio, "molto prima del previsto", che dovrebbe essere in grado di sfornare altre 250 milioni di dosi nella prima metà del 2021. E c'è già un accordo con altre aziende per aumentare ulteriormente la produzione. La situazione è particolarmente complicata in Ue. La Commissione ha prenotato oltre 1 miliardo di dosi da 6 aziende farmaceutiche, ma al momento può contare solo su 300 milioni di fiale della Pfizer. Troppo poche per i 27 stati membri. Berlino ha esortato l'Ema ad approvare rapidamente anche il vaccino sviluppato da Oxford e AstraZeneca, seguendo l'esempio di Londra, ma i tempi restano incerti, perché l'agenzia europea del farmaco aspetta altri dati. I britannici invece hanno accelerato i tempi con un'autorizzazione "temporanea" ad AstraZeneca, imponendo all'azienda di presentare ogni aggiornamento e riservandosi il diritto di fare marcia indietro. Inoltre è previsto che il richiamo avvenga fino a 3 mesi dalla prima iniezione, per consentire di vaccinare il maggior numero di persone (già un milione ne hanno beneficiato). In questo modo il governo Johnson ha aggiunto un'importante freccia al suo arco, dotandosi di un prodotto più economico e più facile da gestire, che dovrebbe coprire l'intero fabbisogno della popolazione dell'isola. In Ue, al contrario, si procede con lentezza. La Germania, dove si registra la percentuale più alta di vaccinazioni (quasi 170mila), i medici si sono lamentati che il personale ospedaliero viene lasciato ad aspettare nonostante faccia parte dei gruppi prioritari. Anche in Francia si procede con il contagocce, tanto che il presidente Emmanuel Macron, nel discorso di fine anno, ha affermato che non accetterà "lentezze ingiustificate". In Italia i vaccinati sono 33mila: il tunnel da attraversare è molto lungo. Problemi analoghi si riscontrano negli Stati Uniti, che hanno superato i 20 milioni di contagi. Le persone vaccinate sono quasi 3 milioni, ma molto al di sotto rispetto alle prime promesse fatte da Donald Trump, che ne prevedeva almeno 20 milioni entro Natale. L'India, il secondo paese per numero di contagi, ha dato il via libera ad AstraZeneca per iniziare quanto prima la sua campagna. Israele, al contrario, va veloce: ha superato il milione di vaccinati, il 10% della popolazione. Un altro ostacolo all'immunizzazione di massa è rappresentato dal fatto che molti paesi non hanno gli strumenti per verificare l'efficacia e la sicurezza di un vaccino. Per fare fronte a questa situazione l'Oms ha concesso la convalida di emergenza al vaccino Pfizer-BioNTech, aprendo così la strada ai paesi di tutto il mondo per approvarne rapidamente l'importazione e la distribuzione del farmaco. L'iniziava dell'Oms è molto importante, soprattutto perché aprirà la strada alla diffusione del vaccino nei paesi poveri.

Paolo Russo per “la Stampa” il 7 gennaio 2021. Proprio mentre i contagi risalgono oltre quota 20mila con altri 548 morti, la campagna di vaccinazione ingrana la quinta. O perlomeno, la benzina per spingere sull' acceleratore ora c'è, perché ieri l'Ema, l' Agenzia europea del farmaco, ha sdoganato il vaccino di Moderna, che per l' Italia vale oltre 20 milioni di dosi considerando la nostra quota parte di quelle in più opzionate dall' Europa. Già oggi l' Aifa (Agenzia italiana del farmaco) autorizzerà la prima distribuzione in Italia, che partirà con solo 1,3 milioni di fiale. Le prime dosi saranno distribuite dall' esercito a partire da lunedì. Ma dal palazzo dell' Ema ad Amsterdam i responsabili del piano vaccini fanno sapere che già a fine mese potrà arrivare il via libera all' antidoto di AstraZeneca, anche se nel dosaggio pieno rivelatosi efficace solo al 62%. E per l' Italia sono altre 40,4 milioni di dosi. Poi a marzo dovrebbe essere il turno del vaccino della Johnson&Johnson, che per noi vale altre 53,8 milioni di fiale. Alle quali potrebbero corrispondere altrettanti vaccinati se, come sembra, per ottenere l' immunità basterà una sola dose. Il nuovo piano vaccini Con questa riserva di carburante il commissario Arcuri ai governatori ieri ha potuto presentare una tabella di marcia più accelerata rispetto al piano messo a punto dal Governo. «Entro marzo vaccineremo 5,9 milioni di persone, 13,5 entro a aprile per arrivare a 21,5 milioni a fine maggio». E con questo cronoprogramma, ha assicurato alle Regioni, «potremmo concludere le vaccinazioni su base volontaria entro la fine dell' estate». Ossia con 4-5 mesi di anticipo rispetto al piano del governo. Con questo ritmo in pratica entro marzo verrebbero immunizzati operatori sanitari, anziani e operatori nelle Rsa, over80. Poi entro aprile toccherebbe ai 7,6 milioni della fascia di età 70-79 anni, alle persone con più di una patologia cronica grave e agli immunodepressi. Poi entro maggio con altri 8 milioni di immunizzati lo scudo anti-Covid si alzerebbe per la popolazione tra 60 e 69 anni e il personale scolastico più esposto a rischi. Il mese successivo sarebbe la volta di 8,5 milioni tra resto del personale scolastico, lavoratori dei servizi essenziali, personale delle carceri e detenuti, persone affette da più di una malattia cronica in forma moderata. Anche se Renzi ieri ha proposto di vaccinare subito gli insegnanti e tamponare i ragazzi per far riaprire in sicurezza le scuole. Viaggiando al ritmo di 8 milioni di immunizzati al mese a fine estate sarebbe comunque raggiunta l' agognata immunità di gregge. «Siamo secondi solo dietro alla Germania, abbiamo tutte le capacità per accelerare», ha assicurato il ministro Roberto Speranza, mentre il premier Giuseppe Conte sottolineava «lo sforzo immane» messo in campo, definendo «molto incoraggianti» i primi risultati della campagna vaccinale. I punti dolenti Tanto ottimismo deve però fare i conti con una macchina organizzativa che nonostante i progressi degli ultimi giorni ancora scricchiola. Il timore più grande, condiviso dalle Regioni e da Arcuri, è che le aziende dopo aver fatto il pieno degli ordini non riescano poi a rispettare le consegne. Tant' è che ancora ieri all' appello mancavano ben 245mila dosi di Pfizer. Il Lazio ad esempio ha esaurito tutte le scorte della prima consegna e della seconda ne ha viste solo 20mila delle 50mila spettanti. «Possiamo fare 25mila vaccinazioni al giorno ma servono le fiale, anche perché dobbiamo avere la certezza siano disponibili poi per i richiami», ha fatto presente l' assessore alla sanità laziale, Alessio D' Amato, rilanciando i timori dei suoi colleghi. Poi, come hanno reclamato tutti i governatori, serve accelerare sull' assunzione dei 15 mila vaccinatori. Alla call di Arcuri hanno risposto in 24mila, ma di questi solo 4mila sono infermieri. Il piano ne prevedeva 12mila ma il commissario ha deciso di non perder tempo e arruolare in maggior numero i più costosi medici. Mentre le Regioni chiedono di coinvolgere quelli di famiglia. Che si dicono disponibili a patto di essere vaccinati prima. Richiesta legittima viste le tante vittime lasciate sul campo durante l' epidemia.

Ettore Livini per “la Repubblica” il 7 gennaio 2021. La scommessa più azzardata della Casa Bianca nella corsa al vaccino anti Covid - con buona pace degli scettici - ha fatto Bingo. Solo un anno fa - quando Moderna è scesa in campo contro i Golia di BigPharma nella caccia alla cura contro la pandemia - nessuno avrebbe scommesso un centesimo sulla piccola società biotecnologica del Massachusetts: in dieci anni di vita non era ancora riuscita a portare un singolo farmaco sul mercato. I suoi conti erano sempre stati in rosso. E nel gennaio 2020 i suoi titoli sonnecchiavano a quota 18 dollari, sotto il prezzo cui erano stati quotati un paio di anni prima. In pochi mesi però il mondo si è capovolto: mRna 1273, la formula antivirus studiata nei laboratori del gruppo, ha bruciato le tappe, dimostrando di funzionare da subito. Donald Trump ha messo buona parte dei soldi necessari allo sviluppo. Una squadra di facilitatori mobilitati dal presidente e guidata da un anonimo graduato dell'esercito Usa (che tutti conoscevano solo come "Major") ha risolto i problemi logistici. E la Cenerentola della guerra è diventata a sorpresa la regina di Wall Street: i titoli di Moderna - dopo la doppia approvazione di Usa e Ue - viaggiano a quota 115 dollari, il 470% in più di un anno fa. La società vale in Borsa 45 miliardi. Il suo centralino è bombardato di richieste da tutto il pianeta: gli Stati Uniti hanno messo sul piatto 4,5 miliardi di dollari per comprare 400 milioni di dosi, l'Europa ne ha prenotate 160 milioni, la Corea del Sud 40. Il miliardo di dosi in produzione del 2021 è già quasi esaurito. E Moderna - che l'anno scorso aveva fatturato 48 milioni di dollari perdendone 514 - chiuderà il 2021 con 13,2 miliardi di ricavi, stima Morgan Stanley, quasi tremila volte di più dell'era pre Covid. La favola farmaceutica della grande outsider della caccia al vaccino è iniziata alla Befana 2020, quando l'ad Stéphane Bancel, leggendo il giornale, ha scoperto l'esistenza della misteriosa malattia virale cinese. Scatenata da un coronavirus identico a quelli cui Moderna stava lavorando da tempo. La tecnica sperimentale utilizzata nei laboratori - l'Rna messaggero - aveva «il 5% di possibilità di successo», ha confessato Bancel alla moglie. Ma lui non si è scoraggiato. Ha messo al lavoro gli scienziati con il codice del genoma del virus reso pubblico dai cinesi. E la corsa contro il tempo è iniziata. In pochi giorni - grazie alla relativa "semplicità" del metodo mRna - il primo prototipo di vaccino era già pronto. Il 16 marzo Moderna è stata la prima a entrare nella fase di sperimentazione sull'uomo. La vera svolta è arrivata però a metà aprile. Trump ha convocato in diretta tv i numeri uno delle aziende al lavoro sulla cura contro la pandemia. Bancel, uomo di marketing, ha intuito che il fattore tempo - per una Casa Bianca in odore di elezioni - era denaro. E quando è stato il suo turno di parlare, ha promesso un farmaco «entro pochi mesi». Il presidente voleva sentirsi dire quello. E il giorno dopo Moderna - che non aveva i miliardi necessari allo sviluppo rapido del farmaco come Pfizer & C. - ha ricevuto un assegno di 483 milioni di dollari di fondi federali. I soldi dello stato e la collaborazione tra Moderna e National institutes of Health hanno pagato: il 27 luglio mRna 1273 è entrato nella fase finale di sperimentazione. Il giorno dopo è stata provata la sua efficacia sulle scimmie. La comunicazione un po' sopra le righe della società e le vendite (pianificate) in Borsa delle azioni da parte dei manager hanno suscitato qualche polemica. Ma non hanno frenato i lavori. Il team di esperti - su tutti il misterioso "Major" - ha risolto gli incidenti di percorso come i ritardi in alcune forniture necessari per la produzione (recuperati con rocamboleschi ponti aerei) o la costosa riorganizzazione dei volontari della Fase 3, necessaria per una sotto-rappresentazione di ispanici e afroamericani. A oliare la macchina sono arrivati ad agosto altri 1,5 miliardi versati dalla Casa Bianca per prenotare sulla fiducia 100 milioni di dosi. E l'8 dicembre - con un ansioso Bancel collegato in video dalla sua casa di Boston - è arrivato il verdetto che tutti aspettavano: «Il vaccino è efficace al 94,1%». E la favola biotecnologica di Moderna si è regalata, a sorpresa, il lieto fine.

La lista dei principali vaccini contro il coronavirus. Alberto Bellotto, Federico Giuliani su Inside Over il 4 gennaio 2021. Vaccini ancora sperimentali in attesa dei dati che certifichino la loro efficacia, vaccini pronti all’uso e vaccini molto promettenti in fase di sperimentazione sugli animali. La galassia degli antidoti contro il coronavirus è piena di stelle. Alcune brillano già di luce propria, mentre altre devono pazientare ancora un po’. In ogni caso, la corsa contro il tempo per trovare un antidoto anti Covid-19 ha generato numeri incredibili. Considerando che i vaccini richiedono solitamente anni di test e numerose ricerche prima di essere sicuri ed efficaci, questa volta i ricercatori hanno battuto ogni record. Al momento, gli esperti stanno testando 63 vaccini sugli esseri umani. Di questi, ben 18 hanno raggiunto le fasi finali dei test; 85 sono invece oggetto di indagini sugli animali. Per meglio orientarsi all’interno di un tema fin troppo dibattuto, ecco una lista che riunisce tutti i principali vaccini.

Pfizer-BioNTech

Nome del vaccino: BNT162b2

Efficacia: 95%

Dose: 2 dosi a 3 settimane di distanza l’una dall’altra

Tipo: iniezione muscolare

Conservazione: in congelatore, a temperature bassissime (- 70 C°)

L’annuncio risale allo scorso 9 novembre. I dati preliminari indicavano che il vaccino realizzato dall’americana Pfizer e dalla tedesca BioNTech aveva un’efficacia superiore al 90%. Un mese più tardi, l’11 dicembre, la Food and Drug Administration ha dato l’ok alla prima autorizzazione per l’uso di emergenza mai concessa dagli Stati Uniti a un vaccino contro il coronavirus. È tuttavia stato il Regno Unito a concedere, lo scorso 2 dicembre, la prima autorizzazione di emergenza al vaccino in questione, diventando il primo Paese occidentale a dare un simile via libera. Altri Paesi si sono accodati. Tra questi: Cile, Costa Rica, Ecuador, Kuwait, Messico, Panama e Singapore. Altri ancora, come Bahrein, Canada e Arabia Saudita hanno dato piena approvazione al vaccino. Pfizer e BioNTech prevedono di realizzare in tutto il mondo oltre 1,3 miliardi di dosi del siero entro la fine del 2021.

Moderna

Nome del vaccino: mRNA-1273

Efficacia: 94,5%

Dose: 2 dosi a 4 settimane di distanza l’una dall’altra

Tipo: iniezione muscolare

Conservazione: 30 giorni in frigorifero, 6 mesi a –20 C°

Il 30 novembre, due settimane dopo Pfizer e BioNTech, Moderna ha richiesto alla Food and Drug Administration un’autorizzazione per l’uso di emergenza del suo vaccino. La fumata bianca è arrivata il 17 dicembre. Negli ultimi anni l’azienda ha testato vaccini a mRNA per varie malattie ma, fino a questo momento, non ne aveva mai introdotto uno sul mercato. Il 25 novembre Moderna ha sancito un’intesa con la Commissione europea per fornire al Vecchio Continente 160 milioni di dosi del siero. Accordi del genere sono stati stretti con anche con Qatar, Giappone e Canada.

CureVac

Nome del vaccino: CvnCoV

Efficacia: sconosciuta

Dose: 2 dosi a 4 settimane di distanza l’una dall’altra

Tipo: iniezione muscolare

Conservazione: stabile per almeno 3 mesi a 2-8 C°

CureVac ha svolto il suo lavoro in Germania nonostante il tentativo di Donald Trump di invogliare l’azienda a trasferire la sua ricerca dall’Europa agli Stati Uniti. A novembre il colosso farmaceutico ha stretto un accordo per fornire all’Unione europea fino a 225 milioni di dosi del vaccino. La previsione è quella di produrne fino a 300 milioni nel 2021 e fino a 600 milioni l’anno successivo. A differenza dei candidati prodotti da Pfizer e Moderna, il vaccino di CureVac, attualmente in fase 3, non necessita di essere conservato a temperature polari.

CanSino

Nome del vaccino: Ad5-nCoV

Efficacia: sconosciuta

Dose: dose singola

Tipo: iniezione muscolare

Conservazione: refrigerata

L’esercito cinese ha approvato il vaccino prodotto da CanSino lo scorso 25 giugno, definendolo un “farmaco particolarmente necessario”. Da agosto in poi, l’azienda cinese ha iniziato a eseguire i test di Fase 3 in vari Paesi del mondo, tra cui Arabia Saudita, Pakistan e Russia.

Istituto di ricerca Gamaleya

Nome del vaccino: Sputnik V (precedentemente Gam-Covid-Vac)

Efficacia: 91,4%

Dose: 2 dosi a 3 settimane di distanza l’una dall’altra

Tipo: iniezione muscolare

Conservazione: in congelatore

I ricercatori russi hanno avviato gli studi clinici a giugno. L’11 agosto, prima che i test di Fase 3 fossero iniziati, Vladimir Putin ha annunciato la registrazione formale del vaccino, rinominato Sputnik V.

Johnson & Johnson

Nome del vaccino: Ad26.COV2.S

Efficacia: sconosciuta

Dose: dose singola

Tipo: iniezione muscolare

Conservazione: in frigorifero

Nel recente passato Johnson & Johnson ha sviluppato vaccini per Ebola e altre malattie. Adesso è riuscita a crearne uno per il coronavirus. L’azienda ha dato il via alle prove di fase 1 e 2 a luglio. A differenza di altri vaccini leader negli studi clinici, l’azienda punta sulla somministrazione di una sola dose del suo siero.

AstraZeneca-Oxford

Nome del vaccino: AZD1222

Efficacia: fino al 90%

Dose: 2 dosi a 4 settimane di distanza l’una dall’altra

Tipo: iniezione muscolare

Conservazione: in frigorifero per almeno 6 mesi

Lo scorso 8 dicembre i ricercatori dell’Università di Oxford e della società anglo-svedese AstraZeneca hanno pubblicato il primo articolo scientifico in merito alla sperimentazione clinica di fase 3 del loro vaccino anti Covid. Viene considerato uno dei più promettenti.

Vector Institute

Il 26 agosto il centro di ricerca biologica russo ha registrato uno studio di fase 1 e 2 per un secondo vaccino contro il coronavirus. Il siero è stato rinominato EpiVacCorona. Il 14 ottobre, la Russia ha concesso l’approvazione normativa al vaccino, rendendolo il secondo a ricevere quella designazione dopo il vaccino Sputnik V dell’Istituto Gamaleya. Uno studio di fase 3 è iniziato a novembre.

Novavax

Nome del vaccino: NVX-CoV2373

Efficacia: sconosciuta

Dose: 2 dosi a 3 settimane di distanza l’una dall’altra

Tipo: iniezione muscolare

Conservazione: in frigorifero

La società ha avviato la sperimentazione per un vaccino Covid-19 a maggio. A luglio il governo degli Stati Uniti ha assegnato a Novavax diversi miliardi di dollari per sostenere gli studi clinici e la produzione del vaccino. Dopo aver ottenuto promettenti risultati degli studi preliminari in scimmie e gli esseri umani, Novavax ha lanciato una fase 2 di prova in Sud Africa nel mese di agosto.

Sinopharm

Nome del vaccino: BBIBP-CorV

Efficacia: 86%

Dose: 2 dosi a 3 settimane di distanza l’una dall’altra

Tipo: iniezione muscolare

Sinopharm ha realizzato due vaccini basati su coronavirus inattivati. Il primo, prodotto dal Beijing Institute of Biological Products, ha intrapreso la sperimentazione di fase 3 a luglio. Sempre in estate, il governo cinese ha dato l’approvazione d’emergenza a Sinopharm per iniettare entrambi i suoi candidati vaccini in alcune categorie di persone a rischio. Il 25 novembre, l’azienda ha annunciato di aver presentato una domanda per commercializzare i suoi vaccini in Cina, nonostante non abbia ancora offerto i risultati delle sue sperimentazioni di fase 3.

Sinovac Biotech

Nome del vaccino: CoronaVac

Efficacia: sconosciuta

Dose: 2 dosi a 2 settimane di distanza l’una dall’altra

Tipo: iniezione muscolare

Sinovac Biotech, un’azienda cinese privata, ha sviluppato un vaccino inattivato chiamato CoronaVac. A luglio è stato lanciato uno studio di fase 3 in Brasile, seguito da altri in Indonesia e Turchia. A luglio il governo cinese ha concesso al candidato di Sinovac un’approvazione d’emergenza per un uso limitato. A ottobre, le autorità della città cinese orientale di Jiaxing hanno annunciato che stavano somministrando CoronVac a persone con lavori ad alto rischio, inclusi operatori sanitari, ispettori portuali e personale di servizio pubblico. 

Il vaccino italiano ReiThera funziona: "Può bastare una sola dose". Allo Spallanzani sono stati presentati i risultati della sperimentazione del vaccino italiano ReiThera GRAd- CoV2. Buone notizie anche sulla temperature di conservazione del farmaco. Gabriele Laganà, Martedì 05/01/2021 su Il Giornale. Presto vi sarà un’altra arma da usare nella guerra contro il coronavirus. La sperimentazione del vaccino italiano ReiThera GRAd- CoV2 prodotto da ReiThera, istituto che ha sede a Castel Romano, sembra dare buoni frutti. "I risultati fin qui ottenuti sono più che soddisfacenti e davvero giustificano l'ingresso nelle successive fasi due e tre”, ha affermato Franco Locatelli, presidente del Consiglio superiore di Sanità, nel corso della presentazione all'Istituto Spallanzani di Roma dei dati della prima fase della sperimentazione del farmaco. "Quanto è venuto a realizzarsi – ha continuato – può ben rappresentare un modello prototipale che resterà poi a documentazione di quanto il Paese è in grado di garantire alle persone che vi abitano in termini di capacità di creare massa critica sofistica per la ricerca biomedica". Gli ha fatto eco Giuseppe Ippolito, direttore scientifico dello Spallanzani, che ha illustrato come il percorso del vaccino italiano, iniziato all’Istituto il 24 agosto, sia proseguito con riunioni che si sono tenute tutte le settimane. Per portare avanti gli studi sono state monitorate 100 persone mentre i vaccinati sono stati 45. Tutti sono arrivati alla fine per la valutazione della sicurezza. "Non c’è stato nessun evento avverso nei 28 giorni successivi. L’unico effetto indesiderato, quello che si è presentato nel sito di iniezione, ma in tutti è rientrato senza necessità di interventi sanitari", ha evidenziato ancora Ippolito. C'è stata un po' di infiammazione sul sito di iniezione. Ma le reazioni, ha spiegato il direttore scientifico dello Spallanzani, sono state comunque "inferiori a quelle di Moderna e Pfizer". I volontari hanno sentito in qualche caso mal di testa, stanchezza o poche linee di febbre."Con una sola dose- ha proseguito- gli anticorpi raggiungono il picco dopo 4 settimane, poi restano costanti. Potrebbe dunque non esserci bisogno di richiamo". Ulteriori importanti informazioni sono state fornite dallo stesso vaccino in merito all’"Immunità T", ovvero le riserve di anticorpi. "Gli anticorpi neutralizzanti sono rilevabili in 42 dei 44 valutati, cioè nel 92,5% dei casi. Il che permette di avere risposte immunologiche efficaci. Esattamente come abbiamo potuto osservare nei pazienti convalescenti nel nostro Istituto”, ha sottolineato ancora Ippolito. Il vaccino ha, quindi, dimostrato di essere sicuro e di essere simile, nella risposta, a quella che generano altri farmaci già approvati dalle autorità competenti. Ma il percorso per mettere a disposizione della comunità il vaccino è ancora lungo. "Ora ci aspettano le altre Fasi, a partire dalla 2, per il quale è necessario però l’impegno dello Stato", ha ricordato Ippolito. Domenico Arcuri, Commissario straordinario per l’emergenza Covid-19, ha garantito che l’esecutivo è pronto a fare la sua parte. "A dicembre è stato finanziato il capitale necessario per le fasi successive della sperimentazione del vaccino anti Covid prodotto da ReiThera. Il governo entrerà nel capitale dell’azienda per sostenere la fase 2 e la fase 3. Il che permetterà all’Italia di dipendere il meno possibile da altri stati e di raggiungere l’indipendenza sui vaccini". Antonella Folgore, presidente dell'azienda Reithera, ha fissato l’obiettivo una volta che arriverà l’ok delle autorità competenti: sviluppare 100 milioni di dosi per anno. Per di più vi è anche un’altra buona notizia: il vaccino è stabile a una temperatura tra 2 e 8 gradi. Un fattore che faciliterà la conservazione del farmaco. Soddisfazione per i risultati di fase 1 sul vaccino ReiThera è stata espressa dal ministro della Salute, Roberto Speranza. "Sono incoraggianti i primi risultati del vaccino sviluppato da ReiThera e sperimentato all'Istituto Spallanzani. Se si confermeranno i dati ottenuti finora avremo nei prossimi mesi un vaccino efficace e sicuro con una sola dose invece che con due dosi. Sarà prodotto interamente nel nostro Paese. È importante continuare ad investire sulla ricerca italiana e sulle sue eccellenze scientifiche".

Vaccino italiano: i 4 vantaggi. Sono 4 i vantaggi che presenta il vaccino italiano. Il primo riguarda i costi: la ricerca è stata sponsorizzata dalla Regione Lazio con 5 milioni di euro. L’investimento si aggira intorno ai 20 milioni di euro, considerando anche i 12 messi in campo in autonomia dall’Istituto: una cifra nettamente inferiore rispetto a quelle spese dai colossi delle case farmaceutiche come Pfizer BioNTech e Moderna. Altro elemento riguarda le dosi. ReiThera dovrebbe produrre 100 milioni di vaccini a partire dall’estate: se il programma verrà rispettato l’Italia diventerà autosufficiente sul profilo della campagna di vaccinazione. Il terzo elemento, come già sottolineato, è che le stesse dosi si conservano a temperature tra 2 e 8 gradi centigradi. L’ultimo fattore è che, almeno secondo le prime indicazioni, basterebbe una sola dose.

DAGOREPORT l'11 gennaio 2021. Il vaccino di Reithera non è “tutto italiano” come vogliono far credere, e come abbiamo scritto in data 23 ottobre 2020, perché essendo Reithera di proprietà di una società “anonima” svizzera, la Keires, i suoi utili andranno sul conto di una finanziaria svizzera “anonima” e quindi dire che tutti gli interessati pagheranno le tasse in Italia è una grande bufala. Oggi sul “Messaggero” a pagina 8 leggiamo che col Recovery Plan verrà finanziata Reithera, con sede a Castel Romano, “controllata indirettamente da Maurizio Cortese e Stefano Collaca insieme a Jamila Louahed e Emmanuel Hanon  della GSK Vaccines”. E poi il quotidiano romano, dopo aver elencato altre società, aggiunge: “Complessivamente verranno dirottati a regime centinaia di milioni, partendo da un cip iniziale”. Ecco: la cosa che ci incuriosisce tanto e ci incuriosirà sempre di più è sapere in quali tasche finiranno quella valanga di soldi. Si sa che in Svizzera trasferire somme di denaro da una finanziaria anonima su conti di altri beneficiari è un giochetto da bambini. Ma se non è tutto italiano ma italo-svizzero, sicuramente è “il vaccino de’ noiantri” in quando vede i seguenti protagonisti: l’Assessore regionale alla Sanità On.le Alessio D’Amato, il direttore scientifico dell’IRCSS Spallanzani Luigi Ippolito, il Presidente del Consiglio Superiore di Sanità Prof. Franco Locatelli, e dulcis in fundo, il Prof. Nicola Magrini, direttore generale dell’Aifa (l’agenzia italiana del farmaco). Tutti insieme appassionatamente ognuno con il suo obiettivo. Mentre già in tutto il mondo da settimane sono in corso centinaia di migliaia di vaccinazioni anticovid, il 5 gennaio scorso a Roma l’Assessore della Regione Lazio, Alessio D’Amato, ha organizzato una pomposa conferenza stampa con Zingaretti che a suo volta ha “invitato” a partecipare i ministri Gaetano Manfredi e Roberto Speranza, schierati in prima fila con tutti i capoccioni della Sanità italiana. L’appuntamento aveva come target la celebrazione dell’evento del secolo: la società italo-svizzera Reithera srl, insieme agli scienziati dell’Istituto Spallanzani che non avevano mai realizzato uno straccio di studio clinico su un candidato vaccino, hanno portato a termine – audite! audite! - la fase 1 (uno) della sperimentazione clinica del cosiddetto “vaccino italiano” grazie ad una regalia di 8 milioni di euro di fondi pubblici nientemeno che su 45 (ripetiamo quarantacinque) volontari, mentre tutti gli altri gruppi, da Pfizer a Moderna, viaggiano su almeno 40/50mila volontari. Cosicché, mentre in tutto il mondo già escono dai laboratori milioni di dosi di vari vaccini sperimentati su migliaia di persone, in Italia due ministri della Repubblica con i capetti degli Istituti pubblici di Sanità e lo scienziato Ippolito si riuniscono in Conferenza stampa per pubblicizzare la fine della sperimentazione clinica che Reithera srl e l’Istituto clinico di Verona hanno realizzato. Ci sarebbe da sbellicarsi dalle risate se non ci fosse da piangere per il provincialismo di una tale azione associativa. Ma davvero si tratta di provincialismo? Non sarà che il vispo assessore D’Amato, con il meditato supporto di Zingaretti, ha organizzato il “Reithera Vaccino Show” solo per prepararsi la campagna elettorale delle prossime regionali in campo mediatico (e non solo)?

E gli altri tre componenti del quartetto che ci guadagnano? Luigi Ippolito, che nella conferenza stampa si pavoneggiava spiegando ad un auditorio complice le mirabilie della immensa scoperta scientifica che dovrà salvare l’umanità e l’orgoglio nazionale, tenta di ricavare dall’operazione, ad un passo dalla pensione, quella patente di scienziato che non riesce a farsi riconoscere e gira per i programmi televisivi con il piglio di chi la sa lunga anche se lo Spallanzani, non avendo la benché minima esperienza di test clinici su candidati vaccini, non riusciva neanche a farsi approvare il protocollo dall’Istituto Superiore di Sanità per far partire la sperimentazione.

Ma il direttore scientifico dell’IRCSS Spallanzani come si è guadagnato questo ruolo di “scienzato” nel quartetto del vaccino de’ noiantri? Pensate alla situazione psicologica nella quale si trova Nicola Zingaretti dopo aver contratto il virus a marzo 2020, dopo aver sorseggiato placido e allegro un aperitivo in bar di Milano in compagnia del sindaco Sala, per dimostrare che non c’è da aver timore del Covid. All’indomani, quando appare ancora un virus sconosciuto sia per le possibili terapie che per l’esito, a Bergamo appaiono i camion dell’esercito che trasportano le bare. A questo punto, immaginate quale riconoscenza il segretario del Pd nonché presidente della Regione Lazio ha maturato nei confronti di chi gli è stato vicino e lo ha fatto curare sostenendolo psicologicamente nella propria casa dall’equipe dello Spallanzani. E la stessa situazione psicologica ha vissuto Nicola Magrini, arrivato a Roma a febbraio e ammalatosi di Covid insieme alla moglie a marzo. Anche per lui Ippolito è stato medico, psicologo e badante, al punto tale che il direttore generale dell’Aifa (l’agenzia italiana del farmaco) alla prima intervista da Vespa dopo la guarigione, ha sentito il bisogno di rivolgere un ringraziamento commosso al direttore dello Spallanzani ed al presidente del CSS Franco Locatelli che lo aveva “coccolato” (lui dixit) insieme ad Ippolito. Così si sono incrociati i desiderata del ministro Manfredi, a cui il suo amico e collega di Università di Napoli, tale prof. Russo, aveva portato il ‘’suggerimento’’ di finanziare la società privata Reithera srl con tre milioni di euro del Ministero, mentre Ippolito e D’Amato ottenevano facilmente l’assenso di Zingaretti per sganciare cinque milioni di euro di fondi regionali. Tale elargizione di denaro pubblico senza chiedere alla Reithera uno straccio di contropartita, magari in termini di comproprietà dell’eventuale successo della ricerca o di partecipazione agli utili derivanti: solo una promessa, senza impegno, di vendita del vaccino una volta approvato senza indicazione di prezzo...Ma in tutto lo schema mancava una pedina essenziale. Ed ecco che viene subito preparata una poltrona in prima fila per Nicola Magrini il quale di colpo è divenuto il capotifoso di Reithera e del suo vaccino e appena può esterna complimenti e felicitazioni preconizzando addirittura il tempo di arrivo sul mercato. Nicola Magrini non sospetta neanche per un minuto di essersi messo nella condizione di un colossale conflitto di interesse. Lui è il giudice, come direttore generale dell’Aifa, che deve valutare, esaminare, fare pulci e contropelo al candidato “vaccino italiano” e invece ne è il capotifoso, il mentore, l’elogiatore. Lui, che è l’arcigno e severo controllore delle richieste di autorizzazioni che le aziende farmaceutiche sottopongono all’Aifa, è già più che convinto della bontà del prodotto che sta mettendo a punto l’italo-svizzera Reithera. Olè, bastano una novantina di volontari di cui 45 vaccinati e dobbiamo essere tutti tranquilli che il prodotto è sicuro ed efficace. Ce lo garantisce la cristallina e chiara fiducia che emana dalle parole del direttore dell’Agenzia del Farmaco, che dipende dal Ministero della Salute, il quale non perde occasione per magnificare il prodotto di Reithera e del suo “salvatore” Giuseppe Ippolito. Non ha la minima cognizione della cautela che il suo ruolo gli impone quando parla di argomenti in cui è coinvolto l’Ente che dirige. Siamo curiosi di vedere se il protocollo delle prossime fasi cliniche necessarie per approvare “il vaccino alla vaccinara” sarà approvato senza richiedere le fastidiose decine di migliaia di volontari utilizzati dalle altre farmaceutiche. Magari nel nome dell’interesse nazionale (di chi?) si potrà andare al risparmio evitando i costi di decine di migliaia di cavie, come ugualmente la strada potrebbe essere spianata per tutte le autorizzazioni alla produzione. Chissà, vedremo, perché qualche curiosità l’abbiamo anche sui tempi necessari per completare le fasi 2 e 3. Il vaccino Reithera sarà pronto per l’estate, come hanno proclamato in conferenza stampa il quartetto delle meraviglie? Insomma l’Aifa dovrà essere particolarmente efficiente e determinata in sede Ema per accorciare i tempi: ne va dell’interesse nazionale.

Quale? Visto che in estate le dosi di vaccino in Europa avanzeranno perché saremo invasi dalle dosi di Pfizer-Biontech, Moderna, AstraZeneca, Johnson & Johnson (poi per l’inoculazione si vedrà). A quel punto, vuoi mettere farsi punzecchiare con un vaccino tricolore che conferisce gloria scientifica e fama al direttore scientifico dello Spallanzani Luigi Ippolito e soldi a gogò agli svizzeri della società Keires cui appartiene la Reithera? Solo un’ultima domandina ci viene spontanea. In tutto questo allegro circo il ministro Roberto Speranza si è reso conto che tutti i soggetti coinvolti nella vicenda che dipendono dalla vigilanza del suo Ministero sono in un colossale conflitto d’interessi? A Magrini, di cui abbiamo già detto, si aggiunge ora Luigi Ippolito che è stato chiamato da Franco Locatelli, presidente del Consiglio Superiore di Sanità, a sedere nel gruppo permanente istituito al Ministero della Salute per dare pareri sui vaccini. Né Locatelli, né Ippolito hanno pensato che forse non è proprio corretto che una persona che è coinvolta nella sperimentazione di un candidato vaccino non può stare nel Comitato che esprime giudizi su tutti i vaccini. Caro Ministro, dacci l’ultima Speranza che questa storia, dai contorni davvero indigesti, finisca, perché non ci sembra che tutto possa continuare facendo finta di niente. Perché anche il Niente è troppo! 

Dagospia il 13 gennaio 2021. Riceviamo e pubblichiamo: Caro Dago, in relazione all'articolo pubblicato ieri sul vaccino ReiThera si precisa quanto segue. Reithera e una società costituita ed operante in Italia, soggetta alla legge italiana, che produce, crea lavoro nel Tecnopolo di Castel Romano e paga le tasse in Italia. Non ha sedi o stabili rappresentanze al di fuori del territorio italiano. Reithera è controllata da Keires AG, Società costituita nel 2013 in Svizzera, perché il suo fondatore, il noto scienziato Riccardo Cortese, purtroppo scomparso, risiedeva là da tempo. La proprietà di Keires è sempre stata divisa tra soci che sono tutti cittadini italiani. Jamila Louahed e Emmanuel Hanon non sono mai stati soci di Keires ma hanno fatto parte del solo del Board of Directors da cui sono usciti ad Agosto del 2019. Ufficio Stampa ReiThera 

DAGOREPLICA. Sì, ma gli utili di Reithera vanno alla controllante Keires AG che è una società anonima svizzera che può utilizzare questi soldi senza che i cittadini italiani possano conoscerne i destinatari.

Mauro Evangelisti per "il Messaggero" l'8 gennaio 2021. No, non potrete scegliere il vaccino. L'Europa ha già due prodotti autorizzati, entrambi con la tecnologia dell'Rna messaggero (Pfizer-BioNTech e Moderna); in prospettiva tra fine gennaio e inizio febbraio c'è l'autorizzazione di un terzo (AstraZeneca) e a inizio primavera, se la sperimentazione andrà bene, avremo un quarto vaccino (Johnosn&Johnson). E in molti si stanno chiedendo: sarò libero di scegliere quale dei vaccini a disposizione mi sarà inoculato? La risposta è no. Procedure, logistica e categorie o fasce di età a cui assegnare un determinato vaccino saranno decise dal Ministero della Salute. In altri termini: il tipo di vaccino da somministrare alle diverse fasce della popolazione sarà indicato sulla base di fattori logistici collegati anche alla difficoltà di conservazione per quello di Pfizer, alla tempistica di consegna e al livello di protezione. Secondo l'esito della sperimentazione, che ha convinto Ema (l'agenzia europea) a rilasciare l'autorizzazione, Pfizer-BioNTech ha una efficacia del 95 per cento, Moderna del 94,1. Sono entrambi valori molto alti e sono confermati anche per i più anziani, coloro che rischiano di più. Per questo, anche se nelle prossime settimane dovesse arrivare il terzo vaccino (AstraZeneca), i primi due saranno destinati agli ultra settantenni. Nel decidere le strategie, ovviamente, conteranno anche altri fattori. Pfizer-BioNTech, ormai lo abbiamo imparato, va conservato a una temperatura inferiore a meno 70 gradi, e questo obbliga a somministrarlo nei pressi di strutture ospedaliere. Moderna può essere invece mantenuto a meno 20 gradi per sei mesi, in un frigorifero normale per 30 giorni. In sintesi: il vaccino di Moderna è di più semplice distribuzione, può essere iniettato anche dal medico di famiglia. Non solo: ipotizziamo che vi sia un anziano non autosufficiente e che la vaccinazione vada eseguita a domicilio, in quel caso si preferirà il prodotto di Moderna. Al momento, però, si tratta di una scelta molto limitata: se per Pfizer-BioNTech, sia pure a singhiozzo, si viaggerà a 470mila dosi a settimana, per Moderna le forniture saranno molto più risicate. Si tratta di una compagnia americana (come Pfizer che però ha sedi anche in Belgio) e da lunedì invierà appena 100mila dosi; la seconda spedizione avverrà a fine gennaio, e comunque nel primo trimestre - se gli accordi saranno rispettati -, sono previste in totale 1,3 milioni di fiale. Contando che la somministrazione è doppia, per i primi tre mesi il contributo di Moderna sarà molto modesto. A proposito di seconda dose: per Pfizer è prevista a tre settimane dalla prima, per Moderna a quattro. E i meno anziani? L'obiettivo, per accelerare, è affidarsi ad AstraZeneca, ma c'è stato un approfondimento sui dati della sperimentazione e, nella migliore delle ipotesi, il via libera ci sarà tra 3-4 settimane. «Sarebbe un game changer» dicono alla Regione Lazio. Fermo restando che è giusto che l'ente regolatore svolga tutte le verifiche sul prodotto, con meticolosità e perizia, il vaccino di AstraZeneca (per ora autorizzato nel Regno Unito, in Argentina, in Messico e in India) ha vari vantaggi: l'Italia ha già acquistato 40 milioni di dosi e una buona parte è già pronta per la consegna; l'infialamento avviene in uno stabilimento di Anagni, nel Lazio; può essere conservato in un normale frigorifero; si pensa di somministrarlo anche nelle farmacie e dal medico di base.

IL NODO. C'è però un problema: durante la sperimentazione è stato usato un dosaggio differente. A una parte dei volontari è stata data per due volte la dose intera e la percentuale di efficacia è stata 62 per cento (sembra bassa, ma per un vaccino è già considerata sufficiente); a un'altra parte è stata invece inoculata prima una mezza dose e, nella seconda iniezione, una dose intera: a sorpresa, in questo modo, l'efficacia è risultata del 90 per cento. Il problema è che la formula mezza dose-dose intera è stata per ora sperimentata solo con gli under 55. Le verifiche sono ancora in corso per i più anziani. Per questo è sul tavolo l'ipotesi, a febbraio, se ci sarà il via libera di Ema, di usarlo subito per la vaccinazione di massa agli under 55, in modo da contrastare in modo aggressivo la diffusione del virus. Infine, per marzo-aprile potrebbe arrivare un quarto vaccino (Johnson&Johnson) che ha già cominciato la rolling review (una sorta di verifica in corsa della sperimentazione). Anche questo vaccino è interessante: l'Italia attende oltre 50 milioni di dosi, non richiede temperature bassissime (tra meno 2 e meno 8 gradi può essere conservato per tre mesi). E soprattutto ha un vantaggio straordinario per velocizzare la vaccinazione: prevede una sola dose.

DAGOREPORT il 19 gennaio 2021. La Takis srl è all’attenzione dei media perché sta lavorando attivamente alla realizzazione di un vaccino anticovid “davvero tutto italiano”. La Takis si occupa di ricerca nel campo oncologico ed immunologico. Ma soprattutto è da anni specializzata in vaccini di tipo genetico personalizzato. Le analogie con l’altra biotech che si occupa del vaccino anticovid 19, la italo-svizzera Reithera, sono davvero tante. Innanzitutto i ricercatori di Reithera si sono formati alla scuola di Riccardo Cortese come il fondatore di Takis, Luigi Aurisicchio. Entrambe le società hanno preso in affitto nello stesso periodo i laboratori nel polo scientifico di Castelromano. Entrambe hanno esperienza nella ricerca sui vaccini con la differenza che Reithera sta cercando di realizzare un vaccino con la piattaforma tradizionale dell’Adenovirus, mentre la Takis sta studiando un vaccino di tipo genetico e cioè quello che è più proiettato al futuro e più promettente dal punto di vista dell’obiettivo della medicina personalizzata. Ma malgrado questo, ancorché entrambe abbiano chiesto alle istituzioni statali e regionali un supporto finanziario per poter accelerare i propri studi e arrivare a validare un vaccino anticovid, hanno ottenuto una risposta totalmente opposta. Alla italo-svizzera Reithera è stato subito concesso un contributo a fondo perduto di 5 milioni della Regione Lazio ed uno di 3 milioni del MIUR tramite l’IRCCS Spallanzani; è stato allestito il set per due spettacoli ad uso di telecamera e taccuini con la presenza in prima fila dei capetti della sanità italiana, è stata concessa la garanzia statale per un prestito dell’Unicredit di 5 milioni e la settimana scorsa è stato annunciato che lo Stato entra nel capitale ed è pronto a finanziare ulteriormente la società, ovviamente non chiedendo assolutamente niente in cambio. Il tutto condito dalla gioiosa condiscendenza del quartetto degli amici del club Reithera: l’Assessore regionale Alessio D'Amato in proprio e per conto di Zingaretti, il presidente del Consiglio Superiore di Sanità, Franco Locatelli, il direttore generale dell’Aifa, Nicola Magrini, e lo scienziato dello Spallanzani, Luigi Ippolito. Tutti insieme a tessere le dosi del vaccino tutto italiano, (che tutto italiano non è), e fare a gara per pronosticare un avvenire radioso a Reithera. Viene da pensare: ma se sono tanto felici di aiutare una biotech che manda gli utili in Svizzera sul conto della controllante “Società anonima” Keires, per Takis, che gli utili eventuali li lascia sul suolo patrio, faranno faville. E invece no! E questa cosa è tanto strana. Perché per una sì e l’altra no? Perché per una si organizza una campagna mediatica pazzesca e si regalano tanti soldi e l’altra non vede il becco di un quattrino e resta nell’anonimato? Perché il quartetto d’archi della sinfonia a Reithera non si attiva anche per l’italianissima Takis? E qui ci assale il dubbio. Non sarà che al povero Luigi Aurisicchio, amministratore della Takis, è mancato l’intervento di quel tale prof. Russo, amico di quell’altro tale prof. Nicosia, che ha segnalato Reithera al ministro Manfredi? Perché non possiamo neanche pensare che a penalizzare la Takis sia stata la mancanza del blasone di una “Società anonima svizzera” come controllante…

DAGOREPORT il 21 gennaio 2021. LA PRECISAZIONE DI REITHERA. Caro Dago,

In relazione all’articolo pubblicato il 19 gennaio su ReiThera la Società precisa quanto segue. ReiThera è una società costituita e operante in Italia, soggetta alla legge italiana, che produce, crea lavoro e paga le tasse in Italia. Il brevetto del vaccino è di proprietà di ReiThera e quindi 100% italiano. Keires è interamente posseduta da soci di nazionalità italiana e ReiThera non ha mai distribuito utili, avendo investito tutto nella propria attività. Non si capisce su quale base l'articolo affermi il contrario. Ufficio stampa ReiThera

DAGOREPLICA. L’ufficio stampa di Reithera insiste a ripetere che ”Keires è interamente posseduta da soci di nazionalità italiana e Reithera non ha mai distribuito utili avendo investito tutto nella propria attività”. Certo, oggi la società Keires è interamente posseduta da soci italiani. Ma domani, quando arriveranno gli utili di Reithera, prodotti grazie ai tanti soldi ricevuti senza alcuna contropartita dalle Istituzioni italiane, i soci potrebbero tranquillamente cambiare. Comunque, essendo Keires una società anonima di diritto svizzero, quei soldi che riceverà da Reithera potranno prendere il volo e andare a gratificare chiunque senza alcun controllo possibile da parte delle Istituzioni italiane e dei contribuenti italiani.

La Russia continua a fare progressi nella lotta al Covid-19. Andrea Walton su Inside Over il 21 gennaio 2021. Il vaccino EpiVacCorona, sviluppato dall’istituto siberiano Vector e testato dalle autorità russe a partire da novembre, è efficace al 100 per cento nel prevenire il Covid-19. Questo, almeno, è quanto dichiarato dalla Rospotrebnadzor, l’agenzia della Federazione Russa che si occupa della tutela dei diritti dei consumatori, che ha diffuso i dati relativi alle Fasi I e II della sperimentazione del farmaco. I dati sono stati resi pubblici, come segnalato dalla Reuters, prima dell’inizio della cruciale Fase III, che vedrà la partecipazione di migliaia di volontari suddivisi in un gruppo a cui verrà somministrato il vaccino ed un gruppo che riceverà un placebo. Le Fasi I e II hanno invece coinvolto 100 persone tra i 18 ed i 60 anni ed hanno esaminato eventuali effetti collaterali del preparato oltre a testarne l’immunogenicità. L’EpiVacCorona, come dichiarato dal vice primo ministro Tatiana Golikova, potrà essere utilizzato nelle vaccinazioni di massa a partire dal mese di marzo. Il preparato andrà ad affiancare lo Sputnik V, il primo vaccino sviluppato nella Federazione Russa, che risulta efficace al 92 per cento nel prevenire il Covid-19 e che è già stato somministrato ad oltre un milione di russi.

Le caratteristiche tecniche. Il vaccino EpiVacCorona, come segnalato da TrialSiteNews che cita come fonte Sciendirect.com, “è composto da minuscoli antigeni peptidici che hanno lo scopo di indurre la risposta immunitaria desiderata” e che non includono agenti di tipo biologico. Si tratta di una formulazione che consente di generare meno effetti collaterali nei riceventi rispetto a quelli provocati dai vaccini che utilizzano virus attenuati. L’Istituto Vector, che ha sviluppato il vaccino, è operativo dal 1974 e durante la Guerra Fredda si è occupato di ricerca sulle armi batteriologiche. Nei laboratori Vector, che godono di alti standard di biosicurezza, sono depositati campioni dell’ormai estinto virus del vaiolo. Nel 2019 si è verificata al loro interno un’esplosione e questo evento ha generato un certo timore proprio per la contigua presenza dei campioni. Non è ancora chiaro se l’EpiCoronaVac necessiti di una doppia somministrazione, proprio come molti altri vaccini contro il Covid-19 tra cui quelli prodotti dalla Pfizer-Biontech e da AstraZeneca, per offrire il massimo della protezione possibile o se invece basti una singola dose per tutelare chi lo riceve. Bisognerà inoltre verificare quale è la temperatura di conservazione ideale del farmaco per comprendere quanto è facile conservarlo ed anche distribuirlo.

Una torta da spartire. Il Cremlino non ha mai fatto mistero di voler usare i vaccini contro il Covid-19 per espandere la propria influenza geopolitica nel mondo. I farmaci russi sono meno tecnologici di quelli sviluppati dalle aziende occidentali (da questo punto di vista la sfida è persa in partenza) ma possono essere più accessibili a livello economico per le nazioni più povere. Mosca ha già raggiunto accordi di distribuzione con il Venezuela, un’alleato chiave in America Latina ed anche con l’Argentina. Le due nazioni sono preda di una gravissima crisi economica e potranno così beneficiare dell’aiuto (interessato) da parte del Cremlino. Gli occhi di Mosca sono puntati anche sul Caucaso, un’area strategica per gli interessi della Russia e sull‘India, che necessiterà di numerosi vaccini per riuscire nel compito (titanico) di immunizzare buona parte della propria popolazione per raggiungere l’immunità di gregge. La competizione con la Cina, nelle aree extra-europee, appare evidente dato che anche Pechino sta provando ad insinuarsi dove può. In Medio Oriente, ad esempio, dove il vaccino sviluppato dalla Sinopharm viene già adoperato negli Emirati Arabi Uniti, la seconda nazione al mondo dopo Israele per copertura vaccinale della popolazione (oltre il 20 per cento degli abitanti ha già ricevuto la prima dose). Sullo sfondo ci sono anche gli Stati del continente africano, lasciati al loro destino dall’Occidente ma comunque interessati a porre fine nel più breve tempo possibile alla pandemia.

Cosa sta succedendo. Nel territorio della Federazione Russa la situazione continua a non essere ottimale anche se non mancano segnali moderatamente incoraggianti. La curva dei contagi, che aveva raggiunto un picco molto alto negli ultimi giorni di dicembre con un numero di infezioni giornaliere vicino alle 30mila, ha iniziato a flettere verso il basso e le infezioni giornaliere si sono abbassate fino a toccare quota 21-22mila. La disponibilità dei vaccini Sputnik V ed EpiVacCorona è però scarsa oppure assente in ben 42 regioni. Le prospettive di un ritorno alla normalità sono distanti ancora alcuni mesi, come recentemente dichiarato dal sindaco di Mosca Sergei Sobyanin che vede una certa normalizzazione non prima di maggio. Prima di allora, purtroppo, ci sarà da soffrire.

Sputnik V, il vaccino dalla Russia: si trova al supermercato e l'ha fatto l'ambasciatore italiano. Le Iene News il 26 gennaio 2021. Le consegne in ritardo da parte di Pfizer e i dubbi sollevati sul vaccino di AstraZeneca stanno spingendo le autorità europee a prendere in considerazione il prodotto sviluppato dalla Russia: si trova anche al supermercato, lo ha già ricevuto l’ambasciatore italiano e l’Ungheria lo ha approvato. Ecco quello che sappiamo finora sullo Sputnik V. Prima l’ironia internazionale, poi il silenzio, adesso le trattative: sarà il vaccino russo Sputnik V a correre in soccorso dell’Unione europea nella campagna di immunizzazione contro il coronavirus? Come sappiamo i ritardi di Pfizer e l’approvazione ancora in sospeso di AstraZeneca hanno messo in ghiacciaia la strategia europea per i vaccini, e adesso l’Ema sta intensificando i contatti con Mosca per valutare l’approvazione e l’acquisto del prodotto russo. Ma andiamo con ordine: l’11 agosto, mentre il virus era in letargo e in Europa si viveva una vita quasi normale, Vladimir Putin ha annunciato il via libera al vaccino sviluppato dalla Russia. Un annuncio bollato come propaganda, soprattutto a causa della mancanza di una conferma scientifica indipendente, e accolto con ironia per l’inoculazione alla figlia di Putin, “bersagliato” dai social con un’infinità di meme. A cavallo tra la fine del 2020 e l’inizio del 2021, con il via libera ai vaccini di Pfizer e Moderna e l’attesa per quello di AstraZeneca, lo Sputnik V è sparito dai radar. L’inizio della campagna vaccinale ha quasi fatto dimenticare il prodotto russo. Poi però la Pfizer ha iniziato a tagliare le forniture, il vaccino di AstraZeneca non è ancora arrivato all’approvazione ed è accompagnato da dubbi sull’efficacia per gli over 55 (smentiti però dall’azienda), e così la campagna vaccinale europea e italiana hanno subito un brusco rallentamento. Il viceministro della Salute Pierpaolo Sileri ha annunciato che la campagna vaccinale per gli over 80 inizierà con 4 settimane di ritardo, per tutti gli altri tra le 6 e le 8 settimane di ritardo. Ritardi simili a quelli che si trovano a dover gestire quasi tutti i paesi dell’Unione. E così le autorità sanitarie europee hanno preso contatto con quelle russe per valutare i dati dello Sputnik V e considerare così l’eventuale acquisto del prodotto. Cosa sappiamo finora del vaccino russo? Dal punto di vista scientifico poco, perché non è stato fatto un controllo indipendente sulla sua reale efficacia. Per questo l’Agenzia europea del farmaco vuole prima avere tutte le informazioni possibili per valutarne l’acquisto del vaccino. Poco si sa anche su quanti siano già stati vaccinati, anche se le stime indicano intorno al milione di persone che hanno ricevuto la prima dose. Lo Sputnik V, esattamente come il vaccino di Pfizer, richiede due somministrazioni a 21 giorni di distanza e secondo quanto annunciato dalle autorità russe ha un’efficacia superiore al 90%. Il vaccino sembra anche semplice da conservare, visto che a Mosca è possibile registrarsi e avere la somministrazione in farmacia e perfino in alcuni grandi supermercati. In questi giorni l’attenzione per lo Sputnik V è salita anche nel nostro paese, dopo che l’ambasciatore italiano Pasquale Terracciano ha deciso di farsi inoculare il prodotto russo. La stessa scelta è stata fatta da Melita Vujnovic, la rappresentate di Mosca all’Organizzazione mondiale della sanità. Anche la vicepresidente ed ex presidente dell’Argentina Cristina Kirchner ha ricevuto ieri lo Sputnik V. Adesso l’Ema, come abbiamo detto, sta valutando l’approvazione del vaccino russo per permettere eventualmente all’Ue di acquistarlo. Ma c’è già chi si è mosso in questa direzione: l’Ungheria pochi giorni fa ha autonomamente approvato lo Sputnik V, con un duro atto d’accusa all’Unione europea. “Se da Bruxelles le dosi arrivano a questa velocità, siamo costretti a ricorrere a fonti alternative”, ha dichiarato il primo ministro Gergely Gulyas. Sarà il vaccino russo a salvare la campagna d'immunizzazione in Europa?

"Il più avanzato è Astrazeneca". Così l'Italia ha "sbagliato" vaccino. Speranza nel libro scrive: è il migliore. E fonda la campagna vaccinale sul siero di Oxford. Che però ora è in ritardo. Giuseppe De Lorenzo, Mercoledì 13/01/2021 su Il Giornale. Avete presente i problemi sorti in questi giorni sul piano vaccinale europeo? Prima la Germania che, in barba ai principi di solidarietà Ue, va per la sua strada e si assicura quote extra del vaccino di Pfizer-BionTech. Dall’altra la brusca frenata dell’Ema sull'altro siero in dirittura d’arrivo, quello di AstraZeneca-Oxford. Direte: può succedere. Certo. Ma rileggendo le pagine del “libro scomparso” di Speranza si capisce che le brutte notizie non sono solo negative per il Belpaese, ma politicamente si traducono in un doppio colpo alle strategia del nostro ministro. Un duplice fallimento inatteso. Due delle sue iniziative, di cui si è pure vantato nel volume, ovvero la ripartizione Ue dei vaccini e il sostegno ad AstraZeneca, improvvisamente hanno subito altrettante scoppole. L’entusiasmo per il siero della multinazionale anglo-svedese trapela già a pagina 14, nell'ultima parte della premessa. “È stata l’Italia - si legge - la nazione europea promotrice dell’’Alleanza per il vaccino’ che con Germania, Francia e Olanda ha aperto alla prima intesa con AstraZeneca per lo sviluppo e la produzione di 400 milioni di dosi del vaccino di Oxford”. Peccato che nei giorni scorsi il vicedirettore dell'Agenzia europea dei medicinali, Noel Wathion, abbia definito “improbabile” il via libera al siero “entro gennaio”, come desiderio di Bruxelles e del governo nostrano. La Gran Bretagna l’ha già approvato, mentre la richiesta di autorizzazione all'Ema è arrivata solo ieri. Dunque: tutto da rinviare almeno a fine gennaio. Il problema è che il vaccino di AstraZeneca è quello su cui l'Italia aveva scommesso. Abbiamo infatti una prelazione su 40,38 milioni di dosi, molte più delle 26,92 milioni di fiale che ci spettano dalla Pfizer e le 10,7 milioni di Moderna (già disponibili). Certo il grosso dovrebbe arrivare anche con Johnson&Johnson (53,84 milioni), Sanofi (40,38 milioni) e CureVac (30,28 milioni). Tuttavia questi vaccini sono ancora in ritardo: per quello di J&J si parla di aprile, per Sanofi della fine del prossimo anno. L'Ue ha avviato un nuovo ordine dei sieri Pfizer e Moderna, ed è un bene. Ma la campagna vaccinale italiana nei primi tre mesi del 2021 si basava principalmente proprio su AstraZeneca: da lì sarebbero dovute arrivare 16,1 milioni di dosi contro le sole 8,7 milioni della Pfizer e le 1,3 milioni di Moderna. Se il via libera dell’Ema ritarderà molto, come pare scontato, allora a ritardare sarà anche l’intero piano vaccinale italiano. La matematica non è un'opinione. "Al di là dell'efficienza logistico-organizzativa del nostro Paese - calcolava nei giorni scorsi il presidente Gimbe, Nino Cartabellotta - senza il via libera dell'Agenzia Europea dei Medicinali ad altri vaccini, AstraZeneca in primis, o l'anticipo improbabile di consegne, potremo vaccinare circa il 5% della popolazione entro marzo e meno del 20% entro giugno". Troppo pochi. Perché il governo ha scommesso sul vaccino “sbagliato”? Qualche indizio lo si trova al capitolo 27 del libro di Speranza. Il ministro ammette che l’Europa a maggio era ancora “ferma al palo” rispetto a Russia, Cina, Usa e Gran Bretagna. Per recuperare i “parecchi passi” indietro, Speranza chiama l’omologo tedesco Jens Spahn. L'obiettivo è “velocizzare le procedure” e magari convincere Bruxelles a giocare collegialmente la partita dei vaccini. Germania e Italia coinvolgono anche Olanda e Francia, sedi di importanti case farmaceutiche (Sanofi e Johnson&Johnson). I quattro ministri firmano quella che viene chiamata “l’Alleanza per il vaccino” impegnandosi a “lavorare insieme per dare un vaccino all'intera Ue”. Dopo aver contattato le principali aziende, Speranza&co. valutano che “quella più avanzata è AstraZeneca” che “al momento sta ottenendo i risultati migliori”. “Sono particolarmente contento - scrive il ministro - perché in questa sperimentazione c'è un bel pezzo d’Italia: l’Università di Oxford lavora infatti con l’Irbm di Pomezia, dove viene prodotto il vettore virale”. E poi l’infialamento sarà “fatto ad Anagni, alla Catalent”. Speranza tra giugno e luglio visita entrambe le aziende, ma evidentemente non fiuta il ritardo che nel frattempo il pool di aziende sta raccogliendo nei confronti dei competitor. La domanda allora sorge spontanea: AstraZeneca era davvero in vantaggio? Oppure il governo ha preferito puntare su un vaccino “un po’ italiano” a tutti i costi? Nel libro Speranza scrive che, dopo aver firmato il contratto il 12 giugno, raggiunge a Villa Pamphilj gli altri ministri. In quell'occasione spiega “i termini dell’Alleanza per il vaccino e dell'accordo sottoscritto”: “Quando finisco la presentazione - racconta - scatta un applauso spontaneo da parte di tutti i miei colleghi ministri”. L'auspicio, scritto nero su bianco nel volume scomparso, era questo: la “prima quota” di siero AstraZeneca sarà disponibile “entro la fine del 2020”. Sbagliato. Ora quelle fiale si allontanano, lasciando l'Italia con un pugno di mosche in mano, mentre la gran parte delle dosi dei vaccini già disponibili (Moderna e Pfizer) sono ormai stati acquistati da altri Paesi. L’altro inciampo del ministro della Salute passa invece per Berlino. Nel libro Speranza si loda (e si imbroda) per essere riuscito a convincere la Commissione ad interessarsi della faccenda. Subito dopo l'intesa, i quattro ministri proponenti dell’Alleanza iniziano a ricevere le chiamate dei colleghi che sperano di ottenere una fetta delle dosi. Nessuno vuol rimanere indietro. Germania, Italia, Francia e Olanda decidono allora di rinunciare al patto a quattro per coinvolgere Bruxelles. È soprattutto il governo italiano a volere la Commissione in prima fila, “firmando i contratti e anticipando i fondi necessari”. Il grande accordo prevede che “ogni Paese, per quota, richiederà e pagherà le sue dosi di farmaco”. Dovrebbero essere escluse trattative bilaterali con le aziende per ottenere più fiale di quante previste dalla redistribuzione europea, ma a Natale il fronte compatto si sfalda. La Germania nei giorni scorsi ha firmato un accordo per ulteriori 30 milioni di dosi extra da Pfizer, 20 milioni da CureVac e 5 Idt Biologika, che andranno ad aggiungersi alla quota di 55,8 milioni unità prevista dalla suddivisione europea, bypassando di fatto gli accordi tra Commissione e case farmaceutiche. Lo stesso sembra voler fare con Moderna. Al di là dell'intervento di Ursula von der Leyen, che ha acquistato alti 300 milioni di dosi, si tratta di uno smacco per gli altri Paesi, che sono rimasti in fila ad attendere le loro fiale. La Commissione ha specificato che "nessuno Stato può negoziare in parallelo" rispetto all'accordo condotto da Bruxelles con le case produttrici, ma la ferità resta aperta. Soprattutto per il ministro Speranza, che della solidarietà europea si era fatto portavoce. Lo aveva anche sbandierato nel suo libro. Salvo poi ritirarlo dal mercato. 

Federico Fubini per il “Corriere della Sera” l'11 gennaio 2021. Venerdì Ursula von der Leyen ha fatto sapere che l'Unione europea ha prenotato altri trecento milioni di dosi di vaccini Pfizer-BioNTech, raddoppiando le forniture da parte della joint-venture fra la multinazionale americana e l'azienda tedesca. Mancava solo un dettaglio nell'annuncio della presidente della Commissione: a chi saranno sottratte? Non è una domanda provocatoria. È la questione dietro la quale si sta dipanando una diplomazia sotterranea dei vaccini che vede, ancora una volta, i governi occidentali ciechi e distratti di fronte all'ampliarsi della presa cinese sui Paesi emergenti o in via di sviluppo. All'origine c'è un problema pratico con conseguenze politiche: quest' anno non ci sono vaccini sicuri per tutti, quindi l'accaparramento delle dosi da parte dei Paesi ricchi sta creando nel resto del mondo un vuoto che Pechino si incarica di colmare alle proprie condizioni. Di sicuro nel 2021 la produzione dei farmaci migliori contro Covid-19, quelli di Pfizer e Moderna, non può coprire più di un decimo dell'umanità. E non sarà facile farla crescere, perché esistono rigidità e colli di bottiglia nei processi di fabbricazione. Un rapporto di novembre dello US Government Accountability Office (Gao) spiega che c'è carenza di gran parte di ciò che serve per produrre su larghissima scala i vaccini di ultima generazione di modello Rna-messaggero: mancano la manodopera qualificata e soprattutto certi enzimi indispensabili, fino a pochi mesi fa usati solo nei laboratori. Moderna ha già dovuto dimezzare la quantità di dosi previste per quest' anno a 500 milioni, mentre difficilmente Pfizer supererà quota 1,2 miliardi (ogni persona necessita di due somministrazioni). Anche di altri vaccini sviluppati nei Paesi avanzati, quelli testati meglio, rischia di esserci scarsità nei prossimi mesi. L'anglo-svedese AstraZeneca per esempio promette di produrre quest' anno 2,8 miliardi di dosi a meno di due euro l'una: sarà la fanteria della guerra globale contro Covid, il 20% di tutti i vaccini opzionati dall'Italia e dall'Europa. Ma un terzo di tutte le forniture attese da AstraZeneca e l'intero miliardo di dosi di un terzo vaccino americano, quello di Novavax, saranno prodotti in India. Solo così possono costare relativamente poco, perché il subcontinente funziona come fabbrica del mondo a buon mercato per i farmaci e gli ingredienti dei medicinali da assemblare poi in Germania, Italia o Usa. Il problema di questa catena globale di delocalizzazioni è la sua fragilità in un'era di nazionalismo e panico da pandemia. Dieci mesi fa il governo di Nuova Delhi bloccò l'export di ventisette principi attivi, provocando in aprile scarsità di certi farmaci anche in Italia. Ora afferma che la sua priorità è vaccinare contro il Covid almeno un quinto della popolazione: 270 milioni di persone, oltre mezzo miliardo di dosi. «C'è la possibilità che l'India limiti l'esportazione di vaccini prodotti nel Paese» dice al Corriere Arnaud Bernaert, capo del settore Sanità al World Economic Forum. Questa nube d'incertezza sta spingendo i governi in Nordamerica, Europa, Giappone e Australia a prenotare la massima quantità di dosi, lasciandone pochissime al 90% meno ricco dell'umanità. La Ue ha opzionato vaccini per tre volte la sua popolazione, il Canada per otto. E non sembrano disposti a rinunciare a una sola fiala. «Questi governi potrebbero essere riluttanti a liberare le dosi in eccesso perché non hanno certezze sulla durata della copertura dopo le prime vaccinazioni» prevede Bernaert, che spera in un atto di «generosità». Di certo questa non si vede in Covax, l'iniziativa guidata dall'Organizzazione mondiale della sanità per garantire due miliardi di dosi ai Paesi poveri: per ora ha raccolto un decimo di quanto voleva. Ed è in questo spazio che la Cina si sta infilando per mettere a disposizione i suoi tre vaccini di Sinopharm, CanSino e Sinovac - tutti efficaci, ma più primitivi e meno testati - a decine di Paesi in Africa, America Latina e Asia emergente. Il primo passo è stato condurre i test su decine di migliaia di persone in sedici Paesi emergenti, dal Brasile, agli Emirati Arabi, all'Indonesia, con la promessa di rendere i vaccini cinesi «un bene pubblico». Adesso Pechino offre prestiti ai governi in difficoltà per comprare i propri vaccini e firma contratti con decine di Paesi dalla popolazione giovane e dall'economia in crescita fra cui Marocco, Kenya, Turchia, Bahrein, Malesia, Filippine, Cile, Brasile o Perù, facendo leva su quello che presenta come l'egoismo dell'Occidente. Così il Paese da cui è partita la pandemia, nella distrazione degli altri, ne esce con più alleati e vassalli che mai.

Dave Lawler per axios.com l'11 gennaio 2021. La Serbia si è unita ad Argentina e Bielorussia questa settimana e sarà tra i primi paesi ad approvare e somministrare il vaccino Sputnik V della Russia. Il quadro generale: la Russia ha tracciato la propria rotta nella corsa al vaccino, facendo affidamento interamente su un singolo vaccino finanziato dallo stato, a cui è stata concessa l'autorizzazione di emergenza prima che molti dati fossero disponibili sulla sua efficacia. Gli sviluppatori sostengono che Sputnik V ha un tasso di efficacia del 91%, anche se manca ancora la conferma di una rivista medica o un regolatore internazionale. La Russia sta cercando di vaccinare la sua popolazione ma nel frattempo sta esportando dosi in tutto il mondo. Il governo afferma che sono stati già vaccinati 1 milione di russi, ma secondo il WSJ è rimasto molto indietro rispetto al numero di dosi che ha promesso di fornire a città e regioni. La cancelliera tedesca Angela Merkel ha detto mercoledì a Vladimir Putin che è aperta alla produzione di dosi del vaccino in Germania, se questo approvato dalle autorità sanitarie dell'UE. Ma un portavoce del governo ungherese ha detto la scorsa settimana che l'Ungheria non intendeva più fare affidamento sul vaccino Sputnik a causa della "capacità di produzione inadeguata" della Russia, concentrandosi invece sui vaccini forniti dall'UE e provenienti da un'altra potenza mondiale: la Cina. La situazione: le autorità di regolamentazione sanitaria in Cina hanno recentemente approvato il primo vaccino interno del paese, sviluppato dalla società farmaceutica statale Sinopharm, per uso generale. Emirati Arabi Uniti, Bahrein, Pakistan e Marocco sono tra i paesi che hanno già in programma di ricevere dosi di Sinopharm, mentre Turchia, Indonesia e Brasile hanno preordinato un vaccino sviluppato da un'altra azienda cinese chiamata Sinovac Biotech. I regolatori brasiliani hanno annunciato giovedì che il vaccino Sinovac è efficace al 78%. Sinopharm afferma che il suo vaccino è efficace al 79%, sulla base di dati preliminari. Cosa guardare: se i vaccini cinesi si dimostrassero efficaci - e il paese può produrre quantità sufficienti per coprire i bisogni interni e le esportazioni verso il mondo in via di sviluppo - ciò potrebbe migliorare notevolmente le prospettive per la vaccinazione globale nei prossimi anni. Potrebbe anche offrire alla Cina un significativo aumento del soft power. Parte del motivo per cui così tanti paesi stanno cercando alternative a Pfizer e Moderna è che sono più costosi e quindi destinati quasi esclusivamente al mondo ricco.

Come funziona la diplomazia dei vaccini di Cina e Russia. Alberto Bellotto su Inside Over l'1 febbraio 2021. Il mondo ha una grande sete di vaccini. La domanda globale di fiale per arginare la pandemia cresce ogni giorno di più e le grandi case farmaceutiche occidentali non riescono, almeno per il momento, a soddisfarla. Il braccio di ferro dell’Ue con AstraZeneca dimostra che con ogni probabilità il 2021 sarà un anno teso sul fronte delle forniture. Per queste ragioni Cina e Russia si dicono convinte di poter giocare un ruolo sempre più importante ritagliandosi spazi strategici e geopolitici. Ci sono infatti diverse aree del globo che stanno prenotando o acquistando in massa i prodotti di Mosca e Pechino. La due potenze si stanno spartendo diversi mercati. La Cina, ad esempio, ha messo le mani sul Sud-Est asiatico, mentre la Russia ha fatto valere la sua influenza nelle ex repubbliche sovietiche, ma anche in India e Iran. Entrambe si sono poi divise fette di Medio Oriente con forniture doppie in Turchia ed Egitto ma anche del Nord Africa con Pechino pronta a rifornire il Marocco e Mosca che venderà il suo siero all’Algeria. Destino analogo anche in America Latina con la Russia che ha stretto accordi con Venezuela, Bolivia, Cile, Paraguay, Argentina e Brasile, che però ha avviato acquisti anche dai fornitori cinesi.

Perché tutti comprano da Cina e Russia. Quello che rende questi vaccini particolarmente attraenti è dato da una serie di fattori. In primo luogo siamo parando di prodotti che non richiedono la complicata logistica del siero prodotto da Pfizer/BioNTech, parliamo cioè di prodotti che non hanno bisogno di una refrigerazione speciale, ma soprattutto di prodotti che hanno costi molto più abbordabili per economie fragili. Stephen Morrison del think tank Center for Strategic and International Studies ha spiegato alla NPR che questi acquisti massicci servono anche ad avere la misura di quanto i Paesi acquirenti siano in difficoltà e di quanta incertezza devono affrontare. Ma di che tipologie di vaccini stiamo parlando? Prendiamo due dei vaccini cinesi più noti, Sinovac e Sinopharm. Entrambi si basano sull’utilizzo di un virus inattivato, una tecnica messa appunto già negli anni ’50. Semplificando molto si tratta di coltivare il virus in laboratorio per poi inattivarlo con una sostanza chimica come la formaldeide e infine utilizzarlo per generare nelle persone cui viene somministrato la produzione di anticorpi. Il vaccino sviluppato dall’istituto russo Gamaleya utilizza invece due virus poco aggressivi, gli adenovirus che modificati geneticamente creano le condizioni per insegnare al sistema immunitario a riconoscere la proteina del coronavirus e quindi a difendersi.

I problemi dei vaccini cinesi. Come abbiamo visto per Pechino e Mosca i vaccini possono diventare un’importante volano per proiettare la propria immagine all’esterno. Nel caso della Repubblica popolare si tratta di una mossa per confermare le ambizioni a potenza globale, per la Federazione russa invece di un’ottima occasione per dimostrare di essere ancora in grado di contare sul piano internazionale. Nonostante le ambizioni e la fila di paesi pronti ad accaparrassi le dosi, i dubbi non mancano. Le case farmaceutiche cinesi e russe, ha notato il Financial Time, non hanno ancora fornito serie complete di dati che permettano a enti regolatori e ricercatori di altri Paesi di effettuare confronti rigorosi con i concorrenti occidentali come quelli prodotti da Pfizer, Moderna o AstraZeneca. Come ha sottolineato Deborah Seligson, professoressa alla Villanova University della Pennsylvania la “Cina ha un’enorme capacità di produzione di vaccini”, una capacità dovuta soprattutto alle dimensioni del Paese. Ma non solo. Colpita per prima dall’ondata pandemica, è stata in grado di contendere il contagio meglio di altri Paesi. Questo ha fatto si che la sua industria potesse lavorare per l’export. Ma questo punto di forza paradossalmente è anche una debolezza. Visto che il virus circolava poco in patria la Cina ha dovuto lavorare per sperimentare i suoi sieri fuori dai confini nazionali e si sono rivolti ad esempio a Paesi come Turchia, Brasile e Indonesia. Spalmando le fasi di test in vari Paesi, la raccolta dei dati e la loro elaborazione è diventa molto più lunga e complessa. E questo di fatto ha portato ad avere dati anche molto diversi tra loro. Il vaccino sviluppato da Sinopharm, ad esempio, veniva indicato come efficace al 79% secondo un’analisi condotta durante la fase 3 della sperimentazione. Allo stesso tempo però la sperimentazione sullo stesso siero condotta in Bahrein ed Emirati Arabi Uniti ha mostrato un’effaccia dell’86%. Tra tutti questi dati mancavano però di alcune informazioni chiave usate dalle autorità di regolamentazione, come Ema e Aifa, in particolare il numero di infezioni registrate tra i partecipati dello studio. Numeri poco chiari anche per Sinovac. Negli studi condotti in Turchia è stato trovato efficace nel 91,3% dei casi, mentre in Indonesia quell’indicatore si è fermato al 65%. In Brasile invece i numeri sono stati ancora diversi: una prima sperimentazione parlava di un efficacia del 78%, ma la percentuale è stata poi abbassata al 50,4% quando nelle valutazioni sono stati inclusi i casi “molto lievi”.

I dati insufficienti sul vaccino russo. Se per i vaccini cinesi i dati sembrano essere troppi e discordati tra loro, per lo Sputnik V sembra valere il contrario. Il siero è stato lanciato direttamente dal presidente russo Vladimir Putin l’11 agosto scorso quando aveva superato solo la seconda fase dei test su 76 partecipanti. La fase 3 di sperimentazione è poi partita a settembre su altri 30 mila volontari e ha iniziato a fornire le prime evidenze verso la fine dell’anno. I dati provvisori dimostrerebbero un’efficacia del 91%. Nel frattempo verso la fine di novembre sono iniziate fasi di test anche in Bielorussia, Emirati Arabi, India e Venezuela. Ma molti esperti sono dubbiosi sulle modalità dei test. Raina MacIntyre, specialista in malattie infettive dell’Università del New South Wales a Sydney sentita da Ft, ha detto di essere preoccupata dall’eccessiva velocità nelle fasi di test: “Le approvazioni senza pubblicare i dati completi della fase 3 stanno diventando una sorta di tendenza”, ha spiegato, “la conclusione è che, quando si parla di lanciare un vaccino al pubblico, si desidera che i dati vengano pubblicati”. Dati che per il momento non sembrano necessari per molti acquirenti alle prese con curve epidemiche preoccupanti come l’Argentina che recentemente ha acquistato 300 mila fiale di Sputnik V, a un prezzo vantaggioso.

La svolta ungherese e le alternative Ue. Il braccio di ferro tra Bruxelles e AstraZeneca insieme ai ritardi nelle forniture di Pfizer e Moderna, potrebbe cambiare l’inerzia dell’Unione nei confronti di Mosca e Pechino. Il viceministro alla Salute Pierpaolo Sileri, ospite della trasmissione “L’aria che tira” su La7 ha lasciato aperta l’ipotese all’uso dei sieri cinesi e russi: “Più vaccini abbiamo e meglio è, purché siano garantiti per l’efficacia e la sicurezza da enti certificatori come l’Ema. Ben venga quindi il vaccino russo Sputnik o il vaccino cinese, ma devono aver fatto questo percorso”. Per il momento l’Ema e l’istituto Gamaleya si trovano in una fase interlocutoria con contatti preliminari analogamente a quelli con la cinese Sinovac Biotech. Come scrive Il Sole 24 Ore i contatti per il vaccino russo riguardano la fase di “scientific advice” mentre la fase di revisione continua potrebbe partire il mese prossimo e continuare almeno fino alla primavera.

Una spinta al processo potrebbe però arrivare dall’Ungheria. Budapest sembra essersi stancata dei tira e molla di Pfizer e ha deciso di aprire le porte a russi e cinesi con il via libera sia allo Sputnik V che al siero di Sinopharm. Intanto Bruxelles cerca alternative interne. A inizio anno la Bayer si è accordata con Curevac per lo sviluppo di un altro vaccino anti Covid, mentre la francese Sanofi ha annunciato che aiuterà Pfizer-BioNTech nella produzione del loro vaccino confezionando almeno 125 milioni di dosi per il mercato dell’Unione. Nel frattempo sempre a febbraio dovrebbe partire la sperimentazione di un nuovo vaccino, un prodotto che combini Sputnik V con quello creato e sviluppato dal tandem AstraZeneca-Università di Oxford.

Tutti pazzi per Sputnik, il vaccino russo efficace al 91%: “Subito in Italia”. Antonio Lamorte su Il Riformista il 2 Febbraio 2021. Tutti vogliono lo Sputnik, anche in Italia. Dopo la notizia della sua efficacia al 91,6% contro il coronavirus, dopo la seconda somministrazione, è tutto un “benvenuto” e un appello a fare presto per ammettere anche il vaccino russo. Considerati anche i ritardi dei farmaci approvati e distribuiti in Europa. Il virologo Roberto Burioni ha twittato “ottima notizia”; l’assessore alla Regione Lazio Alessio D’amato spinge all’autorizzazione per avere “un’arma in più in questa guerra”; stessi toni da parte del membro della segreteria nazionale della Lega Fabio Cantarella che esorta “le autorità italiane ed europee ad acquisire questo prodotto” in particolare per la Sicilia. È arrivato in Ungheria il primo lotto intanto, 40mila dosi per 20mila persone mentre la Germania studia la possibilità di produrre il vaccino. Lo Sputnik V, secondo uno studio riportato dalla rivista scientifica britannica The Lancet, è efficace infatti al 91,6% e non ha provocato alcun evento avverso grave, salvo lievi reazioni come sintomi simil-influenzali, dolore al sito di iniezione e debolezza. Il vaccino, emerge da una sotto-analisi condotta su duemila persone adulte, over 60, è altrettanto efficace su questo gruppo. I risultati preliminari si basano sull’analisi dei dati di quasi 20mila partecipanti, tre quarti dei quali hanno ricevuto il vaccino e un quarto un placebo. Lo studio “ha mostrato un’elevata efficacia, immunogenicità e un buon profilo di tollerabilità nei partecipanti di età pari o superiore a 18 anni”, ha dichiarato Inna Dolzhikova, coautrice dello studio, del russo Gamaleya National Research Center for Epidemiology and Microbiology. L’iniezione quindi sembra impedire alle persone di ammalarsi gravemente di Covid-19. La notizia è una spinta per il farmaco che viene sempre più acquistato da Paesi di tutto il mondo. Il primo è stato la stessa Ungheria che oggi ha ricevuto il proprio carico. La velocità con la quale era stato prodotto e lanciato, già nell’estate 2020, era stata criticata per “fretta inopportuna” e “assenza di trasparenza”, hanno riconosciuto scienziati non coinvolti nella ricerca. “Ma il risultato qui riportato è chiaro” hanno scritto gli scienziati britannici Ian Jones e Polly Roy in un commento che accompagna la pubblicazione. Sputnik V era stato infatti approvato dal governo russo con molto clamore l’11 agosto. Il presidente Vladimir Putin aveva dato personalmente la notizia alla televisione nazionale e aveva aggiunto che una delle sue figlie era già stata vaccinata. Il farmaco era stato testato solo su diverse decine di persone. L’ultimo studio si basa su una ricerca che ha coinvolto circa 20mila persone di età superiore ai 18 anni in 25 ospedali di Mosca tra settembre e novembre, di cui tre quarti hanno ricevuto due dosi del vaccino russo a 21 giorni di distanza e il resto ha ricevuto iniezioni di placebo, come riporta Lapresse. Rari gli effetti collaterali, quattro i decessi, nessuno collegato al vaccino. Lo studio ha incluso più di 2.100 persone di età superiore ai 60 anni: efficacia al 92% su questa fascia. Lo studio è in corso, ma a dicembre il ministero della Sanità russo ha dichiarato che ridurrà la dimensione dello studio dai 40mila previsti a circa 31mila volontari già iscritti. Gli sviluppatori del vaccino hanno citato preoccupazioni etiche sull’uso di dosi di placebo. Una notizia che è anche una boccata di ossigeno per la Russia: in questi giorni sono scese in piazza migliaia di persone, oltre cinquemila gli arrestati, come non succedeva da anni. A scatenare le proteste l’avvelenamento, l’arresto e l’inchiesta sul “palazzo segreto” di Putin sul Mar Nero di Aleksey Navalny.

Coronavirus, il vaccino russo Sputnik V funziona: “Efficace al 91,6%”. L'Europa lo compra? Le iene News il 02 febbraio 2021. Da tempo si discute della possibilità per l’Unione europea di comprare dalla Russia il vaccino Sputnik V, per sopperire ai ritardi delle case farmaceutiche. Il dubbio è sempre stato sulla reale efficacia del prodotto, che adesso la rivista scientifica internazionale Lancet certifica al 91,6%: adesso si farà l’accordo tra Bruxelles e Mosca? Il vaccino russo Sputnik V è efficace al 91,6%: a dirlo sono i dati pubblicati dalla rivista scientifica internazionale Lancet. Il documento, verificato da esperti indipendenti, raccoglie i dati preliminari degli studi clinici condotti sul preparato russo. Lo Sputnik V deve essere somministrato in due dosi, a distanza di 21 giorni l’una dall’altra ed è molto semplice da conservare: viene perfino somministrato in alcuni supermercati a Mosca. E’ stato il primo vaccino contro il coronavirus a essere approvato, e anche l’ambasciatore italiano in Russia Pasquale Terracciano lo ha ricevuto nei giorni scorsi. Si sono sempre sollevati dubbi e ironie sulla reale efficacia: prima di oggi, infatti, non erano pubblici i dati che avevano portato le autorità russe ad approvarlo. Oggi però la pubblicazione di Lancet sembra togliere ogni dubbio sulla validità dello Sputnik V, e questo riapre un discorso che vi abbiamo già raccontato: l’Unione europea potrebbe rivolgersi alla Russia per sopperire ai ritardi nella consegna dei vaccini di Pfizer prima e sopratutto AstraZeneca, con cui è ancora in corso un braccio di ferro sul rispetto del contratto. Nelle scorse settimane l’Ungheria, muovendosi in autonomia rispetto all’Unione europea, aveva deciso di acquistare milioni di dosi di Sputnik V. E a Mosca - dove finora sono avvenute la maggior parte delle vaccinazioni - si sta tornando lentamente alla normalità: bar e discoteche hanno riaperto e le autorità hanno dichiarato che “metà della popolazione è immune al coronavirus”. Voci insistenti dicono che anche la Germania starebbe valutando di rivolgersi alla Russia per avere lo Sputnik V, e l’Agenzia europea del farmaco già da settimane ha avviato contatti con le autorità russe per valutare il vaccino. Ora che i dati sono stati pubblicati e validati dalla comunità scientifica, avremo un’arma in più per uscire dalla pandemia?

 (ANSA-AFP il 2 febbraio 2021) Le prime 40.000 dosi del vaccino russo Sputnik V contro il Covid sono arrivate oggi in Ungheria, primo Paese della Ue ad avere stretto un accordo con Mosca per l'acquisto del farmaco. Lo ha annunciato il ministro degli Esteri ungherese, Peter Szijjarto, nel giorno in cui uno studio pubblicato dalla rivista Lancet conferma che il vaccino russo è efficace al 91,6 per cento contro il virus. Le prime 40.000 dosi, ha sottolineato Szijjarto, sono state portate immediatamente al Centro nazionale per la salute pubblica "per i rimanenti test necessari" prima che possa cominciare l'inoculazione alla popolazione. Altre due milioni di dosi dovrebbero arrivare dalla Russia nei prossimi tre mesi. Budapest ha criticato il processo di approvazione e di acquisto dei vaccini da parte della Ue, che secondo Szijjarto "è fallito". "Siamo i primi nell'Unione europea ad avere lo Sputnik, ma probabilmente non gli ultimi", ha affermato il ministro. La settimana scorsa l'Ungheria è stata anche il primo Paese della Ue ad approvare il vaccino cinese Sinopharm, di cui ha ordinato cinque milioni di dosi.

Elvira Naselli per repubblica.it il 2 febbraio 2021. I dati sul vaccino russo Sputnik V, già ampiamente utilizzato in gran parte dell’America latina, Ungheria, presto Iran e verso il quale aumenta l’interesse di molti paesi occidentali, Germania in primis, sono appena stati pubblicati su Lancet. Il Gam-Covid-Vac, primo vaccino registrato contro Covid-19, è basato sulla tecnologia del vettore virale (un adenovirus non replicante, quindi incapace di infettare l’organismo), prevede due dosi, ed è stato ribattezzato Sputnik per ricordare la missione spaziale sovietica. E, soprattutto, ha un'efficacia altissima: 91,6%. Efficacia definita eccezionale da Roberto Burioni, professore di Virologia all'università San Raffaele di Milano che in un un tweet commenta i risultati di Sputnik V, promettendo di spiegare anche la differenza con il vaccino di Astra Zeneca. Ma veniamo ai dati di questo step dello studio: i risultati di uno studio clinico su quasi 20mila persone ha dimostrato un’efficacia del 91,6%  riportando 16 casi di Covid sintomatico nel gruppo vaccinato (0,1%) e 62 (1,3%) in quello trattato con placebo. Il gruppo era suddiviso in modo che un quarto dei partecipanti ricevesse placebo e tre quarti vaccino. Nessun effetto avverso serio collegato al vaccino, tra i più comuni sintomi lievi quelli parainfluenzali, dolore nel sito dell’infezione, debolezza. Come peraltro per gli altri vaccini. Il trial è ancora in corso – quelli pubblicati su Lancet sono risultati preliminari - con l’obiettivo di arrivare ad osservare 40mila persone in modo da avere dati più solidi su efficacia e sicurezza. Ma veniamo ai dettagli, cominciando dagli effetti avversi seri, quelli cioè che richiedono una ospedalizzazione: rari, rivelano i dati, sia nel gruppo placebo (0,4%, 23 casi du 5435) che in quello vaccinato (0,2%, 45 casi su 16.427 partecipanti), e nessuno correlabile al vaccino. Durante il trial si sono verificati quattro decessi, anche questi non correlabili al vaccino ma uno a una frattura e gli altri a condizioni mediche preesistenti. La maggior parte degli eventi avversi – il 94%-  è stata di lieve entità, di grado 1: sintomi simili all’influenza, dolore nel sito dell’iniezione, mal di testa,sensazione di debolezza o scarsa energia. Seguiti da 5,66% di casi lievi di grado 2 e 0,38% di grado 3 (ma sempre considerati lievi). Quanto all’efficacia, il vaccino ha indotto una robusta risposta anticorpale e una immunitaria (delle cellule T) e solo 6 partecipanti su 342 non hanno avuto una risposta immunitaria, probabilmente per l’età avanzata o caratteristiche individuali.Sebbene lo studio abbia arruolato anche persone con altre patologie, infatti, gli autori segnalano che non sono rappresentati tutti i gruppi a rischio. Inoltre tutti i partecipanti avevano più di 18 anni. E gli autori segnalano il bisogno di investigare su adolescenti e bambini, così come su donne in gravidanza.

Che cos’è Sputnik. Sputnik è un vaccino composto da due parti: due vettori composti da adenovirus (adenovirus umano ricombinante tipo 26 – rAd26-S – e adenovirus umano ricombinante tipo 5 – rAd5-S), entrambi modificati in modo da esprimere la proteina Spike di Sars-Cov-2. Gli adenovirus sono stati trattati in modo da non potersi replicare nell’uomo e quindi di non poter provocare malattia. Del resto i vaccini con vettori virali sono già stati usati molte volte e la loro sicurezza è stata confermata in molti studi clinici. Nel trial con Sputnik ai partecipanti è stata data una dose di rAd26-S seguita, a 21 giorni di distanza, da un richiamo con rAd5-S 21. Secondo gli autori, l’uso di due diversi adenovirus potrebbe aver provocato una risposta immunitaria più potente, rispetto all’utilizzo per due volte dello stesso vettore, e minimizzato il rischio di sviluppo di resistenze da parte del sistema immunitario nei confronti del vettore iniziale. “Le nostre analisi ad interim dello studio di fase 3 del Gam-Covid-Vac in Russia, studio randomizzato e controllato, ha mostrato alta efficacia, immunogenicità e un buon profilo di tollerabilità a partire dai 18 anni", spiega Inna V Dolzhikova, co-autrice dello studio, che lavora al Gamaleya National Research Centre for Epidemiology and Microbiology, in Russia. Ad oggi nel mondo sono in fasi più o meno avanzate di trial clinici 64 candidati vaccini Covid-19, inclusi 13 in fase 3 e 173 ancora in preclinica. “Per fermare la pandemia servono vaccini con differenti meccanismi d’azione per rispondere alle diverse domande di salute dei vari Paesi. Il nostro vaccino, insieme ad altri, aiuta a diversificare la risposta mondiale a Sars-Cov-2”, ha aggiunto Denis Logunov, co-autore dello studio, anche lui al Gamaleya National Research Centre for Epidemiology and Microbiology. Già le pubblicazioni della fase 1 e 2 avevano riportato sicurezza e immunogenicità di due differenti formulazioni di Sputnik: una surgelata e una liofilizzata del vaccino in due parti. In questo studio è stata utilizzata una forma liquida del vaccino, che deve essere conservata a meno 18 gradi. Approvata anche la conservazione tra 2 e 8 gradi. Del trial facevano parte 2144 over 60 e in questo gruppo l’efficacia del vaccino è stata del 91,8%. Inoltre Sputnik è stato ben tollerato e ha avuto buoni profili di sicurezza da 1369 di questi partecipanti considerati adulti anziani. Ci sono stati tre episodi di eventi avversi seri, tre nel gruppo placebo e tre in quello vaccinato, ma nessuno correlabile al vaccino.

L'analisi secondaria. Lo studio ha analizzati anche l’efficacia del vaccino contro Covid-19 moderato o severo. A 21 giorni dalla prima dose non ci sono stati casi di Covid-19 moderato o severo nel gruppo vaccinato (e invece 20 nel gruppo placebo), equivalente a un’efficacia del 100%. E sebbene lo studio non sia stato disegnato per stabilire l’efficacia di una dose singola è stato rilevato come già a 16-18 giorni dalla prima dose sia riscontrabile un effetto protettivo anche se parziale. Dal giorno 15-21, l’efficacia contro Covid moderato o severo è del 73.6%, ma servono ulteriori studi (e il team ha da poco ricevuto l’approvazione a investigare l’efficacia della dose singola).

Articolo di "Le Monde" per la rassegna stampa di "Epr Comunicazione" il 15 febbraio 2021. Chiamiamolo karma. O un occhiolino del destino che si vendica per essere stato troppo brusco. Questo martedì 2 febbraio, lo Sputnik V finalmente trionfa, dopo tanti dubbi e anticipi. Il Lancet, la rivista medica, ha pubblicato quel giorno conclusioni inconfutabili: il vaccino russo è più del 91% efficace contro le forme sintomatiche di Covid-19, il che lo pone tra i leader mondiali. E l'Europa si trova di fronte a un dilemma: se accoglierlo o meno nella famiglia dei rimedi tanto attesi. In un commento allegato allo studio, la rivista nota, come promemoria degli episodi precedenti: "Lo sviluppo del vaccino Sputnik V è stato criticato per la sua fretta, il fatto che ha saltato dei passaggi e una mancanza di trasparenza. Ma i risultati qui riportati sono chiari e il principio scientifico di questa vaccinazione è dimostrato." Buona tolleranza con effetti collaterali molto limitati, un'efficacia impressionante vicina a quella dei due vaccini a RNA messaggero, e anche una protezione stimata al 73% due settimane dopo la prima dose: Sputnik V mostra una performance insolente. Tuttavia, non sono stati questi risultati favorevoli a fare notizia il 2 febbraio, ma la detenzione dell'oppositore russo Alexeï Navalny, condannato a tre anni e mezzo di prigione, pochi mesi dopo essere stato vittima di un avvelenamento. Appena tre giorni dopo, la madrepatria russa si è data la zappa sui piedi. In visita a Mosca venerdì 5 febbraio, Josep Borrell ha elogiato il vaccino russo: il capo della diplomazia europea lo ha salutato come "una buona notizia per l'umanità" e ha detto che spera che l'Agenzia europea dei medicinali (EMA) possa presto certificare il Gam-Covid-Vac, il suo nome ufficiale. Ma è l'espulsione di tre diplomatici europei da parte di Mosca, annunciata lo stesso giorno, che ha monopolizzato l'attenzione questa volta.

"V" per "Vittoria". Scienza, politica, geopolitica. Il trittico, un classico dell'era sovietica, sembra inseparabile dal destino dello Sputnik V, che potrebbe diventare uno dei successi più eclatanti degli ultimi decenni per la Russia. Relativamente poco costoso (circa 20 dollari - 16 euro - entrambe le dosi), più facile da conservare e trasportare dei suoi concorrenti Pfizer-BioNTech e Moderna, il vaccino russo è pronto a partire all'assalto del mondo, oltre i vari mercati che sembravano inizialmente destinati ad esso, paesi emergenti e stati amici. La sua prima apparizione sui media risale all'11 agosto 2020, e Vladimir Putin in persona si occupa delle presentazioni, in un momento in cui si parla poco di un vaccino utilizzabile prima dell'autunno. Per quanto trionfante possa essere l'ambiente un po' noioso di una videoconferenza, il capo del Cremlino annuncia "la prima registrazione al mondo" di un vaccino contro il Covid-19. In realtà, si trattava dell'autorizzazione a procedere alla fase 3 dei test, già superata dalle ditte cinesi CanSinoBio o Sinopharm qualche settimana prima, e da Moderna e Pfizer-BioNTech alla fine di luglio, piuttosto che di una registrazione. Non importa: la Russia deve essere la prima e il suo prodotto è "il migliore", insiste il presidente russo. E se ci fossero dubbi, il nome scelto è lì per chiarirli: Sputnik ricorda l'impresa sovietica del 1957, l'invio del primo satellite nello spazio. La "V", come "Victory" in inglese, è lì per segnare la vittoria. L'ottimismo russo non è sorprendente. Il paese ha una vecchia e consolidata tradizione di vaccini. Negli anni '50 e '60, l'Unione Sovietica era addirittura all'avanguardia nell'immunizzazione della polio. Il suo vaccino "vivo" si è dimostrato più efficace e più facile da usare rispetto alle sue controparti "inattivate" di produzione occidentale.

Tecnica del "vettore virale". In risposta al Covid-19, diversi istituti di ricerca sono stati mobilitati, tra cui l'Istituto Siberiano Vektor, che ha sviluppato un secondo vaccino russo che è ancora in fase di test. Il primo ad annunciare risultati positivi, già nel maggio 2020, è il centro Gamaleïa, sotto l'autorità del Ministero della Salute. Diretto dal biologo Alexander Guinzburg, il laboratorio stava registrando ricerche promettenti, già nel 2014, su un vaccino contro il virus Ebola. Tuttavia, non è mai stato in grado di completare tutti i test regolamentari. Sputnik V è basato sulla tecnica del "vettore virale". Come per i vaccini a RNA messaggero, questa tecnica consiste nell'iniettare un'istruzione genetica nelle nostre cellule e lasciare che producano l'antigene che scatena la risposta immunitaria. Solo che questo non è RNA ma DNA, inserito nel genoma di un adenovirus. È questo virus, reso innocuo, che porterà il nastro genetico al nucleo delle cellule... e si disintegrerà. Il frammento di DNA della SARS-CoV-2 viene poi rilevato dal macchinario cellulare per produrre l'antigene, in questo caso la famosa proteina Spike. I russi hanno adottato lo stesso principio dei britannici con il vaccino di AstraZeneca. Come loro, prevedono due iniezioni per rafforzare e sostenere la risposta immunitaria. Ma dove i ricercatori di Oxford usano due volte lo stesso cargo per trasportare la loro merce genetica, quelli del Gamaleïa Institute stanno cambiando il vettore: la prima iniezione è basata sull'adenovirus Ad26, la seconda su Ad5. "È abbastanza intelligente", dice Jean-Daniel Lelièvre, capo del dipartimento di immunologia clinica e malattie infettive all'ospedale Henri-Mondor di Créteil. "Questo evita che gli anticorpi specifici contro il vettore che appaiono dopo la prima iniezione rovinino l'effetto della seconda."

"Affidabile come un Kalashnikov". Gli elementi promettenti, che la maggior parte degli scienziati non esclude, sono così posti. Ma sono preoccupati per l'impazienza russa, così come per la natura eminentemente politica delle dichiarazioni di Mosca. Gli osservatori sono anche scottati: da diversi anni, il legame tra la scienza e lo stato russo ha evocato più facilmente l'avvelenamento politico o il doping istituzionalizzato...Per lo Sputnik V, il decollo si sta rivelando laborioso. Il 4 settembre 2020, un primo studio pubblicato su The Lancet alla fine delle fasi 1 e 2 della sperimentazione clinica pone più domande che risposte. Tre giorni dopo, una trentina di ricercatori hanno chiesto pubblicamente un chiarimento di fronte a dati ritenuti "incoerenti". Il campione selezionato per i test della fase 3, quindi, appare particolarmente sottile. Il protocollo stesso della sperimentazione russa non è stato reso pubblico, a differenza di quelli di Pfizer-BioNTech, Moderna o AstraZeneca, che hanno indicato il livello delle loro pietre miliari. In un'altra pratica insolita, Mosca sta lanciando la vaccinazione di migliaia di persone di gruppi a rischio (principalmente gli operatori sanitari) in parallelo con lo svolgimento della fase 3 delle prove. Per compensare queste battute d'arresto, la macchina statale si mobilita. Le stazioni televisive sono più disposte a parlare delle ridenti prospettive offerte dal vaccino che della realtà negli ospedali russi. Secondo la formula di un talk-show che farà storia, lo Sputnik V è assimilato a un altro orgoglio nazionale: mentre i vaccini occidentali sono "costosi e capricciosi", lo Sputnik V è "facile da maneggiare e affidabile come un Kalashnikov". Stelle e ministri vengono filmati mentre vengono vaccinati. Vladimir Putin, che non ha ancora ricevuto un'iniezione, dice che una delle sue figlie è una delle cavie della fase 3, anche se non vengono mostrate immagini. I dubbi espressi dagli scienziati, o le loro richieste di chiarimento, sono spazzati via come il semplice risultato dell'eterna "guerra dell'informazione" condotta contro la Russia, o "russofobia".

Contratti con paesi amici. Nonostante le ambizioni dichiarate di Mosca, i primi risultati delle esportazioni dello Sputnik V rimangono timidi. Entro la fine del 2020, il fondo sovrano russo che ha finanziato lo sviluppo del vaccino ha assicurato che circa 50 paesi erano interessati, per un totale di 1 miliardo di vaccini, o 2 miliardi di dosi. Ma queste promesse avranno bisogno di tempo per materializzarsi. Bielorussia, Venezuela, Bolivia, Algeria, Serbia... I primi paesi a firmare contratti per lo Sputnik V sono per lo più paesi amici. Il vaccino russo fatica a perdere la sua immagine di soluzione «light», dal nome di una nuova versione concepita appositamente per i paesi più poveri con una sola dose e l'obiettivo prioritario di ridurre la mortalità. Bisogna anche dire che la gestione russa del Covid-19 non depone a favore del successo scientifico. Dalla primavera del 2020, i dati sui contagi e sulla mortalità in Russia sembrano essere molto sospetti, e le autorità stanno dispiegando un'energia senza precedenti per impedire che le informazioni raggiungano le regioni in cui la situazione negli ospedali è catastrofica. Solo alla fine di dicembre, con la pubblicazione di cifre che attestano un eccesso di mortalità significativo, il governo ha riconosciuto di aver sottostimato la mortalità del Covid-19 di quattro o cinque volte, senza cambiare i suoi metodi di conteggio. Ultimo avatar nazionale: lo scetticismo non risparmia la popolazione russa. A settembre, una rivista medica ha concluso che solo il 24% dei medici intervistati erano pronti a ricevere le due dosi di Sputnik V. All'estero, durante tutto il suo sviluppo, il vaccino russo ha anche continuato a suscitare grande diffidenza tra gli scienziati occidentali. Quando Vladimir Putin ha lanciato lo Sputnik V, nessun dato serio era ancora stato pubblicato. La famosa fase 3, quella che verifica l'efficacia e la sicurezza del prodotto su un gran numero di volontari, non era nemmeno iniziata. "Una decisione sconsiderata e incosciente", ha denunciato il genetista François Balloux dell'University College di Londra sulla rivista Nature. "Condurre una campagna di vaccinazione con un vaccino non sufficientemente testato non è etico. Il minimo problema sarebbe disastroso sia dal punto di vista della salute che in termini di impatto sulla fiducia della gente nella vaccinazione." "Non sono sicuro di cosa stiano facendo i russi, ma non prenderei mai un vaccino che non sia passato attraverso la fase 3", ha twittato Florian Krammer, un virologo alla Icahn School of Medicine di New York. Anche a Mosca, Svetlana Zavidova, capo della Russian Clinical Trials Association, ha definito la decisione "ridicola".

"Una grande esperienza". Un mese dopo, a settembre, la pubblicazione su The Lancet dei risultati delle prove di fase 1 ha provocato ulteriori controversie. Sedici ricercatori occidentali, guidati dall'italiano Enrico Bucci, professore associato di biologia alla Temple University di Filadelfia e un attivo sostenitore dell'"integrità scientifica", hanno pubblicato una corrispondenza nella rivista in cui si nota "una serie di preoccupazioni" sull'articolo russo. Cifre troppo simili, dati mancanti, una generale mancanza di chiarezza sul profilo dei "convalescenti" ai quali i ricercatori russi avevano paragonato i loro volontari vaccinati per stabilire le prestazioni del loro prodotto nel neutralizzare il virus, e contraddizioni sulle date di reclutamento e follow-up di questi volontari. "Hanno risposto, ma non hanno mai risposto alle nostre critiche o dato accesso ai loro dati", si rammarica il biologo italiano. Tuttavia, il clima in cui viene accolto il prodotto russo sembra essere cambiato da quando i risultati della sperimentazione di fase 3 sono stati pubblicati liberamente su The Lancet il 2 febbraio. "Si tratta indubbiamente di buoni risultati, e non c'è motivo di dubitare della loro veridicità", ammette Mathieu Molimard, capo del dipartimento di farmacologia medica dell'ospedale universitario di Bordeaux. "Ma avremmo bisogno di avere accesso a tutti i dati. Se i russi vogliono essere autorizzati in Europa, dovranno presentarli all'EMEA. Se questo è il caso e l'EMEA è valida, non avrò riserve". "Per quanto ci fossero riserve sull'articolo di settembre, questo mi sembra del tutto compatibile con quello che dovremmo aspettarci", aggiunge Odile Launay, direttore del centro di vaccinologia di Cochin-Pasteur. "I russi hanno una grande esperienza nella ricerca sui vaccini. Non vedo ragioni per non fidarsi di loro." Tuttavia, l'infettivologo nota che con appena l'11% dei volontari di età superiore ai 60 anni, il team Sputnik V non è andato molto oltre il team Oxford-AstraZeneca nel testare il suo vaccino sulle popolazioni più a rischio.

"Mancanza di trasparenza”. Come esperto dell'Alta autorità francese per la salute (HAS), Jean-Daniel Lelièvre è più riservato e condivide diverse "domande". Prima di tutto, la definizione di pazienti Covid-19 scelta dai ricercatori russi non gli sembra "per niente chiara". La perdita del gusto e dell'olfatto, per esempio, non sono tra i sintomi considerati. È anche sorpreso dai risultati registrati due settimane dopo la prima dose, "molto meglio del vaccino Janssen [filiale Johnson & Johnson] anche se le piattaforme sono identiche". L'esperto si interroga anche sull'evoluzione dei due gruppi di volontari a partire dal 21° giorno dopo la prima iniezione. Non sorprende che (per un vaccino efficace), il numero di infezioni diminuisca tra i vaccinati. Allo stesso tempo, però, "sale bruscamente nel gruppo placebo", senza alcuna spiegazione convincente, il che porta a un aumento delle prestazioni di Sputnik. Anche Enrico Bucci e i suoi colleghi non sono del tutto convinti. Scettici a settembre, hanno proseguito con un articolo del 9 febbraio che riportava "nuove preoccupazioni sul vaccino di Sputnik". Questa volta, hanno sottolineato le incongruenze nelle dimensioni del campione e in alcuni risultati, e hanno messo in discussione i "quattro morti" che si sono verificati durante la sperimentazione: "Solo due sono adeguatamente spiegati". Soprattutto, insistono sulla "mancanza di trasparenza" della squadra russa. Gli scienziati concludono: "Mentre ci si aspetta che il vaccino di Sputnik abbia un certo grado di efficacia e sicurezza, sono esclusi i confronti con altri prodotti, così come una robusta valutazione da parte della comunità scientifica sulla base degli articoli pubblicati su The Lancet, finché non ci sarà una completa divulgazione dei dati." Presidente del comitato per il vaccino Covid-19 istituito dal governo francese, la virologa Marie-Paule Kieny dice di non essere "sorpresa" dai buoni risultati pubblicati da Sputnik V. "Ho guidato una missione in Russia a novembre [2020] e abbiamo visto i loro dati sugli animali e sugli esseri umani. La missione ha raggiunto il consenso che il loro progetto era convincente. Nel suo design, con questi due diversi adenovirus utilizzati per le due iniezioni, e nei dati presentati." “La mancanza di trasparenza messa in evidenza dai suoi critici? Hai visto tutti i dati degli altri? Non l'ho fatto. Sarebbe un peccato avere pregiudizi contro questo vaccino perché è russo."

Ritardi di consegna. Per questo esperto, il vero handicap dello Sputnik V è la sua produzione. "L'Istituto Gamaleïa fa ricerca, non produzione su larga scala. Hanno fatto accordi con produttori locali o internazionali di farmaci generici, ma sarà complesso garantire l'omogeneità del prodotto. Ma questo è anche ciò che le agenzie di regolamentazione stanno guardando, non solo l'efficacia della fase 3 ma l'intero processo, dalle attrezzature di laboratorio utilizzate durante i test allo sviluppo industriale. E questo può richiedere tempo." Dopo i dubbi, la Russia ha dovuto effettivamente affrontare un'altra difficoltà per quanto riguarda la capacità di produzione. Fondamentalmente, le regole stabilite da Mosca erano chiare: le dosi prodotte in Russia da sei produttori autorizzati sono riservate al mercato russo. Quelli per l'esportazione sono prodotti solo all'estero, in otto paesi partner, cinque dei quali sono noti finora: Kazakistan, India, Cina, Corea del Sud e Brasile. Alcuni dei vaccini, tuttavia, sembrano essere spediti dalla Russia. È il caso, per esempio, delle fiale destinate all'Argentina, dove i ritardi di consegna sono anch'essi significativi: invece dei 5 milioni di dosi previste solo per gennaio, all'inizio di febbraio ne erano state consegnate solo 600.000. Alla stessa data, un totale di 1,1 milioni di dosi erano state consegnate all'estero. Nella stessa Russia, la campagna di vaccinazione, efficace a Mosca, si sta dimostrando meno efficace nelle regioni. Secondo le cifre ufficiali, più di 2 milioni di persone avevano ricevuto almeno una delle due dosi del vaccino. Alcuni osservatori, tuttavia, considerano queste cifre gonfiate, poiché non corrispondono alle statistiche stabilite dalle regioni stesse. Fin dall'inizio, Mosca ha cercato di stabilire dei partenariati, soprattutto in Europa, che avrebbero aumentato la capacità di produzione dello Sputnik V e dato più credibilità alla sua immagine. Nel novembre 2020, Vladimir Putin aveva così proposto a Emmanuel Macron una cooperazione in questo senso, durante una conversazione telefonica ma, nonostante una visita a Mosca di una delegazione dell'Istituto Pasteur, la questione è rimasta a quel punto.

"Dividere gli europei". Da quando è stato pubblicato l'ultimo studio di Lancet, tuttavia, e nonostante la persistente messa in discussione di diversi scienziati, gli europei, che fino a poco tempo fa nascondevano a malapena il loro scetticismo sul vaccino russo, hanno iniziato a vederlo sotto una luce diversa. Ora che loro stessi stanno affrontando difficoltà di consegna e la strategia di vaccinazione della Commissione è oggetto di molte critiche, la possibilità di comprare un giorno lo Sputnik da Parigi a Berlino, via Bruxelles, non è più esclusa. "Se i produttori russi e cinesi aprono i loro dossier e mostrano trasparenza (...), allora potrebbero ottenere un'autorizzazione di commercializzazione condizionata come gli altri", ha spiegato Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, ai deputati europei la sera del 2 febbraio. Se fanno domanda all'EMA, il loro vaccino sarà analizzato "in modo scientifico e indipendente". "Questa non è una decisione politica ma scientifica", ha detto Emmanuel Macron in un'intervista televisiva lo stesso giorno. Il cancelliere tedesco Angela Merkel non aveva detto altro il giorno prima: "Tutti coloro che otterranno un'autorizzazione dall'Agenzia europea per i medicinali saranno assolutamente i benvenuti, ho parlato proprio su questo punto con il presidente russo." Poche voci in Europa continuano a esprimere riserve sul vaccino russo, con poche eccezioni, tra cui il primo ministro lituano. "Non sono convinta delle buone intenzioni del Cremlino di condividere Sputnik per fermare la diffusione del virus", ha detto Ingrida Simonyte al sito Politico l'8 febbraio. "Purtroppo, Sputnik arriva con molta propaganda e l'ambizione, nemmeno nascosta, di dividere gli europei e i loro partner del sud e dell'est", ha continuato. Ha concluso: "Sì, siamo a corto di vaccini. Ma io credo nel potere dell'Europa e nell'onestà dei produttori di vaccini su entrambi i lati dell'Atlantico."

Tentativo di "chiarimento". Per il momento, l'EMA non ha ricevuto una richiesta formale di autorizzazione alla commercializzazione del vaccino Sputnik V - e nemmeno l'inizio di una rolling review, che è un esame continuo dei dati che la precedono - ma una richiesta di consulenza scientifica per consentire l'avvio di discussioni tra l'azienda e l'agenzia comunitaria. Questa è di solito la fase preparatoria prima di una domanda formale di autorizzazione alla commercializzazione. "Una riunione ha avuto luogo circa tre settimane fa con i rappresentanti della società per discutere i prossimi passi", viene detto laconicamente all'EMA. "Secondo me, per il momento, questi due si guardano come due cani in una pista da bowling", ride un funzionario europeo. Nel tentativo di "chiarire", mercoledì 10 febbraio, l'agenzia ha detto che il vaccino russo era nella lista dei 26 progetti che ricevono la sua consulenza sulle buone pratiche richieste dall'istituzione e ha detto che sta scambiando e collaborando con la parte russa per definire i prossimi passi. "Gli sviluppatori hanno espresso interesse ad approfittare del processo di revisione continua (...) riservato ai progetti più promettenti", ha detto. Ma niente di formale al momento. In tutti i contratti che ha firmato con i laboratori per comprare i vaccini da loro, la Commissione ha insistito che le dosi in questione siano prodotte in Europa. Se lo Sputnik V dovesse mai ottenere un'autorizzazione europea di commercializzazione per vendere dosi all'esecutivo dell'UE, dovrebbe garantire la conformità a questo punto delle specifiche. Berlino ha già indicato che sta cercando collaborazioni con siti tedeschi, e Vienna con impianti austriaci. Nel frattempo, il vaccino Sputnik V ha già un punto d'appoggio in Europa. L'Ungheria lo ha autorizzato - così come ha autorizzato il vaccino della cinese Sinopharm - attivando una procedura d'emergenza generalmente riservata a casi eccezionali. La saga dello Sputnik continua.

Vaccino russo Sputnik V, parere tecnico scientifico dello Spallanzani: efficacia al 91,6%. Il Corriere della Sera il 19/2/2021. Con l'intento di premere sull'acceleratore e di dare benzina alla macchina vaccinale che viaggia a scartamento ridotto a causa della mancanza di siero (la capacità sarebbe di 25 mila somministrazioni al giorno), è arrivato il parere tecnico-scientifico dello Spallanzani sull'antidoto russo Sputnik V, sviluppato da Gamaleya research institute of epidemiology and microbiology. Positivo il parere su questo vaccino che si basa su due vettori adenovirali, prevede due somministrazioni intramuscolo a distanza di 21 giorni, viene prodotto in versione congelata (necessarie temperature tra i -18 e lo zero) e liofilizzata (tra -2 e -8), può essere somministrato dai 18 anni in su e soprattutto ha un'efficacia testata del 91,6%, senza che presenti effetti collaterali rilevanti. Intanto con i vaccini a disposizione a oggi nel Lazio sono state immunizzate 314.881 persone, di cui 117.809 con doppia dose e oltre 65mila gli ultraottantenni. Dopo la Nuvola all'Eur e l'Auditorium Parco della Musica, è stato messo in campo anche il maxi centro vaccinale della Cecchignola, che sarà operativo da lunedì: per il personale militare prima e per la cittadinanza poi. A pieno regime potrà somministrare fino a 2.500 vaccini al giorno attraverso 32 postazioni, 40 medici e 70 infermieri. La struttura potrà ospitare le persone con disabilità o con mobilità ridotta, che avranno spazi e corsie dedicate.

Cecilia Gentile per “la Repubblica - Edizione Roma” il 19 febbraio 2021. «Ottimo profilo di sicurezza a breve termine. Risposta immunitaria comparabile a quella dei vaccini già autorizzati. Dati di efficacia clinica comparabili a quelli dei due vaccini più efficaci attualmente disponibili». Il vaccino russo Sputnik V ha passato l'esame della commissione di studio dello Spallanzani. Il documento di nove pagine ha preso adesso la strada del ministero della Salute per sollecitare decisioni politiche. In altre parole: l'impegno da parte del ministro Roberto Speranza a chiedere ai due organismi autorizzativi europeo e italiano Ema ed Aifa di spingere perché il farmaco abbia il via libera. Lo dice espressamente il gruppo di lavoro di quattro medici presieduto dal direttore sanitario dello Spallanzani Francesco Vaia: «Si ritiene che il vaccino Sputnik V possa avere un ruolo importante nei programmi vaccinali contro Sars-CoV-2». Insomma, da tempo l'assessore regionale alla Sanità Alessio D'Amato si è espresso a favore dello Sputnik, da quando Pfizer prima e Moderna dopo hanno clamorosamente ridotto le forniture di vaccini concordate con l'Europa dunque anche con l'Italia. In nome dell'urgenza della campagna di vaccinazione, l'assessore ha cominciato ad invocare altri vaccini, primo fra tutti lo Sputnik. E pensare che all'inizio, quando la Russia lo ha presentato il 10 agosto 2020, questo vaccino è stato molto snobbato da Europa e Italia, tanto da non prenderlo in alcuna considerazione. «È successo perché la Russia lo ha autorizzato e poi iniettato disponendo solo dei risultati delle fasi 1 e 2 della sperimentazione, non dei dati della fase 3, quella clinica, che indica quante persone riescono a non ammalarsi con la somministrazione del vaccino», spiega Andrea Antinori, uno dei medici dell'equipe dello Spallanzani che ha prodotto il parere tecnico scientifico. «Ma dal 2 febbraio - continua Antinori - da quando la rivista scientifica Lancet ha pubblicato online i risultati della fase 3, possiamo dire che questo vaccino è molto efficace, sicuramente più di Astrazeneca». E infatti il parere tecnico-scientifico del team si articola in tre momenti: la sicurezza, prima fase. Il vaccino non è tossico. La capacità immunogenetica, cioè la capacità del vaccino di produrre anticorpi, che appartiene alla fase 2 della sperimentazione. «La fase 2 è una prova di laboratorio perché misura la risposta immunitaria nel sangue - spiega Antinori -. Ma produzione di anticorpi e copertura dall'infezione non sono la stessa cosa. Per quest'ultima, che è la terza fase, c'è bisogno del riscontro clinico. Bisogna sapere cioè rispetto al campione di volontari a cui è stato inoculato il vaccino, quante persone si sono ammalate». Ora, sulla base dei tre riscontri, lo Spallanzani ha dato il via libera allo Sputnik. Chiarendo bene però in un passaggio che «al momento tutti i dati di efficacia disponibili provengono da una singola sperimentazione che per quanto consistente è stata sviluppata in una sola città (Mosca), in un solo gruppo etnico e sotto il controllo di una sola autorità regolatoria». Notare bene: «Non sono noti i dati su impatto delle varianti virali sull'efficacia del vaccino». Per rendere più chiaro il confronto tra vaccini, il team di studio ha prodotto una tabella da cui risulta evidente la classifica di quelli attualmente prodotti. I più efficaci sono Pfizer e Moderna, che coprono rispettivamente al 95 e al 94%. Segue lo Sputnik V con una copertura del 92%. C'è poi Astrazeneca, con un'efficacia del 60% se la seconda dose si fa a 4 settimane, dell'82% se il richiamo è inoculato a 12 settimane, come adesso il ministero della Salute ha prescritto di fare. Per Johnson & Johnson i risultati variano dal 72% al 57% a seconda delle aree geografiche: la percentuale più bassa è in Sud Africa, dove c'è la variante. Al 66% c'è il vaccino cinese Convidecia. Secondo lo Spallanzani il vaccino Sputnik è caratterizzato da un approccio biotecnologico originale: utilizza due adenovettori differenti tra prima e seconda dose, per disorientare il sistema immunitario ed assicurarsi che agisca contro il virus, non contro il vettore.

"ASTRAZENECA È EFFICACE AL 100% CONTRO I CASI GRAVI". (ANSA il 18 febbraio 2021) "Efficacia al 100% del vaccino per Astrazeneca/Oxford Irbm nell'evitare l'ospedalizzazione: il preprint consegnato a The Lancet di uno studio su 10.290 persone in Inghilterra e 10.300 in Brasile con età dai 18 anni in su e quindi comprensiva degli anziani anche con patologie gravi come diabete, obesità, insufficienze respiratorie e problemi cardiovascolari, chiarisce senza ombra di dubbio che l'efficacia per contrastare la malattia grave è del 100%". Lo afferma Pietro Di Lorenzo, presidente della Irbm, in un'intervista all'ANSA. "Ciò significa che la totalità dei vaccinati non rischia più di andare in ospedale o terapia intensiva". "L'efficacia totale, poi - spiega il presidente di Irbm - con la prima dose si è dimostrata del 73% e dopo l'inoculazione della seconda dose dopo 12 settimane è risultata dell'82%". "È importante anche sottolineare che il lasso di tempo di 12 settimane che può passare tra la prima e la seconda dose - rileva - consente di procedere in maniera molto più spedita nella vaccinazione di massa, che non mi sembra un vantaggio da poco". "Entro fine Febbraio arriverà un milione di dosi del vaccino Oxford/AstraZeneca/Irbm. A marzo, se non ci saranno problemi particolari, è prevista la consegna di ulteriori 4 milioni di dosi. Nei mesi successivi, considerato lo sforzo organizzativo che sta mettendo in campo Astrazeneca, è credibile che si possa anche ipotizzare un recupero di parte delle consegne mancate". Lo afferma Pietro Di Lorenzo, presidente della Irbm di Pomezia, in un'intervista all'ANSA.

I dietrofront di Aifa sul vaccino AstraZeneca. "Campagna vaccinale a rischio". Il vaccino di AstraZeneca è consigliato anche agli over 55, anzi no, forse si: l'indecisione dell'AIfa può avere ripercussioni sulla campagna vaccinale italiana. "È stato fatto l'ennesimo errore, secondo me clamoroso". Alessandro Ferro, Mercoledì 03/02/2021 su Il Giornale. Si, no, forse: è il balletto dell'Aifa nei confronti del vaccino AstraZeneca, approvato pochi giorni fa e adesso disponibile assieme a quelli della Pfizer-BioNtech e di Moderna con la differenza, però, che il vaccino italo-inglese è consigliato principalmente per la fascia d'età compresa fra i 18 ed i 55 anni. E qui scoppia il "caso", o sarebbe meglio dire caos.

Ecco il caos. La mattina del 2 febbraio, infatti, una nota della Commissione Tecnico Scientifica dell'Aifa aveva precisato che "sulla base dei risultati di immunogenicità e dei dati di sicurezza, il rapporto beneficio/rischio di tale vaccino risulta favorevole anche nei soggetti di età più avanzata che non presentino specifici fattori di rischio", così come abbiamo tempestivamente pubblicato sul nostro giornale (qui il pezzo). Quindi, ecco il primo dietro-front e via libera al vaccino anche per chi ha oltre 55 anni. A onor di cronaca, il vaccino sopra quella fascia d'età non era stato mai negato ma è chiaro che se ad una popolazione come quella italiana, composta da milioni e milioni di over 55, non si dice espressamente che il vaccino va bene per tutti così come accade per gli altri due già autorizzati, è ovvio e logico pensare che le persone al di sopra di quella soglia d'età siano più restie nel farsi somministrare AstraZeneca. E questo è un primo punto.

La prima ritrattazione. Quindi, dall'approvazione del 30 gennaio al 2 febbraio, in soli tre giorni si è passati da un certo tipo di consiglio ad un altro rispetto a quanto riportato originariamente sul sito dell'Agenzia Italiana del Farmaco, dove si legge chiaramente "utilizzo preferenziale del vaccino AstraZeneca, in attesa di acquisire ulteriori dati, in soggetti tra i 18 e i 55 anni, per i quali sono disponibili evidenze maggiormente solide". L'Aifa stessa, sul documento accessibile a tutti, ha tenuto a specificare che, dal momento che sono disponibili i vaccini della Pfizer e di Moderna, per le categorie più a rischio è consigliato un "utilizzo preferenziale dei vaccini a RNA messaggero nei soggetti più anziani e/o più fragili secondo "quanto previsto dal piano strategico per la vaccinazione anti SARS-CoV2/COVID-19 del Ministero della Salute".

La seconda ritrattazione. Le tappe, quindi, sono le seguenti: dal non consiglio agli over 55 al va bene per tutti. Le sorprese, però, non sono finite qui, perché nel primo pomeriggio del 2 febbraio, poche ore dopo i primi lanci delle agenzie, noi del giornale.it avevamo avuto un'anticipazione di quello che sarebbe stato reso noto poche ore dopo alla stampa, e cioè che la Cts dell'Aifa, riunita anche per discutere sugli anticorpi monoclonali, aveva operato un altro dietro-front con la novità che "la posizione di Aifa resta che AstraZeneca è preferibile per gli Under 55". Si torna indietro, quindi, al giorno dell'approvazione quando fu espressamente detto che la fascia d'età consigliata per il vaccino era quella 18-55. Insomma, un caos totale. Poche ore dopo, ecco la conferma dalle maggiori agenzie italiane. "La posizione della Commissione Tecnico Scientifica è rimasta invariata rispetto a quella espressa nella riunione di sabato 30 gennaio. In attesa di ulteriori studi, l'indicazione per il vaccino AstraZeneca resta preferenzialmente per la popolazione tra i 18 e 55 anni e senza patologie gravi, per la quale sono disponibili dati più solidi", riporta Italpress. "Si attendono maggiori evidenze sul rapporto beneficio/rischio del vaccino AstraZeneca prima di suggerirne la somministrazione nei soggetti di età più avanzata", conclude l'Agenzia del Farmaco.

"Ci siamo castrati..." "Aifa e la sua Cts hanno deciso che il vaccino va bene fino ai 55 anni di età ma ci siamo castrati perché rischiamo di fare una campagna vaccinale così imponente e così importante su tutta la fascia dagli 80 anni in giù senza avere un vaccino", dice in esclusiva per ilgiornale.it il Prof. Matteo Bassetti, Direttore della Clinica di Malattie Infettive dell'Ospedale Policlinico San Martino di Genova, che abbiamo interpellato per farci dire la sua su questo "balletto" dei numeri che riguarda il vaccino italo-inglese. "AstraZeneca sarebbe perfetto perché è un vaccino da frigorifero ed è già pronto", ci dice l'esperto, sottolineando come sia sicuramente più fruibile di quelli Pfizer e Moderna che vanno mantenuti e conservati a temperature molto al di sotto dello zero. Ma tutto dipenderà dalla nostra Agenzia del Farmaco, anche se forse è già troppo tardi. "È una decisione incomprensibile, non riesco a capire come abbiamo potuto castrarci in questo modo in questo momento di difficoltà. Gli inglesi, che non sono certamente gli ultimi arrivati, con AstraZeneca vaccinano anche le persone sopra i 55 anni, per cui anche su questo abbiamo fatto di testa nostra complicando una materia già molto complicata", sottolinea Bassetti, che se la prende con l'organizzazione vaccinale naufragata dall'inizio ad oggi. "Dobbiamo ripartire da zero perché non ne abbiamo azzeccata una negli ultimi due mesi: dal punto di vista logistico, dal punto dell'approvazione, delle forniture, sullo scommettere su un vaccino... è come quando si giocava al totocalcio decidendo di volerle sbagliare tutte ma una si prendeva sempre. Qui le abbiamo sbagliate tutte, ogni giorno rimango sempre più perplesso".

"La campagna vaccinale è a rischio". "Se Aifa non cambierà queste disposizioni il danno è già fatto perché si è detto al popolo, come prima informazione, che questo vaccino oltre i 55 anni non va bene. Adesso vorrei vedere se, cambiando idea, la gente lo possa accettare in un mondo ormai così mediatico. È stato fatto l'ennesimo errore, secondo me clamoroso, che metterà a rischio l'intera campagna vaccinale", incalza Bassetti. "Cosa ce ne possiamo fare di un vaccino che è consigliato solo fino ai 55 anni?", aggiunge. Da qui, le idee del Prof. ligure sono due: rivoluzionare l'intera campagna vaccinale, vaccinando gli ultra 80enni e lasciando scoperta (per il momento) la fascia 55-80, o fare una retromarcia (l'ennesima) dicendo che il vaccino non ha dati sufficienti per le persone con più di 55 anni. "Tuttavia, in un momento di restrizione dei vaccini, piuttosto che non vaccinare queste categorie di persone e lasciarle esposte al rischio di infezione, meglio fare comunque un vaccino con un'efficacia che arriva al 60% ma che per la forma grave si avvicina al 100%", consiglia l'infettivologo.

Spunta Sputnik? Si dice che tra i due litiganti il terzo gode: Pzifer ha rallentato le forniture, AstraZeneca ha i problemi che ha ed oggi, come ulteriore beffa, sono arrivati i dati del tanto criticato vaccino di Putin, Sputnik V: sulla rivista più prestigiosa al mondo, Lancet, sono stati pubblicati i risultati, per certi versi sorprendenti. Questo vaccino ha un'efficacia del 92%, praticamente ai livelli di Pfizer e Moderna. "Il vaccino russo, di cui si è detto peste e corna, sulla più importante rivista al mondo è stata pubblicata l'efficacia che arriva al 92%, sta in frigorifero ed è un vaccino tradizionale - conclude Bassetti - Io mi chiedo, veramente, chi comanda in questo momento su queste cose. Rischiamo di trovarci a giugno ad essere l'ultimo dei paesi europei. Il vaccino di AstraZeneca, su una vaccinazione sul territorio, avrebbe aiutato tanto".

L’autogol dell’Ue sui vaccini: il braccio di ferro con le Big Pharma è un flop. Federico Giuliani su Inside Over l'1 febbraio 2021. Il vaccino realizzato da AstraZeneca ha ricevuto il via libera dell’agenzia europea del farmaco (EMA). Parere favorevole anche da parte della Commissione europea, che ha completato la procedura per rendere il siero effettivamente disponibile all’interno dei Paesi membri. Dopo Pfizer-BioNTech e Moderna, dunque un altro vaccino anti Covid è pronto a essere immesso sul mercato Ue. In Italia, è arrivato anche il semaforo verde dell’Aifa, l’agenzia italiana del farmaco. Quindi la strada è in discesa e potremo finalmente imbracciare una nuova arma nella lotta contro il Sars-CoV-2? In teoria, sì. Il vaccino del gruppo anglo-svedese, prodotto con la tecnica del vettore virale, è al momento raccomandato solo per gli under 55. La sua risposta – efficacia al 60%, ma chi si ammala non ha sintomi gravi – è stata giudicata più che positivamente e, molto presto, si aggiungerà ai citati vaccini a mRNA di Pfizer e Moderna. Ci sono tuttavia enormi diatribe in corso tra l’Unione europea e la stessa AstraZeneca. Tutto è da ricollegare al contratto stipulato tra Bruxelles e la casa farmaceutica in questione. Dal momento che l’azienda non può rispettare le quantità di consegna di dosi originariamente promesse all’Europa, il gruppo è da giorni impegnato in un duro scontro con la Commissione. Che, dal canto suo, ha intenzione di andare fino in fondo e di usare la vicenda come monito per lanciare un messaggio a tutte le altre Big Pharma.

Il contenzioso Ue-AstraZeneca. Prima di soffermarci sulla vendetta fredda dell’Ue, è importante chiarire un punto. AstraZeneca è stata la prima azienda con la quale la Commissione, lo scorso 27 agosto, ha firmato un contratto. L’intesa era stata raggiunta mesi prima rispetto alle fumate bianche con Pfizer e Moderna. In ballo c’erano 400 milioni di dosi. “Non ci guadagniamo, lo stiamo facendo per l’umanità”, ha più volte ripetuto il ceo Pascal Soriot. L’idillio tra le parti si è rotto proprio nel momento in cui sarebbe stato doveroso collaborare ancora di più per rifornire i governi europei di vaccini. Bruxelles, dati i misteriosi ritardi nelle consegne delle dosi concordate, ha iniziato a dubitare sui produttori dei sieri. Il sospetto, tutt’ora in essere, è che alcune Big Pharma possano aver scelto di non onorare il contratto con l’Ue nel primo trimestre 2021 per dirottare la loro produzione su altri Paesi. La stampa ha ipotizzato che alcuni governi extra europei possano aver messo sul tavolo contratti economicamente più vantaggiosi, e che le stesse aziende abbiano così stravolto la loro scaletta di consegne. Nel caso di AstraZeneca, la Commissione ha chiesto informazioni sul numero di dosi prodotte, a chi sono state consegnate e quando. Le risposte ricevute dalla società sono state definite “non soddisfacenti” dalla stessa Ue. Il ceo Soriot ha tuttavia rispedito le accuse al mittente, sottolineando come i ritardi in essere non possano essere imputabili ad AstraZeneca. Semplicemente, ha fatto capire il manager, devono prima essere soddisfatte le richieste della Gran Bretagna, con la quale era stato firmato un contratto mesi prima rispetto a quello europeo.

La debolezza di Bruxelles. In attesa di distribuire torti e ragioni, l’Europa non è certo rimasta a guardare. Bruxelles ha deciso di rendere pubblico il testo dell’accordo stipulato con AstraZeneca, oscurando intere parti del documento, tra cui quelle inerenti a prezzi, calendario di consegne e quantità relative. Il gruppo anglo-svedese ha acconsentito alla pubblicazione, anche se l’Ue – in versione “tutti contro tutti” – spinge affinché anche Londra sdogani la propria intesa con la casa farmaceutica. La minaccia esplicita è chiara: se la questione dovesse finire in mano a un tribunale, potrebbe aprirsi un contenzioso sfiancante per tutti. Al netto della diatriba, è tuttavia curioso soffermarci su un paio di aspetti. Intanto è interessante notare come l’Unione europea, che aveva fatto della segretezza dei contratti con le Big Pharma uno dei suoi capisaldi, abbia improvvisamente scelto adesso di affidarsi alla trasparenza. Una trasparenza, tuttavia, a “senso unico” e soltanto a uso e consumo di Bruxelles. Detto altrimenti, il contratto con AstraZeneca non sembrerebbe esser stato pubblicato principalmente per informare l’opinione pubblica, quanto per avere la meglio sull’Uk. Inoltre, i funzionari che hanno pubblicato il testo online hanno commesso un bel pasticcio. Le disposizioni segrete, da oscurare per volere di AstraZeneca, in un primo momento erano parzialmente leggibili su un comune programma di lettura dei file Pdf. La Commissione ha quindi caricato un nuovo file, ma ormai era troppo tardi. Risultato: il quotidiano tedesco Der Spiegel è riuscito a leggere il documento completo e a salvare alcune informazioni rilevanti. Si è così scoperto che il prezzo pattuito tra la Commissione e l’azienda anglo-svedese per 300 milioni di dosi del suo vaccino era di 870 milioni di euro. Non solo: la casa farmaceutica non dovrà subire perdite legate allo sviluppo del vaccino. Se, infatti, i costi supereranno la cifra richiesta di 870 milioni di euro, l’azienda informerà la Commissione; e se l’aumento supera il 20%, AstraZeneca si impegna a documentarlo. Insomma, l’emergenza sanitaria doveva essere l’occasione di far vedere al mondo intero la potenza di fuoco di una Unione europea finalmente unita. La realtà ha stravolto questa narrazione, debole fin dal principio. Ogni Paese, a cominciare dalla Germania, ha scelto, di fatto, di percorrere la propria strada. Giusto per fare due esempi, Berlino ha stretto accordi bilaterali direttamente con le aziende, infischiandosene del sistema delle quote allestito da Bruxelles, mentre l’Ungheria ha approvato il vaccino cinese fin qui ignorato dall’Ema. Per il resto, il testo con AstraZeneca reso pubblico dall’Ue, più che rafforzare la posizione dell’Unione, non fa altro che mettere in luce i suoi errori.

 Vaccino Sputnik, l’ok dello Spallanzani: funziona, ora sveltire la burocrazia. Margherita De Bac su Il Corriere della Sera l'1/3/2021. «Sputnik funziona. Noi ne abbiamo fatto una valutazione indipendente, come istituto di ricerca, non come gruppo isolato. Il documento è stato condiviso senza nessuna volontà di intervenire su questioni politiche». Replica così il direttore sanitario dello Spallanzani, Francesco Vaia, a Nicola Magrini, direttore dell’agenzia italiana del farmaco, intervistato dal Corriere della Sera. Il botta e risposta riguarda il parere che il centro nazionale per le malattie infettive ha inviato al ministero della Salute il 17 febbraio. Nelle conclusioni, basate su un’analisi della sperimentazione pubblicata sulla rivista Lancet, il preparato del Gamaleya di Mosca (registrato l’11 agosto 2020 come Gam-Covid-Vac) riceve la promozione: «È caratterizzato da un approccio biotecnologico originale che utilizza due vettori adenovirali differenti tra la prima e la seconda dose di somministrazione. I dati disponibili depongono per un ottimo profilo di sicurezza a breve termine e così quelli di immunogenicità che sono comparabili a quelli di vaccini genetici già autorizzati per uso clinico». L’efficacia è di oltre il 90% contro la malattia sintomatica e del 100% per la malattia grave. Quindi «si ritiene che Sputnik possa avere un ruolo importante nei programmi vaccinali contro Sars-CoV-2». Viene però rimarcato il limite delle informazioni sulla «tecnologia utilizzata per lo sviluppo dei vettori virali e sulla genetica relativa al Dna trasportato dal vettore». E ancora. Dei protocolli di studio si conosce solo una sintesi e i dati di efficacia provengono da un’unica sperimentazione sviluppata solo a Mosca, in un solo gruppo etnico e sotto il controllo di un’unica autorità regolatoria. Infine «non sono noti i dati sull’impatto delle varianti». Magrini in realtà non ha messo in dubbio la validità di questo «candidato», da lui definito «ottimo, dal disegno interessante e intelligente». Però ha sottolineato che l’agenzia non intende precorrere i tempi e avallare un’eventuale procedura per averlo in Italia prima del via libera da parte dell’ente europeo Ema. Vaia respinge il sospetto che l’iniziativa sia stata sollecitata dal governatore del Lazio, Nicola Zingaretti, e del suo assessore alla Sanità, Alessio D’Amato, favorevole a una procedura d’urgenza per portare da noi il vaccino russo: «No, la politica non c’entra. È una nostra iniziativa. L’auspicio è che si vada oltre la burocrazia e si accelerino i passaggi. Abbiamo in mano un buon prodotto e in questa fase non possiamo permetterci di perdere tempo. L’epidemia non si ferma e si è visto che nelle categorie già immunizzate, operatori sanitari e anziani, i contagi e i decessi sono sensibilmente calati». Il parere è stato condiviso anche da Giuseppe Ippolito, direttore scientifico dell’istituto, che non l’ha firmato per evitare conflitti col suo ruolo nel comitato tecnico scientifico, il Cts. «Il rapporto con Aifa è sinergico — aggiunge Vaia —. Abbiamo appena immunizzato presso il nostro ospedale i due ispettori italiani che andranno a Mosca a verificare gli standard qualitativi degli stabilimenti di Sputnik».

Inizia la sperimentazione su 20 volontari. Vaccino italiano Takis-Rottapharm, al via i test sull’uomo anche al Pascale: ha 21 anni il primo volontario. Elena Del Mastro su Il Riformista il 28 Febbraio 2021. È tutto pronto per iniziare la sperimentazione del vaccino anticovid made in Italy. Lunedì 1 marzo inizierà la somministrazione sull’uomo del siero ideato dalla società romana Takis con la monzese Rottapharm biotech. Il volontario che riceverà la prima dose da 0,5 mg di ‘e-Vax’ sarà un ragazzo di 21 anni. A inaugurare i test sarà l’Ospedale San Gerardo di Monza. Poi toccherà allo Spallanzani di Roma e all’Irccs Pascale di Napoli dal 1 aprile. “E-vax” usa una piattaforma a dna e viene inoculato con un elettroporatore. Uno strumento che dà una scossa che permette al frammento di dna di entrare nelle cellule. “Lo scorso dicembre abbiamo condotto uno studio con l’elettroporatore: volevamo testare i sintomi della procedura, per poter fornire poi ai soggetti che saranno arruolati nella sperimentazione i maggiori dettagli possibili – ha spiegato nei giorni scorsi Marina Cazzaniga, direttore del centro di ricerca – io stessa mi sono sottoposta alla procedura, per essere in grado di spiegare al meglio cosa si prova”. Questo tipo di vaccino “potrebbe essere molto importante in futuro” perchè, ha spiegato Paolo Bonfanti direttore della Clinica di Malattie infettive del San Gerardo, c’è “la possibilità di modificarlo adattandolo alla emergenza di varianti del virus non sensibili ai vaccini attuali”, senza contare che è stabile a temperatura ambiente (quindi senza bisogno di garantire la catena del freddo e avere dei super freezer) e può “essere somministrato molte volte, nel caso in cui le vaccinazioni anti-Covid debbano essere ripetute ogni anno”. Dopo la prima vaccinazione si aspetteranno due giorni per vedere se ci sono effetti collaterali, poi saranno vaccinati altri due volontari e, dopo altri due giorni, altri tre. In tutto venti persone. Stessa procedura si seguirà poi per dosi maggiori (in tutto ne vengono sperimentate tre diverse, la massima da 200 milligrammi, che non dovrebbe richiedere il richiamo). Il reclutamento dei volontari per la fase 1 e 2 è iniziato ad agosto, con grande successo. E non è ancora terminato, tanto che sul sito dell’Asst di Monza è possibile scaricare il modulo per iscriversi al registro dei volontari sani. “Sperimentare un vaccino capace di essere modificato in un momento di diffusione delle varianti del Covid – ha sottolineato all’annuncio dell’avvio della Fase 1 il direttore generale della ASST Monza Mario Alparone – rappresenta una opportunità importante da cogliere”.

 E-Vax sarà sperimentato anche al Pascale di Napoli. Ascierto presenta il vaccino italiano Takis Rottapharm: “Efficace contro le varianti, un’altra arma contro il Covid”. Rossella Grasso su Il Riformista il 17 Marzo 2021. Il vaccino è la grande speranza per uscire dall’incubo del Covid. In Italia ce ne sono due attualmente in sperimentazione: Reithera e E-Vax. Il secondo è un vaccino a Dna, ideato dalla società romana Takis con la monzese Rottapharm biotech e vede la collaborazione dell’Ospedale San Gerardo di Monza, dello Spallanzani di Roma e all’Irccs Pascale di Napoli. “È un vaccino italiano che dal punto di vista scientifico e razionale ha tutte le premesse per essere un’ulteriore arma per sconfiggere il Covid”, ha detto Paolo Ascierto, direttore del Dipartimento di Melanoma e Terapie Innovative dell’Irccs Pascale di Napoli. Il team del dottore stava già lavorando a un vaccino per il melanoma. “Poiché il procedimento di sviluppo è molto simile, quando ci hanno proposto di lavorare a un siero contro il Covid ne siamo stati subito entusiasti”. Al Pascale c’è un clima di grande fiducia sulla nuova sperimentazione. “Il vantaggio di questo vaccino è che essendo vari pezzettini di Dna – ha spiegato Ascierto – possiamo modificarli e inserire per esempio il Dna delle varianti e quindi modificarlo all’occorrenza. Questa è una cosa che si può fare anche con gli altri vaccini ma il nostro è più versatile e non avendo virus come vettori non determina la produzione di anticorpi anche contro questi virus che possono rendere meno efficaci i richiami successivi”. Anche i vaccini AstraZeneca e Sputnik sono a Dna, ma a differenza di questi non ha un virus come vettore. AstraZeneca usa un virus di Scimpanzé, Sputnik un altro, virus che non producono malattie ma che servono per far entrare il Dna che è il codice genetico della proteina Spike all’interno del corpo in modo che producendo questa proteina si abbia l’immunizzazione. “Noi usiamo invece un altro tipo di vettore, il plasmidio, che non è un virus e che serve a tenere all’interno dei pezzettini di Dna che codificano per piccole zone della proteina Spike dove vengono prodotti gli anticorpi neutralizzanti per il virus”, continua l’oncologo. A differenza degli altri vaccini dove è il virus stesso che permette l’ingresso del Dna nelle cellule per far produrre poi la proteina Spike, E-Vax usa l’elettroporazione. “Attraverso dei piccoli aghi viene fatta una piccola scarica che fa sì che si aprono i pori delle cellule e possa entrare il plasmide per permettere la produzione di Spike”, continua Ascierto. Qualche giorno fa è stata fatta la prima iniezione di vaccino su un giovane paziente al San Gerardo per la Fase 1, ovvero lo studio del vaccino sull’uomo. “In questa fase verranno trattati 80 pazienti – spiega l’oncologo – Vedremo i diversi dosaggi, il trattamento con la singola vaccinazione o se c’è la necessità di fare un richiamo. Poi passeremo alla Fase 2 che prevede altri 150 pazienti da vaccinare e verificare se hanno una produzione di un titolo anticorpale che sia neutralizzando del virus, se questo è vero poi partirà la Fase 3 che confrontando con i placebo ci dirà se è efficace o no”. “Contiamo per questa estate di avere i primi dati sugli 80 pazienti, ad agosto inizieremo la fase 2 che si chiuderà in 3 mesi e per l’inizio del 2022 inizierà la fase 3 che può durare 6 mesi. A quel punto se i dati saranno buoni potremo avere un nuovo vaccino”. Al Pascale saranno trattati circa 30 pazienti e già sono arrivate candidature spontanee per partecipare allo studio. “C’è tanta fiducia, ce n’era tanta anche all’inizio quando è iniziata la pandemia, anche negli studi sull’animale, a cui abbiamo contribuito”.

Via libera dell'Aifa al siero Covid-eVax di Takis e Rottapharm Biotech. Vaccino italiano, partono i test anche al Pascale. Ascierto: “Un’altra arma contro il Covid”. Elena Del Mastro su Il Riformista il 4 Febbraio 2021. L’Agenzia italiana del farmaco ha autorizzato la sperimentazione clinica di Covid-eVax, il vaccino contro il coronavirus ideato da Takis e sviluppato in collaborazione con Rottapharm Biotech. “Lo studio clinico di Fase I e II potrà ora partire nel mese di febbraio e fornirà i primi risultati sulla sicurezza e immunogenicità circa 3 mesi dopo l’inizio della sperimentazione”, annunciano le due aziende farmaceutiche in una nota congiunta. Lo studio clinico di fase I e II sarà svolto presso l’Istituto nazionale tumori Irccs Pascale di Napoli, l’Istituto nazionale sulle Malattie Infettive Spallanzani di Roma e l’ospedale San Gerardo di Monza in collaborazione con l’Università di Milano-Bicocca. L’Ospedale napoletano, da subito in prima linea nella lotta contro il Covid ha accettato questa nuova sfida con entusiasmo. “Lo sviluppo di un vaccino a Dna sintetico rappresenta un’ulteriore arma per l’immunizzazione di massa — ha detto al Corriere del Mezzogiorno Paolo Ascierto, direttore dell’Unità di melanoma, immunoterapia oncologica e terapie innovative del Pascale e coordinatore dello studio clinico con Marina Cazzaniga e Paolo Bonfanti dell’Università Milano-Bicocca e a Simone Lanini dell’Istituto Spallanzani di Roma — Inizieremo la sperimentazione su un campione di una ventina di volontari dai 18 anni in su e affronteremo le due fasi previste dall’iter di verifiche”. Covid-eVax, a differenza dagli altri vaccini approvati finora dall’Ema, è basato su un frammento di Dna iniettato nel muscolo che promuove la produzione di una porzione specifica della proteina spike del virus, stimolando una forte reazione immunitaria contro il virus. L’efficienza del processo è aumentata dalla tecnica dell”’elettroporazione”, che favorisce il passaggio del Dna all’interno delle cellule in maniera semplice, rapida e senza effetti collaterali grazie a lievi e brevi stimoli elettrici. La nota delle due aziende farmaceutiche diffusa dall’AdnKronos spiega che Takis collabora da anni con un’altra azienda italiana, Igea, il cui ”elettroporatore” è già disponibile in tutta Europa. Le tre aziende insieme stanno collaborando nella realizzazione di un sistema di ancor più ampia diffusione. “I risultati preclinici hanno dimostrato la sicurezza del vaccino e la sua efficacia nell’indurre una potente risposta immunitaria sia anticorpale che cellulare contro il virus”, hanno dichiarato Emanuele Marra, direttore del dipartimento Malattie infettive, e Giuseppe Roscilli, direttore del Dipartimento di Generazione e produzione degli anticorpi monoclonali di Takis. “L’autorizzazione di AIFA rappresenta il primo importante passo per lo sviluppo della tecnologia del Dna contro Covid-19 ma anche per altre patologie”, commenta Luigi Aurisicchio, Amministratore delegato e Direttore scientifico di Takis. ‘‘Tra gli importanti vantaggi, il Dna è economico, non ha bisogno di complesse formulazioni, può essere prodotto in larga scala e non ha necessità della catena del freddo. Ma soprattutto – sottolinea – la vaccinazione può essere ripetuta nel tempo per aumentare e mantenere la risposta immunitaria e la sua flessibilità consente di essere facilmente adattata contro le nuove varianti del virus che stanno emergendo, qualora queste dovessero diventare resistenti alle attuali terapie vaccinali e agli anticorpi terapeutici”. Secondo Lucio Rovati, Presidente e Direttore scientifico di Rottapharm Biotech, ”Covid-eVax è un vaccino che nasce in Italia, si sta sviluppando in Italia con tecnologie tutte italiane, verrà sperimentato in Italia e, in caso di successo degli studi clinici, sarà prodotto in Italia grazie ad un consorzio solido e altamente competente che sta già lavorando alla possibile fase di industrializzazione”. “Covid-eVax nasce dalla passione e competenza di una Biotech italiana e di un team con grande esperienza nello sviluppo di farmaci innovativi, ma anche da un importante investimento coraggioso. Tuttavia – conclude Rovati – per mettere a disposizione di tutti questo vaccino e la sua promettente tecnologia, sarà necessario l’intervento delle Istituzioni per capitalizzare quanto abbiamo imparato da questa pandemia”.

LE CURE.

Daniela Lauria per blitzquotidiano.it il 17 Dicembre 2021. Non solo vaccini, presto contro il Covid avremo un’arma in più: la pillola Paxlovid di Pfizer che ha appena ricevuto il via libera dall’Ema con un parere positivo, prima del suo ok alla immissione in commercio. La pillola anti Covid di Pfizer, secondo il sottosegretario alla Salute Andrea Costa, arriverà anche in Italia, “probabilmente da gennaio”. Costa, ospite a L’Aria che Tira su La7 ha commentato così l’annuncio di Guido Rasi, ex direttore esecutivo dell’Ema e consulente del commissario straordinario per l’emergenza Covid Figliuolo. “L’Ema ha dato il via libera – ha detto Rasi – il farmaco della Pfizer sembra molto utile rispetto al molnupiravir. Arriverà a giorni il via libera e la disponibilità ai primi di gennaio, probabilmente”. Il sottosegretario Costa però precisa: “Dobbiamo fare una riflessione: parliamo di cure e per poterle fare devi prenderti il Covid, io preferisco non prenderlo e oggi l’unica arma che abbiamo è il vaccino”. 

Pillola anti Covid Pfizer, il parere dell’Ema

L’Ema ha fatto sapere che il medicinale Paxlovid della Pfizer può essere utilizzato contro il Covid nei paesi che lo ritengono opportuno. Il parere, precisa una nota, è stato “emesso per supportare le autorità nazionali che potrebbero decidere su un possibile uso precoce del medicinale” prima dell’autorizzazione Ue. Il trattamento con il Paxlovid è riservato ad adulti con Covid-19 che non richiedono ossigeno supplementare e che sono a maggior rischio di progressione verso una malattia grave. Paxlovid deve essere somministrato il prima possibile dopo la diagnosi ed entro 5 giorni dall’inizio dei sintomi. 

Paxlovid, gli effetti collaterali

Gli effetti collaterali più comuni riportati durante il trattamento e fino a 34 giorni dopo l’ultima dose sono stati disgeusia, cioè disturbi del gusto, diarrea e vomito. Paxlovid non deve essere usato con alcuni altri medicinali – precisa l’Ema – sia perché a causa della sua azione può portare ad aumenti dannosi dei loro livelli ematici, sia perché al contrario alcuni farmaci possono ridurre l’attività di Paxlovid stesso. L’elenco è incluso nelle condizioni d’uso proposte. La pillola anti-Covid non deve essere utilizzata anche in pazienti con funzionalità renale o epatica gravemente ridotta. Non è raccomandato in gravidanza, ma anche nelle donne che non usano contraccettivi e possono iniziare una gravidanza.

Da ansa.it il 30 dicembre 2021. Pubblicata in Gazzetta Ufficiale la determina dell'Aifa con le modalità' di impiego e le condizioni di somministrazione della pillola anti virale Merck per il trattamento del Covid «nei pazienti adulti non ospedalizzati per covid 19 con malattia lieve-moderata di recente insorgenza e con condizioni cliniche concomitanti che rappresentino specifici fattori di rischio». «La prescrizione ed il trattamento - si legge nella determina - devono garantire la somministrazione del prodotto il più' precocente possibile rispetto all'insorgenza dei sintomi e comunque non oltre i 5 giorni dall'inizio degli stessi». 

Laura Cuppini per il “Corriere della Sera” l'8 dicembre 2021.

1 L'Agenzia italiana del farmaco sta valutando due antivirali specifici contro Sars-CoV-2, che potrebbero essere presto disponibili in via emergenziale. Contrasteranno l'avanzata del virus?

Lagevrio (molnupiravir) e Paxlovid, le pillole prodotte rispettivamente da Merck e Pfizer, hanno ricevuto un primo parere positivo dall'Agenzia europea per i medicinali. Molnupiravir agisce (come il Remdesivir, altro antivirale) sull'Rna polimerasi-Rna dipendente (RpRd), enzima che favorisce la replicazione dell'Rna virale nella cellula.

Alterando il funzionamento dell'enzima RpRd, si producono talmente tante mutazioni nei genomi replicati che il virus si trova in una condizione chiamata «catastrofe di errori», per lui letale. Il farmaco di Pfizer ha un meccanismo diverso: quando il virus entra nella cellula attiva la produzione di particolari proteine necessarie alla sua replicazione. Queste proteine hanno bisogno a loro volta di un enzima chiamato proteasi, che è specifico per ogni virus. Paxlovid è diretto contro la proteasi di Sars-CoV-2. Un meccanismo già noto e utilizzato per esempio in alcuni farmaci anti-Hiv, come ritonavir.

Paxlovid è formato dalla combinazione del nuovo antivirale PF07321332 più, appunto, ritonavir. La proteasi, bersaglio del farmaco, è un enzima estremamente conservato: possiamo quindi sperare che Paxlovid sia efficace su tutte le varianti di Sars-CoV-2 (ed eventualmente anche contro altri coronavirus). Secondo i primi studi, molnupiravir avrebbe un'efficacia del 30% contro ospedalizzazione e morte, Paxlovid sarebbe invece all'89%. Entrambi i farmaci si assumono per via orale nelle prime fasi dell'infezione.

2 L'altra grande speranza è rappresentata dagli anticorpi monoclonali: a che punto siamo?

Il presidente dell'Agenzia del farmaco, Giorgio Palù, ha detto che «presto avremo a disposizione monoclonali somministrabili a domicilio, per via sottocutanea o intramuscolare». 

In Italia oltre 19 mila pazienti hanno già ricevuto la terapia, finora solo tramite infusione endovenosa. I monoclonali disponibili nel nostro Paese sono bamlanivimab (Eli Lilly), soprattutto in combinazione con etesevimab, il mix casirivimab-imdevimab (Regeneron/Roche) e sotrovimab (GlaxoSmithKline).

Negli Stati Uniti la Food and Drug Administration ha esteso l'autorizzazione del mix bamlanivimab-etesevimab anche ai bambini da zero a 12 anni a rischio di sviluppare Covid grave. Sia gli anticorpi monoclonali che gli antivirali sono terapie da somministrare precocemente e comunque prima del ricovero in ospedale. 

3 Quali sono i principali vantaggi e svantaggi di questi farmaci?

Gli anticorpi monoclonali presentano un rischio bassissimo di effetti collaterali. Il punto di debolezza sta nel fatto che tutti agiscono sulla proteina Spike del virus, che sappiamo essere soggetta a mutazioni. Le combinazioni di anticorpi risultano più efficaci perché colpiscono diversi punti contemporaneamente.

Fa eccezione sotrovimab: si tratta di un anticorpo isolato da un paziente guarito da Sars (epidemia del 2003), che si lega a un epitopo della Spike altamente conservato in tutti i coronavirus. Gli antivirali, pur avendo bersagli molto precisi, potrebbero a livello teorico provocare rari eventi avversi, ma finora negli studi hanno mostrato una buona sicurezza e tollerabilità.

Il grande vantaggio degli antivirali è la facilità di somministrazione (sono pillole da prendere per bocca) e la possibilità di usarli su ampie fasce di popolazione, per esempio per evitare lo sviluppo di focolai. Un'analisi di Pfizer indica che Paxlovid può essere efficace nel prevenire i contagi in famiglie dove c'è un positivo sintomatico.

 4 Ci sono novità nella cura dei pazienti gravi?

Due giorni fa l'Ema (Agenzia europea per i medicinali) ha autorizzato l'uso dell'anticorpo monoclonale tocilizumab (usato da tempo come antinfiammatorio nell'artrite reumatoide) nei malati di Covid in trattamento con corticosteroidi e che richiedono ossigeno supplementare o ventilazione meccanica.

Tocilizumab è stato testato contro Covid fin da marzo 2020, grazie a un'intuizione dell'oncologo Paolo Ascierto. Il farmaco ha la capacità di contrastare la «tempesta di citochine», reazione immunitaria potenzialmente fatale. (Ha collaborato Giuseppe Nocentini, professore di Farmacologia all'Università di Perugia e membro della Società Italiana di Farmacologia)

Anticorpi monoclonali e nuovi antivirali: vantaggi e svantaggi di farmaci e terapie contro il Covid. Laura Cuppini su Il Corriere della Sera l'8 Dicembre 2021.  Palù (Agenzia del farmaco): in arrivo monoclonali che potranno essere somministrati a casa. Negli Stati Uniti il mix di Eli Lilly approvato anche per i bambini da 0 a 12 anni. L’Agenzia italiana del farmaco sta valutando due antivirali specifici contro Sars-CoV-2, che potrebbero essere presto disponibili per uso emergenziale. Contrasteranno l’avanzata del virus?

Lagevrio (molnupiravir) e Paxlovid, le pillole prodotte rispettivamente da Merck e Pfizer, hanno ricevuto un primo parere positivo dall’Agenzia europea per i medicinali. Molnupiravir agisce (come il Remdesivir, altro antivirale) sull’Rna polimerasi-Rna dipendente (RpRd), enzima che favorisce la replicazione dell’Rna virale nella cellula. Alterando il funzionamento dell’enzima RpRd, si producono talmente tante mutazioni nei genomi replicati che il virus si trova in una condizione chiamata «catastrofe di errori», per lui letale. Il farmaco di Pfizer ha un meccanismo diverso: quando il virus entra nella cellula attiva la produzione di particolari proteine necessarie alla sua replicazione. Queste proteine hanno bisogno a loro volta di un enzima chiamato proteasi, che è specifico per ogni virus. Paxlovid è diretto contro la proteasi di Sars-CoV-2. Un meccanismo già noto e utilizzato per esempio in alcuni farmaci anti-Hiv, come ritonavir. Paxlovid è formato dalla combinazione del nuovo antivirale PF07321332 più, appunto, ritonavir. La proteasi, bersaglio del farmaco, è un enzima estremamente conservato: possiamo quindi sperare che Paxlovid sia efficace su tutte le varianti di Sars-CoV-2 (ed eventualmente anche contro altri coronavirus). Secondo i primi studi, molnupiravir avrebbe un’efficacia del 30% contro ospedalizzazione e morte, Paxlovid sarebbe invece all’89%. Entrambi i farmaci si assumono per via orale nelle prime fasi dell’infezione.

L’altra grande speranza è rappresentata dagli anticorpi monoclonali: a che punto siamo?

Il presidente dell’Agenzia del farmaco, Giorgio Palù, ha detto che «presto avremo a disposizione monoclonali somministrabili a domicilio, per via sottocutanea o intramuscolare». In Italia oltre 19mila pazienti hanno già ricevuto la terapia, finora solo tramite infusione endovenosa. I monoclonali disponibili nel nostro Paese sono bamlanivimab (Eli Lilly), soprattutto in combinazione con etesevimab, il mix casirivimab-imdevimab (Regeneron/Roche) e sotrovimab (GlaxoSmithKline). Negli Stati Uniti la Food and Drug Administration ha esteso l’autorizzazione del mix bamlanivimab-etesevimab anche ai bambini da zero a 12 anni a rischio di sviluppare Covid grave. Sia gli anticorpi monoclonali che gli antivirali sono terapie da somministrare precocemente e comunque prima del ricovero in ospedale.

Quali sono i principali vantaggi e svantaggi di questi farmaci?

Gli anticorpi monoclonali presentano un rischio bassissimo di effetti collaterali. Il punto di debolezza sta nel fatto che tutti agiscono sulla proteina Spike del virus, che sappiamo essere soggetta a mutazioni. Le combinazioni di anticorpi risultano più efficaci perché colpiscono diversi punti contemporaneamente. Fa eccezione sotrovimab: si tratta di un anticorpo isolato da un paziente guarito da Sars (epidemia del 2003), che si lega a un epitopo della Spike altamente conservato in tutti i coronavirus. Gli antivirali, pur avendo bersagli molto precisi, potrebbero a livello teorico provocare rari eventi avversi, ma finora negli studi hanno mostrato una buona sicurezza e tollerabilità. Il grande vantaggio degli antivirali è la facilità di somministrazione (sono pillole da prendere per bocca) e la possibilità di usarli su ampie fasce di popolazione, per esempio per evitare lo sviluppo di focolai. Un’analisi di Pfizer indica che Paxlovid può essere efficace nel prevenire i contagi in famiglie dove c’è un positivo sintomatico.

Da Adnkronos il 23 novembre 2021. Verso un farmaco "made in Italy" capace di chiudere la porta attraverso cui il coronavirus entra nelle nostre cellule. Il brevetto alla base di questa speranza futura è già stato registrato e nasce da uno studio firmato da Paolo Ciana dell'università Statale di Milano, Vincenzo Lionetti della Scuola superiore Sant'Anna di Pisa e Angelo Reggiani dell'Istituto italiano di tecnologia di Genova, pubblicato sulla rivista 'Pharmacological Research' dell'Unione internazionale di farmacologia di base e clinica. Ciana, docente di farmacologia, Lionetti, docente di anestesiologia, e Reggiani, ricercatore senior e principal investigator in farmacologia - spiega una nota congiunta delle tre strutture protagoniste della ricerca - si sono interrogati sulla possibilità di prevenire il progressivo avanzamento dell'infezione da parte di qualsiasi variante di Sars-CoV-2 bloccando il recettore Ace2, la 'porta' che il patogeno responsabile di Covid-19 usa per accedere alle cellule bersaglio. I ricercatori hanno così brevettato un nuovo approccio di precisione, il primo tassello di quello che diventerà un farmaco, fondato «sull'uso di un aptamero di Dna, ovvero un breve filamento oligonucleotidico, capace di legarsi in modo specifico al residuo K353 di Ace2 - si legge - rendendolo inaccessibile alla proteina Spike di qualsiasi coronavirus». I tre inventori, insieme ai loro gruppi, hanno già identificato due aptameri anti-K353 capaci di inibire in modo dose-dipendente il legame della proteina virale Spike alla proteina Ace2 umana, prevenendo in modo efficace l'infezione delle cellule. «Grazie a questo studio - commentano gli autori - sarà possibile sviluppare un nuovo approccio terapeutico di precisione per prevenire l'infezione da Covid-19 in forma grave, senza stimolare il sistema immunitario o avere effetti collaterali importanti correlati ai più famosi farmaci costituiti da anticorpi monoclonali o altre proteine terapeutiche. In questo senso, infatti, le potenziali tossicità degli acidi nucleici come farmaci sono di gran lunga inferiori rispetto ad altri farmaci innovativi come gli anticorpi monoclonali o altre proteine terapeutiche». 

Maria Sorbi per “il Giornale” l'8 dicembre 2021. Sembrano efficaci contro la variante Omicron e, in sempre più ospedali, sono la chiave per abbreviare i tempi dei ricoveri e non intasare i reparti. Insomma, un antidoto sia contro le forme gravi di Covid sia contro il rischio di zona gialla. Gli anticorpi monoclonali iniziano ad avere un ruolo chiave nel contenimento della pandemia. Soprattutto perché a breve potranno essere somministrati anche a domicilio. «In molti casi si potrà intervenire a casa del paziente senza dover ricoverarlo e intasare i pronto soccorso o le aree mediche degli ospedali» spiega Giorgio Palù, presidente dell'Aifa, intervenuto nell'audizione in Commissione Affari costituzionali del Senato sul ddl su obblighi vaccinali e rafforzamento delle certificazioni. Gli anticorpi di seconda generazione «andranno sempre somministrati entro 72 ore dall'esordio della malattia» ha ricordato Palù, ma cominceranno a fare il loro lavoro contro il virus dopo poche ore, molto prima di quanto faccia il vaccino. Il loro effetto però sarà temporaneo: portano anticorpi ma non insegnano all'organismo a produrne. «Manteniamo il rapido turn over (circa cinque giorni di ricovero) del nostro reparto, anche grazie all'utilizzo massivo degli anticorpi monoclonali, con oltre 50 trattamenti nell'ultima settimana» interviene Matteo Bassetti, direttore della Clinica di Malattie infettive dell'ospedale San Martino di Genova. In sostanza i monoclonali stanno dando una grossa mano ai vaccini che, da soli, tra no vax e pazienti fragili contagiati, non ce la farebbero. Per altro il monoclonale Sotrovimab, sviluppato da GlaxoSmithKline e Vir Biotechnology, si è mostrato efficace contro la variante Omicron in base ai primi test svolti in laboratorio. «Rimaniamo fiduciosi che il Sotrovimab continuerà a dare benefici significativi nelle cure tempestive dei pazienti che sperano di evitare le conseguenze più gravi del Covid-19» dichiara George Scangos, amministratore delegato di Vir. Scangos ha osservato una risposta lievemente più debole del farmaco alla variante Omicron ma ha spiegato che non si tratta di una differenza significativa. Per gli anticorpi monoclonali «made in Italy» invece bisogna aspettare ancora un po'. «Siamo in una fase 2-3 che sta andando a rilento - spiega lo scienziato Rino Rappuoli, padre del progetto di Siena - Ci sono 14 centri per la sperimentazione in tutta Italia ma gli unici che sembrano funzionare sono qui in Toscana. In questa Regione si è trovato un modo per reclutare le persone, in altri territori non si è riuscito a fare lo stesso. Stiamo andando lentamente nel fare le prove cliniche e forse in Italia dovremmo organizzarci meglio». Tuttavia, se reclutare i pazienti per concludere i test è stato difficile per mancanza di casi durante gli scorsi mesi, purtroppo sarà più semplice da qui alle prossime settimane. Con il vincolo, imprescindibile, che gli anticorpi siano somministrati entro le 72 ore dalla diagnosi. I numeri sui monoclonali si stanno facendo importanti: comincia anche l'utilizzo di sotrovimab per il quale si registrano le prime 58 prescrizioni. Negli ultimi 7 giorni monitorati dall'Agenzia italiana del farmaco Aifa, dal 26 novembre al 2 dicembre, le richieste di farmaco sono state 1.870 contro le 1.731 della settimana precedente, con una media giornaliera in aumento dell'8,85%. Sono 216, in aumento, le strutture che hanno prescritto queste terapie. E dall'americana Lilly arriva anche una svolta nel trattamento dei bambini: due monoclonali combinati, grazie all'autorizzazione della Fda, potranno essere somministrati anche ai bambini ad alto rischio. 

Adriana Bazzi per il Corriere.it il 6 novembre 2021. Ci arrivano due buone notizie dalla ricerca contro il Covid. La prima: è stato appena approvato, dalle autorità sanitarie inglesi, un nuovo antivirale efficace contro il Sars-CoV-2: si chiama molnupiravir. La seconda è che un altro farmaco, sempre antivirale, il Paxlovid, ha dimostrato, secondo l’azienda produttrice, di ridurre il rischio di ospedalizzazione o morte dell’89%.

1) Professor Matteo Bassetti (direttore della Clinica di Malattie infettive all’Ospedale San Martino di Genova e docente all’Università), cosa pensa di questi farmaci?

«Prima di entrare nel merito dell’efficacia, vorrei ribadire che è la vaccinazione lo strumento migliore per tenere a bada la malattia. Le cure servono quando il vaccino “buca”, cioè non è risultato efficace (è possibile: i vaccini non sono mai efficaci al 100%, ndr), oppure quando le persone non possono sottoporsi alla vaccinazione per motivi vari».

2) Quindi, queste nuove cure non devono giustificare la resistenza delle persone che non vogliono vaccinarsi «perché tanto poi c’è il farmaco»?

«Ribadisco: i farmaci non devono costituire una scelta alternativa ai vaccini, a priori. Anche perché sono molto costosi». 

3) Come funzionano i nuovi antivirali?

«Una premessa: già noi usiamo un antivirale noto, il remdesivir, nei pazienti in ospedale, somministrato per flebo: riduce la mortalità e le complicanze. Questi nuovi, invece, sono pastiglie che si possono somministrare per bocca. E anche a casa. Il molnupiravir, prodotto dall’azienda americana Merck, può ridurre del 50% ricoveri nelle persone che lo assumono quando presentano i sintomi di Covid, certificati da un tampone molecolare. Ma la cosa interessante è che questo farmaco funziona anche quando i sintomi sono legati all’influenza».

4) Ma chi lo potrebbe/dovrebbe prescrivere?

«Dovrebbe essere prescritto sotto una guida ospedaliera. Il problema è questo: occorre pensare a una medicina del territorio dove i medici di famiglia possano dialogare con gli ospedali per gestire questi nuovi farmaci. Anche per far fronte a questa quarta ondata della pandemia».

5) E il Paxlovid prodotto dalla Pzifer?

«Va usato con un altro antivirale, il ritonavir. Anche questi possono essere dati per bocca e a domicilio, nelle fasi precoci della malattia. E riducono ricoveri e mortalità». 

6) Altri farmaci in uso: gli anticorpi monoclonali. Funzionano?

«Ce ne sono almeno quattro. Possono essere usati in due momenti: nelle fasi iniziali della malattia per prevenire il ricovero, entro pochi giorni dalla comparsa dei sintomi. E poi in ospedale, ma a un dosaggio più alto per prevenire le complicanze».

7) Gli antinfiammatori: quando sono consigliabili?

«Gli antinfiammatori cortisonici non sono indicati per cure domiciliari, ma trovano impiego in ospedale, per i pazienti che hanno problemi respiratori. Funzionano, se dati nei tempi giusti». 

8) E quali antinfiammatori scegliere come terapia da somministrare a domicilio, quando un paziente ha sintomi di infezione, ma non problemi respiratori?

«Se devo scegliere fra aspirina e Tachipirina, scelgo l’aspirina, che è anche antinfiammatorio, mentre il paracetamolo funziona solo contro la febbre».

9) Un commento definitivo sull’idrossiclorochina e l’ivermectina che sono state proposte come cure «alternative».

«Questi farmaci non trovano una ragione scientifica per un loro impiego». 

10) Come comportarsi con gli antibiotici?

«Forse c’è stato un abuso, all’inizio. Il suggerimento è valutare caso per caso quando dare un antibiotico per proteggere da eventuali superinfezioni batteriche. Per decidere c’è un solo modo: visitare i pazienti, valutare il rischio e personalizzare le terapie».

Dagotraduzione dalla Reuters il 26 novembre 2021. Merck & Co ha dichiarato oggi che i dati aggiornati del suo studio sulla sua pillola sperimentale COVID-19 hanno mostrato che il farmaco è meno efficace nel ridurre i ricoveri e i decessi rispetto a quanto riportato in precedenza. Il produttore di farmaci ha sostenuto che la sua pillola ha mostrato una riduzione del 30% dei ricoveri e dei decessi, sulla base dei dati di oltre 1.400 pazienti. Ad ottobre, i suoi dati hanno mostrato un'efficacia di circa il 50%, sulla base dei dati di 775 pazienti. Le azioni di Merck sono scese del 3% a 79,80 dollari nel trading pre-mercato, nel pieno di un calo nei mercati più ampi. La società ha richiesto l'autorizzazione degli Stati Uniti al farmaco molnupiravir l'11 ottobre, a seguito dei dati provvisori. Merck ha detto venerdì che i dati su molnupiravir, sviluppati con Ridgeback Bitherapeutics, sono stati presentati alla Food and Drug Administration degli Stati Uniti prima di una riunione dei suoi consulenti esperti martedì. Gli scienziati della FDA dovrebbero pubblicare i loro documenti informativi prima dell'incontro già venerdì. Il panel dovrebbe votare se raccomandare all'agenzia di autorizzare le capsule orali per il trattamento di COVID-19 da lieve a moderato negli adulti a rischio di malattia grave. Un'analisi provvisoria pianificata dei dati il mese scorso ha mostrato che il 7,3% di coloro che avevano ricevuto molnupiravir due volte al giorno per cinque giorni era stato ricoverato in ospedale e nessuno era morto entro 29 giorni dopo il trattamento. Ciò rispetto a un tasso di ospedalizzazione del 14,1% per i pazienti trattati con placebo. Nei dati aggiornati, il 6,8% di quelli trattati con molnupiravir è stato ricoverato in ospedale e una persona è morta, mentre l'altro gruppo placebo ha avuto un tasso di ospedalizzazione del 9,7%.

Francesco Malfetano per “Il Messaggero” il 5 novembre 2021. C'è finalmente un primo via libera all'uso di una pillola per combattere il Covid 19. L'Agenzia del farmaco britannica (Mhra) infatti, ieri ha autorizzato l'utilizzo del Molnupiravir per il trattamento della malattia - in forme lievi o moderate - negli adulti positivi che presentano almeno un fattore di rischio per lo sviluppo di malattia grave. Cioè pazienti che, ad esempio, siano obesi, cardiopatici, diabetici o in genere che abbiano un'età superiore ai 60 anni. Un grande passo avanti nella lotta alla pandemia annunciato con un comunicato congiunto dai due colossi statunitensi che hanno sviluppato il farmaco: la Merck (nota come Msd al di fuori di Usa e Canada) e Ridgeback Biotherapeutics. Presto però per esultare appieno. Il farmaco Molnupiravir (o Lagevrio, il nome con cui sarà commercializzato nel Regno Unito) è infatti ancora al vaglio degli altri enti regolatori internazionali, fra cui l'americana Fda e l'europea Ema. Tuttavia le rolling review sono entrambe in corso su test clinici assolutamente incoraggianti. La pillola infatti avrebbe dimezzato il rischio di ricovero in ospedale o di decesso per gli adulti non vaccinati colpiti dal Covid (in forma lieve o moderata appunto) e con almeno un fattore di rischio associato. In altri termini, come già appurato dalle autorità inglesi, il farmaco se somministrato alla dose di 800 milligrammi e per 2 volte al giorno è in grado di impedire la replicazione del virus e quindi di finire in terapia intensiva (piuttosto che morire) a un paziente su due. «Come terapia orale - sottolinea Dean Y. Li, vicepresidente esecutivo e presidente di Merck Research Laboratories - Molnupiravir offre un'importante opportunità aggiuntiva ai vaccini e ai medicinali impiegati finora per contrastare la pandemia di Covid-19». Non è un caso se ieri Marco Cavaleri, responsabile vaccini dell'Agenzia europea del farmaco ha dichiarato che anche se i tempi per l'approvazione «non sono prevedibili», l'Ema è pronta «a dare assistenza agli Stati che vogliano dare il via libera all'uso di emergenza prima dell'autorizzazione Ue». Così come non lo è che il governo Usa si è già impegnato ad acquistarne 1,7 miliardi di dosi per 1,2 miliardi di dollari e che le aziende abbiano già annunciato che differenzieranno i prezzi per avvantaggiare gli Stati con meno risorse. La pillola infatti, ha dalla sua una estrema facilità di trasporto e conservazione se paragonata ai medicinali che devono essere somministrati tramite trasfusione, e potrebbe quindi raggiungere facilmente le aree più remote. Al netto dell'ottima notizia è però bene precisare che con il medicinale antivirale della Merck siamo di fronte ad una cura e non ad una profilassi. In altri termini la nostra migliore arma per sconfiggere Sars-Cov2 rimangono i vaccini, che prevengono l'infezione e bloccano la diffusione del virus assieme alle misure ormai note come mascherine, distanziamento e controllo e isolamento degli infetti. D'altro canto le due soluzioni hanno anche costi differenti. A fare «due conti» è Antonella Viola, immunologa dell'università di Padova. «Il ciclo completo dell'antivirale della Merck è di circa 600 euro (e riduce le ospedalizzazioni del 50%) - ha spiegato sui social - Il costo di una singola dose di anticorpi monoclonali si aggira intorno ai 2.000 euro; il costo giornaliero di un paziente ricoverato in terapia intensiva varia da 1.500 a 4.500 euro. Due dosi di vaccino mRna costano circa 40 euro (e riducono il rischio di ospedalizzazione oltre il 90%). E ho detto tutto...».

Pillola anti-covid, il farmaco Pfizer efficace quanto il vaccino: “Riduce del 89% ricoveri e morte”. Vito Califano su Il Riformista il 5 Novembre 2021. La pillola sperimentale per curare il covid-19 realizzata e prodotta dall’azienda americana Pfizer sembrerebbe avere un’efficacia fino all’89% contro il rischio di ospedalizzazione e morte. A farlo sapere è la stessa società. I dati non sono comunque attualmente disponibili al di fuori dell’azienda, che li presenterà direttamente alla Food and Drug Administration statunitense per l’autorizzazione e la messa in commercio. Un board indipendente di esperti che monitorava il trial del farmaco ha consigliato di fermare lo studio anzitempo per via dell’efficacia dimostrata dai dati. Era successo lo stesso con la pillola prodotta da Merck-MSD: in quel caso l’efficacia era del 50% contro ospedalizzazione e morte nei pazienti non vaccinati. La pillola Pfizer da assumere per via orale sembrerebbe – e sottolineamo: sembrerebbe – ancora più efficace. Secondo uno studio recente della Kaiser Permanente Suthern California (KPSC) health system il vaccino Pfizer è efficace dopo due dosi al 90% contro i ricoveri, anche contro tutte le varianti, per almeno sei mesi. Il farmaco quindi, qualora i risultati dovessero essere confermati, pareggerebbe l’efficacia percentuale del siero – due farmaci diversi, certo, per modalità di utilizzo e assunzione. Il molnupiravir Merck & Co-MSD è stato approvato per il momento solo nel Regno Unito. Pfizer è invece l’azienda che con BioNTech ha sviluppato uno dei vaccini più efficaci nella campagna mondiale contro il covid: Comirnaty. A Rna messaggero come quello prodotto da Moderna e uno dei quattro approvati in Europa e in Italia con Vaxzevria (ex AstraZeneca) e il monodose Johnson&Johnson e lo stesso Moderna. La pillola Pfizer potrebbe quindi diventare disponibile nei prossimi mesi, sempre se approvata. Va somministrata nei pazienti dopo la comparsa dei sintomi: curerebbe quindi le forme più gravi del contagio. Come? In combinazione con l’antivirale ritonavir. Da assumere tre pillole per due volte al giorno iniziando entro tre giorni dalla comparsa dei sintomi. Il suo nome dovrebbe essere Paxlovid. Il governo degli Stati Uniti si è accordato con Pfizer per una fornitura di 1,7 milioni di dosi di trattamento, con un’opzione aggiuntiva per 3,3 milioni. L’Agenzia Italiana del Farmaco Italiana “si è già attivata per acquisire una quantità adeguata del farmaco antivirale orale per il Covid-19 molnupiravir” di Merck, come ha detto il coordinatore del Comitato Tecnico Scientifico Franco Locatelli in conferenza stampa. Pfizer ha intenzione di mettere in commercio la pillola, qualora dovesse essere approvata, a un prezzo inferiore per i Paesi più poveri: “I Paesi a reddito alto e medio-alto pagheranno di più dei paesi a reddito più basso. Abbiamo stipulato accordi di acquisto anticipato con più Stati e siamo in trattative con molti altri”. Un’altra iniziativa, dopo il programma Covax e l’accordo raggiunto al G20 di Roma per raggiungere quanta più popolazione possibile e quanto prima con i vaccini in tutto il mondo.

Vito Califano. Giornalista. Ha studiato Scienze della Comunicazione. Specializzazione in editoria. Scrive principalmente di cronaca, spettacoli e sport occasionalmente. Appassionato di televisione e teatro.

Articolo del “Financial Times” - dalla rassegna stampa estera di “Epr comunicazione” il 30 ottobre 2021. Uno studio rileva che un antidepressivo economico riduce il rischio di ricovero al Covid. Lo studio mostra che la fluvoxamina riduce la necessità di permanenza in un reparto di emergenza o di trasferimento in un altro ospedale. Un antidepressivo economico riduce il rischio di ospedalizzazione nei pazienti ambulatoriali Covid-19 che sono a più alto rischio di malattia grave, ha rilevato uno studio. Scrive il Financial Times. I ricercatori in uno studio peer-reviewed pubblicato su The Lancet Global Health hanno scoperto che la fluvoxamina, che è usata per trattare la depressione e i disturbi ossessivo-compulsivi, ha ridotto la necessità di permanenza in reparti di emergenza Covid o di trasferimento in un altro ospedale. Si tratta del più grande studio clinico fino ad oggi per valutare l'efficacia del farmaco nei pazienti ambulatoriali Covid, e fa seguito a precedenti prove promettenti. "Identificare terapie poco costose, ampiamente disponibili ed efficaci contro il Covid-19 è di grande importanza, e riproporre farmaci esistenti che sono largamente disponibili e hanno profili di sicurezza ben compresi è di particolare interesse", ha detto il dottor Edward Mills della McMaster University in Canada, co-ricercatore principale della sperimentazione. "I recenti sviluppi e le campagne di vaccinazione si sono dimostrati efficaci e importanti nel ridurre il numero di nuovi casi sintomatici, ricoveri e decessi dovuti al Covid-19. Tuttavia, il Covid-19 rappresenta ancora un rischio per gli individui nei paesi con basse risorse e accesso limitato alle vaccinazioni", ha detto. Dei 741 pazienti in Brasile che hanno ricevuto 100 mg del farmaco due volte al giorno, 79 hanno richiesto un soggiorno prolungato in un ambiente di emergenza o di ricovero, rispetto ai 119 su 756 che hanno ricevuto un placebo. Penny Ward, visiting professor in medicina farmaceutica al King's College di Londra, ha detto che i risultati erano "promettenti", soprattutto se si considera il prezzo e la disponibilità del prodotto. Tuttavia, ha detto che lo studio aveva limitazioni, in particolare per quanto riguarda l'impatto sugli esiti più gravi. Il livello di protezione offerto nei casi di emergenza era incerto perché i pazienti vaccinati sono stati esclusi dalla sperimentazione, ha aggiunto. Non è inoltre chiaro se il farmaco ha benefici per popolazioni più ampie, compresi quelli senza fattori di rischio, hanno detto gli esperti che non sono stati coinvolti nello studio. La fluvoxamina ha un prezzo di listino di circa 17 sterline nel Regno Unito, secondo i dati del British National Formulary. Mentre il numero di trattamenti disponibili per il Covid è aumentato da quando la pandemia è emersa, la maggior parte sono costosi o difficili da produrre e somministrare, mettendoli fuori dalla portata delle persone in molte parti del mondo. Un certo numero di farmaci riproposti, tra cui l'ivermectina e l'idrossiclorochina, sono stati inizialmente ritenuti in grado di conferire benefici, ma hanno fallito in studi rigorosi. Altri agenti riproposti, come il remdesivir antivirale di Gilead Sciences somministrato per via endovenosa, offrono un beneficio limitato a fronte di prezzi elevati. Il desametasone, uno steroide, è economico e ampiamente disponibile, ma viene somministrato più tardi nel corso della malattia. Molnupiravir, un farmaco orale prodotto da Merck che l'azienda sta rendendo ampiamente disponibile attraverso accordi di licenza senza diritti d'autore, è stato acclamato come un trattamento antivirale innovativo poiché è dato per via orale ed è facile da produrre.

«Le terapie anti Covid non esistono». Tutte le bugie dei veri ... Francesco Borgonovo su laverita.info il 30 settembre 2021.  Tutte le bugie dei veri negazionisti. Per Roberto Burioni, le cure domiciliari erano una «bufala», Matteo Bassetti le squalificava come ... Dopo le campagne della «Verità» e di «Fuori dal coro», l'Aifa ha sbloccato anakinra e altri due farmaci. Finora la stampa è stata impegnata nella propaganda per i vaccini. Ma quante vite è costato questo ritardo?

Si sono accorti che la terapia esiste. Fare i giornalisti è servito a qualcosa. Patrizia Floder Reitter su laverita.info su l’1 ottobre 2021.  Per Roberto Burioni, le cure domiciliari erano una «bufala», Matteo Bassetti le squalificava come «fantomatiche», mentre per il dem Andrea Romano servivano solo «vaccini e foglio verde». L'ok (tardivo) dell'Aifa ad anakinra li sbugiarda.

Francesco Borgonovo per “la Verità” il 16 ottobre 2021. Il professor Giuseppe Remuzzi, direttore dell'Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri, lo ripete con implacabile costanza: «Non voglio assolutamente polemizzare con l'Aifa o con il ministero della Salute, a cui non ho nulla da rimproverare». Poi, più e più volte, ribadisce una cosa molto, molto interessante: «Il nostro protocollo di cura si può utilizzare, il primo dei nostri studi è stato pubblicato, e se un lavoro è stato pubblicato i medici possono andare a vederlo, e se sono convinti possono utilizzarlo. A questo serve la letteratura». L'affermazione è particolarmente importante perché, come noto, Remuzzi assieme a stimati colleghi ha realizzato due lavori scientifici di altro profilo in cui viene presentato un trattamento anti Covid che riduce le ospedalizzazioni del 90%, utilizzando non stravaganti rimedi sciamanici, ma aspirina oppure celecoxib e nimesulide. Ne abbiamo parlato con il professore approfittando dell'uscita del bel libro che ha firmato assieme a Antonio Clavenna e Arrigo Schieppati.

Esce ora per Vallardi e s' intitola Covid: Prevenire, curare, conviverci. Tutte le risposte dell'Istituto Mario Negri.

«È un volume che contiene tutte le risposte alle domande che ci sono state poste dai pazienti a proposito del virus, e credo che sia esaustivo. Da quando abbiamo iniziato, nel 1975, abbiamo questo vizio: rispondiamo a tutte le domande». Allora cominciamo con le domande. Nel titolo del vostro libro si parla di «curare». A quanto pare il vostro protocollo di cura funziona. «Il primo lavoro è stato pubblicato. Il secondo è stato depositato su MedrXiv, che è una sorta di archivio in cui vengono depositati gli studi, e chi è interessato a leggerli prima della pubblicazione ufficiale lo può fare. Il limite di questo nuovo lavoro è lo stesso che aveva il precedente: i pazienti che hanno avuto il trattamento sono stati sottoposti agli stessi controlli fatti a quelli che non lo hanno ricevuto. Però i pazienti sono stati studiati in tempi diversi».

In pratica avete confrontato i dati ottenuti dai pazienti sottoposti al protocollo con quelli di pazienti che, in precedenza, si sono trovati nella stesse condizioni ma non hanno ricevuto il trattamento. E che cosa avete riscontrato?

«Abbiamo notato di nuovo, come nel primo studio, una differenza molto importante. Su 108 pazienti con trattamento attivo, c'è stata una riduzione del 90% dell'ospedalizzazione». 

Mi pare una riduzione molto significativa.

«Questi due studi non sono perfetti, però mostrano la stessa cosa. La prima volta i risultati potevano persino essere arrivati per caso, anche se era difficile. Ma che sia un caso pure la seconda volta».

C'è chi tende a ridimensionare i suoi lavori dicendo che sono stati fatti su pochi pazienti.

«Sono il primo a dire che questi due studi non sono sufficienti a cambiare la pratica clinica, e ripeto che non ho nulla da rimproverare a ministero e Aifa, così evitiamo da subito le polemiche. Che però i pazienti siano pochi…Erano 90 prima e sono 108 adesso. Certo, se fossero 4.000 sarebbero molti di più, ma i risultati che abbiamo ottenuto non sono indifferenti. E soprattutto questi sono i primi studi pubblicati e controllati in Italia». 

Mi pare che lei voglia uscire dalla diatriba sulle cure domiciliari.

«Ripeto, una cosa sono gli studi pubblicati, un'altra le impressioni dei singoli medici. Io posso credere che queste impressioni siano giuste e vadano bene: vengano pubblicate, così eventualmente si aggiungeranno altre evidenze». 

Capito. Intanto, però, sembra che le conclusioni a cui siete giunti voi del Mario Negri non siano poi così isolate

«Nel frattempo c'è stato uno studio indiano simile al nostro. In quel caso si usa indometacina. I risultati mostrano che nessuno dei pazienti che la utilizzavano ha avuto bisogno di ossigeno. Mentre nel 20% dei pazienti che non la usavano la malattia è evoluta e l'uso dell'ossigeno è stato necessario. Poi c'è un altro lavoro uscito su Lancet, uno studio prospettico di Oxford. In quel caso si utilizza un preparato per l'asma che contiene una piccola quantità di cortisone. I risultati sono gli stessi nostri: 90% di ospedalizzazioni in meno. Infine c'è un altro studio israeliano sull'aspirina». 

E anche lì si riduce l'ospedalizzazione.

«Guardi, ormai le evidenze a favore degli antinfiammatori cominciano a essere tante. Non giustificano ancora il cambio delle raccomandazioni da parte di Aifa. Noi intanto abbiamo proposto all'Agenzia del farmaco un protocollo prospettico con 400 pazienti per tipo, il cui obiettivo primario è proprio la riduzione dell'ospedalizzazione. 

Riguardo alle critiche mosse ai nostri studi, io sono il primo a dire che sono giuste. Però dico anche che sono gli unici due studi controllati e sono supportati da una serie di altri lavori che dimostrano la stessa cosa: l'utilizzo precoce di antinfiammatori porta risultati. Quando potremo fare il nuovo studio metteremo la parola fine alla questione. Ora però i pazienti per fare questo studio non ci sono».

Non ci sono perché mancano i malati di Covid?

«Sì. Però vogliamo essere pronti se l'epidemia dovesse riprendere. Se invece non riprende tanto meglio». 

Mi permetta però di farle qualche altra domanda sulle linee guida

«No, guardi, io vorrei portare la discussione su un altro piano». 

Portiamocela, allora.

«Se i lavori scientifici sono pubblicati, il medico li può andare a vedere, e se lo convincono può applicarli». 

Quindi lei sta dicendo che il suo studio può essere utilizzato già adesso?

«Non è una cosa vietata. Se un lavoro è pubblicato si può usare. Il primo studio ha affrontato una seria revisione prima della pubblicazione. Un revisore ne era entusiasta, ad altri tre andava bene, mentre un altro revisore è stato fortemente negativo. Era italiano, l'ho dedotto dall'inglese traballante e da vari errori che non avevo mai visto commettere... Tra le varie cose chiedeva come avessimo potuto fare questo lavoro dato che le indicazioni prevedevano tachipirina e vigile attesa Ma lasciamo stare. Alcune delle indicazioni fatte in sede di revisione, in ogni caso, sono state estremamente utili e le abbiamo messe in pratica».

Giusto per capire bene: gli studi pubblicati possono essere utilizzati dai medici?

«Quando io devo curare un paziente non vado a vedere le raccomandazioni, ma cerco nella letteratura, e se trovo cose interessanti le utilizzo. Se si aspettano le linee guida Le linee guida sono sempre vecchie, perché richiedono tantissime evidenze, arrivano in ritardo. Poi c'è la letteratura, che ovviamente si può accettare o non accettare. Ci sono farmaci che si possono usare con vari tipi di formule». 

I farmaci indicati nel suo lavoro si possono usare?

«Certo, sono farmaci che si usano per febbre, dolori Comunque anche l'Aifa da qualche tempo ha inserito i fans nelle sue linee guida. Noi però abbiamo messo a punto un protocollo preciso, che prevede antinfiammatori per un certo periodo, quindi piccole dosi di cortisone. Il cortisone però non deve essere utilizzato subito, se no peggiora la situazione». 

Che i vostri lavori si possano utilizzare già ora mi sembra molto rilevante.

«Sono inseriti nella letteratura: convinceranno qualcuno e magari non qualcun altro. Ma chi è aggiornato i pazienti li cura con le conoscenze che emergono dalla letteratura. La letteratura serve a questo: a dare indicazioni per curare i pazienti. Noi abbiamo due lavori che fanno vedere la stessa cosa, e nel nostro caso il fatto che i pazienti trattati siano pochi è discutibile Poi, ripeto, sono il primo a dire che serve uno studio prospettico. Le dico questo: è molto raro che n medicina si trovi qualcosa di veramente trasformativo. È molto raro, ma c'è. Quando hai un farmaco che funziona lo vedi subito, ci sono grandi differenze fra chi lo riceve e chi no. È quando le differenze sono piccole che c'è bisogno di testare su tanti pazienti». 

In che momento somministrate i farmaci?

«Ai primi sintomi. All'inizio dicevamo: non aspettate il tampone, chiedete al medico. Ma va tenuto presente che prima per un tampone ci volevano dieci giorni, ora è tutto molto più rapido. Comunque diamo gli antinfiammatori ai primi sintomi come si è sempre fatto per altre malattie respiratorie. Credo che il successo di certe terapie precoci fatte a casa sia dipeso dal fatto che i medici si occupavano dei pazienti. Bisogna sempre essere in contatto con i pazienti. Come dicono due colleghi israeliani: "La casa è la nuova frontiera". Questo è il futuro». 

Proprio da Israele arrivano studi interessanti sull'aspirina.

«Anche noi stiamo lavorando sugli effetti dell'aspirina. In Israele hanno studiato persone che prendevano già l'aspirina per i fatti loro, ad esempio quelli che assumevano cardioaspirina. Si è visto che costoro avevano una probabilità 29 volte minore di infettarsi con il virus. E chi comunque si ammalava guariva 2-3 giorni prima degli altri. Sono osservazioni preliminari, ma molto promettenti. Le evidenze sono tante, noi comunque siamo i primi a essere prudenti».

Gli scienziati calabresi trovano l’arma naturale contro il covid. Una ricerca Unical e Cnr-Nanotec, in collaborazione con gli spagnoli: l’eugenolo è al momento l’antivirale più potente tra quelli conosciuti. Fabrizia Flavia Sernia  su Il Quotidiano del Sud il 17 ottobre 2021. UN composto di origine naturale, l’eugenolo, si è rivelato un potenziale antivirale contro il Covid-19. È il risultato di una collaborazione fra gli scienziati della Calabria e quelli spagnoli, in particolare fra l’Istituto di nanotecnologia l’Istituto di nanotecnologia del Consiglio nazionale delle ricerche di Rende, Cnr-Nanotec, il Dipartimento di farmacia e scienze della salute e della nutrizione dell’Università della Calabria, l’Istituto spagnolo di biofisica e sistemi complessi dell’Università di Saragozza e, fra gli altri, l’Istituto di Investigazione Sanitaria (IIS) di Aragona. La ricerca, pubblicata su Pharmaceuticals, ha mostrato che la piccola molecola di questo composto naturale inibisce la proteina 3CLpro del virus SARS-CoV-2, fondamentale per la sua replicazione e apre la strada a nuove prospettive di studio e approfondimenti.

Sforzi ancora impegnativi per i nuovi farmaci anti-Covid

Con la pandemia da Covid-19, si legge nell’abstract, “sono stati avviati sforzi altamente collaborativi per affrontare l’emergenza, con l’obiettivo di migliorare l’individuazione delle infezioni, tracciare l’insorgenza di contatti potenzialmente contagiosi, regolare le terapie mediche preesistenti, sviluppare vaccini per la prevenzione e anticorpi monoclonali per il trattamento precoce e identificare nuovi farmaci contro questa infezione virale. Sfortunatamente, scoprire specifici composti antivirali contro SARS-CoV-2 è ancora impegnativo. Attualmente, solo il farmaco ad ampio spettro Remdesivir è stato approvato nonostante la sua attività relativamente bassa”. Poiché 3CLpro è “essenziale per la replicazione virale”, si rende “un bersaglio interessante, per lo sviluppo di farmaci. La maggior parte degli sforzi per sviluppare un farmaco antivirale specifico per SARS-CoV-2 mirano a inibire questa proteina 3CLpro, grazie al suo ruolo chiave nella replicazione del virus”.  Lo conferma Bruno Rizzuti, ricercatore del Cnr-Nanotec di Rende e primo autore del lavoro. “I composti di origine naturale sono un possibile punto di partenza e spesso presentano alcuni vantaggi: struttura molecolare semplice e facilmente modificabile, assenza di brevetti, facile reperibilità e basso costo”, spiega, aggiungendo che il lavoro “Sub-micromolar inhibition of SARS-CoV-2 3CLpro by natural compounds”, pubblicato sulla rivista Pharmaceuticals si colloca in questo filone di ricerca.

“Il nostro team di ricerca – aggiunge Rizzuti – aveva già condotto studi sulla quercetina come molecola da utilizzare contro il COVID-19. I risultati del nuovo lavoro hanno mostrato che l’eugenolo, una piccola molecola naturale, è in grado di bloccare l’attività enzimatica della proteina 3CLpro, la proteina più importante utilizzata per la replicazione virale”. “Quando abbiamo visto che l’eugenolo era attivo contro il Coronavirus – spiega ancora il primo autore –, ci siamo chiesti se si trattasse di un unicum. Consultando la letteratura, abbiamo appreso che una sua attività antivirale debole, ma misurabile, era riportata nei confronti di altri virus. Nulla faceva presagire che tale attività fosse viceversa così evidente nei confronti del Sars-Cov-2”.

È il più potente composto naturale contro Sars-Cov-2

“L’eugenolo, rispetto alla quercetina – conclude Rizzuti –, è attivo ad una concentrazione circa dieci volte inferiore. Si tratta del composto non-sintetico più potente trovato finora contro il virus SARS-CoV-2, anche se sono necessari altri studi per migliorarlo”. L’eugenolo è il costituente principale dell’olio essenziale di diverse piante aromatiche, principalmente dei chiodi di garofano ed è “comunemente utilizzato come disinfettante locale in odontoiatria”, spiega Filomena Conforti, professore associato al Dipartimento di Farmacia, Salute e Scienze della Nutrizione dell’Università della Calabria, a Rende, e coautrice del lavoro. “È quindi presumibile, aggiunge la ricercatrice, “che possa essere usato come antisettico della mucosa orale contro il coronavirus. Così come altre molecole a cui siamo esposti in natura, ha una buona tollerabilità nell’uomo e speriamo che si possano potenziare le sue proprietà come antivirale. Il fatto che si tratti di una sostanza di estrazione vegetale è solitamente accolto con favore dal grande pubblico che, a torto o a ragione, tende a fidarsi più facilmente dei rimedi di origine naturale”.

Come l’eugenolo, altre potenti armi naturali anti-Covid

I risultati complessivi presentati nel lavoro, si legge nelle Conclusioni, indicano che la proprietà dell’eugenolo di essere “un potente inibitore di questa proteina” è “in comune con l’estragolo (anche se con potenza inferiore) e meno pronunciata per l’anetolo”. Questi risultati, scrivono gli autori, “forniscono quindi indicazioni che le sostanze naturali possono essere utilizzate direttamente contro COVID-19, in condizioni o formulazioni appropriate”. Bisogna tuttavia ricordare, spiega ancora Rizzuti, che queste sostanze non sono ottimizzate in natura per combattere il Covid 19: accade per caso che siano attive contro la replicazione virale”. Un aspetto su cui interviene Fedora Grande, ricercatrice dell’Università della Calabria. “Questa molecola appare particolarmente efficace nel bloccare la proteasi principale 3CLpro ( la proteina più importante nella replicazione virale, ndr) del coronavirus. Abbiamo anche testato altri fitocomposti della stessa famiglia, in particolare estragolo e anetolo, presenti in basilico, finocchio e anice. Nonostante siano meno attivi dell’eugenolo, mostrano anch’essi promettenti proprietà inibitorie. Questo ci fornisce indicazioni sulle potenziali modificazioni che potrebbero essere apportate sulla struttura chimica comune tra queste molecole per migliorarne l’attività antivirale. Inoltre, queste molecole sono talmente piccole da poter essere considerate dei ‘frammenti chimici’ utili per essere modificate al fine di ottimizzarne le proprietà”.

Sviluppi di un possibile farmaco

Sui futuri sviluppi, i ricercatori osservano che occorrerà studiare, “come accade con qualsiasi farmaco da sviluppare”, alcune potenziali limitazioni, derivanti principalmente dalle espressioni di questi composti, una volta somministrati – cioè proprietà di assorbimento-distribuzione-metabolismo-escrezione – utili a determinare “la loro biodisponibilità e la loro concentrazione efficace per inibire la replicazione virale”. Le “opportune vie di formulazione e somministrazione saranno pertanto fondamentali per il successo terapeutico”. Ma indipendentemente da ciò, i risultati riportati nel lavoro “possono rappresentare una pietra miliare verso la scoperta di altri composti naturali con proprietà più favorevoli”.

Zona Bianca, brutale rissa tra Meluzzi e Brindisi: "Non sono demente", "Veramente scandaloso". Volano insulti. ". Libero Quotidiano il 30 settembre 2021. Nuovo round del dibattito tra Alessandro Meluzzi e Giuseppe Brindisi. Lo psichiatra, ospite nuovamente di Zona Bianca su Rete Quattro, non ha evitato di dire la sua. Al centro le cure alternative al Covid, come l'Ivermectina. A sostegno della sua tesi Meluzzi chiama in causa il professor Giuseppe Remuzzi dell’Istituto Mario Negri di Bergamo: "Se non sono diventato demente, il professor Remuzzi ha fatto un importante studio dove spiega che l'introduzione di normali antinfiammatori nei primi giorni ha prevenuto l’evoluzione negativa". Un'affermazione che ha scatenato il conduttore: "Remuzzi a proposito del suo protocollo dice che non ha la forza per essere approvato e per cambiare quello del ministero della Salute. Non tirate più Remuzzi per la giacchetta". Non si è fatta attendere a quel punto la replica: "Quando ha sono stati fatti gli studi il ministero proponeva soltanto un farmaco controindicato, la tachipirina, e la vigile attesa". Finita qui? Niente affatto perché poi il giornalista se l'è presa anche con un altro ospite in studio: l’avvocato Erich Grimaldi, presidente Cure Domiciliari Covid-19: "Quel servizio non può passare così - ha tuonato Brindisi -, perché i medici e il presidente dell’Ordine dei medici di Cagliari dicono che questi farmaci oltre a non funzionare, possono essere anche dannosi. Possiamo cancellare l’Ivermectina?". E ancora: "Avvocato, le dico che Remuzzi ha detto che già il suo protocollo non ha la forza di essere validato, figurarsi il vostro. La gente scende in piazza per questo protocollo, fa le manifestazioni. Questo è scandaloso, per me è veramente scandaloso utilizzare un’autorità vera, un professore stimatissimo, perché non serve più ai vostri discorsi". A detta di Brindisi lo stesso discorso vale per l'idrossiclorochina, farmaco bocciato da uno studio pubblicato sulla rivista scientifica The Lancet: Ma quanti ne avete salvati? Dove sono le cartelle cliniche? Avete delle cose scritte su Facebook. Io posso scrivere qualsiasi cosa su Facebook", è stato il rimprovero finale con cui il giornalista ha zittito gli ospiti. E chissà che la replica non avverrà nella prossima puntata.

Covid: Ema inizia esame del farmaco di Merck. (ANSA il 25 ottobre 2021) - L'Agenzia europea dei medicinali (Ema) ha avviato la revisione in tempo reale dei dati sul farmaco antivirale orale molnupiravir sviluppato da Merck Sharp & Dohme, in collaborazione con Ridgeback Biotherapeutics per il trattamento di Covid-19 negli adulti. Lo rende noto l'Ema. Secondo i primi risultati delle sperimentazioni il farmaco può prevenire il ricovero o la morte nei pazienti. 

Covid: Msd, Ema ha avviato analisi su pillola antivirale. (ANSA il 25 ottobre 2021) - L'azienda farmaceutica MSD - nota come Merck negli Stati Uniti e in Canada - e Ridgeback Biotherapeutics hanno annunciato oggi che l'Agenzia europea per i medicinali (EMA) ha avviato una revisione continua per Molnupiravir, il farmaco antivirale orale sperimentale per il trattamento di COVID-19 negli adulti. Se sarà concessa l'autorizzazione all'immissione in commercio dalla Commissione europea, affermano le aziende, Molnupiravir potrebbe essere la prima pillola antivirale per il trattamento del COVID-19 nell'Unione europea. MSD prevede di collaborare con il Comitato per i medicinali per uso umano (CHMP) dell'EMA per completare il processo di revisione al fine di facilitare l'avvio della revisione formale della domanda di autorizzazione all'immissione in commercio. Come annunciato in precedenza, MSD ha presentato una richiesta di autorizzazione all'uso di emergenza (EUA) alla Food and Drug Administration (FDA) statunitense e sta lavorando attivamente per presentare le domande ad altre agenzie di regolamentazione in tutto il mondo. La presentazione della domanda si basa sui risultati positivi di un'analisi provvisoria dello studio clinico di fase 3 MOVe-OUT, che ha valutato molnupiravir in pazienti adulti non ospedalizzati con COVID-19 da lieve a moderato che erano a maggior rischio di progressione a COVID-19 grave e/o ricovero. Dall'analisi si è evidenziato che molnupiravir somministrato due volte al giorno ha ridotto il rischio di ospedalizzazione o morte di circa il 50%. "La comunità scientifica globale ha compiuto progressi straordinari nello sviluppo di diversi vaccini e trattamenti critici, ma abbiamo ancora bisogno di un farmaco antivirale orale che possa essere assunto a casa - ha affermato Wendy Holman, amministratore delegato Ridgeback Biotherapeutics - Riteniamo che molnupiravir possa aiutare a soddisfare tale bisogno". In previsione dei risultati di MOVe-OUT e della potenziale autorizzazione regolamentare, MSD ha prodotto molnupiravir a proprio rischio e prevede di produrre 10 milioni di cicli di trattamento entro la fine del 2021, ed ulteriori nel 2022. Come parte dell'impegno per un accesso globale diffuso, MSD ha precedentemente annunciato che l'azienda ha stipulato accordi di licenza volontaria non esclusivi per molnupiravir con produttori di farmaci generici indiani per accelerare la disponibilità di molnupiravir in più di 100 paesi a basso e medio reddito a seguito di approvazioni o autorizzazioni di emergenza da parte delle agenzie di regolamentazione locali. 

Cristina Marrone per corriere.it l'1 ottobre 2021. La compagnia farmaceutica Merck & Co (MSD) ha affermato in una nota che chiederà all’Fda americana e poi agli altri enti regolatori di tutto il mondo l’autorizzazione all’uso in emergenza della pillola antivirale molnupiravir per il trattamento del Covid dopo che uno studio clinico in fase avanzata ha mostrato che il farmaco ha dimezzato il rischio di ospedalizzazione e morte. La società farmaceutica ha annunciato di aver interrotto la sperimentazione clinica di fase 3 in anticipo dopo che un’analisi ad interim ha mostrato che il 7,3% dei pazienti trattati con il farmaco era morto o era stato ricoverato in ospedale, contro il doppio, 14,1% di quelli che avevano ricevuto un placebo. La decisione di interrompere lo studio con l’arruolamento di nuovi pazienti è stata presa in seguito alla raccomandazione da parte di un comitato indipendente di scienziati che monitoravano lo studio, dopo aver consultato la Fda (gli studi vengono sospesi in anticipo quando il risultato è nettamente positivo e per motivi etici non si può negare il farmaco a tutti i pazienti, come in questo caso, o al contrario i risultati non sono promettenti come ci si sarebbe attesi). L’analisi ad interim di fase 3 dei dati di 775 pazienti ha mostrato che nessuno dei partecipanti che aveva ricevuto molnupiravir era morto durante i primi 29 giorni di studio rispetto agli otto che avevano ricevuto il placebo. Il trattamento prevede una pillola due volte al giorno prescritta per cinque giorni a pazienti con diagnosi di Covid-19 recente. Secondo quanto dichiarato da Merck il farmaco ha dimostrato un’efficacia coerente su più varianti di coronavirus, incluso il ceppo Delta altamente trasmissibile. «È notevole essere il primo antivirale orale in ambito ambulatoriale a mostrare un beneficio» ha commentato Nick Kartsonis, vicepresidente senior della ricerca clinica alla Merck. L’antivirale è stato prodotto in partnership con la Ridgeback Biotherapeutics, una compagnia di Miami a conduzione familiare. Merck ha comunicato di prevedere la produzione di 10 milioni di cicli di trattamento entro la fine dell’anno. Il governo degli Stati Uniti ha firmato un accordo per ottenerne circa 1,7 milioni.

Fasi precoci infezioni

Molnupiravir è stato studiato in pazienti risultati positivi al Covid entro i primi cinque giorni dalla comparsa dei sintomi, che presentavano anche almeno un «fattore di rischio» come la vecchiaia, l’obesità o il diabete. Secondo la nota il farmaco è particolarmente efficace se utilizzato durante le prime fasi dell’infezione. Il fattore tempo nella diagnosi sembra essere fondamentale: un precedente studio sul molnupiravir in pazienti ospedalizzati è stato interrotto dopo risultati deludenti. Non è comunque scontata una diagnosi così rapida, soprattutto in paesi dove la circolazione del virus è molto alta e il sistema di diagnosi in crisi (anche in Italia nei periodi critici i risultati dei tamponi arrivavano dopo giorni). Inoltre non è neppure automatico che un paziente all’esordio dei sintomi si sottoponga subito a tampone. 

Come funziona

Contrariamente ai principali vaccini attualmente somministrati contro la Covid-19, il farmaco di Merck non bersaglia la proteina spike del virus, altamente mutagena, e dovrebbe dunque mantenere una efficacia costante indipendentemente dalle varianti. Il molnupivarir agisce contro la polimerasi virale, un enzima di cui il nuovo coronavirus necessita per replicarsi all’interno dell’organismo. Il farmaco è stato sviluppato per introdurre errori nel codice genetico del virus, impedendone così la duplicazione.

Gli altri antivirali

Finora gli unici trattamenti disponibili per curare il Covid-19 sono i costosi anticorpi monoclonali prodotti da Regeneron, Eli Lilly e GlaxoSmithKline, che vengono somministrati per via intravenosa e si sono dimostrati altamente efficaci: gli studi hanno dimostrato che riducono i ricoveri e i decessi dal 70 all’85% in pazienti Covid ad alto rischio, quindi hanno un’efficacia superiore alla pillola di Merck. Tuttavia l’arrivo di una pillola antivirale, in aggiunta alla sempre più massiccia copertura vaccinale, è considerato dagli esperti una tappa fondamentale nella lotta per porre fine alla pandemia perché facilmente somministrabile rispetto ai monoclonali che necessitano il ricovero ospedaliero. Nei prossimi mesi sono attesi i risultati dello studio in fase avanzata di altre due pillole antivirali, una sviluppata da Pfizer e l’altra da Atea Pharmaceuticals e Roche. Se autorizzato, il farmaco di Merck sarebbe il secondo trattamento antivirale per il Covid. Il primo, remdesivir, deve essere infuso ma i più recenti studi hanno suggerito che offre solo un beneficio modesto per i pazienti Covid.

"È efficace contro tutte le varianti". Spunta un nuovo farmaco antivirale. Valentina Dardari il 30 Settembre 2021 su Il Giornale. Il nuovo farmaco è ancora sperimentale, ma è stato già testato in laboratorio. Sarebbe efficace anche contro la variante Delta. Un nuovo farmaco, ancora in fase sperimentale, sarebbe efficace nella lotta contro il Covid. La compagnia farmaceutica Merck & Co. ha infatti annunciato che il suo nuovo medicinale antivirale sperimentale contro la Covid-19, chiamato molnupiravir, si sarebbe dimostrato efficace contro tutte le varianti fino a questo momento conosciute del virus, anche contro la Delta. La sua efficacia si è riscontrata nel corso dei vari test di laboratorio effettuati fino a questo momento.

Efficace anche contro la variante Delta. Al contrario dei principali vaccini attualmente in uso contro la Covid-19, il farmaco di Merck non bersaglia la proteina spike del virus, altamente mutagena, e in questo modo dovrebbe quindi mantenere una efficacia costante indipendentemente dalle varianti che incontra. Secondo quanto emerso, il molnupivarir agisce contro la polimerasi virale, ovvero un enzima di cui il nuovo coronavirus ha bisogno per replicarsi all'interno del nostro organismo. Il farmaco è stato pensato e sviluppato per introdurre errori nel codice genetico del virus, così da impedirne la duplicazione. Agisce quindi esercitando la sua azione antivirale attraverso l’introduzione di errori di copiatura durante la replicazione dell’RNA del virus. In una nota di Merck viene spiegato che il farmaco è particolarmente efficace se utilizzato durante le prime fasi dell'infezione.

Un'arma in più contro il Covid. Secondo quanto detto negli ultimi mesi si tratterebbe di un medicinale molto interessante che è stato sviluppato da Merck in collaborazione con Ridgeback Biotherapeutics. L’antivirale Molnupiravir in Italia è ancora in fase III, ma potrebbe essere un’arma in più per la lotta al Covid a casa. Il dottor Antonio Davì, medico infettivologo e Presidente Regionale della Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali (SIMIT), ha rilasciato una intervista a Qds.it in cui ha spiegato meglio di cosa si tratta. “Il Molnupiravir, secondo quanto appare a oggi, potrebbe evitare il ricorso al ricovero in ospedale per i pazienti positivi al Coronavirus, è un farmaco antivirale a rapido assorbimento da parte delle cellule dopo somministrazione orale, con una buona tollerabilità dimostrata e un buon profilo di sicurezza, almeno fino alla fase II della sperimentazione. Al momento possiamo dire che il farmaco dimostra una potente azione antivirale nei confronti di un’ampia varietà di coronavirus, incluso il SARS-CoV-2, con pochi effetti collaterali” ha sottolineato Davì. Serviranno però altri mesi di sperimentazione per poter dare delle risposte certe sulla sua efficacia di questo farmaco che si sta comunque dimostrando efficace anche nel caso in cui il virus si dimostri resistente al Remdesivir, un altro medicinale attualmente in uso nel trattamento dei pazienti Covid ospedalizzati.

Covid, ecco Merck: la pillola che "cancella" il vaccino. I primi pazzeschi risultati: quando arriva sul mercato. Libero Quotidiano l'1 ottobre 2021. Finalmente si intravede la possibilità di cure domiciliari per il Covid. Cure vere, non quelle farlocche e spesso dannose che sono girate in questi mesi e prese da esempio dai no-vax, quelli che appartengono alla categoria “le cure esistono e non ce lo dicono”. E invece farmaci davvero non ce ne sono ancora, ma presto le cose potrebbero cambiare se il molnupiravir dovesse essere approvato. Si chiama così il nuovo farmaco anti-Covid su cui sta lavorando la Merck. Quest’ultima sta provando ad accelerare il processo per immettere sul mercato la sua pillola e intanto ha pubblicato i primi risultati della sperimentazione, che dimostrano una riduzione del 50% di ricoveri e decessi delle persone recentemente infettate dal Covid. La Merck chiederà presto alla Fda statunitense l’autorizzazione per l’utilizzo del farmaco su larga scala. Tra l’altro anche Pfizer ha avviato una sperimentazione di media-lunga durata per testare il suo farmaco orale per la prevenzione del Covid. C’è d’altronde grande competizione tra le case farmaceutiche mondiali: sarebbe motivo di grande orgoglio, oltre che di guadagno economico, rilasciare il primo farmaco ufficialmente testato e approvato che sia da aiuto contro il Covid. Intanto la Merck sembra essere più avanti: i primi risultati mostrano che i pazienti che hanno ricevuto il farmaco entro cinque giorni dai sintomi di Covid hanno avuto circa la metà del tasso di ospedalizzazione e morte rispetto ai pazienti che hanno ricevuto un placebo.

Il farmaco antivirale deve essere approvato dalla FDA. Cosa è e come funziona il Molnupiravir, la pillola contro il Covid: “Dimezza rischio di morte e ricovero”. Fabio Calcagni su Il Riformista l'1 Ottobre 2021. Una pillola per il trattamento del Covid-19. L’azienda farmaceutica Merck Sharp & Dohme (MSD) ha annunciato oggi i risultati, promettenti, di uno studio preliminare sulla sperimentazione del farmaco, sviluppato assieme ai partner di Ridgeback Biotherapeutics, che mostra segnali incoraggianti. La pillola molnupiravir contro il Covid-19 ha ridotto i ricoveri e i decessi della metà nelle persone recentemente infettate ed è per questo che l’azienda chiederà “il prima possibile” l’autorizzazione all’uso in emergenza negli Stati Uniti e poi alle altre agenzie regolatrici di tutto il mondo. I risultati dello studio condotto sul molnupiravir mostrano infatti che i pazienti che hanno utilizzato la pillola entro cinque giorni dalla comparsa dei sintomi hanno visto ridursi della metà il tasso di ospedalizzazione e morte, rispetto a quelli che hanno ricevuto un placebo. Lo studio ha seguito 775 persone adulte con sintomi da medi a moderati, considerate ad alto rischio di malattia grave a causa di problemi di salute come obesità, diabete o malattie cardiache. Tra i pazienti che hanno assunto il molnupiravir, il 7,3% è stato ricoverato o è morto entro 30 giorni, rispetto al 14,1% di coloro che hanno assunto il placebo. La Merck Sharp & Dohmeha quindi annunciato l’interruzione in anticipo della fase 3 della sperimentazione dopo i primi risultati: una scelta che deriva non solo dal risultato nettamente positivo, ma anche da motivi etici in quanto non si può negare il farmaco a tutti i pazienti, come in questo caso, o al contrario i risultati non sono promettenti come ci si sarebbe attesi. In particolare dall’analisi della fase 3 è emerso che dei 775 pazienti nessuno dei partecipanti che ricevuto il molnupiravir era morto durante i primi 29 giorni di studio rispetto agli otto che avevano ricevuto il placebo. Ma come agisce la pillola prodotta da Merck? Il farmaco funziona interferendo con un enzima che il Coronavirus usa per copiare il suo codice genetico e riprodursi. La pillola Merck va presa per cinque giorni, due compresse al giorno. Negli Stati Uniti la scommessa sulla pillola è forte: il governo Biden si è impegnato ad acquistare 1,7 milioni di dosi del farmaco se sarà autorizzato dalla Food and Drug Administration. L’azienda farmaceutica, che punta a sfidare Pfizer sul campo, ha fatto sapere di poterne produrre 10 milioni di dosi entro la fine dell’anno e di aver già contratti con altri governi.

E in Italia? Sull’utilizzabilità della pillola si è espresso nella conferenza stampa di monitoraggio sul Covid della cabina di regia Gianni Rezza, Direttore Generale della Prevenzione del Ministero della Salute. Secondo Rezza i risultati comunicati da Merck “sembrano promettenti, dobbiamo vedere i dati per valutarli con attenzione. E’ chiaro che c’è bisogno anche di farmaci antivirali. Abbiamo i vaccini, gli anticorpi monoclonali, mancano ancora i farmaci antivirali”.

Fabio Calcagni. Napoletano, classe 1987, laureato in Lettere: vive di politica e basket.

Non solo antivirale Merck. Il farmaco e due molecole per curare i malati Covid. Antonio Caperna il 3 Ottobre 2021 su Il Giornale. Anakinra, Baricitinib e Sarilumab saranno fondamentali nelle terapie degli ospedalizzati. L'arrivo di Molnupiravir, che tanta attenzione ha suscitato l'altro giorno tra gli specialisti, è un tassello in più nella lotta al coronavirus, che si affianca agli anticorpi monoclonali, all'uso di cortisone, eparina e altri farmaci già conosciuti e usati da tempo, e ovviamente ai vaccini. In appena diciotto mesi si è passati dall'essere spiazzati davanti a un nemico feroce e apparentemente imbattibile a un arsenale terapeutico già importante e che si arricchisce. L'antivirale sviluppato da Merck (MSD) e Ridgeback Biotherapeutics è ancora in fase 3 di sperimentazione e in attesa di ok, «quindi non bisogna dire che subito tutti avranno la possibilità di avere questa terapia ma sicuramente è un'arma, che ci aiuterà. Perché, anche con elevatissime coperture vaccinali, la malattia Covid sarà endemica e quindi dobbiamo assolutamente avere terapie per gestire e azzerare il costo sociale e il dolore causati dai casi gravi», afferma Fabrizio Pregliasco, virologo dell'università degli Studi di Milano. Punto di forza dell'antivirale, oltre che per i risultati nella diminuzione della metà di ricoveri e decessi, è l'assunzione orale e a domicilio. É «fondamentale considerare l'importanza di un farmaco maneggevole prosegue - ci sono già altri di strumenti, che ci aiutano sul fronte terapie per malati Covid. Come anakinra», per il quale l'Agenzia italiana del farmaco Aifa ha dato via libera all'utilizzo anche in Italia in alcune tipologie di pazienti Covid ospedalizzati, insieme ad altre due molecole (baricitinib e sarilumab), farmaci immunomodulanti, attualmente autorizzati per altre indicazioni. Questi tre farmaci, pur avendo proprie specificità, si aggiungono al tocilizumab nel trattamento di soggetti ospedalizzati Covid con polmonite ingravescente, sottoposti a vari livelli di supporto con ossigenoterapia. Tale decisione, allarga il numero di opzioni terapeutiche e nello stesso tempo consente di evitare che l'eventuale carenza di tocilizumab o di uno di questi tre farmaci possa avere un impatto negativo sulle possibilità di cura. Abbiamo perciò «strumenti interessanti, che stanno consolidando con i tempi della scienza un approccio più proattivo. Ad oggi dobbiamo dire che il cortisone e l'eparina, da dare quando serve senza eccedere, rappresentano già un modo di trattare al meglio possibile», sottolinea l'esperto. C'è poi tutta l'esperienza acquisita «nella gestione respiratoria, senza che sia troppo invasiva e che quindi non danneggi i polmoni. É importante considerare che ci sono tanti approcci», conclude Pregliasco. Ci sono poi anche gli anticorpi monoclonali bamlanivimab, etesevimab casirivimab ed imdevimab, usati anche in combinazione, e il report numero 26 di Aifa, ci dice che ci fino al 30 settembre ci sono state in Italia 10.538 prescrizioni di anticorpi monoclonali al netto di quelle senza dispensazione. Intanto la ricerca prosegue e una delle ultime sperimentazioni arriva dalla Norvegia: è una combinazione promettente, testata in laboratorio, con il farmaco Nafamostat, già in uso come monoterapia anti Covid e in fase di test approfonditi in vari Paesi, e un interferone alfa (IFN), utilizzato principalmente per il trattamento dell'epatite C. Entrambi attaccano un fattore cellulare TMPRSS2, che svolge un ruolo assolutamente fondamentale nella replicazione virale; usati in combinazione a basse dosi minimizzano gli effetti collaterali. Antonio Caperna

MERCK & C.. IL BUSINESS DA 1000 MILIARDI DI DOLLARI DEI NUOVI FARMACI ANTIVIRALI. Andrea Cinquegrani il 7 Ottobre 2021 su La Voce delle Voci. Sapete quale sarà il maxi business delle grandi aziende farmaceutiche per i prossimi anni? I prodotti antivirali, che prenderanno il posto dei vaccini. Meno pericolosi per la salute, meno letali sul fronte degli effetti collaterali, ma carissimi: un trattamento, infatti, costerà non meno di 700 dollari, a fronte dell’odierna gratuità dei vaccini. La prova del nove l’abbiamo sotto gli occhi in questi giorni. Merck & Co. (conosciuta nel mondo anche come Merck, Sharpe & Dohme, MSD) ha infatti appena lanciato la notizia del suo nuovo prodotto miracoloso, la soluzione di tutti i problemi sul fronte del covid e di ogni     possibile variante: la paroletta magica è ‘Molnupiravir’. Poche ore dopo il clamoroso annuncio, il titolo Merck è schizzato a Wall Street, guadagnando l’8,4 per cento. E, contemporaneamente, le case produttrici dei vaccini ormai considerati ‘tradizionali’, ossia Pfizer, Moderna e Novavax hanno fatto segnare una battuta d’arresto: lieve per la prima, che perde appena lo 0,2 per cento del suo valore, un vero tonfo per le altre, con il – 11,37 per cento della seconda e il – 12,21 della terza. A questo punto, le star dei vaccini stanno rapidamente correndo ai ripari, per diversificare la loro offerta e quindi brevettare al più presto salvifiche pillole finalizzate alle nuove terapie. Anche se Merck, col suo primato, può godersela per anni, navigando in mari di dollari. Il governo degli Stati Uniti, infatti, sta già provvedendo a sganciare montagne di dollari nelle sue ospitali casse, avendo subito provveduto ad acquistare oltre 1 milione e 700 mila trattamenti, versando 1 miliardo e 200 milioni di dollari nei già strabordanti forzieri griffati MSD. E a bordo della società di origini tedesche (è nata in Germania nel 1891) e poi naturalizzata americana, quartier generale a Readington, nel New Jersey, stanno già cullando un sogno, non poi tanto lontano dall’avverarsi. Ecco le magiche parole del Ceo di Merck, Henry Gadsden: “Il mio sogno è realizzare farmaci per le persone sane. Questo ci permetterebbe di venderli a chiunque”. Benedetta la sincerità! 

IL SEGRETO PER TROVARE L’ELDORADO

Ma cerchiamo di capire, a questo punto, qual è il vero segreto nascosto all’interno della salvifica pillola di “Molnupiravir” e qual è l’arma segreta nelle mani della nuova super star di Big Pharma, la nuova regina del firmamento farmaceutico: Merck, of course. Nei laboratori del New Jersey, infatti, è nato il vero, autentico farmaco che può fronteggiare, se assunto subito, ai primi sintomi, l’insorgenza del covid. Si tratta dell’Invermectina, la quale, però, ha subito subìto un trattamento speciale: osteggiata dal potere politico, scientifico e industriale perché poco cara e troppo solutiva del problema. A difenderla solo pochi ricercatori ‘scomodi’, medici controcorrente, associazioni, e – una volta tanto – l’Organizzazione Mondiale della Sanità, mentre dal canto suo la ‘Food and Drug Administration’ adotta criteri molto rigidi per consentirne l’uso. E’ la stessa sorte toccata all’idrossiclorochina, farmaco ritualmente usato contro le forme artritiche ma sperimentano con successo, per fare un solo esempio, dallo storico direttore dell’Ospedale di Marsiglia contro le Malattie infettive, Didier Raoult. E per sdoganare l’uso dell’idrossiclorochina in Italia – fino a quel momento osteggiata dal governo, dal ministero della Sanità, dall’Aifa – c’è voluta una ordinanza del Consiglio di Stato, emessa a dicembre 2020. Coloro che vogliono far uso dell’invermectina, invece, devono ancora passare le pene dell’inferno: perché, come sostengono non pochi medici, “ottenerne la prescrizione è molto difficile e stressante, ed è possibile reperirla solo tramite alcuni siti web”. 

PARLA HIRSCHHORN

Uno dei più fieri sostenitori circa l’uso anti covid di invermectina e idrossiclorochina è Joel Hirschhorn, docente di pediatria alla ‘Concordia University’ di Montreal, di genetica all’ospedale pediatrico di Boston e alla Harvard Medical School. Ha firmato un libro titolato ‘Pandemic Blunder’, nel quale sostiene, dati alla mano, che “l’uso di generici economici, sicuri ed efficaci come l’invermectina e l’idrossiclorochina avrebbe evitato l’80 per cento o più delle morti per Covid. In seguito, lo stimato medico Peter McCollough disse l’85 per cento. Per gli Stati Uniti, ciò significa che circa 600.000 vite avrebbero potuto essere salvate, e globalmente 4 milioni. Nel frattempo, centinaia di migliaia di persone in tutto il mondo sono morte a causa dei vaccini covid, la soluzione fallimentare alla pandemia”.

In Italia le morti che si sarebbero potute evitare sono almeno 100.000, visto che il totale nel corso del primo, tragico anno è di oltre 120.000. Si tratta di “omicidi di Stato”, opera di assassini in guanti (e spesso camici) bianchi (non chi dubita circa i vaccini, assassini come li ha definiti il premier Mario Draghi): finite al Creatore, quelle innocenti vite, per via del  diktat governativo, a base di “tachipirina e vigile attesa” che ha mortalmente azzoppato le terapie domiciliari, intasato gli ospedali, spalancato le rianimazioni e attivato caterve di carri funebri (e spesso di camion dell’esercito). Proseguiamo ancora con le parole di Hirschhorn: “Non c’è assolutamente alcun dubbio sul fatto che esistano moltissimi dati medico-scientifici che mostrano con assoluta affidabilità che l’invermectina è sicura ed efficace sia per il trattamento che per la prevenzione del Covid. Questo dovrebbe apparire come titolo a caratteri cubitali e in grassetto sui giornali, se avessimo dei grandi media onesti: INVERMECTINA ALTERNATIVA EFFICACE E SICURA AI VACCINI PER LA COVID. Al contrario, si assiste ad una costante carrellata di articoli e dichiarazioni di agenzie governative che affermano che l’invermectina non dovrebbe essere usata per combattere la Covid. Sostengono che non è sicura e non è efficace. Entrambe sono menzogne, volte unicamente a proteggere l’offensiva della vaccinazione di massa e i profitti delle grandi compagnie farmaceutiche. E ora a proteggere il nuovo mercato dei farmaci antivirali di Big Pharma”. 

IL SEGRETO DI MERCK

Eccoci, dunque, tornati a bomba. Ai nuovi gioielli nello scrigno di Big Pharma, i miracolosi farmaci antivirali, come il novello ‘Molnupiravir’. Ed alla scoperta del mistero. Sì, perché la poliedrica e prodigiosa Merck è l’azienda produttrice sia dell’invermectina che del Molnupiravir: il farmaco che costa pochissimo e quello che costa moltissimo. Ovvio, a questo punto, scordarsi del primo, abbandonarlo al suo destino – tanto che oggi l’invermectina non è più coperta dal consueto, preziosissimo brevetto – e invece tuffarsi nel business dorato del Molnupiravir. Elementare, Watson. Documenta Hirschhorn: “Il fatto che il ‘Washington Post’ dica che ciò che Merck ha sviluppato è il ‘primo farmaco che combatte la Covid’, dimostra quanto siano stati pessimi i grandi media nell’ignorare i benefici dimostrati dai generici IVM (invermectina) e HCQ(idrossiclorochina). E nell’ignorare i molti fallimenti dei vaccini Covid. Nel servizio da prima pagina del 2 ottobre sul nuovo farmaco Merck, il quotidiano non ha nemmeno menzionato l’invermectina né ha presentato alcun dato che mostrasse come l’IVM si è rivelata più efficace del nuovo costoso farmaco, testato solo su qualche centinaio di persone per un breve periodo. Al contrario, l’IVM è stata usata con successo su centinaia di migliaia di persone per trattare e prevenire la Covid”. Come è successo in India. Così dettaglia il docente alle università di Boston e di Montreal. “Considerate l’esperienza dell’India. Nella seconda ondata pandemica mortale dell’India, l’invermectina ha messo fine alla crisi. Nelle settimane successive all’adozione dell’IVM i casi erano scesi del 90 per cento. Negli stati con un uso più intensivo dell’IVM i casi sono diminuiti in modo ancora più drastico. I casi giornalieri a Goa, Uttarakhand, Uttar Pradesh e Delhi erano scesi rispettivamente del 95, 98, 99 e 99 per cento”. Da tener presenti anche le parole di Brian Remy, l’ex direttore della proprietà intellettuale di ‘Gilead’, un’altra casa farmaceutica statunitense: “L’invermectina usata in combinazione con altre terapie non è un problema e dovrebbe essere lo standard di cura per la Covid-19. Soprattutto salverebbe tante vite e metterebbe fine alla pandemia per sempre”. Ed invece, meglio allevare la gallina dalle uova d’oro, e seguire il filone inaugurato dal già fantasmagorico Molnupiravir.

UN MERCATO DA 1000 MILIARDI DI DOLLARI

Così prevede Joel Hirschhorn: “Sono sicuro che, man mano che le cattive notizie sull’inefficacia e sui pericolosi effetti collaterali dei vaccini Covid diverranno sempre più di dominio pubblico, le grandi compagnie farmaceutiche passeranno progressivamente dai vaccini alla prescrizione di farmaci antivirali. E’ questa la pianificazione strategica di aziende intelligenti. Con Merck è già iniziata. E la ‘Food and Drug Administration’, i ‘Centers for Prevention and Infectuos Desease’, il ‘National Institute of Health’asseconderanno questo cambiamento strategico”. E continua: “In questo modo si preserverà un mercato da 1000 miliardi di dollari per le aziende. Come il governo e l’establishment della sanità pubblica metteranno in pratica il passaggio dai vaccini Covid ai farmaci antivirali sarà un meraviglioso spettacolo di magia da vedere. Pensate che ammetteranno che milioni di persone in tutto il mondo hanno perso la salute e la vita a causa dell’uso dei vaccini? Certo che no. Le costose pillole antivirali saranno semplicemente vendute come la soluzione migliore”. Dulcis in fundo. Sapete qual è stato il primo commento, a botta calda, dopo il lancio del super farmaco Merck, del virologo più famoso al mondo, al secolo Anthony Fauci? “Risultati impressionanti”. Impressionato, stupefatto, in estasi per quel magico messaggio, “il molnupiravir è in grado di ridurre di circa il 50 per cento il rischio di ospedalizzazione e morte per Covid nei soggetti infettati con Sars Cov 2 trattati entro 5 giorni dall’inizio dei sintomi”, come hanno sbandierato i vertici della star. I quali possono ora ammirare il futuro sempre più radioso che si spalanca davanti a loro. E possono ben dire ‘scordammoce ‘o passato’, buttiamoci alle spalle quella super multa di dieci anni fa esatti, pagata nel 2011, quasi 1 miliardo di dollari (per la precisione 950 milioni) “per aver nascosto – così venne scritto nella motivazione – importanti dati sulla sicurezza di un suo farmaco anti infiammatorio attuando pratiche di desease mongering”. E, ancor più, la recente, clamorosa ammissione degli stessi ‘capi’: abbiamo inoculato in tanti innocenti, tramite i nostri vaccini, il virus del cancro. La sconvolgente tragedia è documentata nel recente documentario “In Lies We Trust: The CIA, Hollywood & Bioterrorism”, in cui, tra l’altro, lo scienziato Maurice Hilleman spiega come e perché la Merck ha diffuso l’AIDS, la leucemia e altre orribili piaghe nel mondo. Ma questa è un’altra (terribile) storia. Ci torneremo presto. 

P.S. La lettura è consigliata al nostro Vate dei Vaccini, Roberto Burioni, secondo cui – lo ha affermato nel corso dell’ultima puntata chez Fabio Fazio – in tutto il mondo si è registrato un solo morto, 1 di numero, come

conseguenza del vaccino anti covid. Per la precisione – ha specificato il MagoMassone – in Nuova Zelanda. Capito?

I farmaci anti Covid più promettenti: quali sono e quando arriveranno. Federico Giuliani su Inside Over l’1 ottobre 2021. I vaccini non saranno l’unica arma in grado di sconfiggere il Covid. Sembrerà strano dirlo, e forse pure un po’ scontato, ma accanto ai nomi in codice dei vari composti sviluppati da Pfizer-BioNTech, Johnson & Johnson e Moderna, troviamo una lista sempre più lunga di promettenti cure che, in tempi non lontanissimi, potranno essere utilizzate per “fiaccare” il Sars-CoV-2. Sia chiaro: un’arma non può e non deve escludere l’altra, almeno non ancora e non in questa fase. Poter contare su validi vaccini, i cui effetti sulla riduzione delle ospedalizzazioni sono ben visibili nei grafici relativi ai Paesi con i tassi di vaccinazione più elevati, deve essere l’ancora alla quale aggrapparsi. Poi, solo quando test e sperimentazioni avranno fornito buoni risultati, allora potremo iniziare a integrare vaccini e cure o – perché no – magari affidarci anche solo a uno spray o un farmaco, proprio come accade con la banale influenza. Al momento, è bene ribadirlo, non esistono ancora cure approvate e riconosciute capaci di sostituirsi al vaccino. C’è però un enorme cartello di “lavori in corso” a indicare che la comunità scientifica è al lavoro per fornire quanto prima nuove frecce alla faretra di armi anti Covid (varianti incluse). Cerchiamo di fare un po’ di ordine, passando in rassegna le cure contro il coronavirus più promettenti fino ad oggi.

Sperimentazioni in corso

Non è vero che non esistono cure anti Covid. Gli scienziati hanno trovato piste interessanti, che tuttavia richiedono di essere analizzate nella loro interezza prima di poter cantare vittoria. Detto in altre parole, esistono farmaci potenzialmente validi nella lotta contro il coronavirus, ma questi si trovano ancora in fase di sperimentazione (seppur, in certi casi, avanzata). Altri sono invece in via di sviluppo, e potrebbero volerci mesi se non anni prima di trovarli in commercio.

L’importante è che i pazienti – e con loro l’opinione pubblica – non si lascino abbindolare da fantomatiche cure propagandate su web e social network da bizzarri esperti. Al contrario, bisogna pazientare ancora un po’ per vedere all’opera diversi trattamenti antivirali giunti in avanzata fase di sperimentazione clinica. Il conto alla rovescia è cominciato. Molnupiravir, PF-07321332, PF-07304814 e uno spray Synairgen: sono questi i nomi dei quattro farmaci anti Covid più caldi e promettenti.

I quattro farmaci più promettenti

Partiamo dal primo, Molunapiravir, definito profarmaco, ovvero una molecola che, dopo essere stata processata dalle cellule umane, si trasforma in un principio attivo. Questo, come ha spiegato lo scienziato Enrico Bucci sul Corsera, viene poi incorporato dal genoma dei virus a Rna nel loro cosiddetto processo di replica, causando “errori di copia letali”. Inizialmente usato per l’influenza, Molnupiravir è stato giudicato promettente anche per arginare il Covid. Le sperimentazioni sono arrivate alla terza fase, i cui risultati sono attesi entro la fine dell’anno. In caso di fumata bianca, potrebbe essere il primo antivirale orale contro il Sars-CoV-2, dovrà essere assunto all’insorgere dei primissimi sintomi, così da alleggerire la gravità della malattia.

Pfizer è invece all’opera con PF-07321332, un inibitore di proteasi virale per tutti i betacoronavirus, cioè la famiglia della quale fa parte anche il nostro Sars-CoV-2. Poche settimane fa è iniziato lo studio clinico di fase 3; i risultati sono previsti per l’inizio del 2022. Certo è che l’impronunciabile composto targato Pfizer dovrà eventualmente essere usato assieme all’antivirale Ritonavir nei pazienti sintomatici prima della loro ospedalizzazione. Pfizer sta analizzando anche PF-07304814, un profarmaco inibitore di proteasi arruolato, in un primo momento, contro la Sars. Gli studi sono fermi alla fase 2 e potrebbe volerci più tempo. Stiamo comunque parlando di un trattamento per via endovenosa dedicato ai pazienti con sintomi più seri.

Arriviamo, infine, allo spray realizzato da Synarigen, azienda inglese che ha da poco avviato la fase 3 per un farmaco molto interessante. Si tratta di uno spray di interferone beta che, una volta assunto per via inalatoria, raggiunge i polmoni per ostacolare gli effetti del virus. Promettente contro i pazienti con sintomi non troppo severi; risultati attesi per il 2022.

Covid, ecco le terapie che funzionano.  Donatella Zorzetto su su L’Espresso il 30 settembre 2021. I ricercatori britannici hanno raffrontato 47 studi internazionali: la revisione sistematica promuove gli anticorpi monoclonali. Il virologo Fausto Baldanti: "Ma solo nelle prime fasi della malattia". SONO terapie anti-Covid di ultima generazione, nella maggior parte dei casi già utilizzate dagli ospedali italiani che hanno conosciuto i momenti più bui della pandemia, quando di farmaci contro il virus che ha colpito il mondo dal gennaio 2020 non c'era ancora traccia. Ora, una ricerca pubblicata su Bmj (British Medical Journal, rivista medica della British Medical Association -Regno Unito) ne fa una revisione sistematica: ha analizzato decine di studi e confrontato conclusioni ed effetti dei farmaci somministrati ai pazienti per abbattere le conseguenze del Covid. E un risultato su tutti è balzato agli occhi: nei malati non gravi, gli anticorpi monoclonali antivirali (casirivimab-imdevimab) sembrano ridurre il rischio di ospedalizzazione; così come bamlanivimab-etesevimab e sotrovimab possono neutralizzare il virus in partenza e ridimensionare il rischio di ricovero.

Gli obiettivi della ricerca 

Il perché i ricercatori britannici abbiano scelto di percorrere la strada del raffronto fra terapie in uso contro il Covid-19, si evince dalla realtà che tutto il mondo sta vivendo da 20 mesi. "I casi globali di malattia da Coronavirus continuano ad aumentare - spiegano gli autori dello studio - . Al 14 settembre 2021, più di 225 milioni di persone sono state infettate dal virus della sindrome respiratoria acuta grave Sars-CoV-2 e i decessi totali hanno superato i 4,6 milioni". "Poiché il Covid-19 rappresenta una minaccia significativa per la salute globale - proseguono - gli sforzi internazionali coordinati per identificare terapie mirate hanno portato a oltre 2.900 studi clinici registrati. Circa il 12% di questi studi sta valutando terapie cellulari o basate su anticorpi come plasma convalescente, immunoglobuline per via endovenosa (IVIg) o anticorpi antivirali".

Studi clinici e terapie sotto esame

Quello che ha portato i ricercatori a procedere in questa direzione, comparando farmaci esaminati per ridurre l'impatto del Covid sull'organismo umano, è stato "il loro profilo di tossicità favorevole e il beneficio storico (sebbene variabile) sulla mortalità quando sono stati utilizzati in pazienti colpiti da virus di altro tipo". Il riferimento va a Sars-CoV-1, influenza spagnola pandemica A del 1918, influenza H1N1, influenza H5N1, virus respiratorio sinciziale e malattia da virus Ebola. "Questi farmaci antivirali raccolti e prodotti gli anticorpi, rappresentano opzioni terapeutiche interessanti per il Covid-19 - sottolineano gli autori della revisione - . Infatti, sulla base di questa evidenza storica combinata con i primi dati di studi clinici, diversi Paesi hanno rilasciato l'autorizzazione all'uso di emergenza del plasma convalescente per il trattamento di pazienti ospedalizzati con covid-19. E diversi Paesi hanno anche detto sì all'uso di anticorpi monoclonali antivirali di covid-19".

I farmaci dell'emergenza

Tra gli istituti che in Italia per primi hanno sperimentato una di queste terapie salva vita sui malati Covid, ossia  il plasma iperimmune, c'è il policlinico San Matteo di Pavia. Fausto Baldanti, responsabile del laboratorio di Virologia molecolare del San Matteo, promuove quell'operazione "condotta in un periodo in cui la mortalità per Covid era al 30% e non c'erano terapie adeguate". Ma nel contempo conferma la svolta che nella cura della malattia è arrivata grazie agli anticorpi monoclonali.

Anticorpi come cura

"Tutte le terapie basate su anticorpi, sia plasma, che emoglobline che anticorpi monoclonali, oggi in uso, sono efficaci se somministrati nelle fasi precoci della malattia - spiega Baldanti - . Quando vanno somministrati? Appena un malato di Covid, che presenta fattori di rischio noti e in grado di progredire verso una forma severa della malattia, presenta i primi sintomi. Così questi farmaci sono in grado di impedirne la progressione. Ma se la malattia è troppo avanzata funzionano poco, come pure se persona è robusta". "Ricordiamoci che gli anticorpi monoclonali vengono prodotti dopo l'infezione - conclude il virologo - . Sono quelli più potenti distillati dal plasma. Quindi questa terapia è figlia della terapia del plasma. Il concetto alla base è lo stesso: la neutralizzazione del virus in fase precoce". Ora Baldanti ha in corso di studio una terapia basata su monoclonali di ultimissima generazione, in grado di superare quelli attualmente in uso.

La base di partenza dello studio

Una premessa: a differenza dei farmaci, le cellule staminali, il plasma convalescente e le IVIg (immunoglobuline per uso endovenoso) non possono essere prodotte, quindi possono derivare solo dai donatori, e la loro qualità è limitata proprio dal numero di questi. Quindi non c'è nulla di definito, nè di prevedibile sulla possibilità di applicarle sistematicamente come terapia contro il Covid. Detto questo, la ricerca inglese, al 21 luglio 2021, ha "identificato 47 studi" che valutavano plasma convalescente (21 studi), immunoglobuline endovenose (IVIg) (5), cellule staminali mesenchimali del cordone ombelicale (5), Bamlanivimab (4), Casirivimab-Imdevimab (4), Bamlanivimab-Etesevimab (2), plasma di controllo (2), cellule staminali arricchite non ematopoietiche del sangue periferico (2), Sotrovimab (1), anti-Sars-CoV-2 IVIg (1), scambio plasmatico terapeutico (1), anticorpo policlonale XAV-19 (1), anticorpo monoclonale CT-P59 (1) e anticorpo policlonale INM005 (1) per il trattamento di Covid-19.

Le prime osservazioni

Sono emerse una prima serie di osservazioni. I pazienti che non erano stati colpiti gravemente dal Covid, sottoposti a una cura con anticorpi monoclonali antivirali, hanno avuto un rischio di ospedalizzazione inferiore rispetto ai malati ai quali, invece, era stato dato un placebo. Per il resto "non hanno avuto un impatto importante su nessun altro risultato". In particolare, "non c'era differenza notevole tra gli anticorpi monoclonali", "nessun altro intervento ha avuto alcun effetto significativo su alcun esito nei pazienti", "nessun intervento, compresi gli anticorpi antivirali, ha avuto un impatto importante su qualsiasi esito nei malati con covid-19 grave o critico, ad eccezione di Casirivimab-Imdevimab, che può ridurre la mortalità nei pazienti sieronegativ".

"Trattamenti Covid più efficaci"

Che i nuovi farmaci contro il Covid-19 abbiano aperto la strada alla cura della malattia, cura che prima non c'era, e quindi alla riduzione del rischio di aggravemento delle condizioni dei pazienti, lo sostiene Roberto Burioni, docente di microbiologia e virologia all'Università Vita-Salute San Raffaele di Milano. Che spiega: "Oggi abbiamo validi farmaci a disposizione, farmaci che inibiscono il sistema immunitario: sia quelli antichi, come i cortisonici, sia quelli innovativi, fatti di anticorpi monoclonatali, in grado di bloccare specifici componenti che attivano l'infiammazione. Parlo, ad esempio, del Tocisimumab, che aiuta nel diminuire la mortalità di questi pazienti". "Questo, unito alla conoscenza del fatto che questo virus può causare anche disturbi della coagulazione - conclude Burioni - perché non colpisce solo i polmoni come fa l'influenza, fa sì che si possa, anche modificando la coagulazione dei pazienti compromessi dal virus, dare loro migliori possibilità di guarigione".

Le conclusioni

La ricerca britannica arriva a conclusioni che, per certi versi, sono una conferma. "Nei pazienti con covid-19 non grave, gli anticorpi monoclonali antivirali Casirivimab-Imdevimab probabilmente riducono il rischio di ospedalizzazione; Bamlanivimab-Etesevimab e Sotrovimab possono ridurre il ricovero in ospedale - evidenzia - . Casirivimab-Imdevimab può far calare il rischio di mortalità nei malati con Covid-19 grave che non hanno anticorpi rilevabili contro la proteina spike SARS-CoV-2, ma Casirivimab-Imdevimab e tutti gli altri interventi non sembrano avere alcun impatto quando vengono somministrati ai pazienti critici". E aggiungono: "I bassi tassi di eventi avversi che portano all'interruzione, al danno polmonare acuto correlato alla trasfusione (TRALI) e al sovraccarico circolatorio associato alla trasfusione (TACO) rendono difficile trarre conclusioni sulla sicurezza degli anticorpi monoclonali antivirali e del plasma convalescente". Per cui, in sostanza, "sono necessari ulteriori dati di alta qualità per valutare l'efficacia e la sicurezza degli anticorpi antivirali e degli emoderivati per il trattamento del covid-19".

Ok dell’Aifa alla terapia contro il Covid. Ecco i tre medicinali autorizzati. Via libera dell’Agenzia italiana del farmaco all’uso di anakinra, baricitinib e sarilumab per curare il Covid. Giacomo Galeazzi su La Stampa il 30 settembre 2021.  Dall’Aifa disco verde alle cure anti-virus. L'Agenzia italiana del farmaco ha reso disponibili i medicinali anakinra, baricitinib e sarilumab per la cura del Covid.  In una riunione straordinaria la commissione tecnico scientifica di Aifa, si spiega in una nota, ha rilevato le nuove evidenze che si sono rese disponibili all'utilizzo per il trattamento del Covid-19 di anakinra (anti-artrite reumatoide), baricitinib e sarilumab, farmaci immunomodulanti, attualmente autorizzati per altre indicazioni.

Giampiero Maggio per lastampa.it l'1 ottobre 2021. Monoclonali sì, monoclonali no. Il tema è ampio, il dibattito è certamente vivace. E che funzionino ormai è assodato. Eppure i frigoriferi dei centri italiani che hanno “stoccato” le riserve di monoclonali sono strapieni e inutilizzati. A differenza di molti altri Paesi dove l’uso è avanzato. Solo all’Amedeo di Savoia di Torino, per citare un esempio, ne ha 1500 mai usati. «Nel massimo picco della pandemia – spiega Giovanni Di Perri, virologo e responsabile del reparto Malattie infettive dell’Amedeo di Savoia –, con 60 mila ospedalizzazioni in Piemonte, abbiamo usato 350 dosi. Avremmo potuto risparmiare 15 mila ospedalizzazioni e chissà quanti morti si potevano evitare».

I costi per la sanità pubblica

Non solo. C’è un tema strettamente sanitario e un altro di carattere economico. Gli anticorpi monoclonali costano molto meno di un ricovero, guariscono specialmente se utilizzati nei primi giorni dall'inizio della malattia ma, come detto, vengono usati poco. «E non si capisce perché»: nel periodo tra aprile e agosto 2021 in Italia è stato curato dal Covid con gli anticorpi monoclonali solo il 9% dei contagiati sopra i 70 anni. È quanto emerge da un'indagine dei virologi Ivan Gentile, Alberto Enrico Maraolo, Antonio Riccardo Buonomo, Mariano Nobili, Prisco Piscitelli, Alessandro Miani e Nicola Schiano Moriello che hanno analizzato i dati di quei mesi: 70.022 italiani sopra i 70 anni contagiati dal Covid, di cui 21.503 sono stati ricoverati in ospedale con circa 10.000 morti. «Il trattamento con i monoclonali - spiega Gentil - evita in buona parte dei casi il ricovero e porta alla guarigione, soprattutto se fatto nei primi 4-5 giorni dall'inizio della malattia. Ma questo trattamento viene fatto a una percentuale bassissima di persone, e non ne vediamo il motivo. Farebbe guarire la maggior parte dei malati evitandone ospedalizzazione e morte e farebbe anche risparmiare enormi somme di denaro alla sanità pubblica». Dai calcoli dei ricercatori, ogni ricovero per Covid costa allo Stato circa 21.000 euro in media, il monoclonale 1250 euro. È la stessa cosa che sostiene Di Perri: «Da noi le uniche persone che arrivano chiedendo di poter usare i monoclonali sono le persone mediamente istruite e che leggono. Bypassano letteralmente questo sistema farraginoso e vengono direttamente qui da noi. Quanti sono? Purtroppo poco».

Come funzionano i monoclonali

In una recente intervista il virologo Andrea Crisanti parla di lobby che gli anticorpi monoclonali sarebbero stati imposti all’Italia da una lobb eppure è ormai assodato che l’utilizzo di queste molecole funziona. Soprattutto se utilizzate tempestivamente e in pazienti che, o non possono ricevere il vaccino, o non hanno una risposta al vaccino stesso oppure sono soggetti a rischio, come diabetici, malati oncologici e anziani particolarmente fragili. «Molti pazienti che arrivano da noi in ospedale ci raccontano che il medico di base ha consigliato loro il riposo assoluto e terapie a base di colchicina – spiega Di Perri –. quando invece l’utilizzo tempestivo di monclonali non solo ammazzerebbe in partenza la malattia, ma risparmierebbe, come detto, l’ospedalizzazione». Ma come funzionano queste molecole? Come spiega la Società italiana di farmacologia «il 3% dei pazienti affetti da CoVID-19 sviluppa una severa patologia respiratoria (sindrome da distress respiratorio acuto, ARDS), responsabile di un quadro tanto grave da portare al ricovero nei reparti ospedalieri di terapia intensiva e che può avere anche un esito fatale. Durante questa condizione, l’organismo sviluppa una risposta infiammatoria molto elevata associata alla cosiddetta “tempesta citochinica”, che si manifesta con una massiva produzione di molecole infiammatorie (citochine e chemochine). Alcuni MAb agiscono riducendo queste molecole infiammatorie, quali IL-6, TNF-α IL-1 e l’interferone-gamma che aggravano l’ARDS». Di fatto, se utilizzati in tempo, i monoclonali anticipano la risposta immunitaria. Il virologo Di Perri ci spiega, con un esempio, come dovrebbe funzionale: «In una famiglia il ragazzino porta il Covid in casa e infetta i nonni. I nonni fanno il tampone e scoprono di essere positivi al Covid. Bene, a quel punto, essendo i due anziani molto fragili e a rischio anche per una questione di età, è bene che si facciano fare una dose di monoclonali» Prima che l’infezione sviluppi la parte infiammatoria, solitamente dopo 6 o 7 giorni. «A quel punto è tardi. Se entro i 3 giorni la risposta è buona, dopo 6 si perde il 30% dell’efficacia».

Arriva il “cocktail” di anticorpi monoclonali

Si chiama casirivimab-imdevimab (Ronapreve) e riduce significativamente la carica virale di pazienti ricoverati con Covid-19. Il gruppo farmaceutico svizzero Roche ha comunicato oggi lo sviluppo di questo “cocktail” di anticorpi monoclonali. È stato prodotto insieme alla società biotecnologica newyorkese Regeneron Pharmaceuticals e il mix è stato autorizzato in Giappone nel mese di luglio. Aveva già ricevuto un'autorizzazione d'urgenza o temporanea in Svizzera, Stati Uniti, in Canada, Europa e India. Il principale comitato consultivo dell'Ema, l'Agenzia europea per i medicinali, si è recentemente pronunciato a favore di una piena omologazione, e sia la Confederazione elvetica sia l'Ue hanno già riservato lotti della terapia. Recentemente è stato approvato anche nel Regno Unito come nuovo trattamento per il Covid-19. Si tratta dello stesso framaco che aveva conquistato l’attenzione dell’opinione pubblica per la prima volta nell'ottobre 2020, quando questa terapia fu utilizzata dall’ex presidente Usa Donald Trump.  Già autorizzato per l'uso di emergenza in più di 20 paesi è usato per trattare o prevenire l'infezione acuta da COVID-19, sebbene, come sottolineano medici e virologi, non sostituisca la vaccinazione. È destinato a persone ad alto rischio di sviluppare una forma grave di COVID-19 a chi ha evidenziato già i sintomi o a coloro che sono stati recentemente esposti a qualcuno infetto per ridurre il rischio di contrarre il virus.

Covid: Israele dà fiducia a Regeneron. Piccole Note il 24 settembre 2021 su Il Giornale. A integrazione della nota di ieri, nella quale scrivevamo dello sconcertante lassismo col quale è stato affrontato il problema delle terapie per il Covid-19, riferiamo quanto scrive Ronny Linder su Haaretz oggi 24 settembre 2021. Israele ha acquistato una “fornitura di REGN-COV2, prodotta da Regeneron Pharmaceuticals”, considerato un farmaco efficace per il trattamento del coronavirus. “REGN-COV2 – si legge su Haaretz -, utilizzato con successo per trattare l’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump, è stato approvato per l’uso di emergenza dalla Food and Drug Administration degli Stati Uniti a seguito di risultati impressionanti nei primi studi clinici”. “Lo studio principale, non ancora pubblicato su una rivista peer-reviewed, ha coinvolto 4.000 pazienti a rischio di sviluppare casi gravi di COVID-19 . Sono stati divisi casualmente in due gruppi, con metà che ricevevano il farmaco e metà un placebo”. “Dopo 28 giorni, coloro che hanno ricevuto il farmaco avevano il 70% in meno di probabilità di essere ricoverati in ospedale o di morire rispetto a quelli che avevano ricevuto il placebo. Inoltre, i loro sintomi sono terminati in media quattro giorni prima”. Il fatto che a ricorrere a tale farmaco sia Israele garantisce sul fatto che non si tratta di una Fake news, dato che la sanità e la salute pubblica è parte della Sicurezza nazionale. Certo, non siamo alla Terapia con T maiuscola, e certo, i casi gravi ne sono esclusi, ma i risultati sono più che positivi (a quanto pare, peraltro, il farmaco, e/o altri simili, è somministrato anche in Italia, anche se non ancora approvato da Aifa ed Ema, vedi nota a margine). Come si sa, Trump si è ammalato nell’ottobre dello scorso anno, guarendo in breve tempo. Ma quando annunciò la cura, con i suoi soliti modi da spaccone (che non hanno giovato), dicendo che se avesse vinto l’avrebbe proposta gratis per tutti, si attirò i feroci strali dei Custodi della pandemia. Il farmaco allora era ancora sperimentale e non ancora approvato delle autorità sanitarie statunitensi, cosa avvenuta nell’agosto scorso. Tra i tanti che hanno dichiarato immediatamente il loro disprezzo per la trovata pubblicitaria del presidente americano, un Custode della pandemia britannico, interpellato da Vox. Riportiamo il suo commento di allora. “La dimensione del campione è pietosa”, ha affermato David Nunan , ricercatore senior presso il Center for Evidence-Based Medicine dell’Università di Oxford, riferendosi ai 106 partecipanti allo studio che hanno registrato un alleviamento dei sintomi nei risultati intermedi. “C’è un’enorme incertezza ed è improbabile che le differenze che vediamo nel [gruppo trattato rispetto al gruppo placebo] siano statisticamente significative, il che significa che potrebbero essere solo effetti casuali”. Date le premesse, si può capire perché la ricerca non ha attirato finanziamenti massivi, neanche le briciole di quanto destinato altrove, cosa che ne ha rallentato la sperimentazione, lo rende ancora piuttosto costoso e poco reperibile. Ecco, il Custode della pandemia in questione, e i tanti altri Custodi omologhi che hanno contribuito a tale omissione (e a tante altre), privando gli ammalati di possibilità, non avrà nessun nocumento dalla frettolosa presa di posizione di allora, anzi continuerà a pontificare come i suoi colleghi. Così accade per i misteri dolorosi della pandemia sanitaria. Nota a margine. In Italia non è autorizzato, come d’altronde anche altre tipologie di anticorpi monoclonali, in linea con le direttive Ema. Ma, come per altri monoclonali, ha avuto autorizzazione temporanea con uno degli ultimi decreti firmati dal governo Conte il 21 febbraio 2021. E se ne fa uso in fase clinica, con incremento progressivo.

Non essendo autorizzato, gli ordinativi sono relativi, con incremento ovvio dei costi (più alta la quantità di ordini, più bassi i prezzi, così il mercato). 

Due farmaci antivirali per le cure della svolta. Il flop dell'Ivermectina. Antonio Caperna il 19 Settembre 2021 su Il Giornale. L'antiparassitario torna di moda tra i no-Vax. L'esperto: "Non funziona, andrebbe usato in dosaggi tossici". Negli Usa 3 miliardi per medicinali anti-Covid. La sfida: pronti entro l'anno. Eparina, idrossiclorochina, ivermectina e poi ancora vitamine varie, cortisonici, antivirali, antibiotici. È come snocciolare una formazione di calcio, mandata a memoria dopo qualche importante successo mentre nel caso delle terapie anti Covid si ricordano soprattutto entusiasmi trasformati in delusioni e moniti degli esperti per non peggiorare la situazione. Il rischio più grande, infatti è creare false speranze nelle persone e indurle a non adottare comportamenti corretti, finendo per mettere a rischio la salute ben prima di una evoluzione negativa per l'infezione da coronavirus. Perché se alcuni farmaci possono sembrare teoricamente utili, poi si rivelano inefficaci nella realtà o in specifiche situazioni o richiedono dosi eccessive. Un caso è proprio l'ivermectina, un antiparassitario non autorizzato per il Covid e per il quale c'è stato un forte allarme di avvelenamenti negli Usa, bollata dagli esperti come non raccomandata né come terapia né come prevenzione per la sua inutilità contro il coronavirus e, appunto, l'alto profilo di rischio. «Ha dimostrato in vitro un'attività contro il virus ma non si può usare, perché la dose efficace in vitro è circa 35 volte più alta di quella utilizzabile in vivo», sottolinea Francesco Scaglione, docente di farmacologia all'università degli Studi di Milano, responsabile del Centro antiveleni dell'ospedale Niguarda. «È stata provata - conclude Scaglione - ma risultati zero». E si può arrivare a effetti collaterali importanti: nausea, vomito e diarrea fino a danni neurologici. Stesso problema per l'idrossiclorochina: «Sulla scorta di informazioni che arrivavano dalla Cina è stata esplorata anche questa via - ricorda il farmacologo - ma anche qui è sempre una questione di dose: per la malaria si usa a un massimo di 600 mg al giorno, per Covid bisognerebbe salire a 1 grammo e mezzo, o 2, col rischio di effetti collaterali cardiaci». Per gli specialisti l'utilizzo di vitamina D, lattoferrina, quercetina e altri integratori alimentari non è raccomandato per inefficacia terapeutica e di profilassi, lo stesso per quanto riguarda gli antivirali solo il remdesivir è raccomandato solo per uso ospedaliero. Il Corynebacterium parvum è «un generico immunostimolatore registrato in Brasile, ma non in Italia, come coadiuvante per il trattamento dell'acne, non è raccomandato per la sua inutilità contro Sars-CoV-2». I farmaci più promettenti e approvati sono invece gli anticorpi monoclonali, indicati entro dieci giorni dalla comparsa di sintomi, per alcune categorie a rischio di una evoluzione grave di malattia. Si legano alla proteina Spike, bloccandone l'ingresso nella cellula ed impedendo la replicazione. Si tratta di una difesa costruita appositamente contro il Covid, che viene somministrata per endovena con un attento controllo. La Commissione europea ha annunciato di aver identificato cinque trattamenti «promettenti» contro il Covid. Si tratta di terapie «che potrebbero essere presto disponibili» in tutta l'Ue. Quattro sono anticorpi monoclonali attualmente in revisione in tempo reale da parte dell'EMA, un'altra è un immuno-soppressore, già autorizzato per pazienti non Covid e che potrebbe ricevere l'ok anche per il Covid. Si attende il via libera nelle prossime settimane, quando la Commissione elaborerà un portafoglio di almeno dieci potenziali terapie. In Italia alcuni sono stati autorizzati in via temporanea. Poi c'è la novità che riguarda gli anticorpi di seconda generazione, la cui sperimentazione è iniziata allo Spallanzani di Roma: «Saranno usati anche come profilassi perché somministrabili intramuscolo e quindi potrebbero essere utilizzati anche a casa», sottolinea Francesco Vaio, direttore dell'Inmi Spallanzani. Interesse desta anche un farmaco sperimentale (EXO-CD24), che arriva da Israele, contro la tempesta citochinica, con risultati positivi in studi di fase I e II, forse disponibile il prossimo anno. Infine i nuovi antivirali: numerosi studi ne stanno testando l'efficacia, come per la molecola di Pfizer a somministrazione orale o il molnupiravir a compresse, in fase III di studio in Italia, mentre gli Usa hanno stanziato oltre 3 miliardi di dollari per la ricerca clinica sui farmaci antivirali. Al momento ce ne sono due molto promettenti. L'obiettivo è metterli a disposizione entro la fine dell'anno. Antonio Caperna

VACCINI & GREEN PASS. CHI SONO I VERI ASSASSINI. Andrea Cinquegrani il 26 Luglio 2021 su la Voce delle Voci.

Finalmente le "cure" anti coronavirus trovano una legittimazione a livello europeo.

Finalmente i farmaci in grado di contrastare il Covid al suo primo insorgere ricevono disco verde delle autorità UE.

Finalmente nuove terapie, soprattutto a base di anticorpi monoclonali, hanno l’ok per combattere il virus fin dai suoi primi sintomi.

Finalmente, quindi, crolla il mito dei ‘vaccini’ come unica strada da battere sulla via della salvezza.

Finalmente, poi, si scopre d’incanto chi sono stati e sono – fino ad oggi – i veri "assassini". 

LE CURE NEGATE

E partiamo, a questo punto, proprio dai killer. 

Il premier Mario Draghi. Quelli che il nostro premier, Mario Draghi, ha additato come i veri, autentici, unici responsabili di tutti i crimini possibili, coloro i quali non intendono vaccinarsi, che si trasformano in "assassini", perché uccidono se stessi, i loro cari e gli altri. Estrapolate così, e attribuite ad un fuori di testa, un ubriaco o un decerebrato, non stonerebbero. Ma se pensiamo che a pronunciarle è stato il nostro super-amato e super-stimato primo ministro, corrono subito dei brividi lungo la schiena.

Viviamo ormai in un mondo distopico e capovolto?

Dove la pandemia ha rovesciato tutti i canoni?

Ed è saltata ormai ogni regola, ogni minimo buonsenso?

Forse è proprio così. Perché i veri assassini, i killer sono stati e sono proprio loro. Lorsignori. Chi ci ha (s)governato fino ad oggi sia a livello politico che (sic) scientifico, chi ha portato al massacro migliaia e migliaia di italiani privati delle cure, dei farmaci necessari per fronteggiare il coronavirus fin dal suo primo insorgere.

In soldoni: chi ha ordinato, come terapia, solo “tachipirina e vigile attesa”, negando, per legge, l’utilizzo di quei prodotti che chiunque, invece, avrebbe potuto trovare tranquillamente in farmacia dietro presentazione di una ricetta del medico di famiglia. E ad un prezzo incredibilmente basso, 5 o 6 euro la confezione (peccato gravissimo!): come succede, ad esempio, con l’idrossiclorochina, usata ritualmente per combattere patologie artritiche, ma subito indicata dallo scienziato francese, Didier Raoult, come efficace terapia anti covid. E l’idrossiclorochina è stata ostacolata sia a livello internazionale – dall’Organizzazione Mondiale per la Sanità (OMS) all’Agenzia europea per il farmaco (EMA) – che a livello nazionale, dal Comitato Tecnico Scientifico (CTS) all’Associazione italiana delle industrie farmaceutiche, la potente AIFA. A sollecitarne l’uso solo alcune associazioni di medici di base e soprattutto il comitato ‘Cure domiciliari’. E c’è voluta una ordinanza del Consiglio di Stato, emessa il 12 dicembre 2020, per consentirne e legittimarne l’uso. Un vero ceffone al ministro della Salute Roberto Speranza, quell’ordinanza. Quante vite si sarebbero potute salvare facendo ricorso a cure tempestive come l’idrossiclorochina, l’invermectina, la lattoferrina, i cortisonici, l’eparina e via di questo passo?

Perché tutto è stato negato, ostacolato, osteggiato, nella messianica attesa dei vaccini, il vero, unico eldorado per le case farmaceutiche?

Chi pagherà per quelle vite?

Sapete quale è stato il paravento dietro al quale si sono protetti lorsignori? “Siamo in emergenza”, “la pandemia va comunque fronteggiata”, quindi si possono bypassare test e sperimentazioni, perciò si può autorizzare l’uso dei vaccini (pur sperimentali), proprio in virtù di quell’emergenza. 

PERFINO LA UE SOLLECITA LE “CURE”

Ma adesso si scopre che il re è nudo. Che l’emergenza era taroccata. Proprio perché esistevano dei farmaci, delle cure invece negate, delle terapie possibili e invece nascoste ai cittadini.

Ora la conferma arriva addirittura dalla stessa EMA, che sta monitorando le ultime fasi di altri farmaci anti covid, i quali verranno approvati entro ottobre-dicembre e autorizzati dall’Unione europea.

Giorni fa, infatti, la Commissione europea ha annunciato il varo di un primo ‘portafoglio’ di cinque trattamenti che “potrebbero essere presto disponibili per curare i malati della UE”. E’ la Commissaria europea alla Salute in persona, Stella Kyriakides, ad ammettere: “anche se la vaccinazione sta prendendo velocità, il virus non sparirà e i pazienti avranno bisogno di cure sicure ed efficaci per ridurre il peso della Covid 19”. Era ora!!

Ma vediamo, nello specifico, di cosa si tratta. Partiamo dai farmaci a base di anticorpi monoclonali, quattro in tutto.

Il primo è una combinazione di "bamlanivimab" ed "etesevimab": il farmaco viene prodotto dalla casa farmaceutica "Eli Lilly".

Il secondo è una combinazione di "casirivimab" e "imdevimab". Alla sua produzione hanno lavorato due aziende: "Regeneron Pharmaceuticals Inc." e "Hoffman–La Roche Ltd".

Il terzo farmaco è a base di "regdanivimab", e viene prodotto da "Celltrion".

Il quarto è a base di "sotrovimab", anche qui impegnate due case farmaceutiche: "Glaxo SmithKline" e "Vir Biotechnology Inc.".

Passiamo al quinto prodotto. Si tratta di un immunosoppressore, "baricitinib", che riduce l’attività del sistema immunitario. Viene prodotto anch’esso da "Eli Lilly". Tale immunosoppressore – già attualmente autorizzato per pazienti non covid – “inibendo una sostanza presente nel nostro organismo, tiene sotto controllo l’infiammazione”, secondo Antonio Clavenna, responsabile dell’unità di farmacoepidemiologia dell’Istituto Mario Negri di Milano.

Così viene dettagliato in un documento UE: “Sulla base del lavoro del gruppo di esperti sulle varianti della Covid 19, istituito di recente, la Commissione definirà entro ottobre un portafoglio di almeno 10 possibili strumenti terapeutici contro la Covid-19. Il processo di selezione sarà obiettivo e basato su dati scientifici con criteri di selezione concordati con gli Stati membri. Dal momento che sono necessari tipi di prodotti differenti a seconda delle popolazioni di pazienti e delle fasi e della gravità della malattia, il gruppo di esperti individuerà le categorie di prodotti e selezionerà gli strumenti terapeutici candidati più promettenti per ciascuna categoria sulla base di criteri scientifici”.

E ancora: “Il portafoglio contribuirà all’obiettivo di disporre di almeno 3 nuovi strumenti terapeutici autorizzati entro ottobre, ed eventualmente di altri 2 entro la fine dell’anno. L’Agenzia europea per i medicinali avvierà altre revisioni cliniche di strumenti terapeutici promettenti entro la fine del 2021, in funzione dei risultati delle attività di ricerca e sviluppo”.

Non è finita. Due settimane fa è stato organizzato un “primo evento di settore sugli strumenti terapeutici per garantire che questi ultimi, una volta autorizzati, siano prodotti in quantità sufficiente il prima possibile”. 

IL NOSTRO MINCULPOP

A questo punto, con dei farmaci utilissimi per fronteggiare con efficacia il coronavirus, perché mai un cittadino italiano dovrebbe essere indotto se non ‘obbligato’ al vaccino?

Ad un vaccino che, ribadiamo per l’ennesima volta, è del tutto sperimentale?

Con i test che verranno ultimati – nel migliore dei casi – a dicembre 2023, quindi tra un anno e mezzo?

E senza che le case farmaceutiche abbiano ancora prodotto lo straccio di un documento scientifico attestate efficacia e sicurezza dei vaccini inoculati in questi mesi sui cittadini-cavia?

Emerge, di tutta evidenza, la totale illegittimità e la profonda anticostituzionalità sia della prassi vaccinale, così come impostata – anzi imposta – dal governo e dalle truppe capeggiate dal generale degli alpini, che della politica di restrizioni attraverso il ‘Green Pass’, altrettanto illegale e anticostituzionale come può facilmente comprendere uno studente al primo anno di legge.

Torniamo quindi all’interrogativo di partenza.

Chi sono i veri assassini?

Chi ammazza non solo libertà e democrazia, ma in modo concreto attenta alla salute dei cittadini?

E’ venuto il momento di un sonoro VAFFA a tutti quelli che in queste settimane di rincoglionimento collettivo (causato da calura continua o effetto collaterale della pandemia e/o di una sua ultima variante?) hanno intonato la litania: la libertà individuale non può mettere in pericolo la salute di tutti.

E di un sonoro VAFFA a tutti i media, uniti nel coro della più becera e volgare disinformazione. Ma avete sentito i tiggì, soprattutto made in Rai, con voci fuori campo da telegiornali Eiar, quelli d’epoca fascista? Fate subito la prova: e vedete se un mezzobusto dirà in questi giorni una parola, una sola, sui farmaci, le cure appena varate a livello UE (non dai bolscevichi) e che mandano in soffitta i vaccini.

Non sentirete volare una mosca: proprio come ai tempi del Minculpop…

FACEBOOK. CENSURA LA VOCE SU FARMACI E CURE ANTI COVID. Andrea Cinquegrani il 14 Luglio 2021 su la Voce delle Voci. La Voce censurata da Facebook per un articolo su farmaci e cure in grado di contrastare il coronavirus. L’ennesimo episodio che dimostra come i social si stanno sempre più rapidamente trasformando nei ferrei guardiani di Big Pharma e delle politiche governative (come sta dimostrando in modo clamoroso la Francia sotto il pugno di Emmanuel Macron) ormai finalizzate a reprimere, con le buone o con le cattive, chi osa solo mettere in discussione l’efficacia e, soprattutto, la sicurezza dei vaccini. E documentare che esistono alternative ai vaccini, fino a quando saranno sperimentali (dicembre 2023 almeno, e fino ad allora i cittadini saranno le cavie), ossia cure e farmaci come – per fare due esempi – idrossiclorochina e invermectina. Ecco l’ultimo esempio di smaccata censura nei confronti della Voce, rea di aver pubblicato, meno di 24 ore fa, il testo di un’intervista rilasciata non da un signor nessuno, ma da un autorevolissimo scienziato a livello internazionale, Peter McCullough. Nei riquadri, potete leggere i testi inviatici da Facebook per motivare la censura. Motivi chiaramente risibili, ma ottimi per far in modo che l’articolo non possa circolare in rete, ma solo fra i lettori della Voce. Ovviamente oscurato, l’articolo, sulla pagina Facebook della Voce.

Cosa aveva sostenuto, nell’intervista rilasciata addirittura ad un avvocato tedesco, Reiner Fuellmich, di tanto terrificante il dottor McCullough?

Ecco un paio di passaggi.

“Avevamo scoperto che la soppressione del trattamento precoce era strettamente legata allo sviluppo di un vaccino. E l’intero programma della Fase I del bioterrorismo era incentrato sul mantenere la popolazione nella paura e nell’isolamento e prepararla ad accettare il vaccino che sembra essere la Fase II di un’operazione di bioterrorismo”.

E poi: “La prima ondata è stata quella di uccidere gli anziani a causa dell’infezione respiratoria. La seconda ondata è prendere i sopravvissuti, prendere di mira i giovani e sterilizzarli. Se noti, il messaggio nel paese, negli Stati Uniti, è che ora non sono nemmeno interessati agli anziani. Vogliono i bambini…”.

Così aggiungeva Reiner Fuellmich: “McCullough ha spiegato perché solo i trattamenti precoci possono ridurre i ricoveri e i decessi, mentre rimane ‘materialmente impossibile’ per le campagne di vaccinazione fare lo stesso”. 

CHI E’ REALMENTE IL “MOSTRO” MCCULLOUGH?

Vediamo, a questo punto, chi è quel satanasso di McCullough.

Attualmente ricopre la carica di vice responsabile del reparto di Medicina Interna del Centro Medico alla Baylor University di Dallas, nel Texas. E’ autore di oltre 1000 pubblicazioni scientifiche su riviste come il ‘New England Journal of Medicine’, ‘The Lancet’, il ‘Journal of American Medical Association’, di cui una quarantina proprio sul tema bollente del covid. Il suo nome è citato oltre 500 volte dalla ‘National Library of Medicine’. E’ il fondatore e presidente della ‘Cardiorenal Society of America’, essendo un grande studioso nel campo della malattia renale cronica come rischio cardiovascolare.

Insomma, una vera e riconosciuta autorità in campo medico, e non uno dei tanti cialtroni e saltimbanchi che, in questi mesi, stanno popolando le tivvù e infestando i media di mezzo mondo, a partire dall’Italia.

Fin dall’inizio dell’epidemia e poi della pandemia da Covid-19 ha profuso tutte le sue energie per far conoscere negli Stati Uniti e nel mondo (molto note, per fare un solo esempio, le sue ricerche in Australia) l’esistenza di cure e farmaci ben precisi, poco costosi e accessibili a tutti perché esistenti in commercio e quindi presenti in ogni farmacia, per contrastare il coronavirus fin dalle prime battute, in modo precoce, ossia quando si presentano i primi sintomi. Niente “tachipirina e vigile attesa”, come consigliato, anzi "ordinato" subito dal nostro ministero della Salute, ottima anticamera per l’ospedalizzazione, quindi l’intubazione e in moltissimi, troppi casi, la morte (e di ciò dovranno rispondere in parecchi, soprattutto da noi, nella lunga catena di responsabilità, che comunque comincia dal ministro della Salute e prosegue con il governo e il ‘Comitato Tecnico Scientifico’). Dicevamo, non vigile attesa e tachipirina, ma farmaci che hanno un nome ben preciso: in prima fila idrossiclorochina einvermectina, appunto, che però hanno il grave difetto di costare poco (circa 5 euro la confezione) e quindi di risultare sgraditi ai famelici appetiti delle grandi case farmaceutiche, le star di Big Pharma. 

SENATO AMERICANO BOLLENTE

Il 10 novembre 2020 McCullough è stato protagonista di un’animata udienza del Senato americano, dove ha illustrato la fondamentale importanza del “Trattamento ambulatoriale del Covid-19”, questo era il tema al centro della discussione. Di seguito potete ascoltare quel video, di grande rilievo scientifico e soprattutto ‘storico’, perché nessuno, da quel momento in poi, è più autorizzato a sostenere di essere all’oscuro su farmaci e cure in grado di contrastare il Covid. Nel corso di quella infuocata riunione al Senato degli Stati Uniti, anche altri medici hanno parlano a favore dell’uso precoce di quei farmaci, soprattutto dell’idrossiclorochina (il cui sponsor principale, a livello internazionale, è lo scienziato francese Didier Raoult). Ma la maggior parte dei senatori a stelle e strisce da quell’orecchio non volevano sentire: per fare un solo, emblematico esempio, il senatore Gary Peters, il quale ha sostenuto che è “irresponsabile” (testuale) dare false speranze agli americani e ha sottolineato che le raccomandazioni per questo o quel farmaco devono essere “radicate nella scienza”. Quella dei ricercatori al soldo di Big Pharma, of course! Nel suo intervento, McCullough ha puntato l’indice non solo contro la politica sorda e collusa, ma con forza anche contro il potere accademico, i soloni in camice bianco che non lavorano certo per il bene collettivo e la salute dei cittadini. E si è scagliato anche contro le due riviste alle quali pure collabora da anni, "The Lancet" e il "New England Medical Journal", colpevoli di aver pubblicato studi taroccati, firmati da sedicenti scienziati al solo scopo di screditare l’idrossiclorochina. Studi che, dopo qualche settimana, sono stati infatti ritirati dalle stesse riviste, dopo una valanga di critiche. 

LE ACCUSE AI MICROFONI DI "FOX NEWS"

Poco più di due mesi fa, per la precisione il 7 maggio 2021, McCullough è stato ospite del programma di punta su "Fox News", il "Tucker Carlson Today Show". Al centro delle sue parole, anche stavolta, le cure precoci contro il covid e come – scrive ‘Radio radio’, la quale ha mandato in onda l’intervista che potete ascoltare cliccando sul link in basso – “siano state inspiegabilmente soppresse in tutto il mondo nonostante la loro efficacia fosse ampiamente dimostrata dall’esperienza di moltissimi medici”.

Così continua ‘Radio radio’: “"Perché altri medici non intervengono sulla malattia per aiutare questi pazienti a evitare il ricovero e la morte? Perché non lo fanno?", si chiede McCullough durante l’intervista. Il conduttore Tucker Carlson è sconvolto: ‘possibile che non se ne parli? Ma soprattutto, chi e cosa c’è dietro? Interessi economici?’. ‘Tucker non posso dirtelo – risponde – ma ho visto cose nell’ultimo anno che come medico non posso spiegare. Sono profondamente preoccupato che qualcosa sia fuori controllo nel mondo. E questo – continua – coinvolge la scienza, coinvolge la letteratura medica, coinvolge una risposta normativa, coinvolge popolazioni tenute nella paura, nell’isolamento e nella disperazione”.

Commenta "Radio radio": “Medici che rifiutano categoricamente le cure ai pazienti, famiglie che nella disperazione si rivolgono ai tribunali per ottenere l’autorizzazione ai trattamenti: qualcosa non torna in questo meccanismo di blocco mondiale sui possibili trattamenti della malattia e il dottor McCullough se ne fa testimone”.

Da noi è successo proprio lo stesso. C’è voluta un’ordinanza emessa dal Consiglio di Statoil 12 dicembre 2020 per "legalizzare" e rendere possibile l’uso dell’idrossiclorochina come farmaco per la terapia anti covid. Fino a quel momento il nostro ministero della Salute si era battuto come un leone, a botte di ricorsi al Tar contro le richieste dei legali di famiglie e associazioni, per vietarne l’uso. 

CENSURE ANCHE VIA YOUTUBE

Anche ‘YouTube’ si è accanito contro McCullough.

Lo rammenta proprio l’avvocato tedesco Fuellmich. “Nonostante le eminenti qualifiche del dottor McCullough, YouTube ha ritirato una presentazione che ha tenuto sul sito, mentre altre piattaforme hanno attivamente soppresso praticamente tutte le informazioni relative al trattamento precoce dei pazienti”.

Ed è fresca fresca un’altra performance griffata "YouTube". 

La racconta il sito di controinformazione ‘Renovatio 21’: “La scorsa settimana Joe Roganha realizzato un ‘podcast d’emergenza’ insieme al biologo evoluzionista Bret Weinstein, Ph.D., e allo specialista di terapia intensiva Dr. Pierre Kory, dove raccontano la censura operata da YouTube per aver discusso dei vantaggi dell’uso dell’invermectina per il trattamento del Covid”.

Così continua la ricostruzione di quanto è successo: “Weinstein, conduttore del ‘DarkHorse Podcast’, ha detto a Rogan che YouTube ha "demonetizzato" i suoi canali, rimosso alcuni dei suoi video e ha emesso avvisi per i contenuti che menzionavano l’invermectina, etichettandoli come "spam" e "informazioni mediche ingannevoli"”. Estratto di una sua deposizione rilasciata nei mesi scorsi; il video è privo di identificazione di quale udienza in particolare si tratti, ma lo stesso McCullough ha recentemente confermato in una intervista al blog Mittdolcino di aver testimoniato il 19 novembre 2020 al Comitato del Senato degli Stati Uniti sulla Sicurezza Nazionale degli affari Governativi, nonché per tutto il 2021 presso il Comitato del Senato del Texas sulla Salute e i Servizi Umani, all’Assemblea Generale del Colorado e al Senato del New Hampshire. “Ho visto cose sul Covid che non sono spiegabili: il mondo è fuori controllo”…

Da Israele arriva un nuovo farmaco anti Covid.  Michael Sfaradi il 12 Agosto 2021 su Nicolaporro.it. È ormai un dato accertato che molti pazienti Covid-19 muoiono a causa di un aumento della produzione di molecole infiammatorie chiamate citochine. In pratica quando il sistema immunitario secerne troppe citochine può sopraggiungere un fenomeno chiamato “tempesta di citochine”. Si tratta di una risposta immunitaria eccessiva, dovuta alla presenza del virus, che devasta il tessuto polmonare sano fino ad arrivare a sindrome da distress respiratorio acuto o insufficiente che porta alla morte. E mentre nel mondo infuriano le polemiche sui vaccini contro il Covid-19, sulla loro obbligatorietà e sullo strappo sempre più evidente all’interno della società occidentale che sta creando attriti importanti in seno alla gente comune, arrivano delle notizie che, nel caso riuscissero a mantenere ciò che promettono, potrebbero riportare un po’ di calma planetaria e tanta speranza soprattutto per coloro che vivono in certi angoli di mondo dove l’accesso ai vaccini è difficile se non impossibile.

Un nuovo farmaco contro la Covid?

Dopo aver completato uno studio preliminare su un nuovo farmaco sviluppato per il trattamento di distress respiratorio acuto e potenzialmente letale nei pazienti Covid-19, il Dr. Shai Meretzki, il Ceo Bonus BioGroup, che ha sede a Haifa in Israele, ha dichiarato al Jerusalem Post che secondo gli ultimi studi il farmaco MesenCure, che consiste in cellule mesenchimali stromali attivate (MSC) isolate dal tessuto adiposo di donatori sani, riduce l’infiammazione e permette la rigenerazione del tessuto polmonare malato di chi è stato colpito in modo grave dal Covid-19. I risultati iniziali hanno mostrato che sottoporre le cellule mesenchimali stromali attivate a varie condizioni biologiche, fisiche e chimiche, ha modificato le reazioni cellulari probabilmente associate a un maggiore potenziale antinfiammatorio. Una delle prove dell’effetto di questo farmaco in fase avanzata di sperimentazione umana, che il dottor Meretzki ha condiviso, è stata una serie di immagini di laboratorio che mostravano un polmone sano, un polmone malato e un polmone malato trattato con MesenCure.

Non un vaccino, ma un medicinale. Se questi risultati dovessero poi essere confermati dalla terza e dalla quarta fase di sperimentazione, il farmaco permetterebbe una completa guarigione con totale prevenzione dei danni ai polmoni. Il dott. Meretzki ha comunque voluto mettere subito in chiaro, e a scanso di equivoci, che MesenCure non è una vaccinazione e non attacca il coronavirus, ma che, una volta finiti gli studi e con le necessarie autorizzazioni, potrà essere usato per prevenire gravi danni ai polmoni derivanti dal Covid-19. Ha detto inoltre di essere convinto che le cellule mesenchimali stromali attivate saranno la punta di diamante di tutti gli strumenti che verranno usati per curare i pazienti nelle prossime ondate di Coronavirus. Ma non è tutto, perché se il farmaco si dimostrasse efficace nel trattamento dell’infezione polmonare, potrebbe essere utilizzato per altre indicazioni oltre al Coronavirus, infatti secondo il Forum of International Respiratory Societies, più di un miliardo di persone in tutto il mondo soffre di malattie infiammatorie del tratto respiratorio inferiore, infezioni che causano circa 7,5 milioni di morti ogni anno.

Cosa sono le cellule mesenchimali. La Bonus BioGroup ha anni di esperienza nella ricerca medica e, sempre basandosi su questi studi, ha sviluppato un tipo di innesto osseo, ingegneria tissutale, basato anch’esso sulle cellule mesenchimali stromali. Le ricerche avanzate in questo campo hanno portato, quando è iniziata l’epidemia di coronavirus, la Bonus BioGroup a studiare il potenziale di queste cellule al fine di ridurre la “tempesta di citochine” nei pazienti Covid-19. Il dott. Meretzki ha spiegato che le mesenchimali stromali sono cellule che si trovano in ognuno di noi e che sono le responsabili sia del controllo dei danni che di una vasta serie di attività quotidiane. I test del MesenCure su diversi modelli animali e umani hanno avuto fino ad ora risultati molto promettenti al punto che l’azienda sta solo aspettando le autorizzazioni, che dovrebbero arrivare entro pochi mesi, per procedere a più ampi studi clinici. Un articolo del popolare blog dell’industria delle cellule staminali BioInformant ha confermato che le cellule mesenchimali sono uno strumento promettente per il trattamento dei pazienti con infezione da Coronavirus, questo perché esiste una solida base di letteratura scientifica e studi in fase iniziale per supportarne l’uso nel disagio respiratorio e nei problemi polmonari. Ci sono almeno 20 studi in corso sulle cellule staminali per combattere il coronavirus, e la maggior parte di essi utilizza proprio questo tipo di cellule. Considerando inoltre che la terapia con cellule PLX della Pluristem Therapeutics Israele, che come il MesenCure è il frutto di studi sulle cellule mesenchimali stromali attivate, è già stata autorizzata dalla Food and Drug Administration statunitense sullo studio di fase II e per il trattamento di casi gravi di Covid-19 complicati dalla sindrome da distress respiratorio acuto, e che il mese scorso sei pazienti critici considerati ad alto rischio di mortalità sono stati trattati e dichiarati fuori pericolo nel giro di pochi giorni, possiamo essere moderatamente ottimisti sul fatto che ci sono buone possibilità di vedere presto una luce in fondo al tunnel chiamato Covid-19. Michael Sfaradi, 12 agosto 2021

Morto Giuseppe De Donno, curò Covid con plasma iperimmune.

"Ha salvato vite. A De Donno la medaglia al valor civile". Francesca Galici il 10 Agosto 2021 su Il Giornale. La Lega si è rivolta a Luciana Lamorgese per avviare l'iter per conferire il riconoscimento postumo a Giuseppe De Donno. A quasi tre settimane dalla morte di Giuseppe De Donno, la Lega ha deciso di intraprendere l'iter, rivolgendosi al ministro Luciana Lamorgese, per conferire "a un grande medico, una persona di straordinaria umanità" la medaglia al valor civile "per aver perseguito in tutta la sua opera professionale il progresso della scienza e più in generale il bene del prossimo". Così si legge nel profilo Facebook di Matteo Salvini, che ha ripreso l'intervento e la richiesta fatta dal viceministro Alessandro Morelli. L'ex primario del reparto di Pneumologia dell'ospedale Carlo Poma di Mantova è stato trovato senza vita nella sua abitazione dopo essersi suicidato. Ignote al momento le cause che hanno portato il medico, stimato e rispettato nel suo campo, a decidere di perseguire il gesto estremo. Non è stato trovato nessun biglietto, nessuna lettera d'addio nemmeno per i parenti che possa per ora spiegare la scelta di togliersi la vita. "È stato il primo medico italiano a sperimentare l'utilizzo del plasma iperimmune per curare i pazienti colpiti dal Covid-19. Una intuizione arrivata durante la prima fase della pandemia, in un momento storico in cui la scienza era letteralmente disarmata di fronte all'avanzata del virus. Chi è stato al fianco dell'ex primario di pneumologia in quei giorni difficili ricorda la dedizione e il coraggio con cui si è speso per dare una opportunità terapeutica ai pazienti", ha detto Alessandro Morelli nella sua nota. La medaglia al valor civile per Giuseppe De Donno è un riconoscimento postumo al duro lavoro svolto in corsia dal professore nei momenti più drammatici della pandemia. Al grande lavoro di ricerca che ha sempre svolto sia prima che dopo l'emergenza. Poco prima di togliersi la vita, Giuseppe De Donno aveva deciso di lasciare la direzione del reparto di pneumologia e di allontanarsi dall'ospedale nel quale aveva trascorso gli ultimi decenni della sua vita per intraprendere la strada del medico di famiglia alle porte di Mantova. Una scelta estrema, non capita da molti. Nel suo post su Facebook, Matteo Salvini ha voluto lasciare anche un suo ricordo personale per il medico scomparso: "Ho avuto la fortuna di conoscerlo, ascoltarlo, apprezzarlo: il ricordo di quanto ha fatto deve rimanere sempre vivo, con la gratitudine di tutti coloro che gli hanno voluto bene". Come spiega Alessandro Morelli nella sua nota, la medaglia al valor civile è "un riconoscimento destinato a chi si è distinto per "salvare persone esposte ad imminente e grave pericolo" e "per il progresso della scienza od in genere per il bene dell'umanità". Ritengo che il compianto professor De Donno abbia incarnato a pieno lo spirito della norma".

Francesca Galici. Giornalista per lavoro e per passione. Sono una sarda trapiantata in Lombardia. Amo il silenzio.

Morto De Donno, curò Covid con plasma iperimmune. Suscitò speranze e polemiche, aveva lasciato ospedale di Mantova. RaiNews il 27/7/2021. 27 luglio 2021Un fulmine a ciel sereno che ha gettato nel lutto non solo la medicina mantovana ma anche tantissime persone comuni che in lui avevano visto un'ancora di salvezza nella tempesta del Covid. Si sarebbe tolto la vita oggi pomeriggio Giuseppe De Donno, l'ex primario di pneumologia dell'ospedale Carlo Poma di Mantova che per primo l'anno scorso aveva iniziato la cura del Covid con le trasfusioni di plasma iperimmune, la controversa terapia che prevedeva l'infusione di sangue di contagiati dal coronavirus, opportunamente trattato, in altri pazienti infetti. Il suo corpo è stato trovato nella sua casa di Eremo, frazione del Comune di Curtatone, da alcuni familiari. De Donno aveva 54 anni e si era dimesso dall'ospedale di Mantova ai primi giorni di giugno per cominciare, lo scorso 5 luglio, la nuova professione di medico di base a Porto Mantovano. Ancora non sono chiare le circostanze della morte. L'ex primario viveva con la moglie Laura e due figli, Martina, consigliere comunale a Curtatone, e Edoardo. Molti gli attestati di cordoglio da parte di molti cittadini attoniti per la scomparsa, che hanno ricordato De Donno per aver "salvato molte vite" con la sua terapia. De Donno, assieme a Massimo Franchini, primario della Immunoematologia e Trasfusionale del Carlo Poma, aveva iniziato a trattare i pazienti affetti da Covid che arrivano ormai stremati al Poma con la terapia del plasma iperimmune. In breve questa pratica era diventata nella primavera dello scorso anno l'unica arma contro il coronavirus, almeno nelle fasi iniziali della malattia. In poco tempo diventò il primario più conosciuto d'Italia, conteso com'era da giornali e trasmissioni televisive. Non tutti, però, nel campo della medicina ne erano convinti e così su De Donno si scatenarono tante polemiche. Lui, però, tenne duro e riuscì ad ottenere una sperimentazione del suo metodo con l'università di Pavia. Alla fine, però, la medicina ufficiale non ritenne che quello fosse la cura più indicata per il Covid, anche se in molti guarirono legandosi per sempre con eterna gratitudine al primario mantovano. Giuseppe De Donno diventò primario facente funzione delle Pneumologia del Carlo Poma nel settembre del 2018 e poi nel dicembre dello stesso anno vinse il concorso da primario effettivo. De Donno era conosciuto anche al di fuori degli ambienti ospedalieri per essere stato in passato vice sindaco di Curtatone. Diploma al liceo classico, conseguì la laurea in Medicina e Chirurgia all'università di Modena con 110 e lode. Dopo gli studi universitari ha completato la sua formazione attraverso diversi corsi di perfezionamento in fisiopatologia e allergologia respiratoria raggiungendo la specializzazione nel 1996. Dal 2010 al 2013 fu responsabile della struttura semplice "Programma di assistenza domiciliare respiratoria ad alta intensità per pazienti dipendenti della ventilazione meccanica domiciliare" e nel 2013 diventò dirigente medico della struttura complessa di Pneumologia e Utir (unità intensiva respiratoria) dell'Asst Carlo Poma. Sgomento il sindaco di Curtatone, Carlo Bottani, amico intimo del medico, che si fa interprete del sentimento di un'intera comunità sotto shock: "Giuseppe era una persona straordinaria -ha detto tra le lacrime -. Ho avuto il privilegio di essere al suo fianco nella prima fase del lockdown e ho visto quanto si è speso per i suoi pazienti. La storia lo ricorderà per il bene che ha fatto".

Massimo Gramellini per il "Corriere della Sera" il 29 luglio 2021. Il dottor Giuseppe De Donno era appena stato trovato senza vita nella sua abitazione che già i complottisti cronici della Rete, oggi riuniti sotto le bandiere dei No vax, lo eleggevano a martire della causa. Naturalmente l'ipotesi che De Donno si sia ucciso per motivi personali non viene neanche presa in considerazione dai campioni del retropensiero obliquo:

1. De Donno voleva curare i malati di Covid con il sangue dei guariti;

2. gli studi internazionali avevano riconosciuto al suo metodo un'efficacia limitata ai casi meno gravi;

3. lui c'era rimasto male. Per costoro basta unire i puntini e si ottiene il suicidio indotto, quando non addirittura l'assassinio. «Lo hanno ucciso perché non era uno di loro». 

Ma «loro» chi? Che domande: Big Pharma, l'aristocrazia scientifica delle multinazionali che intende trasformarci tutti in vaccinati della gleba ed è pronta a sbarazzarsi di chiunque ostacoli i suoi piani. Il bello, si fa per dire, è che molti tra gli autonominati vendicatori di De Donno attribuiscono opinioni e stati d'animo a un uomo di cui non sanno niente. Neanche che si era sempre dichiarato favorevole ai vaccini. In quella che è diventata una guerra di religione (sarebbe ingiusto dimenticare che De Donno fu crocefisso sul web da chi ridicolizzava per partito preso le sue cure), ci siamo abituati a vedere i numeri piegati agli interessi di bottega. Ci venga risparmiato di vedere piegate anche le persone, specie quando non hanno più possibilità di replica.

Stefano Landi per il "Corriere della Sera" il 29 luglio 2021. Sono rimaste le luci accese. Le bici dei ragazzi slegate. Le scarpe buttate lì, come fanno gli adolescenti. Il silenzio assoluto intorno alla villetta alle porte di Mantova dove martedì pomeriggio Giuseppe De Donno, 54 anni, si è impiccato. La famiglia è partita subito. La moglie Laura e i due figli Edoardo, 16 anni, e Martina, 21, che a Curtatone era «assessore alla gentilezza», rifugiati dai nonni. In casa neanche due righe per capire come uno dei primi medici eroi della lotta al Covid, dopo aver salvato centinaia di vite, abbia deciso di fare a meno della sua. Al Carlo Poma di Mantova, dove è stato primario di Pneumologia, il vuoto lasciato dalla sua figura. Eppure molti dei suoi amici più stretti si chiedono se sia un sentimento vero. O se quella sua clamorosa esposizione mediatica non avesse suscitato l'invidia del camice accanto. Di certo in ospedale non ci poteva, oltre che voleva, più stare. Da quando la sua crociata per l'utilizzo del plasma iperimmune per curare i pazienti Covid era passata di moda, con la chiusura dei rubinetti dei finanziamenti alla ricerca. Lo stress monta: si torna a vedere nero scuro. «I mesi in prima linea gli avevano trasmesso adrenalina - racconta il direttore sanitario dell'ospedale Raffaello Stradoni -. L'avevano rimesso sulla barricata, a salvare vite umane. Il ritorno alla normalità l'aveva fatto ripiombare in quell'antica sofferenza. Qualcosa da cui stava provando a curarsi». Ieri le piazze no-vax lo hanno salutato come un eroe incompreso, ma lui, che si era vaccinato, dai social era scappato proprio quando aveva capito che i suoi ultras erano no-vax accaniti. Non il suo mondo. Il 9 giugno De Donno, comunica la decisione di fare un passo indietro. Di uscire da quell'ospedale per tornare alla sua antica passione. Il sogno era quello di tornare a fare il medico del popolo nel suo Salento. Si trasforma intanto in medico di famiglia in zona. La nuova attività sembra dargli gli stimoli giusti, non vedeva nero, ma comunque grigio. E quando vedi davanti un futuro triste e segnato, i pensieri diventano ossessivi. «Sembrava aver trovato un nuovo slancio, ma da domenica lo sguardo era perso. Sperava di poter vivere in pace. Di ritrovare aria. La macchina del fango partiva da gente che aveva intorno», racconta uno dei suoi amici più cari, Roberto Mari, presidente del consiglio comunale di Porto Mantovano. Alti e bassi: un medico di provincia sballottato nei salotti tv. Inseguito come l'uomo che poteva tirar fuori l'Italia dalle sabbie mobili della pandemia. Sedici ore in corsia e le altre in tv. Sedotto e abbandonato tra qualche problema maturato anche in famiglia. Ieri gli interrogatori: la procura di Mantova ha aperto un'inchiesta, sequestrando pc e cellulari del medico per capire se possano esserci responsabilità di terzi. Domani, la camera ardente, a Curtatone, dove De Donno in passato aveva fatto anche politica in una lista civica. «Il suo è un gesto che non può essere figlio solo di un fallimento professionale», dice Ivan Papazzoni, un amico curato da De Donno. «Trovo pesanti gli attacchi in Rete, prima ti mitizzano poi non rispettano nemmeno la morte», attacca Stefano Rossi, candidato a sindaco di Mantova nel 2020, che lo conosceva bene. Perché sui social è il solito ring di congetture. Attaccano la sua vita personale. «Merita il silenzio e il rispetto per il suo grande lavoro: lo conosco da 20 anni, viveva per gli altri», spiega il sindaco di Curtatone Carlo Bottani. Lui voleva solo spingere su una cura alternativa. Gli avevano fatto capire che non c'era futuro. Scavandogli un ulteriore vuoto intorno. E lui era già stanco del resto.

Morto a 54 anni Giuseppe De Donno: avviò la cura anti-covid da plasma iperimmune. La Repubblica il 27 luglio 2021. Il medico si è tolto la vita. Aveva dato le dimissioni dall'ospedale di Mantova per cominciare, lo scorso 5 luglio, la nuova professione di medico di base a Porto Mantovano. Si è tolto la vita oggi pomeriggio Giuseppe De Donno, l'ex primario di pneumologia dell'ospedale Carlo Poma di Mantova che per primo l'anno scorso aveva iniziato le cure del Covid con le trasfusioni di plasma iperimmune, la controversa terapia che prevedeva l'infusione di sangue di contagiati dal coronavirus, opportunamente trattato, in altri pazienti infetti. De Donno aveva 54 anni e si era dimesso dall'ospedale di Mantova ai primi giorni di giugno per cominciare, lo scorso 5 luglio, la nuova professione di medico di base a Porto Mantovano. Ancora non sono chiare le circostanze del suicidio e del ritrovamento del corpo, che sarebbe avvenuto da parte di alcuni parenti. Dalle prime notizie sembra che il medico si sia impiccato. L'ex primario abitava a Curtatone con la moglie e una figlia. Molti gli attestati di cordoglio da parte di molti cittadini attoniti per la scomparsa, che hanno ricordato De Donno per aver "salvato molte vite" con la sua terapia. De Donno, assieme a Massimo Franchini, primario della Immunoematologia e Trasfusionale del Carlo Poma, aveva iniziato a trattare i pazienti affetti da Covid che arrivano ormai stremati al Poma con la terapia del plasma iperimmune. In brave questa pratica era diventata nella primavera dello scorso anno l'unica arma contro il coronavirus, almeno nelle fasi iniziali della malattia. In poco tempo diventò il primario più conosciuto d'Italia, conteso com'era da giornali e trasmissioni televisive. Non tutti, però, nel campo della medicina ne erano convinti e così su De Donno si scatenarono tante polemiche. Lui, però, tenne duro e riuscì ad ottenere una sperimentazione del suo metodo con l'università di Pavia. Alla fine, però, la medicina ufficiale non ritenne che quello fosse la cura più indicata per il Covid, anche se in molti guarirono legandosi per sempre con eterna gratitudine al primario mantovano. Giuseppe De Donno diventò primario facente funzione delle Pneumologia del Carlo Poma nel settembre del 2018 e poi nel dicembre dello stesso anno vinse il concorso da primario effettivo. De Donno era conosciuto anche al di fuori degli ambienti ospedalieri per essere stato in passato vice sindaco di Curtatone. Diploma al liceo classico, conseguì la laurea in Medicina e Chirurgia all'università di Modena con 110 e lode. Dopo gli studi universitari ha completato la sua formazione attraverso diversi corsi di perfezionamento in fisiopatologia e allergologia respiratoria raggiungendo la specializzazione nel 1996. Dal 2010 al 2013 fu responsabile della struttura semplice "Programma di assistenza domiciliare respiratoria ad alta intensità per pazienti dipendenti della ventilazione meccanica domiciliare" e nel 2013 diventò dirigente medico della struttura complessa di Pneumologia e Utir (unità intensiva respiratoria) dell'Asst Carlo Poma. Sgomento il sindaco di Curtatone, Carlo Bottani, amico intimo del medico, che si fa interprete del sentimento di un'intera comunità sotto shock: "Giuseppe era una persona straordinaria - ha detto tra le lacrime -. Ho avuto il privilegio di essere al suo fianco nella prima fase del lockdown e ho visto quanto si è speso per i suoi pazienti. la storia lo ricorderà per il bene che ha fatto".

Morto lo pneumologo magliese De Donno: avviò la cura del plasma iperimmune. Si sarebbe tolto la vita nella sua casa di Eremo, dove viveva con la famiglia. La Gazzetta del Mezzogiorno il 28 Luglio 2021. Sarebbe morto suicida l’ex pneumologo di Maglie Giuseppe De Donno. I familiari lo hanno trovato ieri nella sua casa di Eremo, frazione del Comune di Curtatone, dove viveva con la moglie Laura e due figli, Martina, consigliere comunale a Curtatone, e Edoardo. Il medico, che aveva 54 anni, si sarebbe tolto la vita impiccandosi. Sgomento il sindaco di Curtatone, Carlo Bottani, amico intimo del medico, che si fa interprete del sentimento di un’intera comunità sotto shock: «Giuseppe era una persona straordinaria - ha detto tra le lacrime - . Ho avuto il privilegio di essere al suo fianco nella prima fase del lockdown e ho visto quanto si è speso per i suoi pazienti. la storia lo ricorderà per il bene che ha fatto». La morte del medico ha lasciato tutti sgomenti perché non c'erano stati segnali che potessero far pensare a un gesto estremo: «Con il nuovo lavoro di medico di base - ricorda ancora il sindaco - l’avevamo visto felice della nuova opportunità. Io stesso lo avevo affiancato quando ai primi di giugno aveva annunciato che lasciava l'ospedale per dedicarsi alla medicina di base». La notizia delll’ex primario di pneumologia dell’ospedale di Mantova, che per primo aveva iniziato le cure del Covid con le trasfusioni di plasma iperimmune, ha scatenato il popolo del web. In tanti «accusano» il mondo della scienza di aver lasciato «solo» il medico. Molti non credono che il medico si sia tolto la vita. «Suicida? Siamo sicuri? Questa storia è inquietante e surreale» scrive Filippo. «Questo suicidio in realtà è un omicidio che ha mandanti ed esecutori conosciuti» calca la mano Massimo. «Dietro il presunto suicidio di DeDonno c'è un uomo lasciato solo, un medico che aveva dedicato tutto alla sua cura e le sue ricerche» twitta Alex. A commentare la notizia, dubitando che si tratti di suicidio, anche molti cosiddetti mattonisti, gli utenti che hanno un mattone al fianco del proprio nome e che si riconoscono spesso nelle posizioni dei no-vax. 

Si uccide De Donno, padre della cura del plasma iperimmune contro il Covid. Francesca Galici il 27 Luglio 2021 su Il Giornale. Sono ancora sconosciuti i motivi dietro il suicidio di Giuseppe De Donno, il medico mantovano che ha scoperto la cura al plasma per il Covid. Nel pomeriggio di martedì 27 luglio il dottor Giuseppe De Donno, medico salito agli onori della cronaca durante il periodo del coronavirus per aver scoperto e proposto una cura a base di plasma iperimmune per cercare di guarire i pazienti Covid, è stato trovato morto nella sua abitazione. Giuseppe De Donno era l'ex primario del reparto di Pneumologia dell'ospedale Carlo Poma di Mantova. Propose la cura sperimentale a base di plasma iperimmune durante la prima ondata di Covid, frutto di un lavoro corale di sperimentazione condotto con il Policlinico di Pavia. Come riporta la Gazzetta di Mantova, per il momento non sono chiare le dinamiche della vicenda. Gli uomini del colonnello Antonello Minutoli, comandante provinciale dei carabinieri di Mantova, coordinati dalla Procura di Mantova stanno indagando per escludere eventuali responsabilità di terzi. A giugno di quest'anno, De Donno scelse di lasciare non solo il suo posto da primario al Carlo Poma di Mantova ma di lasciare la professione ospedaliera per diventare medico di base. La sua cura al plasma per il Covid non è mai stata ufficialmente riconosciuta, nonostante i risultati della sua sperimentazione sembrava fossero positivi. In più di un'occasione Giuseppe De Donno rivendicò quel lavoro, perché il plasma iperimmune sembrava avesse un ottimo riscontro nel curare la malattia grave, riducendo la pressione sugli ospedali nel periodo della prima ondata del 2020, quando il vaccino era ancora lontano dall'essere preparato. “Non ci volevo credere. Perdiamo una bella persona, un grande medico, che durante il Covid ha lottato come un leone per salvare centinaia di vite, spesso contro tutto e tutti. Buon viaggio Giuseppe, lasci un vuoto grande”, ha dichiarato il leader della Lega Matteo Salvini dopo aver scoperto la notizia. Anche Giorgia Meloni ha commentato la morte di De Donno su Facebook: "Siamo profondamente colpiti e addolorati dalla tragica notizia della scomparsa del dottor Giuseppe De Donno, medico ed ex primario di pneumologia dell'ospedale Carlo Poma di Mantova, in prima linea nella lotta al Covid e promotore della terapia con il plasma iperimmune. Alla sua famiglia, ai suoi cari e ai tanti colleghi che lo hanno conosciuto e apprezzato va il cordoglio e la vicinanza di Fratelli d'Italia". Sui social lo ha ricordato Red Ronnie: "Ricordo l'intervista che gli ho fatto quando è diventato un eroe salvando 58 malati terminali di Covid su 58 utilizzando il plasma dei donatori. Lo hanno attaccato e fatto fuggire dai radar. Il dottor Giuseppe De Donno, dopo aver salvato tante vite, è stato emarginato ed era tornato a fare il medico di base, oggi ha preso una corda e ha deciso di abbandonare questo pianeta, lui che ha salvato tante vite".

Le dimissioni, il plasma abbandonato, il silenzio: cosa c'è dietro il suicidio di De Donno. Francesca Galici il 28 Luglio 2021 su Il Giornale. I carabinieri di Mantova sono all'opera per far luce sul suicidio di Giuseppe De Donno, che non ha lasciato nessuno scritto d'addio. Giuseppe De Donno è stato trovato morto nella sua abitazione di Curtatone, alle porte di Mantova, nel pomeriggio di martedì 27 luglio da alcuni parenti. L'ex primario di Pneumologia dell'ospedale Carlo Poma di Mantova si è tolto la vita a 54 anni ma i motivi non sono ancora stati chiariti. In casa, i carabinieri che coordinano le indagini non hanno trovato nessuna lettera d'addio, nessun biglietto che possa spiegare cosa ci sia stato dietro il gesto estremo del medico amato e apprezzato dalla sua comunità. Il nome di De Donno è salito alle cronache durante i primi mesi dell'epidemia nel 2020, quando propose la cura al plasma iperimmune per i pazienti con gravi forme di Covid. Curtatone e tutto il mantovano sono sotto choc per la notizia, così come i suoi colleghi. Nessuno si aspettava il suicidio di Giuseppe De Donno, che poche settimane fa aveva deciso di abbandonare il suo ruolo, dimettendosi da primario del reparto di Pneumologia del Carlo Poma per diventare medico di base a Porto Mantovano dopo una vita trascorsa in corsia. Aveva speso molte energie da febbraio in poi per trovare una cura contro il Covid, quando Mantova è stata una delle zone maggiormente colpite dall'epidemia tra marzo e aprile del 2020. Investì molto nella cura al plasma iperimmune, che sembrava potesse essere la svolta per alleggerire il carico nelle terapie intensive e guarire i pazienti con le forme più gravi di Covid ma questa strada è stata man mano accantonata anche a fronte di studi e di ricerche internazionali. "Durante la prima ondata del Covid aveva dato il meglio di se stesso ed era davvero apprezzato sia dai colleghi medici che dalle centinaia di pazienti che hanno avuto a che fare con lui", dice oggi il direttore dell'Asst di Mantova nel ricordare De Donno. Probabilmente lo scarso interesse nei confronti della sua terapia al plasma iperimmune e il suo progressivo accantonamento hanno lasciato il segno in Giuseppe De Donno, come conferma anche il direttore: "Aveva investito moltissimo anche nelle ricerche sul plasma, cura che ora è stata abbandonata ma che nonostante tutto aveva dato i suoi frutti. L’abbandono del plasma per altre cure per lui è stato sicuramente un colpo decisamente difficile da gestire". Ora saranno i carabinieri a far luce su quanto è accaduto al dottor De Donno, a chiarire le dinamiche tutt'ora oscure. Intanto gli uomini del colonnello Antonello Minutoli, comandante provinciale dei carabinieri di Mantova, coordinati dalla Procura di Mantova stanno indagando per escludere eventuali responsabilità di terzi.

Francesca Galici. Giornalista per lavoro e per passione. Sono una sarda trapiantata in Lombardia. Amo il silenzio.

Suicidio di De Donno, ora scattano le indagini: la procura apre un fascicolo. Luca Sablone il 29 Luglio 2021 su Il Giornale. La procura di Mantova ha aperto un'inchiesta: ora si vuole capire se possano esserci responsabilità di terzi per il gesto estremo. Sulla morte di Giuseppe De Donno restano ancora diversi aspetti da accertare. Incognite che vanno sciolte per poter spiegare con certezza l'estremo gesto compiuto dal dottore, il cui corpo privo di vita è stato trovato dai familiari nella sua abitazione di Curtatone (alle porte di Mantova) nel pomeriggio di martedì scorso. Agli occhi degli inquirenti, secondo quanto trapela da fonti investigative, restano ancora poco chiare le motivazioni che possono aver spinto l'ex primario di Pneumologia dell'ospedale Carlo Poma a un tale atto. Proprio per far luce su tutto questo la procura di Mantova ha aperto formalmente un'inchiesta sul suicidio del medico. Come trapelato nelle ultime ore, l'intenzione dei giudici sarebbe quella di capire se De Donno sia stato o meno indotto: si sta infatti lavorando per sapere se nel suicidio possano esserci responsabilità di terzi. L'ex primario, si legge su l'Ansa, si sarebbe suicidato impiccandosi. Nel frattempo i carabinieri e il magistrato hanno già sentito i familiari, la moglie e i due figli; inoltre sono stati posti sotto sequestro i cellulari e il computer del medico. Ma le circostanze del gesto non sono state ancora chiarite a distanza di poche ore dalla tragedia.

Quelle parole di De Donno. Nella giornata di ieri sono tornate a galla parole forti pronunciate dal dottore a maggio dell'anno scorso: in un'intervista aveva denunciate che, mentre lui era concentrato negli studi e nel salvataggio di vite umane, in ospedale sarebbero arrivati i Nas. Eventi che gli hanno fatto porre più di qualche interrogativo ma che non lo hanno fermato: "Non so né per cercare cosa né chi li ha mandati. Non cerco polemiche, ma le cose non avvengono a caso. Se qualcuno crede di scoraggiarmi, non ci riuscirà. La comunità scientifica dovrà rispondere ai cittadini di questo". Le sue dichiarazioni pesanti sono state rilanciate ieri da Paolo Grimoldi: il deputato della Lega ha postato sul proprio profilo Facebook il titolo dell'intervista e adesso pretende verità alla luce di quanto rivelato dall'ex primario. "Chi nel governo Conte mandò i carabinieri a un medico che salvava vite? Perché? Ci sono di mezzo soldi? Voglio il nome, potrebbe essere responsabile della morte del dottore", è la presa di posizione dell'esponente leghista.

Un trauma non superato?. De Donno non avrebbe lasciato alcun messaggio per spiegare la propria azione. Tuttavia, stando al racconto di alcuni ex colleghi, è emerso che la scarsa fiducia verso le sue ricerche potrebbero aver rappresentato un duro colpo psicologico difficile da digerire. Il medico infatti aveva investito davvero tanto anche nelle ricerche sul plasma, una cura che ora però è stata abbandonata nonostante avesse dato i suoi frutti. Non a caso il direttore dell'Asst di Mantova ha riferito che "l'abbandono del plasma per altre cure per lui è stato sicuramente un colpo decisamente difficile da gestire".

Luca Sablone. Classe 2000, nato a Chieti. Fieramente abruzzese nel sangue e nei fatti. Estrema passione per il calcio, prima giocato e poi raccontato: sono passato dai guantoni da portiere alla tastiera del computer. Diplomato in informatica "per caso", aspirante giornalista per natura. Provo a raccontare tutto nei minimi dettagli, possibilmente prima degli altri. Cerco di essere un attento osservatore in diversi ambiti con quanta più obiettività possibile, dalla politica allo sport.

De Donno e il perché del no al plasma. Maria Sorbi il 30 Luglio 2021  su Il Giornale. Dalla terapia pochi anticorpi. I No Vax non ne facciano un'icona. La faciloneria con cui i social e le schiere più politicizzate dei free vax trattano le notizie non solo travisa la realtà. Ma non conosce delicatezza. Accade così anche sul caso di Giuseppe De Donno, il medico morto suicida qualche giorno fa all'età di 54 anni. E subito trasformato dalla piazza free vax in un'icona di cui servirsi per protestare contro big pharma e vaccini. «Fu boicottato dal sistema della case farmaceutiche» sostengono i no green pass cristallizzando una fake news ed eleggendola a verità. «Aveva la cura anti Covid e lo hanno azzittito» sostiene qualche facinoroso. Frasi pericolose, che fanno male alla famiglia del medico e che dovrebbero ferire tutti i sostenitori della verità. Perché i fatti sono andati in un altro modo ed è piuttosto gretto associare il suicidio di un uomo alla vicenda della sua ricerca sulla cura anti Covid. Cura che purtroppo non si è rivelata tale. De Donno, assieme al primario Immunoematologia e Trasfusionale dell'ospedale Poma Massimo Franchini, aveva verificato che su alcuni pazienti ricoverati nel suo ospedale la terapia a base di plasma dei guariti si rivelava efficace. E in effetti funzionava. Anzi, nei mesi più grigi del 2020, in piena prima ondata, era l'unica arma che avevamo in mano per sperare di venir fuori dall'incubo. In tanti ci avevano creduto, tuttavia i limiti della terapia si sono presto fatti sentire. Aifa e Iss hanno avviato uno studio (chiamato Tsunami) su 27 centri clinici e 487 pazienti a vari stadi di gravità della malattia. Purtroppo «non è stata osservata una differenza significativa tra il gruppo di pazienti trattato con plasma e il gruppo curato con la terapia standard». Anzi, l'11% dei pazienti intubati e trattati con plasma moriva dopo una settimana dall'iniezione. La terapia del plasma non si è per altro rivelata applicabile su larga scala: mancavano i volontari guariti per donare il sangue (ammetteva lo stesso De Donno) e non sempre il loro sangue conteneva il numero adeguato di anticorpi per essere efficace. Per di più il plasma portava a qualche risultato sono in una ristretta categoria di pazienti, non in tutti. Nonostante tutti questi limiti, le trasfusioni vennero autorizzate nell'agosto dello scorso anno «come terapia emergenziale» poiché non esistevano conseguenze negative. Il boicottaggio e la censura di De Donno sono tutte fake. L'unica verità è che, a differenza dei vaccini, il plasma è una forma di immunizzazione passiva che non fornisce al malato la possibilità di sviluppare autonomamente anticorpi neutralizzanti contro il virus. Solo per questo è stato accantonato. Maria Sorbi  

"Vado giù a studiare": le ultime parole di De Donno prima di uccidersi. Francesca Galici il 30 Luglio 2021 su Il Giornale. Giuseppe De Donno aspettato che la moglie uscisse prima di compiere il gesto estremo. A trovarlo senza vita è stata la figlia. Emergono nuovi dettagli sulla morte di Giuseppe De Donno, lo pneumologo che lo scorso martedì 27 luglio si è tolto la vita nella sua abitazione di Curtatone, comune alle porte di Mantova. Non ha lasciato nessun biglietto per spiegare la regione del suo gesto, né nel suo studio e nemmeno in casa. Soffriva di un profondo malessere ma ora la procura vuole sgombrare il campo da qualunque ipotesi e, come atto dovuto, ha formalmente aperto un fascicolo per capire se possa esserci stata responsabilità di terzi dietro il gesto estremo. Martedì pomeriggio, Giuseppe De Donno si trovava nella sua casa insieme alla moglie e ai figli. Poco dopo che la moglie è uscita, l'uomo ha trovato un pretesto per allontanarsi dai ragazzi. "Vado giù a studiare", sono state le sue ultime parole, così come riportato da La gazzetta di Mantova. È stata sua figlia Martina, 20enne consigliere comunale nel comune di residenza, a trovare il padre ormai privo di vita. Poco dopo la moglie di Giuseppe De Donno ha fatto ritorno a casa e insieme alla figlia hanno sciolto il nodo ma purtroppo per lo pneumologo non c'era più nulla da fare. Inutile la chiamata disperata al 118, che non ha potuto fare altro che constatare il decesso, dopo aver fatto un tentativo di rianimazione. La salma è stata trasportata all'ospedale Carlo Poma di Mantova, dove fino a poche settimane prima l'uomo esercitava la professione di pneumologo. Ora gli investigatori stanno andando a fondo nella vita del medico per capire cosa possa averlo spinto al suicidio. Per De Donno lasciare il suo posto come primario del reparto di Pneumologia non è stato facile ma ha voluto tentare una nuova strada come medico di base sul territorio.

Lottava da tempo contro una malattia ma i nuovi farmaci sembrava avessero dato a De Donno l'energia per intraprendere la nuova sfida nonostante le difficoltà. La delusione per la bocciatura della sua cura col plasma iperimmune contro il Covid e i conseguenti insulti e scherni subiti sui social e gli scontri con parte della comunità scientifica avevano minato la sua salute. Ci aveva creduto tanto in quella cura che gli aveva regalato tantissima visibilità. Era diventato uno dei medici più ricercati durante la prima ondata della pandemia e il suo plasma iperimmune sembrava davveto la soluzione, almeno fino a quando uno studio non ne ha smontato l'efficacia. Diceva di avere le spalle larghe ma probabilmente la sua era solo una corazza, nemmeno troppo resistente, che non ha retto agli urti. 

Francesca Galici. Giornalista per lavoro e per passione. Sono una sarda trapiantata in Lombardia. Amo il silenzio. 

Incubo No Vax per i funerali di De Donno. Lettera dei familiari: "Amatelo in silenzio". Nino Materi il 2 Agosto 2021 su Il Giornale. In tanti ieri alla camera ardente per rendere omaggio al primario: "Non lo strumentalizzate, quanto detto su di lui non lo rappresenta". Massimo rispetto per l'appello firmato da «Tutti i suoi cari», che affermano: «Il silenzio è la miglior cura» (frase che fa da titolo alla lettera pubblicata su Facebook). Ieri una folla composta ha fatto la fila davanti alla camera ardente allestita nella sala consiliare del Comune di Eremo di Curtatone, il paese dove Giuseppe De Donno era nato 54 anni fa e dove, la scorsa settimana, è morto. Oggi invece i funerali religiosi si svolgeranno - speriamo con la medesima compostezza - a Modena nella basilica di Sant'Andrea. «In questo drammatico momento - sottolineano i parenti - il silenzio sarebbe la forma più grande di rispetto e di amore per lui e tutti i suoi cari. Vi ringraziamo per tutto l'amore che viene dimostrato, ma ci sono situazioni private che non possono e non devono essere strumentalizzate». L'appello all'oblio (nonostante la procura di Modena abbia aperto un fascicolo ipotizzando il reato di istigazione al suicidio) è comprensibile da parte dei familiari dell'ex primario di pneumologia dell'ospedale «Carlo Poma» di Mantova. Un medico che credeva fermamente nella bontà della terapia anti-Covid del «plasma iperimmune». Un medico che la settimana scorsa si è tolto la vita. Troppe bugie, troppe offese, si sono riversate come ondate di fango. Prima e dopo la sua morte. Nel mirino sono finiti i no vax (qualsiasi cosa significhi questo termine, che ormai ingloba chiunque si permetta di porre domande - comprese le più legittime - su vaccini e green pass). Precisiamo: i negazionisti che scendono in piazza con slogan aberranti sono ignoranti che si squalificano da soli; e non varrebbe la pena neppure preoccuparsi di confutare le loro tesi, tanto sono assurde e irreali. Discutere invece sull'incongruità delle scelte che da un anno e mezzo condizionano le nostre vite non solo è giusto, ma è anche utile. Questo, a suo tempo, cercò di fare il dottor De Donno, rimanendo umilmente nel rigore del proprio ambito professionale e rifuggendo riflettori che invece tanto piacciono ai virologi-star della tv. Un'attività, quella di De Donno, sempre in ossequio alle scienza e non certo in contrapposizione ad essa. La sua cura («È una vecchia terapia, non l'ho inventata io», ripeteva) - pur avendo superato i test di validazione degli enti sanitaria di controllo - voleva essere un contributo al superamento della fase emergenziale del contagio Covid. Nulla di più. Ma neppure nulla di meno. Invece De Donno, che pur qualche buon risultato aveva ottenuto, fu schernito da quegli stessi personaggi radical-sì vax che ora accusano i loro speculari contrari no vax di voler fare di De Donno la propria icona. E allora dinanzi a tanta malafede si capisce bene come alla famiglia De Donno non sia rimasta altra strada che l'appello al «silenzio»: «Giuseppe De Donno - scrivono nel loro post - era un medico che amava la sua professione fino in fondo e che non ha mai rinnegato la scienza. Un medico stimato ed apprezzato per aver dato tutto se stesso per il bene della comunità. Era una persona gentile, con una parola di conforto al momento giusto in ogni occasione per ognuno di noi». Poi un accenno polemico: «Chi lo conosce realmente sa che nulla di ciò che in questi tristi giorni stiamo leggendo su web, social, quotidiani e striscioni appesi per la città lo rappresentano». Il riferimento è al popolo no-vax. Ma sarebbe giusto, per onore alla verità, estenderlo anche alla fazione opposta: cioè camici bianchi, giornalisti e blogger travestiti da opinionisti che De Donno lo hanno ridicolizzato ingiustamente. Non sapremo mai perché Giuseppe De Donno si è tolto la vita. Non ha lasciato biglietti. Forse per non lasciare rimpianti e rimorsi in chi ha dimostrato di non rispettarlo. L'ennesima prova di bontà di un grande uomo. Nino Materi

Giuseppe De Donno, interrogazione della Lega: "Dava fastidio a qualcuno del governo", nel mirino Roberto Speranza. Libero Quotidiano il 03 agosto 2021. Si cercano ancora le motivazioni alla base del suicidio di Giuseppe De Donno. Il padre del plasma iperimmune per curare il Covid si è tolto la vota nella propria abitazione senza lasciare alcuna spiegazione. E così la Procura di Mantova ha deciso di aprire un'inchiesta per verificare un'eventuale responsabilità di terzi. Di pari passo con gli inquirenti anche la Lega ha voluto fare chiarezza sulla scomparsa dell'ex primario di pneumologia dell'ospedale Carlo Poma di Mantova. Il partito di Matteo Salvini ha presentato un’interrogazione indirizzata al ministro della Salute Roberto Speranza. Il testo, firmato da Paolo Grimoldi, evidenzia che "De Donno era noto per essere stato il pioniere della terapia sperimentale anti-Covid a base della trasfusione di plasma iperimmune; le potenzialità della terapia iperimmune, da tempo oggetto di serio studio in Italia e in diversi Paesi del mondo, si basano sugli effetti benefici che, in alcuni casi, sembrano riscontrarsi per la cura del Covid-19 dall'utilizzo del siero iperimmune e dalla possibilità di estrarre da quest'ultimo anticorpi a fini di prevenzione; inoltre, fin dal periodo iniziale della pandemia, De Donno si era battuto per le terapie domiciliari, poi rivelatesi molto spesso provvidenziali, e anche per questo aveva ingiustamente scontato l'emarginazione e l'isolamento di una parte della comunità medica". E ancora: "Le circostanze del drammatico suicidio del dottor De Donno sono ancora da chiarire, tuttavia l'interrogante non può fare a meno di pensare alla traumatica vicenda che ha coinvolto De Donno nel maggio 2020 quando, proprio a seguito della sperimentazione della terapia sui pazienti affetti da Covid-19, i carabinieri del Nas di Mantova si sono interessati al lavoro dell'allora primario; fu un duro colpo per De Donno, che percepì chiaramente il tentativo, anche politico, di scoraggiare i suoi sforzi; sembra infatti che la decisione di far intervenire i Nas provenisse direttamente da Roma, dove le terapie ‘complementari’ del medico avrebbero infastidito alcuni esponenti dell'allora Governo, attenti, secondo l'interrogante, più ad un approccio ideologico che a quello autenticamente terapeutico nei confronti del contenimento del virus”. Accuse pesantissime, che chiedono una volta per tutte all'esecutivo di "fornire chiarimenti in ordine alle circostanze e alle dinamiche che, nel maggio 2020, hanno causato l'intervento dei Nas nei confronti del dottor De Donno, nella sua veste di direttore del reparto di pneumologia". 

Giuseppe De Donno morto suicida: "Come lo hanno trovato in casa". Era il padre della cura al plasma contro il Covid. Libero Quotidiano il 27 luglio 2021. Lo scorso giugno aveva lasciato l’ospedale Carlo Poma dopo tanti anni di onorato servizio per diventare medico di medicina generale. Oggi pomeriggio, martedì 27 luglio, Giuseppe De Donno è stato trovato morto nella sua abitazione di Curtatone: stando alle prime tristissime indiscrezioni, si sarebbe suicidato impiccandosi. Una notizia che ha sconvolto l’intera comunità e non solo, dato che De Donno era diventato conosciuto in tutta Italia per la terapia con il plasma. De Donno era infatti ritenuto il medico simbolo per il plasma iperimmune che aveva aiutato molti pazienti durante i primi mesi del 2020, i più tragici nella lotta al coronavirus. Da mesi giravano voci sulla stanchezza del medico, che dopo 27 anni aveva deciso di optare per un cambiamento epocale per lui, che era entrato all’ospedale Carlo Poma subito dopo la laurea. Nel reparto di Pneumologia era stato in prima linea contro l’epidemia e soprattutto aveva condotto la sperimentazione sull’utilizzo del plasma. “Non ci volevo credere - ha dichiarato Matteo Salvini una volta appresa la brutta notizia - perdiamo una bella persona, un grande medico, che durante il Covid ha lottato come un leone per salvare centinaia di vite, spesso contro tutto e tutti. Buon viaggio Giuseppe, lasci un vuoto grande”.

Giuseppe De Donno, "ricoverato in una clinica": il demone della depressione dietro al suicidio? Lorenzo Mottola Libero Quotidiano il 29 luglio 2021. Sembra che la storia del professor Giuseppe De Donno sia un po' diversa da quella finora scritta sui social dalle fazioni che da tempo si dividono sul suo caso. Da una parte, troviamo virologie giornalisti che hanno sostanzialmente cercato di ridicolizzare lo pneumologo di Mantova. Dall'altra trasmissioni televisive e politici che hanno invece visto in lui una speranza. Fino ad arrivare alle teorie più "estreme", elaborate da chi crede che il primario di Curtatone abbia trovato una cura semplice ed economica al virus ma che sia stato contrastato dalle grandi industrie del farmaco. Ieri i No-vax scesi in piazza a Milano scandivano il suo nome: "È un eroe, è stato ammazzato da chi voleva metterlo a tacere". Un suicidio indotto, in pratica.

IL RICOVERO

In realtà De Donno era malato da tempo. Lo era ben prima di diventare uno dei protagonisti delle polemiche sulla pandemia. Durante l'emergenza Covid si era tuffato nel lavoro e le cose paradossalmente parevano essere migliorate. Negli ultimi mesi, dopo essersi dovuto assentare per alcune settimane, aveva deciso di lasciare l'ospedale. Poco dopo si era ricoverato volontariamente in una clinica, per cercare di superare una fase nera. Con risultati che, evidentemente, non sono stati quelli attesi. La depressione a volte non dà scampo. Dal 5 luglio ha poi iniziato a lavorare come medico di base a Porto Mantovano, con grande successo. «C'era la coda per farsi visitare da lui», dice un amico. D'altra parte, chi l'ha visto all'opera, sostiene che fosse un clinico abilissimo. Ieri la procura di Mantova ha aperto un'inchiesta sul suicidio. De Donno, 54 anni, si è tolto la vita impiccandosi nella propria abitazione, senza lasciare messaggi, né per la moglie né per i due figli. Gli inquirenti vogliono capire se c'è qualcosa o qualcuno che possa aver spinto il dottore a farla finita e stanno interrogando parenti e conoscenti. Il computer e i telefoni sono stati posti sotto sequestro. Al centro dell'inchiesta c'è il lavoro del medico e le polemiche che ne sono derivate. E anche la sua attività su Facebook, dove spesso dialogava con se stesso sulle sue teorie (anche utilizzando profili falsi, fatto sul quale era stato preso di mira da Selvaggia Lucarelli).

LA SPERIMENTAZIONE

De Donno è stato definito il "papà della terapia del plasma iperimmune". Ma anche su questo bisognerebbe rivedere un po' la storia. La decisione di iniziare una sperimentazione di questo genere non è stata dell'ospedale del medico recentemente scomparso, il Poma di Mantova, ma del San Matteo di Pavia. Un tentativo come altri di cercare una cura per il Covid: di fronte all'emergenza gli scienziati hanno giustamente provato qualsiasi cosa. Per chi non lo conoscesse, questo tipo di rimedio prevede di trattare i malati con trasfusioni da parte dei pazienti guariti. Un metodo già utilizzato contro l'ebola e tentato anche in mezzo mondo contro il Covid. Il San Matteo ha provato a seguire questa strada e ha coinvolto nei test anche il Poma. E De Donno ha collaborato con passione, anticipando addirittura l'esito delle ricerche, che inizialmente avevano dato ottimi risultati. Da allora è diventato una celebrità, ha cominciato a rilasciare interviste a raffica per illustrare il suo sistema. Oggi, come sappiamo, la cura con il plasma è stata sostanzialmente accantonata, anche se tanti ancora credono in questo metodo. La polemica continua. E forse De Donno non aveva la forza per affrontarla. 

Giuseppe De Donno, la testimonianza del collega: "Stava provando a curarsi. Ma la scorsa domenica..." Libero Quotidiano il 29 luglio 2021. Ci sono ancora dubbi sulla morte di Giuseppe De Donno, il medico padre della cura del plasma iperimmune, trovato impiccato martedì nella sua abitazione alle porte di Mantova. Chi lo conosce, Matteo Salvini compreso, non può che parlare bene. Ma sono in tanti gli amici che rivelano il malessere che lo aveva colpito negli ultimi mesi.  Complice, con ogni probabilità, la frenata sull'utilizzo del plasma iperimmune per curare i pazienti Covid dopo la chiusura dei rubinetti dei finanziamenti alla ricerca. "I mesi in prima linea gli avevano trasmesso adrenalina - racconta il direttore sanitario dell'ospedale Raffaello Stradoni al Corriere della Sera -. L'avevano rimesso sulla barricata, a salvare vite umane. Il ritorno alla normalità l'aveva fatto ripiombare in quell'antica sofferenza. Qualcosa da cui stava provando a curarsi". Il 9 giugno De Donno infatti ha comunicato la decisione di lasciare l'ospedale per fare il medico di base. Qui, ha raccontato ancora chi lo conosceva bene come il presidente del consiglio comunale Roberto Mari, "sembrava aver trovato un nuovo slancio, ma da domenica lo sguardo era perso. Sperava di poter vivere in pace. Di ritrovare aria. La macchina del fango partiva da gente che aveva intorno". De Donno a inizio pandemia era sulla bocca di tutti, l'uomo in grado di rivoluzionare la lotta contro il virus. Qualcosa però ancora non torna, tanto che la procura di Mantova ha deciso di aprire un'inchiesta, sequestrando pc e cellulari del medico per capire se possano esserci responsabilità di terzi. "Il suo è un gesto che non può essere figlio solo di un fallimento professionale - ha commentato Ivan Papazzoni, un amico curato da De Donno. E infatti c'è parla di un piccolo malessere anche in famiglia. Nel frattempo però non sono mancate le teorie complottiste degli sciacalli piovute sui social.

Da liberoquotidiano.it il 30 luglio 2021. Choc e polemiche dopo la notizia della morte di Giuseppe De Donno, l'ex primario di pneumologia dell'ospedale di Mantova morto suicida, impiccandosi nella sua casa. De Donno fu uno dei principali fautori della cura con plasma iperimmune per il coronavirus, cura che fu poi fermata: un duro colpo che il medico non avrebbe mai superato. La notizia del suo suicidio, come detto, ha scatenato un vespaio di polemiche, soprattutto sui social. Molti hanno puntato il dito contro il mondo della scienza, che avrebbe "lasciato solo" il medico mantovano, ostracizzato a causa della sua terapia contro il Covid, considerata un poco controversa, una terapia che prevedeva l'infusione di sangue di contagiati, dopo un trattamento, in altri pazienti infetti. E tra chi punta il dito, ecco Red Ronnie, che alla notizia della scomparsa del primario si è prodotto in un durissimo sfogo: "Lo hanno lasciato solo, lo hanno ucciso. De Donno è una vittima di quelli che hanno deciso questo scempio a cui stiamo assistendo, dovrebbe essere fatto santo". E ancora, lo storico conduttore di Roxy Bar, rimarca come De Donno era "una persona semplice, un medico che aveva capito che non bisognava intubare i malati e bruciargli i polmoni, ma bastava il plasma. Eppure non è possibile salvare le vite con metodi che non sono prescritti. Una sacca di plasma costava 80 euro (...). Avrebbe aiutato i malati a reagire, a vincere", ha concluso. Ma non è tutto. Red Ronnie, dopo lo sconforto, aggiunge: "Sono triste, arrabbiato. Questo mi fa diventare determinato. È ora di dire basta. Giuseppe De Donno se n'è andato. Lo volevo chiamare, non pensavo che sarebbe andata così. Con questo gesto De Donno ha motivato ancora di più noi che crediamo nell'umanità e non sul profitto, sul guadagnare su un farmaco", ha concluso Red Ronnie. Parole pesantissime.

"A un certo punto non serviva più". Suicidio De Donno, la "sentenza" della Lucarelli: perché si è suicidato. Ne è così sicura? Libero Quotidiano il 29 luglio 2021. Del suicidio di Giuseppe De Donnno, sul Fatto Quotidiano di oggi, giovedì 29 luglio, ne scrive Selvaggia Lucarelli. La stessa Selvaggia Lucarelli che nei giorni seguenti al dibattito sulla terapia con plasma iperimmune dedicò al professore mantovano un tweet di rara ferocia, che recitava: "Vi ricordate il messia Giuseppe De Donno? Quel medico che salvava tutti con il plasma che chiamava proiettile magico, mentre Salvini e Le Iene insinuavano che siccome era una cura gratuità chissà, cielanakondono (scritto così nel cinguettio, ndr)? Beh, lasciato l'ospedale, ora è medico di base a Porto Mantovano". Un cinguettio che, per ovvie ragioni, ieri, nel giorno del suicidio di De Donno, era tornato a rimbalzare un po' ovunque. Dunque, sul Fatto, Selvaggia scrive: "E la sua morte racconta molto di questo tempo storto, malato, incattivito. Perché il medico dei miracoli, l'uomo che con la plasmaterapia avrebbe guarito i malati, sconfitto il Covid, esportato la sua cura in tutto il mondo in una sorta di evangelizzazione terapeutica, aveva dovuto fare i conti con la dura realtà: la plasmaterapia non funzionava", sentenzia in premessa la sacerdotessa del giusto. "A questo punto, riavvolgere il nastro del caso De Donno sarebbe fin troppo facile, se non fosse vero che i suicidi sono materia imperscrutabile. Impossibile però non ricordare con quanta superficialità, nel periodo più duro della pandemia, si siano attribuiti a Giuseppe De Donno talenti e capacità sovrumane. La politica lo vendeva come l'uomo che aveva scoperto la cura economica e miracolosa, la stampa lo intervistava come il nuovo salvatore, le pagine Fb in suo sostegno fiorivano numerose", rimarca. 

"Questo vortice di colpevole superficialità ha travolto una personalità complessa, in cui evidenti manie di grandezza facevano i conti - ora lo sappiamo - con fragilità ben nascoste. Fragilità esplose, probabilmente, quando tutto il circo mediatico e politico che l'aveva illuso e corteggiato, ha capito che la grande speranza del plasma miracoloso era tramontata. A un certo punto De Donno non serviva più. Non poteva più supportare la narrazione del medico di campagna che combatte contro i poteri forti. Contro il governo. Che sfida Burioni e chiunque osi mettere in dubbio l'efficacia delle sue cure", conclude la Lucarelli. Insomma, e non ne avevamo dubbi, la sacerdotessa del giusto sa qual è la Verità, assoluta e inconfutabile. De Donno si sarebbe suicidato poiché "abbandonato" da chi lo aveva sostenuto. E la possibilità che il suicidio sia dovuto al fatto che le sue terapie siano di fatto state ostacolate, nemmeno viene presa in considerazione.

Fu tra i primi a lavorare a una terapia anti Covid. Giuseppe De Donno trovato morto: era il medico pioniere del plasma iperimmune. Elena Del Mastro su Il Riformista il 27 Luglio 2021. Lo hanno trovato senza vita nella sua casa di Curtatone, alle porte di Mantova. Giuseppe De Donno si è tolto la vita lasciando tutta la comunità di medici e amici sotto choc. Nessuno si sarebbe mai potuto aspettare quel gesto estremo arrivato nel pomeriggio di martedì 27 luglio. Secondo le prime ricostruzioni il medico si sarebbe impiccato e non avrebbe lasciato messaggi nella casa dove viveva con la moglie Laura e due figli, Martina, consigliere comunale a Curtatone, e Edoardo, ma le cause di quel suicidio sarebbero da ricercare in problemi di natura personale e forse lavorativa. Da alcune settimane De Donno era medico di base a Porto Mantovano. Per anni è stato primario della Pneumologia dell’ospedale di Mantova. Aveva rassegnato le dimissioni da quel prestigioso incarico preferendo dedicarsi alle famiglie del piccolo comune mantovano. “Siamo sinceramente allibiti — afferma il direttore dell’Asst di Mantova intervistato dal Corriere della Sera – Ho avuto modo di conoscere di persona e confrontarmi più di una volta con De Donno e devo dire che era una persona davvero squisita: onesto fino in fondo, si è sempre speso per la verità e per gli altri. Durante la prima ondata del Covid aveva dato il meglio di se stesso ed era davvero apprezzato sia dai colleghi medici che dalle centinaia di pazienti che hanno avuto a che fare con lui. Aveva investito moltissimo anche nelle ricerche sul plasma, cura che ora è stata abbandonata ma che nonostante tutto aveva dato i suoi frutti. L’abbandono del plasma per altre cure per lui è stato sicuramente un colpo decisamente difficile da gestire”. Sgomento il sindaco di Curtatone, Carlo Bottani, amico intimo del medico, che si fa interprete del sentimento di un’intera comunità sotto shock: “Giuseppe era una persona straordinaria – ha detto tra le lacrime all’Ansa – . Ho avuto il privilegio di essere al suo fianco nella prima fase del lockdown e ho visto quanto si è speso per i suoi pazienti. La storia lo ricorderà per il bene che ha fatto”. La morte del medico ha lasciato tutti sgomenti perchè non c’erano stati segnali che potessero far pensare a un gesto estremo: “Con l nuovo lavoro di medico di base – ricorda ancora il sindaco – l’avevamo visto felice della nuova opportunità. Io stesso lo avevo affiancato quando ai primi di giugno aveva annunciato che lasciava l’ospedale per dedicarsi alla medicina di base”.

Chi era Giuseppe De Donno. De Donno era balzato alle cronache durante la prima fase del Lockdown a cui la prima ondata di contagi da Covid costrinse l’Italia intera. Con i colleghi dell’ospedale Carlo Poma di Mantova aveva investito energie e risorse nella cura del Covid per mezzo del plasma iperimmune. Quando ancora poco o nulla si sapeva del virus, per primo aveva iniziato la cura del Covid con le trasfusioni di plasma iperimmune, la controversa terapia che prevedeva l’infusione di sangue di contagiati dal coronavirus, opportunamente trattato, in altri pazienti infetti. Cura che però nel corso del tempo è stata abbandonata, anche a fronte di ricerche e studi internazionali sull’argomento.

Elena Del Mastro. Laureata in Filosofia, classe 1990, è appassionata di politica e tecnologia. È innamorata di Napoli di cui cerca di raccontare le mille sfaccettature, raccontando le storie delle persone, cercando di rimanere distante dagli stereotipi.

Morto De Donno, i social gli rendono omaggio tra tristezza e rabbia. La Gazzetta di Mantova il 27/7/2021. Decine di migliaia di post e commenti, un abbraccio virtuale collettivo. “No doc, non dovevi farlo”, “Se n’è andata una persona speciale”

MANTOVA. “No doc, questo non dovevi farlo”, “Un dolore immenso”, “Se n’è andato un uomo che ha salvato tante vite”. La notizia della morte di Giuseppe De Donno ha generato un’ondata di commozione sui social network. Decine di migliaia i post e i commenti scritti da tutta Italia per il medico diventato celebre per la terapia al plasma.

Stasera (27 luglio), soprattutto su Facebook, una quantità enorme di persone ha partecipato al lutto. Ex pazienti, amici, conoscenti, simpatizzanti del medico di provincia diventato simbolo della lotta al Covid-19. Gente comune, un fiume di condoglianze alla famiglia, centinaia di foto postate in ricordo di De Donno.

Le lacrime virtuali, in alcuni casi, si sono mischiate alla rabbia.

Il suicidio dell’ex primario di Pneumologia del Poma, infatti, è stato interpretato da molti come l’atto conclusivo di una fase difficile della vita di De Donno, coincisa con la ribalta nazionale prima e, stando ai commenti dei suoi supporter, con il successivo isolamento professionale e personale a causa dell’impegno per promuovere l’uso del plasma iperimmune.

«Credo sia stato un medico incompreso e messo all’angolo – scrive una lettrice della Gazzetta su Fb – Nonostante le sue qualità e le sue intuizioni era finito a fare il medico condotto. Vergogna a chi non ha compreso la sua umanità, la sua lungimiranza e la sua professionalità. Ai suoi cari un abbraccio che possa confortare il grande dolore».

«Mi hai curato fino all’ultimo – scrive un suo ex paziente – Mi mancherai perché eri un grande uomo ma soprattutto una grande persona».

Come spesso capita in casi simili, quando si apprende della scomparsa di un personaggio popolare, non sono mancate reazioni scomposte che sono sfociate nel complottismo: decine i post di utenti che per sfuggire da una realtà terribile hanno elaborato teorie sulla morte dell’ex primario. «Era un personaggio scomodo, io non credo che si sia tolto la vita uno come lui, è impossibile» dice un utente Twitter.

Qualcuno ha addirittura condiviso un’immagine in cui a caratteri cubitali si chiede “Verità per De Donno”. Quella verità che però, purtroppo, è stata chiara sin da subito quando il corpo di De Donno è stato trovato senza vita.

Morto il medico di origini salentine De Donno: avviò la cura del plasma iperimmune. Si sarebbe tolto la vita nella sua casa di Eremo, dove viveva con la famiglia. La Gazzetta del Mezzogiorno il 28 Luglio 2021. Sarebbe morto suicida l’ex pneumologo di origini salentine Giuseppe De Donno. I familiari lo hanno trovato ieri nella sua casa di Eremo, frazione del Comune di Curtatone, dove viveva con la moglie Laura e due figli, Martina, consigliere comunale a Curtatone, e Edoardo. Il medico, che aveva 54 anni, si sarebbe tolto la vita impiccandosi. Sgomento il sindaco di Curtatone, Carlo Bottani, suo amico intimo, che si fa interprete del sentimento di un’intera comunità sotto shock: «Giuseppe era una persona straordinaria - ha detto tra le lacrime - . Ho avuto il privilegio di essere al suo fianco nella prima fase del lockdown e ho visto quanto si è speso per i suoi pazienti. la storia lo ricorderà per il bene che ha fatto». La morte del medico ha lasciato tutti sgomenti perché non c'erano stati segnali che potessero far pensare a un gesto estremo: «Con il nuovo lavoro di medico di base - ricorda ancora il sindaco - l’avevamo visto felice della nuova opportunità. Io stesso lo avevo affiancato quando ai primi di giugno aveva annunciato che lasciava l'ospedale per dedicarsi alla medicina di base». La notizia della morte dell'ex primario di pneumologia dell’ospedale di Mantova, che per primo aveva iniziato la cura del Covid con le trasfusioni di plasma iperimmune, ha scatenato il popolo del web. In tanti «accusano» il mondo della scienza di aver lasciato «solo» il medico. Molti non credono che il medico si sia tolto la vita. «Suicida? Siamo sicuri? Questa storia è inquietante e surreale» scrive Filippo. «Questo suicidio in realtà è un omicidio che ha mandanti ed esecutori conosciuti» calca la mano Massimo. «Dietro il presunto suicidio di DeDonno c'è un uomo lasciato solo, un medico che aveva dedicato tutto alla sua cura e le sue ricerche» twitta Alex. A commentare la notizia, dubitando che si tratti di suicidio, anche molti cosiddetti mattonisti, gli utenti che hanno un mattone al fianco del proprio nome e che si riconoscono spesso nelle posizioni dei no-vax. 

Quegli ultimi due mesi di silenzio: cosa è successo a De Donno. Giuseppe Spatola il 28 Luglio 2021 su Il Giornale. L'ex primario inventore del plasma iper-immune da tempo lottava con i suoi "mostri". Aperta un'inchiesta. Il professor Giuseppe De Donno, 54 anni ex primario di pneumologia dell'ospedale Poma di Mantova, già a fine maggio aveva deciso di prendersi "mesi sabbatici" lontano dalla sua corsia. Da settimane, quindi, era "assente per malattia", un modo per "ritrovarsi" e cercare di far luce tra le ombre che lo accompagnavano da tempo.

L'uomo fragile e il medico intransigente. Ottimo medico, capace di salvare vite con il suo plasma iper-immune, ma uomo fragile che alla fine si è piegato al buio. Un'anima combattuta e perennemente in bilico, come traspare dai post affidati ai social. Sì, perché il professore si rifugiava nei suoi angoli per commentare la vita reale evidentemente diventata "troppo pesante". Pensieri amari. Come quelli che a fine 2020 hanno riempito la sua bacheca. "Ma mai come in questi giorni, a Roma, ho capito come è strana la vita - ha scritto de Donno accompagnando una foto scattata alla scrivania con alle spalle la sua gigantografia in mascherina -. Ti prende, ti lascia, ti riprende. Come il mare. Come il sole. Come il cuore. Il silenzio. Il rumore. Il dolore".

I pensieri sulla vita e i dubbi. "La vita è fatta così - ha messo nero su bianco il professore in uno dei suoi lunghi pensieri social -. Ti rapisce per poi ferirti. Ti rialzi e vai avanti. Non ti volterai mai indietro. Assordante, lunghissimo, silenzio. Dopo tanto rumore. Si. Era solo rumore. La vita. Che strana che è. Ci vuole tantissima forza. Tantissimo coraggio. Tantissima serenità.

La vita. Un cammino". Il rifugio della normalità. La fragilità dell'uomo non è mai arrivata in corsia, dove De Donno è sempre stato in prima linea, arrivando anche a dormire nel suo ufficio durante le lunghe notti della prima ondata Covid. Per lui esistevano i pazienti e la rincorsa a una cura, anche palliativa, che potesse salvare la vita agli altri. "Peccato che non abbiamo potuto salvare la sua", hanno commentato i colleghi increduli e sgomenti alla notizia del gesto estremo. E Giuseppe, detto dagli amici e colleghi "U Pippi", alla fine aveva scelto di allontanarsi dalle responsabilità, dal ruolo divenuto pesante da affrontare nel quotidiano. Da qui la scelta di non rientrare dai mesi presi per malattia e ad inizio luglio dedicarsi alla medicina di base nel suo paese, Curtatone (Mantova).

L'addio all'ospedale e la nuova vita. "Ci siamo incontrati e parlato del suo futuro - ha chiarito Raffaello Stradoni, dg dell'Asst di Mantova -. Da medico di base sarebbe stata una risorsa preziosa, come del resto lo era in corsia. Forse l'unico rammarico è proprio quello di non averlo saputo salvare così come lui aveva fatto con decine di suoi pazienti".

Aperta un'inchiesta. La procura di Mantova ha aperto un'inchiesta. Gli inquirenti, che hanno già sentito i familiari e sequestrato cellulari e computer del medico, vogliono accertare eventuali responsabilità di terzi. Giuseppe Spatola 

"Siamo distrutti...". I colleghi piangono De Donno. Giuseppe Spatola il 28 Luglio 2021 su Il Giornale. Incredulità, dolore e sgomento: chi lo conosceva ricorda il medico per la sua dedizione al lavoro e la sua profonda umanità. I colleghi di de Donno lo ricordano in una lettera. Incredulità, dolore e sgomento: sono questi i sentimenti che oggi hanno spinto la direzione di ASST Mantova stretta attorno alla famiglia di Giuseppe De Donno, trovato morto nella sua abitazione.

Il dolore dei colleghi. "La scomparsa del medico ha lasciato un vuoto incolmabile fra i colleghi che esprimono il loro dolore e la loro stima per un professionista eccellente e di grande umanità - hanno spiegato in direzione sanitaria dell'ospedale Poma di Mantova, dove De Donno aveva avviato gli studi e la sperimentazione sul sangue iper-imune durante la prima ondata della panemia -. De Donno era direttore della struttura complessa di Pneumologia dal novembre 2018, incarico che ha ricoperto fino a poche settimane fa, quando ha deciso di diventare medico di base per contribuire con le sue competenze allo sviluppo della medicina territoriale". "Un percorso di cambiamento maturato dopo il periodo più intenso e drammatico della pandemia, che ha visto De Donno dedicarsi con passione e abnegazione alla cura dei pazienti colpiti dal Covid - hanno proseguito in ospedale -. I colleghi hanno avuto modo di apprezzare il suo impegno, il suo desiderio di giustizia, il suo approccio profondamente umano e gli sono stati vicini, supportandolo anche nella scelta di lasciare la medicina ospedaliera".

Specialista di fama internazionale. De Donno era approdato all’ospedale di Mantova nel 1998, dove fra il 2009 e il 2017 era stato direttore della struttura semplice Assistenza Domiciliare Respiratoria, incarico ricoperto fino al 2018, quando era passato alla direzione della Pneumologia. Precedentemente era stato titolare del Servizio di Continuità Assistenziale all’Asl di Mantova e prima ancora di una borsa di studio nella struttura complessa Malattie dell’Apparato Respiratorio del Policlinico Universitario di Modena. Aveva una specializzazione in Medicina dell’Apparato Respiratorio, indirizzo Fisiopatologia Respiratoria. Era autore di numerose pubblicazioni.

Le dimissioni, il plasma abbandonato, il silenzio: cosa c'è dietro il suicidio di De Donno

Il dolore e la rabbia dei colleghi di reparto. "Siamo increduli - hanno scritto in una lettera aperta i colleghi dell’ASST di Mantova in attività e in pensione -. Lo vogliamo ricordare per la sua completa abnegazione sia da medico prima che da primario poi, con un’attenzione quasi spasmodica alle necessità e al benessere dei pazienti non solo dal punto di vista clinico, ma soprattutto umano. Li faceva sentire in qualche modo parte di una famiglia allargata…quello che era per lui la Pneumologia". Secondo quanto ripercorso in ospedale De Donno nel suo percorso professionale ha sempre dato molta importanza al rapporto diretto con il paziente e i caregivers, come testimoniano le sue partecipazioni alle attività del territorio e la sua attività come responsabile del servizio di assistenza respiratoria domiciliare per più di dieci anni. "Questa attenzione - hanno confermato i colleghi - lo ha portato nei mesi scorsi a prendere la decisione di abbandonare l’ospedale, a cui teneva e a cui aveva dato gran parte della sua vita professionale arrivando a occupare la posizione di vertice, per tornare a fare “il medico” in ambulatorio, senza preoccupazioni che non fossero il benessere e la salute dei suoi assistiti. Noi che lo conoscevamo da molti anni, non solo professionalmente, ma anche come amici al di fuori del lavoro, siamo distrutti dalla sua perdita e siamo vicini ai suoi cari, in particolare a Edoardo, Martina e Laura che sentiranno l’enorme vuoto lasciato più di quanto possa essere solo immaginato da noi".

Uomo solare e professionista serio. "Lo vogliamo ricordare con il suo sorriso, le sue battute, il suo entusiasmo nello studio dei casi e nel trovare le risposte a tanti dubbi, anche la sua profonda delusione quando qualche paziente nonostante tutto non ce la faceva, esperienza vissuta spesso come un insuccesso personale - hanno rimarcato i medici del Poma con cui De Donno ha lavorato -. Giuseppe era così, a momenti solare e in altri ombroso, perché disilluso da qualcosa o indispettito o arrabbiato per non essere riuscito a fare quello che sperava per i pazienti. Per fortuna erano più i successi che gli insuccessi e questo era in gran parte merito della sua caparbietà, che ha dimostrato bene nel periodo così drammatico della pandemia, ma che in parte lo ha profondamente logorato e stancato, come è accaduto a molti di noi e forse a lui più che a tutti. Speriamo che ora possa trovare quella pace e quella serenità che gli è mancata qui". Giuseppe Spatola

I carabinieri da De Donno durante il governo Conte, Lega all'attacco. Luca Sablone il 28 Luglio 2021 su Il Giornale. Il dottore aveva dichiarato: "Io salvo le vite e mi arrivano i Nas in ospedale". Ora la Lega vuole chiarezza: "Fuori il nome, potrebbe essere responsabile della morte". La scomparsa di Giuseppe De Donno ha lasciato tutti sconvolti. L'ex primario di Pneumologia dell'ospedale Carlo Poma di Mantova si è tolto la vita a 54 anni per motivi che devono essere ancora chiariti: il corpo è stato trovato privo di vita da alcuni parenti nella sua abitazione di Curtatone, alle porte di Mantova, nel pomeriggio di martedì 27 luglio. Può essere considerato il padre della cura del plasma iperimmune contro il Coronavirus: propose la cura sperimentale durante la prima ondata di Covid-19 in seguito a un duro lavoro condotto con il Policlinico di Pavia. Gli ex colleghi sono sotto choc: nessuno si aspettava un gesto simile da parte di De Donno, che di recente aveva deciso di dimettersi dal proprio ruolo per diventare medico di base a Porto Mantovano. Il dottore aveva investito davvero tanto anche nelle ricerche sul plasma, una cura che ora però è stata abbandonata nonostante avesse dato i suoi frutti. "L'abbandono del plasma per altre cure per lui è stato sicuramente un colpo decisamente difficile da gestire", ha riferito il direttore dell'Asst di Mantova. A distanza di poche ore dal dramma tornano in mente le parole forti che De Donno rilasciò a maggio 2020. In un'intervista a La Verità, l'ex primario disse che in ospedale addirittura arrivarono i Nas: "Non so né per cercare cosa né chi li ha mandati. Non cerco polemiche, ma le cose non avvengono a caso. Qualcuno, alla fine, dovrà spiegare ai familiari degli ammalati e al Paese cosa sta succedendo". L'esperto ritenne "gravissimo" proibire l'uso del plasma: "La comunità scientifica dovrà rispondere ai cittadini di questo". E poi sui social difese a spada tratta il suo operato: "Se qualcuno crede di scoraggiarmi, non ci riuscirà". Dichiarazioni riprese da Paolo Grimoldi, deputato della Lega, che sul proprio profilo Facebook ha rilanciato l'articolo dell'intervista. L'esponente del Carroccio ora pretende chiarezza e vuole i dettagli di quanto avvenuto in passato, alla luce di ciò che De Donno rivelò: "Chi nel governo Conte mandò i carabinieri a un medico che salvava vite? Perché? Ci sono di mezzo soldi? Voglio il nome, potrebbe essere responsabile della morte del dottore". Parole di grande affetto e riconoscimento professionale sono state usate dagli ex colleghi dell'Asst di Mantova. Di De Donno vengono sottolineati con orgoglio il "desiderio di giustizia" e la "grande umanità" che lo hanno contraddistinto nella sua carriera lavorativa. La direzione e tutti i professionisti si sono stretti attorno alla famiglia per la tragedia avvenuta. "La scomparsa del medico ha lasciato un vuoto incolmabile fra i colleghi che esprimono il loro dolore e la loro stima per un professionista eccellente e di grande umanità", si legge in una nota.

Luca Sablone. Classe 2000, nato a Chieti. Fieramente abruzzese nel sangue e nei fatti. Estrema passione per il calcio, prima giocato e poi raccontato: sono passato dai guantoni da portiere alla tastiera del computer. Diplomato in informatica "per caso", aspirante giornalista per natura. Provo a raccontare tutto nei minimi dettagli, possibilmente prima degli altri. Cerco di essere un attento osservatore in diversi ambiti con quanta più obiettività possibile, dalla politica allo sport. Ma sempre con il Milan che scorre nelle vene. Incessante predilezione per la cronaca in tutte le sue sfaccettature: armato sempre di pazienza, fonti, cellulare, caricabatterie e… PC.

Le dimissioni, il plasma abbandonato, il silenzio: cosa c'è dietro il suicidio di De Donno. Francesca Galici il 28 Luglio 2021 su Il Giornale. I carabinieri di Mantova sono all'opera per far luce sul suicidio di Giuseppe De Donno, che non ha lasciato nessuno scritto d'addio. Giuseppe De Donno è stato trovato morto nella sua abitazione di Curtatone, alle porte di Mantova, nel pomeriggio di martedì 27 luglio da alcuni parenti. L'ex primario di Pneumologia dell'ospedale Carlo Poma di Mantova si è tolto la vita a 54 anni ma i motivi non sono ancora stati chiariti. In casa, i carabinieri che coordinano le indagini non hanno trovato nessuna lettera d'addio, nessun biglietto che possa spiegare cosa ci sia stato dietro il gesto estremo del medico amato e apprezzato dalla sua comunità. Il nome di De Donno è salito alle cronache durante i primi mesi dell'epidemia nel 2020, quando propose la cura al plasma iperimmune per i pazienti con gravi forme di Covid. Curtatone e tutto il mantovano sono sotto choc per la notizia, così come i suoi colleghi. Nessuno si aspettava il suicidio di Giuseppe De Donno, che poche settimane fa aveva deciso di abbandonare il suo ruolo, dimettendosi da primario del reparto di Pneumologia del Carlo Poma per diventare medico di base a Porto Mantovano dopo una vita trascorsa in corsia. Aveva speso molte energie da febbraio in poi per trovare una cura contro il Covid, quando Mantova è stata una delle zone maggiormente colpite dall'epidemia tra marzo e aprile del 2020. Investì molto nella cura al plasma iperimmune, che sembrava potesse essere la svolta per alleggerire il carico nelle terapie intensive e guarire i pazienti con le forme più gravi di Covid ma questa strada è stata man mano accantonata anche a fronte di studi e di ricerche internazionali. "Durante la prima ondata del Covid aveva dato il meglio di se stesso ed era davvero apprezzato sia dai colleghi medici che dalle centinaia di pazienti che hanno avuto a che fare con lui", dice oggi il direttore dell'Asst di Mantova nel ricordare De Donno. Probabilmente lo scarso interesse nei confronti della sua terapia al plasma iperimmune e il suo progressivo accantonamento hanno lasciato il segno in Giuseppe De Donno, come conferma anche il direttore: "Aveva investito moltissimo anche nelle ricerche sul plasma, cura che ora è stata abbandonata ma che nonostante tutto aveva dato i suoi frutti. L’abbandono del plasma per altre cure per lui è stato sicuramente un colpo decisamente difficile da gestire". Ora saranno i carabinieri a far luce su quanto è accaduto al dottor De Donno, a chiarire le dinamiche tutt'ora oscure. Intanto gli uomini del colonnello Antonello Minutoli, comandante provinciale dei carabinieri di Mantova, coordinati dalla Procura di Mantova stanno indagando per escludere eventuali responsabilità di terzi. 

Francesca Galici. Giornalista per lavoro e per passione. Sono una sarda trapiantata in Lombardia. Amo il silenzio.

Cos’è successo alla cura del plasma iperimmune. Francesco Boezi su Inside Over il 28 luglio 2021. Il dottor Giuseppe De Donno era divenuto noto alle cronache per la terapia del plasma iperimmune. Mentre scriviamo, il suicidio del medico, che l’Italia aveva conosciuto durante la prima fase della pandemia, è ancora avvolto dal mistero. Il Covid-19 aveva appena fatto la sua comparsa o quasi. Gli esperti erano al lavoro per comprendere almeno come tamponare il quadro epidemiologico. Si parlava di vaccino, ma non con le certezze odierne. Il SarsCov2 aveva sconvolto l’intero pianeta. La soluzione del problema appariva lontana. Avevamo appena preso confidenza con la figura del “virologo”, che ci avrebbe accompagnato per anni. Si avvicinava l’estate del 2020. Il primo lockdown del Belpaese era alle spalle. Il tempo e la situazione imponevano alla scienza di non cedere centimetri e di battere ogni strada percorribile. Tra tanti virologi, epidemiologi e primari esposti in prima linea, sia sul piano mediatico-televisivo sia su quello della ricerca e dell’intervento medico-scientifico, era spuntato uno pneumologo. Il professor De Donno iniziava a raccontare di quanto e come funzionasse la sua “scoperta”. Il plasma iperimmune non era un’esclusiva per contrastare il Covid19: la tecnica era già utilizzata nei confronti di altre patologie, con una serie di applicazioni, sperimentali o meno. Noi di InsideOver, all’epoca, intervistavamo De Donno per comprendere al meglio se e quali speranze potessimo nutrire. E il dottore, senza girarci troppo attorno, ci spiegava sia i meccanismi alla base della “cura” sia quello che stava accadendo dal punto di vista “politico”: il medico aveva appena tenuto un’audizione in Senato. Una diretta social con Matteo Salvini, peraltro, diffondeva la figura e le tesi dello pneumologo lombardo. La questione del plasma iperimmune era insomma discussa. Circolava un pronunciato scetticismo sulla terapia che il professore, che era incaricato presso l’ospedale di Mantova, cercava di difendere. Era nato un fenomeno social: sulle piattaforme proliferavano i gruppi di sostegno al dottore ed alle sua ragioni: “Guardi – ci raccontava De Donno – , il plasma del convalescente lo abbiamo utilizzato per pazienti con una grave insufficienza respiratoria. Va da sé – aggiungeva – che possa essere utilizzato anche nel paziente meno grave. Ma può essere utilizzato anche in profilassi, come stanno facendo negli Stati Uniti, dove lo stanno proponendo in favore del personale sanitario. Lo scopo è evitare che quel personale si ammali”. Poi la storia di Pamela, cui il dottore sembrava tenere particolarmente: una paziente afflitta da Covid-19 ed in stato interessante, che De Donno definiva “restituita alla famiglia” dopo la somministrazione del plasma. Dicevamo degli aspetti “politici”: l’ospedale di De Donno – come raccontava la Gazzetta di Mantova – era stata esclusa in prima battuta dallo studio Tsunami sul plasma iperimmune, la ricerca predisposta dall’ISS e dall’Aifa per verificare l’eventuale utilità di quella “terapia”. Poi l’ospedale Poma sarebbe stato inserito nella sperimentazione. Tra difficoltà varie e presunti boicottaggi, lo Tsunami avrebbe poi fornito esiti negativi: “Nel complesso TSUNAMI non ha quindi evidenziato un beneficio del plasma in termini di riduzione del rischio di peggioramento respiratorio o morte nei primi trenta giorni”, si legge ancora sul sito dell’ISS. Per quanto una piccola apertura venisse evidenziata: “Questo (una leggera positività statistica, ndr) potrebbe suggerire l’opportunità di studiare ulteriormente il potenziale ruolo terapeutico del plasma nei soggetti con COVID lieve-moderato e nelle primissime fasi della malattia”. Ma niente di più o quasi.

Per fortuna, la vaccinazione era divenuta realtà, per quanto fossimo al principio della diffusione a macchia d’olio tra tutta la popolazione. Il professor De Donno – lo aveva confermato pure nella nostra intervista – non era affatto contrario ai vaccini anti-Covid19, anzi li auspicava. Comunque, il dottore e le sue terapie, dopo un periodo di sovraesposizione, erano finite in secondo piano. Tanto che oggi si parla di “accantonamento”. Prima di togliersi la vita, De Donno aveva optato per le dimissioni dall’ospedale in cui aveva lottato contro la pandemia e per un incarico come medico di base. 

"È stato tolto di mezzo": la morte di De Donno scatena i social. Angela Leucci il 28 Luglio 2021 su Il Giornale. La morte di Giuseppe De Donno ha sollevato tantissimi interrogativi nel popolo dei social network: i commenti alludono all’istigazione al suicidio. Sgomento, incredulità, dolore: sono le emozioni che la notizia del suicidio di Giuseppe De Donno ha portato con sé. È stato reso noto nella serata di ieri che il medico che ha sostenuto e promosso la cura del plasma iperimmune contro il Covid-19 si era suicidato nella sua casa di Eremo, frazione di Curtatone in provincia di Mantova. La sua storia professionale aveva colpito l’immaginario collettivo, insieme con l’ostracismo che gli era stato opposto da parte della comunità scientifica: per questa ragione sui social network molti gridano all’istigazione al suicidio o addirittura all’omicidio. “Mi dispiace tanto. Molti sacrifici per la sua cura, una persona seria e onesta. Qualcosa c'è sotto. Induzione al suicidio. Ci sono tante serpi in giro... scomodo al sistema”, scrive un uomo su Facebook. “Si sarà sentito stritolato da quel sistema clientelare, che mette sul piedistallo gli amici, e rende la vita difficile, se non addirittura impossibile, a chi ha l'onestà intellettuale e osa non piegarsi davanti ai diktat dei poteri forti - scrive un’altra utente - In questa Italietta, oggi più che mai, se non condividi il pensiero unico dominante, i meriti non valgono più nulla”. L’incredulità la fa da padrone: non sono ancora note le ragioni del gesto di De Donno, ma in molti hanno ipotizzato che il medico, ex primario al “Carlo Poma” di Mantova e da qualche giorno medico di base a Porto Mantovano, fosse affranto dal dolore di vedere rigettata dalla medicina ufficiale la sua cura per la cui sperimentazione aveva combattuto strenuamente. “Non ci credo che sia suicidio… se non c'è un motivo… spero che venga la verità… non ci crederò mai… grazie di tutto cuore di quello che hai fatto per noi”, recita un altro commento. E queste parole non vengono necessariamente da sostenitori del medico, ma anche da altre persone che guardavano con curiosità e ammirazione il lavoro di De Donno. Finché qualcuno azzarda: “Per me lo hanno fatto passare per suicidio (e non è la prima volta) qualcuno l’ha voluto togliere di torno, girano interessi miliardari sui vaccini e lui aveva trovato la cura efficace che disturbava le case farmaceutiche”. Quel che è certo è che Giuseppe De Donno, benché la terapia con il plasma iperimmune sia stata osteggiata, godeva di un grande affetto da parte delle persone comuni. Da nord a sud Italia erano tantissimi i suoi estimatori, alcuni dei quali testimoniavano personalmente la bontà dei suoi studi. Il cordoglio è particolarmente sentito nella zona in cui era stato primario, vincitore di concorso, la “sua” Mantova che aveva lasciato, oltre che il Salento, Maglie, la città in cui si era diplomato al liceo classico, Morigino, la frazione che gli aveva dato i natali.

Angela Leucci. Giornalista, ex bibliotecaria, filologa romanza, esperta di brachigrafia medievale e di cinema.

Giovanni Bernardi per corriere.it il 28 luglio 2021. Il medico pneumologo Giuseppe De Donno si è tolto la vita. La scoperta è avvenuta nel tardo pomeriggio di martedì 27 luglio, quando il corpo senza vita del medico è stato trovato nella sua abitazione di Curtatone, alle porte di Mantova. Sotto choc la comunità mantovana e i suoi colleghi medici, che mai si sarebbero aspettati si potesse verificare un episodio simile. Il medico non avrebbe lasciato messaggi, ma le cause andrebbero ricercate sia in problemi di natura personale che, forse, lavorativa. De Donno era balzato agli onori delle cronache durante il lockdown del 2020, quando con i colleghi dell’ospedale Carlo Poma di Mantova aveva investito energie e risorse nella cura del Covid per mezzo del plasma iperimmune. Cura che però nel corso del tempo è stata abbandonata, anche a fronte di ricerche e studi internazionali sull’argomento. Da alcune settimane, dopo aver passato anni come primario della Pneumologia dell’ospedale di Mantova, era medico di base a Porto Mantovano. De Donno infatti aveva dato le dimissioni dal nosocomio cittadino preferendo dedicarsi alla medicina di famiglia nel comune alle porte della città. «Siamo sinceramente allibiti — afferma il direttore dell’Asst di Mantova —. Ho avuto modo di conoscere di persona e confrontarmi più di una volta con De Donno e devo dire che era una persona davvero squisita: onesto fino in fondo, si è sempre speso per la verità e per gli altri. Durante la prima ondata del Covid aveva dato il meglio di se stesso ed era davvero apprezzato sia dai colleghi medici che dalle centinaia di pazienti che hanno avuto a che fare con lui. Aveva investito moltissimo anche nelle ricerche sul plasma, cura che ora è stata abbandonata ma che nonostante tutto aveva dato i suoi frutti. L’abbandono del plasma per altre cure per lui è stato sicuramente un colpo decisamente difficile da gestire».

(ANSA il 28 luglio 2021) La procura di Mantova ha deciso di procedere con ulteriori indagini, aprendo formalmente un'inchiesta sulla morte di Giuseppe De Donno, l'ex primario di pneumologia dell'ospedale Carlo Poma e padre della terapia anti Covid con il plasma iperimmune. De Donno si sarebbe suicidato impiccandosi ed è stato trovato ieri dai familiari nella sua casa di Eremo di Curtatone, ma la procura vuole capire se nel suicidio possano esserci responsabilità di terzi. In pratica, l'obiettivo degli inquirenti è comprendere se qualcuno possa aver indotto l'ex primario, che il 5 luglio scorso aveva iniziato le sua nuova attività di medico di base dopo essersi dimesso dall'ospedale, a togliersi la vita, senza lasciare alcun messaggio. Già ieri sera i carabinieri e il magistrato hanno sentito i familiari, la moglie e i due figli, mentre sono stati posti sotto sequestro i cellulari e il computer del medico. Il corpo del medico si trova alle camere mortuarie dell'ospedale Carlo Poma di Mantova, in attesa di essere restituita alla famiglia per i funerali. De Donno, nei mesi caldi della pandemia dello scorso anno, era diventato il simbolo della lotta al virus condotta con il plasma prelevato dagli infettati e guariti e poi trasfuso nei malati. La sua battaglia per imporre la terapia aveva suscitato molte polemiche, dividendo sui social l'opinione pubblica tra favorevoli e contrari. De Donno era un assiduo frequentatore, fino a qualche mese fa, di Facebook, dove anche con falsi profili discuteva con se stesso dell'efficacia del plasma iperimmune. Qualche tempo fa ne era però uscito quando si era accorto che tanti dei suoi seguaci erano no vax. Adesso sui social la sua morte, oltre a suscitare cordoglio e commozione, ha anche scatenato una ridda di teorie complottistiche. Soprattutto, sulla sua decisione, improvvisa, di dimettersi da primario ospedaliero per intraprendere la carriera del medico di famiglia. De Donno, pubblicamente, non l'aveva mai messa in relazione alla delusione per la terapia del plasma iperimmune giudicata inefficace; quello stop, invece, in lui aveva fatto riaffiorare i fantasmi di un vecchio disagio psicologico fin lì tenuto sotto controllo. Paradossalmente, l'emergenza Covid con la necessità di rimanere in reparto anche 18 ore accanto ai pazienti aveva avuto un effetto positivo su De Donno, svanito via via che l'emergenza in ospedale si affievoliva. I suoi ex colleghi della pneumologia e la direzione dell'Asst, sconvolti per l'accaduto, in una nota, lo ricordano come un "professionista eccellente e di grande umanità" e per "la sua completa abnegazione", con i pazienti al primo posto. "Giuseppe era così, a momenti solare e in altri ombroso", "perché disilluso da qualcosa o indispettito o arrabbiato per non essere riuscito a fare quello che sperava per i pazienti. Speriamo che ora possa trovare quella pace che gli è mancata qui".

Avviate le indagini sulla morte di De Donno. Silenzio assordante da parte delle Istituzioni. Rec News il 28 Luglio 2021. Sul decesso e sulle possibili responsabilità da parte di terzi indagano ora la Procura e i Carabinieri di Mantova, coordinati dal colonnello Antonello Minutoli. Per il momento nessuna frase di cordoglio da parte di Draghi, Speranza e Mattarella er il mainstream si è “suicidato”, per quelli che vengono considerati complottisti “è stato aiutato ad andare”. Per alcuni, invece, a pesare è stato il clima avvelenato dalle calunnie e dagli insulti gratuiti. La morte del dottor Giuseppe De Donno – considerato erroneamente il padre della plasmaferesi, tecnica che si utilizza fin dagli anni ’50 – è un giallo completo. La stampa commerciale riferisce del decesso che sarebbe avvenuto il pomeriggio del 27, e della famiglia che avrebbe ritrovato il corpo. Si parla di “impiccagione” e dell’assenza di un biglietto con cui giustificare il gesto. Le ombre rimangono tante, ma quel che è certo è che la narrazione dell’episodio è ora utilizzata per tentare di incutere un clima di paura nei più critici verso la dittatura sanitaria. Social, commenti ai siti e ai personaggi in vista: da ore è tutto un fiorire di “ecco che succede se ti esponi come ha fatto De Donno”, e simili. Tutte frasi che lasciano il tempo che trovano, strumentalizzazioni che tentano di scoraggiare chi ha deciso di esporsi o, meglio, di non piegarsi. E’ già, tuttavia, un fiorire di gruppi, associazioni e comitati risoluti a scoprire la “verità” sul professore attivo nel Mantovano. La vicenda di De Donno è nota: già primario del reparto di Pneumologia del Carlo Poma – uno dei tanti che nel corso dell’emergenza ha utilizzato la contestata tecnica della prono - supinazione – ad un certo punto della sua attività – spiega la stampa commerciale – “abbandona tutto per fare il medico di base”. Alcune testate parlano di grosse somme investite nella plasmaferesi, e del conseguente “stato depressivo” che sarebbe seguito dopo il no alle terapie delle sfere alte. Vicino e avvicinato dalla politica, diventa suo malgrado un paladino anti-sistema, pur frequentando determinati contesti. Si contrappone alla narrazione dominante e agli influencer pro-vax, sempre debitamente in vista nelle trasmissioni più seguite, a differenza di altri medici che hanno curato centinaia di pazienti confrontandosi con un silenzio assordante da parte della stampa e delle reti commerciali. Che la questione non sia solo sanitaria, del resto, lo dice lo stesso panorama italiano sulle cure di questo tipo. Che la plasmaferesi naturale ottenuta utilizzando semplicemente gli anticorpi dei pazienti guariti non potesse avere futuro in un Paese in cui l’emergenza è mantenuta in vita per forza – soprattutto in vista di “quei 200 miliardi che dobbiamo spendere” (cit. Fusani) – lo racconta la storia della stessa azienda Kedrion che si occupa anche di plasmaferesi, ma artificiale. Di proprietà di Paolo Marcucci (fratello del senatore del Pd Andrea), Kedrion è ormai lanciatissima, e potrà contare su almeno un quadriennio di investimenti. Quelli che De Donno cercava da tempo, che per un motivo o per l’altro non gli sono stati concessi. Sul decesso e sulle possibili responsabilità da parte di terzi indagano ora la Procura e i Carabinieri di Mantova, coordinati dal colonnello Antonello Minutoli. Intanto, oltre alla tristezza comunicata da molti in queste ore, c’è il silenzio assordante delle massime Istituzioni. Non una parola di cordoglio, fino a questo momento, dal premier Mario Draghi, dal ministro della Salute Speranza e dal presidente della Repubblica Mattarella. 

Giuseppe De Donno, indaga la Procura: "responsabilità di terzi nel suicidio?", i sospetti. Libero Quotidiano il 28 luglio 2021. Ulteriori indagini sono state disposte dalla procura di Mantova sulla morte di Giuseppe De Donno. È stata quindi aperta formalmente un’inchiesta per far luce sul suicidio dell’ex primario di pneumologia dell’ospedale Carlo Poma: il 54enne è stato trovato privo di vita nella sua casa di Eremo, la procura vuole capire se nel suicidio possano esserci responsabilità di terzi. Nella serata di ieri, martedì 27 luglio, i carabinieri e il magistrato hanno sentito i familiari - De Donno aveva una moglie e due figli - e hanno sequestrato i cellulari e il computer personale del medico. L’ex primario del Poma aveva acquisito una certa popolarità per la sua terapia con il plasma che era stata utile per guarire diversi pazienti affetti dal Covid. Il plasma iperimmune è però stato giudicato inefficace, ma pare che non sia stata questa delusione a spingere De Donno a lasciare l’ospedale per intraprendere la carriera del medico di famiglia. I colleghi del Poma e la direzione dell’Asst ricordano De Donno come “un professionista eccellente e di grande umanità, che ha lasciato un vuoto incolmabile”. In merito alla sua decisione di cambiare vita lavorativa, la direzione della Asst di Mantova sottolinea che il “percorso di cambiamento” era stato maturato “dopo il periodo più intenso e drammatico della pandemia, che ha visto De Donno dedicarsi con passione e abnegazione alla cura dei pazienti colpiti dal Covid”.

Giuseppe De Donno, Selvaggia Lucarelli: "Miserabili no-vax che sbraitate, la frase estrema sul "morto per propaganda”. Libero Quotidiano il 28 luglio 2021. Selvaggia Lucarelli ha espresso la sua opinione sulla morte di Giuseppe De Donno, che nel pomeriggio di ieri - martedì 27 luglio - si è suicidato nella sua abitazione. Ancora da chiarire le circostanze e le motivazioni che hanno portato l’ex primario di pneumologia dell’ospedale Carlo Poma a togliersi la vita. “Volevo ricordare a quei miserabili dei no vax che oggi stanno santificando De Donno - ha scritto la Lucarelli in un tweet - che sbraitano da mesi chiedendo di non usare i morti per fare propaganda”. “Ecco - ha aggiunto la giornalista di Tpi - oggi state usando un morto per fare propaganda. Tacete”. Molti no vax sui social stanno infatti usando il medico, divenuto famoso per la terapia al plasma che è stata utile nelle fasi più tremende dell’epidemia di coronavirus, per alimentare teorie di complotto che non fanno bene a nessuno e soprattutto sono irrispettose nei confronti della famiglia di una persona che si è tolta la vita per motivi che non sono noti. Tra l’altro De Donno era stato tra i primi vaccinati all’ospedale Carlo Poma: “La giornata odierna ha un significato molto importante - aveva dichiarato in quell’occasione - rappresenta l’emblema della ripartenza del Paese. Noi operatori abbiamo cercato di dare un esempio, visto che l’obiettivo è quello di toccare un 90% di vaccinati che metterebbe al riparo il Paese”.

Giuseppe De Donno, il vecchio e vergognoso sfregio di Selvaggia Lucarelli: "Beh, lasciato l'ospedale...". Libero Quotidiano il 28 luglio 2021. Addio a Giuseppe De Donno, il medico mantovano e padre della cura con plasma iperimmune, di cui fu tra i primi sponsor insieme a Le Iene. L'ex primario si è tolto la vita, a 54 anni. Lascia moglie e figli. Dietro al gesto estremo, stando alle prime ricostruzioni, il dolore per lo stop alla sperimentazione del plasma iperimmune come cura contro il coronavirus e qualcuno sostiene anche una malattia. Un caso che sta facendo rumore, che sta polarizzando, che fa discutere. Già, De Donno viene subito tirato per la giacchetta, a sproposito e in modo scomposto e indecente, dai no-vax, i quali sui social alimentano le più bieche teorie del complotto. Il ritornello? "È stato ucciso", certo non materialmente, ma dalle decisioni che lo hanno tagliato fuori. Oltre alle posizioni deliranti, però, ce ne sono di più composte, e che devono far riflettere, come quella di Maria Giovanna Maglie, che punta il dito contro i colleghi e i giornalisti che, per lungo tempo, De Donno lo avevano irriso e "calunniato", per usare le sue parole. Ed insomma, in questo contesto non può che rimbalzare agli onori delle cronache un vecchio cinguettio di Selvaggia Lucarelli, la quale si scagliò contro De Donno proprio quando Matteo Salvini e Le Iene, due nemici giurati della sacerdotessa del giusto, sostenevano i suoi studi. Ai tempi, la blogger scrisse: "Vi ricordate il messia Giuseppe De Donno? Quel medico che salvava tutti con il plasma che chiamava proiettile magico, mentre Salvini e Le Iene insinuavano che siccome era una cura gratuità chissà, cielanakondono (scritto così nel cinguettio, ndr)? Beh, lasciato l'ospedale, ora è medico di base a Porto Mantovano", concluse Selvaggia Lucarelli. Un tweet vergognoso. Uno sfregio gratuito e lo sfottò, come se un medico di base a Porto Mantovano fosse l'ultimo dei fessi. Uno sfott piovuto senza neppure conoscere le vere ragioni del passo indietro di De Donno. Un cinguettio che, oggi, stona. E parecchio.

Giuseppe De Donno, l'affondo di Pietro Senaldi: "Lo sciacallaggio di Selvaggia Lucarelli. Chi ha il medico sulla coscienza". Libero Quotidiano il 02 agosto 2021. Pietro Senaldi, condirettore di Libero, torna a parlare nel suo video-editoriale di oggi del suicidio del medico Giuseppe De Donno, trovato impiccato in casa sua. Aveva sponsorizzato una terapia anti-covid fatta di trasfusioni di sangue infetto. Aveva avuto più effetto mediatico che scientifico ed infatti era stata bocciata. De Donno aveva lasciato l'ospedale per la professione privata. "Adesso ci si litiga le spoglie", tuona Senaldi ricordando i nov vax che adesso sostengono che "è stato un omicidio poiché dopo aver trovato la cura e dispiacendo alle case farmaceutiche, è stato abbandonato. Altri sostengono che fosse un ciarlatano". "Non essendo noi laureati in medicina non esprimiamo pareri a riguardo", puntualizza Senaldi facendo notare però che, al contrario, "Selvaggia Lucarelli, che è laureata in giurie di ballo e riempimento di maroni al prossimo, ma evidentemente ha anche qualche titolo scientifico, pur comprendendo la tragedia umana di De Donno, dice che questo spacciava fake news, era un complottista, il tutto per portare avanti le sue teorie e il suo successo scientifico". "Secondo me è sciacallaggio" conclude Senaldi. "De Donno, per me, si è ucciso perché, giuste o sbagliate, credeva fortemente nelle sue idee. Cosa che non posso dire per chi lo critica con questa furia selvaggia e anche ripugnante".

Giuseppe De Donno, la drammatica accusa di Maria Giovanna Maglie: "Calunnie e insulti, il collega che lo ha irriso". Libero Quotidiano il 28 luglio 2021. La morte di Giuseppe De Donno scatena la polemica. Il medico ed ex primario di pneumologia dell'ospedale di Mantova, da poco tempo tornato a fare il medico di base, è stato trovato senza vita nella sua abitazione, impiccata. Si tratta del medico che per primo iniziò le cure al coronavirus con le trasfusioni di plasma iperimmune, tecnica controversa e contro la quale, di fatto, è piovuto lo stop della comunità scientifica. E sarebbe stato anche questo stop a pesare come un macigno, per De Donno. Tra chi subito ha puntato il dito, si è speso in accuse per quanto accaduto, ecco Maria Giovanna Maglie, una che come sempre non le manda a dire. Su Twitter, la giornalista ha picchiato durissimo: "Troppe calunnie, insulti, irrisione dei colleghi da talk tv col sopracciò. Gli stessi che ci impongono il greenpass", ha cinguettato. Un tweet, quello della Maglie, che in una sola ora ha collezionato oltre mille like. Ma non è l'unica, la Maglie. Anche molti utenti "semplici", non famosi, nutrono dei dubbi per quanto accaduto. Per esempio Filippo, il quale si interroga: "Suicida? Siamo sicuri? Questa storia è inquietante e surreale". E ancora, Massimo, il quale alza il livello delle accuse: "Questo suicidio in realtà è un omicidio che ha mandanti ed esecutori conosciuti". Quindi Alex: "Dietro il presunto suicidio di De Donno c'è un uomo lasciato solo, un medico che aveva dedicato tutto alla sua cura e le sue ricerche". Insomma, come sempre online monta il sospetto...

Giuseppe De Donno, l'agghiacciante teoria di Alessandro Meluzzi: "Ecco perché è morto", occhio a questa foto. Libero Quotidiano il 28 luglio 2021. Una morte, anzi un suicidio, che scatena sospetti e complottismi. Si parla della tragica fine di Giuseppe De Donno, l'ex primario di pneumologia dell'ospedale di Mantova trovato senza vita nella sua casa. De Donno, sostenuto anche da Le Iene di Italia 1, fu uno dei principali fautori della cura al coronavirus con plasma iperimmune, una cura che di fatto non ha mai trovato terreno fertile (ed è proprio questo il fattore che ha scatenato i complottisti). Lo stop alla ricerca sul plasma iperimmune sarebbe stato un duro colpo per De Donno, un dolore che faticava a superare. Dopo la notizia della sua morte, come detto, ecco le polemiche. In primis Red Ronnie, che ha picchiato durissimo: Lo hanno lasciato solo, lo hanno ucciso. De Donno è una vittima di quelli che hanno deciso questo scempio a cui stiamo assistendo, dovrebbe essere fatto santo". Quindi, tra i molti, anche Maria Giovanna Maglie, la giornalista che ha puntato il dito contro i virologi e i colleghi che lo hanno calunniato e offeso in televisione. Insomma, una Maglie che sosteneva la cura con plasma iperimmune. Si arriva poi al terrificante cinguettio di Alessandro Meluzzi, che non può non dire la sua su questa vicenda. E lo psichiatra, schierato da tempo sul fronte del negazionismo più spinto, rilancia sui suoi profilo social ciò che potete vedere qui sotto: l'immagine di un'infermiera con gli occhi coperti da una mascherina improvvisata con una banconota da 500 euro. A corredo, il commento: "De Donno è morto perché non era uno di loro, ma non illudetevi, potete uccidere un uomo ma non le sue idee", conclude Meluzzi. 

Giuseppe De Donno, "gli sciacalli del suicidio". Dopo la morte, il drammatico sfogo del collega: chi finisce nel mirino. Libero Quotidiano il 28 luglio 2021. La morte di Giuseppe De Donno ha sconvolto l’intera comunità mantovana e non solo, dato che l’ex primario di pneumologia dell’ospedale Carlo Poma era conosciuto in tutta Italia come il padre della terapia al plasma che ha contribuito a salvare diverse vite nella fase più violenta dell’epidemia di coronavirus. In molti sui social si sono scagliati contro il mondo della scienza e alcuni colleghi, accusati di aver lasciato solo De Donno e di averlo screditato per la sua terapia che prevedeva l’infusione di sangue di contagiati in altri pazienti infetti. Sul tema è intervenuto anche Nino Cartabellotta di Gimbe, che ha voluto mettere un punto: “Strumentalizzare la morte di De Donno per alimentare posizioni no vax e teorizzare complottismi è sciacallaggio allo stato puro”. Il medico aveva 54 anni ed è stato trovato privo di vita nella sua casa di Eremo, frazione del comune di Curtatone: a fare la tristissima scoperta sono stati alcuni familiari. De Donno pare che si sia impiccato, al momento non sono ancora chiare le circostanze del suicidio né tantomeno le motivazioni. Anche Matteo Salvini ha commentato la morte del medico, che aveva avuto occasione di conoscere: “Non ci volevo credere. Perdiamo una bella persona, un grande medico, che durante il Covid ha lottato come un leone per salvare centinaia di vite, spesso contro tutto e tutti. Buon viaggio Giuseppe, lasci un vuoto grande”.

Giuseppe De Donno, la sconvolgente accusa di Red Ronnie: "Ora basta, ecco chi lo ha ammazzato. Lo hanno ucciso". Libero Quotidiano il 28 luglio 2021. Choc e polemiche dopo la notizia della morte di Giuseppe De Donno, l'ex primario di pneumologia dell'ospedale di Mantova morto suicida, impiccandosi nella sua casa. De Donno fu uno dei principali fautori della cura con plasma iperimmune per il coronavirus, cura che fu poi fermata: un duro colpo che il medico non avrebbe mai superato. La notizia del suo suicidio, come detto, ha scatenato un vespaio di polemiche, soprattutto sui social. Molti hanno puntato il dito contro il mondo della scienza, che avrebbe "lasciato solo" il medico mantovano, ostracizzato a causa della sua terapia contro il Covid, considerata un poco controversa, una terapia che prevedeva l'infusione di sangue di contagiati, dopo un trattamento, in altri pazienti infetti. E tra chi punta il dito, ecco Red Ronnie, che alla notizia della scomparsa del primario si è prodotto in un durissimo sfogo: "Lo hanno lasciato solo, lo hanno ucciso. De Donno è una vittima di quelli che hanno deciso questo scempio a cui stiamo assistendo, dovrebbe essere fatto santo". E ancora, lo storico conduttore di Roxy Bar, rimarca come De Donno era "una persona semplice, un medico che aveva capito che non bisognava intubare i malati e bruciargli i polmoni, ma bastava il plasma. Eppure non è possibile salvare le vite con metodi che non sono prescritti. Una sacca di plasma costava 80 euro (...). Avrebbe aiutato i malati a reagire, a vincere", ha concluso. Ma non è tutto. Red Ronnie, dopo lo sconforto, aggiunge: "Sono triste, arrabbiato. Questo mi fa diventare determinato. È ora di dire basta. Giuseppe De Donno se n'è andato. Lo volevo chiamare, non pensavo che sarebbe andata così. Con questo gesto De Donno ha motivato ancora di più noi che crediamo nell'umanità e non sul profitto, sul guadagnare su un farmaco", ha concluso Red Ronnie. Parole pesantissime.

Giuseppe De Donno, inquietante Enrico Ruggeri: "La verità sul suicidio? Nel difetto della sua cura". Libero Quotidiano il 28 luglio 2021. Dopo Red Ronnie, anche Enrico Ruggeri ha espresso il suo pensiero sulla morte di Giuseppe De Donno, trovato privo di vita nella sua abitazione di Eremo, frazione del comune di Curtatone. Il medico aveva 54 anni e si sarebbe suicidato impiccandosi: al momento non sono chiare le circostanze né tantomeno le motivazioni. Il suo gesto estremo non ha lasciato indifferente l’opinione pubblica, dato che De Donno era conosciuto in qualità di padre della terapia al plasma, i cui benefici non sono stati certificati ufficialmente ma erano stati diversi i pazienti salvati in questo modo. Il tweet di Ruggeri è stato piuttosto polemico: “Messo a tacere, delegittimato, deriso, escluso dai programmi tv. La sua cura aveva solo un difetto: costava pochissimo. Come disse De Andrè siamo tutti coinvolti in questa tragedia, che è anche la nostra”. Ruggeri è uno dei tanti famosi e non che sui social si sono scagliati contro il mondo della scienza e alcuni colleghi, accusati di aver lasciato solo De Donno e di averlo screditato per la sua terapia al plasma. Anche Matteo Salvini ha voluto commentare la morte dell’ex primario dell’ospedale Carlo Poma di Mantova: “Non ci volevo credere. Perdiamo una bella persona, un grande medico, che durante il Covid ha lottato come un leone per salvare centinaia di vite, spesso contro tutto e tutti. Buon viaggio Giuseppe, lasci un vuoto grande”.

Aveva lasciato i social dopo aver scoperto che tra i suoi seguaci molti erano no vax. Giuseppe De Donno, la procura apre un’inchiesta sulla sua morte: “Speriamo possa trovare la pace che gli è mancata qui”. Elena Del Mastro su Il Riformista il 28 Luglio 2021. Sono stati i suoi familiari a trovare il corpo senza vita di Giuseppe De Donno, l’ex primario di pneumologia dell’ospedale Carlo Poma di Mantova e padre della terapia anti Covid con il plasma iperimmune. Si sarebbe suicidato impiccandosi ma la procura di Mantova vuole vederci chiaro e ha deciso di aprire formalmente un’inchiesta per capire se dietro quella morte apparentemente volontaria ci possa essere qualcuno che lo ha indotto a farlo. A destare sospetto il fatto che il medico non abbia lasciato alcun biglietto per la sua famiglia nella casa di Eremo di Curtatone dove è stato trovato il 27 luglio. Già ieri sera i carabinieri e il magistrato hanno sentito i familiari, la moglie e i due figli, mentre sono stati posti sotto sequestro i cellulari e il computer del medico. De Donno, che il 5 luglio scorso si era dimesso dal ruolo di primario della pneumologia dell’Ospedale di Mantova per iniziare con entusiasmo la sua attività di medico di base, era diventato il simbolo della lotta al Covid. Era il marzo 2020 quando scoppiò la pandemia che colpì subito il nord Italia. Lui sempre in prima linea in quei giorni in cui poco o nulla si sapeva del virus, fu tra i primi a proporre una terapia mediante l’uso del plasma prelevato dagli infettati e guariti e poi trasfuso nei malati. Questa pratica fu molto dibattuta all’epoca suscitando molte polemiche tra favorevoli e contrari. De Donno era un assiduo frequentatore, fino a qualche mese fa, di Facebook, dove anche con falsi profili discuteva con se stesso dell’efficacia del plasma iperimmune. Qualche tempo fa ne era però uscito quando si era accorto che tanti dei suoi seguaci erano no vax. Adesso sui social la sua morte, oltre a suscitare cordoglio e commozione, ha anche scatenato una raffica di teorie complottistiche. A suscitare dubbi in cui innestare teorie, molte delle quali estremamente fantasiose, la decisione di De Donno di lasciare il ruolo di primario e diventare medico di base. De Donno non ha mai pubblicamente affermato che ci potesse essere una correlazione con la delusione per la terapia al plasma iperimmune da lui studiata e poi giudicata inefficace. Forse quello stop potrebbero aver fatto riaffiorare i fantasmi di un vecchio disagio psicologico fin lì tenuto a bada forse anche dalla necessità di stare accanto ai suoi pazienti in un momento così difficile come quello appena trascorso. I suoi ex colleghi della pneumologia e la direzione dell’Asst, sconvolti per l’accaduto, in una nota, lo ricordano come un “professionista eccellente e di grande umanità” e per “la sua completa abnegazione”, con i pazienti al primo posto. “Giuseppe era così, a momenti solare e in altri ombroso”, “perchè disilluso da qualcosa o indispettito o arrabbiato per non essere riuscito a fare quello che sperava per i pazienti. Speriamo che ora possa trovare quella pace che gli è mancata qui”.

Elena Del Mastro. Laureata in Filosofia, classe 1990, è appassionata di politica e tecnologia. È innamorata di Napoli di cui cerca di raccontare le mille sfaccettature, raccontando le storie delle persone, cercando di rimanere distante dagli stereotipi.

IL “SUICIDIO” DEL DOTTOR GIUSEPPE DE DONNO. SOLO CONTRO “BIG PHARMA”. Andrea Cinquegrani su La Voce delle Voci il 28 Luglio 2021. Un uomo vero, un medico autentico che ha salvato moltissime vite nella prima ondata del Covid, grazie alla terapia del "plasma iperimmune". Una presenza scomoda, pericolosa, la sua, soprattutto per gli stramiliardari interessi delle case farmaceutiche, della piovra chiamata Big Pharma. Forse per questo la vita di Giuseppe De Donno doveva finire e lui ‘doveva morire’, come hanno titolato – a proposito del delitto Moro – Ferdinando Imposimato e Sandro Provvisionato. Secondo altri, era molto depresso, estenuato dalle battaglie di un piccolo Davide contro Golia, sfinito per il suo sforzo quasi solitario, attaccato dai soloni in camice bianco, i virologi che impazzano in tivvù, dai media in un frastornante e belante coro, mai difeso dalla politica. A botta calda sorge spontanea la domanda. Poteva finire i suoi giorni così, impiccato nella sua casetta di campagna ad Eremo (un nome profetico), la minuscola frazione di Curtatone, nel mantovano? Una scena raccapricciante per i suoi, la moglie Laura e i figli Martina (consigliere comunale a Curtatone) e Eduardo. Può mai un medico esperto come lui cercare la morte in un modo così atroce e difficile da organizzare, e anche dall’esito non certo? Quando, proprio per un medico, esistono agevoli vie per andare al creatore impasticcandosi a dovere oppure iniettandosi la dose fatale? Non c’è forse un "segno" in quella tragica esecuzione, pardòn, fine? Un avvertimento forte e deciso: guai a toccare certi "fili", attenti, in futuro, a sfiorare certi interessi, a intaccare alcuni equilibri, a disturbare i manovratori. Saprà una seria inchiesta far luce sulla tragica fine? C’è solo da augurarselo, anche se siamo molto scettici, visto che in altri clamorosi casi la "giustizia" (sic) s’è arenata, totalmente spiaggiata: come, per fare solo due esempi, nel caso dei ‘suicidi’ di David Rossi e Marco Pantani, dove non sono bastate le infinite "anomalie" per far aprire gli occhi agli inquirenti, che hanno piombato tutto sotto una tombale archiviazione. Vergogna. Ma anche restando entro il perimetro del pur improbabile suicidio, e motivandolo con la depressione fortissima causata da tutti i tentativi di emarginazione professionale e delegittimazione a tutto campo, vediamo le ultime notizie e cerchiamo di ricostruire la "scena". 

ERA APPENA TORNATO A FARE IL MEDICO DI CAMPAGNA

Era appena tornato, il 5 luglio, a fare il medico di base, il "dottore di campagna" come lui stesso amava definirsi. Sì, perché ai primi di giugno aveva lasciato l’incarico per il quale aveva speso tutta la sua vita: dopo lunghe fatiche professionali, infatti, era diventa primario pneumologo all’ospedale "Carlo Poma" di Mantova. Il dottor Cesare Perotti, che insieme al collega Giuseppe De Donno ha messo a punto la cura con il plasma iperimmune. Lì il suo percorso ha una svolta otto anni fa, nel 2013, quando diventa dirigente medico della struttura complessa di Pneumologia e dell’Unità di Terapia Intensiva Respiratoria (Utir). A settembre 2018 viene nominato primario facente funzione, vince il concorso e diventa primario a pieno titolo ad inizio 2019. E, dopo un anno esatto, arriviamo ai drammatici giorni del coronavirus. Dove il suo nome balza ben presto agli onori delle cronache, perché con il collega Cesare Perotti del policlinico "San Matteo" di Pavia mette a punto la tecnica del "plasma iperimmune". Una tecnica "storica" e "innovativa" al tempo stesso. Perché terapie a base di plasma vennero utilizzate fin dal 1901 per curare la difterite, quindi impiegate per fronteggiare l’ultima grande pandemia del 1918, poi per contenere negli anni seguenti i focolai di morbillo, poliomielite e parotite. Quell’approccio terapeutico – nota subito De Donno – è utilissimo per combattere immediatamente il virus al suo primo insorgere: un po’ come succede con le cure, i farmaci di cui spesso la "Voce" ha scritto (idrossiclorochina, invermectina, lattoferrina etc.) e regolarmente boicottati dal governo e dalle autorità (sic) scientifiche, come Ema a livello europeo e AIFA a livello nazionale. Al plasma iperimmune viene riservato un trattamento "speciale": emarginato, oscurato, messo da parte, quasi desse fastidio. Con ogni probabilità anche perché si trattava (e si tratta) di una terapia molto economica – come ha più volte sottolineato De Donno – appena 80 euro per la sacca di plasma che consente la rivitalizzazione, in parole povere, del sangue aggredito dal virus. 

"IENE" ALL’ATTACCO

Ma c’è un improvviso momento di gloria, per il metodo-De Donno. Quando cioè le ‘Iene’, a maggio 2020, realizzano alcune inchieste choc capaci di catalizzare l’attenzione di un pubblico sempre più distratto, di cittadini cloroformizzati dal ritornello “tachipirina e vigile attesa” impartito – anzi letteralmente imposto – dal governo, che è il vero responsabile (con il Comitato Tecnico Scientifico) per migliaia e migliaia di vite perse in attesa del miracoloso vaccino, mai curate in modo adeguato (con i farmaci ad hoc e la terapia del plasma iperimmune) e invece inviati al massacro nelle corsie ospedaliere per l’intubazione e poi quasi sempre la morte. I reportage delle "Iene" (autori Alessandro Politi e Marco Fubini) svelano un’altra terapia possibile, e perfino economica. Viene intervistato De Donno. Un vero scoop: perché il medico di campagna scopre quanto il re sia nudo, come sia possibile fronteggiare il Covid prima dell’arrivo dei vaccini, quali siano i reali interessi di Big Pharma. Scorriamo alcune frasi pronunciate da De Donno, il cui senso adesso – dopo la sua tragica fine – possiamo capire ancora meglio. “Ho passato 25 giorni senza dormire. E anche ora quando arrivo a casa non riesco a smettere di pensare agli occhi dei nostri pazienti. Gli occhi dei morti, quelli che non siamo riusciti a salvare, mi accompagnano tutte le notti. Questo è un virus maledetto, in 36 ore ti distrugge. Dobbiamo imparare a conviverci. Ma proprio perché è un virus che ti colpisce duro, alle spalle, non capisco questo accanimento contro la cura al plasma”. Con questa terapia praticata al Carlo Poma “nessuno si è aggravato, non abbiamo registrato alcun effetto collaterale. Il plasma è sicuro. Non stiamo parlando di una pozione magica. I risultati dello studio stanno per essere pubblicati. A questo punto sarà la letteratura a parlare”. Sui motivi del boicottaggio contro la plasmaterapia, osserva: “Non lo so, forse perché sono un uomo libero, un medico di campagna che pensa solo a salvare vite umane. Forse il mondo accademico soffre perché la scoperta arriva da un piccolo ospedale e non da qualche rinomato laboratorio. Negli Stati Uniti stanno pensando di fare dei cicli di plasmaferesi per proteggere il personale medico. Di certo abbiamo aperto una nuova era. Questo è un nuovo modello che potremo utilizzare anche in futuro. A costi estremamente bassi”. Sui vaccini: “Io sono un sostenitore dei vaccini, ma sarà un lavoro lungo. Questo virus muta (le parole sono state pronunciate ben prima dell’arrivo delle varianti, ndr), ha diversi ceppi. Quello che ha colpito l’Italia non è lo stesso della Cina e nella stessa Lombardia ci sono diversi ceppi. A noi serve oggi subito un proiettile da usare per la fase acuta: una cura capace di seguire le mutazioni del virus. Il plasma lo fa”. “Era difficile reggere all’urto di un virus così terribile. Ma forse avremmo salvato qualche vita in più se la politica avesse ascoltato di meno gli accademici in televisione e di più gli ospedalieri che facevano le notti in bianco inseguiti dagli occhi dei morti”. Contro gli attacchi scatenati dall’allergologo di tutti i salotti tivvù, Roberto Burioni, osservava: “Burioni si comporta come se avesse la verità in tasca, dicendo che è meglio un farmaco sintetizzato che il plasma iperimmune. Non credo che sintetizzare il farmaco in laboratorio sia più economico. Questa è una cura democratica: arriva dal sangue donato dai guariti”. In un’altra puntata al calor bianco, le ‘Iene’ attaccano frontalmente "Kedrion Biopharma", la corazzata del gruppo Marcucci che si è autoproposta come azienda in grado di lavorare e produrre industrialmente il plasma iperimmune. Il reportage è al calor bianco: vengono ricostruite tutte le fasi ‘parlamentari’ dell’operazione, che ha il suo clou in un’audizione che si svolge al Senato e alla quale prende parte un ‘non invitato’ Paolo Marcucci, ceo di Kedrion e fratello di Andrea Marcucci, all’epoca capogruppo del Pd in Senato. In perfetto conflitto di interessi.

Kedrion parte lancia in resta e querela le "Iene". Ed anche la Voce, rea di aver osato parlare del mini golpe dei Marcucci a palazzo Madama e di aver ripreso il servizio delle Iene. La nostra querela viene "allargata" anche ad un’altra inchiesta, relativa ai rapporti di collaborazione fra Kedrion e un laboratorio cinese che opera nell’area di Wuhan, come aveva candidamente dichiarato Paolo Marcucci in un’ampia intervista rilasciata al Corriere della Sera. La querela firmata da Paolo Marcucci contro la Voce è stata archiviata appena un mese fa, dopo l’ordinanza del gip del tribunale di Napoli, Valentina Gallo, che ha considerato pienamente legittimi gli articoli della Voce e assolutamente non diffamatori ma rispecchianti la realtà dei fatti. 

IL PLAUSO INTERNAZIONALE AL METODO DE DONNO

Ma torniamo al giallo De Donno. La cui tecnica del plasma iperimmune con il passar dei mesi miete continui riconoscimenti a livello internazionale. Uno studio realizzato da un’equipe di Calcutta, condotto sui pazienti dell’ID&BG Hospital, ha fatto registrare un anno fa risultati sorprendenti: “una significativa mitigazione immediata dell’ipossia – scrivono i ricercatori – una riduzione della degenza ospedaliera e benefici di sopravvivenza” in pazienti covid-19. Proprio sull’efficacia immediata nella fase iniziale della malattia si è concentrato uno studio della "Johns Hopkins University", dal quale sono scaturiti risultati altrettanto confortanti, soprattutto per evitare le ospedalizzazioni (e/o ridurre i tempi di degenza), e attenuare sensibilmente gli effetti del virus.  Ancora. Sono di appena tre mesi fa i risultati di uno studio di Fase 2 condotto presso un importante centro di ricerca statunitense, l’‘Hackensack University Medical Center’ del New Yersey. Sono stati pubblicati dalla rivista scientifica ‘JCI Insights’ e indicano con estrema chiarezza i vantaggi che derivano dalla terapia, nonché la sua sicurezza ed efficacia. I pazienti sono stati divisi in due gruppi – viene descritto – a seconda della necessità di assistenza respiratoria e hanno ricevuto un’infusione di plasma ad alto titolo anticorpale. I promettenti risultati dell’intervento precoce – aggiungono – hanno portato all’avvio di un programma ambulatoriale attualmente in corso presso il Medical Centeruniversitario, con l’obiettivo di “trattare i pazienti nelle prime 96 ore dalla comparsa dei sintomi di covid-19 e dunque prevenire il ricovero in ospedale”. Così concludono: “La neutralizzazione virale precoce, con la conseguente prevenzione della risposta immunitaria dovuta al danno virale, costituisce la base per l’infusione del plasma dei convalescenti ad alto titolo. Poiché gli anticorpi provengono dai guariti che hanno sviluppato una risposta immunitaria anche contro le nuove varianti, la terapia potrebbe anche tenere il passo con l’aumento delle versioni mutate di Sars-Cov-2”. Le famigerate varianti. Nemo propheta in patria. Mentre il metodo De Donno raccoglie successi e riconoscimenti all’estero, in Italia continua ad essere boicottato e del tutto sottovalutato. Vediamo cosa succede, neanche un mese e mezzo fa, a metà giugno, in Emilia. Ecco cosa batte un’agenzia: “Decine e decine di unità di plasma iperimmune, più di 150, prelevato in provincia di Modena da donatori guariti dal Covid e pronte a diventare, attraverso trasfusione, cura per ammalati, giacciono inutilizzate presso il centro trasfusionale del Policlinico di Modena, a quanto pare senza prospettiva di essere utilizzate per la cura del covid”. Ecco la pezza a colori piazzata dal direttore del centro trasfusionale presso il Policlinico locale, Giovanni Ceccherelli: “Dopo un primo momento di entusiasmo nel quale sembrava fosse l’unica cura possibile per il covid, studi ed articoli apparsi su prestigiose riviste scientifiche hanno dimostrato che il plasma iperimmune non serve per la cura dei pazienti gravi ma serve solo in caso di malattia iniziale, rendendo il suo utilizzo di fatto impraticabile”. Chi ha mai detto si trattasse dell’unica cura possibile? Al contrario, sia De Donno che gli studi scientifici, come quelli appena citati, hanno sempre ribadito l’estrema utilità nella fase iniziale di aggressione del virus. Ed è evidente anche ad un bambino che in tutte le patologie vi sia sempre una ‘fase iniziale’: quindi il metodo può essere utilizzato in tutti i casi di insorgenza del covid. Con quale logica, quindi, l’utilizzo del plasma iper immune può rivelarsi "impraticabile"? Per quale arcano mistero? Palese più che mai, quindi, il boicottaggio "scientifico". A tutto campo. A tutto spiano. Per screditare e delegittimare il metodo e il suo "autore". 

P.S. Abbiamo parlato, all’inizio, di un metodo comunque "storico". A tal proposito vi consigliamo la visione di un film ‘vintage’ (è del 1971) protagonista eccellente Charlton Heston, il mitico Ben Hur stavolta nei panni di un medico che salva l’umanità da una tremenda pandemia. Si tratta di “The Omega Man”, da noi circolato con il titolo “1975: occhi bianchi sul pianeta terra”, tratto dal romanzo ‘I am Legend’ di Richard Matheson. Il protagonista – rimasto miracolosamente, unico uomo sulla terra, indenne dal virus – non riesce a brevettare in tempi rapidi un vaccino e ricorre quindi ad un altro metodo: comincia a trarre dal suo sangue il siero per curare uno, due, dieci pazienti; i quali faranno altrettanto fino a salvare il mondo. Rivedere per credere. O se preferite c’è un’altra pellicola ancor più datata, del ’64, ‘The Last Man on Earth’: lo scienziato protagonista, Vincent Price, “opera una trasfusione del suo sangue nel corpo della donna”: la sua Ruth guarisce e il miracolo comincia.

LO PNEUMOLOGO ACCUSA: BIG PHARMA CONTRO IL PLASMA IPERIMMUNE. Mario Avena su La Voce delle Voci il 7 Maggio 2020.

Viaggiano tra i social ma non trovano spazio sui media di regime le notizie sulle cure a base di plasma iperimmune sperimentate fino ad oggi con efficacia all’Ospedale Carlo Poma di Mantova da Giuseppe De Donno, il direttore della Pneumologia all’Unità di Terapia intensiva respiratoria. Dopo l’apparizione a Porta a Porta, alcune interviste e quindi il silenzio. Il suo profilo è sparito dai radar di Facebook. E comincia la ridda di voci: a chi dà fastidio la sua voce? Tocca dei grossi interessi o cosa?

A questo punto, ci pare necessario e doveroso riportare le sue ultime dichiarazioni. Ecco quindi i passaggi salienti di un articolo-intervista di Giuliano Balestrieri.

“Ho passato 25 giorni senza dormire. E anche ora quando arrivo a casa non riesco a smettere di pensare agli occhi dei nostri pazienti. Gli occhi dei morti, quelli che non siamo riusciti a salvare, mi accompagnano tutte le notti. Questo è un virus maledetto, in 36 ore ti distrugge. Dobbiamo imparare a conviverci. Ma proprio perché è un virus che ti colpisce duro, alle spalle, non capisco questo accanimento contro la cura al plasma”.

Da inizio aprile al Carlo Poma – scrive Balestrieri – “per lottare contro il coronavirus si sperimenta il plasma iperimmune. Tradotto: tratta i pazienti con il sangue dei contagiati che sono guariti. I numeri della sperimentazione non sono ancora enormi, circa un centinaio, ma nell’ultimo mese l’ospedale non ha avuto decessi tra le persone trattate: solo pazienti migliorati o stabilizzati. ‘Nessuno si è aggravato – sottolinea De Donno – non abbiamo registrato alcun effetto collaterale. Il plasma è sicuro. Non stiamo parlando di una pozione magica. I risultati dello studio stanno per essere pubblicati. A questo punto sarà la letteratura a parlare”.

Scrive il giornalista: “L’idea di usare il plasma, peraltro sostenuta anche da Giulio Tarro, è partita da De Donno e Salvatore Casari, direttore di Malattie infettive a Mantova, poi il protocollo è stato messo a punto da Cesare Perotti e Massimo Franchini, direttori di Immunoematologia e Medicina Trasfusionale a Pavia e Mantova. Il primario di Pneumologia, però, ancora non si capacita degli attacchi arrivati alla sua ricerca da parte della comunità scientifica”.

Il perché di questo ostracismo? “Non lo so, forse perché sono un uomo libero, un medico di campagna che pensa solo a salvare vite umane. Forse il mondo accademico soffre perché la scoperta arriva da un piccolo ospedale e non da qualche rinomato laboratorio. Di certo, se questa cura andrà avanti sarà per merito della rete ospedaliera. Che in Italia resta eccellente. Io non escludo che il plasma si possa utilizzare anche prima dell’insufficienza respiratoria. Negli Stati Uniti stanno pensando di fare dei cicli di plasmaferesi per proteggere il personale medico. Di certo abbiamo aperto una nuova era. Questo è un nuovo modello che potremo utilizzare anche in futuro. A costi estremamente bassi”.

Sulle critiche ricevute dal Mago di Vaccini & Brevetti, Roberto Burioni, così risponde De Donno.

“Burioni si comporta come se avesse la verità in tasca, dicendo che è meglio un farmaco sintetizzato piuttosto che il plasma iperimmune e che secondo lui potrebbe trasmettere malattie, mentre è sicuro grazie ai controlli accurati e meticolosi che facciamo da sempre. Burioni risponderà di quello che dice, ma attaccare la sicurezza del plasma è folle. Fossi il presidente dell’Avis mi vergognerei. E’ inaccettabile che sia intervenuto mettendo in dubbio la nostra sperimentazione quando avrebbe solo dovuto dire con chiarezza che il plasma è sicuro: se inoculiamo un dubbio del genere, le donazioni crollano. E il plasma iperimmune in questo momento è l’arma migliore che possediamo”.

Sul costo della cura De Donno chiarisce: “Per ogni paziente si spendono 82 euro, che sono il costo della sacca, del trattamento in laboratorio del plasma e del personale ospedaliero: più o meno quanto gli integratori per la palestra. Se sono tanti per salvare una vita non ho capito nulla della medicina. Poi, se le case farmaceutiche sono in grado di darci soluzioni migliori in tempi rapidi e a prezzi più bassi, sarei il più felice della terra. Non credo che sintetizzare il plasma in laboratorio sia più economico. Questa è una cura democratica: arriva dal sangue donato dai guariti”.

E sul vaccino? Ecco cosa risponde lo pneumologo mantovano: “Io sono un sostenitore dei vaccini, ma sarà un lavoro lungo. Questo virus muta, ha diversi ceppi. Quello che ha colpito l’Italia non è lo stesso della Cina e nella stessa Lombardia ci sono diversi ceppi, basta vedere come sono i decorsi dei pazienti. A noi serve oggi subito un proiettile da usare per la fase acuta: una cura capace di seguire le mutazioni del virus. Il plasma lo fa. Poi, se dalle case farmaceutiche ne arrivasse uno più economico e più efficace, ne saremmo felici”.

Continua De Donno: “I farmaci per l’artrite sono stati usati senza fiatare. Il plasma, una cura che funziona senza effetti collaterali, è contestato. Forse perché non muove grandi interessi economici. Però tanti ospedali stanno partendo con il nostro protocollo. E’ un buon segnale. Non so perché Burioni sia così negativo, ma di certo ha toppato ogni previsione, fin dall’inizio della pandemia. E purtroppo ha condizionato molte scelte politiche. Noi ospedalieri non cerchiamo notorietà, vogliamo solo salvare vite umane”.

“Era difficile reggere all’urto di un virus così terribile. Ma forse avremmo salvato qualche vita in più se la politica avesse ascoltato di meno gli accademici in televisione e di più gli ospedalieri che facevano le notti in bianco inseguiti dagli occhi dei morti”.

GRUPPO MARCUCCI. LA "VOCE" VINCE IL PRIMO ROUND GIUDIZIARIO. Andrea Cinquegrani su La Voce delle Voci il 5 Luglio 2021. La "Voce" vince il primo round giudiziario contro il gruppo Marcucci che aveva querelato poco più di un anno fa, a giugno 2020, tre nostre inchieste d’un paio di mesi prima e relative soprattutto alla pandemia da Covid-19.

Il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Napoli, Valentina Gallo, ha infatti archiviato la querela presentata dai legali di Paolo Marcucci, amministratore delegato di Kedrion nonchè fratello di Andrea – ex capogruppo del PD al Senato – e Marialina, ex azionista dell’Unità ad inizio anni 2000. Gli articoli, secondo il gip, che ha accolto le tesi del pm, sono perfettamente in linea con le tre regole del buon giornalismo: la notizia deve essere di interesse pubblico, va rispettata la verità dei fatti, gli stessi fatti devono essere esposti entro i limiti della continenza. E la Voce – lo ha stabilito il gip con una ordinanza inappellabile emessa il 6 giugno 2021 – ha rispettato questi tre criteri. Alla Voce non è mai pervenuto il testo della querela: abbiamo solo avuto notizia dell’udienza davanti al gip. Quindi non abbiamo presentato alcuna memoria difensiva. Il pm, perciò, ha chiesto l’archiviazione basandosi unicamente sui nostri articoli e sulla querela dei Marcucci. Per questo motivo ha ancor maggior valore l’ordinanza di archiviazione scritta dal gip Gallo. Ma vediamo adesso di quali articoli si tratta. 

L’INTERVISTA SCOOP AL CORSERA

Il primo è del 6 maggio 2020 e vede al centro una lunga intervista rilasciata da Paolo Marcucci al "Corriere della Sera", nel corso della quale il Ceo di Kedrion – la più importante impresa italiana sul fronte degli emoderivati – illustra le ultime performance dell’azienda di famiglia, nata ad inizio anni duemila, e fa riferimento ai rapporti di lavoro intrecciati all’estero. E parla, con dovizia di dettagli, dei rapporti intercorsi anche con la Cina, ed in particolare con imprese del distretto di Wuhan. La Voce ha trovato l’intervista molto interessante, per questo l’ha ripresa nella sua inchiesta, cogliendo tutto l’interesse pubblico (cioè dei cittadini-lettori) a saperne di più sulle ricerche condotte a Wuhan, in quei mesi al centro dell’attenzione mondiale per via delle perplessità legate alla genesi dell’epidemia; e, quindi, di essere informati circa i rapporti di collaborazione scientifica tra aziende italiane e cinesi, soprattutto quelle del distretto di Wuhan. In tempo reale, la Voce ha ricevuto una risentita lettera inviata dall’avvocato Carla Manduchi per conto di Paolo Marcucci, in cui veniva stigmatizzato il contenuto dell’articolo e venivamo accusati senza mezzi termini di aver costruito un collegamento tendenzioso tra Kedrion e il laboratorio di Wuhan finito nell’occhio del ciclone. A questo punto la Voce ha pubblicato, sempre in "tempo reale", sul suo sito la lettera dell’avvocato Manduchi e una nostra risposta, nella quale sottolineavamo che la clamorosa notizia era stata fornita da Paolo Marcucci in persona nell’intervista al Corserae noi non avevamo fatto altro che riportarla, con qualche ovvio, più che fisiologico commento. Concetto che il direttore della Voce ha ribadito nel corso dell’udienza che si è svolta davanti al gip Gallo: la notizia era vera, d’interesse pubblico ed esposta in modo "contenuto". 

IL BUSINESS DEL PLASMA IPERIMMUNE

Il secondo articolo querelato era incentrato sulla questione, di forte attualità un anno fa, del "plasma iperimmune". Una vicenda balzata alla ribalta della cronaca in piena pandemia, e riguardante una tecnica innovativa per fronteggiare il contagio, sperimentata con successo da un medico padovano. A questo punto fioccano gli interrogativi sul ricorso più massiccio a quella tecnica, e la cosa finisce anche tra le aule parlamentari. E viene affrontata nel corso di una riunione in Commissione al Senato, alla quale partecipa anche Paolo Marcucci che, in qualità di amministratore delegato di Kedrion, illustra i vantaggi che possono derivare da un processo ‘industriale’ relativo al plasma iperimmune. Scoppiano le polemiche, alimentate soprattutto da un reportage al calor bianco delle ‘Iene’ che attaccano frontalmente il gruppo Marcucci, accusandolo di voler speculare sulla cosa, facendo lievitare a dismisura il prezzo di una tecnica altrimenti molto economica (circa 80 euro a trattamento). La Voce viene querelata dai Marcucci per aver accostato il nome dei due Marcucci: uno, potente capogruppo del Pd al Senato, l’altro al timone di Kedrion. E per aver dato spazio alle pesanti accuse lanciate dalle Iene. 

ARTICOLI VOLATILIZZATI

Passiamo al terzo articolo querelato. Che vede al centro una denuncia di hackeraggio presentata dalla Voce alla stazione di polizia Napoli-Pianura. Il contenuto è presto spiegato. Chiunque voglia trovar traccia sul sito internet della Voce, ad esempio, dell’articolo su Wuhan appena descritto, farà un buco nell’acqua. Così come non troverà altri 4 articoli contestati dai Marcucci e di cui faremo cenno in seguito. Da qui è nata, un anno fa, la nostra denuncia in polizia, una denuncia di hackeraggio contro ignoti: perché, appunto, risultavano spariti dal nostro sito (e dall’archivio del sito) alcuni articoli che riguardavano il gruppo Marcucci. Anche quell’articolo è stato querelato, ma è ancora presente sul sito. A questo punto vediamo cosa scrive il gip nella sua ordinanza di archiviazione del 7 giugno. 

LA PAROLA AL GIP

“Il presente procedimento trae origine dalla integrazione di denuncia-querela presentata il 24.6.2020 da Marcucci Paolo che, in qualità di rappresentante della "Kedrion Spa", lamentava la pubblicazione, a far data dal 6.5.2020, sul sito web "La Voce delle Voci", il cui direttore responsabile è l’odierno indagato Cinquegrani Andrea, di taluni articoli ritenuti diffamatori in quanto lesivi della sua reputazione”. “Specificamente, secondo il denunciante, negli articoli in questione si affermerebbe che la società Kedrion, attiva nel settore degli emoderivati, avrebbe delle illecite connivenze con i laboratori cinesi di Wuhan, sospettati di aver agevolato la diffusione del Covid 19 e, ancora, che la società e la famiglia Marcucci sarebbero stati pronti ad approfittare dell’epidemia per guadagnare con l’affare del plasma iperimmune. Ritiene, inoltre, il querelante che l’articolista abbia offeso la sua reputazione riferendo di rapporti opachi tra i Marcucci e la politica, sussistendo una situazione di conflitto d’interessi in capo a Marcucci Andrea”. “Ciò posto, con riferimento alle esternazioni ritenute offensive in relazione alle quali veniva esercitata l’azione penale, con citazione a giudizio versata in atti, nell’ambito del procedimento penale n.9713/20 RGNR, sussiste l’improcedibilità per il principio del ne bis in idem”. Si tratta, in sostanza, di un altro filone processuale, riguardante altri 4 articoli querelati, che avrà inizio, sempre al tribunale di Napoli, il prossimo settembre. Continua il gip: “Per quanto concerne le frasi, nonché le immagini pubblicate negli articoli sul web, ritenute diffamatorie, si condividono le argomentazioni presentate dal P.m. in ordine alla sussistenza, nel caso in specie, dell’esimente del diritto di cronaca”. “Ed infatti le esternazioni del commentatore, lungi dal costituire un gratuito attacco alla reputazione del querelante, appaiono essere, piuttosto, delle considerazioni dell’articolista che, nel riportare talune notizie, sollevava delle perplessità in ordine all’operato dell’azienda, attiva nel mercato degli emoderivati”. “Il limite alla configurabilità dell’esimente è rappresentato, come è noto, dalla correttezza della forma espositiva in quanto la critica deve essere strettamente funzionale alla finalità di disapprovazione, senza sfociare nella gratuita ed immotivata aggressione dell’altrui reputazione. Rispettato tale limite, non è vietato neppure l’utilizzo di termini che, sebbene offensivi, abbiano il significato di mero giudizio critico negativo di cui si deve tener conto alla luce del complessivo contesto in cui il termine viene utilizzato (tra le tante, Cassazione Penale, sentenza n.17243 del 19/2/2020)”. Prosegue l’ordinanza: “Ebbene, il tenore delle espressioni pubblicate appare, nel caso in specie, rispettoso del limite della continenza, non essendo state proferite parole in sé oggettivamente offensive della reputazione del legale rappresentante della Kedrion nè della famiglia Marcucci ed apparendo le stesse strettamente correlate alle notizie riportate negli articoli ed alle riflessioni svolte dal giornalista”. “Anche con riferimento al lamentato ‘fotomontaggio’ ritenuto offensivo in quanto accostava il logo aziendale all’immagine di alcune persone con tratti somatici asiatici che indossavano mascherine protettive, appare evidente, dalla lettura dell’articolo, che il giornalista abbia riportato la notizia di una collaborazione con laboratori aventi sede nell’area di Wuhan, da dove è partito il virus e non anche che, come lamentato dal querelante, la società fosse in qualche modo coinvolta in tale ipotizzata diffusione del virus”. “Ancora, in relazione all’esternazione del sospetto di un possibile conflitto di interessi in capo a Marcucci Andrea, essa non appare offensiva della reputazione dell’opponente, richiamando il giornalista l’attenzione sui rapporti di quest’ultimo con forze politiche, nel rispetto dei limiti della verità e della continenza”. Così si avvia alla conclusione il gip del tribunale di Napoli: “Pertanto, ritenendosi rispettati i limiti oggettivi della scriminante del diritto di critica, in relazione a tutte le esternazioni contenute negli articoli, non coperte dall’atto di esercizio dell’azione penale, non si ravvisano fatti per i quali possa validamente sostenersi l’accusa in giudizio. Né appare utile lo svolgimento di ulteriori attività investigative considerato che la ricostruzione della vicenda, dal punto di vista fattuale, può dirsi esaustiva e non essendo stati prospettati ulteriori temi di indagine non vagliati dall’Ufficio di Procura e meritevoli di approfondimento”. “Pertanto, condividendosi le argomentazioni addotte dal P.m., deve disporsi l’archiviazione del procedimento”. Come abbiamo detto prima, un altro filone andrà a giudizio a metà settembre prossimo. Riguarda 4 inchieste pubblicate dalla Voce (ma sparite dal sito) sempre nei mesi bollenti dell’inizio della pandemia e querelate dai tre fratelli Marcucci (Andrea, Paolo e Marialina) e dalla madre, Iole Capannori, consorte del patriarca Guelfo Marcucci. Le inchieste toccavano anche le vicende legate alla strage del "sangue infetto".  Vicende che hanno avuto un iter processuale per la bellezza di vent’anni: un iter partito nel 1998 a Trento e infine approdato a Napoli. Dove il processo è durato tre anni esatti e si è concluso con l’assoluzione di tutti gli imputati, tra i quali l’ex re Mida della Sanità e direttore generale al ministero, Duilio Poggiolini, e diversi ex dirigenti e funzionari del gruppo Marcucci. “Il fatto non sussiste”.

GRUPPO MARCUCCI. LA REGINA DEL SANGUE, KEDRION, PIGLIATUTTO. Andrea Cinquegrani su La Voce delle Voci il 18 Settembre 2021. Vola, vola sempre più in alto e più splendente nell’universo internazionale degli emoderivati la stella di ‘Kedrion’, il fiore all’occhiello della Marcucci dinasty, fondata dal patriarca Guelfo, condotta oggi del Ceo Paolo sotto il vigile sguardo di Andrea Marcucci, l’ex potente capogruppo del PD al Senato, un cuore che batte sempre per Matteo Renzi. Ecco l’ultima notizia fornita da ‘Il Sole 24 Ore’ ai primi di settembre: “Kedrion, il gruppo italiano leader nella produzione di emoderivati, controllato dalla famiglia Marcucci e partecipato da CDP Equity e dal fondo FSI, è in corsa per acquisire la britannica ‘Bio Products Laboratory Ltd’ (BPL), specializzata in plasmaderivati, messa in vendita dal gruppo d’investimento cinese specializzato nel settore farmaceutico, Creat Group”. La conclusione dell’operazione è prevista tra ottobre e novembre prossimo. Se va in porto in modo vincente per Kedrion – come sembra, stando alle previsioni degli analisti finanziari – la corazzata di casa Marcucci può far aumentare il giro d’affari di addirittura il 50 per cento, sfiorando il tetto da 1 miliardo di dollari. “L’obiettivo finale, grazie alla crescita negli Stati Uniti, dove già adesso viene generato il 44 per cento del fatturato complessivo del gruppo, è fare di Kedrion un leader globale nel settore dei plasmaderivati”, è la sostanza dell’analisi. Ma vediamo cosa rappresenta BPL nel panorama farmaceutico mondiale. Attualmente Bio Products Laboratory è uno dei leader europei nella produzione e commercializzazione di derivati del plasma. Un player di grosso calibro, come del resto lo è Kedrion. Il giro d’affari annuo, per BPL, è di oltre 400 milioni di euro, con una fortissima espansione, fatta segnare nel corso degli ultimi anni, nel mercato statunitense, dal momento che proprio negli States BPL può contare su una lunga sfilza di centri di raccolta del sangue. Il suo quartier generale si trova ad Elstree, in Inghilterra. La società può contare su due possenti divisioni: ‘BPL Plasma’, che ha sede in Texas e fa perno sulla forza d’urto dei suoi centri di raccolta del sangue, ben 26; e ‘BPL Therapeutics’, che produce prodotti di alta qualità e si trova nel Regno Unito. Gli ultimi dati di bilancio di quest’ultima, nonostante le incertezze del mercato per via della pandemia, sono eccellenti: fanno infatti segnare un consistente incremento delle vendite, con un + 18 per cento. Vanno a gonfie vele alcune delle griffe di casa, come Gammaplex, Coagadex, oltre alla classica albumina. Dalle pagine dell’ultimo bilancio si desume una decisa sterzata verso gli investimenti, anche per ampliare a migliorare la funzionalità della sede di Elstree. Sono stati stanziati, per questo scopo, 23 milioni di sterline (pari a 31 milioni di dollari): tutto ciò – viene precisato – “per supportare la crescente necessità globale di medicinali derivati dal plasma specializzati”. Nelle note viene anche annunciata una “collaborazione a lungo termine” con ‘Atlantic Research Group’, un’organizzazione di ricerca a contratto con sede negli Stati Uniti, in Virginia, per “condurre studi clinici e supportare i nuovi programmi di sviluppo dei prodotti BPL a livello globale”. Ha pensato a far cassa, negli ultimi mesi, ma anche di programmare altri grossi investimenti, la società guidata da un affiatato tandem composto dal Presidente e Chief Financial Officer Michael Mensa e dal Vice Presidente e Ceo David Gao. 25 centri di raccolta sangue localizzati negli Stati Uniti sono stati venduti ad un altro agguerrito player a stelle e strisce, la star farmaceutica ‘Grifols’, incassando un bottino da non poco, pari a 370 milioni di dollari. E, contemporaneamente, è stata messa in cantiere l’apertura di tre nuovi centri per il 2021 e di molti altri nel 2022. Gongola Mensa: “Il continuo successo dei nostri prodotti a livello globale e la nostra attenzione all’esecuzione nella consegna per i nostri clienti sono la chiave del nostro successo. E’ promettente vedere che le raccolte di plasma statunitensi stanno ora mostrando segni di ripresa dai loro livelli depressi per via del covid-19, mentre entriamo nella seconda metà dell’anno”. 

DALL’INGHILTERRA ALLA CINA, VIA USA. E ORA IN ITALIA?

Passiamo a vedere cosa è successo, in questi anni, negli assetti societari di BPL. Un vero e proprio tourbillon di cambiamenti e di passaggi azionari. Fino al 2016, infatti, il timone è stato saldamente nelle mani del governo britannico, attraverso il suo ‘UK Department of Health’. Nonostante la decisa via alle privatizzazioni impressa sia da laburisti che conservatori, la società era quindi un raro e luminoso esempio di come il ‘pubblico’ possa produrre bene e rendere, anche in termini di prodotti ‘sociali’, come sono gli emoderivati. Ma cinque anni fa l’esecutivo inglese ha pensato bene di far cassa, vendere la maggioranza azionaria e passare il timone ad un fondo finanziario americano, ‘Bain Capital’. E cosa ha fatto Bain? Non ci ha pensato su due volte e, per far subito una bella plusvalenza, ha rivenduto la società ai cinesi: ossia, anche stavolta ad una società finanziaria cinese, ‘Creat Group’, specializzata nel settore farmaceutico. All’epoca, infatti, Creat controllava anche un’altra sigla che popola il ricco settore degli emoderivati, ossia la tedesca ‘Biotest’. Ma arriviamo all’anno della svolta, proprio il 2021, quando le rigide (quando vogliono) autorità di vigilanza statunitensi ‘chiedono’ ai cinesi vendere le due società controllate, vale a dire BPL e Biotest, per via dell’eccessivo ‘potere’ che hanno conquistato in terra straniera, cioè proprio negli States, dove pullulano i centri di raccolta del sangue griffati BPL. Ecco come nasce la fresca decisione di vendere, affidando l’apposita, milionaria asta ad un advisor eccellente, ‘Bank of America Merrill Lynch’. Con una previsione di chiusura della stessa asta tra ottobre e novembre al massimo, come già rammentato prima. In pole position, secondo i bookmakers, c’è la nostra Kedrion. La quale, però, deve fronteggiare una concorrenza non indifferente, rappresentata in particolare da ‘Advent International’ e – udite udite – proprio da Bain Capital, che quindi torna nuovamente alla carica per la sua prediletta e tanto coccolata BPL. Qualche chance coltivano anche la tedesca ‘Fresenius SE & Co.’, e ‘Permira’. Quale la chiave del possibile successo dei Marcucci? La vendita doppia, il ‘pacchetto’. Dal momento che, a quanto pare, Creat è intenzionata a trovare un unico acquirente per le due società; e Kedrion, su questo versante, è la più disponibile. Certo, la cifra da mettere sul piatto non è da poco: 3 miliardi, non un dollaro di meno, secondo le più attendibili valutazioni effettuate da ‘Bloomberg’. 

LESE MAESTA’

Ci poniamo adesso un interrogativo: la Voce verrà querelata dai fratelli Marcucci (Andrea, Paolo e la sorella Marilina) per aver, con questo articolo, leso l’onore della famiglia? La domanda sorge spontanea, vista una querela ‘multipla’ sporta contro di noi dai Marcucci poco più di un anno fa, e che andrà in prima udienza, presso la quarta sezione del tribunale di Napoli, il prossimo 22 settembre. La chiamiamo ‘multipla’ perché riguarda 4 nostri articoli, scritti nel giro di un paio di mesi, primavera 2020. Uno di essi era molto breve e così titolato: “Gruppo Marcucci / Vola la corazzata Kedrion”. Così recitava: “La corazzata nostrana nel settore della lavorazione e distribuzione degli emoderivati, Kedrion, festeggia a botte di champagne nei giorni del coronavirus. I dati del bilancio 2019, appena presentati, sono scoppiettanti, da autentico primato. Ecco come li dettaglia il Corsera: ‘Kedrion ha chiuso il 2019 con un fatturato di 808 milioni di euro, + 17,5 per cento rispetto al 2018 e il più alto di sempre dell’azienda toscana: è quanto contenuto nel progetto di bilancio approvato dal cda. Crescono anche Ebitda (101,3 milioni, + 117,8 per cento) e utile netto (38,2 milioni, + 229,3 per cento)’. Avete letto bene? L’utile netto (vale a dire i profitti) fa registrare un incremento rispetto al già pingue anno precedente nientemeno che del 229 per cento! Da ballare per un mese la samba”. Così continuava e si concludeva la breve nota: “Rammentiamo che Kedrion detiene l’oligopolio (praticamente un quasi monopolio) nel ricchissimo settore degli emoderivati. Un’eredità che arriva fin dagli anni ’70, quando sono scese in campo aziende e sigle dell’impero Marcucci, all’epoca al timone il patriarca, padre e padrone Guelfo Marcucci, in ottimi rapporti nel corso dei fortunati anni ’70, ’80 e inizio ’90 con Sua Sanità Francesco De Lorenzo e con il re mida Duilio Poggiolini. Oggi il timone dell’azienda è nelle mani di uno dei rampolli della famiglia, Paolo, mentre Andrea Marcucci è il capogruppo del PD al Senato, dopo gli esordi politici alla corte di Sua Sanità, tanto che la prima elezione alla Camera è datata 1991 sotto i vessilli del PLI dell’allora Altissimo Renato e dell’amico di famiglia Franco De Lorenzo. La sorella Marilina, dal canto suo, si occupa delle sorti del Carnevale di Viareggio”. Vi pare che questo articoletto sia tanto infamante? Che contenga oltraggi e offese all’onore degli augusti rampolli? Che sia un reato rammentare un’amicizia così alla luce del sole come quella tra i Marcucci e De Lorenzo, che la Voce del resto ha stradocumentato nel 1992 proprio nel volume ‘Sua Sanità? Oppure forse – azzardiamo – dà fastidio il richiamo al Corriere della Sera? 

PISTE CINESI

Una pista da non sottovalutare, visto che un paio di mesi dopo – maggio 2020 – abbiamo ripreso, pari pari, una lunga intervista concessa dal Ceo di Kedrion, Paolo Marcucci, al quotidiano di via Solferino, nel corso della quale venivano sottolineate le prestigiose collaborazioni scientifiche internazionali vantate da Kedrion: tra esse – lo racconta con enfasi Paolo – anche quella con un laboratorio di Wuhan. Guarda caso proprio l’area dove è scoppiato il Covid! La Voce riprende l’intervista del Corsera e apriti cielo! In tempo reale ci arriva una indignata lettera di uno dei legali dei Marcucci, Carla Manduchi. E parte poi, of course, un’altra querela. A fine giugno scorso il gip del tribunale di Napoli, Valentina Gallo, dà ampia ragione alla Voce: l’articolo su Kedrion-Wuhan è perfettamente in linea con il diritto di cronaca, è di interesse pubblico e non offende minimamente l’onore dei Marcucci. Come del resto un altro articolo querelato, l’ennesimo della serie: stavolta al centro l’affaire del plasma iperimmune. La Voce ha il torto di ricostruire i fatti che sono sotto gli occhi di tutti, perché non è segreta, ma è pubblica, un’audizione svoltasi al Senato con la partecipazione di un ‘non invitato’ Paolo Marcucci, il quale illustra le strategie di Kedrion per avviare la catena produttiva del plasma iperimmune. Una terapia ‘scoperta’ dal dottor Giuseppe De Donno (che si è tolto la vita in circostanze misteriose tre mesi fa), efficacissima ed economicissima. Le ‘Iene’, con due reportage choc, annusano l’affare ideato via Kedrion, ossia l’industrializzazione del procedimento. Scoppia la bagarre, e il business – per ora – va in naftalina. La Voce viene querelata per averlo ‘raccontato’. Ma il gip Gallo anche in questo caso sentenzia: è pieno diritto di cronaca. Cosa succederà, a questo punto, nella prima udienza del 22 settembre e soprattutto in quelle successive, per altri 4 nostri articoli ‘incriminati’, tra cui le brevi note sui ‘voli’ della corazzata Kedrion?

Così il business del plasma finisce in mano al senatore Pd. Felice Manti Edoardo Montolli il 20 Maggio 2020 su Il Giornale. La Kedrion della famiglia Marcucci mette a disposizione i propri stabilimenti per produrre sangue iperimmune. Arriva il plasma iperimmune industriale. A produrlo sarà l'azienda di famiglia di un senatore Pd. Grazie a una sperimentazione partita con l'ok del governo, di cui l'esponente dem ha un ruolo di primissimo piano. Ma prima bisogna fare un passo indietro. E spostarci all'ospedale Poma di Mantova. Dove chi si è ammalato di coronavirus e si è visto trasfondere il plasma iperimmune non muore più da un mese e mezzo. Nessun effetto collaterale. È il risultato della sperimentazione portata avanti con il San Matteo di Pavia (su 48 pazienti). Pioniere lo pneumologo Giuseppe De Donno. All'inizio qualcuno lo fa passare per matto («Mi hanno dato del demente», dirà). Baruffe tra scienziati, come quando in tv un collega dice che è una terapia costosa e pericolosa. E quando De Donno salva la ventottenne Pamela Vincenzi, incinta di sei mesi, i Nas vanno a chiedergli spiegazioni. Luigi invece ha 51 anni ed è dato già per morto a Bergamo. De Donno lo sottopone a plasmaterapia su richiesta diretta del presidente della Repubblica Sergio Mattarella: si risveglia dal coma e torna a vivere. Si salva anche un terzo paziente nonostante l'agammaglobulinemia: non produceva anticorpi eppure è vivo. Mondo politico e comunità scientifica capiscono che la sperimentazione può dare buoni frutti. E qui succede l'impensabile. L'Istituto Superiore di Sanità fa partire una sperimentazione nazionale. Il capofila ideale è Mantova ma viene scelta Pisa, che ha guarito due pazienti: «Non hanno nemmeno atteso i miei risultati» dirà De Donno. Al protocollo aderiscono quattro Regioni, tutte a guida Pd. Tu chiamale, se vuoi, coincidenze. Il 15 maggio nasce il comitato scientifico: 13 esperti, da Reggio Emilia a Catania, dall'Aifa al Centro nazionale del sangue. De Donno no, sbotta e parla di scelte politiche. E il governatore della Toscana Enrico Rossi annuncia querela. Giovedì scorso De Donno è atteso in streaming alla commissione Sanità del Senato. Deve parlare di quanto sia gratuito il plasma e di come una persona guarita da coronavirus possa salvarne 2 (con una sacca da 82 euro). Prima deve intervenire Massimo Scaccabarozzi, presidente di Farmindustria. Che presto cede la parola al toscano Paolo Marcucci, che non era atteso. È l'amministratore delegato di Kedrion Biopharma, colosso dei plasmaderivati con un fatturato da 687 milioni di euro: «Lavoriamo a fianco del Centro nazionale del sangue contro il contagio». L'azienda ha fornito gratuitamente la strumentazione e i kit di consumo per l'inattivazione virale del plasma e accompagna tutte le sperimentazioni in corso sul plasma iperimmune. Ma Marcucci spiega la seconda fase: Kedrion metterà a disposizione il proprio stabilimento di Napoli per raccogliere il plasma dei donatori italiani e trasformarlo, in «conto lavorazione» in plasma iperimmune industriale utilizzabile nei quattro anni successivi: «Così si eviterà di eseguire l'inattivazione virale nei singoli centri che è un'inattivazione comunque artigianale, costosa e adatta solo alla sperimentazione». Peccato sia esattamente il contrario di quanto sosterrà poco più tardi lo pneumologo mantovano. Lo abbiamo cercato, De Donno. Non ci ha risposto. Aggiunge Marcucci anche che è prevista una terza fase: la produzione di gammaglobuline imperimmuni con l'israeliana Kamada, con cui è d'accordo da aprile. Prime consegne per ottobre. Insomma, il plasma donato gratuitamente dai convalescenti italiani diventerà un prodotto industriale di un'azienda privata che, evidentemente, non lavorerà gratis. Ci sta che il manager dell'azienda privata ne parli a sorpresa in un'audizione al Senato. Ma il diavolo si nasconde nei dettagli. L'ad di Kedrion è Paolo Marcucci, fratello di Andrea Marcucci, capogruppo in Senato del Pd, esattamente come è del Pd la regione cui è stata affidata la sperimentazione nazionale. Con il beneplacito dell'Iss. Senza dire neanche grazie a De Donno. È come se ai tempi del governo Berlusconi lo Stato avesse assegnato a una multinazionale in mano alla famiglia di un senatore di Forza Italia un affare miliardario. Ma i conflitti d'interesse, si sa, può evocarli solo la sinistra o i grillini. Ai tempi del governo gialloverde si chiamano coincidenze. Felice Manti. 

Il business del plasma e il senatore Pd. Lo strano silenzio del governo. Giuseppe De Lorenzo il 21 Maggio 2020  su Il Giornale. L'interrogazione leghista sul caso plasma iperimmune: "Dal ministero arrivano 'non risposte'". Silenzio di tomba sulla Kedrion Biopharma. Anche gli stolti sanno che un politico si vede da ciò che tace, più che da quel che dice. Ne deve sapere qualcosa Sandra Zampa, sottosegretaria del Pd al ministero della Salute, che oggi si è presentata in commissione Affari Sociali alla Camera per un importante Question Time: avrebbe dovuto chiarire i tanti dubbi che ruotano intorno al plasma iperimmune contro il Covid-19, sopratutto sul coinvolgimento dell'azienda di famiglia del collega di partito Andrea Marcucci, come rivelato in esclusiva da ilGiornale. E invece ha lasciato di stucco i presenti, ignorando del tutto il tema più scottante. Facciamo qualche passo indietro. Ormai da tempo il Policlinico San Matteo di Pavia e il Carlo Poma di Mantova stanno sperimentando su 49 pazienti Covid la cura con il plasma iperimmune. I risultati sono incoraggianti, e lo pneumologo Giuseppe De Donno lo va ripetendo da tempo. "È l’unico farmaco ed è molto più potente di un vaccino", assicura lui. "All’inizio la mortalità era tra il 13 e il 15% – gli fa eco il collega Fausto Baldanti da Pavia – mentre con la cura del plasma iperimmune è scesa al 6%". Qualcuno, tra cui il telegenico Burioni, non dà molto credito ad una sperimentazione da lui considerata pericolosa e pure costosa. Ma si tratta di scaramucce tra scienziati. Quel che conta è che a un certo punto, un po' a sorpresa, l’Istituto superiore di sanità avvia un progetto intitolato "Tsunami" proprio sul plasma anti-Covid. Bene, direte. Certo. Solo che invece di selezionare lo studio dell'ospedale di De Donno, decide di sceglie quello dell'azienda ospedaliera universitaria di Pisa. Scatenando inevitabili polemiche. Nel marasma delle liti tra medici e scienziati, s’insinua però anche la questione più succulenta. Giovedì scorso in commissione Sanità al Senato a sorpresa viene invitato a parlare Paolo Marcucci, che oltre ad essere amministratore delegato di Kedrion Biopharma, colosso dei plasmaderivati, è anche accidentalmente il fratello di Andrea, capogruppo a Palazzo Madama del Pd. In audiozone l'ad si spinge a mettere "a disposizione il nostro stabilimento di Sant’Antimo a Napoli" per "raccogliere il plasma dei donatori italiani e in conto lavorazione restituirlo standardizzato a titolo di anticorpi". Un modo, dice il fratello del senatore dem, per "evitare di eseguire l'inattivazione virale” in modo "artigianale" nei singoli centri, riducendo così i costi, in vista della fase 2: la produzione industriale insieme all'israeliana Kamada. A quel punto, per fare un po' di luce sulla vicenda, la Lega presenta un'interrogazione a risposta immediata rivolta al ministero della Salute. Vuole, o meglio vorrebbe sapere non solo le "ragioni per le quali fra i componenti del comitato scientifico con compiti di supervisione non vi sia menzione dei medici dell’Ospedale di Mantova" (tra cui De Donno). Ma anche se "trovino conferma" le notizie sul fratello di Marcucci e i suoi "interessi collegati alla sperimentazione con il plasma nazionale". La risposta del ministero dice poco, ma non tutto. Spiega che la selezione del progetto Tsunami di Pisa è dovuta al fatto che "era l'unico protocollo italiano attivato con un disegno di studio randomizzato controllato, multicentrico, che potesse consentire, con opportuno rigore metodologico, di valutare l'efficacia e la sicurezza della terapia con plasma". Dice inoltre che i promotori sono l'Iss e l'Aifa, che sono rappresentate anche altre Regioni (e non solo quelle di centrosinistra), che il Comitato scientifico è stato composto "coinvolgendo i massimi responsabili delle istituzioni del Ssn" e che "su specifico invito del direttore generale dell’Aifa" è stato incluso pure De Donno. Bene, o quasi. La risposta letta dalla Zampa sarà pure corposa. Ma glissa sui punti focali. Marcucci? Nulla. L'azienda di famiglia? Nisba. La produzione industriale di plasma iperimmune? Nada. "Sull'opportunità di coinvolgere l'azienda del fratello del capogruppo Pd - attacca la Lega - dal governo arrivano 'non risposte' e rimangono tanti punti interrogativi. Ci aspettiamo ulteriori chiarimenti".

Giuseppe De Lorenzo. Sono nato a Perugia il 12 gennaio 1992. Stavo per intraprendere la carriera militare, poi ho scelto di raccontare quello che succede in Italia e nel mondo. Rifuggo l'ipocrisia di chi sostiene di possedere la verità assoluta: riporto la realtà che osservo con i miei occhi. Collaboro con ilGiornale.it dal 2015. Nel 2017 ho pubblicato Arcipelago Ong (La Vela), un'inchiesta sulle navi umanitarie che operano nel Mediterraneo. Poi nel 2020 insieme ad Andrea Indini ho dato alle stampe Il libro nero del coronavirus (Historica Edizioni)

Plasma iperimmune: il ruolo di Kedrion, la società della famiglia del senatore Marcucci (Pd). L’azienda: “Nessun conflitto d’interessi”. Se i risultati continueranno a essere promettenti e con l’assenso dell’Aifa, si potrebbe arrivare a produrne in quantità industriale per almeno 4 anni. Il nuovo business, con ogni probabilità, sarà in mano alla Kedrion Biopharma, colosso dei plasmaderivati di proprietà della famiglia Marcucci: l’amministratore delegato è Paolo Marcucci, fratello maggiore del senatore e capogruppo Pd Andrea, che è consigliere. La società: "Nessun supporto politico per lo sviluppo del progetto". Giacomo Salvini su Il Fatto Quotidiano il 20 maggio 2020. Se i risultati continueranno a essere promettenti e con l’assenso dell’Aifa, anche la terapia del plasma potrà avere la sua Fase 2. Obiettivo? Produrne in quantità industriale per almeno quattro anni. E con ogni probabilità il nuovo business sarà in mano alla Kedrion Biopharma, colosso dei plasmaderivati con un fatturato annuo di circa 800 milioni, di proprietà della famiglia Marcucci. L’amministratore delegato è Paolo Marcucci, fratello maggiore del senatore e capogruppo Pd Andrea, che a sua volta è consigliere di amministrazione di Kedrion con funzione di supervisione sugli Stati Uniti. La notizia è stata anticipata domenica da Il Giornale dopo l’audizione, non prevista, dell’amministratore delegato e presidente dell’azienda Paolo Marcucci. Contattata dal Ilfattoquotidiano.it la Kedrion spa ha respinto qualsiasi accusa di possibile conflitto d’interessi: “Nessun supporto politico è richiesto per lo sviluppo di questo importante progetto”. La terapia del plasma – Da diverse settimane il Policlinico San Matteo di Pavia e il Carlo Poma di Mantova hanno avviato e chiuso una prima fase di sperimentazione su 49 pazienti Covid che, secondo il direttore dell’unità di virologia di Pavia Fausto Baldanti sta dando risultati promettenti: “All’inizio la mortalità era tra il 13 e il 15% – ha spiegato – mentre con la cura del plasma iperimmune è scesa al 6%”. Al momento, nonostante i buoni risultati della ricerca che martedì è stata estesa anche a 120 ospiti delle case di riposo di Mantova mentre Lombardia e Veneto stanno facendo partire chiamate per i guariti per creare delle banche dati di plasma, si aspetta la pubblicazione sulla rivista scientifica Jama che dovrebbe avvenire a breve. Nel frattempo, una settimana fa, l’Istituto Superiore di Sanità e l’Aifa hanno deciso di designare l’azienda ospedaliera universitaria di Pisa come capofila del progetto dopo averlo testato su due pazienti con ottimi risultati: è stato scelto il progetto “Tsunami” del professor Francesco Menichetti, direttore di malattie infettive a Cisanello (Pisa). Per questo nei giorni scorsi è esplosa la polemica con lo pneumologo di Mantova Giuseppe De Donno che non ha preso bene la designazione della città toscana: “Pisa non sa neanche cos’è il coronavirus”, ha detto. In audizione al Senato poi De Donno ha fatto un riferimento al fatto che la decisione di assegnare il progetto a Pisa dipenda da una questione politica (la Toscana è governata dal centrosinistra, al contrario della Lombardia): “La scienza non può avere colori”, ha sostenuto. Il governatore Enrico Rossi ha minacciato di querelarlo e il primario ha replicato che così “è la a politica che vuole ammutolire la scienza”. A questo, due giorni dopo, si aggiunge il fatto che tra i 13 membri del Comitato scientifico sul progetto Tsunami ci siano molti medici di tutta Italia ma nessuno del Poma di Mantova dove era partita la sperimentazione. Plasma prodotto industriale – Nella stessa audizione al Senato di giovedì scorso in commissione Igiene e Sanità del Senato, l’intervento di De Donno è stato preceduto dal presidente di Farmindustria Massimo Scaccabarozzi che alla fine del suo discorso lascia inaspettatamente la parola a Paolo Marcucci, fratello di Andrea il cui intervento non era previsto dai lavori. Marcucci dice che in questo periodo “l’azienda ha fornito gratuitamente i kit necessari per l’inattivazione virale del plasma” accompagnando “tutte le sperimentazioni in corso sul plasma iperimmune” a partire proprio dal San Matteo di Pavia al progetto Tsunami. Poi l’ad di Kedrion spiega la cosiddetta Fase 1 della terapia: “Gli esiti della sperimentazione si annunciano promettenti – dice – e le Regioni stanno avviando campagne di arruolamento per avere scorte di plasma”. Poi, ed è qui che arriva il colpo a sorpresa, Marcucci descrive la seconda fase che, con l’assenso dell’Aifa, potrebbe far capo alla sua azienda, ovvero quella della produzione industriale: “Mettiamo a disposizione il nostro stabilimento di Sant’Antimo a Napoli – continua il fratello del senatore dem – raccogliere il plasma dei donatori italiani e in conto lavorazione restituirlo standardizzato a titolo di anticorpi”. Secondo Marcucci al momento questo processo potrebbe portare alla produzione di plasma per quattro anni “così da evitare di eseguire l’inattivazione virale nei singoli centri: un processo artigianale, costoso e ancora in fase di sperimentazione”. De Donno in realtà da settimane sostiene che la terapia non sia per niente costosa, come sostenuto anche dal virologo Roberto Burioni: “82 euro a sacca, se questo vi sembra troppo per salvare una vita umana…”, va dicendo lo penumologo mantovano. L’idea di Marcucci, comunque, è che “dopo aver lavorato con Regione Lombardia, Veneto, Toscana e Campania, l’auspicio è che il progetto possa diventare nazionale”. Ma l’ad di Kerion non si ferma alla Fase 2 e individua anche un processo successivo che si concluderà con un prodotto industriale entro sei mesi: grazie alla partnership siglata ad aprile con l’azienda israeliana di biotecnologie Kamada, sarà possibile isolare le gammaglobuline. Le prime consegne potrebbero partire addirittura in ottobre. Contattata da Ilfatto.it, la Kedrion spa ha confermato il progetto: “Kedrion da tempo produce a Sant’Antimo plasma inattivato di grado farmaceutico, un prodotto utile e che può essere conservato a lungo – fanno sapere dall’azienda – e, come crediamo, il plasma iperimmune da pazienti convalescenti Covid sarà uno strumento terapeutico efficace, Kedrion è in grado di inattivare industrialmente anche questo tipo di plasma”. Dall’azienda di Barga, nel Lucchese, spiegano anche che il plasma iperimmune proverrà dai centri di raccolta all’ estero e anche di quello del sistema trasfusionale di proprietà delle Regioni: il tutto ovviamente previa autorizzazione del Sistema sanitario nazionale. “La produzione di plasma inattivato iperimmune italiano avverrà, se le autorità decideranno di utilizzare questo servizio, attraverso un servizio conto lavorazione e il plasma resterà di proprietà pubblica”, ha concluso un portavoce dell’azienda.

De Donno torna in video e sbugiarda i complottisti del plasma: ecco i motivi della sua ‘scomparsa’. Redazione su Il Riformista l'8 Maggio 2020. Giuseppe De Donno non è stato ‘censurato’ da poteri forti, Big Pharma o dal governo per favorire il vaccino di Bill Gates. La teoria del complotto che ha invaso i social network, in parte cavalcata dalla Lega e da Matteo Salvini, è stata smentita dallo stesso pneumologo dell’ospedale Carlo Poma di Mantova, al centro del dibattito per la terapia sperimentale col plasma per curare i pazienti affetti da Coronavirus.

De Donno era infatti scomparso dai social il 6 maggio, col profilo Facebook disattivato che aveva dato il via a ipotesi complottistiche sulla ‘censura’. Oggi il medico è tornato a farsi vivo con un video di circa cinque minuti in cui spiega cosa è successo in queste 48 ore. Lo pneumologo spiega già dai primi secondi del filmato perché si è allontanato dal mondo social, ricordando come “nei giorni scorsi la pressione mediatica e popolare sul mio operato è stata tale da non permettermi di operare serenamente, soprattutto nell’ambito della sperimentazione del protocollo implementato insieme ai colleghi di Pavia, del San Matteo di Pavia”. Per questo De Donno ha reputato “prudente” chiudere i suoi profili, una scelta “per lanciare un messaggio di calma, un messaggio di rasserenazione. Se ho parlato e sono intervenuto in pubblico l’ho fatto semplicemente per fare informazione e vedo però che l’informazione è stata recepita da alcuni come mezzo per azzuffarsi con chi la pensa diversamente”. De Donno, che in queste settimane ha visto crescere una ‘fan base’ molto aggressiva sui social, purtroppo piena di personaggi complottisti, ha voluto sottolineare che “a differenza di come può pensare qualcuno, non utilizzo mai i morti per farmi pubblicità, questa è una speculazione che non accetterò mai”. Il medico del Carlo Poma di Mantova rivendica quindi i risultati ottenuti dalla terapia col plasma: “Lunedì un’importante rivista scientifica sottometterà il nostro lavoro, analizzerà i nostri risultati, ci dirà se il lavoro che abbiamo compiuto è un lavoro degno di essere pubblicato su riviste di elevato impact factor, cioè di riviste importanti, di riviste cioè che fanno letteratura”. Moltissimi, spiega De Donno, sono gli ospedali che hanno preso esempio dalla sperimentazione: “L’ospedale Pavia, Crema e Cremona son partite anche loro, Milano è partita anch’essa arruolando pazienti, così stanno facendo la Valle d’Aosta e il Piemonte, così sta facendo la Toscana, così sta facendo la Puglia, così sta facendo la Calabria”.

Coronavirus e plasma iperimmune: il mondo ne parla, in Italia fioccano le polemiche. Le Iene News il 13 maggio 2020. Alessandro Politi e Marco Fubini tornano a parlarci della possibile terapia con il plasma iperimunne, affrontando le critiche che vengono mosse da molti esperti in Italia. Mentre nel resto del mondo il protocollo su cui si lavora a Pavia, Mantova e ora anche Padova viene studiato con interesse. E intanto il governatore del Veneto Zaia si porta avanti. Alcide ha 81 anni, e ha rischiato di morire per il coronavirus. Oggi, dopo esser stato trattato con il plasma iperimmune, sta meglio: “Ero un mezzo cadavere”, dice ad Alessandro Politi. Ma dopo il plasma “ho sentito questa spinta interna, il corpo ce la fa. Quando si comincia a mangiare e aver voglia di vivere è una cosa meravigliosa”. Alessandro Politi e Marco Fubini ci hanno portato a conoscere la possibile terapia con il plasma iperimmune per combattere il coronavirus, che gli ospedali di Mantova, Pavia e adesso anche Padova stanno testando con risultati finora incoraggianti. E la notizia della sperimentazione ha fatto il giro del mondo. Negli Stati Uniti la terapia viene adesso testata in 116 università. In Italia però molti esperti sono scettici, sostenendo che “i plasmi non sono un farmaco ideale, sono difficili e costosissimi da preparare”. E’ davvero così? “Tutti i servizi trasfusionali sono attrezzati per la raccolta del plasma, non è difficile da preparare”, ci dice la dottoressa Giustina De Silvestro, dell’azienda ospedaliera di Padova. “Una sacca di plasma costa intorno agli 80 euro”, aggiunge il professore di pneumologia a Padova Andrea Vianello. “Con tre somministrazioni siamo intorno ai 300 euro complessivi. I farmaci antivirali possono arrivare a costare anche 4, 5 o 6 volte di più”. “Al momento non c’è nessuna evidenza, né per i farmaci né per il plasma”, specifica Giustina De Silvestro. “Le consideriamo tutte terapie che possono contribuire all’evoluzione benigna delle malattie”. Ma il plasma iperimmune è sicuro? “Una delle caratteristiche è la sicurezza”, ci spiega Andrea Vianello. “Non è noto per causare importanti effetti collaterali. Lo possono ricevere tutti, salvo che non ci siano controindicazioni specificatamente legate al soggetto”. C’è anche un’altra critica mossa da molti esperti, tra cui il professor Burioni: “Questi plasmi si basano sulla disponibilità di persone guarite che abbiano questi anticorpi, che non sono tantissime”. I guariti in Italia oggi sono oltre 100mila, i malati ospedalizzati poco più di 13mila di cui mille in terapia intensiva. A conti fatti, ci sono quasi dieci potenziali donatori per ogni paziente in ospedale. Non tutti comunque hanno un plasma con alti livelli di anticorpi, solo un 60/80% ha un plasma utile: un numero comunque elevato. Negli Stati Uniti da poche settimane è partita una sperimentazione con il plasma, che coinvolge 7mila malati trattati in 2.178 ospedali.  “Sono tutti pazienti trattati in forme severe o gravi, che hanno bisogno di ossigeno o intubati“, ci dice il professor Alessandro Santin dell’università di Yale. E il dipartimento della Salute “ha contattato la Croce rossa americana chiedendo la raccolta e la distribuzione del plasma iperimmune e renderlo disponibile a tutti gli ospedali americani”. E sentendo le parole del professor Santin verrebbe da pensare che il problema della disponibilità del plasma dipende dalla raccolta, non dal numero dei donatori. E gli Stati Uniti, dove essenzialmente  non c’è un sistema sanitario pubblico, hanno deciso di investire soldi pubblici in questa ricerca. “Quello che abbiamo visto fino a oggi  è estremamente confortante”, ci dice ancora Santin. “Ma è solo quando riusciremo a confrontare tutti i pazienti con quelli che hanno ricevuto solo le terapie di supporto” che si riuscirà a capire “quanto il plasma aggiunge in termine di efficacia terapeutica”. Intanto, dopo la messa in onda del primo servizio sul plasma iperimmune, qualcuno fa una segnalazione ai Nas che intervengono per verificare come viene fatta la sperimentazione. Il professor Giuseppe De Donno viene attacca da molti esperti, e nel frattempo lui stesso oscura le sue pagine. Dopo qualche giorno riappare e dice: “Non sono disponibile in questo momento a risse televisive, a zuffe mediatiche con questo o quello collega, atteso che essendo noi tutti medici lavoriamo per una causa unica: la lotta al coronavirus”. E ci tiene a ricordare che il protocollo di ricerca “è stato preso come esempio da molti Stati europei e americani”. Mentre ci si azzuffa sull’efficacia e convenienza della terapia con il plasma iperimmune, c’è chi porta avanti: il governatore del Veneto Luca Zaia. “Se verrà confermato che il plasma funziona, tutti si gireranno verso le emoteche e diranno: il sangue dov’è? Noi quindi ci portiamo avanti”. Il Veneto ha infatti deciso di creare la più grande banca del sangue per raccogliere il plasma dei guariti dal coronavirus. Potete ascoltare le parole del governatore Zaia nel servizio qui sopra. “Dico a tutti i colleghi: accumulate sacche di sangue. Anche se dimostrassero che il plasma non funziona, si può utilizzare per altro”. E pochi giorni fa, su Nature, è uscito questo articolo: “Plasma di convalescenti, trattamento di prima scelta per il coronavirus”. Da tutta Italia ci hanno scritto persone guarite che vorrebbero donare, ma nelle loro regioni non ci sono ancora i centri per la raccolta del plasma iperimmune: cosa stiamo aspettando?

Plasma-terapia: così il salentino De Donno ha curato a Mantova 80 pazienti. Trnews.it il 4 Maggio 2020. Impiegando il plasma dei soggetti affetti da Covid ormai guariti, ha trattato più di 80 dei suoi pazienti con gravi problemi respiratori, evitando loro la morte. Giuseppe De donno, medico originario di Maglie, è alla guida del Reparto di Pneumologia dell’Ospedale Carlo Poma di Mantova. Questa terapia sperimentale, sulla quale parte del mondo scientifico invita ad andarci cauti, è stata messa in pratica proprio da lui, partendo dalla scoperta dei direttori di Immunologia e Medicina Trasfusionale di Pavia e Mantova: i primi ad accorgersi che il sangue dei guariti avrebbe potuto aiutare il resto degli ammalati alle prese, ancora, con il coronavirus. Risultato: i pazienti con più sintomi, in poche ore, si sono ritrovati senza febbre, tosse e difficoltà respiratorie. La sperimentazione è stata già avviata al Policlinico di Bari. Oltre al plauso del sindaco di Maglie, il primario salentino nelle scorse ore è stato contattato anche dall’ONU: “Da parte della comunità scientifica internazionale -ha detto De Donno – è stato manifestato grande interesse a conoscere i risultati del nostro studio”. Non solo. Una seconda chiamata è arrivata direttamente da un consigliere del Sottosegretario alla Salute, che ha spiegato come anche negli Stati Uniti si guardi con molto interesse alla terapia e ferve l’attesa per i risultati della sperimentazione condotta, appunto, a Mantova e Pavia. A dimostrazione dell’interesse degli Usa verso la terapia del plasma ci sono le decine di sperimentazioni avviate nell’ultimo mese. Addirittura si sta percorrendo la via del plasma anche come profilassi per le persone più esposte al virus, come i sanitari. In Italia, invece, le cose non filano proprio così lisce. Nei giorni scorsi, ad esempio, il primario salentino è stato contattato telefonicamente dai Nas, venuti a conoscenza della terapia al plasma applicata, eccezionalmente, su una donna incinta che, viceversa, avrebbe rischiato la sua vita e quella del bambino. Sebbene quotidianamente alle prese con diffidenza e lungaggini burocratiche, il primario salentino rassicura: “Non ci lasceremo sfiduciare”.

Covid, primario salentino a Mantova: “Il plasma dei guariti funziona”. Giuseppe De Donno, 53enne pneumologo di Morigino di Maglie: “A Mantova abbiamo creato una banca del plasma. Creandone altre in giro per l’Italia riusciremo ad arginare un’eventuale seconda ondata”. Il Gallo il 4 Maggio 2020.  La terapia basata sul plasma iperimmune prelevato dai pazienti con Covid-19 si sta rivelando efficace. Lo ha spiegato primario del Reparto Pneumologia dell’Ospedale Carlo Poma, Giuseppe De Donno, che, per inciso è salentino, originario di Morigino di Maglie. Tra Mantova e Pavia sono stati trattati quasi 80 pazienti con gravi problemi respiratori, nessuno dei quali è deceduto. “La mortalità del nostro protocollo finora è zero”, ha sottolineato il 53enne pneumologo magliese, “a Mantova abbiamo creato una banca del plasma. Creandone altre in giro per l’Italia riusciremo ad arginare un’eventuale seconda ondata”.

“La richiesta di autorizzazione al comitato etico ci fa perdere tempo prezioso”. Sono stati arruolati dei volontari donatori di plasma tra persone già guarite dal coronavirus (per accertare la guarigione, gli esperti li hanno sottoposti a due tamponi sequenziali): “I donatori guariti”, ha spiegato in un’intervista radiofonica il dott. De Donno, “donano 600ml di sangue. Tratteniamo quindi il liquido che ha come caratteristica fondamentale la concentrazione di anticorpi, tra cui quelli contro il coronavirus”, ha aggiunto De Donno. Prima di procedere, però, gli esperti devono chiedere ogni volta l’autorizzazione al Comitato etico. “Si tratta di un impedimento enorme, perché ci fa perdere tempo prezioso per salvare le persone”, ha commentato il luminare salentino, “il plasma può essere congelato e durare fino a sei mesi in stoccaggio: questo ci ha portato a creare una banca del plasma a Mantova. Riusciamo anche ad aiutare altri ospedali che ci stanno chiedendo aiuto”. Per illustrare meglio quanto possa essere efficace il trattamento col plasma, De Donno ha raccontato di Francesco, un ragazzo di 28 anni ricoverato in terapia intensiva: “Le sue condizioni si sono aggravate lo scorso venerdì. Dopo aver ricevuto l’autorizzazione del Comitato Etico, l’abbiamo trattato col plasma iperimmune. Dopo 24 ore era già sfebbrato e stava bene. Da poco lo abbiamo svezzato dal ventilatore. È un ragazzo arrivato qui senza altre patologie: doveva essere intubato e invece tra due giorni potremo restituirlo ai suoi genitori”. Francesco non è l’unico: circa un centinaio di pazienti con coronavirus sono guariti grazie alla cura col plasma iperimmune. “Finora non abbiamo avuto decessi tra le persone trattate. E i segni clinici tendono a sparire dalle 2 alle 48 ore dopo il trattamento”, ha concluso De Donno. “abbiamo sottoposto i risultati ottenuti alla comunità scientifica e siamo in attesa di pubblicazione. Senza alimentare false speranze”, ammette infine, “se la malattia ha lavorato a lungo fino a compromettere la funzionalità degli organi, il plasma non è sufficiente a salvare il paziente”.

Congratulazioni da Maglie. Intanto dal Salento, in particolare da Maglie arrivano le congratulazioni del sindaco Ernesto Toma: “Non ho le competenze per giudicare il lavoro che in questo periodo stanno compiendo medici e scienziati”, ha postato il primo cittadino, “voglio però congratularmi da cittadino magliese con il dott. Giuseppe De Donno, originario di Morigino di Maglie, dirigente del reparto di pneumologia di Mantova, in Lombardia epicentro dell’epidemia, che da quasi un mese ha azzerato i morti per Covid. A Mantova hanno utilizzato e testato il plasma iperimmune ricavato dal sangue dei guariti senza tante passerelle e questo potrebbe essere utile anche in altre parti d’Italia. Spero”, ha concluso, “di poter salutare a Morigino, anche quest’estate, insieme ai suoi parenti, il dottor De Donno”.

Plasmaterapia, De Donno contro Burioni: “Lui sta in tv, noi lavoriamo”. Riccardo Castrichini il 04/05/2020 su Notizie.it. De Donno contro Burioni sulla Plasmaterapia sminuita in malo modo dal famoso virologo dei talk show. Il primario di Pneumologia dell’ospedale Carlo Poma di Mantova, Giuseppe De Donno, ha sperimentato con successo la Plasmaterapia per guarire i pazienti Covid gravemente malati. Questa scoperta che potrebbe salvare la vita a molte persone è stata però banalizzata dal virologo Roberto Burioni come “nulla di nuovo”. L’esternazione del virologo più famoso dei talk show ha fatto molto innervosire De Donno che a Radio Cusano Tv Italia, si è così espresso: “Siamo riusciti a realizzare questa sperimentazione che è molto seria anche se qualcuno ha voluto farla passare per una cosa ciarlatanesca. Lui va in tv a parlare, noi lavoriamo 18 ore al giorno al fianco dei nostri pazienti”. Il riferimento a Burioni è presto fatto. La Plasmaterapia per guarire i pazienti Covid consiste nell’infusione di plasma iper immune (o super immune) nell’organismo di pazienti gravemente malati. Per De Donno si tratterebbe di una vera arma magica, che consentirebbe di salvare molte persone. É lo stesso primario a sottolineare tra l’altro la sua volontà di non arrogarsi alcun merito circa l’invenzione di nulla. La sua struttura, insieme al Policlinico di Pavia, avrebbe solo perfezionato un’idea che già esisteva e generato un protocollo ambiziosissimo.

Come funzione la Plasmaterapia. Per rendere possibile questa tecnica, sono stati fondamentali i donatori di sangue dei guariti Covid che devono avere caratteristiche fondamentali e il cui plasma deve essere certificato come contenente di anticorpi iper immuni. Ognuno dei guariti, ha spiegato De Donno, dona poco più di mezzo litro di sangue ma, per usarlo, d’ora in poi, pare stiano sorgendo degli impedimenti: “Adesso ogni volta dobbiamo chiedere l’autorizzazione al Comitato etico e questo ci fa perdere tempo prezioso”, spiega il primario di Pneumologia del Carlo Poma. Certo, il plasma può essere congelato, motivo per cui a Mantova hanno creato una banca del plasma per conservarlo ed eventualmente aiutare gli altri ospedali che ne fanno richiesta. De Donno ha detto che “creando banche plasma in giro per l’Italia riusciremmo ad arginare un’eventuale seconda ondata”.

Coronavirus, il plasma iperimmune e lo scontro tra Burioni e il primario di Mantova. Le Iene News il 02 maggio 2020. All’ospedale di Mantova si lavora a una possibile terapia per il coronavirus usando il plasma dei pazienti già guariti dal COVID-19. In un video sul suo sito il professor Burioni parla dei pro e dei contro di questa cura, ma il primario di pneumologia del Carlo Poma di Mantova lo ha attaccato su Facebook: ecco qual è l’oggetto della contesa. Il plasma dei guariti dal coronavirus può curare i malati di COVID-19? E’ la teoria su cui stanno lavorando al Carlo Poma di Mantova e al policlinico San Matteo di Pavia. I due ospedali lombardi hanno concluso da pochi giorni la sperimentazione e “i risultati visti nei casi singoli sono stati sorprendenti”, dice il responsabile dell'Immunoematologia e Medicina trasfusionale del Poma. Intorno a questa possibile cura per il coronavirus si è scatenata una lotta sui social tra Roberto Burioni e il primario di pneumologia dell’ospedale di Mantova, il dottor Giuseppe De Donno. Ma andiamo con ordine: cos’è la terapia in discussione? Secondo molti ricercatori una possibile cura per i pazienti affetti da una forma severa di COVID-19 sarebbe il trattamento con “plasma iperimmune”, cioè il plasma delle persone guarite dal coronavirus che è ricco di anticorpi contro la malattia. Questi anticorpi, iniettati nel sangue dei malati, aiuterebbero il corpo a combattere il virus. Non esiste ancora certezza assoluta che questa cura possa essere efficace, ma gli ospedali di Pavia e Mantova hanno appena concluso una sperimentazione che avrebbe portato a esiti molto soddisfacenti: "I risultati visti nei casi singoli sono stati sorprendenti”, dice Massimo Franchini, responsabile dell'Immunoematologia e Medicina trasfusionale del Poma di Mantova. “Ora con i colleghi di Pavia stiamo riesaminando tutti i casi, valutando la risposta clinica e strumentale, per trarre delle conclusioni generali su questa che è una terapia specifica contro COVID-19". Una possibile terapia di cui si sta parlando molto in rete, e che ha dato adito anche una bufala secondo cui si rischierebbe di contrarre altre malattie: “Il plasma prodotto in questo modo è sicuro e la possibilità che trasmetta malattie infettive è pari a zero”, specifica Franchini. Che poi aggiunge: "Si tratta di una terapia di emergenza, ma noi non abbiamo realizzato un protocollo d'emergenza: si tratta di un lavoro rigoroso che segue le indicazioni del Centro nazionale sangue. Il risultato è una terapia specifica e mirata, all'insegna della massima sicurezza". In attesa di un vaccino sembra che i risultati ottenuti finora siano molto importanti. Perché allora s’è scatenata una polemica con Roberto Burioni? Il noto virologo il 29 aprile ha pubblicato un video sul suo blog MedicalFacts, in cui ha commentato la terapia col plasma. Tra le varie cose che ha detto Burioni afferma che “è qualcosa di serio e già utilizzato”. Insomma, il professore conferma che non stiamo parlando di una qualche strana terapia. Però poi aggiunge che “non è nulla di nuovo”, perché in passato anche altre malattie sono state trattate in modo simile. Inoltre, racconta Burioni, già in Cina si è sperimentata questa terapia. “Una prospettiva interessante, ma d’emergenza. Non può essere utilizzata ad ampio spettro”, dice. Ricordando poi tutte le necessarie precauzioni e protocolli da rispettare. E poi aggiunge: “(Questa cura) diventa interessantissima nel momento in cui riusciremo a stabilire con certezza che utilizzare i sieri dei guariti fa bene, perché avremo aperta una porta eccezionale per una terapia modernissima: un siero artificiale” prodotto in laboratorio. Parole insomma tutto sommato positive verso gli studi e le sperimentazioni sulle cure con il plasma, che però a qualcuno non sono andate giù. Parliamo del dottor Giuseppe De Donno, primario di pneumologia del Carlo Poma di Mantova. Il medico infatti ha attaccato frontalmente Burioni su Facebook: “Il signor scienziato, quello che nonostante avesse detto che il coronavirus non sarebbe mai arrivato in Italia, si è accorto in ritardo del plasma iperimmune”, scrive in un post. “Forse il prof non sa cosa è il test di neutralizzazione. Forse non conosce le metodiche di controllo del plasma. Visto che noi abbiamo il supporto di AVIS glielo perdono. Io piccolo pneumologo di periferia. Io che non sono mai stato invitato da Fazio o da Vespa. Ora, ci andrà lui a parlare di plasma iperimmune. Ed io e Franchini alzeremo le spalle, perché.... importante è salvare vite! Buona vita, quindi, prof Burioni. Le abbiamo dato modo di discutere un altro po’. I miei pazienti ringraziano”. E poi una postilla, che sembra suonare come un’accusa: “PS: vedo che si sta già arrovellando a come fare per trasformare una donazione democratica e gratuita in una ‘cosa’ sintetizzata da una casa farmaceutica. Non siamo mammalucchi!”, conclude. Non sappiamo a cosa De Donno intendesse alludere: quello che sappiamo per certo è che se il plasma iperimmune sarà confermato come terapia valida, ci sarebbe una nuova e formidabile arma nella lotta contro il coronavirus.

“La plasmaterapia funziona. Pronto alla galera pur di salvare un paziente”. Il Dubbio il 5 maggio 2020. Il professor Giuseppe De Donno dell’ospedale di Mantova: “Abbiamo trattato 48 pazienti e non abbiamo avuto decessi”. “Se dovessi scegliere tra salvare una vita ed andare in carcere non ho dubbio in merito. Anche se non dovessi avere l’autorizzazione del comitato etico per me la vita e’ sacra. Sono un cattolico praticante e la vita è l’obiettivo della mia professione”. Lo ha detto il primario di pneumologia presso l’ospedale Carlo Poma di Mantova, Giuseppe De Donno, a Tv2000 in collegamento con il programma "Il mio medico" in merito alla plasmaterapia da lui inventata per salvare la vita di altri pazienti gravi affetti da coronavirus. “Tra pochi giorni- ha annunciato De Donno a Tv2000- pubblicheremo la nostra produzione scientifica sulla plasmaterapia. Nei 48 pazienti arruolati nel nostro studio non abbiamo avuto alcun decesso anzi sono tutti guariti e ora sono a casa. Chiedo ai nostri legislatori che una volta pubblicato il lavoro ci diano la possibilità di usare il plasma iperimmune come si usano altri farmaci perchè abbiamo in mano un’arma che è l’unica in questo momento che agisce contro il coronavirus”.

“La plasmaterapia - ha proseguito -  è un atto democratico che viene dai pazienti e torna ai pazienti. I pazienti guariti da coronavirus donano il loro plasma ricco di anticorpi che serve per guarire altre persone. Ogni donatore riesce a far guarire due pazienti riceventi”. “L’intuizione della plasmaterapia- ha rivelato De Donno a Tv2000- nasce quando io e il mio infettivolgo il prof. Casari ci siamo trovati una notte a gestire il pronto soccorso con i colleghi che erano disperati perchè erano arrivati 110 pazienti. Anche la nostra direttrice sanitaria, anche lei sull’orlo della disperazione, ci aveva chiamati per chiederci se qualcuno dei nostri medici poteva andare ad aiutare i medici del pronto soccorso. Ci siamo andati noi come gli ultimi degli specializzandi con grande umiltà. Quella notte abbiamo capito che dovevamo inventarci un’arma che ci aiutasse a salvare i pazienti”.

La polemica con Roberto Burioni. Nei giorni scorsi il professore De Donno aveva polemizzato con Roberto Burioni che aveva minimizzato la plasmaterapia. : “Siamo riusciti a realizzare questa sperimentazione che è molto seria – dichiara De Donno – anche se qualcuno ha voluto farla passare per una cosa ciarlatanesca”. Burioni  aveva commentato la terapia di recente ed il suo approccio allo studio di De Donno non è stato in realtà negativo. Ha parlato di un “qualcosa di serio e già utilizzato”. Certo, dal suo punto di vista resta una soluzione “d’emergenza e che non può essere utilizzata ad ampio spettro” ma De Donno non l’ha comunque presa bene: “Lui va in tv a parlare, noi lavoriamo 18 ore al giorno al fianco dei nostri pazienti”.

La terapia del plasma nel mondo. De Donno contattato da Onu e Usa. Affari Italiani Lunedì, 4 maggio 2020. E' il caso lanciato da Affari degli ospedali di Mantova e Pavia. Come far mangiare la frutta ai bambini? I successi dell’ospedale Carlo Poma con la terapia del plasma iperimmune per i malati di covid approdano oltre Atlantico e arrivano alle Nazioni Unite e tra i più stretti collaboratori del Governo Usa. Il caso è quello emerso alla ribalta della cronaca dopo questo articolo di Affaritaliani.it di sabato scorso.  Tutto accade ieri a metà pomeriggio quando il primario della Struttura di Pneumologia del Poma Giuseppe De Donno riceve una telefonata da un alto rappresentante dell’Onu, come si legge su mantovauno.it. “Voleva complimentarsi con il nostro ospedale – spiega De Donno – per la sperimentazione del plasma iperimmune su cui c’è molta attenzione da parte della comunità scientifica internazionale. Mi ha detto che sono molto interessati a conoscere i risultati del nostro studio”. Passa solo mezz’ora e a De Donno arriva una seconda telefonata: questa volta è un consigliere del sottosegretario alla salute. Anche lui si complimenta con il medico mantovano, gli spiega come pure negli Stati Uniti si guardi con molto interesse alla terapia del plasma iperimmune e, come era accaduto per l’alto funzionario Onu, anche lui gli dice che c’è molta attesa per i risultati della sperimentazione conclusa dall’ospedale mantovano insieme a quello di Pavia. A dimostrazione dell’interesse degli Usa verso la terapia del plasma ci sono le decine di sperimentazioni avviate nell’ultimo mese. Addirittura si sta percorrendo la via del plasma anche come profilassi per le persone più esposte al virus, come i sanitari: è al via una sperimentazione su infermieri e medici a cui sarà infuso preventivamente il plasma iperimmune, per aiutare le loro difese nel caso in cui venissero infettati. L’infusione dovrebbe  avere un’efficacia di qualche settimana ma ovviamente, trattandosi di plasma. potrebbe essere ripetuta. E intanto proprio domani De Donno sarà protagonista di una iniziativa a stelle e strisce. Interverrà infatti a un evento promosso da NYCanta (Il Festival della Musica Italiana di New York) e l’Associazione Culturale Italiani di New York, in collaborazione con la Nazionale Italiana Cantanti. Si tratta di un pomeriggio, che prenderà il via alle 15,30, tra parole e musica con tanti big della musica italiana tra cui Fausto Leali, Al Bano, Enrico Ruggeri, Riccardo Fogli, Stefano Fresi, Paolo Vallesi, Massimo di Cataldo. L’intento è quello di promuovere una raccolta fondi a sostegno della creazione di un centro di ricerca etico sul plasma all’ospedale Carlo Poma di Mantova. Un centro, indipendente dalle case farmaceutiche, che in futuro potrebbe poi occuparsi di altre ricerche.

Il professor De Donno: “Quando mi ha chiamato l’Onu ho pianto. In Italia non mi cerca nessuno”. De Donno, il prof della plasmaterapia: “Mi ha chiamato l’Onu, ho pianto”. (Selvaggia Lucarelli – tpi.it 5 maggio 2020) – Il direttore della Pneumologia dell’ospedale Poma di Mantova, Giuseppe De Donno, che sta sperimentando, sembra con risultati incoraggianti, la terapia sui pazienti Covid col plasma dei pazienti guariti, oggi ha rilasciato un’intervista a Radio Bruno in cui è tornato sulle polemiche dei giorni scorsi. In particolare, ha commentato le parole di Roberto Burioni che ospite di Che tempo che fa aveva affermato: “La plasmaterapia è una tecnica già in uso, si vedrà nelle prossime settimane se funziona. Ha dei limiti, perché serve molto plasma di persone guarite e ce ne sono poche. Questi plasmi non sono la soluzione ideale, sono costosissimi e difficilissimi da preparare, si basano sulla disponibilità di persone guarite che non sono tantissime, è un approccio di emergenza, se si dimostra che anticorpi funzionano possiamo riprodurli artificialmente in laboratorio”. De Donno, stamattina in radio si è sfogato con una certa amarezza: “La plasmaterapia è l’unica terapia specifica per il Coronavirus, si destina il plasma solo a pazienti che non abbiano storie di insufficienza respiratoria per più di 10 giorni. Oggi noi a Mantova abbiamo il maggior numero di pazienti nell’ambito di questo protocollo e nella nostra sperimentazione non abbiamo avuto alcun decesso tra 48 pazienti con polmoniti”. E poi: “Leggo corbellerie immani sulla plasmaterapia, oggi ho letto di chissà quali indagini che vanno fatte e di una terapia costosa, noi non abbiamo avuto reazioni avverse e gli indici di infiammazione si sono ridotti, per cui oggi quei 48 pazienti sono tutti a casa con le loro famiglie. Riguardo i costi, tenendo conto di tutti gli elementi, dalla sacca al personale alla macchina e ai reagenti, ogni sacca da 600 ml costa 164 euro. Per un paziente la usiamo da 300 ml, vuol dire che ne costa 82 a terapia, più o meno quanto gli integratori per la palestra. Se sono tanti per salvare una vita non ho capito nulla della medicina”. Il professor De Donno ha poi commentato l’interesse internazionale su questa sperimentazione: “Mi stanno chiamando tutti, ieri il console del Messico, l’Onu, il consigliere del ministro della Salute americana, abbiamo avuto proposte di lavoro nei centri di ricerca stranieri. Ogni volta che mi chiama un istituto straniero e non mi chiama mai il nostro Istituto superiore di sanità o non sento il nostro ministro della Salute sono grandi dolori per un ricercatore come me, che fa il medico ospedaliero e che si è speso, che è stato in prima fila nell’emergenza Covid lavorando di notte in pronto soccorso”. De Donno non nasconde l’amarezza: “Quando mi ha telefonato l’alto funzionario dell’Onu ho pianto dalla commozione, finita la telefonata, però, ho provato un grande senso di amarezza perché questa sperimentazione è una chance che stiamo dando al nostro paese e lo dico a prescindere dal risultato finale, perché magari questa sperimentazione dirà che mi sto sbagliando e nel caso lo ammetterò, ma non credo. Però abbiamo in mano una sperimentazione terapeutica che può cambiare la sorte di questa epidemia e dei pazienti, l’amarezza resta”. Infine, commenta le dichiarazioni di Roberto Burioni sui costi alti e le difficoltà di reperimento del plasma: “Questa per me è la cosa più grave e mi ha fatto più male perché mettere in dubbio la rete trasfusionale italiana, il fatto che il plasma possa essere insicuro e trasmettere malattie mette una grossa ombra rispetto al nostro sistema trasfusionale che è uno dei più sicuri del mondo. È inaccettabile che il presidente di Avis nazionale non sia intervenuto su questo ma sia intervenuto mettendo in dubbio la nostra sperimentazione che è stata fatta con grande serietà e con criteri di arruolamento specifici e stringenti pubblicati per dirimere ogni dubbio”.

Laura Cuppini per il “Corriere della Sera” il 7 maggio 2020. Pavia, Mantova, Lodi, Novara, Padova. In arrivo anche Pisa e un laboratorio in Puglia. La plasmaterapia sta scatenando entusiasmi e polemiche. Ma a vincere è la prudenza, la necessità di avere dati scientifici inconfutabili. «L' uso del plasma da convalescenti come terapia per Covid-19 è oggetto di studio in diversi Paesi del mondo, Italia compresa. Il trattamento non è consolidato perché non sono ancora disponibili evidenze robuste sulla sua efficacia e sicurezza» sintetizza il ministero della Salute. «Perché il governo non chiede nulla e l' Istituto superiore di sanità se ne disinteressa?» chiede polemico il leader della Lega Matteo Salvini in diretta su Facebook. Per chiarirsi le idee bisogna fare un passo indietro. Al Policlinico San Matteo di Pavia e all' Ospedale di Mantova il plasma immune è stato infuso in 52 pazienti con esiti definiti «confortanti». Si attende un bilancio di questa prima fase di sperimentazione. Un progetto internazionale che in Lombardia si avvale anche della collaborazione di Avis per il reclutamento dei donatori. Negli Stati Uniti sul plasma dei guariti scommettono in molti, a partire dalla Food and Drug Administration , l'ente di regolamentazione dei farmaci, che ha messo un annuncio in grande evidenza sul proprio sito: «Donate Covid-19 plasma».

Come funziona la tecnica? Il plasma (parte liquida del sangue) prelevato da persone guarite viene purificato e poi somministrato a pazienti con Covid. L' obiettivo è trasferire gli anticorpi specifici a chi ha l' infezione in atto per sostenerne la risposta immunitaria. Prima di questo passaggio sono necessari dei test di laboratorio per quantificare i livelli di anticorpi in grado di combattere efficacemente il coronavirus. Non solo: le procedure sono volte a garantire la massima sicurezza per il ricevente. Gli anticorpi sono proteine prodotte dai linfociti B: quelli cosiddetti «neutralizzanti» hanno il potere di legarsi all' agente patogeno, rendendolo inoffensivo. Ma esistono anche altri tipi di anticorpi, che possono essere inutili o addirittura dannosi per l' organismo. «Quella del plasma è una risorsa terapeutica nota da oltre 50 anni - ha spiegato Pierluigi Viale, direttore dell' Unità di Malattie infettive al Policlinico Sant' Orsola di Bologna -, ma sarebbe necessario mettere in atto uno studio prospettico randomizzato e soprattutto verificarne l' efficacia in fase più precoce di malattia e in assenza di co-trattamenti». Non solo. Isolare anticorpi dai guariti non è semplice né economico, al contrario di quel che si potrebbe pensare. «La terapia al plasma è interessante e importante, un approccio molto sofisticato. Bisogna saperlo fare e avere grandi tecnologie - ha precisato Walter Ricciardi, consigliere del ministro della Salute Roberto Speranza -. Consente di traferire gli anticorpi naturali da un soggetto a un altro: è una cosa difficile, costosa e complessa. Se questi anticorpi naturali funzionano, la sfida è produrli artificialmente e in larga scala, altrimenti si potrebbero proteggere e curare solo poche persone».

Simone Pierini per leggo.it il 7 maggio 2020. Mentre tutti cercavano Giuseppe De Donno, primario di pneumologia dell’ospedale Carlo Poma di Mantova, ormai paladino del web per la terapia del plasma iperimmune, è passata in secondo piano la precisazione della struttura ospedaliera dove opera: proprio l’ASST di Mantova. Su Leggo.it proviamo a fare chiarezza. «Anche in questa azienda l’effetto letale del virus si è manifestato, avviato uno studio specifico per valutare questa casistica». Una nota apparsa sul sito ufficiale dell’ospedale il 5 maggio che ha sentito la necessità di puntualizzare e calmare le acque di un fenomeno che ha scatenato la “guerra” tra complottisti, virologi e politici (tra cui Matteo Salvini che ha usato tutti i suoi profili puntando il dito contro il governo colpevole secondo lui di voler nascondere la terapia), aprendo un dibattito che aveva assunto toni troppo aspri. Tra l'altro, sempre il 5 maggio, anche il ministero della Salute aveva pubblicato sul sito internet le informazioni sulla terapia al plasma. La prima considerazione è indicativa: la sperimentazione non è partita dal Poma di Mantova e, di conseguenza, non si tratta di una scoperta del dottor De Donno attorno al quale ieri si è creato un giallo. Improvvisamente salito alla ribalta per il suo scontro a distanza con Roberto Burioni, le sue lamentele per non essere ascoltato, da un giorno all’altro i suoi profili social sono “scomparsi”. Si è immediatamente gridato al complotto: «Lo hanno oscurato», hanno gridato in molti su Facebook e Twitter. A quanto pare sembra che sia andata diversamente e che lo pneoumologo si sia chiuso in una sorta di “silenzio stampa”. «L’ASST di Mantova - si legge nella nota apparsa sul sito - ha aderito al progetto per l’utilizzo del plasma iperimmune in collaborazione con il Policlinico San Matteo di Pavia. La collaborazione è proseguita fruttuosamente raggiungendo gli obiettivi previsti dalla sperimentazione». A lanciare la sperimentazione è in effetto stato il laboratorio di virologia molecolare del Policlinico San Matteo di Pavia diretto da Fausto Baldanti che, durante Che tempo che fa, ha parlato di «risultati incoraggianti» specificando però come si trattasse di «un trial che è in fase di completamento», ma «che questa non sia la soluzione del problema» che «arriverà con il vaccino, con farmaci specifici oppure con la sintesi di questi stessi anticorpi in maniera ingegnerizzata, cose che richiedono tempo». Tornando alla precisazione dell’ASST di Mantova, si legge: «Il principal investigator Cesare Perotti, direttore del Servizio Immunoematologia e Medicina Trasfusionale del San Matteo, sta in queste ore concludendo il report definitivo da sottoporre alla comunità scientifica. Preso atto che i primi dati sono risultati molto incoraggianti si ritiene opportuno, seguendo il metodo scientifico, rimandare al momento della pubblicazione l’esame accurato dei risultati». Poi viene fatta chiarezza sulla richiesta di informazioni dei Nas, letta dal mondo del web come un tentativo di frenare la sperimentazione al punto che lo stesso De Nonno aveva dichiarato: «non mi farò scoraggiare». «Riguardo ad altri temi emersi negli ultimi giorni - ha scritto il Poma di Mantova - si precisa che all’ASST di Mantova sono state semplicemente richieste informazioni generiche sulla natura della sperimentazione, proprio a seguito delle notizie riportate dalla stampa. Non c’è stato però alcun accesso alla struttura da parte dei Nas. La raccolta del plasma prosegue, grazie anche al prezioso contributo di Avis per il reclutamento dei donatori e l’ASST si augura di potere presto aderire ad altri studi in corso di programmazione». Infine il passaggio chiave, sulla necessità di non mettere in contrapposizione l’utilizzo del plasma iperimmune con la ricerca di un vaccino, e un chiarimento sui decessi: «La terapia con il plasma non è una cura miracolosa, ma uno strumento che insieme ad altri potrà consentirci di affrontare nel modo migliore questa epidemia. Mettere in contrapposizione vaccino, test sierologici o virologici, plasma, terapie farmacologiche o terapie di supporto è insensato, poiché dobbiamo disporre di tutte le armi possibili per fare fronte alla minaccia devastante rappresentata dal coronavirus. Per quanto riguarda la mortalità da Covid, si precisa che anche in questa azienda e nella provincia di Mantova l’effetto letale del virus si è manifestato. L’ASST di Mantova ha avviato uno studio specifico per valutare questa casistica».

Pamela, incinta, curata con il plasma. E arrivano i Nas in ospedale. Lo pneumologo De Donno: non mi intimidite. Redazione de Il Secolo d'Italia domenica 3 maggio 2020. Coronavirus, una donna incinta, Pamela, sta bene dopo la cura col plasma iperimmune all’ospedale di Mantova. Ma alle porte dell’ospedale hanno bussato i Nas:  chiedono informazioni sulla cura. La terapia sperimentale è “somministrata fuori protocollo in ambito compassionevole”, precisa il direttore generale dell’Asst di Mantova, Raffaello Stradoni, sulla "Gazzetta di Mantova", che riporta la notizia della richiesta del Nas. La terapia con il plasma iperimmune, utilizzato in pazienti con Covid-19 in condizioni critiche, è diventata molto popolare sui social, suscitando diverse polemiche fra gli addetti ai lavori sulla sua efficacia. “Il plasma iperimmune ci ha permesso di migliorare ancora di più i nostri risultati. È democratico. Del popolo. Per il popolo. Nessun intermediario. Nessun interesse. Solo tanto studio e dedizione. Soprattutto è sicuro. Nessun evento avverso. Nessun effetto collaterale”, rivendica su Facebook Giuseppe De Donno, direttore della Pneumologia del Poma, dove è stata condotta la sperimentazione. Uno studio alla ricerca di una cura per Covid-19 è portato avanti congiuntamente al Policlinico San Matteo di Pavia da marzo. Sul caso della donna incinta trattata con il plasma iperimmune è “tutto in regola” per De Donno, che scrive: “Ho letto su qualche quotidiano che la mia oramai figlioccia, non avrebbe avuto i requisiti per ricevere il plasma. Beh, nei criteri di esclusione non è prevista la gravidanza – sottolinea – quindi amici, tutto ok. Lo dico perché un protocollo va rispettato, ma certo, quando fosse possibile salvare vite, concorderei con la deroga per uso compassionevole”. Lo pneumologo sta utilizzando il plasma su un altro giovane paziente, sottoposto alla seconda infusione. “Il nostro giovane amico, come vi avevo anticipato, sta sorprendentemente bene. Così anche Pamela”, la donna incinta. “Se qualcuno crede di scoraggiarmi – scriveva De Donno sempre su Facebook qualche giorno fa, riferendosi appunto al giovane paziente – non ci riuscirà. Oggi, dopo l’infusione di plasma iperimmune, ormai amico mio, stai molto meglio. La febbre quasi scomparsa. Migliorata l’ossigenazione. Meno ore di ventilazione meccanica. Tutto come da protocollo. Non sempre riusciamo a salvare tutti. Ma il più delle volte sì. E se qualcuno volesse solo provare ad intimidirmi, dovrà risponderne alla sua coscienza. La mia è limpidissima”.

Plasma iperimmune, Giuseppe De Donno costretto al silenzio dai vertici dell’ospedale. Ecco cos’è successo. Manuel Montero il 7 Maggio 2020 su frontedelblog.it. Lo pneumolgo Giuseppe De Donno, che ha portato avanti la sperimentazione sul plasma iperimmune contro il coronavirus a Mantova, ha sospeso i suoi profili social per andare il silenzio stampa. L’Asst: “Si ribadisce che nessun professionista è autorizzato a diffondere a terzi i dati aziendali e/o dati riguardanti le sperimentazioni”. Ma non tutto è chiaro…Cominciano ad essere più chiari i contorni del giallo sulla sparizione del profilo e della pagina Facebook del dottor Giuseppe De Donno, lo pneumologo che per l’ospedale di Mantova ha portato avanti la sperimentazione sul plasma iperimmune contro il coronavirus. Il medico li avrebbe sospesi il giorno dopo la puntata di Porta a Porta in cui era ospite per mettersi in silenzio stampa. Racconta La Voce di Mantova: «A dare l’innesco è stata l’interruzione dell’intervento del dottor Giuseppe De Donno, titolare della pneumologia del “Poma”, cui Bruno Vespa ha tolto la parola durante la puntata di “Porta a porta” di martedì, durante la pausa pubblicitaria, senza più restituirgliela nel corso della puntata». Ecco cos’è accaduto:

A quanto spiegava il medico prima del black out, la sperimentazione del plasma iperimmune a Mantova – condotta unitamente al San Matteo di Pavia – aveva coinvolto 48 pazienti: e nessuno dei 48 pazienti era morto. Tanto che identici programmi sono iniziati altrove, nel mondo, ma nella stessa Lombardia, da Lodi a Crema, come abbiamo avuto modo di raccontarvi. Tra i guariti (con miglioramenti che cominciavano quasi subito, dalle 2 alle 48 ore dall’infusione) c’era anche Pamela Vincenzi, 28enne incinta di sei mesi: unico caso al mondo. Ma un caso che aveva pure indotto i Nas a chiedere chiarimenti all’Asst, non essendo prevista l’infusione in una donna gravida. E c’è anche il caso di un uomo dato per spacciato e salvato a Mantova da De Donno dopo l’intervento del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Ma cos’è successo poi? Il quotidiano mantovano riporta una nota che l’Unità di crisi avrebbe trasmesso alla direzione dell’ospedale di Mantova: «La struttura comunicazione è l’unico canale comunicativo ufficiale dell’Asst. Si ribadisce che nessun professionista è autorizzato a diffondere a terzi i dati aziendali e/o dati riguardanti le sperimentazioni per le quali i risultati non siano ancora stati pubblicati senza l’autorizzazione rilasciata dalla Direzione attraverso coinvolgimento della dottoressa Elena Miglioli come da regolamento vigente». Ma il bollettino n. 52 del team dell’Unità di crisi avverte anche che «l’articolo relativo alla sperimentazione con il plasma convalescente è stato sottoposto al “New England Journal”, siamo in attesa della risposta per la definitiva validazione dei dati che dovrebbero giungere entro la prossima settimana». Il New England è forse la più importante pubblicazione medico scientifica del mondo: evidentemente, per aver deciso di sottoporle la sperimentazione, ci sono stati a Mantova significativi risultati. E forse si è deciso di usare la linea della prudenza. De Donno paventava presunte pressioni sul suo lavoro e sui social si erano diffuse voci, dicono, complottiste. Eppure stiamo parlando di una tecnica collaudatissima che ha cento anni, non di pozioni miracolose, non di bizzarre terapie: semplicemente l’articolazione del protocollo di De Donno starebbe dando risultati eccelsi. De Donno sostiene che abbia funzionato anche dove ha fallito l’ormai noto farmaco contro l’artrite reumatoide tocilizumab. Ma sul sito dell’Asst di Mantova appare ora un messaggio che prova a far chiarezza, ma che si conclude in maniera sibillina: L’ASST di Mantova ha aderito al progetto per l’utilizzo del plasma iperimmune in collaborazione con il Policlinico San Matteo di Pavia. La collaborazione è proseguita fruttuosamente raggiungendo gli obiettivi previsti dalla sperimentazione. Il principal investigator Cesare Perotti, direttore del Servizio Immunoematologia e Medicina Trasfusionale del San Matteo, sta in queste ore concludendo il report definitivo da sottoporre alla comunità scientifica. Preso atto che i primi dati sono risultati molto incoraggianti si ritiene opportuno, seguendo il metodo scientifico, rimandare al momento della pubblicazione l’esame accurato dei risultati. Riguardo ad altri temi emersi negli ultimi giorni, si precisa che all’ASST di Mantova sono state semplicemente richieste informazioni generiche sulla natura della sperimentazione, proprio a seguito delle notizie riportate dalla stampa. Non c’è stato però alcun accesso alla struttura da parte dei Nas. La raccolta del plasma prosegue, grazie anche al prezioso contributo di Avis per il reclutamento dei donatori e l’ASST si augura di potere presto aderire ad altri studi in corso di programmazione. La terapia con il plasma non è una cura miracolosa, ma uno strumento che insieme ad altri potrà consentirci di affrontare nel modo migliore questa epidemia. Mettere in contrapposizione vaccino, test sierologici o virologici, plasma, terapie farmacologiche o terapie di supporto è insensato, poiché dobbiamo disporre di tutte le armi possibili per fare fronte alla minaccia devastante rappresentata dal coronavirus. Per quanto riguarda la mortalità da Covid, si precisa che anche in questa azienda e nella provincia di Mantova l’effetto letale del virus si è manifestato. L’ASST di Mantova ha avviato uno studio specifico per valutare questa casistica. 

Che cosa significa che anche a Mantova ci sono stati dei morti? Nessuno l’aveva messo in discussione, tantomeno De Donno. Lo pneumologo aveva detto che dei 48 pazienti sottoposti a plasma iperimmune nessuno è morto; non aveva detto che tutti i pazienti di Mantova erano stati sottoposti a plasma iperimmune. Aveva anzi chiarito come il plasma potesse essere infuso solo a determinate condizioni. A cosa serve dunque la nota finale? Perché uno potrebbe intendere che ci siano state vittime anche tra quelle sottoposte a plasma. E dunque che ciò che ha detto il medico non corrispondesse alla realtà. E questo non va bene: per la sua immagine e per quello dell’ospedale. Fatelo parlare, lasciate che sia lui a chiarire eventuali equivoci e che la gente sia informata direttamente dalla fonte di chi sta a contatto coi pazienti 18 ore al giorno. Il silenzio stampa, di fronte a decine di migliaia di morti, non è una bella soluzione. Soprattutto in Lombardia, dove le bare furono portate via con l’esercito due settimane dopo aver sentito i virologi dire in tv che questa era solo una «forte influenza» e che in Italia, per carità, non c’era «alcun pericolo». Persone che, ancora, senza vergogna, discettano di ridicole certezze.

Dal plasma iperimmune al giallo su Facebook: scomparso il profilo di De Donno. Le Iene News il 7 maggio 2020. È il simbolo della possibile terapia che potrebbe curare il coronavirus con il plasma iperimmune. Proprio martedì sera a Le Iene Giuseppe De Donno, primario dell’ospedale di Mantova, ha spiegato come funziona questa possibile terapia. Dopo qualche ora dalla messa in onda del servizio di Alessandro Politi e Marco Fubini i profili Facebook del professore risultano irraggiungibili come se qualcuno li avesse disattivati. Chiusi i profili Facebook di Giuseppe De Donno? Il primario di pneumologia dell’ospedale Poma di Mantova è diventato il simbolo per una possibile cura del coronavirus. Anziché ricorrere al vaccino atteso non prima di un anno, il professore ha avviato la sperimentazione del “plasma iperimmune”, cioè il plasma delle persone guarite dal coronavirus che è ricco di anticorpi contro la malattia. Questi anticorpi, iniettati nel sangue dei malati, aiuterebbero il corpo a combattere il virus. Nel servizio di Alessandro Politi e Marco Fubini che vi riproponiamo qui sopra abbiamo cercato di capire come funziona questa possibile terapia. Proprio dopo la messa in onda su Italia 1 del nostro servizio, De Donno è scomparso dai social. I suoi profili sono irraggiungibili, come se fossero stati chiusi. Cos’è successo? Proviamo a ricostruire questa lunga settimana per tentare di dare una risposta. Proprio Facebook per lui si è trasformato in un campo di battaglia già da sabato scorso. Su iene.it vi abbiamo parlato dello scontro tra De Donno e Roberto Burioni (qui l’articolo). “È qualcosa di serio e già utilizzato”, ha detto il virologo riferendosi alla sperimentazione in corso di De Donno. Parole che a quest’ultimo non sono andate giù: “Il signor scienziato si è accorto in ritardo del plasma iperimmune”, ha replicato il medico. E poco dopo ha rimarcato: “Lui sta in tv, noi lavoriamo”. Passano le ore, De Donno rimane al centro della polemica. “Salvo vite con il plasma iperimmune e da Roma mi mandano i carabinieri”, titola La Verità di martedì riferendosi a una sua dichiarazione. Un titolo che dopo qualche ora viene ridimensionato dallo stesso professore che parla di una “chiamata informativa” da parte dei carabinieri. È possibile che i Nas abbiano voluto verificare che tutti i protocolli siano stati osservati. Come ad esempio se il numero totale delle persone arruolate fosse quello previsto dal protocollo. “Con queste trasfusioni sono in via di guarigione 48 pazienti e ad altri 10 è stato chiesto di fare altrettanto”, dichiara De Donno nella giornata di martedì. Nella puntata di martedì a Le Iene vi abbiamo mostrato questo studio, e il primario ci ha spiegato “che è l’unica terapia mirata in questo momento”. Dopo poche ore la sua scomparsa dai social. I suoi due profili Facebook risultano ancora irraggiungibili. È stato fatto dal social network o forse è una decisione presa dallo stesso De Donno? Qualcuno parla di “silenzio stampa” e quindi di un gesto volontario. E se così fosse, perché è stato fatto?

I poteri forti "censurano" il profilo del dottor De Donno, la bufala cavalcata da Salvini. Redazione su Il Riformista il 7 Maggio 2020. Quando si tratta di cavalcare bufale e tesi complottiste, in Italia la Lega e Matteo Salvini sono sempre in prima fila. Non contenti di aver contribuito a diffondere, con tanto di interrogazione parlamentare, il video del Tg Leonardo del 2015 sul Coronavirus, un filmato scientificamente corretto ma strumentalizzato per far passare il messaggio che il Covid-19 fosse stato realizzato in un laboratorio cinese, ora è il turno del dottore Giuseppe De Donno. Il medico pneumologo dell’ospedale Carlo Poma di Mantova è diventato in queste settimane un volto noto al pubblico televisivo per la sua terapia sperimentale col plasma per curare i pazienti affetti da Coronavirus. Ma il medico è anche al centro di diverse teorie complottiste, in parte rilanciate dallo stesso De Donno, tra cui la finta irruzione dei Nas nell’ospedale (in realtà una semplice telefonata per il caso di una donna incinta curata con la terapia) o il complotto di governo, poteri forti e Bill Gates contro la sua terapia per facilitare l’ascesa del vaccino finanziato dal miliardario americano. L’ultima bomba sul medico riguarda il presunto oscuramento della sua pagina personale di Facebook, diventata oggetto di teorie complottiste sui social e cavalcata da Lega e Salvini. La realtà? È stato lo stesso medico a decidere di disattivare il suo account, altro che poteri forti. A rivelarlo è stato un suo “portavoce”, come viene definito da alcuni utenti il profilo di Leonardo M. che nel gruppo Facebook “Io sto con il dott. De Donno” scrive chiaramente che “la pagina l’ha chiusa lui stesso, mi ha detto solo che per ora non può dire niente”. Di silenzio stampa autoimposto parla invece su Twitter l’utente Bonnie379, che aveva provato ad intervistare De Donno: “Sono finalmente riuscita a contattare il Dott De Donno. È in silenzio stampa, quindi annulla l’intervista di domani sera”, riferendo poi di “fonti sicure” che rivelano come il dottore “è molto provato, ha cancellato lui stesso la pagina e per ora non può rilasciare dichiarazioni”.

QUANDO LA POLITICA (PIDDINA) COMANDA LA SCIENZA: IL CASO DE DONNO E LA SPERIMENTAZIONE DI PISA CHE… NON COMPARE. Guido da Landriano il 16 maggio 2020 su scenarieconomici.it. Nei giorni scorsi è partita una polemica fortissima quando l’Istituto Superiore di Sanità e AIFA hanno preso come capofila della sperimentazione sulla sieroterapia anti Covid-19 non il Prof. De Donno di Mantova, il  primo a sperimentarla scientificamente in Italia, ma lo studio “Tsunami” dell’università di Pisa, in toscana. De Donno si è giustamente arrabbiato e non lo ha mandato a dire. “Perché Pisa? Non lo so, sono sconcertato da questa decisione, nonostante il fatto che stamattina leggendo la stampa il presidente Rossi abbia minacciato di querelarmi, la politica che vuole ammutolire la scienza. Secondo me qualsiasi città lombarda andava bene. E non venitemi a dire che la Toscana si è organizzata meglio della Lombardia, perché qui parliamo di scienza. Era Pavia che doveva diventare principal investigator” ha detto di fronte alla Commissione parlamentare. La sperimentazione di De Donno coinvolge due grandi ospedali, il Policlinico Universitario San Matteo di Pavia ed il San Pomo di Mantova, non due ospedaletti di provincia. Inoltre è stata applicata nella regione più colpita  ed in due aree che, fra le prime, hanno patito i colpi per il COVID-19 in Europa. Se c’è qualcuno che ha esperienza, lavora in questi due ospedali. Invece, , come per miracolo lo studio premiato è stato a Pisa, in Toscana, regione non particolarmente colpita. Però non è finita. Esiste un sito governativo americano Clinicaltrials.gov, che raccoglie tutti i trial clinici rilevanti a livello mondiale, anche per permettere a chi ne ha bisogno, di scegliere una terapia sperimentale. Il sito riporta la terapia di De Donno: Oltre a Pavia vengono riportati i trial sieroterapici svolti a Bergamo, al Giovanni XXIII, dove si sperimenta un nuovo tipo di separazione del siero tramite tecniche normalmente utilizzate per la dialisi, molto più rapide ed efficienti, uno in partenza in Calabria ed uno in partenza a Roma, al policlinico Gemelli e Spallanzani. Non riporta  nessuna sperimentazione sieroterapica a Pisa. O almeno, se c’è è molto ben nascosta perchè io, dopo un paio d’ore di ricerca, non l’ho trovata. Quindi De Donno, ed altri, fanno una ricerca riconosciuta a livello internazionale e vengono ignorati, Pisa fa una ricerca misteriosa e viene premiata dall’ISS. Anzi il Super Iper Piddino Rossi, presidente della Regione Toscana, spinge la propria impudenza al punto di minacciare una denuncia penale verso il medico lombardo! Ormai siamo al livello di Unione Sovietica del periodo peggiore,  quella di Stalin e Beria, dove lo Stato Comunista decideva quale era la terapia giusta da applicare. Ringraziamo il governo Conte anche per questo incredibile risultato.

Felice Manti e Edoardo Montolli per il Giornale il 17 maggio 2020. Arriva il plasma iperimmune industriale. A produrlo sarà l'azienda di famiglia di un senatore Pd. Grazie a una sperimentazione partita con l' ok del governo, di cui l' esponente dem ha un ruolo di primissimo piano. Ma prima bisogna fare un passo indietro. E spostarci all' ospedale Poma di Mantova. Dove chi si è ammalato di coronavirus e si è visto trasfondere il plasma iperimmune non muore più da un mese e mezzo. Nessun effetto collaterale. È il risultato della sperimentazione portata avanti con il San Matteo di Pavia (su 48 pazienti). Pioniere lo pneumologo Giuseppe De Donno. All'inizio qualcuno lo fa passare per matto («Mi hanno dato del demente», dirà). Baruffe tra scienziati, come quando in tv un collega dice che è una terapia costosa e pericolosa. E quando De Donno salva la ventottenne Pamela Vincenzi, incinta di sei mesi, i Nas vanno a chiedergli spiegazioni. Luigi invece ha 51 anni ed è dato già per morto a Bergamo. De Donno lo sottopone a plasmaterapia su richiesta diretta del presidente della Repubblica Sergio Mattarella: si risveglia dal coma e torna a vivere. Si salva anche un terzo paziente nonostante l' agammaglobulinemia: non produceva anticorpi eppure è vivo. Mondo politico e comunità scientifica capiscono che la sperimentazione può dare buoni frutti. E qui succede l' impensabile. L' Istituto Superiore di Sanità fa partire una sperimentazione nazionale. Il capofila ideale è Mantova ma viene scelta Pisa, che ha guarito due pazienti: «Non hanno nemmeno atteso i miei risultati» dirà De Donno. Al protocollo aderiscono quattro Regioni, tutte a guida Pd. Tu chiamale, se vuoi, coincidenze. Il 15 maggio nasce il comitato scientifico: 13 esperti, da Reggio Emilia a Catania, dall' Aifa al Centro nazionale del sangue. De Donno no, sbotta e parla di scelte politiche. E il governatore della Toscana Enrico Rossi annuncia querela. Giovedì scorso De Donno è atteso in streaming alla commissione Sanità del Senato. Deve parlare di quanto sia gratuito il plasma e di come una persona guarita da coronavirus possa salvarne 2 (con una sacca da 82 euro). Prima deve intervenire Massimo Scaccabarozzi, presidente di Farmindustria. Che presto cede la parola al toscano Paolo Marcucci, che non era atteso. È l' amministratore delegato di Kedrion Biopharma, colosso dei plasmaderivati con un fatturato da 687 milioni di euro: «Lavoriamo a fianco del Centro nazionale del sangue contro il contagio». L' azienda ha fornito gratuitamente la strumentazione e i kit di consumo per l' inattivazione virale del plasma e accompagna tutte le sperimentazioni in corso sul plasma iperimmune. Ma Marcucci spiega la seconda fase: Kedrion metterà a disposizione il proprio stabilimento di Napoli per raccogliere il plasma dei donatori italiani e trasformarlo, in «conto lavorazione» in plasma iperimmune industriale utilizzabile nei quattro anni successivi: «Così si eviterà di eseguire l' inattivazione virale nei singoli centri che è un' inattivazione comunque artigianale, costosa e adatta solo alla sperimentazione». Peccato sia esattamente il contrario di quanto sosterrà poco più tardi lo pneumologo mantovano. Lo abbiamo cercato, De Donno. Non ci ha risposto. Aggiunge Marcucci anche che è prevista una terza fase: la produzione di gammaglobuline imperimmuni con l' israeliana Kamada, con cui è d' accordo da aprile. Prime consegne per ottobre. Insomma, il plasma donato gratuitamente dai convalescenti italiani diventerà un prodotto industriale di un' azienda privata che, evidentemente, non lavorerà gratis. Ci sta che il manager dell' azienda privata ne parli a sorpresa in un' audizione al Senato. Ma il diavolo si nasconde nei dettagli. L' ad di Kedrion è Paolo Marcucci, fratello di Andrea Marcucci, capogruppo in Senato del Pd, esattamente come è del Pd la regione cui è stata affidata la sperimentazione nazionale. Con il beneplacito dell' Iss. Senza dire neanche grazie a De Donno. È come se ai tempi del governo Berlusconi lo Stato avesse assegnato a una multinazionale in mano alla famiglia di un senatore di Forza Italia un affare miliardario. Ma i conflitti d' interesse, si sa, può evocarli solo la sinistra o i grillini. Ai tempi del governo gialloverde si chiamano coincidenze.

"Pd in conflitto d'interessi sul plasma". Lo pneumologo: "Quello industriale Kedrion non è gratis e non è sicuro". Felice Manti e Edoardo Montolli, Giovedì 21/05/2020 su Il Giornale. Come rivelato dal Giornale il plasma dei donatori italiani guariti da Covid-19 finirà ad un'azienda privata per essere lavorato con standard industriali. Ad occuparsene sarà il colosso toscano Kedrion, di proprietà della famiglia Marcucci: Paolo è l'amministratore delegato, il fratello Andrea è capogruppo Pd al Senato. Sulla vicenda oggi il deputato della Lega Andrea Dara presenterà un'interrogazione parlamentare al ministro della Salute Roberto Speranza, esponente di Leu. Ne abbiamo parlato con lo pneumologo di Mantova, Giuseppe De Donno, il pioniere della tecnica che ha ottenuto una guarigione del 100%, senza effetti collaterali né recrudescenze. Eppure è stato fatto fuori dalla sperimentazione, anche se si dice che entrerà nel comitato scientifico: «Il protocollo Tsunami scelto da Aifa e Istituto superiore di Sanità con capofila Pisa è il nostro Protocollo. Ma quella sperimentazione è vecchia perché doveva iniziare una Fase 2 con item differenti di studio: giovani, anziani, pazienti oncologici...». Secondo l'ad Kedrion Paolo Marcucci, intervenuto a sorpresa al Senato, il plasma iperimmune lavorato oggi in maniera «artigianale» dai singoli centri è «costoso» e «adatto solo alla fase sperimentale».

Cosa risponde?

«È in conflitto di interessi».

Marcucci sostiene anche che il plasma iperimmune industriale possa essere congelato anche per 4 anni. Il vostro?

«Se neutralizzato può durare fino a sei mesi. Se non neutralizzato, molto di più. Il vantaggio però del plasma convalescente è che costa molto meno, segue la antigenemia del virus, pertanto gli anticorpi sono più specifici. Il plasma inoltre contiene sostanze antinfiammatorie che sicuramente in futuro dimostreranno avere un peso notevole nel miglioramento clinico».

Il plasma industriale è meno pericoloso del vostro?

«Altra corbelleria. Si vuole spianare la strada ai prodotti di sintesi, verso i quali peraltro io non sono contrario. Ma ciò non vuole dire demonizzare il plasma convalescente. Gli industriali cercano profitto. Noi no. Il problema è quando il profitto collude con la scienza o con la politica. Vuol dire che il sistema ha delle pecche. Mostruose».

Quando alcuni scienziati in tv parlavano di pericolosità del plasma Avis non ha detto nulla e lei si è detto «sorpreso...»

«A dir la verità da uomo meridionale mi sono imbestialito ma al presidente nazionale Gian Pietro Briola, persona di grande serietà, ho spiegato che di fronte ai donatori dobbiamo essere uniti».

Marcucci ha sostenuto al Senato di aver fornito gratuitamente i kit di inattivazione virale alla sperimentazione del San Matteo (e quindi anche alla vostra). Se questi kit fossero a pagamento, la lavorazione del plasma che raccogliete sarebbe molto più costosa?

«No. Ma Marcucci manco ha nominato Mantova in Senato. Era distratto».

La produzione delle gammaglobuline iperimmuni industriali che Kedrion produrrà con l'israeliana Kamada sono utili?

«Se vi sarà una seconda ondata ed avremo istituito banche del plasma e magari sarà stato sintetizzato il vaccino, credo siano inutili e costose. Staremo a vedere».

Quando saranno pubblicati i risultati della sua sperimentazione su Andrology?

«Presto. Abbiamo visto che bassi livelli di testosterone correlano con la gravità di malattia. Questo dato, se confermato, potrà aprire nuovi ed importanti scenari anche nell'ambito della terapia. Sul plasma abbiamo sottomesso i dati a Jama. Siamo tutti ansiosi di sapere se verrà accettato. Ma di sicuro, in ogni modo, ha cambiato il destino del trattamento del Covid-19».

Secondo lei c'è plasma iperimmune per curare tutti?

«Secondo voi Luca Zaia è uno sprovveduto? Secondo me no».

Felice Manti ed Edoardo Montolli per “il Giornale” il 22 maggio 2020. L'affaire plasma si fa più interessante. Nei giorni scorsi il Giornale ha denunciato lo scandalo del plasma iperimmune industriale che sarà prodotto dalla Kedrion, azienda di famiglia del capogruppo Pd al Senato Andrea Marcucci grazie a una sperimentazione partita da Aifa e Istituto superiore di Sanità con l' ok del governo. Un conflitto d' interessi mostruoso per un business che si annuncia miliardario se arrivasse la conferma che il plasma guarisce dal Covid-19. La sperimentazione è stata portata avanti per primo dal San Matteo di Pavia (su 48 pazienti) e dal dottor Giuseppe De Donno a Mantova. Eppure lo pneumologo è stato fatto fuori dal trial, assegnato all' ospedale di Pisa (che di pazienti ne ha curati due), a cui hanno già aderito diverse Regioni. Non il Lazio di Nicola Zingaretti, che si è chiamato fuori. Ieri il deputato della Lega Andrea Dara ha presentato un' interrogazione al ministro della Salute Roberto Speranza. «Quando ho letto la risposta - dice Dara al Giornale - ho dubitato della capacità di comprensione di chi ha ricevuto l' interrogazione». Di Marcucci e della Kedrion non si parla. «Non una parola sugli evidenti conflitti di interessi. È costume del governo - sottolinea il leghista - agire nel buio ma non ci fermeremo». Nella risposta ci sono diverse cose che non tornano. Si dà atto che «originariamente» come capofila era prevista solo Pisa, senza dire che il San Matteo di Pavia è stato aggiunto dopo. Il ministero non spiega perché l' Iss, nella sua scelta, non ha tenuto conto della sperimentazione di Mantova e Pavia e dice che De Donno è nel comitato scientifico. Peccato che nel comunicato pubblicato sul sito dell' Aifa il nome di De Donno non ci sia. Inoltre si sostiene che lo studio Tsunami è «l' unico randomizzato in grado di valutare la sicurezza e l' efficacia della terapia». Ma se questa sicurezza ed efficacia non sono ancora certe (tanto che l' Iss non ha tenuto minimamente il conto l' esperienza di Mantova) per quale ragione si è dato il via libera alla produzione di plasma industriale imperimmune alla Kedrion? Per quale ragione le prime consegne sono previste ad ottobre? Anche l' Avis, chiamata in causa da De Donno nell' intervista al Giornale di ieri, ci tiene a precisare di non aver mai parlato di pericolosità del plasma, la cui terapia in Italia ha elevatissimi standard di qualità e sicurezza. Resta un dubbio. Nella sua audizione al Senato, l' ad Kedrion Paolo Marcucci ha detto che il plasma iperimmune industriale, se congelato, può durare fino a 4 anni. Ma se il virus mutasse? Il plasma industriale congelato sarebbe utile? Lo abbiamo chiesto a De Donno: «In realtà una risposta precisa non c' è. È ovvio però che se il virus muta, fra quattro anni il plasma sarà vecchio. Un po' come il vaccino dell' influenza che deve cambiare ogni anno».

LA PRECISAZIONE DI KEDRION. Dagospia il 26 maggio 2020. Gentile Direttore, Le scrivo in nome e per conto della Kedrion s.p.a., in persona del Presidente ed Amministratore delegato Dott. Paolo Marcucci, al fine di tutelare gli interessi della Società nei confronti del Vostro giornale on line, poiché, a seguito di attività di monitoraggio sul web, è emersa la pubblicazione, nella data di ieri, di un articolo intitolato “Sangue amaro esposto della Lega sulla vicenda del Business del plasma affidato all’Azienda do Famiglia del Capogruppo PD al Senato Andrea Marcucci...” (doc.1) tuttora presente sul web, nel quale vengono affermate circostanze non corrispondenti a verità. Le chiedo la cortesia di intervenire immediatamente, provvedendo alle opportune modifiche su quanto espongo alle Sue valutazioni e responsabilità. La Società è ovviamente consapevole che, in questo periodo, si stia dibattendo presso la pubblica opinione a proposito dell’utilizzo terapeutico del plasma umano in funzione anti-Covid e non ha ritenuto di intervenire, fino ad adesso, perché ha osservato, da subito, che il tema ha assunto i toni di una contesa politica, alla quale è e deve rimanere del tutto estranea. Tuttavia, proprio per la importanza e l’attualità del tema, a questo punto, la mia assistita non può esimersi dal precisare alcuni fatti, che, per ragioni varie, sono stati rappresentati, in diverse sedi, compresa la Sua, in maniera difforme dal vero, per cui si ritiene utile che la platea dei Suoi lettori e dei cittadini italiani sia messa in grado di conoscere puntualmente gli accadimenti affinché sia offerta un'informazione completa ed ineccepibile.

1) La prima cosa che è doverosa chiarire é che non c’è mai stata nessuna contrapposizione tra la Ke- drion e il Dott. De Donno, come si lascia intendere sulla stampa, anzi:

a) Nel periodo tra la fine di febbraio e l’inizio di marzo, Kedrion ha ricevuto da parte dei centri tra- sfusionali degli Ospedali di Padova, Mantova e Pisa la richiesta di fornitura di macchinari e kit per l’inattivazione virale del plasma da convalescente Covid-19 da utilizzare a cura di questi Ospedali per uso trasfusionale e per trattare a titolo sperimentale i pazienti con Covid-19; era stato il Centro Nazionale Sangue a richiedere che il plasma utilizzato in queste sperimentazioni fosse preventiva- mente sottoposto ad un processo di inattivazione virale prima della sua somministrazione.

b) Kedrion, pertanto, ha fornito all’Ospedale Carlo Poma di Mantova (il cui primario di Pneumolo- gia è il Prof. Giuseppe De Donno) il macchinario per l’inattivazione virale (nome commerciale IN- TERCEPT®) e 500 kit utili alla preparazione di unità di plasma da convalescente che consentono di trattare circa 500 pazienti. Ad oggi nell’ambito della sperimentazione, il cui promotore è l’Ospedale San Matteo di Pavia e a cui ha aderito anche il Carlo Poma di Mantova, sono stati trattati circa 50 pazienti. La circostanza non è seriamente discutibile, come risulta dalla stampa della cittadina (cfr.: La Voce di Mantova del 4.4.20 (doc. 2a) e la Gazzetta di Mantova del 14.5.20 (doc.2b) e di oggi 24.4.20 (doc.2c), dalla quale risultano i ringraziamenti dell’Ospedale cittadino nei confronti di Kedrion, “che ha donato al Carlo Poma apparecchiatura e Kit per portare aventi il protocollo sul plasma”.

c) Per completezza, altri Centri lombardi hanno avanzato la richiesta di fornitura di questi strumenti (Bergamo, Niguarda – MI, Lecco) e a tutti è stata garantita la fornitura gratuita inclusi 100 kit . Anche in Veneto (Ospedali di Verona e di Vicenza) sono state fornite ulteriori strumentazioni, con la stessa modalità.

2) In più punti, l’ articolo di oggi afferma che “il plasma iper-immune industriale sarà prodotto dalla Kedrion" e si domanda, estrapolando frasi attribuite a terzi, “per quale ragione si è dato il via libera alla produzione di plasma industriale iper-immune alla Kedrion?”...”Per quale ragione le prime consegne sono previste ad ottobre?”. Ebbene non è così: Kedrion non ha ricevuto dalle Autorità pubbliche italiane alcuna autorizzazione o commessa per inattivare in maniera industriale il plasma iper-immune. Ad oggi Kedrion ha solo donato agli Ospedali che lo hanno richiesto i kit di inattivazione virale e offerto in comodato d'uso la macchina necessaria per questa inattivazione. Nessuna consegna di plasma iper-immune italiano è prevista per ottobre o per il futuro. I fatti veri, sul dibattito emerso sulla stampa in questi giorni, sono i seguenti:

A) Si è già concluso il protocollo sperimentale sviluppato dal Servizio di Immunoematologia e Medicina Trasfusionale del San Matteo di Pavia (Principal Investigator) in collaborazione con altre strutture quali quelle di Lodi e Mantova. I risultati sono stati proposti per la pubblicazione sulla rivista JAMA. La sperimentazione dell’Azienda Ospedaliera Universitaria di Padova è attualmente in corso. Si noti che “le sperimentazioni fino a qui citate non sono studi controllati randomizzati”.

B) Erano circolate voci secondo le quali il Ministero della Salute non si sarebbe fatto carico della sperimentazione e, in data 7 maggio, Istituto Superiore di Sanità e AIFA, insieme, hanno annunciato di essere impegnati nello sviluppo di uno studio nazionale comparativo (randomizzato) e controllato per valutare l’efficacia e il ruolo del plasma ottenuto da pazienti guariti da Covid-19 con metodica unica e standardizzata.

C) L’Ospedale San Matteo di Pavia, insieme all'Azienda ospedaliero-universitaria di Pisa, è ad oggi il Principal Investigator dello studio (chiamato TSUNAMI), che coinvolge al momento 56 centri distribuiti in 12 Regioni. L’Ospedale di Pisa si tira dietro le Regioni del consorzio PLANET della plasma-derivazione (Campania, Marche, Umbria ed altre ancora fino ad arrivare ad una decina circa) per cui possiamo solo presupporre che l’assegnazione che impegna, e soprattutto coinvolge, più Regioni, indipendentemente dal colore politico, sia dettata da fini della maggior sensibilizzazione possibile per un’operazione che promette di randomizzare una procedura in grado di salvare così tante vite umane da una morte orribile. Deve, quindi, essere chiaro che Kedrion non ha nulla a che fare con queste sperimentazioni né con altri studi in corso. Ha solo fornito strumentazione e i kit per l’inattivazione virale in comodato d’uso a titolo gratuito.

D) Si intende, inoltre, precisare, come è stato confermato pubblicamente da varie autorevoli voci scientifiche, la terapia al plasma è complementare, non è in alternativa, ad altre terapie utilizzate o in via di sviluppo contro il Covid-19.

E) Il Sistema Sanitario Italiano si è mosso tra i primi nel mondo nella ricerca sull’utilizzo del pla- sma come terapia Anti-Covid-19 e l’Italia è stata presa come riferimento da tantissimi Paesi.Tutta l’industria della plasma-derivazione a livello mondiale sta lavorando in progetti di ricerca su un concentrato di immunoglobulina partendo dal plasma dei guariti come potenziale trattamento per ipazienti con Coronavirus.

Il Sistema Sanitario Nazionale potrà scegliere di utilizzare Kedrion, se lo riterrà vantaggioso, sia per un servizio di inattivazione a livello industriale del plasma da convalescente allo scopo di ottenere delle scorte da utilizzare, in caso di ripresa della pandemia, sia per un servizio di conto lavorazione del plasma da convalescente per produrre un’immunoglobulina destinata al Sistema Italia. Tale attività consisterà nella trasformazione di una materia prima di proprietà pubblica e di restituzione di un prodotto finito, che presumibilmente potrebbe avere costi più bassi rispetto ai prodotti del mercato o di piccolo laboratorio. Questo servizio, è bene chiarirlo, viene offerto da Kedrion, che è un player internazionale, a tutti indistintamente, così per il plasma italiano come pure per il plasma proveniente da altri Paesi del mondo intero.

Caro Direttore, personalmente mai avrei immaginato che sarebbe stata trascinata in polemiche artificiose l’unica Azienda italiana di emoderivati che, oltretutto, con encomiabile senso del dovere, ha messo gratuitamente a disposizione tutto quanto occorresse agli Ospedali che ne facevano richiesta, per la salvezza di vite umane nella propria Nazione e che non lascerà niente di intentato per le guarigioni del maggior numero possibile di malati nel mondo: scoraggiare il perseguimento di questi obiettivi è per me incomprensibile e sicuramente riprovevole. La invito, pertanto, a provvedere molto cortesemente alla rimodulazione dell’articolo precisando che quelle che appaiono affermazioni di verità altro non sono che espressioni di una parte politica, che esercita legittimamente i suoi diritti in Parlamento, ma che risultano del tutto infondate allo stato dell’arte, senza che sia necessario aggiungere altro, per ora, da parte mia, se non ringraziare per avere immediata conferma che sia stata resa Giustizia alla mia assistita, a chiusura definitiva della vicenda, ben disponibili a darLe tutta la documentazione che desiderasse, oltre a quella già offerta, per la Sua opportuna completa conoscenza su un tema così delicato...

Il plasma contro il coronavirus sta diventando un business? Le Iene News il 26 maggio 2020. Alessandro Politi e Marco Fubini tornano a parlarci del plasma iperimmune, utilizzato nelle sperimentazioni per curare il coronavirus. La K.edrion B.iopharma ha presentato in Senato un progetto farmaceutico legato all’utilizzo del plasma: questa possibile cura sta diventando un business? E se fosse vero: cosa ne penserebbe chi dona gratuitamente? In queste settimane con Alessandro Politi e Marco Fubini vi abbiamo parlato del plasma iperimmune utilizzato nelle sperimentazioni per curare il coronavirus. Oggi c’è una grande novità che ha stupito tutti: durante un’audizione in Senato in cui è intervenuto anche il dottor Giuseppe De Donno è stato presentato a sorpresa, cioè senza essere stato ufficialmente invitato, il presidente di K.edrion B.iopharma, Paolo M.arcucci che ha illustrato un mega progetto farmaceutico legato all’utilizzo del plasma iperimmune contro il COVID-19. Ma andiamo con ordine: la cura con il plasma iperimmune, sperimentata per la prima volta in Occidente negli ospedali di Pavia e Mantova, ha dato ottimi risultati. E sono partite sperimentazioni in tutto il mondo. Il ministero della Salute, insieme ad Aifa e all’Iss, ha fatto partire una sperimentazione nazionale. Il cosiddetto progetto “Tsunami”. Come capofila di questo studio, insieme all’ospedale di Pavia, viene scelta l’università di Pisa che ha all’attivo solo due casi di pazienti trattati con il plasma. Mantova invece è stata inizialmente estromessa: avevamo chiesto al ministro Speranza il perché, ma non abbiamo avuto risposta. Dopo le polemiche a seguito del nostro servizio, Mantova è entrata nella sperimentazione nazionale. E di questo il nostro Alessandro Politi ha parlato con il dottor Giuseppe De Donno, come potete vedere nel servizio qui sopra. Torniamo però all’audizione in Senato di cui vi abbiamo parlato all’inizio. È il presidente di Farmindustria, Massimo Scaccabarozzi, a introdurre il presidente di K.edrion. K.edrion è una multinazionale farmaceutica che ha sedi in tutto il mondo, ma quella centrale si trova in Toscana, e ha collaborato spesso con l’università di Pisa finanziando progetti, fondazioni, bandi e concorsi. La K.edrion tra l’altro sponsorizza conferenze web sul plasma in cui, insieme al suo responsabile della ricerca Alessandro Gringeri, ci sono il professor Francesco Menichetti, che dall’università di Pisa guiderà la nuova sperimentazione nazionale, ma anche i direttori dei centri regionali sangue della Lombardia e dell’Abruzzo e anche quello nazionale. “Chiederò al dottor Paolo M.arcucci che ha un’azienda fortemente impegnata in questo studio clinico, magari vi darà qualche aggiornamento su come siamo messi”, ha detto Scaccabarozzi. Prima di ascoltarlo, è importante sapere che il business del plasma nel mondo vale miliardi di euro e che K.edrion B.iopharma è della famiglia M.arcucci. Paolo è il presidente, la sorella Marialina è stata vicepresidente della Regione Toscana per diversi anni e il fratello Andrea è nel consiglio di amministrazione dell’azienda e capogruppo del Partito democratico al Senato. Per prima cosa Paolo M.arcucci spiega il suo programma a lungo termine: “Il piano di contrasto si identifica in tre elementi. Il primo: l’industria ha risposto all’appello lanciato dagli ospedali fornendo gratuitamente la strumentazione e i kit necessari per l’inattivazione virale”. La K.edrion senza bando di gara, sia perché ha agito in situazione di emergenza vista la pandemia, sia perché non c’è stato scambio di denaro, ha regalato agli ospedali i kit per trattare il plasma iperimmune. Il progetto però non si ferma qui: “K.edrion intende mettere a disposizione il proprio stabilimento di Napoli Sant’Antimo per inattivare il plasma delle regioni e restituirlo come plasma industriale”. E inoltre aggiunge: “Nel paese ci sono quantitativi sufficienti per garantire la produzione di lotti industriali, così si eviterebbe di eseguire l’inattivazione virale nei singoli centri che è costosa”. Chi lavora questo plasma tutti i giorni però ci ha detto che il costo è bassissimo, come potete sentire nel servizio qui sopra. Il progetto di K.edrion comunque va oltre: “Il terzo elemento è un passaggio a una fase industriale più avanzata, che è l’utilizzo delle gammaglobuline iperimmuni. K.edrion ha siglato una partnership con Kamada, che è una eccellenza israeliana delle biotecnologie. L’idea è quella di renderle disponibili in termini farmaceutici”. Dal plasma si arriverebbe a un vero e proprio farmaco, che non servirebbe solo a curare i malati ma anche “per rafforzare le difese immunitarie di coloro che sono in prima linea. Penso ai medici, agli infermieri”. Quindi proteggere anche le persone a rischio. Parliamo di un progetto enorme, che potrebbe fruttare milioni di euro e che partirebbe proprio dal plasma dei nostri donatori che per legge in Italia possono donare solo a titolo gratuito. Se i donatori sapessero di questo progetto, cosa direbbero? Alessandro Politi è andato a parlare con alcuni di loro: “Ti viene da dire ‘allora sai, ciao’”, ci dice una di loro. “Io sono un donatore gratuito, voglio che sia dato gratuitamente a quella persona che devo salvare”, aggiunge un altro. La Iena interpella anche il professor Santin dell’università di Yale: il plasma standardizzato farmaceutico quanto costerà di più di quello delle donazioni? “Stiamo parlando sicuramente di migliaia di dollari, contro i meno di 100 dollari che in questo momento costa una sacca di plasma. Sapendo però bene che questo si trasforma poi in un farmaco. Guarda che i farmaci vengono ricaricati dieci, cento, mille volte sul costo reale. E le case farmaceutiche producono un prodotto per guadagnarci”. Ma voi che state trattando migliaia di pazienti con questo metodo, lo fate lavorare dalle case farmaceutiche? “No”. Ci sono dei vantaggi a farlo lavorare da una casa farmaceutica? “Prima di tutto hai un prodotto superconcentrato, essendo piccole quantità le congeli e le puoi mandare in tutto il mondo”. E ha anche degli svantaggi? “Gli svantaggi sono che il plasma sappiamo che funziona perché è carico di anticorpi neutralizzanti, però ci sono alcune delle proteine presenti nel plasma che hanno funzioni antivirali e questa componente nella raffinazione viene persa. Ecco quindi che questi nuovi anticorpi concentrati hanno bisogno di studi per poter dimostrare che funzionano come il plasma”.  La lavorazione industriale quindi sembra lunga, e potrebbe anche non andare a buon fine. Quindi ci sorge una domanda: K.edrion da chi ha avuto mandato di fare il progetto che ha presentato? Lo chiediamo al direttore generale di Aifa, sotto cui è partita la sperimentazione nazionale Tsunami”: “Io non ne so niente, non ero all’audizione e non è compito mio. È di competenza del Centro nazionale sangue. In questa sperimentazione K.edrion non ha nessun ruolo”. Qui ci tornano in mente le parole del presidente di Farmindustria, che in Senato presenta il presidente di K.edrion in questo modo: “Ha un’azienda fortemente impegnata in questo studio clinico, uno studio nazionale… Per valutare l’efficacia e il ruolo del plasma ottenuto da pazienti guariti dal COVID-19”. Quindi K.edrion c’entra o no in questo studio? Ha vinto oppure no un appalto per lavorare il plasma iperimmune e farlo diventare un prodotto farmaceutico? E ci viene in mente un altro passaggio apparentemente poco chiaro: “Queste tre fasi sono tutte in corso… sono tutte in forse e le stiamo… perseguendo”, ha detto M.arcucci. Ma sono in corso, in forse o le stanno perseguendo? La Iena parla con Raffaello Stradoni, direttore generale dall’Asst di Mantova. Voi avete un accordo con K.edrion per la lavorazione del plasma iperimmune? “No, per il plasma iperimmune ancora non c’è. Adesso viene preso da singolo donatore a singolo ricevente e viene sempre lavorato internamente”. In Senato il presidente M.arcucci dice: “Per dare seguito a questa progettualità stiamo lavorando con la regione Lombardia, Veneto, Toscana, Campania, con l’auspicio che il progetto possa svilupparsi su scala nazionale”. Perché allora M.arcucci dice che è una cosa già in atto? “Non ne ho la più pallida idea”, risponde Stradoni. Alessandro Politi allora va a parlare anche con Carlo Nicotra, direttore generale del policlinico San Matteo di Pavia: a voi è arrivato un accordo che vi invita a mandare il plasma a K.edrion? “Assolutamente no, anche perché in Lombardia questo tipo di gestione del plasma è centralizzato”. Quindi non c’è nessun tipo di previsione di mandare a industrializzare il plasma? “Assolutamente no”. E anche dall’università di Padova ci confermano che non c’è alcun accordo con K.edrion per la fornitura di plasma iperimmune. Allora la Iena telefona al direttore scientifico dello Spallanzani di Roma, da cui passa l’approvazione di tutte le sperimentazioni nazionali, per chiedere il ruolo della K.edrion. “Non ne so niente di questo”. Ma è previsto che poi il plasma venga lavorato da loro? “Che io sappia no, anzi. Se vuole sapere, starei molto lontano da questi affari che sono sempre difficili da valutare”. Cosa vuol dire? “Se qualcuno pensa di farne un fatto di tipo economico, è un’altra cosa ma preferisco occuparmi di aspetti scientifici. Questo è plasma di convalescenti, conservato nei centri trasfusionali e rinfuso, basta”. Perché dice che starebbe lontano da questi affari? “Perché in questa vicenda del sangue non ho mai capito quale sia la catena e vorrei dire che i cittadini donano il sangue e lo Stato si ricompra il sangue più volte. Ma questa è una cosa che va lontana sul costo del sangue”. Quello che è certo è che se si deciderà di industrializzare la produzione del plasma iperimmune, una cosa è chiara: “La decisione, questa sì politica, è lo diamo in mano pubblica o privata?”, ci dice Stradoni. “Facciamo una gara o chiamiamo un’università e facciamo fare a lei? Lo affidiamo tramite un controllo o ai militari come in America?”. Se l’accordo l’avessero fatto in questo modo sarebbe stato giusto, il problema è che nell’audizione in Senato è uscita questa persona che sembra che dica ‘lo faccio io’. I rappresentati democraticamente eletti prendano queste decisioni attraverso tutto il gioco democratico”, aggiunge Stradoni. Ministro Speranza, noi siamo sempre qui. Anche se a noi non vuole rispondere, può almeno controllare che il plasma non diventi un business fatto sulla nostra pelle?

Le Iene: la cura al plasma sta diventando un business con al centro la famiglia del Pd M.arcucci. Il Secolo d'Italia sabato 30 Maggio 2020. Il plasma iperimmune contro il coronavirus sta diventando un business? Le Iene puntano i riflettori sull’ultima novità che riguarda la cura contro il Covid: la K.edrion B.iopharma ha presentato in Senato un progetto farmaceutico legato all’utilizzo del plasma. La K.edrion B.iopharma, con sede in Toscana e con un fatturato annuo di circa 800 milioni, è di proprietà della famiglia M.arcucci. L’amministratore delegato è Paolo M.arcucci, fratello maggiore del senatore e capogruppo Pd Andrea, che a sua volta è consigliere di amministrazione di K.edrion con funzione di supervisione sugli Stati Uniti. A ciò si aggiunge il fatto che l’Aifa e l’Iss hanno scelto Pisa (in Toscana) come capofila della sperimentazione della cura al plasma estromettendo Mantova e il dottor Giuseppe De Donno. Quindi da prodotto a basso costo il plasma iperimmune potrebbe diventare prodotto farmaceutico. Proprio ciò che paventava Giuseppe De Donno, il pioniere della cura al plasma contro il Covid. Quest’ultimo, che ha riaperto il profilo Fb, ha annunciato ai suoi followers che gli è stato assegnato il premio dedicato a San Giuseppe Moscati. “Era un dottore napoletano che curava la gente “gratuitamente” e veniva chiamato “dottore santo”. Ora, io santo non lo sono, e, vi confesso, non credo di meritare un premio dedicato a una così alta figura. Questo premio lo accetto a nome di tutti i pazienti che non abbiamo salvato, a nome di Massimo Franchini e di tutti i nostri colleghi, ma, soprattutto, a nome di tutti i meravigliosi donatori. Ricordatelo. La vostra donazione salva e chi salva una vita salva il mondo intero!”.

Richiesta di rettifica e deindicizzazione.

All’attenzione del Direttore responsabile. Oggetto: Marcucci + Kedrion s.p.a. /Antonio Giangrande. Rimozione di contenuti diffamatori. RIW n. 329.

Gentile Direttore, Facendo seguito a pregressi interventi positivamente definiti, l’ultimo dei quali come da Sua email del 4 maggio 2019 (doc. 1), il Senatore Andrea Marcucci, dott. Paolo Marcucci in proprio ed in qualità di Presidente di Kedrion s.p.a., hanno conferito ancora una volta mandato al mio Studio al fine di tutelare i loro interessi nei confronti di un Suo libro intitolato: “Il Coglionavirus quarta parte. La cura” disponibili ed acquistabili sia in formato e-book che cartaceo e pubblicati sul sito web books.google.it, nel quale da pag 622 e ss. (doc.2) viene ripreso e richiamato un servizio prodotto dalla trasmissione televisiva “Le Iene” andato in onda su Italia 1 il 26.05.2020, intitolato: “Il Plasma contro il Coronavirus sta diventando un business?”

Debbo preliminarmente ricordarLe che tale servizio, diffuso sui siti web iene.mediaset.it e mediasetplay.mediaset.it, fonte originaria della pubblicazione dell’articolo, a seguito di nostra denuncia penale presso la Procura della Repubblica di Lucca contro Regista e Conduttori della trasmissione, è stato rimosso mediante oscuramento della pagina web disposto con sequestro preventivo dal G.I.P. dott. Nerucci del Tribunale di Lucca, con provvedimento del 29.01.2021 (RG 3051/2020). Non solo, successivamente, contro il Direttore del programma “Le Iene” ed i due inviati del servizio sopra indicato, il PM dott. Corucci del medesimo Tribunale ha emesso decreto di citazione diretta a giudizio del 12.05.2021 (RG 3051/2020) contestando il reato di diffamazione aggravata, con data della prima udienza dibattimentale fissata al prossimo 13.05.2022 così condividendo la bontà delle argomentazioni rappresentate dai querelanti. Per le vie brevi, nel merito, il servizio de “Le Iene” è gravemente lesivo dell’onorabilità dell’Azienda e dei suoi dipendenti, infatti, ha trattato con disarmante superficialità e ignoranza tecnica la normale catena di trasformazione del sangue (di cui il plasma è la parte liquida) in farmaci salvavita, e il suo ordinario funzionamento nel mondo, che prevede l’intervento di procedimenti industriali svolti da aziende private o pubbliche. Imputare ad una Azienda di emoderivati che faccia industria con il sangue ha lasciato francamente interdetti. Inoltre Kedrion, una significativa realtà d’impresa tutta italiana, 5° gruppo al Mondo nel settore dei plasma-derivati, non casualmente, non ha avuto la possibilità di argomentare le proprie ragioni in un contraddittorio con Le Iene, pur richiesto prima della trasmissione stessa. I responsabili della trasmissione, come detto, imputati per diffamazione davanti al Tribunale penale di Lucca hanno inflitto un gravissimo danno a Kedrion, la più importante azienda italiana di emoderivati ed all’intero sistema sangue italiano, che rappresenta un’eccellenza nel mondo e di cui le Associazioni di donatori sono parte indispensabile, insieme alle Istituzioni pubbliche di gestione e regolazione.

Orbene, Le ricordo che la Giurisprudenza si è già occupata del tema sulla riproduzione e riproposizione di contenuti diffamatori già pubblicati altrove per affermare che: “Non costituisce una modalità esecutiva di un unico reato di diffamazione già consumato con la prima pubblicazione, bensì integra una condotta autonoma sul piano oggettivo ed eventualmente anche su quello soggettivo, rispetto a quella precedente” (Cassazione sez. I n. 317/1976; Cass. Sez. V n. 5781/2013): esattamente la fattispecie in oggetto. Il fatto non è più attuale e non esiste più il pubblico interesse affinché la notizia permanga sulla rete internet, con espressioni fuorvianti che non rappresentano la veridicità dei fatti esposti nel servizio, a maggior ragione a seguito dell'intervento censorio contestato dalla Magistratura penale del Tribunale di Lucca, sopra richiamata.

La invito, pertanto, a provvedere cortesemente all’ immediata rimozione dei richiami al servizio de Le Iene, contenente riferimenti a Kedrion spa ed al Dott. Paolo Marcucci, del tutto impropri, peraltro, già eliminati, come detto, dalla fonte di origine, con la avvenuta de-indicizzazione da Google e dai più comuni motori di ricerca del web, evitando così di incorrere nella contestazione di un'autonoma fattispecie di diffamazione aggravata ex art. 595 c.p., senza che sia necessario aggiungere altro, per ora, da parte mia, se non ringraziare per avere sollecita conferma che è stata resa Giustizia ai miei assistiti, a chiusura definitiva della vicenda, senz’altro a pretendere né in sede penale né civile. Con i migliori saluti Avv. Carlo Cacciapuoti

Genova 30 giugno 2021

Quarantena, autopsie e plasma iperimmune: tre domande al ministro della Salute. Le Iene News il 20 maggio 2020. Quarantena, autopsie sulle vittime del coronavirus e plasma iperimmune: Alessandro Politi ci racconta alcune cose che non siamo riusciti a capire nelle decisioni del ministero della Salute in questa crisi. Dopo aver parlato con il professor Giuseppe De Donno della sperimentazione del plasma iperimmune, abbiamo fatto alcune domande al ministro della Salute Roberto Speranza. Perché non avete ancora aggiornato i protocolli per le quarantene? Perché avete sconsigliato di fare le autopsie ai casi conclamati di Covid-19? Perché l’ospedale di Mantova è stato estromesso dalla sperimentazione nazionale del plasma iperimmune? Sono le tre domande che rivolgiamo al ministro della Salute, Roberto Speranza, ora che tutta Italia è entrata nella Fase 2 dell’emergenza coronavirus. Partendo dal primo quesito, Alessandro Politi ci ha raccontato di essere stato positivo per ben 49 giorni e purtroppo non è un caso isolato, nonostante i numeri regionali continuano a consigliare “una quarantena di 14 giorni dalla fine dei sintomi”. Durante l’emergenza sanitaria il ministro ha firmato un decreto in cui scrive che “per l’intero periodo della fase emergenziale non si dovrebbe procedere all’esecuzione di autopsie o riscontri diagnostici nei casi conclamati di Covid-19”. C’è chi ha preferito non seguire queste indicazioni come il professore Paolo Dei Tos, dirigente di anatomia patologica all’Università di Padova: “Una scelta che non aveva senso, noi oggi sappiamo che il virus rimane all’interno dei liquidi biologici per alcuni giorni. Abbiamo compreso che non si tratta semplicemente di una banale polmonite. Probabilmente il ministero ha consigliato di non fare le autopsie per un eccesso di zelo nel non esporre gli operatori a un rischio giudicato da loro non sufficientemente utile”. Il ministero della Salute ha dato il via libera a una sperimentazione sul plasma iperimmune che ha messo a capo l’ospedale di Pisa, nonostante a Mantova ci lavoravano con successo già da due mesi. “Un protocollo preso da esempio da molti stati europei”, dice Giuseppe De Donno, direttore di terapia intensiva al Carlo Poma di Mantova. “Alla fine Speranza con me non si è fatto vivo, nonostante la prima certificazione dello studio sia di Mantova e Pavia”, dice a Le Iene. “Non ci sono motivi scientifici per questo nuovo studio a Pavia, le motivazioni vanno cercate in altro ambito. C’era la volontà di chiudere il plasma in cantina”. Ma nessuno sembra si sia scagliato allo stesso modo contro le sperimentazioni con i farmaci. “In questo paese si usano due pesi e due misure”, sostiene De Donno. Pochi giorni fa l’Emilia-Romagna ha bocciato la plasma-terapia. “Gli esperti in tv creano un effetto negativo sull’opinione pubblica e sarebbe il caso che si assumessero le loro responsabilità, i pazienti guariti così non verranno mai a donare e quelli attualmente malati non potranno ricevere il plasma dai convalescenti”, dice De Donno. “È una cosa gravissima. Abbiamo avuto scienziati che dicevano che per ammalarsi di coronavirus bisognava andare a Wuhan…”. Ora è importante creare le banche del plasma dei guariti che sono in numero maggiore rispetto agli ammalati, ma non sappiamo fino a quando il loro plasma rimane iperimmune. “Dobbiamo essere prontissimi qualora dovesse arrivare una seconda fase, se continuiamo così la Lombardia e il Veneto saranno pronti”. Intanto che il governatore Zaia è partito con la raccolta del plasma due settimane fa, rimangono senza risposta le nostre 3 domande che abbiamo fatto al ministro Speranza.

Coronavirus, Salvini: “Perché nessuno parla della terapia al plasma?” Marco Alborghetti il 05/05/2020 su Notizie.it. Il leader della Lega Salvini chiede spiegazioni riguardo al presunto silenzio dei media sulla terapia al plasma utilizzata contro il coronavirus. Il leader della Lega Matteo Salvini su Twitter ha parlato della terapia al plasma utilizzata per curare i malati di coronavirus negli Stati Uniti e all’ospedale di Mantova, chiedendo spiegazioni sul silenzio che aleggia intorno alla notizia, nonostante la sua efficacia. Un implicito attacco alle aziende farmaceutiche? Matteo Salvini tuona di volerci vedere chiaro sulla questione della terapia al plasma che negli Usa e all’ospedale di Mantova avrebbe trovato consistenza in termini clinici per la cura del coronavirus, esprimendo con toni polemici la propria opinione a riguardo e attirando non poche polemiche. “Dateci una mano facendo sapere agli italiani quello che molte televisioni nascondono, il fatto che funziona una cura il virus ed è gratis o quasi”. Una terapia che come ricorda lo stesso leader della Lega “è dovuta all’ingegno dei medici, dei ricercatori e dei donatori di plasma”.

Attacco alle aziende farmaceutiche. Il silenzio che si è creato attorno alla notizia ha destato qualche sospetto nell’ex ministro degli Interni: “Perché non sperimentarla a livello nazionale? Perché il silenzio del ministero della Salute, perché il silenzio dell’istituto superiore della sanità?”. “I cittadini – sottolinea con tono sarcastico – a questo punto potrebbero avere il dubbio che siccome il plasma è gratis, siccome non c’è dietro un business di qualche industria farmaceutica, siccome non ci sono appalti e guadagni milionari, allora è meglio occuparsi di altro“.

Cura al plasma, De Donno saluta: mi faccio da parte, per il bene della scienza. Lo hanno costretto? Redazione venerdì 8 maggio su Il Secolo d'Italia. Cura al plasma, il dottore-sponsor Giuseppe De Donno si autocensura. Dopo la sparizione dai social è arrivato il videomessaggio di cinque minuti nel quale il direttore di Pneumologia al Poma di Mantova, il principale paladino della cura al plasma iperimmune per battere il Covid, annuncia che farà un passo indietro. Che non cerca visibilità, che ringrazia le istituzioni e anche i Nas che hanno voluto indagare sui suoi metodi. Dice che non vuole zuffe tra colleghi e che non vuole utilizzare i morti per fare pubblicità. Ringrazia chi lo ha sostenuto e invita i gruppi social in suo sostegno a lanciare solo messaggi di pace e amore.

De Donno si fa da parte, un’imposizione dall’alto?

“Sembra un prigioniero dell’Isis”, ha commentato Selvaggia Lucarelli, facendo intendere che lei propende per l’ipotesi secondo cui a De Donno è stato intimato il silenzio. Troppi interessi in gioco, troppo pericolosa la divaricazione che si era creata tra lo schieramento in favore di De Donno e i suoi detrattori per i quali senza vaccino il virus non è imbattibile. I virologi da talk show lo hanno attaccato, i media lo hanno trascurato fino a quando la pressione dal basso dei social è stata talmente evidente da non poter più ignorare il caso De Donno. Ora lui stesso si fa da parte, ristabilendo equilibri e gerarchie tra poteri e lobby sanitarie che la sua cura “per il popolo” aveva destabilizzato. Ecco cosa ha detto nel suo videomessaggio: “La pressione mediatica è stata tale da non permettermi di operare serenamente. Per questo motivo ho reputato prudente chiuderei miei account social”.

Ha detto poi di voler lanciare un “messaggio di calma e rasserenazione”. “Se ho parlato l’ho fatto per fare informazione ma non come mezzo per azzuffarsi, i miei interventi sui mass media sono stati solo animati da spirito divulgativo su un protocollo che ottiene risultati lusinghieri e incoraggianti”. Un protocollo – ha specificato – che tanti Stati ci invidiano e che ora viene seguito da più centri in Italia.

Lavoriamo tutti per la lotta al virus. “Vi ringrazio per la vicinanza- ha detto poi ai suoi sostenitori – ma non sono disponibile a zuffe mediatiche atteso che tutti noi medici lavoriamo per una causa unica che è la lotta al virus. Non utilizzo i morti per fare pubblicità. Manterrò un profilo basso in attesa che arrivino i risultati sulla sperimentazioni che riguardano l’Italia e il mondo”.

Massimo Finzi per Dagospia l'8 maggio 2020. Un po' di chiarezza a proposito della terapia con plasma iperimmune nella lotta al Covid19. E’ una cura innovativa? No, è stata impiegata per la prima volta su basi scientifiche nella seconda metà del 1800 dal Prof. Paul Ehrlich, uno scienziato ebreo tedesco premio Nobel. In pratica una cura che prevede la somministrazione per via iniettiva di siero prelevato da persone o animali resi immuni da una determinata malattia. Esistono varie forme di sieroterapia: antitossica, antibatterica ecc. Una pratica che in oltre 140 anni ha permesso di affrontare malattie come difterite, tetano, botulino o di neutralizzare il veleno di serpenti, scorpioni ecc. Nel caso del covid19 si tratta di usare il plasma dei soggetti guariti dalla malattia contenente gli anticorpi specifici contro il coronavirus Sars2. Allora tutto risolto? Ci sono alcune criticità.

1) Il prelievo presuppone che ci siano i donatori cioè che ci siano persone che abbiano contratto e superato la malattia.

2) Per una singola infusione sono necessari almeno 2 donatori.

3) La donazione è gratuita ma gli accertamenti di laboratorio, la separazione delle varie frazioni del sangue (plasmaferesi) necessitano di personale altamente specializzato e di apparecchiature costose.

4) I candidati alla donazione non sono numerosi per vari motivi: a) la malattia è molto debilitante. b) la maggior parte dei malati sono molto anziani. c) Non possono donare il sangue i diabetici, gli ipertesi, coloro che assumono cronicamente farmaci ecc.

5) Malgrado gli esami più accurati, l’infusione di emoderivati non è esente dal rischio di trasmissione di malattie infettive specie epatite B/C ( finestra immunologica).

Ovviamente vale sempre la regola: a mali estremi estremi rimedi. Molto promettenti al riguardo sono gli studi condotti in Israele per produrre sinteticamente (clonazione) l’anticorpo specifico verso il covid19 in attesa del vaccino. Quale la differenza tra l’azione dell’anticorpo e quella del vaccino? Sinteticamente: l’anticorpo contrasta la malattia, il vaccino la previene: il primo cura il malato il secondo impedisce al sano di diventare malato.

Il plasma può fermare il Covid-19? La risposta degli esperti. Francesco Boezi su Inside Over l'8 maggio 2020. Il professor Pietro Chiurazzi è un genetista. Si occupa di Dna. E il Dna, in qualche modo, ha a che fare con questa storia del plasma dei guariti dal Covid-19. Vedremo bene perché. Chiurazzi è un professore associato della Università Cattolica, Facoltà Medicina e Chirurgia. All’interno del Policlinico Gemelli, è un dirigente medico dell’Unità operativa complessa di genetica medica. “C’è molta confusione in giro”, esordisce.

Una “confusione” che può però essere “giustificata” per via dello stato di emergenza, che certo non facilita una descrizione chiara del quadro. Chiurazzi ha anche comparato le sequenze del Dna del Sars-Cov2, contribuendo a dimostrare, con buone probabilità, la compatibilità del virus con un’evoluzione naturale. Il Covid-19 nulla dunque avrebbe a che fare con manipolazioni umane da laboratorio. In questo articolo, abbiamo già parlato di quello studio.

L’argomento del giorno, dal punto di vista medico-scientifico, è il plasma dei guariti…

«Un punto mi risulta chiaro: a rigor di logica, questo trattamento ha una sua utilità. In molti casi, specie in situazioni di emergenza, l’uso del plasma dei guariti può essere determinante. Sul lungo periodo, invece, il plasma non è certamente la soluzione migliore. La nostra speranza è che, avendo adesso una maggiore conoscenza della patologia e dell’infezione, non sia più necessario arrivare a rianimare un paziente. Bisogna fare testing a pioggia (tamponi per l’Rna virale ai sintomatici e ricerca degli anticorpi agli asintomatici ed ai guariti), più test possibili e più presto possibile, in modo tale da iniziare a fare prima ciò che deve essere fatto, a seconda del quadro clinico».

Più test possibili, ma il sistema immunitario sembra rispondere in modo diverso da paziente a paziente..

«Se ci sono delle difficoltà respiratorie, possono essere utilizzate coperture cortisoniche importanti. Infatti, apparentemente, una iper-reattività del sistema immunitario innato di alcuni pazienti rappresenta una concausa importante dei problemi respiratori. In alcuni casi, non è tanto il virus che uccide cellule e polmoni, ma è l’eccessiva reazione immunitaria a colpire. La risposta immunitaria, in alcuni soggetti, è esagerata. Questa iper-reattività potrebbe dipendere anche da fattori genetici: il Dna, in alcune circostanze, ordina di rispondere in quel modo. Quindi alcuni pazienti guariscono proprio grazie al sistema immunitario, mentre altri, invece, avendo una reazione esagerata, fanno sì che i polmoni si riempiano di liquido per la troppa infiammazione. Inoltre è importante prevenire una tromboembolia polmonare (e non solo) iniziando tempestivamente, ma sempre sotto controllo medico, una terapia anticoagulante con eparina».

E quindi il plasma dei pazienti guariti? 

«Serve, ma è una scelta di emergenza. Bisogna avere un donatore compatibile con lo stesso gruppo sanguigno e poi le donne non possono donare. Infatti, donne in età fertile o che abbiano avuto delle gravidanze, sviluppano degli anticorpi anti-Hla che possono essere molto pericolosi per il ricevente.  Infine esiste un rischio di reazione allergica (fino a shock anafilattico) per alcuni soggetti che reagiscono a proteine del plasma che differiscono naturalmente tra individuo e individuo o di cui, per motivi genetici, possono essere privi. E questo potrebbe avvenire nel corso di una seconda somministrazione».

Quindi ci sono dei rischi..

«Dei rischi ci sono. Quelli infettivi però sono bassissimi. In Italia c’è un alto grado di controllo sulle donazioni. Ad esempio il rischio di contrarre l’epatite B con l’uso di emoderivati è inferiore ad uno su un milione. Non possiamo escludere mai del tutto ogni rischio, ma in certi casi il gioco può valere la candela».

E i costi della trasfusione del plasma dei guariti? 

«Di per sé i costi non sono enormi».

Ma il plasma è comunque sottoposto a molti attacchi…c’è un pregiudizio ideologico?

«Il costo – come detto – non è eccessivo, ma la preparazione e l’organizzazione dovrebbero essere molto accurate. Noi al Gemelli potremmo in teoria somministrare il plasma dei guariti. Però attenzione: non tutti gli anticorpi di coloro che sono guariti dal Covid-19 sono neutralizzanti, cioè in grado di bloccare la progressione della infezione. Significa che non tutto il plasma di tutti i guariti risulta davvero utile contro il virus. Per valutare il titolo degli anticorpi dei soggetti guariti servirebbe un laboratorio di microbiologia con livelli di sicurezza molto elevati perché bisogna poter maneggiare il virus. E perché è necessario dimostrare su colture cellulari che quegli anticorpi di quello specifico donatore sono capaci di bloccare l’infezione. Però, dagli studi su altri coronavirus, sappiamo che un certo quantitativo degli anticorpi sviluppati è comunque neutralizzante e praticamente tutti i pazienti finora analizzati producono anticorpi a partire da 20 giorni dopo l’inizio dei sintomi».

E quindi? 

«Si può supporre che, al di sopra di un certo titolo anticorpale contro questo nuovo coronavirus, il plasma di un soggetto guarito sia neutralizzante. E’ possibile che in Lombardia, per via della assoluta emergenza, qualche verifica sia stata saltata, senza preoccuparsi insomma se c’erano titoli sufficienti di anticorpi effettivamente “neutralizzanti”. L’alternativa, del resto, era quella di non fare nulla, mentre gli studi dei colleghi cinesi hanno confermato una certa efficacia delle trasfusioni di plasma. Ora attendiamo la pubblicazione dei dati relativi ai trattamenti eseguiti dai colleghi del Nord del Belpaese».

Sembra nascere un derby tra sostenitori del vaccino e sostenitori del plasma…

«Penso che questo sia un contrasto sbagliato e controproducente. Possono servire entrambi gli strumenti in contesti epidemiologici diversi. Sulla linea del fonte, con la medicina di guerra, tutto può essere utile. Il plasma del donatore guarito può essere d’aiuto. Il vaccino, quando l’infezione è avanzata, non serve a niente. Tutti ci auguriamo che il vaccino arrivi ed è possibile che divenga presto realtà con i tanti laboratori impegnati nel suo sviluppo. Alcuni temono che il virus muti troppo rapidamente per ottenere un vaccino valido per tutti i “ceppi” circolanti, ma alcune proteine, come la Spike (le antenne del virus che ne consentono l’ingresso tramite il recettore ACE2) sembrerebbero essere più “costantei”, per cui la speranza di un vaccino è fondata. Certo dovrebbe essere disponibile a costi accessibili e ovviamente proposto su base volontaria ai soggetti più “fragili” ed agli operatori sanitari che sono professionalmente più esposti»

Coronavirus, il plasma umano? Poco "remunerabile", ecco perché nessuno dà retta al dottor De Donno. Libero Quotidiano il 10 maggio 2020. Tiene banco la questione del plasma iperimmune con anticorpi policlonali, quella che ad oggi sarebbe la cura più efficace contro il coronavirus. Tiene banco anche per la denuncia del dottor Giuseppe De Donno, direttore di Pneumologia e Terapia intensiva respiratoria del Carlo Poma: "Non abbiamo un decesso da un mese. I dati sono splendidi. La terapia funziona ma nessuno lo sa". De Donno, in buona sostanza, spiega che governi stranieri si sono rivolti a lui per la cura mentre, in Italia, nessuno gliene ha chiesto conto. Da qui, una teoria un pelo complottista: dato che è una cura su cui è quasi impossibile monetizzare, ovvero fare soldi, non interessa a nessuno. Ragione per la quale De Donno sarebbe sparito. Il punto è che la sieroterapia col plasma iperimmune ha il limite che nessuno può commercializzarla o brevettarla, almeno in Italia. Non è un farmaco perché trattasi di plasma donato dai pazienti ed è una cura antica che si usa da 100 anni.

"Governo e Iss disinteressati, forse perché è gratis". Virus, il dubbio di Salvini sulla cura al plasma: giocano sulla nostra pelle?

Lo spiega Affaritaliani.it, che ricorda come "è stata utilizzata ogni volta che non c'erano altre terapie utili o un vaccino, come contro le epidemie di Spagnola, l'Ebola, la Sars, la Mers. È sicura e controllata come può esserla una trasfusione moderna. Ma non sembra vada bene". Anche il governatore Luca Zaia aveva lanciato un appello a favore della sperimentazione. Ma sempre Affaritaliani.it ha interpellato i direttori del San Matteo e del Carlo Poma, che hanno spiegato che "il plasma iperimmune si basa sull’azione di anticorpi policlonali neutralizzanti per il Sars-Cov-2, prelevati da pazienti già guariti dal Covid. Gli anticorpi policlonali trasfusi nei malati, debellano il virus in tempi rapidi, dalle 2 alle 48 ore, bloccando il danno sugli organi. Le somministrazioni controllate possono avvenire a distanza di 48 ore l’una dall’altra, nel caso un'unica infusione non vada a segno".

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Il sangue umano ancora non si può riprodurre artificialmente nella sua complessità. La sieroterapia funziona con il plasma, una parte del sangue. E l'efficacia della terapia realizzata con plasma artificiale, da realizzare in laboratorio e dunque commercializzabile, è ancora tutta da valutare. "In questo momento il plasma iperimmune che ci viene donato è il più sicuro al mondo", spiega ad Affaritaliani Cesare Perotti, direttore del Servizio Immunoematologia e Medicina Trasfusionale del policlinico San Matteo. E ancora, spiega che "la legislazione italiana ha delle regole stringenti che non ci sono in Europa e in nessun altro Paese al mondo, neanche negli Stati Uniti. Non solo abbiamo gli esami obbligatori di legge sul plasma per essere trasfuso, ma abbiamo degli esami aggiuntivi e il titolo neutralizzante degli anticorpi che è una cosa che facciamo solo noi al policlinico di Pavia. Neanche gli americani sono in grado di farlo in questo momento. Non ha eguali al mondo. Noi sappiamo la potenza, la capacità che ciascun plasma accumulato ha di uccidere il virus. Ogni plasma è fatto in modo diverso perché ogni paziente è diverso, ma noi siamo in grado di sapere quale usare per ogni caso specifico”. Resta un evidenza, però: la sieroterapia da Mantova e Pavia si sta diffondendo in tutto il mondo. Ma è un metodo vecchio, come detto poco remunerabile, si basa sulla solidarietà di chi è guarito. E se non c'è un complotto dietro al suo mancato utilizzo, per certo ci sono delle ragioni che ci devono spingere a fare qualche riflessione.

Selvaggia Lucarelli per tpi.it il 10 maggio 2020. È una brutta storia quella del dottor De Donno. Una storia che parte in un modo e diventa altro, una storia luminosa di una sperimentazione col plasma che sembra suggerire risultati incoraggianti e che poi si trasforma in tifo, strumentalizzazioni, complottismo da bar. Con un epilogo – il video di oggi in cui De Donno legge un comunicato con l’aria rigida e innaturale del rapito dall’Isis – che non lascia presagire niente di buono. Partiamo dall’inizio. Giuseppe De Donno è primario di pneumologia presso l’ospedale Carlo Poma di Mantova. In questa struttura e al Policlinico di Pavia, si sperimenta la plasmaterapia per guarire i pazienti Covid che non hanno più di 10 giorni di problemi respiratori pregressi. Oggi la tecnica comincia ad essere sperimentata in diversi ospedali d’Italia tra cui lo Spallanzani, ma in effetti gli ospedali di Pavia e Mantova in Italia sono stati i primi. Nel mondo, invece, la sperimentazione avviene già in numerosi paesi tra cui gli Stati Uniti. La sperimentazione, a Mantova, ha dato buoni risultati: dei 48 pazienti trattati con il plasma, non c’è stato alcun decesso e tutti i pazienti sembrano sulla strada della guarigione. La plasmaterapia, va ricordato, non è un’invenzione di De Donno ma è una tecnica antica che venne utilizzata già nei primi del Novecento per curare la difterite. La complicata storia di De Donno inizia quando il primario fino a quel momento sconosciuto nella costellazione degli esperti sul campo, racconta con enfasi il successo della sperimentazione. De Donno non ha modalità di comunicazione tecniche, non ha il phisique du role del trombone della medicina, non ha fatto il tour dei salotti buoni della tv e lavora in un ospedale di provincia. Insomma, ha tutte le caratteristiche per diventare l’idolo del popolo. Quando inizia a parlare del successo della plasmaterapia sui pazienti trattati, il suo nome e la sua faccia iniziano a circolare. De Donno si concede per interviste, scrive post carichi di entusiasmo sui suoi social, comincia ad essere citato su giornali nazionali e la sua sperimentazione diventa un tema appassionante, sebbene ancora poco mainstream. Il cambio di rotta avviene quando il virologo influencer Roberto Burioni interviene sul tema. È fine aprile e Burioni pubblica un video in cui sottolinea l’importanza della plasmaterapia, aggiungendo che però non è niente di nuovo, che ha le sue criticità relative alla sicurezza del sangue dei donatori e che si potrebbe produrre del plasma artificiale. De Donno ha una reazione molto accesa e in un post su Facebook scrive: “Il signor scienziato, quello che nonostante avesse detto che il Coronavirus non sarebbe mai arrivato in Italia, si è accorto in ritardo del plasma iperimmune. Forse non conosce le metodiche di controllo del plasma. Visto che noi abbiamo il supporto di Avis. Glielo perdono. Io piccolo pneumologo di periferia. Io che non sono mai stato invitato da Fazio o da Vespa. Buona vita, quindi, prof Burioni. Le abbiamo dato modo di discutere un altro po’. I miei pazienti ringraziano. Condividete questo post, amici. Forse arriviamo al prof. E gli potrò chiedere un autografo! PS: vedo che si sta già arrovellando a come fare per trasformare una donazione democratica e gratuita in una ‘cosa’ sintetizzata da una casa farmaceutica. Non siamo mammalucchi!”. Il post, forse scritto con una foga eccessiva ma genuina e di certo senza calcoli sull’effetto che avrebbe potuto generare, conteneva in sé tutti gli elementi per diventare una miccia micidiale. Finalmente un medico delle “retrovie” mediatiche che si oppone alla prosopopea del potente Burioni. Quello che va ospite da Fabio Fazio, a Che tempo che fa. Quello che da vera star, in questa fase ha un contratto d’esclusiva con il programma di Fazio ed è rappresentato da un’agenzia bolognese, Elastica, assieme ad altri personaggi di diversi ambiti, da quello televisivo a quello letterario. Quello che è amico di Renzi e a lui Renzi aveva chiesto di candidarsi. Ed è così che De Donno diventa l’idolo delle masse. Di quelli che detestano la sinistra da salotto, di quelli che combattono i poteri forti coi meme e i gruppi Facebook, di quelli che “dobbiamo sconfiggere la lobby dei farmaci” e quindi di anti-vaccinisti e di una ciurma variegata di personaggi strambi. Oltre che di persone ragionevoli e dalla parte della sperimentazione seria, di persone che amano la discrezione del medico che lavora in corsia e meno le sicurezze di quello che pontifica in tv pur non occupandosi di terapie e pazienti. Insomma, di tutto un po’. Quel “Non siamo mammalucchi!” diventa un tormentone sul web, molti cittadini di Mantova lo ripetono tipo mantra in alcuni video. La situazione precipita dopo l’ultima puntata di Che tempo che fa, in cui si affronta il tema “plasmaterapia”. Roberto Burioni, ve detto, non critica affatto né la tecnica di cui ben conosce l’antica efficacia né la sperimentazione. Tra l’altro in collegamento c’è anche il virologo dell’ospedale di Pavia in cui avviene la stessa sperimentazione, Fausto Baldanti, che Burioni definisce “mio caro amico”, quindi non smonta affatto il suo lavoro. Ribadisce però che la plasmaterapia è molto costosa, che serve molto plasma di persone guarite e ce ne sono poche e che probabilmente la strada è quella di produrre plasma artificiale. E questa è la svolta dell’intera vicenda. La storia che sembra bella diventa un circo triste di partigianeria e recriminazioni, di politica e potere. Il giorno dopo De Donno si lamenta ai microfoni di Radio Bruno: “Burioni ha detto parole inaccettabili. La plasmaterapia non è costosa e il sangue è sicuro. In Italia non mi chiama nessuno, quando mi ha chiamato l’Onu ho pianto”. E poi, altrove, De Donno racconta che i Nas si sono messi a controllare il suo operato, che lui cerca di fare il bene della medicina e gli mettono il bastone tra le ruote. Gli elementi perché la politica se ne approfitti e cavalchi la tifoseria ci sono tutti. E così Salvini si attacca al carrozzone De Donno senza che De Donno gliel’abbia chiesto e scrive che la plasmaterapia funziona ma siccome le lobby farmaceutiche non ci possono speculare sopra, il Ministero della Salute si disinteressa. In pratica Salvini è meglio di Nature: lui decide che la cura funziona. Nascono gruppi Facebook con 40mila fan di De Donno , per esempio “Io sto con il dottor De Donno”. Anche il vecchio gruppo “Gli amici di Gesù” viene ribattezzato “#iostocondedonno”, come a dire che De Donno è il nuovo Messia. Chi osa esprimere anche un velato scetticismo sulla plasmaterapia come svolta definitiva per la cura del Covid viene bersagliato da una valanga di critiche e insulti su Twitter, come accaduto all’immunologa Antonella Viola che ieri, a Piazza Pulita, ha solo detto: “La terapia non sostituisce il vaccino, perché il plasma dei guariti può essere una cura ma non una prevenzione”. Che è una semplice verità, non un giudizio. Ma ormai De Donno è stato eletto, suo malgrado, icona della medicina pura e dura contro i poteri forti e il complottiamo è inarrestabile. Porta a Porta lo invita ma taglia una parte dell’intervista e “chissà cosa aveva detto di scomodo il dottor De Donno”. Spariscono, infine, tutti i profili social di De Donno e questa diventa la conferma definitiva che il coraggioso, piccolo medico di provincia (che poi è un fior di primario in un fior di ospedale) è caduto sotto la scure del Burionesimo. Salvini e i siti della Lega alimentano il sospetto con post insinuanti, circolano voci che De Donno sia stato invitato dalla Direzione sanitaria a stare zitto, sui siti che lo sostengono si respira aria di preoccupazione come se fosse legato e imbavagliato in una cantina sotto la terapia intensiva. Qual è la verità? Indagando sull’accaduto e ascoltando la voce di chi conosce lui e anche alcuni di quelli che non lo amano, l’impressione è che per vedere il fondo del lago si debba stare in quel punto a metà tra la riva e il centro del lago. Da una parte c’è un medico entusiasta, un appassionato che in questo momento si sente un soldato al fronte, per cui il camice è una divisa. Dall’altra, forse, c’è un mondo di rigidi professori disabituati ai post rissosi di un medico fuori da certi circoli di amici e grandi luminari.  Nessuno oserebbe dire a Burioni di non dileggiare la Gismondo o di non fare il bullo sui social, di sicuro qualcuno – probabilmente la Direzione sanitaria, ma non mi stupirei se le lamentele fossero partite da più lontano – ha invitato De Donno e i responsabili della sperimentazione a tacere, a mantenere un atteggiamento sobrio. È però anche vero che De Donno non è stato ostacolato nel suo lavoro, che sebbene Burioni ma anche la Capua o Pierluigi Viale, direttore delle malattie infettive del Sant’Orsola di Bologna, abbiano sottolineato alcune criticità nel metodo, nessuno ha mai detto che la sperimentazione non s’ha da fare. E se è vero che Burioni ha rilasciato affermazioni poco veritiere come quelle secondo le quali la plasmaterapia sarebbe una terapia costosa (De Donno ha obiettato che le sacche da 300 ml costano 82 euro), il “pasionario” della plasmaterapia ha avuto modo di controbattere in più sedi e con la foga desiderata. “La democrazia non è un optional”, è la frase fissata sul profilo di Whatsapp di De Donno. E qui sorge il sospetto che la verità sia nel mezzo: intorno a De Donno c’è un po’ di puzza sotto al naso e De Donno soffre (un po’) della sindrome del perseguitato. Con queste premesse non poteva che diventare un caso di quelli da arruffare i popoli e da smuovere la politica degli avvoltoi. “Si è ridotto tutto a un misero scontro politico. Se voti Pd dileggi De Donno, se voti Salvini De Donno è infallibile, se voti 5 stelle confondi la sperimentazione col vaccino, se ragioni nel merito vedi un’opportunità su cui andare a fondo. Nel mezzo sarebbe il miglior regalo vedere il virus sparire all’improvviso, dissolversi nel nulla e portare via con sé qualche leader politico che vorremmo dimenticare e i più fanatici dei loro fan”, afferma la giornalista Clarissa Martinelli, che De Donno l’ha intervistato nel momento di maggior esposizione. Il tutto si conclude con un epilogo mesto. Oggi, dopo la sparizione dai social, De Donno è apparso in un video di 5 minuti in cui sembra l’ombra di se stesso. L’aria del guerriero del popolo ha lasciato spazio a rigidità e mancanza di naturalezza del rapito dall’Isis. De Donno legge un comunicato scritto da chissà chi, impappinandosi, e con aria poco serena chiede a tutti di rasserenarsi. Dice con un filo di voce: “Il mio era solo spirito divulgativo in cerca di un sereno confronto tra colleghi, non voglio zuffe mediatiche. Non ci sono gare tra colleghi. Manterrò un profilo molto basso, i risultati non sono solo personali ma di tutta la comunità. Ringrazio Mattarella, il Papa, i vescovi, il mio vescovo che mi ha cambiato la vita, Don Cristian, Don Sandro, i Nas”. Insomma, fa pace con quelli che fino a ieri erano i colleghi sboroni, ringrazia le istituzioni e i Nas e tutti quelli che aveva attaccato impavido, e poi già che c’è ringrazia tutta la Chiesa, dalla parrocchia allo stato pontificio. Il che è un peccato, perché il primario eroe un po’ “suo malgrado” un po’ “sua intenzione” sarebbe potuto diventare un riferimento interessante se si fosse opposto con coraggio a strumentalizzazioni da una parte e a snobismi altezzosi dall’altra. E invece è finita così. “Ha esagerato e l’ha capito”, dirà qualcuno”. “Gli hanno messo il bavaglio”, dirà qualcun altro. Certo è che si è passati da De Donno a Padre Maronno, in soli due giorni. E non è la fine che avremmo voluto.

De Donno, pioniere della plasmaterapia: «Sono infuriato, siamo in mano  a scienziati prezzolati». Pubblicato mercoledì, 20 maggio 2020 su Corriere.it. «Non sono arrabbiato. Sono infuriato». Giuseppe de Donno, lo pneumologo pioniere della plasmaterapia, in una lunga intervista sul settimanale Oggi, in edicola da domani, non ingrana la marcia indietro sulle sue frasi che hanno scatenato tante polemiche nell’ambiente medico-scientifico: «Ho due rimpianti. Dovevo iniziare ad alzare la voce prima, e in maniera più energica. Il mio era un dovere civico. Se tutto resta in mano a scienziati prezzolati non si va da nessuna parte. Quando parlo a un congresso, la prima slide che proietto riguarda il conflitto di interessi. Io non ne ho. Mi piacerebbe che i medici che vanno in tv facessero lo stesso».

A chi lo accusa di essere dalla parte di no-vax e altri complottisti risponde: «Sono per le vaccinazioni. E non avrei nulla in contrario se un giorno il plasma con gli anticorpi contro il Covid fosse elaborato industrialmente. Sono un medico e devo salvare la vita ai pazienti. Il resto non conta». Definisce il presidente Sergio Mattarella «l’unico faro che abbiamo», non rinnega nessuna delle frasi che lo hanno portato a diventare una star dei social perché, dice a Oggi, «se non avessi fatto nulla la plasmaterapia sarebbe finita in cantina» e resta convinto che la scelta di Pisa come capofila della sperimentazione nazionale della plasmaterapia sia stata una scelta politica: «L’ho detto ed Enrico Rossi, il governatore della Toscana, che non ho mai nominato, mi ha già detto che mi querelerà. Probabilmente ha la coda di paglia». Infine una convinzione sul virus: «In Lombardia ci sono quattro ceppi di questo virus, e nessuno è identico a quello cinese. Sappiamo ancora poco… Io ho fatto uno studio sui casi di polmonite del mio reparto. Secondo me, i primi pazienti sono di fine settembre. Una forma aggressiva, che ha avuto uno stranissimo picco tra ottobre e novembre e che colpiva soprattutto gli adolescenti. Sono sicuro fossero riconducibili al coronavirus. Non riusciamo a capire come mai però la grande diffusione sia esplosa mesi dopo. Forse la prima ondata, quella dello scorso autunno, era causata da un ceppo meno contagioso».

 “SE TUTTO RESTA IN MANO A SCIENZIATI PREZZOLATI NON SI VA DA NESSUNA PARTE”. Anticipazione da “Oggi” il 20 maggio 2020. «Non sono arrabbiato. Sono infuriato». Giuseppe de Donno, lo pneumologo pioniere della plasmaterapia, in una lunga intervista sul settimanale OGGI, in edicola da domani, non ingrana la marcia indietro sulle sue frasi che hanno scatenato tante polemiche nell’ambiente medico-scientifico: «Ho due rimpianti. Dovevo iniziare ad alzare la voce prima, e in maniera più energica. Il mio era un dovere civico. Se tutto resta in mano a scienziati prezzolati non si va da nessuna parte. Quando parlo a un congresso, la prima slide che proietto riguarda il conflitto di interessi. Io non ne ho. Mi piacerebbe che i medici che vanno in tv facessero lo stesso». A chi lo accusa di essere dalla parte di no-vax e altri complottisti risponde: «Sono per le vaccinazioni. E non avrei nulla in contrario se un giorno il plasma con gli anticorpi contro il Covid fosse elaborato industrialmente. Sono un medico e devo salvare la vita ai pazienti. Il resto non conta».   Definisce il presidente Sergio Mattarella «l’unico faro che abbiamo», non rinnega nessuna delle frasi che lo hanno portato a diventare una star dei social perché, dice a OGGI, «se non avessi fatto nulla la plasmaterapia sarebbe finita in cantina» e resta convinto che la scelta di Pisa come capofila della sperimentazione nazionale della plasmaterapia sia stata una scelta politica: «L’ho detto ed Enrico Rossi, il governatore della Toscana, che non ho mai nominato, mi ha già detto che mi querelerà. Probabilmente ha la coda di paglia». Infine una convinzione sul virus: «In Lombardia ci sono quattro ceppi di questo virus, e nessuno è identico a quello cinese. Sappiamo ancora poco… Io ho fatto uno studio sui casi di polmonite del mio reparto. Secondo me, i primi pazienti sono di fine settembre. Una forma aggressiva, che ha avuto uno stranissimo picco tra ottobre e novembre e che colpiva soprattutto gli adolescenti. Sono sicuro fossero riconducibili al coronavirus. Non riusciamo a capire come mai però la grande diffusione sia esplosa mesi dopo. Forse la prima ondata, quella dello scorso autunno, era causata da un ceppo meno contagioso».

 Stefano Filippi per la Verità il 15 giugno 2020. Finché non è scoppiata l'epidemia di coronavirus, il dottor Giuseppe De Donno era semplicemente il direttore del reparto di pneumologia e di terapia intensiva dell'ospedale di Mantova. Improvvisamente è diventato uno degli uomini più famosi d'Italia, conteso dalle televisioni e messo in discussione dal mondo medico e dalla politica. Che aveva combinato De Donno? Soltanto quello che ogni clinico dovrebbe avere la libertà di fare: sperimentare una cura che aveva dato buoni risultati in casi che presentavano analogie con il Covid-19. È la terapia del plasma autoimmune: essa utilizza il plasma sanguigno dei pazienti guariti per fornire ai malati gli anticorpi utili a contrastare l'infezione. Da Mantova la sperimentazione si è estesa a Pavia, poi a Padova e altri ospedali e ora è allo studio in tutto il mondo. Ma su De Donno si è scatenata una bufera mediatica. In un momento in cui ogni successo positivo contro un nemico così oscuro andrebbe salutato con sollievo, lui è stato trattato alla stregua di uno stregone. È stato criticato perfino per essere stato per 4 anni vicesindaco di Curtatone, il paese mantovano in cui abita, località finora nota soprattutto per la battaglia del 1848 in cui il generale Radetzky fu fermato da uno scalcinato esercito di studenti volontari. Per De Donno parlano i fatti: oltre il 90% dei pazienti curati con questa metodica sono guariti.

Come sta andando la terapia con il plasma autoimmune?

«In questo momento la terapia con plasma convalescente sta dando risultati molto promettenti non solo a Mantova. Dalla nostra banca del plasma inviamo sacche in tutta Italia, dal Nord al Sud, arrivando anche sulle isole; tutti i pazienti trattati con plasma convalescente hanno un recupero fisico immediato. Due settimane fa è partito il progetto Rescue, curato da me e dal dottor Massimo Franchini, che è il direttore del servizio trasfusionale dell'ospedale di Mantova».

A chi è rivolto il progetto?

«Alla cura dei pazienti delle residenze sanitarie assistenziali. I risultati clinici preliminari, nonostante lo studio abbia, al momento, una scarsa potenza, sono incoraggianti».

Quante persone ha curato, quante sono guarite?

«Se per guarigione si intende la negativizzazione del tampone, il plasma del paziente convalescente, avendo un'importante capacità antivirale, riesce a negativizzare il tampone in oltre il 90% dei casi».

Quanti morti si sarebbero potuti evitare se la plasmaterapia fosse stata applicata in misura più ampia?

«L'analisi statistica del protocollo Mantova-Pavia evidenzia un incremento significativo della sopravvivenza; ogni 10 pazienti si riesce a salvare una vita».

Il tempo ha dato ragione alle sue intuizioni iniziali sulla terapia?

«Direi di sì e i pazienti guariti ne sono la dimostrazione. I centri che utilizzano il plasma sono sempre di più. È notizia di pochi giorni fa che il plasma è stato utilizzato per negativizzare un bambino Covid positivo, in seguito sottoposto a trapianto per una forma leucemica».

Ha dovuto «forzare la mano» per avviare queste cure?

«Ho dovuto espormi in prima persona per riuscire a sdoganare questa terapia rinunciando alla mia privacy a cui, tra l'altro, ho sempre tenuto molto. Ho dovuto concedere molte interviste radio e tv, ho aperto una pagina Facebook, sono stato invitato in commissione al Senato; tutto questo non per animare il mio ego, come qualcuno ha sostenuto e continua a sostenere, ma solo per il bene del paziente e per dare una speranza a questo Paese. Nel segno dell'onestà».

Come spiega l'ostilità verso la sua terapia, quando ogni successo contro il coronavirus dovrebbe essere salutato con favore?

«Eviterei di parlare di ostilità. A volte la paura, o peggio ancora l'ignoranza, nell'accezione di "condizione determinata dalla mancanza di istruzione o conoscenza", può portare a essere fuorviati dalla verità. In ogni ambito della vita, e a maggior ragione in quello medico-clinico, bisogna lasciare spazio ai fatti. Se ci si basasse sui fatti, vivremmo tutti meglio. Ecco quindi che le guarigioni dei miei pazienti, la gioia delle loro famiglie, la grande solidarietà della donazione, tutti questi fatti tangibili parlano da soli del successo di questa terapia. Crede ci sia riconoscimento migliore al mondo? Io credo di no».

Lei ha detto che vogliono zittirla, come mai? Chi ha volontà di nascondere queste cure?

«Non posso sapere di chi è la volontà di nascondere questa cura. Come ho detto più volte, il plasma iperimmune è quanto di più democratico ci possa essere al giorno d'oggi; è dato dal popolo e torna al popolo, è il più grande atto di solidarietà che un paziente guarito possa avere nei confronti di chi ancora sta lottando con la malattia. Cosa non meno importante, il plasma è gratuito. Quindi, come ha detto il grande Enrico Montesano, questa cura ha tre grossi problemi: costa poco, funziona benissimo, non rende miliardario nessuno».

Ci sono interessi della Big Pharma, cioè dei colossi farmaceutici, a screditare questa terapia per puntare sui vaccini, più redditizi?

«Questo non lo deve chiedere a me. Sono un medico di campagna, non un azionista di Big Pharma».

Che accoglienza ha avuto la terapia nel mondo accademico e scientifico?

«Il fatto che questa idea sia partita da un ospedale pubblico, anche se in collaborazione con l'ospedale di Pavia, ha suscitato parecchie diffidenze nel mondo accademico. A questo si aggiungano tutte le diffidenze che si avevano verso un emocomponente, nonostante la terapia del plasma convalescente non sia una novità. A volte il dottor Franchini e io, nei pochi minuti di pausa che abbiamo, ci chiediamo come mai non si sia partiti subito a organizzare una multicentrica che forse oggi qualche risultato definitivo lo avrebbe portato».

Al Senato ha detto che «uno scienziato pagato per divulgare conoscenze scientifiche non è credibile».

Conferma?

«Assolutamente sì. La scienza e la ricerca devono essere libere. La nostra vita deve avere la priorità su qualsiasi interesse politico o economico, altrimenti anche questa diventa merce di mercato data in mano a chi offre di più».

Uno studio cinese uscito nei giorni scorsi sostiene che la terapia al plasma ha un'efficacia limitata per i malati di Covid-19. Che ne pensa?

«Lo studio cinese ha numerosi bias (dati parziali, ndr) e inoltre è stato interrotto per carenza di casistica. Se però lo si analizza bene, nonostante la potenza di questo studio sia ancora più bassa rispetto al nostro, esso dimostra che i pazienti gravi ma non gravissimi si giovano notevolmente di questo trattamento: si riducono sia la mortalità, sia i tempi di ricovero, sia i tempi di svezzamento dalla ventilazione meccanica. Inoltre, si conferma che la negativizzazione dei tamponi, come già detto prima, supera il 90% dei casi».

La politica ha commesso errori nella gestione dell'emergenza sanitaria?

«Posso dire che un errore che la politica deve evitare è non investire nella ricerca o consentire ad aderenze politiche di gestire, per interesse economico, la ricerca stessa. Nessuno poteva prevedere ciò che è accaduto. Il lockdown è stato uno strumento buono per ridurre la circolazione del virus, ma mi limito a questo perché sono un medico, non un politico. Gli errori della politica saranno evidenziati dalla storia».

Ora a chi state somministrando il plasma? Lo fornite anche ad altri ospedali? Anche all'estero?

«Il plasma è somministrato in quasi tutta la nostra penisola, e, come detto, la nostra banca del plasma lo fornisce anche alle altre strutture che lo richiedono. All'estero abbiamo collaborato, attraverso call conference, con molti Paesi tra cui Brasile, Perù, Cile, Uruguay, Kenya, ai quali abbiamo inviato il nostro protocollo operativo. Molti di questi Paesi sono partiti con la raccolta del plasma».

Lei è stato tanto apprezzato quanto contestato: che esperienza sono stati per lei questi mesi?

«Purtroppo non posso piacere a tutti. L'unico mio interesse era sdoganare la terapia al plasma convalescente e, con il mio espormi, ci sono riuscito. Certo, sono stato criticato, insultato e deriso, ma poco mi importa. La cosa importante è che tutto questo ha permesso di aiutare molti pazienti che, come noi medici, non vedevano la luce in fondo al tunnel».

Che cosa non dimenticherà?

«Nessuno mai potrà cancellare dalla mia mente gli sguardi di terrore di chi moriva senza aver vicino nessuno. Ma anche questo mi ha dato la forza di combattere per quella che era l'unica arma a nostra disposizione contro questa pandemia. In tutto questo sono stato supportato da colleghi meravigliosi con i quali si è instaurato un rapporto umano e professionale molto forte. Ne cito uno per tutti, il dottor Franchini, che è diventato per me come un fratello. Devo inoltre dire che le persone che mi hanno appoggiato, incoraggiato, sostenuto sono di gran lunga superiori a quei pochi che mi hanno criticato. Il nostro Paese non va sottovalutato».

La polemica. La pubblicazione scientifica relativa all'esito della "cura pavese", sperimentata anche al Carlo Poma di Mantova e all'Ospedale Cotugno di Napoli a partire da metà maggio, sarà disponibile nelle prossime settimane. Nell'attesa che i dati possano fugare ogni eventuale dubbio sull'adeguatezza del trattamento, il numero dei pazienti immunizzati raggiunge una quota a dir poco significativa: 48 guariti e neanche un decesso. Tuttavia, sono ancora molti i virologi che sostengono l'impraticabilità della terapia manifestando scetticismo e, talvolta, beffante disappunto. "La nuova pozione magica", commenta con tono vagamente irridente il virologo Roberto Burioni lanciando una frecciatina piccata al collega Giuseppe De Donno, primario presso il Reparto di Pneumologia dell'Ospedale Carlo Poma di Mantova e fautore della cura. Resta in silenzio, invece, il Comitato tecnico scientifico mentre il leader della Lega Matteo Salvini non fa mistero delle sue posizioni chiedendo l'intervento del Governo: "Nessuno ne parla. Approfondite quello che questi medici stanno facendo". A sedare gli animi ci pensa Cesare Perotti, dirigente di Immunoematologia del Policlinico San Matteo di Pavia, coautore dello studio insieme al collega del centro trasfusionale Massimo Franchini, l'infettivologo Salvatore Casari e lo pneumologo Giuseppe De Donno. "Il trattamento dà esiti incoraggianti, - afferma l'esperto - ma è necessario terminare l' analisi di tutti i parametri biologici e clinici relativi ai 50 pazienti trattati, analisi tuttora in corso, e superare il vaglio della comunità scientifica, prima di poter affermare se e quanto funziona". Secondo fonti del Fatto Quotidiano, il gruppo di studiosi avrebbe scritto fin da marzo al ministero della Salute per chiedere un coordinamento della raccolta del sangue dei guariti ma non avrebbe mai ricevuto alcuna risposta. E anche l'Istituto superiore di sanità (Iss) non avrebbe manifestato grande interesse. Insomma, si brancola nel buio o, meglio ancora, nel silenzio. Alla luce dei riscontri ottenuti, la cura sembrerebbe sortire risultati incoraggianti. Tuttavia, per poterne convalidare l'efficacia bisognerà attendere l'esito relativo parametro della viremia, cioè la quantità di virus presente nell'organismo dei pazienti prima e dopo l' infusione di anticorpi. Fatto sta che, se la sperimentazione fosse messa a protocollo nazionale, richiederebbe un investimento economico piuttosto contenuto - 90 euro per paziente a carico del Servizio sanitario nazionale - dettaglio non trascurabile in tempi di ristrettezze. "Il plasma non è commerciabile in Italia - spiega Casari -Al massimo si può cederlo a un' altra struttura sanitaria, con rimborso del costo vivo".

I risultati dello studio. Intanto, i risultati di ben tre ricerche condotte a Wuhan confermano la validità del trattamento anche nei pazienti con sintomatologia Covid acuta. Perotti e i suoi colleghi chiedono, pertanto, che la cura venga testata nell' ambito di studi più ampi e randomizzati, cioè dove sia previsto anche un gruppo di pazienti cosiddetti 'di controllo', che abbiano sintomi molto più lievi dei primi o siano trattati con un altro farmaco, per poter confrontare la reale superiorità, in termini di efficacia, della terapia. Indagine che finora nessuno ha ancora svolto. "Senza studi randomizzati, non si può essere sapere se i pazienti sono guariti a causa di una terapia sperimentale o nonostante essa", si legge il 7 aprile sulla rivista medica Jama in merito alla terapia del plasma iperimmune. Il protocollo di Pavia e Mantova è stato chiesto da molti altri Paesi nel mondo. Inclusi gli Usa. Lì ora sono già pronti 2.089 ospedali, 4.600 medici, 10 mila pazienti arruolati e 5 mila sono stati già trattati con il plasma iperimmune, pur essendo partiti ben dopo l' Italia. Il gruppo ha ceduto parte del plasma anche a molti altri ospedali italiani per trattare altri 50 malati gravi, fuori dal protocollo di sperimentazione. "Anche da lì stanno emergendo risultati interessanti, che presto verranno pubblicati", ha detto Perotti.

La testimonianza. "Sono un medico di famiglia, e capisco che cosa si prova a stare nei panni del malato, perché anch' io ho dovuto lottare con tutte le mie forze contro questo Coronavirus. Mi considero fortunato per essere stato preso in cura in Lombardia e trattato con il plasma ricco di anticorpi neutralizzanti ricavati dal sangue di donatori convalescenti". A raccontarlo è Mario Scali, medico di base residente a Parma, risultato positivo al Covid-19 lo scorso aprile. In una lunga intervista rilasciata al Quotidiano Nazionale, il dottore racconta la sua esperienza da paziente esprimendo riconoscenza incondizionata nei confronti dei colleghi che lo hanno trattato con la cura del plasma iperimmune. "Sono stato ricoverato 19 giorni all' Ospedale di Mantova, dove lavora anche mia moglie immunologa, nel reparto malattie infettive. - racconta - Mi era venuta la febbre, l' affanno, altri segni caratteristici, insomma ai primi sintomi ho capito che mi ero beccato l' infezione da Coronavirus. Ora sono guarito, finalmente posso dirlo. Lo hanno provato anche le analisi sierologiche e molecolari cui sono stato sottoposto, un doppio tampone negativo, le immunoglobuline G positive, e IgM negative, segno che ho affrontato una malattia impegnativa che mi toglieva le forze e che avrebbe potuto prendere una brutta piega se non avessi avuto la fortuna di essere sottoposto alla terapia con plasma iperimmune, ricco di anticorpi neutralizzanti contro il virus Sars-Cov-2". La terapia sperimentale sembra aver sortito ottimi risultati e il dottor Scali ne è la prova evidente. Cionostante, il Ministero continua a mostrare reticenza circa il protocollo sperimentato a Pavia e Mantova invitando alla prudenza. "L'invito alla prudenza è legato al fatto che questa è una malattia ancora poco conosciuta, ma la terapia con le immunoglobuline ha una lunga storia. - spiega - ho seguito i corsi di evidence based medicine della Fondazione Gimbe, concordo pienamente sul fatto che devono esserci delle prove di efficacia robuste perché una terapia possa entrare in un protocollo condiviso. Però sono meravigliato, e anche deluso da certe affermazioni che ho letto nella mia Regione". Tanto, forse troppo, lo scettismo da parte delle istituzioni che potrebbero, al contrario, favorire il trattamento sperimentale accellerando il processo di guarigione per molti pazienti Covid. "Non credo che il plasma possa essere una terapia da utilizzare subito e per tutti i pazienti. -continua il dottore - Ma ritengo che sia una terapia che merita di essere sperimentata e valutata, e che potrebbe aiutare qualche paziente. C' è chi l' ha definita un tormentone, avvicinandola alla terapia Di Bella e al siero Bonifacio". La vicenda appare piuttosto controversa e intricata, tale da alimentare una polemica senza precedenti: "Dico, anche la Fda americana ha preso in considerazione il plasma. In Italia si sta sperimentando a Mantova, Pavia, Pisa, Padova, mi resta oscuro il motivo per cui da altre parti si sollevano resistenze e perplessità", conclude Scali. 

Angela Marino per "fanpage.it" il 6 maggio 2020. Era sul punto di fare "scoperte molto significative": un professore dell'Università di Pittsburgh impegnato nella ricerca medica contro il Covid-19 è stato ucciso a colpi di pistola in un apparente dinamica omicidio-suicidio. Il corpo di un secondo uomo – identificato martedì dall'ufficio del medico legale della Contea di Allegheny come Hao Gu, 46 anni – è stato trovato in un'auto parcheggiata vicino alla scena della prima morte. Bing Liu presentava ferite da arma da fuoco alla testa, al collo, al busto e agli arti. Gli investigatori credono che si stato ucciso dall'uomo trovato morto a pochi passa da casa, me le indagini sono ancora in corso. L'università ha rilasciato una dichiarazione affermando che "è profondamente rattristata dalla tragica morte di Bing Liu, un prolifico ricercatore e ammirato collega di Pitt. L'Università estende le nostre più sentite simpatie alla famiglia, agli amici e ai colleghi di Liu in questo momento difficile". Liu ha conseguito il dottorato presso l'Università di Singapore nel 2012. Si è trasferito negli Stati Uniti e ha lavorato come borsista presso la Carnegie Mellon University con il famoso scienziato informatico Edmund M. Clarke, vincitore del Turing Award 2007. "Bing era sul punto di fare scoperte molto significative per comprendere i meccanismi cellulari che sono alla base dell'infezione da SARS-CoV-2", hanno detto i suoi colleghi del Dipartimento di Biologia Computazionale e dei Sistemi dell'Università. I membri della School of Medicine dell'Università descrivono il loro ex collega come ricercatore e mentore eccezionale, e si sono impegnati a portare avanti il lavoro fatto da Liu "nel tentativo di rendere omaggio alla sua eccellenza scientifica".

Dottor Speciani: «Devono mantenere il panico fino all’arrivo del vaccino». Denise Baldi il 15 Maggio 2020 su Oltre.tv. Il dottor Luca Speciani è il presidente di Ampas, un’associazione di oltre 800 medici che in questo periodo di lockdown si è più volte fatta sentire. Lo abbiamo raggiunto telefonicamente. Alcuni dicono che il coronavirus sia in Italia da ottobre, altri da gennaio. Il periodo di incubazione dura al massimo 14 giorni e in media una settimana. Quindi il virus avrebbe avuto mesi per girare indisturbato e nessuno si sarebbe accorto di nulla. Poi il 10 marzo chiudono 60milioni di italiani dentro casa e il 21 marzo abbiamo il picco dei positivi. È un andamento coerente con le informazioni che abbiamo? Io non sono un virologo ma una considerazione posso farla. Troppe cose sono state date per vere e non lo erano, come troppe cose sono state spacciate per fake e sono risultate vere. C’è stata un’azione violenta da parte dell’informazione, con martellanti pubblicità televisive, per determinare quali notizie seguire. In democrazia non dovrebbe esistere. Per quanto riguarda i decessi abbiamo un dato nazionale del tutto paragonabile a quello degli anni passati, salvo in alcune province della Lombardia. In totale 30.000 morti di cui 14.000 in Lombardia e di questi 7.000 deceduti in RSA. Il caso della Lombardia è il riflesso di una serie di errori drammatici, forse fatti in buona fede per le poche informazioni sul virus. Le persone uscivano dalla terapia intensiva e venivano mandate in RSA a fare la convalescenza, ancora infette. Questa situazione ha generato una strage. In tutte le altre regioni d’Italia abbiamo invece dati del tutto equiparabili a quelli degli anni passati. Dice Lustig: “Il virus non distingue chi infetta ma distingue benissimo chi uccide”. I decessi riguardano infatti per lo più anziani con età media di 78 anni, 3,3 patologie concomitanti, 75% maschi e 75% obesi. Una categoria molto specifica a cui la Covid-19 dà una risposta violenta generando una coagulazione intravascolare disseminata che porta alla morte. Nelle RSA c’erano proprio questo tipo di persone.

Morti “per” o “con” Codiv-19. Ancora oggi, sul sito della Protezione Civile, sotto al numero dei decessi (arrivato quasi a 30.000) è scritto: «In attesa di conferma ISS». Quando arriverà questa conferma? E come, dato che hanno cremato i cadaveri e quindi non possono effettuare autopsie? È normale che, a distanza di due mesi e mezzo, ancora non si riesca a scorporare il numero dei deceduti in attesa di conferma dal numero di deceduti confermati o non confermati?

Leggono la cartella clinica, quindi basta che il medico abbia scritto Covid-19. Mi pare strano che l’ISS possa non convalidare la scheda.

Ma uno è morto “per Covid-19” o “con Covid-19”? È un’altra valutazione da fare. Un esempio: un signore ha avuto un infarto qualche anno fa, prende farmaci ed è obeso, quindi è molto sensibile al Sars-Cov-2, prende il virus e muore. Magari sarebbe morto ugualmente tra sei mesi o un anno ma io questa morte la considero per Covid-19. Anche se è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso questo signore avrebbe potuto vivere sei mesi o un anno in più. Quando invece arriva una persona in ospedale, muore di infarto e poi risulta il tampone positivo e assegnano la morte alla Covid-19 ritengo che non sia corretto. So che sono girate disposizioni ministeriali che indicano di riportare come morte per Covid-19 tutti quei decessi associati a sintomi riconducibili al coronavirus. Vogliamo farci del male da soli e mantenere un clima di terrore, una dittatura sanitaria. Quest’anno infatti sono improvvisamente scomparse dal computo dei morti le polmoniti e sono sparite completamente le mortalità da influenza e altre patologie virali. Tutti Covid-19.

Dottor Speciani su contagiati, asintomatici e guariti. Hanno falsificato tutto il falsificabile. E i giornalisti hanno mantenuto alto il tiro per aumentare il panico. Il numero di morti dovrebbe essere un dato più preciso ma in realtà non sappiamo quanti sono.

Anche i numeri di contagiati sono opinabili perché non si può considerare contagiata una persona che ha il tampone positivo ma è asintomatica. Questa è una “persona che ha incontrato il virus”, definizione che fa molto meno paura. Inoltre hanno fatto pochissimi tamponi, rispetto alla popolazione totale, quindi quanti sono davvero i contagiati? Su quel numero reale (che comprende tamponati e non tamponati) andrebbe calcolata la letalità. In Italia si arriva al 16% di decessi ma i contagiati sono molti di più di quelli dichiarati. Se questo virus è davvero un po’ più infettivo rispetto a una normale influenza vuol dire che a oggi ci saranno almeno 6-7 milioni di contagiati e che la letalità è bassissima. Chi è al potere dovrebbe far fare il test sierologico che ha un costo irrisorio e permette di avere un numero davvero preciso, vista anche la poca affidabilità dei tamponi. Il valore reale di letalità è quindi irrisorio e colpisce una categoria di persone a rischio perfettamente identificabile. Sarebbe inoltre corretto, durante gli annunci della Protezione Civile, oltre a indicare i decessi giornalieri, comunicare anche il numero di coloro che sono guariti senza nemmeno aver bisogno di terapie mirate, che è un dato importante e molto rassicurante.

Correlazione coi vaccini e la novità del plasma iperimmune. Il virologo Giulio Tarro e il medico Mariano Amici hanno parlato di una possibile associazione tra le vaccinazioni antinfluenzali e l’aumento del rischio di contrarre il coronavirus e di avere complicanze. Secondo lei andrebbe indagata questa possibile associazione? Le risulta che qualcuno lo stia facendo? Ippocrate ha insegnato: “prima di tutto non nuocere”. Il principio di precauzione andrebbe usato sempre nel dubbio. Ma sappiamo, anche grazie a uno studio dell’esercito americano sulle vaccinazioni e il coronavirus, che esiste un fenomeno chiamato interferenza virale. Nel bergamasco e nel bresciano c’è stata una campagna vaccinale importante, a causa dei focolai di meningite, che potrebbe aver influito. Questa è un’ipotesi plausibile anche se non ancora verificata.

Dottor Speciani, ci può dire cosa pensa, da un punto di vista scientifico, economico e politico, di tutta la questione plasma iperimmune? È assolutamente un rimedio da utilizzare per chi è in terapia intensiva o sta soffrendo in modo grave. Nell’Ospedale Carlo Poma di Mantova, dove lavora il dottor De Donno, da un mese non c’è più un decesso. Le nostre autorità sanitarie stanno sbagliando criticando De Donno. Il primario ha preso un po’ di visibilità per far conoscere anche agli altri il metodo, per utilizzarlo. Negli Stati Uniti hanno infatti chiesto in 4000 cliniche di conoscere il sistema del plasma iperimmune e cosa succede? Mandano i NAS all’Ospedale di Mantova. Anche nella sua intervista in Rai, De Donno è stato praticamente zittito. Poi ha chiuso i suoi due profili Facebook.  Perché questa cosa fa paura? Fa paura perché se trattiamo la categoria a rischio (anziani, con più patologie, obesi e di sesso maschile) col plasma, il numero di decessi può tranquillamente scendere verso lo zero.

Dottor Speciani: «Si è seguito la via del terrore». Sembrerebbe che in altri Paesi del mondo le restrizioni siano state più leggere rispetto all’Italia. Non solo: in Italia hanno chiuso prima e stanno riaprendo dopo (qui, qui e qui un po’ di testimonianze). Eppure, negli altri Paesi, il numero di positivi e di morti non è inferiore ai numeri che avevamo a inizio marzo in Italia, quando è iniziato il lockdown totale di due mesi. La domanda è: perché negli altri Paesi non si sta avendo quell’aumento impressionante di casi e di decessi che in Italia sarebbe stato scongiurato dal lockdown? Cosa c’è di diverso in Italia rispetto all’estero? C’è di diverso che, invece del buon senso, si è seguito la via del panico e del terrore. In Svezia sono stati più ragionevoli. È chiaro a tutti che la diffusione del virus ha avuto il picco in un momento in cui non avevamo molte informazioni. Poteva quindi essere condivisibile dire di stare a casa. Dopo però bisogna ricominciare a riaprire tutto. Negli altri paesi hanno chiuso cinema, teatri e altri luoghi dove si riunivano molte persone ma hanno lasciato la possibilità di andare al mare, stare al sole e all’aria aperta. Questi tipi di restrizioni minimali sono quelle che hanno avuto più successo. Il lockdown dovrebbe deciderlo il presidente del Consiglio e discuterlo in parlamento, invece tutto questo viene bypassato. Decide la task force, che chiede l’immunità, e questa è un’assurdità. Loro dovrebbero studiare il problema e portare le relazioni al politico che poi prenderà le sue decisioni.

Già se fermassero il lockdown oggi si conterebbero (hanno stimato alcuni economisti) sette milioni di persone senza lavoro per le chiusure delle rispettive aziende. Borrelli che dice che va prolungata l’emergenza sanitaria di altri sei mesi. Lui forse resta padrone della scena ma il resto d’Italia va a picco. Sarà un disastro economico.

La totale indifferenza dei mass media per AMPAS. A proposito di trasparenza e pluralità dell’informazione: AMPAS è un’associazione di oltre 800 medici. Avete pubblicato un comunicato che, se dovesse leggerlo il telespettatore medio di Fabio Fazio, resterebbe basito. In tv si vedono sempre le stesse facce che dicono le stesse cose. Qualche trasmissione televisiva vi ha mai contattato? Possibile che autori e giornalisti non si rendano conto che con voi farebbero uno scoop? Com’è possibile che un’associazione di 700 medici pubblichi certi comunicati e venga totalmente ignorata dai mass media tradizionali? Senza un confronto le persone non possono capire l’importanza di un’opinione indipendente. Non hanno mai chiamato uno di noi a parlare nelle grandi TV mainstream perché questa storia ha una regia e devono continuare a mantenere il panico fino all’arrivo del vaccino. Quando vedevamo il teatrino giornaliero di Borrelli, alla sua destra c’erano talvolta figure impresentabili. Alcune di queste hanno conflitti di interesse mostruosi che dovrebbero essere dichiarati a chi guarda la diretta. Le persone devono sapere perché parlano sempre i soliti personaggi e che molti di questi individui hanno ricevuto ingenti somme da case farmaceutiche. Un semplice avviso, come avviene nei congressi e nei lavori scientifici, sarebbe utile e farebbe capire a molti che non tutti (anche se lo dicono) parlano in nome della Scienza. Denise Baldi

“Il virus è morto”. “Anzi no, è vivo e colpirà ancora”… La guerra senza fine dei virologi. Il Dubbio il 27 luglio 2020. I virologi divisi e litigiosi. Lo scontro tra Burioni e De Donno e tra Zangrillo e il resto del “mondo”. Crisanti contro Zangrillo. Tarro contro Burioni. Ranieri Guerra contro Clementi. Critiche, insinuazioni, persino insulti. Dopo la tregua forzata causa lockdown, l’inizio della “nuova normalità” ha riportato in auge la “guerra” tra gli esperti, divisi ormai in maniera abbastanza netta in due fazioni: ottimisti e pessimisti. Una polemica inedita per toni e modalità, uscita dalle polverose aule accademiche per divampare sui social, sulle agenzie, sui giornali. E naturalmente, le due fazioni hanno il loro nutrito seguito di fan, che a loro volta si insultano tacciandosi, di volta in volta, di catastrofismo a tutti i costi o di ottimismo ottuso e immotivato. Con un interrogativo non sempre espresso ma onnipresente, magari sotto traccia: il governo ha fatto bene o sta sbagliando? E con i due fronti, scientifici e politici, che in qualche modo si sovrappongono e si sostengono a vicenda. La disfida insomma, da accademica è diventata politica. Inevitabile, quando si toccano argomenti che interessano l’intera popolazione. D’altra parte lo diceva già Thomas Mann: l’apoliticità non esiste, tutto è politica.

L’accusa di Alberto Zangrillo: “Il virus è morto”. A gettare il sasso nello stagno, come noto, è stato all’indomani delle riaperture Alberto Zangrillo, primario dell’Unità Operativa di Anestesia e Rianimazione del San Raffele di Milano, con la frase “il virus ormai è clinicamente morto”. Concetto contestato dagli esperti che potremmo definire, con una buona dose di approssimazione (elemento fondamentale in politica), del fronte “di sinistra”. A partire dai membri del Comitato tecnico scientifico, da Franco Locatelli, presidente del Consiglio Superiore di Sanità, a Silvio Brusaferro, numero uno dell’Istituto Superiore di Sanità, fino a Gianni Rezza, passato nelle scorse settimane dall’Iss alla direzione del dipartimento Prevenzione del ministero della Salute. A pesare sulla polemica, inutile negarlo, la figura stessa di Zangrillo, medico personale di Berlusconi, esponente di punta del mondo della sanità lombarda “formigoniana”, insomma, si presume, non esattamente affine ideologicamente al governo in carica. Altra figura cara agli “ottimisti”, o al fronte affine al centrodestra, quella del virologo Giulio Tarro, storico esperto campano in prima linea 40 anni fa nella lotta al colera, anche lui convinto dell’esagerazione nella risposta al virus, sceso in polemica diretta e furibonda più volte con i colleghi, fino alla querela contro Roberto Burioni, reo di aver pronunciato la frase “se Tarro è stato candidato al Nobel io lo sono a Miss Italia”.

La querela di Roberto Burioni. E’ proprio Burioni, dopo le guerre all’arma bianca degli scorsi anni sul tema dell’obbligatorietà vaccinale, uno dei paladini del fronte dei “pessimisti”, o affini al centrosinistra, per proseguire sulla linea del doppio binario scientifico-politico. Sulla sua pagina Facebook “Medical Facts” sono immancabili le polemiche, con un fronte più estremo passato con disinvoltura dal credo “No vax” a quello “No mask”, e sfociato in iniziative più folkloristiche che politiche come quelle del generale Pappalardo. Inevitabile anche il servizio delle Iene su un presunto conflitto d’interessi del virologo rispetto agli anticorpi monoclonali, a cui Burioni ha risposto con la querela. Ed è certamente tra gli ottimisti Massimo Clementi, direttore del laboratorio di Microbiologia e Virologia dell’Ospedale San Raffaele, assertore della tesi, ancora non dimostrata, di un virus diventato in qualche modo “più buono”, e comunque con una carica virale attenuata. Tesi su cui si e’ registrato il furibondo scontro con Ranieri Guerra, direttore aggiunto dell’Oms, che lo ha invitato poco cavallerescamente a “tornare nelle fogne”, anche qui con un richiamo non troppo sottile a disfide politiche di altri tempi. Non si è risparmiato neanche Andrea Crisanti, direttore del laboratorio di virologia dell’università di Padova e “padre” del modello veneto, che ha consentito nei primi drammatici mesi di contenere l’epidemia a suon di tamponi e tracciamenti, contravvenendo anche alle catastrofiche indicazioni iniziali dell’Oms. Non solo contro i colleghi, a partire da Zangrillo, ma anche contro il governatore Luca Zaia, accusato di prendersi i meriti e nelle ultime settimane di aver cambiato linea dando retta ai suoi “virologi di fiducia che gli dicono che il virus non c’è più”. Ma che gli scienziati, diventati improvvisamente superstar, spesso utilizzino la visibilità per scopi personali, anche politici (nulla di male, ovviamente), è più che un sospetto.

De Donno e la polemica sul plasma. Giuseppe De Donno, primario di pneumologia a Mantova e massimo propugnatore della terapia con il plasma dei convalescenti, si è detto e scritto che l’intenzione ancora non dichiarata era addirittura quella di correre a sindaco della città lombarda (ipotesi finora smentita dall’interessato). Si è mormorato anche di Giuseppe Ippolito, direttore scientifico dello Spallanzani di Roma, sempre con posizioni molto prudenti (i detrattori le definirebbero "catastrofiste"), di cui ha fatto rumore l’intervento all’assemblea del Pd a fine febbraio, proprio mentre iniziava a infuriare la pandemia. Mentre è ufficiale la candidatura di Pier Luigi Lopalco, consulente di Emiliano in Puglia, proprio nelle fila del governatore Pd uscente in corsa in autunno per il secondo mandato. Scelta che lo ha indotto a dimettersi dalla presidenza del Patto trasversale per la Scienza, l’associazione che riunisce (o per meglio dire, riuniva) gran parte degli esperti italiani impegnati nella lotta al coronavirus. La dicotomia scienza-politica è diventata un tema non più eludibile, incrinando proprio l’unità del Patto, con il convegno di oggi promosso da Vittorio Sgarbi al Senato per presentare la nuova associazione ‘Osservatorio per i diritti fondamentali’, le cui tesi di fondo sono sostanzialmente che il virus non rappresenta più un grave pericolo e che continuare con lo stato d’emergenza è inutile e dannoso per l’economia e la società tutta, oltre che lesivo, appunto, delle libertà fondamentali. Facendo emergere l’impossibilità di convivenza tra i due “partiti”, quello dei virologi ottimisti (che un mese fa hanno lanciato un manifesto proprio per dire come il virus si sia indebolito, firmato tra gli altri anche da Matteo Bassetti, Giorgio Palù, Giuseppe Remuzzi, oltre a Zangrillo e Clementi) e quello dei pessimisti (ma loro si definiscono realisti), secondo cui questa tesi è molto pericolosa perchè, se frainteso, il concetto di “indebolimento clinico” del Covid può portare, come in effetti in parte è stato, a un eccessivo rilassamento rispetto alle misure di prudenza. L’opposizione, Salvini in primis, sposa convintamente la linea espressa dal manifesto, accusando il governo di voler mantenere forzatamente lo stato di emergenza per scavalcare il Parlamento. Mentre la maggioranza, con in testa il ministro della Salute Roberto Speranza che ogni giorno ribadisce la necessità di mantenere alta la guardia, continua a seguire la linea della massima prudenza dettata dal Comitato tecnico-scientifico. Dal convegno di oggi si è chiamato fuori Guido Silvestri, che insegna alla Emory University di Atlanta, che malgrado il grande successo della sua rubrica web ‘Pillole di ottimismo’ non si è sentito di partecipare a un’iniziativa, a suo dire, più politica che scientifica (è previsto anche l’intervento dello stesso Salvini). Il Patto per la Scienza (la cui definizione iniziale “trasversale” somiglia sempre più a un’utopia) ha emesso un duro comunicato che sintetizza tutte le difficoltà di conciliare i due aspetti: “Appare grave ed incomprensibile l’eventuale adesione da parte di importanti soci del PTS ad iniziative in chiave chiaramente politica ed elettorale che vedano come guida o contributori soggetti che sono stati oggetto di querela o di diffida da parte del PTS proprio per le pericolose posizioni antiscientifiche espresse durante l’epidemia di COVID-19, insieme ad altri che in moltissime occasioni hanno dimostrato la propria lontananza dal metodo scientifico”. Chi partecipa al convegno, spiegano i responsabili dell’associazione, è fuori. Ma se gli scienziati si accapigliano, anche la sfida tra regioni si accende, in base naturalmente al colore politico della giunta. Il governatore campano Vincenzo De Luca ha a più riprese attaccato la gestione lombarda, con uscite non sempre nei limiti del buon gusto, mentre di fronte alle critiche per il caso camici che ha coinvolto il governatore lombardo Fontana i suoi sostenitori contrattaccano ricordando il pasticcio delle mascherine acquistate e mai recapitate nel Lazio di Nicola Zingaretti, leader del Pd. E inevitabilmente, nel tritacarne finisce anche il tema divisivo per eccellenza, quello dei migranti, dopo i diversi casi di positività tra gli sbarcati, ma anche tra gli arrivi dal Bangladesh e ultimamente dall’Europa dell’Est (che hanno portato a blocchi e quarantene).

Lo stesso Lopalco ha chiarito su Facebook, dopo che qualcuno dall’opposizione si era spinto addirittura a parlare di un governo che fa entrare di proposito migranti infetti per tenere alta l’emergenza: “I virus sono individui esigenti: se proprio devono viaggiare, preferiscono farlo in aereo in prima classe piuttosto che sui barconi”. Con il consueto corredo di polemiche, di post e contro-post, che hanno spinto Lopalco a un ulteriore chiarimento, in cui ammette però il disagio della sua condizione ‘bifronte’: “Quando parlo, non so se parlo da scienziato o da politico. Ma quando dico che se la circolazione di coronavirus riparte non è certo per colpa dei barconi, so quello che sto dicendo”. Se c’è una cosa che il virus ha insegnato, insomma, è che anche la scienza è una materia “umana”, e quindi madre di continue contrapposizioni (per fortuna, altrimenti probabilmente saremmo ancora confinati in una caverna). E che Thomas Mann non poteva avere più ragione: tutto è politica.

L'agenzia europea del farmaco riconosce l'intuizione del Pascale. Il tocilizumab riduce la mortalità da covid, anche l’Ema approva la Cura Ascierto: “In Italia ci siamo portati avanti”. Ciro Cuozzo su Il Riformista il 6 Dicembre 2021. L’Ema, l’agenzia europea del farmaco, ha approvato il Tocilizumab nella lotta al covid-19 perché in grado di ridurre del 13% il rischio di morte nel giro del primo mese. Il farmaco anti-artrite è stato utilizzato, su intuizione nel marzo 2020 dell’oncologo Paolo Ascierto, direttore dell’Unità di Oncologia Melanoma, Immunoterapia Oncologica e Terapie Innovative dell’Istituto ‘Pascale’ di Napoli, nella lotta alla pandemia così come già riconosciuto dall’Aifa, l’agenzia italiana del farmaco, e dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Adesso arriva il via libera anche dall’Ema. Grande soddisfazione per lo stesso Ascierto: “Questa è logica conseguenza, dopo aver visto i dati relativi ai differenti studi effettuati, che il tocilizumab è in grado di ridurre del 13% il rischio di morte ad un mese. E’ una cosa che ci fa molto piacere, devo dire che in Italia con la legge 648 grazie all’Aifa siamo arrivati prima ed è già disponibile sul mercato. Come detto non è un farmaco che purtroppo riesce a risolvere tutti i casi di polmonite complicata severa da covid-19 ma con la riduzione di morte del 13% è una qualcosina che ci aiuta in questo momento della pandemia”. “Noi del Pascale, fin dalla notte del 4 marzo del 2020, in cui in una nostra chat interna discutevamo il primo focus su quella idea, insieme a Paolo Ascierto e Franco Buonaguro, abbiamo provato ad offrire il nostro contributo. Quella notte resterà per sempre nella nostra mente e nei nostri cuori”. Così Attilio Bianchi, direttore generale del polo oncologico napoletano, parlava qualche tempo fa dei ‘primordi dello studio sul tocilizumab’, il farmaco anti-artrite che ha incassato oggi il ‘disco verde’ di Ema per il trattamento dei casi di Covid grave. Una scommessa vinta: dopo la raccomandazione dell’Organizzazione mondiale della sanità, adesso il Comitato per i medicinali a uso umano Chmp dell’ente regolatorio Ue raccomanda di estendere l’indicazione del farmaco (RoActemra, Roche) per includere il trattamento degli adulti con infezione da Sars-CoV-2 che stanno ricevendo un trattamento con corticosteroidi per via sistemica e che richiedono ossigeno supplementare o ventilazione meccanica. Paolo Ascierto racconta un anno di pandemia: "Ci siamo quasi ma bisogna stringere ancora i denti". Il medicinale – ricorda l’agenzia – è già approvato nell’Unione europea per la terapia di patologie infiammatorie come artrite reumatoide, artrite idiopatica giovanile sistemica, poliartrite idiopatica giovanile, arterite a cellule giganti e sindrome da rilascio di citochine (Crs). “Per giungere alle sue conclusioni, il Chmp ha valutato i dati di uno studio principale che ha coinvolto 4.116 adulti ricoverati affetti da Covid-19 grave che necessitavano di ossigeno o ventilazione meccanica extra e presentavano livelli elevati di proteina C-reattiva nel sangue (indicante infiammazione). Lo studio ha mostrato che il trattamento con RoActemra somministrato per infusione in aggiunta al trattamento standard riduce il rischio di morte rispetto al solo trattamento standard”, spiega l’Ema. Come spiega l’Oms nel suo sito il Tocilizumab e il Sarilumab sono due farmaci che bloccano il recettore dell’interleuchina-6, tocilizumab e sarilumab, due anticorpi monoclonali usati anche per l’artrite reumatoide. I due farmaci sono indicati per i malati in condizioni gravi e vanno presi insieme ai corticosteroidi. Questi anticorpi monoclonali agiscono bloccando l’eccessiva reazione immunitaria che spesso si sviluppa nei malati di Covid. La decisione è arrivata sulla base dell’analisi dei dati di oltre 10.000 pazienti coinvolti in 27 studi clinici, che hanno mostrato una riduzione delle morti del 13 per cento rispetto alle cure standard e del 28 per cento delle probabilità di essere sottoposti a ventilazione meccanica. Ciò significa che si hanno 15 morti in meno ogni 1000 pazienti e 23 pazienti in meno intubati. “Erano le due di notte e come talora accade stavamo chattando sul nostro gruppo di Whatsapp. Ci chiedevamo cosa potessimo fare per contribuire scientificamente nella lotta contro il Coronavirus. Ed è stato in quel momento che è venuto spontaneo dire che la parte finale dell’infezione Covid-19 è dovuta alla tempesta citochinica, come avviene anche in altre infezioni. Così ad Ascierto è venuto in mente il Tocilizumab che si usa per trattare le complicanze respiratorie che si sviluppano in corso di terapia in alcuni pazienti oncologici”. A raccontare quel momento che sta cambiando le sorti dell’emergenza è Franco Maria Buonaguro, Direttore della Struttura Complessa di Biologia Molecolare e Virologia Oncologica dell’Istituto Pascale. 1+ 1 = 3 – La forza di questa intuizione sta proprio nella multidisciplinarietà di tutto il gruppo del Pascale. “È una chat interna dove ci sono esponenti delle varie branche, dalla radiologia alla chirurgia, e a volte ci stuzzichiamo a vicenda su argomenti che saranno sviluppati il giorno successivo. L’interazione di competenze diverse permette di elaborare idee e concetti difficili da affrontare se uno rimane solo nella sua superspecializzazione”. Il medico virologo cita una storia della tradizione campana: “Già nel 1400 la Campania era famosa perché riusciva a risolvere problemi di matematica, come il triangolo di Tartaglia, perchè si lanciavano delle sfide pubbliche che venivano puntualmente vinte grazie all’interazione di competenze diverse”. Un modus operandi arrivato con successo fino ad oggi e che il Direttore Generale Attilio Bianchi ha fatto proprio definendolo “1+1=3”. “Vuol dire che la messa in comune di peculiarità diverse e complementari tra di loro possono dare dei risultati incredibili, come quello che stiamo ottenendo adesso con il Tocilizumab”.

Ciro Cuozzo. Giornalista professionista, nato a Napoli il 28 luglio 1987, ho iniziato a scrivere di sport prima di passare, dal 2015, a occuparmi principalmente di cronaca. Laureato in Scienze della Comunicazione al Suor Orsola Benincasa, ho frequentato la scuola di giornalismo e, nel frattempo, collaborato con diverse testate. Dopo le esperienze a Sky Sport e Mediaset, sono passato a Retenews24 e poi a VocediNapoli.it. Dall'ottobre del 2019 collaboro con la redazione del Riformista.

Quali farmaci funzionano contro il Covid? Gli anticorpi monoclonali e le cure in corsia. Silvia Turin l'8/7/2021 su Il Corriere della Sera. Se dobbiamo rassegnarci a convivere con il virus non abbiamo solo l’arma dei vaccini: sono sempre più numerosi i trattamenti efficaci che prevengono i ricoveri o aiutano a guarire quando si è costretti all’ospedalizzazione. Con i casi di coronavirus in risalita in tutta Europa, ma già milioni di persone vaccinate e una buona «tenuta» per quanto riguarda i ricoveri (che non salgono in maniera altrettanto decisa), si fa strada l’ipotesi di accettare una convivenza forzata con il virus. Per tornare alla vita di prima senza abbandonare la cautela, l’arma vincente è quella di vaccinare, ma non è la sola. Ci sono ormai alcuni farmaci molto efficaci che possono essere usati contro il rischio di ospedalizzazione e, in caso di ricovero, aiutano a guarire.

Quali protocolli esistono per le cure anti Covid? 

Più che di protocolli si parla di «raccomandazioni» da parte dell’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa) e del Ministero della Salute. L’ultimo aggiornamento dal parte del Ministero riguardo alle cure domiciliari risale ad aprile e contempla una serie di casistiche con l’elenco delle opzioni possibili. È di questi giorni, invece, l’uscita di un documento congiunto tra Società Italiana di Medicina Generale (SIMG) e Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali (SIMIT) che fa il punto sui farmaci esistenti. La vera svolta nella gestione domiciliare è rappresentata dagli anticorpi monoclonali contro la proteina Spike, che sono l’unico trattamento antivirale specifico ed efficace contro il SARS-CoV-2.

Quali farmaci vengono consigliati per una malattia di lieve entità? 

«L’unico intervento sono le terapie contro i sintomi, quindi paracetamolo per la febbre e FANS per i dolori muscolo-scheletrici — spiega Gianluca Trifirò, Professore Ordinario di Farmacologia dell’Università di Verona —, oltre al monitoraggio della saturazione. I monoclonali possono essere considerati nelle prime fasi di infezione sintomatica per pazienti fragili o ad alto rischio (diabetici, cardiopatici, persone molto anziane) nella gestione domiciliare: è il medico di famiglia che deve identificare infatti il soggetto da trattare e inviarlo tempestivamente alle strutture di riferimento. Questi farmaci sono somministrati per infusione in ambulatori dedicati».

Quando vengono usati e quali benefici portano i monoclonali? 

«Sono gli unici farmaci che abbiano dimostrato un’azione antivirale, utile soprattutto nelle primissime fasi, entro i primi 3-4 giorni dall’eventuale insorgenza della sintomatologia clinica lieve/moderata — chiarisce l’esperto —. In termini di riduzione della viremia sono tutti efficaci, soprattutto rispetto a molti altri farmaci già in commercio testati come antivirali contro il SARS-COV2 che nel tempo si sono rivelati inutili, se non addirittura dannosi. Sono anticorpi che vanno a legarsi alla proteina Spike e impediscono l’ingresso nelle cellule e, quindi, la replicazione del virus. Ad oggi risultano sicuri, molto efficaci e richiedono una sola infusione». Secondo i primi studi, i monoclonali in uso sarebbero efficaci anche contro la variante Delta.

Sono autorizzati in Italia? 

Hanno un’autorizzazione di emergenza e, in maniera simile ai vaccini che hanno ricevuto approvazione condizionale, è contemplata una rivalutazione del loro profilo rischi-benefici sulla base di nuovi dati generati dopo la loro commercializzazione. In Italia sono oltre 6.100, dal 10 marzo a fine giugno, i pazienti Covid che li hanno ricevuti. La maggior parte di questi è stata trattata con la combinazione di bamlanivimab e etesevimab di Eli Lilly, poi c’è la combinazione casirivimab e imdevimab di Regeneron-Roche. Il 17 giugno è stato aggiunto nell’elenco dei farmaci rimborsabili dal Servizio Sanitario anche se non autorizzati il tocilizumab (per il trattamento di soggetti adulti ospedalizzati con Covid grave e/o con livelli elevati degli indici di infiammazione sistemica, in condizioni cliniche in rapido peggioramento). Tale anticorpo monoclonale, già autorizzato per il trattamento dell’artrite reumatoide, è stato appena inserito anche dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) nelle linee guida dei trattamenti anti Covid.

Su casi seri e gravi in ospedale che cosa viene utilizzato? 

«Soprattutto in quei pazienti che vanno a desaturare, si è visto che ha una grandissima efficacia il cortisone, in particolare il desametasone, che ha mostrato dei risultati eccezionali in termini di riduzione della mortalità. Si associa spesso l’eparina, ma come terapia profilattica, in pazienti che hanno polmoniti e sono immobilizzati. Altri farmaci con un’azione antinfiammatoria e immunosoppressiva si sono rivelati utili, come il tocilizumab, ma è da riservare solo a una certa categoria di pazienti ed in aggiunta al cortisone», chiarisce Trifirò.

Rispetto alla prima tragica ondata quante persone riusciamo a salvare in ospedale? 

«Con il cortisone in terapia intensiva abbiamo veramente la possibilità di dimezzare quasi il rischio di mortalità rispetto ai primi periodi — dice lo specialista —. L’importante è anche prevenire l’accesso in ospedale dei pazienti fragili, a più alto rischio di mortalità, e per questo gli anticorpi monoclonali sono molto utili».

I vaccinati devono essere curati allo stesso modo? 

«In linea di principio sì», dichiara Trifirò. «I pazienti vaccinati non vanno incontro a Covid grave, se non in casi estremamente limitati e solitamente si tratta di persone fragili».

In autunno sono in arrivo altri farmaci che potrebbero aiutarci? 

Entro la fine dell’anno potremmo avere a disposizione quattro (se non di più) anticorpi monoclonali anti-proteina Spike, quali la combinazione di bamlanivimab ed etesevimab di Eli Lilly e la combinazione di casirivimab e imdevimab di Regeneron-Roche, già autorizzati in Europa per uso emergenziale, e regdanivimab di Celltrion e sotrovimab di GlaxoSmithKline-Vir Biotechnology, in fase di revisione da parte di EMA; inoltre ci sono molte aspettative su immunosoppressori già in commercio per il trattamento dell’artrite reumatoide, quali baricitinib e tofacitinib.

Da "La Stampa" il 10 agosto 2021. Di pari passo all'aumento dei contagi, continua la crescita delle prescrizioni di anticorpi monoclonali a pazienti Covid, arrivate a 268 in 7 giorni, con un aumento del 48% rispetto alla settimana precedente, che porta a 6.835 il totale dei pazienti inseriti nei registri di monitoraggio dell'Agenzia italiana del farmaco. Proprio dall'Aifa è arrivata pochi giorni fa la decisione di estendere l'utilizzo di una specifica combinazione di anticorpi (casirivimab/imdevimab) anche a pazienti «adulti ospedalizzati per Covid-19, anche in ossigenoterapia convenzionale». Grazie all'aumento di persone anziane e fragili vaccinate, le dosi settimanali di monoclonali prescritte sono calate in modo netto da aprile. Tuttavia, sono in risalita costante da inizio luglio, fino alle 268 prescritte dal 30 luglio al 5 agosto, con un aumento del +48% rispetto alle 181 della settimana precedente. Sono 195, e distribuite in tutte le regioni, le strutture sanitarie che hanno prescritto monoclonali: dall'inizio del monitoraggio, ad averne dispensati di più sono Lazio (976 dosi), Veneto (895), Toscana (851). Stabile il rapporto delle prescrizioni settimanali rispetto nuove diagnosi Covid: sono andate allo 0,6% dei 40.314 nuovi casi registrati. L'uso dei monoclonali è stato autorizzato in soggetti over 12 anni, con infezione di recente insorgenza (massimo 10 giorni) e presenza di almeno un fattore di rischio, ma fino alla svolta dell'Aifa era stato limitato a pazienti non ospedalizzati per Covid e non in ossigenoterapia.

Ecco la super-proteina che ferma il Covid. Alessandro Ferro il 6 Giugno 2021 su il Giornale. Notch4 rappresenta un possibile bersaglio terapeutico per contrastare l’infiammazione polmonare provocata non solo dal Covid-19, ma anche da tutti i virus in grado di attaccare questo tessuto. Più passa il tempo e più il Covid viene messo alle strette: eliminando una proteina presente in alcune cellule immunitarie dei polmoni chiamata Notch4, si può prevenire l’aggravamento dei sintomi nei pazienti affetti da Sars-Cov-2.

Cosa dice lo studio. I risultati arrivano da uno studio internazionale da poco pubblicato sulla rivista Immunity e coordinato dal prof. Raffaele De Palma, immunologo dell’Ospedale Policlinico San Martino, dell’Università degli Studi di Genova e del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) di Pozzuoli, e dal prof. Talal Chatila dell’Università di Harvard. Una caratteristica fondamentale del Covid-19 è l'infiammazione polmonare e l'insufficienza respiratoria ed "abbiamo scoperto che l'aumento dell'espressione di Notch4 sulle cellule T regolatorie circolanti (Treg) era associato alla gravità della malattia, alla mortalità prevista e diminuiva al momento del recupero. L'eliminazione di Notch4 nelle cellule Treg o la terapia con anticorpi anti-Notch4 in topi convenzionali e umanizzati ha normalizzato l'immunità innata disregolata e salvato morbilità e mortalità della malattia", scrivono i ricercatori. Bloccando questa proteina, tra l'altro, si bloccherebbe anche il virus influenzale H1N1.

Cos'è la proteina Notch4. Insomma, Notch4 rappresenterebbe a questo punto un possibile bersaglio terapeutico per contrastare l’infiammazione polmonare provocata non solo dal Covid-19, ma anche da tutti i virus in grado di attaccare questo tessuto. Ma di cosa si tratta esattamente? "È un punto di attacco dell'infiammazione ed è implicato non soltanto nelle infezioni ma anche nei tumori, è la proteina che viene espressa sulle cellule del sistema immunitario, in particolare le cellule T, che sono correlate con diverse attività di tipo immunitario ma anche di gestione della riparazione cellulare", ha affermato in esclusiva per ilgiornale.it Francesco Blasi, Professore ordinario di Malattie respiratorie dell'Università di Milano e Direttore Uo pneumologia Irccs fondazione Cà Granda del Policlinico di Milano. Blasi ci ha spiegato che il lavoro dei colleghi italiani è andato a vedere l'effetto sulle cellule Treg, quelle cioé che mediano la riparazione tessutale. "Il dato di questo lavoro è legato sia all'infezione da Sars-Cov-2 che all'influenza, i due virus più importanti. Questa proteina è attivata dal virus e induce infiammazione perché inibisce l'attività di queste cellule che cercano di mediare la risposta infiammatoria".

Perché fermarla e come. Notch4 è quindi una proteina che va ad inibire l'attività delle cellule che moderano l'infiammazione creando i problemi che ormai ben conosciamo. "Per quello che sappiamo, uno studio genetico ha individuato due target fondamentali per l'infezione da Coronavirus ed uno è proprio quello sulla parte infiammatoria, in particolare sulla temochine, modulatori infiammatori e l'altro è sul gruppo sanguigno - aggiunge il Prof. Blasi - Una cosa importante è che sia a livello genetico che in questo caso esiste una condizione comune a Covid ed influenza, i virus sembrano agire attraverso meccanismi comuni. Il dato è interessante perché individua un potenziale target terapeutico che è l'inibizione dell'espressione di Notch4". In pratica, diverse interleuchine (proteine del sistema immunitario) pro-infiammatorie, che sono questi mediatori che usano le cellule, sono dei target per le terapie anti-Covid come nel caso dell'interleuchina 6 che coinvolge anche i neutrofili, una tipologia di globuli bianchi. "Abbiamo utilizzato farmaci che la inibivano come il tocilizumab perché l'interleuchina 6 agisce attraverso il Notch4 e l'espressione cellulare dipende dalla stimolazione di questa interleuchina: se io la inibisco, inibisco l'espressione di Notch4. Però, se si può agire direttamente sul Notch4 è meglio", aggiunge lo pneumologo.

Possibili approcci terapeutici. Anche se siamo ancora lontani dalla realizzazione di una cura ad hoc, quali scenari apre la scoperta su Notch4? "È tutto da vedere, sappiamo soltanto che possiamo costruire degli anticorpi monoclonali che vanno a bloccare l'attività infiammatoria. Per l'interleuchina 6 abbiamo usato dei farmaci che la bloccano o che bloccano il suo recettore, quindi possono agire su diversi punti. Dopodiché, non sappiamo cosa ne verrà fuori e quale tipo di terapia". Come ormai sappiamo, il Covid-19 è l'espressione di una malattia soprattutto polmonare ma quando si scatena l'infiammazione diventa anche sistemica perché coinvolge il cuore, il cervello, la cute ecc.: per questo motivo, l'approccio terapeutico dipende da quando si inizia a trattare il paziente. Gli attuali anticorpi monoclonali agiscono sulla proteina Spike espressa dal virus tant'è che si vanno utilizzati nelle fasi precoci post-infezione nei pazienti a rischio di sviluppare forme gravi della malattia. Il problema è l'infiammazione che segue: o si va sul virus andando sulla fase precoce o sull'infiammazione, che è l'espressione della malattia. "Se si va a bloccare il virus appena entra nel sistema respiratorio si potrebbe usare uno spay, per esempio; se invece si tratta di un'attività sistemica presa tardivamente, allora bisogna usare gli anticorpi monoclonali per via endovenosa così da raggiungere tutto l'organismo. Quello che sarà il futuro non lo sappiamo, dobbiamo vedere se si riesce intanto a costruire questo tipo di farmaco", ci dice il Prof. Blasi. La scienza va per step, bisogna individuare il target: una volta individutato, è plausibile agire con dei farmaci che possono stimolare o inibire a seconda di quello che si vuole ottenere. "L'interesse sul Notch4 non è soltanto per le infezioni virali ma sappiamo che è implicato anche in forme tumorali, come ad esempio quello della mammella o alcuni cutanei. È un target potenziale per diversi approcci".

"Ci siamo dimenticati dell'influenza..." In questo studio, come anticipato all'inizio, si prendono in esame anche i miglioramenti che riguardano il virus dell'influenza: forse molti non ricordano che non sempre è banale. "L'influenza è gravata dalla complicanza della polmonite: con il Covid ci siamo dimenticati che l'influenza ha una sua mortalità importante specialmente in soggetti oltre i 70 anni con ricoveri ospedalieri e terapie intensive. Dipende poi se ci troviamo di fronte ad un'influenza stagionale oppure ad una pandemia influenzale: quando cambia il virus si possono avere epidemie in cui il virus non è conosciuto dalla popolazione", ci spiega il Prof. Blasi. Nell'ultimo caso, il numero di pazienti che finiscono in terapia intensiva aumenta: il virus H1N1 negli scorsi anni ha causato epidemie che hanno provocato un aumento di accessi in ospedale per polmonite virale che spesso si complica diventando polmonite batterica. "Anche il Sars-Cov-2, quando si finisce in intensiva, spesso si complica con un'infezione batterica perché i virus fanno così, è questo il loro mestiere. Diverse infezioni gravi virali hanno la complicanza dei batteri così come accade per l'influenza. Negli ultimi 10 anni, il rischio di avere una pandemia come per il Covid l'abbiamo scampato un paio di volte", sottolinea l'esperto. Il vantaggio, in questo caso, è avere un vaccino che viene modificato ogni anno con la popolazione che presenta un livello di memoria immunologica che in parte protegge e normalmente protegge da un'eventuale esplosione. "Ma se dovesse arrivare un ceppo completamente nuovo ci troveremmo, probabilmente e potenzialmente, ad una situazione simile a quella che abbiamo avuto con il Coronavirus. Il vantaggio è che il Covid ha portato, dal punto di vista scientifico, ad un salto epocale sui vaccini, noi abbiamo avuto i vaccini in 8 mesi". In realtà, l'esperto conferma quanto noi già abbiamo scritto e ripetuto più volte, cioé che le piattaforme ad mRna erano già da tempo in preparazione sia per l'influenza che per i tumori, il sistema utilizzato era quasi pronto ed ha consentito questo salto di velocità che c'è stato. "I vaccini ad Rna sostituiranno, prima o dopo, quelli basati sugli adenovirus perché sono molto più efficienti ed hanno una rapidità nel seguire l'evoluzione del virus che altri non hanno". Non a caso, infatti, l'Ue ha acquistato oltre 180 miliardi di vaccini Pfizer per i prossimi due anni, più che sufficienti a coprire l'intera popolazione con il famoso "richiamo" o terza dose che dir si voglia (746,4 milioni è la popolazione aggiornata al 2018).

Alessandro Ferro. Catanese classe '82, vivo tra Catania e Roma dove esercito la mia professione di giornalista dal 2012. Tifoso del Milan dalla nascita, la mia più grande passione è la meteorologia. Rimarranno indimenticabili gli anni in cui fui autore televisivo dell’unico canale italiano mai dedicato, Skymeteo24. Scrivo per ilGiornale.it dal mese di novembre del 2019 occupandomi soprattutto di cronaca, economia e numerosi approfondimenti riguardanti il Covid (purtroppo). Amo fare sport, organizzare eventi e stare in compagnia delle persone più care. Avviso ai naviganti: l’arancino è sempre maschio, diffidate da chi sostiene il contrario.

Coronavirus, non solo vaccini: ecco quanti e quali sono i farmaci che possono curarlo. Libero Quotidiano il 03 giugno 2021. Non solo i vaccini contro il Covid: gli scienziati stanno lavorando anche a dei farmaci per curarlo. In particolare i ricercatori dello Scripps Research Institute americano hanno individuato "90 farmaci esistenti o candidati farmaci" con azione antivirale contro il coronavirus pandemico. Si parla del più completo studio mai condotto sul fronte del “riposizionamento” farmacologico, che consiste nell'identificazione di composti già utilizzati o allo studio contro altre malattie, che potrebbero tornare utili anche contro il coronavirus. Di questi, come spiegato su Nature Communications e riportato dall’Adnkronos, "13 hanno il potenziale per essere riproposti come terapie anti-Covid". E fra questi ultimi, "4 sono medicinali già approvati per altre indicazioni; mentre 9 sono composti in altre fasi di sviluppo, con forte potenziale per essere riproposti come farmaci orali" contro il Covid-19. “Anche se disponiamo di vaccini efficaci contro il virus, ci mancano ancora farmaci antivirali altamente efficaci che possano prevenire l'infezione o impedirne il peggioramento – ha spiegato Peter Schultz, presidente e Ceo dello Scripps Research Istitute -. I nostri risultati aumentano le strade percorribili per riutilizzare farmaci orali esistenti con efficacia contro Sars-CoV-2. E' fondamentale procedere con il massimo rigore per determinare ciò che è sicuro ed efficace". Una precisazione, poi, è stata fatta da uno dei ricercatori che hanno collaborato allo studio, Thomas Rogers: "Alcune delle strategie antivirali che si sono dimostrate più valide sono 'cocktail' di diversi farmaci come quelli usati contro le infezioni da Hiv". 

La luce del sole spegne il Covid? Allora usciamo da casa. Maurizio Costanzo su Libero Quotidiano il 15 aprile 2021. Leggo e riferisco senza prendere posizione, che la luce solare renderebbe inattivo il Coronavirus. Ve lo dico semplicemente, ma gli scienziati lo hanno affermato con maggior competenza, ovviamente. D’altra parte, si è sempre detto che all’aperto era più difficile rimanere contagiati. Allora mi chiedo per quale motivo, se tutto ciò è vero, ci hanno costretto e ci costringono a stare in casa il più possibile. Certo, vanno evitati gli assembramenti. Evitiamoli ma adesso che è la bella stagione, torniamo a stare un po’ all’aperto.

Virginia Piccolillo per il “Corriere della Sera” il 16 aprile 2021. Ha già subito un lungo e complicato intervento e ne dovrà subire ancora. Resta in pericolo di vita in un reparto di terapia intensiva del Policlinico Gemelli di Roma Giovanna Boda, la dirigente del Miur nota per le sue iniziative di sensibilizzazione dei ragazzi sulla legalità, che mercoledì scorso ha tentato il suicidio dopo essere finita in un' inchiesta per tangenti al ministero dell' Istruzione. Mentre attendeva di parlare con il suo avvocato ha aperto la finestra e si è buttata dal secondo piano. «Questo è il momento del doveroso e rispettoso silenzio», dicono dalla Procura di Roma, dove restano convinti della solidità dell' impianto dell'indagine. La capo Dipartimento per le Risorse umane, finanziarie e strumentali del Miur, e dunque pubblico ufficiale, martedì scorso aveva subito una perquisizione nel corso della quale le era stato contestato il reato di concorso in corruzione nell'ipotesi di aver ricevuto «indebitamente e per l'esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri somme di denaro o utilità per sé o per terzi per 679.776,65 euro», da parte di Federico Bianchi di Castelbianco, quale legale rappresentante dell'Istituto di Ortofonologia e amministratore di fatto della Com.E, Comunicazione&Editoria, «società aggiudicatarie di vari affidamenti ciascuna per 39.950 euro da parte del Miur». Tra le accuse, anticipate da La Verità, la messa a disposizione da parte di Castelbianco di una carta di credito. L'editore respinge ogni accusa. Soprattutto quelle nei confronti della dirigente: «Quasi 700 mila euro. Se glieli avessi dati lo saprei. Invece non ne so niente. Mi sembra una grande cattiveria nei confronti di una persona che ha sempre voluto darsi da fare per gli altri. E mettersi a disposizione di chi ha bisogno». Bianchi, che loda la «gentilezza e la professionalità» dei finanzieri che lo hanno perquisito, dice di «non sapere nulla dell' esistenza di una carta di credito». E sulla contestazione di aver ricevuto appalti del Miur afferma: «Stiamo parlando di gare. Io lavoro da almeno vent' anni col Miur su bandi di gara. Ne avrò fatte almeno 600, da l' Aquila al Veneto, alla Sicilia. Non vedo come avrebbe potuto favorirmi». L' editore tiene a precisare che non teme l' inchiesta: «Aspetto le contestazioni. Non sono un delinquente. Mi difenderò. Ho massima fiducia della giustizia». Ma si accalora a sottolineare che le accuse alla dirigente «rese pubbliche e unite a una serie di dettagli che non c' entrano nulla e che devono averla sconvolta al punto di farla gettare nel vuoto» non gli tornano. «Ci conosciamo da vent'anni - continua Bianchi -. Io le voglio bene, come lei vuole bene a me, la stimo tantissimo, so come si prodiga per chi ha bisogno. E frasi del tipo: "Siamo la rete del bene", le dice sempre. E invece le ho viste riportate contro di lei, come se parlasse di chissà che lobby». E spiega: «È stato attaccato a questa inchiesta il fatto che suo marito è un magistrato, chi l' avrebbe o non l' avrebbe appoggiato per la nomina, che lei era nelle chat di Palamara, che conosce Maria Elena Boschi. Tutti pezzi da novanta, in confronto dei quali io non sono nessuno e mi sembra di essere stato solo un gancio per arrivare a questo. Ma Giovanna con Boschi, al Dipartimento delle Pari Opportunità ci lavorava. E con Palamara parlavano tutti. "Facciamo squadra", è la frase che ripeteva sempre. Per una persona delicata come lei il peso penso sia stato schiacciante».

Coronavirus, la pastiglia che cura il virus a basso costo: come agisce nei polmoni. Attilio Barbieri su Libero Quotidiano il 30 aprile 2021. Finalmente una buona notizia. È in arrivo la pastiglia che può curare il Covid. Il medicinale ha già superato la fase della sperimentazione in vitro e pure quella sugli animali, con risultati inattesi. Neutralizza gli effetti più letali del coronavirus a livello polmonare, senza effetti collaterali significativi. A produrre l'antivirale che per ora non ha ancora un nome è la casa farmaceutica americana Pfizer, primo produttore mondiale di vaccini anti Covid. La società di Manhattan ha pubblicato sul proprio sito internet i risultati preliminari della sperimentazione su una molecola antivirale denominata PF-07321332 e capace di attaccare direttamente il codice genetico del virus Sars-Cov 2. Di più: il principio attivo sarebbe capace di intercettare il virus nel tessuto polmonare e di neutralizzarlo. Nulla a che vedere con i costosi anticorpi monoclonali. Il medicinale appartiene alla categoria degli antivirali e può essere somministrato a domicilio, con la semplice prescrizione del medico di base, «per evitare che i pazienti siano ospedalizzati o finiscano in terapia intensiva», dice Mikael Dolsten, capo della ricerca mondiale della Pfizer. La pastiglia anti Covid potrebbe arrivare sul mercato entro la fine dell'anno. Tempi impensabili per lo sviluppo di nuovi preparati, ma possibili grazie all'accelerazioni impressa alla ricerca in corrispondenza con la pandemia. La sperimentazione su volontari umani sta partendo in queste ore e durerà in tutto 145 giorni, meno di cinque mesi, 28 dei quali dedicati alla verifica sui dosaggi che saranno crescenti proprio per verificare la tollerabilità del nuovo antivirale a dosi elevate. Più si riuscirà ad alzare l'asticella e più si potrà aumentare il dosaggio nei casi di Covid definiti "severi", anche se l'efficacia aumenta se si assume il farmaco ai primi sintomi. «Abbiamo progettato il preparato PF-07321332 come terapia orale che potrebbe essere prescritta al primo segno di infezione», spiega Dolsten nella relazione pubblicata dalla Pfizer. «Dato il modo in cui il Sars-Cov 2 sta mutando», aggiunge il capo della ricerca Pfizer, «sarà fondamentale avere accesso alle opzioni terapeutiche sia ora che in futuro». Insomma, qualora i vaccini dovessero mostrare delle falle nei confronti delle varianti più aggressive, un antivirale efficace può rappresentare un'arma decisiva per ridurre la mortalità fra i contagiati e tenere sotto controllo la curva delle ospedalizzazioni. Sul principio attivo c'è per ora il massimo riserbo, ma si sa che si legano a un enzima virale, chiamato proteasi, e riesce a impedire al virus di replicarsi nelle cellule ospiti, in particolare quelle del tessuto polmonare. Fra l'altro il nuovo medicinale ha dimostrato di essere efficace contro diversi coronavirus, non soltanto quello responsabile del Covid. Dunque può offrire un ombrello sufficientemente ampio da essere impiegato largamente. A indurre l'ottimismo nel team dei 230 ricercatori che hanno sviluppato la nuova molecola sono i risultati dei test condotti sugli animali: nonostante gli alti dosaggi provati non sono stati riscontrati effetti collaterali significativi. Secondo il protocollo depositato dalla Pfizer all'autorità di controllo americana, il PF-07321332 sarà somministrato ai volontari umani in combinazione con basse dosi di Ritonavir, un antivirale utilizzato nel trattamento del virus Hiv, per aumentare la quantità di PF-07321332 nel sangue dei pazienti. 

Il cloro delle piscine inattiva il coronavirus in 30 secondi. Lo studio. Monica Coviello il 16/4/2021 su Vanityfair.it. L’acqua delle piscine, addizionata di cloro, può inattivare il coronavirus in soli 30 secondi: lo rivela uno studio dell’Imperial College di Londra, commissionato da Swim England, l’ente governativo inglese per gli sport acquatici, dalla scuola di nuoto per neonati Water Babies e dalla Royal Life Saving Society UK. Il rischio di trasmissione, quindi, in piscina è davvero basso. La ricerca, condotta dalla virologa Wendy Barclay e dal ricercatore Jonathan Brown, ha esaminato gli effetti dell’acqua clorata sul virus, per valutare la quantità di tempo, le diverse concentrazioni di cloro e le condizioni necessarie per inattivare il virus. I risultati dimostrano che 1,5 milligrammi di cloro per litro, con un pH compreso tra 7 e 7,2 (come raccomandato dalle linee guida per gli impianti natatori), riducono l’infettività del virus di oltre 1000 volte entro 30 secondi. Ulteriori test hanno confermato che il cloro nell’acqua della piscina è più efficace con un pH inferiore. «Mescolando il virus con l’acqua della piscina che ci è stata fornita dal team Water Babies, abbiamo potuto dimostrare che il virus non sopravvive nell’acqua clorata», ha spiegato Wendy Barclay dell’Imperial College. «Questo, insieme all’enorme diluizione del virus che potrebbe entrare in una piscina attraverso una persona infetta, suggerisce che la possibilità di contrarre il Covid-19 dall’acqua clorata è trascurabile». E ancora: «Le piscine possono essere ambienti sicuri e protetti, se vengono prese misure appropriate». Ma quando riapriranno le piscine? In Italia il mese previsto per le riaperture è maggio, ma per palestre e piscine si dovrà ancora aspettare, e il via libera potrebbe essere dato nel corso dell’estate. Il Comitato tecnico scientifico ha già stabilito le regole per le riaperture in sicurezza: la densità di affollamento in vasca è calcolata con un indice di 7 mq di superficie di acqua a persona. I gestori dovranno privilegiare gli accessi con prenotazione e, dove è possibile, fornire una segnaletica per facilitare gli spostamenti, la gestione dei flussi e il rispetto delle regole. Il distanziamento dovrà essere di due metri.

Covid, scoperto il vermifugo che "uccide il virus in 48 ore": disponibile solo nella città del Vaticano e a San Marino. Carla Ferrante su Libero Quotidiano il 23 marzo 2021. Nei laboratori di tutto il mondo è una corsa contro il tempo per sconfiggere il Covid 19. I ricercatori sono al lavoro non solo per individuare quanti più vaccini utili, ma anche per trovare una cura che possa finalmente far uscire il mondo dall'incubo del SarsCov-2. Tra test e sperimentazioni, un "vecchio farmaco", l'ivermectina, potrebbe rappresentare, oggi, il medicamento in grado di uccidere in sole 48 ore il virus del Covid-19. L'ivermectina è un vermifugo, ad ampio spettro, utilizzato contro le infestazioni di alcuni parassiti, quali ad esempio i vermi della strongiloidosi, i pidocchi del capo e l'acaro della scabbia. Scoperto per la prima volta nel 1975, è solo grazie ad un gruppo di ricercatori guidati dalla molisana Eloise Mastrangelo e dal suo compagno Mario Milani che si scopre, oggi, il suo potere antivirale. I due scienziati, nel 2005, durante numerosi studi sulla proteina virale "bersaglio" e analizzando migliaia di sostanze biologiche che potessero bloccare il funzionamento della proteina virale, intuiscono che tra queste sostanze ce n'era una, l'ivermectina, in grado di inibire la replicazione dei virus a RNA come quelli dell'influenza, della Sars, dell'ebola e persino dell'epatite C. Nel 2009 i due ricercatori depositano il brevetto della scoperta e nel 2011 la scienziata molisana dell'Istituto di biofisica (Ibf) del Cnr di Milano riceve il prestigioso riconoscimento internazionale. Oggi la forte e pressante necessità di affrontare l'emergenza sanitaria ha spinto l'interesse delle comunità scientifiche a studiare nuovamente il potere antivirale dell'ivermectina quale inibitore della replicazione virale del virus del Covid. Sono 164 gli studi sull'ivermectina in tutto il mondo e tra questi non poteva mancare lo studio italiano condotto nei laboratori del Cnr dai due scienziati Milani e Mastrangelo, in collaborazione con il Centro Internazionale di Ingegneria e Biotecnologia di Trieste.

DOVE SI TROVA. Dagli studi e secondo le prove in vitro di laboratorio, l'ivermectina è in grado di ridurre del 99,9% la carica virale del virus nelle cellule infettate in soli due giorni di terapia. Ma non solo, in Argentina il suo uso come profilassi ha visto che 788 operatori sanitari, che assumevano 12 mg di ivermectina, una volta a settimana, non si sono ammalati di Covid. In Australia, in Spagna, in India, Nigeria, Turchia, Egitto Bangladesh Iraq e Iran stanno procedendo con studi approfonditi che hanno portato a conclusioni eccezionali. L'ivermectina funziona per davvero. Ma la ricercatrice del Cnr ci va cauta. Bisogna rispettare una serie di indici per gridare vittoria. Il rivoluzionario farmaco non è riconosciuto dall'Aifa come medicinale antivirale e per questo il suo utilizzo è impiegato come antiparassitario. Se in Francia o in Olanda il medicinale è vendibile con una semplice ricetta medica per uso umano al costo di circa 40 euro per il blister da 4 compresse da 3mg e circa 150 euro per quello da 10 compresse, in altri Paesi come in Brasile è addirittura un farmaco generico da banco. In Gran Bretagna è vietato in Italia, invece, come spiega la scienziata molisana «la vendita è consentita solo per uso veterinario con dosaggi che per il corpo umano sarebbero altamente tossici». In Italia è reperibile solo nella farmacia vaticana e in quella internazionale della Repubblica di San Marino, che però si è data una regola professionale di eticità: la vendita è consentita solo dietro la presentazione di ricetta specialistica, ma a scopo antiparassitario. Vietata la vendita per altri usi e quindi anche come terapia Anticovid. Però ci sono due presidi ospedalieri che utilizzano il farmaco off-label e sono l'Istituto Sacro Cuore Don Calabria a Negrar, nel Veronese e il Garibaldi di Catania. Nell'ospedale siciliano il direttore del reparto di malattie infettive, il professore Cacopardo lo sta testando, in seguito ad autorizzazioni sanitarie, dallo scorso dicembre, su alcuni pazienti. Il risultato è più che incoraggiante. I 13 pazienti trattati sono tutti guariti. A questo punto basterebbe seguire l'esempio dei monoclonali per avere un'arma in più contro il Covid con un "marchio di fabbrica" italiano. Perché aspettare ancora?

Covid, la dieta chetogenica può ridurre i rischi di complicanze. Lo studio è stato condotto dai ricercatori dell'IRCCS San Raffaele di Roma guidati da Massimiliano Caprio, responsabile dell'Unità di Endocrinologia cardiovascolare. Maria Girardi - Mar, 09/03/2021 - su Il Giornale.  Il Covid si combatte anche a tavola. È noto ormai da tempo che l'obesità e le sue relative comorbilità sono strettamente legate a una prognosi più grave dell'infezione. Il ruolo di una corretta consulenza nutrizionale, aspetto questo purtroppo poco considerato nell'affrontare l'emergenza, è stato scandagliato da una ricerca condotta da un team di studiosi guidati dal professore Massimiliano Caprio, responsabile dell'Unità di Endocrinologia cardiovascolare dell'IRRCS San Raffaele di Roma e pubblicata sulla rivista "Journal of Translational Medicine". In particolare, gli scienziati hanno preso in considerazione la dieta chetogenica e sono giunti alla conclusione che questa sia in grado di influenzare l'immunità innata e adattiva, determinando effetti benefici sull'infiammazione cronica di basso grado e prevenendo il rischio di una tempesta citochinica, uno degli eventi avversi dell'infezione da Covid. Con il termine "dieta chetogenica" si indica un regime alimentare che genera corpi chetonici, ovvero un residuo metabolico della produzione energetica. La dieta chetogenica, basata sulla riduzione dei carboidrati e sull'aumento di proteine e grassi, costringe l'organismo a produrre in maniera autonoma il glucosio e a utilizzare i grassi come fonte di energia. In presenza di carboidrati, infatti, tutte le cellule usano l'energia da questi fornita per svolgere le loro attività. Se questi vengono ridotti, invece, le cellule si avvalgono dei grassi, a differenza però di quelle nervose che non hanno la capacità di farlo. Di conseguenza si avvia un processo noto come "chetosi" che porta alla formazione di molecole chiamate corpi chetonici utilizzabili dal cervello. Generalmente la chetosi si raggiunge dopo un paio di giorni, con una quantità giornaliera di carboidrati di circa 20-50 grammi, anche se essa può variare da individuo a individuo. Lo scopo della dieta chetogenica è quello di ridurre in breve tempo la massa grassa, preservando quella magra e fornendo uno stato nutrizionale adeguato. Massimiliano Caprio e i suoi colleghi hanno, altresì, constatato che questo regime alimentare potrebbe rivelarsi protettivo durante l'infezione da Covid grazie agli effetti antinfiammatori e immunomodulanti dei corpi chetonici. Bisogna tenere a mente, però, che non è una dieta semplice da seguire. Infatti, basta assumere un minimo quantitativo di carboidrati in più per indurre l'organismo a bloccare la chetosi e a riutilizzare gli zuccheri come fonte energetica principale.

Ecco quali sono gli alimenti concessi: carne, pesce, uova; formaggi; ortaggi; grassi e oli da condimento.

Sono, invece, sconsigliati: cereali; patate; legumi; frutta; dolci; birra; bibite gassate.

Eparina, plasma, monoclonali: quali sono i farmaci contro Covid-19? Le terapie in uso e i limiti degli anticorpi creati in laboratorio. Nonostante gli sforzi non esiste ancora un farmaco specifico per vincere il coronavirus. Cristina Marrone su Il Corriere della Sera il 20 gennaio 2021. La lotta alla pandemia non è fatta solo dai vaccini, ma anche dai farmaci per trattare tutti i pazienti già infetti e gravemente malati. Ma se sui vaccini sono stati fatti passi da gigante, a oggi in Europa non esiste un farmaco specifico contro Covid-19 e se ne parlerà al 40° congresso della Società italiana di Farmacologia di marzo.

1 Che farmaco viene utilizzato per i pazienti gravi?

Sono trattati con glucocorticoidi come il desametasone, un corticosteroide molto potente utilizzato da anni. È un antinfiammatorio che non agisce direttamente contro il virus ma è indicato per quei pazienti che richiedono ossigeno supplementare, per bloccare la cosiddetta «tempesta di citochine», la risposta immunitaria così violenta che può portare alla morte.

2 Che fine ha fatto il Remdesivir?

A inizio pandemia questo antivirale era stato giudicato uno dei farmaci più promettenti perché si pensava che fosse in grado di inibire la replicazione del virus. I dati preliminari del trial Solidarity, che gode dell’appoggio dell’Oms, ne ha però messo in discussione l’efficacia clinica perché non sembra ridurre la mortalità e funzionare nei pazienti più gravi. Oggi è utilizzato esclusivamente in casi selezionati dopo un’accurata valutazione costi-benefici.

3 Per chi è indicata l’eparina?

Una delle conseguenze importanti di pazienti affetti da Covid-19 è l’alterazione della coagulazione quindi, in assenza di controindicazioni, è raccomandata l’eparina, farmaco anticoagulante per prevenire eventi trombo-embolici. Il basso dosaggio è raccomandato per pazienti allettati, anche a domicilio. Dosi più alte vanno somministrate solo in ospedale, valutando attentamente rischi e benefici.

4 Molta fiducia è stata posta anche nel plasma iperimmune, funziona?

Gli studi concordano sul fatto che il plasma iperimmune, proveniente da pazienti convalescenti, porta benefici quando l’infusione avviene entro pochissimi giorni dalla comparsa dei sintomi riducendo la probabilità di progressione della malattia verso gravi forme respiratorie. È però necessario che siano presenti nel siero anticorpi neutralizzanti, che in genere producono pazienti che hanno sviluppato una malattia grave. Difficilmente un asintomatico o paucisintomatico avrà nel suo plasma anticorpi neutralizzanti in grado di aiutare un altro malato.

5 Su cosa si sta puntando oggi?

L’attenzione è tutta per i farmaci monoclonali, prodotti in laboratorio, che agiscono attaccando il virus mentre è in circolo e sono indicati in una fase precoce della malattia. Nel novembre scorso la Food and Drug Administration negli Stati Uniti ha approvato l’uso in emergenza di due anticorpi monoclonali, uno prodotto da Regeneron (quello con cui è stato curato Donald Trump) e l’altro studiato da Eli Lilly. L’Ema non li ha ancora autorizzati perché ritiene che i benefici non siano così chiari.

6 Quali sono i problemi con i monoclonali?

Allo studio ci sono circa 200 farmaci monoclonali, ma almeno i due approvati negli Stati Uniti non sembrano efficaci su pazienti gravi. Per ottenere un beneficio devono essere somministrati entro 48-72 ore dalla manifestazione dei sintomi e la terapia va effettuata in ospedale per monitorare eventuali reazioni allergiche, causando ulteriore stress negli ospedali. Ma come si fa a decidere chi trattare con un farmaco tanto costoso? A oggi sappiamo che rischiano un aggravamento della malattia pazienti anziani e con malattie pregresse, ma non è sempre così dal momento che, seppur più raramente, hanno perso la vita per Covid-19 anche pazienti più giovani, in precedenza sani.

7 Che cosa manca per sconfiggere il Covid-19?

Non abbiamo un farmaco specifico per chi si ammala in modo grave. La speranza arriva dai monoclonali ma è da chiarire se tra quelli che oggi sono arrivati in fase 3 ce ne sia qualcuno che funzioni anche su pazienti gravi o se invece questa classe di farmaci può funzionare solo se utilizzata in fase precoce della malattia. Dal momento che il problema sembra essere l’abnorme risposta immunitaria sviluppata contro il virus il futuro della ricerca potrebbe concentrarsi sull’identificare un anticorpo monoclonale antinfiammatorio/immunosoppressivo. Ne esistono una quindicina utilizzati per trattare malattie autoimmuni, alcuni sono in sperimentazione contro il Covid.

(Ha collaborato Giuseppe Nocentini, professore di Farmacologia all’Università di Perugia, membro della Società italiana di farmacologia).

La clofazimina. L’ultima scoperta degli esperti: un nuovo farmaco contro il Covid? Federico Giuliani su Inside Over il 17 marzo 2021. Potrebbe presto far capolino una nuova arma da poter utilizzare contro il Sars-CoV-2. Non si tratta di un vaccino appena testato da una qualche casa farmaceutica, quanto piuttosto di un farmaco noto e conosciuto da decenni. Stiamo parlando della clofazimina, fin qui usata per curare la lebbra. Alcuni ricercatori di Hong Kong, Stati Uniti e Danimarca hanno scoperto una sua efficacia nel sopprimere il Covid-19. Il paper, intitolato Clofazimine broadly inhibits coronaviruses including SARS-CoV-2, e in attesa della peer review, è stato pubblicato sulla prestigiosa rivista Nature. Certo, la novità deve essere ancora approfondita nel dettaglio, ma la scoperta lascia ben sperare. Se non altro perché la clofazimina, come ha sottolineato il South China Morning Post, rappresenta un’opzione di trattamento alquanto accessibile e, in teoria, facilmente impiegabile nella lotta contro il coronavirus. Al momento, il farmaco si è rivelato attivo in provette e criceti. “Ma questo è solo il primo passo. È necessario uno studio clinico randomizzato di fase 2-3 per sapere se il farmaco può trovare posto nel trattamento del Covid-19”, ha spiegato Yuen Kwok-yung, uno dei ricercatori del team.

Che cos’è la clofazimina. La clofazimina è stata impiegata per la prima volta nel lontano 1969 per trattare la lebbra. Adesso gli scienziati hanno scoperto che potrebbe (il condizionale è d’obbligo) impedire al Sars-CoV-2 di penetrare nelle cellule dell’organismo colpito e, quindi, di interrompere la replicazione genetica dell’agente patogeno. Non è finita qui, perché la clofazimina potrebbe rivelarsi efficace anche contro altri tipi di coronavirus, tra cui la Mers, la sindrome respiratoria del Medio Oriente, e la sindrome respiratoria acuta grave.

Al momento, come detto, il farmaco ha mostrato interessanti effetti se applicato sui criceti siriani dorati. Quali? Ha soppresso la carica virale nei polmoni degli animaletti infettati da Covid, ed è poi riuscito a limitare i danni ai polmoni e prevenire la reazione immunitaria della tempesta citochinica. In generale, come spiega nel dettaglio l’Istituto clinico Humanitas, la clofazimina viene somministrata per trattenere la lebbra, comprese le sue forme più resistenti. Esercita un’azione battericida sul microbo che causa la suddetta malattia, unendosi al suo Dna. Ha, infine, proprietà antinfiammatorie e viene solitamente somministrata assieme ad altri farmaci.

Un mix che fa ben sperare. Gli stessi ricercatori hanno poi scoperto che la clofazimina potrebbe aiutare i pazienti gravemente malati e ospedalizzati a recuperare dal Covid, se unita al remdesivir. “Nel loro insieme, la sinergia antivirale tra remdesivir a basso dosaggio e clofazimina ha migliorato significativamente il controllo virale, con una riduzione della perdita di peso corporeo, una soppressione del titolo del virus polmonare e l’eliminazione del virus nasale, nonché una diminuzione dei dosaggi dei farmaci”, si legge nell’articolo su Nature. Dal momento che la clofazimina è biodisponibile per via orale, e che ha un costo di produzione relativamente basso, si candida ad essere un candidato interessante per il trattamento ambulatoriale e la terapia combinatoria a base di remdesivir per i pazienti Covid ospedalizzati. Soprattutto nei Paesi in via di sviluppo. “Presi insieme, i nostri dati forniscono la prova che la clofazimina può avere un ruolo nel controllo dell’attuale pandemia SARS-CoV-2 e, forse la cosa più importante, dei CoV emergenti del futuro”, hanno aggiunto gli esperti. Prima di cantare vittoria, però, saranno necessari ulteriori approfondimenti.

Due "vecchi" farmaci possibili cure contro Covid. Si tratta di ivermectina e colchicina, creati per altre patologie ma sperimentati con ottimi risultati su alcuni pazienti affetti da Covid-19. "Migliorati nell'arco di 48-72 ore". Alessandro Ferro, Giovedì 18/02/2021 su Il Giornale. Nulla di nuovo sotto il sole ma si moltiplicano gli studi che vedono protagonisti due farmaci, sarebbe più corretto dire molecole, già esistenti e che possono dire la loro nella lotta al Covid-19.

Ivermectina, ecco l'antiparassitario. In attesa che i monoclonali ed altri farmaci ad hoc contro il nuovo Coronavirus vengano messi a punto, in alcune situazioni ben specifiche ecco venire in soccorso l'ivermectina e la colchicina. Un documento dell'Aifa dello scorso luglio autorizzava uno studio di fase 2, randomizzato e controllato in doppio cieco per valutare la sicurezza e l'efficacia di ivermectina per il trattamento dell’infezione da Sars-Cov-2 in stadio iniziale. Lo studio multicentrico era stato promosso dall’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria, Negrar di Valpolicella, in provincia di Verona. Ma di cosa si tratta, innanzitutto? "L'ivermectina viene utilizzato prevalentemente come antiparassitario utilizzato per via orale in Italia in campo veterinario. C'è anche un suo utilizzo in clinica umana sotto forma di creme ed unguenti per trattare alcune patologie cutanee come scabbia o rosacea. È un farmaco molto vecchio che è stato introdotto in commercio nel 1981 ed agisce attraverso un meccanismo farmacologico molto specifico che va ad interferire con il sistema nervoso dei parassiti e ne determina, poi, la morte", dice in esclusiva per ilgiornale.it Annalisa Capuano, Prof. ordinario presso l'Università della Campania "Vanvitelli" e membro della Società Italiana di Farmacologia (SIF), che ha anticipato quanto verrà discusso al 40esimo Congresso della SIF dal 9 al 13 marzo.

Quando va somministrato. La farmacologa ci ha spiegato che, in un contesto emergenziale come quello attuale, la comunità scientifica cerca soluzioni sia per farmaci nuovi (vedi monoclonali, qui il nostro Focus) sia per altri già in utilizzo nella pratica clinica e che possono essere ricollocati per trattare la nuova malattia da Covid-19. "Per questo motivo, l'attenzione di alcuni ricercatori si è focalizzata su ivermectina, dimostrando come il farmaco possa avere anche attività antivirali contro il virus dell'influenza, dell'Hiv e del virus Zika, che viene trasmesso dalle zanzare tigre", afferma la Capuano. Alcuni ricercatori hanno pubblicato un lavoro dimostrando la capacità della molecola di inibire la replicazione virale di Sars-Cov-2. "Da lì sono partiti alcuni studi ed anche la nostra Agenzia Italiana del Farmaco ha deciso di autorizzare uno studio di fase 2 per valutare se, effettivamente, questa molecola fosse in grado di debellare l'infezione indotta dal nuovo Coronavirus".

Antiparassitario salva da Covid "Solo 12 centesimi per produrlo". "Va data tempestivamente". La tempistica è fondamentale: ivermectina possiede un'attività di riduzione della replicazione del virus e va data in una fase iniziale di patologia, quando comincia la replicazione virale ma prima che il virus abbia prodotto i danni che tutti abbiamo imparato a conoscere. "È fondamentale, quindi, che il farmaco vada somministrato all'inizio", aggiunge la farmacologa. Però, ad oggi, nonostante diversi studi dimostrino che il farmaco, effettivamente, può essere utile a "determinare una riduzione del tempo di eliminazione del virus in maniera anche significativa ed un tasso di recupero clinico superiore al 43%", questi risultati non bastano per dire che invermectina sia efficace contro Covid-19. "Sono necessari risultati più robusti che possono venir fuori soltanto dalla sperimentazione clinica, randomizzata e controllata che abbia la capacità di arruolare un numero significativo di persone per poi, eventualmente, autorizzare queste molecole per il Covid-19. Al momento sono delle ipotesi non ancora confermate dai risultati di grossi studi clinici", specifica la farmacologa, la quale sottolinea che è il medico a richiederne l'uso compassionevole per valutare se, in mancanza di alternative terapeutiche valide, su un paziente si possa somministrare questo farmaco. "Soltanto in questo modo può avvenire l'uso di invermectina negli ambienti ospedalieri al di fuori di un contesto sperimentale", ci dice.

"Pazienti migliorati". In effetti, questo farmaco è in sperimentazione all'Ospedale Garibaldi Nesima di Catania. "L'ivermectina l'abbiamo iniziata ad utilizzare in off label, metodologia di somministrazione per casi singoli nella quale viene richiesta la direzione sanitaria attraverso il consenso del paziente la possibilità di utilizzare il farmaco", dice in eslusiva per noi il Prof. Bruno Cacopardo, primario del reparto Malattie Infettive del nosocomio catanese. "Non è la panacea ma è un farmaco che ha una sua efficacia: assieme ad altri farmaci dello standard di cure per il Covid può essere estramemente utile - ci dice - In tutto sono stati trattati 7 pazienti con la metodica dell'off label, tutti con patologia severa in ossigeno terapia ad alti flussi, quindi impegnativi. In questi pazienti abbiamo affiancato l'ivermectina allo lo standard di cure, non è uno studio caso-controllo. I pazienti sono migliorati, nell'arco di 48-72 ore abbiamo assistito ad un recupero funzionale, è passata la febbre ed hanno dismesso l'ossigeno terapia", afferma Cacopardo. Il prof. ci spiega che, per uso umano, questo farmaco attualmente non è utilizzato in Italia ed è stato importato da altre nazioni dove si usa abitualmente. "Il fondamento sul quale ci siamo basati deriva da una serie di esperienze cliniche pubblicate nella letteratura internazionale, oltre un centinaio di lavori, di cui alcuni documentano l'attività antivirale ed antinfiammatoria di ivermectina mentre altri sono specifici sul Covid, argomento per il quale esiste anche una meta-analisi, cioè una revisione statistica dei dati di letteratura che documenta come inequivocabilmente, somministrata ai dosaggi adeguati, ivermectina sia efficace su Covid", aggiunge.

Ecco la colchicina. Ivermectina è in buona compagnia: contemporaneamente, anche la colchicina sta acquistando sempre più interesse agli occhi della comunità scientifica. Anche in questo caso, si tratta di un farmaco già in commercio da tempo, di cui l'Aifa stessa parla in un documento sui farmaci acquistati dalle Strutture Sanitarie nazionali ed utilizzati contro il Covid-19. Ma, in realtà, per cosa era stata creata? "La colchicina è un'altra molecola che utilizziamo da tempo in Italia per trattare gli attacchi acuti di gotta, patologia reumatica caratterizzata da fenomeni infiammatori acuti che portano dolore, arrossamento e gonfiore delle articolazioni. Agisce in un modo particolare sui microtubuli, strutture intracellulari, e attraverso questa azione determina un'attività antinfiammatoria", ci spiega la farmacologa Capuano. Potrebbe avere un utilizzo contro il Covid-19 data la natura prevalentemente infiammatoria dell’infezione a causa del rilascio delle famose citochine. "Potremmo contrastare questa infiammazione utilizzando la colchicina: alcuni studi pubblicati hanno dimostrato che potrebbe agire su un complesso di proteine che si chiamano inflammasomi e, attraverso questo blocco, potrebbero bloccare anche il rilascio di citochine", aggiunge. I primi studi. Nel luglio 2020 l'Aifa ha approvato uno studio che ne valutava il suo utilizzo all'inizio della malattia per capire se i pazienti potessero avere un beneficio e non andare incontro a complicanze. "Il problema è che il trial clinico non ha portato a risultati significativi perché non è riuscito ad arruolare un numero sufficiente di pazienti - afferma la Capuano - Abbiamo bisogno di ricevere ulteriori informazioni: non possiamo utilizzare la colchicina su tutto il territorio perché non c'è ancora un'indicazione contro Covid-19. Anche in questo caso, potrebbe essere utilizzata nell'ambito di sperimentazioni cliniche in corso oppure per l'uso compassionevole per gli stessi motivi che abbiamo descritto prima. Questa molecola potrebbe bloccare precocemente la risposta infiammatoria scatenata dal nuovo Coronavirus ed evitare le complicanze respiratorie, i danni d'organi e quant'altro".

Covid, tutte le terapie domiciliari: ecco come curarsi a casa. "Riduzione della mortalità". Anche in questo caso, il Prof. Cacopardo sta pensando di utilizzarla nei casi meno gravi. "Esiste uno studio canadese chiamato ColCorona, cioè colchicina-coronavirus, che documenta un'efficacia di riduzione della mortalità del 49% se utilizzata precocemente. È un farmaco da prendere in considerazione", ci dice, affermando anche che colchicina ed invermectina possono essere sinergici, "a mio avviso utilizzati insieme possono essere utili, si può valutare. A me risulta che l'Aifa li stia prendendo in considerazione anche se non sono stato informato. Si tratta di farmaci di basso costo e discreta efficacia, i monoclonali sono di alto costo e vanno utilizzati con grande precocità", aggiunge.

Cos'è meglio? Tra le due terapie, quale è la migliore? "Non possiamo dirlo perché non abbiamo risultati forti per dire se una sia meglio dell'altra. Oltretutto ci sono delle differenze: ivermectina agirebbe come antivirale, quindi bloccado la replicazione del virus; la colchicina, invece, è un antinfiammatorio, va ad agire contro un'altra componente della patologia", ci dice la Prof. Capuano. "Se arriveranno dei risultati, la prima sarà posizionata come antivirale e la colchicina come antinfiammatorio. Ad oggi, l'unico antivirale approvato contro Covid-19 è il remdesivir". La farmacologa, in conclusione, invita a non dare false speranze ai cittadini ed ai pazienti. "Bisogna essere sempre chiari: abbiamo la necessità di avere dati più robusti che possono venir fuori soltanto da sperimentazioni cliniche controllate e randomizzate, il migliore strumento metodologico per mettere in evidenza l'efficacia e la sicurezza di qualsiasi molecola, anche al di fuori del contesto Covid.

"Effetti collaterali banali". Chi sta testando sul campo, per uso compassionevole, i due farmaci è il Prof. Cacopardo, al quale abbiamo chiesto gli effetti collaterali dell'uno e l'altro. Le buone notizie, in questo caso, non mancano. "Ivermectina è assolutamente priva di effetti collaterali severi: può dare qualche piccola alterazione visiva ma modesta e reversibilissima, può dare dei disturbi gastroenterci banali. Colchicina viene utilizzata da molti anni per malattie infiammatorie autoimmuni, noi la utilizziamo nelle pericarditi idiopatiche o primitive in centinaia e migliaia di pazienti. L'unico effetto collaterale è la diarrea che si attenua utilizzandola a giorni alterni. Chi dice che hanno effetti collaterali non conoscono i farmaci", conclude il virologo catanese.

"Le nostre osservazioni erano giuste”. Cura Ascierto, l’Oms dà ragione al Pascale: “Il Tocilizumab riduce mortalità”. Redazione su Il Riformista il 10 Luglio 2021. Il Tocilizumab è insieme con il Sarilumab un farmaco indicato per i malati gravi colpiti da Covid e, quindi, dice l’Oms, va assolutamente raccomandato. Ma l’Oms, nelle sue ultime linee guida, non si ferma alle raccomandazioni: il farmaco anti artrite avrebbe ridotto del 13 per cento la mortalità dei pazienti affetti dal virus. A questa percentuale non si erano spinti, nelle più ottimistiche previsioni, nemmeno i ricercatori del Pascale un anno fa che quel farmaco furono i primi ad usarlo. Ma ora che a dare credito alla “cura Ascierto” è finanche l’Organizzazione mondiale della Sanità, il direttore generale dell’Istituto dei tumori di Napoli, Attilio Bianchi, ringrazia l’Oms per la fiducia accordata agli studi dell’Irccs partenopeo. “E’ una soddisfazione – dice il manager – per tutti noi constatare che nell’anno più drammatico della sanità mondiale, i nostri ricercatori abbiano contribuito a dare una mano fattiva alla pandemia. Le ultime linee giuda dell’Oms confermano i nostri studi sul Tocilizumab, e siamo veramente felici di aver contribuito a salvare tante vite umane, che poi è la mission del nostro Istituto”. Ringrazia per la fiducia accordata anche Paolo Ascierto, l’oncologo del melanoma prestato al Covid. E’ sua l’intuizione un anno fa di somministrare il farmaco anti artrite a dei pazienti gravissimi colpiti dal Covid e miracolosamente guariti dopo due somministrazioni. “Il Covid 19 – dice Paolo Ascierto – è una malattia grave e questa ricerca dimostra che esistono delle soluzioni terapeutiche di supporto al trattamento dei pazienti che ne sono affetti, inibendone la progressione o addirittura riducendone il rischio di morte. Per noi degli ospedali Pascale e Cotugno di Napoli, la somministrazione del Toci non sarebbe stata possibile senza il contributo del collega Vincenzo Montesarchio, questo è un risultato molto importante che testimonia che le nostre osservazioni erano giuste”. Come spiega l’Oms nel suo sito il Tocilizumab e il Sarilumab sono due farmaci che bloccano il recettore dell’interleuchina-6, tocilizumab e sarilumab, due anticorpi monoclonali usati anche per l’artrite reumatoide. I due farmaci sono indicati per i malati in condizioni gravi e vanno presi insieme ai corticosteroidi. Questi anticorpi monoclonali agiscono bloccando l’eccessiva reazione immunitaria che spesso si sviluppa nei malati di Covid. La decisione è arrivata sulla base dell’analisi dei dati di oltre 10.000 pazienti coinvolti in 27 studi clinici, che hanno mostrato una riduzione delle morti del 13 per cento rispetto alle cure standard e del 28 per cento delle probabilità di essere sottoposti a ventilazione meccanica. Ció significa che si hanno 15 morti in meno ogni 1000 pazienti e 23 pazienti in meno intubati.

Napoli. L’Aifa riconosce il tocilizumab farmaco anti-covid, Ascierto: “Sarà rimborsato”. Giovanni Pisano su Il Riformista il 16 Aprile 2021. Il tocilizumab sarà un farmaco rimborsato dal sistema sanitario nazionale. Il farmaco anti-artrite utilizzato, su intuizione dell’oncologo Paolo Ascierto, direttore Unità di Oncologia Melanoma, Immunoterapia Oncologica e Terapie Innovative dell’Istituto ‘Pascale’ di Napoli, sta avendo un ruolo nella lotta al covid-19, così come dimostrato da diversi studi anche all’esterno.

“Abbiamo saputo da pochissimo che il tocilizumab ha ricevuto l’autorizzazione di AIFA alla rimborsabilità per il trattamento dei sintomi della polmonite da covid-19” commenta Ascierto. “Questo significa che la Commissione Tecnico Scientifica ha ritenuto idonei i dati disponibili sull’esito del trattamento con il farmaco per l’artrite reumatoide sui pazienti gravi affetti da coronavirus e si è detta favorevole a inserirlo nell’elenco dei farmaci rimborsati dal Sistema Sanitario Nazionale, regolato dalla legge n. 648, affinché i pazienti trattati non debbano affrontarne il costo”. “Questa  – conclude – è per noi un’enorme soddisfazione e ci rende fieri di aver perseverato, continuando a sostenere il nostro parere derivante dall’osservazione scientifica: per il paziente giusto al momento giusto“.

Giovanni Pisano. Napoletano doc (ma con origini australiane e sannnite), sono un aspirante giornalista: mi occupo principalmente di cronaca, sport e salute.

Il tociluzumab sperimentato su 4mila volontari. Covid, la cura Ascierto efficace nel Regno Unito: “Evita ai pazienti di andare in terapia intensiva”. Elisabetta Panico su Il Riformista il 12 Febbraio 2021. Il tocilizumab stai aiutando i pazienti affetti da covid a non andare in terapia intensiva. E’ quanto annuncia Paolo Ascierto, direttore dell’Unità di Oncologia melanoma, immunoterapia oncologica e terapie innovative dell’Istituto tumori Irccs Fondazione Pascale di Napoli. “Alcuni ospedali in Gran Bretagna stanno trattando i pazienti affetti da covid-19 con il tocilizumab visto che, in molti casi, il farmaco sembra scongiurare il loro trasferimento in terapia intensiva. I ricercatori che stanno portando avanti lo studio clinico, con oltre 4mila pazienti trattati, sostengono che la metà di quelli affetti da Covid e ricoverati in ospedale abbiano ricevuto effetti positivi dal tocilizumab se combinato con la terapia al cortisone. Nei pazienti di questo gruppo, rispetto a quelli che non hanno ricevuto la stessa combinazione di farmaci, il tocilizumab ha ridotto la mortalità oltre che la possibilità di utilizzo di ventilatori per la respirazione. Dopo questi risultati, che hanno dimostrato l’impatto sostanziale di questa terapia, il Regno Unito sta lavorando per permettere a tutti i pazienti del Sistema Sanitario Britannico di accedervi, se necessario”. “Abbiamo sempre sostenuto l’utilità di questo trattamento e siamo molto dispiaciuti che, in Italia, ci sia stato tanto scetticismo in proposito. Sappiamo che non funziona per tutti i pazienti, ma può ancora salvare molte vite. Il tocilizumab nel paziente intubato funziona poco, lo abbiamo visto. Il paziente ideale è quello che va in terapia sub-intensiva che in quel momento inizia ad avere dei valori elevati di interleuchina-6 e dei parametri infiammatori e va trattato: e se trattato in quel momento ha un beneficio immediato, in 24-48 ore”. Il tocilizumab, farmaco normalmente usato per trattare l’artrite, potrebbe salvare molte persone che hanno contratto il Covid-19. Secondo i ricercatori ospedalieri, la metà delle persone ricoverate in ospedale a causa del coronavirus potrebbe beneficiare del trattamento. La cura anche se non economica, costa circa 500 sterline per paziente, ha il vantaggio di essere somministrata immediatamente. Il costo è sicuramente inferiore al prezzo giornaliero di un letto di terapia intensiva di circa 2.000 sterline. Alcuni ospedali in Gran Bretagna stanno trattando i pazienti affetti da covid-19 con il tocilizumab visto che, in molti casi, il farmaco sembra scongiurare il trasferimento dei pazienti in terapia intensiva. Inoltre, una ricerca basata su gruppi diversi di pazienti, uno ha ricevuto il farmaco e l’altro no, ha dimostrato che il tocilizumab ha ridotto la mortalità oltre che la possibilità di utilizzo di ventilatori per la respirazione. Dopo questi risultati, che hanno dimostrato l’impatto sostanziale di questa terapia, il Regno Unito sta lavorando per permettere a tutti i pazienti del Sistema Sanitario Britannico di accedervi, se necessario. La sperimentazione è stata effettuata con più di 4.000 volontari, i quali dopo essere guariti, dicono che i risultati sono “straordinari”. I ricercatori che stanno portando avanti lo studio clinico, con oltre 4.000 volontari, sostengono che la metà dei pazienti affetti da COVID e ricoverati in ospedale, abbiano ricevuto effetti positivi dal tocilizumab, se combinato con la terapia al cortisone. Wendy Coleman, una delle volontarie 62enne, ha ricevuto il trattamento lo scorso anno quando è stata ricoverata al Chesterfield Royal Hospital in gravi condizioni. Wendy in un’intervista rilasciata alla BBC dice: “Stavo lottando poiché respiravo abbastanza male ed ero sul punto di essere ricoverata in un’unità di terapia intensiva. Dopo che mi è stato somministrato tocilizumab, le mie condizioni si sono stabilizzate e non sono peggiorata. Fino ad allora, ero abbastanza spaventata perché non sapevo se ce l’avrei fatta o no”. Il professore Martin Landray, ricercatore ed un medico esperto presso l’Università di Oxford, ha dichiarato: “Utilizzato in combinazione, l’impatto è sostanziale. Questa è una buona notizia per i pazienti e una buona notizia per i servizi sanitari che si prendono cura di loro nel Regno Unito e in tutto il mondo. “ La dottoressa Charlotte Summers, un medico di terapia intensiva presso l’Addenbrooke’s Hospital di Cambridge, ha dichiarato: “Questi risultati sono un enorme passo avanti. Questa terapia sembra che tenga le persone fuori dall’unità di terapia intensiva.

Giuseppe Scarpa per ilmessaggero.it il 9 febbraio 2021. Arriva da Israele e si chiama EXO-CD24 ed è il primo farmaco che, in fase sperimentale, sta dando risultati eccellenti contro il Covid-19. Testato su 30 pazienti positivi ha riportato un tasso di successo pari al 96 per cento. L'EXO-CD24 potrebbe persino passare alla storia come il primo vero farmaco contro il Coronavirus. L'Ichilov Medical Center di Tel Aviv ha completato gli studi della fase uno del progetto di ricerca su questo nuovo medicinale. Il farmaco ha aiutato numerosi pazienti di Covid, da moderati a gravi, a riprendersi rapidamente dalla malattia. Dei 30 a cui è stato somministrato 29 hanno mostrato un netto miglioramento nell'arco di 48 ore e sono stati dimessi dall'ospedale pochi giorni dopo. Anche l'ultimo paziente si è ripreso, ma la sua guarigione ha richiesto più tempo. L'ideatore del medicinale, è il professore Nadir Arber del Centro integrato di prevenzione del cancro dell'ospedale. Arber ha definito il farmaco EXO-CD24 come "efficace e poco costoso".

Come agisce il farmaco. Il medicinale combatte la tempesta di citochine, una reazione immunitaria potenzialmente letale all'infezione da coronavirus che si ritiene essere responsabile di gran parte dei decessi associati alla malattia. EXO-CD24 sarebbe in grado di arginare e sconfiggere la tanto temuta tempesta di citochine, sindrome infiammatoria sistemica potenzialmente letale in cui il sistema immunitario va fuori controllo e inizia ad attaccare le cellule sane, colpendo i polmoni nel 5-7% dei pazienti con Covid-19 e causando moltissime morti. EXO-CD24 Usa gli esosomi, minuscole particelle a forma di sacche che trasportano i materiali tra le cellule, per fornire una proteina chiamata CD24 ai polmoni.  "Questa proteina - ha spiegato alla stampa Shiran Shapira del laboratorio di Arber - si trova sulla superficie delle cellule e ha un ruolo noto e importante nella regolazione del sistema immunitario, aiutando a calmare il sistema e frenare la tempesta".  Il farmaco passerà ora a ulteriori fasi di sperimentazione, ma i medici parlano di un possibile punto di svolta nella lotta contro il Covid-19.

La somministrazione. "Il medicinale viene somministrato per inalazione, una volta al giorno, in una procedura che richiede solo pochi minuti. Si deve poi proseguire per cinque giorni", ha specificato Arber. Arber ha spiegato che il preparato raggiunge direttamente ai polmoni. In questo modo, a differenza di altri preparati, il cocktail israeliano viene somministrato localmente e non comporta effetti collaterali, anche perché non opera ad ampio spettro. Il direttore del centro di ricerca Ichilov, Roni Gamzu che è stato anche a capo del team governativo sul coronavirus, ha accolto la svolta come "eccellente", dicendo che avrebbe assistito personalmente il porfessore Arber per ottenere il via libera del Ministero della Salute per testare il farmaco su un pool più ampio di pazienti. "A Ichilov siamo tra i leader mondiali nella ricerca della cura per l'orribile epidemia", ha detto Gamzu.  "I risultati della sperimentazione di fase 1 - ha aggiunto Gamzu - sono eccellenti e ci danno fiducia". Tuttavia non è  ancora chiaro se il farmaco abbia la stessa efficacia contro i ceppi recenti e più virulenti del virus, compresi quelli di Gran Bretagna, Sud Africa e Brasile.

Da agi.it il 6 febbraio 2021. Israele sta sperimentando un farmaco contro il Covid che, alle prime risultanze si dichiara efficace oltre il 90%. Lo scrive la stampa israeliana. L'Ichilov Medical Center di Tel Aviv ha completato con successo gli studi della fase uno del progetto di ricerca su questo nuovo medicinale, che sta dando risposte molto incoraggianti. Il medicinale ha aiutato numerosi pazienti di Covid, da moderati a gravi, a riprendersi rapidamente dalla malattia. L'ospedale ha annunciato che la sostanza, EXO-CD24 del Prof. Nadir Arber, è stata somministrata a 30 pazienti le cui condizioni erano moderate o gravi, e tutti e 30 si sono ripresi, 29 dei quali entro 3-5 giorni. Il medicinale combatte la tempesta di citochine, una reazione immunitaria potenzialmente letale all'infezione da coronavirus che si ritiene sia responsabile di gran parte dei decessi associati alla malattia. Usa gli esosomi, minuscole particelle a forma di sacche che trasportano i materiali tra le cellule, per fornire una proteina chiamata CD24 ai polmoni. "Questa proteina - ha spiegato alla stampa Shiran Shapira del laboratorio di Arber - si trova sulla superficie delle cellule e ha un ruolo ben noto e importante nella regolazione del sistema immunitario, aiutando a calmare il sistema e frenare la tempesta". Arber ha spiegato che il preparato viene inalato una volta al giorno per pochi minuti, per cinque giorni, e raggiunge direttamente i polmoni. In questo modo, a differenza di altri preparati, il cocktail israeliano viene somministrato localmente e non comporta effetti collaterali, anche perché non opera ad ampio spettro. Il farmaco passerà ora a ulteriori fasi di sperimentazione, ma i medici parlano di un possibile punto di svolta nella lotta contro il Covid-19. Per il direttore del centro di ricerca Ichilov, Roni Gamzu che è stato anche a capo del team governativo sul coronavirus, la ricerca "è avanzata e sofisticata e potrebbe salvare i pazienti con coronavirus. I risultati della sperimentazione di fase 1 sono eccellenti e ci danno fiducia nel metodo che i ricercatori stanno studiando nel nostro laboratorio da molti anni".

Ecco il farmaco che si respira. La nuova arma contro il Covid. 29 de 30 pazienti trattati con questo nuovo farmaco sono guariti ed hanno lasciato l'ospedale nel giro di 3-5 giorni. "Questa ricerca ha un razionale solido e appare promettente". Alessandro Ferro, Giovedì 11/02/2021 su Il Giornale. Israele è forse il Paese che, più di tutti nel mondo, sta dando l'esempio di come si può sconfiggere il Covid-19 in tempi rapidi e veloci perché è quello che finora ha somministrato più vaccini in proporzione alla popolazione rendendolo un laboratorio a cielo aperto: l'83% degli ultrasessantenni è già stato vaccinato almeno con la prima dose con un picco del 93% tra i settantenni. Da questa settimana, poi, il vaccino è disponibile dai 35 anni in su oltre che agli adolescenti tra i 16 e i 18 anni. Ed è sempre Israele che è balzato agli onori delle cronache per un'altra ragione: è lì che si sta sperimentando un nuovo farmaco contro il Coronavirus che sarebbe efficace nel 96% dei casi trattati.

La nuova sperimentazione. Il nuovo trattamento, in fase di sviluppo presso l'ospedale Ichilov Medical Center di Tel Aviv, ha completato con successo gli studi di fase 1 aiutando pazienti moderati a gravi con Covid-19 a riprendersi rapidamente dalla malattia. I ricercatori affermano che questa nuova medicina modera la risposta immunitaria ed aiuta a prevenire la tempesta mortale di citochine: 29 dei 30 pazienti trattati in questa maniera hanno lasciato l'ospedale entro 3-5 giorni come riportato dal Times of Israel. Il numero è ancora piccolo ma senz'altro molto significativo: in pratica l'effetto "prodigioso" è stato osservato in quasi tutti i malati: tutti e 30 si sono ripresi e 29 di loro in modo molto rapido. ”È un enorme passo in avanti", affermano entusiasti dall'ospedale Ichilov.

Come funziona il farmaco. Il nome tecnico è EXO-CD24 ed il suo ideatore, il Prof. Nadir Arber, ha spiegato che il farmaco è "efficace e poco costoso": il ruolo principale è quello di combattere la famosa "tempesta di citochine" (di cui ci siamo appena occupati con questo Focus), una reazione immunitaria potenzialmente letale all'infezione da Coronavirus che si ritiene sia responsabile di gran parte dei decessi associati alla malattia. La cosa particolare è che si tratta anche di un farmaco inalatorio, viene cioè somministrato direttamente nel lume delle vie aeree, ottenendo un livello di concentrazioni consistenti e riducendone al minimo gli effetti collaterali. "Il farmaco si basa sugli esosomi (vescicole) che vengono rilasciati dalla membrana cellulare e utilizzati per la comunicazione intercellulare. Arricchiamo gli esosomi con proteine ​​24CD. Questa proteina è espressa sulla superficie della cellula e ha un ruolo noto e importante nella regolazione del sistema immunitario", ha spiegato il dottor Shiran Shapira, direttore del laboratorio del Prof. Nadir Arber, che ha ricercato la proteina CD24 per oltre due decenni. "La preparazione viene somministrata per inalazione, una volta al giorno, solo per pochi minuti, per cinque giorni", ha aggiunto sul quotidiano Israel21c.

"Sopprimere l'eccessiva infiammazione". "EXO-CD24 è un farmaco a base di esosomi: tecnicamente viene definito come 'extracellular vesicle' (ev) drug. Gli esosomi esistono in natura nel nostro organismo e sono piccole sfere - nanosfere con diametro inferiore a 150 nm - deputate al trasporto di sostanze di vario tipo tra una cellula da cui hanno avuto origine ad un’altra cellula, anche lontana, alla quale hanno il compito di “recapitare” il contenuto loro affidato", spiega in esclusiva per ilgiornale.it Renato Bernardini, Professore ordinario di Farmacologia all'Università di Catania e membro del Consiglio Superiore di Sanità. Grazie alla tecnologia, il professore ci dice che oggi è possibile isolare gli esosomi in laboratorio per manipolarli opportunamente, caricarli con la sostanza voluta e rimetterli a “viaggiare” nell’organismo. "Nei laboratori dell’Ichilov hospital di Tel Aviv, gli esosomi sono stati 'caricati' ed 'arricchiti' con una particolare proteina, conosciuta come cd24, espressa da molte cellule del sistema immunitario, di cui media numerose funzioni. L’idea è quella di somministrare la cd24 veicolata dagli esosomi per raggiungere in modo mirato alcune cellule e sopprimerne l’eccessiva attività pro-infiammatoria in corso di un’infezione da Sars-Cov-2", aggiunge Bernardini.

È il primo vero farmaco anti-Covid? Se fossero confermati i primi risultati, si tratterebbe davvero del primo farmaco anti-Covid? Il prof. predica calma e non si lascia prendere da facili entusiasmi. "Certamente non è il primo farmaco anti-Covid. Non si sa se i primi risultati, ottenuti su un numero esiguo e quindi non significativo di pazienti, potranno essere confermati. Occorre pertanto che vengano completate tutte le fasi della sperimentazione clinica prima di poter esprimere una valutazione, al momento non è possibile farlo e bisognerà quindi pazientare qualche tempo. Penso comunque che la ricerca su EXO-CD24 abbia un razionale solido e appare promettente. Tuttavia solo il tempo potrà darci una risposta esauriente", afferma il farmacologo al nostro giornale.

Il farmaco che "si respira". Come accennato prima, l'altra particolarità di questa nuova terapia che dà speranza alla lotta al Coronavirus è rappresentata dalla modalità di somministrazione: non la classica via orale ma tramite inalazione come già avviene per il trattamento dell'asma bronchiale e anche della Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO). C'è un motivo importante perché è stato deciso di crearlo ad hoc in questo modo. "Idealmente, l'EXO-CD24 serve per contrastare l’infiammazione che durante il Covid si genera nei polmoni, attraverso l’inibizione del rilascio di citochine, prodotti cellulari che scatenano la tanto temuta 'tempesta citochinica' ed i severi processi infiammatori ad essa associati - afferma il Prof. Bernardini - Il vantaggio della somministrazione attraverso la via inalatoria è rappresentato dalla scarsa incidenza di effetti collaterali sistemici, fatto che garantisce una maggiore sicurezza per i pazienti trattati".

L'invermectina ed i monoclonali. In attesa di vedere se i prossimi risultati del farmaco made in Israele daranno nuove conferme di efficacia, nel mondo continuano le sperimentazioni su vecchie e nuove potenziali terapie farmacologiche contro il Coronavirus. Ma quali sono i più promettenti che potrebbero essere a disposizione nei prossimi mesi? "Si stanno studiando sia antivirali, sia antinfiammatori che immunomodulatori. Per molti vecchi farmaci con le più varie indicazioni indicazioni si tenta un riposizionamento per l’uso nel Covid basandosi sulle loro potenziali capacità di interferire col virus e/o con l’infiammazione", ci dice l'esperto. Tra questi c'è l'invermectina (di cui ci siamo occupati il mese scorso), medicinale poco costoso per uso veterinario e umano contro i parassiti come la scabbia, l'oncocercosi ed i pidocchi che può essere assunto per via orale oppure applicato sulla pelle per le infestazioni esterne. Una ricerca inglese ha visto che ridurrebbe la mortalità nel 75% dei pazienti moderati o gravi infettati dal Covid ed il costo di produzione sarebbe di soli 12 centesimi.

Covid, l'Aifa dà il via libera agli anticorpi monoclonali. Ma adesso, la cura più promettente e finalmente a disposizione riguarda quella con gli anticorpi monoclonali. "Tra i nuovi farmaci - ci dice Bernardini - spiccano infine gli anticorpi monoclonali neutralizzanti la proteina spike del coronavirus, recentemente approvati dall’Aifa in via emergenziale grazie anche al supporto del ministro Speranza al pari di quanto già fatto dalla Germania, dalla Francia e dall’Ungheria, in attesa del definitivo parere dell’Ema. Un fatto che porta il nostro Paese in prima linea in Europa", conclude. Si tratta di una cura all'avanguardia, già in sperimentazione negli Stati Uniti ed altri Paesi, che consente di inibire il virus nella fase iniziale dell'infezione evitando l'ospedalizzazione del paziente (ne abbiamo parlato qui con un pezzo di approfondimento). Il virus è accerchiato sempre di più: un anno fa iniziava la pandemia che ha messo tutto il mondo in ginocchio, meno di 365 giorni dopo abbiamo tantissime frecce al nostro arco: vaccini, terapie, farmaci, monoclonali e conosciamo bene il nemico. La famose luce in fondo al tunnel, finalmente, si vede.

Quella tempesta di citochine che fa "esplodere" l'infezione da Covid. Quando si scatena una forte infiammazione si va incontro alla "tempesta di citochine", con esiti molto pericolosi. Esiste un modo per "prevederla" e giocare d'anticipo? Ecco cosa ci hanno detto due esperti. Alessandro Ferro, Sabato 06/02/2021 su Il Giornale. Il Covid-19 non colpisce tutti allo stesso modo e questo, ormai, lo sappiamo molto bene: si moltiplicano gli studi sulla genetica e sulla predisposizione di ognuno di noi al virus. Ma c'è qualcosa che a volte si sottovaluta perché non è il virus in sè che scatena le problematiche maggiori bensì la risposta dell'organismo quando sfocia nella "tempesta di citochine".

Di cosa si tratta. Non ci sono soltanto i fattori di rischio quali età, obesità e altre patologie a peggiorare il decorso del virus: infatti, soggetti sani possono andare incontro a complicazioni e pazienti più fragili possono rimanere immuni. Ciò che fa davvero la differenza è la risposta immunitaria dell'organismo quando riceve il virus. "Il Covid segue due fasi: in una prima fase è virale ed il principale meccanismo è la sua replica: il soggetto ha i sintomi dell'infezione quali febbre, dolori, mialgie, stanchezza e tosse perché questo virus colpisce le vie respiratorie causando una polmonite", dice in esclusiva per il nostro giornale il Prof. Marco Falcone, Professore Associato in Malattie infettive dell'Università di Pisa, in forza all’Unità operativa di Malattie infettive dell’Aoup e membro del consiglio direttivo della Simit (Società italiana di malattie infettive e tropicali).

Il ruolo delle citochine. L'infettivologo ci spiega che questa fase è caratterizzata dal rilascio delle prime citochine, sostanze che sono la 'spia' dell'infiammazione e vengono prodotte dai soggetti a livelli variabili: alcuni ne producono in alte quantità, altri in quantità più basse. Le citochine, però, sono anche la spia del sistema immunitario che si adopera ad intercettare il virus e prova a contrastarlo. Nella seconda fase, invece, mentre alcuni soggetti guariscono rapidamente senza nemmeno sviluppare i sintomi dell'infezione che rimane asintomatica e si evolve come una banale influenza (nella maggior parte dei casi), in una percentuale più bassa, invece, si sviluppa una forte risposta infiammatoria chiamata 'tempesta citochinica'. "Il sistema immunitario produce una massiccia quantità di queste sostanze e c'è un'iper-attivazione che porta ad un danno polmonare di tipo infiammatorio: non è più soltanto il virus che attacca le cellule polmonari ma è il soggetto stesso che produce l'infiammazione che porta alla Ards, cioè Sindrome da distress respiratorio, il polmone diventa bianco", ci dice il Prof. Falcone. I pazienti che sviluppano questa sindrome finiscono spesso in terapia intensiva.

Come si può prevenire? Gli sforzi della ricerca si stanno concentrando nell'individuare dei marcatori, semplici esami del sangue che possano predire il rischio di sviluppare questa tempesta di citochine. "Esistono dei marcatori di iperinfiammazione: in base a quanto sono elevati nei soggetti che sviluppano questa sindrome citochinica, si dovrà intervenire non più con gli antivirali ma con antinfiammatori come il cortisone e tutti i farmaci dell'infiammazione tra cui gli anticorpi monoclonali, gli inibitori delle interleuchine ed il baricitinib, farmaci idonei a bloccare questa tempesta di citochine e l'evoluzione infiammatoria del Covid associata alla più alta mortalità", sottolinea l'esperto. Ecco un farmaco. Proprio con il Prof. Falcone parlammo del baricitinib (qui l'articolo), farmaco già in commercio ed utilizzato normalmente per combattere l'artrite reumatoide che ha ridotto del 71% la mortalità in chi l'ha assunto, migliorando il quadro respiratorio e tornando ad avere una maggiore ossigenazione del sangue. In Italia, però, non esiste un protocollo unico così come ci ha detto in un'esclusiva il Prof. Bassetti, motivo per il quale questo farmaco non è detto che sia sempre, ed uniformemente, utilizzato.

Le differenze tra monoclonali. "Quando ho parlato dei monoclonali mi riferivo ai farmaci inibitori delle citochine, cioè dell'infiammazione: quelli che stanno testando sono i monoclonali anti-Covid, indicati in una fase precoce dell'infezione prima che si crei questa situazione infiammatoria", ci ha spiegato Falcone. I farmaci monoclonali che si usano ormai da anni servono soprattutto per i pazienti oncologici e per combattere alcuni tipi di tumori come melanoma, i tumori del polmone e del rene mentre altri sono attualmente oggetto di sperimentazione clinica in molti altri tipi di tumore come viene riportato in questo documento dell'Istituto Superiore di Sanità. "Quelli anti-Covid, che bloccano precocemente il virus, potrebbero bloccare anche l'innescarsi della tempesta citochinica secondaria alla replicazione del virus. Il vero problema del Covid è la complicanza infiammatoria che causa: scoprire precocemente i pazienti che poi sviluppano questa risposta infiammatoria eccessiva è l'unica via per migliorare la prognosi", afferma Falcone.

La genetica è decisiva. I ricercatori di tutto il mondo stanno cercando di studiare e capire i meccanismi per cui alcuni si ammalano gravemente ed altri no pur rimanendo a contatto con i positivi (come nel caso dei familiari): uno studio su Nature ha identificato alcune regioni del genoma che potrebbero contenere parte della risposta ma sono oggetto di studio anche semplici analisi al sangue in cui, grazie all'emocromo che serve a misurare la quantità di globuli, piastrine, ematocrito ed emoglobina, si potrebbe prevedere il decorso della malattia rilevando l’attività delle cellule immunitarie. "Adesso si stanno studiando dei parametri del sangue che, se presenti in fase precoce, predicono se quella persona andrà incontro ad una malattia grave o no ma si stava già facendo per la stragrande maggioranza delle malattie. Alcuni parametri indicano se qualcuno avrà o no la malattia, in parte con il Covid sono stati scoperti ma c'è ancora da lavorarci", afferma in esclusiva per ilgiornale.it Carlo Federico Perno, Professore di Microbiologia all'Università Medica Internazionale UniCamillus di Roma e Direttore di Microbiologia dell'Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma che ci ha spiegato come siano le caratteristiche genetiche della persona che regolano l'infezione e la gravità della malattia. Il ruolo del gruppo sanguigno."Bisogna considerare due elementi: la gravità della malattia è sempre funzione della quantità e del tipo di patogeno che ci colpisce in combinazione alle caratteristiche della persona: alcuni si infettano con l'influenza ed altre no, alcune persone che si infettano con l'Hiv ed altre no e la stessa cosa vale per il Sars-Cov-2, alcuni si infettano ed altri no. Ci sono degli elementi genetici che sono stati dimostrati essere correlati all'infezione ed alla gravità della malattia uno dei quali è il gruppo sanguigno", ci dice l'esperto. Tra questi, uno dei più importanti è legato all'interferone, tematica che abbiamo trattato di recente grazie allo studio del Prof. Novelli e del suo staff dell'Università Tor Vergata di Roma. "Come dice il nome, è una molecola interferente con la replicazione virale: chi ne ha molto tenderà ad essere più reattivo nei confronti del virus, chi ne ha poco tenderà ad esserlo meno. Ha un senso ed una logica profonda ma non è diversa da tante altre malattie virali".

Un nuovo test cambia tutto: "La saliva predice il Covid". Per conoscere il decorso e la gravità della malattia, come detto, si stanno concentrando tutti gli sforzi ma c'è già un test in grado di fare una "previsione", ed è quello sulla saliva. "Un lavoro sul New England di alcuni mesi fa indica come la quantità di virus sulla saliva possa essere rilevata e correla con la gravità della malattia", ci dice il Prof. Perno. La domanda, a questo punto, sorge spontanea: perché si usano quasi esclusivamente i tampone rinofaringeo? "Perché sono registrati e certificati per dimostrare la presenza del virus e la sua quantificazione e nessuno ha ritenuto finora di dover modificare questa regola. Non sono stati fatti studi di comparazione che giustifichino il tampone salivare rispetto al tampone rinofaringeo, sono quelle cose strane a cui non saprei dare una risposta precisa, a volte nascono non dalla mancanza di evidenza scientifica ma dall'abitudine", afferma Perno. Questa regola, però, non sempre vale per bambini e adolescenti per i quali è più semplice controllare l'eventuale presenza del virus dalla saliva. "Laddove il tampone si ha difficoltà a farlo nei bambini, si usa il test salivare ed i risultati sono comunque di ottima qualità. Piccoli studi dimostrano che, nella fase precoce della malattia, il tampone salivare contiene più virus di quello rinofaringeo". Insomma, il buon senso vorrebbe che anche i tamponi salivari siano approvati ed affiancati ai rinofaringei per diminuire ulteriormente il margine di errore e semplificare le operazioni. Magari saranno approvati alla fine della pandemia...

Michele Bocci per repubblica.it il 6 febbraio 2021. Il ministro della Salute Roberto Speranza ha firmato il decreto che dà il via alla distribuzione in Italia degli anticorpi monoclonali. Mercoledì la Cts dell’Aifa, Commissione tecnico scientifica dove siede il direttore dell’Agenzia del farmaco Nicola Magrini, dopo una lunga riunione aveva approvato l’utilizzo di due monoclonali, quello di Eli Lilly e quello di Regeneron. Visto che l’agenzia europea, Ema, non si è ancora espressa su questi medicinali, si è pensato di sfruttare l’opportunità concessa dalla legge 648 del 1996, che permette di far entrare nel nostro sistema sanitario medicinali ancora in corso di sperimentazione se non c’è una terapia alternativa valida contro una determinata patologia.

Il nodo dei costi. "Sulla base delle indicazioni dell'Agenzia italiana del farmaco e del parere del Consiglio superiore di sanità ho firmato il decreto che autorizza la distribuzione degli anticorpi monoclonali. Così abbiamo, insieme ai vaccini, una possibilità in più per contrastare il covid-19" ha scritto Speranza su Twitter. La decisione di approvare questi anticorpi sintetizzati in laboratorio, presa mercoledì dalla Cts dell'Aifa, era subito dopo stata trasmessa al cda, il consiglio di amministrazione presieduto dal virologo Giorgio Palù, che da giorni e giorni insiste perché i farmaci siano utilizzati al più presto nel nostro Paese. Il cda doveva praticamente dare un via libera formale, controllando però prima quale impegno di spesa comporta l’ingresso nel nostro sistema dei monoclonali. E qui si è bloccato tutto. La Cts infatti non ha stabilito quanti casi potrebbero essere trattati con questi farmaci, anche perché non è facile dirlo e comunque non spetta a quella commissione fare le stime. Quindi il cda non era in grado di determinare la spesa, che per giunta, sempre in base alla 648, doveva essere sostenuta dalle Regioni perché avrebbe gravato sul loro fondo per la farmaceutica. E così, anche se Palù non sarebbe stato molto convinto, anche perché dopo tutte le sue insistenze proprio lui non sarebbe riuscito a far partire l’approvazione, il cda ha bloccato tutto.

L'appello congiunto a Speranza. Ieri Magrini e Palù, tra i quali non c’è grande sintonia e anzi hanno ormai un rapporto difficilissimo come è chiaro dentro Aifa ma ormai anche all’esterno, si sono messi insieme a scrivere al ministro Roberto Speranza. Hanno chiesto a lui di approvare il farmaco, con una procedura ancora diversa, quella del via libera di emergenza appunto da parte del ministero alla Salute. È stato lui, dopo aver previsto un fondo speciale per l’acquisto dei monoclonali, a dare il via libera. Quello di Aifa è diventato un parere per fargli prendere la decisione ed è arrivato insieme a una presa di posizione simile da parte del Consiglio superiore di sanità. In questo caso la procedura seguita è quella dettata dalla legge 219 del 2006.

Le polemiche per i ritardi. Il direttore generale Magrini è stato attaccato duramente di recente da chi lo ha accusato di non aver approvato questi medicinali già mesi fa, quando gli erano stati offerti (a pagamento ha sostenuto lui in un comunicato il 22 dicembre). Aveva detto che senza un’approvazione di Ema, la sua agenzia non poteva muoversi. Del resto se ci sono molti esperti assolutamente favorevoli ai monoclonali, ce ne sono anche altri che sottolineano come i risultati delle sperimentazioni cliniche non siano esaltanti e che sarebbero necessari nuovi studi. Alla fine le pressioni di vari specialisti, tra i quali Palù, e anche del ministero hanno convinto Magrini ad approvare, smentendo quanto detto a proposito dell’impossibilità di farlo senza Ema, e così ha riunito la Cts. Ma come visto la procedura è cambiata, e la responsabilità del via libera l’ha presa Speranza.

La cura c'è ma nessuno la usa: il mistero (irrisolto) dei monoclonali. Alessandro Ferro il 12 Aprile 2021 su Il Giornale. L'Italia ha acquistato 150mila dosi di anticorpi monoclonali praticamente ancora inutilizzati: ad un mese dall'ok dell'Aifa, mancano procedure e linee guida. "Manca la formazione. Non è stato previsto neanche un corso sui monoclonali". Siamo sempre in emergenza, la campagna vaccinale sta incontrando montagne da scalare inimmaginabili ed un'arma che abbiamo a disposizione e per la quale si è lavorato tanto viene utilizzata pochissimo: stiamo parlando degli anticorpi monoclonali, determinanti nel curare la malattia quando è ancora allo stadio iniziale.

Qual è la situazione. L'Italia, al momento, ha acquistato 150mila dosi che vanno destinate ai pazienti maggiormente esposti a contrarre una forma grave di Covid ed evitare l'ospedalizzazione. Bene, fino ad ora ci sono state più chiacchiere che fatti: come riporta IlMessaggero, i centri che attualmente li somministrano sono poco più di cento (sui 368 abilitati) e, fino al 31 marzo, i pazienti trattati con questa cura sono stati poco più di mille in tutta la nazione. Pochissimi. Per fare degli esempi, su 150mila dosi disponibili il Veneto ne ha sommistrate circa 300, Toscana e Lazio 150, il Molise 4 volte e la Calabria una volta soltanto. "Il problema di fondo è che il meccanismo è complicato - spiega Francesco Menichetti, Direttore di Malattie infettive dell'Azienda Ospedaliera Pisana - perché tutto funzioni serve una continuità assistenziale territoriale a regola. In sostanza, il paziente da trattare lo segnala il medico oppure le Usca, ma dopo un test diagnostico a carico del malato. Tutto però deve avvenire entro 5 giorni. Nella nostra scarsa efficacia di continuità assistenziale, pesa prima di tutto il test, perché il reperimento può fare inceppare il meccanismo".

La cura monoclonale funziona: è un'altra arma contro il Covid. "Il messaggio fino a ieri era: vaccinare, vaccinare, vaccinare; oggi il messaggio è fate presto a dotare le strutture sanitarie e noi operatori di vaccini e terapie innovative, a partire dagli anticorpi monoclonali per combattere, e vincere questa malattia. Anche per ridare agli italiani ulteriori spazi di vita. Fate presto!" È l'appello lanciato dal direttore sanitario dello Spallanzani di Roma, Francesco Vaia.

"Mancano le linee guida". La cosa incredibile è che, un mese dopo l'autorizzazione da parte dell'Aifa (Agenzia Italiana del Farmaco) sull'utilizzo degli anticorpi monoclonali, i medici di famiglia denunciano la mancanza di linee guida. "Non ci sono state ancora fornite le linee di indirizzo nazionali sulle cure domiciliari dei pazienti Covid, né i percorsi strutturati che le Regioni devono fornire per consentire ai medici di medicina generale di indirizzare i pazienti Covid nel modo più appropriato e più rapido all'uso di questi farmaci". A sottolinearlo è Tommasa Maio, vicepresidente Metis, Società Scientifica dei Medici di Medicina Generale. Come riportato da AdnKronos, per fornire ai medici di medicina generale nozioni sotto il profilo scientifico sul tema, Metis e Fimmg (Federazione italiana medici di medicina generale) hanno programmato un webinar che metta a confronto la medicina generale, la specialistica e il mondo del regolatorio al fine di condividere un percorso validato per l'uso di questi farmaci.

"Si perde la possibilità di cure in tempo utile". Il rischio, osservano i medici di famiglia, è di perdere la finestra temporale utile all'impiego dei monoclonali. "La recente determina Aifa - chiarisce Walter Marrocco, responsabile scientifico Fimmg - prevede la somministrazione il più precocemente possibile rispetto all'insorgenza dei sintomi, e comunque non oltre i 10 giorni dall'inizio degli stessi". Gli fa eco anche Silvestro Scotti, Segretario generale nazionale della Federazione italiana Medici di Medicina Generale che non ci sta a far passare l'idea che a rallentare il meccanismo siano i medici di famiglia. "Noi non abbiamo avuto indicazioni su come attivare la procedura. Non sappiamo a chi ci dobbiamo rivolgere, non esiste una piattaforma informatica su cui collegarci. E poi manca la formazione. Non è stato previsto neanche un corso sui monoclonali". In tutto questo marasma, gli esperti sono molto preoccupati dalle varianti del Covid: se non si fa in fretta ad utilizzare i monoclonali già acquistati e disponibili, potrebbero diventare inefficaci se il virus continuasse a mutare con questa velocità rischiando di gettare via tutte le dosi inutilizzate e bruciare le centinaia di migliaia di euro che sono servite per acquistarle.

Camilla Mozzetti per "Il Messaggero" il 14 aprile 2021. Angela - la chiameremo così - aveva paura. A fine marzo è risultata positiva al Covid-19 e la sua condizione di paziente affetta da obesità la spaventava. Perché gli obesi - e l'andamento della pandemia lo dimostra - rischiano di più se contraggono il virus. L'età inoltre, 68 anni, non giocava a favore sul decorso possibile della malattia. Eppure ieri Angela è guarita: si è negativizzata al virus dopo aver fatto un'infusione di anticorpi monoclonali a fine marzo. Al Centro di Tor Vergata - uno dei 13 poli che nella Regione Lazio garantiscono la terapia monoclonale, ritenuta, studi scientifici alla mano, un vero salvavita per soggetti immunodepressi, ipertesi, diabetici, obesi o asmatici che contraggono il Covid-19 - non ci è arrivata però tramite il proprio medico di famiglia ma su consiglio di uno specialista che le ha suggerito, costatato il suo caso, di chiedere la possibilità di un'infusione. Angela è stata fortunata e come lei tante altre persone che dalla metà di marzo hanno ottenuto il via libera per ricevere gli anticorpi monoclonali. Ma nei giorni in cui i vaccini scarseggiano e si allontana la possibilità di raggiungere l'immunità di gregge in tempi brevi, si fa strada un dato paradossale e potenzialmente pericoloso: avere una terapia efficace per i positivi più fragili e a rischio complicazioni ma pochi camici bianchi disposti a prescriverla. Tecnicamente il meccanismo funziona così: i medici di famiglia accertata la positività di un loro paziente e valutata la possibilità che quest'ultimo in base alle proprie condizioni possa sviluppare una forma grave della malattia da Sars-Cov-2 attivano in tempi celeri (tra i 3 e i 10 giorni) la procedura per fare in modo che il paziente raggiunga uno dei 13 centri regionali per la somministrazione dei monoclonali. Ma a oggi le prescrizioni scarseggiano o sono sempre i soliti camici bianchi a segnalarle. Al policlinico Umberto I «sono state eseguite una sessantina di infusioni - spiega Claudio Mastroianni, direttore del centro monoclonale -, una parte dei pazienti è stata segnalata dai medici di famiglia ma molti altri sono persone passate per il pronto soccorso mentre abbiamo ricevuto una decina di richieste direttamente dai pazienti». Positivi che hanno di loro iniziativa scritto al Policlinico per essere curati perché non riuscivano a contattare il proprio medico di famiglia oppure perché quest'ultimo non gli aveva paventato la possibilità della terapia. Lo stesso accade a Tor Vergata. A oggi, nei due ospedali, sono state trattati un centinaio di pazienti e concordano sia Mastroianni che Massimo Andreoni, primario di Tor Vergata, «alcuni pazienti si sono già negativizzati mentre pochissimi, due o tre, sono stati ricoverati ma non di certo in terapia intensiva». C'è un'arma a disposizione per combattere la malattia per chi rischia di più ma pochi soggetti capaci o volenterosi di capire come usarla. Il motivo? Lo spiega Alberto Chiriatti, vicesegretario regionale della Federazione italiana medici di medicina generale: «Molti colleghi stanno seguendo il protocollo molti altri no perché c'è una scarsa informazione al riguardo e la pratica per avviare la terapia è comunque lunga». Le Asl della Regione hanno mandato ai medici una sola e-mail con il protocollo e le procedure da seguire. Nessun recall «o webinar utile a spiegare come comportarsi», conclude Chiriatti. Con il risultato di avere dei centri pronti anche a fare 40 infusioni al giorno senza però avere i pazienti. Che magari, trascorso il tempo massimo utile per la terapia, rischiano di finire ricoverati in gravi condizioni.

"Perché non funziona": bocciata la cura col plasma. Alessandro Ferro il 15 Aprile 2021 su Il Giornale. L'Aifa boccia definitivamente la cura con il plasma iperimmune. "Non ha evidenziato un beneficio". In esclusiva, abbiamo chiesto il parere del Prof. Bassetti: "L'avevo già detto, credo e spero che sia la parola fine su questo tipo di cura". Tre indizi fanno una prova: dopo che studi precedenti lo avevano già bocciato, adesso c'è il no definitivo anche da parte dell'Aifa. No, il plasma iperimmune non migliora i malati Covid-19 né tantomeno fa guarire dalla malattia.

Cosa dice l'Aifa. "Nel complesso, TSUNAMI non ha quindi evidenziato un beneficio del plasma in termini di riduzione del rischio di peggioramento respiratorio o morte nei primi trenta giorni", scrive in grassetto un comunicato dell'Aifa (l'Agenzia italiana del farmaco) per sottolineare l'evidenza dello studio (chiamato, appunto, Tsunami). Lo studio clinico, randomizzato e controllato, è stato promosso e coordinato anche dall'Istituto Superiore di Sanità ed ha confrontato l’effetto del plasma convalescente ad "alto titolo di anticorpi neutralizzanti" (cioè con gli anticorpi più efficaci) associato alla terapia standard. Allo studio hanno partecipato ben 27 centri clinici distribuiti in tutto il territorio nazionale che hanno arruolato 487 pazienti (di cui 324 in Toscana, 77 in Umbria, 66 in Lombardia e 20 da altre regioni). Le caratteristiche demografiche, le comorbidità esistenti e le terapie concomitanti sono risultate simili nei due gruppi di pazienti, 241 dei quali assegnati al trattamento con plasma e terapia standard e 246 alla sola terapia standard. Purtroppo, la conclusione è stata lapidaria. "Non è stata osservata una differenza statisticamente significativa nell’end-point primario tra il gruppo trattato con plasma e quello trattato con terapia standard". I risultati dello studio TSUNAMI "sono in linea con quelli della letteratura internazionale, prevalentemente negativa, fatta eccezione per casistiche di pazienti trattati molto precocemente con plasma ad alto titolo", aggiunge l'Aifa.

Bassetti: "Spero sia la parola fine". "Noi dobbiamo sempre seguire la Scienza e le evidenze scientifiche: a livello internazionale, con studi randomizzati e controllati è stato provato che ad un paziente a cui è stato somministrato il plasma e ad un altro paziente, in maniera random, è stato dato il placebo, tutti gli studi fatti finora hanno dimostrato che il plasma ed il placebo non hanno un'efficacia sulla malattia grave per ridurre la durata dei sintomi e la mortalità": è quanto ha detto in esclusiva al nostro giornale il Prof. Matteo Bassetti, Direttore della Clinica di malattie infettive dell'Ospedale San Martino di Genova. Già un paio di mesi fa, come avevamo scritto sul giornale.it (clicca qui per l'articolo), l'infettivologo aveva preso posizione contro questa terapia sulla propria pagina Facebook allegando un lavoro scientifico internazionale pubblicato su Jama dove si evidenziava l'inefficacia del plasma iperimmune. "Lo avevano già detto numerosissimi studi internazionali, adesso è venuto fuori lo studio italiano multicentrico coordinato da Pisa dove ha partecipato anche il mio Centro e la Liguria e si è visto che la cura con il plasma non migliora la mortalità e non migliora la durata dei sintomi nella malattia grave. Credo e spero che questa sia la parola fine", ci dice l'esperto.

"Plasma? L'equivalente della cura Di Bella". Eppure, nella primavera dello scorso anno al termine della prima ondata del Covid, sembrava che questa cura facesse "miracoli" in alcuni ospedali del Nord Italia, soprattutto tra Lombardia ed Emilia-Romagna dove si era iniziata ad utilizzare come cura sperimentale. Come mai, quindi, c'erano stati dei risultati positivi? "Un conto è l'esperienza aneddotica, un conto sono gli studi randomizzati - spiega Bassetti - Se ho trattato 10 pazienti e sono andati bene, magari quei 10 pazienti sarebbero andati bene comunque anche senza il plasma e con qualche altro farmaco. Questo deve portare forza agli studi randomizzati non soltanto nel proprio ospedale: vanno fatti in grande anche in altri Centri, sembra di rivedere quanto accaduto con la 'cura Di Bella', il plasma è la cura Di Bella del Covid". Il Prof ha quindi ricordato che il cosiddetto "metodo Di Bella" è una terapia alternativa per il trattamento dei tumori, priva di riscontri scientifici circa i suoi fondamenti e la sua efficacia. Ideata dal medico Luigi Di Bella, fra il 1997 e il 1998 fu oggetto di una grande attenzione da parte dei mass media italiani. L'Airc (Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro) ha creato un'apposita sezione sul proprio sito in cui spiega dettagliatamente di cosa si tratta ma, per sgombrare il campo da ogni dubbio, scrive che "ad oggi non esistono prove scientifiche che dimostrano l'efficacia della terapia Di Bella nella cura dei tumori". "È stato chiaramente dimostrato che quando uno studio è stato fatto bene, sia con la cura Di Bella che con la cura stamina, si è visto che erano cure che non avevano un'evidenza scientifica - aggiunge Bassetti - Anche noi abbiamo utilizzato il plasma, attenzione: quando non se ne conosceva l'efficacia era anche giusto utilizzarlo perché ci sono stati dei momenti in cui avevamo le mani nude e si utilizzava tutto quello che avevamo. Oggi, però, l'evidenza scientifica dice un'altra cosa".

La "faziosità" nel Covid. Il Covid non si può curare facendo una "gara" a chi scopre qualcosa o è più bravo a trovare un nuovo metodo, serve soltanto unire le forze per uscire il prima possibile da questa pandemia. "Il problema è che nella malattia da Covid c'è stata tanta faziosità: la faziosità va bene per il calcio, per il ciclismo, per tifare per un cantante o per un altro ma in Medicina non può esistere faziosità ma l'evidenza della Scienza e dei numeri", sottolinea l'infettivologo genovese, il quale auspica che lo studio curato da Iss ed Aifa metta un punto a questa terapia. "Adesso non vorrei più sentir dire che il plasma è la cura per tutti perché costa poco mentre gli anticorpi monoclonali sono la cura dei ricchi. Semplicemente i risultati sono diversi: i monoclonali hanno dimostrato di funzionare nel prevenire l'evoluzione verso la malattia grave, il plasma è stato utilizzato nella malattia grave e non dà alcun beneficio". Dal momento che l'Italia, ancora, non ha un protocollo unico nella cura degli ospedalizzati Covid, cosa accadrebbe se qualche collega decidesse, comunque, di ostinarsi nel curare un malato con il plasma? "Mi auguro che, già prima di domani, non ci sia più qualcuno che la utilizzi o, se decidesse di utilizzarla conscio dei rischi e dei benefici di questa cura, la proponga al paziente facendogli vedere quali sono le evidenze scientifiche che vanno contro. È come quanto successo con l'idrossiclorochina, è stata studiata e non ha dimostrato di funzionare", conclude Bassetti.

Nuovi anticorpi in arrivo: ecco i monoclonali "a doppia azione". Alessandro Ferro il 20 Marzo 2021 su Il Giornale. L'azienda britannica GSK avvierà in Italia la produzione dei propri anticorpi monoclonali. "È l'unico ad avere una doppia azione", ci dicono dall'azienda: efficace anche contro le varianti, ecco come funziona. La cura con gli anticorpi monoclonali nella malattia Covid-19 si arricchisce sempre di più: sono quelli che stanno sperimentando con ottimi risultati Vir Biotechnology e l'industria farmaceutica britannica GSK (GlaxoSmithKline), quest'ultima con numerose sedi in Italia.

L'anticorpo chiamato Vir-7831. In un comunicato congiunto, Vir e GSK hanno intenzione di richiedere immediatamente l'autorizzazione all'uso di emergenza negli Stati Uniti e ed in altri Paesi annunciando che il loro monoclonale riduce l'ospedalizzazione ed il rischio di morte nel trattamento precoce degli adulti con Covid-19. Lo ha stabilito un comitato indipendente di monitoraggio dei dati (Idmc) che ha valutato la Fase 3 della cura con VIR-7831 come monoterapia per il trattamento precoce di Covid-19 negli adulti ad alto rischio di ospedalizzazione. "La raccomandazione Idmc si basava su un'analisi ad interim dei dati di 583 pazienti arruolati nello studio COMET-ICE, che ha dimostrato una riduzione dell'85% dell'ospedalizzazione o della morte nei pazienti che ricevevano Vir-7831", scrivono i ricercatori.

Monoclonali "a doppia azione". L’anticorpo monoclonale GSK da dove è stato preso? "L’anticorpo monoclonale Vir-7831, sviluppato in collaborazione con la Biotech Vir, è stato purificato dal plasma di un paziente guarito dal Sars-Cov-1. Questa è una delle sue caratteristiche peculiari perché l’anticorpo si lega ad una porzione della proteina Spike che era già presente nel Sars-Cov-1 e che è stata conservata anche nel Sar-Cov-2, cosa che fa presumere che sia una porzione del virus poco soggetta alle mutazioni. L’elevata barriera alla resistenza assieme alla capacità neutralizzante, sono le due caratteristiche che lo rendono l’unico anticorpo monoclonale a doppia azione", ha affermato in esclusiva per ilgiornale.it la Dottoressa Alessia Delli Carri, principale risorsa medica contro il Covid-19 di GSK Italia. Già detto sull'efficacia, altissima, di ridurre ospedalizzazione e morte nell'85% dei casi, questi anticorpi monoclonali sono efficaci anche contro le varianti più pericolose del virus: l'inglese, la brasiliana e la sudafricana. "Uno studio in vitro di recente pubblicazione ha dimostrato che la capacità neutralizzante del Vir-7831 viene mantenuta su tutte e tre le tipologie di varianti - ha aggiunto Delli Carri - Il fatto che il Vir-7831 si leghi ad una porzione della proteina Spike altamente conservata e al di fuori del sito maggiormente soggetto alle mutazioni, conferisce potenzialmente un’alta barriera alla resistenza".

Sperimentazione sospesa per "troppa efficacia". Solitamente, una qualsiasi sperimentazione in ambito medico-scientifico può essere sospesa per inefficacia di risultati o eventi avversi: stavolta, però, GSK ha sospeso per "alta efficacia" la continuazione dei triasl clinici di fase 3. Come mai è avvenuta questa situazione? "Significa che i dati raccolti ad oggi sulla prima analisi ad interim su 583 pazienti hanno dimostrato una efficacia tale da far raccomandare da un comitato di revisione indipendente lo stop dell’arruolamento. Non verranno arruolati ulteriori pazienti, verranno valutati in follow-up i pazienti già arruolati fino ad oggi", ha affermato la ricercatrice. I pazienti che riceveranno le cure con questi monoclonali sono i "positivi al Covid-19 con sintomi lievi senza insufficienza respiratoria ma ad alto rischio di aggravamento per età o per patologie concomitanti. Il farmaco, per avere il suo effetto, deve essere somministrato negli stadi inziali della malattia, a pochi giorni dall’insorgenza dei sintomi".

"Gli effetti sono straordinari" La verità sulla cura anti Covid. Gli studi Comet. La fase 3 chiamata Comet-Ice (Covid-19 Monoclonal anticorpo Efficacy Trial - Intent to Care Early), cioè il programma di sviluppo completo per gli anticorpi monoclonali, include anche altre tre fasi affinché la somministrazione sia la più efficace possibile: Comet-Peak, in fase 2, viene somministrato per via endovenosa tra adulti a basso rischio con il virus; Comet-Tail, invece, è un altro studio di fase 3 che dovrebbe iniziare nel secondo trimestre del 2021 in adulti ad alto rischio per valutare se Vir-7831, somministrato per via intramuscolare, possa ridurre il ricovero o la morte a causa del Covid e, infine, Comet-Star, uno studio di fase 3 in adulti non infetti ad alto rischio per determinare se l'anticorpo monoclonale, somministrato per via intramuscolare, possa prevenire l'infezione sintomatica. In quest'ultimo caso, quindi, la terapia sarebbe preventiva per evitare l'infezione da Covid, un altro passo in avanti non da poco. "La somministrazione del Vir-7831 ad oggi è infusionale: Aifa sta definendo le linee guida per la somministrazione di questo tipo di anticorpi e al momento è prevista una somministrazione ospedaliera", ci ha detto la Dott.ssa Delli Carri.

GSK - Parma. Produzione in Italia. Come accennato all'inizio, la GSK ha numerose sedi in Italia: la storia dell'azienda, iniziata oltre un secolo fa da Verona e Siena, le due prime città dalle quali, con farmaci e vaccini, è partito lo sviluppo scientifico e industriale anche nel nostro Paese, si è via via ingrandita tant'è che adesso le sedi si trovano anche a Baranzate (Milano), Aprilia e Parma, quest'ultima è il cuore del sito produttivo dove verranno prodotti i monoclonali anti Covid-19. Nella provincia emilana sono già stati prodotti anche altri monoclonali contro gravi malattie. "Attualmente li produciamo in Italia, a Parma, dove abbiamo uno stabilimento che è il centro di eccellenza nel network produttivo di GSK per l’introduzione di nuovi farmaci - ci dice la Delli Carri - In questo stabilimento ci siamo già occupati di diversi anticorpi monoclonali innovativi come belimumab, il primo trattamento sviluppato appositamente per il Lupus, mepolizumab per l’asma grave eosinofilico e belamaf per il mieloma multiplo. Qui abbiamo anticipato le produzioni per gli studi clinici e successivamente le abbiamo industrializzate per la produzione su larga scala e l’esportazione in tutto il mondo. Se questo candidato farmaco avrà successo, è probabile che dovrà anche essere prodotto in altri stabilimenti per far fronte alla domanda ma non possiamo ancora ovviamente fare delle previsioni in materia". Quali sono i costi. L'Italia ha da poco iniziato la cura con i monoclonali (qui il nostro pezzo) all’interno della clinica malattie Infettive San Martino di Genova sotto la direzione del professor Matteo Bassetti. Il nuovo Commissario all’emergenza, il Generale Figliuolo ha già autorizzato l’acquisto di 150 mila dosi di anticorpi: costo delle dosi 100mila euro. E questi della GSK, quanto costeranno? "È troppo presto per pensare al prezzo ma GSK ha una tradizione di sostenibilità nel ricercare prezzi che siano remunerativi del lavoro svolto e, al tempo stesso, adeguati a favorire l’accesso alla cure", dice la ricercatrice.

Monoclonali a confronto. Nel nostro giornale ci siamo già occupati dei primi monoclonali utilizzati al mondo, negli Stati Uniti, prodotti dall'azienda Ely Lilly ed i trials dell'italianissima Toscana Life Sciences appena iniziati. Si può fare un paragone tra i monoclonali GSK con quelli della Ely Lilly e di Toscana Life Sciences? "È la stessa tipologia di pazienti degli anticorpi monoclonali di Lilly ma Vir-7831 si usa in monoterapia mentre Lilly in combinazione. È presumibilmente la tipologia di pazienti simile a quella dell’anticorpo di Toscana Life Science ma, ad oggi, non è ancora in corso il loro studio sui pazienti quindi è troppo presto per dirlo". Insomma, le frecce al nostro arco per colpire definitivamente il Covid aumentano a vista d'occhio tra vaccini, monoclonali e farmaci in fase di sperimentazione. Come ricercatrice che ha contribuito allo sviluppo di questo anticorpo, cosa si sente dire? "In questa fase molto difficile, avere la possibilità di poter contribuire a trovare soluzioni innovative è sicuramente un grande onore e un’attività in cui stiamo mettendo il massimo del nostro impegno", conclude.

Graziella Melina per “Il Messaggero” l'11 aprile 2021. Se per la campagna vaccinale anticovid la strada è ancora tutta in salita, non va affatto meglio per la profilassi con gli anticorpi monoclonali. Dopo l'acquisto di 150 mila dosi da destinare ai pazienti più a rischio di ammalarsi in modo grave e quindi di finire in ospedale, i monoclonali finora sembrano quasi snobbati. Eppure le indicazioni dell'Agenzia italiana del farmaco sono chiare: vanno dati solo a determinati soggetti entro pochi giorni dalla diagnosi e i centri abilitati al trattamento indicati sono ben 368. La realtà però come sempre è diversa dalle buone intenzioni: i centri che realmente li somministrano sono poco più di cento, e fino al 31 marzo i pazienti trattati poco più di un migliaio. Tra le regioni più virtuose il Veneto con quasi 300 dosi somministrate, la Toscana e il Lazio intorno a 150 (a Viterbo, per esempio, stanno utilizzando la terapia con successo e contano di arrivare rapidamente a 150 somministrazioni), il Molise invece si ferma a 4. La Calabria recupera nella prima settimana di aprile e arriva a uno. «Il problema di fondo è che il meccanismo è complicato - spiega Francesco Menichetti, direttore di Malattie infettive dell'azienda ospedaliera Pisana - perché tutto funzioni serve una continuità assistenziale territoriale a regola. In sostanza, il paziente da trattare lo segnala il medico oppure le Usca, ma dopo un test diagnostico a carico del malato. Tutto però deve avvenire entro 5 giorni. Nella nostra scarsa efficacia di continuità assistenziale, pesa prima di tutto il test, perché il reperimento può fare inceppare il meccanismo». E la questione è nota da tempo. «Sappiamo bene che la criticità maggiore è la diagnosi - ammette Filippo Anelli, presidente della Federazione nazionale degli ordini dei medici Chirurghi e odontoiatri -, bisogna consentire ai medici di avere tamponi veloci». Ma anche la selezione dei pazienti sembra un grosso enigma. «Per arruolarli dobbiamo trovare collaborazione a livello territoriale - ammette Roberto Luzzati, direttore di malattie infettive dell'ospedale di Trieste, dove ancora di monoclonali non se ne usano -. A ciò si aggiunga la difficoltà oggettiva da parte delle strutture ospedaliere, già sotto pressione, a dover gestire anche questo tipo di cure». Roberto Giacomelli, responsabile dell'ambulatorio covid per la terapia con anticorpi monoclonali del Policlinico universitario Campus Bio-medico di Roma, non si dà pace. «Questi anticorpi possono avere una grande capacità preventiva nell'evitare che un paziente vada a gravare in futuro sul carico dei reparti e delle terapie intensive. Eppure da noi finora sono stati segnalati solo in 19. Varrebbe la pena che sia i medici di medicina generale sia gli ospedali valutino con attenzione questi pazienti e ce li mandino. Ricordiamo che è stato fatto un grande investimento da parte dello stato su questa terapia che potrebbe ridurre in maniera significativa ospedalizzazioni e morti». Di pazienti da trattare non se ne vedono molti neanche al policlinico Umberto I di Roma: finora circa una trentina i fortunati. «Bisogna migliorare il sistema e renderlo efficiente», spiega il farmacologo Filippo Drago, responsabile del centro hub per l'erogazione dei monoclonali nella Sicilia orientale. Ma non è così semplice, perché anche le faccende più spicce sembrano ostacoli insormontabili. «Per esempio - spiega Drago - non è di facile soluzione capire chi deve trasportare il paziente da casa al centro erogatore, usare un'ambulanza costa. E poi gli stessi pazienti hanno spesso una remora ad andare in ospedale». In Sicilia i più coraggiosi a quanto pare sono stati finora circa una trentina. Silvestro Scotti, segretario generale nazionale della Federazione italiana medici di medicina generale non ci sta a far passare l'idea che a rallentare il meccanismo siano i medici di famiglia. «Noi non abbiamo avuto indicazioni su come attivare la procedura. Non sappiamo a chi ci dobbiamo rivolgere, non esiste una piattaforma informatica su cui collegarci. E poi manca la formazione. Non è stato previsto neanche un corso sui monoclonali». Ma mentre la macchina ancora stenta a partire, incombe già un altro bel guaio. Se non ci si sbriga a utilizzarli - è la preoccupazione degli esperti - i monoclonali potrebbero non servire più, perché non in grado di coprire le nuove varianti. E così alla fine le dosi non utilizzate andrebbero tutte sprecate.

"Effetti straordinari". Tutta la verità sulla cura con gli anticorpi monoclonali. Riduce del 70% la carica virale e dell'80% il rischio di contrarre la malattia. Ecco lo studio sulla cura contro il Covid: "I dati sono solidi e di notevole rilevanza". Alessandro Ferro, Sabato 30/01/2021 su Il Giornale. Gli anticorpi monoclonali possono essere la vera svolta nella lotta al Covid-19: ottime notizie arrivano dagli Stati Uniti dove nuovi studi clinici e sperimentazioni hanno dato risultati eccellenti.

Ecco i risultati. I dati della Ely Lilly, azienda farmaceutica globale con sede a Indianapolis, fanno ben sperare: l'azione combinata degli anticorpi monoclonali bamlanivimab (LY-CoV555 il nome tecnico) ed etesevimab (LY-CoV016) hanno ridotto del 70% il rischio di ospedalizzazione o di morte nei pazienti già affetti da Covid-19 ed il Bamlanivimab, da solo, è stato anche autorizzato per uso di emergenza come trattamento per pazienti ad alto rischio con sintomi da lievi a moderati riducendo fino all'80% il rischio di contrarre l'infezione in un campione di residenti delle case di cura americane. Quindi, non hanno soltanto un effetto terapeutico ma, potenzialmente, anche quello di prevenzione. Questi risultati sono stati pubblicati sui canali ufficiali dell'azienda americana e lo studio si trova sul New England Journal of Medicine (clicca qui), una delle riviste specializzate più importanti al mondo. "Siamo eccezionalmente soddisfatti di questi risultati positivi che hanno dimostrato che bamlanivimab è stato in grado di aiutare a prevenire il Covid-19, riducendo sostanzialmente la malattia sintomatica tra i residenti delle case di cura, alcuni dei membri più vulnerabili della nostra società", ha affermato Daniel Skovronsky, direttore scientifico di Ely Lilly e presidente di Lilly Research Laboratories. I pazienti trattati finora con entrambi gli anticorpi o soltanto con il bamlanivimab sono più di 4mila ed, al momento, sono usati soltanto a scopo emergenziale: manca, infatti, l'approvazione definitiva per un uso diverso ed a larga scala.

"Dati validi, notevole rilevanza". "I dati degli anticorpi monoclonali, questi in particolare, sono pubblicati su riviste di grandissimo profilo e non sono fasulli. Sono dati molto solidi che indicano come il trattamento con questo monoclonale abbia un'efficacia molto marcata sia in termini di riduzione della carica virale che di riduzione anche del quadro clinico", afferma in esclusiva per ilgiornale.it il Carlo Federico Perno, Professore di Microbiologia all'Università Medica Internazionale UniCamillus di Roma e Direttore di Microbiologia dell'Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma. "Questo studio della Ely Lilly riguarda i monoclonali ma nello stesso numero del New England c'è un articolo sui monoclonali di un'altra azienda, la Regeneron, con dati tutto sommato simili di un'ottima efficacia contro il virus ed un miglioramento del quadro clinico. La percezione è che questi monoclonali abbiano una notevole rilevanza dal punto di vista pratico", afferma il Prof. Perno. "Effetto straordinario". Nel nostro giornale ci siamo spesso occupati di come gli anticorpi monoclonali possano davvero essere la carta vincente contro l'infezione (ecco un focus sull'argomento): entrambi gli studi degli americani hanno dimostrato un "effetto straordinario", così come l'ha definito Perno, nel controllo della carica virale e un buon effetto anche nel controllo della sintomatologia. Adesso, però, gli studi devono proseguire su questa strada "per dimostrare che abbiano un effetto spettacolare nei pazienti anche da un punto di vista del miglioramento clinico", ci spiega il microbiologo. "Questi studi erano mirati nel vedere se i monoclonali abbattessero la carica virale e come "effetto collaterale" hanno dimostrato anche un miglioramento del quadro clinico ma servono ancora degli studi specifici su questo aspetto. Se noi abbattiamo il virus, è ragionevole pensare che anche la malattia sia controllata ma dobbiamo ancora avere dei dati". Terapia più efficace. Quindi, sono efficaci? "Per quello che sappiamo oggi è la terapia più efficace", afferma Perno. La notizia è ottima anche perché altre terapie con farmaci, come il remdesivir, non hanno prodotto i risultati sperati e con il plasma iperimmune siamo ancora molto indietro. "Ancora oggi il remdesivir, unico farmaco approvato, non è ritenuto particolarmente efficace: si somministra ma non c'è un'aspettativa straordinaria - ci dice - La famosa terapia con il plasma degli anticorpi dei guariti, invece, ha avuto risultati abbastanza contrastanti anche se probabilmente c'è ancora da studiare perché le prospettive sono buone. Questi monoclonali sembrano essere i più promettenti perché negli studi clinici hanno avuto un'efficacia del controllo della replicazione virale e quindi un controllo della sintomatologia".

"Efficaci anche contro le varianti". Anche se lo avrete già letto, è bene sapere di cosa si tratta: gli anticorpi monoclonali (o MAb, dall'inglese Monoclonal Antibodies) sono come quelli che generiamo nel nostro organismo quando incontriamo un virus con la differenza che sono riprodotti in laboratorio e ne viene riprodotto soltanto uno, specifico, contro quel tipo di virus, in questo caso il Covid-19. "Sono mirati, selettivi e specifici, servono delle procedure industriali di un certo impegno per produrne in quantità adeguate e pienamente efficaci. È riprodotto ma, nel caso specifico, generato in laboratorio sul modello degli anticorpi generati dall'organismo". Se i nuovi vaccini sono a rischio a causa delle varianti del virus che circolano, l'anticorpo monoclonale sembra essere efficace anche su queste. "Ci sono alcuni studi in corso anche su quest'aspetto: i dati disponibili suggeriscono che l'efficacia ci sia anche contro queste varianti", afferma il microbiologo.

Monoclonali possibile cura "preventiva". Le ottime notizie si moltiplicano: oltre a ridurre la carica virale potrebbero anche funzionare anche per prevenire l'infezione, un po' come succede con il vaccino. A che punto è il loro uso come cura preventiva? "La terapia è essenzialmente sulle persone infettate, non è un lavoro preventivo. Tuttavia, alcuni di questi anticorpi monoclonali hanno quella che, in termini tecnici, si chiama emivita, cioè un tempo di permanenza all'interno dell'organismo molto lungo. Alcuni di essi possono rimanere anche per alcuni mesi: se per ipotesi ci fosse una somministrazione ad ottobre, la protezione durerebbe fino a marzo", ci dice il Prof. Perno, sottolineando come questo, però, sia "ancora tutto da dimostrare" anche se "le caratteristiche di questi monoclonali fanno pensare che potrebbe essere un'altra opzione", cioè quella per un uso preventivo e non soltanto terapeutico. Terapia ospedaliera ma... Allo stato attuale, i monoclonali possono essere somministrati esclusivamente in ospedale ma non è detto che le cose non possano cambiare. "Questo è un altro argomento molto interessante perché, se fossero pensati per la prevenzione, potrebbero anche essere usati anche come terapie domiciliari. Ma qui ci stiamo addentrando in un'area incerta, potrebbe esserci una via di mezzo: la somministrazione avviene nell'ospedale ma il paziente torna a casa. È difficile che vengano somministrate dai medici di famiglia perché sono farmaci con caratteristiche ospedaliere", afferma l'esperto.

Italia ed Europa in ritardo. Perché? Con il ritardo dei vaccini, si stanno moltiplicando gli appelli degli esperti del settore per avere al più presto a disposizione gli anticorpi monoclonali. Abbiamo realizzato un reportage (clicca qui) andando nel laboratorio di genetica medica dell'Università di Tor Vergata dove l'équipe diretta dal professor Giuseppe Novelli sta studiando un farmaco a base di monoclonali. "Pesanti le responsabilità di chi ha ritardato il loro uso" sperimentale, mesi fa, in Italia ha appena dichiarato in un'intervista all'Adnkronos Salute Guido Silvestri, virologo italiano docente negli Usa alla Emory University di Atlanta. Ma perché da noi questa cura è così in ritardo? "Ho difficoltà a rispondere, veramente non lo so: in molti Paesi sono avviati verso uno studio clinico di routine, il costo è alto ma non così alto come i monoclonali che si usano in oncologia che hanno un costo molto superiore. Non saprei dirle le ragioni per le quali, in questo momento, in Europa ed in Italia sono ancora ritenuti in una fase rigorosamente sperimentale", afferma il Prof. Perno. Nelle ultime settimane, comunque, le agenzie regolatorie stanno accelerando anche su questo aspetto. "Il presidente dell'Aifa ha espresso un forte impegno nel voler portare avanti i monoclonali, valutarne a fondo l'efficacia e portarli all'attività clinica al più presto". Se non si accelera, non ci libereremo più del virus. Abbiamo tante armi a disposizione ma siamo tremendamente in ritardo. Perché? "Qui entrano in gioco una serie di elementi: politici, economici, amministrativi, clinici. L'insieme del combinato responso di questi elementi porta spesso a dei ritardi che a volte sono colpevoli ed altre volte non lo sono". È il caso dei vaccini, ne dovevano arrivarne tre o quattro tutti insieme ma di fatto ne abbiamo soltanto due e con riforniture diminuite anche del 20%, le aziende che li producono sono sotto stress e non sono in grado di rifornire tutti quelli che ne hanno bisogno ed altri vaccini non sono ancora arrivati. "Poi ci sono i problemi regolatori - conclude Perno - I monoclonali in alcuni casi sono stati approvati mentre in altri sono in fase di sperimentazione. Il ritardo è qualcosa su cui dobbiamo riflettere perché c'è dietro c'è sempre qualche errore".

Efficace anche contro le varianti. Che cos’è l’anticorpo monoclonale VIT-7831, il farmaco che riduce dell’85% ricovero e morte per covid-19. Vito Califano su Il Riformista il 12 Marzo 2021. L’anticorpo VIT-7831 funziona anche contro le varianti e riduce dell’85% dei ricoveri e dei decessi tra i pazienti ad alto rischio trattati precocemente. Perciò Vir Biotechnology e la britannica GSK hanno reso noto in un comunicato di voler chiedere l’autorizzazione all’uso in emergenza per la loro terapia sperimentale con anticorpi covid-19. Il farmaco viene prodotto nello stabilimento G. S. K. di Parma. Un comitato indipendente ha chiesto che lo studio di Fase 3 COMET-ICE sul farmaco venga interrotto per l’arruolamento a causa di evidenze di profonda efficacia della terapia, secondo quanto affermato da Vir e GSK in una dichiarazione congiunta. Le società hanno annunciato che la terapia sarebbe ugualmente efficace contro le varianti del coronavirus emerse in Inghilterra, Sudafrica e Brasile. Lo studio è ancora in corso. I pazienti saranno seguiti per altre 24 settimane. La raccomandazione degli scienziati, scrive Il Corriere della Sera, si è basata su un’analisi dei dati di 583 pazienti che mostrato una riduzione dell’85% dell’ospedalizzazione e della morte nei pazienti che hanno ricevuto VIR-7831 in monoterapia rispetto al placebo. L’anticorpo monoclonale è a doppia azione: blocca l’ingresso virale nelle cellule sane ed elimina quelle infette. E’ stato creato a partire dal sangue congelato di un paziente che si era ammalato nel 2003 di Sars, come spiegato su Nature. Isolati due anticorpi che riconoscevano anche la Spike di Sars-CoV-2 e neutralizzavano l’infezione nella parte “conservata” di Sars-CoV-2, che non muta ed è comune con gli altri coronavirus e le altre varianti. Su questi risultati Vir e GSK prevedono di presentare una domanda di autorizzazione all’uso di emergenza alla Food and Drug Administration (FDA). L’anticorpo, terapeutico ma anche preventivo, va somministrato intramuscolo. “Vantaggio non da poco perché tutti gli altri farmaci monoclonali allo studio e approvati necessitano invece di una somministrazione via endovena, che va fatta in day hospital e può quindi creare ulteriore pressione sugli ospedali già oberati”, ha detto al Corriere l’immunologo Sergio Abrignani, docente di Patologia generale all’Università di Milano.

L'arma italiana contro il Covid: arrivano i monoclonali made in Toscana. In esclusiva per ilgiornale.it, abbiamo le prime importanti anticipazioni dell'anticorpo monoclonale made in Italy, anzi made in Toscana, che entrerà in sperimentazione tra pochissimi giorni. Ecco cosa ci hanno detto i ricercatori di Toscana Life Sciences. Alessandro Ferro - Mar, 23/02/2021 - su Il Giornale. Le buone notizie vengono dalla Toscana dove sono puntati gli occhi dell'intera nazione: è lì che da un anno si studia la cura più efficace contro il Covid-19, quella a base di anticorpi monoclonali.

Cos'è Toscana Life Sciences. La fondazione Toscana Life Sciences (Tls), con sede a Siena, è un ente no-profit che opera dal 2005 nel panorama regionale con l’obiettivo di supportare le attività di ricerca nel campo delle scienze della vita e, in particolare, per sostenere lo sviluppo di progetti dalla ricerca di base all’applicazione industriale. Dall'inizio della pandemia, però, gli orizzonti si sono allargati e questa fondazione può rappresentare un aiuto fondamentale al nostro Paese per combattere e vincere la pandemia. È lì che da un anno si studiano gli anticorpi monoclonali: il lavoro dei ricercatori è arrivato alla fase conclusiva e tra pochi giorni inizierà la fase più importante, la sperimentazione sulla popolazione. "Le varianti hanno bisogno di molta attenzione, hanno messo in crisi molti anticorpi monoclonali sviluppati fino ad ora. I nostri per fortuna appartengono ad anticorpi monoclonali di seconda generazione che riescono a neutralizzare anche le varianti, inglese, sudafricana e brasiliana". Lo ha annunciato Rino Rappuoli, Direttore scientifico e responsabile della attività di ricerca e sviluppo esterna presso GlaxoSmithKline (GSK) Vaccines di Siena e coordinatore della ricerca sugli anticorpi monoclonali di Toscana Life Sciences, intervenendo ad 'Agorà' su Rai 3. "Unici in Italia". "La nostra ricerca è l'unica fatta in Italia che sta andando avanti con le prove cliniche. I nostri anticorpi sono stati prodotti e stanno per entrare in fase clinica nelle prossime settimane. Ci aspettiamo che siano pronti per l'estate", sottolinea Rappuoli, spiegando che "gli anticorpi monoclonali sono la prima cura che sarà a disposizione contro il Covid. Sono una difesa naturale perché vengono presi da persone che sono convalescenti e utilizzati per curare. Possono essere usati anche per prevenire la malattia."

Ecco l'anticorpo contro il Covid-19. Grazie alla collaborazione con l'ufficio stampa della Fondazione, siamo riusciti a saperne di più a pochi giorni dall'inizio delle sperimentazioni cliniche. Abbiamo parlato con due ricercatori che hanno illustrato tutto il processo che ha portato alla costruzione dell'anticorpo monoclonale made in Toscana. "Gli anticorpi monoclonali sono una parte di proteine prodotte dall'organismo umano che servono per difenderci dall'attacco di virus, batteri e patogeni di varia natura. Anche nel nostro caso, l'anticorpo monoclonale è stato isolato da soggetti che erano stati esposti all'infezione da Sars-Cov-2 e che avevano naturalmente prodotto anticorpi nel loro plasma", ci ha spiegato Emanuele Andreano, ricercatore del Mad Lab di Tls che ha illustrato come il lavoro principale sia consistito nell'identificare gli anticorpi più potenti ed in grado di neutralizzare a bassissime concentrazioni il virus in modo da prevenire l'infezione. Il meccanismo d'azione dell'anticorpo stesso prevede il blocco della proteina Spike del virus, quella che ha la funzione di infettare le cellule dell'ospite e, bloccando la Spike, si evita la malattia da Sars-Cov-2. "Al via prove cliniche". Come affermato dal Prof. Rappuoli, le prove cliniche inizieranno a giorni. "Stiamo ultimando la parte burocratica per regolare tutta la sperimentazione, parte critica e massiva di tutto il lavoro, c'è un'enorme quantità di test per valutare che il farmaco sia sicuro prima di entrare nei trials clinici. Tutti questi passi sono stati fatti, stiamo ultimando soltanto gli ultimi aspetti burocratici", sottolinea Andreano.

Come si somministrano i monoclonali. Ma questi anticorpi si somministrano prima che la malattia diventi importante o anche in casi gravi di pazienti in terapia intensiva? "Gli anticorpi hanno l'enorme vantaggio di poter essere utilizzati sia a scopo profilattico che terapeutico. Il nostro studio prevede, per adesso, un uso terapeutico", ci spiega il ricercatore, che ci ha illustrato le tre fasi cliniche che "prevedono la somministrazione iniziale in soggetti sani per vedere e valutare quella che viene chiamata “safety and tolerability”, quanto è sicuro e quanto è tollerato il farmaco. Successivamente, ci si sposta su soggetti che hanno l'infezione, inizialmente su quelli in fase moderata. In base a quali saranno i risultati clinici, vedremo se è necessario anche nell'utilizzo su soggetti con infezione acuta oppure se utilizzarli sono per situazioni moderate. Dipenderà dall'outcam degli studi clinici". Differenze con quelli della Lilly. In un nostro approfondimento (clicca qui per il Focus) ci siamo occupati degli anticorpi migliori in questo momento, quelli dell'azienda americana Ely Lilly, che riducono del 70% la carica virale e dell'80% il rischio di contrarre la malattia. "La possibilità e la quantità di anticorpi monoclonali che vengono prodotti è enorme, di conseguenza anche quelli prodotti da diverse parti, di per sè, nonostante abbiano come obiettivo comune quello di neutralizzare il Covid, possono avere delle grandi differenze - ci dice Andreano - Nel caso di Ely Lilly, anche loro utilizzano un singolo anticorpo ma differente da quello che utilizziamo noi. Regeneron, invece, è un cocktail di due anticorpi ed è definito policlonale perché ha le giuste copie di due anticorpi diversi messi insieme. Nel nostro italiano, invece, è monoclonale perché sono tante copie dello stesso anticorpo, l'unico che abbiamo visto essere il più potente".

Varianti, somministrazione e costi. Il Prof. Rappuoli, capo della ricerca, ha anticipato quello che abbiamo chiesto in maniera più approfondita ad Emanuele Andreano, e cioè se l'anticorpo prodotto da Toscana Life Sciences riesce a neutralizzare anche le varianti più pericolose del Covid-19. "Le stiamo studiando, il nostro anticorpo ha già dimostrato di essere in grado di neutralizzare più varianti. Teniamo la situazione sott'occhio per essere sicuri che, qualora escano nuove varianti, testeremo l'anticorpo contro quelle emergenti ma, dati alla mano, sappiamo precisamente cosa andare a vedere. Fin quando determinate cose non accadranno in natura, siamo sicuri che il nostro anticorpo funzionerà contro le diverse e numerose varianti emergenti", ci dice. Tls, logicamente, non può prevedere come saranno utilizzati gli anticorpi perché sono decisioni esterne alla Fondazione e decise dagli enti regolatori con dati clinici alla mano. "È assolutamente prematuro parlarne adesso", ci dice la responsabile comunicazione Irene Niccolini, tutto sarà calcolato "sulla base dei risultati della fase clinica che sta per partire", sottolinea. Dosaggio e somministrazione. Su questo aspetto, però, abbiamo scoperto qualcosa che potrà cambiare in meglio la terapia quando verrà utilizzata su larga scala. "Vista l'estrema potenza del nostro anticorpo, il nostro obiettivo è quello di poter diminuire il dosaggio mantenendo l'efficacia dell'anticorpo stesso così da poter utilizzare delle vie di somministrazione diverse da quelle già in utilizzo, tutte per via intravenosa". Minore dosaggio, quindi, significa maggiori anticorpi per la popolazione ed una via diversa e meno invasiva da quella attualmente utilizzata. "Noi vorremmo spostarci su una somministrazione per via intramuscolare che ha due enormi vantaggi: evitare l'affollamento di ospedali per la somministrazione dell'anticorpo che può essere un grosso problema soprattutto con ospedali convertiti a reparti Covid e facilitare la somministrazione: quella intravenosa può durare anche parecchie ore, quella intramuscolare è molto più rapida e può avvenire sia dal medico curante o anche, eventualmente, come somministrazione autonoma. Sono tutte valutazioni che verranno fatte con il senno di poi", afferma il ricercatore. Come abbattere i costi. Insomma, si lavora in grande: se le cose andranno davvero così, gli anticorpi made in italy saranno fruibili da più persone ed in maniera più efficace ma un'altra grande novità riguarda i costi, che si potranno abbattere grazie alla forza dell'anticorpo isolato e riprodotto. "Molto del costo dipenderà anche da quanto anticorpo bisognerà utilizzare: maggiore è la potenza e più sarà possibile ridurre la quantità di anticorpo necessaria da somministrare per essere efficace. Più si riesce a diminuire la dose e minore sarà il costo", dice Emanuele. Per capire, alcuni anticorpi già in uso clinico costano migliaia di dollari per somministrarne soltanto 7-8 grammi. "Noi cercheremo di diminuirlo di 30-40 volte, se i dati clinici sosterranno che il dosaggio minimo che vogliamo provare è sufficiente ad essere efficace, ovviamente i costi andranno ad abbattersi".

L'importanza della ricerca. Necessita di un risalto importante quanto sia importante la ricerca scientifica: senza i progressi che sono stati fatti negli ultimi 10 anni, la velocità con la quale sono stati sviluppati vaccini e anticorpi monoclonali non sarebbe mai stato possibile. Poteva essere ancora più veloce e con danni inferiori a livello globale con un continuo e costante riflettore sulla ricerca. "I riflettori vanno mantenuti accessi, non soltanto adesso che c'è bisogno di una soluzione ma è molto più importante essere pronti ad affrontare un problema quando è necessario. Si dice che un grammo di prevenzione vale un chilo di cura, essere pronti con la ricerca ci permette di affrontare i problemi nel mondo reale", afferma Emanuele.

Elisa ed i ricercatori, un lavoro iniziato un anno fa. La Dottoressa Elisa Pantano è entrata un anno fa, in piena emergenza pandemica, a far parte del gruppo di lavoro di Tls vivendo le fasi più intense del lavoro in laboratorio nell'attività che ha riguardato tutta la selezione degli anticorpi fino alla scelta definitiva. "Mi sono unita al team di ricerca ad aprile che aveva cominciato a lavorare da due mesi abbondanti, dalle prime notizie del virus trovato a Codogno. Aprile è stato uno dei mesi più intensi, le ricerche erano già arrivate ad un discreto punto: da 21 anticorpi molto potenti siamo scesi a tre, ancora più potenti, per poi selezionare il nostro anticorpo adesso in produzione", ci racconta Elisa che descrive come, mentre la vita esterna italiana si era fermata a causa del lockdown, in quei laboratori c'era massimo fermento. "Eravamo in pieno lockdown, le strade erano deserte ma dentro, noi, non ci fermavamo un attimo. In quei mesi entravamo a lavoro la mattina e non era pianificabile quando saremmo usciti la sera". Il gruppo è composto da 18 persone, non minuscolo ma nemmeno così grande, e per questo motivo ognuno di loro ha avuto un ruolo fondamentale nella messa a punto dell'anticorpo monoclonale. "Eravamo tutti strettamente coinvolti nell'intera catena di ricerca, c'è stato un lavoro immenso da parte di ognuno di noi, dal primo all'ultimo. Se qualcuno si fosse interrotto, sarebbe venuto a mancare l'intero risultato in tempi così brevi, è stato tutto particolare da vivere", ci racconta Elisa. Tls è partita con le ricerche sul sangue di pazienti che avevano avuto l'infezione da Covid-19 che veniva fornito sia dall'ospedale di Siena che dall'Istituto Spallanzani di Roma. "Da lì, tramite tecniche di laboratorio e specifici esperimenti, si sono creati questi anticorpi monoclonali e si è andati avanti con gli studi in vitro nel modo più completo. È stato emozionante ma nessun giorno era scontato", conclude la ricercatrice. Non resta che attendere, fiduciosi e speranzosi, ancora pochi giorni: il virus ha davvero i giorni contati.

Il farmaco italiano anti-Covid "Così può annientare il virus". Nel laboratorio di genetica medica dell'Università di Tor Vergata, l'équipe diretta dal professor Giuseppe Novelli studia un farmaco a base di anticorpi monoclonali. L'appello del genetista: “Il vaccino non basta, il governo investa su più anticorpi per neutralizzare le varianti”. Elena Barlozzari e Alessandra Benignetti, Domenica 24/01/2021 su Il Giornale. Se somministrati all’insorgere dei primi sintomi dell’infezione permettono di guarire rapidamente, scongiurando complicazioni e ricovero. I farmaci a base di anticorpi monoclonali sono già utilizzati in America, dove lo scorso novembre la Food and Drug Administration ha concesso l’autorizzazione per l’uso di emergenza di quelli prodotti da Eli Lilly. Quando erano ancora in fase di sperimentazione sono balzati all’onore delle cronache per aver consentito al presidente americano Donald Trump di guarire dal Covid in una manciata di giorni. Oggi anche l’Europa scommette su questo promettente rimedio. Il via libera dell’Agenzia Europea del Farmaco (Ema) all’utilizzo degli anticorpi monoclonali potrebbe arrivare già in primavera. Si parla del mese di maggio o giugno. Come spiega ad AdnKronos Salute Marco Cavaleri, dirigente Ema: "I dati clinici preliminari dimostrano che potenzialmente questi farmaci hanno un effetto benefico nel prevenire il deterioramento della malattia specie in soggetti più a rischio di Covid grave". In Italia a studiare gli anticorpi monoclonali sono diversi gruppi di ricerca. Tra questi c’è quello dell’Università di Tor Vergata, diretto dal professor Giuseppe Novelli. "In collaborazione con l’Università di Toronto, stiamo usando una procedura nuova, che utilizza anticorpi sintetici conservati in una libreria in Canada, si tratta di una piattaforma moderna, flessibile, che ci consente di adattarli alle mutazioni del virus producendo in tempi rapidi un anticorpo diverso e più efficace", spiega il genetista facendoci strada nel laboratorio di genetica medica. Ad ottobre la Regione Lazio ha firmato un protocollo di intesa con l’ateneo romano per sostenere con due milioni di euro "la ricerca e la sperimentazione per la messa a punto di un farmaco in grado di curare i malati di Covid-19 nel più breve tempo possibile". Almeno quattro degli anticorpi selezionati dall’équipe del professore sono tra i più promettenti sul panorama mondiale e quindi considerati adatti ad essere trasformati in veri e propri medicinali. Novelli ci mostra le molecole sul monitor. Grovigli colorati con artigli in grado di aggrapparsi al virus e neutralizzarlo. Non a caso vengono definiti anche così: "Anticorpi neutralizzanti". I farmaci realizzati con queste molecole sintetiche hanno due funzioni. "La prima – ci spiega Novelli – è quella terapeutica: se somministrati nella prima fase della malattia impediscono al virus di progredire verso la forma grave riducendo l’ospedalizzazione". E non solo: "Sono indicati anche per la profilassi, visto che garantiscono l’immunizzazione del soggetto per due o tre mesi". "Il vaccino – sostiene il luminare – da solo non basta". In attesa che con la vaccinazione di massa si raggiunga l’immunità di gregge, gli anticorpi monoclonali potrebbero essere utilizzati per proteggere particolari categorie a rischio, come gli anziani nelle Rsa o gli studenti, permettendo loro di seguire le lezioni in presenza. "Dai test effettuati sinora – assicura Novelli – non sono emerse particolari controindicazioni". Insomma, non un’alternativa al vaccino ma un’arma in più per accelerare il ritorno alla normalità. Il governo italiano, nel decreto agosto, ha destinato 380 milioni di euro per il 2021 alla "ricerca, sviluppo e acquisto di vaccini e anticorpi monoclonali prodotti da industrie del settore". Basteranno a mandare avanti la ricerca?. "È fondamentale – sottolinea il genetista che finanzia i suoi studi grazie ai fondi di Regione Lazio e Fondazione Roma – investire in più laboratori e di conseguenza in più tipologie di anticorpi, perché non sappiamo a priori qual è il migliore o qual è quello che funziona meglio su un determinato gruppo di persone". "Il virus muta e un determinato anticorpo potrebbe non funzionare più", chiarisce. L’esempio pratico arriva mentre discutiamo, con una notifica sul cellulare del professore. Il farmaco prodotto dalla statunitense Eli Lilly potrebbe non essere efficace sulla variante sudafricana. "Capite – esclama – perché è importante diversificare?". Attualmente ci sono 384 farmaci in studi clinici. Il 15 gennaio l’Aifa ha annunciato che anche in Italia partirà uno studio clinico randomizzato per valutare l’efficacia degli anticorpi monoclonali contro il Covid. La stessa Agenzia italiana del farmaco ha pubblicato un bando per scegliere il miglior protocollo di studio. "La scienza va avanti velocemente, certamente siamo di fronte ad una pandemia mai vista, ma quello che ho visto in questi dieci mesi – confessa Novelli – mi lascia ben sperare".

Monoclonali, viaggio nella fabbrica di Pomezia: «Qui creiamo gli anticorpi anti-Covid». Clarida Salvatori su Il Corriere della Sera il 26/1/2021. Arianna Aloisio, responsabile Gruppo qualità di Menarini Biotech, spiega cos’è il farmaco ideato dalla «Toscana life science». Anticorpi monoclonali: due termini che specie di recente si sentono molto spesso. Ma cosa sono? A cosa servono? Che ruolo possono avere nella lotta al Covid-19? Chi si sta occupando della loro «lavorazione»? In Italia la «fabbrica» degli anticorpi monoclonali è la Menarini Biotech di Pomezia, cittadina a Sud di Roma. Nello stabilimento, nel cuore del polo industriale, è un lavorio incessante. Tra porte blindate che si aprono solo con il badge, dispositivi di protezione, macchinari sofisticati il cui funzionamento e le cui specifiche sono un’incognita: alcuni sembrano frigoriferi, altri bombole d’ossigeno in formato maxi, altri ancora fanno girare su se stesse delle fiale. E poi provette, microscopi, liquidi colorati o trasparenti. «Qui in realtà stiamo sviluppando un progetto nato alla “Fondazione Toscana life science” e diretto da Rino Rappuoli. Sono loro che hanno avuto l’idea di isolare, identificare e selezionare gli anticorpi più efficaci e più reattivi nei confronti del virus, prelevati dal plasma di persone guarite dal Covid-19 — spiega Arianna Aloisio, responsabile Gruppo qualità di Menarini Biotech —. E per questa fase, quella della riproduzione su scala industriale, hanno passato il testimone della staffetta alla Menarini Biotech». A Pomezia sono un centinaio le persone impegnate nello sviluppo degli anticorpi monoclonali: «Ma abbiamo alle spalle il supporto di 17 mila dipendenti e 900 ricercatori del gruppo Menarini», prosegue Aloisio, che poi racconta nel dettaglio in cosa consiste il processo: «Coltivare, da cellule di mammifero, questi anticorpi, già impiegati in medicina nel trattamento di patologie oncologiche o autoimmuni, come artrite reumatoide o linfomi. Nascono in laboratorio da un singolo clone e quindi sono tutti uguali. E soprattutto sono anche in grado di legarsi alla proteina Spike, per capirci: quelle asticelle rosse che si vedono sopra al virus, che il Covid utilizza per entrare nelle cellule umane e riprodursi. Una volta immessi gli anticorpi monoclonali, questi sono in grado di disattivare il virus». Quella che dall’inizio della pandemia stanno conducendo nei laboratori di Pomezia è un’attività di ricerca costante e certosina. Che implica prendersi cura degli anticorpi come di una creatura. «Il prodotto viene nutrito, purificato, fatto crescere, controllato — racconta ancora Arianna Aloisio —, finché da una fialetta di pochi centimetri non si ottengono 1.500 litri di farmaco». A che punto è arrivata la lavorazione? Quando si potrà ipotizzarne l’utilizzo di questi anticorpi monoclonali per la lotta al Covid-19? «Il farmaco è pronto per iniziare le fasi cliniche, che prevedono la sperimentazione su soggetti sani volontari per verificarne l’efficacia, e che verranno gestite direttamente da Toscana life science — prosegue —. Ma entro la primavera confidiamo che sarà disponibile per il maggior numero di pazienti possibile». Per il momento, tra chi ha potuto usufruire della cura con anticorpi monoclonali c’è l’ex presidente degli Stati Uniti, Donald Trump. «Lui però ha usato quelli di altre aziende — specifica Aloisio —. Il nostro farmaco ha due enormi vantaggi: è efficace a concentrazioni molto basse; la dose terapeutica può essere contenuta e somministrata intramuscolo; si conserva a una temperatura compresa tra 2 e 8 gradi, cioé quella di un normale frigorifero di casa. Il che agevola il trasporto e la distribuzione». Non solo cura, c’è anche la prevenzione del coronavirus nel futuro dell’applicazione degli anticorpi monoclonali: «Possono essere pensati pure come azione preventiva ed essere somministrati agli operatori sanitari e alle persone maggiormente esposte. Ma rispetto al vaccino hanno un meccanismo d’azione diverso: il vaccino induce il nostro sistema immunitario a produrre anticorpi, mentre questo è già di per sé l’anticorpo».

La Germania utilizzerà il “cocktail” di Trump. Andrea Walton su Inside Over il 24 gennaio 2021.  La Germania sarà il primo stato membro dell’Unione Europea ad utilizzare il cocktail di anticorpi monoclonali che è riuscito a guarire Donald Trump dal Covid-19. Ad annunciare la svolta è stato il ministro della salute Jens Spahn, che ha dichiarato al Bild am Sonntag (le sue parole sono riportate da Deutsche Welle) che “il governo ha acquistato 200mila dosi al prezzo di 400 milioni di dollari”. Il cocktail, ha confermato il ministro, sarà inviato agli ospedali universitari tedeschi nel corso delle prossime settimane ed il trattamento “funziona come una vaccinazione passiva. Somministrare gli anticorpi nelle prime fasi della malattia evita che i pazienti ad alto rischio progrediscano verso forme più gravi del morbo”. Spahn non ha nominato esplicitamente la casa farmaceutica produttrice del trattamento ma ha chiarito che il cocktail è la stessa medicina somministrata al presidente Trump nel mese di ottobre. Si tratta dunque del preparato sviluppato dalla multinazionale americana Regeneron.

La situazione in Germania. La Germania è alle prese con una seconda ondata di contagi che ha costretto il paese dapprima ad un lockdown leggero, con la chiusura di bar e ristoranti a partire dal 2 novembre e poi, vista l’inefficacia delle misure, ad un lockdown rigido a partire dal 16 dicembre. Le restrizioni hanno portato ad un appiattimento, ancora non del tutto soddisfacente, della curva dei contagi e sono state prolungate almeno sino alla metà di febbraio. La chiusura dei negozi non essenziali, delle palestre, dei luoghi della cultura e dei servizi di ristorazione è destinata ad avere un impatto molto pesante sull’economia tedesca ma la cancelliera Angela Merkel si è dimostrata inflessibile nell’adottare e prolungare le restrizioni. La stagione invernale si sta rivelando molto dura per Berlino e l’esecutivo Merkel sta cercando di spingere sull’acceleratore delle vaccinazioni di massa per porre fine alla pandemia. Si tratta, però, di un processo graduale, soggetto ad interruzioni e non in grado di influire, almeno per il momento, sulla diffusione del contagio e sul numero dei morti, che in più occasioni hanno superato quota mille nell’arco delle 24 ore.

Cosa sono gli anticorpi monoclonali. Gli anticorpi monoclonali, come spiegato su Nurse Times dal Professor Lorenzo Dagna, primario dell’Unità di Immunologia, reumatologia, allergologia e malattie rare dell’ospedale San Raffaele di Milano, sono proteine prodotte dal nostro sistema immunitario per difenderci da qualcosa che giudica pericoloso. Agiscono contro il Covid-19 comportandosi come anticorpi naturali e dunque impediscono al virus di entrare nelle cellule umane, dove potrebbero replicarsi con maggiore facilità e facilitano lo smaltimento del patogeno da parte del sistema immunitario. Gli anticorpi, chiarisce il Professor Dagna, sono molto utili nelle fasi precoci della malattia, quelle più dipendenti dalla replicazione virale del virus SARS-CoV-2 mentre perdono di efficacia se somministrati a pazienti che si trovano in condizioni più gravi dato che, in questa fase è più importante ridurre l’eccesso di risposta immunitaria. Si tratta di una terapia molto specifica, con buone percentuali di successo ma la chiave, come risulta evidente da quanto descritto, è agire quanto più precocemente possibile individuando in maniera tempestiva chi ne ha bisogno e “bruciando sul tempo” il virus.

Chi li produce. I farmaci a base di anticorpi monoclonali che hanno ricevuto l’autorizzazione alla somministrazione da parte di enti regolatori sono due. Si tratta del bamlanivimab, realizzato dalla canadese AbCellera in collaborazione con il gruppo statunitense Eli Lily ed approvato in Canada, Israele, Stati Uniti ed Ungheria e il cocktail della società americana Regeneron che, proprio come quello di AbCellera ed Eli Lilly, ha ricevuto luce verde da parte della Food and Drug Administration (FDA) americana. Il bamlanivimab, secondo i dati pubblicati sul prestigioso New England Journal of Medicine, riduce il rischio di ricovero in ospedale se somministrato all’insorgenza dei sintomi su pazienti ad alto rischio mentre il prodotto della Regeneron è in grado di ridurre la carica virale in maniera significativa. Sono poi in corso una serie di sperimentazioni cliniche da parte di altre società. Si tratta della combinazione AZD7442 di AstraZeneca, che dovrebbe impedire a chi è stato esposto al Covid-19 di sviluppare la malattia, dell’anticorpo monoclonale anakirna della svedese Sobi e del VIR-7831 di Vir Biotechnology e GlaxoSmithKline. C’è poi il lavoro portato avanti dalla fondazione Toscana Life Sciences in collaborazione con l’Istituto Spallanzani e coordinato dal Professor Rino Rappuoli per lo sviluppo di un anticorpo monoclonale tutto italiano. La commercializzazione del prodotto, in caso di esito positivo delle sperimentazioni, è però distante ancora qualche mese.

Covid : gli anticorpi monoclonali se dati subito funzionano. Letizia Gabaglio su La Repubblica il 25 gennaio 2021. Abbassano, anche se poco, la carica virale. I risultati di due studi fanno luce sull'efficacia di questi farmaci biologici, che in futuro potrebbero essere usati anche nella profilassi. Il vaccino da solo non basta. Se vogliamo uscire dall'incubo della pandemia, l'armadietto dei farmaci deve essere ben fornito. Per esempio con medicinali capaci di agire agli esordi dell'infezione, prima che il virus cominci a moltiplicarsi nelle cellule e a fare danni. Oggi si usano diversi farmaci per tamponare la situazione, anche se uno solo è quello approvato con questa precisa indicazione – remdesivir -, ma sono decine e decine le molecole allo studio. Fra queste gli anticorpi monoclonali, per intenderci quelli che nelle parole dell'ex presidente Trump “gli hanno salvato la vita”. Che sia stato per questo o per altro non lo sappiamo, ma rispetto ad allora oggi abbiamo qualche prova in più della capacità di questi farmaci di ridurre la carica virale e rallentare la progressione dell'infezione. Lo dicono due studi pubblicati sul New England Journal of Medicine i cui risultati sono “stimolanti e promettenti”, come scrive Myron S. Cohen, dell'Università del North Carolina, in un commento sempre sulla rivista scientifica. Ma aprono anche molti quesiti sull'effettiva possibilità di usare questo tipo di farmaci, come sottolinea sempre l'esperto. Vediamo quindi questi risultati. Non prima però di aver ricordato che altri studi, condotti su pazienti gravi, erano stati piuttosto deludenti: gli anticorpi monoclonali non funzionano quando l'infezione è nel pieno della sua espansione. Da qui l'idea di provare quando invece il virus si è appena presentato. I due studi hanno infatti preso in esame pazienti positivi al Sars-Cov-2 in cui i sintomi della malattia erano apparsi al massimo da 7 giorni ed erano comunque lievi. Le molecole messe sotto esame nelle due sperimentazioni sono state la combinazione casirivimab-imdevimab e bamlanivimab. Gli studi, che in totale hanno coinvolto circa mille persone, rilevano un abbassamento della carica virale nelle mucose nasali: “Una riduzione piuttosto modesta, a dire il vero, e nel caso di bamlanivimab senza relazione con la dose somministrata”, commenta l'immunologo Alberto Beretta. In ogni caso, dal momento che si ritiene che la diminuzione del virus nel tratto orofaringeo sia collegata a un rischio inferiore di aggravarsi, i risultati sono stati considerati tutto sommato soddisfacenti. Anche considerando che questi dati siano confermati in studi più ampi, la somministrazione degli anticorpi monoclonali pone dei problemi organizzativi non banali. “Si tratta di individuare pazienti positivi al tampone, negativi al sierologico, e nel giro di pochi giorni pianificare una terapia che richiede di stare in ospedale per almeno due ore”, spiega ancora Beretta. “Si tratta di pazienti con pochi sintomi per i quali non abbiamo indicatori che ci dicano chi è a maggior rischio. Chi farebbe la scelta?”. Insomma, anche se se ne provasse l'efficacia il rischio è che questi farmaci sarebbero poco gestibili nella pratica di tutti i giorni. “Ma un lato positivo di questi studi c'è”, dice l'immunologo. “Si dimostra una volta di più che gli anticorpi circolanti sono efficaci contro il virus che si trova nelle muscose nasali, cioè proprio là dove entra. Che arrivano fino a lì e fanno il loro dovere”.  Un concetto che apre la strada a un possibile uso degli anticorpi monoclonali nella profilassi, per quelle persone che non si possono vaccinare o che hanno bisogno di una protezione più rapida rispetto al vaccino, pre o post esposizione. Che questo sia uno dei possibili sviluppi futuri di questi farmaci lo testimoniano anche due studi clinici attualmente in corso proprio per provare questa ipotesi. La ricerca contro Covid prosegue quindi e, anche quando non ottiene risultati smaglianti, aggiunge comunque un tassello al complicato puzzle della gestione della pandemia. 

Giuseppe Scarpa per "Il Messaggero" il 14 gennaio 2021. La scatola è bianca e blu, si chiama Lianhua Qingwen Jiaonang. I carabinieri del Nas ne hanno sequestrato, nei giorni scorsi, centinaia di pacchi nella Capitale. Nella comunità cinese romana è molto diffuso, venduto per curare chi il Covid-19 lo ha già contratto. I medici venuti in Italia da Pechino, lo scorso autunno, ne avevano portato diversi scatoloni. Il punto, però, è che si tratta di un prodotto farmaceutico privo delle autorizzazioni per l'immissione in commercio nel nostro Paese, perciò il procuratore aggiunto Nunzia D'Elia ha aperto un fascicolo in merito, visto che gli scaffali di alcune erboristerie dalle parti di piazza Vittorio ne erano ben fornite. Ecco, allora, che i militari dell'Arma sono intervenuti requisendo il materiale e denunciando diversi cinesi per averlo importato e venduto a molti connazionali. Anche se il business nell'ultimo periodo si era allargato ad una platea sempre più ampia di italiani. Tra l'altro il prodotto non è venduto solo dalla comunità cinese romana, infatti Lianhua Qingwen Jiaonang è acquistabile attraverso internet. In Cina è perfettamente legale. E così è sufficiente indicare indirizzo e poi effettuare il pagamento con la carta di credito per vedersi recapitare a casa il farmaco entro dieci, al massimo 16 giorni. Una confezione con 48 pillole viene venduta a poco meno di dieci dollari. Nello stesso sito non si parla di un impiego del medicinale per i pazienti affetti dal Covid-19, in generale si cita il «documento pubblicato sul Scientific World Journal» secondo cui «la capsula di Lianhua-Qingwen è un preparato medico cinese comunemente usato per trattare i virus, soprattutto ha svolto un ruolo rilevante nella lotta contro la sindrome respiratoria acuta grave (Sars) nel 2002-2003 in Cina». In Italia sulla pagina web dell'Artoi (Associazione ricerca terapie oncologiche integrate) si parla del Lianhua Qingwen e si precisa che si tratta di un prodotto della «medicina tradizionale cinese (Mtc) utilizzato per migliorare la complicazione polmonare dei pazienti affetti da Covid-19. Si tratta di un mix di estratti di piante di cui conosciamo singolarmente gli effetti. Le sostanze di cui parliamo sono tutte ben conosciute dalla comunità scientifica e sono in grado di dare vantaggi in termini di riduzione dell'infiammazione sistemica, anti-edema, riduzione della produzione di citochine pro-infiammatorie, e non ultimo alcune di esse hanno anche un'azione più specifica verso il parenchima polmonare». L'Artoi, però, mette in guardia su un impiego nel nostro Paese spiegando che «non è in commercio e non può essere somministrato». Per questo motivo i carabinieri del Nas hanno eseguito il maxi sequestro nella Capitale.

Da adnkronos.com il 2 giugno 2021. "Abbiamo dimostrato che raggi Uva e Uvb del sole nel giro di poche decine di secondi uccidono completamente il Sars-Cov-2". Lo afferma Mario Clerici, docente di Patologia generale all’Università Statale di Milano e direttore scientifico dell’Irccs di Milano Fondazione Don Gnocchi, autore, insieme al gruppo di ricerca dell'Istituto nazionale di astrofisica, di uno studio tutto italiano pubblicato oggi in preprint. "Questo studio - spiega Clerici all'Adnkronos Salute - è essenzialmente il seguito di un precedente lavoro che avevamo fatto l'anno scorso quando avevamo visto che i raggi Uvc che sono una componente dei raggi solari che però non arriva sulla terra, uccidevano il Sars-Cov-2 dopo un'esposizione di pochi secondi. Però gli Uvc - ribadisce Clerici - non arrivano sulla terra, quindi quei dati erano importanti solo da un certo punto di vista. Adesso, abbiamo visto che anche gli Uva e Uvb che sono i raggi che arrivano sulla terra, ci abbronzano e ci riscaldano, nel giro di poche decine di secondi uccidono completamente il Sars-Cov-2. Dunque - sottolinea - abbiamo esattamente replicato i dati sugli Uvc però dimostrando questa volta che tutti i raggi solari distruggono il virus. E fra l'altro - aggiunge l'immunologo - il tempo necessario, quando per esempio si è in spiaggia con il sole che viene amplificato dal riverbero sulla sabbia o sull'acqua, è ancora più breve. Quindi in spiaggia - afferma Clerici - bastano veramente 10-20 secondi di Uva e Uvb per uccidere completamente il virus". "La nostra idea - spiega il ricercatore - è che questo, insieme alla percentuale sempre più alta di vaccinati, spieghi perché con la bella stagione stiamo superando la problematica". Ma allora perché in Brasile durante l'estate, così come in India si sono verificati una valanga di contagi? "Innanzi tutto c'è da dire che il sole - sottolinea Clerici - non è il solo elemento che giustifichi tutto quello che osserviamo. In India hanno contribuito le feste religiose con i bagni nel Gange e poi c'erano i monsoni, quindi c'era tutta la velatura dei raggi solari dovuta alle nuvole. In Brasile sappiamo tutti quello che è successo - aggiunge l'immunologo - purtroppo hanno pagato la gestione Bolsonaro, perché è vero che servono i raggi solari però servono anche le mascherine, i vaccini e tutto il resto". Ad ogni modo gli esperimenti hanno confermato l'efficacia del sole contro il Covid-19. "Si vede proprio in una visualizzazione - dice l'immunologo - l'effetto dei raggi solari sul virus: se non lo esponi ai raggi solari il virus infetta le cellule, se lo esponi ai raggi solari lo uccidi". Una scoperta che potrebbe avere eccellenti applicazioni nella vita di tutti i giorni per sterilizzare oggetti e ambienti dal virus. "I dati dell'anno scorso erano importanti perché hanno portato allo sviluppo di dispositivi che svolgevano proprio questa funzione ma i raggi Uvc - ricorda lo scienziato - sono pericolosi per la cute umana, quindi non si poteva stare nella stessa stanza dove venivano applicati. I raggi Uvb invece no, sono i raggi che ci toccano normalmente quando usciamo al sole, per cui questa scoperta ha un'importanza molto più alta". Insomma se mettessimo delle normali lampade solari negli autobus potremmo risolvere un problema? "Sì. A parte il fatto che ne usciremo tutti più abbronzati e più belli, quello che suggeriscono questi dati è proprio questo". Ma vediamo come si è arrivati alla dimostrazione sperimentale di questa scoperta. "Gli astrofisici hanno collegato una macchinetta che produce i diversi raggi solari in maniera distinta, quindi solo gli Uva o gli Uvb o gli Uvc piuttosto che gli ultravioletti - spiega Clerici - poi abbiamo messo la macchinetta sotto una cappa, abbiamo preso le cellule polmonari e abbiamo buttato sopra il virus. E il virus che è stato esposto oppure no alle diverse componenti dei raggi solari. Dapprima - chiarisce l'immunologo - abbiamo usato una dose massimale di virus, quindi molto molto più alta di quella che si ha in un soggetto con Covid. E poi abbiamo usato la dose presente in un paziente con Covid severo, per vedere se poteva avere anche una potenziale importanza clinica. Ed effettivamente è così: si inattiva nel giro di pochi secondi la quantità di virus che è quella che nei pazienti provoca il Covid severo".

Così i raggi solari abbattono il Covid. Alessandro Ferro il 7 Maggio 2021 su Il Giornale. Uno studio italiano in fase di pubblicazione dimostra come i raggi ultravioletti "uccidono" il Covid-19: "Una minima dose di quei raggi, in un periodo molto breve, è in grado di inattivare completamente il Sars-Cov-2". Ci sono tanti motivi per cui, oggi, bisogna essere ottimisti e positivi ma non la positività legata al Covid, semmai l'esatto opposto: numerosi studi, tra cui uno italiano che sta per essere pubblicato, confermano quanto avevamo già "intuito" l'estate scorsa, ovvero che i raggi solari inattivano il Covid-19.

Astrofisica e virologia insieme. L'unione fa la forza: è proprio il caso di dirlo dal momento che si sono uniti due campi apparentemente lontanissimi tra loro, l'astrofisica con quello dello studio dei virus e la virologia. “Tutto è iniziato nel marzo 2020 quando il Ministero dell’Università e Ricerca (Mur), ha invitato tutti gli enti di ricerca e le Università a mettere a disposizione le proprie competenze per combattere la pandemia. Il presidente di allora, il prof. D’Amico che purtroppo è scomparso, mi ha nominato coordinatore nazionale e siamo partiti da quello che sappiamo fare meglio, la conoscenza della luce, ed abbiamo avuto la fortuna di collaborare con l’Università di Milano dal gruppo guidato dal prof. Clerici e dalle prof.sse Biasin e Trabattoni per fare subito degli esperimenti e mettere in campo competenze diverse", ha affermato in esclusiva per ilGiornale.it Giovanni Pareschi, direttore dell'INAF (Istituto Nazionale di Astrofisica) all'Osservatorio Astronomico di Brera a Merate, in provincia di Lecco. Con risultati per certi versi strabilianti, sono stati osservati i cambiamenti del virus Sars-Cov-2 se colpito dai raggi solari ma anche da quelli artificiali.

L'effetto dei raggi UV-A, UV-B e UV-C sul Covid. “Ci siamo concentrati su due aspetti particolari: la disinfezione del virus con la cosiddetta radiazione UV-C, quella delle lampade blu che ci sono all’interno degli acquari, un metodo potentissimo ed efficacissimo ma purtroppo ancora poco utilizzato in Europa per disinfettare l’aria negli ambienti chiusi", ci ha detto il prof. Pareschi, spiegandoci che i mezzi di contagio del virus sono sostanzialmente tre: il contatto diretto (quando parliamo vicino), le superfici e l’aerosol, che rimane sospeso anche per ore all’interno degli ambienti chiusi e l’unico modo per combattere questa forma di contagio è attraverso il ricambio d’aria. "In questo caso, le lampade UV-C sono molto efficaci ma sono state poco adottate negli ambienti pubblici, in scuole ecc. L’altro aspetto sul quale ci siamo concentrati - aggiunge Pareschi - è che la radiazione UV-C è emessa dal sole ma non raggiunge la Terra perché è assorbita dallo strato troposferico dell’ozono". In pratica, questa è l'unico tipo di radiazione che può essere utilizzato artificialmente e non naturalmente.

Cosa succede in estate. "Tuttavia, le componenti UV-A e UV-B dello spettro solare raggiungono comunque la superficie terrestre. "Noi ci siamo concentrati nel capire se e come l’illuminazione solare relativamente a queste componenti spettrali possano moderare la pandemia". Le ricerche, iniziate nel maggio del 2020 sono tuttora in corso ma già, all’inizio dell’estate scorsa, "basandoci su dati e studi preliminari, avevamo previsto che la pandemia sarebbe stata stagionale, con delle ondate, con grande anticipo su quanto poi realmente avvenuto", afferma l'astrofisico. Ed il risultato degli studi è particolarmente importante perché "emerge che questo virus, ad Rna, è particolarmente prono ad essere inattivato dalla radiazione solare che giunge sulla Terra sia dai raggi UV-A che da quelli UV-B. Questo significa che in estate, sia a causa dei raggi solari, sia perché le bollicine di saliva emesse dalle persone evaporano facilmente, se c’è un ambiente popolato da persone distanziate, l’aerosol può venire annientato in poche decine di secondi in pieno giorno". Il professore fa l'esempio di una spiaggia dove questo fenomeno è ancora più accentuato grazie al riverbero da parte della sabbia che ne amplifica l’effetto. "Noi, quindi, colleghiamo la stagionalità alla presenza dei raggi UV-B e UV-A solari".

Cosa accade dal punto di vista immunologico. Se dal punto di vista astrofisico abbiamo le idee più chiare, cosa accade dal punto di vista immunologico? I risultati sono praticamente identici e sono stati osservati anche da un punto di vista clinico sulle cellule polmonari. “L'anno scorso abbiamo pubblicato la capacità dei raggi UV-C di inattivare quasi del tutto il virus, ma sono filtrati dall’ozono e non raggiungono la superficie della Terra. Adesso abbiamo ampliato quei dati con un pre-print pronto per essere pubblicato dove dimostriamo che usando anche i raggi UV-A e UV-B, quelli cioè che raggiungono la superficie della Terra e che arrossano la pelle così come quelli che ci permettono di acquistare la tintarella, una minima dose di quei raggi, in un periodo molto breve, è in grado di inattivare completamente il Covid-19. Se osserviamo al microscopio il virus e lo mettiamo su un tappeto di cellule polmonari, si dimostra che con una minima dose non c’è più, scompare, si vede proprio la sua assenza”: è quanto ha detto in esclusiva per ilGiornale.it Mario Clerici, professore Ordinario di Immunologia e Immunopatologia e direttore del dipartimento di Fisiopatologia e Trapianti dell'Università Statale di Milano.

"I raggi solari alterano la genetica del virus". Le ipotesi di alcuni ricercatori scozzesi (qui il loro studio) è che l’esposizione ai raggi UV-A stimola la produzione di ossido di azoto che ha proprietà antisettiche e potrebbe ridurre la capacità di replicazione del Sars-Cov-2. “Sono piuttosto scettico: gli UV-A, direttamente, sono già in grado di bloccare il virus perché ne alterano le basi genetiche. Non c’è bisogno di ricorrere ad un meccanismo così complesso perché è già sufficiente quello che accade con i raggi solari", afferma il prof. Clerici. Ma non è tutto: i raggi ultravioletti attivano anche la sintesi della vitamina D "che è un potente stimolo per la produzione di linfociti B e T, in questo modo aumentiamo la risposta immune al virus ma anche questa spiegazione non è necessaria e aggiunge un livello di complessità ad un fenomeno che di per sé è semplice. I raggi UV-A e UV-B, direttamente, impediscono al virus di replicarsi perché ne danneggiano la struttura genica”, sottolinea l'immunologo.

Cosa succede in autunno ed in inverno. Il sole c'è tutto l'anno, i raggi solari arrivano sempre ma diventano meno efficaci quando il nostro emisfero si trova nel periodo autunnale ed invernale. “Qui entra in campo la nostra competenza di astronomi - afferma Pareschi - questo accade semplicemente perché il flusso è minore soprattutto a causa del posizionamento reciproco tra Terra e Sole, ne arrivano molti di meno. Il posizionamento tra Terra e sole è tale che la diminuzione è, a seconda della posizione del globo, fino ad un fattore di circa 10 di meno”. Inoltre, l'esperto ci dice che uno dei risultati più importanti in fase di pubblicazione riguarda i raggi ultravioletti nei confronti del Covid. "Questo virus ad Rna sembra essere molto più prono ad essere inattivato dai raggi UV-A rispetto ad altri virus, in particolare quelli a Dna. Questo ci dice che è molto più sensibile di altri alla radiazione solare".

Perché nei "Paesi caldi" il virus uccide? Attenzione, però: i più attenti possono far notare che in Brasile, dove è praticamente estate tutto l'anno ed i raggi solari sono sempre molto abbondanti, la pandemia continua a correre e far vittime a causa di un altro fattore climatico che, di fatto, annulla i benefici dei raggi ultravioletti. "L’umidità conta tantissimo: dove ci sono nubi e clima umido, anche d’estate, la stagionalità è meno pronunciata: il Brasile è una nazione molto grande e c’è una grandissima differenza tra Rio de Janeiro e l’Amazzonia: studi fatti sull’influenza hanno mostrato come un’epidemia diminuisca molto rapidamente nella zona di Rio ma permane nell’Amazzonia dove c’è un clima molto più umido”, ci dice il prof. Pareschi. La domanda sorge spontanea: quando si legge che il caldo e il sole indeboliscono il virus è sbagliato? “Spesso sono usate parole in modo inappropriato: l’estate, a latitudini come la nostra, è collegata ad un aumento dei raggi ultravioletti, su questo aspetto siamo sicuri e pensiamo siano uno dei fattori che inattivano il virus. Il caldo, invece, è molto generico: di per sé non gli fa nulla, il virus sopravvive fino a 70 gradi però ha bisogno di acqua, le famigerate bollicine di saliva. Il caldo può aiutare nel far evaporare queste bollicine agendo in modo indiretto mentre gli ultravioletti sono un fattore diretto: tutto questo lo vediamo con un’efficienza incredibile nelle prove sperimentali, stupiscono anche noi. Non ci aspettavamo tutta questa efficacia degli ultravioletti A e B", afferma l'astrofisico. Il messaggio è chiaro: un conto è la spiaggia all'aperto, distanziati, un altro una discoteca in cui si è tutti assembrati: è logico che in questo caso il virus si possa trasmettere, e gli esempi che abbiamo avuto l'estate scorsa non hanno necessitato né di studi astrofisici né di studi epidemiologici.

Quanto conta la vitamina D? I raggi solari, però, oltre a far morire il Covid in brevissimo tempo e darci la tintarella, provocano lo stimolo della vitamina D che il nostro corpo immagazzina durante la stagione estiva grazie alla quale "campiamo di rendita" per alcuni mesi. Come influisce tutto questo sulla malattia da Sars-Cov-2? “Se colleghiamo l’esposizione ad UV-A ed UV-B all’ aumento della sintesi della vitamina D che è un potenziatore della risposta difensiva (anticorpi e linfociti), in autunno abbiamo un sistema immunitario che funziona meglio perché ci portiamo dentro maggiori quantità di vitamina D che sono state sintetizzate con l’esposizione al sole", ci dice il prof. Clerici. C’è chi dice che il virus colpisca qualsiasi persona e chi dice che, se si hanno maggiori quantità di vitamina D, in qualche modo si può evitare un grado di malattia più forte. La vitamina D dei raggi solari è diversa da quella contenuta nei cibi o nei prodotti in pillole? “Ha messo il dito esattamente nella piaga - sorride l'epidemiologo - la vitamina D sintetizzata dai precursori cutanei in seguito all’esposizione ai raggi UV-A e UV-B ed è qualitativamente migliore rispetto a quella che si può assumere con una pillola, tra i suoi effetti c'e una migliore stimolazione della risposta immunitaria”. Quindi, non è tutta uguale. “La vitamina D che il corpo produce spontaneamente funziona meglio rispetto a quella che si può prendere con pastiglie piuttosto che con cibi ricchi di questa sostanza. Funziona meglio quella prodotta dalla pelle ma non c’è alcun dato sperimentale che senz’altro dimostri che alte dosi di vitamina D ci difendano meglio dal Sars-Cov-2. È presumibile ma non ci sono dati solidi e non discutibili che dimostrino ciò”, sottolinea, senza dare false speranze a chi, per mesi, ha continuato a dire che la vitamina D "proteggesse" dal Covid. “La vitamina D può dare un aiuto, ad esempio, se si ha un herpes al labbro, un’infezione poco seria. Ma con quella tosta come quella del Sars-Cov-2 non è sufficiente per fare la differenza. Essenzialmente, l’unico modo per vincere la pandemia è vaccinarsi: qualunque tipo di vaccino ci diano, facciamolo. Anche perché, nessuno sa, gli effetti collaterali severi tra vaccini non sono alla fine piu frequenti in AstraZenecache in Pfizer", conclude Clerici.

Covid-19, la vitamina D aiuta davvero? Mauro Indelicato, Sofia Dinolfo su Inside Over il 18 marzo 2021. Le esperienze internazionali mostrano sempre più come il ruolo della vitamina D sia molto incisivo nella lotta contro le forme più gravi del Covid. Dai Paesi scandinavi all’Italia non mancano gli esempi di protocolli che danno credito agli studi fin qui condotti. Il perché è presto detto: gli integratori di vitamina D hanno costi irrisori e aiutano a far vincere la battaglia contro l’epidemia già da casa evitando il sovraffollamento degli ospedali. Tuttavia, nel nostro Paese, lo studio è preso in considerazione solo dalla Regione Piemonte.

Gli studi sulla vitamina D. L’importanza della vitamina D è riconosciuta sin dai tempi in cui la ricerca scientifica ha mosso i primi passi. Tra i numerosi benefici che essa è in grado di arrecare al corpo umano ve n’è uno che, in questo momento caratterizzato dalla pandemia da coronavirus,  non può essere sottovalutato. Si tratta della capacità di ridurre il rischio di influenze e malattie legate alle vie respiratorie. Studi specifici hanno dimostrato come la sua carenza possa portare ad una maggiore esposizione al rischio di contrarre la polmonite. Tra le ricerche eseguite di recente, a confermare le varie tesi in tal senso v’è quella eseguita a Tor Vergata e che ha messo in evidenza come la presenza di vitamina D nel sangue sia stata fondamentale per prevenire i casi di Covid in forma grave. Al contrario, i casi di esito fatale, sono stati ricollegati a chi presentava valori di vitamina D significativamente inferiori del 40% rispetto ai soggetti sopravvissuti. Lo studio italiano è approdato in una delle riviste scientifiche più importanti al mondo: The Journal of the American College of Nutrition. Non è un caso se in un’altra prestigiosa rivista, ossia The British Medical Journal, il 7 aprile dello scorso anno stati pubblicati altri simili studi condotti dal ricercatore Robert A. Brown nella quale si legge: “Probabilmente è urgente che la ricerca sia fatta, per determinare se la carenza di vitamina D nel caso di COVID-19, incida su  infezione, progressione, gravità e mortalità. I test della vitamina D nel sangue sono economici. Le cartelle dei pazienti devono essere conservate in ogni caso. Il lavoro aggiuntivo e l’onere del rischio nel prendere le misurazioni della vitamina D sono limitati. Tuttavia, la ricompensa potrebbe essere molto significativa, persino un punto di svolta”.

Il “paradosso scandinavo”. Nel nord Europa vi è la grande penisola scandinava composta da diversi Stati la cui posizione geografica e l’alta latitudine determinano la rigidità del clima. In Norvegia così come in Finlandia o in Danimarca, poter godere dei caldi raggi solari diviene pressoché una chimera. Motivo questo per il quale, sin da sempre, si è cercato di sostituire l’apporto naturale di vitamina D, assorbita tramite l’esposizione al sole, con degli integratori. In questi Paesi, sin da bambini, si viene educati all’assunzione di questa vitamina perché appunto ritenuta di fondamentale importanza. A confermare su InsideOver le “abitudini” scandinave è il presidente della fondazione Hume Luca Ricolfi: “Essendo popoli molto evoluti, proprio per questa carenza ambientale la somministrano da diversi anni artificialmente ai bambini fin da neonati”. Ed ecco che durante la pandemia, soprattutto con riferimento alla seconda ondata che ha investito l’Europa, sono emersi alcuni dati di particolare importanza. La Finlandia ad esempio, secondo quanto riportato dalla Cnn, “ha registrato la media più bassa d’Europa di infezioni e decessi pro capite negli ultimi mesi. È riuscita a contenere i focolai locali pur seguendo alcune delle restrizioni più rilassate del continente”. Tutto questo nonostante “i movimenti interni non erano limitati – si legge nel documentario del network di Atlanta – chi ne aveva bisogno poteva frequentare la scuola e i luoghi di lavoro di persona e non era obbligatorio indossare la mascherina”. Analogo discorso vale per Norvegia e Danimarca. L’educazione all’assunzione di vitamina D in questi ruoli potrebbe aver giocato un ruolo decisivo nel contenimento della mortalità per Covid.

L’esperienza inglese e spagnola. In Spagna le ricerche su possibili effettivi positivi dettati da specifiche cure basate sulla vitamina D, sono partiti nella seconda metà del 2020. Uno studio pubblicato su Lancet ha dato riscontri positivi. All’Hospedal del Mar di Barcellona ad esempio, a 551 pazienti Covid è stato somministrato il calcifediolo, farmaco a base di vitamina D. Di quel gruppo di persone ricoverate, solo in 30 sono finite  in terapia intensiva. La conclusione delle ricerca è stata chiara: l’uso di farmaci del genere ha impedito l’aggravamento delle condizioni di salute di molti pazienti. Cosa ha comportato tutto questo? In primo luogo un tasso minore di occupazione di posti letto in terapia intensiva. Circostanza confermata nei media spagnoli anche da José Manuel Quesada, medico dell’ospedale di Cordoba tra i più impegnati nella ricerca: “L’uso del calcifediolo – ha dichiarato – potrebbe diminuire le ospedalizzazioni dell’80%”. Una cifra che, se confermata da altri riscontri, avrebbe l’aspetto di un’autentica manna per i sovraccaricati sistemi ospedalieri europei. Perché la vera guerra contro il Covid sta proprio nella necessità di alleggerire il più possibile la pressione sugli ospedali. In tal senso il ruolo della vitamina D potrebbe diventare fondamentale. Non è un caso che in Gran Bretagna già a novembre un protocollo del ministero della Sanità ha previsto la consegna gratuita di integratori di vitamina D ad almeno 2.7 milioni di persone. Un nutrito gruppo al cui interno sono compresi anziani e soggetti più deboli.

La lotta al Covid parte dalle cure a domicilio. In Italia al momento non sono previste specifiche misure sulla vitamina D. Soltanto la Regione Piemonte si è mossa in tal senso. Il 6 marzo è stato infatti modificato il protocollo per la presa a carico a domicilio dei pazienti Covid effettuata dalle Unità Speciali di Continuità Assistenziale (Usca). Al suo interno è stato previsto anche l’uso di integratori e farmaci a base di vitamina D: “Siamo convinti, perché lo abbiamo riscontrato sul campo fin dalla prima ondata, che in molti casi il virus si possa combattere molto efficacemente curando i pazienti a casa – si legge nella nota dell’assessore alla Sanità della Regione Piemonte, Luigi Genesio Icardi –  Non vuol dire limitarsi a prescrivere paracetamolo per telefono e restare in vigile attesa, ma prendere in carico i pazienti a domicilio”. La vera sfida per il contrasto all’attuale emergenza sanitaria, sta quindi nel prevenire le ospedalizzazioni e contrastare il virus quando ancora le infiammazioni non hanno provocato l’insorgenza di gravi patologie. L’implementazione dell’uso della vitamina D andrebbe in questa direzione. L’esempio piemontese è però attualmente l’unico in Italia. Elemento che pone il nostro Paese in ritardo sulle cure domiciliari. Eppure, anche ad emergenza finita, l’argomento potrebbe essere essenziale per il futuro della sanità: “L’emergenza coronavirus – ha infatti commentato su InsideOver lo studioso Pierluigi Fagan – ha fatto notare l’importanza di virare verso una sanità di prossimità, in grado di essere più radicata sul territorio e non intervenire soltanto nella fase di ospedalizzazione”. 

Coronavirus, "morti ridotti del 60%": ecco che cosa "ammazza" il Covid, una scoperta che può fare la storia. Libero Quotidiano il 14 febbraio 2021. Da uno studio, una speranza contro il coronavirus. Una speranza che risponde al nome di vitamina D, che ridurrebbe le morti per Covid-19 del 60 per cento. Cifre pazzesche, se le cose stessero come ritiene la ricerca pubblicata dal Social Science Research Network. Lo studio ha valutato l'efficacia del calcifediol - una vitamina D3 - su più di 550 persone che sono state ricoverate nei reparti Covid dell'Hospital del Mar a Barcellona, in Spagna. I pazienti sono stati assegnati in modo casuale o come destinatari del trattamento con calcifediolo o come controlli al momento del ricovero, prima di ricevere cinque dosi di vitamina a intervalli crescenti di due, quattro, otto e 15 giorni. E stando alle evidenza, questo tipo di terapia potrebbe "salvare molte migliaia di vite". Lo studio ha infatti rilevato che i malati di coronavirus trattati con dosi di vitamina D avevano l'80% in meno di probabilità di richiedere un trattamento in terapia intensiva. Dall'Università di Barcellona hanno anche concluso che "i risultati hanno mostrato una mortalità ridotta di oltre il 60%" per coloro che hanno ricevuto il trattamento con calcifediolo. Uno studio celebrato anche da David Davis, ex segretario per la Brexit, che su Twitter ha parlato di risultati "molto importanti. I risultati di questo studio ampio e ben condotto dovrebbero portare a questa terapia somministrata a tutti i pazienti Covid in ogni ospedale. Il governo del Regno Unito dovrebbe aumentare la dose e la disponibilità di vitamina D a tutti i gruppi vulnerabili", ha rimarcato Davis. E ancora, ha aggiunto: "Questi approcci salveranno molte migliaia di vite. Sono in ritardo e dovrebbero essere avviati immediatamente". Nel dettaglio la ricerca, che è comunque ancora in una fase preliminare, ha rilevato che 36 dei 551 pazienti trattati con calcifediol sono morti per Covid-19 rispetto ai 57 pazienti su 379 nel gruppo di controllo. In un altro contesto, lo stesso gruppo di ricercatori ha rilevato che solo il 5% del gruppo calcifediolo è stato ricoverato in terapia intensiva. Dati davvero incoraggianti.

Coronavirus, conferme da test e terapie intensive: vitamina D, conseguenze pesantissime. Caterina Maniaci su Libero Quotidiano il 21 gennaio 2021. Non solo vaccini. Ci sono superpoteri da schierare in campo nella battaglia contro la pandemia. E non bisogna andarli a cercare chissà dove, esistono già e sono a portata di mano: sono i poteri della vitamina D. È stato verificato che può contribuire a far diminuire i trasferimenti in terapia intensiva e i decessi per pazienti colpiti da Covid. A queste conclusioni è arrivato infatti uno studio condotto e coordinato dall'Università di Padova con il supporto delle Università di Parma, di Verona e gli Istituti di Ricerca CNR di Reggio Calabria e Pisa, pubblicato sulla rivista Nutrients. Il team di ricercatori, guidato dal professor Sandro Giannini dell'Università di Padova ha dunque evidenziato scientificamente l'effettivo ruolo della vitamina D nel trattamento della malattia sviluppata dal Covid-19. Bisogna ricordare che sono ormai molti gli studi, condotti a livello internazionale, sulla sua efficacia nello sviluppo di una funzione protettiva verso agenti infettivi. Allo stato attuale non sono ancora molte le informazioni precise su come la vitamina possa influire sull'insorgenza ed il decorso della malattia collegata al Covid -19. Molti lavori scientifici hanno associato l'ipovitaminosi D (cioè la carenza della vitamina stessa nel nostro organismo) a una maggiore esposizione alla malattia ed alle sue manifestazioni cliniche più aggressive. Poco si sapeva, invece, sugli effetti dell'assunzione di colecalciferolo (vitamina D nativa) in pazienti già affetti da Covid-19. Lo studio compiuto dalle nostre Università ha percorso la strada che una recente ricerca francese aveva suggerito, ossia verificare se realmente la terapia con colecalciferolo, assunta nei mesi precedenti il contagio, potesse favorire un decorso meno critico in pazienti anziani fragili affetti da Covid. E la ricerca italiana mostra come la somministrazione di vitamina D a soggetti affetti da Covid-19 abbia potenziali effetti positivi sul decorso della malattia. «I pazienti della nostra indagine, di età media 74 anni», ha spiegato il professor Giannini, «erano stati trattati con le associazioni terapeutiche allora usate in questo contesto e, in 36 soggetti su 91 (39.6%), con una dose alta di vitamina D per 2 giorni consecutivi. I rimanenti 55 soggetti (60.4%) non erano stati trattati con vitamina D». Lo studio aveva l'obiettivo, precisamente, di valutare se il numero di pazienti che andavano incontro al trasferimento in Unità di Terapia Intensiva e, purtroppo, al decesso, potesse essere condizionato, e in quale misura, dall'assunzione di vitamina D. Durante un periodo di sperimentazione di 14 giorni circa, 27 (29.7%) pazienti sono stati trasferiti in Terapia Intensiva e 22 (24.2%) sono deceduti. Nell'analizzare i dati si è potuto constatare che in pazienti affetti da diverse patologie era più evidente il beneficio indotto dalla vitamina D. «In particolare», ha sottolineato Giannini, «in coloro che avevano assunto il colecalciferolo, il rischio di andare incontro al decesso o al trasferimento in Terapia Intensiva era ridotto dell'80% rispetto ai soggetti che non l'avevano assunto». Un barlume in fondo al tunnel, una strada da percorrere, considerando che non si possono riporre tutte le speranze e concentrare ogni sforzo solo sui possibili vaccini, ma si devono cercare cure efficaci e preventive. Proprio sull'efficacia della vitamina D hanno puntato anche in Inghilterra. Con un programma di sperimentazione già partito grazie al quale i volontari ricevono delle pillole per posta da prendere ogni giorno per sei mesi, se un test pungidito mostrerà carenze di questa vitamina. Lo studio, condotto dai ricercatori della Queen Mary University di Londra e finanziato da Barts Charity, utilizza dosi più elevate di vitamina D rispetto ai normali integratori. Come ha spiegato il ricercatore David Jolliffe, lo studio «ha il potenziale per dare una risposta definitiva» alla domanda se la vitamina D offra una protezione contro il Covid. E bisogna considerare che «gli integratori di vitamina D sono a basso costo, a basso rischio e ampiamente accessibili; se si dimostreranno efficaci, potrebbero aiutare in modo significativo nella lotta globale contro il virus». Attenzione, però: il messaggio di questi studi non è quello di incitare a correre a imbottirsi di vitamina, sentendosi così al riparo degli attacchi del virus. Anche perché, se è vero che gli integratori di vitamina D sono sicuri, assumere ogni giorno più della quantità raccomandata, dicono gli esperti, può essere pericoloso a lungo termine.

Come la Vitamina D può essere un’arma in più contro il Covid. Mauro Indelicato, Sofia Dinolfo su Inside Over il 10 marzo 2021. Studi scientifici sono sempre più concordi nell’evidenziare come l’utilizzo della vitamina D possa ridurre il rischio di mortalità da Covid-19. Se assunta prima dell’insorgenza dell’infezione, i risultati possono essere davvero sorprendenti. In Gran Bretagna già a novembre il governo aveva approvato un protocollo per la distribuzione di integratori a base di vitamina D a 2.7 milioni di persone riscontrando la veridicità della ricerca. In Italia invece solo il Piemonte sta sviluppando una modalità di intervento che prevede l’utilizzo della vitamina D. Perché il protocollo non trova applicazione in tutto il nostro Paese?

La funzione della vitamina D. In ambito scientifico è da sempre risaputo come la vitamina D abbia un ruolo importante nell’attività antimicrobica non solo contro gli agenti patogeni ma anche verso i virus respiratori. Al contempo è stato dimostrato che la mancanza di questa vitamina nel sangue può incidere sull’aumento del rischio delle influenze e delle infezioni respiratorie, anche acute. In uno studio randomizzato inoltre si è dimostrato come l’utilizzo della vitamina D in pazienti ad alto rischio di infezione delle malattie respiratorie riducesse i sintomi del malessere e anche la necessità di ricorrere alla terapia a base di antibiotici. Non solo, altri studi hanno messo in evidenza che i soggetti con una carenza della vitamina D nel sangue vedevano un aumento del 64% del rischio di contrarre la polmonite. Alla luce di ciò, che ruolo può avere la vitamina D nella lotta contro il coronavirus? Uno studio del fisico Mario Menichella, della fondazione Hume presieduta dal professor  Luca Ricolfi, ha fatto emergere che l’insufficienza della vitamina D può incidere sulle cause di mortalità da Covid. La sua carenza infatti sarebbe la causa della compromissione della funzione immunitaria respiratoria che, di conseguenza, aumenterebbe appunto il rischio del decesso. Sulla rivista The Journal of the American College of Nutrition (JACN) è stato pubblicato uno studio tutto italiano proveniente da Tor  Vergata che ha messo in evidenza “come i bassi livelli di vitamina D – si legge nel documento – al momento del ricovero siano significativamente associati ad un aumentato rischio di mortalità nei pazienti ospedalizzati con COVID-19. Si tratta di uno studio- prosegue il testo- retrospettivo condotto su un totale di 137 pazienti ricoverati presso il Policlinico di Tor Vergata durante la primavera del 2020, periodo corrispondente alla prima ondata di Covid 19 in Italia. Al momento del ricovero, tutti i soggetti arruolati nello studio presentavano un deficit di vitamina D, definito da valori di 25-idrossivitamina D <30ng/mL. Inoltre, i soggetti andati incontro ad esito fatale (59 pazienti su 137) presentavano  valori di vitamina D significativamente inferiori del 40% rispetto ai soggetti sopravvissuti (8ng/mL. Vs 12ng/mL)oltre che valori significativamente maggiori dei principali marker infiammatori  e di coagulazione”.

La vitamina D per affrontare il Covid. Non ci sono dubbi da parte degli studiosi circa gli effetti benefici della vitamina D nella lotta contro il coronavirus. L’integrazione di vitamina D, in base ai risultati finora ottenuti, sembra che riesca a diminuire i casi della malattia grave e dei decessi. Gli stessi ricercatori però chiariscono che sono necessari altri studi specifici per determinare il dosaggio ottimale di vitamina che possa consentire di raggiungere questi risultatati con maggiore sicurezza. Si tratta di una prospettiva che fa ben sperare non solo per i benefici che ne derivano, ma anche per l’elevato profilo di sicurezza e per i suoi costi che sono del tutto irrisori. Ed allora ecco che fare scorta di vitamina D ogni giorno è altamente consigliato in assenza di circolari ministeriali. Si può assumere o con appositi integratori o con l’esposizione al sole: braccia e gambe scoperte per almeno 20 minuti. In questo modo, se si dovesse contrarre il coronavirus, la presenza di vitamina D nel sangue dovrebbe aiutare ad essere più forti nello sconfiggere la malattia. In questo contesto assume particolare rilevanza anche il lockdown. Secondo gli esperti questo strumento utilizzato per proteggere la popolazione dalle infezioni da Covid ha un effetto non benevolo: ostacola tutti quei meccanismi immunitari di difesa a causa del calo della presenza di vitamina D che, a sua volta, è causa della mancata esposizione al sole.

I casi di Gran Bretagna e Andalusia. In alcuni Paesi gli studi sulla correlazione tra l’incidenza di vitamina D e il tasso di mortalità sono partiti già durante la prima ondata di contagi. A novembre il governo britannico ha dato via libera a un protocollo  per la somministrazione gratuita di integratori di vitamina D ad almeno 2.7 milioni di persone. Precedenza è stata data in tal senso ai pazienti delle case di riposo e ai soggetti più vulnerabili: “Il governo si sta attivando per garantire che le persone vulnerabili possano accedere a una fornitura gratuita per  i mesi invernali più bui”, ha dichiarato all’epoca sul The Guardian il segretario alla Salute del Regno Unito, Matt Hancok. La logica del piano è basata sul fatto che da novembre a marzo, per dinamiche legate alla stagione invernale, i cittadini inglesi sono poco esposti al sole, fonte naturale primaria di vitamina D. Ma adesso si sta chiedendo al governo di implementare questi piani. Il 3 febbraio, il deputato conservatore David Davis ha richiesto al premier Boris Johnson di incrementare le terapie basate sulla vitamina D, portando come esempio quanto accaduto in Andalusia. Nella regione spagnola infatti un programma basato sulla somministrazione di vitamina D ha già avuto, secondo le autorità sanitarie locali, ampio successo. Tutto grazie a una ricerca, mandata avanti dall’ospedale di Cordoba, secondo cui l’uso del calcifediolo, farmaco a base di vitamina D, ridurrebbe dell’80% le ospedalizzazioni dovute al Covid-19: “Se tutte le ipotesi fossero confermate – ha dichiarato ai quotidiani spagnoli José Manuel Quesada, uno dei medici impegnati nello studio – questo farmaco potrebbe trasformare il Covid-19 in una malattia lieve, in un’influenza”. Risultati incoraggianti dunque, tanto da essere pubblicati anche su Lancet. Qui è stato evidenziato che dei 551 pazienti Covid ricoverati all’Hospital del Mar di Barcellona ed ai quali è stato somministrato il calcifediolo, soltanto 30 sono finiti in terapia intensiva.

La situazione in Italia. Per adesso nel nostro Paese non esistono piani nazionali sull’uso di integratori di vitamina D. Solo la Regione Piemonte si è mossa su questo fronte. Nella modifica del protocollo sulla presa in carico a domicilio dei pazienti Covid, effettuato dalle Usca, le Unità Speciali di Continuità Assistenziale, è prevista infatti anche la somministrazione di vitamina D. Proprio a Torino l’Accademia di Medicina, presieduta dal professor Giancarlo Isaia, ha condotto studi anch’essi in grado di dimostrare la validità delle terapia basate sulla vitamina D. Nel resto d’Italia però non sono previsti simili protocolli. Eppure una ricerca coordinata dal fisico Giuseppe De Natale ad ottobre, ha svelato una possibile correlazione tra l’esposizione ai raggi ultravioletti, che aumenta la capacità del nostro corpo di produrre vitamina D e il numero di contagi. Più si è esposti al sole, meno è la possibilità di ammalarsi di Covid. Nelle regioni settentrionali del nostro Paese, più fredde rispetto a quelle meridionali, si potrebbe quindi avviare una sperimentazione relativa alla somministrazione di vitamina D: “Sarebbe importante – ha confermato su InsideOver il fisico Mario Menichella – anche perché potrebbe rappresentare un piano B, da implementare parallelamente alla vaccinazione, la quale come sappiamo sta procedendo a rilento”. Per questo la fondazione Hume, assieme all’Accademia di Medicina di Torino, ha promosso una raccolta firme per chiedere alle autorità sanitarie italiane di avviare su tutto il territorio le sperimentazioni: “Attualmente – ha dichiarato Menichella – 150 personalità mediche di alto profilo hanno firmato l’appello”.

Coronavirus, il Piemonte introduce la vitamina D per trattare i pazienti a casa. Le Iene News il 07 marzo 2021. L'aggiornamento del protocollo per la presa in carico dei pazienti Covid a domicilio di Regione Piemonte introduce l'utilizzo della vitamina D. Noi abbiamo da tempo approfondito il possibile legame tra l'utilizzo della vitamina D e il trattamento del coronavirus. “Diamo nuovi strumenti a medici di famiglia e Usca (unità speciali di continuità assistenziali, ndr) per combattere il Covid-19 direttamente a casa dei pazienti”. Così l’assessore regionale alla sanità del Piemonte, Luigi Genesio Icardi, comunica l’aggiornamento del protocollo per la presa in carico dei pazienti Covid a domicilio. “Con l’aggiornamento del protocollo delle cure domiciliari, introduciamo l’utilizzo dell’idrossiclorochina nella fase precoce della malattia, insieme a farmaci antinfiammatori non steroidei e vitamina D", ha fatto sapere l'assessore regionale, nonostante l’Oms abbia espresso perplessità sull’utilità dell'idrossiclorochina nella prevenzione e nel trattamento dei pazienti Covid. Sulla scelta di introdurre anche l'utilizzo della vitamina D per i pazienti covid, abbiamo chiesto un commento a Giancarlo Isaia, professore di geriatria e direttore dell’Accademia di Medicina di Torino. “Non posso che esprimere tutto il mio compiacimento per quanto riguarda l’aspetto relativo alla somministrazione di vitamina D nei pazienti Covid a domicilio”, ha commentato. “L’Accademia di Medicina di Torino si è già espressa più volte in merito”, continua il prof. Isaia. “Pur in assenza di incontrovertibili e certissime evidenze scientifiche, sulla base dei dati della letteratura usciti nell’ultimo anno, riteniamo che sia coretto somministrare vitamina D, come ha fatto la Gran Bretagna. Soprattutto perché a dosi controllate dal medico non è tossica, non dà effetti collaterali e i pazienti Covid potrebbero beneficiarne”. Già a novembre scorso, con Giulia Innocenzi, ci siamo occupati del tema vitamina D e coronavirus, intervistando il professor Isaia che era appena uscito con uno studio che mette in relazione i raggi ultravioletti e le morti da coronavirus in Italia da gennaio a maggio 2020. “Il numero di morti e infetti in ciascuna regione italiana era inversamente correlato con il grado di radiazioni ultraviolette”, ci aveva spiegato il professore, come potete vedere nel video qui sopra. “In altri termini, laddove abbiamo avuto tante radiazioni, per esempio a Lampedusa, abbiamo molti meno morti rispetto alla Lombardia o al Trentino Alto Adige”. “Man mano che la vitamina D scende noi abbiamo più morti o più affetti da Covid”, aveva concluso il professore. Per il momento si tratta di ipotesi, infatti il ministero della Salute spiega che “non ci sono attualmente evidenze scientifiche che la vitamina D giochi un ruolo nella protezione dall’infezione da nuovo coronavirus”. Intanto, come ha appunto fatto sapere l’assessore regionale alla Sanità del Piemonte, la vitamina D viene introdotta nel protocollo delle cure domiciliari dei pazienti Covid. 

Coronavirus, lo studio: “Con la vitamina D meno morti e ricoveri in terapia intensiva”. Le Iene News il 19 gennaio 2021. Uno studio coordinato dall’università di Padova mostra come il trattamento con la vitamina D nei pazienti affetti da un’altra patologia abbassa la letalità e il tasso di ricoveri in terapia intensiva per i malati di coronavirus. Un ulteriore tassello sul  ruolo della vitamina D nella prevenzione e trattamento del Covid-19, un tema che noi de Le Iene abbiamo approfondito più volte negli ultimi mesi. La cura con la vitamina D in pazienti con malattie pregresse fa diminuire i morti e i ricoveri in terapia intensiva. A sostenerlo è uno studio coordinato dall’università di Padova insieme a quelle di Verona e Parma e agli istituti di ricerca CNR di Reggio Calabria e Pisa. Il lavoro è stato pubblicato sulla rivista Nutrients. Uno studio fondamentale perché, nonostante le evidenze già emerse sul ruolo di prevenzione della vitamina D nel contrarre il coronavirus in forma seria, non erano ancora noti gli effetti dell’assunzione della vitamina in pazienti già contagiati dal Covid-19. Il lavoro pubblicato adesso mostra come la somministrazione di vitamina D in pazienti affetti dal coronavirus abbia potenziali effetti positivi sul decorso della malattia. Lo studio ha preso in esame 91 pazienti con età media di 74 anni, di cui 36 trattati con alte dosi di vitamina D per 2 giorni consecutivi e gli altri 55 solo con le cure standard attualmente previste. La ricerca ha mostrato come le persone con malattie pregresse trattate con la vitamina D hanno avuto un esito particolarmente più favorevole degli altri: “Il rischio di andare incontro a decesso o trasferimento in terapia intensiva era ridotto dell'80% rispetto ai soggetti che non avevano assunto” la vitamina D, ha detto il professor Sandro Giannini dell’università di Padova. Insomma, uno studio dirompente che potrebbe aprire la strada a ulteriori lavori su numeri più ampi per studiare il ruolo della vitamina D nel trattamento del coronavirus.  Un tema che noi de Le Iene stiamo approfondendo da tempo: a inizio novembre vi abbiamo raccontato dello stato degli studi sul possibile legame tra la vitamina e il coronavirus, dopo che gli scienziati inglesi avevano lanciato l’appello al governo per aggiungere la sostanza al cibo “per aiutare nella lotta contro il Covid”. Una richiesta seguita dall’annuncio del ministero della Salute britannico, che ha chiesto ai propri consiglieri sanitari di fornire linee guida per utilizzare la vitamina D come possibile modo per prevenire e trattare il coronaviurs. Con Giulia Innocenzi poi abbiamo intervistato il professor Giancarlo Isaia dell’università di Torino, tra i 61 firmatari di un appello al governo italiano e coautore di uno studio secondo cui le regioni italiane che ricevono meno raggi solari UV sono anche quelle dove il coronavirus ha causato più contagi e morti. I risultati dello studio, ci ha detto il professore “sono coerenti con i possibili effetti benefici della radiazione UV solare sulla diffusione del coronavirus e sulle sue manifestazioni cliniche. Risulta infatti che la radiazione UV è sia in grado di neutralizzare direttamente il virus, sia di favorire la sintesi della vitamina D che, per le sue proprietà immunomodulatorie, potrebbe svolgere un ruolo antagonista dell’infezione e delle sue manifestazioni cliniche”. A dicembre inoltre vi abbiamo dato conto di una circolare del ministero della Salute, per la quale “non esistono ad oggi evidenze solide e incontrovertibili (ovvero derivanti da studi clinici controllati) di efficacia di supplementi vitaminici e integratori alimentari (ad esempio vitamine, inclusa vitamina D, lattoferrina, quercetina), il cui utilizzo per questa indicazione non è quindi raccomandato". A quelle parole ha replicato a Iene.it il professor Isaia, che ci ha detto: “La circolare è discutibile perché un nostro nuovo documento riporta nuove evidenze su quanto andiamo dicendo. Chi ha scritto il documento ha accomunato la vitamina D, che è cosa ben diversa, ad altre vitamine e integratori. Le nostre evidenze, che partono dall’inizio del 2020, possono essere discutibili ma meritano almeno un approfondimento”. Oggi la pubblicazione dello studio dell’università di Padova pone un ulteriore tassello sul ruolo della vitamina D nella prevenzione e nel trattamento del coronavirus: un ruolo che sembra poter essere sempre più importante.

Articolo del "Financial Times" - Dalla rassegna stampa estera di “Epr comunicazione” il 21 gennaio 2021. È stato dimostrato che un farmaco antiparassitario economico, non coperto da brevetto, ha un effetto significativo sulla riduzione della mortalità nei pazienti con Covid-19 da moderato a grave. I ricercatori hanno salutato la scoperta preliminare come un passo fondamentale verso l'ampliamento dell'arsenale di farmaci utilizzati contro la malattia. L'Università di Liverpool di Andrew Hill e altri hanno effettuato una ripartizione meta-analitica di 18 studi che hanno trovato che l'ivermectina è stata associata con infiammazione ridotta e una più rapida eliminazione di Sars-Cov-2, il virus che causa Covid-19. In sei di questi studi, il rischio di morte è stato ridotto del 75% in un sottogruppo di pazienti con Covid-19 da moderato a grave. L'unico antivirale con una sorta di approvazione a livello globale per il trattamento di Covid-19 è il remdesivir di Gilead Sciences, che ha mostrato un certo beneficio nell'accorciare i ricoveri ospedalieri, ma nessun chiaro effetto sulla mortalità o sulle cariche virali, una misura di quanto il virus circola nel flusso sanguigno di un paziente. L'ivermectina non è tecnicamente un antivirale, anche se questi risultati suggeriscono che il farmaco può godere di proprietà antivirali. Di solito è usata per trattare le infestazioni di pidocchi e scabbia, nonché parassiti più gravi come la cecità fluviale. Il dottor Hill ha detto che i risultati dell'ivermectina sono incoraggianti, ma sono necessari ulteriori studi per fornire ai regolatori globali prove sufficientemente solide da giustificare l'approvazione. "È un farmaco generico usato in tutto il mondo. Servono 12 centesimi per produrre la sostanza farmacologica. Il farmaco costa 3 dollari in India, 96 dollari negli Stati Uniti", ha detto il dottor Hill al Financial Times. Il farmaco potrebbe rendere più difficile per le persone essere infettate e potrebbe essere più difficile per chi ha la malattia infettare chiunque altro, hanno ipotizzato i ricercatori. "Se le persone che risultano positive al test per il Covid-19 vengono trattate immediatamente con un farmaco che elimina il virus rapidamente, questo potrebbe renderle meno contagiose", ha detto il dottor Hill. "Questa strategia di "trattamento come prevenzione" funziona per l'HIV e dovrebbe ora essere testata per il Covid-19". "Lo scopo di questo rapporto è di avvertire la gente che questo sta arrivando: preparatevi, prendete le provviste, preparatevi ad approvarlo", ha detto il dottor Hill. "Dobbiamo essere pronti". L'ivermectina non è approvata nel Regno Unito e di solito viene importata dalla Francia. Ma i ricercatori sono stati categorici sul fatto che molti degli studi esaminati non sono stati sottoposti a una revisione tra pari e che le meta-analisi, che esaminano molti studi contemporaneamente, potrebbero essere soggette a errori. Mentre la corsa alla ricerca di vaccini sicuri ed efficaci ha prodotto un certo numero di candidati approvati e alcuni Paesi hanno iniziato campagne di vaccinazione su larga scala, la ricerca di trattamenti efficaci per Covid-19 è rimasta indietro. I ricercatori si sono concentrati soprattutto sulla prevenzione del ricovero in ospedale e sulla riduzione dei tassi di mortalità per coloro che si ammalano gravemente e finiscono in ospedale. "La vaccinazione è fondamentale per la risposta all'epidemia", ha detto il dottor Hill. "Ma questo potrebbe aiutare a ridurre i tassi di infezione rendendo le persone meno contagiose e potrebbe ridurre i tassi di mortalità trattando l'infezione virale".

Dagospia il 22 gennaio 2021. Riceviamo e pubblichiamo:

A chi di dovere. Relativamente all'articolo interessantissimo sull'ivermectina e l'università di Liverpool di ieri 21 gen 2021 15:20, manca un accenno al fatto che la molecola è stata brevettata come anti-virale 10 anni fa da noi ricercatori italiani! E' un orgoglio averne trovato per primi le capacità antivirali. Questa scoperta ha suscitato l'interesse del mondo  virologico per questa molecola che negli anni ha rivelato le sue capacita antivirali su diversi virus, e oggi, fortunatamente, anche su covid! Cordialità. Eloise Mastrangelo, PhD CNR-Biophysics Institute

Caro Dago, per evitare il solito tafazzismo italico, potresti dare atto che come da comunicato stampa di aprile 2020 del CNR la scoperta degli effetti dell’ivermectina non è cosa di oggi ma risale addirittura a ricerce del 2009 e a un brevetto italiano? Il Financial Times fa lo gnorri o davvero l’articolo è di uno sprovveduto, visto che nel Commonwealth alla ricerca avevano partecipato anche università australiane…  Insomma l’articolo è come la fantozziana Potiomkin… con quel che ne consegue…

Antiparassitario salva da Covid "Solo 12 centesimi per produrlo". Un antiparassitario già in commercio ridurrebbe la mortalità nel 75% dei pazienti moderati o gravi infettati dal Covid. "Servono 12 centesimi per produrre la sostanza farmacologica", dicono i ricercatori. Alessandro Ferro, Venerdì 22/01/2021 su Il Giornale. E se la soluzione fosse più "facile" di quanto pensassimo? Un antiparassitario economico e neanche brevettato riuscirebbe, in modo significativo, a ridurre la mortalità nei pazienti Covid-19 con malattia moderata o grave.

Di cosa si tratta. Si tratta dell'invermictina, medicinale poco costoso per uso veterinario e umano contro i parassiti come la scabbia, l'oncocercosi e i pidocchi e può essere assunto per via orale oppure applicato sulla pelle per le infestazioni esterne. La scoperta arriva dall'Inghilterra, epicentro di questa seconda ondata di pandemia, ed esattamente dall'Università di Liverpool. Il Dott. Andrew Hill ed il suo team di ricerca hanno effettuato una ricerca meta-analitica, hanno cioè messo insieme i dati di più studi (in questo caso 18) condotti su questo antiparassitario, ed hanno visto che l'ivermectina è stata associata ad una ridotta infiammazione ed una più rapida eliminazione del Covid-19 con una riduzione del 75% del rischio di morte.

"Meno infezioni e meno contagi". "È un farmaco generico usato in tutto il mondo. Servono 12 centesimi per produrre la sostanza farmacologica. Il farmaco costa 3 dollari in India, 96 dollari negli Stati Uniti", ha detto il dottor Hill al quotidiano internazionale britannico Financial Times. Tra l'altro, i ricercatori hanno anche ipotizzato che questo farmaco potrebbe rendere più difficile infettarsi e infettare chiunque altro ci sta accanto. "Se le persone che risultano positive al test per il Covid-19 vengono trattate immediatamente con un farmaco che elimina il virus rapidamente, questo potrebbe renderle meno contagiose", ha affermato il Dott. Hill. "Questa strategia di 'trattamento come prevenzione' funziona per l'HIV e dovrebbe ora essere testata per il Covid-19". Tecnicamente, l'invermictina non è un antivirale ma questi risultati suggeriscono che il farmaco può godere anche di queste proprietà. I primi risultati sono definiti "incoraggianti" ma sono necessari ulteriori studi per avere prove sufficientemente solide da giustificare l'approvazione. Questo farmaco, infatti, non è ancora stato approvato nel Regno Unito e solitamente è di importazione francese. Nonostante diversi studi mostrino risultati favorevoli, i ricercatori sono cauti sul fatto che alcune ricerche potrebbero contenere errori, è per questo che si sta studiando tutto nei minimi dettagli.

Cosa dice lo studio australiano. Effettivamente, dell'invermictina si parlava già nella scorsa primavera, quando anche noi ci siamo occupati della notizia a cura della collega Giorgia Baroncini (clicca qui per il pezzo), in cui ricercatori australiani della Monash University di Melbourne, in collaborazione con il Doherty Institute, hanno testato questo farmaco in grado di uccidere il Covid-19 in sole 48 ore. Negli studi condotti dai ricercatori sulle colture cellulari, era stato scoperto che l'invermectina riusciva ad eliminare la carica virale del virus, appunto, in sole 48 ore. Quello australiano è stato, però, uno studio preclinico ed in provetta motivo per cui non si è ancora arrivati a dimostrare l'efficacia sull'uomo. I ricercatori inglesi, come accennato all'inizio, hanno messo insieme questi studi per cercare di capire se il farmaco funziona davvero ed accelerare, così, le procedure di approvazione per la cura al Covid-19. Anche il Prof. Remuzzi, Direttore dell'Istituto Farmacologico Mario Negri di Milano, in un'intervista al Corriere, aveva definito "interessanti" i risultati ottenuti dai ricercatori australiani su questo farmaco. Attualmente, però, l'unico antivirale approvato a livello globale per il trattamento di questa malattia è il remdesivir della Gilead Sciences che ha mostrato un certo beneficio nell'accorciare i ricoveri ospedalieri, ma nessun chiaro effetto sulla mortalità o sulle cariche virali né una misura di quanto il virus circola nel flusso sanguigno di un paziente. In ogni caso, l'unica arma contro il virus rimane l'enorme macchina che si è messa in moto da alcune settimane, ovvero quella del vaccino. "La vaccinazione è fondamentale per la risposta all'epidemia", ha detto il dottor Hill. "Ma questo potrebbe aiutare a ridurre i tassi di infezione rendendo le persone meno contagiose e potrebbe ridurre i tassi di mortalità trattando l'infezione virale".

"Un vecchio diuretico cura il Covid". Il farmaco che evita la replicazione del virus. Un vecchio diuretico potrebbe essere la soluzione per curare il Covid. La scoperta dei ricercatori dell'Università di Bari e di Roma. Emanuela Carucci, Martedì 19/01/2021 su Il Giornale. L'acido etacrinico potrebbe essere la svolta per la cura del Covid. I ricercatori dell'Università degli studi di Bari, in collaborazione con l'Università Campus Bio-Medico di Roma, hanno portato avanti uno studio per cui questo potente diuretico, solitamente utilizzato per il trattamento dell'ipertensione, potrebbe essere usato per sconfiggere il Covid-19. Secondo lo studio condotto dai ricercatori, in questo farmaco ci sarebbero dei composti attivi che combattono il virus Sars-CoV-2. Secondo gli scienziati, con questo potente diuretico si inibisce un enzima necessario alla formazione di nuove particelle virali nelle cellule infettate dal virus. Si potrebbe contenere, quindi, la cosiddetta "replicazione virale". "Queste analisi - viene evidenziato dall'ateneo barese - hanno portato ad identificare l'acido etacrinico come un promettente inibitore della proteasi di Sars-CoV-2. Il passo successivo sarà quello di valutare clinicamente la sua efficacia e sicurezza nel trattamento del Covid", come si legge su alcune fonti di stampa. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista scientifica "Viruses" solo pochi giorni fa. "In una prima fase della ricerca ci siamo concentrati su potenziali inibitori competitivi e questo obiettivo è stato raggiunto analizzando un gran numero di molecole", scrivono i ricercatori nel loro articolo scientifico. Si è partiti dall'enzima Mpro la cui struttura è simile in tutte le specie CoV e la sperimentazione è avvenuta in silico (metodologia scientifica utilizzata per riprodurre i fenomeni di natura chimico-biologica con una simulazione matematica al computer). È stato, poi, utilizzato un software specifico, l' "AutoDock Vina", per eseguire il cosiddetto "Docking molecolare" (un particolare metodo che predice l'orientamento preferito di una molecola verso una seconda quando queste si legano fra di loro). "Abbiamo dimostrato - scrivono gli studiosi a conclusione della loro pubblicazione - che una piccola molecola nota da tempo nell'uso clinico, ovvero l'acido etacrinico, si lega efficacemente ed irreversibilmente al SARS-CoV-2Mpro. L'azione inibitoria è notevole". Certo, si tratta di un primo passo verso nuove soluzioni. È una prima pubblicazione su questo studio. Tant'è che gli stessi scienziati scrivono: "In vitro, in presenza di alte concentrazioni di DTT, diminuisce l'azione inibitoria. Pertanto, l'efficacia dell'acido etacrinico può essere ridotta in cellule o tessuti contenenti alte concentrazioni di glutatione".

NANOANTICORPI: L’ULTIMA ARMA CONTRO IL COVID SCOPERTA IN DUE ANIMALI. Luca La Mantia su Il Quotidiano del Sud il 13 gennaio 2021. Arrivano da due animali degli altipiani, il lama e l’alpaca, le ultime possibili armi contro il coronavirus. Si chiamano nanoanticorpi e sono in grado di proteggere l’organismo dall’aggressione del patogeno, fornendo copertura anche in caso di mutazioni. Questa scoperta è il frutto di uno studio – pubblicato su Science – portato avanti dai ricercatori del Karolinska Institutet (Svezia), dell’Università di Bonn (Germania) e dello Scripps Research Institute (California, Usa). Target delle difese immunitarie, ancora una volta, la proteina spike. «È presente sulla superficie del virus consentendogli di entrare nell’organismo – ha spiegato Martin Hällberg, ricercatore presso il Dipartimento di biologia cellulare e molecolare del Karolinska Institutet – uno dei nanoanticorpi che abbiamo studiato si è dimostrato particolarmente efficace nonostante le mutazioni del virus». Il meccanismo di attacco alle spike da parte dei nanoanticorpi è stato osservato grazie alla criomicroscopia elettronica (cryo-Em). «Queste strutture – ha proseguito l’esperto – sono significativamente più piccole degli anticorpi normali, possiedono una maggiore stabilità e sono più semplici da produrre su larga scala. L’unicità del nostro lavoro consiste nell’aver combinato diversi nanoanticorpi che si legano a punti diversi della proteina spike virale, il che rende il trattamento eccezionalmente efficace nel bloccare la capacità del virus di diffondersi tra le cellule umane». I nanoanticorpi, ha aggiunto, «sono stati efficaci anche su una variante del virus che muta molto rapidamente ciò implica che il rischio di resistenza da parte dell’agente patogeno è molto basso». La produzione è avvenuta inoculando la proteina spike di Sars-Cov2 nel lama e nell’alpaca, i cui sistemi immunitari producono sia anticorpi che nanoanticorpi. «Abbiamo selezionato i migliori leganti dalle strutture generate dagli animali – ha detto Hällberg – e, tra questi, quattro soluzioni hanno mostrato un’eccezionale attitudine di bloccare la capacità del virus di diffondersi tra le cellule umane. I nanoanticorpi generati dai lama, in particolare, si legano direttamente nel tratto della superficie virale in cui il virus utilizzerebbe il recettore Ace-2». Il mix dei nanoanticorpi sviluppati da entrambi gli animali, poi, ha impedito al virus di replicarsi con successo durante gli esperimenti. L’auspicio è che queste particolari difese immunitarie possano diventare parte di un trattamento farmacologico complementare alla vaccinazione. «Questa cura – ha concluso – potrebbe essere utile clinicamente per i pazienti già positivi all’infezione, per implementare la prevenzione di coloro che non possono essere vaccinati o per tutti i pazienti il cui sistema immunitario non riuscirebbe a formare una risposta sufficientemente forte a seguito della somministrazione delle dosi di vaccino». La società Dioscure Therapeutics, dell’Università di Bonn, condurrà ulteriori test per cercare di migliorare il legame, modificando le singole unità dei nanoanticorpi.

La nuova via sono i nanoanticorpi. "Fermeranno anche le varianti Covid". Studio in corso all'università di Bonn. Rallentano invece i tempi dei monoclonali di Siena: "Slittano alla fine di marzo". Maria Sorbi, Giovedì 14/01/2021 su Il Giornale. Il piano vaccini, per traghettarci tutti fuori dall'incubo pandemia ha bisogno di una stampella. Fondamentale. Le speranze si accendono non solo sullo studio sugli anticorpi monoclonali in sperimentazione a Siena, ma anche su una nuova possibile terapia anti-Covid. Si tratta di nanoanticorpi, sviluppati lavorando su lama e alpaca, che impediscono l'ingresso del virus nelle cellule e sembrano funzionare anche in caso di mutazioni. A metterli a punto, i ricercatori svedesi dell'Istituto Karolinska, insieme a quelli dell'università di Bonn e dello Scripps Research Institute della California. A breve inizierà una sperimentazione clinica sull'uomo. Secondo quanto scrive la rivista Science, che ha pubblicato i risultati della ricerca, ad avviare la sperimentazione sarà un'azienda spin-off dell'Università di Bonn. La ricerca eseguita sugli animali rivela che gli anticorpi che blocca la proteina Spike, impedendole di attaccarsi alla cellula umana e aprire la strada al virus, possono fermare l'infezione. Da un punto di vista terapeutico, i nanoanticorpi potrebbero funzionare meglio, perché sono molto più piccoli e capaci di attaccarsi al virus in più punti rispetto angli anticorpi normali, oltre che più stabili e facili da produrre su larga scala a parità di costi-efficacia. «Abbiamo unito insieme nanoanticorpi che si legano a due diversi punti della proteina Spike del coronavirus - spiega Martin Hallberg, uno degli autori dello studio -. Questa combinazione si attacca meglio rispetto ai singoli anticorpi ed è eccezionalmente efficace nel bloccare il virus, impedendogli di diffondersi tra le cellule umane». A quanto pare la terapia funziona anche contro le varianti del virus. «Significa che il rischio che il virus diventi resistente a questa terapia è molto piccolo» sottolinea Hallberg. Per generare i nanoanticorpi di lama e alpaca, il cui sistema immunitario produce naturalmente anticorpi e nanoanticorpi, sono stati vaccinati con la proteina Spike del coronavirus. Tra i nanoanticorpi generatisi, i ricercatori hanno selezionato quelli che si attaccavano meglio, identificandone quattro particolarmente efficaci. Il prossimo passo sarà quello di utilizzare i nanoanticorpi in una terapia farmacologica a complemento del vaccino, magari in chi è già stato malato di Covid o come prevenzione per chi non può essere vaccinato o ha un sistema immunitario indebolito. Sul fronte degli anticorpi monoclonali invece bisognerà aspettare fino alla fine di marzo perchè sia conclusa la sperimentazione di Siena. «Stiamo andando un po' più lenti rispetto a quanto previsto inizialmente - dichiara Rino Rappuoli, direttore scientifico di Gsk Vaccines e coordinatore del progetto di ricerca di Toscana Life Sciences di Siena - ma stiamo già seguendo le varianti del virus per capire se i vaccini e gli anticorpi monoclonali sviluppati coprono anche queste: per ora sì, ma verranno fuori altre varianti, e dobbiamo stare sempre un passo avanti a loro».

I nanoanticorpi saranno la svolta: ecco la nuova cura anti-Covid. In esclusiva, abbiamo intervistato i ricercatori di quella che potrebbe essere la cura migliore contro il Covid-19: nanoanticorpi in grado di impedire al virus di entrare nelle cellule umane. Alessandro Ferro, Lunedì18/01/2021 su Il Giornale. Ottime e nuove speranze nella lotta alla pandemia mondiale da Covid-19: i ricercatori dell'Istituto Karolinska di Solna, in Svezia, in collaborazione con ricercatori in Germania e negli Stati Uniti, hanno sviluppato nuovi piccoli anticorpi noti anche come "nanobodies" che impediscono al virus Sars-CoV-2 di entrare nelle cellule umane. Lo studio di ricerca, condotto su alpaca e lama e pubblicato sulla prestigiosa rivista Science, mostra che i nanoanticorpi hanno avuto un effetto particolarmente buono anche con le mutazioni del virus. Secondo i ricercatori, potranno essere sviluppati già nei prossimi mesi in alcuni trattamenti contro il Covid-19.

Come funziona la cura. Dal punto di vista di potenziali interventi terapeutici, piccoli frammenti di anticorpi, denominati anticorpi a dominio singolo (sdAb) o nanoanticorpi, possono essere un'alternativa migliore rispetto a quelli classici (per intenderci, gli anticorpi monoclonali di cui tanto si parla). Questo perché i nanoanticorpi, essendo significativamente più piccoli, sono in grado di legarsi al virus in più punti rispetto ai normali anticorpi. Inoltre, hanno anche una maggiore stabilità e sono più facili da produrre in modo conveniente su larga scala. "La nostra scoperta ha il potenziale per essere sviluppata clinicamente in un farmaco profilattico o terapeutico. Nei nostri esperimenti in laboratorio, le nuove molecole si sono dimostrate molto potenti nell'inattivare SARS-CoV-2 e anche nel sopprimere i mutanti di fuga": in esclusiva italiana soltanto per ilgiornale.it, siamo riusciti a sentire direttamente alcuni dei ricercatori, il Prof. Paul-Albert König ed il collega Florian I. Schmidt, entrambi della Facoltà di Medicina dell'Università di Bonn, in Germania. In cosa consiste la vostra scoperta? "Quando colleghiamo fisicamente due dei nanoanticorpi appena scoperti che si legano a diversi siti sul virus, agiscono in modo ancora più potente. Inoltre, vengono soppresse le mutazioni di fuga del virus. Negli esperimenti in cui acceleriamo l'evoluzione della proteina spike SARS-CoV-2, troviamo che i mutanti spike resistenti ad un singolo nanoanticorpo possono emergere rapidamente. Tuttavia, non troviamo alcun mutante di fuga in grado di replicarsi in presenza dei nanoanticorpi collegati", ci spiegano. Servirà ancora tempo. I due studiosi sono convinti che le molecole appena testate abbiano un grande potenziale per essere utili in clinica. Prima che le nuove molecole possano essere utilizzate per il trattamento degli esseri umani, però, dovranno essere intraprese diverse fasi di sviluppo clinico per valutarne la sicurezza e l'efficacia. "Lo sviluppo clinico è attualmente attivamente perseguito dal Centro di Eccellenza scientifica Dioscuri, uno spin-off dell'Università di Bonn. Si prevede di eseguire i primi studi clinici nei prossimi mesi", ci dicono i due scienziati. L'idea è eseguire i test clinici in primavera e se le prove cliniche avranno successo, ci sarà il via alla somministrazione nei pazienti.

Perché sono meglio degli anticorpi monoclonali? I ricercatori König e Schmidt spiegano al nostro giornale che le molecole identificate nel loro studio sono parti di anticorpi speciali che esistono soltanto negli animali camelidi, come alpaca o lama, e spesso indicati come nanobodies (in inglese). Gli abbiamo chiesto quali sono, se esistono, le differenze con i famosi anticorpi monoclonali (qui il link di un nostro pezzo di approfondimento sui monoclonali). "La principale differenza rispetto agli anticorpi monoclonali è la loro dimensione e le caratteristiche biochimiche. I nanoanticorpi sono dieci volte più piccoli degli anticorpi convenzionali, questo può rendere la produzione più semplice ed economica. A causa delle loro dimensioni più piccole - affermano - possono anche penetrare più in profondità nel tessuto".

I ricercatori hanno cucito insieme nanoanticorpi (in verde) che si legano a due punti diversi sulla proteina spike di SARS-CoV-2. Come si prendono. Un'altra grande novità è rappresentata dal modo in cui potranno essere somministrati. "Sono piuttosto robusti e quindi è possibile prevedere percorsi di consegna alternativi, come l'inalazione. La combinazione di diversi blocchi di nanoanticorpi in una singola molecola terapeutica, che è la base per la protezione contro i mutanti di fuga virale, è ottenuta molto più facilmente per questi rispetto agli anticorpi monoclonali", ci dicono. Ma quali saranno i prezzi non è dato ancora saperlo. "Riguardo al prezzo o all'accessibilità economica di un potenziale farmaco, come scienziati e nell'attuale fase di sviluppo, non possiamo fare alcuna dichiarazione valida".

Alternativa al vaccino (negli immunosoppressi). Il vaccino rimane l'unica, esclusiva e fondamentale arma per prevenire l'infezione da Covid-19, non ci stancheremo mai di ripeterlo. È una cosa chiara come il sole. Detto questo, alcune categorie di persone come gli immunosoppressi, a causa della loro malattia, non potranno essere vaccinati perché il vaccino non avrebbe alcun potere di fermare il virus. Ecco perché questa rivoluzionaria scoperta potrebbe essere importantissima anche per questa categoria di persone. "Riteniamo che sia un approccio promettente per le persone che non possono essere vaccinate efficacemente a causa, ad esempio, dell'immunosoppressione. Una forza dei nanoanticorpi è che possono essere potenzialmente somministrati direttamente nelle vie aeree utilizzando inalatori o i nebulizzatori. Esiste già un nanoanticorpo negli studi clinici contro l'RSV (virus comune che infetta le vie respiratorie, ndr) ed in quel caso i nebulizzatori hanno funzionato abbastanza efficacemente", ci hanno detto in esclusiva altri due ricercatori che abbiamo raggiunto, il Prof. Martin Hällberg, del Centro per la Biologia dei Sistemi Strutturali (Cssb) di Amburgo ed il Prof. Nicholas Ching Hai Wu dal Dipartimento di Biochimica dell'Università dell'Illinois a Urbana-Champaign, negli Stati Uniti. "Mentre i nanoanticorpi possono essere efficaci come cura per le persone che contraggono il virus, i vaccini sono le uniche misure preventive. Quindi la vaccinazione è importante", sottolinea Nicholas Wu.

"Ci lavoriamo da sei mesi". Mesi di lavoro ininterrotto e non poche difficoltà ma senza mai mollare. "Abbiamo iniziato 6 mesi fa ma a volte ci abbiamo lavorato in modo intermittente in attesa che altre parti del lavoro di collaborazione fornissero informazioni prima di continuare - ci ha detto il Prof. Hällberg - è difficile ottenere dati veramente buoni per la spike del SARS-CoV-2, specialmente con cose che destabilizzano la struttura come i nanobodies terapeutici. Dati non fantastici significano più lavoro (principalmente manuale) ai computer per ottenere buone strutture molecolari".

Nuove cure all'orizzonte. La ricerca non si ferma, il virus verrà fermato il prima possibile: è questo l'obiettivo degli scienziati che, nonostante questa grande scoperta, continuano a cercare nuove metodologie per fermare il Covid. "Per questa famiglia di nanoanticorpi lavoreremo con i nostri collaboratori per renderli ancora più efficaci in modo che le mutazioni che il virus sta iniziando a produrre non lo facciano sfuggire alla neutralizzazione. Inoltre, in laboratorio abbiamo anche altri due progetti di nanocorpi SARS-CoV-2 che stiamo studiando ed entrambi molto diversi da quelli che abbiamo reso pubblici finora", conclude Hällberg. Il 2021 sarà un grande anno, per tutti. Servirà, però, ancora un po' di pazienza.

Spunta un nuovo "anti Covid": ecco come funziona il farmaco. La speranza arriva da un farmaco usato per i linfomi anche se è presto per pensare all'uso sulla popolazione. "Necessari altri 4-6 mesi". Ecco a che punto sono tutti gli altri e le soluzioni per il 2021. Alessandro Ferro, Martedì 05/01/2021 su Il Giornale. Mentre si lotta contro il tempo per organizzare un'adeguata somministrazione di vaccini a tutta la popolazione italiana, europea e mondiale, parallelamente e senza troppo clamore procedono spediti anche gli studi per cercare di mettere a punto il miglior farmaco anti-Covid.

Ecco il pralatrexato. Pochissimi giorni fa ci siamo occupati (clicca qui per il pezzo) dell'importanza che il pralatrexato, un farmaco chemioterapico utilizzato per il trattamento dei linfomi, potrebbe avere nel bloccare il virus: è quanto emerso da uno studio cinese condotto su oltre 1.900 farmaci già in commercio per altre patologie. Non solo: dallo studio emerge che supererebbe, come efficacia, anche il remdesivir, principale farmaco antivirale attualmente utilizzato per trattare i pazienti con Covid-19. "Il nostro studio ha scoperto che il pralatrexato è in grado di inibire potentemente la replicazione di Sars-Cov-2 con un’attività inibitoria più forte rispetto al Remdesivir, nelle stesse condizioni sperimentali", riferiscono gli autori, guidati dal dottor Haiping Zhang degli Istituti di tecnologia avanzata di Shenzhen e riportato dal quotidiano inglese Daily Mail - "Identificare farmaci efficaci in grado di trattare il Covid-19 è importante e urgente, in particolare i farmaci approvati che possono essere immediatamente testati negli studi clinici".

"È ancora presto". "Al momento, dal punto di vista clinico non si può dire nulla: il pralatrexato è stato selezionato in uno studio di modellistica molecolare in vitro tra 1.900 altre molecole per le sue teoriche capacità di agire forse meglio di altri come inibitore della replicazione del virus Sars-Cov-2", ci ha detto in esclusiva Renato Bernardini, Professore ordinario di Farmacologia all'Università di Catania e membro del Consiglio Superiore di Sanità.

Come funziona. Ci siamo fatti spiegare dal Prof. qual è il meccanismo per cui questo farmaco riuscirebbe a bloccare l'avanzata del virus. "In uno studio cinese di molecular docking in vitro è stato osservato che il pralatrexato si lega più avidamente di altre molecole ad un target virale, l'enzima Rna polimerasi Rna dipendente, essenziale per la replicazione del coronavirus, inibendola". Il meccanismo d'azione è simile a quello del remdesivir, già in commercio come anti Sars-Cov-2 ma questo farmaco pare avere un quid in più. "Tale migliore attitudine di pralatrexato a bloccare l'enzima è stata in seguito verificata in colture cellulari in vitro, confermandone l'efficacia in questo sistema semplice. In sintesi, il pralatrexato mostra in vitro una migliore capacità di interferire e bloccare i processi di replicazione virale", sottolinea Bernardini.

"Mancano i dati". Dalla teoria alla pratica, però, c'è di mezzo il mare. Lo studio è nuovo ed è ancora presto per immaginare qualche paziente che possa essere curato con questo farmaco ed a quale categoria di malati possa essere destinato. "Non esistono dati, in aggiunta a quanto definito in vitro, che possano permettere al momento di predire quale possa essere l'indicazione di pralatrexato nella clinica di Covid. Allo stato attuale, non si può prevedere in quali dei pazienti affetti dal virus (stadi iniziali oppure stadi avanzati della malattia) pralatrexato possa trovare più opportuna applicazione", afferma il docente catanese. Per poter proseguire la strada intrapresa, qualora si decidesse di proseguire questi studi estremamente preliminari, è necessaria una sperimentazione in specie da laboratorio e, in seguito, nell'uomo. "Considerato il particolare periodo di emergenza, considererei un minimo di quattro-sei mesi per il completamento di tali primi protocolli sperimentali in vitro, tempi comunque accelerati rispetto ai tempi standard".

Gli effetti collaterali. Come tutti i farmaci, a maggior ragione quelli speciali in grado di curare i tumori, gli effetti collaterali non sono da sottovalutare: è molto importante valutare rischi e benefici. Poiché viene utilizzato per le persone con linfoma terminale, il suo utilizzo sui pazienti con Covid-19 non è ancora garantito. "Il pralatrexato è attualmente utilizzato nella clinica dei tumori e specificamente dei linfomi a cellule T.: è quindi un farmaco antineoplastico che, in analogia al più conosciuto metotrexato, inibisce efficacemente la sintesi dei folati, composti essenziali alla moltiplicazione delle cellule tumorali. Come per molti antineoplastici, il rischio di effetti indesiderati è relativamente alto", ci dice Bernardini. In ogni caso, si deve considerare che un potenziale uso sui malati Covid sarebbe molto diverso rispetto a chi è affetto da tumore. "Bisogna però considerare due elementi importanti nella rivalutazione del profilo rischio/beneficio: la durata relativamente breve del trattamento (rispetto ai tumori) e il regime di dosi che potrebbe essere significativamente diverso, comportando quindi un miglioramento teorico dello stesso rapporto rischio/beneficio".

Cosa ne pensa la comunità scientifica. I dati clinici sono incompleti ed insufficienti: è per questo motivo che la comunità scientifica non si pronuncia né si sbilancia. Quale membro del Consiglio Superiore di Sanità, il Prof. Bernardini sottolinea come prudenza e buon senso invitano a non lasciarsi andare a facili entusiasmi o allarmismi. "Non si può parlare di dubbi o certezze prima che un farmaco venga sperimentato in clinica - afferma - l'unico confronto sarà possibile in uno studio controllato e randomizzato: si aspettano, quindi, eventuali dati clinici che al momento non sono disponibili".

Tutti gli altri farmaci. Mentre il controverso remdesivir non gode di buona fama, tant'è che l'Aifa (Agenzia Italiana del Farmaco) lo ha rivalutato lo scorso 26 novembre ed autorizzato solamente per l'uso "in casi selezionati, dopo una accurata valutazione del rapporto benefici/rischi", per l'idrossiclorochina va ancora peggio, sospesa sia per l’uso terapeutico (ospedaliero e territoriale) sia per l’uso profilattico, "sulla base delle evidenze che si sono progressivamente accumulate e che dimostrano la completa mancanza di efficacia a fronte di un aumento di eventi avversi, seppur non gravi".

"Il virus lo abbiamo adesso" Un farmaco ci salva dal Covid. Accanto ai flop, ci sono speranze che continuano ad essere alimentate dalla ricerca: un mese fa ci siamo occupati del baricitinib, un farmaco già in commercio ed utilizzato normalmente per combattere l'artrite reumatoide. L'uso su 83 pazienti con polmonite Sars-Cov-2 moderata o grave ha ridotto del 71% la mortalità migliorando il quadro respiratorio e con una maggiore ossigenazione del sangue. Per conferme maggiori, dovremo aspettare i prossimi mesi."Per quanto riguarda baricitinib, sono attivi al momento poco più di una decina di studi che dovrebbero offrire i risultati tra la fine di marzo e la fine di giugno 2021", ci ha detto Bernardini. Ed un'altra potenziale buona notizia l'abbiamo anche dal molnupiravir (qui il nostro articolo) che blocca la tramissione del Covid nei furetti: il contagio tra questi animali è molto simile a quanto avviene sull'uomo, anche per quanto riguarda la sintomatologia generale. L'esperimento può dichiararsi riuscito quando, nella stessa gabbia, sono stati messi animali infettati accanto a furetti sani e non trattati e nessuno è stato infettato. In ogni caso, la differenza animale-uomo è enorme e "non sembra siano ancora attivi, al momento, studi clinici", afferma il docente.

Le soluzioni per il 2021. Al di là dei vaccini che, sappiamo, rappresentano la prevenzione numero 1 contro il Covid, nel mondo sono attivi oltre tremila studi molti dei quali riguardano l’uso di nuovi potenziali farmaci: per nessuno di questi, al momento, sono state ancora tratte conclusioni definitive. "Bisognerà aspettare un altro paio di mesi": tra questi, i più promettenti per la clinica sono gli anticorpi monoclonali, alcuni dei quali già autorizzati in emergenza dall'Fda americana, che, somministrati in diverse fasi della malattia, "possono immunoneutralizzare il Sars-Cov-2 e renderlo quindi innocuo in quegli individui che hanno già contratto l'infezione", sottolinea Bernardini. Alcuni di essi potrebbero essere già disponibili in via sperimentale nel nostro Paese entro la fine di questo mese di gennaio, mentre per altri farmaci della stessa classe, di cui alcuni sviluppati in italia, bisognerà attendere la fine di marzo-aprile. "Escluderei il riferimento a farmaci che agiscono come vaccini che restano l'unico strumento, somministrati in individui non affetti da malattia, in grado di prevenire l'infezione e anche la contagiosità. Nulla a che fare con i farmaci", conclude.

Dagotraduzione dal DailyMail il 10 giugno 2021. L’anno scorso Donald Trump era stato deriso da tutto il mondo dopo aver annunciato di assumere una pillola di idrossiclorochina al giorno, da lui considerato un farmaco miracoloso contro il coronavirus. Oggi uno studio del Saint Barnabas Medical Center nel New Jersey ha dimostrato che il farmaco potrebbe aumentare il tasso di sopravvivenza dei malati gravi Covid fino al 200%. Gli scienziati hanno scoperto che, quando ai pazienti gravi COVID sotto ventilazione sono state somministrate alte dosi di idrossiclorochina con zinco, i loro tassi di sopravvivenza sono aumentati notevolmente. Lo studio è stato effettuato su 255 pazienti e i risultati sono stati pubblicati sul sito medico medRxiv. Il portavoce di Trump, Jason Miller, ha twittato: «Oh». E ha aggiunto: «Lo studio mostra che i trattamenti con idrossiclorochina e zinco hanno aumentato il tasso di sopravvivenza del coronavirus di quasi tre volte». Suo figlio, Donald Trump Jr, ha dichiarato: «Solo nell'ultima settimana, abbiamo appreso che i media, i cosiddetti fact check e i loro esecutori della Big Tech ci hanno mentito sulla teoria della perdita di laboratorio, sull'idrossiclorochina e sulla bonifica di Lafayette. Tutto per ferire Donald Trump. Su cos'altro stanno mentendo?»

Coronavirus, il mistero dell'idrossiclorochina: dati ottimi, ma la medicina è stata ignorata. Perché, ministro Speranza? Paolo Becchi, Giovanni Zibordi su Libero Quotidiano il 30 maggio 2021. La vita è tornata nelle piazze italiane, tappezzate dei tavoli all'aperto di ristoranti, pizzerie, bar e ogni altra attività di ristorazione. Anche a pranzo nei giorni feriali molti mangiano, bevono e chiacchierano più di prima del lockdown, come reazione alla clausura subìta per tanto tempo. Anche l'anno scorso a maggio era successa la stessa cosa, i "casi" di tamponi positivi erano crollati e così i decessi Covid e si era riaperto. Quest' anno - si dice - è merito dei vaccini, anche se in realtà chi si "assembra" alla sera non sono pensionati over 70 (che effettivamente sono all'80% vaccinati e di questo va ringraziato Draghi), ma giovani e adulti sotto i 60 anni in maggioranza, tra cui la vaccinazione è ancora sotto il 40%. Ciononostante i contagi, ossia i tamponi positivi, continuano a calare, insieme ai ricoverati e ai decessi. Resta l'ombra del passato, dei 125mila morti Covid dell'ultimo anno e mezzo, e questo spettro fa sì che si spinga la vaccinazione anche tra chi non è a rischio, la si imponga pena sospensione dal lavoro ai sanitari, si imponga un passaporto, quarantena e tamponi multipli per chi viaggia e altre limitazioni. I 125mila morti Covid in Italia però corrispondono a una mortalità con pochi paragoni al mondo. Alle nostre autorità e anche ai grandi media non piace sentirlo dire, ma la mortalità Covid nel mondo è stata da 10 a 100 volte inferiore alla nostra. In Asia-Pacifico (dalla Cina alla Thailandia e Malesia passando per Filippine e Giappone) la mortalità è stata tra 1 e 27 morti per milione di abitante, mentre in Italia è di oltre 2mila morti Covid per milione di abitanti. Si obbietterà che questo è successo perché non si sono contagiati, ma la maggior parte di questi Paesi ha fatto pochi tamponi, in Giappone ad esempio 20 volte meno di noi (li si è fatti solo a chi aveva sintomi), per cui come si fa a sapere quanti "positivi" hanno avuto? I 125mila morti Covid in Italia sono avvenuti in mezzo a circa 4 milioni di "casi" di contagiati, quindi (se dividi una cifra per l'altra) più di 2 morti ogni 100 contagiati. Questo cosiddetto "infection fatality rate" (cioè morti in percentuale dei contagiati) è il più alto del mondo assieme a quello di New York, Regno Unito, Repubblica Ceca e qualche altro Paese dell'Est Europa. Anche solo in Austria, Germania, Svizzera e Svezia è circa un terzo e soprattutto la mortalità totale (per tutte le cause e non solo Covid-19) è aumentata di poco, mentre in Italia del 14%.  Secondo un numero importante di medici ed epidemiologi, questa mortalità così alta in Italia ha una spiegazione semplice, di cui però in Italia non si può quasi parlare: non abbiamo curato i malati, e le autorità (ministero della Salute e AIFA) hanno bloccato e scoraggiato le tre o quattro terapie che in altri Paesi e tanti gruppi di medici proponevano e praticavano. Un caso eclatante è il divieto di usare idrossiclorochina (+ azitromicina) in vigore da giugno e ribadito pochi giorni fa, a fronte dell'evidenza scientifica presentata dall'Istituto di Malattie Infettive di Marsiglia, che ha di recente pubblicato lo studio più ampio fatto finora, su 10.400 pazienti, di cui oltre 8mila trattati precocemente con idrossiclorochina +.azitromicina. Il risultato è che la mortalità Covid in percentuale rispetto ai contagiati è stata in questo caso solo lo 0,06% tra gli 8.315 pazienti, il che vuole dire 6 decessi ogni 10mila contagiati. In Italia, traslando la nostra percentuale del 2,2%, abbiamo avuto circa 220 morti ogni 10 mila contagiati. Quindi 220 morti contro 6 (ogni 10mila), cioè circa 30 volte di più. Si possono discutere in modo più approfondito di quello che lo spazio consente le metodologie impiegate, e ci auguriamo che lo si faccia, ma Didier Raoult, con un team di altri trenta specialisti, ha pubblicato lo studio più ampio finora esistente e questo dimostra che la mortalità Covid può essere ridotta a 6 decessi su 10mila pazienti. Da più di un anno Raoult e i suoi collaboratori non si stancano di evidenziare che presso il loro Istituto Ospedaliero di Marsiglia la mortalità Covid è di questo ordine di grandezza. Stando a quanto si legge sul sito dell'Aifa e del ministero della Salute, l'idrossiclorochina presenta troppi "rischi", ma non si cita nessuno studio a sostegno - come si sa, viene impiegata da 40 anni come farmaco anti-malarico e milioni di persone nel mondo l'hanno adoperata. Questo dato di mortalità ridotta a solo lo 0,06% applicato all'Italia significa, ragionando in retrospettiva, che applicando questo tipo di terapia avremmo potuto avere 30 volte morti in meno. Tanto per dare un'idea, una mortalità di 6 pazienti su 10mila come indicano all'Istituto di Marsiglia invece che di oltre 200 pazienti su 10mila come finora in Italia, significa oltre 100mila morti in meno. Riportando i clamorosi dati di questo studio, non possiamo fare a meno di chiederci: perché non si è voluto curare i pazienti in questo modo e perché ancora adesso il ministro lo impedisce? Quali interessi sta proteggendo il ministro Speranza?

Il focus sul farmaco. Effetti collaterali idrossiclorochina, il farmaco discusso usato contro il Covid. Redazione su Il Riformista il 19 Marzo 2021. Sponsorizzata da Donald Trump come farmaco efficace contro il coronavirus, spinta da alcune frange di medici come rimedio per trattare in fase preliminare l’avanzamento della malattia Covid 19, l’idrossiclorochina continua a far discutere. “La clorochina e l’idrossiclorochina possono causare problemi del ritmo cardiaco e questi potrebbero essere aggravati se il trattamento viene combinato con altri medicinali, come l’azitromicina antibiotica, che hanno effetti simili sul cuore”, ricorda l’Ema, sottolineando come studi recenti abbiano rilevato anche alcuni casi fatali. L’Ente regolatorio europeo specifica come “oltre agli effetti collaterali che colpiscono il cuore”, i due farmaci antimalarici usati anche nella terapia dell’artrite reumatoide e del lupis eritematoso sistemico “sono noti per causare potenzialmente problemi al fegato e ai reni, danni alle cellule nervose che possono portare a convulsioni e ipoglicemia”. E sull’efficacia nel trattamento dei sintomi da coronavirus “i dati clinici sono ancora molto limitati e inconcludenti” e gli effetti benefici di questi medicinali contro il Covid-19 “non sono stati dimostrati”. Di qui la raccomandazione agli operatori sanitari di “monitorare attentamente” i pazienti con Covid-19 che li ricevono e l’obbligo di prescrizione medica. “Tra interventi a gamba tesa di Tar e Consiglio di Stato, la tensione alta tra Aifa, scienziati, Regioni e medici di famiglia, non si capisce nulla”, sottolinea l’avvocato Stefano Putinati, professore associato di diritto penale Università di Parma, in un approfondimento sul sito di informazione e divulgazione scientifica “MedicalFacts’” fondato dal virologo Roberto Burioni. “Va inoltre ricordato – prosegue Putinati – che quando si somministra un farmaco fuori dai casi e dalle patologie per le quali il farmaco viene autorizzato, la responsabilità, in caso di evento avverso dovuto al farmaco, è del medico che lo prescrive per l’uso diverso e non della casa farmaceutica che lo produce”. Gli effetti anti-virali di questi farmaci sono noti fin dagli anni 60: molte specie diverse di virus mostrano una ridotta capacità di replicazione quando esposti a concentrazioni diverse di Clorochina o di Idrossiclorochina. Riguardo al SARS-Cov 2, ci sono evidenze che questi farmaci siano in grado di inibire il contatto tra i virus e l’epitelio delle vie respiratorie. Oltre a questo effetto di superficie, Idrossiclorochina e Clorochina agiscono anche a livello intracellulare (dopo che il virus è penetrato nella cellula) interferendo con il rilascio del genoma virale nel citoplasma grazie all’ inibizione di specifici enzimi lisosomiali. In conclusione, sulla base della valutazione della Letteratura scientifica, non esistono certezze circa l’efficacia terapeutica e/o preventiva di Idrossiclorochina e Clorochina nell’infezione da SARS-COV-2. La risposta definitiva potrebbe venire dai risultati dei numerosi studi che sono stati avviati nel mondo.

La cura con plasma non funziona: "Basta dare false speranze". La cura con il plasma dei guariti non funziona: ne dà l'annuncio il Prof. Bassetti sul proprio profilo Facebook. "Evitare di dare false speranze alla gente e affidarsi unicamente alla medicina dell'evidenza". Alessandro Ferro - Sab, 27/02/2021 - su Il Giornale. Fra tante terapie che funzionano, ce n'è una che non sembra aver dato i suoi frutti: è quella con il plasma dei guariti, chiamato anche "plasma iperimmune" e contenente gli anticorpi di chi ha contratto l'infezione da Sars-Cov-2.

"Plasma non serve a nulla". La conferma arriva da una delle riviste scientifiche internazionali più importanti, Jama, ed è il Prof. Matteo Bassetti il primo a sottolineare la non efficacia di questa cura. "Il plasma dei guariti non sembra servire a nulla nella terapia del Covid. Occorre evitare di dare false speranze alla gente e affidarsi unicamente alla medicina dell'evidenza. Viva la scienza e chi la sa leggere e studiare". Si è espresso così l'infettivologo genovese, Direttore della Clinica di Malattie infettive dell'ospedale San Martino di Genova e componente dell'Unità di crisi Covid-19 della Liguria sulla propria pagina Facebook dove ha allegato il lavoro scientifico appena pubblicato.

"Nessun impatto sulla malattia". "Ecco l'ultimo articolo appena pubblicato su Jama, una delle più prestigiose riviste scientifiche al mondo, che analizza oltre 11.000 pazienti trattati con il plasma dei guariti. Si tratta di una metà-analisi di tutti gli studi fin qui condotti. I dati - sottolinea Bassetti - confermano quanto altri studi hanno già affermato prima: il plasma dei guariti non ha nessun impatto sulla mortalità o sull'andamento clinico della malattia. Speriamo che tutti leggano e non continuino la contrapposizione tra chi è pro e chi è contro il plasma dei guariti".

Cosa si è scoperto. La doccia fredda arriva dal lavoro scientifico che ha raggruppato 4 studi clinici randomizzati pubblicati e revisionati tra pari comprendenti 1060 pazienti con Covid-19 trattati con plasma convalescente: "il rapporto di rischio per la mortalità era 0,93 e dopo l'aggiunta di 6 studi clinici randomizzati non pubblicati e 10722 pazienti, il rapporto di rischio per la mortalità era 1,02; nessuno dei due risultati era statisticamente significativo", hanno scritto i ricercatori. "Non sono state mostrate associazioni significative con i benefici per la durata della degenza ospedaliera, l'uso della ventilazione meccanica, il miglioramento clinico o il deterioramento clinico", hanno aggiunto, mettendo una pietra tombale su questa terapia.

Il confronto con la scorsa primavera. Eppure, al termine della prima ondata pandemica c'era stata una forte eco mediatica quando i primi risultati erano stati definiti "sorprendenti" dal Prof. Massimo Franchini, Responsabile dell’Immunoematologia e Medicina trasfusionale dell’ospedale Carlo Poma di Mantova (qui il nostro pezzo su quanto accaduto a maggio). La terapia era iniziata dal Nord Italia: assieme a Pavia, anche gli ospedali di Novara, Padova e Mantova si erano attrezzate per cure di questo genere. Ma in cosa consiste (sarebbe meglio dire consisteva) questa cura? In pratica veniva utilizato il plasma dei pazienti guariti dal Covid-19, che è la componente liquida del sangue nella quale sono sospesi gli elementi corpuscolati (globuli rossi, globuli bianchi e piastrine). A questo trattamento erano stati sottoposti i pazienti che rischiavano di finire in terapia intensiva. In maniera sorprendente, i miglioramenti su un ristretto gruppo di pazienti erano risultati evidenti già dopo 1-2 giorni dall’inizio della terapia. Evidentemente, quei numeri così ristretti avevano fatto pensare al "miracolo", ma in questo caso non è avvenuto. Le vere speranze, adesso, sono due: i vaccini (per prevenire l'infezione) e gli anticorpi monoclonali (come terapia) molti dei quali già testati ed in somministrazione soprattutto negli Stati Uniti. In Italia abbiamo la nostra Toscana Life Sciences che li sta producendo e testando (qui la nostra esclusiva). Non resta che aspettare e non abbatterci: il plasma non funziona ma abbiamo tante frecce al nostro arco per abbattere, definitivamente, il maledetto Covid-19.

Da “il Giornale” il 9 aprile 2021. Lo scorso anno la terapia del plasma ha alimentato parecchie speranze e si è rivelata utile nel trattamento di alcuni pazienti. Poi si è capito che utilizzarla su larga scala era pressoché impossibile. Ora uno studio promosso dall' Istituto superiore sanità e da Aifa ha confermato che il plasma non ha evidenziato benefici sui pazienti Covid in termini di riduzione del rischio di peggioramento respiratorio o morte. Hanno partecipato allo studio 27 centri clinici distribuiti in tutto il territorio nazionale, che hanno arruolato 487 pazienti di cui 324 in Toscana, 77 in Umbria, 66 in Lombardia e 20 da altre regioni. Di questi 241 pazienti sono stati assegnati al trattamento con plasma e terapia standard (231 valutabili) e 246 alla sola terapia standard (239 valutabili). «Non è stata osservata - evidenziano i promotori - una differenza statisticamente significativa nel cosiddetto end point primario (necessità di ventilazione meccanica invasiva o decesso entro 30 giorni dalla data di randomizzazione) tra i due gruppi». Solo nel caso dei pazienti con una compromissione respiratoria meno grave è emerso un segnale a favore del plasma, che non ha però raggiunto la significatività statistica. «Questo - indicano gli autori - potrebbe suggerire l' opportunità di studiare ulteriormente il potenziale ruolo terapeutico del plasma nei soggetti con Covid lieve-moderato e nelle primissime fasi della malattia». Il trattamento è risultato complessivamente ben tollerato, anche se gli eventi avversi sono risultati più frequenti nel gruppo che ha ricevuto il plasma. Se la terapia quindi non verrà del tutto abbandonata, ma usata solo sui pazienti più indicati, si punta molto sulla sua evoluzione, cioè sugli anticorpi monoclonali.

Coronavirus, lo studio: il plasma iperimmune riduce i rischi se dato all'inizio dell'infezione. Le Iene News il 7 gennaio 2021. Il plasma iperimmune donato da chi è appena guarito dal Covid dimezzerebbe i rischi di contrarre la malattia nella sua forma più grave. Lo studio, appena pubblicato, è stato ripreso dal New York Times. Di questo metodo per combattere il coronavirus noi de Le Iene vi parliamo da tempo con Alessandro Politi. Noi De Le Iene vi abbiamo parlato più volte in onda della possibile utilità del plasma iperimmune nella lotta al Covid: ora questa possibilità viene rafforzata da uno studio appena uscito e ripreso anche dal New York Times. Qui sopra potete vedere l’ultimo servizio sul tema di Alessandro Politi. Lo studio viene invece dall’Argentina ed è stato pubblicato dalla rivista americana New England Journal of Medicine. Il plasma iperimmune, ricco di anticorpi specifici, è quello che può essere donato come ha fatto anche la nostra Iena da chi è guarito dal coronavirus ed è ancora convalescente. Può essere poi iniettato a chi è stato contagiato. Secondo l’ultimo studio può ridurre il rischio di avere il Covid in forma grave se viene somministrato nei primi giorni dell'infezione. La massima efficacia si raggiungerebbe se viene trasfuso entro tre giorni dalla diagnosi e il paziente manifesta ancora sintomi. I dati riguardano 160 pazienti sopra i 65 anni: la metà ha ricevuto il plasma, l'altra metà un placebo, sempre al massimo tre giorni dopo la diagnosi. Il rischio di avere il Covid in forma grave è diminuito del 48%. “Dare il plasma troppo tardi”, dice al New York Times l’autore principale, Fernando Polack, “è come permettere a un ladro di saccheggiare una casa per ore prima di chiamare la polizia. Mentre una somministrazione precoce può limitare l'infezione quando è ancora sul nascere".

Scienza e medici divisi sul plasma degli immuni contro il Covid. Favorevoli e contrari, dubbi e certezze. Il plasma di chi è guarito dal coronavirus per alcuni una cura, per altri l'ennesima speranza, vana. Maria Santoro il  02 Gennaio 2021 su Panorama. Plasma iperimmune. Sembrava una cura efficace, poi è stata ridimensionata, ma diversi ospedali italiani ricorrono tuttora agli anticorpi prelevati dai guariti al Covid-19. Insomma, è la cura «economica» che può salvarci prima del vaccino? Sebbene a tutt'oggi non ci siano evidenze scientifiche sui benefici della terapia, alla sperimentazione si aggiungono nuove regioni italiane. Per mancanza di farmaci specifici (gli anticorpi monoclonali non sono ancora disponibili) o nella speranza che l'immunizzazione passiva funzioni? Al momento il plasma viene somministrato come «cura compassionevole», ovvero su pazienti in pericolo di vita, in assenza di alternative terapeutiche. Il trial Tsunami (acronimo di Transfusion of convalescent plasma for the treatment of severe pneumonia due to Sars-CoV-2) è stato autorizzato dal Comitato Etico dell'INMI Spallanzani. Si tratta di uno studio nazionale comparativo randomizzato per valutare l'efficacia e il ruolo dell'emocomponente ottenuto da pazienti convalescenti da Covid-19. Si concluderà tra gennaio e febbraio 2021.

È DAVVERO UNA TERAPIA? Il plasma dei guariti è già stato utilizzato per il virus Ebola e la febbre emorragica argentina. Sul Sars-CoV-2, niente al momento suffraga la sua capacità di sostenere la risposta immunitaria dei malati e aiutarli a contrastare il virus grazie all'infusione degli anticorpi di chi è sopravvissuto. Sarebbe, peraltro, un'ottima notizia. Purtroppo i risultati pubblicati sulla rivista Haematologica del primo studio italiano (non eseguito in doppio cieco), che affermavano la bontà della cura anche nei pazienti con infezione severa, sono stati smentiti da un studio più recente, apparso sul New England Journal of Medicine.

SPREMUTA DI ANTICORPI. Il primo studio «concettuale» italiano (promosso dalla Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo di Pavia e l'ASST di Mantova) parlava di eccellenti risultati e di una riduzione della mortalità sui pazienti al 6 per cento. In questi mesi si sono susseguiti però altre indagini internazionale sull'effetto terapeutico dell'immunizzazione passiva mediante plasma iperimmune, ma tutti – almeno in questo momento – non confermano le ottimistiche previsioni. I dati pubblicati dello studio italo-argentino, realizzato dall'Hospital Italiano di Buenos Aires (quello apparso sul New England Journal of Medicine), sembrano una pietra tombale. Lo studio randomizzato in doppio cieco (significa che è stato comparato l'effetto del plasma e del placebo senza che i medici e i pazienti conoscessero la natura del trattamento) ha seguito 333 pazienti divisi in due gruppi: a 211 è stato dato il plasma in aggiunta alle terapie tradizionali (cortisonici ed eparina), a 111 queste ultime e placebo. Risultato: il plasma iperimmune non è stato determinante per ridurre la mortalità né per migliorare il decorso clinico.

COSTI E BENEFICI. Una dose di plasma costa 116 euro circa. La materia prima è gratuita, poiché viene donata dai pazienti - tra i 18 e i 60 anni - che hanno superato l'infezione Covid-19 e hanno maturato un titolo anticorpale di 160 (questa concentrazione di anticorpi assicura che, diluito no a 160 volte, il plasma selezionato possa uccidere il virus in vitro). Il costo è dovuto alla trasformazione della materia prima e alla purificazione delle immunoglobuline iperimmuni. Per ogni paziente si somministra una dose di 300 ml no a un massimo di due dosi. A donare il plasma possono essere solo coloro che, dopo una diagnosi di positività al virus con tampone molecolare, siano state dichiarate successivamente negative. I volontari possono donare una volta al mese no a quando dimostrano di avere un titolo anticorpale sufficiente. «Il problema è trovare pazienti convalescenti disponibili, soprattutto se reduci da forme particolarmente aggressive della malattia» dichiara Andrea Cossarizza, ordinario di patologia generale e immunologia all'università di Modena e Reggio Emilia. «Inoltre il plasma si può ottenere solo durante l'ondata pandemica, e ovviamente in assenza di pazienti -che è quello che speriamo tutti- non sarà più possibile procurarsene a sufficienza. Anche questo rappresenta un limite non trascurabile dell'eventuale terapia». Il costo ridotto del plasma, soprattutto se confrontato alle risorse economiche impiegate per lo sviluppo di farmaci antivirali, anticorpi monoclonali e vaccini, ha conquistato la fiducia di molti e lo scetticismo verso terapie ben più costose delle aziende farmaceutiche. «Nessuno scienziato avrebbe mai rifiutato l'impiego del plasma iperimmune se fosse davvero utile al miglioramento degli outcomes di sopravvivenza dei pazienti» dice Cossarizza. «Ma lo studio di Buenos Aires non è il solo a dimostrarne la mancata efficacia. La scienza tiene aperte le porte no a prova contraria, e questa prova purtroppo ora esiste».

PERCHÉ CONTINUA LA SPERIMENTAZIONE? Resta la possibilità di investigare in futuro il ruolo che potrebbe giocare il plasma per curare forme lievi e moderate della malattia. E proprio su questi casi si concentra il trial Tsunami. Tra le ipotesi ventilate, anche l'opportunità di trattare i pazienti a rischio immediatamente dopo la diagnosi di positività, per capire se una pronta infusione di anticorpi possa ridurre il rischio di sviluppare una forma di infezione severa. «Si tratta di ipotesi» afferma Cossarizza. «E sarà difficile provare con sicurezza che eventuali miglioramenti nel decorso clinico siano l'esclusiva conseguenza della somministrazione del plasma e non di eventuali trattamenti farmacologici». È iniziata la distribuzione del vaccino, ma in funzione preventiva. La terapia è tutt'altra faccenda: «Non abbiamo molte alternative a disposizione per i pazienti e nessuna specifica per Sars-CoV-2. Abbiamo mutuato farmaci impiegati per altre patologie che si sono rivelati d'aiuto in fase emergenziale» conclude lo studioso. «Se la terapia del plasma viene comunque applicata in abbinamento ai farmaci non potremo tirare una linea di demarcazione netta per distinguere dove inizia l'effetto positivo dell'infusione, e soprattutto capire se esiste davvero un effetto positivo. Nessuno avrebbe l'ardire di privare alcuni pazienti delle cure standard per controllare i benefici del plasma».

·        La Reazione al Vaccino.

Vaccino AstraZeneca, trovata la causa delle trombosi: lo studio. Jacopo Romeo il 3 dicembre 2021 su Notizie.it. Un nuovo studio dell’Università di Cardiff analizza le morti avvenute per trombosi dopo la somministrazione del vaccino AstaZeneca. Sembra che sia statascoperta la vera causa dei rari casi di trombosi registrati dopo la somministrazione del vaccino anti-Covid AstraZeneca. A scoprirlo, riporta la Bbc, è stato un pool di esperti, ricercatori della stessa AstraZeneca coadiuvati dall’Università di Cardiff. L’innesco potrebbe essere una proteina del sangue che si unisce ad una componente chiave del vaccino. Alan Parker è uno dei ricercatori dell’Università di Cardiff, e commenta così la scoperta: “Quello che abbiamo è la causa scatenante, ma ci sono altri passaggi che devono accadere dopo.” Anche un portavoce di AstraZeneca ha detto la sua: “Sebbene la ricerca non sia definitiva, offre elementi interessanti e AstraZeneca sta esaminando soluzioni per sfruttare questi risultati nei nostri sforzi per eliminare questo raro effetto collaterale.” È giusto ricordare che i casi di trombosi sono stati un effetto collaterale molto raro. Nel Regno Unito su 50 milioni di somministrazioni del vaccino sono state 73 le morti associate a trombosi. “Non sarebbe mai stato possibile prevederlo, dobbiamo ricordare il quadro complessivo e il numero di vite che questo vaccino ha salvato”, termina Parker.

Cosa c'è dietro alle trombosi da vaccino, lo studio su AstraZeneca trova la "causa scatenante". Il Tempo il 02 dicembre 2021. La "causa scatenante" delle trombosi correlate al vaccino AstraZeneca è stata individuata. La scoperta arriva da uno studio anglo-americano sviluppato dall’Università di Oxford a cui hanno collaborato ricercatori della stessa casa farmaceutica e che ha verificato "come una proteina del sangue si unisce ad un componente chiave del vaccino".  Potrebbe pertanto essere "l’innesco" che ha causato i casi, rari, di coaguli del sangue dopo la somministrazione del vaccino anti-Covid AstraZeneca. Nella ricerca - riporta la Bbc - è coinvolta l’università di Cardiff. Secondo Alan Parker, uno dei ricercatori dell’Università di Cardiff: "Quello che abbiamo è la causa scatenante (’trigger’), ma ci sono altri passaggi che devono accadere dopo". Da chiarire come questa nuova evidenza possa impattare con l'uso del siero anglo-svedese. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Science Advances. Intanto si discute sui possibili rischi del vaccino anti-Covid ai bambini dopo il via libera deell'Aifa, l'agenzia italiana per il farmaco. "I bambini che si infettano hanno sicuramente meno complicanze rispetto agli anziani, ma esiste un rischio di malattia grave anche nella fascia pediatrica e un rischio del 10-15% di un long Covid del quale non sappiamo la durata" avverte il sottosegretario alla Salute Pierpaolo Sileri nel corso della trasmissione ’L’Italia s’è desta' su Radio Cusano Campus. "Paura per gli effetti del  vaccino a lungo termine? Sono supposizioni senza alcuna base scientifica - sottolinea -. Mentre invece ha una base scientifica la protezione che danno questi vaccini per qualunque fascia di età nei confronti di un virus mutevole che dà complicanze nell’immediato e anche a distanza, con il long Covid. Miocarditi e pericarditi sono molto più frequenti con il Covid", continua Sileri, "rispetto ai casi rari di effetti collaterali del vaccino".  Per il sottosegretario il vaccino serve a frenare i contagi ma anche a proteggere i bambini stessi. 

Report, le reazioni di AstraZeneca: "Cos'hanno taciuto per due mesi", l'ultima bomba su Aifa. Libero Quotidiano il 23 novembre 2021. A Report è andata in onda un'inchiesta sul caso AstraZeneca e gli "effetti avversi" coma la Vitt (trombosi con trombocitopenia indotta dal vaccino) nella puntata di lunedì 22 novembre su Rai 3. Claudia Di Pasquale, con la collaborazione di Giulia Sabella e Cecilia Andrea Bacci, è tornata quindi sulla questione del siero anglo-svedese con i suoi rari e inusuali effetti collaterali ed è ripartita da chi per primo ha cercato e individuato i pericolosi anticorpi anti-PF4. Si tratta di Andreas Greinacher, l'immunologo tedesco di fama mondiale che già il 20 marzo scorso aveva tenuto una conferenza stampa internazionale per condividere le sue scoperte su come riconoscere i sintomi e come trattare i pazienti colpiti da questa sindrome. "Ma cosa è successo in Italia?", si chiede Report. "Chi si è trovato davanti un paziente colpito da Vitt ha saputo sempre riconoscere i sintomi?". E poi, se si sapeva del rischio e si sapeva come trattarlo, perché nessuno è intervenuto subito? "Dal 20 marzo si sapeva che le reazioni avverse dopo la prima dose di AstraZeneca colpivano le donne sotto i 55 anni e il professor Andreas Greinacher aveva anche scoperto come diagnosticarle e trattarle. Ha individuato i pericolosi anticorpi anti-PF4 e che gli eventi avversi potevano essere trattati con immunoglobulina", ha detto il conduttore Sigfrido Ranucci. Perché queste informazioni allora sono state diramate da Aifa dopo due mesi? Il problema è che nel frattempo ci sono stati gli Open Day - le giornate vaccinali aperte a tutti - compreso quello a cui partecipò Camilla Canepa, la ragazza morta poi proprio a causa della vaccinazione, vicenda per la quale fu sospesa e poi rivista la somministrazione del vaccino AstraZeneca. 

Astradays. Report Rai PUNTATA DEL 20/11/2021 di Claudia Di Pasquale collaborazione di Giulia Sabella e Cecilia Andrea Bacci, Immagini di Giovanni De Faveri. Report torna sul caso AstraZeneca e sui rari e inusuali effetti avversi come la VITT (trombosi con trombocitopenia indotta dal vaccino) ripartendo da chi, per primo, ha cercato e individuato i pericolosi anticorpi anti-PF4. È Andreas Greinacher, l'immunologo tedesco di fama mondiale che già il 20 marzo scorso aveva tenuto una conferenza stampa internazionale per condividere le sue scoperte su come riconoscere i sintomi e come trattare i pazienti colpiti da questa sindrome. In Italia cosa è successo? Chi si è trovato davanti un paziente colpito da VITT ha saputo sempre riconoscere i sintomi?

ASTRADAYS di Claudia Di Pasquale Collaborazione di Cecilia Bacci e Giulia Sabella Immagini di Giovanni De Faveri Montaggio di Daniele Bianchi Grafiche di Giorgio Vallati Da Report del 25/10/2021

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO Greifswald è una cittadina di circa 60mila abitanti, si trova nel nord della Germania ed è nota per il suo ospedale universitario. Il dipartimento di medicina trasfusionale è infatti un punto di riferimento internazionale. Lo dirige il professore Andreas Greinacher.

ANDREAS GREINACHER – PROFESSORE DI IMMUNOLOGIA – UNIVERSITÀ DI GREIFSWALD Questo è il laboratorio dove è successo tutto. Qui puoi vedere come vengono preparati i campioni per fare il test Elisa.

CLAUDIA DI PASQUALE Cosa è il test Elisa?

ANDREAS GREINACHER – PROFESSORE DI IMMUNOLOGIA – UNIVERSITÀ DI GREIFSWALD È il test che misura la presenza dei cosiddetti anticorpi anti-PF4. Si tratta di anticorpi pericolosi perché attivano le piastrine provocando possibili disordini trombotici.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO Grazie al test Elisa, il professore Greinacher e il suo gruppo di ricerca hanno trovato i pericolosi anticorpi anti-PF4 nei campioni dei pazienti che avevano sviluppato, a pochi giorni dalla vaccinazione con AstraZeneca, trombosi associata a trombocitopenia, cioè a piastrine basse.

ANDREAS GREINACHER – PROFESSORE DI IMMUNOLOGIA – UNIVERSITÀ DI GREIFSWALD Martedì 16 marzo abbiamo ricevuto dall’Austria il primo campione da analizzare e in 24-48 ore abbiamo trovato gli anticorpi anti-PF4. A quel punto la domanda era come trattare questi pazienti. Abbiamo quindi testato un farmaco che si trova in tutti gli ospedali - le immunoglobuline - e hanno funzionato. La stessa sera del 17 marzo abbiamo reso pubblici i nostri risultati per consentire ai medici di curare i loro pazienti in modo corretto.

CLAUDIA DI PASQUALE Voi avete pubblicato uno studio in cui avete analizzato 11 casi. Qual era l'età media dei pazienti e quali erano i loro sintomi?

ANDREAS GREINACHER – PROFESSORE DI IMMUNOLOGIA – UNIVERSITÀ DI GREIFSWALD L'età andava dai 20 alla fine dei 50 anni e i sintomi erano piastrine basse, un forte mal di testa o dolore allo stomaco a causa di complicazioni trombotiche al cervello o all'addome.

CLAUDIA DI PASQUALE Possiamo dire che c’è una relazione causale tra il vaccino AstraZeneca e questi rari e inusuali casi di trombosi associata a trombocitopenia?

ANDREAS GREINACHER – PROFESSORE DI IMMUNOLOGIA – UNIVERSITÀ DI GREIFSWALD Sì, è chiaro e inequivocabile.

SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Buonasera. Allora, già nei primi di marzo la stampa europea lancia un allarme di rari e inusuali casi di coaguli di sangue dopo la dose di AstraZeneca. Il primo a capire quale fosse il problema è il professor Andreas Greinacher, immunologo di fama internazionale, tedesco, il quale capisce che questi pazienti che sono colpiti da trombi associati a piastrine basse, soprattutto donne sotto i 60 anni, possono essere trattati con la somministrazione delle immunoglobuline. Ecco, le spie sono gli anticorpi “antiPF4”. Greinacher suggerisce anche come trattarli e indice una conferenza stampa il 20 marzo dove mette a disposizione le sue conoscenze alla comunità scientifica. Il 22 marzo la società che studia l’emostasi, la società tedesca che studia l’emostasi e le trombosi pubblica un documento. Dentro ci sono indicati i sintomi a cui bisogna fare attenzione, anche come diagnosticarli e poi, questi casi rari e inusuali di coaguli, e poi anche come trattarli. Il 28 marzo il professor Greinacher mette a disposizione anche il suo studio. L’Ema recepirà tutto questo il 7 aprile e ammetterà per la prima volta un legame tra questi rari casi di trombosi associate a piastrine basse con la somministrazione del vaccino AstraZeneca. Lo stesso giorno il ministero della Salute emette una circolare nella quale si invita a usare AstraZeneca in maniera preferenziale per le persone sopra i 60 anni. Ora, tutte queste informazioni, raccomandazioni, che giro fanno? Come vengono recepite dal nostro CTS? La nostra Claudia Di Pasquale.

CONFERENZA STAMPA 07/04/2021 FRANCO LOCATELLI – COORDINATORE DEL COMITATO TECNICOSCIENTIFICO La maggior parte di questi eventi trombotici a carico dei seni venosi cerebrali piuttosto che del distretto addominale si sono osservati in soggetti di sesso femminile, ma soprattutto sotto i 60 anni di età.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO Nonostante il 7 aprile si raccomandi l'uso preferenziale di Astrazeneca per gli over 60, tra la fine di maggio e i primi di giugno, più regioni italiane lanciano gli open day con i vaccini a vettore adenovirale, AstraZeneca e Johnson & Johnson, per tutti i soggetti over 18. A dare il via libera alle regioni a organizzare questi Vaccination Day, è il CTS con questo verbale del 12 maggio. A supporto, il CTS cita un’analisi sulla bilancia rischi/benefici di Astrazeneca realizzata dall’Ema con la consulenza del Winton Center For Risk di Cambridge.

JOHN ASTON – PROFESSORE DI STATISTICA - UNIVERSITÀ DI CAMBRIDGE Abbiamo aiutato l’Ema a visualizzare quante morti per Covid si possono prevenire grazie alla vaccinazione con AstraZeneca. Poi abbiamo messo a confronto questi dati con il possibile rischio di sviluppare coaguli di sangue dopo il vaccino nei tre possibili scenari: con alta, media e bassa contagiosità.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO Nel verbale del CTS si legge che in base all'analisi dell'Ema, con una circolazione virale media il numero di casi ogni 100mila persone che sviluppano i fenomeni trombotici risulta pari a 1.1 mentre con il vaccino si possono prevenire otto morti per Covid ogni 100mila persone.

CLAUDIA DI PASQUALE Otto morti per Covid contro un coagulo di sangue. Questi numeri a quale fascia d'età appartengono?

JOHN ASTON – PROFESSORE DI STATISTICA - UNIVERSITÀ DI CAMBRIDGE Sono relativi alla fascia d'età 50-59 anni.

CLAUDIA DI PASQUALE Invece ogni 100mila persone quali sono i dati nella fascia degli under 30?

JOHN ASTON – PROFESSORE DI STATISTICA - UNIVERSITÀ DI CAMBRIDGE In questo caso non ci aspettiamo decessi, quindi il numero di morti per Covid è zero.

CLAUDIA DI PASQUALE E invece quali sono i possibili rischi?

JOHN ASTON – PROFESSORE DI STATISTICA - UNIVERSITÀ DI CAMBRIDGE Ogni 100mila giovani si prevedono circa 2 casi di coaguli di sangue.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO In base ai grafici del Winton Centre, anche in caso di alta contagiosità ogni 100mila prime dosi nella fascia under 30 le morti prevenute per Covid sono zero mentre il rischio di coaguli di sangue è circa due. Ne parliamo quindi con l'ex direttore dell'Ema, Guido Rasi, oggi consulente a titolo gratuito del generale Figliuolo.

CLAUDIA DI PASQUALE In base ai dati pubblicati da questo studio risulta che i benefici siano superiori ai rischi per le fasce più giovani o già da questo studio era possibile comprendere che non era così chiara la bilancia rischi-benefici?

GUIDO RASI - DIRETTORE ESECUTIVO EMA 2015-2020 Sì, sì, si poteva dedurre che fino a, diciamo, 39 anni, 40 anni, sicuramente il vaccino ideale non era questo.

CLAUDIA DI PASQUALE Cioè, già da questa tabella si poteva comprendere che non era il caso di fare gli open day over 18?

GUIDO RASI - DIRETTORE ESECUTIVO EMA 2015-2020 Con quel vaccino no. L'ideale sarebbe stato fare un open day con vaccini ad mRNA delle fasce sotto i 50 e open day con i vaccini a vettore virale nelle fasce sopra i 50. CLAUDIA DI PASQUALE A suo avviso, comunque, AstraZeneca è un vaccino per giovani?

GUIDO RASI - DIRETTORE ESECUTIVO EMA 2015-2020 No, chiaramente no.

SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Se lo dice un’eccellenza come il professor Rasi, che è ex direttore esecutivo di EMA e anche consulente del commissario Figliuolo, allora c’è da chiedersi: ma perché il CTS ha dato il via alla campagna di vaccinazione open day per gli over 18 con i vaccini a vettore adenovirale, insomma, ad AstraZeneca e Johnson & Johnson? Ora, AstraZeneca sicuramente è il vaccino sul quale noi avevamo puntato. Era la strategia, era fondamentale per la strategia di vaccinazione del nostro paese. Abbiamo vaccinato insegnanti, uomini delle forze dell’ordine. Solo che bisognava vaccinare tante persone, salvare tante vite. Avevamo nei magazzini una scorta abbondante di AstraZeneca. Eravamo invece carenti di vaccini a vettore mRNA. E allora il generale Figliuolo ha pensato bene di chiedere di allargare la campagna di vaccinazione agli over 50. Questo a maggio. Il 12 maggio il CTS è più generoso: allarga la campagna di vaccinazione agli over 18 e fa, prende questa decisione grazie anche alla pubblicazione degli studi dell’Ema realizzati in collaborazione con il Winton Centre for Risk di Cambridge proprio sui dati AstraZeneca, pubblicando la bilancia beneficirischi. Solo che il CTS omette di pubblicare, di dare conto della bilancia benefici-rischi per quello che riguarda i giovani. Allora, la nostra domanda è: che fine avevano fatto quelle informazioni che aveva condiviso il professor Greinacher sui sintomi, su come diagnosticarli e su come trattare quei pazienti colpiti da quei rari e inusuali casi di reazioni avverse, trombi associati a piastrine basse? Erano dati disponibili già a partire dal 20 marzo. Ecco, tutte queste informazioni che fine hanno fatto? Report può cominciare.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO Contro gli open day AstraZeneca over 18 si scatenano presto le polemiche: il 30 maggio 24 medici vaccinatori volontari di Genova pubblicano sull'Huffington Post questa lettera dal titolo "Perché AstraZeneca non è un vaccino per giovani". Alcuni giorni dopo un appello simile viene rilanciato dall'associazione Luca Coscioni. Tra i firmatari ci sono la biologa Valeria Poli e l'ematologa ed immunologa Anna Rubartelli.

CLAUDIA DI PASQUALE Perché voi dite che AstraZeneca non è un vaccino per giovani?

ANNA RUBARTELLI - IMMUNOLOGA ED EMATOLOGA - UNIVERSITÀ SAN RAFFAELE DI MILANO Se noi sappiamo che AstraZeneca dà delle complicanze gravi nella, nelle fasce di età più giovani, organizzare un open day per AstraZeneca ci sembra folle. Per di più, i ragazzi avevano una gran voglia di vaccinarsi perché volevano giustamente tornare a una vita normale.

CLAUDIA DI PASQUALE Cioè, perché restate sorprese di fatto, cioè, quando vengono organizzati questi dipende da più regioni in realtà?

ANNA RUBARTELLI - IMMUNOLOGA ED EMATOLOGA - UNIVERSITÀ SAN RAFFAELE DI MILANO Rimaniamo sorprese perché sappiamo che è insensato.

VALERIA POLI - BIOLOGA MOLECOLARE - UNIVERSITÀ DI TORINO Abbiamo sentito che bisognava fare qualcosa perché si rischiavano delle vite.

ANNA RUBARTELLI - IMMUNOLOGA ED EMATOLOGA - UNIVERSITÀ SAN RAFFAELE DI MILANO E abbiamo fatto un appello perché venissero fermati gli open day.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO Alla fine a fermare gli open day AstraZeneca over 18 è stata la morte di Camilla Canepa, la 18enne di Sestri Levante deceduta per emorragia cerebrale alcuni giorni dopo avere ricevuto la prima dose di AstraZeneca. Sul caso la procura di Genova ha aperto un'inchiesta e questa è la conclusione della perizia.

ANGELO PAONE – AVVOCATO La conclusione è che è ragionevolmente da attribuirsi il decesso a uno di quei casi rari avversi di trombosi collegata alla somministrazione di questo tipo di vaccino.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO Eppure, nei giorni successivi al decesso la stampa ha ripetuto come un mantra che Camilla Canepa soffriva di una piastrinopenia immune familiare non indicata nella scheda della vaccinazione.

CLAUDIA DI PASQUALE La perizia accerta che lei era un soggetto sano.

ANGELO PAONE – AVVOCATO Che la ragazza era sana. Non aveva alcuna fragilità tale da sconsigliare e quindi è stata corretta la compilazione perché non puoi dichiarare ciò che non hai.

CLAUDIA DI PASQUALE È stato anche detto che in realtà la ragazza assumeva dei farmaci che potevano in qualche modo aver influito.

 ANGELO PAONE - AVVOCATO Nelle conclusioni non c’è riferimento ad alcun medicinale che possa aver interferito nella vaccinazione.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO È così che pochi giorni fa la sorella ha scritto questo post su Facebook: “Era sana. Che poi non è una novità che mia sorella fosse sana. Lo sapevamo tutti. Da sempre. E Dio solo sa quanto male faceva leggere continuamente di presunte malattie pregresse”.

CLAUDIA DI PASQUALE Lei si vaccina il 25 di maggio.

ANGELO PAONE – AVVOCATO Il 3 di giugno Camilla inizia a sentire un forte mal di testa e si reca al pronto soccorso dell'ospedale di Lavagna.

CLAUDIA DI PASQUALE E quindi noi già il 3 quali sintomi abbiamo?

ANGELO PAONE – AVVOCATO Mal di testa non comune.

CLAUDIA DI PASQUALE Persistente.

ANGELO PAONE – AVVOCATO Valore in scala: 9. Fotofobia e piastrine basse.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO Sono tra i sintomi che dal 18 marzo in poi più volte l'Ema e l'Aifa indicano nelle loro note ufficiali per poter riconoscere i casi sospetti di trombosi con piastrine basse dopo il vaccino AstraZeneca.

CLAUDIA DI PASQUALE E al pronto soccorso di Lavagna cosa accade? Mettono in correlazione questa piastrinopenia, questo mal di testa, con la vaccinazione?

ANGELO PAONE – AVVOCATO Dalla consulenza sembrerebbe risultare di no, nel senso che tengono la ragazza in osservazione e l'unica cosa che viene somministrato è il Toradol.

CLAUDIA DI PASQUALE Quindi non le danno le immunoglobuline?

ANGELO PAONE - AVVOCATO Io non ho visto traccia di questa terapia. È evidente che in quel momento lì la diagnosi non è stata fatta. Poi il problema è: la potevi fare? Era, potevamo attenderci che la facessi, sì o no? CLAUDIA DI PASQUALE E i periti cosa dicono?

ANGELO PAONE – AVVOCATO Ritengono che, dal punto di vista della difficoltà del quadro clinico e in materia penale, non si possa dire che vi sia una responsabilità della struttura sanitaria.

CLAUDIA DI PASQUALE Nel non aver riconosciuto i sintomi, però.

ANGELO PAONE – AVVOCATO Nel non aver riconosciuto i sintomi.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO Dall'ospedale di Lavagna Camilla Canepa viene dimessa dopo essere stata sottoposta ad una TAC senza mezzo di contrasto, che dà esito negativo. Eppure, secondo un documento realizzato da un gruppo di esperti coordinati dall'ematologo Valerio De Stefano e pubblicato dall'Aifa il 26 maggio, in caso di sospetta trombosi dei seni venosi cerebrali indotta dal vaccino, l'esame di prima scelta è un altro: l'angioTAC con mezzo di contrasto.

CLAUDIA DI PASQUALE AngioTAC significa?

VALERIO DE STEFANO – PROFESSORE EMATOLOGIA POLICLINICO GEMELLI – VICEPRESIDENTE SISET Significa una tac o una risonanza magnetica che abbia le migliori possibilità di individuare una trombosi.

CLAUDIA DI PASQUALE E invece se faccio una Tac senza contrasto?

VALERIO DE STEFANO – PROFESSORE EMATOLOGIA POLICLINICO GEMELLI – VICEPRESIDENTE SISET Può anche sottodiagnosticare e non evidenziare delle occlusioni, delle occlusioni venose.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO È così che la situazione precipita: il 5 giugno Camilla Canepa torna al pronto soccorso di Lavagna. Questa volta la TAC evidenzia dei focolai emorragici. Viene quindi trasferita al San Martino di Genova dove viene sottoposta a due interventi. Alla fine, morirà il 10 giugno.

MATTEO BASSETTI - INFETTIVOLOGO OSPEDALE SAN MARTINO GENOVA Forse, quello che si poteva fare era dare un’indicazione di restringere l’utilizzo di questo vaccino, di non utilizzarlo. Magari per esempio, in chi prendeva la pillola anticoncezionale, in chi aveva dei rischi importanti.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO Due giorni prima del decesso, l’8 giugno, l’infettivologo Matteo Bassetti dichiara che i vaccini AstraZeneca e Johnson & Johnson li sconsiglierebbe solo a chi prende la pillola anticoncezionale o altri trattamenti estroprogestinici.

CLAUDIA DI PASQUALE La pillola anticoncezionale rappresenta un fattore di rischio?

VALERIO DE STEFANO – PROFESSORE EMATOLOGIA POLICLINICO GEMELLI – VICEPRESIDENTE SISET Assolutamente no.

CLAUDIA DI PASQUALE Invece i farmaci progestinici in generale ormonali?

VALERIO DE STEFANO – PROFESSORE EMATOLOGIA POLICLINICO GEMELLI –VICEPRESIDENTE SISET Nulla. Direi che non è stata osservata neanche una tendenza in questo senso.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO Ma all'ospedale di Lavagna conoscevano le procedure diagnostiche e terapeutiche per trattare questi rari casi di trombosi con piastrine basse dopo AstraZeneca?

CLAUDIA DI PASQUALE A noi interessava comprendere se in effetti a voi come ospedale erano arrivate delle linee o meno.

BRUNO MENTORE – DIREZIONE OSPEDALE DI LAVAGNA - GENOVA Sono arrivate, sono state diffuse per cui tutti i medici dovevano, devono anzi, erano a conoscenza di quanto previsto. Abbiamo anche la rintracciabilità della diffusione delle procedure, sia quelle dell'Aifa sia quelle di Alisa.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO Alisa è l'azienda sanitaria della regione Liguria. Alle varie Asl e direzioni sanitarie ha inviato questo documento con il percorso diagnostico-terapeutico per trattare i severi eventi tromboembolici post vaccinazione. A realizzarlo è stato un gruppo di specialisti tra cui compare anche la dottoressa Anna Rubartelli, l'ematologa che si era opposta proprio agli open day AstraZeneca per i giovani.

ANNA RUBARTELLI - IMMUNOLOGA ED EMATOLOGA - UNIVERSITÀ SAN RAFFAELE DI MILANO Queste linee dovevano arrivare in fretta ai pronti, ai pronto soccorso perché chi non aveva tempo e modo di andare a leggere gli studi originali sul New England Journal of Medicine però potesse riconoscere e trattare i casi.

CLAUDIA DI PASQUALE Voi quando scrivete queste linee per trattare questi pazienti?

ANNA RUBARTELLI - IMMUNOLOGA ED EMATOLOGA - UNIVERSITÀ SAN RAFFAELE DI MILANO Intorno alla metà di aprile, un po’ prima della metà di aprile, e sono state mandate alla, ad Alisa il 14 aprile.

CLAUDIA DI PASQUALE La Regione, quindi, ha queste linee già da metà aprile.

ANNA RUBARTELLI - IMMUNOLOGA ED EMATOLOGA - UNIVERSITÀ SAN RAFFAELE DI MILANO Sì, le ha da controllare, implementare. E poi finalmente il documento è stato approvato dalla Regione il 27 maggio. Quindi 45 giorni dopo, in effetti, di quando lo avevamo spedito.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO Circa un mese e mezzo dopo, il 27 maggio, il documento viene registrato da Alisa e trasmesso alle varie asl e direzioni sanitarie. Il 28 maggio viene pubblicato sul sito web dell'ordine dei medici di Genova ma con un titolo fuorviante. Intanto erano già iniziati gli open day AstraZeneca over 18 ed erano anche passati quasi due mesi dalla morte di Francesca Tuscano, l'insegnante di 32 anni di Genova deceduta il 4 aprile, dopo la prima dose di AstraZeneca.

CLAUDIA DI PASQUALE Quindi lei si vaccina il 22 marzo.

CARMELO TUSCANO - PADRE DI FRANCESCA TUSCANO Il primo di aprile, che era giovedì, ha cominciato a venirle mal di testa. Io ho chiamato la mia dottoressa, mi ha fatto rispondere dalla sua segretaria che problemi non ce ne erano, non c'era nessuna correlazione.

CLAUDIA DI PASQUALE E vi suggerisce di darle qualcosa?

CARMELO TUSCANO - PADRE DI FRANCESCA TUSCANO Sì, sì, sì.

CLAUDIA DI PASQUALE Cosa?

CARMELO TUSCANO - PADRE DI FRANCESCA TUSCANO Suggerisce di dargli un Oki. Poi però il mal di testa ricomincia. Poi nella notte tra venerdì e sabato abbiamo chiamato la guardia medica.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO La guardia medica prescrive plasil per la nausea e paracetamolo per il mal di testa. La mattina seguente Francesca Tuscano è già in coma, viene quindi portata al San Martino di Genova, dove le somministrano l’eparina. Morirà il giorno dopo per emorragia cerebrale. La procura apre un'inchiesta e la perizia accerta che il decesso è ragionevolmente da riferirsi a effetti avversi del vaccino.

CLAUDIA DI PASQUALE Voi non avete preso fino ad ora un avvocato.

CARMELO TUSCANO - PADRE DI FRANCESCA TUSCANO Le cause contro, contro, contro chi? Contro AstraZeneca, contro l'Ema, contro l’Aifa?

CLAUDIA DI PASQUALE Contro chi? CARMELO TUSCANO - PADRE DI FRANCESCA TUSCANO Contro un muro, contro… è questo il discorso. Tanto più che mia figlia non c'è più, mia figlia non c'è più. E mia figlia era una ragazza straordinaria, ma non perché lo dico io.

SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO La giovane insegnante, 32 anni, muore il 4 aprile. E però le informazioni su come, su quali sintomi attenzionare, come andavano diagnosticati questi casi di trombosi associati a piastrine basse, anche come andavano trattati i pazienti, il professor Greinacher le aveva messe a disposizione della comunità scientifica già a partire dal 20 marzo. Ecco, la nostra Claudia Di Pasquale ha anche appurato e verificato che già il 26 marzo la nostra società che studia l’emostasi e le trombosi, vicepresidente il professor Valerio De Stefano, aveva pubblicato sul proprio sito delle indicazioni precise su quali sintomi andavano attenzionati, come bisognava diagnosticare questi casi, anche se rari e inusuali, come andavano trattati i pazienti. Tuttavia, dopo il 4 aprile l’ospedale Evangelico internazionale di Genova incarica un gruppo di lavoro – tre medici vaccinatori che sono sostanzialmente poi quei tre medici tra cui c’è Anna Rubartelli, hanno, avranno, chiederanno poi lo stop degli open day – li incarica di mettere in piedi un lavoro per un percorso diagnostico-terapeutico, cioè su come trattare questi casi quando si presentano. Il gruppo, il team, lavora in maniera frenetica. Il 14 aprile consegna il lavoro sul tavolo di Alisa, l’azienda sanitaria ligure, che però non lo applica subito. Apre un altro tavolo con dei tecnici, coinvolge il San Martino di Genova e poi, una volta modificato il testo, lo sdoganeranno il 27 maggio. Ecco, poi verrà distribuito negli ospedali e gli ospedali dovranno, lo avranno distribuito all’interno dei reparti. Ma come girano queste informazioni? Gli operatori che erano al pronto soccorso quando si è presentata la povera Camilla Canepa erano a conoscenza di queste informazioni? Lo abbiamo chiesto al primario, ma ha preferito non rispondere perché c’è un’inchiesta in corso. Ma la domanda è sempre quella: come girano queste informazioni che possono salvare delle vite?

CLAUDIA DI PASQUALE I primi di aprile secondo lei i medici erano già quindi nelle condizioni di trattare questi casi in modo corretto?

VALERIO DE STEFANO – PROFESSORE EMATOLOGIA POLICLINICO GEMELLI – VICEPRESIDENTE SISET Io direi che per la fine di marzo, per la fine di marzo il concetto niente eparina, immunoglobuline ad alte dosi, cortisone, Tac total body erano dei concetti che erano assolutamente diffusi. CLAUDIA DI PASQUALE Come Siset, quindi come società per lo studio dell’emostasi e delle trombosi, voi quando comunicate qual è la terapia giusta e come diagnosticare questi casi?

VALERIO DE STEFANO – PROFESSORE EMATOLOGIA POLICLINICO GEMELLI – VICEPRESIDENTE SISET Noi il 24 marzo facciamo un webinar aperto a tutti i soci in cui vengono espresse in maniera verbale già queste raccomandazioni.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO Il 26 marzo la società italiana per lo studio dell'emostasi e della trombosi manda ai suoi soci anche una newsletter su come diagnosticare e trattare questi casi di trombosi con piastrine basse dopo il vaccino.

CLAUDIA DI PASQUALE Quanti sono i vostri soci?

VALERIO DE STEFANO – PROFESSORE EMATOLOGIA POLICLINICO GEMELLI – VICEPRESIDENTE SISET I nostri soci sono 700, 800. È chiaro che di fronte alla sanità italiana, insomma, è un numero non particolarmente elevato ma qui stiamo parlando di super specialisti.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO L'Aifa invece pubblica da fine marzo una serie di note con i sintomi su cui dover vigilare, mentre il primo documento con tutte le procedure diagnostico terapeutiche risale al 26 maggio.

CLAUDIA DI PASQUALE Voi del Ministero vi siete premurati di sapere se i medici e gli ospedali erano a conoscenza di tutte le procedure diagnostiche e terapeutiche che servivano per trattare questi pazienti?

GIOVANNI REZZA - DIRETTORE GENERALE PREVENZIONE - MINISTERO DELLA SALUTE Non è che il Ministero insegna ai medici come operare clinicamente, perché non è, non è questo né il compito né la missione. Il nostro è un sistema regionalizzato, decentrato e naturalmente ci sono anche le società scientifiche.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO Giovanni Rezza è il direttore generale del ministero della Salute. È stato proprio lui a firmare tutte le circolari sui vaccini compresa quella del 7 aprile che raccomandava l'uso preferenziale di AstraZeneca per i soggetti over 60.

CLAUDIA DI PASQUALE Già a quella data si sapeva che questi eventi tromboembolici erano più frequenti nei soggetti sotto i 60 anni e nelle giovani donne.

GIOVANNI REZZA - DIRETTORE GENERALE PREVENZIONE - MINISTERO DELLA SALUTE Certo.

CLAUDIA DI PASQUALE Poi inaspettatamente il CTS ha autorizzato i famosi open day over 18 e in quel caso già si sapeva che però questi eventi, cioè che la bilancia benefici-rischi era meno chiara nei giovani. Voi del Ministero in quel momento dove eravate? Non avete provato a bloccare comunque questi open day over 18?

GIOVANNI REZZA - DIRETTORE GENERALE PREVENZIONE - MINISTERO DELLA SALUTE Allora, le circolari che sono state emanate, sono state sempre emanate in accordo con, rispetto alle indicazioni di Aifa, della CTS di Aifa e del CTS stesso. Non abbiamo invece emesso alcun atto normativo o circolare a riguardo del, degli…

CLAUDIA DI PASQUALE Degli open day.

GIOVANNI REZZA - DIRETTORE GENERALE PREVENZIONE - MINISTERO DELLA SALUTE Degli Astraday che lei, che lei ricordava.

CLAUDIA DI PASQUALE Lei dice non abbiamo fatto una nuova circolare per autorizzare questi open day over 18. Mi sembra un po’ che vi state lavando le mani. Per la serie, è stato il CTS a dare il via. Noi non c'entriamo nulla.

GIOVANNI REZZA - DIRETTORE GENERALE PREVENZIONE - MINISTERO DELLA SALUTE Non è che il Ministero si è lavato le mani, assolutamente no. Il CTS ha semplicemente, riprendendo un'indicazione di Ema che comunque sia autorizzava il vaccino al di sopra di 18 anni, non ha obiettato rispetto a quelle che dopo sono state le decisioni prese a livello locale di implementare queste giornate.

SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Insomma, il ministero della Salute non firma né avalla, né contrasta, aggiungiamo noi, le decisioni del CTS. Per il professor Rezza, direttore generale del ministero della Salute, la responsabilità è del Titolo V, della discrezionalità delle regioni e in parte è vero. Poi però Rezza dice che non spetta al Ministero diffondere delle linee guida che riguardano la diagnosi e anche il trattamento di questi casi rari di trombosi associati a piastrine basse. Ora, anche questo è vero perché spetta alle società scientifiche. La nostra società scientifica, quella che studia l’emostasi e le trombosi - vicepresidente il professor Valerio De Stefano del Policlinico Gemelli – l’ha fatto il 26 marzo. Cioè, significa nove giorni prima della morte della giovane insegnante Tuscano e due mesi prima, ben oltre due mesi prima, della morte della giovane Camilla Canepa. Solo che il professor De Stefano, quando emana queste direttive su come guardare, attenzionare i sintomi, come diagnosticare e anche trattare i pazienti, lo fa parlando esclusivamente a 7-800 professionisti della sua rete. E a loro volta dovrebbero essere anche loro che fanno rete però, insomma, tutti gli altri medici, gli operatori sanitari, chi li informa? Abbiamo provato a chiederlo. La Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e Degli Odontoiatri ci ha scritto di avere rigirato le comunicazioni dell’Aifa. Lo stesso ha fatto la Società Italiana di Medicina Generale e delle Cure Primarie. Il problema però è che Aifa cosa faceva? Diramava delle informazioni a partire da marzo, ma solo attenzionando, indicando i sintomi da attenzionare. Non c’era alcuna informazione su come diagnosticarli questi rari casi. Neppure come trattarli. Lo farà solo a partire dal 26 maggio. Insomma, toccava al singolo operatore sanitario informarsi e leggere gli articoli scientifici. Ora, in una pandemia e in una campagna di vaccinazione che non hanno eguali, precedenti nella storia, che arriva in una sanità, la nostra, che è segnata da decenni di tagli di medici, di posti letto, di piccoli pronto soccorsi periferici, con i pronto soccorsi invece delle grandi aziende ospedaliere intasati. Abbiamo lasciato gli operatori sanitari senza dispositivi di protezione e con un organico inferiore al 30 per cento di quello che servirebbe. Insomma, forse potevamo aiutarli a informarsi meglio.

Il caso Astrazeneca. Report Rai PUNTATA DEL 25/10/2021 di Claudia Di Pasquale collaborazione di Cecilia Bacci e Giulia Sabella. Il caso Astrazeneca. Era il vaccino su cui l'Italia aveva deciso di puntare, ormai abbiamo smesso di usarlo dopo aver cambiato più volte le raccomandazioni di somministrazione. Report proverà a comprendere quali errori sono stati commessi nella gestione della comunicazione, cosa sappiamo oggi degli inusuali e rari effetti avversi di Astrazeneca, qual è la bilancia rischi benefici e come è stata usata per guidare le scelte sulla salute pubblica. Per capire questa storia Claudia Di Pasquale è andata in Germania, paese che a marzo ha fatto da apripista per la sospensione di Astrazeneca, e in Inghilterra dove è stato sviluppato questo vaccino. - Pubblichiamo le risposte che solo oggi 25 ottobre 2021, giorno della messa in onda del servizio sul caso AstraZeneca, sono arrivate in redazione da parte del Cts e della struttura commissariale. Il quesito principale era questo: per quale motivo è stata citata la bilancia rischi benefici relativa alla fascia d'età 50-59 anni per autorizzare gli open day con i vaccini a vettore adenovirale per tutti i soggetti over 18? 

IL CASO ASTRAZENECA di Claudia Di Pasquale Collaborazione di Cecilia Andrea Bacci e Giulia Sabella Immagini di Chiara D’Ambros, Giovanni De Faveri, Cristiano Forti e Francesco Di Trapani Montaggio di Daniele Bianchi e Andrea Masella Grafica di Giorgio Vallati

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO Oggi circa il 68% della popolazione del Regno Unito risulta vaccinato con doppia dose. Il 19 luglio è scattato il Freedom Day: sono cadute le restrizioni e nei luoghi chiusi non c'è più obbligo di mascherina. Nei locali si può entrare liberamente, non esiste neanche il green pass. Il risultato è che oggi in Inghilterra ci sono quasi 50mila nuovi casi di Covid al giorno.

CLAUDIA DI PASQUALE Lei ha dichiarato che l'immunità di gregge è impossibile da raggiungere e che è una sorta di obiettivo mitologico. In che senso?

ANDREW POLLARD – DIRETTORE OXFORD VACCINE GROUP – UNIVERSITÀ DI OXFORD Ormai sappiamo che il virus e le nuove varianti, come la Delta, possono contagiare anche le persone vaccinate. Non possiamo fermare questo virus con la vaccinazione. Possiamo fermare la malattia grave ma non possiamo proteggere chi non è vaccinato. Questo virus sarà con noi per decenni. L'unico modo per essere protetti è farsi vaccinare. Chi non è vaccinato resterà a rischio e deve essere consapevole che prima o poi incontrerà il virus. Potrebbe essere questa settimana. Potrebbe essere il prossimo anno.

SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Insomma, con il virus dovremo fare i conti a lungo e se lo dice il padre del vaccino Oxford-AstraZeneca, il professor Pollard, dobbiamo crederci. Ora, io lo dico subito a scanso di equivoci: qui, a Report, siamo tutti vaccinati. E io non sono “un no-vax” come qualche critico televisivo o qualche scienziato mi ha dipinto. Credo che il vaccino sia la forma migliore di prevenzione scoperta negli ultimi 300 anni. Tuttavia, credo nel diritto di essere informati, a prescindere dal contesto. Inoltre, il contesto di questa sera è anche quello giusto perché ci confortano i dati. Siamo tra i più bravi in Europa a vaccinare: abbiamo vaccinato l’80 per cento delle persone dai 12 anni in su, con la doppia dose. E poi anche i numeri dei contagi, delle ospedalizzazioni e dei deceduti sono contenuti. Insomma, siamo stati bravi e possiamo serenamente parlare di un vaccino discusso: AstraZeneca. Era un vaccino sul quale tutta l’Europa ha puntato. La Commissione Europea ha ordinato 300 milioni di dosi. Noi pure avevamo puntato su questo vaccino per la nostra strategia della campagna di vaccinazione. D’altra parte, era un vaccino che aveva il suo appeal, ha il suo appeal: costa meno di tre euro a dose, si trasporta e si conserva facilmente, ha un’efficacia di oltre il 90 per cento per quello che riguarda il contrasto del virus che porta alla morte o alle ospedalizzazioni. Insomma, l’abbiamo dato alle forze dell’ordine e anche ai nostri insegnati per far ripartire il paese. Poi, all’improvviso, non l’abbiamo voluto più. Che cosa è successo? Per capirlo bisogna ricostruire i fatti, gli errori di comunicazione tra le autorità sanitarie e i cittadini, l’approssimazione nella raccolta dei dati. Ecco, è importante guardare i numeri, è importante guardare le date. Bisogna farci attenzione a partire da quella del 30 dicembre quando la Gran Bretagna, con un certo trionfalismo, annuncia di avere il suo vaccino. È una bella rivincita per chi aveva appena sbattuto la porta in faccia all’Europa. La nostra Claudia Di Pasquale.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO 28 giugno 2021, torneo di Wimbledon. Sugli spalti c'è la biologa Sarah Gilbert, la madre del vaccino Oxford-AstraZeneca. Basta annunciarla che parte la standing ovation del pubblico. La Mattel le ha persino dedicato una bambola. La regina Elisabetta l'ha nominata dame e lo stesso giorno ha conferito il titolo di cavaliere al professore Andrew Pollard, che ha diretto i trial clinici del vaccino.

ANDREW POLLARD – DIRETTORE OXFORD VACCINE GROUP – UNIVERSITÀ DI OXFORD Abbiamo iniziato la prima fase dei trial clinici qui ad Oxford il 23 aprile 2020 e già a giugno è partita la fase tre della sperimentazione, che ha incluso circa 24mila persone nel Regno Unito, in Brasile e in Sudafrica.

CLAUDIA DI PASQUALE Qual era l'età dei partecipanti?

ANDREW POLLARD – DIRETTORE OXFORD VACCINE GROUP – UNIVERSITÀ DI OXFORD Nella fase tre c'erano soggetti di tutte le età, dai 18 anni fino ai più anziani.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO In base ai dati pubblicati sui trial clinici, la maggior parte dei partecipanti aveva dai 18 ai 55 anni, mentre i soggetti over 56 erano pari al 12,2% del totale.

CLAUDIA DI PASQUALE Una delle principali critiche mosse ai vostri trial riguarda proprio l'età dei partecipanti: per esempio l’Italia ha ritenuto che i dati sugli anziani fossero pochi e all’inizio ha raccomandato l'uso di AstraZeneca agli under 55.

ANDREW POLLARD – DIRETTORE OXFORD VACCINE GROUP – UNIVERSITÀ DI OXFORD Abbiamo ritenuto opportuno iniziare i trial con i giovani e reclutare gli over 55 e gli ultrasettantenni in un secondo momento, quando avevamo un po' di dati sulla sicurezza. Alcuni stati hanno regole molto strette. Qui nel Regno Unito, a partire dagli stessi dati, hanno usato subito il nostro vaccino per tutte le fasce d'età.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO La casa farmaceutica AstraZeneca ha il suo quartier generale a Cambridge. Inizia la sua partnership con l'università di Oxford il 30 aprile 2020. Il 30 dicembre 2020 l’Inghilterra approva il vaccino Oxford AstraZeneca ben un mese prima dell'Unione Europea.

BORIS JOHNSON – PRIMO MINISTRO DEL REGNO UNITO – CONFERENZA STAMPA 30/12/2020 Buon pomeriggio, voglio iniziare con una buona notizia: è stato approvato il vaccino Oxford-AstraZeneca. È un risultato fantastico per la scienza inglese che ci consentirà di vaccinare rapidamente quanta più gente possibile in tutto il Regno Unito.

STEPHAN LEWANDOWSKY – PROFESSORE DI PSICOLOGIA COGNITIVA – UNIVERSITÀ DI BRISTOL Il Regno Unito ha approvato AstraZeneca prima ancora che AstraZeneca richiedesse l'approvazione all’Ema. Ha avuto un vantaggio temporale che è stato presentato dai media come un trionfo nazionale: la Gran Bretagna ha il suo vaccino; la Gran Bretagna è la prima a vaccinare le persone. Complice Brexit, c'è stata un'ondata di orgoglio nazionale che ha spinto le persone a vaccinarsi.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO Il 4 gennaio 2021 il Regno Unito annuncia in modo trionfale l'inizio delle vaccinazioni con AstraZeneca. Il primo a vaccinarsi è un signore di 82 anni.

INFERMIERA Come va?

ANZIANO Tutto a posto.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO Si parte quindi con gli anziani, i residenti delle case di riposo e con una parte degli operatori sanitari di tutte le età. L'idillio si spezza due mesi dopo quando a marzo gli altri paesi europei segnalano i primi coaguli di sangue e sospendono l'uso di AstraZeneca.

CLAUDIA DI PASQUALE Questa presa di posizione così forte da parte degli altri paesi europei rispetto ad AstraZeneca come è stata vissuta dall’Inghilterra?

STEPHAN LEWANDOWSKY – PROFESSORE DI PSICOLOGIA COGNITIVA – UNIVERSITÀ DI BRISTOL È una storia affascinante. All'inizio la stampa inglese ha detto che gli europei stavano esagerando e che si trattava solo di una vendetta per Brexit.

CLAUDIA DI PASQUALE Qual è stata la reazione dell'agenzia del farmaco inglese?

STEPHAN LEWANDOWSKY – PROFESSORE DI PSICOLOGIA COGNITIVA – UNIVERSITÀ DI BRISTOL All’inizio hanno detto no, non ci risulta che ci sia una maggiore incidenza di questi coaguli di sangue.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO Questo è l’elegante quartiere di Canary Wharf, il nuovo centro finanziario di Londra, dominato da banche e grattacieli. È qui che ha sede l'agenzia del farmaco inglese, che ha approvato il vaccino AstraZeneca e che si occupa di farmacovigilanza. L'11 marzo 2021 – quando Danimarca, Islanda e Norvegia sospendono AstraZeneca – scrivono che “non è confermato che questi coaguli di sangue siano causati dal vaccino” e che “le persone possono continuare a vaccinarsi".

JENNIFER RIGBY – GIORNALISTA THE TELEGRAPH Io e i miei colleghi siamo rimasti sorpresi: com'era possibile che questi effetti avversi venissero segnalati dagli altri paesi e non dal Regno Unito che a marzo aveva già vaccinato 11 milioni di persone con AstraZeneca?

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO Jennifer Rigby è una giornalista del Telegraph e si occupa di sanità.

JENNIFER RIGBY – GIORNALISTA THE TELEGRAPH Abbiamo così scoperto che l'Agenzia del farmaco aveva già ricevuto la segnalazione di questi coaguli di sangue: uno era accaduto a gennaio e un altro paio a febbraio. Loro hanno poi detto di avere ricevuto le prime segnalazioni dall'8 febbraio ma non hanno acceso nessuna lampadina rossa.

CLAUDIA DI PASQUALE Per quale motivo l'agenzia del farmaco inglese non ha detto nulla fino a marzo?

JENNIFER RIGBY – GIORNALISTA THE TELEGRAPH La questione è ancora oggi aperta. Dal primo gennaio, a causa di Brexit, l’Inghilterra non ha più accesso al sistema di farmacovigilanza europeo. E probabilmente gli algoritmi usati per analizzare le segnalazioni non erano così sensibili.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO L'agenzia del farmaco inglese ci scrive di avere attenzionato il 25 febbraio tre segnalazioni di coaguli di sangue, ricevute a partire dall'8 febbraio. Recuperiamo i loro vecchi report con tutte le segnalazioni spontanee da dover verificare. Alla data del 7 febbraio risultavano segnalati qualche caso di trombocitopenia, 6 emorragie cerebrali, 22 incidenti cerebrovascolari di cui 6 fatali, e i primi due casi di trombosi al seno venoso cerebrale. Il farmacologo Hamid Merchant ha analizzato invece le segnalazioni fino a metà marzo.

HAMID MERCHANT – FARMACOLOGO – UNIVERSITÀ DI HUDDERSFIELD Abbiamo scoperto che da gennaio a marzo c'erano stati già alcuni segnali forti che lasciavano intendere che stesse accadendo qualcosa, ma questi segnali erano sparsi nel database della farmacovigilanza con nomi diversi. Per esempio, uno stesso evento poteva essere classificato come evento cerebrovascolare, emorragia intracranica, emorragia cerebrale. Solo un'analisi manuale poteva consentire di incrociare i dati in modo corretto.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO Il 18 marzo l'agenzia inglese dichiara di avere riscontrato un solo caso di trombosi al seno venoso cerebrale ogni milione di dosi. Il 7 aprile dichiara che i casi di trombosi associati a piastrine basse sono 4 ogni milione. Nell'ultimo report questi casi sono diventati 20,6 ogni milione di prime dosi nella fascia 18-49 anni.

SUE PAVORD – CONSULENTE EMATOLOGA – OXFORD UNIVERSITY HOSPITALS Il 15 marzo ho osservato il primo paziente con questa combinazione davvero inusuale di coaguli di sangue e piastrine basse. Per fortuna questi casi sono rari.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO La dottoressa Sue Pavord è un'ematologa, esperta in trombosi. Ha collaborato con il primo gruppo di scienziati inglesi che ha studiato i coaguli di sangue associati al vaccino AstraZeneca. Ad agosto ha pubblicato questo importante studio su 294 pazienti inglesi che avevano sviluppato una sospetta trombosi associata a piastrine basse dopo la vaccinazione.

SUE PAVORD – CONSULENTE EMATOLOGA – OXFORD UNIVERSITY HOSPITALS L'età media di questi pazienti era 48 anni. La metà aveva avuto una trombosi ai seni cerebrali, molti una trombosi all'addome, circa un terzo presentava trombosi in più sedi. Questi effetti avversi si erano presentati da 5 a 30 giorni dopo la prima dose di AstraZeneca e avevano colpito soprattutto le persone più giovani.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO A giugno del 2020 l’ematologa Sue Pavord si è sottoposta volontariamente, insieme alla figlia di 21 anni, proprio ai trial clinici del vaccino Oxford-AstraZeneca.

CLAUDIA DI PASQUALE Ha mai parlato con i suoi colleghi di Oxford di questi rari e inusuali effetti avversi?

SUE PAVORD – CONSULENTE EMATOLOGA – OXFORD UNIVERSITY HOSPITALS Sì, purtroppo è stato difficile farmi ascoltare. Chi invece si è dimostrato disponibile e di supporto è stato il professor Andrew Pollard.

CLAUDIA DI PASQUALE Cosa ha provato a marzo quando i media hanno iniziato a segnalare questi primi rari casi di coaguli di sangue?

ANDREW POLLARD – DIRETTORE OXFORD VACCINE GROUP – UNIVERSITÀ DI OXFORD Per me è stato estremamente rassicurante vedere che questi eventi sono incredibilmente rari. Certo, sarebbe stato meglio che non ci fossero.

CLAUDIA DI PASQUALE Durante i trial clinici del vaccino si sono verificati questi rari e inusuali eventi trombotici associati a piastrine basse?

ANDREW POLLARD – DIRETTORE OXFORD VACCINE GROUP – UNIVERSITÀ DI OXFORD No, non abbiamo avuto nessun evento del genere.

CLAUDIA DI PASQUALE E casi solo di trombocitopenia?

ANDREW POLLARD – DIRETTORE OXFORD VACCINE GROUP – UNIVERSITÀ DI OXFORD No, nessun caso. O meglio, trombosi sì ma è una cosa molto comune e non è stata considerata correlata al vaccino.

CLAUDIA DI PASQUALE È possibile intervenire sui componenti del vaccino per evitare questi eventi avversi?

ANDREW POLLARD – DIRETTORE OXFORD VACCINE GROUP – UNIVERSITÀ DI OXFORD Stiamo ancora lavorando per capire come risolvere il problema.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO Su trombocitopenia e adenovirus è stato pubblicato ben 14 anni fa questo studio canadese della Queen’s University di Kingston. L’ematologa Maha Othman ha iniettato direttamente l’adenovirus nei topi per via endovenosa.

MAHA OTHMAN – EMATOLOGA – QUEEN’S UNIVERSITY KINGSTON Volevamo capire per quale motivo iniettando l’adenovirus negli animali si abbassavano le piastrine e si sviluppava la trombocitopenia. Noi abbiamo scoperto che l’adenovirus si legava direttamente alle piastrine, attivandole. E che le piastrine rilasciavano il cosiddetto fattore von Willebrand, che è una proteina appiccicosa importante nella coagulazione.

CLAUDIA DI PASQUALE Cosa ha pensato quando si sono verificati i primi casi di trombosi associata a trombocitopenia dopo il vaccino AstraZeneca?

MAHA OTHMAN – EMATOLOGA – QUEEN’S UNIVERSITY KINGSTON Per me è stato facile pensare “una possibile causa potrebbe essere proprio l’adenovirus”.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO Oggi Maha Othman ha pubblicato un nuovo studio proprio sulle possibili cause degli effetti avversi dei vaccini a vettore adenovirale.

MAHA OTHMAN – EMATOLOGA – QUEEN’S UNIVERSITY Se venisse confermata la nostra ipotesi, si potrebbe pensare di modificare geneticamente l’adenovirus per prevenire questi effetti avversi che, ricordiamo, sono molto rari.

CLAUDIA DI PASQUALE Trombofilia, fumo o pillola anticoncezionale sono dei fattori di rischio per questi rari coaguli dopo AstraZeneca?

SUE PAVORD – CONSULENTE EMATOLOGA – OXFORD UNIVERSITY HOSPITALS No. L'unico fattore di rischio che abbiamo trovato è la giovane età. Io penso che non sia un vaccino per giovani.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO La commissione inglese sulle vaccinazioni ha consigliato al governo del Regno Unito di offrire un vaccino alternativo ad AstraZeneca ai giovani, ad aprile agli under 30 e da maggio anche agli under 40. A influire su questa decisione sono stati anche i dati elaborati dal Winton Centre for Risk and Communication dell'Università di Cambridge.

JOHN ASTON – PROFESSORE DI STATISTICA - UNIVERSITÀ DI CAMBRIDGE Per ogni fascia d’età, abbiamo messo a confronto il rischio di finire in terapia intensiva a causa del Covid con il rischio di sviluppare questi coaguli di sangue dopo il vaccino AstraZeneca.

CLAUDIA DI PASQUALE Quali sono stati i risultati della vostra analisi?

JOHN ASTON – PROFESSORE DI STATISTICA - UNIVERSITÀ DI CAMBRIDGE Più si è avanti con gli anni, maggiori sono i benefici della vaccinazione. Al contrario, i benefici del vaccino diminuiscono man mano che scende l’età e che diminuisce il rischio di contagiarsi.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO Questi sono i grafici elaborati dal Winton Centre sulla base dei dati inglesi. A sinistra ci sono i benefici, a destra ci sono i rischi del vaccino. Come si può vedere nei più anziani i benefici sono di gran lunga maggiori dei rischi. Nei più giovani, invece, i benefici si riducono sempre di più.

CLAUDIA DI PASQUALE La bilancia rischi-benefici, quindi, è meno chiara nei giovani?

JOHN ASTON – PROFESSORE DI STATISTICA - UNIVERSITÀ DI CAMBRIDGE Diciamo che nei più giovani i rischi del Covid e quelli del vaccino tendono a bilanciarsi.

SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Allora, il 30 dicembre del 2020 l’agenzia del farmaco della Gran Bretagna annuncia: abbiamo il nostro vaccino, possono utilizzarlo tutte le persone dai 18 anni in su. Dopo un mese, il 29 gennaio, arriva anche il via libera dell’Ema. Anche lei dice: possono vaccinarsi con AstraZeneca dai 18 anni in su, ma ha letto i trial svolti da Pollard e scrive una precisazione: “La maggior parte dei partecipanti ai trial di AstraZeneca aveva tra i 18 e i 55 anni. Non ci sono abbastanza risultati sulle vaccinazioni dei più anziani”. Ecco, questo è un po’ il peccato originale e condizionerà la campagna di vaccinazione in tutta Europa. La Germania all’inizio autorizza le vaccinazioni con AstraZeneca per le persone dai 18 anni ai 65. L’Italia invece raccomanda il vaccino AstraZeneca solo dai 18 anni ai 55 anni. Poi all’improvviso l’idillio s’interrompe e arrivano le prime segnalazioni di coaguli, e di morti, e la Danimarca, la Norvegia e l’Islanda sospendono l’utilizzo di AstraZeneca: si sono verificati dei rari e inusuali eventi di trombosi associata a trombocitopenia. Cioè, praticamente, tu da una parte hai i coaguli, dall’altra hai le piastrine molto basse. Ecco, l’anomalia qual è? È che queste segnalazioni non arrivano dalla Gran Bretagna. L’agenzia del farmaco della Gran Bretagna anzi dice: guardate che è tutto ok, si procede con le vaccinazioni. Fino a quando una giornalista, una rompiscatole – sempre i giornalisti rompiscatole – del Telegraph si chiede: ma perché queste segnalazioni arrivano dagli altri paesi e non dal nostro dove abbiamo cominciato per primi le vaccinazioni, dove abbiamo vaccinato 11 milioni di persone? Ecco lì che andando a rovistare nell’archivio, nel database dalla farmacovigilanza della Gran Bretagna si scopre che i primi segnali c’erano già a partire dal mese di febbraio, e in pochi mesi... Solo che erano stati catalogati in maniera non omogenea, non uniforme, e in pochi mesi si passa da un caso su un milione a 20,6 casi su un milione di prime dosi. E solo per quello che riguarda gli under 50. Sarebbe praticamente un caso ogni 50 mila dosi. Ecco, insomma, sono casi ancora rari ma sono sufficienti a far prendere una decisione alla commissione di vaccinazione inglese, cioè quella di consigliare un vaccino diverso da AstraZeneca per gli under 30. Siamo già ad aprile, poi lo estenderanno anche agli under 40 poco dopo. E nel far questo si avvale della collaborazione, delle analisi del Winton Centre for Risk di Cambridge dove ha il suo quartiere generale AstraZeneca. Ecco, l’11 marzo anche noi in ltalia avevamo sospeso ma un lotto, un solo lotto, quello di AstraZeneca che era stato somministrato a un militare.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO Uno dei primi casi a fare clamore sulla stampa è quello di Stefano Paternò, il militare in servizio ad Augusta morto la notte del 9 marzo solo 16 ore dopo avere ricevuto la prima dose di AstraZeneca.

CATERINA ARENA - MOGLIE DI STEFANO PATERNÒ Andiamo a letto verso le undici e mezza ma lui stava bene. È andato a letto che stava bene.

CLAUDIA DI PASQUALE Che non aveva più la febbre in quel momento.

CATERINA ARENA - MOGLIE DI STEFANO PATERNÒ No, no. Poi alle due di notte mi ha svegliato questo rumore forte e lui che cominciava a sbattere forte nel letto. Lo chiamo e vedo che aveva gli occhi sbarrati ma non era cosciente. Chiamo il 118 e loro arrivano, fanno la rianimazione per circa tre quarti d'ora però poi mi dicono che non c'è nulla da fare e che era deceduto.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO Sul caso la Procura di Siracusa apre un'inchiesta e viene disposta l'autopsia. Questi i risultati della perizia.

LUCIO DI MAURO - MEDICO LEGALE FAMIGLIA PATERNÒ C’è un passaggio nella consulenza che parla anche di fuoco amico, insomma, nel senso che è lo stesso organismo che reagisce in maniera abnorme e in effetti la reazione è talmente violenta che diventa, diciamo, danno anche per se stessi.

CLAUDIA DI PASQUALE E invece il test sierologico è risultato positivo.

LUCIO DI MAURO - MEDICO LEGALE FAMIGLIA PATERNÒ Il militare aveva contratto, e non era di sua conoscenza, quindi in maniera asintomatico, il virus almeno in un periodo precedente le 3-4 settimane.

DARIO SEMINARA - AVVOCATO FAMIGLIA PATERNÒ Stefano Paternò, abbiamo detto, di soli 43 anni, essendo in forza alla Marina Militare, periodicamente si sottoponeva a queste visite mediche. Stava bene, non aveva patologie di sorta, non fumava, non beveva, ecc.

CLAUDIA DI PASQUALE A vostro avviso c'è un nesso tra la somministrazione del vaccino e la morte, di fatto, di Paternò?

DARIO SEMINARA - AVVOCATO FAMIGLIA PATERNÒ Certo che sì, la conclusione dei consulenti della Procura è stato proprio nel senso dell'esistenza del nesso causale tra vaccino e decesso.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO L'11 marzo 2021 viene sequestrato il lotto somministrato al militare di Augusta. Lo stesso giorno la Danimarca sospende l'uso del vaccino AstraZeneca a causa della segnalazione di alcuni coaguli di sangue. È quello che è capitato proprio in quelle ore a Zelia Guzzo, insegnante di Gela di soli 37 anni.

ANDREA NICOSIA - MARITO DI ZELIA GUZZO Chiamo subito il medico di base, illustrandogli telefonicamente i sintomi e ipotizza un'intossicazione alimentare. Quella notte lei, ricordo perfettamente purtroppo, che era gelata. La mattina del 12 non mi rispondeva più.

CLAUDIA DI PASQUALE Esattamente quindi cosa ha avuto sua moglie?

ANDREA NICOSIA – MARITO DI ZELIA GUZZO Allora, Zelia ha avuto trombosi del seno venoso cerebrale, trombosi polidistrettuale e trombocitopenia.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO Zelia Guzzo viene portata in elisoccorso all'ospedale di Caltanissetta. Dopo un intervento chirurgico e 12 giorni di coma muore. La procura di Gela apre un'inchiesta ma poi ne viene chiesta l’archiviazione nonostante la perizia degli stessi consulenti della Procura abbia accertato la sussistenza di un nesso causale tra vaccino e decesso.

ANDREA NICOSIA - MARITO DI ZELIA GUZZO Questa è la nota informativa che abbiamo firmato poco prima della somministrazione del vaccino, sia io che mia moglie. Non conteneva, all'epoca, tra gli effetti avversi reazioni che avrebbero potuto portare al decesso.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO Il 25 marzo, il giorno dopo la morte di Zelia Guzzo, il ministero della Salute cambia ufficialmente il consenso informato e avverte del possibile rischio di rari coaguli di sangue. Intanto il caso di Zelia Guzzo finisce in due studi realizzati dal professore Cristoforo Pomara.

CLAUDIA DI PASQUALE Voi, tramite gli esami che avete realizzato avete provato il nesso causale tra la vaccinazione e il decesso.

CRISTOFORO POMARA - ORDINARIO DI MEDICINA LEGALE - UNIVERSITÀ DI CATANIA Assolutamente sì, seguendo un algoritmo approvato dall'Organizzazione Mondiale della Sanità che esclude la presenza di un'infezione da Covid. Abbiamo escluso la presenza di altre infezioni da altri virus o agenti patogeni, la presenza di patologie di base. Abbiamo cercato invece un marcatore sul quale si era concentrata l'attenzione della comunità scientifica che si chiama PF4, anti-PF4, ottenendo un esito positivo.

AUGUSTA TURIACO Al risveglio sento sempre questa cappa nella testa che non se ne vuole andare. Ieri mi hanno fatto la risonanza, in serata. Speriamo bene. Pensate a mamma e papà, alla spesa. Quindi pensate a loro, per favore.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO Questa è la voce di Augusta Turiaco, insegnante di Messina di 55 anni.

NUNZIO TURIACO - FRATELLO DI AUGUSTA TURIACO Il 24 ci manda un messaggio vocale via WhatsApp in cui odo una voce molto flebile. Ci raccomanda, ci raccomanda i nostri genitori novantenni che erano la sua preoccupazione principale senza immaginare che da lì a qualche ora lei avrebbe avuto la sua emorragia cerebrale.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO Augusta Turiaco muore il 31 marzo, venti giorni dopo la prima dose di AstraZeneca. Ancora oggi si attende la perizia della Procura. Sappiamo però che nel suo sangue c'erano i pericolosi anticorpi anti-PF4.

NUNZIO TURIACO - FRATELLO DI AUGUSTA TURIACO Mia sorella ha firmato un consenso che è stato cambiato da lì a poco. Non c'erano informazioni.

CLAUDIA DI PASQUALE Quali sono gli errori che secondo lei sono stati commessi, di fatto?

NUNZIO TURIACO - FRATELLO DI AUGUSTA TURIACO Quello di non sapere realmente a chi andava somministrato questo vaccino, perché questo è stato il problema principale.

SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Quella di Augusta Turiaco è una famiglia di medici, sono tutti vaccinati. Il fratello inoltre è anche console della Germania per la Sicilia orientale. Gli viene naturale contattare un immunologo di fama internazionale, il professor Andreas Greinacher, che è anche a capo di un dipartimento che studia da 30 anni le complicazioni piastriniche. È lui che gli dice: guarda, vai a cercare nel sangue di tua sorella gli anticorpi, i famosi anticorpi anti-PF4. Solo che quella che è una normale analisi che si svolge all’interno di un ospedale di media grandezza a Messina non è possibile farla, quindi sono costretti ad andare a Padova. È là che troveranno questi famosi anticorpi, gli anti-PF4. Sono gli stessi che Greinacher aveva trovato in quei pazienti che subito dopo la prima dose di AstraZeneca avevano sviluppato quei fenomeni rari e inusuali di trombosi associata a trombocitopenia. Insomma, ma questi pazienti erano così ingestibili? CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO Greifswald è una cittadina di circa 60mila abitanti, si trova nel nord della Germania ed è nota per il suo ospedale universitario. Il dipartimento di medicina trasfusionale è infatti un punto di riferimento internazionale. Lo dirige il professore Andreas Greinacher.

ANDREAS GREINACHER – PROFESSORE DI IMMUNOLOGIA – UNIVERSITÀ DI GREIFSWALD Questo è il laboratorio dove è successo tutto. Ecco, queste sono le piastrine, qui puoi vedere come vengono preparati i campioni per fare il test Elisa.

CLAUDIA DI PASQUALE Cosa è il test Elisa?

ANDREAS GREINACHER – PROFESSORE DI IMMUNOLOGIA – UNIVERSITÀ DI GREIFSWALD È il test che misura la presenza dei cosiddetti anticorpi anti-PF4. Si tratta di anticorpi pericolosi perché attivano le piastrine provocando possibili disordini trombotici.

 COLLABORATRICE GREINACHER Prima mettiamo in agitazione le piastrine, poi le osserviamo sotto la luce. Questa è invece la parte finale del test: il colore giallo indica che ci sono gli anticorpi anti-PF4. Quindi è positivo.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO Grazie al test Elisa, il professore Greinacher e il suo gruppo di ricerca hanno trovato i pericolosi anticorpi anti-PF4 nei campioni dei pazienti che avevano sviluppato, a pochi giorni dalla vaccinazione con AstraZeneca, trombosi associata a trombocitopenia, cioè a piastrine basse.

ANDREAS GREINACHER – PROFESSORE DI IMMUNOLOGIA – UNIVERSITÀ DI GREIFSWALD Noi da oltre 30 anni studiamo la trombocitopenia autoimmune indotta da un altro farmaco, l'eparina, che può dare delle complicazioni simili a quelle del vaccino, quindi per noi è stato davvero semplice applicare le nostre conoscenze.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO Per questo motivo, quando lo scorso marzo sono emersi i primi casi di coaguli di sangue dopo AstraZeneca, tutta Europa ha iniziato a chiamare il professore Greinacher.

ANDREAS GREINACHER – PROFESSORE DI IMMUNOLOGIA – UNIVERSITÀ DI GREIFSWALD Martedì 16 marzo abbiamo ricevuto dall’Austria il primo campione da analizzare e in 24-48 ore abbiamo trovato gli anticorpi anti-PF4. A quel punto la domanda era come trattare questi pazienti. Abbiamo quindi testato un farmaco che si trova in tutti gli ospedali, le immunoglobuline, e hanno funzionato. La stessa sera del 17 marzo abbiamo reso pubblici i nostri risultati per consentire ai medici di curare i loro pazienti in modo corretto.

CLAUDIA DI PASQUALE Voi avete pubblicato uno studio in cui avete analizzato 11 casi. Qual era l'età media dei pazienti e quali erano i loro sintomi?

ANDREAS GREINACHER – PROFESSORE DI IMMUNOLOGIA – UNIVERSITÀ DI GREIFSWALD L'età andava dai 20 alla fine dei 50 anni e i sintomi erano piastrine basse, un forte mal di testa o dolore allo stomaco a causa di complicazioni trombotiche al cervello o all'addome.

CLAUDIA DI PASQUALE È importante sapere riconoscere i sintomi?

ANDREAS GREINACHER – PROFESSORE DI IMMUNOLOGIA – UNIVERSITÀ DI GREIFSWALD Sì, è fondamentale. Un trattamento precoce può ridurre il rischio di morte probabilmente di due terzi.

CLAUDIA DI PASQUALE Possiamo dire che c’è una relazione causale tra il vaccino AstraZeneca e questi rari e inusuali casi di trombosi associata a trombocitopenia?

ANDREAS GREINACHER – PROFESSORE DI IMMUNOLOGIA – UNIVERSITÀ DI GREIFSWALD Sì, è chiaro e inequivocabile. È un effetto avverso raro correlato ai vaccini a vettore adenovirale. Noi pensiamo che la principale causa sia una proteina presente nel virus del vaccino.

CLAUDIA DI PASQUALE Quando ha iniziato a pensare che poteva esserci una relazione causale?

ANDREAS GREINACHER – PROFESSORE DI IMMUNOLOGIA – UNIVERSITÀ DI GREIFSWALD Nella seconda settimana dei nostri studi, dopo aver visto dieci pazienti che avevano tutti reazioni simili.

CLAUDIA DI PASQUALE Quindi a marzo?

ANDREAS GREINACHER – PROFESSORE DI IMMUNOLOGIA – UNIVERSITÀ DI GREIFSWALD A marzo.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO Il 15 marzo il governo tedesco decide di sospendere in via precauzionale l'uso di AstraZeneca su consiglio del Paul Ehrlich Institut, l'agenzia del farmaco tedesca.

CLAUDIA DI PASQUALE Vari esperti e politici hanno criticato questa scelta ritenendola presa sull'onda dell'emozione.

KLAUS CICHUTEK – PRESIDENTE PAUL EHRLICH INSTITUT No, non è così. Anzi, dimostra che il sistema di farmacovigilanza funziona in modo eccellente. Abbiamo consultato scienziati ed esperti e abbiamo introdotto uno stop transitorio alla vaccinazione, per poter approfondire questi eventi avversi insieme alle altre autorità nazionali e all'Ema.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO Neanche tre giorni dopo, il 18 marzo, l'Ema dà il suo parere e il giorno dopo riprendono le vaccinazioni.

EMER COOKE - DIRETTRICE ESECUTIVA EMA - CONFERENZA STAMPA 18/03/2021 Il vaccino è sicuro ed efficace, i benefici superano i rischi. La commissione ha concluso che il vaccino non è associato ad un incremento del rischio generale di eventi tromboembolici.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO Questo è il Robert Koch Institut, l'equivalente tedesco del nostro Istituto superiore di sanità. Qui ha sede anche la commissione permanente tedesca sulle vaccinazioni, ne fa parte il pediatra Martin Terhardt, che in questa pandemia fa anche il medico vaccinatore.

MARTIN TERHARDT – PEDIATRA E MEMBRO STIKO In base ai dati risultava che questi rari eventi trombotici colpivano soprattutto le giovani donne, quindi a fine marzo abbiamo raccomandato l'uso del vaccino AstraZeneca alle persone con più di 60 anni.

CLAUDIA DI PASQUALE Gli over 60, visto che lei è anche un medico vaccinatore, si sono poi vaccinati tranquillamente con AstraZeneca?

MARTIN TERHARDT – PEDIATRA E MEMBRO STIKO A quel punto la fiducia era già crollata anche perché all'inizio, al contrario, avevamo raccomandato AstraZeneca a chi aveva meno di 65 anni. Quindi gli anziani si erano già convinti che AstraZeneca non fosse il loro vaccino.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO In base ai dati pubblicati dal Paul Ehrlich Institut, in Germania sono stati segnalati 174 casi di trombosi associata a trombocitopenia su meno di 13 milioni di somministrazioni con AstraZeneca. In media, fa poco più di un caso ogni 100mila dosi. Questo dato, però, cambia in base all'età. Diminuisce negli anziani fino a dimezzarsi, mentre nei giovani aumenta fino ad arrivare a 3, 4, 5 casi ogni 100mila dosi. CLAUDIA DI PASQUALE Vi aspettavate questi risultati?

KLAUS CICHUTEK – PRESIDENTE PAUL EHRLICH INSTITUT No, non ce li aspettavamo. Raccomandare quindi AstraZeneca agli over 60 è stato molto importante.

CLAUDIA DI PASQUALE A me risulta, però, che in Germania, da maggio, sia stata consentita la vaccinazione con AstraZeneca anche agli over 18. Sembra un po’ una contraddizione.

KLAUS CICHUTEK – PRESIDENTE PAUL EHRLICH INSTITUT Può sembrare confusionario dall'esterno, ma bisogna considerare nel dettaglio i motivi di questa scelta.

MARTIN TERHARDT – PEDIATRA E MEMBRO STIKO Intanto l'Ema ha autorizzato AstraZeneca per i soggetti sopra i 18 anni. Bisogna poi considerare che noi prendiamo le nostre decisioni anche sulla base dei vaccini a disposizione. In quel momento, c'era carenza di vaccini a mRNA e non potevamo permetterci di sprecare nessuna dose.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO In pratica da maggio la Stiko ha consentito anche agli over 18 di potersi vaccinare con AstraZeneca, ma solo dopo accettazione individuale dei rischi e dopo consiglio medico. Lo sa bene Malik Böttcher, medico di famiglia a Berlino.

MALIK BÖTTCHER – MEDICO DI FAMIGLIA Noi medici abbiamo detto al governo “noi vacciniamo solo se ci togliete ogni responsabilità” e così è stato.

CLAUDIA DI PASQUALE C'era anche l'esigenza, invece, di smaltire dosi di AstraZeneca che nessuno più voleva? MALIK BÖTTCHER – MEDICO DI FAMIGLIA Il problema era che gli anziani rifiutavano AstraZeneca e quindi consumavano tutte le dosi di Pfizer.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO Quando è stata introdotta la vaccinazione eterologa per gli under 60, Böttcher ha avuto un bel po' di difficoltà.

MALIK BÖTTCHER – MEDICO DI FAMIGLIA È stata una catastrofe, con l'eterologa AstraZeneca è definitivamente morto.

CLAUDIA DI PASQUALE Voi quante dosi di AstraZeneca avevate già pronte per essere utilizzate?

MALIK BÖTTCHER – MEDICO DI FAMIGLIA Nei frigoriferi del nostro centro vaccinale c'erano ben 10.400 dosi di AstraZeneca. Abbiamo allora chiamato il governo per trovare una soluzione. Ci hanno risposto che, una volta scadute, dovevano essere smaltite.

CLAUDIA DI PASQUALE Il governo vi aveva detto che le dosi potevano, quindi, essere buttate?

MALIK BÖTTCHER – MEDICO DI FAMIGLIA Esatto ma per noi era inammissibile, quindi noi medici abbiamo contattato delle organizzazioni umanitarie e siamo riusciti a salvare queste dosi e a inviarle a Damasco, in Siria, ma anche in Ucraina e in Sudan.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO Questa estate la stampa tedesca ha denunciato che solo a Berlino oltre 100mila dosi di AstraZeneca rischiavano di finire nella spazzatura. Per capirci qualcosa il giornalista investigativo Markus Grill ha quindi chiamato tutti e 16 i laender tedeschi.

MARKUS GRILL – GIORNALISTA WDR Abbiamo scoperto che tutte le regioni si sono ritrovate con migliaia di dosi inutilizzate, soprattutto di AstraZeneca, senza sapere cosa farne.

CLAUDIA DI PASQUALE Quante dosi di AstraZeneca sono state acquistate dalla Germania?

MARKUS GRILL – GIORNALISTA WDR La Germania ha ordinato circa 56 milioni di dosi di AstraZeneca fino alla fine del 2021. Quelle, però, effettivamente somministrate sono state meno di 13 milioni.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO Alla fine questa estate, mentre montavano le polemiche, la Germania ha annunciato di volere donare tutte le restanti milioni di dosi di AstraZeneca ai paesi in via di sviluppo.

ALBRECHT BROEMME – PROJECT MANAGER CENTRI VACCINALI BERLINO Abbiamo completamente smesso di usare il vaccino di Oxford. Ormai le nuove dosi di AstraZeneca vengono mandate direttamente in Africa.

ANDREAS GREINACHER – PROFESSORE DI IMMUNOLOGIA – UNIVERSITÀ DI GREIFSWALD Bisogna assicurarsi che i medici di quei paesi sappiano riconoscere i sintomi delle possibili complicazioni trombotiche indotte dal vaccino per poter trattare i pazienti in modo corretto.

SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Nel giro di 48 ore il professore Greinacher aveva scoperto gli anticorpi anti-PF4 e anche la cura da somministrare ai pazienti. Ma bisogna diagnosticare in tempo la patologia e poi si può somministrare le immunoglobuline. Ecco, il professor Greinacher mette a disposizione della comunità internazionale i propri studi già a partire dal 17 marzo. Insomma, la Germania in poche settimane aveva capito tutto e ha avuto un ruolo cruciale perché quando l’agenzia del farmaco il 15 marzo decide di sospendere le vaccinazioni con AstraZeneca, insomma, è stata una decisione molto criticata e il suo peso ovviamente coinvolge un intervento di Ema. Ecco, qualcuno ha anche sottinteso il braccio di ferro che si stava svolgendo tra Germania, braccio di ferro geopolitico ed economico, tra Germania che ha BioNTech, partner che collabora con Pfizer nella realizzazione del vaccino, e dall’altra parte la Gran Bretagna dove c’è AstraZeneca, la multinazionale anglo-svedese. In realtà l’agenzia del farmaco tedesca stava aspettando i risultati del professor Greinacher. Grazie al suo lavoro oggi abbiamo potuto capire che esiste una relazione tra la prima dose del vaccino AstraZeneca e quegli eventi di trombosi, anche se inusuali e rari, di trombosi associata a trombocitopenia. Ecco, però questo fatto ha impattato anche sulla campagna vaccinale del nostro paese, dell’Italia. Noi avevamo puntato su AstraZeneca, lo avevamo somministrato alle forze dell’ordine, agli insegnanti. Poi però abbiamo anche emesso una serie di circolari un po’ contraddittorie. All’inizio l’abbiamo raccomandato per gli under 55, poi per gli under 65. Poi l’abbiamo sospeso tre giorni. Poi, quando l’abbiamo ripreso, il 7 aprile il ministero, su parere del CTS, raccomanda l’uso preferenziale di AstraZeneca agli over 60 che però a quel punto AstraZeneca non lo volevano più perché avevano perso fiducia. Però avevamo tanti morti al giorno, c’era da fermare il virus. Avevamo da una parte una grande scorta di vaccini AstraZeneca, dall’altra mancavano quelli a mRNA, l’alternativa. E allora un giorno il commissario Figliuolo, insomma, chiede di poter estendere l’uso di AstraZeneca anche agli over 50. Il CTS risponde il 12 maggio dando il via libera agli open day. Insomma, si possono vaccinare con AstraZeneca tutti a partire dai 18 anni in su. E per farlo utilizza anche le analisi, cita le analisi del Winton Centre for Risk di Cambridge. Ecco, un’analisi, ma quell’analisi l’ha citata tutta?

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO A fine maggio la Regione Liguria organizza gli open day AstraZeneca per tutti i soggetti over 18 e anche il presidente Toti si vaccina davanti alle telecamere.

GIOVANNI TOTI - PRESIDENTE REGIONE LIGURIA Si vede la maglietta?

UOMO Sì, sì.

GIOVANNI TOTI - PRESIDENTE REGIONE LIGURIA Già fatto?

CLAUDIA DI PASQUALE I famosi open day di AstraZeneca over 18, se non ho capito male, sono stati lanciati proprio perché gli over 60 a cui era destinata AstraZeneca non si vaccinavano.

GIOVANNI TOTI - PRESIDENTE REGIONE LIGURIA Evidentemente è stato mal tollerato, diciamo, da coloro a cui era destinato. Qualche inquietudine, al di là delle rassicurazioni mediche, l'hanno portata.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO All'inizio, in Liguria, gli open day AstraZeneca over 18 sono un successo. Nel giro di breve tempo si prenotano oltre 20mila persone. Fino a quando sulla stampa finisce il caso di Camilla Canepa, studentessa di 18 anni di Sestri Levante. Morirà al San Martino di Genova per emorragia cerebrale dopo la prima dose di AstraZeneca.

MATTEO BASSETTI - DIRETTORE MALATTIE INFETTIVE OSPEDALE SAN MARTINO GENOVA Io preferisco non parlarne perché c'è un'indagine della procura e quindi vedremo che cosa, cosa verrà fuori dall'indagine. E si potrà anche capire qual è stata la correlazione con il vaccino, se qualcosa non ha funzionato, se qualcuno ha sbagliato qualche cosa. È giusto che la magistratura faccia il suo corso.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO Pochi giorni fa i risultati della perizia: Camilla Canepa era sana. È deceduta per una trombosi dei seni venosi cerebrali. E il decesso è ragionevolmente da riferirsi al vaccino.

GIOVANNI TOTI - PRESIDENTE REGIONE LIGURIA Il vaccino AstraZeneca era stato autorizzato e gli open day erano stati autorizzati, su base volontaria, dal CTS, dalla struttura commissariale.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO Cioè il CTS vi aveva dato il consenso, cioè l'autorizzazione, a organizzare gli open day.

GIOVANNI TOTI - PRESIDENTE REGIONE LIGURIA Certo. AstraZeneca era stato liberalizzato per l'intero campione di popolazione maggiorenne, sia uomini che donne.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO Questo è il verbale del CTS del 12 maggio che autorizza le regioni a organizzare i vaccination day con i vaccini a vettore adenovirale per tutti i soggetti over 18. A supporto il CTS cita un'analisi sulla bilancia rischi-benefici di AstraZeneca realizzata dall'Ema con la consulenza del Winton Centre for risk di Cambridge.

JOHN ASTON – PROFESSORE DI STATISTICA - UNIVERSITÀ DI CAMBRIDGE Abbiamo aiutato l’Ema a visualizzare quante morti per Covid si possono prevenire grazie alla vaccinazione con AstraZeneca. Poi abbiamo messo a confronto questi dati con il possibile rischio di sviluppare coaguli di sangue dopo il vaccino nei tre possibili scenari: con alta, media e bassa contagiosità.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO Nel verbale del CTS si legge che in base all'analisi dell'Ema, con una circolazione virale media il numero di casi ogni 100mila persone che sviluppano i fenomeni trombotici risulta pari a 1.1 mentre con il vaccino si possono prevenire 8 morti per Covid ogni 100mila persone.

CLAUDIA DI PASQUALE Otto morti per Covid contro un coagulo di sangue. Questi numeri a quale fascia d'età appartengono?

JOHN ASTON – PROFESSORE DI STATISTICA - UNIVERSITÀ DI CAMBRIDGE Questi numeri sono relativi alla fascia d'età 50-59 anni.

CLAUDIA DI PASQUALE Invece ogni 100mila persone quali sono i dati nella fascia degli under 30?

JOHN ASTON – PROFESSORE DI STATISTICA - UNIVERSITÀ DI CAMBRIDGE In questo caso non ci aspettiamo decessi, quindi il numero di morti per Covid è zero.

CLAUDIA DI PASQUALE Zero. E invece quali sono i possibili rischi?

JOHN ASTON – PROFESSORE DI STATISTICA - UNIVERSITÀ DI CAMBRIDGE Ogni 100mila giovani si prevedono circa 2 casi di coaguli di sangue.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO In base ai grafici del Winton Centre, anche in caso di alta contagiosità nella fascia under 30 le morti per Covid sono zero mentre il rischio di coaguli di sangue dopo la prima dose è circa due.

CLAUDIA DI PASQUALE A suo avviso alla data di fine maggio non si avevano già gli elementi per fare una valutazione, per capire se in realtà quel vaccino era il caso o meno di somministrarlo anche agli over 18?

GIOVANNI TOTI - PRESIDENTE REGIONE LIGURIA Secondo me no.

CLAUDIA DI PASQUALE Ma noi abbiamo un documento dell'Ema, che è vero che non ha mai posto delle restrizioni per fascia d'età ma allo stesso tempo ha pubblicato uno studio in cui ci sono i vari scenari di incidenza. L'ha letto? GIOVANNI TOTI - PRESIDENTE REGIONE LIGURIA No, non l’ho letto.

CLAUDIA DI PASQUALE Bene.

GIOVANNI TOTI - PRESIDENTE REGIONE LIGURIA Nel senso che normalmente…

CLAUDIA DI PASQUALE I suoi consulenti o chi la segue poteva conoscerlo.

GIOVANNI TOTI - PRESIDENTE REGIONE LIGURIA No, ma io ho la certezza che i miei consulenti compendino i documenti di Ema con grande attenzione. Dopodiché non è il presidente di Regione col suo medico che si trova e dice “Ma hai visto cosa ha scritto Ema? Allora contestiamo la politica nazionale di vaccinazione”. No.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO I primi di giugno anche la regione Sicilia organizza gli open day AstraZeneca per gli over 18.

MARIO MINORE - COORDINATORE TASK FORCE VACCINI SICILIA Questo è uno studio dell’Ema che naturalmente esula da quelle che sono le nostre competenze alle quali, che invece si attengono a quelle che sono le indicazioni del CTS, dell'Aifa e della struttura commissariale.

CLAUDIA DI PASQUALE Però in base a quel documento voi sapevate già un mese prima che si facessero gli open day con gli over 18 che forse ci poteva essere qualche rischio.

MARIO MINORE - COORDINATORE TASK FORCE VACCINI SICILIA Noi ci siamo attenuti a quelle che sono state le indicazioni del CTS, prendendo spunto anche dalle altre regioni.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO Per capirci qualcosa ne parliamo allora con l'ex direttore dell'Ema, Guido Rasi, che oggi è anche consulente a titolo gratuito del generale Figliuolo.

CLAUDIA DI PASQUALE Lei è un medico. In base ai dati pubblicati da questo studio risulta che i benefici siano superiori ai rischi per le fasce più giovani, o già da questo studio era possibile comprendere che non era così chiara la bilancia rischi-benefici?

GUIDO RASI - DIRETTORE ESECUTIVO EMA 2015-2020 Sì, sì, si poteva dedurre che fino a, diciamo, 39 anni, 40 anni, sicuramente il vaccino ideale non era questo.

CLAUDIA DI PASQUALE Cioè, già da questa tabella si poteva comprendere che non era il caso di fare gli open day over 18?

GUIDO RASI - DIRETTORE ESECUTIVO EMA 2015-2020 Con quel vaccino no. Col… Stiamo parlando del vaccino AstraZeneca?

CLAUDIA DI PASQUALE Certo.

GUIDO RASI - DIRETTORE ESECUTIVO EMA 2015-2020 L'ideale sarebbe stato fare un open day con vaccini a mRNA nelle fasce sotto i 50 e open day con i vaccini a vettore virale nelle fasce sopra i 50.

CLAUDIA DI PASQUALE A suo avviso, comunque, AstraZeneca è un vaccino per giovani?

GUIDO RASI - DIRETTORE ESECUTIVO EMA 2015-2020 No, chiaramente no.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO Chiediamo allora l'intervista all'Ema, al CTS, all’Aifa e al ministero della Sanità. L'unico che si fa intervistare è Pierpaolo Sileri.

CLAUDIA DI PASQUALE Secondo lei è stato giusto organizzare questi open day?

PIERPAOLO SILERI – SOTTOSEGRETARIO ALLA SALUTE In quel momento rimasi perplesso anch'io, forse non era il vaccino preferenziale per i soggetti più giovani, prevalentemente donne. Io più di una volta mi sono espresso: sotto i 40 anni, donna, sicuramente no; sotto i quarant'anni, maschio, si può, si può valutare. E tanto più che molti che mi chiedevano cosa fare, io, da medico, e quindi togliamo la parte diciamo del politico, direi “mah, insomma, sotto i 40 anni se, a tua moglie, io, se fosse mia moglie, non lo farei”. Io l'avrei fatto, ecco. Però io ho 50 anni.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO Oggi, in base agli ultimi dati dell'Ema, il tasso di incidenza delle trombosi associate a trombocitopenia dopo la prima dose di AstraZeneca è pari a 3-4 casi ogni 100mila persone nelle giovani donne; significa 1 caso ogni 30-25mila somministrazioni. La nostra agenzia del farmaco, l’Aifa, invece non fa distinzione di sesso e di età e parla di un solo caso su un milione di dosi, mescolando anche altri rari effetti avversi.

CLAUDIA DI PASQUALE Pochi giorni fa è uscito l'ultimo rapporto Aifa. Il tasso di segnalazione indicato per questi casi è uno su un milione.

GUIDO RASI - DIRETTORE ESECUTIVO EMA 2015-2020 Del vaccino AstraZeneca.

CLAUDIA DI PASQUALE Sì.

GUIDO RASI - DIRETTORE ESECUTIVO EMA 2015-2020 Ci possono essere tanti fattori.

CLAUDIA DI PASQUALE Voglio sapere cosa ne pensa del fatto che l’Aifa, rispetto agli altri enti regolatori, non fornisce tutti i dati.

GUIDO RASI - DIRETTORE ESECUTIVO EMA 2015-2020 Se l’Aifa non è in grado di farli o non ha, o è sottostaffata – e lo è – o non vuole fare, io questo proprio non posso, non posso dirlo.

CLAUDIA DI PASQUALE Questo dato secondo lei è congruente e coerente con il resto della letteratura scientifica e con i dati delle altre autorità e degli altri enti regolatori?

GUIDO RASI - DIRETTORE ESECUTIVO EMA 2015-2020 È un dato disallineato. Può darsi che sia il più accurato di tutti, può darsi che sia il meno accurato di tutti.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO Scriviamo quindi all’Aifa. Ci dà un nuovo numero per queste trombosi con piastrine basse: 3 casi su un milione, mettendo di nuovo tutti insieme, vecchi e giovani, uomini e donne, prime e seconde dosi. Prendiamo allora i dati del governo sulle somministrazioni di AstraZeneca divisi per età e sesso. Scopriamo che nelle donne under 60 i casi sono in media due ogni 100mila prime dosi con punte di 4 casi nella fascia 30-39 anni. Il professore Giuseppe Nocentini ha invece analizzato tutti gli eventi sospetti segnalati dai paesi europei dopo AstraZeneca.

GIUSEPPE NOCENTINI – SOCIETÀ ITALIANA DI FARMACOLOGIA Noi abbiamo messo insieme i fenomeni trombotici, qualsiasi fenomeno trombotico, e qualsiasi fenomeno trombocitopenico, che praticamente sarebbe sanguinamento.

CLAUDIA DI PASQUALE Usando quali dati?

GIUSEPPE NOCENTINI – SOCIETÀ ITALIANA DI FARMACOLOGIA Usando la banca dati europea che si chiama EudraVigilance, che è una banca dati pubblica.

CLAUDIA DI PASQUALE Cosa è venuto fuori alla fine?

GIUSEPPE NOCENTINI – SOCIETÀ ITALIANA DI FARMACOLOGIA Abbiamo un fenomeno trombotico o trombocitopenico, quindi un evento avverso grave, in un caso su 9mila vaccinazioni.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO Queste sono segnalazioni spontanee da dover verificare una per una. Quel che è certo, invece, è che in questi mesi sono stati aggiunti nuovi rari effetti avversi come la sindrome da perdita capillare, la sindrome di Guillain-Barré e la trombocitopenia immune. Ne sa qualcosa Massimo Dipietro, insegnante di educazione fisica. Si è vaccinato il 15 marzo, proprio il giorno in cui l’Italia sospendeva AstraZeneca.

CLAUDIA DI PASQUALE Ha avuto delle reazioni?

MASSIMO DIPIETRO – INSEGNANTE DI EDUCAZIONE FISICA Dopo una settimana, dieci giorni, un po’ di gengivorragia quando lavavo i denti. Ma essendo cose che succedono comunemente non ci ho fatto molto caso fin quando non mi sono spuntate delle ecchimosi nella pancia, nella gamba e nel braccio sinistro.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO È così che si reca al pronto soccorso, fa le analisi del sangue e scopre di avere solo mille piastrine.

MASSIMO DIPIETRO – INSEGNANTE DI EDUCAZIONE FISICA Fino a un mese prima della vaccinazione avevo donato il sangue e avevo quasi 300 mila piastrine.

CLAUDIA DI PASQUALE E al Gemelli cosa le hanno detto?

MASSIMO DIPIETRO – INSEGNANTE DI EDUCAZIONE FISICA Al Gemelli mi hanno scritto che è una piastrinopenia successiva al vaccino AstraZeneca.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO L'ospedale Gemelli di Roma lo mette nero su bianco il 18 giugno, quando già erano passati tre mesi dalla vaccinazione.

MASSIMO DIPIETRO – INSEGNANTE EDUCAZIONE FISICA Il mio sistema immunitario dopo il vaccino ha iniziato a distruggere le piastrine, per cui l'unica strada è quella di indebolire il sistema immunitario attraverso il cortisone. Le soluzioni alternative sono gli immunosoppressori oppure la, diciamo, la rimozione della milza che comunque le percentuali di successo sono del 50/60 per cento dei casi per cui rischierei di ritrovarmi senza milza e senza piastrine.

CLAUDIA DI PASQUALE Quindi lei è un po’ arrabbiato in questo momento, mi sembra.

MASSIMO DIPIETRO – INSEGNANTE DI EDUCAZIONE FISICA Noi abbiamo fatto la comunicazione già il 18 aprile all'Aifa di quello che mi era successo ma io non ho avuto nessun contatto con nessuno. Ci dicono di fare il vaccino però, se poi hai un problema, l'impressione che ho io è che ti vengano a dire “Eh vabbè, tu hai firmato, sapevi quali erano i rischi, adesso è un problema tuo, veditela tu”.

CLAUDIA DI PASQUALE Quando lei ha firmato, tra i rischi c'era il possibile abbassamento delle piastrine?

MASSIMO DIPIETRO – INSEGNANTE DI EDUCAZIONE FISICA No, nel foglio che ho io non è citata la piastrinopenia.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO La trombocitopenia immune è stata inserita nel foglietto illustrativo il 5 ottobre. L'Italia intanto ha eliminato AstraZeneca dalla campagna vaccinale. Di dosi ne avevamo pre-acquistate circa 40 milioni ma quelle somministrate sono circa 12.

CLAUDIA DI PASQUALE Il problema è: di tutto il resto cosa ne faremo?

PIERPAOLO SILERI – SOTTOSEGRETARIO ALLA SALUTE L’ho chiesto alla struttura commissariale per capire esattamente come verranno... E soprattutto ho chiesto un'altra cosa: la scadenza. CLAUDIA DI PASQUALE Ma queste dosi dovrebbero essere donate, quindi?

PIERPAOLO SILERI - SOTTOSEGRETARIO ALLA SALUTE Queste dosi potrebbero entrare nel COVAX. Ma il meccanismo col quale entreranno nel COVAX non me lo hanno chiarito, perché l'ho chiesto. Perché lo stesso problema non l’abbiamo solamente noi.

CLAUDIA DI PASQUALE Tutti.

PIERPAOLO SILERI - SOTTOSEGRETARIO ALLA SALUTE Ce l'abbiamo noi, ce l’ha la Francia, ce l’ha la Germania. E la soluzione dovrà essere europea, con particolare attenzione a quella che è la scadenza.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO Andiamo allora a Bruxelles. La Commissione Europea, infatti, prima ha fatto causa ad AstraZeneca per dei ritardi nelle consegne e poi, a settembre, ha raggiunto un accordo per farsi consegnare le rimanenti 200 milioni di dosi previste dal contratto entro la fine di marzo 2022.

CLAUDIA DI PASQUALE Sfortunatamente però molti paesi europei non utilizzano più il vaccino AstraZeneca. Stiamo acquistando milioni di dosi di vaccino anche se non ne abbiamo più bisogno?

STEFAN DE KEERSMAECKER – PORTAVOCE COMMISSIONE EUROPEA PER LA SALUTE AstraZeneca resta un importante vaccino per noi. C'è chi lo usa ancora. Non bisogna poi dimenticare che il virus è anche fuori dall'Europa. E quindi gli stati membri possono usare questi vaccini per fare delle donazioni ad altri paesi.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO Il giorno in cui viene firmato l'accordo transattivo con AstraZeneca la commissaria europea alla salute Stella Kyriakides dichiara: "Noi continueremo ad aiutare il resto del mondo, il nostro scopo è donare almeno 200 milioni di dosi a COVAX e ai paesi a basso e medio reddito entro la fine dell'anno”.

MANON AUBRY – EUROPARLAMENTARE È davvero ipocrita fare beneficenza in questo modo, se si pensa che nello stesso momento la Commissione europea sta bloccando la soluzione numero uno per produrre vaccini per tutto il mondo, ovvero sospendere i brevetti. Parliamoci chiaro, queste sono le dosi che gli europei non vogliono. Mi chiedo, l'Africa è forse la pattumiera dell'Unione europea?

STEFAN DE KEERSMAECKER – PORTAVOCE COMMISSIONE EUROPEA PER LA SALUTE L'Ema l'ha ripetuto più volte che AstraZeneca è un vaccino sicuro ed efficace. Non è assolutamente un vaccino di serie B.

CLAUDIA DI PASQUALE In caso di effetti avversi correlati al vaccino, chi paga?

STEFAN DE KEERSMAECKER – PORTAVOCE COMMISSIONE EUROPEA PER LA SALUTE Questa è una cosa che non posso commentare.

CLAUDIA DI PASQUALE Scusi, questo è il contratto che avete firmato con AstraZeneca. Al paragrafo 14 c'è scritto che “ciascuno Stato membro dovrà indennizzare e sollevare AstraZeneca da qualsiasi richiesta di danno e responsabilità derivante da morte, lesioni fisiche, mentali o emotive”.

STEFAN DE KEERSMAECKER – PORTAVOCE COMMISSIONE EUROPEA PER LA SALUTE Lei lo sa bene, questa parte è oscurata nel contratto.

CLAUDIA DI PASQUALE Questa parte è censurata sul vostro sito.

STEFAN DE KEERSMAECKER – PORTAVOCE COMMISSIONE EUROPEA PER LA SALUTE Esatto, e siccome è oscurata io non posso rilasciare nessun commento.

CLAUDIA DI PASQUALE Come si fa a parlare di trasparenza? Qui ci sono di mezzo soldi pubblici.

STEFAN DE KEERSMAECKER – PORTAVOCE COMMISSIONE EUROPEA PER LA SALUTE Noi siamo a favore della trasparenza e chiediamo alle aziende trasparenza, ma per ballare il tango bisogna essere in due.

CLAUDIA DI PASQUALE Questa non è trasparenza.

STEFAN DE KEERSMAECKER – PORTAVOCE COMMISSIONE EUROPEA PER LA SALUTE Io capisco il tuo punto di vista, lo capisco.

CLAUDIA DI PASQUALE È impossibile da accettare una cosa simile.

STEFAN DE KEERSMAECKER – PORTAVOCE DELLA COMMISSIONE EUROPEA PER LA SALUTE Se l'alternativa era questo o non avere il contratto, tu cosa avresti fatto? Questo è tra me e te, non stai registrando.

CLAUDIA DI PASQUALE Noi registriamo, scusi.

STEFAN DE KEERSMAECKER – PORTAVOCE COMMISSIONE EUROPEA PER LA SALUTE Stavo dicendo, probabilmente se avessimo insistito non avremmo avuto i contratti.

SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Abbiamo capito che a guidare le danze, il tango, in tema di trasparenza e anche di costi del vaccino sono state le case farmaceutiche. Mentre, sempre rimanendo in tema di trasparenza, abbiamo anche capito che per l’Aifa, la nostra agenzia del farmaco, i cittadini italiani possono essere trattati diversamente da come le altre agenzie trattano i cittadini in altri paesi europei. Ecco, noi nell’ultimo rapporto dell’Aifa meritiamo i dati aggregati, cioè senza età, sesso e distinzione tra prima e seconda dose o evento avverso. E dunque nell’ultimo rapporto di Aifa si parla di un caso ogni milione per queste trombosi con trombocitopenia. Insomma, dopo le nostre sollecitazioni però ci hanno riscritto nuovamente e parlano di tre casi su un milione. Anche uno scienziato come Guido Rasi che ha guidato l’Ema, l’Agenzia europea del farmaco, dice che questi sono dati disallineati perché, insomma, o sono troppo accurati o sono meno accurati. Fatto sta che, però, se tu dai i dati aggregati nascondi laddove c’è un problema e infatti se si va a vedere nelle donne under 60 il tasso di incidenza è in media di 2 casi ogni 100mila prime dosi. Ecco, la Germania già a marzo, a fine marzo, aveva raccomandato l’uso di AstraZeneca per gli over 60. La stessa Gran Bretagna aveva raccomandato ad aprile un vaccino diverso da AstraZeneca per gli under 30 e per farlo si era consultata, aveva utilizzato come consulenza le analisi della bilancia benefici-rischi stilati, preparati dal Winton Centre for Risk di Cambridge e aveva analizzato, appunto, che per gli anziani c’erano più benefici che per i giovani dove invece si livellavano, si bilanciavano. Ora, anche il nostro CTS ha citato i dati del Winton Centre for Risk però ha dato il via agli open day e ha dato l’ok alle vaccinazioni dai 18 anni in su. Come è stato possibile? Perché ha citato esclusivamente quella fascia di età del rapporto del Winton Centre for Risk che riguardava i vaccinati dai 50 ai 59 anni omettendo di citare quella fascia dei ragazzi, quelli più giovani. Il risultato qual è stato? Che dopo la morte di Camilla Canepa ha dovuto cambiare strada e ha raccomandato l’uso di AstraZeneca solo per gli over 60 ma a quel punto i nostri anziani AstraZeneca non lo volevano più. Avevano perso fiducia ed è un peccato perché è un vaccino prezioso, l’abbiamo detto. È efficace al 90 percento contro le morti e le ospedalizzazioni. Si conserva bene, è facile da trasportare e soprattutto costa poco. Ora, è ovvio che i benefici collettivi della vaccinazione sono superiori ai rischi individuali. È ovvio anche che uno vaccina con quello che ha a disposizione ma l’informazione dev’essere trasparente e soprattutto non deve essere contradditoria altrimenti genera incertezze e anche paure. Ora, entro marzo arriveranno 200 milioni di dosi di AstraZeneca in Europa. Probabilmente finiranno nei paesi in via di sviluppo, in Africa. Speriamo, come ha detto Greinacher, che vengano formati quei medici ad affrontare eventuali eventi avversi, reazioni avverse, perché l’unica battaglia che possiamo vincere contro il virus è quella utilizzando l’arma dei vaccini.

Pfizer, dati truccati sulle reazioni? Inquietante: che fine ha fatto la donna che ha denunciato. Libero Quotidiano il 14 novembre 2021. Aveva denunciato diversi errori nei trial dei vaccini Pfizer in fase tre, prima della loro definitiva approvazione. Adesso Brook Jackson, che per le sue dichiarazioni lo scorso 5 novembre ha fatto perdere al colosso farmaceutico BionTech-Pfizer il 20% in Borsa, non è più dirigente all'interno di Ventavia, il centro di ricerca per il quale lavorava, e che ha supportato Pfizer nelle sperimentazioni. E' stata licenziata. Sentita dal Fatto Quotidiano, ha detto: "Io ho riferito le mie preoccupazioni alla Fda alla fine di settembre 2020. All’epoca, è vero, c’erano circa mille soggetti arruolati nel trial. Ma Ventavia, nonostante le mie denunce di irregolarità, ha continuato ad arruolare anche dopo". Poi ha continuato: "E comunque, fossero anche solo quei mille volontari, sono stati esposti a rischi irragionevoli, dovuti per esempio alle incongruenze nell’etichettatura del vaccino per il gruppo dei soggetti trattati e per il gruppo placebo, o alla cattiva conservazione del siero dovuta all’escursione termica a cui sono state sottoposte le fiale". Riguardo al suo licenziamento, invece, ha detto: "Era un venerdì, ma stavo lavorando da casa perché mio figlio era malato. Ho passato tutta la mattina a rispondere alle email, dopo qualche ora il computer mi chiede di reinserire la mia password, perché ero stata disconnessa". L'azienda l'avrebbe chiamata dicendole che non fosse “adatta” alla posizione che ricopriva. Dopo la denuncia fatta alla Fda, invece, ha raccontato: "Mi chiamò l’ispettore Banu Kannon del Cber. Per più di un’ora discutemmo al telefono del mio report. Poi, silenzio. Non è stato dato alcun seguito alle mie denunce". Lei, però, sembra andare dritta per la sua strada: "Trovo preoccupante che solo 9 siti di sperimentazione su 153 siano stati ispezionati. È un problema strutturale quello dei controlli". Tornando sul licenziamento, infine, ha aggiunto: "Penso sia stata una ritorsione. Non si respira oggi un bel clima per chi muove critiche o esprime perplessità".

 

Il caso Astrazeneca. Report Rai PUNTATA DEL 25/10/2021 di Claudia Di Pasquale, collaborazione di Cecilia Bacci e Giulia Sabella. Il caso Astrazeneca. Era il vaccino su cui l'Italia aveva deciso di puntare, ormai abbiamo smesso di usarlo dopo aver cambiato più volte le raccomandazioni di somministrazione. Report proverà a comprendere quali errori sono stati commessi nella gestione della comunicazione, cosa sappiamo oggi degli inusuali e rari effetti avversi di Astrazeneca, qual è la bilancia rischi benefici e come è stata usata per guidare le scelte sulla salute pubblica. Per capire questa storia Claudia Di Pasquale è andata in Germania, paese che a marzo ha fatto da apripista per la sospensione di Astrazeneca, e in Inghilterra dove è stato sviluppato questo vaccino.  

- Pubblichiamo le risposte che solo oggi 25 ottobre 2021, giorno della messa in onda del servizio sul caso AstraZeneca, sono arrivate in redazione da parte del Cts e della struttura commissariale. Il quesito principale era questo: per quale motivo è stata citata la bilancia rischi benefici relativa alla fascia d'età 50-59 anni per autorizzare gli open day con i vaccini a vettore adenovirale per tutti i soggetti over 18?

Nel verbale della riunione del 12 maggio del CTS, che dà il via libera ai vaccination day per i vaccini a vettore adenovirale per gli over 18, viene citata l'analisi dell'Ema del 23 aprile, dove si legge quanto segue: "da un’analisi pubblicata in data 23 Aprile 2021 da EMA relativa al rapporto benefici/potenziali rischi di trombosi in sedi inusuali associati a trombocitopenia nel contesto di diversi scenari di circolazione virale, risulta che, in una situazione come quella attuale italiana connotata da circolazione virale media (incidenza 400/100.000 persone), il numero di casi ogni 100.000 persone che sviluppano i fenomeni trombotici sopra menzionati, risulta pari a 1.1, mentre il numero di morti dovute a COVID-19 prevenibili è pari a 8 ogni 100.000 persone. In un contesto epidemiologico connotato da circolazione virale bassa (incidenza 55/100.000 persone), il numero di casi ogni 100.000 persone che sviluppano i fenomeni trombotici sopra menzionati, rimane, ovviamente, pari a 1.1, mentre il numero di morti dovute a COVID-19 prevenibili scende a 1". Il dato di 8 morti per Covid prevenibili ogni 100.000 persone corrisponde alla fascia 50-59, che è diversa da quella degli under 30 per i quali, con quel tipo di circolazione, non ci si aspetta un numero di decessi. Vi chiediamo quindi perché è stato citato questo dato per spiegare la bilancia rischi-benefici e dare il via libera agli open day per tutti i soggetti over 18. Come chiaramente riportato nel verbale citato, questo era il quesito che era stato formulato: “Proseguimento della discussione e finalizzazione del parere relativo alla richiesta formulata da parte del Ministro della Salute di estensione della raccomandazione di uso preferenziale di vaccini con vettore adenovirale alla fascia di età 50-59 anni”. Conseguentemente, la risposta del CTS si focalizzò esattamente sul quesito che era stato specificatamente posto. Va precisato che fino a quel momento la raccomandazione era rivolta alla fascia di popolazione over 60 anni. Inoltre, nel verbale del Cts in questione, sono enunciate otto considerazioni diverse e indipendenti che sottolineano, tra l’altro, in diversi punti come i due vaccini adenovirali erano (e rimangono ancor oggi) approvati dall’agenzia regolatoria Europea (EMA) e da quella italiana (AIFA) in tutte le fasce di età dai 18 anni in su. Nel verbale del CTS, si sottolinea, inoltre, sia “l’indicazione preferenziale espressa dalle autorità sanitarie del Paese all’uso dei vaccini a vettore adenovirale per i soggetti di età uguale o superiore a 60 anni, che sono le più esposte al rischio di sviluppare forme gravi di COVID-19 sulla base delle evidenze al tempo disponibili”. È alla luce delle considerazioni contenute nel verbale che il Cts “non rileva motivi ostativi a che vengano organizzate dalle differenti realtà regionali o legate a province autonome, iniziative, quali i vaccination day mirate a offrire, in seguito ad adesione/richiesta volontaria, i vaccini a vettore adenovirale a tutti i soggetti di età superiore ai 18 anni.

QUERY REPORT RAI 3 – OTTOBRE 2021 1. Per ogni tipologia di vaccino (quindi Pfizer, Moderna, Astrazeneca e Janssen) desideriamo sapere quante dosi sono state ordinate, quante ne sono state effettivamente consegnate, quante ne sono state somministrate, quante ne sono scadute e quante dosi sono state restituite alla struttura commissariale dalle singole regioni.

TIPOLOGIA VACCINO DOSI CONSEGNATE DOSI SOMMINISTRATE

PFIZER 72.246.605 - 63.519.540

MODERNA 19.218.782 - 11.195.404

ASTRAZENECA 14.148.512 - 12.157.211

JANSSEN 2.037.834 - 1.488.585 2.

Quante dosi di Astrazeneca e Janssen devono essere ancora consegnate e come saranno utilizzate?

Le dosi sottoelencate non verranno consegnate in Italia, a seguito delle limitazioni di impiego dei vaccini a vettore adenovirale, e saranno donate a Covax: - AZ: 26 milioni di cui 8,9 già rese disponibili (in itinere a favore di ciascun Paese destinatario o già arrivate a destinazione) - J&J: 37,7 milioni verranno donate tra fine 2021 e 2022. 3.

Quante dosi di Pfizer e Moderna devono essere ancora consegnate e come saranno utilizzate?

Pfizer: 140 M (8,8 già rese disponibili per COVAX) Moderna: 42,7 M 4.

Quante dosi sono destinate alla terza dose?

Premettendo che le terze dosi vengono effettuate solo con vaccini mRNA, verranno impiegate tutte le dosi necessarie a coprire il fabbisogno in aderenza alle indicazioni fornite dalle competenti autorità sanitarie e scientifiche. Le dosi necessarie sono disponibili.

Quante dosi e di quali vaccini saranno donate ad altri paesi e nel caso a quali?

Le donazioni di vaccini a Paesi terzi avvengono nel quadro dell’iniziativa COVAX o sulla base di accordi bilaterali a cura del MAECI. 2,6 milioni di dosi AZ – già nelle disponibilità della Struttura Commissariale e/o restituite dalle Regioni/Province Autonome - sono state già donate mediante accordi bilaterali. Ad oggi gli impegni noti presi/in via di definizione sono i seguenti:

- AZ 26 milioni di dosi da destinare a COVAX (di cui 8,9 milioni già rese disponibili)

- JANSSEN 37 milioni di dosi rese disponibili a COVAX

- PFIZER 8,8 milioni di dosi rese disponibili a COVAX 6.

Nel verbale della riunione del 12 maggio del CTS, che dà il via libera ai vaccination day per i vaccini a vettore adenovirale per gli over 18, viene citata l'analisi dell'Ema del 23 aprile, dove si legge quanto segue: "da una analisi pubblicata in data 23 Aprile 2021 da EMA relativa al rapporto benefici/potenziali rischi di trombosi in sedi inusuali associati a trombocitopenia nel contesto di diversi scenari di circolazione virale, risulta che, in una situazione come quella attuale italiana connotata da circolazione virale media (incidenza 400/100.000 persone), il numero di casi ogni 100.000 persone che sviluppano i fenomeni trombotici sopra menzionati, risulta pari a 1.1, mentre il numero di morti dovute a COVID-19 prevenibili è pari a 8 ogni 100.000 persone. In un contesto epidemiologico connotato da circolazione virale bassa (incidenza 55/100.000 persone), il numero di casi ogni 100.000 persone che sviluppano i fenomeni trombotici sopra menzionati, rimane, ovviamente, pari a 1.1, mentre il numero di morti dovute a COVID-19 prevenibili scende a 1". Il dato di 8 morti per Covid prevenibili ogni 100.000 persone corrisponde alla fascia 50- 59, che è diversa da quella degli under 30 per i quali, con quel tipo di circolazione, non ci si aspetta un numero di decessi. Chiediamo quindi di sapere qual è la posizione del generale Figliuolo e perché è stato dato il via libera ai vaccination day alla luce di questo dato. Il parere del CTS veniva ritrasmesso il 17 maggio dalla Struttura Commissariale alle Regioni/Province autonome, ribadendo contestualmente l’esigenza di focalizzare la campagna vaccinale sui soggetti vulnerabili e over 60, all’epoca ancora non coperti nelle percentuali attualmente raggiunte, mediamente superiori al 90%.

IL CASO ASTRAZENECA Report Rai di Claudia Di Pasquale Collaborazione di Cecilia Andrea Bacci e Giulia Sabella Immagini di Chiara D’Ambros, Giovanni De Faveri, Cristiano Forti e Francesco Di Trapani Montaggio di Daniele Bianchi e Andrea Masella Grafica di Giorgio Vallati

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO Oggi circa il 68% della popolazione del Regno Unito risulta vaccinato con doppia dose. Il 19 luglio è scattato il Freedom Day: sono cadute le restrizioni e nei luoghi chiusi non c'è più obbligo di mascherina. Nei locali si può entrare liberamente, non esiste neanche il green pass. Il risultato è che oggi in Inghilterra ci sono quasi 50mila nuovi casi di Covid al giorno.

CLAUDIA DI PASQUALE Lei ha dichiarato che l'immunità di gregge è impossibile da raggiungere e che è una sorta di obiettivo mitologico. In che senso?

ANDREW POLLARD – DIRETTORE OXFORD VACCINE GROUP – UNIVERSITÀ DI OXFORD Ormai sappiamo che il virus e le nuove varianti, come la Delta, possono contagiare anche le persone vaccinate. Non possiamo fermare questo virus con la vaccinazione. Possiamo fermare la malattia grave ma non possiamo proteggere chi non è vaccinato. Questo virus sarà con noi per decenni. L'unico modo per essere protetti è farsi vaccinare. Chi non è vaccinato resterà a rischio e deve essere consapevole che prima o poi incontrerà il virus. Potrebbe essere questa settimana. Potrebbe essere il prossimo anno.

SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Insomma, con il virus dovremo fare i conti a lungo e se lo dice il padre del vaccino Oxford-AstraZeneca, il professor Pollard, dobbiamo crederci. Ora, io lo dico subito a scanso di equivoci: qui, a Report, siamo tutti vaccinati. E io non sono “un no-vax” come qualche critico televisivo o qualche scienziato mi ha dipinto. Credo che il vaccino sia la forma migliore di prevenzione scoperta negli ultimi 300 anni. Tuttavia, credo nel diritto di essere informati, a prescindere dal contesto. Inoltre, il contesto di questa sera è anche quello giusto perché ci confortano i dati. Siamo tra i più bravi in Europa a vaccinare: abbiamo vaccinato l’80 per cento delle persone dai 12 anni in su, con la doppia dose. E poi anche i numeri dei contagi, delle ospedalizzazioni e dei deceduti sono contenuti. Insomma, siamo stati bravi e possiamo serenamente parlare di un vaccino discusso: AstraZeneca. Era un vaccino sul quale tutta l’Europa ha puntato. La Commissione Europea ha ordinato 300 milioni di dosi. Noi pure avevamo puntato su questo vaccino per la nostra strategia della campagna di vaccinazione. D’altra parte, era un vaccino che aveva il suo appeal, ha il suo appeal: costa meno di tre euro a dose, si trasporta e si conserva facilmente, ha un’efficacia di oltre il 90 per cento per quello che riguarda il contrasto del virus che porta alla morte o alle ospedalizzazioni. Insomma, l’abbiamo dato alle forze dell’ordine e anche ai nostri insegnati per far ripartire il paese. Poi, all’improvviso, non l’abbiamo voluto più. Che cosa è successo? Per capirlo bisogna ricostruire i fatti, gli errori di comunicazione tra le autorità sanitarie e i cittadini, l’approssimazione nella raccolta dei dati. Ecco, è importante guardare i numeri, è importante guardare le date. Bisogna farci attenzione a partire da quella del 30 dicembre quando la Gran Bretagna, con un certo trionfalismo, annuncia di avere il suo vaccino. È una bella rivincita per chi aveva appena sbattuto la porta in faccia all’Europa. La nostra Claudia Di Pasquale.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO 28 giugno 2021, torneo di Wimbledon. Sugli spalti c'è la biologa Sarah Gilbert, la madre del vaccino Oxford-AstraZeneca. Basta annunciarla che parte la standing ovation del pubblico. La Mattel le ha persino dedicato una bambola. La regina Elisabetta l'ha nominata dame e lo stesso giorno ha conferito il titolo di cavaliere al professore Andrew Pollard, che ha diretto i trial clinici del vaccino.

ANDREW POLLARD – DIRETTORE OXFORD VACCINE GROUP – UNIVERSITÀ DI OXFORD Abbiamo iniziato la prima fase dei trial clinici qui ad Oxford il 23 aprile 2020 e già a giugno è partita la fase tre della sperimentazione, che ha incluso circa 24mila persone nel Regno Unito, in Brasile e in Sudafrica.

CLAUDIA DI PASQUALE Qual era l'età dei partecipanti?

ANDREW POLLARD – DIRETTORE OXFORD VACCINE GROUP – UNIVERSITÀ DI OXFORD Nella fase tre c'erano soggetti di tutte le età, dai 18 anni fino ai più anziani.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO In base ai dati pubblicati sui trial clinici, la maggior parte dei partecipanti aveva dai 18 ai 55 anni, mentre i soggetti over 56 erano pari al 12,2% del totale.

CLAUDIA DI PASQUALE Una delle principali critiche mosse ai vostri trial riguarda proprio l'età dei partecipanti: per esempio l’Italia ha ritenuto che i dati sugli anziani fossero pochi e all’inizio ha raccomandato l'uso di AstraZeneca agli under 55.

ANDREW POLLARD – DIRETTORE OXFORD VACCINE GROUP – UNIVERSITÀ DI OXFORD Abbiamo ritenuto opportuno iniziare i trial con i giovani e reclutare gli over 55 e gli ultrasettantenni in un secondo momento, quando avevamo un po' di dati sulla sicurezza. Alcuni stati hanno regole molto strette. Qui nel Regno Unito, a partire dagli stessi dati, hanno usato subito il nostro vaccino per tutte le fasce d'età.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO La casa farmaceutica AstraZeneca ha il suo quartier generale a Cambridge. Inizia la sua partnership con l'università di Oxford il 30 aprile 2020. Il 30 dicembre 2020 l’Inghilterra approva il vaccino Oxford AstraZeneca ben un mese prima dell'Unione Europea.

BORIS JOHNSON – PRIMO MINISTRO DEL REGNO UNITO – CONFERENZA STAMPA 30/12/2020 Buon pomeriggio, voglio iniziare con una buona notizia: è stato approvato il vaccino Oxford-AstraZeneca. È un risultato fantastico per la scienza inglese che ci consentirà di vaccinare rapidamente quanta più gente possibile in tutto il Regno Unito.

STEPHAN LEWANDOWSKY – PROFESSORE DI PSICOLOGIA COGNITIVA – UNIVERSITÀ DI BRISTOL Il Regno Unito ha approvato AstraZeneca prima ancora che AstraZeneca richiedesse l'approvazione all’Ema. Ha avuto un vantaggio temporale che è stato presentato dai media come un trionfo nazionale: la Gran Bretagna ha il suo vaccino; la Gran Bretagna è la prima a vaccinare le persone. Complice Brexit, c'è stata un'ondata di orgoglio nazionale che ha spinto le persone a vaccinarsi.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO Il 4 gennaio 2021 il Regno Unito annuncia in modo trionfale l'inizio delle vaccinazioni con AstraZeneca. Il primo a vaccinarsi è un signore di 82 anni.

INFERMIERA Come va?

ANZIANO Tutto a posto.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO Si parte quindi con gli anziani, i residenti delle case di riposo e con una parte degli operatori sanitari di tutte le età. L'idillio si spezza due mesi dopo quando a marzo gli altri paesi europei segnalano i primi coaguli di sangue e sospendono l'uso di AstraZeneca.

CLAUDIA DI PASQUALE Questa presa di posizione così forte da parte degli altri paesi europei rispetto ad AstraZeneca come è stata vissuta dall’Inghilterra?

STEPHAN LEWANDOWSKY – PROFESSORE DI PSICOLOGIA COGNITIVA – UNIVERSITÀ DI BRISTOL È una storia affascinante. All'inizio la stampa inglese ha detto che gli europei stavano esagerando e che si trattava solo di una vendetta per Brexit.

CLAUDIA DI PASQUALE Qual è stata la reazione dell'agenzia del farmaco inglese?

STEPHAN LEWANDOWSKY – PROFESSORE DI PSICOLOGIA COGNITIVA – UNIVERSITÀ DI BRISTOL All’inizio hanno detto no, non ci risulta che ci sia una maggiore incidenza di questi coaguli di sangue.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO Questo è l’elegante quartiere di Canary Wharf, il nuovo centro finanziario di Londra, dominato da banche e grattacieli. È qui che ha sede l'agenzia del farmaco inglese, che ha approvato il vaccino AstraZeneca e che si occupa di farmacovigilanza. L'11 marzo 2021 – quando Danimarca, Islanda e Norvegia sospendono AstraZeneca – scrivono che “non è confermato che questi coaguli di sangue siano causati dal vaccino” e che “le persone possono continuare a vaccinarsi".

JENNIFER RIGBY – GIORNALISTA THE TELEGRAPH Io e i miei colleghi siamo rimasti sorpresi: com'era possibile che questi effetti avversi venissero segnalati dagli altri paesi e non dal Regno Unito che a marzo aveva già vaccinato 11 milioni di persone con AstraZeneca?

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO Jennifer Rigby è una giornalista del Telegraph e si occupa di sanità.

JENNIFER RIGBY – GIORNALISTA THE TELEGRAPH Abbiamo così scoperto che l'Agenzia del farmaco aveva già ricevuto la segnalazione di questi coaguli di sangue: uno era accaduto a gennaio e un altro paio a febbraio. Loro hanno poi detto di avere ricevuto le prime segnalazioni dall'8 febbraio ma non hanno acceso nessuna lampadina rossa.

CLAUDIA DI PASQUALE Per quale motivo l'agenzia del farmaco inglese non ha detto nulla fino a marzo?

JENNIFER RIGBY – GIORNALISTA THE TELEGRAPH La questione è ancora oggi aperta. Dal primo gennaio, a causa di Brexit, l’Inghilterra non ha più accesso al sistema di farmacovigilanza europeo. E probabilmente gli algoritmi usati per analizzare le segnalazioni non erano così sensibili.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO L'agenzia del farmaco inglese ci scrive di avere attenzionato il 25 febbraio tre segnalazioni di coaguli di sangue, ricevute a partire dall'8 febbraio. Recuperiamo i loro vecchi report con tutte le segnalazioni spontanee da dover verificare. Alla data del 7 febbraio risultavano segnalati qualche caso di trombocitopenia, 6 emorragie cerebrali, 22 incidenti cerebrovascolari di cui 6 fatali, e i primi due casi di trombosi al seno venoso cerebrale. Il farmacologo Hamid Merchant ha analizzato invece le segnalazioni fino a metà marzo.

HAMID MERCHANT – FARMACOLOGO – UNIVERSITÀ DI HUDDERSFIELD Abbiamo scoperto che da gennaio a marzo c'erano stati già alcuni segnali forti che lasciavano intendere che stesse accadendo qualcosa, ma questi segnali erano sparsi nel database della farmacovigilanza con nomi diversi. Per esempio, uno stesso evento poteva essere classificato come evento cerebrovascolare, emorragia intracranica, emorragia cerebrale. Solo un'analisi manuale poteva consentire di incrociare i dati in modo corretto.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO Il 18 marzo l'agenzia inglese dichiara di avere riscontrato un solo caso di trombosi al seno venoso cerebrale ogni milione di dosi. Il 7 aprile dichiara che i casi di trombosi associati a piastrine basse sono 4 ogni milione. Nell'ultimo report questi casi sono diventati 20,6 ogni milione di prime dosi nella fascia 18-49 anni.

SUE PAVORD – CONSULENTE EMATOLOGA – OXFORD UNIVERSITY HOSPITALS Il 15 marzo ho osservato il primo paziente con questa combinazione davvero inusuale di coaguli di sangue e piastrine basse. Per fortuna questi casi sono rari.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO La dottoressa Sue Pavord è un'ematologa, esperta in trombosi. Ha collaborato con il primo gruppo di scienziati inglesi che ha studiato i coaguli di sangue associati al vaccino AstraZeneca. Ad agosto ha pubblicato questo importante studio su 294 pazienti inglesi che avevano sviluppato una sospetta trombosi associata a piastrine basse dopo la vaccinazione.

SUE PAVORD – CONSULENTE EMATOLOGA – OXFORD UNIVERSITY HOSPITALS L'età media di questi pazienti era 48 anni. La metà aveva avuto una trombosi ai seni cerebrali, molti una trombosi all'addome, circa un terzo presentava trombosi in più sedi. Questi effetti avversi si erano presentati da 5 a 30 giorni dopo la prima dose di AstraZeneca e avevano colpito soprattutto le persone più giovani.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO A giugno del 2020 l’ematologa Sue Pavord si è sottoposta volontariamente, insieme alla figlia di 21 anni, proprio ai trial clinici del vaccino Oxford-AstraZeneca.

CLAUDIA DI PASQUALE Ha mai parlato con i suoi colleghi di Oxford di questi rari e inusuali effetti avversi?

SUE PAVORD – CONSULENTE EMATOLOGA – OXFORD UNIVERSITY HOSPITALS Sì, purtroppo è stato difficile farmi ascoltare. Chi invece si è dimostrato disponibile e di supporto è stato il professor Andrew Pollard.

CLAUDIA DI PASQUALE Cosa ha provato a marzo quando i media hanno iniziato a segnalare questi primi rari casi di coaguli di sangue?

ANDREW POLLARD – DIRETTORE OXFORD VACCINE GROUP – UNIVERSITÀ DI OXFORD Per me è stato estremamente rassicurante vedere che questi eventi sono incredibilmente rari. Certo, sarebbe stato meglio che non ci fossero.

CLAUDIA DI PASQUALE Durante i trial clinici del vaccino si sono verificati questi rari e inusuali eventi trombotici associati a piastrine basse?

ANDREW POLLARD – DIRETTORE OXFORD VACCINE GROUP – UNIVERSITÀ DI OXFORD No, non abbiamo avuto nessun evento del genere.

CLAUDIA DI PASQUALE E casi solo di trombocitopenia?

ANDREW POLLARD – DIRETTORE OXFORD VACCINE GROUP – UNIVERSITÀ DI OXFORD No, nessun caso. O meglio, trombosi sì ma è una cosa molto comune e non è stata considerata correlata al vaccino.

CLAUDIA DI PASQUALE È possibile intervenire sui componenti del vaccino per evitare questi eventi avversi?

ANDREW POLLARD – DIRETTORE OXFORD VACCINE GROUP – UNIVERSITÀ DI OXFORD Stiamo ancora lavorando per capire come risolvere il problema.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO Su trombocitopenia e adenovirus è stato pubblicato ben 14 anni fa questo studio canadese della Queen’s University di Kingston. L’ematologa Maha Othman ha iniettato direttamente l’adenovirus nei topi per via endovenosa.

MAHA OTHMAN – EMATOLOGA – QUEEN’S UNIVERSITY KINGSTON Volevamo capire per quale motivo iniettando l’adenovirus negli animali si abbassavano le piastrine e si sviluppava la trombocitopenia. Noi abbiamo scoperto che l’adenovirus si legava direttamente alle piastrine, attivandole. E che le piastrine rilasciavano il cosiddetto fattore von Willebrand, che è una proteina appiccicosa importante nella coagulazione.

CLAUDIA DI PASQUALE Cosa ha pensato quando si sono verificati i primi casi di trombosi associata a trombocitopenia dopo il vaccino AstraZeneca?

MAHA OTHMAN – EMATOLOGA – QUEEN’S UNIVERSITY KINGSTON Per me è stato facile pensare “una possibile causa potrebbe essere proprio l’adenovirus”.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO Oggi Maha Othman ha pubblicato un nuovo studio proprio sulle possibili cause degli effetti avversi dei vaccini a vettore adenovirale.

MAHA OTHMAN – EMATOLOGA – QUEEN’S UNIVERSITY Se venisse confermata la nostra ipotesi, si potrebbe pensare di modificare geneticamente l’adenovirus per prevenire questi effetti avversi che, ricordiamo, sono molto rari.

CLAUDIA DI PASQUALE Trombofilia, fumo o pillola anticoncezionale sono dei fattori di rischio per questi rari coaguli dopo AstraZeneca?

SUE PAVORD – CONSULENTE EMATOLOGA – OXFORD UNIVERSITY HOSPITALS No. L'unico fattore di rischio che abbiamo trovato è la giovane età. Io penso che non sia un vaccino per giovani.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO La commissione inglese sulle vaccinazioni ha consigliato al governo del Regno Unito di offrire un vaccino alternativo ad AstraZeneca ai giovani, ad aprile agli under 30 e da maggio anche agli under 40. A influire su questa decisione sono stati anche i dati elaborati dal Winton Centre for Risk and Communication dell'Università di Cambridge.

JOHN ASTON – PROFESSORE DI STATISTICA - UNIVERSITÀ DI CAMBRIDGE Per ogni fascia d’età, abbiamo messo a confronto il rischio di finire in terapia intensiva a causa del Covid con il rischio di sviluppare questi coaguli di sangue dopo il vaccino AstraZeneca.

CLAUDIA DI PASQUALE Quali sono stati i risultati della vostra analisi?

JOHN ASTON – PROFESSORE DI STATISTICA - UNIVERSITÀ DI CAMBRIDGE Più si è avanti con gli anni, maggiori sono i benefici della vaccinazione. Al contrario, i benefici del vaccino diminuiscono man mano che scende l’età e che diminuisce il rischio di contagiarsi.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO Questi sono i grafici elaborati dal Winton Centre sulla base dei dati inglesi. A sinistra ci sono i benefici, a destra ci sono i rischi del vaccino. Come si può vedere nei più anziani i benefici sono di gran lunga maggiori dei rischi. Nei più giovani, invece, i benefici si riducono sempre di più.

CLAUDIA DI PASQUALE La bilancia rischi-benefici, quindi, è meno chiara nei giovani?

JOHN ASTON – PROFESSORE DI STATISTICA - UNIVERSITÀ DI CAMBRIDGE Diciamo che nei più giovani i rischi del Covid e quelli del vaccino tendono a bilanciarsi.

SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Allora, il 30 dicembre del 2020 l’agenzia del farmaco della Gran Bretagna annuncia: abbiamo il nostro vaccino, possono utilizzarlo tutte le persone dai 18 anni in su. Dopo un mese, il 29 gennaio, arriva anche il via libera dell’Ema. Anche lei dice: possono vaccinarsi con AstraZeneca dai 18 anni in su, ma ha letto i trial svolti da Pollard e scrive una precisazione: “La maggior parte dei partecipanti ai trial di AstraZeneca aveva tra i 18 e i 55 anni. Non ci sono abbastanza risultati sulle vaccinazioni dei più anziani”. Ecco, questo è un po’ il peccato originale e condizionerà la campagna di vaccinazione in tutta Europa. La Germania all’inizio autorizza le vaccinazioni con AstraZeneca per le persone dai 18 anni ai 65. L’Italia invece raccomanda il vaccino AstraZeneca solo dai 18 anni ai 55 anni. Poi all’improvviso l’idillio s’interrompe e arrivano le prime segnalazioni di coaguli, e di morti, e la Danimarca, la Norvegia e l’Islanda sospendono l’utilizzo di AstraZeneca: si sono verificati dei rari e inusuali eventi di trombosi associata a trombocitopenia. Cioè, praticamente, tu da una parte hai i coaguli, dall’altra hai le piastrine molto basse. Ecco, l’anomalia qual è? È che queste segnalazioni non arrivano dalla Gran Bretagna. L’agenzia del farmaco della Gran Bretagna anzi dice: guardate che è tutto ok, si procede con le vaccinazioni. Fino a quando una giornalista, una rompiscatole – sempre i giornalisti rompiscatole – del Telegraph si chiede: ma perché queste segnalazioni arrivano dagli altri paesi e non dal nostro dove abbiamo cominciato per primi le vaccinazioni, dove abbiamo vaccinato 11 milioni di persone? Ecco lì che andando a rovistare nell’archivio, nel database dalla farmacovigilanza della Gran Bretagna si scopre che i primi segnali c’erano già a partire dal mese di febbraio, e in pochi mesi... Solo che erano stati catalogati in maniera non omogenea, non uniforme, e in pochi mesi si passa da un caso su un milione a 20,6 casi su un milione di prime dosi. E solo per quello che riguarda gli under 50. Sarebbe praticamente un caso ogni 50 mila dosi. Ecco, insomma, sono casi ancora rari ma sono sufficienti a far prendere una decisione alla commissione di vaccinazione inglese, cioè quella di consigliare un vaccino diverso da AstraZeneca per gli under 30. Siamo già ad aprile, poi lo estenderanno anche agli under 40 poco dopo. E nel far questo si avvale della collaborazione, delle analisi del Winton Centre for Risk di Cambridge dove ha il suo quartiere generale AstraZeneca. Ecco, l’11 marzo anche noi in ltalia avevamo sospeso ma un lotto, un solo lotto, quello di AstraZeneca che era stato somministrato a un militare.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO Uno dei primi casi a fare clamore sulla stampa è quello di Stefano Paternò, il militare in servizio ad Augusta morto la notte del 9 marzo solo 16 ore dopo avere ricevuto la prima dose di AstraZeneca.

CATERINA ARENA - MOGLIE DI STEFANO PATERNÒ Andiamo a letto verso le undici e mezza ma lui stava bene. È andato a letto che stava bene.

CLAUDIA DI PASQUALE Che non aveva più la febbre in quel momento.

CATERINA ARENA - MOGLIE DI STEFANO PATERNÒ No, no. Poi alle due di notte mi ha svegliato questo rumore forte e lui che cominciava a sbattere forte nel letto. Lo chiamo e vedo che aveva gli occhi sbarrati ma non era cosciente. Chiamo il 118 e loro arrivano, fanno la rianimazione per circa tre quarti d'ora però poi mi dicono che non c'è nulla da fare e che era deceduto.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO Sul caso la Procura di Siracusa apre un'inchiesta e viene disposta l'autopsia. Questi i risultati della perizia.

LUCIO DI MAURO - MEDICO LEGALE FAMIGLIA PATERNÒ C’è un passaggio nella consulenza che parla anche di fuoco amico, insomma, nel senso che è lo stesso organismo che reagisce in maniera abnorme e in effetti la reazione è talmente violenta che diventa, diciamo, danno anche per se stessi.

CLAUDIA DI PASQUALE E invece il test sierologico è risultato positivo.

LUCIO DI MAURO - MEDICO LEGALE FAMIGLIA PATERNÒ Il militare aveva contratto, e non era di sua conoscenza, quindi in maniera asintomatico, il virus almeno in un periodo precedente le 3-4 settimane.

DARIO SEMINARA - AVVOCATO FAMIGLIA PATERNÒ Stefano Paternò, abbiamo detto, di soli 43 anni, essendo in forza alla Marina Militare, periodicamente si sottoponeva a queste visite mediche. Stava bene, non aveva patologie di sorta, non fumava, non beveva, ecc.

CLAUDIA DI PASQUALE A vostro avviso c'è un nesso tra la somministrazione del vaccino e la morte, di fatto, di Paternò?

DARIO SEMINARA - AVVOCATO FAMIGLIA PATERNÒ Certo che sì, la conclusione dei consulenti della Procura è stato proprio nel senso dell'esistenza del nesso causale tra vaccino e decesso.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO L'11 marzo 2021 viene sequestrato il lotto somministrato al militare di Augusta. Lo stesso giorno la Danimarca sospende l'uso del vaccino AstraZeneca a causa della segnalazione di alcuni coaguli di sangue. È quello che è capitato proprio in quelle ore a Zelia Guzzo, insegnante di Gela di soli 37 anni.

ANDREA NICOSIA - MARITO DI ZELIA GUZZO Chiamo subito il medico di base, illustrandogli telefonicamente i sintomi e ipotizza un'intossicazione alimentare. Quella notte lei, ricordo perfettamente purtroppo, che era gelata. La mattina del 12 non mi rispondeva più.

CLAUDIA DI PASQUALE Esattamente quindi cosa ha avuto sua moglie?

ANDREA NICOSIA – MARITO DI ZELIA GUZZO Allora, Zelia ha avuto trombosi del seno venoso cerebrale, trombosi polidistrettuale e trombocitopenia.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO Zelia Guzzo viene portata in elisoccorso all'ospedale di Caltanissetta. Dopo un intervento chirurgico e 12 giorni di coma muore. La procura di Gela apre un'inchiesta ma poi ne viene chiesta l’archiviazione nonostante la perizia degli stessi consulenti della Procura abbia accertato la sussistenza di un nesso causale tra vaccino e decesso.

ANDREA NICOSIA - MARITO DI ZELIA GUZZO Questa è la nota informativa che abbiamo firmato poco prima della somministrazione del vaccino, sia io che mia moglie. Non conteneva, all'epoca, tra gli effetti avversi reazioni che avrebbero potuto portare al decesso.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO Il 25 marzo, il giorno dopo la morte di Zelia Guzzo, il ministero della Salute cambia ufficialmente il consenso informato e avverte del possibile rischio di rari coaguli di sangue. Intanto il caso di Zelia Guzzo finisce in due studi realizzati dal professore Cristoforo Pomara.

CLAUDIA DI PASQUALE Voi, tramite gli esami che avete realizzato avete provato il nesso causale tra la vaccinazione e il decesso.

CRISTOFORO POMARA - ORDINARIO DI MEDICINA LEGALE - UNIVERSITÀ DI CATANIA Assolutamente sì, seguendo un algoritmo approvato dall'Organizzazione Mondiale della Sanità che esclude la presenza di un'infezione da Covid. Abbiamo escluso la presenza di altre infezioni da altri virus o agenti patogeni, la presenza di patologie di base. Abbiamo cercato invece un marcatore sul quale si era concentrata l'attenzione della comunità scientifica che si chiama PF4, anti-PF4, ottenendo un esito positivo.

AUGUSTA TURIACO Al risveglio sento sempre questa cappa nella testa che non se ne vuole andare. Ieri mi hanno fatto la risonanza, in serata. Speriamo bene. Pensate a mamma e papà, alla spesa. Quindi pensate a loro, per favore.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO Questa è la voce di Augusta Turiaco, insegnante di Messina di 55 anni.

NUNZIO TURIACO - FRATELLO DI AUGUSTA TURIACO Il 24 ci manda un messaggio vocale via WhatsApp in cui odo una voce molto flebile. Ci raccomanda, ci raccomanda i nostri genitori novantenni che erano la sua preoccupazione principale senza immaginare che da lì a qualche ora lei avrebbe avuto la sua emorragia cerebrale.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO Augusta Turiaco muore il 31 marzo, venti giorni dopo la prima dose di AstraZeneca. Ancora oggi si attende la perizia della Procura. Sappiamo però che nel suo sangue c'erano i pericolosi anticorpi anti-PF4.

NUNZIO TURIACO - FRATELLO DI AUGUSTA TURIACO Mia sorella ha firmato un consenso che è stato cambiato da lì a poco. Non c'erano informazioni.

CLAUDIA DI PASQUALE Quali sono gli errori che secondo lei sono stati commessi, di fatto?

NUNZIO TURIACO - FRATELLO DI AUGUSTA TURIACO Quello di non sapere realmente a chi andava somministrato questo vaccino, perché questo è stato il problema principale.

SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Quella di Augusta Turiaco è una famiglia di medici, sono tutti vaccinati. Il fratello inoltre è anche console della Germania per la Sicilia orientale. Gli viene naturale contattare un immunologo di fama internazionale, il professor Andreas Greinacher, che è anche a capo di un dipartimento che studia da 30 anni le complicazioni piastriniche. È lui che gli dice: guarda, vai a cercare nel sangue di tua sorella gli anticorpi, i famosi anticorpi anti-PF4. Solo che quella che è una normale analisi che si svolge all’interno di un ospedale di media grandezza a Messina non è possibile farla, quindi sono costretti ad andare a Padova. È là che troveranno questi famosi anticorpi, gli anti-PF4. Sono gli stessi che Greinacher aveva trovato in quei pazienti che subito dopo la prima dose di AstraZeneca avevano sviluppato quei fenomeni rari e inusuali di trombosi associata a trombocitopenia. Insomma, ma questi pazienti erano così ingestibili?

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO Greifswald è una cittadina di circa 60mila abitanti, si trova nel nord della Germania ed è nota per il suo ospedale universitario. Il dipartimento di medicina trasfusionale è infatti un punto di riferimento internazionale. Lo dirige il professore Andreas Greinacher.

ANDREAS GREINACHER – PROFESSORE DI IMMUNOLOGIA – UNIVERSITÀ DI GREIFSWALD Questo è il laboratorio dove è successo tutto. Ecco, queste sono le piastrine, qui puoi vedere come vengono preparati i campioni per fare il test Elisa.

CLAUDIA DI PASQUALE Cosa è il test Elisa?

ANDREAS GREINACHER – PROFESSORE DI IMMUNOLOGIA – UNIVERSITÀ DI GREIFSWALD È il test che misura la presenza dei cosiddetti anticorpi anti-PF4. Si tratta di anticorpi pericolosi perché attivano le piastrine provocando possibili disordini trombotici.

COLLABORATRICE GREINACHER Prima mettiamo in agitazione le piastrine, poi le osserviamo sotto la luce. Questa è invece la parte finale del test: il colore giallo indica che ci sono gli anticorpi anti-PF4. Quindi è positivo.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO Grazie al test Elisa, il professore Greinacher e il suo gruppo di ricerca hanno trovato i pericolosi anticorpi anti-PF4 nei campioni dei pazienti che avevano sviluppato, a pochi giorni dalla vaccinazione con AstraZeneca, trombosi associata a trombocitopenia, cioè a piastrine basse.

ANDREAS GREINACHER – PROFESSORE DI IMMUNOLOGIA – UNIVERSITÀ DI GREIFSWALD Noi da oltre 30 anni studiamo la trombocitopenia autoimmune indotta da un altro farmaco, l'eparina, che può dare delle complicazioni simili a quelle del vaccino, quindi per noi è stato davvero semplice applicare le nostre conoscenze.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO Per questo motivo, quando lo scorso marzo sono emersi i primi casi di coaguli di sangue dopo AstraZeneca, tutta Europa ha iniziato a chiamare il professore Greinacher.

ANDREAS GREINACHER – PROFESSORE DI IMMUNOLOGIA – UNIVERSITÀ DI GREIFSWALD Martedì 16 marzo abbiamo ricevuto dall’Austria il primo campione da analizzare e in 24-48 ore abbiamo trovato gli anticorpi anti-PF4. A quel punto la domanda era come trattare questi pazienti. Abbiamo quindi testato un farmaco che si trova in tutti gli ospedali, le immunoglobuline, e hanno funzionato. La stessa sera del 17 marzo abbiamo reso pubblici i nostri risultati per consentire ai medici di curare i loro pazienti in modo corretto.

CLAUDIA DI PASQUALE Voi avete pubblicato uno studio in cui avete analizzato 11 casi. Qual era l'età media dei pazienti e quali erano i loro sintomi?

ANDREAS GREINACHER – PROFESSORE DI IMMUNOLOGIA – UNIVERSITÀ DI GREIFSWALD L'età andava dai 20 alla fine dei 50 anni e i sintomi erano piastrine basse, un forte mal di testa o dolore allo stomaco a causa di complicazioni trombotiche al cervello o all'addome.

CLAUDIA DI PASQUALE È importante sapere riconoscere i sintomi?

ANDREAS GREINACHER – PROFESSORE DI IMMUNOLOGIA – UNIVERSITÀ DI GREIFSWALD Sì, è fondamentale. Un trattamento precoce può ridurre il rischio di morte probabilmente di due terzi.

CLAUDIA DI PASQUALE Possiamo dire che c’è una relazione causale tra il vaccino AstraZeneca e questi rari e inusuali casi di trombosi associata a trombocitopenia?

ANDREAS GREINACHER – PROFESSORE DI IMMUNOLOGIA – UNIVERSITÀ DI GREIFSWALD Sì, è

chiaro e inequivocabile. È un effetto avverso raro correlato ai vaccini a vettore adenovirale. Noi pensiamo che la principale causa sia una proteina presente nel virus del vaccino.

CLAUDIA DI PASQUALE Quando ha iniziato a pensare che poteva esserci una relazione causale?

ANDREAS GREINACHER – PROFESSORE DI IMMUNOLOGIA – UNIVERSITÀ DI GREIFSWALD Nella seconda settimana dei nostri studi, dopo aver visto dieci pazienti che avevano tutti reazioni simili.

CLAUDIA DI PASQUALE Quindi a marzo?

ANDREAS GREINACHER – PROFESSORE DI IMMUNOLOGIA – UNIVERSITÀ DI GREIFSWALD A marzo.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO Il 15 marzo il governo tedesco decide di sospendere in via precauzionale l'uso di AstraZeneca su consiglio del Paul Ehrlich Institut, l'agenzia del farmaco tedesca.

CLAUDIA DI PASQUALE Vari esperti e politici hanno criticato questa scelta ritenendola presa sull'onda dell'emozione.

KLAUS CICHUTEK – PRESIDENTE PAUL EHRLICH INSTITUT No, non è così. Anzi, dimostra che il sistema di farmacovigilanza funziona in modo eccellente. Abbiamo consultato scienziati ed esperti e abbiamo introdotto uno stop transitorio alla vaccinazione, per poter approfondire questi eventi avversi insieme alle altre autorità nazionali e all'Ema.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO Neanche tre giorni dopo, il 18 marzo, l'Ema dà il suo parere e il giorno dopo riprendono le vaccinazioni.

EMER COOKE - DIRETTRICE ESECUTIVA EMA - CONFERENZA STAMPA 18/03/2021 Il vaccino è sicuro ed efficace, i benefici superano i rischi. La commissione ha concluso che il vaccino non è associato ad un incremento del rischio generale di eventi tromboembolici.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO Questo è il Robert Koch Institut, l'equivalente tedesco del nostro Istituto superiore di sanità. Qui ha sede anche la commissione permanente tedesca sulle vaccinazioni, ne fa parte il pediatra Martin Terhardt, che in questa pandemia fa anche il medico vaccinatore.

MARTIN TERHARDT – PEDIATRA E MEMBRO STIKO In base ai dati risultava che questi rari eventi trombotici colpivano soprattutto le giovani donne, quindi a fine marzo abbiamo raccomandato l'uso del vaccino AstraZeneca alle persone con più di 60 anni.

CLAUDIA DI PASQUALE Gli over 60, visto che lei è anche un medico vaccinatore, si sono poi vaccinati tranquillamente con AstraZeneca?

MARTIN TERHARDT – PEDIATRA E MEMBRO STIKO A quel punto la fiducia era già crollata anche perché all'inizio, al contrario, avevamo raccomandato AstraZeneca a chi aveva meno di 65 anni. Quindi gli anziani si erano già convinti che AstraZeneca non fosse il loro vaccino.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO In base ai dati pubblicati dal Paul Ehrlich Institut, in Germania sono stati segnalati 174 casi di trombosi associata a trombocitopenia su meno di 13 milioni di somministrazioni con AstraZeneca. In media, fa poco più di un caso ogni 100mila dosi. Questo dato, però, cambia in base all'età. Diminuisce negli anziani fino a dimezzarsi, mentre nei giovani aumenta fino ad arrivare a 3, 4, 5 casi ogni 100mila dosi.

CLAUDIA DI PASQUALE Vi aspettavate questi risultati?

KLAUS CICHUTEK – PRESIDENTE PAUL EHRLICH INSTITUT No, non ce li aspettavamo. Raccomandare quindi AstraZeneca agli over 60 è stato molto importante.

CLAUDIA DI PASQUALE A me risulta, però, che in Germania, da maggio, sia stata consentita la vaccinazione con AstraZeneca anche agli over 18. Sembra un po’ una contraddizione.

KLAUS CICHUTEK – PRESIDENTE PAUL EHRLICH INSTITUT Può sembrare confusionario dall'esterno, ma bisogna considerare nel dettaglio i motivi di questa scelta.

 MARTIN TERHARDT – PEDIATRA E MEMBRO STIKO Intanto l'Ema ha autorizzato AstraZeneca per i soggetti sopra i 18 anni. Bisogna poi considerare che noi prendiamo le nostre decisioni anche sulla base dei vaccini a disposizione. In quel momento, c'era carenza di vaccini a mRNA e non potevamo permetterci di sprecare nessuna dose.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO In pratica da maggio la Stiko ha consentito anche agli over 18 di potersi vaccinare con AstraZeneca, ma solo dopo accettazione individuale dei rischi e dopo consiglio medico. Lo sa bene Malik Böttcher, medico di famiglia a Berlino.

MALIK BÖTTCHER – MEDICO DI FAMIGLIA Noi medici abbiamo detto al governo “noi vacciniamo solo se ci togliete ogni responsabilità” e così è stato.

CLAUDIA DI PASQUALE C'era anche l'esigenza, invece, di smaltire dosi di AstraZeneca che nessuno più voleva?

MALIK BÖTTCHER – MEDICO DI FAMIGLIA Il problema era che gli anziani rifiutavano AstraZeneca e quindi consumavano tutte le dosi di Pfizer.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO Quando è stata introdotta la vaccinazione eterologa per gli under 60, Böttcher ha avuto un bel po' di difficoltà.

MALIK BÖTTCHER – MEDICO DI FAMIGLIA È stata una catastrofe, con l'eterologa AstraZeneca è definitivamente morto.

CLAUDIA DI PASQUALE Voi quante dosi di AstraZeneca avevate già pronte per essere utilizzate?

MALIK BÖTTCHER – MEDICO DI FAMIGLIA Nei frigoriferi del nostro centro vaccinale c'erano ben 10.400 dosi di AstraZeneca. Abbiamo allora chiamato il governo per trovare una soluzione. Ci hanno risposto che, una volta scadute, dovevano essere smaltite.

CLAUDIA DI PASQUALE Il governo vi aveva detto che le dosi potevano, quindi, essere buttate?

MALIK BÖTTCHER – MEDICO DI FAMIGLIA Esatto ma per noi era inammissibile, quindi noi medici abbiamo contattato delle organizzazioni umanitarie e siamo riusciti a salvare queste dosi e a inviarle a Damasco, in Siria, ma anche in Ucraina e in Sudan.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO Questa estate la stampa tedesca ha denunciato che solo a Berlino oltre 100mila dosi di AstraZeneca rischiavano di finire nella spazzatura. Per capirci qualcosa il giornalista investigativo Markus Grill ha quindi chiamato tutti e 16 i laender tedeschi.

MARKUS GRILL – GIORNALISTA WDR Abbiamo scoperto che tutte le regioni si sono ritrovate con migliaia di dosi inutilizzate, soprattutto di AstraZeneca, senza sapere cosa farne.

CLAUDIA DI PASQUALE Quante dosi di AstraZeneca sono state acquistate dalla Germania?

MARKUS GRILL – GIORNALISTA WDR La Germania ha ordinato circa 56 milioni di dosi di AstraZeneca fino alla fine del 2021. Quelle, però, effettivamente somministrate sono state meno di 13 milioni.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO Alla fine questa estate, mentre montavano le polemiche, la Germania ha annunciato di volere donare tutte le restanti milioni di dosi di AstraZeneca ai paesi in via di sviluppo.

ALBRECHT BROEMME – PROJECT MANAGER CENTRI VACCINALI BERLINO Abbiamo completamente smesso di usare il vaccino di Oxford. Ormai le nuove dosi di AstraZeneca vengono mandate direttamente in Africa.

ANDREAS GREINACHER – PROFESSORE DI IMMUNOLOGIA – UNIVERSITÀ DI GREIFSWALD Bisogna assicurarsi che i medici di quei paesi sappiano riconoscere i sintomi delle possibili complicazioni trombotiche indotte dal vaccino per poter trattare i pazienti in modo corretto.

SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Nel giro di 48 ore il professore Greinacher aveva scoperto gli anticorpi anti-PF4 e anche la cura da somministrare ai pazienti. Ma bisogna diagnosticare in tempo la patologia e poi si può somministrare le immunoglobuline. Ecco, il professor Greinacher mette a disposizione della comunità internazionale i propri studi già a partire dal 17 marzo. Insomma, la Germania in poche settimane aveva capito tutto e ha avuto un ruolo cruciale perché quando l’agenzia del farmaco il 15 marzo decide di sospendere le vaccinazioni con AstraZeneca, insomma, è stata una decisione molto criticata e il suo peso ovviamente coinvolge un intervento di Ema. Ecco, qualcuno ha anche sottinteso il braccio di ferro che si stava svolgendo tra Germania, braccio di ferro geopolitico ed economico, tra Germania che ha BioNTech, partner che collabora con Pfizer nella realizzazione del vaccino, e dall’altra parte la Gran Bretagna dove c’è AstraZeneca, la multinazionale anglo-svedese. In realtà l’agenzia del farmaco tedesca stava aspettando i risultati del professor Greinacher. Grazie al suo lavoro oggi abbiamo potuto capire che esiste una relazione tra la prima dose del vaccino AstraZeneca e quegli eventi di trombosi, anche se inusuali e rari, di trombosi associata a trombocitopenia. Ecco, però questo fatto ha impattato anche sulla campagna vaccinale del nostro paese, dell’Italia. Noi avevamo puntato su AstraZeneca, lo avevamo somministrato alle forze dell’ordine, agli insegnanti. Poi però abbiamo anche emesso una serie di circolari un po’ contraddittorie. All’inizio l’abbiamo raccomandato per gli under 55, poi per gli under 65. Poi l’abbiamo sospeso tre giorni. Poi, quando l’abbiamo ripreso, il 7 aprile il ministero, su parere del CTS, raccomanda l’uso preferenziale di AstraZeneca agli over 60 che però a quel punto AstraZeneca non lo volevano più perché avevano perso fiducia. Però avevamo tanti morti al giorno, c’era da fermare il virus. Avevamo da una parte una grande scorta di vaccini AstraZeneca, dall’altra mancavano quelli a mRNA, l’alternativa. E allora un giorno il commissario Figliuolo, insomma, chiede di poter estendere l’uso di AstraZeneca anche agli over 50. Il CTS risponde il 12 maggio dando il via libera agli open day. Insomma, si possono vaccinare con AstraZeneca tutti a partire dai 18 anni in su. E per farlo utilizza anche le analisi, cita le analisi del Winton Centre for Risk di Cambridge. Ecco, un’analisi, ma quell’analisi l’ha citata tutta?

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO A fine maggio la Regione Liguria organizza gli open day AstraZeneca per tutti i soggetti over 18 e anche il presidente Toti si vaccina davanti alle telecamere.

GIOVANNI TOTI - PRESIDENTE REGIONE LIGURIA Si vede la maglietta? UOMO Sì, sì.

GIOVANNI TOTI - PRESIDENTE REGIONE LIGURIA Già fatto?

CLAUDIA DI PASQUALE I famosi open day di AstraZeneca over 18, se non ho capito male, sono stati lanciati proprio perché gli over 60 a cui era destinata AstraZeneca non si vaccinavano.

GIOVANNI TOTI - PRESIDENTE REGIONE LIGURIA Evidentemente è stato mal tollerato, diciamo, da coloro a cui era destinato. Qualche inquietudine, al di là delle rassicurazioni mediche, l'hanno portata.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO All'inizio, in Liguria, gli open day AstraZeneca over 18 sono un successo. Nel giro di breve tempo si prenotano oltre 20mila persone. Fino a quando sulla stampa finisce il caso di Camilla Canepa, studentessa di 18 anni di Sestri Levante. Morirà al San Martino di Genova per emorragia cerebrale dopo la prima dose di AstraZeneca.

MATTEO BASSETTI - DIRETTORE MALATTIE INFETTIVE OSPEDALE SAN MARTINO GENOVA Io preferisco non parlarne perché c'è un'indagine della procura e quindi vedremo che cosa, cosa verrà fuori dall'indagine. E si potrà anche capire qual è stata la correlazione con il vaccino, se qualcosa non ha funzionato, se qualcuno ha sbagliato qualche cosa. È giusto che la magistratura faccia il suo corso.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO Pochi giorni fa i risultati della perizia: Camilla Canepa era sana. È deceduta per una trombosi dei seni venosi cerebrali. E il decesso è ragionevolmente da riferirsi al vaccino.

GIOVANNI TOTI - PRESIDENTE REGIONE LIGURIA Il vaccino AstraZeneca era stato autorizzato e gli open day erano stati autorizzati, su base volontaria, dal CTS, dalla struttura commissariale.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO Cioè il CTS vi aveva dato il consenso, cioè l'autorizzazione, a organizzare gli open day.

GIOVANNI TOTI - PRESIDENTE REGIONE LIGURIA Certo. AstraZeneca era stato liberalizzato per l'intero campione di popolazione maggiorenne, sia uomini che donne.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO Questo è il verbale del CTS del 12 maggio che autorizza le regioni a organizzare i vaccination day con i vaccini a vettore adenovirale per tutti i soggetti over 18. A supporto il CTS cita un'analisi sulla bilancia rischi-benefici di AstraZeneca realizzata dall'Ema con la consulenza del Winton Centre for risk di Cambridge.

JOHN ASTON – PROFESSORE DI STATISTICA - UNIVERSITÀ DI CAMBRIDGE Abbiamo aiutato l’Ema a visualizzare quante morti per Covid si possono prevenire grazie alla vaccinazione con AstraZeneca. Poi abbiamo messo a confronto questi dati con il possibile rischio di sviluppare coaguli di sangue dopo il vaccino nei tre possibili scenari: con alta, media e bassa contagiosità.

 CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO Nel verbale del CTS si legge che in base all'analisi dell'Ema, con una circolazione virale media il numero di casi ogni 100mila persone che sviluppano i fenomeni trombotici risulta pari a 1.1 mentre con il vaccino si possono prevenire 8 morti per Covid ogni 100mila persone.

CLAUDIA DI PASQUALE Otto morti per Covid contro un coagulo di sangue. Questi numeri a quale fascia d'età appartengono?

JOHN ASTON – PROFESSORE DI STATISTICA - UNIVERSITÀ DI CAMBRIDGE Questi numeri sono relativi alla fascia d'età 50-59 anni.

CLAUDIA DI PASQUALE Invece ogni 100mila persone quali sono i dati nella fascia degli under 30?

JOHN ASTON – PROFESSORE DI STATISTICA - UNIVERSITÀ DI CAMBRIDGE In questo caso non ci aspettiamo decessi, quindi il numero di morti per Covid è zero.

CLAUDIA DI PASQUALE Zero. E invece quali sono i possibili rischi?

JOHN ASTON – PROFESSORE DI STATISTICA - UNIVERSITÀ DI CAMBRIDGE Ogni 100mila giovani si prevedono circa 2 casi di coaguli di sangue.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO In base ai grafici del Winton Centre, anche in caso di alta contagiosità nella fascia under 30 le morti per Covid sono zero mentre il rischio di coaguli di sangue dopo la prima dose è circa due.

CLAUDIA DI PASQUALE A suo avviso alla data di fine maggio non si avevano già gli elementi per fare una valutazione, per capire se in realtà quel vaccino era il caso o meno di somministrarlo anche agli over 18?

GIOVANNI TOTI - PRESIDENTE REGIONE LIGURIA Secondo me no.

CLAUDIA DI PASQUALE Ma noi abbiamo un documento dell'Ema, che è vero che non ha mai posto delle restrizioni per fascia d'età ma allo stesso tempo ha pubblicato uno studio in cui ci sono i vari scenari di incidenza. L'ha letto?

GIOVANNI TOTI - PRESIDENTE REGIONE LIGURIA No, non l’ho letto.

CLAUDIA DI PASQUALE Bene.

GIOVANNI TOTI - PRESIDENTE REGIONE LIGURIA Nel senso che normalmente…

CLAUDIA DI PASQUALE I suoi consulenti o chi la segue poteva conoscerlo.

GIOVANNI TOTI - PRESIDENTE REGIONE LIGURIA No, ma io ho la certezza che i miei consulenti compendino i documenti di Ema con grande attenzione. Dopodiché non è il presidente di Regione col suo medico che si trova e dice “Ma hai visto cosa ha scritto Ema? Allora contestiamo la politica nazionale di vaccinazione”. No.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO I primi di giugno anche la regione Sicilia organizza gli open day AstraZeneca per gli over 18.

MARIO MINORE - COORDINATORE TASK FORCE VACCINI SICILIA Questo è uno studio dell’Ema che naturalmente esula da quelle che sono le nostre competenze alle quali, che invece si attengono a quelle che sono le indicazioni del CTS, dell'Aifa e della struttura commissariale.

CLAUDIA DI PASQUALE Però in base a quel documento voi sapevate già un mese prima che si facessero gli open day con gli over 18 che forse ci poteva essere qualche rischio.

MARIO MINORE - COORDINATORE TASK FORCE VACCINI SICILIA Noi ci siamo attenuti a quelle che sono state le indicazioni del CTS, prendendo spunto anche dalle altre regioni.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO Per capirci qualcosa ne parliamo allora con l'ex direttore dell'Ema, Guido Rasi, che oggi è anche consulente a titolo gratuito del generale Figliuolo.

CLAUDIA DI PASQUALE Lei è un medico. In base ai dati pubblicati da questo studio risulta che i benefici siano superiori ai rischi per le fasce più giovani, o già da questo studio era possibile comprendere che non era così chiara la bilancia rischi-benefici?

GUIDO RASI - DIRETTORE ESECUTIVO EMA 2015-2020 Sì, sì, si poteva dedurre che fino a, diciamo, 39 anni, 40 anni, sicuramente il vaccino ideale non era questo.

CLAUDIA DI PASQUALE Cioè, già da questa tabella si poteva comprendere che non era il caso di fare gli open day over 18?

GUIDO RASI - DIRETTORE ESECUTIVO EMA 2015-2020 Con quel vaccino no. Col… Stiamo parlando del vaccino AstraZeneca?

CLAUDIA DI PASQUALE Certo.

GUIDO RASI - DIRETTORE ESECUTIVO EMA 2015-2020 L'ideale sarebbe stato fare un open day con vaccini a mRNA nelle fasce sotto i 50 e open day con i vaccini a vettore virale nelle fasce sopra i 50.

CLAUDIA DI PASQUALE A suo avviso, comunque, AstraZeneca è un vaccino per giovani?

GUIDO RASI - DIRETTORE ESECUTIVO EMA 2015-2020 No, chiaramente no.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO Chiediamo allora l'intervista all'Ema, al CTS, all’Aifa e al ministero della Sanità. L'unico che si fa intervistare è Pierpaolo Sileri.

CLAUDIA DI PASQUALE Secondo lei è stato giusto organizzare questi open day?

PIERPAOLO SILERI – SOTTOSEGRETARIO ALLA SALUTE In quel momento rimasi perplesso anch'io, forse non era il vaccino preferenziale per i soggetti più giovani, prevalentemente donne. Io più di una volta mi sono espresso: sotto i 40 anni, donna, sicuramente no; sotto i quarant'anni, maschio, si può, si può valutare. E tanto più che molti che mi chiedevano cosa fare, io, da medico, e quindi togliamo la parte diciamo del politico, direi “mah, insomma, sotto i 40 anni se, a tua moglie, io, se fosse mia moglie, non lo farei”. Io l'avrei fatto, ecco. Però io ho 50 anni.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO Oggi, in base agli ultimi dati dell'Ema, il tasso di incidenza delle trombosi associate a trombocitopenia dopo la prima dose di AstraZeneca è pari a 3-4 casi ogni 100mila persone nelle giovani donne; significa 1 caso ogni 30-25mila somministrazioni. La nostra agenzia del farmaco, l’Aifa, invece non fa distinzione di sesso e di età e parla di un solo caso su un milione di dosi, mescolando anche altri rari effetti avversi.

CLAUDIA DI PASQUALE Pochi giorni fa è uscito l'ultimo rapporto Aifa. Il tasso di segnalazione indicato per questi casi è uno su un milione.

GUIDO RASI - DIRETTORE ESECUTIVO EMA 2015-2020 Del vaccino AstraZeneca.

CLAUDIA DI PASQUALE Sì.

GUIDO RASI - DIRETTORE ESECUTIVO EMA 2015-2020 Ci possono essere tanti fattori.

CLAUDIA DI PASQUALE Voglio sapere cosa ne pensa del fatto che l’Aifa, rispetto agli altri enti regolatori, non fornisce tutti i dati.

GUIDO RASI - DIRETTORE ESECUTIVO EMA 2015-2020 Se l’Aifa non è in grado di farli o non ha, o è sottostaffata – e lo è – o non vuole fare, io questo proprio non posso, non posso dirlo.

CLAUDIA DI PASQUALE Questo dato secondo lei è congruente e coerente con il resto della letteratura scientifica e con i dati delle altre autorità e degli altri enti regolatori?

GUIDO RASI - DIRETTORE ESECUTIVO EMA 2015-2020 È un dato disallineato. Può darsi che sia il più accurato di tutti, può darsi che sia il meno accurato di tutti.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO Scriviamo quindi all’Aifa. Ci dà un nuovo numero per queste trombosi con piastrine basse: 3 casi su un milione, mettendo di nuovo tutti insieme, vecchi e giovani, uomini e donne, prime e seconde dosi. Prendiamo allora i dati del governo sulle somministrazioni di AstraZeneca divisi per età e sesso. Scopriamo che nelle donne under 60 i casi sono in media due ogni 100mila prime dosi con punte di 4 casi nella fascia 30-39 anni. Il professore Giuseppe Nocentini ha invece analizzato tutti gli eventi sospetti segnalati dai paesi europei dopo AstraZeneca.

GIUSEPPE NOCENTINI – SOCIETÀ ITALIANA DI FARMACOLOGIA Noi abbiamo messo insieme i fenomeni trombotici, qualsiasi fenomeno trombotico, e qualsiasi fenomeno trombocitopenico, che praticamente sarebbe sanguinamento.

CLAUDIA DI PASQUALE Usando quali dati?

GIUSEPPE NOCENTINI – SOCIETÀ ITALIANA DI FARMACOLOGIA Usando la banca dati europea che si chiama EudraVigilance, che è una banca dati pubblica.

CLAUDIA DI PASQUALE Cosa è venuto fuori alla fine?

GIUSEPPE NOCENTINI – SOCIETÀ ITALIANA DI FARMACOLOGIA Abbiamo un fenomeno trombotico o trombocitopenico, quindi un evento avverso grave, in un caso su 9mila vaccinazioni.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO Queste sono segnalazioni spontanee da dover verificare una per una. Quel che è certo, invece, è che in questi mesi sono stati aggiunti nuovi rari effetti avversi come la sindrome da perdita capillare, la sindrome di Guillain-Barré e la trombocitopenia immune. Ne sa qualcosa Massimo Dipietro, insegnante di educazione fisica. Si è vaccinato il 15 marzo, proprio il giorno in cui l’Italia sospendeva AstraZeneca. CLAUDIA DI PASQUALE Ha avuto delle reazioni?

MASSIMO DIPIETRO – INSEGNANTE DI EDUCAZIONE FISICA Dopo una settimana, dieci giorni, un po’ di gengivorragia quando lavavo i denti. Ma essendo cose che succedono comunemente non ci ho fatto molto caso fin quando non mi sono spuntate delle ecchimosi nella pancia, nella gamba e nel braccio sinistro.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO È così che si reca al pronto soccorso, fa le analisi del sangue e scopre di avere solo mille piastrine.

MASSIMO DIPIETRO – INSEGNANTE DI EDUCAZIONE FISICA Fino a un mese prima della vaccinazione avevo donato il sangue e avevo quasi 300 mila piastrine.

CLAUDIA DI PASQUALE E al Gemelli cosa le hanno detto?

MASSIMO DIPIETRO – INSEGNANTE DI EDUCAZIONE FISICA Al Gemelli mi hanno scritto che è una piastrinopenia successiva al vaccino AstraZeneca.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO L'ospedale Gemelli di Roma lo mette nero su bianco il 18 giugno, quando già erano passati tre mesi dalla vaccinazione.

MASSIMO DIPIETRO – INSEGNANTE EDUCAZIONE FISICA Il mio sistema immunitario dopo il vaccino ha iniziato a distruggere le piastrine, per cui l'unica strada è quella di indebolire il sistema immunitario attraverso il cortisone. Le soluzioni alternative sono gli immunosoppressori oppure la, diciamo, la rimozione della milza che comunque le percentuali di successo sono del 50/60 per cento dei casi per cui rischierei di ritrovarmi senza milza e senza piastrine.

CLAUDIA DI PASQUALE Quindi lei è un po’ arrabbiato in questo momento, mi sembra.

MASSIMO DIPIETRO – INSEGNANTE DI EDUCAZIONE FISICA Noi abbiamo fatto la comunicazione già il 18 aprile all'Aifa di quello che mi era successo ma io non ho avuto nessun contatto con nessuno. Ci dicono di fare il vaccino però, se poi hai un problema, l'impressione che ho io è che ti vengano a dire “Eh vabbè, tu hai firmato, sapevi quali erano i rischi, adesso è un problema tuo, veditela tu”.

CLAUDIA DI PASQUALE Quando lei ha firmato, tra i rischi c'era il possibile abbassamento delle piastrine?

MASSIMO DIPIETRO – INSEGNANTE DI EDUCAZIONE FISICA No, nel foglio che ho io non è citata la piastrinopenia.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO La trombocitopenia immune è stata inserita nel foglietto illustrativo il 5 ottobre. L'Italia intanto ha eliminato AstraZeneca dalla campagna vaccinale. Di dosi ne avevamo pre-acquistate circa 40 milioni ma quelle somministrate sono circa 12.

CLAUDIA DI PASQUALE Il problema è: di tutto il resto cosa ne faremo?

PIERPAOLO SILERI – SOTTOSEGRETARIO ALLA SALUTE L’ho chiesto alla struttura commissariale per capire esattamente come verranno... E soprattutto ho chiesto un'altra cosa: la scadenza.

CLAUDIA DI PASQUALE Ma queste dosi dovrebbero essere donate, quindi?

PIERPAOLO SILERI - SOTTOSEGRETARIO ALLA SALUTE Queste dosi potrebbero entrare nel COVAX. Ma il meccanismo col quale entreranno nel COVAX non me lo hanno chiarito, perché l'ho chiesto. Perché lo stesso problema non l’abbiamo solamente noi.

CLAUDIA DI PASQUALE Tutti.

PIERPAOLO SILERI - SOTTOSEGRETARIO ALLA SALUTE Ce l'abbiamo noi, ce l’ha la Francia, ce l’ha la Germania. E la soluzione dovrà essere europea, con particolare attenzione a quella che è la scadenza.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO Andiamo allora a Bruxelles. La Commissione Europea, infatti, prima ha fatto causa ad AstraZeneca per dei ritardi nelle consegne e poi, a settembre, ha raggiunto un accordo per farsi consegnare le rimanenti 200 milioni di dosi previste dal contratto entro la fine di marzo 2022.

CLAUDIA DI PASQUALE Sfortunatamente però molti paesi europei non utilizzano più il vaccino AstraZeneca. Stiamo acquistando milioni di dosi di vaccino anche se non ne abbiamo più bisogno?

STEFAN DE KEERSMAECKER – PORTAVOCE COMMISSIONE EUROPEA PER LA SALUTE AstraZeneca resta un importante vaccino per noi. C'è chi lo usa ancora. Non bisogna poi dimenticare che il virus è anche fuori dall'Europa. E quindi gli stati membri possono usare questi vaccini per fare delle donazioni ad altri paesi.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORICAMPO Il giorno in cui viene firmato l'accordo transattivo con AstraZeneca la commissaria europea alla salute Stella Kyriakides dichiara: "Noi continueremo ad aiutare il resto del mondo, il nostro scopo è donare almeno 200 milioni di dosi a COVAX e ai paesi a basso e medio reddito entro la fine dell'anno”.

MANON AUBRY – EUROPARLAMENTARE È davvero ipocrita fare beneficenza in questo modo, se si pensa che nello stesso momento la Commissione europea sta bloccando la soluzione numero uno per produrre vaccini per tutto il mondo, ovvero sospendere i brevetti. Parliamoci chiaro, queste sono le dosi che gli europei non vogliono. Mi chiedo, l'Africa è forse la pattumiera dell'Unione europea?

STEFAN DE KEERSMAECKER – PORTAVOCE COMMISSIONE EUROPEA PER LA SALUTE L'Ema l'ha ripetuto più volte che AstraZeneca è un vaccino sicuro ed efficace. Non è assolutamente un vaccino di serie B.

CLAUDIA DI PASQUALE In caso di effetti avversi correlati al vaccino, chi paga?

STEFAN DE KEERSMAECKER – PORTAVOCE COMMISSIONE EUROPEA PER LA SALUTE Questa è una cosa che non posso commentare.

CLAUDIA DI PASQUALE Scusi, questo è il contratto che avete firmato con AstraZeneca. Al paragrafo 14 c'è scritto che “ciascuno Stato membro dovrà indennizzare e sollevare AstraZeneca da qualsiasi richiesta di danno e responsabilità derivante da morte, lesioni fisiche, mentali o emotive”.

STEFAN DE KEERSMAECKER – PORTAVOCE COMMISSIONE EUROPEA PER LA SALUTE Lei lo sa bene, questa parte è oscurata nel contratto.

CLAUDIA DI PASQUALE Questa parte è censurata sul vostro sito.

STEFAN DE KEERSMAECKER – PORTAVOCE COMMISSIONE EUROPEA PER LA SALUTE Esatto, e siccome è oscurata io non posso rilasciare nessun commento.

CLAUDIA DI PASQUALE Come si fa a parlare di trasparenza? Qui ci sono di mezzo soldi pubblici.

STEFAN DE KEERSMAECKER – PORTAVOCE COMMISSIONE EUROPEA PER LA SALUTE Noi siamo a favore della trasparenza e chiediamo alle aziende trasparenza, ma per ballare il tango bisogna essere in due. CLAUDIA DI PASQUALE Questa non è trasparenza.

STEFAN DE KEERSMAECKER – PORTAVOCE COMMISSIONE EUROPEA PER LA SALUTE Io capisco il tuo punto di vista, lo capisco. CLAUDIA DI PASQUALE È impossibile da accettare una cosa simile. STEFAN DE KEERSMAECKER – PORTAVOCE DELLA COMMISSIONE EUROPEA PER LA SALUTE Se l'alternativa era questo o non avere il contratto, tu cosa avresti fatto? Questo è tra me e te, non stai registrando.

CLAUDIA DI PASQUALE Noi registriamo, scusi.

STEFAN DE KEERSMAECKER – PORTAVOCE COMMISSIONE EUROPEA PER LA SALUTE Stavo dicendo, probabilmente se avessimo insistito non avremmo avuto i contratti.

SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Abbiamo capito che a guidare le danze, il tango, in tema di trasparenza e anche di costi del vaccino sono state le case farmaceutiche. Mentre, sempre rimanendo in tema di trasparenza, abbiamo anche capito che per l’Aifa, la nostra agenzia del farmaco, i cittadini italiani possono essere trattati diversamente da come le altre agenzie trattano i cittadini in altri paesi europei. Ecco, noi nell’ultimo rapporto dell’Aifa meritiamo i dati aggregati, cioè senza età, sesso e distinzione tra prima e seconda dose o evento avverso. E dunque nell’ultimo rapporto di Aifa si parla di un caso ogni milione per queste trombosi con trombocitopenia. Insomma, dopo le nostre sollecitazioni però ci hanno riscritto nuovamente e parlano di tre casi su un milione. Anche uno scienziato come Guido Rasi che ha guidato l’Ema, l’Agenzia europea del farmaco, dice che questi sono dati disallineati perché, insomma, o sono troppo accurati o sono meno accurati. Fatto sta che, però, se tu dai i dati aggregati nascondi laddove c’è un problema e infatti se si va a vedere nelle donne under 60 il tasso di incidenza è in media di 2 casi ogni 100mila prime dosi. Ecco, la Germania già a marzo, a fine marzo, aveva raccomandato l’uso di AstraZeneca per gli over 60. La stessa Gran Bretagna aveva raccomandato ad aprile un vaccino diverso da AstraZeneca per gli under 30 e per farlo si era consultata, aveva utilizzato come consulenza le analisi della bilancia benefici-rischi stilati, preparati dal Winton Centre for Risk di Cambridge e aveva analizzato, appunto, che per gli anziani c’erano più benefici che per i giovani dove invece si livellavano, si bilanciavano. Ora, anche il nostro CTS ha citato i dati del Winton Centre for Risk però ha dato il via agli open day e ha dato l’ok alle vaccinazioni dai 18 anni in su. Come è stato possibile? Perché ha citato esclusivamente quella fascia di età del rapporto del Winton Centre for Risk che riguardava i vaccinati dai 50 ai 59 anni omettendo di citare quella fascia dei ragazzi, quelli più giovani. Il risultato qual è stato? Che dopo la morte di Camilla Canepa ha dovuto cambiare strada e ha raccomandato l’uso di AstraZeneca solo per gli over 60 ma a quel punto i nostri anziani AstraZeneca non lo volevano più. Avevano perso fiducia ed è un peccato perché è un vaccino prezioso, l’abbiamo detto. È efficace al 90 percento contro le morti e le ospedalizzazioni. Si conserva bene, è facile da trasportare e soprattutto costa poco. Ora, è ovvio che i benefici collettivi della vaccinazione sono superiori ai rischi individuali. È ovvio anche che uno vaccina con quello che ha a disposizione ma l’informazione dev’essere trasparente e soprattutto non deve essere contradditoria altrimenti genera incertezze e anche paure. Ora, entro marzo arriveranno 200 milioni di dosi di AstraZeneca in Europa. Probabilmente finiranno nei paesi in via di sviluppo, in Africa. Speriamo, come ha detto Greinacher, che vengano formati quei medici ad affrontare eventuali eventi avversi, reazioni avverse, perché l’unica battaglia che possiamo vincere contro il virus è quella utilizzando l’arma dei vaccini.

Da Adnkronos.it il 7 ottobre 2021. Vaccino anti-covid Moderna sospeso tra i giovani in Svezia e Danimarca. La Svezia ha deciso di dire stop alla somministrazione per le persone nate nel 1991 e dopo. E questo per il rischio di possibili effetti collaterali rari, come la miocardite. «L'Agenzia svedese per la sanità pubblica ha deciso di sospendere l'uso del vaccino Spikevax* di Moderna per tutti i nati dal 1991 in poi per motivi precauzionali», si legge in una nota. «Sono in aumento le segnalazioni degli effetti collaterali come miocardite e pericardite. Tuttavia - si precisa - il rischio di essere colpiti da questi effetti collaterali è molto basso». L'agenzia sanitaria ha affermato di aver raccomandato invece la somministrazione del vaccino Comirnaty* di Pfizer/BioNtech. Le persone nate nel 1991 o successivamente che hanno già ricevuto una prima dose di Moderna, circa 81mila persone, riceveranno la seconda dose di un vaccino diverso. All'inizio della settimana l'agenzia sanitaria svedese ha spiegato che le persone di età compresa tra i 12 e i 15 anni riceveranno solo il vaccino Pfizer/BioNtech. La Danimarca sospenderà invece la somministrazione di Moderna per le persone al di sotto dei 18 anni, dopo i rapporti relativi a possibili rari effetti avversi, come le miocarditi. Lo hanno annunciato le autorità sanitarie del Paese, dopo che analogo annuncio era stato fatto dalla Svezia per le persone nate a partire dal 1991.

Da "leggo.it" il 17 settembre 2021. Somministrate sei soluzioni fisiologiche ad altrettanti utenti, anziché dosi di vaccino anti Covid, in un hub della Asl, alla palestra di Camucia (Arezzo). Resisi conto dell'errore, al termine della seduta il personale ha dato l'allarme e sono scattate tutte le operazioni per contattare i cittadini vaccinati nello stesso box. La dottoressa Anna Beltrano, direttrice del Distretto Sanitario della Valdichiana ha avviato tutte le procedure del caso e spiega: «Delle nove persone coinvolte, tre hanno ricevuto una vaccinazione regolare, mentre sei no ma attualmente non sappiamo chi siano: saranno individuate dal test sierologico e riprogrammeremo immediatamente la vaccinazione». L'errore risale a mercoledì pomeriggio. «È importante chiarire - aggiunge - che si è trattato di un errore umano a fronte di migliaia di iniezioni e operazioni vaccinali che il personale compie ormai da mesi. Vorrei anche tranquillizzare le persone coinvolte perché non corrono nessun rischio, la soluzione che gli è stata iniettata è quella fisiologica che viene utilizzata per diluire il vaccino e non ha nessun effetto sulla salute». «È chiaro - ha concluso - che è inconveniente spiacevole, tra l'altro accaduto a professionisti esperti come i nostri. I numeri del nostro impegno vaccinale sono enormi e purtroppo possono capitare anche inciampi. Come azienda sanitaria ci scusiamo e metteremo ancora maggior impegno per garantire la sicurezza delle procedure e la salute dei cittadini». Tra coloro che hanno ricevuto soluzione fisiologica e non un vaccino, un utente di 31 anni ha scritto una lettera alla Asl, per raccontare la sua esperienza dicendosi «stupito per quanto mi è accaduto» e di aver «dapprima pensato ad uno scherzo di mia madre poi quando ho capito che era tutto vero potete immaginare come mi sono sentito, dovrò stare altri 15 giorni o più con l'ansia e il timore di non sapere cosa mi è stato inoculato, stando attento ad ogni sintomo visto che anche il medico del centro vaccinale mi ha consigliato di stare attento ad eventuali sintomi strani tipo febbre perché in quel caso sarei 'fortunato' poiché vorrebbe dire che ho ricevuto la siringa giusta». «Mia madre è un Oss» scrive ancora il 31enne e riferendosi ai vertici Asl sottolinea che «errore umano, parola troppo generica che vuol dire tutto e niente ma che nel vostro settore spesso lascia ferite indelebili nei pazienti se non talvolta può voler dire anche morte. Purtroppo nel vostro settore gli errori umani non devono e non possono accadere».

Perché i vaccini anti Covid sono finiti nell’occhio del ciclone. Federico Giuliani su Inside Over l'11 settembre 2021. Quando, oltre un anno e mezzo fa, il Covid-19 si stava diffondendo nei cinque continenti, nessuno avrebbe mai immaginato che il mondo sarebbe presto entrato in un tunnel apparentemente senza uscita. Quando, invece, i vari governi del mondo prendevano le prime, inedite misure per contenere il virus, pochi ipotizzavano che il nemico invisibile avrebbe avuto la forza di restare con noi per più di qualche mese. La gravità dei fatti di quei giorni drammatici è apparsa in tutta la sua interezza soltanto in un secondo momento. Quando i contagi e i decessi giornalieri riportati dai bollettini sanitari nazionali hanno iniziato ad aumentare a vista d’occhio; quando i reparti ospedalieri si sono riempiti fino a traboccare; quando è stato impedito a chiunque di uscire dalle rispettive abitazioni tranne per motivi di comprovata necessita; quando sono stati interrotti gli spostamenti non essenziali e i viaggi. A quel punto, l’umanità aveva compreso il dramma nel quale era appena sprofondata. Anche perché la comunità scientifica brancolava nel buio. Nessuno conosceva il Sars-CoV-2, né aveva familiarità con le sue strane caratteristiche. Quel che è peggio, non esistevano cure o vaccini. Già, i vaccini: la chimera che per mesi ha cullato i sogni dei telespettatori ipnotizzati dai programmi tv. Soltanto con i vaccini, ripetevano i virologi, l’umanità sarebbe tornata gradualmente alla quotidianità. Eppure, quando quei vaccini sono arrivati a tempo record, sono stati travolti da polemiche più o meno sterili.

Nell’occhio del ciclone. A memoria d’uomo, mai nessun vaccino nella storia ha dovuto fare i conti con le pesantissime critiche che hanno investito in pieno volto i vaccini anti Covid. Per quale motivo, potremmo chiederci, i vaccini contro il coronavirus sono passati dall’essere considerati “ciambelle di salvataggio” a prodotti dubbiosi e coperti da una patina così negativa? Una possibile risposta è offerta dal South China Morning Post. L’arrivo di molteplici inoculazioni altamente efficaci e sicure è stato accompagnato da avvertimenti ambigui. Poco importa se i vaccini sono arrivati letteralmente a tempo record, e sono considerati dagli esperti l’unica via d’uscita dalla pandemia. Questi punti di forza sono stati capovolti e usati contro gli stessi vaccini, quei vaccini avrebbero dovuto salvare vite umane. Certo, le autorità – tanto quelle sanitarie che quelle politiche – hanno poi contribuito ad alimentare un clima sfavorevole. In che modo? Innanzitutto sospendendo a più riprese il lancio dei vaccini per via di effetti collaterali estremamente rari; dopo di che, facendo passare il messaggio che i contagi stavano salendo anche nei Paesi altamente vaccinati come Regno Unito e Israele, ignorando che in questi Paesi i decessi e le ospedalizzazioni erano nel frattempo scese entrambe a livelli irrisori. Poi è stata la volta delle varianti, con vari studi a evidenziare come certi vaccini fossero meno efficaci contro alcune mutazioni del virus.

La realtà dei fatti. Al netto di paure, fake news, indiscrezioni e previsioni errate, i vaccini si sono rivelati efficaci e sicuri. “Il messaggio deve essere semplice: i vaccini funzionano per mantenere in vita le persone con Covid-19 e lo fanno meravigliosamente bene”, ha affermato al Scmp Siddharth Sridhar virologo clinico presso l’Università di Hong Kong (HKU). Detto altrimenti, il clima che si è creato attorno ai vaccini anti Covid è altamente sproporzionato rispetto ai rischi e ai limiti incarnati dagli stessi vaccini. La narrazione del “vaccino che fa il suo lavoro”, che previene l’insorgenza di malattie senza effetti collaterali, non attira l’attenzione del pubblico. Al contrario, la storia del “vaccino che crea problemi” risveglia l’attenzione delle masse, a quel punto desiderose di smascherare presunti complotti e squarciare ipotetici veli di ignoranza. Nel passato, senza una società interconnessa come quella attuale, e senza le agorà incastonate nei social network, le persone “comuni” (per intenderci: i non addetti ai lavori) avevano ben poca voce in capitolo per potersi esprimere in merito a tematiche complesse e fuori dalla loro portata. Oggi chiunque, almeno in linea teorica, può sentenziare su tutto, vaccini ed epidemie comprese. Questa è sicuramente una vittoria per la democrazia, ma anche un limite nel caso di emergenze come quella che stiamo attraversando.

Francesca Angeli per "il Giornale" il 13 settembre 2021. In aumento le nascite premature e i casi gravi di Covid tra le donne in gravidanza. L'ultimo drammatico episodio riguarda la morte di una giovane di appena 28 anni affetta da Covid e ricoverata nel reparto maternità riservato alle partorienti contagiate presso il Policlinico di Napoli. Dieci giorni dopo il parto si è aggravata ed è deceduta in terapia intensiva per problemi respiratori. Non era vaccinata. Eppure le società scientifiche del settore ripetono fin dall'inizio della campagna vaccinale che la profilassi anti Covid è sicura anche in gravidanza e durante l'allattamento sia per la mamma sia per il bambino. Già nel maggio scorso Sigo, Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia; Agui Associazione Ginecologi Universitari Italiani e Aogoi, Associazione ostetrici e Ginecologi Ospedalieri italiani, avevano lanciato il primo allarme, sollecitando il governo ad indicare le donne incinta target prioritario per le vaccinazioni. Gli esperti portano a testimonianza studi che evidenziano come il rischio di mortalità materna nelle donne in gravidanza affette da Covid19 sia 22 volte maggiore rispetto alle donne senza infezione. Si rischia di più anche di finire in terapia intensiva come dimostrano i dati: 70 le donne ricoverate in intensiva durante la prima ondata salite a 277 durante la seconda. Si evidenzia anche un maggiore rischio di gravi complicanze neonatali. Rischi reali mentre i dati confermano la sicurezza della vaccinazione nelle donne incinte. Si levano però anche voci contrastanti che minimizzano i rischi. All'inizio di agosto viene resto noto uno studio messo a punto da ricercatori delle Università di Modena e Reggio Emilia che evidenzia come le donne incinta siano protette dalle forme gravi di Covid e che in generale anche se contagiate manifestano sintomi lievi. Certamente nessuno sconsiglia il vaccino ma dando per scontato che non si rischia di aggravarsi è ovvio che se si hanno già dubbi si finisce per rifiutarlo. Dopo i ripetuti appelli delle società scientifiche del settore il ministero della Salute il 5 agosto emana una circolare per chiarire che la vaccinazione contro il Covid «non è controindicata in gravidanza» e che «l'allattamento non è una controindicazione». Evidentemente una mossa tardiva e poco incisiva tanto che il primo settembre scorso i ginecologi rinnovano l'appello al ministero della Salute affinché «sia promossa il più possibile la vaccinazione delle donne in gravidanza ed in allattamento oltreché dei bambini di età superiore ai 12 anni». Neonatologi, pediatri e ginecologi denunciano nuovamente «l'eccessiva diffusione di informazioni spesso non da fonti ufficiali e di fake news, che rischia di generare una percezione sbagliata del rischio e delle conseguenze per donne giovani e bambini». Si ribadisce che il Covid «può avere manifestazioni più gravi nelle donne in gravidanza» e che le gravidanze complicate dal coronavirus «esitano più spesso in un parto prematuro che può mettere seriamente a rischio la vita del piccolo e generare tutte le complicazioni tipiche della prematurità». Non è esclusa poi la trasmissione del virus dalla madre al feto mentre gli studi disponibili «dimostrano chiaramente come gli anticorpi prodotti nelle madri sottoposte a vaccinazione passino nel sangue fetale attraverso la placenta e poi nel latte materno proteggendo neonati e lattanti».

 

Due donne incinte su tre senza vaccino per paura. I ginecologi: fatelo subito. Alessandra Ziniti su La Repubblica l'11 settembre 2021. È allarme per i casi di mamme ricoverate in gravi condizioni. Raddoppiato il numero dei nati prematuri. "Questo bambino lo abbiamo salvato, pesava 2,6 chili ed era di 35 settimane e purtroppo crescerà senza la mamma. Ma qualche giorno fa ne abbiamo perso un altro: se nasci a 24 settimane e pesi un chilo è difficile sopravvivere. Che rabbia!". Dal suo reparto di Neonatologia e Terapia intensiva neonatale del Policlinico Federico II di Napoli, centro di riferimento per gravidanze a rischio Covid, quello che il professore Francesco Raimondi osserva è una "tempesta perfetta": "Da noi, al sud in particolare, non c'è una cultura vaccinale.

Margherita De Bac per il Corriere della Sera l'11 settembre 2021. Non sono state osservate «anomalie» fra le segnalazioni raccolte dal sistema di farmacovigilanza dell’agenzia del farmaco Aifa sugli eventi avversi dei 4 vaccini in uso in Italia. Su oltre 75,5 milioni di dosi somministrate le sospette reazioni sfavorevoli sono state 91.360. Il 67% riguardano Pfizer/BioNTech, l’8% Moderna, il 24% AstraZeneca e l’1% Johnson e Johnson. Le percentuali sono in proporzione al numero di fiale di ciascuna azienda utilizzate nei nostri centri. Il rapporto pubblicato venerdì, l’ottavo, raccoglie i dati ricevuti dagli uffici di Aifa fino al 26 agosto. Le sospette reazioni non gravi sono l’86%, quelle gravi il 13,8%, quindi una netta minoranza. È importante sottolineare che si tratta di sospetti. Il legame tra l’inoculo e l’effetto clinico deve essere confermato da un’indagine approfondita che viene effettuata sui casi più severi e ricorrenti. In queste circostanze si analizzano le cartelle cliniche dei pazienti per arrivare a stabilire se a scatenare il problema è stato il vaccino, procedura seguita per tutti i farmaci. Gli eventi più comuni, non gravi, si manifestano in genere entro le 48 ore dall’iniezione: dolore al braccio in prossimità della puntura, febbre, senso di malessere, risentimento a livello delle articolazioni. I sintomi scompaiono naturalmente in breve tempo e «non destano preoccupazioni». Per eventi gravi invece si intendono sintomi che si prolungano, casi cui segue il ricovero o patologie per le quali non si riesce a stabilire altra origine se non il nesso temporale con la vaccinazione. «I dati italiani sono in linea con quelli dei paesi Ue raccolti da Ema. Appena emerge un fenomeno particolare, il sistema di farmacovigilanza si attiva immediatamente», commenta Patrizia Popoli, comitato tecnico scientifico di Aifa. Così è successo quando tra marzo e aprile cominciarono le segnalazioni di trombosi molto rare successive alla vaccinazione con AstraZeneca, soprattutto in donne giovani. Fu deciso di limitare la somministrazione di quelle dosi a persone con più di 60 anni e da allora il fenomeno è sembrato tramontare. Il rapporto evidenzia che «l’andamento delle segnalazioni e i relativi tassi sono sostanzialmente stabili nel tempo. La maggior parte degli eventi avversi sono segnalati come non gravi e si risolvono completamente. Il restante 13,8% hanno un esito in risoluzione completa o miglioramento nella maggior parte dei casi». Dunque nessun decesso. Il rapporto dedica un capitolo alle vaccinazioni eterodosse, con dosi di due composti diversi. Il tasso di segnalazione è di 41 casi ogni 100mila dosi «la maggior parte non grave e con esiti in risoluzione completa o miglioramento». Il tasso di segnalazione, ossia il rapporto tra somministrazione e eventi, è 153 su 100mila per la prima dose e 78 su 100 mila per la seconda. I numeri sembrano confermare la sostanziale sicurezza dei vaccini anti Covid e, dice Popoli, «la qualità del monitoraggio a livello internazionale. Tra le agenzie nazionali il confronto è strettissimo per intercettare sul nascere eventuali anomalie».

Su 100mila dosi, 13 le reazioni gravi al vaccino. L'annuncio di Pfizer: "Presto il siero under 12". Redazione l'11 Settembre 2021 su Il Giornale. I dati dell'Aifa sulle inoculazioni: no all'antivirale "pericoloso" Parvulan. Tredici reazioni avverse gravi ogni 100mila dosi di vaccino. Questi i dati emersi dall'ottavo rapporto di farmacovigilanza dell'Aifa sui vaccini anti Covid tra il 27 dicembre 2020 e il 26 agosto 2021 per i quattro vaccini in uso nella campagna. Nel periodo considerato, spiega l'Aifa, sono pervenute 91.360 segnalazioni su un totale di oltre 76,5 milioni di dosi somministrate (tasso di segnalazione di 119 ogni 100mila dosi), di cui l'86,1% riferite a eventi non gravi, come dolore in sede di iniezione, febbre, astenia/stanchezza, dolori muscolari. Le segnalazioni gravi corrispondono al 13,8%, con un tasso di 13 eventi gravi ogni 100mila dosi. Indipendentemente dal vaccino, dalla dose e dalla tipologia di evento, la reazione si è verificata nella maggior parte dei casi (80% circa) nella stessa giornata della vaccinazione o il giorno successivo e solo più raramente oltre le 48 ore successive. Buoni anche i dati che riguardano i giovani. Nella fascia di età 12-19 anni, dal V-Day del 27 dicembre 2020 al 26 agosto scorso, alla Rete nazionale di farmacovigilanza sono pervenute 838 segnalazioni di sospetti eventi avversi ai vaccini su un totale di 3,7 milioni di dosi, con un tasso di segnalazione pari a 22 ogni 100mila dosi somministrate. «La distribuzione per tipologia degli eventi avversi non è sostanzialmente diversa da quella osservata per tutte le altre classi di età» sottolinea l'ente regolatorio nazionale. Ed è in arrivo anche il siero per la fascia 5-11 anni. «Nelle prossime settimane presenteremo globalmente alle autorità i risultati dei nostri studi e richiederemo l'autorizzazione del vaccino per questa fascia d'età anche in Europa» spiega la co-fondatrice della società tedesca BioNTech, Ozlem Tureci. «Stiamo già preparando la produzione», ha aggiunto Tureci, «il vaccino è lo stesso, ma con un dosaggio meno alto . Già da metà ottobre si potrebbero vaccinare in Germania i primi bambini sotto i 12 anni». Se i dati sulla campagna vaccinale di massa sono rincuoranti, Aifa lancia invece l'allarme sull'utilizzo di un farmaco antivirale, inadatto a proteggere dal virus. Si tratta del Parvulan, contenente Corynebacterium parvum e privo di autorizzazione all'immissione in commercio in Italia, legalmente registrato e commercializzato in Brasile per combattere il Covid. Il farmaco, nato contro le infezioni dermatologiche e coadiuvante nel trattamento dell'acne ed efficace contro l'herpes, è stato prescritto come terapia per la prevenzione del Covid, in alternativa ai vaccini autorizzati. E si è rivelato pericoloso per un motivo: ha indotto chi lo ha assunto a sentirsi protetto dal Covid e a non vaccinarsi. «Al momento non esiste nessun farmaco che sostituisce il vaccino - ammonisce il farmacologo Silvio Garattini, fondatore dell'istituto Mario Negri - salvo gli anticorpi monoclonali che però hanno un'azione limitata nel tempo, a differenza della vaccinazione che dà una copertura a lungo termine».

Cristina Marrone per corriere.it il 21 agosto 2021. Francesca Marcon, 38 anni, pallavolista veneta che gioca a Bergamo ha annunciato sui social di avere la pericardite (infiammazione della membrana che protegge il cuore). Secondo l’atleta sarebbe un effetto collaterale del vaccino contro Covid-19 per questo la schiacciatrice si unirà al gruppo della sua squadra solo la prossima settimana. Ma che cosa sappiamo sui casi di pericardite e miocardite collegati ai vaccini a mRNA messaggero? Casi rari di miocardite (infiammazione del tessuto muscolare cardiaco) e pericardite (infiammazione della membrana che ricopre il cuore) possono verificarsi dopo l’impiego di vaccini a m-RNA contro il Covid, Pfizer e Moderna, tanto che Ema, l’Agenzia Europea del Farmaco a metà luglio ha raccomandato di inserire le due condizioni cardiache tra i nuovi effetti collaterali del vaccino. Il Comitato per la sicurezza di Ema è arrivato a questa decisione sulla base di dati europei: 164 casi di miocardite e 157 di pericardite su 200 milioni di dosi somministrate, 321 in tutto. Secondo quanto è stato riportato i casi di infiammazione si sono registrati entro due settimane dalla vaccinazione, più di frequente dopo la seconda dose, in particolare nei giovani maschi. I benefici del vaccino superano i rischi, tanto che sia FDA sia EMA hanno raccomandato e continuano a raccomandare il vaccino agli over 12. Secondo un’analisi dei Cdc, un milione di dosi di vaccino Pfizer possono, nella fascia 12-29 anni, evitare 23.500 casi di Covid, circa 1.500 ricoveri, 211 ingressi in terapia intensiva e 12 decessi. Il tutto a fronte di un rischio di 43-52 casi di miocardite. «Sappiamo che possono esserci rari casi di miocardite e pericardite dopo il vaccino mRNA, più frequenti tra i maschi fra i 20-30 anni. È un evento atteso, ma i benefici del vaccino superano enormemente i rischi e lo dimostra la tabella pubblicata dai Cdc (vedi sotto, ndr) commenta Sergio Abrignani, immunologo dell’Università degli studi di Milano e membro del Cts. «Questi rarissimi eventi non devono spingerci a rifiutare un vaccino perché i rischi di complicanze da Covid sono davvero di gran lunga maggiori. Non si sono mai verificate forme severe di miocarditi o pericarditi, i pochi casi si sono risolti in pochi giorni di terapia cortisonica e per fortuna anche la pallavolista tra qualche giorno potrà riunirsi con la sua squadra. In una donna oltre i 30 anni si verificano un caso su un milione di questo tipo di complicanze». Uno studio che ha raccolto i dati su 2 milioni di americani vaccinati pubblicato su Jama lo scorso 4 agosto ha evidenziato che ogni milione di vaccinati circa 60 sviluppano problemi cardiaci temporanei. Le complicanze sono state tutte di breve durata, i pazienti che sono stati ricoverati sono stati dimessi entro un paio di giorni e nessuno è morto. Lo studio ha registrato 20 casi di miocardite (un caso ogni 100 mila) e 37 di pericardite (1,8 casi ogni 100 mila). Dalla ricerca emerge un’incidenza complessiva di 10 casi per milione di vaccinati, superiore alla stima rilasciata dai Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie (CDC) che parlava di 4.8 casi per milione sulla base dei dati riportati del Vaccine Adverse Events Reporting System. La miocardite di è sviluppata in media 3,5 giorni dopo la vaccinazione, principalmente dopo la seconda dose, in persone con un’età media di 36 anni, nei tre quarti dei casi uomini. La pericardite ha invece colpito pazienti più anziani (età media 59 anni) e anche in questo caso sono stati più colpiti gli uomini. Un altro piccolo studio su Jama ha analizzato i casi si 15 bambini ricoverati in ospedale con miocardite post vaccino. Tutti hanno manifestato dolore toracico, due terzi febbre. La durata media del ricovero è stata due giorni ed entro 13 giorni dalla dimissione 11 dei 15 pazienti avevano completamente superato i sintomi e gli altri erano in via di guarigione. Nell’ultimo report di Aifa sugli avventi avversi post vaccino sono segnalati tra gli eventi avversi molto rari la miocardite e la pericardite acuta (3 casi ogni milione di dosi somministrate) tra i 12 e i 17 anni. Un altro studio non ancora pubblicato su una rivista scientifica e non sottoposto a revisione paritaria suggerisce che il rischio di sviluppare una miocardite è sei volte maggiore negli adolescenti maschi che hanno contratto Covid-19 rispetto alla probabilità che il raro effetto collaterale emerga dopo aver ricevuto un vaccino Pfizer. Secondo la ricerca l’incidenza di miocardite tra i maschi affetti da Covid di età compresa tra i 12 e i 17 anni è di 876 casi su un milione mentre nelle ragazze della stessa età si parla di 213 casi per milione. La miocardite è un’infiammazione acuta delle cellule del miocardio e si manifesta con palpitazioni, aumento della frequenza cardiaca, senso di oppressione al torace, talvolta febbre e tosse. In caso di pericardite il cuore non lavora bene, non riesce ad espandersi a dovere e possono comparire dolore, alterazione del ritmo cardiaco, aumento dei battiti, malessere generale. Si tratta di condizioni che possono che spesso hanno origine virale tanto che in epoca pre Covid la miocardite era spesso una conseguenza di un’infezione influenzale. Finora i casi di miocardite o pericardite post vaccino emersi tra i giovani sono stati trattati con farmaci antinfiammatori FANS o cortisonici. Non è chiaro perché emergano queste condizioni cardiache a seguito del vaccino. È possibile che si tratti di un eccesso di risposta infiammatoria in seguito allo stimolo vaccinale.

Ecco quante sono (davvero) le reazioni avverse ai vaccini. Alessandro Ferro il 7 Agosto 2021 su Il Giornale. Quasi 85mila segnalazioni in 7 mesi di campagna vaccinale arrivate all'Aifa su sospette reazioni avverse ai vaccini anti-Covid: ecco i numeri e la sintomatologia. 16 eventi gravi ogni 100mila dosi somministrate: è quanto contenuto sul settimo Rapporto di Farmacosorveglianza sui vaccini anti Covid dall'Aifa (Agenzia Italiana del Farmaco).

Quante reazioni: ecco i numeri. I dati analizzati hanno preso in esame tutte le segnalazioni di sospetta reazione avversa registrate nella Rete Nazionale di Farmacovigilanza tra il 27 dicembre 2020 e il 26 luglio 2021 per i quattro vaccini in uso nella campagna vaccinale in corso, quindi Pfizer, Moderna, AstraZeneca e Johnson&Johnson. Nell'arco dei 7 mesi sono arrivate 84.322 segnalazioni su un totale di 65.926.591 dosi: con un rapido calcolo matematico, le segnalazioni di reazioni avverse sono state mediamente 128 ogni 100mila dosi di cui l’87,1% riferite a eventi non gravi come dolore in sede di iniezione, febbre, astenia/stanchezza e dolori muscolari. Le segnalazioni gravi, invece, corrispondono al 12,8% del totale con una media di 16 eventi gravi ogni 100mila dosi somministrate. Nei precedenti Rapporti, l'Aifa ha indicato che, indipendentemente dalla tipologia di vaccino e dalla dose (prima o seconda), la reazione si è verificata nella maggior parte dei casi (80% circa) nella stessa giornata della vaccinazione o il giorno successivo e solo più raramente oltre le 48 ore successive.

I vaccini con più effetti collaterali. La maggior parte delle segnalazioni sono relative al vaccino Comirnaty (nome tecnico di Pfizer) con il 68%, finora il più utilizzato nella campagna vaccinale con il 71% delle dosi somministrate; al secondo posto c'è il tanto discusso Vaxzevria (AstraZeneca), ormai fermo al palo, con il 25% delle segnalazioni e 17% delle dosi somministrate; segue il vaccino Spikevax (quello di Moderna) con il 6% delle segnalazioni e 10% delle dosi somministrare ed infine il vaccino anti-Covid di Janssen (J&J) con l'1% delle segnalazioni e soltanto il 2% delle dosi somministrate.

Quali sono gli eventi avversi. Per tutti i vaccini, gli eventi avversi più segnalati sono stati febbre, stanchezza, cefalea, dolori muscolari/articolari, dolore in sede di iniezione, brividi e nausea. "Gli eventi avversi gravi correlabili alla vaccinazione più spesso segnalati configurano un quadro di sindrome simil-influenzale con sintomatologia intensa, più frequente dopo la seconda dose dei vaccini a mRNA e dopo la prima dose di Vaxzevria", recita il Rapporto dell'Aifa: quindi, per un discorso puramente statistico, le maggiori problematiche si sono verificate dopo la seconda dose di Pfizer e Moderna e dopo la prima dose di AstraZeneca.

Cosa è successo con la vaccinazione eterologa. Dopo che AstraZeneca è stato definitivamente accantonato, chi ne aveva già ricevuto la prima dose si è visto somministrato la seconda di un vaccino ad Rna messaggero: in relazione alle cosiddette vaccinazioni eterologhe a persone al di sotto di 60 anni sono pervenute 114 segnalazioni su un totale di 396.952 somministrazioni (la seconda dose ha riguardato nell’82,6% dei casi Pfizer e nel 17,4% Moderna), con un tasso di segnalazione di 29 ogni 100mila dosi somministrate. Infine, nella fascia d'età compresa fra 12 e 19 anni, fino al 26 luglio scorso sono arrivate 530 segnalazioni di sospetto evento avverso su un totale di quasi 2 milioni di dosi somministrate (1.986.221) con un tasso di segnalazione di 27 eventi avversi ogni 100mila. "La distribuzione per tipologia degli eventi avversi non è sostanzialmente diversa da quella osservata per tutte le altre classi di età", conclude l'Aifa. 

Alessandro Ferro. Catanese classe '82, vivo tra Catania e Roma dove esercito la mia professione di giornalista dal 2012. Tifoso del Milan dalla nascita, la mia più grande passione è la meteorologia. Rimarranno indimenticabili gli anni in cui fui autore televisivo dell’unico canale italiano mai dedicato, Skymeteo24. Scrivo per ilGiornale.it dal mese di novembre del 2019 occupandomi soprattutto di cronaca, economia e numerosi approfondimenti riguardanti il Covid (purtroppo). Amo fare sport, organizzare eventi e stare in compagnia delle persone più care. Avviso ai naviganti: l’arancino è sempre maschio, diffidate da chi sostiene il contrario. Alessandro Ferro

Margherita De Bac per il "Corriere della Sera" il 5 agosto 2021. Mal di testa, dolori muscolari, febbriciattola, brividi. I più comuni effetti lievi dei quattro vaccini anti Covid utilizzati in Italia. Il 12,8% delle segnalazioni raccolte dal sistema di farmacovigilanza di Aifa (Agenzia italiana del farmaco) riguarda invece reazioni gravi, 16 su 100 mila dosi. Per gravi si intendono un insieme di sintomi paragonabili a quelli dell'influenza stagionale, anche intensi, più frequenti dopo la seconda dose dei vaccini a mRna (Rna messaggero) e dopo la prima dose di quello targato AstraZeneca. Il bilancio è contenuto nel settimo rapporto pubblicato ieri nel sito dell'agenzia. Rientra in un lavoro di sorveglianza effettuato a livello europeo, in stretta collaborazione con i tecnici degli altri Paesi. Se si nota qualche discostamento sui tassi nazionali di reazioni avverse, il fenomeno è oggetto di un'indagine approfondita. Finora i dati comunitari sono in linea fra loro. Compreso quel 12,8% dell'Italia che potrebbe sembrare alto ma che invece «è un tasso assolutamente non preoccupante», soprattutto se paragonato al rischio di contrarre l'infezione virale che può dare malattia grave o anche la morte. Tra il 27 dicembre e il 26 luglio Aifa ha raccolto 84.322 segnalazioni su un totale di quasi 66 milioni di dosi, con un tasso pari a 128 ogni 100 mila dosi. L'87,1% delle schede inviate online da medici, farmacisti o anche normali cittadini, si riferisce a eventi non gravi: dolore sul braccio laddove è stata fatta l'iniezione, febbre, astenia accompagnata da stanchezza, muscoli indolenziti, come dopo una grande fatica sportiva o durante la classica influenza, brividi, nausea. Le reazioni, gravi e lievi, si sono verificate 8 volte su 10 nella stessa giornata della vaccinazione o il giorno successivo. Più raramente a due giorni dalla puntura. «La maggior parte riguardano il vaccino di Pfizer-BioNTech, 68%, il più utilizzato nella campagna vaccinale italiana (7 dosi su 10) e solo «in minor misura» il preparato di AstraZeneca (25%), di Moderna (6%) e Janssen-Johnson&Johnson (1%) . Per la prima volta emergono indicazioni sui giovani: «Nella fascia 12-19 anni la distribuzione per tipologia di eventi avversi non è sostanzialmente diversa da quella osservata negli adulti». Sono una novità anche le prime rilevazioni sulle vaccinazioni eterologhe (due dosi di aziende diverse) negli ultra sessantenni: 114 invii su quasi 400 mila somministrazioni. Va spiegata una chiave di lettura di questo rapporto. Non è automatico che ad una informazione comunicata attraverso la scheda corrisponda una reazione avversa verificata con approfondimenti. E infatti si parla di «sospetti». Intanto in Italia ieri sono stati registrati 6.596 nuovi contagi e 21 decessi, secondo l'ultimo bollettino del ministero della Salute. Il tasso di positività, con 215.748 tamponi, sale al 3,05% dal 2,3% del giorno prima. Sono 260 i ricoverati in terapia intensiva (+2).

La polemica contro le fake news. Altro che effetti collaterali dei vaccini, quelli dei farmaci generici fanno molta più paura. Fulvio Abbate su il Riformista il 4 Agosto 2021. Bugiardino aiutami tu! Avete presente cos’è un “bugiardino”? Parliamo del foglietto, piegato meglio di cartina geografica, anzi, di un origami, che dimora dentro la scatola, la confezione, d’ogni farmaco medicinale. Ripiegato, appunto, in modo tale che ogni qualvolta si provi a rimetterlo ordinatamente dentro l’involucro di cartoncino delle compresse o del flacone, è subito fallimento, impossibilità di completare al meglio l’operazione, si è così costretti a tirarlo fuori e ricominciare da capo la sistemazione, fino a comprendere che non verrai mai a capo dell’ordine iniziale. Per farla breve, sarebbe opportuno buttarli da subito, quei foglietti, così da non incorrere nel fastidio attitudinale che mina l’autostima del singolo, poiché se è vero che, sia pure informalmente, sono detti “bugiardini”, ciò è segno di una lettura sempre inessenziale, fallace, un carico di informazioni che porta con sé, nonostante la riserva nominale e soprattutto significante, ogni genere di allarmismo in chi malauguratamente, o per puntigliosità parascientifica, dovesse, volesse, pretendesse prenderne visione attraverso l’attenta lettura. Il bugiardino, come totem liberatorio da opporre a ogni complottismo, mi è venuto in mente in questi giorni pensando agli argomenti e alle certezze stringenti e inappellabili dei no-vax e area contigua, come al tempo del terrorismo armato, pronti ad affermare che dietro ogni vaccino e conseguente green pass si imporrebbe in cattiva sostanza tale proposito: “Usano l’emergenza per controllarci”, pensiero condiviso dalla risorta componente nazi-maoista che completa il quadro di piazza. In breve, un progetto di lento sterminio di massa, una sorta di “soluzione finale”, sia pure a scoppio ritardato, fuoco lento, voluta dai “poteri forti” neppure tanto occulti. Non è casuale che, sia pure in senso di antifrasi iconica, molti manifestanti innalzino come segno distintivo la stella gialla imposta un tempo dai criminali nazisti agli ebrei nei ghetti e nei lager. In verità, possedendo un briciolo di senso del limite, basterebbe accostarsi a leggere un bugiardino per avere, se non direttamente terrore, comunque una forma di tragico sospetto prossimo all’orrore per la medicina stessa, e, per estensione, per le scienze tutte. Giusto per citare The Blues Brothers, come John Belushi quando, beccato in un tunnel fognario dalla donna che ha abbandonato, manca solo che citi a sua discolpa l’invasione delle cavallette, così tra gli effetti indesiderati. Leggiamo allora insieme, uno di questi bugiardini. Siccome gli altri, complottisti e no-vax, ritengono di avere in argomenti inoppugnabili, da parte nostra confessiamo di non avere l’obbligo di sentirci esperti di medicina e farmacologia, abbandoniamoci candidamente alla lettura da inermi cittadini, utenti. Già che ci sono, tiro fuori il bugiardino da uno dei miei farmaci di abituale uso, uno di quelli che più utilizzo, e procedo a leggerne nell’ordine gli effetti indesiderati in cui potrei incorrere. Dunque: disturbi della vista, vomito, cattiva digestione, infiammazione dello stomaco, dolore nella parte superiore dell’addome, affaticamento, astenia, malessere e brividi, dolori diffusi, influenza, alterazione della sensibilità, perdita di coscienza anche accompagnata da mancanza di reazione agli stimoli esterni, stupore, sonnolenza, alterazioni dell’attenzione, mal di testa associato ad un senso di tensione dei muscoli del capo e della nuca, cefalea tensiva, agitazione, irrequietezza, difficoltà respiratoria, sudorazione, abbassamento della pressione del sangue, alterazione dei battiti del cuore, secchezza della bocca, diarrea, alterazioni del sangue, confusione, comparsa improvvisa di lesioni della pelle, ad esempio cambiamenti di colore a macchie diffuse, vomito contenente sangue, feci nere associati a sanguinamenti dello stomaco, gravi reazioni cutanee come arrossamento, formazione di bolle ed esfoliazione, attacco cardiaco, infarto del miocardio o ictus, gonfiore, edema, ridotta funzionalità (insufficienza) del cuore, tremore a riposo… Continuo? Al momento sono ancora vivo. Riuscirò però a resistere ai bugiardini informali dei no-vax?

P. S. Il bugiardino in questione appartiene al farmaco che abitualmente uso in quanto emicranico. Adesso però, in attesa della morte sicura, comincia il compito più difficile: ripiegare il foglietto così come l’avevo trovato. Addio, amici, vi ho voluto bene.

Fulvio Abbate. Fulvio Abbate è nato nel 1956 e vive a Roma. Scrittore, tra i suoi romanzi “Zero maggio a Palermo” (1990), “Oggi è un secolo” (1992), “Dopo l’estate” (1995), “La peste bis” (1997), “Teledurruti” (2002), “Quando è la rivoluzione” (2008), “Intanto anche dicembre è passato” (2013), "La peste nuova" (2020). E ancora, tra l'altro, ha pubblicato, “Il ministro anarchico” (2004), “Sul conformismo di sinistra” (2005), “Pasolini raccontato a tutti” (2014), “Roma vista controvento” (2015), “LOve. Discorso generale sull'amore” (2018), "I promessi sposini" (2019). Nel 2013 ha ricevuto il Premio della satira politica di Forte dei Marmi. Teledurruti è il suo canale su YouTube.

"I vaccini non bastano". Variante Delta, drammatico bollettino Oms. Voci dall'alto: nuovo lockdown in vista. AstraZeneca? Si cambia ancora. La variante Delta manda in confusione anche il generale Figliuolo. Libero Quotidiano il 17 luglio 2021. "Il nostro vaccino non è di certo perfetto, come non lo è nessuno, ma viene utilizzato in 172 Paesi con ottimi risultati": a parlare è Sarah Gilbert, 59 anni, professoressa e massima responsabile della ricerca e della creazione del vaccino di Oxford-AstraZeneca. La "madre" del farmaco che ha fatto tanto discutere. In merito alla rinuncia da parte dell'Europa, l'esperta - in un'intervista a Repubblica - ha dichiarato: "Se l’Europa non vuole utilizzarlo e ne ha altri a disposizione, non mi sembra un gran problema. Tanti altri Paesi nel mondo ne hanno bisogno e il vaccino di Oxford per loro è più facile da conservare (in un frigo) e costa anche di meno". La Gilbert, poi, ha spiegato di non aver prestato molta attenzione alle numerose critiche che sono state fatte al suo vaccino nel corso del tempo: "Per quanto riguarda me e il nostro team, abbiamo pensato soltanto a lavorare e continuare con la ricerca, non abbiamo molto tempo per pensare a cosa dicono gli altri. Quello che come Oxford abbiamo sempre cercato di fare è spiegare l'utilità di questo vaccino mediante la scienza, mentre a volte politici e giornalisti hanno riportato dati e opinioni in maniera superficiale". Alla domanda più delicata, quella relativa ai casi di trombosi, seppur rari, collegati al farmaco, la professoressa ha risposto: "Anche Pfizer ha avuto i suoi effetti collaterali, come i rari casi di miocardite dopo la seconda dose. Per quanto riguarda il nostro vaccino, si tratta di un evento rarissimo nella prima dose e ancora di meno nella seconda". La ricercatrice, infine, ha parlato anche di un aspetto della sua vita privata. Ha rivelato che suo marito ha lasciato il lavoro per accudire i loro tre gemelli: "I lavori accademici e scientifici purtroppo spesso non sono ben pagati e con tre figli tutti insieme non potevamo permetterci una tata. Allora lui, che allora guadagnava meno di me, ha deciso di lasciare il suo lavoro per qualche tempo. Ora tutti e tre studiano biochimica e hanno partecipato da volontari ai primi test del vaccino, quando era in fase di sperimentazione. Una soddisfazione, da scienziata e da mamma".

AstraZeneca e J&J, stop alle consegne: l’Italia va avanti con due soli vaccini. Michele Bocci su La Repubblica il 12 luglio 2021. Già oggi molte Regioni non li usano quasi più. Niente arrivi almeno fino a metà agosto. L’Italia va avanti con due vaccini. Sono state sospese le consegne alle Regioni di AstraZeneca e Johnson&Johnson almeno fino a metà agosto. Non si tratta di un problema legato alla disponibilità delle dosi ma al fatto che non vengono utilizzate.

LA POLEMICA. Noi, i dannati degli Open Day col vaccino AstraZeneca. Carlo Tecce su L'Espresso/La Repubblica il 30 giugno 2021. Dopo i quasi divieti, i pareri dell’Aifa, l’eterologa di Draghi, la Regione Lazio rimette la palla agli under 60: volete farvi il richiamo con Az o aspettate un mese per il mix? Dilemma inaccettabile: in un Paese serio, le autorità sanitarie decidono cosa è meglio. Anch’io mi sono affidato alla scienza. E credevo che dopo le vicissitudini di Galileo Galilei non fosse più un problema. Però mi ritrovo nel girone dei dannati – o degli sciagurati o degli avventati? – degli Open Day di Astrazeneca. Il pomeriggio del 21 maggio mi sono iscritto all’Open Day della Regione Lazio per ricevere la prima dose di Astrazeneca. Allora era consigliato agli over 60 però non sconsigliato agli under 60. L’ho fatto seguendo il principio: prima è meglio, per gli altri e per me. Come decine di migliaia di miei coetanei e come decine di miei amici avvisati con incontenibile euforia, ho scaricato l’applicazione indicata dalla Regione Lazio che si chiama “U First”, di proprietà del giovane Paolo Barletta, rampollo di una famiglia di costruttori romani, noto per essere socio di Chiara Ferragni. Il giorno dopo, sabato 22 maggio, in orario di coprifuoco, mi hanno vaccinato a Roma. Nella Regione Lazio vige l’autodeterminazione vaccinale. Un’altra frontiera superata dalla democrazia diretta che poi genera la confusione indiretta. I vaccinati di marzo o aprile o anche di maggio e persino di giugno hanno avuto la facoltà di scegliersi la marca del vaccino scrutando le offerte, esaminando gli ingredienti e meditando sugli effetti, come agli scaffali del supermercato o al tavolo del ristorante. Agli over 60 era prescritto Astrazeneca, ma è stato sistematicamente rifiutato. A Roma si narrano leggende di over 60 che hanno battuto intere province per accaparrarsi Moderna e Pfizer. Così la Regione, per smaltire le scorte in eccesso, ha proposto Az agli under 60 con una sorta di liberatoria di coscienza: stanno qua, vedete se vi conviene. Nessuno vi obbliga! Dopo la tragedia di Camilla, la 18enne di Genova morta dopo la prima dose di Astrazeneca, le autorità sanitarie italiane si sono riunite per decidere le restrizioni in risposta a un evento drammatico e però prevedibile secondo le statistiche provenienti dalla Gran Bretagna. A differenza della prima volta, a inizio giugno, l’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) ha bloccato Astrazeneca per gli under 60 anche per il richiamo, proprio mentre migliaia di under 60 - insegnanti e militari sempre under 60 - stavano completando il ciclo vaccinale con lo stesso siero anglosvedese. Per far sorbire il miscuglio di vaccini, esoticamente definito eterologa, tipo Astrazeneca più Moderna o Astrazeneca più Pfizer, il governo ha recuperato studi svolti in Spagna o in Gran Bretagna mesi prima e per tutti quei mesi beatamente ignorati. Per essere ancora più convincenti, anche il presidente Mario Draghi, come la cancelliera tedesca Angela Merkel, ha aderito all’eterologa nonostante da una dozzina di anni non sia più fra la categoria degli under 60. L’Aifa europea – cioè l’Ema – invece non ha cambiato la prescrizione per Astrazeneca. Poi all’improvviso il governo si è accorto che il dieci per cento degli under 60 rifiutava l’eterologa e il divieto si è trasformato nella solita porta quasi aperta o quasi chiusa di molte regole italiane. E dunque il premier Draghi, anche abbastanza piccato, ha spiegato che gli under 60 che non accettano l’eterologa, che resistono ai suggerimenti dei medici, insomma che se la sentono, possono fare il richiamo con Astrazeneca. In questa ipotesi, remota, si è inserita la Regione Lazio, che ha sempre il magazzino strabordante di Astrazeneca. L’assessore Alessio D’Amato, per arginare l’avanzata della variante Delta, ha bandito l’anticipo dei richiami per Pfizer da 35 a 21 giorni, di Moderna da 35 a 28 giorni e di Astrazeneca da 76 a 55 giorni. A noi dannati degli Open Day è stato girato il dilemma: preferisci fare il richiamo con Astrazeneca tra un paio di settimane o con Pfizer tra un mese? Io preferisco che siano le autorità sanitarie a dirmi cosa fare. E la Regione Lazio la smettesse di interpretare le regole (lo ammettiamo, blande) per vincere il campionato italiano delle siringhe esauste. Curiosità. Siccome i vaccinati degli Open Day non esistono per il registro delle prenotazioni delle Regione Lazio, finora sono gli unici che non possono anticipare o posticipare neanche di un giorno la data del richiamo. Però sempre noi, dannati degli Open Day, possiamo entrare sul portale della Regione Lazio con la nostra tessera sanitaria e il nostro codice fiscale e fissare l’appuntamento per una prima dose. Al momento, è disponibile soltanto Johnson & Johnson. A questo punto, che dite, mi candido per l’esperimento di un nuovo mix?

LA RIVINCITA DI ASTRAZENECA PARTE DALLA VARIANTE INDIANA. Luca La Mantia su Il Quotidiano del Sud il 16 giugno 2021. Mentre si riaccende il caso del vaccino AstraZeneca, la cui somministrazione in Italia è stata limitata agli over 60, la Public heath England (Phe) pubblica dati, provenienti dal “mondo reale”, che sembrano confermare l’efficacia del siero anglo-svedese nei confronti della temibile variante indiana, responsabile dell’improvviso rialzo dei contagi nel Regno Unito e, quindi, del rinvio di un mese delle riaperture generali nel Paese, originariamente previste per il 21 giugno. A diffondere i risultati dell’osservazione è stata la stessa AstraZeneca. Secondo Phe il ciclo completo di immunizzazione (due dosi) effettuato con il siero sviluppato a Oxford ha evitato, nel 92% dei casi, il ricovero ospedaliero provocato dalla variante delta (secondo la nuova denominazione), ma soprattutto (al momento) ha scongiurato il decesso, riconducibile sempre alla mutazione, di tutte le persone vaccinate. Per quanto riguarda la variante Alpha (cioè quella inglese), la degenza è stata evitata nell’86% dei casi e non si sono registrate vittime fra le persone immunizzate. L’efficacia cala, prosegue la nota, nel caso delle forme sintomatiche di lieve entità. In sostanza solo il 74% dei positivi alla variante inglese non ha avuto sintomi, mentre nel caso di quella indiana il dato scende al 64%. «La maggiore efficacia contro le malattie gravi e il ricovero – si legge ancora – è supportata da dati recenti che mostrano una forte risposta delle cellule T al vaccino Covid-19 AstraZeneca, che dovrebbe essere correlata a una protezione elevata e duratura». Vaxzevria, ha spiegato Mene Pangalos, vicepresidente esecutivo di BioPharmaceuticals R&d (sempre AstraZeneca), «fornisce un alto livello di preoccupazione contro la variante Delta, che è oggetto di forte preoccupazione vista la sua elevata capacità di trasmissione. I dati dimostrano che questo vaccino continuerà ad avere un elevato impatto in tutto il mondo, anche perché rappresenta la stragrande maggioranza delle forniture all’India e all’interno del progetto Covax». L’osservazione ha coinvolto 14.019 casi della variante Delta – 166 dei quali sono stati ricoverati in ospedale – tra il 12 aprile e il 4 giugno, prestando particolare attenzione alle degenze in Inghilterra. La variante indiana è frutto di due mutazioni. La prima, identificata come L452r, corrisponde ad una modifica individuata anche nella variante californiana che interessa la proteina spike e potrebbe aumentare la contagiosità del coronavirus. La seconda (E484q) potrebbe invece incidere sulla capacità di eludere la risposta immunitaria: quindi, potrebbe portare il coronavirus ad essere più resistente agli anticorpi sviluppati dopo un’infezione o di aggirare, almeno parzialmente, l’efficacia del vaccino. Ma sul punto, al momento, ci sono pochi dati scientifici.

Flavia Amabile per "la Stampa" il 22 giugno 2021. Avviate le prime procedure da parte delle aziende sanitarie di varie Regioni per la sospensione degli operatori sanitari non vaccinati per la Covid-19. Saranno, infatti, sospesi i medici che scelgono di non vaccinarsi. Lo ha sottolineato la Federazione degli ordini dei medici (Fnomceo) in una comunicazione inviata ai presidenti degli ordini provinciali riportando la risposta ufficiale del ministero della Salute a una loro richiesta di chiarimento sul decreto di aprile che ha introdotto l'obbligo vaccinale per gli operatori sanitari.  È un provvedimento che può interessare un numero limitato di professionisti. «In totale, secondo le stime della struttura commissariale, sarebbero circa 45.753 gli operatori sanitari attualmente non vaccinati per la Covid-19, rispetto ai quali varie aziende sanitarie starebbero avviando provvedimenti di sospensione, sono il 2,36% della categoria. Si tratta, complessivamente, di medici, infermieri, professioni sanitarie e assistenti socio-sanitari», rileva Carlo Palermo, segretario del maggiore dei sindacati dei medici ospedalieri, l'Anaao-Assomed. In particolare, per quel che riguarda i medici, si tratta di circa 200-300 persone, pari a «non più dello 0,2%». Sul totale, quindi, «la percentuale di medici che non si sono vaccinati è comunque molto bassa». Le Regioni con soggetti non vaccinati per questa categoria sono Emilia Romagna (14.390: il 7,87% rispetto al numero di operatori sanitari in tutta la Regione, dove a giorni dovrebbero concludersi le istruttorie), Sicilia (9.214 - 6,52%), Puglia (9.099 - 6,50%) e Friuli Venezia Giulia (5.671 -11,91%), Piemonte (2.893 - 1,90%), Marche (1.181 - 2,58%), Umbria (928 - 3,02%) e Liguria (172 - 0,29%). Alti anche i numeri nella Provincia di Trento (2.205 - 11,03%). Per questi operatori sanitari, spiega Carlo Palermo, «in prima istanza, la legge prevede che possano essere addetti allo svolgimento di altre mansioni non a contatto con i pazienti, ma ciò solo ove possibile; in secondo luogo, l'operatore o il medico può essere messo in ferie forzose. In ultima istanza, si ricorre alla sospensione dalla professione senza il recepimento dello stipendio. Non è però contemplata la possibilità di licenziamento e la norma ha comunque validità fino al 31 dicembre 2021». «Nelle strutture pubbliche quasi tutti gli infermieri sono vaccinati, e siamo sopra al 95%, mentre nelle strutture private e nelle Residenze sanitarie assistite Rsa per anziani la percentuale è purtroppo più bassa», afferma Barbara Mangiacavalli, presidente della Federazione nazionale degli ordini delle professioni infermieristiche (Fnopi). A chiarire modalità e procedura della sospensione è stata la Fnomceo in una circolare inviata a tutti gli ordini territoriali perché possano sapere come procedere». Il controllo dell'avvenuta vaccinazione spetta all' Azienda sanitaria che deve effettuare «l'accertamento della mancata osservanza dell'obbligo vaccinale dalla quale discende la sospensione ex lege dall' esercizio della professione sanitaria e dalla prestazione dell'attività lavorativa». L'esito della verifica viene poi comunicato dalla Asl «all' interessato, al datore di lavoro e agli Ordini professionali perché ne prendano atto e adottino i provvedimenti e le misure di competenza». A quel punto «la sospensione è comunicata immediatamente all' interessato dall' Ordine professionale». E, come precisa il presidente della Fnomceo, Filippo Anelli «è giusto e doveroso che tutti in medici si vaccinino. Va detto chiaramente che il vaccino è diventato oggi più che un obbligo il requisito stesso per poter svolgere la professione medica». E' quello che sostiene Licia Ronzulli, vicepresidente di Forza Italia al Senato. «I medici che rifiutano il vaccino sono come dei militari che non vogliono difendere il loro Paese, dei disertori» .

Giuseppe Remuzzi per il "Corriere della Sera" il 18 giugno 2021. Non sarà che nel proporre il richiamo con Pfizer o Moderna in chi aveva già fatto AstraZeneca, Cts e governo si siano fatti condizionare dalla morte della ragazza di Sestri Levante? Vediamo. Fare la prima dose con un certo vaccino e la seconda con un altro (l'hanno chiamata vaccinazione eterologa) non è cosa di oggi; due vaccini diversi sono stati sperimentati per la prima volta a Parigi 34 anni fa per l'Hiv e si è capito subito che l'idea era buona. Adesso chi lavora sull' Hiv segue la strada della vaccinazione eterologa (aperta da Daniel Zagury alla Pierre and Marie Curie University nel 1987) e lo stesso si fa per Ebola, tubercolosi, Epstein-Barr e altre malattie. Ma lo si è già fatto anche per Sars-CoV-2: Sputnik è di fatto una vaccinazione eterologa, visto che l'adenovirus della prima dose è diverso da quello della seconda (e l'analisi ad interim dei dati di fase tre dimostra un'efficacia del 91,6% e una buona tolleranza). Prima di arrivare all' uomo i ricercatori hanno provato tutte le combinazioni possibili negli animali, per concludere che l'eterologa consente al sistema immune di riconoscere e neutralizzare l'intruso - nel nostro caso il virus - in regioni diverse e questo aumenta l'efficacia della vaccinazione. Per Sars-CoV-2 la combinazione dei due vaccini sfrutta le peculiarità di ciascuno dei due: AstraZeneca genera linfociti T («killer») che attaccano le cellule infettate dal virus per poi distruggerle; i vaccini a mRna invece provocano soprattutto una risposta anticorpale. Come lo sappiamo? Dallo studio degli spagnoli: 663 persone con meno di 60 anni, che avevano già ricevuto AstraZeneca, dopo 8 settimane ricevevano Pfizer-BioNTech. I dati preliminari, annunciati il 18 maggio, dimostrano che la vaccinazione eterologa è altamente immunogenica e genera anticorpi che riconoscono e inattivano Sars-CoV-2 (nei test di laboratorio) più di quanto non si fosse mai visto con qualunque combinazione di vaccino omologo. Tre righe sul New York Times di tre giorni fa mi hanno fatto riflettere: «Queste indicazioni - prima AstraZeneca e poi Pfizer - potrebbero disorientare, specialmente perché all' inizio avevamo detto alle persone che avrebbero avuto un richiamo con lo stesso vaccino, dobbiamo spiegare invece che quella delle due dosi diverse è un'opportunità». Consentirà a moltissimi Paesi di fare subito la prima somministrazione senza preoccuparsi di mettere da parte abbastanza dosi dello stesso vaccino per i richiami, e chissà (questo per ora lo diciamo sottovoce) che non sia il modo per difenderci dalle varianti. Una strategia di questo tipo l'hanno già adottata Spagna, Germania, Danimarca, Svezia, Norvegia, Regno Unito, Francia, Finlandia, Canada per non parlare di Cina e Bahrein. E adesso abbiamo anche i dati della Germania, vengono dal Dipartimento di virologia dell'Università di Ulm; è vero non sono ancora pubblicati ma lo saranno presto e chiunque li può vedere in medRxiv in forma di pubblicazione non definitiva, accessibile alla comunità scientifica. Si tratta di 26 persone che hanno ricevuto AstraZeneca, seguita dopo 8 settimane da Pfizer, in cui si è registrata una potente risposta immune e soprattutto un'aumentata reattività delle cellule T contro Sars-CoV-2. Ma la parte più interessante di questo studio è che, almeno nei test di laboratorio, il siero dei soggetti trattati con due vaccini diversi inattiva le varianti inglese, sudafricana e persino quella indiana (si chiama «delta» ed è quella di cui abbiamo tutti tanta paura). Certo, 26 pazienti non sono tanti, ma lo studio è così elegante da lasciare pochi dubbi. Sempre su medRxiv ci sono i dati di un altro studio fatto a Berlino questa volta: i pazienti sono di più (340) e sono medici o infermieri. Viene fuori che fare prima AstraZeneca e poi Pfizer con 10-12 settimane di intervallo dà una forte risposta immune ed è molto ben tollerata. E non basta, fra qualche settimana finiranno gli studi iniziati in Inghilterra ormai da molti mesi. Questa volta i «pazienti» (nel senso che hanno avuto la pazienza di sottoporsi a diversi schemi vaccinali) sono molti di più: 830. Un gruppo ha ricevuto AstraZeneca e poi Pfizer a 4 o 12 settimane di distanza. E poi il contrario, prima Pfizer e poi AstraZeneca, sempre con intervalli diversi di somministrazione. E ci sono i «controlli», cioè si è fatto il richiamo, con lo stesso preparato agli stessi intervalli, per poter dimostrare che la vaccinazione eterologa offriva davvero vantaggi misurabili. Ma davvero non ci sono eventi avversi? È questo che più di tutto preoccupa la gente. Cosa sappiamo di preciso di questo? Vaccini senza effetti spiacevoli, per lo meno in una certa percentuale di persone, non ce ne sono, questo credo ormai lo abbiano capito tutti. Ma i ricercatori inglesi ci aiutano a rispondere anche a questa domanda. Mentre portavano avanti il loro lavoro, il Comitato etico ha preso in esame le cartelle cliniche dei medici e degli infermieri trattati finora per verificare se ci fossero effetti indesiderati; i risultati sono riportati dal Lancet di questi giorni. A dirla tutta la vaccinazione eterologa qualche disturbo in più rispetto a quella con due dosi dello stesso vaccino lo dà. Febbre, soprattutto - nei giorni successivi alla seconda dose - nel 34% dei casi. E poi ci possono essere stanchezza, dolori articolari e muscolari. Succede nel 20-30% dei casi, sia con la vaccinazione eterologa che con quella tradizionale, ma si risolve tutto in pochissimi giorni, e nessuno di chi ha preso parte allo studio inglese ha dovuto essere ricoverato. Così la vaccinazione eterologa è una delle possibili soluzioni per vaccinare presto l'Europa e forse il mondo, e se quello che si è visto in laboratorio succede anche in vivo, chissà che non sia il modo di contrastare le varianti, per cui va trovata una soluzione presto. A questo punto vorrei esprimere la mia gratitudine ai ricercatori spagnoli, inglesi, tedeschi: senza il loro impegno e la loro determinazione oggi non sapremmo nulla né dell'efficacia né della sicurezza delle combinazioni dei vaccini per contrastare Sars-CoV-2. So bene che nessuno di questi studi è perfetto e che in un mondo ideale ci vorrebbero centinaia di migliaia di persone «pazienti» seguite con diverse combinazioni. Questo semplicemente non si può fare, non in tempi brevi per lo meno. Si possono però raccogliere tutte le evidenze disponibili, dal laboratorio, agli animali agli studi sull' uomo. Lo ha fatto Science l'11 giugno che alla fine raccomanda che per i vaccini si cambi politica e che la cambino tutti, ma proprio tutti nella direzione del Cts e del governo italiano. Se vogliamo fargli un appunto - al Cts - facciamoglielo: non perché hanno scelto la strada dei due vaccini diversi, ma perché sono arrivati tardi, quando tanti altri Paesi dell'Ue e del mondo lo stavano già facendo da mesi. A Matthew Snape, un grande esperto di vaccini dell'Università di Oxford, hanno chiesto: «Ci sarà un futuro per la vaccinazione eterologa o sarà un fuoco di paglia?». E lui: «Sarà la realtà per la maggior parte dei Paesi del mondo che vogliano fare il miglior uso possibile di quello che abbiamo a disposizione finora».

"Io stesso farò eterologa. Liberi di fare seconda dose AstraZeneca". Francesca Galici il 18 Giugno 2021 su Il Giornale. Rassicurazioni di Draghi sulla vaccinazione eterologa ma via libera a quella omologa con AstraZeneca; non c'è data per la dismissione dell'obbligo di mascherine all'aperto. In conferenza stampa, il presidente del Consiglio Mario Draghi è tornato a parlare della campagna vaccinale italiana e, in particolare, ha rassicurato sulla decisione di somministrare il mix-vaccinale agli under 60 che in prima dose hanno ricevuto AstraZeneca. "La vaccinazione eterologa funziona: io stesso martedì ho appuntamento per fare l'eterologa. Ho più di 70 anni: la prima AstraZeneca ha dato una risposta di anticorpi bassa e mi si consiglia di fare l'eterologa", ha rivelato Mario Draghi. Il premier ha ribadito come sia indispensabile proseguire nella corsa ai vaccini, mantenendo alti i numeri della campagna vaccinale. Il presidente del Consiglio non si è nascosto e ha ammesso che "c'è stata una certa confusione negli ultimi giorni". Tuttavia, Mario Draghi ha sottolineato che nonostante tutto "vaccinarsi è fondamentale". Draghi, quindi, ha aggiunto che "la confusione non è sul vaccinarsi o meno ma su quale tipo di vaccino usare a seconda delle varie circostanze. La cosa peggiore che si può fare è non vaccinarsi o vaccinarsi con una dose sola". Detto questo, il presidente del Consiglio ha spaziato a tutto tondo, cercando di rispondere a tutte le domande e ai dubbi degli italiani in merito alla vaccinazione, proprio per diramare quella sensazione di confusione causata da una comunicazione non sempre all'altezza. A proposito della vaccinazione eterologa, Mario Draghi ha espresso in maniera netta la sua posizione circa la necessità di lasciare il libero arbitrio a ogni soggetto: "Se una persona che ha meno di 60 anni e ha fatto la prima dose AstraZeneca e gli viene proposto di fare l'eterologa ma non vuole farsi quel vaccino, questa persona è libera di fare la seconda dose di AstraZneneca purché abbia il parere del medico e il consenso informato". Parole che in tanti volevano sentirsi dire in questi giorni caotici per andare incontro alla seconda dose in maniera più serena, confermate anche dal ministro Speranza, che oggi ha ricevuto la conferma dal Cts: "Avevo posto un quesito di chiarimento sulla vaccinazione eterologa. La risposta del Cts è che c'è una raccomandazione, un'indicazione molto forte, per l'utilizzo dell'eterologa per le persone sotto i 60 anni che hanno usato il vaccino di AstraZeneca in prima dose, ma resta aperta la possibilità per chi lo richiede, sulla base di un consenso medico, di poter anche utilizzare la seconda dose sotto i 60 anni il vaccino AstraZeneca". Francesco Paolo Figliuolo, quindi, ha aggiunto che "Non ci sarà un rallentamento della campagna vaccinale, resteremo sulle 500mila al giorno". Il commissario straordinario per l'emergenza coronavirus ha spiegato che "andremo a vaccinare con la seconda dose eterologa tra giugno e luglio una platea di 990mila cittadini". Roberto Speranza ha chiarito anche la posizione del governo in merito all'obbligo vaccinale per tutti: "Nel nostro Paese è stato disposto l'obbligo per gli operatori sanitari e tutti coloro che hanno a che fare con le attività di cura e assistenza, e questo lo rivendichiamo come una scelta giusta fatta dal Governo. In questo momento non c'è una previsione di altro tipo sull'obbligatorietà". Una decisione figlia anche dell'alta adesione volontaria dei cittadini, come sottolineato dal ministro della Salute: "Vediamo una risposta molto positiva da parte dei nostri concittadini e confidiamo che la campagna continuerà con grande energia e determinazione". Nonostante la campagna vaccinale prosegua spedita, i numeri non sono ancora quelli di una vittoria e Mario Draghi lo ha spiegato bene in conferenza stampa: "La sfida principale ora non è vaccinare i 12 o 13enni, che pure vanno vaccinati, ma andare a cercare chi ha più di 50 anni e non si è ancora vaccinato, questa è la sfida che abbiamo oggi da vincere, sono questi quelli che sia ammalano in maniera grave". Tuttavia, il premier si è mostrato orgoglioso del comportamento degli italiani: "Nonostante tutta questa confusione sui vaccini, è straordinario come la popolazione non mostri l'intenzione di diminuire la vaccinazione o di non vaccinarsi, è uno dei comportamenti più ammirevoli, ricordiamocelo". Il ministro Roberto Speranza, quindi, ha comunicato di aver "firmato un'ordinanza che porta il 99% del nostro Paese in zona bianca e se questo avviene, una cosa che poteva sembrare difficile poche settimane fa, è proprio prima di tutto per merito di una campagna di vaccinazione molto forte". Da lunedì, infatti, solo la Valle d'Aosta permarrà in zona gialla. In merito alla proroga dello stato di emergenza, il presidente Mario Draghi ha spento ogni polemica, dichiarando che "lo decideremo vicini alla data della scadenza". Il governo, quindi, si prende ancora un mese di tempo per decidere e valutare l'andamento dell'epidemia, che finora dà segni di incoraggiante regressione. Anche per quanto riguarda la rimozione dell'obbligo di utilizzo delle mascherine all'aperto, Mario Draghi non ha fornito nessuna data: "Chiederò domani un parere al Cts, inoltrerò domani una richiesta formale al Cts se possiamo toglierci la mascherina all'aperto oppure no".

Paolo Valentino per il "Corriere della Sera" il 23 giugno 2021. Come Mario Draghi, che lunedì ha fatto la seconda dose con Pfizer, anche Angela Merkel dà l'esempio e si sottopone alla vaccinazione eterologa. Dopo aver ricevuto il 16 aprile scorso la prima dose di AstraZeneca, la cancelliera tedesca si è fatta inoculare nei giorni scorsi la seconda, ma questa volta del vaccino americano Moderna. Lo ha annunciato un portavoce della cancelleria, che non ha fatto cenno a conseguenze. Merkel entra così nella schiera degli oltre 26 milioni di cittadini tedeschi che hanno già completato il ciclo vaccinale contro il Coronavirus, pari al 31,6% dell'intera popolazione. Il 51,2% ha già ricevuto una prima dose. La vaccinazione con una seconda dose diversa dal preparato AstraZeneca è stata consigliata alle persone sotto i 60 anni a partire dalla fine di aprile dalla Stiko, la Commissione permanente per i vaccini. La cancelliera Merkel ne ha 66, ma ha ugualmente voluto seguire il consiglio, anche per dimostrare l'assenza di rischi e incoraggiare altri a farlo. Quando aveva ricevuto la prima dose, Merkel aveva ringraziato tutti coloro che sono impegnati nella campagna e tutti quelli che accettano di vaccinarsi: «Il vaccino è la chiave per superare la pandemia», aveva detto. La curva del contagio continua a migliorare: nelle ultime 24 ore ci sono stati in Germania appena 455 nuovi casi di Covid-19 e 77 decessi con una incidenza di 8 nuovi infettati per 100 mila persone in una settimana. Ma le preoccupazioni sul rischio di un'impennata della variante Delta anche in Germania rimangono. Anche Merkel è intervenuta indirettamente ieri nel dibattito sull'eventuale spostamento di semifinali e finali di Euro 2020 da Londra ad altre città europee, a causa del crescente numero di contagi dovuti appunto all'esplosione della variante di origine indiana nel Regno Unito. «Non credo sia una buona cosa quando gli stadi sono troppo pieni», ha detto la cancelliera dopo l'incontro con la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. «Al momento non mi sembra, ma spero - ha aggiunto - che l'Uefa si muova in modo responsabile di fronte a questa situazione». La Federazione europea aveva nei giorni scorsi contattato le autorità inglesi per aumentare fino a 65 mila il numero massino di spettatori ammessi alla finale dell'11 luglio.

Da liberoquotidiano.it il 23 giugno 2021. "Io ho fiducia nella scienza, certo sarà difficile mantenere la fiducia del vaccino nelle persone". A parlare a Otto e Mezzo è Michela Murgia che nella puntata del 16 giugno su La7 lancia una frecciata al generale Francesco Figliuolo: "Il dubbio di aver fatto una sciocchezza nell'averlo fatto c'è. Il problema era politico, si voleva far vedere che si facevano tanti numeri". Dello stesso parere, Massimo Galli, anche lui in collegamento con Lilli Gruber: "Se fosse stato per la scienza molti dei protocolli sui vaccini sarebbero stati visti con molta perplessità. Se fosse stato per le agenzie internazionali abbiamo visto un po' di balletti, quindi la politica è venuta appresso dove ogni Regione fa quello che gli pare". "Molta colpa ce l'hanno i mass media - interviene a quel punto ancora la Murgia -. Andiamo a spiegare alla famiglia della ragazza morta che è stato un piccolo rischio. I giornalisti hanno preso le cose più eclatanti solo per farci i titoli". Una chiara frecciatina ad Alessandro Sallusti, anche lui in collegamento. Il direttore di Libero se la prende con la Murgia che "deve sempre trovare un nemico". Sallusti infatti reputa che a creare caos e confusione siano stati gli esperti: "La confusione l'hanno fatta i colleghi del professor Galli, ossia la comunità scientifica". "Io non entro nel merito ma anche il suo giornale ha spaventato", prosegue la Murgia mentre Sallusti la zittisce: "Ah, e invece dire che la divisa di Figliuolo fa paura non è seminare il panico?". "Mi dia del "lei" e non del "tu", è una questione di stile", replica zittita la Murgia. "Scusi, pensavo che tra scrittori - anche se io ne ho venduti di più di libri - ci si potesse dare del tu. In ogni caso lei non ha spaventato screditando Figliuolo, il commissario per l'emergenza?". "Non proseguo, che ho capito il suo obiettivo", conclude una Murgia che non può fare altro che arrampicarsi sugli specchi.

Otto e Mezzo, "Mario Draghi era molto nervoso": caos vaccini, ce l'aveva con Speranza e Figliuolo? Libero Quotidiano il 18 giugno 2021. Mario Draghi è apparso piuttosto nervoso nella conferenza stampa a Palazzo Chigi in cui ha provato a mettere ordine al caos comunicativo e istituzionale sulla campagna di vaccinazione. Ce l’aveva con qualcuno in particolare o era nervoso per la situazione in sé? La domanda l’ha posta Lilli Gruber ad Andrea Scanzi, suo ospite nella puntata di Otto e Mezzo andata in onda venerdì 18 giugno: “Non escluderei che lo fosse con Roberto Speranza e Francesco Paolo Figliuolo”, ha dichiarato il giornalista del Fatto Quotidiano. Il quale ha poi approfondito il suo punto di vista: “La confusione è stata provocata anche da loro. Se non ce l’ha con loro, allora è poco lucido, ma secondo me lui lo è molto. Ha fatto bene a parlare, forse avrebbe dovuto farlo prima, ma credo che sia stato costretto a farlo perché c’è un Paese molto preoccupato. Ha fatto bene a fare i complimenti agli italiani, gli errori sono stati ammessi e sono stati fatti un po’ dalle Regioni, un po’ da Figliuolo, un po’ dal governo”. Poi Scanzi ci ha tenuto a sottolineare due aspetti che ritiene molto importanti: “Da una parte Draghi ha rassicurato gli italiani sulla vaccinazione eterologa, fa a tutti piacere sapere che lui la farà martedì prossimo, e non sarebbe neanche tenuto a farlo visto che è over 60. Non c’è molta serenità nella comunità scientifica perché i dati sono pochi. Mi metto nei panni di chi deve fare la seconda dose, non credo che la facciano con serenità”. 

Da leggo.it il 19 giugno 2021. Il vaccino anti-Covid a dose singola di Janssen (gruppo Johnson&Johnson) è raccomandato agli over 60, ma il rapporto benefici-rischi del suo impiego potrebbe risultare favorevole anche in under 60 nei quali la vaccinazione monodose sia preferibile. È il senso del chiarimento contenuto nella circolare con cui il ministero della Salute, oltre a dare via libera al richiamo AstraZeneca per gli under 60 che rifiutano il mix con un prodotto a mRna, fornisce anche chiarimenti sulle modalità d'uso del vaccino Janssen. Con parere trasmesso l'11 giugno scorso, si legge nella circolare firmata dal direttore generale Prevenzione, Giovanni Rezza, «il Cts ha raccomandato il vaccino Janssen per soggetti di età superiore ai 60 anni, anche alla luce di quanto definito dalla Commissione tecnico scientifica di Aifa». Trattandosi infatti di un vaccino adenovirale come quello di AstraZeneca, anche per J&J vale lo stesso principio di precauzione volto a evitare il seppur raro rischio di Vitt (trombocitopenia trombotica immunitaria indotta da vaccino) nella popolazione più giovane. Tuttavia, prosegue il testo, «il Cts ha inoltre previsto la possibilità che si determinino specifiche situazioni in cui siano evidenti le condizioni di vantaggio della singola somministrazione, e che, in assenza di altre opzioni, il vaccino Janssen andrebbe preferenzialmente utilizzato, previo parere del Comitato etico territorialmente competente». «In particolare - precisa la circolare - il vaccino di cui trattasi potrebbe essere somministrato in determinate circostanze, come ad esempio nel caso di campagne vaccinali specifiche per popolazioni non stanziali e/o caratterizzate da elevata mobilità lavorativa e, più in generale, per i cosiddetti gruppi di popolazione "hard to reach". Infatti, in tali circostanze, peraltro già indicate dal Cts, considerate le criticità relative alla logistica e alle tempistiche della somministrazione di un ciclo vaccinale a due dosi, il rapporto benefico/rischio della somministrazione del vaccino Janssen in soggetti al di sotto dei 60 anni potrebbe risultare favorevole». La circolare allega, fra le altre cose, il parere firmato dal coordinatore del Comitato tecnico scientifico per l'emergenza coronavirus, Franco Locatelli, espresso ieri 18 giugno «sulla richiesta dell'assessore alla Sanità della Regione Lazio, inoltrata dal ministero della Salute, rispetto a quelle persone di età compresa tra i 18 e 59 anni che, dopo aver ricevuto la prima dose di vaccino Vaxzevria, rifiutano il crossing a vaccino a mRna e dichiarano di voler proseguire nel richiamo con lo stesso vaccino impiegato per la prima dose».

Vaccini, cosa ha scoperto Bechis nei verbali del Cts: "Esperti? No, ha deciso tutto Roberto Speranza". Libero Quotidiano il 18 giugno 2021. "Sui vaccini ha deciso tutto Roberto Speranza": a questa conclusione è giunto il quotidiano Il Tempo che, in un articolo a firma Franco Bechis, analizza due verbali del Comitato tecnico scientifico risalenti al 29 e 30 aprile, ma pubblicati poco fa. Dai documenti emergerebbe che gli scienziati non avrebbero mai imposto nulla al governo. Anzi, avrebbero quasi sempre conformato le loro opinioni alle richieste dell'esecutivo. Ogni scelta sarebbe stata presa dal ministero della Salute e spesso proprio dal titolare di quel dicastero, Speranza, nonostante molte volte la paternità delle decisioni sia stata attribuita "agli scienziati", come scrive il quotidiano. Analizzando i verbali del 29 e 30 aprile, Il Tempo scopre che si tratta dei giorni in cui bisogna prendere delle decisioni puramente tecniche: spostare o meno fino al 42esimo giorno dalla prima la seconda dose dei vaccini Pfizer e Moderna, e fare o meno la seconda dose AstraZeneca a chi aveva ricevuto la prima indipendentemente dall'età. In entrambi i casi si tratta di scelte che dovrebbero fare i virologi. Come si legge nei documenti, a presentarsi davanti al Cts è stato il generale Figliuolo, il quale ha spiegato che se si fosse ritardata la somministrazione della seconda dose dei vaccini a mRna, portando l'intervallo fino a 42 giorni, a maggio si sarebbero potuti vaccinare 3 milioni di over 65 in più. A quel punto il commissario ha detto che avrebbe avuto bisogno di un "avallo delle autorità sanitarie e di un conforto di un parere degli organi tecnico -scientifici, primo fra tutti il Cts" per firmare una ordinanza. E poi ha tirato fuori anche il problema della seconda dose AstraZeneca da dare a chi aveva fatto la prima senza tenere conto dell'età. Dopo tali richieste, però, il Cts non avrebbe deciso nulla. Avrebbe solo "concordato sulla opportunità che il Coordinatore professore Locatelli prendesse contatti con l'Autorità politica".  Dal verbale del 30 aprile - giorno successivo - viene fuori che l'Autorità a cui Locatelli sarebbe andato a chiedere permesso è proprio il ministro della Salute, Speranza. Che avrebbe autorizzato il Cts a rispondere al generale Figliuolo sull'allungamento dell'intervallo per la seconda dose Pfizer e Moderna e sulla somministrazione della seconda dose AstraZeneca anche agli under 60. In entrambi i casi il Cts ha risposto di sì.

AstraZeneca e trombosi, "gli aminoacidi dietro alla reazione": in questa ricerca la scoperta decisiva? Libero Quotidiano il 09 luglio 2021. Seppur rare le trombosi riscontrare su alcuni vaccinati con AstraZeneca hanno destato parecchio clamore. A fronte di ciò l'Italia si è vista in prima battuta concedere la somministrazione contro il Covid anche agli under 60, salvo poi fare retromarcia. A svelare quanto potrebbe accadere su alcuni pazienti è una ricerca pubblicata su Nature. Qui si legge che la causa della cosiddetta VITT, cioé "trombocitopenia immunitaria indotta da vaccino", potrebbero essere alcuni aminoacidi che, presi di mira da specifici anticorpi, innescano la coagulazione del sangue.  Per arrivare a questa conclusione gli studiosi canadesi hanno controllato il sangue di alcuni vaccinati con il siero anglo-svedese. Da qui la scoperta: "Abbiamo determinato che il legame degli anticorpi VITT anti-PF4 (n=5) era limitato a 8 amminoacidi di superficie, tutti localizzati all'interno del sito di legame dell'eparina su PF4, e il legame era inibito dall'eparina". In sostanza le trombosi dopo il vaccino AstraZeneca sarebbero state innescate da anticorpi che riconoscono alcuni aminoacidi su una proteina chiamata PF4; una volta che si aggregano alle piastrine, gli anticorpi formano un coagulo di sangue nelle vene o nelle arterie e scatenano la trombosi. Non è per tutti uguale però, visto che a cambiare sono gli stessi amminoacidi attaccati dagli anticorpi. Risultano infatti differenti a seconda che i pazienti vengano curati con eparina o con il siero anglo-svedese. "Lo studio - spiega Mortimer Poncz, capo della divisione di pediatria-ematologia del Children’s Hospital di Filadelfia - potrebbe aiutare i medici a riconoscere in modo rapido i coaguli da vaccino e agevolare i ricercatori a comprenderne le cause". Una notizia che può agevolare la stessa azienda statunitense Johnson & Johnson, il cui vaccino è finito sotto la lente d'ingrandimento per le trombosi. Il motivo pare essere uno solo: entrambi sono vaccini ad adenovirus, cioè a vettore virale in cui si utilizza un virus per portare all'interno della cellula la sequenza del codice genetico. 

Da corriere.it il 17 giugno 2021. Al momento si contano «405 casi di potenziali trombosi con le dosi AstraZeneca su 45 milioni di persone vaccinate» a cui è stato somministrato il vaccino, quindi si tratta di eventi «molto rari». Lo ha detto Georgy Genov, responsabile della farmacovigilanza dell’Ema, nel corso di un briefing con la stampa. 34 casi di trombosi Sfortunatamente, alcuni di questi eventi sono ancora fatali», ha aggiunto. Tuttavia, «dalle ultime verifiche abbiamo anche notato un’ulteriore riduzione della mortalità e questo è probabilmente dovuto a una varietà di fattori» come «la diagnosi precoce nel trattamento». Ad aprile una analoga rilevazione aveva riscontrato 6,5 casi per milione di persone vaccinate; in Italia, a maggio, l’Aifa aveva censito 32 casi di trombosi, il 65% aveva riguardato donne. Sempre uno studio del’Ema, pubblicato a fine aprile, aveva rilevato una incidenza di 1,9 casi di trombosi ogni 100.000 vaccinati under 30. Nella conferenza stampa odierna l’Ema ha chiarito che spetta ai singoli Stati una decisione sul mix di vaccini. Entrambi i vaccini a vettore adenovirale» AstraZeneca e Johnson & Johnson «sono approvati e hanno un rapporto rischio beneficio positivo da 18 anni in su ed è una decisione degli Stati scegliere se lo vogliono usare solo in alcune popolazioni» se optare per il mix con un vaccino a mRna per il richiamo «o no, sulla base dei vaccini che hanno disponibili, del contesto pandemico e della circolazione virale, e di ogni altro aspetto» ha puntualizzato Marco Cavaleri, responsabile Vaccini e Prodotti terapeutici per Covid-19 dell’Agenzia europea del farmaco Ema. «Siamo ancora in pandemia - ha aggiunto - ed è importante usare tutte le opzioni disponibili».

Covid, 1.325 casi e 37 morti. L’Ema diffonde i dati delle trombosi e prende tempo sul mix di vaccini. Redazione giovedì 17 Giugno 2021 su Il Secolo d'Italia. Sono stati 1.325 i nuovi contagi da coronavirus in Italia nelle ultime 24 ore, mentre si sono registrati altri 37 morti. Il totale dei decessi arriva, così, a 127.190 dall’inizio della pandemia di Covid-19. Ieri i contagi erano stati 1400 e i morti 52. Il tasso di positività resta sostanzialmente invariato: ieri era allo 0,6%, oggi è allo 0,7% su 200.315 tamponi processati tra antigenici e molecolari. Intanto l’Ema fa sapere che «non è facile al momento uscire fuori con una raccomandazione clinica» sul mix di vaccini, mentre diffonde i dati relativi alle trombosi rare registrate con Astrazeneca e Johnson&Johnson.

Continuano a calare i ricoveri. Sul fronte dell’andamento della pandemia continuano a calare anche i ricoveri. Nelle terapie intensive oggi ci sono 44 pazienti in meno di ieri, a fronte di 15 nuovi ingressi, per un totale di 444 pazienti. Ugualmente scende il numero dei ricoverati nei reparti Covid ordinari: sono 176 in meno, che portano il totale a 2.888. I guariti nelle ultime 24 ore sono stati 4.533, per un totale di 4.023.957 di persone che sono uscite dalla malattia da inizio pandemia.

L’Ema prende tempo sul mix di vaccini. Sul fronte dei vaccini, le novità maggiori riguardano il fatto che il tedesco CureVac non ha superato i primi test di efficacia, fermandosi al 47%, e che l’Ema ha chiarito che sul mix per le seconde dosi «non è facile al momento uscire fuori con una raccomandazione clinica», anche perché «non è chiaro se le aziende che hanno vaccini autorizzati sono interessate a presentare qualche richiesta di cambiamento nelle informazioni di prodotto». In linea di massima, però, l’Agenzia riconosce le potenzialità del mix di vaccini che «è stato adottato con successo in passato». «È ben noto che mixare i vaccini spesso ha come esito una migliore risposta immune», ha spiegato in un incontro con la stampa Marco Cavaleri, responsabile Vaccini e Prodotti terapeutici per Covid-19 dell’Agenzia europea del farmaco Ema. Dunque, «potrebbe essere una strategia da adottare», ma servono più dati.

I numeri delle trombosi rare con Astrazeneca e J&J. L’Ema, che alla luce delle varianti sta anche valutando se accorciare l’intervallo tra prima e seconda di Astrazenca, ha poi diffuso i dati sulle trombosi rare legate ai vaccini a vettore virale. «Ad oggi – ha spiegato Georgy Genov, responsabile della Farmacoviglianza dell’Agenzia – abbiamo 10 possibili casi di trombosi associata a trombocitopenia su oltre 6 milioni di persone vaccinate contro Covid con il vaccino J&J nello Spazio economico europeo» e «su 45 milioni di vaccinati con AstraZeneca abbiamo 405 casi potenziali». «Rivedremo attentamente questi possibili casi che rimangono rari», ha aggiunto.

Le miocarditi e pericarditi in relazione ai vaccini mRna. È stato poi il vice direttore esecutivo dell’Ema, Noël Wathion, a chiarire che per quanto riguarda «le segnalazioni di miocarditi e pericarditi riportate dopo vaccinazione anti-Covid con prodotti a mRna» l’agenza continua a monitorare «strettamente» la questione da aprile, «ma non ci sono abbastanza dati per stabilire un nesso causale in questo momento». «Sembra comunque che il numero di casi sia molto basso», ha proseguito Wathion, aggiungendo che si tratta di infiammazioni in «forma moderata e che si risolvano in pochi giorni». L’Ema, inoltre, «ha iniziato a valutare una domanda per estendere l’uso del vaccino Covid-19 di Moderna per i ragazzi di età compresa tra 12 e 17 anni. L’esito della valutazione è previsto a luglio, a meno che non siano necessarie ulteriori informazioni». Proprio miocarditi e pericarditi in numero «anomalo», però, sono state segnalate nei bambini nei Paesi in cui la vaccinazione di massa sui minori è già iniziata.

In Italia sono 32 le persone colpite da trombosi dopo il vaccino. Vaccino AstraZeneca, Ema: “405 casi di trombosi su 45mln di vaccinati, anticipare la seconda dose”. Elena Del Mastro su Il Riformista il 17 Giugno 2021. Al momento si contano “405 casi di potenziali trombosi con le dosi AstraZeneca su 45 milioni di persone vaccinate” a cui è stato somministrato il vaccino. Dunque si tratta di eventi classificati come “molto rari”. Sono questi i dati snocciolati da Georgy Genov, responsabile della farmacovigilanza dell’Ema, nel corso di un briefing con la stampa. Si tratterebbe dello 0,0009% di incidenza. “Sfortunatamente, alcuni di questi eventi sono ancora fatali”, ha aggiunto. Tuttavia, “dalle ultime verifiche abbiamo anche notato un’ulteriore riduzione della mortalità e questo è probabilmente dovuto a una varietà di fattori” come “la diagnosi precoce nel trattamento”. In Italia, a maggio, l’Aifa aveva censito 32 casi di trombosi, il 65% aveva riguardato donne. Sempre uno studio del’Ema, pubblicato a fine aprile, aveva rilevato una incidenza di 1,9 casi di trombosi ogni 100.000 vaccinati under 30. Per quanto riguarda invece il vaccino Johnson&Johnson l’incidenza è di 10 affetti da trombosi su 6 milioni di vaccinati. Dati dunque rincuoranti dopo l’ennesimo caos. Nella conferenza stampa odierna l’Ema ha chiarito che spetta ai singoli Stati una decisione sul mix di vaccini. “Entrambi i vaccini a vettore adenovirale”, AstraZeneca e Johnson & Johnson, “sono approvati e hanno un rapporto rischio beneficio positivo da 18 anni in su ed è una decisione degli Stati scegliere se lo vogliono usare solo in alcune popolazioni” se optare per il mix con un vaccino a mRna per il richiamo “o no, sulla base dei vaccini che hanno disponibili, del contesto pandemico e della circolazione virale, e di ogni altro aspetto” ha puntualizzato Marco Cavaleri, responsabile Vaccini e Prodotti terapeutici per Covid-19 dell’Agenzia europea del farmaco Ema. “Siamo ancora in pandemia – ha aggiunto – ed è importante usare tutte le opzioni disponibili”. “Sul mix di vaccini abbiamo ancora dati limitati ma l’approccio è stato adottato con successo in passato”. Ha sottolineato Marco Cavaleri. “Alcuni studi preliminari hanno mostrato che la risposta immunitaria sembra essere soddisfacente e non stanno emergendo particolari problemi da un punto di vista di sicurezza”. Tuttavia “le evidenze sono limitate e occorre raccogliere ulteriori informazioni”. Cavaleri si è soffermato anche sulle insidie legate alla cosiddetta variante Delta che sta determinando un aumento di casi in Gran Bretagna. “Abbiamo visto alcuni dati preliminari: dimostrano che il vaccino Vaxzevria (AstraZeneca, ndr) protegge contro la variante Delta e che la seconda dose aumenta la protezione in modo significativo” ha detto. “Considerato che la protezione con la prima dose contro la variante Delta è leggermente inferiore a quella contro la variante Alfa, sarebbe importante vedere se l’intervallo tra le dosi possa essere ridotto”, ha aggiunto Cavaleri.

Elena Del Mastro. Laureata in Filosofia, classe 1990, è appassionata di politica e tecnologia. È innamorata di Napoli di cui cerca di raccontare le mille sfaccettature, raccontando le storie delle persone, cercando di rimanere distante dagli stereotipi.

Da "iltempo.it" il 15 giugno 2021. Non è vero che il vaccino della Pfizer è più sicuro degli altri. Gli ultimi dati dell'Aifa, secondo quanto reso noto nella trasmissione di Retequattro Quarta Repubblica, direbbero esattamente il contrario. Il rapporto sulla sorveglianza dei vaccini covid-19, infatti, datato 26 maggio, dice che le morti sospette in Italia, dopo il vaccino Pfizer sarebbero 213 (con un tasso dello 0,96 ogni 100 mila dosi). Le morti dopo la somministrazione di Moderna sarebbero invece 58 (tasso 1,99), quelle con Astrazeneca 53 (tasso 0,79) e, infine con Johnson & Johnson i decessi sarebbero 4 (tasso 0,79) per un totale di 328 aventi avversi (tasso 1,01). Dati che lasciano pensare dopo che il Cts e il governo hanno deciso di bloccare le somministrazioni di Astrazeneca sotto i 60 anni. Decisione presa a poche ore dalla morte tragica della diciottenne Camilla Canepa, sulla quale la magistratura sta ora indagando, assieme a molti altri casi in Italia di trombosi ed ischemie, l'ultima delle quali proprio ieri in Puglia con un uomo ricoverato in gravissime condizioni. E mentre chi ha avuto la prima dose di Astrazeneca si appresta alla seconda con Pfizer o Moderna, ora si fanno avanti i dubbi, dopo gli ultimi dati sulle morti sospetti, anche su Pfizer o Moderna. Sembra così sempre più difficile capirci qualcosa. 

Astrazeneca, arriva il parere di Aifa. Johnson & Johnson, scopri che cosa contiene il vaccino. Libero Quotidiano il 15 giugno 2021. Nemmeno il parere di Aifa getta acqua sul fuoco su una vicenda che sta facendo discutere il Paese intero ossia gli effetti e la sicurezza del mix vaccinale che circa un milione di persone sotto i 60 anni, già coperti con una dose di Astrazeneca, ora facciano il richiamo con un altro siero. E a scatenarsi non sono solo gli esperti, ma anche i presidenti di Regione e persino i medici di famiglia. "La vaghezza di Aifa è inaccettabile", ha dichiarato Silvestro Scotti, segretario nazionale della Federazione dei medici di medicina generale che chiede l’intervento del ministro della Salute Roberto Speranza su una vicenda così spinosa. Intanto il Codacons ha già lanciato, a partire dalla Sicilia, un’azione collettiva di risarcimento per chi ha fatto la prima dose con Astrazeneca. Ma ogni vaccino, si sa, dà e ha i suoi problemi: anche il siero Johnson & Johnson ora potrebbe subire infatti restrizioni per gli under 60. A dirlo proprio oggi è stato il sottosegretario alla Salute, Pierpaolo Sileri. Del resto se si va a leggere il bugiardino allegato al vaccino e i possibili effetti collaterali che può provocare c’è ma mettersi veramente le mani nei capelli.

(ANSA il 14 giugno 2021) - La posizione dell'Ema su AstraZeneca non è cambiata: "Il bilancio rischi-benefici resta positivo e il vaccino resta autorizzato per tutta la popolazione". E' quanto precisa la stessa Ema in una nota riferendosi alla "disinformazione" scaturita da una dichiarazione di un loro esperto mal interpretata e pubblicata su un quotidiano.

Caos AstraZeneca, l’Ema chiarisce: «Il vaccino è sicuro per tutti». Il Dubbio il 14 giugno 2021. L'Agenzia europea del farmaco ribadisce la propria linea e invita la stampa a non trasmettere informazioni false: «Il rapporto rischio-beneficio è positivo e il vaccino rimane autorizzato in tutte le popolazioni». «La posizione normativa dell’Ema rispetto al vaccino di AstraZeneca è chiara: il rapporto rischio-beneficio è positivo e il vaccino rimane autorizzato in tutte le popolazioni». Lo precisa la stessa Agenzia europea del farmaco, sottolineando che «durante il fine settimana ci sono stati molti articoli con informazioni non corrette sulle considerazioni scientifiche dell’Ema riguardo al vaccino Covid-19» prodotto dall’azienda anglo-svedese. «La fonte della disinformazione – spiega l’ente regolatorio Ue – è stato un articolo pubblicato su un quotidiano italiano, che citava erroneamente uno dei nostri esperti. Da allora l’articolo è stato rivisto e abbiamo anche chiesto una correzione formale. Molte testate giornalistiche hanno pubblicato articoli sulla base dell’intervista originale ed errata», rimarca l’Ema che, «nell’interesse di una comunicazione corretta e basata sui fatti», chiede di «aggiornare gli articoli contenenti informazioni false, in modo da riflettere la posizione normativa – invariata – dell’agenzia nei confronti del vaccino Vaxzevria* di AstraZeneca». «Se le raccomandazioni dovessero cambiare – conclude l’authority – l’Ema lo comunicherà in modo trasparente e proattivo ai media e al pubblico, e i giornalisti sono incoraggiati a controllare il nostro sito web per eventuali nuove informazioni». Intanto il ministro della Salute, Roberto Speranza, rispondendo alle domande del direttore de La Stampa, Massimo Giannini, ribadisce con «con grande onestà e trasparenza» che «è chiaro che noi abbiamo mutato sul vaccino AstraZeneca le scelte. Ema l’ha approvato dai 18 anni in su e poi i Paesi hanno deciso di usarlo a seconda delle evidenze scientifiche che nel tempo sono cambiate. È la comunità scientifica che ci guida. Se un vaccino è raccomandabile sopra o sotto i 60 anni, non è mica una scelta politica di un ministro, di un presidente del Consiglio o di una Regione, ma di chi ci ha guidato nel campo dei vaccini: le agenzie regolatorie, il Cts e gli esperti che si sono sempre occupati di questa materia».

Paolo Russo per "la Stampa" il 15 giugno 2021. Anche la nostra Aifa, dopo la «raccomandazione» del Cts, dice sì al mix di vaccini per chi ha fatto la prima dose con AstraZeneca e ora deve proseguire con Pfizer o Moderna, in base a quanto stabilito dalla circolare del ministero della Salute di venerdì. Ma tra le Regioni è il caos. Il campano De Luca va allo strappo con il governo dicendo che no, nella sua regione non si faranno i richiami con gli antidoti a Rna messaggero per chi ha fatto prima Az. Mentre gli altri governatori non lo seguono ma nemmeno si allineano con Speranza. Il Lazio continua a fare il richiamo con l'antidoto di Oxford a chi lo richiede, la Puglia si rimette alla decisione dei medici, la Lombardia tentenna, prima facendo marcia indietro sul no della prima ora al mix di vaccini, ora sospendendo comunque i richiami. «In attesa di sapere cosa ci risponde il governo, sia sulla conferma delle modalità di vaccinazione, che sulla fornitura di dosi aggiuntive di Pfizer e Moderna», spiega il presidente lombardo Attilio Fontana. E sulla fornitura di dosi aggiuntive dei più gettonati vaccini a Rna messaggero insiste anche la schiera delle Regioni che pure si è allineata alle decisioni del governo. Le reclama l'Emilia Romagna, che deve fare richiami a 40 mila persone, e fa altrettanto il Lazio, che - senza proclami - a chi si prenota ora con Pfizer o Moderna anticipa il richiamo da 35 a 21 giorni. Tanto per generare un altro po' di confusione tra gli italiani, passati dalla fase di entusiasmo vaccinale a quella del disorientamento. A far mostrare serenamente il braccio per il richiamo di certo non ha contributo la lettera inviata al ministro Roberto Speranza dall' unità di crisi della Regione Campania. Nella missiva si spiega che «sussistono ancora dubbi in merito a potenziali rischi connessi all' uso dei vaccini da adenovirus virale in qualsiasi fascia di età e si rafforza l'esigenza di maggiore chiarezza dei pareri del Cts, nei quali, allo stato, si rinvengono mere «raccomandazioni» sull' uso dei vaccini. Non sembra ancora sufficientemente chiara l'effettiva ricorribilità, in condizioni di sicurezza, alla cosiddetta "vaccinazione combinata", la quale porrebbe comunque problemi di attuazione in sede di somministrazione della terza dose, la cui necessità è oggi data come probabile dalle stesse case produttrici». Dubbi e timori che da ieri mattina hanno iniziato a rimbalzare attraverso siti e tv, generando sconcerto tra quel milione di under 60 vaccinati in prima battuta con Az. Non sconcerto ma irritazione ha provocato invece la presa di posizione di De Luca in Speranza e i suoi. Il presidente dell'Aifa, Giorgio Palù, si sbraccia per rassicurare che «ormai gli studi sono inconfutabili» e gli esperimenti sul campo «stanno dimostrando la maggiore efficacia della vaccinazione eterologa». In serata poi arriva il parere della stessa Aifa che qualche altra apprensione finisce per suscitarla, affermando che «a fronte di un rilevante potenziamento della risposta anticorpale e un buon profilo di reattogenicità, il mix vaccinale ha presentato una maggiore frequenza in termini di effetti collaterali locali e sistemici di grado lieve-moderato, apparso nel complesso accettabile e gestibile». Insomma il frullato di vaccini protegge ugualmente, ma dopo la seconda puntura si sta un po' peggio. A voler aggiungere un altro pizzico di caos ci ha poi pensato l'Ema, diramando una nota che sembra quasi una tirata d' orecchi al governo italiano quando afferma che «la posizione normativa dell'agenzia rispetto al vaccino di AstraZeneca è chiara: il rapporto rischio-beneficio è positivo e il vaccino rimane autorizzato in tutte le popolazioni». Prendendosela poi con i media quando gli esperti di Amsterdam sottolineano che «durante il fine settimana ci sono stati molti articoli con informazioni non corrette sulle considerazioni scientifiche dell'Ema riguardo al vaccino Covid-19» prodotto dall'azienda anglo-svedese. Peccato che Cts prima e ministero poi lo stop ad Az per gli under 60 lo abbiano dato dopo aver letto e riletto le tabelle pubblicate nel sito della stessa Agenzia, che mostrano come a fronte di una circolazione bassa del virus, com' è quella oggi in Italia, il rapporto rischio beneficio sia sempre a svantaggio del vaccino di Oxford dai 59 anni in giù. A fronte di queste bagatelle tra esperti, la variante delta, o "indiana" dopo aver dilagato in Gran Bretagna è intanto diventata prevalente anche negli Usa. Finendo per "bucare" un po' anche i vaccini.

Marco Bresolin per "la Stampa" il 18 giugno 2021. L'Agenzia europea del farmaco non si sbilancia sulla vaccinazione eterologa che ormai è già iniziata in diverse regioni italiane, tra i dubbi di alcuni governatori e il disorientamento di molti cittadini. «I dati sono ancora limitati» ammettono dal quartier generale di Amsterdam, per questo «non è facile per l'Ema fare ora una chiara raccomandazione». Parole che certamente non aiutano a rassicurare quel milione di italiani under 60 che ha già ricevuto la prima dose del vaccino di AstraZeneca e che ora dovrà fare il richiamo con un farmaco basato sulla tecnologia mRna, come Pfizer o Moderna. «Da lunedì nei nostri studi c' è confusione», conferma Pier Luigi Bartoletti, vicesegretario della federazione dei medici di base. Mentre il governatore ligure Giovanni Toti assicura che si atterrà alle indicazioni del Cts, «anche se ci ha fatto fare qualche curva di troppo». L'Agenzia europea ha provato a fornire chiarimenti nel corso di una conferenza stampa, ma probabilmente da ieri gli scettici lo sono ancora di più: il responsabile della strategia vaccini, Marco Cavaleri, ha spiegato che «alcuni studi preliminari» hanno dimostrato che il mix di vaccini garantisce «risposte immunitarie soddisfacenti» e «non ha fatto emergere particolari problemi» sul fronte della sicurezza. Per questo si tratta di «una strategia che potrebbe essere adottata», ma l'uso del condizionale è d' obbligo per l'Ema visto che «i dati sono ancora limitati». Per Cavaleri bisogna dunque «raccogliere più informazioni e fare uno stretto monitoraggio». Presto potrebbero arrivare i risultati di uno studio effettuato nel Regno Unito, sulla base dei quali - se ritenuti soddisfacenti - l'Ema potrebbe fare «una dichiarazione» per cercare di andare incontro ai governi alle prese con le titubanze interne. C'è un pressing in questo senso che arriva da più fronti: Mario Draghi, in occasione del Consiglio europeo del mese scorso, aveva chiesto a Ursula von der Leyen di sollecitare una risposta dell'Ema per avere alcune chiare indicazioni. In assenza di dati concreti, però, l'Agenzia non se l'è sentita di avallare il mix di vaccini e per questo ha deciso di rimandare la sua valutazione. In ogni caso non ci sarà una vera e propria raccomandazione, anche perché la richiesta per modificare le informazioni di prodotto dovrebbe arrivare dalle case farmaceutiche. Che non sembrano affatto intenzionate a presentare la domanda. Nel frattempo c' è il rischio che i cittadini costretti all' eterologa si sentano un po' come cavie, senza possibilità di scegliere. In altri Paesi europei, ai più giovani vaccinati con AstraZeneca viene data la possibilità di scegliere se ricevere anche il richiamo con il farmaco di Oxford, vista l'assenza di evidenze scientifiche sul mix. L' Ema si è limitata a dire che spetta agli Stati decidere come gestire le somministrazioni, ma Cavaleri ha ricordato che il vaccino di AstraZeneca «è approvato nell' Ue per due dosi» e dunque «in base alle informazioni del prodotto, in linea di principio, bisogna dare la seconda dopo 4-12 settimane». L' Ema lo raccomanda per tutti i cittadini maggiorenni e ieri ha ricordato che gli effetti collaterali restano statisticamente contenuti: «405 casi di potenziali trombosi su 45 milioni di persone vaccinate con AstraZeneca e 10 possibili casi su sei milioni di vaccinati con Johnson&Johnson». Anche l'intervallo di tempo tra le due somministrazioni può diventare un fattore cruciale per contrastare le varianti, per questo l'Ema suggerisce di accorciarlo per AstraZeneca: la protezione dalla variante Delta dopo la prima dose è leggermente inferiore, mentre con il richiamo aumenta in modo «significativo». In ogni caso, ha assicurato Noel Wathion, vicedirettore esecutivo dell'Ema, «tutti i vaccini da noi autorizzati sembrano proteggere da tutti i ceppi dominanti nell' Ue».

Seconda dose con vaccino a mRna a distanza di 8-12 settimane. L’Aifa dà il via libera al "mix" di vaccini agli under 60, ma aumentano gli effetti collaterali lievi. Carmine Di Niro su Il Riformista il 15 Giugno 2021. Dopo l’ok di Ministero della Salute e Comitato tecnico scientifico, anche l’Aifa ha dato il via libera nella serata di lunedì alla vaccinazione eterologa, ovvero al richiamo con un vaccino a mRna (Moderna o Pfizer) per gli Under 60 ai quali è stato somministrato come prima dose AstraZeneca. Al termine dell’ennesima giornata di polemiche l’Aifa in una nota ha spiegato che “sulla base di studi clinici pubblicati nelle ultime settimane, la Commissione tecnico scientifica – si legge nel comunicato dell’agenzia – ha ritenuto, a fronte di un rilevante potenziamento della risposta anticorpale e un buon profilo di reattogenicità, di approvare il mix vaccinale (prima dose con Vaxzevria e seconda dose con Comirnaty o, per analogia, con il vaccino Moderna)”. Secondo l’Agenzia italiana del farmaco l’approccio della vaccinazione eterologa “è sostenuto dai dati clinici che derivano da due studi pubblicati nelle ultime settimane e condotti rispettivamente in Spagna (CombiVacS) e in Inghilterra (Shaw RH, Lancet 2021) e che mostrano buoni risultati in termini di risposta anticorpale (CombiVacS) e sicurezza (in termini di accettabilità degli effetti collaterali)”. A fronte di un “rilevante potenziamento della risposta anticorpale ottenuta con la prima dose, suggestivo di un effetto booster”, scrive ancora l’Aifa, “il mix vaccinale (prima dose con Vaxzevria e seconda dose con Comirnaty) ha presentato un profilo di reattogenicità che, seppure caratterizzato da una maggiore frequenza in termini di effetti collaterali locali e sistemici di grado lieve/moderato, è apparso nel complesso accettabile e gestibile”. La seconda dose con vaccino a mRna potrà avvenire a distanza di 8-12 settimane dalla somministrazione di Vaxzevria. 

REGIONI DIVISE – Ma sul ‘mix’ di vaccini, contrariamente a quanto auspicato dal ministro della Salute Roberto Speranza, le Regioni viaggiano divise. La Campania è stata la prima a dire ‘no’ al nuovo piano messo a punto dall’esecutivo e dal Cts: la Regioni guidata da Vincenzo De Luca già domenica ha annunciato che non somministrerà più dosi di vaccino a vettori virali (Astrazeneca anche Johnson & Johnson, ndr) a nessuna fascia di età. “Chi ha fatto la prima dose di Astrazeneca sopra i 60 anni, può completare il ciclo con una seconda dose Astrazeneca – si leggeva in una nota dell’Unità di crisi regionale – Per i soggetti sotto i 60 anni (tranne che per chi è alla dodicesima settimana) non si procede alla somministrazione di vaccini diversi dalla prima dose, sulla base di preoccupazioni scientifiche che invieremo al Governo, e rispetto alle quali sollecitiamo risposte di merito, in mancanza delle quali, manterremo la nostra linea di rifiuto del mix vaccinale”. Anche la Puglia di Michele Emiliano, pur seguendo le indicazioni del governo, ha precisato che “chi volesse fare la seconda dose con AstraZeneca avrà questa possibilità, fermo restando che l’atto della vaccinazione è l’atto del singolo medico che valuterà caso per caso”. Le altre Regioni invece si adegueranno alle nuove istruzioni arrivate da Roma.

Carmine Di Niro. Romano di nascita ma trapiantato da sempre a Caserta, classe 1989. Appassionato di politica, sport e tecnologia

Vaccinazione eterologa: cos’è, a chi viene somministrata e il parere degli esperti. Chiara Nava il 15 giugno 2021 su Notizie.it. La vaccinazione eterologa è la combinazione di due tipi di vaccini diverse. Chi ha fatto la prima dose AstraZeneca dovrà cambiare vaccino per il richiamo. La vaccinazione eterologa sta dividendo completamente i pareri degli esperti, come spesso è accaduto durante quest’anno di pandemia. Ma di cosa si tratta esattamente? Come mai è stato dato il via libera?

Vaccinazione eterologa: cos’è e a chi viene somministrata? La vaccinazione eterologa è il famoso mix di vaccini che sta facendo molto discutere in questi giorni. Le persone con un’età inferiore ai 60 anni a cui è stata somministrata la prima dose di vaccino AstraZeneca potranno effettuare il richiamo con un vaccino diverso, come Pfizer o Moderna. L’Italia non è il primo Paese dell’Europa che ha deciso di scegliere questo tipo di vaccinazione. Lo hanno fatto anche Francia, Spagna, Germania e Gran Bretagna. Nonostante questo, non ci sono molti dati pubblicati a riguardo e gli studi non sono ancora sufficienti. “È stata già impiegata per l’influenza e l’epatite B. Per l’immunizzazione da Covid-19, la combinazione è stata approvata ed è da tempo utilizzata con diverse modalità in Francia, Canada, Germania, Danimarca, Svezia, Norvegia e Regno Unito” ha dichiarato Roberto Speranza, ministro della Salute.

Vaccinazione eterologa: gli esperti d’accordo con questa scelta. L’Ema sembra essere favorevole alla scelta della vaccinazione eterologa, in quanto potrebbe contribuire a mandare avanti la campagna vaccinale in modo molto più fluido. Se il sistema immunitario riceve più stimoli verso la stessa malattia, l’efficacia diventa maggiore, dichiarano alcuni esperti. Franco Locatelli, coordinatore del Comitato tecnico scientifico, ha spiegato che gli studi in realtà prevedono due dosi di vaccino uguali, ma ci “sono tutti i presupposti teorici e reali dall’immunologia per ipotizzare che combinare due tipologie di vaccini non porti alcun detrimento se non qualche vantaggio“. Guido Rasi, ex direttore generale dell’Agenzia europea del farmaco (Ema) e consulente del commissario straordinario Francesco Figliuolo, ha dichiarato che la vaccinazione eterologa è una “soluzione ottimale“. Anche il virologo Fabrizio Pregliasco è d’accordo con la decisione del Cts, che secondo lui è un elemento di rassicurazione per diminuire i rischi.

Vaccinazione eterologa: gli esperti contrari

Ci sono altri esperti che sono contrari a questa decisione, come Massimo Andreoni, virologo e direttore di Infettivologia al Policlinico Tor Vergata di Roma. Il medico ha espresso dei dubbi molto significativi, spiegando che la creazione di questo mix di vaccini può essere scelta solo se il soggetto, dopo la prima somministrazione di AstraZeneca, ha manifestato disturbi neurologici. Farlo a tutti, senza nessun tipo di differenza, potrebbe essere esagerato e si correrebbe il rischio di avere conseguenze sconosciute. Anche Andrea Crisanti dell’Università di Padova è dello stesso parere. Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe, pensa che non ci siano abbastanza studi a riguardo.

Ilaria Sacchettoni per il "Corriere della Sera" il 18 giugno 2021. Dopo il grido d' allarme lanciato dai medici di base - «Stiamo buttando via le dosi di AstraZeneca» - interviene la magistratura contabile. La procura regionale della Corte dei Conti ha avviato una ricognizione sulla distribuzione dei vaccini agli under sessanta. I magistrati guidati da Pio Silvestri interloquiranno con il ministero della Salute e la Regione per avere conferme: davvero, nel pieno della campagna vaccinale si stanno gettando via preparati? Secondo e più complesso interrogativo: Quanto minaccia di costarci lo spreco di vaccini? Per arrivare a un punto fermo i pm contabili potrebbero, intanto, acquisire documentazione presso le istituzioni competenti. E questo sembra essere il primo passo. Poi, secondo le risposte che otterranno, potrebbero delegare alla polizia giudiziaria ulteriori approfondimenti. Al momento l'avvio di una istruttoria scaturisce da notizie apprese sulla stampa (il Corriere della Sera che giovedì dava conto delle dichiarazioni dei medici di base) ma in seguito potrebbero arrivare degli esposti circostanziati sulla questione. Benché molto prudenti i pm di via Baiamonti guardano con preoccupazione allo stop and go vaccinale nei confronti del farmaco anglo-svedese. Tuttavia non possono ignorare l'affermazione rivolta all' opinione pubblica dal vicesegretario della Fimmg, Pier Luigi Bartoletti: «Purtroppo alcuni dottori hanno dovuto buttarle da quando sabato è arrivata la circolare che raccomandava l'utilizzo di Vaxzevria (cioè AstraZeneca, ndr ) solo per gli over 60». Parole che alludono a un corto circuito istituzionale. Sulla questione è intervenuta la Regione: «Nessun presunto esubero di dosi di vaccino, non c' è motivo di sprecarle, poiché i medici di base sanno benissimo che basta restituirle alla farmacia ospedaliera o delle Asl». A garantire l'assenza di fiale smaltite è la stessa Regione, che sottolinea di avere in giacenza 94.025 dosi di AstraZeneca, utili ai richiami per gli over 60, 185 mila tra giugno e luglio. Ma il problema dei flaconcini dispersi del siero per le nuove disposizioni del ministero della Salute resta un nodo per i dottori di famiglia, alle prese con altri ostacoli delle vaccinazioni eterologhe. I bugiardini dei farmaci infatti - vincolanti per i medici - vietano il mix dei richiami. «Per evitare il caos nelle vaccinazioni è prioritario il tema sicurezza ma anche il buon senso - dichiara Bartoletti -. Nei nostri studi c' è grande confusione. I richiami a persone sotto i 60 anni devono essere rimandati e riprogrammati, e quelli sopra i 60 può capitare non siano in numero adeguato alle dosi disponibili. I medici hanno in frigorifero al massimo una fiala e dunque ogni singola dose è preziosa. Il rischio di sprechi, benché limitato, è però una possibilità reale». La Federazione medici ribadisce le contraddizioni attuali: da un lato l' Ema conferma che AstraZeneca è utilizzabile dai 18 anni in su, dall' altro Aifa precisa come i casi di trombosi siano rari nelle prime dosi ma ancora più esigui nelle seconde, contestualmente però prescrive di completare il ciclo degli over 60 anni con Pfizer o Moderna.

Bassetti attacca Speranza: "Scandaloso..." Francesca Bernasconi il 16 Giugno 2021 su Il Giornale. Il ministro della Salute ha dichiarato di non aver ancora ricevuto la dose del vaccino. L'ira del virologo: "Doveva dare l'esempio con Astrazeneca". "Forse dovrebbe dimettersi". Così, l'infettivologo Matteo Bassetti si scaglia contro il ministro della Salute, Roberto Speranza, colpevole di non aver ancora effettuato il vaccino anti-Covid. E attacca: "È scandaloso. Doveva dare l'esempio". La situazione non ha lasciato indifferente l'infettivologo Matteo Bassetti, direttore della Clinica di Malattie infettive dell'ospedale San Martino di Genova: "Il fatto che il ministro della Salute non sia vaccinato è scandaloso- ha commentato ad AdnKronos-Primo perché mi pare che come età rientri in quella fascia di popolazione che doveva vaccinarsi e secondo perché doveva dare l'esempio con AstraZeneca, che i suoi tecnici avevano tanto raccomandato". E aggiunge un'altra stoccata: "Un ministro della Salute che non si vaccina durante la più grande campagna vaccinale della storia è allucinante e forse dovrebbe dimettersi". La campagna vaccinale, ricorda Bassetti, "è iniziata il 27 dicembre" e a distanza di mesi al ministro della Salute non è ancora stata iniettata la prima dose: "Cosa devono pensare le persone?- attacca l'infettivologo- Poi uno si chiede perché veniamo attaccati noi medici sui social. La gente scarica su di noi la rabbia perché vede che un ministro quarantenne ancora non si è vaccinato. Mentre doveva essere il primo a metterci il braccio". A far infuriare Bassetti è stata una dichiarazione rilasciata dallo stesso ministro in un'intervista alla Stampa, in cui specificava di non essersi ancora fatto somministrare uno dei sieri anti-Covid, salvo poi ribadire l'importanza della campagna vaccinale. "I vaccini sono la chiave per aprire una fase nuova", ha detto Speranza nel corso dell'intervista, ricordando ancora una volta il punto fisso che da mesi sostiene la strategia governativa volta a sconfiggere definitivamente il pericolo legato alla pandemia da nuovo coronavirus. Ma in un'Italia in cui la campagna vaccinale procede a pieno ritmo c'è chi ancora non si è fatto somministrare uno dei sieri sviluppati per fermare la diffusione del nuovo Coronavirus. Nei giorni scorsi, qualcuno aveva provato a far alzare la polemica sulla mancata vaccinazione di Matteo Salvini, leader della Lega, che aveva dichiarato di avere in programma il vaccino per giugno. "Mi sono iscritto sul portale della Regione Lombardia e mi hanno fissato l'appuntamento per fine giugno- aveva rivelato a Stasera Italia su Retequattro, specificando- Non sono solito scavalcare la coda, nè all'Esselunga, nè all'ospedale". Con queste parole Salvini aveva bloccato la bufera. Ma chi guardava al leader della Lega non ha notato che anche Roberto Speranza mancava all'appello dei già vaccinati: un comportamento definito "scandaloso" da Bassetti, che precisa come "personaggi pubblici con un ruolo nella sanità, come un ministro, dovrebbero dare l'esempio in un momento così difficile. Avrà seguito i canali ufficiali, ma è un fatto di opportunità". In serata, il ministro Speranza ha annunciato la somministrazione del vaccino e, per spegnere le polemiche ha postato su Facebook una foto e un commento: "Grazie al mio Medico di Famiglia che oggi, nel suo studio, mi ha somministrato la prima dose di vaccino". Secondo quanto riporta il Corriere della Sera, i collaboratori del ministro avrebbero concluso: "Nessun mistero, nessuna dietrologia. Speranza, che ha 42 anni, ha fatto la fila come tutti gli italiani, si è prenotato quando il commissario Figliuolo ha aperto la vaccinazione per tutte le fasce d’età e ha seguito le indicazioni del medico di base".

Francesca Bernasconi. Nata nel 1991 a Varese, vivo tra il Varesotto e Rozzano. Mi sono laureata in lettere moderne e in scienze della comunicazione. Arrivata al Giornale.it nel 2018, mi occupo soprattutto di cronaca, ma mi interesso di un po' di tutto: da politica e esteri, a tecnologia e scienza.

AstraZeneca, l'ex dg dell'Aifa contro la scelta dell'ente: "Mix di vaccini? Inspiegabile e pericoloso, ecco cosa si rischia". Libero Quotidiano il 16 giugno 2021. L’autorizzazione dell’Aifa “al mix vaccinale è incomprensibile e irrazionale. Una scelta basata su studi e dati deboli e rischia di rivelarsi presto un pericoloso boomerang”. Lo scrive sul Foglio Luca Pani, ex direttore generale dell’Agenzia italiana del farmaco Aifa, oggi docente alla University of Miami negli States e a Modena in Italia. “Il comunicato e la decisione della Cts dell’Aifa sono inspiegabili e incomprensibili pur con tutta la buona volontà di immedesimarsi nei ragionamenti di una Commissione di cui ho fatto parte per un quinquennio”, osserva Pani. “Non ci si capisce più niente, meno il fatto che una pezza sopra l’altra hanno trasformato la saga AstraZeneca in un mostro figlio della paranoia e dell’avversione alla responsabilità. Il danno più preoccupante – rimarca Pani – è la gravissima perdita di credibilità delle agenzie regolatorie dei medicinali che dovrebbero promuove e proteggere la salute umana grazie all’uso corretto dei prodotti farmaceutici". "L’Ema (Agenzia europea dei medicinali), visti i molti elementi di disinformazione in merito alla valutazione scientifica del vaccino incriminato, è stata costretta a ribadire che il rapporto rischi-benefici resta positivo confermando il valore della sua autorizzazione per tutta la popolazione, indipendentemente dall’età. La frittata era però già fatta, soprattutto nel nostro paese – continua l’ex direttore generale dell’Aifa – grazie a un articolo che aveva citato erroneamente uno degli stessi esperti Ema e quindi la notizia andava rettificata in modo che le vaccinazioni, soprattutto quelle con AstraZeneca, di cui abbiamo milioni di dosi inutilizzate, potessero riprendere speditamente. Andavano poi non abbandonati nel limbo di una indecisione angosciante le centinaia di migliaia di pazienti che attendono la seconda dose, da mesi. Non la deve aver pensata allo stesso modo la nostra Agenzia italiana del farmaco (Aifa) che il giorno dopo l’annuncio dell’Ema, ha approvato invece in tutta fretta un protocollo di vaccinazione mista (AstraZeneca prima e vaccini mRna poi) per i cittadini con meno di sessant’anni”, ha concluso Pani.

Sospendere AstraZeneca: una decisione politica di cui la comunità scientifica non vuole prendersi la responsabilità. Giuseppe Gaetano l'11/06/2021 su Notizie.it. Ora da “consigliato” agli over 60 è passato a “sconsigliato” agli under: tradotto, significa vietato tout court ai più giovani. Un alt più politico che scientifico. Le tante regioni fin qui ricorse ad AstraZeneca sotto i 60 anni non ci stanno a passare per irresponsabili: Ema, Aifa, Cts, Ministero e comunità scientifica sono sempre stati tutti d’accordo nella possibilità e, anzi, nell’opportunità di somministrarlo a ogni età per uscire in fretta dall’incubo Covid. Solo che la fretta non sempre è buona consigliera e, in questo caso, ha fatto piombare milioni di italiani in un altro incubo: quello del dubbio di aver ricevuto il siero giusto, e con quale farà il secondo e terzo richiamo. È vero che finora si è registrata nessuna trombosi dopo le seconde dosi AstraZeneca, ma è anche vero che ne sono state iniettate infinitamente meno rispetto alle prime. Anche per i giovani i benefici superano i rischi? Potrebbe rivelarsi addirittura peggio cambiare marca? Dubbi destinati a restare insoluti perché, al di là delle ennesime istruzioni per l’uso, mancano ancora ricerche estese e documentate: non era possibile aspettare i tempi della scienza, mentre il virus continuava a fare strage nel mondo. Da qui il solito ordine sparso da Italia dei comuni: mentre Friuli, Veneto, Marche, Puglia e Sardegna s’affrettano a sottolineare di non aver mai praticato AstraZeneca sotto i 60 anni (nonostante non fosse mai stato vietato sotto tale soglia) in altre regioni – anche per necessità di smaltirlo – se n’è abusato, scendendo fino a 18 anni. Aspettando numi da Roma sette regioni, tra cui Lazio e Sicilia, hanno bloccato in extremis l’ennesimo Open Day mentre era in corso. Nell’ordinanza di stop, Palazzo d’Orleans scrive perfino che il dietrofront arriva “alla luce delle recenti notizie di stampa relative alle posizioni assunte dal presidente del Comitato tecnico in riferimento al bilancio rischi-benefici”. Se i giornali non avessero sollevato il problema, sarebbero andati avanti tranquillamente fino a domenica. Nessun alert era né sarebbe ancora giunto da Roma, se qualche assessore non avesse letto i siti: si naviga inseguendo articoli e interviste dei media, anziché telefonare a Palazzo Chigi. Ma i governatori, giustamente, se ne lavano le mani: gli Open Day volontari sono stati autorizzati dal governo e l’inoculazione agli over 60 è stata sempre e soltanto una “raccomandazione”. E tale resta, in sostanza, nelle nuove indicazioni operative: nessun ente può tramutarla unilateralmente in “divieto”, dopo un decesso e un malore sospetti, senza ulteriori studi che provino un nesso col vaccino. Certo non li avranno fatti in questi tre giorni. Ora da “consigliato” agli over 60 è passato a “sconsigliato” agli under: tradotto, significa vietato tout court ai più giovani. Un alt più politico che scientifico, perché di fatto sconfessa quanto strenuamente assicurato e ribadito fino a ieri, cioè che l’iniezione agli ultra 60enni era solo un trascurabile “suggerimento”. Era una pia illusione aspettarsi che le ambiguità venissero sciolte ora, una volta per sempre. Come fa a dissipare i dubbi degli altri chi ne è pieno? Inutile attendersi che le autorità sanitarie nazionali si assumano una responsabilità che, scientificamente, non possono prendersi. Lo stop, ripetiamo, è politico. Ma a Roma non hanno calcolato che potrebbe rivelarsi controproducente rispetto all’obiettivo di soffocare sul nascere il nuovo focolaio di psicosi verso un siero che cambia destinatario in continuazione. Quanti adesso, tra gli under 60 che l’hanno ricevuto, vivranno le prossime settimane col fiato sospeso, nell’ansia che possa prendergli un colpo da un momento all’altro? E quanti, tra gli stessi ultra 60enni ancora non immunizzati, se la sentiranno di porgere il braccio all’ago? Che l’AstraZeneca con cui sono stati protetti milioni di italiani e decine di milioni di persone all’estero sia valido ed efficace lo dimostrano gli stessi bollettini pomeridiani: senza, con le libertà attuali, da tempo saremmo tornati in zona rossa o arancione. Ma la diffidenza dell’opinione pubblica è ormai irrecuperabile: il calvario mediatico su controindicazioni, effetti collaterali e decessi ha raggiunto dimensioni insormontabili. Vano opporre la matematica al sentimento irrazionale, contrastare l’emotività con le statistiche, secondo cui le vaccinazioni hanno già salvato almeno 10mila italiani. “Un caso di trombosi ogni 100mila dosi” riporta il rapporto Aifa: poco? Andatelo a dire a quel caso, a cui è capitata. Se dev’essere una decisione politica, allora meglio proibire AZ del tutto. Con oltre 40 milioni di cittadini che hanno fatto almeno una puntura, i rifornimenti regolari e gli altri sieri allo studio, la campagna ha raggiunto uno stadio per cui, forse, si può anche fare a meno di rischiare. Va bene liberarsi dal Covid, però anche dallo stress e dall’angoscia verso questo vaccino maledetto, nato storto e sfortunato fin dall’inizio.

Otto e Mezzo, la sconcertante risposta di Bersani a Lilli Gruber: "No, ecco chi è Roberto Speranza". Oltre il ridicolo. Libero Quotidiano il 14 giugno 2021. Siamo a Otto e Mezzo, il salottino tendenza-sinistra di Lilli Gruber in onda su La7, la puntata è quella di lunedì 14 maggio. Il tema? Il vaccino, i dubbi su AstraZeneca e i timori suscitati dalle ultime decisioni prese sulla campagna vaccinale. Ospite in studio ecco Pier Luigi Bersani, esponente di Mdp-Articolo 1, lo stesso partito del ministro della Salute, Roberto Speranza. E proprio contro Speranza, addirittura la Gruber, in modo neppure troppo implicito, punta il dito. Infatti chiede a Bersani: "Oggi Ema ha detto forte e chiaro che AstraZeneca va bene per tutti, anche per gli under-60. Ma il governo ha confermato il divieto, le regioni vanno un po' per conto loro... non sarà che Roberto Speranza sta accumulando un po' troppi errori?". Ma il presunto smacchiatore di giaguari, ovviamente, fa quadrato attorno al titolare della Salute. Insomma Bersani si esercita nella nobile arte di difendere l'indifendibile: "No, il ministro Speranza, nel giorno in cui passiamo in zona bianca quasi tutti, è il capitano che ci porta fuori dalla tempesta. Credo che qualche merito gli vada dato", rimarca. Già, "il capitano che ci porta fuori dalla tempesta". Ci sarebbe da ridere per non piangere. A quel punto la Gruber insiste, fa notare che "sì... ma è stata fatta tanta confusione". Bersani però non arretra: "La confusione non c'è solo in Italia. Io dico che la vaccinazione avviene in tempo reale, anche la comunità scientifica si muove per acquisizioni successive. Il governo fa riferimento a un luogo tecnico, il Cts, che ha preso delle decisioni che il governo rispecchia. Poi credo anche io che quel che dice l'Ema debba fare testo", conclude Bersani.

Mezz'ora in più, la fucilata di Lucia Annunziata ad Andrea Crisanti: "Spero di non rivederla mai più", lui senza parole. Libero Quotidiano il 14 giugno 2021. Un addio freddo, gelido, quello che Lucia Annunziata riserva ad Andrea Crisanti. Il professore di Microbiologia dell'università di Padova è stato ospite di Mezz'ora in più su Rai3, dove è tornato a parlare di quello che lui definisce "un pasticcio". Ossia l'ulteriore stop di AstraZeneca agli under 60. Ed è stato proprio nel momento dei saluti che la conduttrice ha esclamato fuori dai denti: "Vorrei non rivederla ma non succederà". Una frase che ha lasciato il professore di stucco: "Mamma mia...". Parziale la correzione della Annunziata che ha spiegato meglio: "Per lo meno in altre occasioni". "Ma sì, un augurio", l'ha presa sul ridere Crisanti. Poco prima il professore aveva rilanciato le pesanti critiche sulla gestione del caso AstraZeneca: "A questo pasticcio che è stato fatto si cerca di rimediare proponendo la doppia vaccinazione. Personalmente penso che dal punto di vista immunologico scientifico non ci dovrebbero essere problemi, ma rimane il fatto che implementiamo una misura che dal punto di vista sperimentale non è supportata da dati". Il vaccino per Crisanti rimane comunque "lo strumento fondamentale per uscire dalla crisi": "Se oggi non li avessimo saremmo nella stessa situazione di un anno fa". Ma "è stato fatto un gravissimo errore di comunicazione; l’errore fondamentale è stato il non dire: ’Questi vaccini vengono approvati in via emergenziale', quindi quello che dicono Aifa ed Ema non sono le tavole della legge, ma significa che via, via che si accumulano dati, noi cambieremo le indicazioni". Una frecciata al ministero della Salute e al Cts che hanno consentito ai più giovani la somministrazione del siero anglo-svedese: "I vaccini ai giovani non si sarebbero dovuti dare; questa è una situazione nella quale non ci saremmo dovuti trovare. Perché "le indicazioni del Cts e di Ema erano chiare, ’preferenzialmente agli over 60'". Le alternative c'erano. A pagare il caro prezzo una 18enne di Genova, Camilla Canepa, deceduta dopo una trombosi. 

La decisione dopo l'escalation di insulti. Bassetti sotto scorta per le minacce dei No Vax: “Sono schifato ma non indietreggio di un millimetro”. Carmine Di Niro su Il Riformista il 14 Giugno 2021. Matteo Bassetti finisce sotto scorta. Al professore ordinario di Malattie infettive a Genova, 50 anni, è stata assegnata dal Comitato Provinciale per l’Ordine e la Sicurezza Pubblica una “scorta dinamica”, ovvero una protezione non continuativa ma che lo seguirà da vicino in tutti i suoi spostamenti. Ad annunciarlo è stato lo stesso medico che, ovviamente, dallo scoppiare della pandemia e dall’arrivo lo scorso dicembre dei primi vaccini si è speso in prima persona in una campagna mediatica a favore della campagna vaccinale. Una colpa, secondo il popolo no vax che soprattutto sul web lo ha preso di mira con insulti irripetibili e, in alcuni casi, con vere e proprie minacce di morte. Troppo per il Comitato Provinciale per l’Ordine e la Sicurezza Pubblica che ha deciso quindi di assegnare una scorta a Bassetti, volto noto anche per la sua presenza in televisione. Su Facebook Bassetti aveva scritto nei giorni scorsi che ormai da settimane stava assistendo “ad un incremento esponenziale di insulti e minacce di morte nei miei confronti”, riportando con alcuni screenshot le immagini delle offese subite. “Siamo tutti esausti e provati da questa pandemia e dagli eventi degli ultimi giorni – ammette Bassetti – ma l’intolleranza, espressa con minacce di morte ed ogni tipo di epiteto violento, verso chi la pensa diversamente o cerca di dare il proprio contributo scientifico non può essere tollerata né giustificata. Ugualmente, a maggior ragione, non possono essere più giustificati coloro che fomentano odio “abusando” della propria penna e della propria posizione di comunicatori, più o meno influenti, su social e quotidiani”, era il messaggio del professore di Malattie infettive. Un messaggio simile era arrivato anche venerdì scorso, quando Bassetti aveva denunciato il clima d’odio e i messaggi che gli erano arrivati dopo un attacco organizzato da un gruppo di no vax. Oltre 1500 i messaggi ricevuti, tutti uguali e con lo stesso simbolo: “una W rossa che ricorda un simbolo di associazioni criminali. Hanno insultato me, la mia famiglia, il mio lavoro e tutte le istituzioni sanitarie italiane e internazionali. Sappiano questi asini, troll e leoni da tastiera che io non indietreggio di un solo millimetro dalle mie posizioni a favore dei vaccini e della Scienza. La loro ignoranza e lontananza dalla scienza vera mi conferma di essere sulla giusta strada. I messaggi utilizzati denotano violenza e modi terroristici che devono essere perseguiti per legge. Sono schifato”.

Carmine Di Niro. Romano di nascita ma trapiantato da sempre a Caserta, classe 1989. Appassionato di politica, sport e tecnologia

Pfizer seconda dose, Bassetti: "Botta di anticorpi contro varianti". Il Tempo il 5 giugno 2021. "Dobbiamo guardare al fatto che noi in Italia siamo stati rigidi con la seconda dose Pfizer fatta al massimo 42 giorni dalla prima e questo, come ha dimostrato lo studio su 'Lancet', dà una botta di anticorpi tale per cui il vaccino copre tutte le varianti. Stiamo tranquilli, sono vaccini che funzionano molto bene anche contro le varianti saltate fuori nell'ultimo periodo. Quattro mesi fa c'era chi diceva che non avrebbero funzionato, invece no. Diamo ancora più forza a questi vaccini che sono la risposta alla pandemia: sono stati prodotti un anno fa e ancora funzionano alla grande". Lo sottolinea all'Adnkronos Salute Matteo Bassetti, direttore della Clinica di Malattie infettive dell'ospedale San Martino di Genova, commentando lo studio su Lancet che ha evidenziato come due dosi del vaccino anti-Covid di Pfizer/BioNTech inducono anticorpi che neutralizzano tutte le varianti di Sars-CoV-2, mentre una sola no. "In Gran Bretagna - ricorda Bassetti - dove in questo momento c'è un aumento dei casi legato alla diffusione della variante indiana, l'effetto della copertura dei vaccini potrebbe essere stato limitato dall'aver scelto di fare a tutti una sola dose e molti contagi potrebbero essersi verificati tra la prima dose e il richiamo. Ma nel nostro Paese dobbiamo stare tranquilli".

Matteo Bassetti denuncia: "Minacciato di morte, vivo scortato". Chi lo intimorisce “1700 volte ogni due ore”. Alessandro Gonzato su Libero Quotidiano il 13 giugno 2021.

«Sono sotto attacco! 1.700 messaggi d'odio in due ore: minacce di morte a me, a mia moglie, ai miei figli. Mi dicono che sono un nazista, che mi aspetta un'altra Norimberga, mi vogliono appendere a testa in giù... Si rende conto a che punto siamo arrivati?».

Cosa sta succedendo? Chi la minaccia? Ci spieghi...

«I no-vax! Si firmano con una doppia "v" rossa, sono frasi di stampo terroristico, dalle 11 di sera all'una di notte sulla mia pagina Facebook è stato un continuo. Sa che vivo sotto protezione da mesi?».

Ha la scorta?

«Tecnicamente è una sorveglianza attiva, davanti a casa e all'ospedale».

L'ospedale è il San Martino di Genova, dove il professor Matteo Bassetti è direttore della Clinica di Malattie Infettive. Al San Martino è morta di trombosi la povera Camilla: due settimane prima era stata vaccinata con Astrazeneca nel proprio comune, Sestri Levante, nel corso di un open day.

«Sulla vicenda ho una mia idea ma non dico niente perché c'è un'indagine. Però è incredibile che ci sia gente pronta a vomitarmi addosso di tutto non appena c'è il sospetto che qualcosa nella vaccinazione sia andato storto. Cosa c'entro io? È colpa mia se su milioni di iniezioni in Italia e nel mondo una va storta? E non mi riferisco al caso specifico, lo ripeto».

Camilla aveva poche piastrine e seguiva una terapia ormonale: sono elementi che uniti ad Astrazeneca aumentano il rischio di effetti collaterali?

«Davvero: non voglio interferire. Però le dico un'altra cosa secondo me altrettanto importante».

Prego.

«Concentriamoci di più sulle anamnesi, parlo in generale, sulle patologie pregresse e in corso di chi riceve il vaccino. Ha poco senso dire "questo va dato sopra i 60 anni, questo sotto, questo è consigliato per i ragazzi". E mi rivolgo anche ai lettori: non abbiate paura di rompere le palle al medico. Spiegategli tutto per filo e per segno».

Contesta la decisione del comitato tecnico -scientifico di vietare Astrazeneca sotto i 60 anni di età?

«Se analizziamo i dati Astrazeneca è sicuro ed efficace, d'altronde ci sono Paesi che l'hanno utilizzato in larghissima scala, penso all'Inghilterra, e la percentuale degli effetti collaterali gravi è stata dello zero virgola zero -zero qualcosa, come da noi del resto. Attorno a questo vaccino però ormai c'era un tale scetticismo che non aveva senso continuare a insistere. Il Cts, che ho spesso criticato ma stavolta per me ha usato il buonsenso, di fatto ha decretato la fine dei vaccini a vettore virale, quindi anche di Johnson&Johnson».

Ci faccia capire: lei dice che è stato giusto limitare fortemente un vaccino che funziona e che non è più pericoloso d'altri?

«No: si fermi. Mia nipote, che ha 25 anni e non prende la pillola anticoncezionale, è stata vaccinata in un "open day" con Astrazeneca, e gliel'ho consigliato io. E vorrei ricordare che io l'avevo detto fin da subito, sui giornali e in tivù, che l'interazione con la pillola poteva creare problemi. La scelta del Cts è stata più politica che altro, ma ripeto che ormai erano sempre meno quelli disposti a farsi iniettare Astrazeneca. Aggiungo che non ha senso il continuo balletto sulle fasce d'età: stoppiamolo per tutti e bella finita. Concentriamoci su quelli a "mRna", ossia Pfizer, Moderna e quando arriverà Curevac».

Ma così la campagna vaccinale non rischia di rallentare nuovamente?

«Fosse successo 3-4 mesi fa le avrei risposto di sì. In questo momento non vedo grandi problemi perché è già stata immunizzata una parte significativa di popolazione e non c'è la corsa contro il tempo per vaccinare gli adolescenti, a differenza di ciò che abbiamo dovuto fare con gli anziani».

Perché si parla solo degli effetti collaterali di Astrazeneca e non degli altri vaccini?

«Astrazeneca dà una botta di anticorpi maggiore, più protezione rispetto agli altri nell'immediatezza della dose, e questa botta può causare eventi avversi come febbre e malessere più che con Pfizer o Moderna. Comunque vedremo fra 3-4 settimane cosa dirà chi per mesi ha demonizzato questo vaccino...».

Perché: cosa succederà fra 3-4 settimane?

«Crede che tolto di mezzo Astrazeneca non ci saranno più effetti collaterali?».

Tutto quello che c'è da sapere. Chi è a rischio trombosi? Dopo il vaccino quali sono i sintomi a cui fare attenzione? Elena Del Mastro su Il Riformista l'11 Giugno 2021. Per quanto abbia dato un importante impulso alla campagna vaccinale a livello globale, il vaccino AstraZeneca continua a d essere al centro della bufera. Dopo la morte della 18enne ligure, Camilla Canepa, dopo aver ricevuto la prima dose di AstraZeneca l’allarme torna. E anche i dubbi e le perplessità dei cittadini.

Chi è più a rischio di sviluppare trombosi dopo il vaccino?

Ad aprile l’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) ha emanato una raccomandazione, non un obbligo stringente, di utilizzo dei vaccini a vettore virale in persone sopra i 60 anni. Inizialmente Vaxzevria era stato consigliato solo per gli under 55. “L’autoimmunità è più frequente nelle giovani donne e l’incidenza della Vitt (vaccine-induced immune thrombotic thrombocytopenia) conferma questa caratteristica — afferma Pier Mannuccio Mannucci, ematologo e membro della commissione Aifa per la valutazione del rischio trombosi associato ai vaccini anti Covid intervistato dal Corriere della Sera —. Generalmente le malattie autoimmuni hanno due picchi, nell’età giovanile e in quella senile. In questo caso invece, tranne rari casi, le trombosi rare non colpiscono gli anziani”.

A quali sintomi fare attenzione dopo il vaccino?

Annalisa Capuano, Farmacologo clinico presso AOU “Luigi Vanvitelli” di Napoli, Professore Ordinario (Università degli studi della Campania “L. Vanvitelli”) e responsabile centro farmacovigilanza della Regione Campania ha spiegato al Riformista i sintomi della trombosi. “Secondo quanto riportato dall’Agenzia Italiana del Farmaco, è necessario consultare immediatamente il medico se si manifesta uno dei seguenti sintomi entro 3 settimane dall’iniezione: mancanza di respiro, dolore al petto, gonfiore alle gambe, dolore alle gambe, dolore addominale (mal di pancia) persistente e sintomi neurologici, come mal di testa grave e persistente, visione offuscata, confusione o convulsioni, lividi cutanei insoliti o petecchie individuate al di fuori del sito di iniezione”.

Quando possono manifestarsi i sintomi di trombosi dopo il vaccino?

Il ministero della Salute in una nota informativa ha spiegato la correlazione tra il vaccino AstraZeneca e la possibilità che questi possano provocare trombosi. “In seguito alla somministrazione di Vaxzevria sono stati osservati molto raramente coaguli di sangue – si legge nella nota – spesso in siti insoliti (ad es. cervello, intestino, fegato, milza), in associazione a bassi livelli di piastrine, in alcuni casi con la presenza di sanguinamento. Questa condizione includeva casi gravi con coaguli di sangue in siti diversi o insoliti come pure coagulazione o sanguinamento eccessivi in tutto il corpo”. La maggior parte di questi casi si è verificata nei primi quattordici giorni successivi alla vaccinazione e si è verificata principalmente in donne sotto i 60 anni di età. In alcuni casi questa condizione ha provocato morte.

Esistono terapie efficaci contro le trombosi dopo il vaccino?

È importante che il disturbo sia trattato rapidamente: il protocollo prevede la somministrazione di immunoglobuline e anticoagulanti. La Vitt è molto simile clinicamente alla “trombocitopenia autoimmune indotta da eparina”: ecco perché questo farmaco non può essere utilizzato nelle trombosi post-vaccino.

Dopo la prima dose di AstraZeneca si può cambiare vaccino?

Gli under 60 che hanno ricevuto la prima dose del vaccino AstraZenca possono fare anche il richiamo, sempre con il siero dell’azienda anglo-svedese. A rassicurare gli italiani è stato il ministro della Salute Roberto Speranza durante il Question time al Senato rispondendo all’interrogazione sulla realizzazione dei recenti Open-day che hanno riservato il vaccino AstraZeneca a soggetti giovani.

“L’Ema ha raccomandato che l’uso di AstraZeneca durante la campagna di vaccinazione a livello nazionale tenesse conto della situazione pandemica e della disponibilità dei vaccini nelle singole nazioni. Il 7 aprile 2021 il ministero della Salute, mediante una circolare oggi vigente, ha raccomandato un uso preferenziale di questo vaccino nelle persone di età superiore a 60 anni sulla base delle attuali evidenze e tenuto conto del basso rischio di reazioni avverse di tipo tromboembolico a fronte dell’elevata mortalità di Covid-19 nelle fasce di età più avanzate. A fine aprile – ricorda – l’Ema ha concluso una ulteriore valutazione analizzando i benefici e rischi del vaccino nelle diverse fasce di età e in diversi scenari epidemiologici. L’esito ha dimostrato che i benefici della vaccinazione aumentano con l’aumento dell’età e del livello di circolazione del virus. Tali dati sono stati valutati dall’Aifa ed è stato ribadito che il profilo beneficio-rischio risulta progressivamente più favorevole all’aumentare dell’età. L’effetto è tanto più marcato in una condizione di diminuita incidenza dell’infezione. L’Italia nelle ultime settimane è passata ora a un livello di circolazione basso. Queste valutazioni saranno sicuramente considerate nel prossimo parere del Cts”.

Quante reazioni avverse dopo il vaccino sono state segnalate in Italia?

La Farmacovigilanza ha ricevuto segnalazioni di 45 casi di trombosi rare su quasi nove milioni di dosi di Vaxzevria. Secondo il quinto Rapporto sulla sorveglianza dei vaccini Covid, dell’Agenzia del farmaco, nel nostro Paese ci sono stati 328 decessi (dati 26 maggio), di cui 53 dopo Vaxzevria, 4 dopo Janssen (Johnson & Johnson) e 58 dopo Moderna. La maggior parte (213) è stata segnalata con Comirnaty (BioNTech/Pfizer), primo vaccino autorizzato e usato in quantità maggiori rispetto agli altri. Ma non sono stati osservati eventi trombotici con i vaccini a mRna. In Italia, in totale, sono state somministrate oltre 40 milioni di dosi.

Elena Del Mastro. Laureata in Filosofia, classe 1990, è appassionata di politica e tecnologia. È innamorata di Napoli di cui cerca di raccontare le mille sfaccettature, raccontando le storie delle persone, cercando di rimanere distante dagli stereotipi.

Da ilfattoquotidiano.it il 4 giugno 2021. Pensare alle persone “titubanti o non scolarizzate dal punto di vista informatico”. Ovvero a quelle 2,2 milioni di persone che hanno più di 60 anni che hanno non ha voluto o potuto prenotare il vaccino. Il commissario straordinario Francesco Paolo Figliuolo è tornato a insistere sulla necessità di raggiungere quella fetta di popolazione prioritaria per la somministrazione del farmaco anti-Covid, perché considerata a rischio malattia grave per fragilità o età anagrafica. “In questo momento, riguardo agli over 60, mancano 2 milioni e centosettantamila, sono ancora tanti. Un bel lavoro è stato fatto e dobbiamo ancora salire nelle percentuali”, ha detto a Elisir su Rai3. “Dobbiamo pensare a quelle persone che sono titubanti o non scolarizzate dal punto di vista informatico – ha aggiunto il generale – Ho detto alle regioni di cercarli, sia attraverso i loro team mobili sia attraverso quelli della Difesa”. I militari hanno infatti messo a disposizione 44 team, che “stanno operando con preciso mandato di andare a cercare fragili e over 60″. In giornata anche la Fondazione Gimbe aveva evidenziato come mancassero all’appello oltre 3 milioni di over 60 (dati all’1 giugno) suggerendo la strategia per raggiungerli. Tre le proposte: “Chiamata attiva, open day dedicati, comunicazione istituzionale dedicata”. Figliuolo è tornato anche sulle preoccupazioni legate alla disponibilità, soprattutto nelle fasce più giovani della popolazione, per la seconda dose nei mesi estivi, spiegando di aver “firmato una lettera per tutte le Regioni e le Province autonome, per dire di trovare delle soluzioni di massima flessibilità per le prenotazioni e penso in particolare alle classi più giovani, quelle che adesso cominceranno a girare per l’Italia”. Il commissario ha spiegato il concetto di massima flessibilità come la possibilità di “scegliere la data migliore già in fase di prenotazione con un numero verde o online, e poter spostare il richiamo nel range dei 42 giorni o delle 4-12 settimane”. Ovviamente, ha concluso, “nei tempi tecnici di riadeguamento dei sistemi informatici”.

Antonio Amorosi per "affaritaliani.it" il 28 maggio 2021. La tragica storia della star indiana Vivekh è il segno dei nostri tempi, con un effetto boomerang devastante sulla popolazione che lo Stato voleva convincere alla vaccinazione anti Covid. Il 15 aprile Vivekh (il nome vero è Vivekanandan), comico indiano (59 anni) di origini tamil con 220 film all’attivo a Bolliwood, personaggio televisivo conosciutissimo in India ma anche personalità sensibile ai temi sociali e ambientali e ambasciatore della salute per lo Stato Tamil Nadu, per sollecitare la popolazione all’inoculazione del vaccino si sottopone in diretta tv all’iniezione del Covaxin, vaccino indiano anti Covid simile al Sinovac cinese a base proteica. Di fianco ha le autorità nazionali del Tamil Nadu. Un gesto, aveva detto ai giornalisti, responsabile e da esempio, per incoraggiare la vaccinazione di massa perché il vaccino non fa differenza, “serve ai poveri come ai ricchi”. In India, con un miliardo e 300 milioni di abitanti, il processo di vaccinazione di massa intrapreso dalle autorità è più complesso che altrove. Il giorno dopo, il 16 aprile intorno alle 11, moglie e figlia, portano Vivekh in stato di incoscienza al pronto soccorso dell'ospedale SIMS di Chennai, metropoli da 7 milioni di abitanti. Il comico viene sottoposto ad angioplastica, a procedura di stent e a un supporto ECMO in terapia intensiva. Il giorno successivo Vivekh muore alle 4:35 del mattino per una trombosi. Un comitato per gli eventi avversi dopo l’immunizzazione da vaccino, composto da medici e scienziati nazionali, ha immediatamente comunicato che condurrà delle indagini dettagliate per verificare le cause della morte del comico. L'ospedale ha sostenuto che Vivekh è stato colpito da una sindrome coronarica acuta con shock cardiogeno e blocco del 100% di un vaso sanguigno. Secondo l’ospedale l’arresto cardiaco non sarebbe correlato al vaccino. Ma lo choc ha colpito il Paese. Migliaia di fan si sono scatenati sui social commentando molto negativamente la morte della star, con un effetto boomerang sulla vaccinazione. Le critiche sono diffuse a tutto il mondo delle istituzioni ma anche ai giornalisti, che da controllori e soggetti che si fanno domande su quanto accade, si sono trasformati in comunicatori delle agenzie governative. Infatti un vero dibattito sui sistemi sanitari, sui temi etici, le limitazioni delle democrazie, il diritto alla salute, l’armonizzazione tra diritto individuale e quello collettivo, quali strumenti utilizzare per sconfiggere l’attuale pandemia e perché non tutti i virus sono uguali non si è sviluppato neanche sui grandi media indiani. Come altrove non danno voce agli scienziati, ai medici, agli intellettuali ma anche ai giornalisti che esprimono dubbi sulla strategia di gestione dell’attuale pandemia e sull’uso in emergenza degli specifici vaccini anticovid come panacea di tutti i mali dei sistemi sanitari. Decine di fan, visto il divieto di assembramento, hanno preso parte alla cerimonia della polizia di Stato che ha salutato la salma cremata della star con 24 colpi d’arma sparati in aria. In migliaia si sono messi in fila per un saluto alla sua abitazione. Il governo del Tamil Nada ha affermato che il riconoscimento è stato un tributo a uno dei personaggi più amati e popolari del momento per il contributo apportato al mondo del cinema e alla società indiana. Infatti l'attore in vita era stato insignito di numerosi premi come il prestigioso Padma Snri e quello di miglior comico in film famosi di Bolliwood quali “Run”, “Anniyan” e “Sivaji”.

Alessandro Ferro per "ilgiornale.it" il 28 maggio 2021. Lisa Shaw, 44enne pluripremiata conduttrice radiofonica di un programma della BBC, è morta alcuni giorni aver ricevuto la seconda dose del vaccino AstraZeneca. I parenti accusano apertamente il siero anglo-svedese perché la donna è morta con problemi "collegati alla coagulazione".

"Il legame si rafforza". La donna ha iniziato a soffrire di gravi mal di testa una settimana dopo la somministrazione: secondo i parenti, "i suoi dolori erano collegati alla coagulazione", tanto che la donna si è ammalata gravemente pochi giorni dopo. La presentatrice della BBC Radio Newcastle e madre di un figlio è morta lo scorso venerdì all'ospedale Royal Victoria Infirmary della città inglese dopo essere stata curata in terapia intensiva per coaguli di sangue e sanguinamento alla testa. Colleghi e ascoltatori hanno reso omaggio a Shaw dopo l'annuncio della sua scomparsa durante un programma radiofonico della domenica mattina su Radio Newcastle. "I vantaggi di avere Oxford/AstraZeneca superano i rischi associati all'assunzione", aveva affermato l'Agenzia di regolamentazione dei medicinali e dei prodotti sanitari del Regno Unito (MHRA). La stessa, però, avrebbe ammesso che, sebbene non sia stato dimostrato che il vaccino causi coaguli, "il legame si sta rafforzando".

"Siamo devastati". "Siamo devastati e c'è un buco nelle nostre vite che non potrà mai essere colmato. La ameremo e ci mancherà sempre", ha dichiarato la famiglia alla BBC. "È stato un enorme conforto vedere quanto fosse amata da tutti coloro di cui ha toccato la vita, e in questo momento chiediamo la privacy per permetterci di soffrire come una famiglia". Come riportato dal canale tv inglese SkyNews, il medico legale di Newcastle, Karen Dilks, ha rilasciato un certificato provvisorio di morte che elenca una "complicanza della vaccinazione contro il virus AstraZeneca COVID-19" come considerazione. Sul caso è intervenuta l'MHRA dichiarando che "come per qualsiasi reazione avversa sospetta grave, i rapporti con esito fatale sono completamente valutati, inclusa una valutazione dei dettagli post-mortem, se disponibili. La nostra revisione dettagliata e rigorosa delle segnalazioni di coaguli di sangue che si verificano insieme alla trombocitopenia è in corso".

AstraZeneca e trombosi, eventi collegati. Il caso della sfortunata donna inglese si aggiunge ad altre morti sospette (con il passare del tempo sempre meno sospette), che collegano i decessi alla somministrazione del vaccino anti-Covid anglo-svedese: proprio ieri ci siamo occupati di una ricerca tedesca, ancora in fase di pre-stampa, che sostiene di aver trovato la causa che ha portato agli eventi tromboembolici nei vaccini con adenovirus, quindi AstraZeneca e Johnson&Johnson. Sempre secondo l'Agenzia di regolamentazione dei medicinali e dei prodotti sanitari del Regno Unito, che per primo ha iniziato la campagna di vaccinazione già a dicembre, stima che il rischio di un coagulo legato al vaccino sia di circa uno su 100mila per le persone di 40 anni ed il rischio di morte in tutte le fasce d'età è stato stimato di circa uno su un milione. A differenza dell'Italia, però, ai minori di 40 anni nel Regno Unito viene offerta un'alternativa al vaccino AstraZeneca dopo le segnalazioni di coaguli di sangue estremamente rari con piastrine basse. Ad oggi, il totale delle trombosi è di 309 casi su oltre 33 milioni di persone a cui è stato somministrato il vaccino.

Dagotraduzione da Fox5 il 27 maggio 2021. Un recente sondaggio Gallup ha stimato che più di 1 miliardo di persone in tutto il mondo non è disposta a ricevere il vaccino COVID-19 durante il primo anno della pandemia, rendendo più difficile raggiungere l'immunità di gregge. I ricercatori hanno intervistato persone in 116 paesi e hanno calcolato che solo il 68% degli adulti era disposto a farsi vaccinare, ben al di sotto della quota del 70-90% che gli scienziati ritengono necessaria per l'immunità. La quota in avanzo, il 32%, che corrisponde a 1,3 miliardi di persone, ha detto che per il momento non intende immunizzarsi. Il paese con la percentuale più alta di adulti disposti alla vaccinazione è il Myanmar (il 96%), quello con la percentuale più bassa il Kazakistan (25%). Nel complesso, i ricercatori hanno affermato che almeno 38 paesi raggiungerebbero l’immunità, con percentuali pari o superiori al 70%.  Lo studio ha evidenziato che le persone che vivono nell'Europa orientale e negli stati ex sovietici erano le meno inclini a ottenere il vaccino. Gallup ha anche sottolineato che lo studio è stato condotto durante il 2020 quando un vaccino non era prontamente disponibile e i paesi erano in diverse fasi della pandemia. Gli autori del sondaggio ritengono che gli atteggiamenti possano essere cambiati da allora, come nel caso degli Stati Uniti. Il sondaggio mondiale del 2020 ha mostrato che solo il 53% degli americani era disposto a ottenere il vaccino. Nel marzo 2021, quel numero è aumentato al 74%. In tutto il mondo, alcuni africani esitano a ottenere i vaccini COVID-19 tra le preoccupazioni sulla loro sicurezza, allarmando i funzionari della sanità pubblica poiché alcuni paesi iniziano a distruggere migliaia di dosi scadute prima dell'uso. I sospetti relativi ai vaccini sono stati ampiamente diffusi sui social media, guidati in parte da una generale mancanza di fiducia nelle autorità. Il ministro della salute dell'Uganda ha dovuto confutare le accuse di aver simulato di aver ricevuto un'iniezione, postando persino un video di sé stessa mentre riceveva l'iniezione su Twitter, insieme all'ammonimento: «Per favore, smettila di diffondere notizie false!» Austin Demby, ministro della salute della Sierra Leone, ha detto ai giornalisti la scorsa settimana che un terzo delle 96.000 dosi ricevute nel paese a marzo probabilmente non verrà utilizzato prima della scadenza, citando una mancanza di urgenza tra alcune persone che hanno deciso che COVID-19 «non è grave come l'Ebola», il virus che ha devastato il paese diversi anni fa.

Vaccino Covid, 5 milioni di italiani "in fuga". Da adnkronos.com il 19 maggio 2021. La corsa della campagna vaccinale a immunizzare il maggior numero di italiani deve fare i conti con uno zoccolo duro di connazionali 'in fuga' dal vaccino. Un gruppo eterogeneo di persone che, per diversi motivi, potrebbe anche non vaccinarsi mai contro il Covid. Una prima fotografia di questo fenomeno è stata fatta dal commissario straordinario all'emergenza, il generale Figliuolo a inizio maggio: "I no-vax nel Nord-Est del Paese sono il 18%, nelle altre Regioni siamo al 10-12%. Il fenomeno - spiegava in una intervista - è statisticamente rilevante se sale sopra il 5%". Gli italiani quindi che molto probabilmente non faranno il vaccino o aspetteranno fino all'ultimo sono circa 5 milioni, calcolando che sono 50 mln gli over 16. Ieri a Roma si è svolta una manifestazione no-vax che ha radunato migliaia di persone, anche medici, contrarie al vaccino Covid. L'ultimo di tanti eventi che ogni settimana si svolgono nelle piazze italiane. Accanto a questo fenomeno ci sono i dati rilevati al 17 maggio dalla Fondazione Gimbe, un indicatore di come questo zoccolo duro sia trasversale. Il report Gimbe che analizza l'andamento delle immunizzazioni ha rilevato che "il 22,6% della popolazione 70-79anni e il 9% degli over 80 non hanno ricevuto neanche una dose". In questa analisi "non sono noti i numeri sulle mancate adesioni e i rifiuti selettivi (ad esempio per AstraZeneca)", sottolinea la Fondazione Gimbe all'Adnkronos Salute. "Considerato che la campagna vaccinale sta entrando in una fase condizionata dall’adesione della popolazione, occorre integrare la prenotazione volontaria con un sistema a chiamata attiva - propone la Fondazione - coinvolgendo in maniera sistematica e capillare i medici di famiglia e mettendo in campo un’adeguata campagna di comunicazione istituzionale e strategie di persuasione individuale". I medici di famiglia si trovano a dover sopperire "ai limiti di una campagna vaccinale pensata per grandi numeri e non per le esigenze del singolo paziente magari anziano, fragile e solo - spiega all'Adnkronos Salute Pierluigi Bartoletti, segretario provinciale della Fimmg Roma, la Federazione dei medici di famiglia - Tra i miei 1.110 assistiti in questi mesi ho avuto a che fare solo con due no-vax. Se c'è una percentuale di persone esitanti o non registrate la colpa è del sistema dei grandi 'hub' molto rigido. Questi cittadini vivono lontano dai grandi centri vaccinali, sono soli e non hanno come spostarsi, spesso sono fragili e ancor più spesso non sono registrati nel sistema. Faccio un esempio, un cardiopatico che non ha la 104, non ha nessuna esenzione ed è quindi invisibile al sistema. Ho avuto tante segnalazioni di questi casi, persone rimaste indietro rispetto alla campagna di vaccinazione". Bartoletti segnala anche un problema che si sta verificando nel Lazio. "Se chiedono a me medico di famiglia di convincere questi pazienti dubbiosi al vaccino, perché li conosco bene e posso essere più convincente, mi devono però anche dare i vaccini - avverte - altrimenti, come accaduto con una anziana proprio ieri, l'ho convinta ma dopo non c'era più il vaccino disponibile e poi scopro che avevano organizzato un Open Day. Ecco questo magari non dovrebbe accadere: se mi vengono promesse 50 dosi, poi non ne posso avere 2". "In conclusione il modello "hub" paga in termini di numeri ma non di servizio - analizza Bartoletti - Noi siamo in prima linea dall'inizio e possiamo dare un grande contributo anche per arrivare là dove il sistema non riesce, ma dobbiamo essere messi nelle condizioni farlo nel migliore dei modi".

Vaccini milioni di dispersi (umani, non dosi). Evasione, elusione, isolamento e superstizione. Lucio Fero per blitzquotidiano.it il 19 maggio 2021. Vaccini, milioni di umani ad oggi assenti alla chiamata per vaccinarsi. La Repubblica li conteggia in quattro milioni di italiani, Il Sole 24 Ore riporta analisi più dettagliata e dettaglia appunto per fasce d’età: alla completa vaccinazione (due dosi) mancano ancora circa il 20 per cento degli over 80 anni e una buona metà degli over 70, peggio ancora tra i 60 e i 70 anni. D’altra parte i numeri sono chiari, espliciti e pubblici: quasi un terzo della popolazione complessiva vaccinata con una dose, circa il 15 per cento della popolazione vaccinata a tutto titolo immunitario (doppia dose).

Vaccini: vaccinazione va veloce ma va più veloce illusione sia tutto fatto. La vaccinazione di massa sta andando veloce, ma va ancora più forte l’illusione che ormai sia cosa fatta o quasi. Sotto questa illusione, c’è una realtà assai più complessa. Ci sono problemi, come è ovvio ci siano in una campagna di vaccinazione di massa. Problemi attesi, problemi inaspettati, problemi nascosti, problemi affrontabili e altri praticamente insormontabili.

Problema 70 per cento e non 30. Arrivare al 70 per cento della popolazione vaccinato entro settembre è possibile e lo si sta facendo. Il problema è che politici, categorie economiche e pubblica opinione cominciano ora che siamo al 30 per cento a ragionare, esigere, comportarsi come fossimo al 70 per cento.

Problema anziani dispersi al vaccino. Sono i quattro milioni di cui parla La Repubblica (ma possono essere due milioni se si parte dai 75 anni in su o 12 milioni se si calcola dai 60 anni in poi). Hanno avuto la possibilità di vaccinarsi, possono vaccinarsi ma non sono vaccinati e non si sono vaccinati. Perché?

Isolamento materiale e culturale. Una quota dei molti (troppi) anziani non ancora vaccinati vive in condizioni residenziali e/o familiari e culturali di fatto di isolamento. Soli e difficilmente raggiungibili. Hanno difficoltà o semplicemente non sanno accedere alle prenotazioni via web, nessuno lo fa per loro. Oppure hanno difficoltà a comprendere il perché del vaccinarsi. E’ il primo perché.

Superstizione. Superstizione: è il secondo e robustissimo perché. In una società in cui si stima una ventina di milioni di italiani (uno su tre) ricorra, si affidi o consulti oroscopi e aruspici di varia natura, nulla di sorprendente se l’atteggiamento di fronte al vaccino è…scaramantico. La cultura e il pensare scientifico non sono da noi molto popolari (neanche tra le classi colte). Storici bassi livelli d’istruzione, secoli di pedagogia cattolica e da ultimo il matrimonio felice e prolifico tra pensiero magico e formazione pop-social non costituiscono habitat per un pensare vaccino secondo scienza. Per cui una quota degli anziani non ancora vaccinata è tale perché del vaccino ha una superstiziosa paura.

Problema Sud e Isole. Il più degli anziani non ancora vaccinati è nel Sud e nelle Isole. Qui certamente il più dei casi di isolamento geografico, culturale e sociale. Qui la maggior difficoltà delle Regioni responsabili della Sanità a raggiungerli. E anche senza dubbio la maggior dose di superstizione paurosa (basta vedere tasso rifiuto AstraZeneca in Lombardia pari all’un per cento e l’analogo tasso di rifiuto in Campania o in Sicilia dove sfiora il 50 per cento). Qui anche qualcuno maligna un po’ di anziani che non si presentano alla vaccinazione per il semplice e incontrovertibile fatto che sono morti ma restano vivi all’anagrafe perché da morti continuano a produrre pensioni che i parenti incassano.

Problema vaccino come fossero tasse. Dice a se stesso l’evasore fiscale: non è che se io non pago le tasse la scuola di mio figlio domani chiude…Dice l’evasore fiscale a se stesso: se c’è qualcun altro che le paga le tasse non c’è bisogno che mi aggiungo io nel pagarle…Qualche pensiero gemello sta formandosi anche riguardo al vaccinarsi. Non nella testa degli anziani, ma in quella degli under 50 sì. L’idea è: di Covid muoiono i vecchi, vaccinati i vecchi a che serve mi vaccini anch’io? Un’elusione o un’evasione vaccinale non fa male a nessuno e fa bene a chi la fa: questa è l’idea. Un’idea forte della sua semplicità, un’idea fortemente contagiosa, un’idea tanto semplice e chiara nella sua sciocca infondatezza. Non è vero che basta vaccinare i vecchi, non è vero che chi è furbo e scaltro può non vaccinarsi, tanto si vaccinano gli altri. E non è vero al 19 di maggio che tutti gli anziani sono vaccinati.

Buche sulla strada. Sulla strada del miracolo vaccini (autentico prodigio della scienza averli avuti efficaci e disponibili dopo meno di un anno dalla scoperta del virus e susseguente malattia) c’è una serie di buche. La faciloneria sbrigativa e teatrante dell’ormai è fatta. La superstizione nel pensare il vaccino, le condizioni socio economiche e culturali della condizione anziana nel Su e nelle Isole, la tentazione (culturale e operativa) del pensare il vaccinarsi come le tasse. Dove evasione ed elusione sono per molti una brillante soluzione. Ci sono in Italia milioni di dispersi al vaccino. Se restano tali e si moltiplicano pure…

La mischia con l'azienda, il Cts, le Regioni, l'Ema. Seconda dose Pfizer, il caos sul richiamo a 21 o 42 giorni: “Polemica sconcertante ed evitabile”. Vito Califano su Il Riformista il 12 Maggio 2021. Richiamo, dopo 21 o 42 giorni, questo il dilemma. E scoppia la querelle tra l’azienda produttrice, il Comitato Tecnico Scientifico e l’Agenzia Europea del Farmaco (Ema) e via dicendo. Botta e risposta nei limiti del confronto, si sottolinea. Non volano stracci, insomma, ma le incertezze sì, e il rischio è quello di replicare il disastro comunicativo verificatosi con AstraZeneca, solo che in quel caso si parlava di reazioni avverse e di trombosi e anche di vittime; con il risultato che ancora oggi c’è chi rifiuta il preparato dell’Università di Oxford. In questo caso si tratta della tempistica e della sua semplice efficacia: basta e avanza per generare un caos del quale non si sentiva il bisogno. Il 5 maggio scorso il Comitato Tecnico Scientifico aveva raccomandato un intervallo di 42 giorni dopo la dose di richiamo dei vaccini Pfizer e Moderna. Per molti una scelta di buon senso: allargare la platea, seppur con una sola prima dose, dando fondo ai farmaci forniti e garantendo una protezione a una fascia più ampia di popolazione. Sul modello del Regno Unito. Una decisione che implica per ovvie ragioni un’altra pianificazione per la campagna vaccinale e il suo calendario.

PFIZER – Valeria Marino, direttore medico di Pfizer Italia, ieri ha raccomandato di attenersi all’impostazione suggerita dall’azienda: “Il vaccino è stato studiato per una seconda somministrazione a 21 giorni. Dati su di un più lungo range di somministrazione al momento non ne abbiamo se non nelle osservazioni di vita reale”. E quindi si apre il fronte, con richieste di chiarimenti al ministro della Salute Roberto Speranza, soprattutto da parte delle Regioni, che hanno riprogrammato i calendari tenendo conto della raccomandazione del Cts.

CTS – E proprio dal Cts arriva la replica del Presidente, Franco Locatelli, Presidente del Consiglio Superiore di Sanità. “L’intervallo tra la prima e la seconda somministrazione prolungato alla sesta settimana, quindi ai 42 giorni, non inficia minimamente l’efficacia dell’immunizzazione e ci permette di somministrare molte più dosi di vaccino – ha detto ad Agorà su Rai3 – Affermazioni come quelle che abbiamo sentito ieri rischiano solo di creare sconcerto e credo che sarebbero auspicabilmente evitabili”. Sulla stessa linea Andrea Costa, sottosegretario alla Salute, a Buongiorno su SkyTg24. “Quelle di Pfizer sono parole che non aiutano a fare chiarezza perché se continuiamo a dare messaggi non univoci e chiari, rischiamo di ingenerare un sentimento di confusione nei cittadini. La scelta di posticipare a 42 giorni la seconda dose è stata fatta sulla base di pareri del Cts che a sua volta si è rifatto ai pareri dell’Ema. Continuiamo su questa scelta perché supportata da pareri scientifici e dall’Ema”.

REGIONI – Guardano con perplessità al botta e risposta le Regioni, che gestiscono la campagna vaccinale sul campo. Stefano Bonaccini, governatore dell’Emilia Romagna, si è detto in attesa di chiarimenti definitivi. “Se ogni due settimane dobbiamo chiamare la gente, dare prenotazione un giorno, poi ci dicono va spostata, poi ci dicono tornate indietro. Insomma, chiedo nelle prossime ore una chiarezza definitiva e questa la deve dare il ministero, il governo e le agenzie proposte – ha osservato il Presidente – Pfizer giustamente dice le sue ragioni ma non è che dobbiamo ascoltare una casa produttrice. Dobbiamo ascoltare le agenzie che hanno il compito di indicare alle istituzioni come ci si comporta. C’è Ema, c’è Aifa”.

EMA – E proprio nel pomeriggio è arrivata la conferma dell’Ema al richiamo dopo 40 giorni. “È importante sottolineare che nei test clinici” la somministrazione della seconda dose di Pfizer Biontech era prevista fino a 42 giorni, ha spiegato Marco Cavaleri dell’Ema. “Queste informazioni sono nel bugiardino del vaccino. Quindi non è una deviazione rispetto alla raccomandazione superare i 21 giorni estendendo a cinque settimane-40 giorni. Se si superassero i 42 giorni, allora sarebbe una deviazione”. Lo stesso Cavaleri ha intanto riferito dell’efficacia dei vaccini a mRna sulla variante indiana che si sta diffondendo sempre più in Europa. Su quelli a vettore c’è fiducia ma mancano ancora dei dati. Pfizer sta intanto lavorando a formulazioni in grado di conservare il vaccino a 2 e 8 gradi per un mese una volta uscito dal box di conservazione. E potrebbero essere autorizzata la vaccinazione anche per gli adolescenti tra i 12 e i 15 anni, come già negli Stati Uniti.

Vito Califano. Giornalista. Ha studiato Scienze della Comunicazione. Specializzazione in editoria. Scrive principalmente di cronaca, spettacoli e sport occasionalmente. Appassionato di televisione e teatro.

Vaccini, Palù: “Richiamo Pfizer dopo 42 giorni, così si risparmiano dosi”. Debora Faravelli il 13/05/2021 su Notizie.it. Giorgio Palù ha invocato lo slittamento del richiamo Pfizer da 21 a 42 giorni dalla prima dose in modo da accelerare l'immunizzazione degli over 60. Il Presidente dell’Aifa Giorgio Palù ha manifestato la necessità di rimandare il richiamo dei vaccini Pfizer a 42 giorni dalla prima dose: in questo modo sarebbe possibile risparmiare dosi e proteggere velocemente circa 3 milioni di cittadini over 60. Intervistato dal Coriere della Sera, l’esperto ha spiegato che lo slittamento della seconda dose non è un suggerimento bensì un’indicazione on label, cioè riportata sulla scheda di accompagnamento del farmaco (il cosiddetto bugiardino). Chi ha già fissato l’appuntamento per il richiamo dopo 3 o 4 settimane, ha spiegato, potrà effettuarlo nella data prefissata. Ma dato che l’efficacia del vaccino e la sua immunogenicità non vengono compromesse se il richiamo viene spostato fino a un massimo di 42 giorni, i prossimi immunizzati potrebbero trovarsi a farlo dopo quasi un mese e mezzo dalla prima iniezione. In questo modo, ha spiegato Palù, si avrebero a disposizione dosi sufficienti per proteggere velocemente circa 3 milioni di over 60, attualmente meno coperti dal vaccino ed esposti ad un rischio di mortalità da Covid pari al 3%. Quanto al fatto che l’azienda Pfizer continua a ricordare che il suo composto è stato studiato per una seconda somministrazione a 21 giorni dalla prima, il virologo ha affermato che un’industria non può dettare scelte che dipendono dagli enti regolatori e che vengono prese anche sulla base dei risultati osservati sul campo e quindi non limitati agli studi di validazione su poche decine di migliaia di casi. E proprio sul campo ci si è accorti che la seconda dose può essere spostata fino a 42 giorni senza condizionare né la protezione dalla malattia che resta alta, fino al 70%, né la risposta degli anticorpi. L’esperto ha inoltre spiegato che Aifa non esclude la possibilità di somministrare i vaccini AstraZeneca e Johnson & Johnson anche sotto i 60 anni. L’Ema non ha infatti posto condizioni di età e sesso per questo tipi di vaccini a vettore adenovirale: è stata l’Agenzia Italiana a prevedere un uso preferenziale sugli over 60 senza però escludere altre scelte.

I benefici di AstraZeneca, ha concluso, superano sempre i rischi dai 18 anni in su ma la somministrazione in età giovanile andrebbe considerata con molta attenzione tenendo conto degli eventi di trombosi venosa profonda con carenza di piastrine riportate soprattutto in persone sotto i 60 anni.

Da "repubblica.it" l'11 maggio 2021. "Il vaccino è stato studiato per una seconda somministrazione a 21 giorni. Dati su di un più lungo range di somministrazione al momento non ne abbiamo se non nelle osservazioni di vita reale, come è stato fatto nel Regno Unito. E' una valutazione del Cts, osserveremo quello che succede. Come Pfizer dico però di attenersi a quello che è emerso dagli studi scientifici perché questo garantisce i risultati che hanno permesso l'autorizzazione". Lo ha detto a Sky TG24 Valeria Marino, direttore medico di Pfizer Italia commentando l'allungamento a 5 settimane della finestra per la somministrazione della seconda dose. Ieri Lazio, ma anche altre regioni come Liguria, Toscana, Emilia, Piemonte, Campania stanno allungando la data del richiamo come ha raccomandato il Cts. Infatti secondo il Comitato è plausibile dal punto di vista scientifico, perché "non inficia l'efficacia della risposta immunitaria". Un parare arrivato dopo il pressing della struttura commissariale guidata dal generale Francesco Paolo Figliuolo. Allungare i tempi del richiamo permette, infatti, di avere più vaccini a disposizione e, quindi, di allargare la platea delle persone coperte dalla prima dose. Si tratta di una scelta simile a quella dell'Inghilterra, ma presa in ritardo. Secondo gli studi la prima dose protegge già dalle forme gravi della malattia nell'80% dei casi. Lunedì 10 maggio l'unità di crisi Covid della regione Lazio ha comunicato che a partire dal lunedì 17 maggio saranno estesi i richiami del vaccino pfizer a 5 settimane, ossia 35 giorni, spiegando che "tutti gli interessati verranno avvisati in anticipo via sms e l'allungamento, recependo le raccomandazioni del comitato tecnico scientifico e della struttura commissariale, consentirà un aumento della platea delle prime dosi del vaccino Pfizer a partire già dal mese in corso, ovvero determinando un aumento della copertura della popolazione. Nessuna modifica, al momento, invece per tutti gli altri vaccini. A titolo esemplificativo chi doveva fare il richiamo pfizer il 17 maggio lo farà sempre nello stesso luogo e alla stessa ora il 31 di maggio e così a seguire

Paolo Russo per "la Stampa" il 12 maggio 2021. Mentre il generale Figliuolo punta al milione di dosi al giorno coinvolgendo farmacie e medici di famiglia, annunciando per giugno l'avvio delle somministrazioni in azienda, Speranza gli riconsegna nelle mani circa tre milioni di dosi del vaccino Pfizer. Quelle che sarebbero sfumate se alla fine il ministero della Salute non avesse disinnescato la mina piazzata dalla stessa multinazionale americana, che ieri bocciava l'allungamento da tre a sei settimane del richiamo, «raccomandato» dall'ultima circolare ministeriale. Un allungamento dei tempi che rende disponibili molte più dosi, che la Salute confermerà, citando tutta una serie di dati e studi scientifici elaborati "sul campo". «Il vaccino è stato studiato su una seconda somministrazione a 21 giorni. Dati su di un più lungo range al momento non ne abbiamo. Come Pfizer diciamo di attenersi a quello che è emerso dagli studi scientifici, perché questo garantisce i risultati che hanno permesso l'autorizzazione», è l'indicazione data dal responsabile medico della filiale italiana, Valentina Marino. Parole in sintonia con quanto espresso a suo tempo da Aifa, che aveva confermato le tre e quattro settimane rispettivamente per Pfizer e Moderna, estendibili fino a sei solo «in caso di necessità». Parere poi ribaltato dal Cts e fatto proprio dall'ultima circolare ministeriale, che Speranza ora conferma in pieno, togliendo un bel masso dal percorso tracciato dal generale verso il traguardo dell'immunità di gregge. E un altro sta per scansarglielo estendendo l'uso di AstraZeneca anche alla fascia tra i 50 e i 60 anni. Il ministro ha sollecitato un parere in merito al Cts, che al generale ha chiesto quanti ne restino da vaccinare in quella fascia di età. Molti è la risposta, visto che solo il 23,3% ha ricevuto la prima dose e il 9,2% la seconda. Ma se a questo punto l'estensione anche ai cinquantenni del vaccino anglo-svedese è più che probabile resta da sciogliere il nodo di come far riconquistare la fiducia degli italiani. Così bassa che al momento un milione e trecentomila dosi del ritrovato di Oxford giacciono nei frigo. Soprattutto al Sud. In Sicilia il 47% del consegnato non è stato somministrato, in Basilicata il 40, in Calabria il 38% e spostandosi al Nord spicca il 43,5% del Trentino. Mentre nei freezer laziali riposano il 31% delle dosi, in quelli del Piemonte il 26%, il 20% in Liguria. Mentre in Lombardia se ne sono usate oltre il 90%. Anche se i nuovi studi condotti dall'Ema confermano sicurezza ed efficacia dell'antidoto, almeno tra la popolazione anziana la frittata sembra fatta. In Campania i rifiuti continuano a fioccare con un 20% almeno di disdette. In Piemonte fino a qualche giorno fa a rifiutarlo erano tra il 10 e il 20% ma ora, informa l'assessorato alla salute la percentuale di rinunce è ritenuta «fisiologica». Tutt'altra situazione in Liguria «dove quest'ultima settimana il 50% dei posti disponibili non sono stati prenotati, anche se la metà degli over 60 non è vaccinata», fa sapere la Regione. In Umbria ad aver fatto il passo indietro sono in tremila e cento. Anche per questo le Regioni stanno singolarmente pensando a degli "Open day" per somministrare proprio AstraZeneca ai più giovani. Il prossimo week end ne ha indetto uno il Lazio per gli over 40 di Roma e provincia. E da lunedì nella stessa regione sarà possibile vaccinarsi dal proprio medico di famiglia senza aspettare il turno in base all' età, ma solo con AZ e il suo cugino Johnson&Johnson. Una iniziativa che potrebbe essere imitata presto anche da altre regioni, sia per smaltire l'arretrato, sia per trasformare in testimonial pro vaccino i più giovani. Come stanno facendo nel Casertano con gli "Astra Day" riservati a tutti ma dove a scoprire in massa il braccio sono stati gli under 30, la netta maggioranza dei circa 10 mila che senza paure si è messa in fila per ricevere il siero snobbato ingiustamente da molti. Iniziative viste di buon occhio anche da Figliuolo che però ieri, affiancato da Speranza e Gelmini, ha richiamato all'ordine quei governatori che si sono lasciati andare a qualche fuga in avanti. «Fino alla fascia dei 50enni bisogna continuare a seguire le classi decrescenti di età e dei fragili», ha ricordato. Mostrando dopo il bastone la carota del via libera ai primi di giugno alla campagna nelle imprese, dopo aver messo in sicurezza gli over 65. Un passaggio chiave per la ripresa produttiva, regionale e nazionale.

Pfizer e seconde dosi, Fabrizio Pregliasco: "Vogliono pararsi le terga, di cosa hanno paura". Cosa c'è dietro la frenata. Libero Quotidiano il 12 maggio 2021. "Vuole pararsi le terga". Con quattro parole il professor Fabrizio Pregliasco spiega perché Pfeizer vuole che il richiamo del suo vaccino venga somministrato a 21 giorni e non a 42 come vuole il nostro governo. In una intervista a Il Tempo, il direttore sanitario dell'Istituto ortopedico Galeazzi di Milano, osserva: "Si sa che nella casistica, da studi clinici, ci sono dati che si riferiscono da 21 giorni a 42 giorni. Quindi c'è la possibilità, nella pratica reale, di ampliamento. La Pfizer, in pratica, ha voluto smarcare l'aspetto legale. In altri termini, s' è voluta parare le terga. È chiaro che quanto più si è standardizzati alle indicazioni del bugiardino meglio è. Poi le scelte di utilizzo con ampliamento dei tempi ci sono state e tra l'altro documentate". Resta poi l'ipotesi di una terza dose a fine anno: "Si è visto che le attuali varianti sono ben coperte dai vaccini in distribuzione. Quindi, l'ipotesi della terza dose va vista in un futuro", prosegue Pregliasco, "quando si avranno le idee un po' più chiare sulla copertura vaccinale, cosa che a tutt' oggi non sappiamo in quanto occorre un po' di tempo per conoscere questi dati. Come bisogna capire se eventuali altre varianti del virus possono sfuggire dalla protezione del vaccino". In sostanza, "per questa fase bisogna prepararsi, nulla ancora è stabilito. Bisogna anche immaginare futuri scenari come la continua presenza del virus che non se ne andrà con questo giro di vaccinazioni", avverte il virologo". Serve, quindi pensare anche a strutture che possano produrre il vaccino". Secondo il sottosegretario alla Salute Pierpaolo Sileri, quando raggiungeremo la quota di 30 milioni di vaccinati potremo camminare all'aperto senza mascherina. Un'ipotesi che sostiene anche Pregliasco: "D'altronde arrivando a una buona protezione dei soggetti fragili e degli anziani, anche se ci sarà un rialzo di casi, non vedremo quell'effetto pesante delle ospedalizzazioni. In pratica, con la metà della popolazione vaccinata si pub pensare di togliere mascherina all'aperto. Non è una data certa ma questo potrebbe avvenire già il primo luglio".

Dagotraduzione dal DailyMail il 13 maggio 2021. Uno studio pubblicato sul British Medical Journal ha rivelato in che modo i tassi di mortalità cambiano quando la seconda dose del vaccino viene somministrata oltre il tempo raccomandato. Secondo le stime degli scienziati le morti si sarebbero ridotte di un quinto se il richiamo fosse stato posticipato oltre le tre settimane. Gli scienziati della Mayo Clinic, una catena di centri medici degli Stati Uniti, che hanno condotto la ricerca, hanno detto che ritardare le dosi è la strategia più efficace per la maggior parte dei paesi. A gennaio, il Regno Unito ha deciso di spostare la seconda dose di vaccino da tre settimane a tre mesi nel tentativo di superare la seconda ondata di Covid. All'epoca la scelta è stata combattuta perché la maggior parte degli studi sui vaccini aveva valutato la loro sicurezza ed efficacia solo quando le dosi erano distanziate di 21 giorni. Nell'ultimo studio, i ricercatori hanno eseguito un modello di simulazione, attingendo a dati del «mondo reale». Hanno esaminato una serie di scenari per un periodo di sei mesi e il modo in cui questi hanno impattato su infezioni, ricoveri ospedalieri e decessi. I risultati parlano chiaro: più un vaccino è efficace alla prima dose (80% o oltre), più la strategia ritardata risulta ottimale. I ricercatori hanno stimato che la politica potrebbe prevenire tra 47 e 26 morti ogni 100.000 persone, a seconda della velocità con cui i paesi somministrano le dosi. Per i vaccini con un'efficacia del 90% o superiore dopo una dose, i paesi potrebbero ridurre i tassi di mortalità da 226 per 100.000 a 179 (20%) se ritardassero la seconda iniezione. Con i vaccini che sono efficaci all'80% dopo la prima dose, il tasso di mortalità potrebbe ridursi da 233 a 207 (11%). Per quelli con un'efficacia della prima dose del 70%, non ci sono state differenze misurabili. L'autore principale dello studio, il professor Thomas Kingsley, esperto di medicina presso la Medicine Mayo Clinic, ha dichiarato: «L'esitazione nel ritardare la seconda dose è comprensibile, dati i limiti di qualsiasi disegno di studio che non sia uno studio randomizzato». «Tuttavia, il nostro modello può fornire stime delle differenze relative tra queste strategie che possono essere utili nel prendere decisioni politiche». «È importante sottolineare che i nostri risultati suggeriscono che questa potrebbe anche essere la strategia ottimale per prevenire i decessi in determinate condizioni». Peter English, ex presidente del comitato per la salute pubblica della British Medical Association, ha dichiarato: «È diventato chiaro che, mentre il collo di bottiglia era la disponibilità del vaccino, si potevano salvare molte più vite e impedire i ricoveri in ospedale e in terapia intensiva, fornendo una dose a quante più persone possibile, in particolare quelle a più alto rischio di ammalarsi gravemente di Covid, prima di somministrare le seconde dosi. «Questo è stato alla base della decisione del Regno Unito di ritardare la seconda dose fino a 12 settimane, e si è dimostrata altamente efficace. «Sono state espresse preoccupazioni sulla mancanza di prove di efficacia se l'intervallo di prime-boost fosse stato prolungato ritardando la seconda dose. Queste preoccupazioni sono fuori luogo. Tutto quello che già sapevamo sui vaccini ci dice anche che un intervallo di prime-boost più lungo migliora l'ampiezza e la profondità della risposta immunitaria, fornendo un'immunità più duratura che probabilmente fornirà una maggiore protezione incrociata contro i ceppi varianti». «C'è relativamente poca conoscenza su questo aspetto specificamente correlato ai vaccini Covid, sebbene i dati che abbiamo visto siano coerenti con questo». La decisione di ritardare le dosi ha permesso al Regno Unito di realizzare uno dei programmi di vaccinazione di maggior successo al mondo. La decisione è stata presa allo scoppio della variante Kent altamente infettiva, che ha fatto precipitare il paese in un terzo blocco nazionale e ha provocato ancora più morti e ricoveri rispetto alla prima ondata. Più di 35 milioni di britannici - oltre la metà dell'intera popolazione - hanno già ricevuto almeno una dose e altri 18 milioni sono stati completamente vaccinati. Un'importante analisi della Public Health England all'inizio di questa settimana ha rilevato che una singola dose di vaccino Pfizer o AstraZeneca riduce le morti dell'80%. La revisione del lancio del vaccino in Gran Bretagna ha anche scoperto che il vaccino Pfizer riduce i decessi del 97% dopo due dosi. Tali dati non sono ancora disponibili per AstraZeneca.

Marco Gasperetti per corriere.it l'11 maggio 2021. C’è una buona notizia nella vicenda di Virginia, la studentessa vaccinata per errore con sei dosi di Pfizer all’ospedale di Massa. Dalle analisi eseguite sul flacone da 0,45 millilitri non diluiti che conteneva le sei dosi si è scoperto che è rimasto una parte di liquido equivalente a due iniezioni e dunque le dosi somministrate al Virginia non sarebbero sei ma quattro. «E’ una scoperta importante — spiegano all’ospedale Noa di Massa — perché le sperimentazioni su volontari umani del Pfizer hanno dimostrato la tollerabilità sino a quattro dosi, mentre oltre a questo quantitativo non ci sono certezze sugli effetti collaterali». Intanto si comincia a capire come sia stato possibile l’errore (leggi il pezzo sulle eventuali conseguenze).

«Ho preso il flacone e ho riempito la siringa». A raccontarlo durante l’audit è stata la stessa infermiera, una ragazza giovane (ha meno di 30 anni) che aveva partecipato a tutte le vaccinazioni senza problemi. «Ho preso il flacone e ho riempito la siringa – ha detto l’infermiera – convinta che la soluzione fosse già stata diluita poi, dopo aver inoculato la dose, mi sono accorta che c’erano altre cinque siringhe e ho capito che il vaccino non era stato diluito come da procedura». Il flacone originario, infatti, contiene il principio attivo che deve essere diluito con la soluzione fisiologica per preparare sei inoculazioni. Per la diluizione si utilizza una siringa più grande. «Ero convinta che la diluizione fosse già stata eseguita», ha raccontato ancora l’infermiera.

L’infermiera perdonata da Virginia. La donna adesso ha preso qualche giorno di permesso, così come il medico presente durante la vaccinazione che però pare si sia occupato solo dell’anamnesi delle persone che si dovevano vaccinare. L’infermiera è sotto choc, anche se ha apprezzato il gesto di Virginia e della madre avvocato che l’hanno perdonata e hanno anche chiesto di incontrarla. Intanto la studentessa di Psicologia clinica, già laureata alla triennale all’Università di Pisa, e che adesso frequenta la magistrale, sta meglio. «Ha sempre un po’ di mal di testa, stanchezza e dolori ma è più serena», ha detto stamani (martedì) la madre, un avvocato.

Massa, la ragazza vaccinata con extra-dosi Pfizer: "Sette litri d'acqua al giorno non bastano". Il dramma: com'è ridotta. Libero Quotidiano il 13 maggio 2021. E' disidratata la tirocinante cui è stata somministrata per errore una dose massiccia di Pfizer. La ragazza beve sette litri di acqua al giorno ma continua a non essere sufficientemente idratata. Questo quanto riporta il Corriere della Sera. Si potrebbe trattare di uno degli effetti dell'inoculazione extra che le è stata fatta all'ospedale Noa di Massa qualche giorno fa. Ma l'ultima parola spetta agli esperti. Le dosi erano sei secondo il referto iniziale, quattro secondo la struttura sanitaria dopo ulteriori accertamenti. La studentessa universitaria di 23 anni adesso è stata presa in cura privatamente dal professor Fabrizio Pregliasco, noto virologo, docente all’università di Milano e direttore dell’Irccs di Milano. La notizia è stata confermata al Corriere dalla madre della ragazza, che questa mattina ha fatto delle nuove analisi, il cui risultato potrebbe dare informazioni importanti sulle sue condizioni fisiche. Stando alle versioni di alcuni virologi, la dose massiccia di Pfizer potrebbe avere avuto addirittura l'effetto opposto a quello solito: l'overdose potrebbe avere annullato la produzione di anticorpi. In quel caso la vaccinazione dovrebbe essere ripetuta. La studentessa era in lista per il vaccino nonostante la giovane età perché frequenta uno stage medico. Come ha già fatto sapere nei giorni scorsi, però, ha deciso di non denunciare l'infermiera e il medico presenti al momento dell'inoculazione: "Non farò nessuna denuncia penale ma è ovvio che se avrò in futuro gravi conseguenze qualcuno dovrà rispondere in sede civile".

Da lastampa.it il 14 maggio 2021. Avevano detto che non avrebbero proceduto legalmente nei confronti della Usl Toscana nord ovest e dell’infermiera che materialmente ha commesso l’errore, ma le cose potrebbero cambiare. Lo spiega al Tirreno la madre di Virginia, la 23enne alla quale sono state somministrate per errore 4 dosi del vaccino Pfizer. «Penalmente ho una sola parola; ho detto che non procederemo e non lo faremo. In questi giorni però devo dire che la fiducia è venuta un po’ meno; la storia delle 4 dosi invece di 6, le notizie sul liquido rimasto nel flacone che prima ci era stato descritto vuoto, ci hanno un po’ destabilizzato. Dopo questi risvolti ho chiesto alla Usl di inviarmi tutta la documentazione riguardante il caso di mia figlia, compresi i risultati delle analisi di 5 provette di sangue, richieste da quando è stata sottoposta al vaccino». La ragazza sarà presa in cura dal virologo Fabrizio Pregliasco: le ha prescritto delle analisi e la visiterà presto a Firenze. Ma precisa: «Ho appena iniziato, ho solo parlato con la mamma. Nulla di più. Ho concordato solo sul fatto di dare una mano. La seguirò, ho intenzione di vederla e di monitorare come va. Ma al momento c'è solo questo». Perché hanno bussato alle porte del direttore sanitario dell'Irccs Galeazzi di Milano e docente dell'università Statale del capoluogo lombardo? «Il contatto è avvenuto tramite conoscenze comuni», spiega Pregliasco che non teme grossi rischi per la giovane: «Spero proprio di no. Non c'è un rischio molto alto da sovradosaggio - sottolinea -. L'aver ricevuto più dosi del vaccino dovrebbe dare solo effetti collaterali un po' più intensi. La mamma mi ha parlato di una particolare disidratazione, è vero. Ma in letteratura non risultano segnalazioni di situazioni particolarmente preoccupanti. Sarebbe sorprendente il contrario. Ci sarebbe un rapporto terapeutico strano». Non c'è ancora una data fissata per l'incontro con la ragazza. «Vediamo, non c'è niente ancora di definito - chiarisce il virologo - ma troveremo il modo, anche andandole incontro in Toscana, tramite l'Anpas», l'organizzazione di volontariato presieduta da Pregliasco. L'esperto non vuole sbilanciarsi non avendo neanche cominciato a esaminare il caso. Ma usa parole rassicuranti per rispondere alle domande. In casi come questo si pone un problema per il richiamo, previsto con questo vaccino? «Direi di no», osserva il medico che comunque si aspetta di trovare livelli di anticorpi «più alti» nel sangue della ragazza. Mal di testa, braccio gonfio (quello dove ha ricevuto l'iniezione), pallore e una forte disidratazione. Intervistata dalla Nazione, la donna, avvocato, spiega che la giovane dopo aver bevuto 4 litri di acqua aveva le labbra secche e continuava ad avere sete. Per questo, la famiglia della ragazza ha deciso di procedere con gli accertamenti, a partire dai test della glicemia. Il medico di famiglia - ha raccontato inoltre - si è messo in contatto con l'Istituto Mario Negri di Milano e del caso hanno interessato anche una immunologa dell'Università di Pisa. Per la giovane anche un sostegno psicologico. L'errore nella somministrazione alla tirocinante in psicologia alla Usl Toscana nord ovest si è verificato domenica. Inizialmente sembrava che fosse stata iniettata una intera fiala di Pfizer, dunque sei dosi. Poi la precisazione sulla base dei resti del contenuto del flacone dopo la fase di diluizione. Virginia ha trascorso una notte in osservazione, manifestando sintomi abbastanza frequenti, come febbre, dolore alle ossa e al braccio. L'Usl aveva spiegato che «la giovane verrà monitorata nei prossimi mesi dal Careggi di Firenze, a cui verranno inviate le analisi del sangue della ragazza ogni settimana». Questo nei giorni scorsi, quando c'era stata anche l'assicurazione che non ci sarebbero state conseguenze legali. La ragazza aveva detto: «Non voglio che l'infermiera si senta in colpa».

Muore in ospedale, poi la scoperta: "Vaccinata con 4 dosi". Giuseppe Spatola il 29 Luglio 2021 su Il Giornale. La donna è deceduta dopo un ictus in ospedale. I figli ai carabinieri: "Aveva già ricevuto Pfizer a Marzo, ma le hanno fatto pure Moderna". Vaccinata per “sbaglio” con 4 dosi è morta a 81 anni nel suo letto del reparto di neuro-riabilitazione dell’Istituto Maugeri di Pavia. L’anziana era stata ricoverata a metà aprile dopo un ictus e solo poche ore prima che morisse i due figli hanno scoperto che è stata vaccinata contro il Covid durante il ricovero alla Maugeri. In reparto la paziente era stata vaccinata con due dosi di Moderna: la prima il 26 maggio e la seconda dose il 5 luglio. Peccato che, come denunciato alla procura dopo la morte, l’anziana avesse già ricevuto due dosi di Pfizer con convocazione il 4 e il 25 marzo.

La denuncia. Scoprendo la quadrupla vaccinazione la famiglia ha presentato la denuncia ai carabinieri della stazione di Pavia. Da qui il fascicolo aperto in procura dal sostituto procuratore Valeria Biscottini che ha subito disposto l’autopsia da eseguire lunedì 2 agosto alle 8.30 all’istituto di Medicina Legale dell’Università di Pavia. L’avvocato Fabrizio Gnocchi, che segue la famiglia, ha precisato come è nell’interesse della comunità “far chiarezza sulle cause del decesso della signora”. La procura dovrà così capire se esiste “nesso causale” tra le 4 dosi di vaccino inoculate per sbaglio e il conseguente peggioramento delle condizioni di salute dell’anziana.

La disperazione dei figli. "Non siamo stati informati della seconda vaccinazione contro il Covid - hanno spiegato i figli della donna morta tramite l’avvocato Gnocchi -. L’abbiamo trovando una carta nel comodino vicino al letto di mia madre in ospedale". L’anziana il 2 aprile aveva avuto l’ictus ed era stata ricoverata allo stroke-unit del Policlinico San Matteo e poi trasferita all’Istituto Maugeri per la riabilitazione. La Procura di Pavia ha chiesto la cartella clinica della donna per verificare se all’interno della stessa fosse stata indicata l’avvenuta vaccinazione con Pfizer e la relativa registrazione delle prime due dosi sul portale della Regione.

Giuseppe Spatola. Sono nato a Modica (Ragusa) il 28 ottobre 1975 e subito adottato dalla Lombardia dove ho vissuto tra Vallecamonica, Milano, Pavia e lago di Garda bresciano. Giornalista professionista, sono sposato con una collega, Carla Bruni, e ho due figlie, Ginevra e Beatrice, con cui vivo a Desenzano insieme a due cani e quattro gatti.  Ho frequentato la facoltà di Scienze Politiche a Pavia e il corso triennale in Sociologia dell'Ateneo di Chieti. Già consigliere nazionale dell'ordine dei giornalisti, segretario della commissione ricorsi, sono stato anche consigliere dell’Associazione Lombarda dei giornalisti e consigliere regionale dell'Ordine. Premio cronista dell'anno con menzione speciale del Vergani nel 2016, ho scritto un libro storico sugli Spedali Civili edito nel 2014 e pubblicato per l'Unione Europea un manuale sulle Fake News (2018) e un secondo libro sull'informazione locale ai tempi del web. Nel luglio 2020 ho pubblicato il libro "La Storia del Coronavirus a Bergamo e Brescia" entrato nei bestseller di Amazon sezione Giornalismo e Salute. Appassionato di Radio e carta stampata per cui seguo prevalentemente politica e cronaca, dal 2019 sono vice presidente del Gruppo Cronisti Lombardi dell'associazione giornalisti della Lombardia e l’8 giugno 2021 sono stato eletto come delegato nazionale di Casagit, la cassa mutua privata dei giornalisti. 

Sta bene la ragazza che ha fatto 4 dosi. Da "il Giornale" il 18 maggio 2021. Sono buone le condizioni della ragazza che ha ricevuto 4 dosi di vaccino Pfizer per errore. La giovane è seguita dal professor Fabrizio Pregliasco: «Sta bene la di là dello spavento e dell' attenzione mediatica» ha spiegato il virologo dell' Università di Milano, intervistato da Skytg24 «I parametri sono più che buoni e non ci saranno possibili danni perché nella fase uno della sperimentazione una quota parte dei volontari aveva subito concentrazioni più alte di vaccino». A confermare un orientamento positivo i casi analoghi che si sono verificati in Germania: ben 8 episodi di sovradosaggio che poi fortunatamente non hanno avuto conseguenze. In un primo momento la giovane non ha risentito della dose in eccesso poi è stato segnalato che era fortemente disidratata tanto che la madre si è detta molto preoccupata: «Ha lividi e piastrine basse». E ha richiesto il parere del professor Pregliasco. Alcuni sintomi negativi però erano forse legati anche allo stress.

Da leggo.it il 18 maggio 2021. Non sta bene la 23enne a cui le sono state iniettate 4 dosi di vaccino Pfizer. La studentessa di psicologia, vittima di un errore medico sembra peggiorare, secondo quanto riferisce la madre che smentisce le parole di Pregliasco che avrebbe in cura la giovane. «Purtroppo in questo momento Virginia non sta in piedi. Ha continui giramenti di testa, lividi alle gambe e il livello delle piastrine è basso. Ha dovuto anche rinunciare allo stage universitario per il quale era stata vaccinata», sono queste le parole della mamma della ragazza a Il Corriere della Sera. La donna, preoccupata per la salute della figlia ha voluto replicare Fabrizio Pregliasco, il virologo che ha preso la ragazza in cura e che ha rassicurato sulle sue condizioni di salute. «Probabilmente il professor Pregliasco, che visiterà per la prima volta mia figlia venerdì prossimo, non ha ancora tutti i dati a disposizione. E anche sulla quantità di vaccino ricevuto non c’è chiarezza. Sul referto di mia figlia c’è scritto che le sono state inoculate in una sola volta sei dosi e non quattro come sostiene adesso l’ospedale senza però un documento ufficiale», ha aggiunto la mamma.

Nuovo errore somministrazione in Toscana, 4 dosi invece di 1. (ANSA) Un caso di sovradosaggio di vaccino Pfizer, con quattro dosi somministrate invece di una - si è verificato ieri all'hub vaccinale di Livorno al Modigliani Forum. A ricevere il sovradosaggio, come spiegano dalla Asl, una donna sessantenne: sarebbe in buone condizioni di salute si spiega dalla Azienda sanitaria che ha convocato una conferenza stampa alle 12.30 su quanto avvenuto. Un caso analogo si è verificato sempre in Toscana, a Massa, il 9 maggio: allora era stata una 23enne a ricevere 4 dosi di Pfizer.

Soluzione fisiologica al posto del vaccino per sei persone. L'Arno-Il Giornale il 12 giugno 2021. Fra le sviste e i contrattempi capitati tra milioni e milioni di persone vaccinate l’ultimo caso che viene segnalato a Pistoia non è certo il più grave, anche se comporterà qualche disagio alle persone coinvolte. In pratica a sei persone è stata iniettata soluzione fisiologica al posto della dose di vaccino Pfizer. “Che problema c’è? – si chiederanno i lettori – si ripete il vaccino”. In realtà non si sa con estrema precisione chi siano quelle sei persone. O meglio, si sa che sono sei di un gruppo di trentasei. “Nel corso della seduta vaccinale pomeridiana dell’11 giugno presso il centro San Biagio di Pistoia – spiega in una nota l’Ausl Toscana centro – si è verificato un evento di somministrazione di soluzione fisiologica in luogo di vaccino Pfizer per sei persone. Il team vaccinale si è accorto di avere utilizzato una fiala in meno rispetto a quelle che sarebbero state necessarie per vaccinare le persone fino a quel momento registrate nel box, effettuando un periodico controllo di congruenza tra dosi somministrate e farmaci prelevati dal frigorifero. Le persone vaccinate nel turno pomeridiano fino al momento in cui l’evento è stato riscontrato sono 36, 30 delle quali sono state correttamente vaccinate”.

Cosa è successo. “L’operatore sanitario – si legge nella nota – ha erroneamente diluito con soluzione fisiologica una delle fiale già utilizzate, priva di principio attivo. L’operazione di diluizione è stata condotta nel rispetto delle norme di sterilità. Le sei persone alle quali è stata somministrata la soluzione fisiologica non corrono alcun rischio, né hanno subito alcun danno dalla somministrazione. Sarà cura dell’Azienda Usl contattare nella giornata di sabato 12 giugno tutti i 36 utenti per avvisarli del fatto che, nel corso della seduta vaccinale, alcune persone abbiano ricevuto soluzione fisiologica e non vaccino. Ancorché i sei utenti che hanno ricevuto soluzione fisiologica siano identificabili a seguito della ricostruzione degli eventi condotta finora, l’Azienda, decorsi 28 giorni, proporrà la effettuazione di prelievo ematico per controllo dei titoli anticorpali per Covid a tutti i 36 utenti. Il risultato dell’indagine consentirà con certezza di individuare le 6 persone non vaccinate, alle quali sarà offerto nuovo ciclo vaccinale”, sottolinea l’azienda sanitaria”.

Aumentare i controlli. Per ridurre al minimo i rischi di incorrere in nuovi errori “l’Azienda Usl attiverà il proprio team di Rischio clinico per compiere audit sulla dinamica della seduta e per analizzare eventuali punti deboli in merito alla attuazione della procedura vaccinale”. Il direttore generale dell’azienda Usl, Paolo Morello Marchesenti, si dice “profondamente dispiaciuto in merito a quanto occorso”. E aggiunge: “Mi preme precisare che nessuno degli utenti rischia danni alla propria salute a seguito di somministrazione di soluzione fisiologica. L’Azienda Usl, effettuate le indagini di laboratorio necessarie, si farà tempestivamente carico di eseguire nuovo ciclo vaccinale ai sei cittadini”.

Coronavirus, 12 professoresse contro "Il Tempo" e Giorgio Palù: "I giovani muoiono più di vaccino che di Covid". Libero Quotidiano il 18 aprile 2021. 12 scienziate scrivono al Tempo. Oggetto un articolo apparso sul sito dove si dava conto della "bufale" sulle professoresse che hanno messo in guardia i giovani dai rischi di AstraZeneca. E così, nell'edizione del 18 aprile, le esperte scrivono ancora al quotidiano di Franco Bechis. "Abbiamo studiato i dati riportati nell'articolo di Dario Martini, apparso ieri (venerdì 16 aprile 2021, ndr) su iltempo.it, scoprendo che purtroppo sono stati analizzati in modo non corretto". Le scienziate contestano infatti il calcolo usato per scoprire la letalità del Covid-19 nei giovani. In questo caso - vergano - "il giornalista ha utilizzato i dati sulla letalità nei soggetti dai 20 ai 49 anni senza stratificarli per fascia di età: un approccio errato perché tra i 20-29, 30-39, 40-49 anni si hanno rischi molto diversi. Scorporando la popolazione per decennio, come riportato nel nostro articolo, si evidenzia infatti che la letalità tra i 40 e i 49 anni è dello 0,2% e solo sotto i 40 il rischio si approssima a zero. Il giornalista quindi sbaglia nel citare i dati da noi riportati nell'articolo sul Corriere della Sera del 15 Aprile (stratificati per età e non accorpati in una singola categoria) e nel riportare affermazioni da noi non esplicitate". Stando ai dati riportati dall'Iss "il rischio sotto i 40 anni per un soggetto sano è pari a 1,6 per milione. Il rischio di decesso per trombosi da vaccino AZ in questa fascia di età è ad oggi calcolato a 2,9 per milione, quindi superiore al rischio di morte per Covid", è la conclusione delle professoresse che arrivano poi al punto: "Questa analisi permette di affermare che nei soggetti giovani il rischio di morte a causa di complicanze secondarie al vaccino supera il beneficio che il vaccino avrebbe nel prevenire malattia grave e morte da COVID-19". Non è dello stesso parere Il Tempo che ha voluto interpellare niente di men di Giorgio Palù per fare chiarezza e rassicurare i più giovani. "Si muore di più di Covid che per le trombosi letali seguite alle somministrazioni del vaccino AstraZeneca. Anche considerando le fasce di popolazione più giovani", è stato il commento chiarissimo del presidente dell'Aifa.

Vaccino, parlano i medici: niente Tachipirina prima della somministrazione. Ilaria Minucci su Notizie.it l'11/03/2021. Diversi esperti consigliano di non assumere la Tachipirina prima del vaccino anti Covid, in quanto i farmaci non vanno presi in linea preventiva. Nelle ultime ore diversi esperti stanno mettendo in guardia la popolazione italiana in merito alla pratica di assumere la Tachipirina prima del vaccino anti Covid per poterne contrastare eventuali effetti collaterali. I medici ricordano infatti come i farmaci non vadano mai presi in via preventiva, ribadendo inoltre l’efficacia dei vaccini attualmente in circolazione.

Vaccino, no alla Tachipirina prima dell’inoculazione. A intervenire sulla questione è stata la docente di Farmacologia dell’Università Statale di Milano Maria Pia Abbracchio, che ha sconsigliato l’utilizzo della Tachipirine in via preventiva: “I farmaci ci sono, ma vanno usati con molta attenzione. Non vanno preso in linea preventiva. La Tachipirina può essere assunta dopo il vaccino se compare la febbre, ma non prima. Tra l’altro gli anti infiammatori possono avere effetti collaterali per chi non li ha mai presi”. Abbracchio ha poi aggiunto: “I vaccini finora si sono mostrati sicuri. Se si hanno dei problemi o dei dubbi, nelle prime 24 ore dopo la vaccinazione, va chiamato subito il centro vaccinale o il medico di famiglia. Il monitoraggio sta procedendo molto bene e bisogna fidarsi dei vaccinatori”.

Il commento del professor Bassetti. Sulla stessa lunghezza d’onda della professoressa anche il direttore del reparto di malattie infettive del San Martino di Genova Matteo Bassetti, che ha affermato: “È sbagliato prendere un farmaco in profilassi per evitare che un effetto avvenga, se questo effetto avviene in una percentuale ridotta di casi. […] Può avere un senso utilizzare il paracetamolo, così come l’ibuprofene, l’aspirina o altro, nel momento in cui non ci sono degli effetti collaterali, ma assumerlo prima che ragione ha? Fondamentalmente lo prendo prima perché, in una percentuale dell’1 o dello 0,1%, mi viene quell’effetto. Non credo abbia un grande significato”.

Cosa succede all'1,6% dei vaccinati? Perché gli anticorpi sono al minimo. Alcune persone sviluppano una quantità minima di anticorpi anche dopo la seconda dose di Pfizer: ecco cosa succede. Alessandro Ferro - Ven, 12/03/2021 - su Il Giornale. Il 98,4% del personale ospedaliero dell'Ospedale Niguarda di Milano a cui è stato somministrato il vaccino ad Rna messaggero di Pfizer/BioNtech ha sviluppato gli anticorpi contro il Covid-19 in maniera molto più consistente rispetto alle attese.

Cosa accade all'1,6%? È questo il primo risultato dello studio clinico di uno dei campioni più ampi ad oggi in Italia e chiamato "Renaissancè", ossia Rinascimento. E nome migliore e beneaugurante non poteva essere messo. Come riporta l'AdnKronos, il monitoraggio ha preso in esame, tra gennaio e febbraio, i 2.497 vaccinati sottoposti ad un prelievo di sangue dopo 14 giorni dalla seconda somministrazione con l'obiettivo di verificare la risposta immunitaria definita "molto alta" e "anche al di sopra delle aspettative", afferma il Prof. Francesco Scaglione, Direttore del Laboratorio di analisi chimiche e Microbiologia del Niguarda. A questo punto, però, la domanda sorge spontanea: ma cosa accade a quella percentuale, seppur minima ed in questo caso dell'1,6%, che non sviluppa anticorpi? C'è da dire, intanto, che sui 2.497 vaccinati, quattro di essi sono stati definiti "non responder", cioè che non hanno avuto risposta anticorpale perché si tratta di persone "immunodepresse, con trascorso di trapianti o patologie che implicano l'uso di farmaci che inibiscono la naturale risposta immunitaria".

"Meno anticorpi degli altri". "Non è che l'1,6% non ha sviluppato anticorpi, ne ha sviluppati in una quantità che è inferiore ai 2-300 Bau (Binding Antibody Unit, ndr) che è l'unità di misura internazionale decisa dall'Oms. Quindi, non hanno risposto con la stessa intensità degli altri", dice in esclusiva per ilgiornale.it il Prof. Scaglione che abbiamo sentito per farci spiegare bene quali sono le possibile cause di una risposta anticorpale così bassa. "C'è uno studio già in corso di svolgimento da un anno per capire quanto durano, nel tempo, questi anticorpi e qual è la loro capacità neutralizzante in modo da dare una dimensione a quelli che hanno risposto di meno, magari sono immunizzati come tutti gli altri", aggiunge l'esperto. Per intenderci, quindi, la risposta anticorpale c'è stata ma molto bassa: dei 2.497 vaccinati, il 62.6% del campione ha avuto una risposta superiore a 2.000 Bau/ml, il 21.6% tra 1.500 e 2.000 Bau/ml, l’11.4% presenta un titolo tra 1.000 e 1.500 Bau/ml e il 4.3% inferiore a 1.000 Bau/ml. Balza all'occhio, quindi, l'1,6% con soli 2-300 Bau, pochissimo anche se confrontati con quelli con la percentuale più bassa. "In paragone è molto bassa, ma allo stato attuale delle conoscenze non sappiamo se è neutralizzante o meno", precisa il Prof. Scaglione.

"C'è una variabilità individuale". I quattro soggetti che non hanno sviluppato gli anticorpi sono immunodepressi e, per questo motivo, il loro organismo non è in grado di produrre una risposta immunitaria. Ma nel famoso 1,6%, da cosa dipende il fatto che gli anticorpi siano al minimo? "La risposta è difficile, probabilmente è genetica: alcuni soggetti possono sviluppare meno anticorpi o in ritardo rispetto ad altri. Adesso seguiremo tutti per i prossimi tre mesi, sei mesi ed un anno per vedere come procedono ma bisogna considerare la variabilità individuale. Quell'1,6% che ha risposto meno ha avuto una risposta anticorpale in misura nettamente inferiore rispetto al resto della popolazione. Non so dire se siano protetti oppure no", ci dice il microbiologo. "Vaccino non va rifatto". L'1,6% che sviluppa pochi anticorpi dovrà rifare il vaccino? Per adesso no, li seguiamo nel tempo e la valutazione che faremo a tre mesi dalla vaccinazione ci dirà cos'hanno: in teoria potrebbero averli uguali agli altri se avessero un ritardo nella formazione anticorpale". È una cosa da sottolineare, perché nei prossimi giorni questi soggetti potrebbero sviluppare una risposta maggiore di quella attuale e temere di meno di essere infettati dal virus. La valutazione che gli esperti hanno fatto al quattordicesimo giorno dipende, biologicamente, dal picco anticorpale che in alcuni soggetti può avvenire dopo tre o quattro settimane mentre per altri può avvenire già alla prima settimana, la variabilità biologica è altissima. "È una materia tutta nuova, la stiamo studiando e trarre conclusioni allo stato attuale è difficile - aggiunge Scaglione - Però posso affermare che il 98,4% ha "high response" cioè risponde ad alti livelli, l'1,6% a più bassi livelli e quattro soggetti su quasi 2.500 non ha risposto per i motivi che abbiamo detto".

Più esposti alla malattia? A questo punto un'altra domanda sorge spontanea: chi ha meno anticorpi rimane più esposto al rischio di contrarre il Covid? La risposta non è così scontata. "Anche questo non lo posso affermare: se uno ha duemila anticorpi e un altro ne ha cento non posso dire che quello che ne ha cento sicuramente non è protetto. Il concetto è questo: per uccidere un uomo ci vuole mezzo grammo di cianuro o un chilo? Ne basta anche mezzo grammo", ci dice il Prof. L'esempio in questione è calzante perché tutto dipende dalla variabilità genetica che abbiamo imparato a conoscere anche con il Covid, in quei casi in cui molti non si sono ammalati pur vivendo a contatto con positivi ed altri soggetti, molto giovani, ne hanno invece contratto forme severe. Anche nel caso degli anticorpi funziona così. "In futuro sarà fondamentale il cut-off, qual è il titolo anticorpale minimo per essere protetti? Questo ancora non lo sappiamo, non lo sa nessuno", aggiunge.

Il ruolo delle cellule T. Lo studio è appena iniziato: gli operatori sanitari saranno sottoposti ad ulteriori prelievi a 3, 6 e 12 mesi dalla seconda dose per monitorare la permanenza della risposta anticorpale nel tempo. A risultati acquisiti, sarà possibile valutare anche il potere neutralizzante degli anticorpi per determinare quale possa essere la soglia minima per considerare davvero efficace la protezione contro l’infezione da Sars-Cov-2. "Andiamo a vedere non soltanto al risposta anticorpale ma anche le cellule T, quelle deputate alla memoria. Il vaccino del morbillo si fa una volta e non si fa più perché queste cellule conservano la memoria e rispondono subito - ci dice il microbiologo - Noi vedremo anche questo, se questo vaccino può indurre un'immunità molto duratura. In genere rimangono, abbiamo l'esperienza dell'influenza: facciamo il vaccino ogni anno perché c'è un ceppo mutato. Bisognerà vedere cosa succede con le varianti: su quella inglese il vaccino funziona, da valutare cosa accade sulla brasiliana e sudafricana", conclude.

Vaccino Covid: l'anomalia italiana delle reazioni avverse. Giuseppe del Bello su La Repubblica il 21 marzo 2021. Più numerose che negli altri paesi: dove sbagliamo? Antonella Viola: "In ogni caso è bene ricordare che le infezioni naturali attivano molto di più l’infiammazione".

LE REAZIONI. ci sono, troppe forse. Ad ammetterlo sono in tanti. A cominciare dall’Aifa che, nella nota sulla sorveglianza vaccinale del 10 marzo, scrive testualmente: “Complessivamente al 26 febbraio 2021 sono state valutate 30.015 segnalazioni su un totale di 4.118.277 dosi somministrate per tutti i vaccini”. Un tasso di eventi segnalati notevole: 729 ogni 100.000 dosi. Di certo, aggiunge Aifa “più elevato di quello che abitualmente si osserva per altre vaccinazioni, per esempio per l’antinfluenzale”. Le manifestazioni più comuni (nel 93 per cento dei casi): febbre, cefalea, dolori muscolari/articolari, dolore in sede di iniezione, brividi e nausea, sono state registrate lo stesso giorno della vaccinazione o il successivo (87% dei casi). Quelle significative, di cui si sta valutando l’eventuale nesso causale con le vaccinazioni, corrispondono al 6,1 per cento del totale, che equivale a 44 eventi gravi (soprattutto a carico del nervoso sistema centrale) ogni 100.000 dosi somministrate. Insomma, dobbiamo comunque dormire sonni tranquilli o sarebbe lecito porre qualche domanda? “Purtroppo le notizie sulla sospensione cautelativa dei lotti ritirati innalzano paura e confusione”, ammette il virologo dell’Università di Milano Maurizio Pregliasco che è anche direttore sanitario dell’Istituto Galeazzi. Se la nostra Agenzia del Farmaco rivela un  numero rilevante di reazioni avverse, c’è anche chi aveva anticipato l’allarme con numeri che fotografano un’Italia mal messa rispetto altri Paesi europei. L’aggiornamento a cui si riferisce Annamaria Colao, titolare della Cattedra Unesco per l’Educazione alla Salute e Sviluppo Sostenibile dell’Università Federico II di Napoli, risale al 2 febbraio ed è stato pubblicato dal Sistema di Sorveglianza Europeo Eudrasurveillance gestito dall’Agenzia Europea del Farmaco (EMA). La conclusione è la stessa: noi deteniamo la casistica peggiore in Europa per eventi scatenati dal vaccino. Sia quelli comuni e dunque più o meno attesi, sia quelli gravi e, dunque, che suscitano maggior preoccupazione. “Basta dare un’occhiata ai tre grafici (riportati in basso, ndr) per rendersi conto delle discrepanze numeriche. E non è roba di uno o due punti, ma di percentuali che fanno riflettere”, osserva la professoressa. Senza entrare nel merito del meccanismo che innesca le singole reazioni, il primo dubbio, al di là dei rischi, reali o presunti, riguarda la campagna nostrana di profilassi antiCovid. “Non staremo per caso sbagliando qualcosa nella strategia adottata?”, azzarda la Colao. Immediata la replica di Pregliasco: “Il protocollo lo ritengo corretto. I dati degli eventi avversi sono comunque complessivamente irrisori. E il numero di segnalazioni dipende dalla sensibilità e attenzione dei soggetti e dei sanitari che, in questo caso, è più alta della norma, mentre per altri farmaci la rilevazione spesso è trascurata. Inoltre l’entità degli effetti, che scompaiono da soli, non è rilevante”. Ma i pareri non sempre concordano. E alle parole di Pregliasco ribatte Antonella Viola, immunologa dell’Università di Padova e direttrice dell’Istituto Ricerca Pediatrica: “Non credo che il numero maggiore di effetti collaterali sia legato a problemi di protocollo. La vera differenza è nella popolazione vaccinata, molto più giovane nel nostro caso perché abbiamo iniziato con i sanitari, con una età media intorno ai 46 anni. E nei giovani il sistema immunitario ha risposte più forti. Nei prossimi mesi vedremo gli effetti nella popolazione anziana”. Il raffronto con le altre nazioni europee, della Comunità e non solo, sono eloquenti. In Italia – è il dato Ema rivelarlo – ci sono state 32.866 reazioni avverse. Siamo primi. “Questo lo aveva già chiarito l’Aifa 15 giorni fa – ricorda Colao – quando rese noti gli oltre 7.000 eventi conseguenti alla somministrazione dell’unico vaccino disponibile all’epoca, quello prodotto da Pfizer/Biontech. Adesso, dal sistema europeo di Sorveglianza arriva la notizia di un ulteriore importante aumento. In pole position ci sono reazioni a carico del sistema nervoso centrale, al secondo posto per frequenza e di grave intensità nel 30% dei casi”. La Francia, che è al secondo posto della classifica, di eventi avversi ne ha registrati 9691, quasi quattro volte meno dell’Italia. A seguire troviamo l’Olanda con 8698, la Spagna con 7415, la Germania con 4582. Se solo la nostra nazione si attesta su cifre così alte e diverse, è evidente che il dato è fuori scala e c’è qualcosa che non va. Colao, che ribadisce di essere una sì-vax convinta, si è sentita in dovere di  indagare. E perciò, con l’epidemiologo Prisco Piscitelli, suo collaboratore per l’Unesco, è andata a spulciare nei documenti disponibili sul sito Ema: “Ci siamo interrogati sulla validità del nostro protocollo vaccinale, soffermandoci sui dati della Gran Bretagna che dall’inizio ha vaccinato la popolazione più anziana con una sola dose. A differenza del nostro Paese dove è stata inoculata anche la dose di richiamo, in linea con il protocollo registrato da Pfizer e Moderna e approvato da Ema. In questo caso, l’ipotesi di una quota più elevata di reazioni dipenderebbe in parte dalla doppia dose e dal fatto che abbiamo vaccinato una rilevante fascia di soggetti non anziani”. Una tesi che riconosce la spiegazione dei numerosi effetti collaterali, come risultato della vaccinazione di giovani tra 20 e 40 anni, quelli che probabilmente godono di più vivace risposta immunitaria. E su questo punto, Pregliasco interviene aggiungendo che “la seconda dose è prevista dagli studi registrativi e garantisce una protezione più alta e duratura. Ben vengano studi per perfezionare la schedula vaccinale come sempre accade per ogni vaccino dopo la registrazione, e a maggior ragione per questi che hanno avuto una autorizzazione di emergenza”. Nello specifico anche la Viola concorda: “Con i vaccini a mRNA non possiamo usare una singola dose perché rischiamo di generare un’immunità che non si mantiene nel tempo o che è poco efficace contro le varianti. Inoltre, i dati di Aifa dicono che non c’è differenza nel numero di eventi riportati a seguito della prima e seconda dose, quindi il problema non è quello. Come dicevo prima, il punto è l’età dei vaccinati: nei giovani il sistema immunitario ha reazioni più forti.”

Il sistema di sorveglianza. Un altro fattore, non meno significante ma utile a interpretare la differenza numerica di segnalazioni, sarebbe la metodologia seguita in Italia per la registrazioni delle reazioni. “Senza attribuirci comportamenti particolarmente virtuosi - ragiona la Colao – probabilmente grazie alla sosta di 15 minuti di osservazione dei vaccinati anche le minime reazioni sono state registrate dal monitoraggio”.

Niente allarmismi. Le ipotesi interpretative sono il frutto dell’analisi dei numeri e delle singole procedure, secondo Colao. Che però avverte: “La lettura dei dati non deve mettere in discussione la validità dei vaccini o, addirittura, indurre nei cittadini il sospetto che invece di proteggere facciano correre rischi seri”. Ma tante reazioni, a prescindere dalle ragioni alla base, richiederebbero un cambio di rotta nelle procedura vaccinale? Dal dieci febbraio, la Colao va sostenendo la necessità di non somministrare a tappeto la seconda dose: “Bisognerebbe valutare la risposta anticorpale dopo la prima, e fare il richiamo solo a quelli nei quali la quantità di anticorpi sia risultata insufficiente a coprirli dal contagio. E questo ci consentirà anche di ampliare la fascia di popolazione vaccinata e di ridurre la circolazione del virus, raggiungendo in tempi brevi l’immunità di gregge. Oggi mi sembra che il governo si stia muovendo in tal senso”. Senza polemiche arriva la precisazione in dissenso di Viola: “La comunità scientifica considera pericoloso cambiare i protocolli di vaccini che hanno altissima efficacia come Pfizer e Moderna. Le due dosi servono e non è necessario fare analisi sierologiche prima di sottoporsi alla vaccinazione. Chi ha avuto la malattia nei mesi recenti può posticipare la seconda dose”. D’altro canto, Pregliasco, ricorda quanto sia “difficile ed oneroso eseguire sistematicamente analisi per valutare la risposta anticorpale” e come sia necessario fare i conti con un altro aspetto: “Non tutti i metodi adottati per effettuarle sono adeguati a misurare l’effettiva intensità della risposta: E oggi sono in corso studi controllati su campioni di popolazione per le valutazioni del caso”.

Donne più sensibili. Sarà perché più attente, percepiscono meglio ogni minima modifica, fatto sta che i numeri sulle differenze lo certificano: le donne hanno segnalato la maggioranza di eventi avversi al vaccino. Ben 907 reazioni su 100mila dosi somministrate nel sesso femminile rispetto alle 424 dichiarate dagli uomini. Praticamente più del doppio. Stavolta, una percentuale sovrapponibile a quella degli altri paesi europei. E anche questo sarebbe un elemento da approfondire, tenendo presente che già esistono teorie interpretative. A partire da una diversa risposta immunitaria nelle donne, che sembrerebbe incidere, secondo recenti studi e come scrive il sito Eudrasurveillance dell’Ema, “sulla frequenza e sulla gravità delle reazioni avverse, soprattutto in relazione a febbre, dolore e infiammazione”. Viola non è sorpresa da questi dati: “Le donne hanno un sistema immunitario più forte, che reagisce di più anche ai vaccini. Questo permette loro di essere più protette contro le infezioni, di proteggere quindi il feto, ma le espone a maggiori reazioni infiammatorie così come a malattie autoimmuni”. Pregliasco invita alla prudenza per evitare paura e ansia ingiustificate: “Ribadisco che si tratta di reazioni considerate lievi e autorisolventesi, piccolo prezzo da pagare a fronte di un rischio per la salute rilevante, ad ogni età, per la malattia. Non cadiamo in un approccio disfattista che alimenta dubbi nella comunità e rischia di rallentare la campagna di vaccinazione, una possibilità ad oggi di arrivare ad una convivenza più civile con questo virus e riprendere una nuova normalità”. Viola aggiunge: “È bene ricordare che le infezioni naturali attivano molto di più l’infiammazione e possono scatenare fenomeni di autoimmunità. Meglio proteggersi con un vaccino”.

Vaccino, sei dosi Pfizer per errore: "I medici non sanno cosa mi accadrà. Ho dolori ovunque, ma non denuncio". Libero Quotidiano il 10 maggio 2021. "Ho il mal di testa, tanta stanchezza e mi sono presa un bello spavento. Però sono sempre viva". Queste le prime parole della 23enne dopo che domenica mattina, 9 maggio, le hanno detto che le avevano iniettato per sbaglio sei dosi del vaccino Pfizer. "Non denuncerò l'ospedale. Sono cose che possono accadere, tutti si sbaglia, non c’è dolo. L’ho letto negli occhi dell’infermiera che mi ha fatto l’iniezione". La ragazza, in una intervista al Corriere della Sera, racconta quello che le è successo: "Domenica mattina alla 10 sono andata all’ospedale civile Noa di Massa per il vaccino che dovevo fare perché sto frequentando uno stage. Ho parlato con il medico per l’anamnesi, poi mi sono seduta con il braccio scoperto. E l’infermiera è arrivata con la siringa, Ho il terrore dell’ago nella carne e dunque non guardo mai chi mi fa le iniezioni". Il problema è che la ragazza si accorge subito di qualcosa: "Appena inoculata la dose, anzi le dosi, ho capito subito che c’era qualcosa che non era andata per il verso giusto. L’infermiera era agitata, molto spaventata. Ha parlato con il medico. Mi hanno chiesto di uscire un momento. Poi mi hanno spiegato tutto e mi hanno detto che mi avrebbero ricoverato in osservazione per 24 ore. Ho avuto paura, ovviamente, anche perché giustamente medico e infermiera mi hanno raccontato tutta la verità e non hanno nascosto niente. Mi hanno detto che sono diventata bianca in volto come un cencio. Mia madre quando gliel’ho detto era sconvolta". La 23enne racconta anche cosa accaduto dopo che i sanitari l'hanno avvertita del guaio: "Mi hanno ricoverata in una stanza singola con una psicologa che mi ha molto aiutato. Ed è iniziato il monitoraggio. Mi hanno dato alcuni farmaci, credo Tachipirina. Poi sono arrivate le prime reazioni. Nulla di grave, per fortuna, mal di testa, stanchezza, qualche brivido. Ora sono stanchissima. E molto stressata. Ho forti dolori nel punto dell’inoculazione, mi fa male tutto il braccio e ovviamente ho paura. Non farò nessuna denuncia penale ma è ovvio che se avrò in futuro gravi conseguenze qualcuno dovrà rispondere in sede civile. La mia tolleranza vale solo per l’infermiera o chi per lei ha sbagliato non per la struttura che comunque non può mai permettersi certe disavventure", conclude.

Vaccini, reazioni avverse Pfizer, AstraZeneca, Moderna e J&J: quante sono e differenze tra prima e seconda dose, il rapporto Aifa. Il Messaggero l'11 giugno 2021. L'Agenzia italiana del farmaco (Aifa) ha pubblicato il quarto rapporto di farmacovigilanza sui vaccini anti Covid-19. Tra il 27 dicembre 2020 e il 26 maggio 2021 - si legge nel rapporto - per i quattro vaccini in uso nella campagna vaccinale anti-Covid in corso sono pervenute 66.258 segnalazioni di reazioni avverse su un totale di 32.429.611 dosi somministrate (tasso di segnalazione di 204 ogni 100mila dosi), di cui circa il 90% sono riferite a eventi non gravi come dolore in sede di iniezione, febbre, astenia/stanchezza, dolori muscolari. I dati sono emersi dalle segnalazioni di sospetta reazione avversa registrate nella Rete nazionale di farmacovigilanza.

Le reazioni avverse

Le reazioni segnalate - si legge nel report - insorgono prevalentemente lo stesso giorno della vaccinazione o il giorno successivo (83% dei casi). Le segnalazioni gravi corrispondono al 10,4% del totale, con un tasso di 21 eventi gravi ogni 100mila dosi somministrate, indipendentemente dal tipo di vaccino, dalla dose (prima o seconda) e dal possibile ruolo causale della vaccinazione. La maggior parte delle segnalazioni sono relative al vaccino Pfizer Comirnaty (71,8%), finora il più utilizzato nella campagna vaccinale (68,7% delle dosi somministrate) e solo in minor misura al vaccino Vaxzevria* di AstraZeneca (24% delle segnalazioni e 20,8% delle dosi somministrate), al vaccino di Moderna (3,9% delle segnalazioni e 9% delle dosi somministrare) e al vaccino Janssen-gruppo J&J (0,3% delle segnalazioni e 1,5% delle dosi somministrate).

Astrazeneca dopo la prima dose, Pfizer e Moderna dopo la seconda

Per tutti i vaccini - si precisa nel rapporto Aifa - gli eventi avversi più segnalati sono febbre, stanchezza, cefalea, dolori muscolari/articolari, dolore in sede di iniezione, brividi e nausea. Gli eventi avversi gravi correlabili alla vaccinazione più spesso segnalati configurano un quadro di sindrome simil-influenzale con sintomatologia intensa, più frequente dopo la seconda dose dei vaccini a mRna e dopo la prima dose di Vaxzevria.

AstraZeneca, 1 caso di trombosi ogni 100mila, nessuna dopo seconda dose

Il tasso di segnalazione delle trombosi venose intracraniche e in sede atipica in soggetti vaccinati con il vaccino anti-Covid Vaxzevria di AstraZeneca «è in linea con quanto osservato a livello europeo». Si tratta di «1 caso ogni 100.000 prime dosi somministrate» e «nessun caso dopo la seconda dose». È quanto emerge dal quinto Rapporto di farmacovigilanza sui vaccini Covid-19, pubblicato dall'Agenzia italiana del farmaco Aifa. Questi eventi avversi rari sono stati segnalati «prevalentemente in persone con meno di 60 anni», viene confermato nel report, che contiene dati riguardanti le segnalazioni di sospetta reazione avversa registrate nella Rete nazionale di farmacovigilanza tra il 27 dicembre 2020 e il 26 maggio 2021 per i 4 vaccini in uso nella campagna vaccinale in corso.

Vaccini, eventi avversi: in Italia ad oggi 328 segnalazioni di morte. Redazione La Pressa - Giuseppe Leonelli - l'11 Giugno 2021.  L’Aifa ha pubblicato ieri il quinto Rapporto di Farmacovigilanza sui Vaccini Covid. Le segnalazioni gravi sono il 10,4% del totale (21 ogni 100mila dosi). L’Agenzia Italiana del Farmaco ha pubblicato ieri il quinto Rapporto di Farmacovigilanza sui Vaccini Covid (qui i dati del quarto). I dati raccolti e analizzati riguardano le segnalazioni di sospetta reazione avversa registrate nella Rete Nazionale di Farmacovigilanza tra il 27 dicembre 2020 e il 26 maggio 2021 per i quattro vaccini in uso nella campagna vaccinale in corso. Nel periodo considerato sono pervenute 66.258 segnalazioni su un totale di 32.429.611 dosi somministrate (tasso di segnalazione di 204 ogni 100.000 dosi), di cui circa il 90% sono riferite a eventi non gravi, come dolore in sede di iniezione, febbre, astenia/stanchezza, dolori muscolari. Come riportato nei precedenti Rapporti, gli eventi segnalati insorgono prevalentemente lo stesso giorno della vaccinazione o il giorno successivo (83% dei casi). Le segnalazioni gravi corrispondono al 10,4% del totale, con un tasso di 21 eventi gravi ogni 100.000 dosi somministrate, indipendentemente dal tipo di vaccino, dalla dose (prima o seconda) e dal possibile ruolo causale della vaccinazione. La maggior parte delle segnalazioni sono relative al vaccino Pfizer (Comirnaty) (71,8%), finora il più utilizzato nella campagna vaccinale (68,7% delle dosi somministrate) e solo in minor misura al vaccino Astrazeneca (Vaxzevria) (24% delle segnalazioni e 20,8% delle dosi somministrate), al vaccino Moderna (3,9% delle segnalazioni e 9% delle dosi somministrare), e al vaccino Johnson & Johnson (Janssen) (0,3% delle segnalazioni e 1,5% delle dosi somministrate). Per tutti i vaccini, gli eventi avversi più segnalati sono febbre, stanchezza, cefalea, dolori muscolari/articolari, dolore in sede di iniezione, brividi e nausea. Gli eventi avversi gravi correlabili alla vaccinazione più spesso segnalati configurano un quadro di sindrome simil-influenzale con sintomatologia intensa, più frequente dopo la seconda dose dei vaccini a mRNA e dopo la prima dose di Astrazeneca. Il tasso di segnalazione delle trombosi venose intracraniche e in sede atipica in soggetti vaccinati con Vaxzevria è in linea con quanto osservato a livello europeo (1 caso ogni 100.000 prime dosi somministrate, nessun caso dopo seconda dose).

I decessi.

Distribuzione delle segnalazioni con esito decesso per tipologia di vaccino

VACCINO

 

TASSI PER 100.000

 

CASI FATALI

DOSI SOMMINISTRATE

COMIRNATY

(Pfizer e BioNTech)

213

 

0,96

 

MODERNA

 

58

 

1,99

 

VAXZEVRIA (AstraZeneca)

53

 

0,79

 

JANSSEN(Johnson&Johnson)

 

4

 

0,79

TOTALE

 

328

 

1.01

 

In Italia, al 26 maggio 2021, sono state inserite 328 segnalazioni con esito “decesso” con un tasso di segnalazione di 1 su 100.000 dosi somministrate, indipendentemente dal nesso di causalità. In base alla tipologia di vaccino, 213 decessi sono stati segnalati dopo Comirnaty, 58 dopo Covid-19 Vaccino Moderna, 53 dopo Vaxzevria e 4 dopo COVID-19 Vaccino Janssen. Il 53,4% dei casi riguarda donne, il 46% uomini mentre lo 0,6% non riporta questo dato; l’età media è di 78,6 anni (range 26-104 anni). Il tempo intercorrente tra somministrazione e decesso varia da due ore fino ad un massimo di 55 giorni. In 211 casi il decesso è registrato dopo la prima dose, in 98 dopo la seconda (ove specificato nella scheda di segnalazione). Non sono segnalati decessi a seguito di shock anafilattico o reazioni allergiche importanti, mentre è frequente la correlazione con cause cardiovascolari, in pazienti che presentano patologie di tale apparato. Il differente tasso di segnalazione di eventi con esito fatale è in larga parte dipendente dalla diversa popolazione target dei singoli vaccini e dalla diversa esposizione. I tassi sono in diminuzione per i tre vaccini già in uso rispetto alla precedente analisi, così come il tasso globale. I casi corredati di informazioni dettagliate e complete riportano cause alternative al vaccino, in particolare complicanze di patologie intercorrenti o pregresse, in soggetti con fragilità cliniche e politerapia, che rendono complessa la valutazione della causa di morte e del rapporto di causalità. Al momento della stesura di questo documento, il 68,6% delle schede (225 su 328) presenta una valutazione di causalità con l’algoritmo utilizzato nell’ambito della vaccinovigilanza (Algoritmo OMS), in base al quale il 57,8% dei casi è non correlabile, il 36,9% indeterminato e il 3,6% inclassificabile per mancanza di informazioni necessarie all’applicazione dell’algoritmo. In quattro casi (1,8% del totale), la causalità risulta correlabile. Tre casi sono stati già descritti nei report precedenti. Il quarto caso si riferisce a un uomo di 58 anni (affetto da ipercolesterolemia e sottoposto in passato a tiroidectomia), deceduto dopo 17 giorni dalla prima dose del vaccino, per trombosi delle vene splancniche con trombocitopenia, splenomegalia, emoperitoneo e conseguente ischemia splancnica. Il caso è stato interpretato come sospetta trombosi in sede atipica associata a trombocitopenia in paziente vaccinato con Astrazeneca e valutato come correlabile, in attesa di ulteriori informazioni dall’esame autoptico. Ovviamente il report non ha considera ancora il decesso di Camilla Canepa. 

L'età. L’età media delle persone che hanno avuto un sospetto evento avverso è 48 anni (range di età 0,1- 107 anni, età mediana di 48 anni). Come già osservato nei precedenti Rapporti, il tasso di segnalazione è maggiore e relativamente costante nelle fasce di età più giovani (fino a 60 anni), per poi diminuire nelle fasce d’età più avanzate. 

I decessi segnalati nel mondo. Il “Weekly Summary of Yellow Card reporting” della Agenzia regolatoria del Regno Unito (MHRA-Medicines and Healthcare products Regulatory Agency), aggiornato al 19/05/2021, riporta complessivamente 1.213 segnalazioni con esito fatale su un totale di circa 59 milioni di dosi somministrate dei vaccini Comirnaty, Vaxzevria e Moderna, con un tasso di segnalazione pari a circa 2 casi ogni 100.000 dosi somministrate.

- il Vaccine Adverse Event Reporting System (VAERS) negli Stati Uniti riporta al 24 maggio 2021 4.863 segnalazioni di decesso tra le persone che hanno ricevuto almeno una dose di vaccino su un totale di oltre 285 milioni di dosi di vaccini COVID-19 (tasso di segnalazione 1.7/100.000 dosi somministrate).

- l’ultimo rapporto periodico della Swissmedic del 21/05/2021, elaborato in collaborazione con i centri regionali di farmacovigilanza, riporta 84 segnalazioni con esito fatale su un totale di 2269 notifiche di sospette reazioni avverse e 3,7 milioni di dosi dei vaccini Comirnaty e Covid-19 Vaccino Moderna (attualmente utilizzati in Svizzera), con un tasso di 2,3 segnalazioni ogni 100.000 dosi somministrate. 

Le segnalazioni in Italia nel dettaglio 

Il 90% circa delle segnalazioni inserite al 26/05/2021 sono riferite ad eventi non gravi, con un tasso di segnalazione pari a 183/100.000 dosi somministrate. Il valore è simile al tasso cumulativo relativo a tutti gli eventi proprio perché le segnalazioni non gravi ne rappresentano la maggior parte. Le segnalazioni gravi corrispondono al 10,4% del totale, con un tasso di 21 eventi gravi ogni 100.000 dosi somministrate. I tassi di segnalazione degli eventi gravi dei singoli vaccini sono 18 (Comirnaty), 13 (Moderna), 36 (Vaxzevria) e 4,6 (Janssen) ogni 100.000 dosi somministrate. Giuseppe Leonelli 

Dagotraduzione dal DailyMail il 10 giugno 2021. Nuovi guai per il vaccino AstraZeneca: i ricercatori dell’Università di Edimburgo hanno scoperto che è collegato a un altro disturbo emorragico, chiamato Porpora Trombocitopenica Idiopatica (PTI) o Morbo di Werlhof. Si tratta di una malattia che si manifesta con la comparsa di ecchimosi, petecchie e/o sanguinamenti, leggeri lividi e un’eruzione cutanea punteggiata di viola. I ricercatori hanno individuato il collegamento dopo aver analizzato i dati di 5,4 milioni di persone in Scozia tra l'8 dicembre e il 14 aprile. A quel punto, 1,7 milioni di persone avevano ricevuto la prima dose del vaccino Oxford, mentre 800.000 si erano immunizzati il vaccino Pfizer-BioNTech. Hanno esaminato le cartelle cliniche degli individui vaccinati per identificare eventuali problemi precedenti con PTI, disturbi della coagulazione o emorragici e li hanno confrontati con persone che non erano state vaccinate. Nessun caso è stato collegato al vaccino Covid di Pfizer, che funziona in modo completamente diverso. Non ci sono prove che il colpo di AstraZeneca abbia causato coaguli di sangue nonostante le crescenti affermazioni, e questo rimane oggetto di indagine. Gli esperti insistono inoltre che i benefici del vaccino superano i rischi per la grande maggioranza degli adulti. I capi sanitari del Regno Unito hanno consigliato solo ai minori di 40 anni di ricevere un vaccino diverso a causa del loro minimo rischio di ammalarsi gravemente, insieme alla bassissima prevalenza di Covid in quel momento. Gli scienziati di Edimburgo hanno affermato che il rischio di PTI dopo il vaccino di AstraZeneca - calcolato in 11 per 1 milione di dosi - era simile ai tassi osservati per il vaccino MMR. Il professor Aziz Sheikh, autore dello studio, ha affermato che il «rischio molto piccolo» di PTI, coagulazione e sanguinamento doveva essere «visto nel contesto dei benefici molto evidenti» del farmaco, che ha ripetutamente dimostrato di salvare vite umane. Il dottor Will Lester, consulente ematologo presso l'University Hospitals Birmingham NHS Foundation Trust, che non è stato coinvolto nello studio, ha affermato che L’PTI è spesso «gestibile» e il rischio di morte per la condizione «molto raro». Ha insistito sul fatto che «al momento non ci sono prove» che qualsiasi vaccino contro il Covid sia più rischioso di un altro. I pazienti che hanno sviluppato la PTI avevano un'età media di 69 anni e spesso avevano almeno una condizione di salute di base, come malattie cardiache o diabete. I primi coaguli che hanno allarmato le persone a cui è stato somministrato il vaccino di AstraZeneca sono stati quelli che compaiono nelle vene vicino al cervello di giovani adulti in una condizione chiamata CSVT (trombosi venosa del seno cerebrale). Da allora, tuttavia, le persone hanno sviluppato coaguli in altre parti del corpo. Tutti i coaguli si sono verificati insieme alla trombocitopenia, un numero anormalmente basso di piastrine, un effetto insolito perché le piastrine vengono utilizzate dal sistema immunitario per costruire i coaguli. Nella maggior parte dei casi le persone guariscono completamente e i blocchi sono generalmente facili da trattare se individuati precocemente, ma possono scatenare ictus o problemi cardiaci o polmonari se non notati. I sintomi dipendono interamente da dove si trova il coagulo, con blocchi cerebrali che causano mal di testa lancinanti. I coaguli nelle principali arterie dell'addome possono causare dolore allo stomaco persistente e quelli nella gamba possono causare gonfiore degli arti. Alcuni paesi hanno deciso di smettere del tutto di usare il jab, con Danimarca e Norvegia che hanno deciso di non implementarlo. Altre nazioni lo hanno limitato a determinati gruppi di età. Ma il colpo di AstraZeneca non è l'unico a causare coaguli di sangue. Il vaccino monodose di Johnson & Johnson è stato collegato a 28 casi negli Stati Uniti su oltre 10,4 milioni di colpi. I ricercatori in Germania ritengono che il problema risieda nel vettore adenovirus, un comune virus del raffreddore utilizzato in modo che entrambi i vaccini possano entrare nel corpo. Gli accademici che indagano sul problema affermano che la complicazione è «completamente assente» nei vaccini a mRNA come Pfizer e Moderna perché hanno un meccanismo di somministrazione diverso. AstraZeneca ha dichiarato in una dichiarazione che il suo vaccino contro il Covid è «altamente efficace», contribuendo a salvare oltre 100.000 vite in tutto il mondo. Garantire la sicurezza del vaccino è «fondamentale» e la società sta lavorando con le autorità di regolamentazione e la comunità scientifica per comprendere i coaguli di sangue «estremamente rari», ha affermato.

(ANSA il 10 giugno 2021) E' morta Camilla Canepa, la 18enne di Sestri Levante ricoverata domenica al S.Martino di Genova dopo una trombosi al seno cavernoso e operata per la rimozione del trombo e ridurre la pressione intracranica. Era stata vaccinata con AstraZeneca il 25 maggio nell'open day per gli over 18. "Purtroppo, poche ore fa, Sestri Levante è stata colpita da un lutto che mai avremmo voluto vivere -dice la sindaca di Sestri Valentina Ghio-. L'amministrazione comunale e tutta la città si stringono intorno alla famiglia della ragazza scomparsa oggi. In questo momento di dolore esprimo tutto il mio affetto e la mia vicinanza ai familiari di Camilla".

Astrazeneca, morta la 18enne colpita da trombosi dopo il vaccino. Francesca Galici il 10 Giugno 2021 su Il Giornale. Non ce l'ha fatta la giovanissima studentessa colpita da trombosi 14 giorni dopo aver ricevuto il vaccino AstraZeneca all'Open day di Genova. Camilla Canepa, la 18enne di Sestri Levante colpita da trombosi ricoverata da domenica in gravi condizioni all'ospedale San Martino di Genova non ce l'ha fatta. La giovanissima aveva fatto il vaccino AstraZeneca 14 giorni prima dell'evento trombotico, partecipando il 25 maggio a uno degli open day organizzati nel capoluogo per incentivare anche i più giovani a effettuare il vaccino contro il coronavirus. A dare l'annuncio è stato il sindaco di Sestri Levante, Valentina Ghio: "Purtroppo, poche ore fa, Sestri Levante è stata colpita da un lutto che mai avremmo voluto vivere. L'amministrazione comunale e tutta la città si stringono intorno alla famiglia della ragazza scomparsa oggi. In questo momento di dolore esprimo tutto il mio affetto e la mia vicinanza ai familiari di Camilla". Le sue condizioni erano apparse da subito molto gravi e Camilla era stata sottoposta a un intervento urgente per la rimozione meccanica del trombo e anche a un'altra operazione necessaria ad allentare la pressione intracranica causata dall’emorragia. Tutti gli sforzi sono però stati vani e per per Camilla, purtroppo, non c'è stato nulla da fare. Mentre il dibattito sull'opportunità di somministrare i vaccini a vettore virale (AstraZeneca e J&J) agli individui under 60, l'azienda sanitaria della Liguria Alisa ha proceduto a ritirare il lotto Abx1506 del vaccino AstraZeneca, lo stesso somministrato a Camilla Canepa e a un'altra donna di 34 anni, tutt'ora ricoverata in gravi condizioni all'ospedale San Martino di Genova. Si tratta di una sospensione "in via precauzionale", come si precisa nella nota informativa. "La rete di farmacovigilanza si è attivata tempestivamente ed efficacemente per raccogliere e trasmettere ad Aifa le segnalazioni ricevute per i successivi approfondimenti", ha detto Barbara Rebesco, direttore Politiche del farmaco di Alisa. La nota si conclude spiegando che "in via cautelativa, fino a nuova comunicazione, abbiamo deciso di sospendere il lotto interessato appena ricevuta la seconda segnalazione di reazione avversa appartenente allo stesso lotto". Intanto Giovanni Toti chiede ora chiarezza sul vaccino di Oxford: "Se oggi il Cts deciderà che il vaccino Astrazeneca non va bene, vorrei semplicemente venisse fatta una comunicazione univoca e chiara, per dare una risposta a chi ha già fatto o deve ancora fare il vaccino. Lo chiedo come presidente di Regione che, come tutti i miei colleghi, si sta spendendo insieme a tutta la Sanità in questa enorme campagna di vaccinazione oltre che nella gestione della pandemia". Anche Giorgia Meloni su Facebook ha alzato la voce: "Non se ne può più di questo caos e di questa approssimazione. Chiedo che il Governo riferisca immediatamente in Parlamento. Gli italiani devono sapere. Pretendiamo trasparenza e chiarezza: non si scherza con la salute dei cittadini". Anche Anna Maria Bernini è intervenuta sulla vicenda: "La nostra bussola in questa pandemia è sempre stata l'ascolto della scienza, e la scienza ci sta portando fuori dall'incubo. Ma i continui stop and go su AstraZeneca, con le raccomandazioni sulle fasce di età che sono cambiate più volte in pochi mesi, sono oggettivamente un fattore destabilizzante che mina la fiducia nei vaccini e rischia di rallentare un piano che sta funzionando alla perfezione". Il capogruppo Forza Italia al Senato ha quindi chiesto al ministero della Salute e al Cts di prendere una posizione chiara e definitiva "dando un messaggio univoco su quale vaccino somministrare nelle varie fasce di età".

Francesca Galici. Giornalista per lavoro e per passione. Sono una sarda trapiantata in Lombardia. Amo il silenzio.

Camilla Canepa, chi era la 18enne morta a Genova per una trombosi dopo Astrazeneca. Chiara Nava l'11/06/2021 su Notizie.it. Camilla Canepa è morta al San Martino di Genova a soli 18 anni, per una trombosi in seguito alla somministrazione di AstraZeneca. Camilla Canepa è morta al San Martino di Genova a soli 18 anni, per una trombosi in seguito alla somministrazione di AstraZeneca. Era felice di essersi vaccinata, aspettava l’esame di maturità e pensava alle vacanze e alla sua passione per la pallavolo. Camilla Canepa è morta a 18 anni al San Martino di Genova, dove era ricoverata da domenica, dopo una trombosi al seno cavernoso a seguito della somministrazione del vaccino AstraZeneca. Camilla era molto felice di aver effettuato il vaccino e lo aveva fatto per se stessa e per chi le stava accanto. “Aveva l’esame di maturità ma già pensava alle vacanze e alla pallavolo, la sua grande passione. Le piaceva sentirsi libera” ha raccontato un compagno di scuola. Lo scorso dicembre aveva compiuto 18 anni. La chiamavano bomber, perchè in campo schiacciava moltissimo. “Dolce e energica al tempo stesso, aveva un grande entusiasmo, una trascinatrice per le compagne, un martello per le avversarie. Camilla si era presa un anno sabbatico per via del Covid ma voleva riprendere il prossimo campionato. Grazie a lei lo scorso anno abbiamo ottenuto la promozione in seconda divisione e quest’anno ci stiamo giocando un nuovo passaggio di categoria” ha dichiarato Federico Gandolfo, dirigente della Vbc Casarza Ligure. Il 25 maggio Camilla ha deciso di partecipare con grande entusiasmo all’open day che era stato organizzato dalla Regione Liguria per vaccinarsi con AstraZeneca. Il 3 giugno si è presentata al pronto soccorso dell’ospedale di Lavagna con cefalea e fotofobia, ma è stata mandata a casa dopo una Tac negativa. Il 5 giugno è tornata al pronto soccorso dell’ospedale San Martino di Genova. Stava molto male e aveva sviluppato anche delle difficoltà motorie. In ospedale è stata accertata un’emorragia cerebrale. Camilla Canepa è morta dopo aver subito due interventi per rimuovere i trombi e diminuire la pressione intra cranica. La Procura di Genova ha avviato un’indagine conoscitiva, ma dopo la morte della ragazza le cose sono cambiate. “Metteremo in atto il protocollo già applicato a un altro decesso post vaccino: il fascicolo sarà aperto per omicidio colposo contro ignoti e si darà corso agli adempimenti necessari, a cominciare da quello autoptico e alla raccolta di tutta la documentazione anche dell’iter vaccinale. Nomineremo il medico legale e l’ematologo che già stanno seguendo gli altri casi” ha spiegato il procuratore aggiunto Francesco Pinto. Il lotto di AstraZeneca con cui sono state vaccinate Camilla e un’altra donna savonese di 34 anni, ricoverata e operata per rimuovere trombi addominali, è stato ritirato. Sestri Levante, piccolo comune ligure, si è stretto intorno alla famiglia di Camilla Canepa. “Sestri Levante è stata colpita da un lutto che mai avremmo voluto vivere” con queste parole la sindaca Valentina Ghio ha dato la notizia di quello che era accaduto. Il vaccino AstraZeneca era raccomandato agli over 60, ma in tutta Italia sono stati organizzati open day per i giovani. Ventiquattro medici vaccinatori a Genova avevano scritto una lettera che metteva in guardia sulla somministrazione di AstraZeneca ai più giovani, sottolineando i rischi, ma il presidente dell’Ordine dei medici li aveva duramente criticati, anche se poi ha dovuto fare marcia indietro. Il presidente della Regione, Toti, ha annunciato che il piano vaccinale va avanti, ma dopo il ricovero di Camilla ci sono state 600 rinunce per il successivo open day per i diciottenni. Per quale motivo sono stati fatti degli open day per diciottenni se AstraZeneca era consigliato agli over 60? Le cose non tornano. L’immunologo Bassetti aveva parlato di “psicosi” nei confronti di AstraZeneca e ha chiesto al Cts di decidere “se il vaccino non si deve più usare e ci si attrezzi per fare solo vaccini mRna“. Toti ha voluto aggiungere che gli open day erano stati autorizzati dalla struttura commissariale il 17 maggio per gli over 18 e per questo diverse Regioni li hanno organizzati.

18enne morta a Genova per trombosi dopo Astrazeneca: il 3 giugno stava male ma era stata dimessa. Debora Faravelli l'11/06/2021 su Notizie.it. La 18enne morta all'ospedale di Genova per una trombosi dopo la vaccinazione con AstraZeneca era stata dimessa dall'ospedale una settimana prima. Camilla Canepa, la 18enne ligure morta dopo una trombosi seguita alla somministrazione del vaccino di AstraZeneca, aveva iniziato a non stare bene già dal 3 giugno: il Pronto Soccorso, dati gli esiti negativi di tac ed esami neurologici, l’aveva però rimandata a casa. Come spiegato dalla Regione e dall’azienda sanitaria locale, la giovane si era recata in ospedale con cefalea e fotofobia nove giorni dopo aver effettuato la vaccinazione nell’ambito dell’Open Day del 25 maggio. I medici l’avevano sottoposta a tac cerebrale ed esame neurologico, entrambi negativi, e l’avevano dunque dimessa con la raccomandazione di ripetere gli esami ematici dopo 15 giorni. Il 5 giugno, peggiorate le condizioni, la ragazza è tornata in Pronto Soccorso con deficit motori ad un emilato. Sottoposta a tac cerebrale con esito emorragico, è stata immediatamente trasferita nel reparto di Neurochirurgia del San Martino. Qui i dottori le hanno effettuato un primo intervento per rimuovere il trombo e un secondo per ridurre la pressione intracranica derivante dall’emorragia. Ma ormai era troppo tardi e il 10 giugno per la ragazza è sopraggiunto il decesso. Sui fatti indagherà la Procura di Genova che ha cambiato il reato con cui era stato aperto il fascicolo da atti relativi a omicidio colposo a carico di ignoti. Il pubblico ministero Stefano Puppo insieme al procuratore Francesco Pinto disporranno l’autopsia che con ogni probabilità verrà assegnata al medico legale Luca Tatjana e all’ematologo Franco Piovella. Si tratta dei due esperti che hanno già eseguito gli esami sugli altri quattro casi di decessi dopo le vaccinazioni registrati al San Martino, ovvero la docente Francesca Tuscano di 32 anni e tre anziani tra i 70 e gli 80 anni. Il sindaco di Sestri Valentina Ghio ha così commentato la triste vicenda che ha visto coinvolta la sua concittadina: “Purtroppo poche ore fa, Sestri Levante è stata colpita da un lutto che mai avremmo voluto vivere. L’amministrazione comunale e tutta la città si stringono intorno alla famiglia della ragazza scomparsa oggi. In questo momento di dolore esprimo tutto il mio affetto e la mia vicinanza ai familiari di Camilla”.

"Stava male, poi…": cos’è successo a Camilla dopo il vaccino. Ignazio Riccio l'11 Giugno 2021 su Il Giornale. Un’altra donna di 34 anni, vaccinata ad Alassio il 27 maggio scorso, è stata operata al cervello per una trombosi e adesso è in rianimazione. Quest’anno avrebbe dovuto sostenere gli esami di maturità al liceo tecnologico di Chiavari, ma non ha fatto in tempo. È deceduta ieri la giovane Camilla Canepa, 18 anni, che lo scorso 3 giugno si era recata per la prima volta al pronto soccorso di Lavagna con sintomi molto gravi: forte cefalea e fotofobia. Il 25 maggio aveva ricevuto la prima dose del vaccino AstraZeneca, dopo essersi iscritta all’open day dedicato agli over 18. Sottoposta a Tac ed esami neurologici, che non avevano rilevato disfunzioni, era stata rispedita a casa. Le condizioni della ragazza, però, sono peggiorate e due giorni dopo Camilla è ritornata al pronto soccorso con deficit motori. A quel punto dagli esami strumentali è emersa l’emorragia celebrale. La giovane donna, trasferita all’ospedale San Martino, ha perso la vita nella giornata di ieri, dopo due interventi chirurgici effettuati nel tentativo di ridurre la trombosi celebrale e la pressione intracranica. Una tragedia quella accaduta in Liguria che ha lasciato incredula un’intera comunità. I genitori, come riporta la Repubblica, hanno acconsentito all’espianto degli organi che serviranno a salvare cinque persone. A dare la notizia del decesso è stato il sindaco di Sestri Levante Valentina Ghio, la città d’origine di Camilla. “Tutta la città si stringe intorno alla famiglia”, ha detto il primo cittadino, che ha sospeso tutti gli eventi del festival Andersen, manifestazione dedicata al mondo delle favole. Sulla vicenda è intervenuto anche il leader della Lega Matteo Salvini, il quale ha scritto su Twitter: “Vaccini ai bimbi e ragazzi sconsigliati da Paesi europei, riviste scientifiche e medici. Stop, sulla salute dei nostri figli non si scherza”. Già in mattinata, comunque, la Regione Liguria aveva sospeso il lotto di AstraZeneca, di cui faceva parte la dose somministrata alla 18enne. Nei giorni scorsi i giudici avevano aperto un’inchiesta senza ipotesi di reato, tantomeno con iscrizione di indagati. Dopo la morte di Camilla, si indaga per omicidio colposo, anche se al momento, seppure sia stata sequestrata la cartella clinica in ospedale, a carico di ignoti.

"Astrazeneca e J&J ai giovani? Pericoloso". Ora è caos. La Procura della Repubblica ha acquisito anche lo studio dell'Ema, l'agenzia europea dei farmaci, in cui vengono evidenziate le probabilità di sviluppare trombosi in base all'età e ha chiesto ai due ospedali la documentazione relativa all'iter vaccinale. Soprattutto, vuole ricostruire quanto successo tra il primo accesso al pronto soccorso e il secondo ricovero. Un’altra donna di 34 anni, vaccinata ad Alassio il 27 maggio scorso con lo stesso lotto di Camilla, è stata operata al cervello per una trombosi e adesso è in rianimazione.

Ignazio Riccio. Sono nato a Caserta il 5 aprile del 1970. Giornalista dal 1997, nel corso degli anni ho accumulato una notevole esperienza nel settore della comunicazione, del marketing e dell’editoria. Scrivo per ilGiornale.it dal 2018. Nel 2017 è uscito il mio primo libro, il memoir Senza maschere sull’anima.

"Felice per il vaccino": gli ultimi giorni di Camilla. Valentina Dardari l'11 Giugno 2021 su Il Giornale. Dolore e rabbia tra gli amici e conoscenti della 18enne di Sestri Levante morta dopo aver ricevuto il vaccino AstraZeneca. Camilla se n’è andata in pochi giorni, in un letto dell’ospedale San Martino di Genova, dove era stata ricoverata lo scorso 5 giugno dopo che si era ripresentata in pronto soccorso con deficit motori, e la tac cerebrale aveva dato esito emorragico.

Gli amici: "Le piaceva sentirsi libera". Era felice di aver ricevuto il vaccino, anche per se stessa, finalmente libera di concentrarsi sulla maturità e subito dopo di godersi l’estate. Sia per i suoi familiari e tutti coloro che aveva accanto. Come riportato dal Corriere, un compagno di classe dell’Istituto tecnico “In Memoria dei Morti per la Patria” di Chiavari, dove si stava per diplomare in ragioneria, indirizzo Amministrazione, finanza e marketing, ha raccontato che Camilla “aveva l’esame di maturità ma già pensava alle vacanze e alla pallavolo, la sua grande passione. Le piaceva sentirsi libera”. Maggiorenne dallo scorso dicembre, la ragazza amava il mare, frequentava l’oratorio e già pensava al campionato di volley femminile e a iscriversi all’università. Era soprannominata bomber perché le sue schiacciate sul campo erano come bombe. Federico Galdolfo, il dirigente della Vbc Casarza ligure, la squadra dove giocava, la descrive “dolce ed energica al tempo stesso, aveva un grande entusiasmo, una trascinatrice per le compagne, un martello per le avversarie. Camilla si era presa un anno sabbatico per via del Covid ma voleva riprendere il prossimo campionato. Grazie a lei lo scorso anno abbiamo ottenuto la promozione in seconda divisione e quest’anno ci stiamo giocando un nuovo passaggio di categoria”. Oggi ci sarebbe dovuta essere la semifinale playoff, ma è stato tutto rimandato, in segno di rispetto a Camilla e alla sua famiglia, il padre Roberto noto geometra, la madre Barbara Spoto impiegata in uno studio di commercialisti a Chiavari, la sorella maggiore studentessa di 23 anni. La Federazione italiana di pallavolo ha voluto ricordare la giocatrice e stringersi alla famiglia della ragazza: “Oggi, a solo 18 anni, la giovane pallavolista Camilla Canepa ci ha lasciato. In questo tragico momento tutto il mondo del volley è vicino ai parenti di Camilla”.

L'ultimo gesto d'amore di Camilla. Lutto per la pallavolo, lo sport e la città dove viveva Camilla. La sindaca di Sestri Levante, Valentina Ghio, ha commentato quanto avvenuto: “È una tragedia che mai avremmo voluto vivere. Ho seguito giorno dopo giorno questa tragedia, i due interventi subiti da Camilla, la grande preoccupazione di chi le è stato accanto e che oggi è dolore immenso, difficile da gestire”. I genitori hanno dato il consenso alla donazione degli organi che potranno salvare altre vite umane. “Se questo può salvare altre vite è giusto che i suoi organi siano donati, lei avrebbe voluto così” hanno detto i suoi genitori, ancora molto giovani. Lutto cittadino e cancellazione del premio Andersen per aspiranti scrittori di fiabe dedicato allo scrittore danese Hans Cristian Andersen che soggiornò nella cittadina ligure. La 18enne era una ragazza solare, con tanti amici e interessi, e i suoi amici del Casarza l’hanno voluta salutare con queste parole: “Siamo affranti e ci mancano le parole. Ciao Cami”. Camilla è sempre stata una ragazza molto solare, trainante per tutta la squadra. La mamma e il papà ogni mattina, dal giorno del suo ricovero nel reparto di Rianimazione, si presentavano in ospedale. Solo 5 giorni dopo aver ricevuto la prima dose di AstraZeneca, la 18enne aveva iniziato a non sentirsi bene e il 30 maggio si era rivolta al pronto soccorso di Lavagna. Poi l’arrivo al Policlinico San Martino di Genova “in condizioni già compromesse”.

Stava preparando l'esame di maturità. Michele Pastorino, che con Camilla ha condiviso gli ultimi 5 anni di studi, ha tenuto a dire che “Camilla non sarà morta invano se, dopo di lei, non morirà più nessuno a causa del vaccino AstraZeneca”. Entrambi stavano preparando l’esame di maturità e si erano salutati per l’ultima volta circa una settimana fa. Come raccontato da La Stampa, la mattina erano in classe a ripassare Ungaretti che Pastorino ha voluto riprendere: “Il sentimento che mi domina, in questo momento, è la rabbia verso chi produce AstraZeneca e ripenso a una poesia di Giuseppe Ungaretti che ho studiato con Camilla: «Non gridate più». Non possiamo gridare, non possiamo parlare dei risvolti privati della morte della nostra compagna, che riguardano la famiglia e chi la conosceva bene. Ma tutte le persone devono sapere che è morta a causa di AstraZeneca”.

Valentina Dardari. Sono nata a Milano il 6 marzo del 1979. Sono cresciuta nel capoluogo lombardo dove vivo tuttora. A maggio del 2018 ho realizzato il mio sogno e ho iniziato a scrivere per Il Giornale.it occupandomi di Cronaca. Amo tutti gli animali, tanto che sono vegetariana, e ho una gatta, Minou, di 19 anni. 

Erika Dellacasa e Gianni Santucci per "Il Corriere della Sera" il 12 giugno 2021. «Non era preoccupata», raccontano gli amici, ed è quel che hanno riferito anche i genitori. E allora si può tornare al 25 maggio, quando Camilla Canepa, 18 anni, si mette in coda con altri ragazzi all'ingresso dei vecchi uffici comunali di Sestri Levante, facciata ocra e decorazioni a mattoncini, poche centinaia di metri da casa sua. Ha in mano un foglio: la «scheda anamnestica», che sarà un tassello decisivo nelle indagini sulla sua morte. La ragazza consegna il questionario in cui bisogna dichiarare il proprio stato di salute, e che viene valutato dal medico prima del vaccino contro il Covid-19, in questo caso AstraZeneca. La ragazza ha una malattia autoimmune che implica un basso livello di piastrine nel sangue, con certezza un fattore di rischio da tener presente prima della vaccinazione. La «piastrinopenia» (nome della patologia) nella «scheda anamnestica» di Camilla, recuperata ieri dai carabinieri del Nas, non è però indicata. È stata omessa? O lei non ne era a conoscenza? L'elemento forse più critico, in questa storia, va però oltre queste domande: l'altro evento che potrebbe aver avuto un ruolo ancor più grave nella catena di interazioni che hanno portato al decesso, accade quattro giorni dopo. Camilla, ragazza atletica, pallavolista, solare, impegnata nel preparare l'esame di maturità, da qualche tempo ha anche un altro piccolo problema medico, una cisti. Si potrebbe curare tra qualche mese, ma invece il 29 maggio la ragazza comincia la terapia con due farmaci: «Progynova» (ormoni) e «Dufaston» (estrogeni). Entrambe le medicine, spiega una fonte sanitaria molto vicina alla vicenda, comportano un «rischio trombotico», la possibilità che entri in circolazione un trombo: che sarà poi la causa del decesso di Camilla, due giorni fa, 10 giugno, 16 giorni dopo l'«Open day» per il vaccino. L'inchiesta della Procura di Genova, coordinata dal procuratore Francesco Pinto cercherà di comprendere quale sia stato il nesso di causa in questa sequenza di interazioni: malattia del sangue pregressa, vaccino, successiva assunzione di farmaci «a rischio» (un quadro nel quale andrà definito anche il ruolo dei singoli medici, compreso quello del professionista che ha prescritto le medicine alla ragazza a ridosso della vaccinazione). Un paio di giorni dopo aver preso quei farmaci, Camilla inizia ad avere malesseri. Un forte mal di testa. La luce forte le dà fastidio agli occhi. Il 3 giugno va in Pronto soccorso, a Lavagna. Le fanno le analisi del sangue e una Tac. A quel punto i medici, stando a quanto risulta dai primi accertamenti, hanno un quadro definito negli elementi di base: Camilla ha fatto il vaccino, ha quella malattia, ha preso quelle medicine. La tengono per un'intera notte in osservazione. La dimettono il 4 giugno, dopo «remissione dei sintomi». Il giorno dopo peggiora di nuovo e alle 23.58 del 5 giugno entra in Pronto soccorso, portata da un'ambulanza, al policlinico «San Martino» di Genova. A quel punto ha un coagulo del sangue che le ostruisce una vena. Rientrano i primari. Primo intervento d'urgenza, complicatissimo, «riuscito». L'ostruzione viene rimossa. Ma poi i neurochirurghi devono provare a gestire l'emorragia cerebrale. Altre ore in sala operatoria. La terapia intensiva. Giorni di attesa. «Abbiamo fatto l'impossibile». I genitori della ragazza, Roberto e Barbara, con l'altra figlia Beatrice, vengono «ospitati» in ospedale, assistiti da psicologi richiesti dal direttore Salvatore Giuffrida quando il quadro clinico diventa più nero. Ore drammatiche: 8 giugno, dal Savonese arriva un'altra donna, 34 anni, sintomi analoghi a quelli di Camilla, da poco vaccinata con AstraZeneca. L'«angiotac» è negativa, la ragazza parla e si muove, all'apparenza tranquilla, ma il «San Martino» è un ospedale di ricerca sulle neuroscienze e i medici notano qualcosa che non li convince negli esami del sangue. Ricoverano la donna in terapia intensiva, 4 ore e mezza dopo anche lei ha un trombo. Viene operata d'urgenza e oggi respira in autonomia. È salva (con tutte le cautele del caso). Sono due storie molto vicine, che si incrociano: i tempi di intervento e l'eccellenza di un ospedale fanno la differenza. La donna arrivata dopo è in vita; Camilla non ce l'ha fatta. I suoi organi hanno salvato altre persone. «Abbiamo acconsentito alla donazione perché è quel che lei avrebbe voluto», hanno detto i genitori.

Matteo Indice per "la Stampa" il 22 ottobre 2021. Camilla Canepa, la diciottenne di Sestri Levante morta il 10 giugno dopo aver ricevuto la prima dose del vaccino AstraZeneca, non soffriva di patologie pregresse e i farmaci che assumeva non hanno interferito con il suo quadro clinico. Soprattutto: il decesso per trombosi cerebrale «è ragionevolmente da riferirsi agli effetti avversi della vaccinazione» anti-Covid. Lo mettono nero su bianco il medico legale Luca Tajana e l'ematologo Franco Piovella, incaricati dai pm Stefano Puppo e Francesca Rombolà di far luce sulla tragedia. I periti spiegano quindi che la giovane era sana e che l'anamnesi eseguita nell'hub di Sestri dove ricevette il siero, e dove evidentemente non dichiarò nulla compilando i moduli pre-iniezione, fu corretta. E poi scagionano di fatto l'ospedale di Lavagna, da cui la studentessa era stata dimessa una volta: «Anche se in astratto si poteva capire d'essere in presenza d'una Vitt (acronimo inglese di Vaccine induced immune thrombotic thrombocytopenia, ovvero Trombocitopenia trombotica immune indotta da vaccino, ndr), non ravvisiamo elementi penalmente rilevanti» a carico del personale sanitario dell'istituto lavagnese (lo studio redatto da Tajana e Piovella è lungo 74 pagine e ne vanno necessariamente riportate delle sintesi). Su quest' ultimo punto il legale della famiglia, Angelo Paone, assume una posizione critica e sostiene vadano condotti ulteriori approfondimenti, ma per orientarsi è necessario ripercorrere la vicenda. Camilla era stata bene fino al 3 giugno, quando aveva manifestato cefalea e una forte fotosensibilità. Aveva raggiunto insieme ai familiari il pronto soccorso di Lavagna e qui aveva trascorso alcune ore dopo che erano stati registrati una presunta «piastrinopenia» (carenza di piastrine) di matrice ereditaria e però contestata dalla famiglia (la perizia conferma infatti che non c'era) e l'assunzione nei giorni precedenti di farmaci per una cura ormonale. Ai medici era stato premesso che il 25 maggio si era vaccinata con AstraZeneca e proprio il valore delle piastrine quella sera - è certificato dalle cartelle cliniche acquisite dai carabinieri - era inferiore al range ritenuto «normale». A quel punto i sanitari avevano eseguito una Tac, ma senza liquido di contrasto. S' era trattato d'una prassi corretta, alla luce di ciò che prescriveva l'Aifa con una circolare emessa prima che la giovane si presentasse al pronto soccorso? Che tipo di quadro clinico era stato palesato al neuroradiologo? Tajana e Piovella assolvono l'ospedale sostenendo che sì, poteva sorgere il sospetto di un effetto collaterale, ma non era scontato mettere in relazione il malessere con il vaccino. Camilla era stata dimessa, ma il 5 giugno alle 23,58 era tornata lì in ambulanza, con sintomi aggravati e la nuova Tac aveva certificato una «trombosi del seno cavernoso». Trasferita all'alba al San Martino di Genova era stata sottoposta a due interventi chirurgici, ma non c'era stato nulla da fare. Spiega quindi Paone, delineando i prossimi passi del pool che assiste i familiari della vittima: «Insieme al nostro medico legale Enzo Profumo chiederemo che sia ristudiata la documentazione sui due accessi a Lavagna. In particolare, vogliamo ricordare che tra il primo ingresso al pronto soccorso e le successive dimissioni, il valore delle piastrine si era notevolmente abbassato e questo poteva rappresentare un campanello d'allarme». L'inchiesta per omicidio colposo è al momento a carico di ignoti.

La 18enne era sana. Camilla Canepa, la perizia della Procura sulla studentessa: “Morte ragionevolmente dovuta a effetti avversi di AstraZeneca”. Carmine Di Niro su Il Riformista il 22 Ottobre 2021. Camilla Canepa, studentessa 18enne morta per trombosi nel giugno scorso all’ospedale San Martino di Genova dopo aver ricevuto il vaccino AstraZeneca in un open day organizzato dalla Regione, “non aveva alcuna patologia e non aveva preso alcuna farmaco”, ma soprattutto il suo decesso “è ragionevolmente da riferirsi a un effetto avverso da somministrazione del vaccino anti Covid”. Lo scrivono il medico medico legale Luca Tajana e l’ematologo Franco Piovella nelle 74 pagine di relazione depositata in procura ai pm che indagano sul caso. La perizia effettuata analizza i rapporti di causalità tra l’effetto avverso e il decesso, senza definire se si tratti però di una causa esclusiva nel determinare la morte della ragazza. Camilla aveva ricevuto il 25 maggio una dose di vaccino Astrazeneca: il 3 giugno la studentessa si era sentita male venendo trasportata All’ospedale di Lavagna, dove le avevano riscontrato piastrinopenia e fotosensibilità. Dal nosocomio era stata quindi dimessa, tornandoci dopo soli due giorni ma in condizioni critiche per una trombosi al seno cavernoso. Trasferita al policlinico San Martino di Genova, Camilla era stata operata alla testa, morendo il 10 giugno. Sul decesso della giovane studentessa è aperta una inchiesta della Procura: inizialmente infatti era stata avanzata anche l’ipotesi che la 18enne soffrisse di una malattia autoimmune non segnalata ai medici al momento della vaccinazione, e che stesse anche assumendo dei farmaci legati a una terapia ormonale. In realtà Camilla era sana e il modulo di anamnesi era stato compilato correttamente come la somministrazione del vaccino. L’autopsia sulla salma della 18enne era stata effettuata lo scorso giugno, con la perizia conclusa da Tajana e Piovella dopo mesi di lavoro. Uno studio approfondito che comunque non ha permesso ai due medici di ricondurre con certezza il decesso della studentessa al vaccino: non a caso nella relazione i due usano il termine “ragionevolmente”, non fornendo una certezza del cento per cento. Quanto ai casi di trombosi associate al vaccino AstraZeneca, i numeri ad oggi evidenziano che la frequenza è bassissima: nel Regno Unito, dove il vaccino anglo-svedese è stato particolarmente usato, l’incidenza è circa 1 su 100.000 e, per quanto riguarda la seconda dose, a 1 su 500.000; in Italia invece, scrive il Corriere della Sera, siamo a 1 su 200mila casi.

Carmine Di Niro. Romano di nascita ma trapiantato da sempre a Caserta, classe 1989. Appassionato di politica, sport e tecnologia

Stasera Italia, Barbara Palombelli in lacrime per la morte di Camilla Canepa: "Forse si poteva evitare". Libero Quotidiano il 10 giugno 2021. Barbara Palombelli non trattiene le lacrime. La notizia della 18enne morta dopo il vaccino AstraZeneca ha scosso la conduttrice di Rete Quattro in onda nella puntata del 10 giugno con Stasera Italia. "Faccio le mio condoglianze ai genitori di Camilla Canepa - ha detto in chiusura del programma -, bisogna stare vicini ai genitori, agli amici...". Ma la Palombelli non ha fatto in tempo a finire che subito si è lasciata andare alla commozione. "Domani - ha poi proseguito - ne parleranno tutti. Forse poteva essere una morte che si poteva evitare". Commossa come lei, anche se su un'altra rete Antonella Viola. L'immunologa, ospite di Lilli Gruber a Otto e Mezzo, ha esordito ammettendo: "Per me oggi è una giornata difficile. Io sono mesi che dico che il vaccino AstraZeneca non va somministrato alle donne giovani e oggi, con la morte della 18enne di Genova, per me è un fallimento personale". Poi la Viola ha implorato gli italiani di evitare la seconda dose di AstraZeneca: "Questa volta voglio dire di non fare la seconda dose AstraZeneca. Perché se è vero che non ci sono dati su trombosi nella seconda somministrazione, è anche vero che ci sono pochissimi dati visto che in pochi hanno ricevuto due volte il siero". Tutte e due, sia la Palombelli che la Viola, per una volta hanno voluto chiudere un occhio sull'allarmismo. Entrambe, come da loro ammesso, hanno voluto parlare di una tragedia che non sarebbe dovuta accadere. La stessa esperta del coronavirus ha ricordato come lei più volte avesse messo in guardia sull'uso del vaccino anglo-svedese per i giovani.

Bassetti e Viola: "Adesso basta con Astrazeneca". Francesca Galici il 10 Giugno 2021 su Il Giornale. I medici ora si oppongono ad AstraZeneca dopo la morte della 18enne per tromobosi e ne chiedono lo stop per i più giovani. È caos sul vaccino AstraZeneca dopo i due casi di trombosi in Liguria. Una 18enne è morta a causa dell'evento accaduto a due settimane dal vaccino mentre una 34enne lotta ancora per la vita all'ospedale San Martino di Genova. Entrambe avevano ricevuto la dose del vaccino di Oxford del lotto Abx1506, sospeso l'8 giugno in via precazionale. Il dibattito sull'opportuità di somministrare il vaccino AstraZeneca ai soggetti under 60 è tornato di strettissima attualità e sono diverse le Regioni che in queste ore stanno valutando la possibilità di sospendere gli Open day per i giovanissimi con il preparato di Oxford, che nei giorni scorsi avevano fatto il pieno di adesioni da parte dei ragazzi. Antonella Viola, intervenuta a Otto e mezzo proprio a proposito del vaccino AstraZeneca, ha rilasciato dichiarazioni destinate a far discurere nei prossimi giorni. Tenendo ferma la necessità di vaccinare quante più persone possibili e di non fermare la campagna vaccinale nel Paese, l'immunologa stavolta ha però preferito fare un passo indietro e non raccogliere il suggerimento di Lilli Gruber di fare un appello contro gli allarmismi. "Questa volta non me lo sento", ha detto Antonella Viola, facendo calare il gelo nello studio di Otto e mezzo. La morte di Camilla Canepa ad appena 18 anni dopo aver ricevuto il vaccino AstraZeneca ha colpito tutti, anche la stessa immunologa: "Per me oggi è una giornata difficile. Io sono mesi che dico che il vaccino AstraZeneca non va somministrato alle donne giovani e oggi, con la morte della 18enne di Genova, per me è un fallimento personale". Da qui nasce il suo appello, diverso rispetto a quello previsto dalla conduttrice del programma: "Questa volta voglio dire di non fare la seconda dose AstraZeneca. Perché se è vero che non ci sono dati su trombosi nella seconda somministrazione, è anche vero che ci sono pochissimi dati visto che in pochi hanno ricevuto due volte il siero". Antonella Viola non ha usato mezzi termini e ha chiesto con determinazione che non venga utilizzato il vaccino di Oxford per i giovani: "Bisogna avere il coraggio di dire che serve fare un altro vaccino e non AstraZeneca se si ha meno di 60 anni. Anche gli Open day vanno aboliti". Sconcerto in studio per le affermazioni di Antonella Viola, che da tempo si oppone alla somministrazione del vaccino di Oxford al di sotto dei 60 anni. Intanto anche Matteo Bassetti frena su AstraZeneca, ospite di Stasera Italia su Rete4: "A questo punto dobbiamo avere il coraggio di dire che Astrazeneca è un vaccino di cui possiamo fare a meno e puntiamo su quelli a Rmna".

Francesca Galici. Giornalista per lavoro e per passione. Sono una sarda trapiantata in Lombardia. Amo il silenzio.

Matteo Bassetti contro Roberto Speranza sulla "comunicazione errata" per AstraZeneca: "Italiani inferociti, troppi errori". Libero Quotidiano il 10 giugno 2021. Gli ennesimi dietrofront su AstraZeneca irritano Matteo Bassetti. Il direttore della clinica di Malattie infettive dell'ospedale San Martino di Genova non ha preso bene la frenata sull'uso del siero contro il coronavirus ai giovani. "Sul vaccino AstraZeneca e in generali sui vaccini a vettore virale serve una posizione chiara e definitiva di Aifa e del Cts - sbotta su Facebook Bassetti -. Si decida da domani se il vaccino AstraZeneca non si deve più usare e ci si attrezzi per fare solo vaccini a mRna. Non serve limitarlo ad alcune età, a questo punto andrebbe stoppato in tutte le età chiedendo scusa agli italiani per la comunicazione errata e antiscientifica su questo vaccino. Si punti quindi unicamente sui vaccini di Pfizer, Moderna e poi su CureVac. Ma deve essere una scelta politica". L'esperto si mette nei panni dei singoli cittadini e nota che "l'opinione pubblica è inferocita sul vaccino AstraZeneca, le istituzioni non possono lasciare da soli i medici e le Regioni a difenderli". Snocciolando le prove, l'infettivologo difende la somministrazione del vaccino anglo-svedese ricordando che "i dati scientifici inglesi ed Ema ci dicono che il vaccino di AstraZeneca si può usare in tutte le età. Basta con il balletto delle comunicazioni e delle raccomandazioni che hanno cambiato le fasce d'età per questo vaccino, con errori enormi di comunicazione sia dell'Agenzia del farmaco che del ministero della Salute". La replica, seppure non diretta, del ministro Roberto Speranza non si è fatta attendere. E in queste ore ha ammesso che "c'è una discussione in corso nel Cts. L’Ema ha raccomandato che l’uso di Astrazeneca durante la campagna di vaccinazione a livello nazionale tenesse conto della situazione pandemica e della disponibilità dei vaccini nelle singole nazioni. Il 7 aprile 2021 il ministero della Salute, mediante una circolare oggi vigente, ha raccomandato un uso preferenziale di questo vaccino nelle persone di età superiore a 60 anni sulla base delle attuali evidenze e tenuto conto del basso rischio di reazioni avverse di tipo tromboembolico a fronte dell’elevata mortalità di Covid-19 nelle fasce di età più avanzate". Anche l'Aifa ha ribadito che il profilo beneficio-rischio risulta progressivamente più favorevole all’aumentare dell’età. Motivo questo per cui le sorprese potrebbero non essere finite e dopo il via libera alle somministrazioni per giovani volontari, potremo assistere all'ennesimo stop.

Genova, aperta un'indagine sulla morte di Camilla Canepa dopo AstraZeneca. Libero Quotidiano il 10 giugno 2021. Non ce l'ha fatta Camilla Canepa, la 18enne di Genova ricoverata dopo essersi sentita male in seguito al vaccino AstraZeneca. La ragazza di Sestri Levante è morta oggi all'ospedale San Martino di Genova dopo ben due operazioni chirurgiche al cervello. Dopo la somministrazione contro il coronavirus, avvenuta il 25 maggio scorso, a Camilla era stata diagnosticata una trombosi al seno cavernoso. La ragazza aveva subito riscontrato mal di testa, la sensazione - afferma Il Tempo - era che qualcosa non stesse andando per il verso giusto Una prima visita, poi il ritorno a casa fino a quando è arrivata la tragedia. Qualche giorno fa la Procura aveva fatto sapere di un'indagine conoscitiva per fare chiarezza sull'accaduto. Sottoposta a due interventi chirurgici, Camilla non si era mai risvegliata dall’operazione. Due giorni prima del ricovero si era presentata con mal di testa e fastidi alla vista al San Martino dove era stata sottoposta ad alcune analisi ma con esito negativo. I medici l’avevano rimandata a casa. Due giorni dopo aveva però iniziato ad accusare problemi motori e ancora forte mal di testa. Tornata in ospedale, non ha fatto più ritorno nella sua abitazione. Da qui la decisione di aprire un fascicolo senza ipotesi di reato, seguito dal pubblico ministero Stefano Puppo con l’aggiunto Francesco Pinto. La sua morte ha messo in allarme sull'uso di AstraZeneca nei giovani. Ma l'Aifa ha voluto precisare: i casi di trombosi venose intracraniche e in sede atipica in soggetti vaccinati con Vaxzevria di AstraZeneca sono in linea con quanto osservato a livello europeo: 1 caso ogni 100.000 prime dosi somministrate e prevalentemente in persone con meno di 60 anni. Nessun caso è stato segnalato dopo la seconda dose.

Da liberoquotidiano.it l'11 giugno 2021. La scomparsa di Camilla Canepa ha sconvolto tutta Italia. La 18enne è morta dopo aver ricevuto la dose di AstraZeneca e in seguito a una trombosi, ma ancora le cause sono da accertare. "Sulla vicenda - interviene a riguardo Antonio Padellaro in collegamento con Tagadà su La7 - ci sono tre cose inaccettabili". La prima è facile da dirsi: "La morte di Camilla". La seconda ugualmente scontata è il "rimpallo su AstraZeneca e sulle dosi che devono essere date agli over 60. In questo caso il Comitato tecnico scientifico e il governo dovevano dare da tempo indicazioni precise". È la terza però ad essere indigeribile, la terza cosa inaccettabile, secondo Padellaro, che snocciola la teoria mentre Tiziana Panella annuisce. "Lo sciacallaggio. Ho sentito che Matteo Salvini ha detto che usiamo i nostri figli come cavie. Se l'ha fatto davvero deve andare immediatamente a denunciare alla Procura della Repubblica e deve ritirare immediatamente la delegazione della Lega dal governo perché è insopportabile questo giochino sulla pelle delle persone. Se non lo fa è sciacallaggio". Dello stesso parere la conduttrice: "Questo parlare non aiuta". Il rischio secondo la Panella è che gli italiani diventino più restii rispetto al vaccino contro il Covid. "Stiamo parlando di questioni delicatissime che riguardano la salute, la vita e la morte delle persone", prosegue a quel punto il fondatore del Fatto Quotidiano per cui "la classe politica e in particolare chi sta alla maggioranza dovrebbe parlare con una sola voce e non tempestare di tweet per mettere la propria squallida bandierina e dire 'io c'ero arrivato prima', è una cosa intollerabile che ho l'impressione non funzioni più. La gente si è stufata di essere usata per altri scopi come quelli elettorali”. In realtà il tono del cinguettio del numero uno della Lega era stato ben diverso: "Vaccini a bimbi e ragazzi “sconsigliati” da Paesi europei, riviste scientifiche e medici. Stop, sulla salute dei nostri figli e nipoti non si scherza".

Camilla Canepa soffriva di una malattia autoimmune ed era in terapia ormonale: i Nas sequestrano le cartelle cliniche. Libero Quotidiano l'11 giugno 2021. Camilla Canepa, la ragazza di 18 anni morta dopo la vaccinazione volontaria con AstraZeneca, secondo quanto appreso, soffriva di piastrinopenia autoimmune familiare e assumeva una doppia terapia ormonale. I carabinieri del Nas di Genova hanno sequestrato le cartelle cliniche e tutta la documentazione medica negli ospedali di Lavagna, dove la giovane è stata ricoverata il tre giugno, e al Policlinico San Martino. Quello che gli investigatori vogliono capire è se le due patologie fossero state indicate nella scheda consegnata prima della somministrazione del vaccino, il 25 maggio. Tra i documenti che stanno acquisendo i militari anche le relazioni dei dirigenti medici del San Martino Pelosi e Brunetti. Martedì verrà dato l'incarico ai medici legali Luca Tatjana e Franco Piovella. Intanto è in corso al Policlinico San Martino di Genova l'espianto degli organi di Camilla. Secondo quanto riporta Ansa.it è già stato espiantato il fegato, affidato alla staffetta appena partita per l'ospedale di Niguarda di Milano. Verranno espiantati altri quattro organi oltre al tessuto che verrà messo a disposizione dell'anatomopatologo della procura. "Un gesto ammirevole, un grande gesto d'amore", ha detto il direttore generale del San Marino Giuffrida commentando la decisione dei genitori di Camilla di donarne gli organi. Il 25 maggio la giovanissima studentessa del liceo tecnologico, una sorella ventenne, aveva ricevuto il vaccino AstraZeneca dopo aver partecipato al primissimo 'open day' che in Liguria ha consentito agli over 18 di chiedere volontariamente di ricevere vaccini a vettore virale, come appunto AstraZeneca.

Morta 18enne: Camilla soffriva di piastrinopenia autoimmune. (ANSA l'11 giugno 2021) Camilla Canepa, la ragazza di 18 anni morta dopo la vaccinazione volontaria con AstraZeneca, secondo quanto appreso soffriva di piastrinopenia autoimmune familiare e assumeva una doppia terapia ormonale. Gli investigatori vogliono capire se le due patologie fossero state indicate nella scheda consegnata prima della somministrazione del vaccino, il 25 maggio. Tra i documenti che stanno acquisendo i militari anche le relazioni dei dirigenti medici del San Martino Pelosi e Brunetti. Martedì verrà dato l'incarico ai medici legali Luca Tatjana e Franco Piovella.

Morta 18enne: Asl ha chiesto documentazione "è esaustiva". (ANSA l'11 giugno 2021) Sul primo ricovero al pronto soccorso di Lavagna di Camilla, la giovane di Sestri Levante deceduta a causa di una trombosi dopo aver ricevuto volontariamente la prima dose di AstraZeneca, la Asl4 aveva fatto approfondimenti il 7 giugno 2021, 3 giorni prima del decesso. A dirlo è il direttore generale Paolo Petralia che all'ANSA dichiara: "La direzione sanitaria ha acquisito in data 7 giugno dettagliata relazione del direttore uoc pronto soccorso sul percorso relativo alla paziente e, ritenendola esaustiva, non ha al momento attivato ulteriori iniziative".

Camilla era affetta da una malattia autoimmune familiare che determina carenza di piastrine. Giuseppe Filetto e Marco Lignana su La Repubblica l'11 giugno 2021. Dalle cartelle cliniche acquisite dalla Procura emerge un aspetto di notevole interesse per le indagini sulla ragazza deceduta dopo aver fatto il vaccino AstraZeneca. Al lavoro, adesso, ci sono i Nas. I carabinieri stanno acquisendo cartelle cliniche e relazioni degli ospedali dove è stata ricoverata Camilla Canepa, a Lavagna e al San Martino di Genova. Dai primi documenti giá acquisiti dalla Procura, però, emerge un aspetto di notevole interesse per gli investigatori che indagano per omicidio colposo a carico di ignoti: la 18enne era affetta da piastrinopenia autoimmune familiare, che comporta una cronica carenza di piastrine.  La stessa reazione, associata a trombi cerebrali, osservata dall’Aifa in una somministrazione di AstraZeneca ogni 100mila prime dosi iniettate in Italia. In più, la ragazza seguiva una terapia ormonale. Ora i pm - Stefano Puppo e Francesca Rombolà, coordinati dal procuratore aggiunto Francesco Pinto - vogliono accertare se quando Camilla si è presentata a fare il vaccino, lo scorso 25 maggio, la piastrinopenia sia stata menzionata al momento di compilare la scheda anamnestica. Inoltre, se la ragazza e la famiglia abbiano dichiarato questo al pronto soccorso di Lavagna, oppure se i medici lo abbiamo accertato attraverso gli esami del sangue. Secondo quanto spiega Angelo Gratarola, nell'Agenzia Ligure Sanitaria responsabile dei pronto soccorso di tutta la Liguria, il protocollo del Ministero della Salute prevede che in caso di Vit (trombocitopenia indotta da vaccino) "in presenza di sintomi la prima prova che si fa è quella di controllare se le piastrine sono basse". Da parte sua, il direttore generale della Asl Quattro Chiavarese, Paolo Petralia, ha già chiesto una relazione del caso alla direzione sanitaria, che a sua volta ha interpellato i medici presenti al pronto soccorso sia il 3 giugno, la prima volta che Camilla si è presentata in ospedale con cefalea, sia due giorni dopo, già con deficit motorio.

"Aveva una malattia del sangue". Si cerca nella cartella clinica di Camilla. Ignazio Riccio l'11 Giugno 2021 su Il Giornale. La Procura, che ha avviato un'inchiesta, dovrà ora accertare se tutto questo fosse stato segnalato al momento della vaccinazione. Camilla Canepa, la giovane 18enne morta per trombosi dopo essersi vaccinata con AstraZeneca, sarebbe stata affetta da una carenza cronica delle piastrine e da problemi ormonali. È quanto starebbe emergendo dall'analisi dei documenti clinici acquisiti questa mattina dai Nas di Genova dalla cartella clinica della ragazza. In particolare, la patologia riscontrata sarebbe la piastrinopenia autoimmune familiare. La Procura, che ha avviato un'inchiesta, dovrà ora accertare se tutto questo fosse stato segnalato al momento della vaccinazione cui la giovane si era sottoposta il 25 maggio scorso all'open day a Chiavari. Lo scorso 3 giugno la 18enne si era recata per la prima volta al pronto soccorso di Lavagna con sintomi molto gravi: forte cefalea e fotofobia. Sottoposta a Tac ed esami neurologici, che non avevano rilevato disfunzioni, era stata rispedita a casa. Le condizioni della ragazza, però, sono peggiorate e due giorni dopo Camilla è ritornata al pronto soccorso con deficit motori. A quel punto dagli esami strumentali è emersa l’emorragia cerebrale. La giovane donna, trasferita all’ospedale San Martino, ha perso la vita nella giornata di ieri, dopo due interventi chirurgici effettuati nel tentativo di ridurre la trombosi cerebrale e la pressione intracranica. “Metteremo in atto il protocollo già applicato a un altro decesso post vaccino – ha dichiarato al Corriere della Sera il procuratore aggiunto Francesco Pinto –.Il fascicolo sarà aperto per omicidio colposo contro ignoti e si darà corso agli adempimenti necessari e alla raccolta di tutta la documentazione anche dell'iter vaccinale. Nomineremo il medico legale e l'ematologo che già stanno seguendo gli altri casi”. Tra i documenti che i militari stanno acquisendo in queste ore, ci sono anche le relazioni dei dirigenti medici del San Martino Pelosi e Brunetti. Martedì verrà dato l'incarico ai medici legali Luca Tatjana e Franco Piovella. Il ministero della Salute ha chiesto un nuovo parere in merito agli esperti del Cts, i quali, dopo aver esaminato numerosi studi per i giovani, si sarebbero trovati d'accordo sulla necessità di sospendere le somministrazioni per gli under 60 e di raccomandare ai giovani che hanno già fatto la prima dose con AstraZeneca di procedere con la seconda con Pfizer. Intanto, il sindaco di Sestri Levante Valentina Ghio, città originaria di Camilla, è intervenuta nuovamente sulla vicenda. “Abbiamo ritenuto, visto lo sgomento e la partecipazione che ha colpito tutta la città e dopo aver informato la famiglia – ha spiegato – di proclamare il lutto cittadino nel giorno delle esequie di Camilla. Rispettiamo la richiesta della famiglia di discrezione e riservatezza. Cerchiamo di tenere unite le persone perché è una notizia che ha scosso tutti”.

Ignazio Riccio. Sono nato a Caserta il 5 aprile del 1970. Giornalista dal 1997, nel corso degli anni ho accumulato una notevole esperienza nel settore della comunicazione, del marketing e dell’editoria. Scrivo per ilGiornale.it dal 2018. Nel 2017 è uscito il mio primo libro, il memoir Senza maschere sull’anima. Gianluca Di Gennaro si racconta, edito da Caracò editore. Un secondo libro: L’attualità in classe-Il giornale tra i banchi di scuola (testo di narrativa per gli istituti secondari di primo grado), edito da Libriotheca Editore, è stato pubblicato a marzo 2019. Amo in particolare la lettura, il cinema e il teatro; sono appassionato di calcio e tifo Fiorentina.

Piastrinopenia autoimmune, cos’è la malattia di cui soffriva la 18enne morta dopo Astrazeneca a Genova. Jacopo Bongini il 13/06/2021 su Notizie.it. Secondo quanto appreso la 18enne morta dopo il vaccino AstraZeneca soffriva di piastrinopenia autoimmune e assumeva una doppia terapia ormonale. Emergono nuovi dettagli dalle indagini sulla 18enne di Sestri Levante deceduta dopo aver assunto la prima dose di vaccino AstraZeneca. Secondo quanto appurato la giovane soffriva infatti di una malattia nota come piastrinopenia autoimmune familiare e proprio per questo motivo assumeva una doppia terapia ormonale. Gli investigatori stanno al momento cercando di capire se la suddetta patologia fosse indicata nella scheda consegnata alla ragazza prima della somministrazione del vaccino, avvenuta il 25 maggio scorso con i primi sintomi della trombosi che sono comparsi il 3 giugno successivo. Con il termine piastrinopenia (o anche trombocitopenia) si intende una quantità di piastrine all’interno dell’organismo che è inferiore alle 150mila per millimetro cubo. La giovane di Sestri Levante era ricoverata presso il Policlinico San Martino di Genova dallo scorso 5 giugno ed era stata sottoposta a un intervento di neuroradiologia per rimuovere meccanicamente il trombo. Successivamente l’equipe neurochirurgica era intervenuta anche con un’operazione, necessaria ad allentare la pressione intracranica derivante dall’emorragia, ma purtroppo gli sforzi sono stati vani e la ragazza è morta nella serata del 19 giugno. Al fine di chiarire le effettive responsabilità della morte della giovane, in queste ultime ore i carabinieri del Nas di Genova stanno acquisendo le cartelle cliniche e tutta la documentazione medica inerente alla ragazza deceduta. I militari, delegati dai pm Francesca Rombolà e Stefano Puppo insieme all’aggiunto Francesco Pinto, si stanno inoltre recando presso gli ospedali di Lavagna, e di Genova, dove la ragazza è stata ricoverata a partire dallo scorso 3 giugno. In precedenza la stessa Asl 4 aveva eseguito degli approfondimenti in tal senso, come dichiarato all’Ansa dal direttore generale Paolo Petralia: “La direzione sanitaria ha acquisito in data 7 giugno dettagliata relazione del direttore del pronto soccorso sul percorso relativo alla paziente e, ritenendola esaustiva, non ha al momento attivato ulteriori iniziative”. Intervenuto sula vicenda anche il dottor Gianluigi Zona, primario del reparto di neurochirurgia del San Martino di Genova che ha operato direttamente la ragazza. Riferendosi ai genitori della 18enne il medico ha riferito: “Condivido il loro terribile lutto e ammiro la loro grande dignità, il grande senso civile che li ha portati a consentire la donazione degli organi, un gesto di grande maturità e di grande civiltà. […] In situazioni così gravi le tenti davvero tutte, ma l’occlusione così vasta di più drenaggi contemporaneamente è un fenomeno tanto grave quanto raro. Una situazione ai limiti”.

"Una cosa mai vista, non è normale": cosa è successo a Camilla? Valentina Dardari il 13 Giugno 2021 su Il Giornale. Secondo il primario di neurochirurgia che ha operato la 18enne, tutti i seni venosi erano ostruiti da trombi. In tanti anni di carriera non aveva mai visto nulla di simile. Martedì prossimo la procura di Genova, che sta coordinando le indagini dei carabinieri del Nas per fare luce sulla morte di Camilla Canepa, la 18enne deceduta all’ospedale San Martino dopo aver ricevuto il vaccino AstraZeneca, incaricherà il medico legale di Pavia Luca Tajana di eseguire l'autopsia sul corpo della giovane. Secondo le ultime rivelazioni, la ragazza avrebbe sofferto di piastrinopenia autoimmune familiare, ossia una carenza cronica di piastrine. Il legale della famiglia, l’avvocato Angelo Paone, avrebbe però parlato a nome dei genitori asserendo che “Camilla non aveva nessuna malattia”.

Il calvario di Camilla. Il primario di neurochirurgia che ha operato Camilla al San Martino di Genova è Gianluigi Zona, direttore della clinica neurochirurgica e neurotraumatologica del Policlinico, che parlando a La Stampa, ha ammesso: “Non avevo mai visto un cervello ridotto in quelle condizioni da una trombosi così estesa e così grave”. Camilla era stata trasferita dall’ospedale di Lavagna, ed era arrivata al Policlinico domenica scorsa alle 5 e sei minuti. Nella struttura ospedaliera di Lavagna le avevano fatto due tac. La prima non aveva evidenziato nulla e la giovane era stata rimandata a casa. Il secondo esame aveva diagnosticato invece una trombosi in atto, e la sua situazione clinica era a quel punto già compromessa. Con la prima tac si sarebbe dovuto vedere qualcosa? “Ragionando a posteriori è tutto facile e tutti sono campioni del mondo, l'ultimo medico che arriva a visitare un paziente è sempre il più intelligente. Una Tac non evidenza direttamente una trombosi anche se esistono dei segni molto indiretti. Sono segni precoci e serve un occhio molto esperto per coglierli, ma si possono cogliere prima delle presenze ematiche” ha spiegato Zona.

Il primario che l'ha operata: "Qualcosa di non normale". Con la seconda tac, e la comparsa del sangue, era ormai evidente la trombosi e “a quel punto si parla di infarcimento emorragico: il sangue non defluisce e travasa all'interno del cervello. Non posso giudicare cosa si sarebbe potuto cogliere già nella prima Tac: non è mai arrivata al San Martino. Normalmente, se non ci sono indizi che portino a ipotizzare qualcosa di grave in atto, nessun medico al pronto soccorso prescrive una Tac con contrasto o altri esami”. Quando Camilla arriva al San Martino, di turno c’è il neurochirurgo Alessandro D’Andrea che chiama il primario in sala operatoria: “Abbiamo optato per una craniotomia decompressiva, si è aperto il cranio per allentare la pressione interna”. Infatti il sangue non riusciva a scorrere e stava impregnando il cervello. Zona ha ammesso di non aver mai visto una situazione simile: “Tutti i seni venosi erano ostruiti da trombi, uno scenario che non avevo mai visto in tanti anni di questa professione. Dovete immaginare il seno venoso come il fiume al centro di una vallata nella quale convergono svariati ruscelli. Se al centro del corso d'acqua si costruisce una diga, il fiume si gonfia e a quel punto gli affluenti non riescono a scaricare, col risultato che la pressione a monte sale”. Il chirurgo ha infine sottolineato di non essere né un virologo, né un epidemiologo o un medico legale ma che, da quello che ha visto, “siamo di fronte a qualcosa di non normale”.

Valentina Dardari. Sono nata a Milano il 6 marzo del 1979. Sono cresciuta nel capoluogo lombardo dove vivo tuttora. A maggio del 2018 ho realizzato il mio sogno e ho iniziato a scrivere per Il Giornale.it occupandomi di Cronaca. Amo tutti gli animali, tanto che sono vegetariana, e ho una gatta, Minou, di 19 anni. 

Gianni Santucci per il "Corriere della Sera" il 13 giugno 2021. Si affidano a un avvocato e nel tardo pomeriggio di ieri, a due giorni dalla morte della figlia Camilla, 18 anni, che il 25 maggio si era vaccinata con la prima dose di AstraZeneca, Roberto e Barbara Canepa spiegano che la ragazza «non aveva alcuna malattia ereditaria». Mettono così un punto fermo in una storia che coinvolge valutazioni scientifiche, un complesso sviluppo medico e sanitario, un profondo strazio emotivo e, in ultimo, l'approccio verso la campagna vaccinale di un intero Paese. Al momento un primo dato sembra acquisito: nella «scheda anamnestica» (già sotto sequestro), e cioè il formulario che bisogna consegnare prima della vaccinazione, indicando eventuali patologie o uso di farmaci per poter valutare i rischi, la ragazza di Sestri Levante non ha segnalato nulla. Nella cartella clinica dell'ospedale di Lavagna (il primo dove Camilla viene accolta e tenuta una notte in osservazione, il 3 giugno) sarebbero però cristallizzati due elementi: una «piastrinopenia», e cioè una carenza di piastrine nel sangue, e una patologia autoimmune, riscontrata attraverso l'«anamnesi patologica remota» (dunque la considerazione di tutte le malattie del passato). Il punto chiave che dovrà chiarire l'inchiesta della Procura di Genova sarà: la ragazza era consapevole di avere, o aver avuto, problemi di salute da segnalare ai medici? Anche per questo, al di là della consultazione di tutti i documenti dei quali i magistrati hanno ordinato il sequestro ai carabinieri del Nas, verranno convocati anche alcuni testimoni. Prima di tutto, medici e infermieri presenti al momento della vaccinazione, per capire quale scambio di informazioni abbiano avuto a voce con la ragazza, al di là di ciò che è segnalato sulla scheda compilata. E poi, in particolare, anche un altro medico: quello che ha prescritto i farmaci a base di estrogeni e ormoni che Camilla ha iniziato ad assumere il 29 maggio, quattro giorni dopo la vaccinazione, per curare un problema ginecologico. Il medico sapeva del vaccino quando ha prescritto quei farmaci? Ne ha valutato i rischi? L'indagine sulla morte della ragazza (avvenuta al policlinico «San Martino» di Genova il 10 giugno, dopo due interventi disperati quando il quadro clinico era già quasi del tutto compromesso) dovrà provare a definire il nesso di causa in una catena di possibili interazioni: le condizioni cliniche di Camilla (conosciute o no), la somministrazione del vaccino AstraZeneca (che secondo i dati più aggiornati, soprattutto nelle donne giovanissime o giovani, può provocare una trombosi in un caso su 100 mila), e la quasi concomitante assunzione di quei farmaci a base di ormoni, che tra le principali controindicazioni hanno proprio il rischio di trombosi. Uno scenario con diversi elementi che potrebbero, nella loro interazione, aver sommato o moltiplicato i fattori di rischio. Un farmaco in particolare, tra quelli prescritti a Camilla, viene valutato in questa fase con particolare attenzione: il «Progynova», che alcune fonti mediche definiscono un «vecchio» estrogeno, assai potente, utilizzato soltanto dopo uno screening molto approfondito e sotto stretto monitoraggio, dunque una medicina a più alto rischio di trombosi. Nelle carte dell'inchiesta finiranno anche i documenti del Comitato tecnico scientifico nazionale che hanno autorizzato gli «open day» con AstraZeneca (nonostante fosse un vaccino «consigliato» per persone over 60) e i report dell'Ema sulle «trombosi post-vaccinali». 

Morte Camilla Canepa, lo scontro tra i genitori e l'ospedale: "Non era malata", "Falsa". Il caso esploso in procura. Libero Quotidiano il 14 giugno 2021. C'è un altro mistero sulla morte di Camilla Canepa, la ragazza di 18 anni di Sestri Levante deceduta il 25 maggio dopo la prima dose AstraZeneca. I genitori della giovane infatti sostengono che Camilla non fosse malata ma stando alla documentazione dell'ospedale di Lavagna soffriva di piastrinopenia. Così fra i quesiti che domani 15 giugno la procura di Genova porrà agli esperti incaricati di effettuare l'autopsia sul corpo di Camilla ci sarà anche quello sui due ormoni che la ragazza stava assumendo. Bisognerà stabilire se possano aver interagito col vaccino Vaxzevria di AstraZeneca. La ragazza è morta a causa delle conseguenze di una trombosi del seno cavernoso, diagnosticata dieci giorni dopo. I carabinieri del Nas, rivela La Stampa, consegneranno alla procura cartelle cliniche e scheda anamnestica della vaccinazione ai magistrati. E domani sarà disposta l'autopsia, affidata al medico legale Luca Tajana e all'ematologo Franco Piovella. Un aspetto su cui si sta concentrando l'inchiesta, coordinata dai pm Stefano Puppo e Francesca Rombolà e guidata dal procuratore aggiunto Francesco Pinto è la "piastrinopenia autoimmune familiare" della quale Camilla avrebbe sofferto. Una carenza di piastrine cronica, inserita dall'ospedale di Lavagna, al quale la giovane si era rivolta due volte dopo alcuni sintomi, nella relazione fornita al policlinico San Martino di Genova, che aveva accolto infine la studentessa. Ma la famiglia della giovane, attraverso l'avvocato Angelo Paone, fa sapere che esclude che la ragazza soffrisse di malattie. Molto probabilmente sarà invitato a fornire le proprie considerazioni  il medico di base della ragazza, Pierfrancesco Mazzini. I pm vogliono infatti capire a fondo la questione della piastrinopenia. Se fosse confermata allora Camilla sarebbe potuta rientrare tra i soggetti "fragili". Ovvero gli under 60 da vaccinare con Pfizer o Moderna. E Non con AstraZeneca perché le "piastrinopatie autoimmuni primarie croniche" sono comprese nella tabella delle patologie in base alle quali sono stati identificati i pazienti "ultra fragili". Ma appunto spetta al medico di base a fare la segnalazione. Inoltre a Camilla sarebbero stati prescritti due farmaci che lei avrebbe assunto a partire dal 29 maggio, quattro giorni dopo il vaccino. è vero? E se lo fosse qualcuno ha ragionato su una eventuale interazione con il vaccino? Oppure la prescrizione era stata fatta prima e l'assunzione è avvenuta senza un consulto? A questi interrogativi bisogna trovare delle risposte.

Marco Fagandini Francesca Forleo per "La Stampa" il 14 giugno 2021. Fra i quesiti che domani la procura di Genova porrà agli esperti incaricati di effettuare l'autopsia sul corpo di Camilla Canepa, ci sarà anche quello sui due ormoni che, secondo i primi accertamenti investigativi, la ragazza stava assumendo. Per scoprire se e in quale modo questi possano aver interagito con il vaccino Vaxzevria di AstraZeneca. E se possano aver giocato un ruolo nella tragedia. Canepa, studentessa diciottenne di Sestri Levante, è morta giovedì scorso dopo aver ricevuto la prima dose di AstraZeneca il 25 maggio. Un decesso avvenuto a causa delle conseguenze di una trombosi del seno cavernoso, diagnosticata dieci giorni dopo. Oggi pomeriggio i carabinieri del Nas consegneranno alla procura cartelle cliniche e scheda anamnestica della vaccinazione, in una riunione con i magistrati che si occupano dell'indagine. Domani poi sarà disposta l'autopsia, affidata al medico legale Luca Tajana e all'ematologo Franco Piovella, che lo affiancherà. Il caso intanto sta smuovendo paure e cautele. Quattro le persone ricoverate negli ultimi due giorni al Galliera di Genova per mal di testa accusati dopo la vaccinazione.

L'ipotesi "paziente fragile”. Un altro aspetto su cui si sta concentrando l'inchiesta, coordinata dai pm Stefano Puppo e Francesca Rombolà del pool tutela salute guidato dal procuratore aggiunto Francesco Pinto, è la «piastrinopenia autoimmune familiare» della quale Camilla avrebbe sofferto. Una carenza di piastrine cronica, inserita dall'ospedale di Lavagna, al quale la giovane si era rivolta due volte dopo alcuni sintomi, nella relazione fornita al policlinico San Martino di Genova, che aveva accolto infine la studentessa. La famiglia della giovane, attraverso l’avvocato Angelo Paone, però, esclude che la ragazza soffrisse di malattie. È probabile che fra i primi a essere chiamati a fornire le proprie considerazioni ci sarà il medico di base della ragazza, Pierfrancesco Mazzini. I pm vogliono infatti capire a fondo la questione della piastrinopenia. Anche perché, se fosse confermata, avrebbe forse potuto essere motivo per inserire Camilla tra i soggetti «fragili». Ovvero gli under 60 da vaccinare con Pfizer o Moderna. Non con AstraZeneca. Questo perché le «piastrinopatie autoimmuni primarie croniche» sono comprese nella tabella delle patologie in base alle quali sono stati identificati i pazienti «ultra fragili». E per «fragili», si intendono coloro che, si legge nel piano strategico del ministero della Salute, hanno quelle patologie ma «senza quella connotazione di gravità riportata per la elevata fragilità». Camilla aveva aderito a un Open Day per AstraZeneca. I soggetti «fragili», invece, dovevano essere segnalati dal medico di base.

L'interazione tra farmaci. A Camilla sarebbero stati prescritti due farmaci differenti. E, dalla relazione esaminata, la terapia sarebbe stata assunta dalla giovane il 29 maggio, quattro giorni dopo il vaccino. È andata così? Se sì, qualcuno si è posto il problema di un'eventuale interazione? O la prescrizione era stata fatta prima e l'assunzione è avvenuta senza un consulto? All'ematologo della procura toccherà cercare di far luce su come abbiano interagito ormoni e vaccino.

L’esperto. E a proposito di questa terapia ormonale, interpellato da Il Secolo XIX, il professor Mauro Costa, ginecologo responsabile della struttura semplice dipartimentale di Medicina della riproduzione dell'ospedale Evangelico internazionale di Genova, spiega, con la premessa di non conoscere il caso specifico: «Progynova e Dufaston sono due farmaci di lunga sperimentazione utilizzati da circa 40 anni come terapia sostitutiva per le donne che non producono ormoni o perché in menopausa o perché in amenorrea (senza ciclo) in età fertile. Ma sono anche utilizzati per la preparazione uterina in caso di impianti di embrioni». Costa ricorda che in merito ai rischi di trombosi correlati all'assunzione di terapie contraccettive (assimilabili a quelle assunte da Camilla) i ginecologi italiani dell'Aogoi il 26 maggio scorso hanno dichiarato: «Nessuna associazione medica, società scientifica ed ente di sanità pubblica consiglia la sospensione della contraccezione ormonale nelle donne in concomitanza con la vaccinazione anti Covid 19».

Marco Fagandini per "la Stampa" il 15 giugno 2021. Quando il 3 giugno Camilla Canepa era giunta al pronto soccorso di Lavagna, accusando i primi malesseri, il personale l'aveva sottoposta a un esame del sangue. E da quanto emerge dalla documentazione medica, il numero di piastrine registrato era risultato più basso del limite inferiore dei valori ritenuti normali. Un possibile campanello d' allarme, nove giorni dopo che la diciottenne di Sestri Levante aveva effettuato il vaccino Vaxzevria di AstraZeneca? Anche perché i casi di trombosi registrati sino a quel momento su altre donne erano accompagnati da carenza di piastrine. E se sì, perché Camilla era stata comunque dimessa? Domande alle quali la procura di Genova vuole rispondere, per chiarire i tanti dubbi che ancora restano sulla morte della ragazza, stroncata giovedì scorso dalle conseguenze di una «trombosi del seno cavernoso». Ieri i carabinieri del Nas hanno consegnato ai magistrati i documenti clinici sequestrati. L'inchiesta per omicidio colposo e condotta dai pm Stefano Puppo e Francesca Rombolà, coordinati dal procuratore aggiunto Francesco Pinto, mira a capire se vi sia una correlazione precisa fra vaccino e decesso. Se nella tragedia abbiano concorso altri elementi, come la doppia terapia ormonale che sarebbe stata prescritta alla ragazza. E come la morte avrebbe potuto essere evitata. Ecco perché fondamentale sarà il lavoro del medico legale Luca Tajana e quello dell'ematologo Franco Piovella. Oggi riceveranno l'incarico dalla procura di eseguire l'autopsia e rispondere a una serie di quesiti. Secondo gli inquirenti, la giovane era andata due volte al pronto soccorso di Lavagna. La prima il 3 giugno, con cefalea e fotosensibilità (una reazione dermatologica alla luce del sole). È in quel caso, per chi indaga, che sarebbero emerse l'assunzione di ormoni e una «piastrinopenia autoimmune familiare». Così è stato poi comunicato all' ospedale San Martino di Genova, dove Camilla è stata infine trasferita. I familiari della diciottenne però hanno detto che la studentessa non soffriva di alcuna malattia. Dalla documentazione del primo accesso emerge il valore basso di piastrine. A chiarire se questo fosse il segno di una reazione avversa al vaccino, di quella patologia o di entrambe, potranno essere gli esperti. Nella scheda anamnestica della vaccinazione, avvenuta il 25 maggio, né gli ormoni né la piastrinopatia sono indicati. In quel primo ingresso al pronto soccorso era stata eseguita anche una Tac, che non avrebbe evidenziato problemi particolari (accertamenti in corso sull' uso o meno di liquido di contrasto). I magistrati, con tutta probabilità, chiederanno oggi ai periti di verificare se un ricovero, al posto delle dimissioni, avrebbe reso possibile individuare in anticipo il trombo e salvare la giovane.

Alessia Ribaudo per corriere.it il 15 giugno 2021. È stata un’emorragia cerebrale a uccidere Camilla Canepa, la maturanda diciottenne di Sestri Levante, 16 giorni dopo aver ricevuto la prima dose del vaccino AstraZeneca, durante l’open day del 25 maggio nella cittadina genovese. È questo il risultato dell’autopsia che è stata eseguita dal medico legale Luca Tajana e dall’ematologo Franco Piovella. Adesso i consulenti nominati dalla procura dovranno proseguire con altri esami fra cui quelli istologici per chiarire quale sia stato il motivo o i motivi che hanno portato al decesso lo scorso 10 giugno. Sono tanti i nodi da sciogliere e sul caso sta indagando la procura della città della Lanterna. I pubblici ministeri Francesca Rombolà e Stefano Puppo, insieme al procuratore aggiunto Francesco Pinto, hanno chiesto in particolare ai due medici di capire se la giovane soffrisse di una malattia autoimmune, se lo sapesse e, dunque, se rientrasse tra i soggetti «fragili» perché, in questo caso, la ragazza non avrebbe potuto ricevere l’inoculazione con il prodotto anglo-svedese. Inoltre, i magistrati vogliono sapere se i medici vaccinatori abbiano raccolto tutte le informazioni correttamente, se avesse detto di essere stata immunizzata al ginecologo che, poi, le prescrisse una cura ormonale. Infine, se vi siano state omissioni e colpe dei medici dell’ospedale di Lavagna e del San Martino di Genova.

Le indagini. I pm stanno indagando a 360 gradi e hanno sentito anche i genitori di Camilla Canepa che, intanto, hanno nominato il medico legale Enzo Profumo come consulente di parte. «Abbiamo piena fiducia nella procura e nei consulenti nominati — spiega l’avvocato Angelo Paone che assiste la famiglia della vittima — e Profumo li affiancherà solo per fornire un contribuito all’accertamento dei fatti». La procura convocherà, nei prossimi giorni, anche il medico di base della pallavolista per avere un quadro esaustivo della situazione.

I funerali. Dopo l’autopsia, ci saranno i funerali domani alle 16 a Sestri Levante dove il sindaco Valentino Ghio ha proclamato il lutto cittadino e ha chiesto di effettuare anche un minuto di silenzio alle 12 per ricordare la ragazza che frequentava l’Istituto tecnico a Chiavari e si stava impegnando per conseguire il titolo di ragioniera e, poi, per poter tornare alla sua grande passione: la pallavolo.

Confermata la morte per emorragia cerebrale. Camilla Canepa, l’esito dell’autopsia e i dubbi da chiarire: dalla scheda anamnestica ai farmaci ormonali. Giovanni Pisano su Il Riformista il 15 Giugno 2021. Camilla Canepa è morta per emorragia cerebrale. Questo l’esito dell’autopsia eseguita martedì 15 giugno sul corpo della studentessa 18enne morta cinque giorni fa in ospedale a Genova, a distanza di circa due settimane dalla prima dose del vaccino AstraZeneca ricevuta durante un Open Day. Adesso i medici legali procederanno con gli ulteriori esami per approfondire lo stato di salute della ragazza e cosa abbia, di fatto, portato all’emorragia e al conseguente decesso. L’esame è stato eseguito dal medico legale Luca Tajana e dall’ematologo Franco Piovella. Restano tanti i nodi da sciogliere da parte della procura di Genova che indaga sull’accaduto. I pm Francesca Rombolà e Stefano Puppo, coordinati dal procuratore aggiunto Francesco Pinto, hanno chiesto ai due medici di appurare se la giovane soffrisse di una malattia autoimmune e quindi se rientrasse tra i soggetti super fragili a cui doveva essere somministrato un vaccino diverso. Da approfondire anche se i medici vaccinatori abbiano raccolto tutte le informazioni in modo giusto, se sia stato corretto somministrare i due farmaci ormonali dopo il vaccino e infine se vi siano state omissioni e colpe dei medici dell’ospedale di Lavagna e del San Martino di Genova. In procura oggi sono stati ascoltati i genitori di Camilla che hanno ricostruito la storia clinica della ragazza dopo aver negato, nei giorni scorsi, che soffrisse di malattie ereditarie. Stando alle prime informazioni raccolte, la 18enne non avrebbe segnato nella scheda anamnestica, che si compila prima di sottoporsi al vaccino, di soffrire di piastrinopenia autoimmune (cronica carenza di piastrine), che avrebbe fatto di lei un soggetto potenzialmente a rischio. Gli investigatori nei prossimi giorni sentiranno tutti i medici coinvolti nella vicenda: da quelli presenti nell’hub vaccinali a coloro in servizio presso gli ospedali di Lavagna e Genova oltre al medico curante e al ginecologo. Quest’ultimo nei giorni successivi al vaccino, ricevuto il 25 maggio, ha prescritto a Camilla i farmaci Progynova e il Dufaston per curare un problema di cisti ovariche. Camilla il 3 giugno era andata una prima volta in pronto soccorso di Lavagna con cefalea e fotofobia. Sottoposta a Tac cerebrale ed esame neurologico, entrambi negativi, era stata dimessa con raccomandazione di ripetere gli esami del sangue dopo 15 giorni. Il 5 giugno è tornata in pronto soccorso con deficit motori. Sottoposta a Tac cerebrale “con esito emorragico”, era stata trasferita alla Neurochirurgia dell’ospedale e sottoposta a due interventi, uno per la rimozione del trombo e poi un altro per ridurre la pressione intracrancia.

L’ultimo saluto: funerali il 16 giugno. Intanto sono in programma domani, mercoledì 16 giugno, i funerali. L’ultimo saluto verrà dato alle 16 nella chiesa di San Antonio a Sestri Levante (Genova). La famiglia, che ha mantenuto in questi giorni il massimo riserbo chiedendo rispetto per il proprio dolore, ha fatto sapere di sperare che la cerimonia funebre possa essere un momento privato senza la partecipazione di inviati di tv e giornali.

Giovanni Pisano. Napoletano doc (ma con origini australiane e sannnite), sono un aspirante giornalista: mi occupo principalmente di cronaca, sport e salute.

Camilla Canepa, "la Tac senza liquido di contrasto": un drammatico errore dopo il ricovero? Libero Quotidiano il 17 giugno 2021. Continuano a emergere nuovi dettagli sulla tragica morte di Camilla Canepa, la ragazza 18enne deceduta a Genova a causa di una trombosi riscontrata dopo la somministrazione della prima dose AstraZeneca. Secondo quanto scrive La Stampa, la ragazza fu sottoposta a una Tac senza l'impiego di liquido di contrasto. Questa pratica potrebbe tuttavia rappresentare una contraddizione delle linee guida diffuse dall'Agenzia italiana del farmaco (Aifa). Un dettaglio emerso nell'inchiesta sulla scomparsa della studentessa diciottenne e che potrebbe fare luce sulle responsabilità della tragedia. I dettagli emergono da una nota dell'Aifa emessa il 26 maggio scorso, in materia di "complicanze tromboemoliche post-vaccinazione anti-Covid 19 con Vaxzevria - AstraZeneca". Nel dossier di 11 pagine, uno dei paragrafi recita: "Nel sospetto di trombosi dei seni venosi cerebrali l'esame di prima scelta è oggi l'angio-Tac, indicando al medico neuroradiologo il medesimo sospetto clinico così da poter studiare correttamente, con il messo di contrasto, i distretti venosi". Fino al tardo pomeriggio del 3 giugno 2021, Camilla non aveva presentato alcun effetto collaterale. Poi è successo tutto in rapida successione: prima una cefalea e poi una forte fotosensibilità. Insieme ai familiari, la giovane si è subito recata all'ospedale di Lavagna, dove le è stata diagnosticata una presunta "piastrinopenia" (carenza di piastrine) di matrice ereditaria e però contestata dalla famiglia, e l'assunzione nei giorni precedenti di farmaci per una cura ormonale. Ai medici era stato comunicato che la ragazza si è era sottoposta alla vaccinazione con il preparato anglo-svedese alcune settimane prima, e il valore delle piastrine quella sera era al di sotto della soglia ritenuta "normale". Questo, quanto emerso dalle cartelle cliniche acquisite dai carabinieri. A questo punto, i sanitari dell'istituto della riviera ligure hanno eseguito una Tac, tuttavia senza liquido di contrasto. La domanda che sorge spontanea è se il comportamento dei sanitari sia stato corretto, alla luce di quanto prescriveva l'Aifa in una circolare emessa prima che la giovane si presentasse al pronto soccorso? Tra gli ulteriori accertamenti da effettuare anche il motivo per cui Camilla è restata così brevemente in osservazione, nonostante i sintomi erano chiaramente "sospetti" secondo le linee guida dell'Aifa. Riguardo ai dubbi degli inquirenti, il direttore generale dell'Asl 4 di Chiavari, Paolo Petralia ha spiegato: "Rispettiamo ogni accertamento della magistratura, ma mi sento di dire che solo un approfondimento tecnico molto specifico potrà far luce con precisione sui vari spunti investigativi, in prims quello inerente la circolare Aifa sulla necessità della Tac con contrasto". 

Matteo Indice per "la Stampa" il 17 giugno 2021. Camilla Canepa fu sottoposta a una Tac senza l'impiego di liquido di contrasto. Ma questa pratica, e lo confermano solide fonti investigative, potrebbe contraddire le linee guida diffuse dall' Aifa. È uno dei dettagli più importanti emersi ieri nell' inchiesta sulla tragedia della studentessa diciottenne. Per orientarsi è necessario ripercorrere il documento emesso dall' Agenzia italiana del farmaco il 26 maggio scorso, in materia appunto di «complicanze tromboemboliche post-vaccinazione anti Covid 19 con Vaxzevria-AstraZeneca». È un dossier di 11 pagine, e uno dei paragrafi più rilevanti recita: «Nel sospetto di trombosi dei seni venosi cerebrali l'esame di prima scelta è oggi l' angio-Tac, indicando al medico neuroradiologo il medesimo sospetto clinico così da poter studiare correttamente, con il mezzo di contrasto, i distretti venosi». Camilla era stata bene fino al tardo pomeriggio del 3 giugno, quando ha manifestato cefalea e una forte fotosensibilità. Ha raggiunto insieme ai familiari il pronto soccorso di Lavagna e qui ha trascorso alcune ore dopo che erano stati registrati una presunta «piastrinopenia» (carenza di piastrine) di matrice ereditaria e però contestata dalla famiglia, e l'assunzione nei giorni precedenti di farmaci per una cura ormonale. Ai medici era stato premesso che il 25 maggio si era vaccinata con AstraZeneca e il valore delle piastrine quella sera - è certificato dalle cartelle cliniche acquisite dai carabinieri - era inferiore al range ritenuto «normale». A quel punto i sanitari dell'istituto lavagnese hanno eseguito una Tac, come premesso senza liquido di contrasto. È stata una prassi corretta, alla luce di ciò che prescriveva l'Aifa con una circolare emessa prima che la giovane si presentasse al pronto soccorso? Che tipo di quadro clinico era stato palesato al neuroradiologo? Non c' è dubbio che quanto accaduto a Lavagna rappresenti un nodo fondamentale. E tra gli ulteriori dati da verificare vi sono la brevità della permanenza in osservazione dopo il primo accesso della vittima e le risicate consulenze specifiche richieste davanti a sintomi che sempre l'Aifa evidenzia come «sospetti» in tutte le sue circolari. Sui dubbi degli inquirenti Paolo Petralia, direttore generale dell'Asl 4 Chiavarese da cui dipende l' ospedale di Lavagna ha spiegato: «Rispettiamo ogni accertamento della magistratura, ma mi sento di dire che solo un approfondimento tecnico molto specifico potrà far luce con precisione sui vari spunti investigativi, in prims quello inerente la circolare Aifa sulla necessità della Tac con contrasto».

Manila Alfano per "il Giornale" il 15 giugno 2021. «Ho perso l'uso di un occhio per una trombosi cerebrale, e i medici non sanno dirmi se potrò tornare a vedere. Sto vivendo un incubo». Gioia è una signora di 59 anni, spaventata come lo saremmo tutti dopo quello che le è successo. «Mi sforzo di pensare che poteva andarmi peggio, ma è dura, la mia vita è stata sconvolta completamente, come farò a lavorare adesso, a vivere senza vedere da un occhio?». Tutto è iniziato il 15 maggio scorso quando la signora, un architetto di Milano, va a vaccinarsi. «Avevo spiegato che stavo facendo una terapia ormonale, ma mi hanno risposto di non preoccuparmi, che io ero perfettamente adatta a quel vaccino». E invece. I primi disturbi arrivano la stessa sera, febbre a 39 per tre giorni. «Poi con la tachipirina sono passati e mi sono sentita più tranquilla». Torna al lavoro, un mestiere che le piace, e finalmente, dopo una lungissima pausa ci sono segnali di ripartenza, anche nel suo settore. Va tutto bene fino alla mattina del 29 maggio, dodici giorni dopo quell' iniezione. «Mi sono alzata e avevo la vista annebbiata, ho pensato a una cosa passeggera. Due anni prima avevo già avuto dei disturbi con gli occhi ma quando l'annebbiamento invece di migliorare peggiora sono corsa dall' oculista che mi spiega che ho perso sei decimi». Nessuno pensa a qualcosa di neurologico, dovrà attraversare quattro lunghi giorni di calvario prima di avere la diagnosi esatta. «Mi fa tutti gli esami, eppure non emerge nulla che spieghi questo calo vertiginoso della vista». L'oculista prescrive altri esami. Lei va da un altro specialista che le consiglia di fissare una visita neuro oftalmica. Sono ore di grandissimo stress, ed è finalmente il suo medico di fiducia che, sentendola al telefono, le dice di andare in pronto soccorso, perchè è una corsa contro il tempo e lei di tempo ne ha già perso tanto. «Con una tac scoprono il peggio: trombosi cerebrale in corso, mi hanno subito ricoverata». Oggi la signora è stata dimessa, continua la terapia da casa e deve essere monitorata e sottoposta a continui esami del sangue e continua a non vederci. «L' ospedale nega relazioni dirette con il vaccino, eppure l'esame che ho fatto ha escluso una familiarità genetica con le trombosi. Non posso lavorare e io madre separata non posso permettermelo. Ora cosa farò?».

DA ilmessaggero.it il 26 giugno 2021. Choc negli Usa: un ragazzino di 13 anni del Michigan è morto tre giorni dopo aver ricevuto la seconda dose del vaccino Pfizer. I risultati preliminari dell'autopsia hanno indicato che in seguito alla sua vaccinazione, il cuore di Jacob Clynick si è ingrossato ed è stato circondato da liquidi, sintomi simili a quelli documentati in altri ragazzi adolescenti che hanno avuto miocardite, sempre in seguito alla vaccinazione. Il 20 giugno, la zia di Clynick, Tami Burages, ha pubblicato un tweet con una foto della tessera di vaccinazione di suo nipote e questa dichiarazione (ma poi il tweet è stato rimosso).

Vaccino Pfizer, parla la zia del ragazzino morto. «Una settimana fa il figlio tredicenne di mio fratello ha avuto il suo secondo vaccino covid. Meno di 3 giorni dopo è morto. I primi risultati dell'autopsia (fatta venerdì) erano che il suo cuore era ingrossato e c'era del liquido che lo circondava. Non aveva problemi di salute noti. Non assumeva farmaci».

La zia ha poi aggiunto: «La nostra famiglia è devastata. Ho faticato a pubblicare la notizia su Twitter. Sono pro-vaccino. Abbiamo vaccinato mio figlio di 14 anni non appena disponibile. So che è per lo più sicuro. Il CDC deve indagare su questo. Ci sono stati altri casi di miocardite in giovani che hanno ricevuto la loro seconda dose Pfizer». 

E poi una domanda: «Ne sono morti altri negli Stati Uniti o mio nipote è il primo? Ci sono questioni morali, etiche e di salute a cui è necessario rispondere. Se Jacob non avesse ricevuto la seconda dose, crediamo che oggi sarebbe vivo». La morte dell'adolescente è stata segnalata ai Centers for Disease Control and Prevention (CDC) ed è oggetto di indagine da parte dei regolatori sanitari federali per determinare se esista una correlazione tra la morte e la vaccinazione: il Dipartimento della salute della contea di Saginaw ha ricevuto un avviso dal medico legale sulla morte del ragazzino.

Permeabilità capillare, l'Ema: «Nuovo effetto indesiderato di AstraZeneca». «La perdita della vita in un adolescente per qualsiasi motivo è straziante», ha scritto il dipartimento della salute in una nota. «L'ufficiale sanitario Chris Harrington, MPH, e il direttore medico Delicia Pruitt, MD, hanno bambini vicini all'età del ragazzino, quindi per loro è molto vicino». A partire da mercoledì, il Vaccine Adverse Event Reporting System (VAERS) del CDC non includeva una voce per un adolescente del Michigan morto a giugno. Secondo vari rapporti, c'è un ritardo di due mesi tra i rapporti fatti al VAERS e quelli pubblicati al pubblico. La FDA ha poi aggiunto una nota sull'infiammazione del cuore ai vaccini Pfizer e Moderna. Durante una riunione del 23 giugno, l'Advisory Committee on Immunization Practices (ACIP) del CDC ha affermato che esiste una «probabile associazione di infiammazione cardiaca lieve negli adolescenti e nei giovani adulti dopo la vaccinazione». La Food and Drug Administration degli Stati Uniti ha dichiarato che aggiungerà un avvertimento sui vaccini prodotti da Pfizer e Moderna, sottolineando i «rari casi di infiammazione cardiaca negli adolescenti e nei giovani adulti». Durante la riunione dell'ACIP del 23 giugno, i membri hanno riconosciuto più di 1.200 casi di infiammazione cardiaca tra i 16 ei 24 anni, che si verificano principalmente negli uomini. Tuttavia, hanno affermato che «i benefici dei vaccini superano i rischi». Gli ultimi dati del VAERS mostrano 1.117 casi di miocardite e pericardite (infiammazione del cuore) in tutti i gruppi di età segnalati negli Stati Uniti a seguito della vaccinazione tra il 14 dicembre 2020 e l'11 giugno 2021. Dei 1.117 casi segnalati, 686 casi sono stati attribuiti a Pfizer, 391 casi a Moderna e 36 casi al vaccino Johnson & Johnson.

Vaccino Pfizer, "difficoltà a camminare". Il farmacista e la scoperta inquietante: nel sangue di suo figlio...Libero Quotidiano il 30 giugno 2021. Una scoperta che sta gettando l'Italia nel terrore. A diffondere quanto sarebbe accaduto dopo la somministrazione di Pfizer è un farmacista di Bari, che ha riportato un effetto collaterale riscontrato nel figlio. L'uomo ha infatti scoperto cosa c'è dietro la spossatezza prolungata accusata dal ragazzo. "Mi sento in dovere da genitore prima e da farmacista poi di informare giovani e meno giovani su quanto successo a mio figlio quasi 18enne - ha esordito su Facebook Francesco Capezzuto -. Dopo aver ricevuto la prima dose di vaccino Pfizer, ha accusato a distanza di tre giorni, fortissima spossatezza, tanto da avere difficoltà a camminare". Molti i casi che hanno avvertito una stanchezza simile dopo aver ricevuto il vaccino contro il coronavirus. Ma Capezzuto ha voluto vederci, scoprendo qualcosa di inaspettato. "Grazie ad un amico medico abbiamo fatto un controllo di un enzima cardiaco, a cui, sinceramente, non avrei mai pensato. La troponina. Questo insieme ad altri, evidenzia la presenza di eventuale miocardite, patologia da non sottovalutare". Si tratta infatti di n'infiammazione del tessuto muscolare del cuore che tende a colpire più spesso i giovani. Spesso - spiegano i medici - può decorrere quasi inosservata, frequentemente guarisce senza esiti, ma qualche volta può presentarsi in forma molto grave e mettere in pericolo la vita. Da qui l'appello del farmacista che chiede di "sollecitare controlli simili, qualora si presenti spossatezza prolungata, con tendenza al peggioramento". Capezzuto porta in esame diversi articoli letti. Tra questi "uno in particolare evidenzia con chiarezza tale effetto, in soggetti maschi tra i 16 e i 18 anni, dove la statistica parla di un caso ogni 3000. Degno quindi di nota", è la conclusione. Primi a lanciare l'allarme sulla miocardite e pericardite legate a Pfizer e Moderna era stata Israele che aveva registrato 148 casi, tra dicembre e maggio, in giovani dall’età tra i 16 e i 19 anni. E di questi il 95 per cento aveva riportato sintomi lievi.  

Miocardite, sintomi e cura: effetto collaterale del vaccino? Esiste un legame con il vaccino Covid Pfizer? Le segnalazioni. Chiara Nava il 29 giugno 2021 su Notizie.it. La miocardite è un’infiammazione che sta colpendo diversi giovani dopo aver effettuato il vaccino anti-Covid Pfizer. Esiste davvero una correlazione? I casi segnalati iniziano ad essere sempre più frequenti.

Miocardite: cos’è? La miocardite è un’infiammazione del miocardio, parte del muscolo del cuore, che si gonfia e diventa più spesso. Solitamente si verifica quando un’infezione raggiunge il centro dell’apparato circolatorio. I sintomi della miocardite comprendono la mancanza di respiro, il battito cardiaco accelerato e il dolore toracico, ma anche febbre e affaticamente. Ci sono anche altri segnali che si possono manifestare, come dolori muscolari, mal di testa, mal di gola, diarrea, eruzioni cutanee, dolore o gonfiore articolari, mani e piedi pallidi e freddi e svenimento. John Greenwood, presidente della British Cardiovascular Society e consulente cardiologo presso il Leeds Teaching Hospitals NHS Trust, ha spiegato che “la miocardite non è una condizione rara e può essere associata a molti virus. Nel nostro ospedale, ad esempio, abbiamo uno o più pazienti a settimana sospettati di averla”.

Miocardite: effetto collaterale del vaccino? La miocardite e la pericardite sono due infiammazioni che colpiscono il cuore e sembrano essere dei nuovi effetti collaterali per Pfizer o Moderna. I primi casi sono accaduti in Israele tra dicembre e maggio e sono stati 148 tra i 16 e i 19 anni. Di questi il 95% ha riportato sintomi lievi. Negli Stati Uniti, la Vaccine Adverse Event Reporting System (VAERS), organo che si occupa di raccogliere le segnalazioni post vaccino, ne ha contate 600 il 21 giugno. Si tratta di persone con un’età inferiore ai 30 anni, vaccinate. La CDC e la US Food and Drug Administration ne ha confermate 393. L’Ema al momento sta tenendo sotto controllo la situazione e darà una risposta certa a luglio. Oltre alla miocardite si sono manifestati anche casi di pericardite, che sono molto simili. In questo caso l’infiammazione è al pericardio del cuore, ovvero il tessuto esterno che circonda l’organo. Il suo compito è mantenerlo in posizione e farlo funzionare correttamente. I sintomi della pericardite sono dolore al petto, battito cardiaco accelerato, fiato corto e febbre. Le due infiammazioni si sono verificate nella maggior parte dei casi entro una settimana dopo la seconda dose del vaccino Pfizer o Moderna.

Miocardite: le segnalazioni. Il CDC, organismo di controllo sulla sanità pubblica degli Stati Uniti, ha stimato che ogni milione di seconde dosi iniettate tra i 12 e i 17 anni si sono verificate 70 miocarditi. La Food and Drug Administration vuole aggiornare il consenso informato e inserire nel bugiardino questi nuovi effetti collaterali. Nel Regno Unito, l’agenzia britannica di regolamentazione dei prodotti medico-farmaceutici, ha ricevuto 53 segnalazioni di miocardite e 33 segnalazioni di pericardite, compreso un decesso, dopo l’uso del vaccino Pfizer. L’80% dei casi riguarda i maschi. Esiste un’incidenza maggiore in un genere rispetto ad un altro, ma le cause sono sconosciute.

Macerata, morto a 58 anni dieci giorni dopo Pfizer: "Fegato compromesso", l'ultima tragedia sospetta. Libero Quotidiano il 17 giugno 2021. Massimo Bonfigli, 58 anni, geometra e funzionario del settore viabilità della Provincia di Macerata, è morto ieri all'ospedale regionale di Torrette. Una tragedia improvvisa per la famiglia e gli amici. L'uomo, che avrebbe compiuto 59 anni a ottobre, lunedì 7 giugno aveva ricevuto la prima dose del vaccino Pfizer. Subito dopo aveva avuto una febbre molto alta, fino a 39. Lo scorso lunedì, poi, l'uomo è stato accompagnato dai familiari al pronto soccorso dell’ospedale di Macerata e nello stesso giorno è stato trasferito nel reparto di rianimazione. Il giorno dopo c'è stato il trasferimento a Torrette per un problema epatico. Si era parlato addirittura dell’ipotesi di un trapianto di fegato. Ma non c'è stato il tempo, perché Massimo è venuto a mancare poco dopo l'arrivo in ospedale. Intanto, come riporta il Resto del Carlino, l’ospedale regionale ha disposto l’autopsia per analizzare i motivi precisi del decesso. Tra le ipotesi sulle cause della morte, ci sarebbe quella di un’epatite fulminante. "Faremo le indagini necessarie per capire le cause di morte", ha spiegato la direzione sanitaria degli Ospedali Riuniti. Stando alle voci di chi lo conosceva, il 58enne era uno sportivo, amava correre e andare in bici. "Eravamo coetanei e compagni di scuola. Era professionale, serio, competente e disponibile nel lavoro, unico e capace", ha ricordato la sindaca Cecilia Cesetti.  

Bari, uomo in rianimazione dopo dose J&J. Segnalazione all'Aifa del Policlinico. La Gazzetta del Mezzogiorno il 14 Giugno 2021. Un uomo di 54 anni è ricoverato in rianimazione dallo scorso 12 giugno al Policlinico di Bari per «un evento avverso di tipo ischemico» che si è verificato in «un periodo successivo alla vaccinazione» anti Covid. Lo rende noto il Policlinico che annuncia di aver segnalato «il sospetto caso avverso all’Aifa». L’uomo, tuttora in prognosi riservata, era stato vaccinato il 26 maggio con una dose J&J. Nei giorni successivi ha avuto un malore e, in un altro ospedale barese, gli è stata prescritta una terapia farmacologica «per trombosi venosa periferica». Le sue condizioni sono però peggiorate e il 12 giugno il 54enne è stato portato al pronto soccorso del Policlinico e ricoverato in rianimazione. «Si precisa - conferma il Policlinico - che l’uomo è arrivato al pronto soccorso il 12 giugno scorso già in terapia farmacologica prescritta in altra sede, per trombosi venosa periferica». 

Da "iltempo.it" il 12 giugno 2021. Gianluca Masserdotti non ce l’ha fatta e si registra un’altra morte che porterà ulteriori polemiche sul vaccino AstraZeneca. L’uomo, 54 anni, è deceduto per una serie di episodi trombotici e, come riporta il Corriere della Sera, la Procura di Brescia ha aperto un fascicolo per verificare eventuali legami con il prodotto contro il Covid dell’azienda anglo-svedese. “Mio padre era sano. Perché sia finita così non riusciamo a spiegarcelo” racconta la figlia Giulia, seguita poi da Sonia, sorella di Gianluca, che lavorava come carrozziere nella provincia di Brescia: “Tra una ventina di giorni potrebbero arrivare risposte dai risultati delle analisi specifiche, eseguite appena Gianluca è arrivato in ospedale, disposte quando i medici hanno saputo che era stato vaccinato da poco, diagnosticando un’ischemia e un’emiparesi sinistra. Non è escluso che avesse già un trombo mai diagnosticato e che il vaccino abbia innescato questo processo che non gli ha dato scampo. Quando è arrivato al pronto soccorso aveva le piastrine praticamente azzerate, e, forse, con il vaccino in corpo, il suo fisico non è riuscito a reagire, nonostante i medici abbiano fatto di tutto per salvarlo”. Inutili tutti i tentativi dei medici di salvarlo operandolo per ridurre la pressione sul cervello, con la morte cerebrale che è stata dichiarata mercoledì La famiglia vuole vederci chiaro e ora alza la voce: “È sempre stato detto che era meglio evitare di somministrare AstraZeneca sotto i 60 anni. E poi mio fratello e la ragazza di Genova diventano "quell’unico caso su 100 mila". Perché? Forse era meglio consigliare di fare delle analisi prima del vaccino. Se mio fratello aveva effettivamente un problema latente, sarebbe stato diagnosticato e, forse, non saremmo arrivati a questo punto. Ci vuole più tutela per chi si vaccina”. Un’altra storia triste dopo quella di Camilla Canepa di Sestri Levante.

Bari, morto il 54enne in intensiva dopo dose J&J: era in coma per trombosi. Il caso segnalato ad Aifa. L'uomo si era vaccinato lo scorso 26 maggio. La Gazzetta del Mezzogiorno il 15 Giugno 2021. Non ce l'ha fatta il 54enne ricoverato in terapia intensiva al Policlinico di Bari dopo un’ischemia che si sarebbe verificata in «un periodo successivo alla vaccinazione» anti Covid con J&J. Alessandro Cocco era in rianimazione dal 12 giugno scorso per «un evento avverso di tipo ischemico». L’uomo era stato vaccinato il 26 maggio in un hub della provincia di Bari con il siero J&amp;J. Nei giorni successivi alla somministrazione ha avuto un malore e quando è arrivato al pronto soccorso del Policlinico era già in terapia farmacologica prescritta in un altro ospedale «per trombosi venosa periferica». Dopo il ricovero il Policlinico ha segnalato il caso all’Aifa. La famiglia, a quanto si apprende, ha manifestato la volontà di donare gli organi.

Morto di trombosi a 54 anni: "Aveva fatto AstraZeneca". Valentina Dardari il 12 Giugno 2021 su Il Giornale. Adesso i familiari vogliono risposte. L’uomo è morto di trombosi ma non aveva nessuna malattia pregressa. Gianluca Masserdotti, 54enne carrozziere di Flero, comune in provincia di Brescia, è morto dopo aver ricevuto il vaccino AstraZeneca. I suoi familiari adesso vogliono delle riposte chiare. La figlia Giulia: “Mio padre era sano. Perché sia finita così non riusciamo a spiegarcelo”. L’uomo è deceduto nel pomeriggio di giovedì 10 giugno, in seguito a diversi episodi trombotici. La Procura di Brescia ha aperto un fascicolo per capire se la morte del 54enne possa essere riconducibile alla inoculazione della prima dose del vaccino AstraZeneca, somministrata il 29 maggio. I dubbi naturalmente vengono, soprattutto se, come asserito dai suoi familiari, Gianluca godeva di buona salute e non aveva malattie pregresse. Il carrozziere era solito pranzare ogni giorno con la mamma Marianna ed era tifoso del Brescia Calcio.

Il malore dopo il vaccino AstraZeneca. La sorella Sonia ha raccontato al Corriere che “tra una ventina di giorni potrebbero arrivare risposte dai risultati delle analisi specifiche, eseguite appena Gianluca è arrivato in ospedale, disposte quando i medici hanno saputo che era stato vaccinato da poco, diagnosticando un’ischemia e un’emiparesi sinistra. Non è escluso che avesse già un trombo mai diagnosticato e che il vaccino abbia innescato questo processo che non gli ha dato scampo. Quando è arrivato al pronto soccorso aveva le piastrine praticamente azzerate, e, forse, con il vaccino in corpo, il suo fisico non è riuscito a reagire, nonostante i medici abbiano fatto di tutto per salvarlo”. Come abbiamo detto precedentemente, il 54enne aveva ricevuto la prima dose di AstraZeneca il 29 maggio e, subito dopo, era indolenzito e aveva qualche linea di febbre, durata circa un paio di giorni. La sua compagna, Cinzia Del Regno, ha spiegato che “nei giorni successivi, però, si sentiva molto stanco”. Nel fine settimana poi, la situazione si era aggravata ulteriormente. “Aveva un fortissimo mal di testa, si sentiva le gambe pesanti, ma domenica mattina aveva trovato la forza di giocare con mia figlia, prima di colazione. Quando si è alzato dal divano è caduto a terra, rigido. L’ambulanza è arrivata alle 9. Alle 10 in ospedale gli stavano già facendo un’angiografia per rimuovere il trombo” ha precisato la donna che ha poi proseguito sottolineando che nella notte tra lunedì e martedì il suo compagno ha subito un altro intervento chirurgico per alleggerire la pressione sul cervello causata da un altro trombo. Mercoledì i medici ne hanno dichiarato la morte cerebrale e il suo corpo è stato trasferito al Civile per il prelievo degli organi.

La sorella: "Meglio delle analisi prima del vaccino". Gianluca era infatti un donatore ma, a causa dei vari trombi, è stato possibile asportare solo il fegato e i reni. La figlia ha ricordato il padre: “abbiamo perso davvero tanto, un uomo per bene, semplice, con la testa sulle spalle e tanta gioia di vivere”. Anche se non convivevano puntualmente, ogni sera il 54enne si collegava in videochiamata per dare la buonanotte alla sorella. “È sempre stato detto che era meglio evitare di somministrare AstraZeneca sotto i 60 anni. E poi mio fratello e la ragazza di Genova diventano “quell’unico caso su 100 mila”. Perché? Forse era meglio consigliare di fare delle analisi prima del vaccino. Se mio fratello aveva effettivamente un problema latente, sarebbe stato diagnosticato e, forse, non saremmo arrivati a questo punto. Ci vuole più tutela per chi si vaccina” ha asserito Sonia. Questa mattina è stata aperta la camera ardente all’obitorio del Civile. I funerali saranno lunedì alle 10.30 nella parrocchiale di Flero.

Valentina Dardari. Sono nata a Milano il 6 marzo del 1979. Sono cresciuta nel capoluogo lombardo dove vivo tuttora. A maggio del 2018 ho realizzato il mio sogno e ho iniziato a scrivere per Il Giornale.it occupandomi di Cronaca. Amo tutti gli animali, tanto che sono vegetariana, e ho una gatta, Minou, di 18 anni.

Brescia, muore a 54 anni dopo AstraZeneca: "Fisico così devastato da poter donare solo fegato e reni". Libero Quotidiano il 12 giugno 2021. Gianluca Masserdotti aveva 54 anni ed era in ottima salute. È morto a domenica dopo essersi vaccinato. Nove giorni prima era stato vaccinato con AstraZeneca. Gianluca, di professione carrozziere, è morto giovedì in ospedale a Brescia, cinque giorni dopo essere stato ricoverato d'urgenza. Un'ora dopo l'arrivo al Pronto soccorso, "gli stavano già facendo un'angiografia per rimuovere un trombo", ha raccontato la sua compagna Cinzia. Nella notte di lunedì è stato operato di nuovo per un altro trombo, ma è stato inutile. Il fisico era talmente devastato che ha potuto donare solo fegato e reni. Sono partite subito le indagini per stabilire un'eventuale correlazione tra vaccino e morte. La Procura di Brescia ha aperto un fascicolo sulla sua morte. “Mio padre era sano. Perché sia finita così non riusciamo a spiegarcelo”, ha raccontato invece la figlia Giulia. “Tra una ventina di giorni potrebbero arrivare risposte dai risultati delle analisi specifiche, eseguite appena Gianluca è arrivato in ospedale, disposte quando i medici hanno saputo che era stato vaccinato da poco, diagnosticando un’ischemia e un’emiparesi sinistra. Non è escluso che avesse già un trombo mai diagnosticato e che il vaccino abbia innescato questo processo che non gli ha dato scampo. Quando è arrivato al pronto soccorso aveva le piastrine praticamente azzerate, e, forse, con il vaccino in corpo, il suo fisico non è riuscito a reagire, nonostante i medici abbiano fatto di tutto per salvarlo”, ha spiegato la sorella Sonia. La famiglia Masserdotti è comunque perplessa: “È sempre stato detto che era meglio evitare di somministrare AstraZeneca sotto i 60 anni. E poi mio fratello e la ragazza di Genova diventano “quell’unico caso su 100 mila”. Perché? Forse era meglio consigliare di fare delle analisi prima del vaccino. Se mio fratello aveva effettivamente un problema latente, sarebbe stato diagnosticato e, forse, non saremmo arrivati a questo punto. Ci vuole più tutela per chi si vaccina”, ha concluso la sorella di Masserdotti.

In coma dopo #AstraZeneca. E i no vax godono: "Te la sei cercata". Novella Toloni l'11 Giugno 2021 su Il Giornale. Commenti deliranti e ignobili sono comparsi sul profilo Facebook della 42enne di Lucca colpita da un ictus pochi giorni dopo aver ricevuto il vaccino AstraZeneca in un Open Day. Irene Cervelli è ricoverata in un letto della neurorianimazione dell’ospedale Cisanello di Pisa. A ridurla in coma è stato un ictus, che l'ha colpita pochi giorni dopo aver ricevuto la prima dose di AstraZeneca durante un Open Day all'ospedale Campo di Marte a Lucca. Per lei dovrebbero esserci solo preghiere e parole di conforto, affinché riesca a superare il difficile momento e si risvegli dal coma. Invece il delirio no vax la sta travolgendo. Sui social network - come scrive La Nazione - il profilo Facebook della 42enne lucchese è stato letteralmente inondato di frasi di odio e commenti ignobili da parte dei negazionisti. Per loro Irene se "l'è andata a cercare", come se la voglia di ritornare alla vita normale, che ognuno di noi ha dopo oltre un anno di privazioni, fosse una colpa. La sua colpa - per i deliranti no vax - è quella di aver voluto anticipare i tempi per tornare libera. Aveva prenotato il vaccino Pfizer attraverso il portale online della regione Toscana, ma la voglia di tornare alla normalità l'ha spinta ad anticipare i tempi. Irene si è presentata a uno degli Open Day AstraZeneca organizzati a maggio a Lucca. Una settimana dopo aver fatto l'iniezione però si è sentita male, colpita da un ictus senza patologie pregresse e costretta a due interventi chirurgici alla testa in pochi giorni. Come si può arrivare a offendere e insultare una persona in coma che semplicemente voleva proteggere se stessa e gli altri dal Covid? Che voleva tornare alla normalità? E invece negazionisti e no vax da ore stanno vomitando il loro odio sulla pagina social di Irene. Una pagina dove si dovrebbero vedere solo messaggi di speranza. "Chi è causa del suo mal pianga se stesso", "Ingenua", "Se l'è proprio andata a cercare", "Daje Iré, non ce rimanere male", "Col cervello che si ritrova tenterebbe anche la seconda volta. Questa gente è tutta spiantata". Dov'è finita la sensibilità, la compassione, l'empatia verso una donna che lotta tra la vita e la morte? Dopo l'ondata di odio, la pagina Fecebook di Irene Cervelli non è più visibile online, presumibilmente disattivata dalla famiglia. I Cervelli, infatti, hanno affidato al proprio legale, l'avvocato Giovanni Mandoli, un commento su quanto accaduto. "La famiglia si dice amareggiata per le dichiarazioni comparse sul profilo Fb di Irene - riporta il Gazzettino - da parte di alcuni leoni da tastiera, ma al tempo stesso chiede di non dare spazio a questi soggetti che spesso si nascondono dietro ad account falsi creati ad arte con il solo scopo di generare odio". Un orrore, quello dell'odio no vax, che si era già ripetuto con la morte della cantante Milva, lo scorso aprile, deceduta pochi giorni dopo aver ricevuto la prima dose di vaccino. Anche in quell'occasione i no vax avevano preso di mira la sua pagina Facebook per dirle "te la sei cercata". Chissà da dove nasce tanto odio. Non dallo stesso posto in cui nasce la vergogna.

Novella Toloni. Toscana Doc, 40 anni, cresco con il mito di "Piccole Donne" e del personaggio di Jo, inguaribile scrittrice devota a carta, penna e macchina da scrivere. Amo cucinare, viaggiare e non smetterò mai di sfogliare riviste perché amo le pagine che scorrono tra le dita. Appassionata di social media, curiosa per natura, il mio motto è "Vivi e lascia vivere", perché non c’è niente di più bello delle cose frivole e leggere che distolgono l’attenzione dai problemi

L'ipotesi del limite agli under 50. AstraZeneca a giovani e donne, nuovo caos sul vaccino: verso nuova raccomandazione. Antonio Lamorte su Il Riformista il 10 Giugno 2021. E’ ancora caos intorno al vaccino anti-covid sviluppato dall’Università di Oxford AstraZeneca, che dopo i casi di trombosi e le valutazioni dell’Agenzia Europea del Farmaco (Ema) e la disastrosa campagna di comunicazione della stessa Ema, e quindi dell’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa), e dei Paesi che hanno deciso la sospensione delle somministrazioni per periodi più o meno lunghi o definitivi, ha adottato il nome di Vaxzevria, e che in questi giorni torna sulle prime pagine dei giornali. E torna a preoccupare. Perché dopo che il vaccino è stato sostanzialmente somministrato senza limiti, sulla scorta di una trascurata e trascurabile raccomandazione europea, si va verso un nuovo modello d’uso per il preparato anglo-svedese. Atteso infatti nelle prossime ore un pronunciamento sull’uso del siero sviluppato da Oxford, già all’esame del Comitato Tecnico Scientifico.  “Proprio in queste ore c’è un’attenzione che definirei suprema per cogliere tutti i segnali che possono in qualche modo allertare su eventuali effetti collaterali che portino poi a considerare dei cambiamenti di indicazioni al vaccino”, ha detto a Rainews24 il coordinatore del Cts Franco Locatelli. Che ha ricordato come il vaccino Vaxzevria sia già “preferenzialmente raccomandato per i soggetti sopra i 60 anni di età, perché il rapporto tra i benefici derivanti dalla vaccinazione ed eventuali rischi diventa incrementale con l’età e particolarmente favorevole sopra questa soglia – ha aggiunto Locatelli – Quello che si è verificato nella sfortunata ragazza di Genova, cui va tutta la mia attenzione e affetto pone un’ulteriore riflessione, anche alla luce del mutato contesto epidemiologico in quanto la riduzione dei casi che abbiamo nel Paese rende anche più cogente tale riflessione”. Ad allarmare, infatti, come nei giorni scorsi, è stato un caso di trombosi che ha colpito una ragazza di 18 anni a Genova che aveva ricevuto il vaccino a un open day lo scorso 25 maggio. La ragazza, originaria di Sestri Levanti, è ancora grave ma stabile. Un’altra donna, di 34 anni, è stata ricoverata all’Ospedale San Martino del capoluogo ligure dopo aver ricevuto lo scorso 27 maggio la prima dose di AstraZeneca. L’ipotesi più accreditata è di non somministrare agli under 50, perché la quasi totalità dei casi di trombosi con carenza di piastrine, anche mortali, hanno colpito soprattutto donne e in particolare le donne. Il viceministro alla Salute Pierpaolo Sileri sostiene l’introduzione di un limite sotto i 30-40 anni: “Non farei una revisione oltre queste età perché il rapporto rischi-benefici è ancora a favore del secondo anche in una fase di bassa circolazione del virus”. Il Corriere della Sera scrive che non è escluso si possa scendere anche ai 30 o 40 anni. Al momento il vaccino non è raccomandato al di sotto dei 60 anni. Ma in tanti sotto il 60 anni lo hanno già ricevuto e molti aspettano la seconda somministrazione. Che cosa si deciderà per loro? Un passaggio ai vaccini a mRna Pfizer o Moderna? Sotto accusa, in particolare in queste ore, gli Open Day, tanto che le Regioni stanno procedendo in ordine sparso. Per esempio, in Campania, l’Asl di Napoli ha revocato l’Open Day previsto per stasera mentre nel Lazio sono aperte le prenotazioni per un altro appuntamento fino a domenica. La Sardegna ha chiuso agli under 60 mentre Veneto e Friuli Venezia Giulia rivendicano non aver mai intrapreso la strada degli Astra-Day. Giuseppe Remuzzi, direttore scientifico dell’istituto Mario Negri, ha invece citato l’incidenza degli eventi di trombosi pubblicati sulla rivista specializzata Science, riferiti al Regno Unito: tra 20 e 29 anni il rischio era di 1,1 ogni 100mila, il rischio di avere una forma grave di Covid oscilla tra 0,8 e 6,9: “Ecco perché l’agenzia europea dei farmaci ha scelto di non sconsigliare le somministrazioni per genere o fasce d’età. Negli hub non lo proporrei a donne sotto i 40 anni”, ha osservato. A far ri-esplodere il caso era stato tuttavia un appello dell’associazione “Luca Coscioni per la libertà della scienza” che ha sollevato di nuovo il problema chiedendo di fermare gli Open Day.

Antonio Lamorte. Giornalista professionista. Ha frequentato studiato e si è laureato in lingue. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Ha collaborato con l’agenzia di stampa AdnKronos. Ha scritto di sport, cultura, spettacoli.

Pa. Ru. per "La Stampa" il 10 giugno 2021. Dietrofront sul vaccino AstraZeneca ai più giovani. Oggi gli esperti del Cts emetteranno la sentenza dopo aver consultato già da ieri una valanga di dati e pubblicazioni scientifiche in materia. E come al solito alla fine non ci sarà nessun diktat ma solo una «rafforzata raccomandazione» a non utilizzare il farmaco di Oxford per ragazzi e adolescenti. Non perché sia più pericoloso di quel che si pensasse. Il rapporto sulla farmacovigilanza che l'Aifa dovrebbe pubblicare oggi parla infatti di un evento trombotico dovuto a quei rarissimi episodi di aggregazione piastrinica ogni 100 mila somministrazioni. Tanto per capirci, la autorità regolatorie classificano un evento avverso come «molto raro» quando questo si verifica ogni 10 mila somministrazioni di un farmaco. Ma ora il quadro complessivo è cambiato, perché in Italia il virus circola molto meno e il rischio di finire in ospedale, o peggio di morire, si è molto ridotto, soprattutto tra i giovani. E che sia così lo mostrano le tabelle che l'Ema pubblica sul suo sito e che probabilmente gli esperti del Cts allegheranno al verbale, nelle quali si evidenzia che con meno di 50 contagi settimanali ogni 100 mila abitanti il rapporto tra benefici e rischi con AstraZeneca non è più favorevole sotto i 40 anni. Del resto i britannici, che non si sono fatti scrupolo a usare il loro vaccino su quasi tutta la popolazione con una sola dose per fermare l'ecatombe che era arrivata far contare 1.700 morti in un giorno, ora hanno alzato l'asticella da 30 a 40 anni, stabilendo che sotto quella soglia non va somministrato. La pratica ieri l'ha affrontata anche l'Aifa, recapitando al Cts un parere che non fa sconti, ribadendo che sotto i 60 anni l'antidoto anglo-svedese è meglio non somministrarlo. Gli esperti del comitato difficilmente si spingeranno a indicare una soglia di età precisa, ma faranno magari parlare studi scientifici e tabelle dell'Ema, che il limite dei 40 anni lo indicano per le donne, visto che il rischio per gli uomini si riduce e di molto. Franco Locatelli, coordinatore del Cts, ha del resto già un po' anticipato la stretta, affermando che in queste ore c'è un'attenzione suprema per cogliere tutti i segnali che possono in qualche modo allertare su eventuali effetti collaterali, che portino poi a considerare dei cambiamenti di indicazioni del vaccino». Che, ricordiamolo, oggi in Italia è «raccomandato» per gli over 60, anche se molte regioni negli ultimi giorni lo stanno offrendo a giovani e giovanissimi con la formula degli Open day. Poi sarà il ministro Speranza a dover trarre le conclusioni, anche se al ministero serpeggia un po' di nervosismo riguardo gli effetti a cascata sugli anziani dello stop di AstraZeneca ai giovani, visto che tra gli over 60 gli scettici sull'utilità di vaccinarsi sono ancora più di tre milioni, quelli che non si sono fatti somministrare nemmeno la prima dose. Ma più ancora che al ministro il pallino passa ora alle Regioni. «Noi in Friuli non abbiamo organizzato Open day per i giovani - precisa Massimiliano Fedriga, presidente della Conferenza delle Regioni - me se arriverà un'indicazione più restrittiva da parte del Cts convocherò gli altri presidenti per trovare una linea di condotta comune». Intanto però sugli Open day per i più giovani targati AstraZeneca sono già in molti ad aver iniziato a invertire la marcia. La Asl 2 di Napoli ha annullato quello previsto per stasera, rivolto a tutti i residenti dai 18 anni in su. La Sardegna ha ribadito che non lo utilizzerà per chi ha meno di 60 anni e la Puglia ha già smesso da un po' di somministrare la prima dose del vaccino di Oxford, anche se ci sono 300 mila richiami da fare. Che secondo gli uomini di Speranza si può fare con lo stesso antidoto, «visto che non si sono verificate reazioni avverse con le seconde dosi quando non ce ne sono state nemmeno con la prima».

Paolo Russo per “la Stampa” l'11 giugno 2021. Con una formulazione più stringente di quella adottata due mesi fa gli esperti del Cts accendono questa volta senza se e senza ma il semaforo rosso al vaccino AstraZeneca per chi ha meno di 60 anni. E lo stesso parere dovrebbe aprire al richiamo di AZ con un vaccino diverso, ossia con Pfizer o Moderna. «Questo perché gli studi più recenti dicono che con la seconda dose a Rna messaggero si ottiene una risposta anticorpale persino più efficace di quella che si ha ripetendo l'infusione con il vaccino a vettore virale», spiega uno degli scienziati del Comitato. Che ieri a lavori praticamente conclusi è tornato a riunirsi nel pomeriggio, quando la tragica morte della 18 enne Camilla Canepa per una trombosi al seno cavernoso verificatasi dopo la somministrazione di Vaxzevria faceva capire che il percorso travagliato di quel vaccino era probabilmente giunto al capolinea. Così gli scienziati hanno ripreso carta e penna per togliere dalla raccomandazione all' uso di AstraZeneca sopra i 60 anni quell'«in via preferenziale» che molte regioni hanno interpretato nelle settimane scorse come un via libera agli Open day aperti a giovani e giovanissimi. Un' operazione che non ha mai convinto i tecnici del ministero di Speranza, dove l'irritazione nei confronti del Cts si tocca con mano, perché non è andato giù «l'atteggiamento ondivago» di chi non avrebbe alzato un dito per fermare gli Open day. Sui quali più di un governatore ha messo la faccia in una corsa a chi vaccina di più che ha portato prima consenso, ora chissà. Tanto che ieri era tutto uno smarcarsi dalle operazioni «AstraZeneca in libera offerta», con Napoli che disdiceva il suo Open day dai 18 anni in su e il lombardo Fontana, così come i colleghi veneti e friulano Zaia e Fedriga a ricordare che nelle loro regioni non si sono mai fatti Vax day rivolti ai giovani. Mentre i ragazzi, dove il vaccino era in offerta senza prenotazione come a Roma, hanno preferito stavolta disertare l'appuntamento. Resta il fatto che, anche per paura di non smaltire AZ, le regioni hanno premuto in questi giorni l'acceleratore proprio sulla somministrazione dei vaccini a vettore virale tra gli under 60, tradendo la raccomandazione sul loro utilizzo, sia pure «in via preferenziale», dai 60 anni in su. I numeri dei quali siamo venuti in possesso sembrano smentire chi dopo aver lanciato il sasso ora ritira la mano. Nelle ultime tre settimane sono state infatti somministrate un milione e 423 mila dosi di AstraZeneca e l'altro vaccino a vettore virale Johnson&Johnson. Ma di queste ben 940 mila sono andati alla fascia da 30 a 60 anni e altre 163 mila a quella dai 18 ai 29 anni, lasciando poco più di 300 mila dosi agli over 60 per i quali invece erano raccomandate. Il verbale con il parere del Cts ieri sera non era ancora approdato al ministero della Salute, per cui le decisioni verranno ufficializzate soltanto oggi, nonostante lo sconcerto che la morte della giovanissima Camilla ha generato tra giovani e meno giovani. Spetterà poi allo stesso dicastero tradurre le indicazioni in una ordinanza, che oltre a sconsigliare con più forza il vaccino sotto i 60 anni e ancor più tra i giovani dovrebbe consentire al milione di vaccinati con AZ in attesa del richiamo di farlo con un vaccino diverso. Proprio ieri l'Aifa ha diffuso il suo quinto rapporto di farmacovigilanza sui vaccini anti-Covid, dove si evidenzia che «il tasso di segnalazione delle trombosi venose intracraniche e in sede atipica in soggetti vaccinati con Vaxzevria è in linea con quanto osservato a livello europeo (1 caso ogni 100.000 prime dosi somministrate, nessun caso dopo seconda dose), prevalentemente in persone con meno di 60 anni». Anche se poi i dati dell'Ema entrano più nel dettaglio, dicendo che i casi salgono a 2, 1 nella fascia 40-49 anni e vanno dall' 1, 8 all' 1, 9 per quelle da 30 a 39 e dei ventenni. Questo senza fare distinzioni tra uomini e donne, dove quei tassi di incidenza vanno moltiplicati almeno per tre. Anche così si resta ampiamente al di sotto del caso ogni 10 mila somministrazioni che fa definire un caso avverso come "molto raro" dalle autorità regolatorie. Ma anche se rarissime quelle trombosi possono ora essere evitate, visto che l'offerta di vaccini è sufficiente a coprire anche le fascia giovanili senza somministrare loro gli antidoti a vettore virale. Proprio mentre ieri sé stata superata l'asticella dei 40 milioni di somministrazioni bisognerà ora vedere che effetto avrà questo ennesimo pasticcio sulla campagna vaccinale. Che intanto i suoi effetti continua a produrli, con l'incidenza dei casi scesa in una settimana da 32 ogni 100 mila abitanti a 25 e ben sei regioni - Emilia, Lombardia, Lazio, Piemonte, Trentino e Puglia- che da lunedì entrano nella fascia bianca del ritorno alla quasi normalità.

Caos AstraZeneca, verso lo stop agli under 60: richiami con Pfizer a 1mln di ragazzi. Elena Del Mastro su Il Riformista il 11 Giugno 2021. La morte di Camilla Canepa riapre il dibattito e la preoccupazione sul vaccino AstraZeneca. È atteso il parere del Cts che dovrà stabilire a quali fasce di età sarà possibile inoculare il vaccino anglo svedese. A cambiare il rapporto tra il rischio di prendere la malattia e il beneficio dato dalla vaccinazione c’è la sensibile riduzione della circolazione del virus. L’ipotesi potrebbe essere quella di rendere più stringente il suggerimento di utilizzare AstraZeneca solo per gli over 60 come da tempo raccomandato ma non imposto. Il vaccino su cui si è basata la campagna di massa inglese, ha avuto nel resto dell’Europa un percorso fitto di repentini cambi di direzione, spesso in totale contrapposizione tra loro: inizialmente somministrato, in Italia, solo agli under 55, poi sospeso, poi ripreso e raccomandato dal ministero della Salute ai soli over 60, pur non vietandone l’impiego nei giovani, non solo negli open day, ma anche per le vaccinazioni "obbligatorie" promosse dalle aziende sanitarie per il personale sanitario. Il Cts starebbe pensando anche a un’altra soluzione, quella di procedere con il richiamo con un altro vaccino per i giovani che hanno ricevuto la prima dose di AstraZeneca.  Ci sono nuovi studi, sottolineati l’altro ieri anche dalla Commissione tecnico scientifica dell’Aifa, dai quali si ricava l’efficacia di una dose “eterologa”, cioè di Pfizer o Moderna anche se successiva a quella di AstraZeneca. E sarebbe proprio questa l’indicazione, auspicata tra gli altri ieri dall’ex direttore di Ema Guido Rasi, che è pronto a dare il Cts. A peggiorare la confusione e i dubbi dei vaccinandi, sono arrivate le blande disposizioni dell’Agenzia europea dei medicinali che, lungi dal fornire indicazioni precise, ha optato per lasciare massima libertà agli Stati membri, con il risultato che ogni Paese ha fatto del vaccino in questione un uso diverso. Ancora una volta incertezza e cattiva comunicazione rischiano di frenare la campagna anti-Covid proprio nel momento in cui, superate le 40 milioni di somministrazioni, corre per debellare il virus. Le Regioni procedono in ordine sparso mentre il ministro della Salute Roberto Speranza ribadisce che “i vaccini sono la vera arma di cui disponiamo per chiudere questa stagione così difficile e tutti quelli approvati da Ema e Aifa sono sicuri ed efficaci”, e il leader della Lega Matteo Salvini soffia sul fuoco e attacca su Twitter: “Vaccini a bimbi e ragazzi ‘sconsigliati’ da Paesi europei, riviste scientifiche e medici. Stop, sulla salute dei nostri figli non si scherza”. Secondo l’Agenzia italiana del farmaco, i primi cinque mesi di campagna anti-Covid hanno fatto registrare 21 reazioni gravi ogni 100mila dosi somministrate. Tra il 27 dicembre 2020 e il 26 maggio 2021 sono pervenute 66.258 segnalazioni su un totale di 32.429.611 dosi (tasso di segnalazione di 204 ogni 100.000 dosi), di cui circa il 90% “sono riferite a eventi non gravi, come dolore in sede di iniezione, febbre, astenia/stanchezza, dolori muscolari”. Per quanto riguarda AstraZeneca “il tasso di segnalazione delle trombosi venose intracraniche e in sede atipica – si legge nel rapporto di farmacovigilanza – è in linea con quanto osservato a livello europeo (1 caso ogni 100.000 prime dosi somministrate, nessun caso dopo seconda dose), prevalentemente in persone con meno di 60 anni”. (Fonte:LaPresse)

Elena Del Mastro. Laureata in Filosofia, classe 1990, è appassionata di politica e tecnologia. È innamorata di Napoli di cui cerca di raccontare le mille sfaccettature, raccontando le storie delle persone, cercando di rimanere distante dagli stereotipi.

Non viene nessun coccolone". Seconda dose AstraZeneca agli under 60, le rassicurazioni e i dati dell’Aifa: “Nessun caso dopo richiamo”. Giovanni Pisano su Il Riformista il 10 Giugno 2021. Gli under 60 che hanno ricevuto la prima dose del vaccino AstraZenca possono fare anche il richiamo, sempre con il siero dell’azienda anglo-svedese, nonostante il caos degli ultimi giorni sui casi di trombosi accertati su due donne e le raccomandazioni di somministrarlo agli over 60? In attesa dell’ennesimo pronunciamento sulla questione del Comitato Tecnico Scientifico, arrivano le rassicurazioni del ministro della Salute Roberto Speranza durante il Question time al Senato rispondendo all’interrogazione sulla realizzazione dei recenti Open-day che hanno riservato il vaccino AstraZeneca a soggetti giovani. “L’Ema ha raccomandato che l’uso di AstraZeneca durante le campagna di vaccinazione a livello nazionale tenesse conto della situazione pandemica e della disponibilità dei vaccini nelle singole nazioni. Il 7 aprile 2021 il ministero della Salute, mediante una circolare oggi vigente, ha raccomandato un uso preferenziale di questo vaccino nelle persone di età superiore a 60 anni sulla base delle attuali evidenze e tenuto conto del basso rischio di reazioni avverse di tipo tromboembolico a fronte dell’elevata mortalità di Covid-19 nelle fasce di età più avanzate. A fine aprile – ricorda – l’Ema ha concluso una ulteriore valutazione analizzando i benefici e rischi del vaccino nelle diverse fasce di età e in diversi scenari epidemiologici. L’esito ha dimostrato che i benefici della vaccinazione aumentano con l’aumento dell’età e del livello di circolazione del virus. Tali dati sono stati valutati dall’Aifa ed è stato ribadito che il profilo beneficio-rischio risulta progressivamente più favorevole all’aumentare dell’età. L’effetto è tanto più marcato in una condizione di diminuita incidenza dell’infezione. L’Italia nelle ultime settimane è passata ora a un livello di circolazione basso. Queste valutazioni saranno sicuramente considerate nel prossimo parere del Cts”. Il tasso di segnalazione delle trombosi venose intracraniche e in sede atipica in soggetti vaccinati con il vaccino anti-Covid Vaxzevria di AstraZeneca “è in linea con quanto osservato a livello europeo”. Si tratta di “1 caso ogni 100.000 prime dosi somministrate” e “nessun caso dopo la seconda dose” nel periodo compreso tra il 27 dicembre 2020 e il 26 maggio 2021 per i quattro vaccini utilizzati (Pfizer, Moderna, AstraZeneca e Johnson & johnson). E’ quanto emerge dal quinto Rapporto di farmacovigilanza sui vaccini Covid-19, pubblicato dall’Agenzia italiana del farmaco AIFA. Questi eventi avversi rari sono stati segnalati “prevalentemente in persone con meno di 60 anni”, viene confermato nel report. Nello stesso periodo in questione sono pervenute 66.258 segnalazioni di reazioni avverse su un totale di 32.429.611 dosi somministrate (tasso di segnalazione di 204 ogni 100mila dosi), di cui circa il 90% sono riferite a eventi non gravi come dolore in sede di iniezione, febbre, astenia/stanchezza, dolori muscolari. E’ quanto emerge dal quarto Rapporto di farmacovigilanza sui vaccini Covid-19 pubblicato dall’Agenzia italiana del farmaco AIFA, relativo alle segnalazioni di sospetta reazione avversa registrate nella Rete nazionale di farmacovigilanza. Le reazioni segnalate – si legge nel report – insorgono prevalentemente lo stesso giorno della vaccinazione o il giorno successivo (83% dei casi). Le segnalazioni gravi corrispondono al 10,4% del totale, con un tasso di 21 eventi gravi ogni 100mila dosi somministrate, indipendentemente dal tipo di vaccino, dalla dose (prima o seconda) e dal possibile ruolo causale della vaccinazione. La maggior parte delle segnalazioni sono relative al vaccino Comirnaty della BioNTech-Pfizer h(71,8%), finora il più utilizzato nella campagna vaccinale (68,7% delle dosi somministrate) e solo in minor misura al vaccino Vaxzevria* di AstraZeneca (24% delle segnalazioni e 20,8% delle dosi somministrate), al vaccino di Moderna (3,9% delle segnalazioni e 9% delle dosi somministrare) e al vaccino Janssen-gruppo J&J (0,3% delle segnalazioni e 1,5% delle dosi somministrate). Per tutti i vaccini – si precisa nel rapporto AIFA – gli eventi avversi più segnalati sono febbre, stanchezza, cefalea, dolori muscolari/articolari, dolore in sede di iniezione, brividi e nausea. Gli eventi avversi gravi correlabili alla vaccinazione più spesso segnalati configurano un quadro di sindrome simil-influenzale con sintomatologia intensa, più frequente dopo la seconda dose dei vaccini a mRna e dopo la prima dose di Vaxzevria. Secondo Massimo Galli, infettivologo dell’ospedale Sacco di Milano, chi ha ricevuto la prima dose può sottoporsi anche alla seconda anche se under 60. “Le manifestazioni negative sono in un periodo ristretto dopo la prima dose. Chi l’ha già fatta può andare avanti in maniera serena. Non state lì ad aspettare il coccolone, non vi viene – ha rassicurato Galli ai microfoni di Agorà Rai – le manifestazioni molto rare intervengono dopo la prima dose, entro un numero di giorni limitato, al massimo due settimane”. Galli ritorna sui casi di trombosi che negli ultimi giorni hanno interessato due donne a Genova. La prima, una ragazza di 18 anni a Genova che aveva ricevuto il vaccino a un open day lo scorso 25 maggio, è ancora grave ma stabile. Un’altra donna, di 34 anni, è stata ricoverata all’Ospedale San Martino del capoluogo ligure dopo aver ricevuto lo scorso 27 maggio la prima dose di AstraZeneca.  Il lotto in questione (ABX1506) è stato sospeso fino a nuova comunicazione. “Ogni volta che emerge un nuovo caso di trombosi – sottolinea – si viene a creare “un continuo allarme, molta ansia e certamente non migliora la qualità di vita di coloro che si vaccinano. Io credo sia giunto il momento di porre questo problema sul tavolo e ci sia una presa di posizione chiara e definitiva”, ha concluso Galli. Il Governatore campano Vincenzo De Luca ha annullato gli Open Day annunciando che il vaccino anglo-svedese verrà somministrato solo agli over 60 e a chi deve completare la seconda dose.  Anche Sardegna e Sicilia hanno chiuso agli under 60 mentre Veneto e Friuli Venezia Giulia rivendicano non aver mai intrapreso la strada degli Astra-Day.

Giovanni Pisano. Napoletano doc (ma con origini australiane e sannnite), sono un aspirante giornalista: mi occupo principalmente di cronaca, sport e salute.

La verità su AstraZeneca: nei giovani più rischi che benefici. Giuseppe De Lorenzo l'11 Giugno 2021 su Il Giornale. La tabella dell'Ema: con bassa circolazione virale, AstraZeneca presenta più rischi trombosi che benefici nella lotta al virus. Il caso degli under 29. "AstraZeneca è un vaccino sicuro". Lo ripetono allo sfinimento scienziati, agenzie del farmaco, esperti. Eppure. Eppure se uno va a rileggersi la storia recente di questo farmaco e le tabelle dell’Ema sui rischi/benefici, un paio di dubbi non può non farseli venire. Dubbi magari eccessivi, in fondo milioni di persone nel mondo hanno ricevuto il siero di Oxford, ma in parte giustificati dai dati. In principio fu il balletto di raccomandazioni. In pochi mesi il vaccino è stato autorizzato prima solo sotto i 55 anni poi fino a 65, infine aperto a tutti, sospeso momentaneamente e di nuovo riaperto a chiunque ma "raccomandato" solo sopra i 60. Insomma: un gran casino. Confusione cui va aggiunto l'incubo "trombosi", diventato ormai la spada di Damocle su chiunque si trovi di fronte ad una fiala di AstraZeneca. Ma chi rischia cosa? A metà aprile l’Ema, l’Agenzia europea del farmaco, ha pubblicato uno studio confrontando i rischi di trombosi ai benefici anti-virus del siero. In sostanza: un calcolo sulla probabilità che gli individui hanno, una volta ricevuto il vaccino, di evitare di contrarre il Sars-CoV-2, finire in terapia intensiva, morire di Covid rispetto a incappare in coaguli del sangue. Le tabelle prendono in considerazione sette fasce di età e in tre scenari di circolazione del virus: una diffusione “alta” con 886 casi ogni 100mila abitanti (come a gennaio 2021 in Ue), una “media” con 401 casi (come a marzo 2021) e una “bassa” con 55 casi ogni 100mila persone (settembre 2020). Il dato che emerge più chiaramente è risaputo: il beneficio del vaccino diminuisce al diminuire dell’età mentre il rischio di trombosi è decisamente più alto tra i giovani. Semplice. L’Ema ha poi calcolato i rischi/benefici dividendoli in relazione ai casi di ospedalizzazione, ricovero in terapia intensiva e morte. Un’analisi statistica che permette di rispondere alla domanda del giorno: ai giovani conviene farsi vaccinare, oppure corrono meno pericoli a rimanere senza immunizzazione? Per capirlo occorre focalizzare l’attenzione sulla tabella dei ricoveri in terapia intensiva. La trombosi, infatti, è un evento grave che però in molti casi è possibile curare: non è insomma una condanna a morte, ma finire intubato non è neppure esperienza gratificante. Ipotizziamo ora di essere in una fase di alta circolazione del virus (tabella 1): nella fascia di età 20-29 anni, il vaccino previene il ricovero in TI in 6 casi ogni 100mila persone mentre il rischio di sviluppare la trombosi risulta 1.9. Via via che si sale con l’età, il dato si fa sempre più favorevole alla vaccinazione. Discorso simile, sebbene meno marcato, in caso di “media” circolazione del virus (tabella 2), dove agli under 30 converrebbe comunque farsi inoculare il siero. Altro discorso, invece, in caso di “bassa” circolazione virale (tabella 3). Cioè nella situazione attuale in cui si trova l’Italia, che vanta un'incidenza settimanale di circa 25 casi. Se il virus non corre, per la fascia 20-29 il rischio di sviluppare una forma grave di Covid è bassissimo. E infatti i casi di ricoveri in TI impediti grazie al vaccino sono pari a zero. Zero spaccato. E lo stesso dicasi per i 30-39 anni. Per queste due categorie, il pericolo di incorrere in una trombosi è invece più elevato: rispettivamente 1,9 e 1,8 ogni 100mila iniezioni. Il rapporto sfavorevole al vaccino aumenta con l’età fino ai 40-49enni, dove a ogni ricovero evitato corrispondono 2.1 casi di trombosi. Per i 50enni il rischio è praticamente pari, mentre scavallati i 60 si inizia a scendere e i benefici del vaccino si fanno sempre più importanti.

Rischi/benefici: decessi. Se vogliamo osservare anche il dato sui decessi, il ragionamento non cambia di molto. Anzi. Forse si fanno solo più marcati i dubbi sui rischi che ci si assume a vaccinare con AstraZeneca i ragazzini. Sotto i 29 anni, sia in caso di alta, media o bassa circolazione virale, per i giovani i casi di morti prevenute grazie al vaccino è pari a zero. Zero. Il pericolo di prendersi una trombosi invece 1.9. Tradotto nel caso odierno: Camilla presentandosi all’AstraDay ha corso un maggiore rischio (di morire o finire in rianimazione) che ipotetici benefici. “Gli eventi trombotici post vaccino sono rarissimi - diceva l’immunologa Viola - ma anche un solo episodio è una tragedia”. Perché allora tirare dritto con i vax day se “sapevamo che il rischio nelle donne giovani supera i benefici”? Occorre fare due precisazioni. Primo: alcuni scienziati ritengono che se non si vaccinano i ragazzi non si riuscirà mai a spezzare la catena del virus, che dunque il prossimo autunno potrebbe ripresentarsi, magari con altre varianti. Ovviamente non c’è nessun motivo per farlo con AstraZeneca, ma si potrebbero usare sieri a mRna che sembrano presentare meno controindicazioni nei giovani. Ed è la strada che si appresta a seguire il governo. Secondo: questo rapporto rischio/benefici a svantaggio del vaccino negli under 50 si è manifestato solo ora che la circolazione virale risulta bassa. Quando il virus corre, i rapporti cambiano e come visto anche per gli under 50 è più alto il pericolo di finire in terapia intensiva che quello di sviluppare eventi avversi rari. I benefici sono cioè maggiori dei rischi. Con un’unica postilla: a 18 anni, quale che sia la velocità di diffusione di Sars-CoV-2, è più facile fargli beccare una trombosi che salvare un giovane dal decesso per Covid.

Giuseppe De Lorenzo. Sono nato a Perugia il 12 gennaio 1992. Stavo per intraprendere la carriera militare, poi ho scelto di raccontare quello che succede in Italia e nel mondo. Rifuggo l'ipocrisia di chi sostiene di possedere la verità assoluta: riporto la realtà che osservo con i miei occhi. Collaboro con ilGiornale.it dal 2015. Nel 2017 ho pubblicato Arcipelago Ong (La Vela), un'inchiesta sulle navi umanitarie...

Da corriere.it l'11 giugno 2021. Un lotto del principio attivo del vaccino anti-Covid di Janssen (Johnson & Johnson) «è stato contaminato con materiali destinati a un altro vaccino prodotto presso lo stesso sito. La contaminazione è avvenuta in un sito di produzione del principio attivo nello stabilimento di Baltimora nel Maryland (Stati Uniti), di proprietà di Emergent Biosolutions. Il lotto in questione non era destinato al mercato dell’Ue». Lo comunica l’Agenzia europea del farmaco Ema. Il lotto è da 60 milioni di dosi. «Sulla base delle informazioni disponibili i lotti di vaccino rilasciati nell’Ue non sono interessati dalla contaminazione crociata. Tuttavia, come precauzione e per salvaguardare la qualità dei vaccini - aggiunge l’ente regolatorio Ue - le autorità di vigilanza hanno raccomandato di non rilasciare lotti di vaccino contenenti il principio attivo prodotto all’incirca nello stesso momento in cui si è verificata la contaminazione. Le autorità europee stanno facendo tutto il possibile per salvaguardare l’approvvigionamento e limitare gli effetti di eventuali ritardi nella consegna del vaccino», assicura l’Ema. Belgio e Olanda li hanno già bloccati. Non è la prima volta che c’è una contaminazione: fino a 15 milioni di dosi di vaccino Johnson & Johnson sono state rese inutilizzabili da un errore umano nello stesso stabilimento di Baltimora due mesi fa.

Dagotraduzione dal DailyMail l'11 giugno 2021. I dirigenti sanitari dei Centri per il controllo delle malattie statunitensi (CDC) hanno convocato una riunione urgente per il 18 giugno sugli effetti dei vaccini Pfizer e Moderna sugli adolescenti: 226 ragazzi o giovani uomini si sono infatti ammalati di miocardite o pericardite, un numero troppo alto secondo gli scienziati americani, mentre nel Regno Unito non ritengono ci siano numeri preoccupanti. La miocardite è un’infiammazione del cuore, mentre la pericardite è un’infiammazione del rivestimento esterno del cuore. I 226 ragazzi si sono ammalati dopo aver ricevuto la seconda dose di vaccino: 3 sono in terapia intensiva, 15 sono ricoverati, 41 hanno sintomi in corso mentre 167 sono guariti. Non è chiaro se entrambe le infiammazioni sono legate al vaccino, e le segnalazioni restano comunque molto rare. L'agenzia di regolamentazione dei medicinali e dei prodotti sanitari (MHRA) britannica ha detto che sta «monitorando attentamente le segnalazioni di miocardite e pericardite ricevute con i vaccini Covid-19». Ha affermato di aver registrato meno di 40 casi di miocardite dopo le dosi Pfizer - un numero simile a quelli registrati con AstraZeneca - e solo due dopo Moderna, con numeri «simili o inferiori ai livelli di fondo previsti». Il Regno Unito attualmente non ha in programma di espandere il vaccino ai minori di 18 anni e nessuno ha ancora ricevuto una prima dose di vaccino, il che significa che il problema è meno diffuso. L'età media delle persone che soffrono di questa condizione negli Stati Uniti è di 24 anni – una fascia d’età che nel Regno Unito deve ancora essere immunizzata. L'MHRA ha ricevuto 34 segnalazioni di miocardite e 26 segnalazioni di pericardite a seguito dell'uso del vaccino Pfizer. Numeri simili sono stati registrati dopo AstraZeneca - 31 di miocardite e 51 di pericardite - e solo due dopo Moderna, di cui però nel Regno Unito sono state distribuite poche dosi. Il regolatore ha affermato: «Il numero di segnalazioni di miocardite e pericardite segnalate con i vaccini nel Regno Unito rimane simile o inferiore al tasso previsto in diversi gruppi di età all'interno della popolazione generale e attualmente non indica un aumento del rischio a seguito della vaccinazione contro Covid-19».

«Continueremo a monitorare da vicino questi eventi riportati nel Regno Unito e a livello internazionale». Questo tipo di infiammazione del cuore può essere causata da una varietà di infezioni, tra cui il Covid, ma anche da alcuni farmaci. Ci sono state rare segnalazioni in seguito ad altri tipi di vaccinazioni in passato. Più di 130 milioni di americani hanno ricevuto sia la prima che la seconda dose dei vaccini Pfizer e Moderna. Ciò significa che solo lo 0,000173846% delle persone a cui è stata somministrata la seconda dose ha riportato un tale effetto. I casi vengono segnalati tramite il Vaccine Adverse Event Reporting System (VAERS) statunitense. Il sistema accetta segnalazioni da tutti indipendentemente dalla plausibilità del vaccino che causa il sintomo. In totale, VAERS ha ricevuto 573 segnalazioni di miocardite e pericardite dopo che il paziente aveva ricevuto la seconda dose. Un totale di 372 segnalazioni provenivano da persone che avevano avuto il vaccino Pfizer, mentre ai restanti 201 era stato somministrato Moderna. Sono stati segnalati anche altri 216 casi di infiammazione cardiaca dopo la somministrazione di uno dei vaccini. Più della metà dei casi sono stati segnalati dopo che le persone avevano ricevuto la loro seconda dose, con un’età compresa tra 12 e 24 anni. Questo gruppo rappresenta meno del 9% delle dosi somministrate. Quasi due quinti dei casi erano maschi. I sintomi, tra cui dolore al torace e difficoltà di respirazione, sono apparsi entro una settimana dalla seconda dose.

"Niente Pfizer": perché in Germania non lo danno ai minorenni. Francesca Galici l'11 Giugno 2021 su Il Giornale. La Germania ha deciso di sconsigliare la somministrazione di Pfizer nei 12-17enni sani; Antonella Viola rassicura sulla sua sicurezza. Mentre in Italia si discute nuovamente sui limiti di età del vaccino AstraZeneca, la Germania ha deciso di sconsigliare l'uso del vaccino Pfizer "nei bambini e negli adolescenti di età compresa tra 12 e 17 anni senza malattie pregresse". Un brusco stop alla vaccinazione dei giovanissimi per il Paese teutonico, visto che al momento quello Pfizer è l'unico approvato dall'Ema per i soggetti con meno di 16 anni. Come nel nostro Paese, il suo utilizzo non è vietato ma il Comitato permanente per la vaccinazione (Stiko) del Robert Koch Institute non ne raccomanda la somministrazione nei soggetti più giovani. La spiegazione di tale decisione è contenuta in un fascicolo di 30 pagine, che verrà accompagnato anche da un docmento informativo redatto come faq per i genitori e i pediatri, in modo tale da fornire tutte le indicazioni necessarie per la valutazione di ogni singolo caso. La decisione del Stiko si basa sui dati attualmente disponibili, spiegando che negli individui sani l'utilizzo del vaccino Pfizer non è al momento raccomandato "ma è possibile dopo un consiglio medico e con volontà individuale e relativa l’accettazione del rischio". In Germania si è deciso di raccomandare la vaccinazione dei giovanissimi solamente nei soggetti con patologie o situazioni che possono contribuire a sviluppare la malattia in forma grave. Tra queste ricadono, per esempio, l'obesità, i difetti cardiaci e il diabete. Ma non solo, perché lo Stiko ha previsto che a ricevere il vaccino possano essere anche i giovani tra i 12 e i 17 anni sani che, però, "sono vicini a parenti o altre persone ad alto rischio per un grave decorso da Covid e che non possono essere vaccinati". I dubbi del Robert Koch Institute nascono dalla scarsità di dati attualmente a disposizione dell'Ema per autorizzare la somministrazione dei vaccini nei giovanissimi. "Il numero di bambini e adolescenti vaccinati nello studio di approvazione controllato era piccolo (circa 1.000), e dall’altro il tempo medio di follow-up (1-2 mesi) era breve", hanno spiegato gli esperti tedeschi che sono giunti a questa decisione. Ma ci sono anche altri dati che hanno spinto lo Stiko a chiedere un passo indietro, in particolare per le "indicazioni dell’insorgenza di miocardite, che è stata osservata sporadicamente in giovani uomini dopo la vaccinazione con Comirnaty in alcuni Paesi". La prudenza della Germania è stata commentata da Antonella Viola al Corriere della Sera: "I numeri sono troppo bassi per vedere effetti che si manifestano con un’incidenza di 1/100, questo è vero, ma ci si è basati anche sul fatto che questi vaccini nei ragazzi dai 16 in su sono stati già utilizzati negli Stati Uniti e in Israele e non ci sono stati problemi di salute. Una volta che il vaccino è considerato sicuro negli adulti su larghi numeri, a quel punto negli adolescenti si possono usare per gli studi di efficacia e sicurezza numeri più piccoli". L'immunologa, quindi, pur considerando "condivisibile" l'atteggiamento tedesco, sottolinea "che il vaccino Pfizer per il momento è sicuro". La sua valutazione si basa sull'assenza casi che hanno dato adito ad allarmi per il suo utilizzo, come accaduto con AstraZeneca. "Ci sono stati pochissimi casi di miocarditi che riguardano soprattutto giovani maschi, ma le miocarditi sono state curate con cortisone e si sono risolte dopo due giorni di ospedale", ha detto ancora Antonella Viola. La sperimentazione del vaccino Pfizer sui giovanissimi è in corso da maggio in Israele e al momento non sono segnalate criticità.

Francesca Galici. Giornalista per lavoro e per passione. Sono una sarda trapiantata in Lombardia. Amo il silenzio.

Il caso AstraZeneca e la fiducia cieca in una scienza che non è esatta. La scienza ha compiuto un miracolo, ma è stato un miracolo troppo veloce. La scienza ha bisogno di dati e statistiche – ma gli uni e le altre significano tempo. E noi tempo non ne avevamo. Lanfranco Caminiti su Il Dubbio il 12 giugno 2021. Camilla Canepa, diciott’anni, aveva ricevuto il vaccino il 25 maggio nel corso di un Open Day a Genova. Il 3 giugno era andata una prima volta in pronto soccorso con cefalea e fotofobia: era stata sottoposta a Tac e esame neurologico, entrambi negativi, ed era stata dimessa con raccomandazione di ripetere gli esami del sangue dopo 15 giorni. Il 5 giugno, però, è tornata in pronto soccorso con deficit motori. Sottoposta a Tac cerebrale “con esito emorragico” era stata trasferita nel reparto di Neurochirurgia. Il 6 giugno Camilla era stata operata dapprima per la rimozione del trombo e poi per ridurre la pressione intracranica. Nei giorni successivi la situazione in rianimazione era però rimasta tragicamente stabile. Ieri è morta. Alle 19.18 le agenzie di stampa battevano la notizia della morte di Camilla. Alle 20.21, sempre sulle agenzie, giungeva la notizia della circolare dell’Assessorato regionale alla Salute della Regione siciliana con cui si disponeva l’immediata sospensione in via cautelativa del vaccino Astrazeneca per i pazienti sotto i 60 anni. Le Regioni che avevano puntato su Astrazeneca per organizzare gli open day aperti ai giovani vanno nel caos: un previsto open day con AZ viene revocato a Napoli; sospensione “precauzionale” anche in Umbria; l’Usl della Valle d’Aosta decide allo stesso modo; anche il Lazio sospende l’open week agli over 18 con AZ; in Emilia-Romagna gli Open Day già programmati si faranno solo con la somministrazione di Pfizer e Moderna. Il ministro della Salute Roberto Speranza, rispondendo al question time al Senato, ricordava come oltre due mesi fa, lo scorso 7 aprile il ministero, con una circolare, avesse «già raccomandato l’uso preferenziale del vaccino AZ agli over-60 e Aifa (l’Agenzia del farmaco) ha ribadito che il profilo beneficio-rischio è più favorevole all’aumento dell’età». Il presidente della Liguria Giovanni Toti dichiara: «La possibilità di utilizzare AstraZeneca per tutti su base volontaria non è un’invenzione delle Regioni o di qualche dottor Stranamore; è suggerimento che arriva dai massimi organi tecnico-scientifici per aumentare le vaccinazioni, e quindi evitare più morti». E pubblica sulla pagina istituzionale Facebook la lettera inviata il 12 maggio dal Comitato tecnico-scientifico alle Regioni: «Il Cts non rileva motivi ostativi a che vengano organizzate dalle differenti realtà regionali iniziative, quali i vaccination day, mirate a offrire, in seguito ad adesione/richiesta volontaria, i vaccini a vettore adenovirale a tutti i soggetti di età superiore ai 18 anni». Oggi sappiamo che Camilla soffriva di piastrinopenia autoimmune familiare e assumeva una doppia terapia ormonale. Ma l’8 giugno a Genova era emerso il caso di un’altra giovane, una donna di 34 anni di Alassio vaccinata lo scorso 27 maggio con la prima dose di AstraZeneca e ricoverata presso l’Ospedale Policlinico San Martino di Genova con un livello basso di piastrine nel sangue: si era recata all’ospedale per il forte mal di testa. E il 4 aprile scorso era morta, sempre a Genova, una giovane insegnante genovese di 32 anni, che era stata vaccinata con AstraZeneca il 22 marzo nel corso della campagna vaccinale per i docenti e l’autopsia aveva confermato un quadro “trombotico ed emorragico cerebrale” come causa del decesso. In Liguria, viene sospeso in via cautelativa il lotto ABX1506 di AstraZeneca. Il Comitato tecnico-scientifico opta per una raccomandazione «rafforzata» di utilizzare il vaccino di Astrazeneca per i soggetti con più di 60 anni. Gli esperti pensano a una riorganizzazione complessiva della campagna vaccinale, quindi anche della somministrazione delle diverse tipologie di vaccino a seconda delle età, alla luce del mutato quadro epidemiologico. Improvvisamente, siamo gettati di nuovo nello smarrimento, e ritorna la diffidenza. L’accelerazione che si era imposta nella vaccinazione di massa che “saltava” ormai la progressione dell’età (a Torino, un Open night hub con tanto di dj set e mille giovani in fila tra musica disco e fiale di vaccino) improvvisamente si blocca. Dobbiamo tornare a ripensare tutto. La scienza ha compiuto un miracolo, ma è stato un miracolo troppo veloce. La ricerca ha bisogno di tempo, ha bisogno di sperimentazione, ha bisogno di ripetere più e più volte nelle stesse condizioni un esperimento e verificare che i risultati siano sempre i medesimi, ha bisogno di cogliere gli effetti collaterali, provare a ridurli, e solo allora può fare un calcolo rischi-benefici. La scienza ha bisogno di dati e statistiche – ma gli uni e le altre significano tempo. E noi tempo non ne avevamo. Noi avevamo capito presto quello che sapevamo da sempre: nell’irrompere del contagio, l’unica cosa che può fermarlo è il confinamento. Chiudere tutto. Era successo nella Grande peste, nelle ricorrenti infezioni da colera, nella Spagnola: sprangare, limitare ogni movimento. Se non c’è mobilità, se non c’è socialità, i focolai rimangono isolati e il contagio non si diffonde. Dal Medio evo a oggi – questa era l’unica consapevolezza “scientifica”. Una misura politica cioè. Qualcosa che rispondeva istintivamente al nostro terrore. Sapevamo però pure che sarebbe stato impossibile “chiudere il mondo” per un tempo indefinito e l’unica risposta scientifica che avevamo era il vaccino. Il vaccino ci avrebbe permesso di tornare alla normalità, alle fabbriche, agli uffici, agli amici, al ristorante, alla vita quotidiana. Il vaccino avrebbe fatto il miracolo. Così, appena si è scoperto un vaccino ci abbiamo dato dentro – il “modello cinese” che tutti guardavamo con ammirazione, cioè la capacità di “confinare” intere aree geografiche senza che neanche uno spillo ne uscisse, lasciava il posto al “modello inglese” e al “modello israeliano”: quelli sì, che vaccinavano come treni. Progressivamente, anche i più riottosi se ne andavano convincendo, magari con qualche incentivo: negli Stati uniti si festeggiava la prima vincita di un milione di dollari alla “lotteria dei vaccinati”, Vax-a-Million, con un’impennata di vaccinazioni del 94 percento tra i 16 e 17 anni, del 46 percento tra i 18 e 19 anni; in Israele ti davano una pizza gratis se ti facevi vaccinare; sempre negli Stati uniti addirittura si davano spinelli: “Joints for jabs”, la campagna di successo, Ohio, New York, Maryland, Oregon e Colorado. Alla fine, anche le diffidenze più ostili, le diffidenze più ideologiche, sembravano vacillare sotto i colpi degli “incentivi”, dei premi. Tornava l’obbedienza: vuoi andare all’estero, hai prenotato per la Spagna, le Seychelles? Vaccinati. Un’intera ultima classe di un Istituto superiore di Treviso si vaccinava tutta insieme perché aveva deciso di trascorrere tutta insieme le vacanze dopo l’esame di stato a Mykonos. Improvvisamente, la vaccinazione tra i giovani diventa compulsiva. Qualcuno si fa prendere la mano: vacciniamo i bambini dagli otto ai dodici anni, così torneranno a scuola tranquilli. Gli “esperti” ovviamente, si dividono subito, tra chi è largamente favorevole, tra chi è ostinatamente contrario, tra chi cambia idea a seconda del talk-show in cui si presenta e viene consultato. Se ci sono ancora fasce di over 60 e addirittura 0ver 80 che non sono stati raggiunti dalla campagna di vaccinazione – e i numeri dei decessi benché tendano a diminuire sono ancora lì – perché correre a inseguire i più piccoli con la siringa in mano? A tutt’oggi, del vaccino non sappiamo propriamente tutto: “l’elastico” dei giorni di copertura e di attesa tra una dose e l’altra e se un vaccino vale l’altro è una di queste cose. Siamo in piena “rolling review”, una revisione continua – cioè facciamo la valutazione scientifica del funzionamento del vaccino proprio mentre pratichiamo la vaccinazione di massa. Forse non avevamo altra strada. Ma saperlo dovrebbe farci sempre prudenti.

AstraZeneca, il Cts si sveglia. Stop e seconda dose, cosa è stato deciso. Francesca Galici l'11 Giugno 2021 su Il Giornale. Il Cts ha deciso che il vaccino AstraZeneca non dovrà essere somministrato al di sotto dei 60 anni: per le seconde dosi ok a Pfizer. La morte della 18enne di Genova ha imposto necessariamente una riflessione sull'utilizzo dei vaccini a vettore virale. La questione non è nuova ed è stata sollevata già nei mesi scorsi, tanto che Aifa aveva suggerito la somministrazione per i soggetti con più di 60 anni. Sconsigliarne l'utilizzo al di sotto di questa età non equivale a vietarlo e nell'ottica di dare un'accelerata decisa alle vaccinazioni nel Paese sono stati organizzati svariati open day AstraZeneca per i giovani. È emblematico il caso di Bologna, in cui si sono verificati straordinari assembramenti tra i giovani vogliosi di ricevere la loro dose. Ora però cambia tutto e il Cts ha convocato una riunione d'urgenza per fare il punto sulla situazione e decidere sull'eventuale blocco delle somministrazioni AstraZeneca per i più giovani. La riunione è stata convocata per le 13 e a lungo si sono confrontati gli esperti del Comitato tecnico scientifico e per dare un'indicazione chiara e precisa al ministro Speranza, al quale spetta la decisione definitiva. È lui a firmare la circolare finale. L'orientamento del Cts, dopo mesi di tentennamenti, suggerimenti e consigli è di bloccare la somministrazione del vaccino AstraZeneca per chi ha meno di 60anni, compreso ciò che riguarda le seconde dosi. "Dopo prima dose AstraZeneca, altri vaccini per chi ha meno di 60 anni", ha comunicato Franco Locatelli al termine dell'incontro. Roberto Speranza nel suo intervento durante la conferenza stampa ha dichiarato che le raccomandazioni del Cts sul vaccino AstraZeneca "saranno tradotte in maniera stringente". Chi ha già ricevuto la prima dose del vaccino di Oxford e ha meno di 60 anni, quindi, dovrà effettuare il richiamo con un altro vaccino, ossia Pfizer o Moderna, che sono gli unici due non a vettore virale attualmente approvati in Italia. Una decisione che impatta necessariamente con il piano vaccinale di Francesco Paolo Figliuolo, che dovrà ora rimodulare le stime e le previsioni, considerando che i vaccini a mRna disponbili sono in misura inferiore rispetto a quelli AstraZeneca, sui quali l'Italia ai tempi di Domenico Arcuri aveva basato il suo piano vaccinale. Alla conferenza a Palazzo Chigi ha partecipato anche il generale Figliuolo, che ha confermato le parole di Franco Locatelli: "Astrazeneca si utilizzerà solo per i soggetti over 60". Le sollevazioni dei governatori, che si erano affidati alle indicazioni per procedere con gli open day AstraZeneca per i giovani e giovanissimi hanno portato a tre giorni di riunioni da parte del Cts, sollecitato anche da Roberto Speranza ad analizzare ulteriormente la situazione dopo gli ultimi casi avversi. Gli esperti del Cts hanno preso in esame i casi indicati ma anche gli studi tedeschi e sono arrivati alla conclusione che è necessario sospendere la somministrazione di AstraZeneca nei giovani. Ora esta da capire come verrà organizzata la campagna vaccinale delle prossime settimane e quali saranno le nuove tempistiche, considerando la scarsità di dosi Pfizer e Moderna.

Francesca Galici. Giornalista per lavoro e per passione. Sono una sarda trapiantata in Lombardia. Amo il silenzio. 

Caos AstraZeneca, Burioni: «Incredibile il silenzio dell’azienda». Si attende il parere del Cts sulla somministrazione agli under 60, mentre si apre la possibilità della seconda dose con Pfizer. E intanto le Regioni vanno in ordine sparso. Il Dubbio l'11 giugno 2021. «Un’azienda che nel 2019 ha fatto 3,144 miliardi di dollari di utile (AstraZeneca) assiste incredibilmente inerte alla polverizzazione della propria reputazione. Potremmo fregarcene se non fosse un problema per la sanità pubblica. Invece non possiamo permetterlo. La politica deve agire». Il virologo Roberto Burioni interviene così su Twitter «riguardo all’incredibile silenzio di AstraZeneca sulla sicurezza del suo vaccino» Covid-19, osservando che «talvolta le priorità di una immensa multinazionale non coincidono con quelle della sanità pubblica. È compito della politica ripristinare questa necessaria coincidenza con adeguati provvedimenti», esorta il docente dell’università Vita-Salute San Raffaele di Milano. Lo scienziato ribadisce la necessità di aderire alla vaccinazione anti-Covid con fiducia. Commentando in un altro tweet un post del presidente americano Joe Biden – «I vaccini Covid-19 sono gratuiti. Fatevi vaccinare, gente» – Burioni twitta «anche da noi. Salvano la vita, sono sicuri e gratuiti. Vaccinatevi anche se alcuni inetti vi stanno spaventando». «Proprio in queste ore c’è una discussione in corso nel Cts. L’Ema ha raccomandato che l’uso di Astrazeneca durante la campagna di vaccinazione a livello nazionale tenesse conto della situazione pandemica e della disponibilità dei vaccini nelle singole nazioni. Il 7 aprile 2021 il ministero della Salute, mediante una circolare oggi vigente, ha raccomandato un uso preferenziale di questo vaccino nelle persone di età superiore a 60 anni sulla base delle attuali evidenze e tenuto conto del basso rischio di reazioni avverse di tipo tromboembolico a fronte dell’elevata mortalità di Covid-19 nelle fasce di età più avanzate», ha spiegato ieri il ministro della Salute, Roberto Speranza, durante il Question time al Senato rispondendo all’interrogazione sulla realizzazione di Open-day per la somministrazione del vaccino Astrazeneca dedicati ai soggetti giovani. «A fine aprile – ricorda – l’Ema ha concluso una ulteriore valutazione analizzando i benefici e rischi del vaccino nelle diverse fasce di età e in diversi scenari epidemiologici. L’esito ha dimostrato che i benefici della vaccinazione aumentano con l’aumento dell’età e del livello di circolazione del virus. Tali dati sono stati valutati dall’Aifa ed è stato ribadito che il profilo beneficio-rischio risulta progressivamente più favorevole all’aumentare dell’età. L’effetto è tanto più marcato in una condizione di diminuita incidenza dell’infezione. L’Italia nelle ultime settimane è passata ora a un livello di circolazione basso. Queste valutazioni saranno sicuramente considerate nel prossimo parere del Cts». La morte di Camilla Canepa, la 18enne ligure colpita da trombosi dopo la somministrazione di una dose di AstraZeneca il 25 maggio, ha allarmato il Cts che a breve dovrebbe fornire un nuovo parere sull’uso del vaccino anglo svedese per i giovani, attualmente “raccomandato” per gli over 60. Il Comitato tecnico scientifico potrebbe decidere di sconsigliare il farmaco al di sotto dei 50 anni. E mentre i tecnici ragionano sul da farsi, le Regioni ricominciano ad andare in ordine sparso. Come la Liguria che ha deciso di sospendere un lotto di AstraZeneca «fino a nuova indicazione». E se il Lazio decide di proseguire con gli open day del vaccino incriminato, la Campania sceglie di sospenderli momentaneamente, mentre Veneto, Friuli e Sardegna hanno preferito non proporre alcun AstraDay. «Il tasso di segnalazione delle trombosi venose intracraniche e in sede atipica in soggetti vaccinati con Vaxzevria è in linea con quanto osservato a livello europeo (1 caso ogni 100.000 prime dosi somministrate, nessun caso dopo seconda dose), prevalentemente in persone con meno di 60 anni», si legge nel quinto Rapporto di Farmacovigilanza sui Vaccini Covid-19 dell’Aifa. I dati raccolti e analizzati riguardano le segnalazioni di sospetta reazione avversa registrate nella Rete Nazionale di Farmacovigilanza tra il 27 dicembre 2020 e il 26 maggio 2021 per i quattro vaccini in uso nella campagna vaccinale in corso.

Camilla Canepa, Franco Bechis contro i virologi: "Pallonari, ecco cosa dicevano su AstraZeneca". Libero Quotidiano l'11 giugno 2021. Franco Bechis attacca i virologi "pallonari" sulla prima pagina de Il Tempo dopo la morte di Camilla Canepa, la ragazza di 18 anni morta per una trombosi dopo essere stata vaccinata con AstraZeneca. Si rivolge ai vari Crisanti, Galli, Pregliasco, il direttore: "Sono andato a vedere l'archivio delle loro dichiarazioni e senza ricordarvele qui una per una e giorno per giorno posso garantire che hanno espresso la qualunque", scrive Bechis. "Dipendeva dal periodo: cauti quando bisognava esserlo, ottimisti quando bisognava spargere sicurezza magari perché non c'era più dose di quel vaccino e gioco forza bisognava farne un altro. Allora AstraZeneca che quasi si pensava di vietare sotto una certa età diventava all'improvviso sicurissimo, perché le reazioni letali si contavano sulla punta delle dita di una mano e poco più". E pure il gruppo di esperti istituzionali "che aveva la responsabilità se non di prendere almeno di suggerire e quasi imporre al governo decisioni e scelte nette: quel Comitato tecnico scientifico (Cts) guidato dal professore Franco Locatelli", "da loro nulla è arrivato chiaro e netto. Qualche mese fa avevano copiato la scelta dell'Ema (l'agenzia europea del farmaco) che «consigliava» di non fare AstraZeneca al di sotto dei 60 anni. Quando invece è stato fatto nessuno di loro ha aperto bocca vedendo l'autorevole consiglio gettato nel cestino". I nostri scienziati, prosegue Bechis, "sono fatti così: tutti pallonari, specialisti nel lanciare la palla in tribuna. Utili allo show, assai meno alle scelte di salute pubblica. E continuano a farlo: il nostro Cts ieri si è riunito con grande urgenza sull'onda della emozione per Camilla (e con la preoccupazione di altri casi non ancora letali verificatisi in questa corsa al vaccino per tutti), pare dalle prime indiscrezioni sia prontissimo a rilanciarla per l'ennesima volta in tribuna: il consiglio di fare quel vaccino solo sopra i 60 anni sarà rafforzato (così pare a loro) diventando una «raccomandazione rafforzata» per limitarne l'uso al di sotto di quella età". Ma insomma, si chiede Bechis, "possibile che in questo Paese nessuno si assuma responsabilità? Abbiamo affidato la vita di tutti nelle mani degli esperti da più di un anno con l'emergenza sanitaria e non c'è nessuno capace di dire «Sì» o «No» con nettezza, vietando o meno se si ritiene giusto farlo? E magari se poi si vieta trovando una soluzione per centinaia di migliaia di giovani vaccinati così senza nemmeno starci a pensare, che però avranno bisogno di una seconda dose". Conclude il direttore: "Ora il virus sta andando in letargo, come era accaduto anche l'altra estate con le temperature che si alzavano. Il rischio contagio si sta abbassando molto, e il governo ha a disposizione molte dosi di Pfizer e Moderna. Non fosse che per buon senso, si vieti al di sotto dei 60 anni ogni vaccino a vettore virale e si mettano a disposizione quelli a mRna".

Se #AstraZeneca manda in tilt i virologi casinisti. Roberto Vivaldelli l'11 Giugno 2021 su Il Giornale. Mentre si accende il dibattito su AstraZeneca dopo la tragica morte della giovane Camilla Canepa, ricordiamo le contraddittorie dichiarazioni dei virologi superstar sul vaccino anglo-svedese. La tragica morte della giovane Camilla Canepa, 18 anni, deceduta dopo che lo scorso 25 maggio aveva ricevuto la prima dose del vaccino AstraZeneca, ha riacceso il dibattito sui vaccini anti-Covid e in particolare su quello anglo-svedese somministrato alla giovanissima ligure. Anche in questo caso i virologi superstar che ogni giorno pontificano a reti unificate in televisione hanno detto tutto il contrario di tutto. Esempio lampante le dichiarazioni rilasciate all'Adnkronos da Andrea Crisanti, direttore del dipartimento di Microbiologia dell’Università di Padova. "Mi chiedo: come è possibile che sia stata presa l'iniziativa di dare questo vaccino in questa fascia d'età, al di là delle raccomandazioni esistenti? Il Cts era stato informato? Doveva essere consultato prima, non dopo", afferma. "Io sono stupito dal fatto che l'iniziativa di organizzare Astraday per i 18enni sia stata presa senza il consiglio di una competenza scientifica", riflette ancora il direttore del Dipartimento di medicina molecolare dell'Università di Padova. Benissimo, ma per caso è lo stesso Crisanti che, a inizio aprile, intervistato da SkyTg24, spiegava che AstraZeneca è tra i vaccini "più sicuri al mondo"? Non solo. È un omonimo quello che sosteneva che "i casi di trombofilia" registrati dopo le vaccinazioni con AstraZeneca "sono infinitesimali" e che comunque "non esiste un vaccino sicuro per tutti al 100%", anche perché si tratta di una vaccinazione di massa che coinvolge tutta la popolazione, con tantissime differenze che possono esserci da persona a persona. Crisanti concludeva la stessa intervista dicendo che "alle donne giovani consiglierei AstraZeneca, senza dubbio". Come direbbe in questo caso il grande Totò, Ma mi faccia il piacere! Un altro virologo superstar che sul vaccino anglo-svedese si è contradetto, seppur in maniera forse meno plateale di Crisanti, è Massimo Galli, direttore di Malattie infettive presso l'ospedale Sacco di Milano. Ospite del programma "il mio medico" su Tv2000, Galli ha spiegato che il vaccino AstraZeneca, al di sotto di una fascia d'età, "non andava usato". Peccato che, a metà aprile, oltre a dar ragione a Crisanti sulle trombosi, Galli spiegava in un'intervista rilasciata a Il Mattino, che AstraZeneca è "pericoloso come una Tac" dichiarando inoltre di temere che la presunta pericolosità del vaccino anglo-svedese era una "clamorosa bufala". Del resto la stessa Ema, l'agenzia europea per il farmaco, aveva assicurato non più tardi della fine di marzo che "non c'è nessun rischio specifico legato all'età per il vaccino AstraZeneca" salvo poi mostrare con una tabella, dati alla mano, come per i giovani vi siano più rischi che benefici. Contraddizioni a non finire e dietrofront continui: ecco il fantastico mondo dei virologi superstar.

Roberto Vivaldelli. Roberto Vivaldelli (1989) è giornalista dal 2014 e collabora con IlGiornale.it, Gli Occhi della Guerra e il quotidiano L'Adige. Esperto di comunicazione e relazioni internazionali, è autore del saggio Fake News. Manipolazione e propaganda mediatica dalla guerra in Siria al Russiagate pubblicato per La Vela. I suoi articoli sono tradotti in varie lingue e pubblicati su siti internazionali

AstraZeneca, adesso fuori i colpevoli. Andrea Indini l'11 Giugno 2021 su Il Giornale. Le sparate dei virologi, le giravolte dell'Aifa e il caos Open Day. Anche Palù ammette: "Non c'è mai stato un divieto". Ora però il Cts corre ai ripari: perché non lo si è fatto prima? Quando lo scorso aprile è arrivata la circolare dell'Aifa che raccomandava l'uso dei vaccini a vettore virale (cioè AstraZeneca e Johnson&Johnson) per le persone con più di 60 anni, il governatore Luca Zaia ha preso una decisione: "Quel vaccino si sarà fatto solo a chi ha più di 60 anni, salvo diversa anamnesi del medico". E così gli Open Day vennero banditi dalla Regione Veneto. Una scelta anche condivisa con il generale Francesco Paolo Figliuolo. "Se resta questa l'indicazione - gli spiegò quando lo incontrò lo scorso 13 maggio - finiti gli over 60, i vaccini a vettore virale rischiano di finire su un binario morto". Al tempo la notizia era passata quasi sotto traccia ma ora che una 18enne è morta e un’altra donna di 34 anni è in rianimazione dopo essere stata operata al cervello per una trombosi, il tema torna fuori con prepotenza e le domande che sorgono spontanee sono: perché nonostante le raccomandazioni si è continuato a somministrare AstraZeneca alle donne sotto i sessanta? Chi ha preso questa decisione? E soprattutto: qualcuno pagherà per questo errore? Si è sempre parlato di trombosi rare. "Pochissimi casi", lo hanno ripetuto in tutte le salse. A inizio aprile Andrea Crisanti, direttore del dipartimento di Microbiologia dell’Università di Padova, lo considerava "tra i più sicuri al mondo". Non solo. Spiegando che "i casi di trombofilia sono infinitesimali" e che comunque "non esiste un vaccino sicuro per tutti al 100 per cento", in una intervista a SkyTg24, non si faceva alcun problema a dire che lo avrebbe consigliato "alle donne giovani, senza dubbio". Ovviamente era in buona compagnia. In quegli stessi giorni Massimo Galli, primario del reparto Malattie Infettive dell’ospedale Sacco di Milano, la pensava esattamente allo stesso modo. "Queste situazioni possiamo chiamarle rumore di fondo - spiegava a L'aria che tira - quello che purtroppo è riservato all’umanità ogni santo giorno, perché ogni santo giorno c'è chi muore di infarto o di trombosi cerebrale o di tumore o in seguito a un incidente d'auto". Qualche settimana dopo, nonostante la decisione dell'Aifa, confermava la propria posizione: "Quel vaccino è meno pericoloso di una Tac". Il punto vero è che su AstraZeneca si è detto tutto e il contrario di tutto. Anche l'Aifa non è stata così chiara limitandosi a fare una raccomandazione "in via preferenziale" mentre le agenzie del farmaco degli altri Paesi europei prendevano decisioni più nette. Oggi a piangere Camilla è tutto il Paese ma i fari sono puntati sulla Liguria una delle tante regioni in cui sono stati organizzati gli Open Day per le vaccinazioni di massa. "La possibilità di usare AstraZeneca per tutti su base volontaria non è un'invenzione delle Regioni o di qualche dottor Stranamore - ha denunciato il governatore Giovanni Toti su Facebook - è un suggerimento che arriva dai massimi organi tecnico-scientifici per aumentare il volume di vaccinazioni, e quindi evitare più morti". E infatti, in una intervista rilasciata al Corriere della Sera lo scorso 3 maggio, Giorgio Palù, presidente dell'agenzia del farmaco italiana nonché membro del Comitato tecnico scientifico, diceva chiaramente che chi ha meno di 60 anni può ricevere AstraZeneca: "Non c'è mai stato un divieto. L'agenzia europea Ema non ha posto restrizioni per età mentre Aifa ha solo dato un'indicazione per uso preferenziale agli over 60. Il suggerimento è stato interpretato come regola, ma non è così". "AstraZeneca ha cambiato almeno cinque volte in tre mesi la sua destinazione - ha commentato Toti - solo sotto i 50 anni, poi sospeso, poi solo sopra i 60, poi per tutti". Adesso, come anticipato dall'agenzia LaPresse, il Cts sta elaborando un nuovo parere tecnico sulla somministrazione del siero fermo restando che la competenza sui vaccini rimane alla Direzione generale della prevenzione sanitaria del ministero della Salute. Probabilmente ci sarà l'ennesimo cambio di rotta. Resta, però, da capire per quale motivo, per quanto le trombosi siano un evento raro, si sia comunque deciso di far correre dei rischi agli under 60. Non mancavano certo vaccini alternativi con cui sostituire le dosi di AstraZeneca. Zaia, per esempio, ha spiegato al Corriere della Sera, di aver accantonato 140mila fiale per le seconde dosi perché comunque è "un vaccino che funziona e dà un'ottima risposta anticorpale". Le soluzioni per non correre rischi, dunque, c'erano. Perché non sono state seguite? C'era davvero bisogno di correre così, soprattutto sulla fascia più giovane che ha meno possibilità di contrarre il Covid-19 o comunque di morirci, quando ormai i casi erano in netta diminuzione? Ora che le "rare trombosi" hanno un nome e cognome chiaro, servono risposte chiare perché non si ripetano in futuro questi errori. E male non farebbe, almeno una volta ogni tanto, sapere chi sono i colpevoli di questa gestione azzardata.

Andrea Indini. Sono nato a Milano il 23 maggio 1980. E milanese sono per stile, carattere e abitudini. Giornalista professionista con una (sincera) vocazione: raccontare i fatti come attento osservatore della realtà. Provo a farlo con quanta più obiettività possibile. Dal 2008 al sito web del Giornale, ne sono il responsabile dal 

Maurizio Belpietro per “La Verità” il 13 giugno 2021. Che Roberto Speranza non fosse il ministro adatto a portare fuori l'Italia dalla pandemia lo avevamo capito più di un anno fa. Non soltanto per la clamorosa sottovalutazione del coronavirus nei mesi di gennaio e febbraio, quando ancora l'emergenza non aveva mietuto decine di migliaia di vittime (di lui rimarranno scolpite nella storia le frasi con cui definiva l'Italia prontissima ad affrontare il Covid), ma anche per la gaffe con cui in un libro celebrò la fine dell'epidemia sebbene il peggio dovesse ancora venire. Tralasciamo poi le incertezze dei mesi scorsi, la poca chiarezza sulle cure da applicare in via preventiva, l'errore che ha portato a ritenere Astrazeneca il vaccino più promettente e perfino il tragico abbaglio che ha indotto a delegare gli acquisti del farmaco salvavita alla Ue, con tutti i ritardi che ne sono seguiti. Tuttavia, se dall'anno scorso ci erano note sia la sua impreparazione che la testardaggine nel perseguire scelte sbagliate, mai avremmo pensato che il segretario del piccolo partito di nostalgici del comunismo potesse fare peggio, riuscendo a combinare guai anche ora che, grazie alla rimozione di Domenico Arcuri, la vaccinazione di massa sembrava procedere al meglio. Ci riferiamo al caos provocato prima dalla scelta di inoculare con Astrazeneca tutti, anche gli adolescenti, poi alla decisione di bloccare ogni cosa a seguito della morte di una ragazza di 18 anni. Una retromarcia che rischia di lasciare scoperte oltre un milione di persone che hanno ricevuto la prima dose anche se non hanno sessant' anni, e alle quali ora non si sa più che seconda dose somministrare. Così facendo, Speranza ha precipitato nella confusione diverse regioni, tra le quali Piemonte, Lombardia e Toscana, che sono state costrette a sospendere i richiami in attesa di capire con quali farmaci vaccinare coloro che ora non possono più fare Astrazeneca. Anche i bambini ormai sanno che tocca al governo, cioè al ministro, emanare le direttive per difendere la salute dei cittadini, mentre alle Regioni spetta il compito di applicare le disposizioni. Ma se le indicazioni sono confuse, e anzi contraddittorie, il rischio è un caos colossale, perché un milione di persone con meno di sessant' anni si trova nella condizione di non sapere che ne sarà di loro, come, quando e con quale farmaco saranno vaccinate. E dire che i dubbi sugli effetti di Astrazeneca, ma ancor più sulle giovani donne, non sono di ieri. Da mesi si discute proprio di questo, e fior di scienziati avevano messo in guardia dall'uso del farmaco su persone di sesso femminile sottoposte ad alcune terapie. Da subito si era detto che al di sotto di una certa età la somministrazione del vaccino era sconsigliata e quello inglese addirittura quasi vietato, prova ne sia che in alcuni Paesi le autorità sanitarie avevano emanato precise disposizioni. Da noi, no. Troppo occupato a scrivere libri che non pubblica o a pensare alle alleanze di una coalizione di sinistra che va in pezzi, Speranza non ha detto una parola per impedire le vaccinazioni di massa agli adolescenti. Né ha proferito verbo circa i limiti da imporre per l'uso di Astrazeneca. Così, in alcune regioni si sono inoculati a manetta anche i ragazzi e il risultato è una frenata generale dopo il decesso di Camilla Canepa, la diciottenne di Genova morta in seguito alla somministrazione del vaccino inglese. A questo punto Speranza si è ricordato di essere il ministro della Salute e finalmente ha aperto bocca per bloccare tutto e invitare le Regioni a usare, per le seconde dosi, altri vaccini. Operazione che lascia perplessi perfino alcuni virologi, perché nessuno conosce gli effetti del cocktail di farmaci, dato che al momento studi clinici completi sono stati eseguiti su persone che hanno ricevuto un solo vaccino, anche se diviso in due dosi. Insomma, la confusione regna sovrana e purtroppo anche Speranza. Ma proprio il fatto che qualunque guaio combini, il ministro della Salute rimanga al suo posto, ci induce a una domanda: chi è il suo santo protettore? Già, perché dobbiamo tenere a tutti i costi questo oscuro burocrate alla guida del ministero più importante? Mario Draghi ha cacciato in pochi giorni Arcuri e pure Angelo Borrelli, mentre altri manager li ha messi alla porta con poche cautele e perfino un protetto dell'ex premier come il capo dei servizi segreti, il generale Gennaro Vecchione, è stato liquidato senza complimenti. Dunque, qual è il motivo per cui Speranza resta incollato alla sedia? Molti, al suo posto, avrebbero già dovuto fare le valigie. E non è pensabile che il micro partito di cui fanno parte Massimo D'Alema e Pier Luigi Bersani possa imporre la permanenza di Speranza. Perciò, torniamo a chiedere: perché la salute degli italiani deve rimanere nelle sue mani? C'è forse un segreto inconfessabile?

Pietro Senaldi contro Roberto Speranza: "Camilla Canepa? Ammazzata dalla sua gestione delirante".  Pietro Senaldi su Libero Quotidiano l'11 giugno 2021. Camilla non è stata uccisa dal Covid, che sui diciottenni sani non è letale, e in fondo neppure dal vaccino, benché il suo decesso sia dovuto a un'iniezione di Astrazeneca. La giovane di Sestri Levante è stata ammazzata dalla gestione delirante che il governo, e in particolare il ministro della Salute Speranza e il Comitato Tecnico Scientifico, ha avuto della comunicazione in merito agli effetti del siero anglo-svedese. È opportuno ricordare che Libero è da sempre a favore della profilassi di massa. La riteniamo un dovere civico. Fatichiamo a comprendere chi, dopo aver maledetto la sorte chiuso in casa per un anno e mezzo, essersi terrorizzato, aver visto i camion con le bare e le aziende chiudere, ora, che stiamo faticosamente mettendo la testa fuori dal tunnel, si ritrae davanti all'iniezione, aspettando di beneficiare di un'immunità di gregge in arrivo solo dalla generosità e dal coraggio del prossimo. E però bisogna anche dire che, a fronte delle informazioni, contraddittorie, sempre vaghe e mai scientifiche che Speranza e i suoi esperti danno sulla profilassi, oggi vaccinarsi può essere considerato un gesto eroico. Sono tempi in cui si spreca la parola eroe per descrivere chi lascia il posto a un anziano sull'autobus o chiama il pronto soccorso se assiste a un incidente. Se proprio bisogna esagerare, ci pare più giusto dire che per noi è un gesto di eroismo civico offrire il braccio al vaccino, per proteggere se stessi ma anche gli altri, perché il governo ha fatto di tutto per spaventare i cittadini in merito alla profilassi. Il caso Astrazeneca fa scuola. Prima ci hanno detto che non poteva essere somministrato sopra i 55 anni, e così abbiamo ritardato a immunizzare gli anziani, categoria a rischio a cui il vaccino di Oxford non fa male. Poi ci hanno spiegato che si erano sbagliati e che sotto i quaranta era sconsigliata l'iniezione, però hanno consentito alle Regioni di continuare a farla. Quindi c'è stata la discriminazione di genere: Astrazeneca è pericolosa, ma solo in casi rarissimi e per le donne, comunque meno di quanto lo sia la pillola anticoncezionale. E nel mentre che lo sconsigliava, il governo ha lasciato che le Regioni organizzassero delle giornate aperte, addirittura delle nottate della profilassi, con i ragazzi liberi di farsi inoculare senza prenotazione e senza che nessuno gli chiedesse alcunché. Camilla è vittima di questa superficialità istituzionale, sulla quale soffia forte il sospetto che le saghe della somministrazione libera siano organizzate per far fuori le scorte di Astrazeneca prima che scadano, alla spera in Dio, senza guardare in faccia ai ragazzi a cui si buca il braccio, e ovviamente senza curarsi della loro cartella clinica. Ancora ieri, a cadavere caldo, Speranza spiegava alla nazione che tutti i vaccini sono sicuri. Lo sciagurato parlatore, incapace di rendersi conto che le parole rassicuranti per descrivere una tragedia hanno il solo effetto di seminare il panico. È atteso, come un vaticinio, il parere del Comitato Scientifico su Astrazeneca. Qualunque sia, è destinato a contraddirne almeno tre precedenti. Per fortuna gli italiani, per la maggioranza, sembrano più saggi del ministro della Salute e dei suoi cervelloni. Hanno capito che i vaccini salvano le vite e che, in rarissimi casi, su donne fertili che, magari senza saperlo, hanno fatto il Covid o assumono anticoncezionali, Astrazeneca può fare male. Non si può pretendere però che Camilla e i suoi coetanei, ai quali le istituzioni organizzano feste per offrire i vaccini come mele proibite, e per taluni avvelenate, arrivino da soli a queste conclusioni. Le autorità regolatorie dei farmaci e il governo non devono raccomandare alle Regioni e alla popolazione di non assumere un farmaco di cui consentono la diffusione. Sconsigliare non può consentire allo Stato di lavarsi la coscienza della sorte dei cittadini, come fa con le scritte e le foto terrorizzanti sui pacchetti di sigarette. Ci vogliono linee guida e divieti, e guai se stavolta il ministero prova a rimpallare le proprie responsabilità sulle Regioni, come faceva ai tempi in cui andavano di moda i giallorossi. Lo Stato deve avere il coraggio di vietare Astrazeneca a certe fasce d'età e di finire di farsi pubblicità con le giornate del vaccino libero. Non può sempre pretendere che siano solo i cittadini -sudditi ad avere coraggio.

AstraZeneca, adesso fuori i colpevoli. Andrea Indini l'11 Giugno 2021 su Il Giornale. Le sparate dei virologi, le giravolte dell'Aifa e il caos Open Day. Anche Palù ammette: "Non c'è mai stato un divieto". Ora però il Cts corre ai ripari: perché non lo si è fatto prima? Quando lo scorso aprile è arrivata la circolare dell'Aifa che raccomandava l'uso dei vaccini a vettore virale (cioè AstraZeneca e Johnson&Johnson) per le persone con più di 60 anni, il governatore Luca Zaia ha preso una decisione: "Quel vaccino si sarà fatto solo a chi ha più di 60 anni, salvo diversa anamnesi del medico". E così gli Open Day vennero banditi dalla Regione Veneto. Una scelta anche condivisa con il generale Francesco Paolo Figliuolo. "Se resta questa l'indicazione - gli spiegò quando lo incontrò lo scorso 13 maggio - finiti gli over 60, i vaccini a vettore virale rischiano di finire su un binario morto". Al tempo la notizia era passata quasi sotto traccia ma ora che una 18enne è morta e un’altra donna di 34 anni è in rianimazione dopo essere stata operata al cervello per una trombosi, il tema torna fuori con prepotenza e le domande che sorgono spontanee sono: perché nonostante le raccomandazioni si è continuato a somministrare AstraZeneca alle donne sotto i sessanta? Chi ha preso questa decisione? E soprattutto: qualcuno pagherà per questo errore? Si è sempre parlato di trombosi rare. "Pochissimi casi", lo hanno ripetuto in tutte le salse. A inizio aprile Andrea Crisanti, direttore del dipartimento di Microbiologia dell’Università di Padova, lo considerava "tra i più sicuri al mondo". Non solo. Spiegando che "i casi di trombofilia sono infinitesimali" e che comunque "non esiste un vaccino sicuro per tutti al 100 per cento", in una intervista a SkyTg24, non si faceva alcun problema a dire che lo avrebbe consigliato "alle donne giovani, senza dubbio". Ovviamente era in buona compagnia. In quegli stessi giorni Massimo Galli, primario del reparto Malattie Infettive dell’ospedale Sacco di Milano, la pensava esattamente allo stesso modo. "Queste situazioni possiamo chiamarle rumore di fondo - spiegava a L'aria che tira - quello che purtroppo è riservato all’umanità ogni santo giorno, perché ogni santo giorno c'è chi muore di infarto o di trombosi cerebrale o di tumore o in seguito a un incidente d'auto". Qualche settimana dopo, nonostante la decisione dell'Aifa, confermava la propria posizione: "Quel vaccino è meno pericoloso di una Tac". Il punto vero è che su AstraZeneca si è detto tutto e il contrario di tutto. Anche l'Aifa non è stata così chiara limitandosi a fare una raccomandazione "in via preferenziale" mentre le agenzie del farmaco degli altri Paesi europei prendevano decisioni più nette. Oggi a piangere Camilla è tutto il Paese ma i fari sono puntati sulla Liguria una delle tante regioni in cui sono stati organizzati gli Open Day per le vaccinazioni di massa. "La possibilità di usare AstraZeneca per tutti su base volontaria non è un'invenzione delle Regioni o di qualche dottor Stranamore - ha denunciato il governatore Giovanni Toti su Facebook - è un suggerimento che arriva dai massimi organi tecnico-scientifici per aumentare il volume di vaccinazioni, e quindi evitare più morti". E infatti, in una intervista rilasciata al Corriere della Sera lo scorso 3 maggio, Giorgio Palù, presidente dell'agenzia del farmaco italiana nonché membro del Comitato tecnico scientifico, diceva chiaramente che chi ha meno di 60 anni può ricevere AstraZeneca: "Non c'è mai stato un divieto. L'agenzia europea Ema non ha posto restrizioni per età mentre Aifa ha solo dato un'indicazione per uso preferenziale agli over 60. Il suggerimento è stato interpretato come regola, ma non è così". "AstraZeneca ha cambiato almeno cinque volte in tre mesi la sua destinazione - ha commentato Toti - solo sotto i 50 anni, poi sospeso, poi solo sopra i 60, poi per tutti". Adesso, come anticipato dall'agenzia LaPresse, il Cts sta elaborando un nuovo parere tecnico sulla somministrazione del siero fermo restando che la competenza sui vaccini rimane alla Direzione generale della prevenzione sanitaria del ministero della Salute. Probabilmente ci sarà l'ennesimo cambio di rotta. Resta, però, da capire per quale motivo, per quanto le trombosi siano un evento raro, si sia comunque deciso di far correre dei rischi agli under 60. Non mancavano certo vaccini alternativi con cui sostituire le dosi di AstraZeneca. Zaia, per esempio, ha spiegato al Corriere della Sera, di aver accantonato 140mila fiale per le seconde dosi perché comunque è "un vaccino che funziona e dà un'ottima risposta anticorpale". Le soluzioni per non correre rischi, dunque, c'erano. Perché non sono state seguite? C'era davvero bisogno di correre così, soprattutto sulla fascia più giovane che ha meno possibilità di contrarre il Covid-19 o comunque di morirci, quando ormai i casi erano in netta diminuzione? Ora che le "rare trombosi" hanno un nome e cognome chiaro, servono risposte chiare perché non si ripetano in futuro questi errori. E male non farebbe, almeno una volta ogni tanto, sapere chi sono i colpevoli di questa gestione azzardata.

Andrea Indini. Sono nato a Milano il 23 maggio 1980. E milanese sono per stile, carattere e abitudini. Giornalista professionista con una (sincera) vocazione: raccontare i fatti come attento osservatore della realtà. Provo a farlo con quanta più obiettività possibile. Dal 2008 al sito web del Giornale, ne sono il responsabile dal 

Bruno Vespa sul caso di Camilla Canepa, da chi è stata uccisa: "Ora una soluzione radicale, comandare e non raccomandare". Libero Quotidiano il 12 giugno 2021. Diktat di Bruno Vespa che arriva direttamente dalle colonne del Giorno nel consueto editoriale del sabato. La questione ormai è arcinota: la somministrazione di AstraZeneca sui più giovani. Il caso è diventato ancora più controverso dopo la scomparsa di Camilla Canepa, diciottenne genovese sottoposta al vaccino anglo-svedese  e deceduta per trombosi. Anche lei secondo l'editorialista del Giorno "è vittima della confusione scientifica in atto da mesi e del federalismo sanitario, spesso virtuoso, talvolta irragionevole". Impossibile non notare le continue giravolte: "Dapprima AstraZeneca consigliata ai giovani, poi alle persone anziane". Nel mirino del conduttore di Porta a Porta ci finisce Roberto Speranza che, "facendo proprie le indicazioni del Comitato tecnico scientifico" e "pur ricordando che il vaccino Astrazeneca era raccomandato ai maggiori di 60 anni", lo approvava per tutte le persone sopra i 18. E così il pensiero di Piercamillo Davigo "che sostiene giustamente che in Italia non basta dire che una cosa è vietata: bisogna aggiungere 'severamente vietata' per avere un minimo di credibilità", secondo Vespa andrebbe rivisto anche per i vaccini. In particolare "'l'uso preferenziale' nella nostra lingua e nelle nostre abitudini ha autorizzato le regioni a fare quello che hanno voluto con i risultati che abbiamo visto". Da qui la necessità di avere quella che il giornalista definisce "una soluzione radicale". Insomma, "basta raccomandazioni. Agli italiani servono ordini". Un concetto che va di pari passo con quello espresso da Alessandro Sallusti. Il direttore di Libero si appellava alla comunità scientifica affinché eliminasse la dicitura "è consigliato". "No - tuonava a Stasera Italia - uno scienziato non mi deve consigliare, mi deve dire sì o no. Perché se no ci si trova in una zona grigia". E non è niente di più di quanto accaduto a Camilla che, nonostante assumesse cure ormonali, si è recata all'Open Day per fare quello che le hanno chiesto: vaccinarsi.

Bruno Vespa, fango e vergogna del Fatto Quotidiano: un pensionato guardone. Ma tacciono su Roberto Speranza. Libero Quotidiano l'11 giugno 2021. Daniela Ranieri è entrata a gamba tesa su Bruno Vespa e Matteo Bassetti, che lo scorso mercoledì hanno disquisito a Porta a Porta di quanto sta accadendo con la campagna di vaccinazione e in particolare con AstraZeneca, che qualche problema in relazione ai giovani lo sta dando. In particolare lo storico giornalista e conduttore di Rai 1 è stato definito l’umarell della virologia, ovvero il classico pensionato che si aggira con le mani dietro la schiena facendo domande, dando suggerimenti o criticando le attività che si svolgono.  “Infatti non ne azzecca una”, è la puntura dell’opinionista del Fatto Quotidiano, che poi se l’è presa anche con Bassetti. Ma il punto è soprattutto AstraZeneca. Cosa fare? “Qui si tifa molto per AZ - è il commento della Ranieri su Porta a Porta - il vaccino dapprima indicato solo sotto i 55 anni, quindi bloccato, poi autorizzato fino ai 65 anni, poi indicato da Aifa solo per gli ultra-sessantenni, quindi autorizzato dall’Ema senza limiti di età, indi iniettato nelle vene di parecchi giovani nei baccanali vaccinali detti Open Day, infine bloccato sotto i 50 anni nelle ultime ore”. Ricostruzione giusta, che testimonia la confusione istituzionale sul vaccino di AstraZeneca: ma perché prendersela con Vespa e Bassetti? Guarda caso la Ranieri ‘dimentica’ il ministro Speranza e il Cts, ma ricorda benissimo di nominare il generale Figliuolo, nemico pubblico numero uno per il giornale diretto da Marco Travaglio. 

Stasera Italia, l'attacco di Alessandro Sallusti alla classe dirigente scientifica su AstraZeneca: "Penso ci sia qualcosa di più". Libero Quotidiano l'11 giugno 2021. Si parla di AstraZeneca a Stasera Italia e in particolare della morte di Camilla Canepa, 18enne colpita da trombosi dopo essersi vaccinata in un Open Day. A parlarne in collegamento con Barbara Palombelli su Rete Quattro c'è Alessandro Sallusti. Il direttore di Libero ammette che "si esce da una situazione confusa che ha stupito l'opinione pubblica. Ma - è questo il suo affondo - io penso ci sia qualcosa di più". Per Sallusti la politica "avrà anche la sua responsabilità, ma qui è un problema della classe dirigente scientifica". Il direttore chiede di abolire dal vocabolario la frase "è consigliato": "No, uno scienziato non mi deve consigliare, mi deve dire sì o no. Perché se no ci si trova in una zona grigia". E così è stato: Camilla Canepa si era vaccinata volontariamente, così come consigliato. Eppure la trombosi non le ha lasciato scampo. Un avvenimento che ha scosso l'Italia intera e su cui il ministro della Salute è ora costretto a intervenire: "A fine aprile l’Ema ha concluso un’ulteriore valutazione il cui esito ha dimostrato che i benefici della vaccinazione aumentano con l’aumento dell’età e del livello di circolazione del virus - ha spiegato Roberto Speranza -. Tale dato è stato valutato dall’Aifa ed è stato ribadito che il profilo beneficio-rischio risulta più favorevole con l’aumentare dell’età". E infatti AstraZeneca era stato "consigliato", appunto, solo per chi avesse più di 60 anni salvo poi fare una piccola retromarcia costata però carissimo alla 18enne di Sestri Levante, deceduta nonostante i due interventi chirurgici subiti per salvarle la vita. Ora dunque si pensa a un altro stop del vaccino anglo-svedese sui giovani.

Da "liberoquotidiano.it" il 12 giugno 2021. Si parla del caso AstraZeneca e della morte di Camilla Canepa, di diciotto anni. E Alessandro Sallusti, in collegamento con Lilli Gruber a Otto e mezzo su La7, nella puntata dell'11 giugno, si scontra con Marco Travaglio: "Dire che qualcuno ha sbagliato è ovvio. Ci sta che Travaglio trovi subito il colpevole. E che sia il generale Figliuolo che è il suo nemico del momento", attacca il direttore di Libero. Che spiega: "Direi che probabilmente hanno sbagliato più persone, hanno sbagliato i sanitari sul posto a non accertarsi di patologie in corso e pregresse, ha sbagliato il governo e il ministro della Salute in particolare a non fare prima l'ordinanza che ha fatto oggi, quindi non a sconsigliare AstraZeneca sotto i 60 anni ma a ordinarlo". E sicuramente, prosegue Sallusti, "ha sbagliato anche il generale Figliuolo ad organizzare gli open day che già nel nome ricorda qualcosa di divertente mentre vaccinarsi è una cosa seria". Quindi il direttore di Libero affonda il direttore del Fatto quotidiano, da sempre nostalgico del duo Conte-Arcuri: "Ricordo a Travaglio che il primo morto per AstraZeneca è avvenuto con Domenico Arcuri e non mi sembra che Travaglio abbia chiesto le sue dimissioni". "Non è un derby, che senso ha vaccinare i ragazzini?", ribatte Travaglio. "Perché in Germania non vaccinano i ragazzi ma solo pochi giovani a rischio?". Prosegue: "Sappiamo che gli effetti collaterali ci sono e vengono messi in conto se hai migliaia di morti per la pandemia e quindi è come essere in guerra. Ma quando hai zero morti per Covid perché esporre i giovani al rischio". Quindi Sallusti lo gela: "Il generale Figliuolo non ha deciso di vaccinare i giovani. Ma il governo. Lui si occupa della logistica non di vaccini. Sui vaccini decide il ministro Speranza". 

Quella catena (in)decisionale causa del pasticcio su AstraZeneca. Francesca Angeli il 12 Giugno 2021 su Il Giornale. Prima l'ok tra i 20 e i 55 anni. Poi innalzato fino ai 65. A fine marzo emergono i casi di trombosi, la Germania lo vieta agli under 60. Ma Ema, Aifa e Cts escludono correlazioni. E l'Italia continua. Un thriller con molti colpi di scena e purtroppo anche delle vittime. La scoperta, la sperimentazione e la successiva distribuzione di un vaccino non dovrebbe ricalcare la trama di un giallo di Agatha Christie o di una novella di Pirandello dove non c'è mai una sola verità. Purtroppo il percorso accidentato del vaccino di Oxford è costellato di accelerazioni, retromarce e inversioni ad U giocate sulla pelle dei cittadini. Nell'incertezza, assolutamente comprensibile visti i tempi straordinariamente ridotti per la produzione in emergenza, le istituzioni responsabili avrebbero dovuto però attenersi al principio di massima precauzione e dare da subito indicazioni inequivocabili e non raccomandazioni. Anche a rischio di frenare la campagna vaccinale come hanno fatto altri Paesi. Soprattutto per i giovani che hanno un rischio bassissimo di contrarre forme gravi di Covid. Ma ripercorriamo le diverse tappe poi culminate ieri nel divieto di utilizzo di AstraZeneca al di sotto della soglia dei 60 anni. Il vaccino AstraZeneca poi ribattezzato Vaxzevria è stato messo a punto nei laboratori dello Jenner Institute dell'Università di Oxford. Il via libera dall'Agenzia europea del Farmaco, Ema, arriva il 29 gennaio 2021 con un'indicazione alla somministrazione per tutti dai 18 anni in poi. Subito dopo arriva l'ok dell'Agenzia italiana del farmaco, Aifa, però con una diversa raccomandazione: preferibile somministrarlo tra i 18 e i 55 anni. Non perché ci siano dati sull'efficacia in quella particolare fascia d'età, ma perché invece non ce ne sono abbastanza relativamente alla popolazione più anziana. Si procede per difetto insomma. E dunque via libera alle inoculazioni per categorie: forze armate e di polizia, personale scolastico, personale carcerario e detenuti. Dunque una popolazione attiva, giovane dai 20 ai 50 anni. Il 22 febbraio parte una circolare dal ministero della Salute che alza da 55 a 65 anni l'età di chi poteva sottoporsi al vaccino AstraZeneca in seguito a «nuove evidenze scientifiche». L'età viene ulteriormente innalzata l'8 marzo: ok per gli over 65, escludendo i soggetti estremamente vulnerabili. L'11 marzo è lo stesso premier Mario Draghi ad annunciare il blocco di un lotto «in via precauzionale». Ma poi il 15 dopo il verificarsi di diversi casi sospetti di trombosi correlati al vaccino, prevalentemente in donne di età compresa tra i 25 e i 65 anni, anche l'Italia decide si sospendere «in via precauzionale» le somministrazioni del farmaco. Nel nostro Paese le morti sospette sono almeno sei. L'Ema avvia un'indagine che però si conclude con la conferma che il vaccino è «sicuro ed efficace». E così il 19 marzo il direttore generale dell'Aifa, Nicola Magrini affiancato dal presidente del Comitato Tecnico Scientifico Franco Locatelli, dichiara che: «I benefici del vaccino AstraZeneca superano ampiamente i rischi. Pertanto il prodotto è sicuro, senza limiti d'età e senza sostanziali controindicazioni per l'uso». Nessuna controindicazione. Alla fine di marzo però la Germania sospende AstraZeneca per gli under 60, preoccupata da 31 casi sospetti di trombosi, di cui 29 tra donne di età compresa tra i 20 e i 63 anni. Non solo, le autorità sanitarie consigliano alle persone sotto i 60 anni che hanno ricevuto la prima dose di AstraZeneca una seconda dose «eterologa». Da noi si procede anche perché l'Ema ribadisce che non è dimostrata la correlazione fra il siero e i rari casi di trombosi. Ma altri Paesi la seguono su questa strada sospendendo i vaccini Francia, Paesi Bassi, Svezia, Finlandia, Islanda e Canada. La Danimarca annuncia il blocco definitivo il 14 aprile. L'Italia procede con gli open day per i giovani fino allo stop «perentorio» di ieri. Francesca Angeli

Morte Camilla, trema il Cts: chi ha autorizzato gli Open day? Valentina Dardari il 12 Giugno 2021 su Il Giornale.  La Procura acquisisce anche la lettera del Comitato tecnico scientifico alle Regioni contenente il parere sugli open day. Il Cts adesso trema. Per la morte di Camilla Canepa, la 18enne pallavolista morta a Genova in seguito a una trombosi dopo circa una decina di giorni dall’aver ricevuto la prima dose di vaccino AstraZeneca, la Procura vuole vederci chiaro. Ha deciso infatti di acquisire anche la lettera inviata dal Cts, il Comitato tecnico scientifico, alle Regioni, con al suo interno il parere riguardante gli open day.

Il documento che inchioda il Cts. Il documento verrà quindi acquisito dai magistrati per capire chi ha autorizzato gli open day e fare luce sulla morte della giovane che si stava preparando a sostenere l’esame di maturità. Nella giornata di ieri la Procura di Genova ha dato incarico ai Nas di venire in possesso di tutta la documentazione utile al fine di poter arrivare a una valutazione complessiva di quanto avvenuto. Sulla vicenda è stato aperto un fascicolo e sono al momento in corso accertamenti. Il documento del Cts è stato pubblicato sulla sua pagina Facebook anche dal governatore della Liguria, Giovanni Toti. Nell’atto si legge che il Comitato tecnico scientifico, tra le raccomandazioni inserite nel proprio parere, "non rileva motivi ostativi a che vengano organizzate, dalle differenti realtà regionali o legate alle province autonome, iniziative quali vaccination day mirate ad offrire in seguito ad adesione e richiesta volontaria i vaccini a vettore adenovirale a tutti i soggetti di età superiore ai 18 anni". In contemporanea i Nas hanno sequestrato anche l'anamnesi precedente al vaccino che era stata compilata lo scorso 25 maggio quando la ragazza si era volontariamente sottoposta alla vaccinazione. Oltre naturalmente ai documenti medici compilati all'hub. Da capire anche come mai la ragazza, affetta da piastrinopenia, una patologia autoimmune, sia stata vaccinata con il siero prodotto dall’azienda anglo-svedese.

Un'altra morte sospetta. Notizia di oggi quella relativa al decesso di un uomo di 54 anni, morto lo scorso giovedì a Brescia in seguito a diversi eventi trombotici, secondo cui la procura ha aperto un fascicolo per capire se la sua morte possa essere conseguenza della prima inoculazione di vaccino AstraZeneca, avvenuta lo scorso 29 maggio. Secondo i familiari di Gianluca Masserdotti, l’uomo non soffriva di malattie pregresse ed era in buona salute. Sembra che i virilogi abbiano pareri contrastanti riguardo la decisione del ministero della Salute di riservare il siero AstraZeneca agli over 60, effettuando la seconda dose per coloro che sono sotto quella soglia di età con sieri a mRna.

Valentina Dardari. Sono nata a Milano il 6 marzo del 1979. Sono cresciuta nel capoluogo lombardo dove vivo tuttora. A maggio del 2018 ho realizzato il mio sogno e ho iniziato a scrivere per Il Giornale.it occupandomi di Cronaca. Amo tutti gli animali, tanto che sono vegetariana, e ho una gatta, Minou, di 19 anni.  

Vaccini, è caos. E il Cts finisce sotto accusa. Ignazio Riccio il 12 Giugno 2021 su Il Giornale. Virologi divisi e polemiche nelle Regioni italiane dopo la decisione del ministero della Salute di riservare AstraZeneca agli over 60, effettuando i richiami per chi è sotto quella soglia di età con sieri a mRna. Divide gli scienziati l'annuncio del Comitato tecnico scientifico (Cts) con la conseguente decisione del ministero della Salute di riservare il vaccino AstraZeneca agli over 60, effettuando i richiami per chi è sotto quella soglia di età con sieri a mRna. “Al momento non ci sono sufficienti studi sul mix di due vaccini anti Covid diversi – afferma il microbiologo dell'Università di Padova Andrea Crisanti – dal punto di vista teorico e immunologico non dovrebbero esserci problemi, però c'è un aspetto formale da non sottovalutare, nel senso che questa è una combinazione di cui non si sa efficacia e durata”. Imporre agli under 60 di cambiare con la seconda dose “è una procedura che non è stata validata. Magari funziona pure, però abbiamo degli organi regolatori a cui è demandata la regolazione di queste procedure, non è che uno si alza la mattina e le cambia. Nessuno può dire se il mix sia sicuro”, continua Crisanti. Il microbiologo sottolinea che le ricerche sui possibili effetti della seconda dose di AstraZeneca ci sono, mentre sulla vaccinazione eterologa sono inadeguate: “Magari funziona – sentenzia – magari ha dei problemi. Dovrebbero pronunciarsi gli enti regolatori e tutti gli altri dovrebbero fare un passo indietro. Senza i dati non ci si vaccina”. Diverse Regioni hanno finora somministrato AstraZeneca agli under 60, nonostante ci fossero state raccomandazioni del Cts in senso contrario, organizzando anche open day per i più giovani. Come quello a cui ha partecipato la 18enne di Sestri Levante Camilla Canepa, morta una decina di giorni dopo la prima dose. “La scelta del governo sul vaccino AstraZeneca, con l'esclusione della somministrazione alle persone sotto i 60 anni spero venga interpretata nel modo giusto. Ovvero come un'indicazione per permettere di minimizzare minimi rischi e garantire la massima sicurezza. Non è una scelta di incertezza "La riorganizzazione del programma vaccinale e paura ma di prudenza”. A dirlo è Fabrizio Pregliasco, virologo dell'Università Statale di Milano e presidente Anpas. “Vediamo che la vaccinazione sta funzionando – spiega – e serve. Ed è fondamentale arrivare in fondo a questa campagna coinvolgendo tutti. Dunque è importante che anche la comunicazione e le decisioni siano viste nella giusta prospettiva”. Matteo Bassetti, direttore della clinica di malattie infettive dell'ospedale San Martino di Genova ha una sua idea. “Tutta la vicenda AstraZeneca – dice – alla fine ci conferma che si è decretata la morte dei vaccini a vettore virale, visto che la decisione di limitarli solo per gli over 60 riguarda anche il vaccino J&J. Credo sia stata una decisione di buonsenso ma assolutamente politica. La scienza dice alcune cose, ma la politica sanitaria, il ministero in questo caso, deve mediare tra la scienza e la politica, di fronte a un'opinione pubblica che ha paura e dubbi”. Per Bassetti “a questo punto si pone un'ombra pesante su tutti gli altri vaccini a vettore virale, dallo Sputnik al nostro italiano Reithera, sul quale bisogna chiedersi se ha senso continuarne lo sviluppo, visto che quando arriverà sarà vecchio e nessuno lo vorrà fare”. Intanto, la regione Lombardia, dopo il pronunciamento del Cts, ha deciso di provvedere alla somministrazione eterologa della seconda dose di vaccino ai cittadini under 60 vaccinati con AstraZeneca in prima dose, ossia con vaccino Pfizer o Moderna. Lo comunica in una nota la direzione welfare dell'ente regionale. "La riorganizzazione del programma vaccinale - è scritto - avverrà negli stretti tempi necessari sulla base delle dosi di vaccino disponibili". In un primo momento in Lombardia erano stati sospesi i richiami vaccinali eterologhi in attesa di una circolare dell'Aifa. Poi una telefonata tra Roberto Speranza e Letizia Moratti avrebbe - racconta il Corriere - sbloccato lo stallo: il ministro ha infatti chiarito che la "nota ufficiale" è quella firmata nelle scorse ore dal direttore della Prevenzione Giovanni Rezza. Stop in Liguria, invece, alla somministrazione del vaccino Johnson&Johnson agli under 60. Tutte le persone al di sotto di quell’età che avevano in programma la somministrazione del vaccino Johnson, manterranno l'appuntamento ma saranno vaccinate con un prodotto mRna. Anche la Regione Piemonte ha deciso in via precauzionale di sospendere la somministrazione alla popolazione under 60 del vaccino Johnson&Johnson. In Sicilia, infine, a coloro che hanno un'età fino ai 59 anni e hanno già ricevuto la prima dose del vaccino AstraZeneca, secondo le disposizioni nazionali previgenti e le ultime indicazioni del Cts, saranno garantite le seconde dosi con sieri Pfizer o Moderna, a partire da domani, domenica 13 giugno. Lo comunica l'assessorato alla Salute della Regione siciliana.

Ignazio Riccio. Sono nato a Caserta il 5 aprile del 1970. Giornalista dal 1997, nel corso degli anni ho accumulato una notevole esperienza nel settore della comunicazione, del marketing e dell’editoria. Scrivo per ilGiornale.it dal 2018. Nel 2017 è uscito il mio primo libro, il memoir Senza maschere sull’anima. Gianluca Di Gennaro si racconta, edito da Caracò editore. Un secondo libro: L’attualità in classe-Il giornale tra i banchi di scuola (testo di narrativa per gli istituti secondari di primo grado), edito da Libriotheca Editore, è stato pubblicato a marzo 2019. Amo in particolare la lettura, il cinema e il teatro; sono appassionato di calcio e tifo

In 4 mesi 27 segnalazioni di eventi gravi ogni 100mila dosi. Effetti collaterali di AstraZeneca, il rapporto sulle trombosi in Italia: 34 casi dopo il vaccino. Fabio Calcagni su Il Riformista il 10 Maggio 2021. Come sottolineato più volte da Ema ed Aifa, i benefici dei vaccini anti-Covid superano i rischi. È quanto emerge dal quarto rapporto sulla sorveglianza dei vaccini anti Covid-19 condotto dall’Aifa, l’Agenzia Italiana del farmaco, che ha eseguito lo studio col supporto di un “gruppo di lavoro per la valutazione dei rischi trombotici da vaccini anti-COVID-19”, costituito da alcuni dei massimi esperti nazionali di trombosi ed emostasi.

ASTRAZENECA E LE TROMBOSI – La valutazione dei casi italiani di trombosi venosa intracranica e atipica in soggetti vaccinati con Vaxzevria è in linea con le conclusioni della procedura dell’Agenzia Europa dei Medicinali. In Italia, fino al 26 aprile 2021, sono state inserite nella Rete Nazionale di Farmacovigilanza 29 segnalazioni di trombosi venose intracraniche e 5 casi di trombosi venose in sede atipica. La maggior parte di questi eventi (22 casi, 65%) hanno interessato le donne con un’età media di circa 48 anni e solo in 1/3 dei casi circa gli uomini (12 casi, 35%) con un’età media di circa 52 anni. Il tempo medio di insorgenza è stato di circa 8 giorni dopo la somministrazione della 1a dose del vaccino Vaxzevria.

GLI EVENTI AVVERSI – In totale dall’inizio della campagna di vaccinazione in Italia sono state 56.110 le segnalazioni di sospetti eventi avversi su un totale di 18.148.394 dosi somministrate (dal 27 dicembre 2020 al 26 aprile 2021). Il tasso di segnalazione è quindi di 309 ogni 100.000 dosi, di cui il 91% sono riferite a eventi non gravi, che si risolvono completamente, come dolore in sede di iniezione, febbre, astenia/stanchezza, dolori muscolari. La stessa Aifa precisa infatti che “gli eventi segnalati insorgono prevalentemente lo stesso giorno della vaccinazione o il giorno successivo (85% dei casi)”. Le segnalazioni gravi sono l’8,6% del totale, con un tasso di 27 eventi gravi ogni 100.000 dosi somministrate, indipendentemente dal tipo di vaccino, dalla dose (prima o seconda) e dal possibile ruolo causale della vaccinazione. Quanto al rapporto tra vaccino utilizzato e segnalazioni avverse, la maggior parte sono relative al vaccino Comirnaty della Pfizer (75%), finora il più utilizzato nella campagna vaccinale (70,9% delle dosi somministrate), e solo in minor misura al vaccino Vaxzevria-AstraZeneca (22%) e al vaccino Moderna (3%). Praticamente non presente nel periodo considerato invece le segnalazioni relative al vaccino di Johnson&Johnson, lo 0,15 di quelle somministrate. Fabio Calcagni. Napoletano, classe 1987, laureato in Lettere: vive di politica e basket.

Vaccino, il report dell'Aifa: "30mila effetti collaterali". Ecco quali sono le peggiori reazioni avverse. Libero Quotidiano l'11 marzo 2021. Da quando hanno cominciato a vaccinare contro il Coronavirus, sono arrivate 30mila segnalazioni di reazioni avverse, come riportato nel secondo Rapporto di farmacovigilanza sui vaccini Covid19 elaborato dall'Agenzia italiana del farmaco e rivelato da Il Giornale. Nel 93,6 per cento dei casi si tratta di effetti collaterali non gravi. Le reazioni più comuni che riguardano tutti e tre i vaccini (Pfizer, Moderna e AstraZeneca), sono febbre, cefalea, dolori muscolari e articolari, dolore in sede di iniezione, brividi e nausea. Invece le segnalazioni gravi, per le quali è ancora in corso la valutazione il nesso con le vaccinazioni, sono il 6,1 per cento del totale. Le note riguardano soprattutto il vaccino Pfizer/BionTech Comirnaty (96 per cento), che è stato anche il siero più utilizzato. In misura molto più ridotta AstraZeneca, 3 per cento, e Moderna, 1 per cento. Insomma, su un totale di 4.118.277 dosi somministrate per tutti i vaccini, complessivamente le segnalazioni sono state 30.015 con un tasso di segnalazione di 729 ogni 100mila dosi, in aumento rispetto al primo report in cui il tasso di segnalazione era 469 ogni 100 mila iniezioni. Una incidenza anche più alta rispetto, per esempio, ai vaccini anti-influenzali. Anche se bisogna sottolineare che sui vaccini anti-Covid c'è un livello di attenzione maggiore. Per quanto riguarda l'età media delle segnalazioni è coerente con quella dei vaccinati: 46 anni. Che sono in gran parte medici e operatori sanitari. Sulla  Gazzetta Ufficiale sono state pubblicate le note dell'Agenzia italiana del farmaco per la somministrazione degli anticorpi monoclonali della Eli Lilly ai pazienti Covid. Raccomandato il trattamento in strutture sanitarie in grado di intervenire su eventuali reazioni avverse gravi. Il trattamento va effettuato non oltre i dieci giorni dall'inizio dei sintomi, si legge.

Il report dell’Aifa, 30mila segnalazioni su oltre 4 milioni di dosi somministrate. Quali sono gli effetti collaterali dei vaccini AstraZeneca, Pfizer e Moderna. Elena Del Mastro su Il Riformista l'11 Marzo 2021. C’è dibattito e preoccupazione sugli effetti collaterali dei vaccini. Le leggende metropolitane che si sono diffuse vogliono che dopo le dosi di Pfizer o Moderna non ci sono stati grossi problemi, solo qualche indolenzimento dopo la seconda dose, invece dopo AstraZeneca sono sopraggiunti febbre e dolori. Cosa potrebbe succedere dopo la seconda dose dopo 3 mesi ancora non si sa perchè ancora non ci sono vaccinati alla seconda dose (dopo 3 mesi). Di vero c’è che i vaccini sono differenti come azione, tempi di somministrazione ed età. Ma gli studi scientifici condotti fin ora confermano l’efficacia e il profilo di sicurezza. Lo certifica il nuovo report dell’Agenzia Italiana del Farmaco. Facciamo un po’ d’ordine tra i dati relativi agli effetti collaterali dei tre vaccini attualmente già in uso in Italia. GLI EFFETTI COLLATERALI – È doveroso iniziare questa disamina precisando che in ogni caso si tratta di effetti collaterali comuni a tutti i vaccini e non sono preoccupanti. Spesso basta stare a riposo e magari assumere paracetamolo per contrastare febbre e dolori. Secondo il “Rapporto sulla Sorveglianza dei vaccini Covid-19” che prende in esame i dati dal 27/12/2020 al 26/2/2021, ci sono state 729 segnalazioni di eventi avversi ogni 100mila dosi somministrate, indipendentemente da tipo di vaccino. Le segnalazioni riguardano soprattutto il vaccino Pfizer/BioNTech “Comirnaty” (96%), che è stato il più utilizzato, e solo in minor misura il vaccino Moderna (1%) e il vaccino AstraZeneca (3%). Si tratta per lo più di eventi avversi non gravi: febbre, cefalea, dolori muscolari/articolari, dolore in sede di iniezione, brividi e nausea. Solitamente gli effetti sono maggiori dopo il richiamo e compaiono o lo stesso giorno o il giorno seguente il vaccino. Secondo il report sono state complessivamente inserite nella Rete nazionale di farmacovigilanza 30.015 segnalazioni, su un totale di 4.118.277 dosi somministrate per tutti i vaccini. Il tasso di segnalazione è di 907/100.000 dosi per le donne e di 424/100.000 per gli uomini. L’età media delle persone che hanno avuto effetti indesiderati è di 46 anni. Le segnalazioni gravi sono il 6,1% del totale, con un tasso di 44 eventi gravi ogni 100mila dosi somministrate. Ma attenzione: bisogna valutare caso per caso l’eventuale causalità del rapporto tra vaccini ed effetti collaterali. Le variabili sono davvero sterminate.

PFIZER – La maggior parte degli effetti indesiderati è riferita a febbre (soprattutto dopo la seconda dose), dolore in sede di iniezione, astenia/stanchezza e brividi, classificati come non gravi nel 95% dei casi. Seguono in ordine di frequenza cefalea e parestesia, dolori muscolari e articolari diffusi, nausea e diarrea. Complessivamente sono presenti 1.700 segnalazioni gravi: febbre alta, cefalea intensa, dolori muscolari/articolari diffusi e astenia, reazioni di tipo allergico, linfoadenopatia, parestesia, tachicardia, crisi ipertensiva e paralisi facciale.

MODERNA – Per Moderna glie effetti sono simili a quelli di Pfizer: febbre, astenia/stanchezza e dolore in sede di iniezione, per il 94% non gravi. Seguono dolori muscolari e articolari diffusi, mal di testa, nausea e vomito. In 32 schede di segnalazione relative al vaccino Moderna sono riportati eventi avversi considerati gravi: febbre alta, mialgie ed artralgie diffuse.

ASTRAZENECA – Gli effetti di questo vaccino sono quelli che stanno creando più dibattito perché molti dei vaccinati hanno febbre alta, brividi, astenia/stanchezza e dolore in sede di iniezione. Il 90% di queste segnalazioni sono classificate come non gravi. Seguono dolori muscolari e articolari diffusi, mal di testa, nausea e vomito. La maggior parte delle 79 segnalazioni di eventi avversi gravi si riferisce a febbre alta, tremore, vertigine, sudorazione eccessiva, sonnolenza, difficoltà di respirazione, dolore generalizzato.

DECESSI – Non ci sono casi di decesso a seguito di shock anafilattico o reazioni allergiche importanti. Al 26 febbraio 2021 sono state inserite 40 segnalazioni con esito “decesso”. Le valutazioni dei casi indicano l’assenza di responsabilità del vaccino perché si tratta di persone che presentavano patologie pregresse e che assumevano più farmaci contestualmente. L’età media dei casi ad esito fatale è di 86 anni. Sono segnalati alcuni casi di decessi legati a trombosi e cause cardiovascolari in pazienti che avevano patologie cardiovascolari pregresse.

L’anafilassi da vaccino, una reazione acuta e violenta dell’organismo verso un particolare antigene o allergene, è un evento grave, potenzialmente pericoloso per la vita e raro, che si presenta in media con la frequenza di circa 1 caso per milione, con sintomi che compaiono rapidamente a carico delle vie respiratorie o dell’apparato cardio-circolatorio, molto spesso associate a sintomi a carico della cute e delle mucose.

Con i vaccini anti- covid sono emersi alcuni casi di anafilassi. Sostanzialmente è questo il motivo per cui dopo la somministrazione bisogna rimentere 15 minuti sotto osservazione. Attualmente, in base ai dati statunitensi pubblicati, il tasso di segnalazione per i vaccini a mRna è risultato di 4,7 casi di anafilassi ogni milione di dosi somministrate per il vaccino Pfizer e 2,5 casi ogni milione di dosi per il vaccino Moderna, la maggior parte dei quali si sono verificati dopo la prima dose, entro 30 minuti dalla somministrazione, quasi totalmente nel sesso femminile e nella maggior parte dei casi, in persone con storia di allergie o reazioni allergiche ad altre sostanze o precedenti di anafilassi. Il principale imputato è stato il polietilenglicole (PEG), denominato anche macrogol, una delle componenti presenti nei lipidi che avvolgono l’mRna.

Da fine dicembre a fine febbraio sono state inserite 25 segnalazioni di casi di shock/reazione anafilattico/anafilattoide, tutte relative al vaccino Comirnaty. Al momento non sono state inserite segnalazioni di anafilassi/shock anafilattico ai vaccini Moderna e AstraZeneca, verosimilmente in relazione al limitato numero di dosi somministrate.

COME AFFRONTARE GLI EFFETTI COLLATERALI – “Come si evince dal report di Aifa la quasi totalità delle reazioni avverse segnalate per i tre vaccini in commercio non sono gravi e si risolvono in brevissimo tempo — sottolinea Gianluca Trifirò, professore ordinario di Farmacologia all’Università di Verona, membro dell’Unità di crisi Covid-19 della Società Italiana di Farmacologia e dell’Advisory Board dell’International Society of Pharmacovigilance intervistato dal Corriere della Sera — In generale, si può raccomandare l’utilizzo di paracetamolo in caso di febbre e di antinfiammatori steroidei per il trattamento di dolori osteomuscolari. In caso di febbre elevata e persistente, nonostante i suddetti trattamenti, o altri disturbi invalidanti è necessario contattare il proprio medico curante”.

Insegnante morta dopo il vaccino, indagati due medici. Gli inquirenti hanno iscritto il cardiologo e il medico di base nel registro degli indagati per la morte dell'insegnante avvenuta 3 giorni dopo il vaccino. Francesca Galici - Lun, 08/03/2021 - su Il Giornale. Annamaria Mantile è morta 3 giorni dopo aver ricevuto la prima dose del vaccino. Aveva 62 anni e rientrava tra gli aventi diritto al vaccino indicati dalla Regione Campania, in quanto insegnante. I suoi funerali si sono svolti domenica 7 marzo, nel pieno rispetto delle norme contro il contagio da coronavirus, alla presenza dei suoi alunni e delle colleghe dell'istuto comprensivo Cesare Pavese. Era un'amatissima insegnante di inglese e il 27 febbraio aveva ricevuto la prima dose del vaccino AstraZeneca. Dopo 2 ore dalla somministrazione erano sopraggiunti i primi sintomi, fino a che non è deceduta il 2 marzo. Dolori addominali, nausea e problemi respiratori sono comparsi quasi subito in Annamaria Mantile, per la cui morte ora la Procura di Napoli ha aperto un fascicolo con l'ipotesi di reato colpa medica. Ora dovranno essere gli investigatori a stabilire le cause delle morte dell'insegnante. Sarà importante capire se i protocolli sono stati rispettati nella somministrazione e se, soprattutto, esiste un nesso di correlazione tra il vaccino e il decesso. Intanto, gli ultimi due medici ad aver avuto in carico l'insegnante sono stati iscritti nel registro degli indagati. Si tratta del medico di base, che è stato contattato dalla donna il sabato prima del decesso, e il cardiologo che ha visitato la donna il 2 marzo. Il primo medico le aveva prescritto una flebo di reidratazione e le aveva consigliato l'assunzione di un antispastico per contrastare i forti dolori addominali. Il secondo, invece, dopo la visita non aveva rilevato nessuna problematica cardiaca. Stando a quanto emerge dalla storia clinica di Annamaria Mantile, non risulterebbero diagnosi di pregresse malattie croniche. La famiglia dell'insegnante ha nominato 4 consulenti e lo stesso ha fatto la Procura di Napoli. "L'incarico peritale è un quesito molto ampio, riguarda dal momento dell'inoculazione del vaccino a quello del decesso. Si dovranno individuare le cause della morte e capire se ci sono delle responsabilità, se sono stati adottati tutti i protocolli previsti come, in questo caso, se siano stati attesi i tempi indicati per verificare eventuali reazioni avverse", ha spiegato a Fanpage il legale della famiglia di Annamaria Mantile, l'avvocato Marcello Severino. Intanto si attendono gli esiti del'autopsia, che è stata eseguita sabato e i cui risultati dovrebbero arrivare entro i prossimi 60 giorni. Al momento non è da escludere nessuna ipotesi e non si può attribuire la causa al vaccino, anche se la vicinanza tra la somministrazione, la comparsa dei sintomi e il decesso, apre qualche dubbio. Dietro ci potrebbero essere malattie pregresse mai diagnosticate oppure un'intolleranza della docente. Intanto gli esperti rassicurano e placano gli allarmismi sulla sicurezza dei vaccini.

Muore dopo il vaccino, l’autopsia "scagiona" AstraZeneca: la prof Mantile scomparsa per un infarto intestinale. Fabio Calcagni su Il Riformista il 10 Marzo 2021. La professoressa Annamaria Mantile, docente scomparsa a 62 anni lo scorso 2 marzo a Napoli, come si sospettava non è deceduta per le conseguenze della vaccinazione, ricevuta quattro giorni prima al Vaccine Center della Mostra D’Oltremare. La morte della prof. Mantile aveva colpito il quartiere Vomero, dove viveva e insegnava inglese all’Istituto Comprensivo Pavese. Un decesso che aveva fatto discutere e ‘alzare la testa’ ad un vasto universo di no-vax che avevano collegato la sua improvvisa scomparsa alla somministrazione del vaccino avvenuta pochi giorni prima. Già in un primo momento non erano state riscontrate correlazione tra i due eventi, ma l’inchiesta aperta dopo la denuncia dei familiari ha chiarito ogni ulteriore dubbio. Come scrive Il Mattino, la tragica scomparsa è stata causata da un infarto intestinale improvviso mentre la professoressa era nella sua abitazione, seguito ad un prolungato stato di malessere accompagnato da vomito biliare e alimentare. Questo il risultato dell’autopsia, che ha escluso quindi qualsiasi correlazione col vaccino AstraZeneca, svolta presso la sala settoria giudiziaria dell’ospedale di Giugliano. A svolgere l’esame un collegio di periti nominati dalla Procura di Napoli dopo la denuncia sporta dai familiari della donna. Fatale per la professoressa Mantile, secondo quanto emerso dall’esame svolto dal collegio formato da Pietro Tarsitano, direttore dell’Unità operativa complessa di Medicina legale dell’azienda ospedaliera Cardarelli di Napoli, Antonio Perna, anatomo e istopatologo, Francesco Diurno, rianimatore nonché cardiologo e Giuseppe Morelli, Infettivologo dirigente dell’azienda ospedaliera dei Colli, è stato lo shock emorragico e arresto cardiocircolatorio conseguente una “ernia strozzata”. Nei giorni scorsi, di fatto come passaggio obbligato, due medici che aveva contattato Mantile sono stati iscritti nel registro degli indagati: si tratta del medico di base che è stato contattato dalla donna il sabato prima del decesso, e il cardiologo che ha visitato la donna il 2 marzo. Un passaggio a tutela degli stessi medici potenzialmente interessati a farsi rappresentare da un consulente durante l’esame autoptico.

Si era vaccinata settimane fa. Il dramma di Ilaria Pappa, la giovane prof morta al Cardarelli: “Malattia improvvisa e devastante”. Redazione su Il Riformista il 24 Marzo 2021. Una professoressa di 31 anni, Ilaria Pappa, è deceduta nella serata di martedì 23 marzo all’ospedale Cardarelli di Napoli alcune settimane dopo aver ricevuto la prima dose del vaccino AstraZeneca, il 28 febbraio scorso. La donna, in servizio presso la scuola Mennella di Ischia, è stata ricoverata il 16 marzo scorso nel reparto di Neurologia e 48 ore dopo, in seguito a un arresto cardiaco, è stata trasferita nel reparto di terapia intensiva. Dal 20 marzo era in coma farmacologico. Secondo quanto riporta TeleIschia, la professoressa sarebbe deceduta per una trombo-embolia. Il ricovero si è reso necessario – spiega il giornale isolano – a causa della creazione di un embolo. Le condizioni sono peggiorate con il passare dei giorni fino al drammatico epilogo avvenuto nella serata di martedì 23 marzo. Dagli ambienti sanitari si apprende che la docente aveva già avuto un episodio di ictus ischemico. Nella nota diffusa dalla scuola “Cristofaro Mennella” si legge che la donna “era ricoverata da alcuni giorni per un’improvvisa e devastante malattia”. Al momento, tuttavia, è esclusa qualsiasi correlazione tra la morte ed il vaccino effettuato nelle scorse settimane. Ilaria Pappa era sposata con un altro docente, in servizio sull’isola di Procida. “Un gravissimo lutto ha purtroppo colpito ieri sera  la nostra scuola: la professoressa Ilaria Pappa è deceduta al  Cardarelli di Napoli, dove era ricoverata da alcuni giorni per un’improvvisa e devastante malattia. Ha lottato per ritornare tra noi, per riabbracciare il suo Salvatore e la sua famiglia, per rivedere i suoi alunni…ma non ce l’ha fatta. In questi giorni di terribile attesa abbiamo pregato e sperato per lei ma, nonostante la sua giovane età, ieri sera è volata in cielo. Ilaria veglierà adesso come un angelo sulle nostre vite”.  Queste le parole della Dirigente Giuseppina Di Guida,  la DSGA, i docenti, il personale ATA , i genitori e gli studenti del “Cristofaro Mennella” sono affranti ed esprimono il loro profondo cordoglio al prof. Salvatore Meglio  e a tutta la famiglia dell’ indimenticabile Ilaria. “Che l’immenso dolore da cui siamo travolti possa trasformarsi in un’infinita preghiera per chi da oggi sarà più solo. Che la terra ti sia lieve, carissima Ilaria…non ti dimenticheremo”.

Bologna, l’autopsia del docente morto dopo il vaccino esclude un nesso con AstraZeneca. Redazione martedì 23 Marzo 2021 su Il Secolo d'Italia. Secondo la procura di Bologna non c’è nessun legame tra la vaccinazione con Astrazeneca e la morte di Giuseppe Morabito, il professore deceduto nel bolognese, una decina di giorni dopo la somministrazione del vaccino. “I consulenti tecnici, all’esito dell’autopsia, hanno comunicato l’insussistenza di evidenze di una correlazione fisiopatologica causale tra il decesso e la somministrazione di vaccino Astrazeneca. L’esito dell’autopsia ha peraltro fatto rilevare che il deceduto era portatore di infezione da Sars – Cov -2. Gli esami vanno ulteriormente suffragati, ma allo stato, come riferito, non sono emersi legami tra la morte e la somministrazione del vaccino”, si legge nella nota a firma del procuratore distrettuale, Giuseppe Amato. La morte di Giuseppe Morabito aveva destato molta apprensione nell’opinione pubblica. I colleghi lo hanno dipinto come un docente dedito alla missione dell’insegnamento, che aveva rifiutato anche di prendersi un giorno di riposo dopo la somministrazione del vaccino. Nessuno inoltre sospettava che il docente fosse colpito dal Covid, come è emerso dall’autopsia. L’esito dell’autopsia riabilita dunque il vaccino AstraZeneca che va considerato, afferma il virologo Andrea Crisanti, sicuro e efficace. “Quello di AstraZeneca è un vaccino anti-Covid dato ormai a decine di milioni di persone – ha detto Crisanti – e ha già dimostrato la sua efficacia. In Gran Bretagna, dove è stato usato in maniera massiva, si è passati da oltre mille morti quotidiani (anche 1.800 nei giorni più bui di gennaio) a una decina attuali. I risultati sono sotto gli occhi di tutti, direi”.

Bidello del Napoletano muore dopo il vaccino, sequestrata la salma. L'uomo, 58 anni, sarebbe morto dopo aver ricevuto la prima dose di vaccino. Ma in passato aveva già avuto problemi cardiovascolari. Rosa Scognamiglio - Gio, 11/03/2021 - su Il Giornale.  Un uomo di 58 anni, Vincenzo Russo, sarebbe morto dopo aver ricevuto la prima dose del vaccino AstraZeneca. L'uomo, che lavorava come bidello presso l'Istituto Comprensivo Viviani di Casalnuovo, nel Napoletano, è deceduto a soli 3 giorni dall'inoculazione. Stando a quanto si apprende da fonti a vario titolo, Vincenzo Russo, 58enne di Acerra (Napoli), sarebbe morto dopo la prima somministrazione del vaccino Astrazeneca. L'uomo, che aveva ricevuto l'inoculazione lunedì scorso alla Mostra d'Oltremare, è decuto alla clinica Villa dei fiori dov'era ricoverato da qualche giorno. Al fine di chiarire la dinamica del decesso, i pm partenopei hanno sequestrato la salma per eseguire le indagini di rito ed accertare eventuali responsabilità del caso. Anche in questa circostanza, come per l'insegnate 62enne deceduta la scorsa settimana dopo la vaccinazione (notizia poi smentita), si cercheranno di capire se esistono correlazioni tra la morte e la somministrazione della dose. Gli agenti del commissariato di Acerra hanno proceduto al recupero della salma dopo la denuncia dei familiari del 58enne. L'uomo avrebbe avvertito i primi dolori, intestinali pare, già a poche ore dalla inoculazione. Secondo quanto apprende l'agenzia stampa Agi, Vincenzo soffriva di problemi cardiovascolari e, in passato, aveva avuto anche una trombosi venosa. Nel caso dell'insegnante, l'autopsia ha escluso la correlazione, attribuendo la causa della morte a una occlusione intestinale non riconosciuta. Stando a quanto riferisce NapoliToday.it, Vincenzo si era sottoposto al vaccino lunedì scorso e, subito dopo, avrebbe annunciato con un post su Facebook di aver ricevuto l'inoculazione: "Vaccino fatto, - avrebbe scritto -inizia il dolore al braccio speriamo bene". Tanti i messaggi di cordoglio in queste ore: "Come si fa adesso senza di te? Dimmi tu Vincenzo. Ti porteremo sempre con noi. Riposa in pace amico mio, anzi il mio fratello grande. Ti voglio bene"; o ancora "Quanto dolore hai lasciato Vincenzo, non esistono parole per dirti che ci manchi tantissimo. Rimbomba la tua voce che mi chiamava. Ovunque tu sia Proteggi la tua famiglia che ti ama tantissimo R.I.P".

Annamaria, Stefano e gli altri morti dopo il vaccino. Un destino strano quella che accomuna Annamaria Mantile, insegnante campana di 62 anni, e Vincenzo Russo, 58enne acerrano. Entrambi avrebbero ricevuto la prima somministrazione del siero Astrazeneca al Vaccine Center della Fiera d'Oltremare ed entrambi sono morti a 3 giorni dalla inoculazione. Annamaria, stando a quanto avrebbe rivelato l'esito dell'esame autoptico, non sarebbe morta però a causa del vaccino. A stroncare la 62enne, invece, sarebbe stato un infarto intestinale a seguito di grave occlusione alle vie biliarie. Tuttavia, sia l'operatore scolastico che l'insegnante avrebbero manifestato sintomi analoghi dopo l'inoculazione riportando, ambedue, dolori addominali lancinanti e vomito. Ad ogni modo, anche nel caso di Vincenzo, una prima indagine escludere l'ipotesi di complicazioni vaccinali. Il 58enne sarebbe deceduto per via di un arresto cardiovascolare: già in passato era stato vittima di una trombosi. C'è poi un altro caso che ha gettato ombre sul siero AstraZeneca. È quello di Giuseppe Maniscalco, vice maresciallo dei carabinieri di soli 54 anni. Il militare aveva accusato un malore poche ore dopo l'inoculazione salvo poi morire il giorno successivo. L'autopsia ha escluso eventuali effetti collaterali del vaccino ma la procura di Trapani, su richiesta dei familiari della vittima, ha avviato un fascicolo per chiarire la dinamica del decesso. Ancora più clamore ha suscitato la morte di Stefano Paternò, 43 anni, sottufficiale della Marina ad Augusta deceduto nella mattina dell'8 marzo dopo un arresto cardiaco nella sua abitazione di Misterbianco. La procura di Sicura ha aperto un fascicolo per omicidio colposo: 10 medici sono stati iscritti nel registro degli indagati.

Militare morto dopo vaccino, parla la moglie: "Stava benissimo". (Adnkronos 14/3/2021)

''Mio marito era contento di vaccinarsi. Mio marito stava benissimo, non soffriva di nulla''. Lo ha detto Caterina Arena, moglie di Stefano Paternò, il militare di 43 anni morto in Sicilia a 'Non è l'Arena'. ''Ha fatto il vaccino lunedì mattina alle 10. Siamo tornati a casa verso le 17, era una giornata semplice - ha aggiunto - Mentre stavamo tornando a casa ha avvertito qualche brivido. A casa si è misurato la febbre, aveva 39. Ha mangiato, ha preso una tachipirina ed è andato al letto. Dopo un’ora la temperatura si era abbassata fino a 36,5. Si è alzato, stava benissimo, si è messo accanto a mio figlio che stava facendo un disegno. Poi siamo andati a dormire verso le 23-23.30’’. “Intorno alle 2 mi sono svegliata perché ho sentito uno strano russare, lui si è irrigidito - ha spiegato - Ho cercato di scuoterlo, aveva gli occhi fissi. Ho chiamato il 118, mi hanno detto subito cosa fare. Dopo circa 15 minuti è arrivata l’ambulanza, i medici hanno praticato il massaggio cardiaco. Dopo 45 minuti circa hanno detto che era deceduto”.

Non è l'Arena, la moglie di Stefano Paternò: "Così è morto dopo il vaccino AstraZeneca". Libero Quotidiano il 15 marzo 2021. Qualcosa non torna nella morte del militare Stefano Paternò avvenuta dopo il vaccino. A raccontare quanto di più tremendo accaduto è la moglie Caterina Arena, ospite a Non è l'Arena. “ll momento più buio è la notte, quando sto insieme ai miei figli che mi chiedono perché è morto il papà e che mi supplicano di non andare via anche io. Questo è il momento più brutto della giornata. Dobbiamo aspettare l’autopsia, ma era una persona sana ed era contento di vaccinarsi, anzi invitava tutti a farlo”, dice la donna che ha perso il marito colpito da arresto cardiaco dopo il vaccino AstraZeneca. La donna alle telecamere di Massimo Giletti parla della notte che gli ha strappato per sempre Stefano: “Dopo il vaccino siamo andati a prendere nostro figlio all’allenamento, quando stavamo tornando a casa ha detto che avvertiva brividi di freddo, si è misurato la temperatura e la febbre era 39, gli ho detto di mangiare qualcosa e prendere la Tachipirina, così ha fatto ed è andato a letto. Dopo un’ora la temperatura era 36.5, si è alzato e si è messo a guardare un disegno tecnico con mio figlio, chattava con i colleghi e i cugini, stava benissimo, era tranquillo. Alle 23-23.30 siamo andati a letto, abbiamo parlato un po’ e stava bene. Non aveva allergie, non soffriva di nulla, era sano”. Poi qualcosa però è cambiata. “Dopo essere andati a letto - racconta ancora Caterina su La7 nella puntata del 14 marzo -, intorno alle due sento un russare forte, non è il rumore solito, è diverso, vedo che si irrigidisce tutto, lo chiamo, ma non risponde, ha gli occhi aperti però guarda nel vuoto. Capisco che la situazione è grave, chiamo mio fratello che vive al piano di sopra e chiamo il 118. Faccio il massaggio cardiaco come mi dice l’operatrice, dopo 15 minuti arriva l’ambulanza e i medici lo soccorrono, ma dopo 45 minuti dicono che non ce l’ha fatta e che era deceduto. Sono qui per dare una risposta alle domande dei miei figli, lo devo a loro e a me. Perché è morto, è una risposta che dobbiamo avere tutti”. Il lotto del vaccino anti-Covid è stato successivamente ritirato, anche se è ancora in corso l'autopsia sul corpo del militare.

L'uomo ha ricevuto la prima dose domenica. Le verifiche: "Nessuna reazione avversa". Napoli, bidello muore dopo vaccino Astrazeneca: “Accertamenti su tutti i pazienti del lotto bloccato”. Redazione su Il Riformista l'11 Marzo 2021. E’ morto tre giorni dopo aver ricevuto la prima dose del vaccino Astrazeneca. Sarà ora l’autopsia a fare chiarezza sul decesso di Vincenzo Russo, 58enne collaboratore scolastico nell’istituto Viviani di Casalnuovo (Napoli) e residente ad Afragola, scomparso mercoledì mattina, 10 marzo, alla clinica Villa dei Fiori di Acerra. Tre giorni prima, domenica 7 marzo, si era vaccinato. Successivamente aveva accusato i primi fastidi. “Vaccino fatto, inizia il dolore al braccio speriamo bene” aveva scritto sui social poche ore dopo. Poi tra lunedì e martedì le sue condizioni di salute sono peggiorate rendendo necessario il ricovero in ospedale. La moglie ha spiegato ai medici che il marito ha accusato spasmi intestinali e nausea. Russo soffriva di problemi cardiovascolari e in passato aveva avuto una trombosi venosa. L’anno scorso era stato costretto a rivolgersi alle cure dei medici a causa di una trombosi venosa. “In base alle analisi e agli accertamenti che abbiamo fatto  – spiegano i sanitari della clinica Villa dei Fiori al Mattino – non possiamo ricondurre la morte a complicazioni dovute ai problemi cardiovascolari del paziente. Russo poco prima di morire aveva i globuli bianchi a un livello altissimo ma non aveva nessuna infezione. La sua situazione è precipitata in pochissimo tempo”. Sarà dunque l’autopsia a fare chiarezza sulle cause del decesso così come è avvenuto per Annamaria Mantile, la docente scomparsa a 62 anni lo scorso 2 marzo a Napoli. Come si sospettava la donna non è deceduta per le conseguenze della vaccinazione, ricevuta quattro giorni prima al Vaccine Center della Mostra D’Oltremare. La morte è stata attribuita a uno shock emorragico e arresto cardiocircolatorio conseguente una “ernia strozzata”.

GLI ACCERTAMENTI: BLOCCATE POCHE DOSI – Intanto l’Unità di Crisi della Regione Campania sta svolgendo controlli su tutti i pazienti che hanno ricevuto dosi di vaccino dal lotto di Astrazeneca ABV2856 bloccato dall’Aifa. Si stanno rintracciando le persone a cui è stato somministrato, che vengono contattate per conoscere le loro condizioni e le reazioni che hanno avuto al vaccino. Dai primi riscontri che stanno arrivando, spiega una fonte dell’Unità di Crisi all’Ansa, sembrerebbe che non ci sia quasi nessun caso di reazione avversa se non di lieve entità, “ma è chiaro che siamo all’inizio”. Su tutte le persone che sono state vaccinate con dosi del lotto sospetto verrà avviata una sorveglianza medica. La somministrazione delle dosi rimanenti del lotto resta sospesa. I carabinieri del Nas di Napoli si sono recati nei padiglioni della Mostra d’Oltremare a Napoli, dove è stato allestito il centro vaccinale, per sequestrare una partita di vaccini facente parte del lotto ABV2856 bloccato da Aifa.

NESSUNA REAZIONE AVVERSA – Al momento sono state bloccate poche quantità ancora disponibili del lotto del vaccino Astrazeneca in questione. Stando a quanto apprende Il Riformista, relativamente alle dosi somministrati non è stato registrato, per ora, nessun evento avverso. 

VIGILE: “HO AVUTO DOSE RITIRATA, C’E’ PAURA” – “Mi hanno somministrato lunedì la dose di vaccino AstraZeneca, appartenente al lotto ritirato. E tra i colleghi c’è molta preoccupazione”. Lo racconta a LaPresse Armando D’Amato, un vigile urbano di Napoli, dell’Unità operativa di Fuorigrotta. “Mi sono vaccinato lunedì – spiega -, all’ospedale San Giuliano di Giugliano in Campania, Asl Napoli 2 Nord. Con me c’erano altri colleghi. Oggi dopo aver letto della notizia del ritiro del lotto AstraZeneca mi sono reso conto che era la stesso che mi hanno somministrato”. D’Amato mostra la ricevuta rilasciata dall’Asl, dove si evince il numero del lotto ABV2856, ritirato a scopo cautelativo dall’Aifa. “Io per fortuna – dice il poliziotto municipale – so quale lotto mi è stato somministrato, altri colleghi, quelli che hanno effettuato il vaccino all’Asl Napoli 1, alla Mostra d’Oltremare, non hanno avuto nessuna ricevuta”. “Sulle chat dei vigili – rimarca D’Amato – c’è grande preoccupazione, perché molti non sanno neanche se hanno ricevuto la dose ‘incriminata’; altri invece hanno paura e non vogliono più farsi vaccinare”. D’Amato poi sottolinea come per precauzione abbia subito allertato il suo cardiologo: “Sono stato tranquillizzato dal mio medico, al momento ho solo alcuni effetti collaterali, come decimi di febbre, dolore alle ossa e spossatezza”. L’Unità di crisi regionale ha intanto comunicato che sta svolgendo controlli su tutti coloro ai quali è stata somministrata la dose AstraZeneca appartenente al lotto ritirato. “Io non sono stato contattato da nessuno e neanche i tre colleghi che erano con me lunedì mattina” conclude D’Amato.

Il pm Bono e l’indagine sul militare morto in Sicilia: «Troppe fake news…». Parla il sostituto della procura di Siracusa che ha scelto di vaccinarsi dopo il caso. Giovanni M. Jacobazzi su Il Dubbio il 13 marzo 2021. «Gli indagati sono solo quattro, non sono mai stati ventuno: qualcuno avrà fatto “confusione” con il modello 21 (registro delle persone sottoposte a indagine presso la Procura, ndr)». Gaetano Bono, pm a Siracusa, contattato ieri dal Dubbio, mette ordine nel caos informativo seguito alla morte, martedì scorso, di Stefano Paternò, 43 anni, il maresciallo della Marina militare di base ad Augusta, deceduto martedì mattina per un arresto cardiaco nella sua abitazione a Misterbianco (Catania). Il giorno prima Paternò si era sottoposto alla prima dose di vaccino Astrazeneca, il cui lotto è stato ritirato poi dall’Aifa su disposizione della Procura siciliana. «Ho effettuato le iscrizioni giovedì sera», puntualizza Bono, titolare del fascicolo per la morte del maresciallo insieme al procuratore Sabrina Gambino. «L’indagine», aggiunge il pm, «doveva rimanere riservata». Al momento gli indagati sono quattro: l’amministratore delegato di Astrazeneca Italia Lorenzo Wittum, un medico e un infermiere dell’ospedale militare di Augusta dove è avvenuta l’inoculazione, e un medico del 118 intervenuto la notte successiva in casa del militare e che ha tentato senza successo di rianimarlo per circa quarantacinque minuti. L’accusa per tutti è quella di omicidio colposo. I familiari del maresciallo hanno incaricato propri legali di presentare denuncia in Procura. Oggi pomeriggio è in programma l’autopsia all’ospedale Cannizzaro di Catania. I pm siracusani hanno nominato un pool di consulenti. Accanto al medico legale, ci sono un ematologo esperto di trombosi, uno specialista in tossicologia medica e uno in malattie infettive. Altri esperti verranno nominati dagli indagati e dai familiari del sottufficiale. «Dall’esame autoptico ci aspettiamo molte risposte sulla causa del decesso», fanno sapere gli inquirenti.

I PM E LA SCELTA DI VACCINARSI. Alla notizia dell’indagine della Procura di Siracusa, circa 7.000 persone in Sicilia hanno immediatamente disdetto l’appuntamento vaccinale programmato per questa settimana. Ma per mandare un messaggio rassicurante, i magistrati siciliani hanno quasi tutti fatto già il vaccino. «Riteniamo come dovere di cittadini che l’impegno a favore della campagna di vaccinazione sia prioritario», spiega Gambino. Che aggiunge: «Io l’ho fatto mercoledì pomeriggio, mentre il mio sostituto, il pm Bono, lo ha fatto anche prima di me. «Gli allarmismi non sono giustificati. Al momento non c’è una evidenza sulla causa della morte del maresciallo», ha poi aggiunto Bono.

L’indagine dopo la morte del poliziotto di Catania. Per Zuccaro AstraZeneca è sicuro poiché nessun magistrato vaccinato ha avuti effetti avversi. Carmine Di Niro su Il Riformista il 18 Marzo 2021. Il vaccino di AstraZeneca? È sicurissimo, e la “fermezza di tale convinzione” è dimostrata dal fatto che “lo scrivente e la stragrande maggioranza dei magistrati e del personale di questo ufficio si sono recati a ricevere la somministrazione del predetto vaccino quando già si stava procedendo per accertare le cause di alcuni dei predetti eventi“. Sono le parole che firma in una nota ufficiale il procuratore di Catania Carmelo Zuccaro, titolare del fascicolo di inchiesta aperto dopo la morte dell’agente di polizia Davide Villa, deceduto il 7 marzo scorso, 12 giorni dopo la somministrazione del vaccino anglo-svedese. Zuccaro e la procura catanese indagano in particolare per il reato 443 c.p (“Commercio o somministrazione di medicinali guasti o imperfetti”). Per Zuccaro dunque la dimostrazione che il farmaco non produca effetti avversi gravi sta nel fatto che, prima che emergesse questa ipotesi e prima della sospensione del vaccino, lui e i suoi colleghi si siano fatti vaccinare con lo stesso vaccino. Una teoria curiosa: se ne potrebbe dedurre quasi che, se fosse capitato qualcosa a Zuccaro o agli altri magistrati vaccinati, le conclusioni sarebbero state opposte. Nella nota diffusa dalla procura catanese si legge dunque che per Zuccaro “non constano elementi che consentano di ipotizzare che gli eventi sui quali sta indagando siano sintomatici di un pericolo nell’utilizzo del vaccino di AstraZeneca e neanche di alcuni lotti del medesimo, da parte della generalità dei soggetti nei cui confronti tale utilizzo è consentito”. Sul caso del decesso dell’agente Villa “i primi accertamenti medici effettuati, seppur parziali rispetto ai quesiti proposti, consentono di affermare che, in base alle caratteristiche genetiche riscontrate in relazione ai quesiti proposti, non sussistono fattori genetici predisponenti ad eventi trombotici a carico del Villa, mentre invece dalla storia clinica pregressa dello stesso risulta che questi rientrava nelle categorie per le quali è raccomandata la somministrazione di un diverso vaccino. Ciò tuttavia non comporta di per sé l’esistenza di un nesso di causalità tra la somministrazione del vaccino di AstraZeneca e il decesso del Villa”. Quanto alla “causa mortis”, l’accertamento viene quindi demandato alla procura di Messina, competente per il procedimento giudiziario.

Fabio Albanese per "la Stampa" il 27 maggio 2021. «È morto per una tempesta citochinica». Il procuratore di Siracusa, Sabrina Gambino, ha appena ricevuto la perizia medico-legale sul decesso, avvenuto 15 ore dopo la somministrazione del vaccino AstraZeneca, del sottufficiale della Marina militare Stefano Paternò: «I periti hanno accertato un rapporto di causa-effetto tra l' inoculazione del vaccino e il decesso - spiega Gambino - e questo perché aveva sviluppato una risposta immunitaria già con il Covid, contratto da asintomatico, e che il vaccino ha ulteriormente aumentata fino a provocare una reazione antinfiammatoria dell' organismo molto violenta che ha causato lo stress respiratorio».  Quello di Paternò fu uno dei primi casi di morti sospette in Sicilia dopo la vaccinazione con AstraZeneca e portò anche al sequestro su tutto il territorio nazionale del lotto ABV2856 con cui l'uomo era stato vaccinato l'8 marzo nell' ospedale militare di Augusta. Ieri, dopo gli esami condotti in Olanda su 250 campioni e analizzati pure dall' Istituto superiore di Sanità, il lotto è stato dissequestrato dal pm titolare dell'inchiesta, Gaetano Bono, e tornerà adesso a disposizione dei centri vaccinali di mezza Italia. Per tre delle quattro persone indagate per omicidio colposo, la procura si appresta a chiedere al gip l'archiviazione: un medico e un infermiere dell'ospedale militare di Augusta che si occuparono della vaccinazione di Paternò e il medico del 118 che la notte successiva tentò inutilmente di rianimarlo, nell' abitazione di Misterbianco, alle porte di Catania, dove il militare viveva con la moglie e i due figli di 11 e 14 anni. Il quarto indagato è l'amministratore delegato di AstraZeneca Italia, Lorenzo Wittum. Stando alla procura di Siracusa, il vaccino avrebbe insomma amplificato la risposta immunitaria che Paternò aveva già, senza saperlo, per via del Covid contratto da asintomatico, e dunque senza nemmeno saperlo. Non a caso la famiglia ha sempre detto che «Paternò stava benissimo». «Le linee guida del vaccino - chiarisce il procuratore Gambino - dicono che se hai avuto il Covid, il vaccino puoi farlo dopo almeno 4-6 mesi». Evidentemente, stando alla perizia medico-legale che il pm aveva chiesto ai consulenti medici Giuseppe Ragazzi, Marco Marietta e Carmelo Iacobello e Nunziata Barbera, il Covid invece era stato contratto da Paternò poco tempo prima di essere vaccinato. Il pm parla di una relazione anticorpale di tipo «Ade» (antibody-dependent enhancement). «Aveva valori tre volte superiori al normale», dice il procuratore che poi precisa: «Da oggi iniziano le valutazioni sulle responsabilità, ma non deve passare un messaggio allarmistico sui vaccini». «Fino ad ora avevamo detto che esisteva un nesso temporale. Ora c' è il nesso eziologico - sottolinea il legale della famiglia di Paternò, Dario Seminara -. Dalla consulenza sembrerebbe emergere che il vaccino innesta delle reazioni nel corpo umano; perché succede ad alcuni e ad altri no, ancora non si comprende». Sugli esiti dell'inchiesta è perplesso l' infettivologo catanese Bruno Cacopardo: «La tempesta citochinica è un evento imprevedibile che può svilupparsi attraverso più cause scatenanti. Credo dunque che quello su questo caso sia un collegamento quanto meno incauto, perché non si può dimostrare. E cito uno studio recente secondo cui l' Ade è raramente legata ai vaccini anti-Covid, molto meno di quanto lo sia con i vaccini che facevamo da ragazzi».

Carlo Nordio contro la magistratura: "Troppi poteri, un pm può indagare chi vuole anche senza una prova di reato". Libero Quotidiano il 18 marzo 2021. Il potere esorbitante delle procure ha un limite? No, secondo Carlo Nordio, ex Procuratore di Venezia con alle spalle una lunghissima carriera in magistratura. Nordio esprime i suoi malumori in un'intervista rilasciata a ItaliaOggi, in cui parla del ruolo dei procuratori, in particolare nelle recenti complicazioni emerse dal vaccino AstraZeneca, che hanno portato alla morte di alcuni assistiti. "Un pubblico ministero può indagare chi vuole e come vuole, anche senza la prova che esista un reato" dice Carlo Nordio. "In teoria un reato potrebbe esistere a monte, nella produzione o nella conservazione del vaccino, ma non a carico di chi lo somministra. In tal caso, esiste la scriminante dell'adempimento di un dovere, perché tale è il compito del sanitario. "Il procuratore di Siracusa ha iscritto sul registro degli indagati dieci persone in seguito alla morte di un ufficiale della marina, avvenuta dopo l'inoculazione del vaccino. Si tratta di un atto formalmente legittimo, ma di un eccesso di formalismo, che non tiene conto dei danni che produce" continua l'ex Procuratore "l'informazione di garanzia, come dice la parola stessa, è spedita a garanzia di chi la riceve. Ma è anche vero che di fatto si è trasformata in una condanna anticipata, basti pensare che la politica se ne serve per chiedere il famoso “passo di lato” in attesa della fine delle indagini. Un pubblico ministero dotato di buon senso, dovrebbe andarci cauto prima di iscrivere qualcuno nel registro degli indagati". Per far partire un'inchiesta per omicidio colposo e iscrivere qualcuno nel registro degli indagati, non serve un fondato rispetto? Viene domandato a Nordio. "No, un pm può indagare chi vuole e come vuole, anche senza la prova che esista un reato" risponde "Alcuni Pm, per eccesso di zelo, iscrivono sul registro tutti gli intervenuti, dai medici del pronto soccorso al rianimatore finale, tanto poi si vedrà. Intanto i poveri 'garantiti' devono andare dall'avvocato, perdono la serenità e sono indotti a praticare la nota medicina difensiva". "Purtroppo è facilissimo avviare un'inchiesta. Ogni Procura ha centinaia di 'fascicoli virtuali', cioè degli esposti che si riferiscono ai fatti più diversi. E da lì pesca se e quando vuole. Poi esiste il 'fascicolo clonato', cioè quello che il Pm estrae dalle sue stesse indagini, creandone di nuove ed estendendole ad altri soggetti. Questo in nome dell'obbligatorietà dell'azione penale, che in realtà è diventata arbitraria e conferisce ai Pm un potere enorme, e senza responsabilità. A meno che non trovi un altro Pm, determinato come lui, che lo indaghi a sua volta" conclude.  

"Non escluso l'errore umano" Cosa ha ucciso il militare dopo il vaccino? Il pm ha sottolineato che finora non c’è nessuna correlazione evidente tra vaccino e decesso. Continuano le indagini. Valentina Dardari - Gio, 11/03/2021 - su Il Giornale. Per la morte del militare 43enne, morto il giorno seguente aver ricevuto la prima dose di vaccino AstraZeneca, i Nas di Catania, su delega della Procura di Siracusa, hanno avviato le indagini sulle possibili cause che hanno portato al decesso del sottufficiale della Marina militare ad Augusta, Stefano Paternò. I carabinieri del Nas stanno accertando eventuali responsabilità sull'intera filiera, e quindi dalla realizzazione del vaccino, continuando con la distribuzione sul territorio, il trasporto, la conservazione, per arrivare poi alla somministrazione finale e, per ultimo, a un eventuale errore umano. Quest’ultimo, come sottolineato dal pm di Siracusa Gaetano Bono che coordina l'inchiesta con la Procuratrice Sabrina Gambino, non può essere escluso. Bono ha spiegato che “non si può escludere anche l'errore umano, occasionalmente uno sbaglio nella somministrazione, o uno sbaglio a vari livelli di responsabilità. Fare fughe in avanti è sbagliato, non si devono fare. Per precauzione si è deciso di sequestrare tutti i lotti sospetti per evitare che una sola persona potesse riportare danni gravi, siccome non lo sappiamo bisogna farlo precauzionalmente". I carabinieri stanno quindi indagando a 360 gradi senza tralasciare eventuali responsabilità. In attesa dell’esame autoptico sul corpo del militare morto il 9 marzo, ci sarebbero una decina di indagato "come atto dovuto per un accertamento". "Domani sarà affidato l'incarico al medico legale", spiega all'Agi Gambino.

Cosa è successo. Ricordiamo che Paternò viveva a Misterbianco, in provincia di Siracusa, con la moglie e due figli. Il mattino di lunedì 8 marzo il militare aveva ricevuto la prima dose del vaccino AstraZeneca . Il 43enne non avrebbe avuto reazioni avverse subito dopo la somministrazione del siero, né problemi nel corso della giornata. La sera però, quando si trovava nella sua abitazione, avrebbe iniziato a stare male e ad avere febbre alta che non è calata neanche attraverso i farmaci. Dopo poche ore il padre di famiglia è morto per arresto cardiaco. Come scritto dai familiari nell'esposto presentato in Procura: “Immediatamente dopo la somministrazione il nostro congiunto, tornato nella sua casa di Misterbianco, accusava uno stato di malessere generale, caratterizzato da un rialzo febbrile: donde la somministrazione di Tachipirina 1000”.

Il militare aveva ricevuto il lotto ritirato. Il vaccino somministrato al militare deceduto sarebbe stato dello stesso lotto di cui oggi l'Aifa ha chiesto il sequestro, ABV2856, ritirato oggi su tutto il territorio italiano. Ma non sarebbe l’unico caso strano. Il procuratore di Catania Carmelo Zuccaro ha confermato a LaPresse che c'è "un terzo caso di un militare vaccinato con una dose proveniente dal lotto ABV2856 che è deceduto a Trapani". Si tratta del vicecomandante della sezione di Pg dei carabinieri Giuseppe Maniscalco. Sulla vicenda sta indagando la Procura di Trapani. Intanto oggi anche la Danimarca ha deciso di sospendere per almeno due settimane la somministrazione del vaccino AstraZeneca dopo aver riscontrato problemi di coagulazione in alcuni pazienti. Il rischio è quello di effetti collaterali potenzialmente seri. In quel caso si trattava del lotto ABV5300 che è stato distribuito in 17 Paesi ma non in Italia.

Vaccino, insegnante in gravi condizioni per un'emorragia cerebrale: vaccinata con AstraZeneca. Una giovane insegnante di 37 anni è in gravissime condizioni per un'emorragia cerebrale: aveva ricevuto poche ore prima il vaccino AstraZeneca. Francesca Galici - Dom, 14/03/2021 - su Il Giornale. Ancora un caso di grave malore dopo la somministrazione del vaccino. La procura di Gela ha ha sequestrato le cartelle cliniche relative a una insegnante 37enne gelese, che da ieri è ricoverata in condizioni gravissime all'ospedale Sant'Elia. La giovane insegnante è stata portata in ospedale dopo aver accusato un fortissimo mal di testa, accompagnato da uno stato confusionale che ha messo in allarme i suoi contatti. Da quanto risulta, la ragazza ha ricevuto la dose di vaccino AstraZeneca lo scorso primo marzo. L'insegnante ha iniziato ad accusare i primi sintomi poco dopo aver ricevuto la dose di vaccino e la situazione è precipitata rapidamente e ieri la ragazza è stata trasportata d'urgenza all'ospedale di Gela. Il fortissimo mal di testa e lo stato confusionale dell'insegnante hanno suggerito ai medici il sopraggiungere di un problema neurologico, tanto che è stata immediatamente sottoposta a un intervento di neurochirurgia per una gravissima emorragia cerebrale. Ora l'insegnante versa ancora in condizioni critiche ed è necessario proseguire con le indagini per capire se esiste una correlazione tra la somministrazione del vaccino AstraZeneca e il malessere. Attualmente non è stato trovato nessun collegamento. I medici e le autorità si riservano di effettuare ulteriori e approfondite indagini per avere maggiori risposte. Da ciò che per il momento è emerso dalle prime indiscrezioni, la dose di vaccino AstraZeneca somministrata all'insegnante non è una di quelle del lotto che i Nas hanno ritirato nei giorni scorsi per maggiori analisi sulle possibili correlazioni tra il decesso del militare e il preparato. Inoltre, per il momento non è previsto il sequestro del lotto utilizzato per la dose somministrata alla ragazza, in attesa di ulteriori riscontri. Ora l'insegnante si trova nel reparto di Rianimazione dell'ospedale di Gela e i medici non possono al momento scigliere la prognosi. Il procuratore al quale è stato affidato il caso sta procedendo agli accertamenti preliminari per "verificare la situazione sanitaria dal momento del vaccino ad oggi". A ora non esistono notizie circa patologie pregresse nell'insegnante. Gli esperti ci tengono a sottolineare che i vaccini sono sicuri e che non sono ancora state trovate correlazioni dirette tra le somministrazioni del vaccino e le morti che sono state segnalate come sospette. Oggi è cominciata l'autopsia sul corpo del militare morto a Siracusa. Il militare ha accusato un malore 12 ore dopo aver ricevuto la dose AstraZeneca presso l'ospedale militare di Augusta. Nelle prossime ore sono attesi in Sicilia gli ispettori del ministero della Salute.

L'appello dei familiari di Sonia. AstraZeneca, donna in rianimazione a Napoli: “Non voleva farlo, dopo vaccino si addormentava mentre parlava”. Redazione su Il Riformista il 15 Marzo 2021. E’ ricoverata in terapia intensiva all’ospedale del Mare di Napoli una decina di giorni dopo aver ricevuto la prima dose di AstraZeneca appartenente allo stesso lotto (ABV5811) sequestrato in tutta Italia da parte dei Nas su disposizione della procura di Biella dopo il decesso del professore di musiva avvenuto a 24 ore dal vaccino. Sonia Battaglia, 54enne originaria di San Sebastiano al Vesuvio (Napoli) lavora nella segretaria dell’Itis Enrico Medi di San Giorgio a Cremano. La donna, sottolineano i figli e il fratello, non aveva particolari patologie pregresse ed al momento le sue condizioni sarebbero gravissime. Si è vaccinata il primo marzo scorso ed era inserita nelle graduatorie gestite dall’Asl Napoli 2 nord. Due giorni dopo la dose di Astrazeneca ha iniziato ad avere la febbre. Sintomi – spiegano i familiari – considerati “normali” dal medico di base. Al terzo giorno “mia mamma – spiega Raffaele Conte – ha iniziato a vomitare senza sosta, abbiamo chiamato l’ambulanza con i sanitari che le hanno messo una flebo per recuperare tutti i liquidi che stava perdendo”. Nei giorni successivi “mia mamma dormiva in continuazione e non riusciva a parlare, si addormentava mentre parlava”. “La sera del 12 marzo abbiamo richiamato l’ambulanza la quale dopo aver controllato i parametri vitali si è rifiutata di portarla in ospedale e tenerla sotto controllo. La mattina seguente ovvero sabato 13 marzo ho chiesto a mia madre di muoversi e di alzare la gamba sinistra, lei era convinta di riuscire ad alzarla ma invece era totalmente immobile. L’ho presa in braccio e portata al pronto soccorso dell’Ospedale del Mare dove è entrata immediatamente e le hanno fatto una tac alla testa che ha evidenziato una emorragia cerebrale. Poi ci hanno detto che aveva anche una occlusione dell’aorta causata da una placca. Ma non era finita, due ore dopo ci hanno detto che ha avuto dei trombi polidistrettuali e anche un infarto. A quel punto è stata messa in coma farmacologico e ora è in terapia intensiva. I medici non trovano una spiegazione, mia mamma era sanissima”. Il figlio Raffaele spiega che “mamma non voleva andarci a fare il vaccino, era molto spaventata, poi per senso civico, per riguardo verso gli alunni e i colleghi ha deciso di aderire”.

Da blitzquotidiano.it il 15 marzo 2021. Una donna di 54 anni, Sonia Battaglia, è ricoverata in terapia intensiva nell’ospedale del Mare di Napoli dopo la somministrazione del vaccino AstraZeneca avvenuta una settimana fa. Alla donna era stata somministrata la prima dose del vaccino anti-Covid del lotto ABV5811 finito sotto sequestro nelle ultime ore in Italia. Come sottolineano i parenti, la 54enne non aveva patologie pregresse e si trova in rianimazione in condizioni gravissime. La notizia, diffusa dai familiari, è stata confermata da fonti sanitarie. Donna in gravi condizioni dopo vaccino AstraZeneca, le parole del figlio. Uno dei figli della donna, intervistato dal sito ilMeridianoNews.it, ha rilasciato le seguenti dichiarazioni. “[…] Mamma si è sottoposta al vaccino AstraZeneca (LOTTO ABV5811) il 1 marzo. Il giorno seguente al vaccino stava bene ed è anche andata a lavoro come suo solito. A distanza di due giorni ha iniziato ad avere febbre e dolori articolari. Il terzo giorno invece, ha iniziato a vomitare senza sosta. Abbiamo chiamato l’ambulanza ed i sanitari i le hanno messo la flebo per recuperare tutti i liquidi che stava perdendo. Dormiva in continuazione non riusciva a parlare, si addormentava mentre parlava. Il 12 marzo sera abbiamo richiamato l’ambulanza la quale, dopo aver controllato i parametri vitali, si è rifiutata di portarla in ospedale e tenerla sotto controllo. La mattina seguente ho chiesto a mia madre di muoversi e di alzare la gamba sinistra, lei era convinta di riuscire ad alzarla ma invece era totalmente immobile. L’ho presa in braccio e portata in pronto soccorso dove è stata ricoverata d’urgenza per emorragia cerebrale e in seguito ha anche avuto un infarto. Dopo essere riusciti a parlare con i dottori, nel pomeriggio ci hanno informati che nel giro di due ore ha avuto una trombosi massima che ha preso tutti gli organi del corpo, emorragia cerebrale e una occlusione dell’aorta causata da una placca […]”.

Il morto, il vaccino e il lotto ritirato: perché AstraZeneca è nel mirino. Omicidio colposo per una decina di persone per stabilire le cause della morte di un militare di Siracusa il giorno dopo aver ricevuto la prima dose del vaccino AstraZeneca. Intanto, anche la Norvegia ne ferma la somministrazione.  Alessandro Ferro - Gio, 11/03/2021 - su Il Giornale.  Un fascicolo con l'accusa di omicidio colposo per una decina di persone è stato aperto dalla Procura di Siracusa per la morte di Stefano Paternò, 43 anni, sottufficiale della Marina ad Augusta deceduto nella mattina dell'8 marzo dopo un arresto cardiaco nella sua abitazione. Il giorno precedente si era sottoposto alla prima dose del vaccino AstraZeneca dello stesso lotto di cui oggi l'Aifa ha chiesto il sequestro, ABV2856, ritirato oggi su tutto il territorio italiano.

I fatti. Lo conferma all'Adnkronos la Procuratrice di Siracusa, Sabrina Gambino, che coordina l'inchiesata sulla morte dell'uomo. "Immediatamente dopo la somministrazione il nostro congiunto, tornato nella sua casa di Misterbianco, accusava uno stato di malessere generale, caratterizzato da un rialzo febbrile: donde la somministrazione di Tachipirina 1000", hanno scritto i familiari nell'esposto presentato in Procura, la quale dovrà accertare se il decesso può essere correlato ad eventuali criticità sulla corretta conservazione della dose di vaccino. Nel frattempo, il Ministero della Salute invierà i suoi ispettori per far luce sul caso: sarà visitata l'Asp di Siracusa per verificare i metodi della conservazione delle dosi vaccinali, il reparto medico della base militare della Marina nel quale è stato somministrato e saranno ascoltati i medici del 118 intervenuti lunedì notte nel momento in cui lo sfortunato militare era in predo a febbre alta e convulsioni prima del decesso per arresto cardiocircolatorio. Come si legge su Repubblica, c'è anche la morte sospetta di qualche giorno prima riguardante un poliziotto anche se, per il momento, non c'è alcuna inchiesta in corso. Sarà l'autopsia a stabilire le cause che hanno portato alla morte di Stefano Paternò. Nessun nesso con il vaccino, invece, la morte di un altro militare, Giuseppe Maniscalco di 54 anni, avvenuta a Trapani pochi giorni fa dopo la somministrazione della prima dose di AstraZeneca. Lo ha stabilito l'autopsia che è stata eseguita a Trapani dopo l'apertura di un'inchiesta nei giorno scorsi da parte della Procura di Trapani. In ogni caso, l'Asp di Trapani sta verificando ugualmente se la dose del vaccino utilizzato sia dello stesso lotto sequestrato oggi.

AstraZeneca, il vaccino controverso. Il vaccino italo-inglese non ha pace: dopo la bufera scatenata su alcuni casi di trombosi (qui il nostro pezzo) per cui la Danimarca ha deciso di sospendere le somministrazioni fin quando non ne saranno accertate le cause, nelle ultime ore si è allineata anche la Norvegia fin quando non ci saranno "informazioni per vedere se c'è un legame tra il vaccino e questo caso di trombosi", ha riferito in una conferenza stampa Geir Bukholm, direttore della per la prevenzione e il controllo delle infezioni dell'Istituto norvegese di sanità pubblica. Intanto, a seguito di queste segnalazioni, l'Aifa ha ritirato in via precauzionale le dosi appartenenti al lotto ABV2856 su tutto il territorio nazionale e si riserva di prendere ulteriori provvedimenti, ove necessario, anche in stretto coordinamento con l'Ema, Agenzia del Farmaco Europea. "Al momento - precisa l'Aifa - non è stato stabilito alcun nesso di causalità tra la somministrazione del vaccino e tali eventi". Radiocor del Sole24Ore riporta come l'Aifa sta effettuando tutte le verifiche del caso, "acquisendo documentazioni cliniche in stretta collaborazione con i Nas e le autorità competenti". I campioni di tale lotto verranno analizzati dall'Istituto Superiore di Sanità.

"Vaccino sfortunato..." "Il vaccino AstraZeneca è un pò sfortunato, ma è un ottimo vaccino che sta dando risultati efficaci. Mi auguro che quanto accaduto con alcuni lotti non spiga gli scettici a rifiutarlo perché non sarebbe giusto", ha affermato ad AdnKronos Matteo Bassetti, Direttore della Clinica di malattie infettive dell'ospedale San Martino di Genova e componente dell'Unità di crisi Covid-19 della Liguria, commentando la decisione dell'Aifa. Questo "dimostra che in Italia c'è un ente regolatorio che agisce proprio dalla parte dell'utente, in questo caso chi sta facendo le vaccinazioni, garantendo la sicurezza. Anche se ancora non c'è correlazione tra il vaccino AstraZeneca e gli eventi avversi. Quanto accaduto dovrebbe convincere gli scettici a credere nelle istituzioni che sono sempre dalla parte dei cittadini. Spero quindi che non si crei pregiudizio su vaccino - conclude - possono esserci dei lotti che creano problemi come è accaduto in passato, soprattutto su numeri così grandi". Nel frattempo, si muovono anche i grandi capi della politica: il presidente del Consiglio Mario Draghi ha avuto un colloquio telefonico con Ursula Von der Leyen. Come riporta l'Agi, dalla conversazione è emerso che non c’è alcuna evidenza di un nesso tra i casi di trombosi registrati in Europa e la somministrazione del vaccino Astrazeneca. La Presidente Von der Leyen ha comunicato che l’Ema (Agenzia Europea del Farmaco) ha avviato una ulteriore review accelerata.

Estratto dell’articolo di Elena Dusi per “la Repubblica” il 13 marzo 2021. In Italia 30mila persone hanno segnalato un problema dopo il vaccino: febbre, stanchezza, dolori alle ossa o nel punto dell' iniezione (tantissimi di più hanno sopportato senza fare la segnalazione). Il 93,6% dei disturbi è stato trascurabile. Circa 3 reazioni su 4 hanno colpito i più giovani, sotto ai 60 anni. I problemi più gravi sono stati 1.800. I decessi avvenuti dopo l' iniezione 40, ma in nessun caso è stata trovata una correlazione con il vaccino. Sono i dati dell' ultimo rapporto di farmacovigilanza dell' Aifa (Agenzia italiana del farmaco). Arrivano fino al 26 febbraio, con 4,1 milioni di dosi somministrate: 87% di Pfizer-BioNTech, 4% di Moderna e 9% di Astra-Zeneca. «Le segnalazioni sono tante, 729 ogni 100mila dosi, più di altri vaccini» conferma Vittorio Demicheli, l' epidemiologo che guida il Comitato scientifico per la sorveglianza dei vaccini contro il Covid. «Producono più reazioni avverse. Ma è anche vero che attorno a loro c' è enorme attenzione». […] I decessi avvenuti dopo l' iniezione (entro 21 giorni) in Italia sono stati appunto 40. Per 10 morti è la stessa scheda di segnalazione a escludere un rapporto di causa-effetto con il vaccino. Gli altri casi vengono esaminati uno a uno dalla commissione di farmacovigilanza. «Ora immunizziamo anziani e fragili, è normale avere numeri simili» dice Demicheli. L' età media delle vittime è 86 anni. «Se la famiglia accetta, si dispone l' autopsia». Correlazioni con i vaccini non sono emerse. «Ma ci vuole tempo per un' analisi completa». I dati a disposizione su deceduto vengono immessi in un algoritmo creato dall' Organizzazione mondiale della sanità che offre tre possibili risultati: la causa della morte è correlabile con il vaccino, non correlabile oppure indeterminata. «Molto spesso - si legge nel rapporto Aifa - il decesso è legato a cause cardiovascolari in pazienti che avevano già patologie». Mai finora ci sono state morti da shock anafilattico o reazioni allergiche importanti, che sono le conseguenze più temute del vaccino. Per evitare questi problemi - che si riscontrano in genere nella prima mezz' ora - l' iniezione può avvenire solo in contesti medici preparati a gestire le emergenze e i vaccinati vengono invitati ad attendere un quarto d' ora dopo l' iniezione. […] 

Pfizer, l'Ema chiede di aggiornare il bugiardino: quei "nuovi" effetti collaterali del vaccino. Libero Quotidiano il 22 aprile 2021. Non solo AstraZeneca. A dover aggiornare il bugiardino c'è anche Pfizer. L'Ema ha infatti chiesto al colosso farmaceutico di aggiungere gli effetti provocati dal siero contro il coronavirus Comirnaty. Tutta colpa delle conseguenze indesiderate come "nausea e vomito in meno di 1 persona su 10", spiega il Tempo. Per questo ora nel foglietto illustrativo dovrà esserci anche la possibilità che sussista "dolore nel braccio in cui il vaccino viene iniettato", e "reazioni allergiche quali eruzione cutanea, sensazione di prurito, esantema pruriginoso e rapida comparsa di tumefazione sottocutanea". Nulla di che preoccuparsi. Nel nuovo bugiardino infatti si legge: "Gli effetti più comuni sono stati solitamente lievi e moderati e sono migliorati entro pochi giorni dalla vaccinazione". Mentre esantema pruriginoso e rapida comparsa di tumefazione sottocutanea sono stati effetti indesiderati non comuni e hanno riguardato meno di 1 persona su 100. Per quanto riguarda AstraZeneca invece nel foglietto illustrativo ora viene precisato che se dovesse comparire mal di testa persistente, con vertigini o disturbi della vista continuativi per più di tre giorni dopo la vaccinazione, si consiglia di rivolgersi al proprio medico e sono richiesti ulteriori controlli medici. Anche in questo caso, nonostante lo stop temporaneo dopo alcuni casi di trombosi, l'Ema ha voluto tranquillizzare i cittadini: "Il vaccino AstraZeneca è sicuro ed efficace", i benefici "sono di gran lunga superiori ai rischi" e si può "escludere un incremento del rischio trombosi". 

"Trombosi anche con Pfizer". Svelati i dati del report sul vaccino. Martina Piumatti il 21 Aprile 2021 su Il Giornale. Lo studio sui vaccini fatti in Inghilterra. I dati diffusi via WhatsApp da un cardiologo italiano che a Glasgow lavora al report confermerebbero l'insorgenza di trombosi anche con il siero Usa. È il 16 marzo, il giorno dopo il blocco del vaccino AstraZeneca in Italia. Pierpaolo Pellicori, cardiologo e ricercatore presso l’ospedale dell’Università di Glasgow manda ai colleghi italiani un messaggio Whatsapp: “Fino al 28 febbraio 2021 sono state somministrate in UK circa 10,7 milioni di dosi Pfizer e 9,7 milioni di dosi AstraZeneca. Tra gli eventi avversi riportati nei giorni successivi alla vaccinazione, ci sono stati: infarto cardiaco AZ 36 (17 fatali), Pfizer 30 (6 fatali); ictus AZ 71 (10 fatali), Pfizer 100 (10 fatali); embolia polmonare AZ 13 (1 fatale), Pfizer 15 (1 fatale); trombosi venosa AZ 14 (zero fatale), Pfizer 8 (zero fatale); piastrine basse (trombocitopenia) AZ 35 (1 fatale), Pfizer 22 (1 fatale). Morti AZ 275, Pfizer 227”. Si tratta dei dati registrati nel Regno Unito (al 16 marzo) sulle reazioni avverse successive alla somministrazione dei vaccini di AstraZeneca e Pfizer. Il quadro che emerge è chiaro: i casi, rarissimi (e di gran lunga inferiori ai benefici: 10.400 decessi dovuti a Covid prevenuti in Inghilterra fino a marzo 2021), di trombosi venosa, di carenza di piastrine e di decessi risultano quasi sovrapponibili per i due vaccini anti Covid. Perché, se come suggerisce Pellicori a IlGiornale.it, i dati costantemente aggiornati si possono consultare sul sito del governo britannico, AstraZeneca viene bloccato o limitato in tutta Europa e nessuno parla delle trombosi riscontrate con Pfizer? Non solo. Un mese dopo, arriva un altro riscontro. Lo studio dell’Università di Oxford, che deve ancora essere pubblicato su una rivista specializzata e validato da altri scienziati, rileva che il numero di persone che hanno riportato casi di trombosi venosa cerebrale dopo aver ricevuto i vaccini prodotti da Pfizer e da Moderna è molto simile al numero dei casi riportati dalle persone che hanno ricevuto il vaccino AstraZeneca. “In questo studio - si legge sul sito dell’istituto di Oxford - su oltre 500 mila pazienti Covid-19, la Cvt (trombosi venosa cerebrale, ndr) si è verificata in 39 su un milione di pazienti. In oltre 480 mila persone che hanno ricevuto un vaccino mRna Covid-19 (Pfizer o Moderna), la Cvt si è verificata in 4 su un milione. È stato segnalato che la Cvt si verifica in circa 5 persone su un milione dopo la prima dose del vaccino AZ-Oxford Covid-19. Rispetto ai vaccini con mRna, il rischio di una Cvt da Covid-19 è circa 10 volte maggiore. Rispetto al vaccino AZ-Oxford, il rischio di una Cvt da Covid-19 è circa 8 volte maggiore”. In linea con lo studio dell’università inglese, sta “raccogliendo informazioni” anche Carlo Federico Perno, direttore del dipartimento di Microbiologia dell’ospedale Bambino Gesù di Roma. Il virologo, che già il 13 aprile a Tagadà su La 7 ha segnalato “casi di trombosi rarissimi per tutti i vaccini”, conferma a IlGiornale.it di essere sulla pista giusta per dimostrare la tesi, ma di non avere “ancora dati completi”. Mentre a non essere a conoscenza né dei risultati di Oxford né dei dati pubblicati sul sito del governo inglese e diffusi dal dottor Pellicori sarebbe proprio Pfizer. "Non possiamo confermare ma nemmeno escludere - ci risponde l’ufficio stampa dell’azienda - la presenza di casi di trombosi dopo la somministrazione del nostro siero. Abbiamo un ufficio di farmacovigilanza che raccoglie tutte le segnalazioni trasmesse direttamente all’Agenzia del farmaco. E Pfizer Italia fa riferimento ai report periodici di Aifa. Sui casi di trombosi dopo la somministrazione, per ora, l’azienda non ha una posizione ufficiale a riguardo”. Poi però, da Pfizer “la posizione ufficiale” ci arriva via mail. “Con oltre 200 milioni di dosi somministrate a livello globale - scrive la multinazionale -, Pfizer ha condotto una valutazione dei dati di sicurezza aggregati per il vaccino Pfizer/BioNTech che non ha fornito alcuna prova per concludere che gli eventi tromboembolici arteriosi o venosi, con o senza trombocitopenia, siano un rischio associato all'uso del nostro vaccino Covid-19”. Correlazioni per ora sconfessate anche da Aifa. Nel terzo rapporto di farmacovigilanza sui vaccini Covid-19 (periodo 27 dicembre 2020 - 26 marzo 2021) ci sono 102 segnalazioni con esito “decesso”, le cui cause sono sotto indagine. In media sono 1,1 casi ogni 100mila dosi somministrate con un minimo dello 0,7 per AstraZeneca e un picco di 2,7 per Moderna. Mentre le trombosi atipiche (11, di cui 4 fatali ) vengono definite come uno dei possibili effetti collaterali gravi solo del vaccino di AstraZeneca. Un verdetto in linea con quello dell’ente regolatorio europeo. L’Ema parla di un “forte legame” causale tra i casi di trombosi rara e Vaxzevria, con frequenza stimata in circa 1 caso su 100mila. La Fda, invece, non avrebbe rilevato nessun caso di trombosi rara associata ai vaccini a mRna. Dopo "oltre 180 milioni di dosi" - ha dichiarato l’ente regolatorio statunitense per i farmaci - "non abbiamo registrato casi" di trombosi rare "associate con trombocitopenia" per i sieri di Pfizer e Moderna. Ma, allora, come interpretare i dati inglesi e lo studio di Oxford che dimostrerebbero l’incidenza di trombosi rare anche per i vaccini a mRna?Dati giudicati “interessanti”, anche se ancora in fase di pre-print, da Pier Mannuccio Mannucci, ricercatore di Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano e membro del team di super esperti di coagulazione nominati da Aifa per esaminare se c’è un meccanismo immunologico correlato al vaccino alla base delle trombosi rare. “A me non risulta, ma - sottolinea a ilGiornale.it Mannucci - non mi stupisce. Perché, come avviene nella malattia, se si stimola il sistema immunologico con il vaccino si possono verificare casi di trombosi, da quelle più tradizionali a quelle più rare". Per quanto riguarda le trombosi associate a piastrinopenia, secondo i dati Ema ci sarebbero zero casi su 97 milioni di dosi somministrate di Pfizer, 3 casi su 84 milioni per Moderna e 62 casi su 25 milioni con Vaxzevria. "Quindi - continua il professore emerito del Policlinico - , anche l’ente europeo, evidenziata la prevalenza con il siero di AstraZeneca, riconosce 3 casi di trombosi venosa rara per il vaccino a mRna. Poi, trombosi venose tradizionali e carenza di piastrine sono riscontrabili in entrambi i tipi di vaccini. Ma è un effetto collaterale frequente anche in altri farmaci che non supera la frequenza attesa nella popolazione generale. Dalle 8 alle 10 volte inferiore rispetto all’incidenza riscontrata in chi ha contratto il Sars-Cov-2”. Restano, però, due cose da chiarire. Uno. Perché, se i dati inglesi che mettono sullo stesso piano tutti i vaccini sono plausibili e la stessa Ema ha riscontrato casi di trombosi anche dopo la somministrazione dei vaccini a mRna, finora si è indagato solo sul siero di AstraZeneca? E perché, se nel report aggiornato di Aifa su 100 casi fatali 76 avevano fatto Pfizer e 12 AstraZeneca, a finire nel mirino è solo il vaccino di Oxford? Una questione ancora aperta come l’enigma del legame tra vaccino anti Covid e trombosi venose rare. “L'identificazione di un fattore scatenante - spiega Eric van Gorp, virologo dell'Erasmus University Medical Center di Rotterdam e co-presidente di un consorzio che sta studiando l'effetto dei diversi vaccini sulle cellule ematiche - sarà importante per i futuri vaccini. Possiamo fare affidamento sui vaccini adenovirus o dovremo fare affidamento di più sui vaccini a mRna?. Questa sarà la domanda chiave per il prossimo futuro”.

Non c’è solo AstraZeneca. Le reazioni avverse di Pzer, Moderna e Johnson & Johnson passate sotto silenzio. Rec News il 12 Marzo 2021.  Per il mainstream parlare (finalmente) dei decessi sospetti che potrebbero essere ricondotti al vaccino AstraZeneca sta diventando un pretesto per magnificare il vaccino Pzer: “sicuro”, “efficace al 98%”, “meno costoso”. La panacea per tutti i mali, insomma. Non la pensa affatto così il Professore Giulio Tarro, che nel corso di un’intervista rilasciata a Rec News ha messo in guardia dall’utilizzo dei vaccini a mRNA, che per il momento risultano essere Pfizer Biontech, ModerRNA e il CureVac prodotto da Novartis su cui vuol puntare tutto il premier Draghi. C’è poi Janssen BioTech (da non confondere con Biontech, che appoggia Pfizer) di Johnson & Johnson che ieri – con una tempistica alquanto “utile” – ha ricevuto l’ok da parte dell’Ema. Janssen dal 1979 risulta impegnata nella produzione di anticorpi monoclonali, la carta di riserva messa da parte dai governi nel caso in cui la campagna vaccinale per un motivo o per l’altro si dovesse fermare. Tutti i preparati, in realtà non hanno dato come si vuol far credere risultati incoraggianti nel corso della brevissima sperimentazione. Le aziende direttamente interessate, ovviamente, dichiarano senza se e senza ma la bontà dei loro prodotti. Ma non sempre è così. Lo scorso ottobre il vaccino di Johnson & Johnson dava luogo a una “malattia inspiegabile” su cui l’azienda produttrice si rifiutava di fornire spiegazioni ed elementi per “proteggere la privacy” della cavia danneggiata. A maggio del 2020 la sperimentazione di ModerRNA – preparato che ha un funzionamento analogo a quello di Pfizer Biontech – permetteva di appurare che la somministrazione aveva provocato “lesioni gravi” sul 20% dei testati: tre delle quindici cavie umane avevano riportato un “evento avverso grave” fino a 43 giorni dopo la somministrazione. “Un vaccino con tali tassi di reazione – scriveva CHD – potrebbe causare gravi lesioni in 1,5 miliardi di esseri umani se venisse somministrato ad ogni persona sulla terra”. C’è poi il capitolo Pfizer, uno dei vaccini maggiormente quotati per la somministrazione di massa su scala mondiale, che ha un funzionamento analogo a vaccini ModerRNA e CureVac. Nel caso di questi preparati a RNA messaggero (mRNA), la dottoressa Bolgan ha parlato di “materiale genetico ingegnerizzato” che, una volta iniettato, può sviluppare malattie genetiche e reazioni da gravi a gravissime, talvolta letali. Parole quasi profetiche quelle pronunciate a fine dicembre dal medico: a inizio gennaio parte la somministrazione di massa sul personale sanitario, dunque su dottori e infermieri. L’infermiera Sonia Acevedo, una delle prime morti sospette in Europa, si spegne 48 ore dopo la somministrazione del vaccino Pfizer. Qualche giorno dopo – questa volta in Florida – verrà aperta un’indagine sulla morte del dottor Gregory Micheal, colpito da una trombocitopenia acuta, malattia autoimmune che provoca l’annullamento delle piastrine nel sangue. A metà gennaio i medici cinesi, impressionati dalla trafila di decessi sospetti verificati a ridosso della somministrazione del vaccino Pfizer, ne chiedono la sospensione immediata. In Italia e altrove si continua incuranti, nonostante il lievitare del numero di decessi, sempre rigorosamente “senza nesso causale”. Si sia trattato o meno di morti da vaccino, la reale portata dei danni – avvertiva sempre Tarro nel corso della nostra intervista – si potrebbe vedere a lungo termine. Alterazioni dei geni, sclerosi, reazioni fatali e infertilità.

Sofia Dinolfo per ilgiornale.it il 15 marzo 2021. Una morte tutta da decifrare quella di un operatore sanitario, C.S. di 52 anni, di Licata, in provincia di Agrigento. Un decesso sulla cui causa adesso sorgono numerosi sospetti alla luce del fatto che la persona in questione a febbraio aveva ricevuto la prima dose del vaccino Pfizer. In un primo momento si era appreso era che il vaccino somministrato all'uomo fosse quello di AstraZeneca. Poi, fonti della procura hanno precisato a il Giornale.it che si trattava dell'altro siero. La notizia, riportata questa mattina su il giornale “La Sicilia”, racconta gli ultimi giorni di vita dell’uomo che lavorava in una casa di riposo a Palma di Montechiaro. Assieme ai colleghi il 52 enne si era sottoposto alla prima inoculazione del vaccino in quanto appartenente ad una categoria lavorativa che, per la delicatezza del settore, richiede un turno prioritario rispetto ad altre. In un primo momento andava tutto bene, pochi giorni dopo è iniziato un malessere generale degenerato in poco tempo al punto che il licatese è stato trasportato dalla sua abitazione all’ospedale San Giacomo d’Altopasso di Licata. Da lì, viste le gravi condizioni, la decisione dei sanitari di trasferirlo in elisoccorso al Policlinico di Palermo dove è deceduto a causa di una trombosi. A seguito della denuncia dei familiari, la procura di Agrigento ha aperto un’indagine. I parenti dell’operatore sanitario vogliono far luce sulle cause del decesso e capire se ci sono collegamenti con la somministrazione del vaccino Pfizer. Da quanto si è appreso, sempre da fonti della procura, “non risulterebbero al momento correlazioni tra la morte del 52enne e la somministrazione del vaccino”. Al di là della circostanza "che sia morto per verosimile emorragia cerebrale e che nel mese di febbraio fosse stato sottoposto al vaccino Pzifer in quanto operatore sanitario, non vi sono allo stato elementi per affermare che la morte sia correlata a reazioni al vaccino", informa chi indaga sul caso. Da Adnkronos si apprende anche che l’operatore sanitario "aveva assunto altri farmaci per altro tipo di problematiche sanitarie e sono in corso doverosi accertamenti di carattere preliminare". In Sicilia già dagli scorsi giorni sono al lavoro altre procure per lo stesso motivo. Sono in corso le indagini per accertare la morte del militare Stefano Paternò ad Augusta , il poliziotto Davide Villa a Catania e il maresciallo dei carabinieri Giuseppe Maniscalco a Trapani. Tutti legati da un fattore comune: aver ricevuto la prima somministrazione del vaccino AstraZeneca. Intanto il palazzo di Giustizia di Gela continua a lavorare sul caso dell’insegnante di 37 anni ricoverata in condizioni gravissime al Sant’Elia di Caltanissetta dopo la prima dose del vaccino. Il mal di testa prima, lo stato confusionale poi, il ricovero e la sottoposizione ad un delicato intervento di neurochirurgia per una emorragia celebrale. Dopo l’operazione le condizioni della 37enne sono ancora critiche. La procura ha sequestrato le cartelle cliniche e si cerca di capire se sussiste o meno un collegamento con il vaccino. Al momento non è stata appurata alcuna correlazione.

AstraZeneca: paura in polizia e molti cancellano la prenotazione. Dopo le notizie di questi ultimi giorni, nonostante manchi ancora di far chiarezza sulle cause, si è scatenata una vera e propria psicosi in Sicilia: solo nella giornata di venerdì 12 marzo sono state disdette 7mila prenotazioni. Tra le categorie, a far mancare la propria presenza all’appello sono fra gli altri insegnanti e operatori delle forze di polizia. Nel frattempo la campagna di vaccinazione prosegue e dall’Aifa arrivano anche rassicurazioni sulla sicurezza del vaccino. Il presidente Giorgio Palù gli scorsi giorni ha detto più volte che “è tutto in evoluzione e bisogna ancora accertare il nesso di causalità”.

Vaccino Johnson & Johnson, grave patologia neurologica: "Rischio 5 volte più alto", l'allarme dalle autorità Usa. Libero Quotidiano il 13 luglio 2021. Nuovo allarme sul vaccino anti Covid della Johnson&Johnson: secondo la Food and Drug Administration potrebbe portare ad una reazione neurologica rara e potenzialmente pericolosa, nota con il nome di sindrome di Guillain-Barre. Si tratta di un disturbo del sistema immunitario che può causare debolezza muscolare e occasionalmente paralisi. I funzionari sanitari hanno descritto l'effetto collaterale come un "piccolo rischio possibile" per coloro che hanno ricevuto l'iniezione. Il rischio, secondo quanto segnalato, è da tre a cinque volte più alto tra i vaccinati con il vaccino Johnson&Johnson. L'annuncio viene fatto dopo che la Fdae e i Centers for Disease Control and Prevention hanno esaminato i rapporti di circa 100 persone che hanno sviluppato la sindrome dopo aver ricevuto il vaccino monodose. Quasi tutti hanno richiesto il ricovero in ospedale e una persona è morta. La sindrome di Guillain-Barre si verifica quando il sistema immunitario del corpo attacca per errore alcune delle sue cellule nervose, causando debolezza muscolare e talvolta paralisi che in genere è temporanea. Secondo il Cdc, circa 3.000-6.000 persone sviluppano la sindrome ogni anno. Il numero di casi segnalati in relazione al vaccino di J&J rappresenta una piccola frazione dei quasi 13 milioni di americani che hanno ricevuto l'iniezione a una dose. La maggior parte dei casi è stata segnalata negli uomini - molti dai 50 anni in su - e di solito circa due settimane dopo la vaccinazione.

(ANSA il 13 luglio 2021) - La Food and Drug Administration (Fda), l'agenzia Usa preposta alla sicurezza dei farmaci, ha annunciato un nuovo avvertimento per il vaccino anti Covid Johnson & Johnson, spiegando che puo' comportare il rischio di una rara patologia neurologica nota come sindrome di Guillain-Barré. Il rischio è da tre a cinque volte più alto tra i vaccinati col J&J rispetto alla popolazione generale negli Usa. Finora sono stati identificati circa 100 casi, prevalentemente tra gli uomini, molti dai 50 anni in su. La maggior parte e' guarita, ma è stato registrato anche un decesso.

Il monitoraggio negli USA su J&J. Cos’è la sindrome di Guillain-Barré e quali sono i sintomi: gli studi sui legami con il vaccino anti-covid. Antonio Lamorte su Il Riformista il 13 Luglio 2021. La Food and Drug Administration statunitense ha deciso di aggiungere al foglietto illustrativo del vaccino anti-coronavirus Johnson&Johnson un’avvertenza: possibile un lieve aumento del rischio di sviluppare la sindrome di Guillain-Barré, una rara malattia neurologica. Il sistema di monitoraggio federale ha ravvisato 100 casi “sospetti”, principalmente due settimane dopo l’iniezione del siero monodose e soprattutto negli uomini over 50. Le prove disponibili suggeriscono al momento un’associazione “ma non sono sufficienti per stabilire una relazione causale”. Insomma, come sempre, nella gara tra i benefici e i rischi del vaccino si propende sempre per i primi. La sindrome di Guillain Barrè è una malattia neuromuscolare rara e può portare a disabilità anche gravi. Fa parte delle neuropatie disimmuni e colpisce il sistema nervoso periferico, e quindi i nervi che connettono il sistema nervoso centrale (cervello e midollo spinale) con il resto dell’organismo. L’Istituto Superiore di Sanità scrive che colpisce una persona su centomila, è molto rara quindi, ma resta comunque la forma più frequente di neuropatia periferica a evoluzione rapida. Colpite dalla sindrome, le fibre nervose o le guaine che le ricoprono vengono aggredite per errore dal sistema di difesa dell’organismo. Questo provoca “il rallentamento o l’interruzione della trasmissione dei segnali nervosi con successiva comparsa di una paralisi dei muscoli spesso accompagnata da alterazioni sensoriali e funzionali”. Il sintomo principale è la debolezza progressiva che colpisce le gambe e le braccia, partendo dagli arti inferiori. E quindi si deve prestare attenzione a debolezza o formicolio, difficoltà a camminare e a muovere i muscoli facciali, parlare, masticare, deglutire, vedere doppio e anche difficoltà nel controllo della vescica o nelle funzioni intestinali. La variante sindrome di Miller Fisher, che si manifesta nel 5% dei casi, può colpire le palpebre e rendere l’andatura instabile. La paralisi muscolare ascendente può infine provocare difficoltà nella respirazione, nel linguaggio, nella deglutizione, alterazioni cardiache, della pressione sanguigna e della temperatura, aritmie. La gravità varia da debolezza lieve, accompagnata in genere da guarigione spontanea, alla paralisi totale con insufficienza respiratoria. Sconosciuta la causa della sindrome. Compare di solito dopo un’infezione. La diagnosi avviene soprattutto sull’osservazione dell’evoluzione della malattia e sulla crescita dei disturbi. Per prevenire e gestire le complicazioni si procede di solito con il ricovero e terapie come il controllo costante dell’attività respiratoria e cardiaca, la prevenzione della trombosi venosa, la gestione di disfunzioni intestinali e urinarie, la fisioterapia. Non esistono cure ma due terapie per accelerare la guarigione: la plasmaferesi e l’infusione di immunoglobine. Se non trattata la malattia può mettere in pericolo la vita della persona. Le persone affette dalla sindrome sono circa 10 ogni milione negli USA. I cittadini che hanno ricevuto J&J sono circa 12,8 milioni. “Erano attesi 20-40 casi e ne hanno avuti 100. Ecco perché la FDA ha preso questa decisione, ribadendo però che rimane ancora da dimostrare il nesso causale e che il rapporto rischi-benefici è enormemente a vantaggio del vaccino”, ha commentato a Il Corriere della Sera Sergio Abrignani, immunologo del Comitato tecnico scientifico (Cts). La sindrome è stata accostata anche ad altri vaccini, come gli antinfluenzali, ma il rapporto causa-effetto è sempre stato smentito. “I casi di Guillain Barrè (GBS) si verificano comunemente in seguito ad un’infezione gastrointestinale o un’infezione respiratoria acuta tra cui l’influenza per cui la vaccinazione antinfluenzale può effettivamente ridurre il complessivo rischio di GBS prevenendo l’influenza – si legge sul sito del ministero della Salute – se c’è un aumento del rischio di GBS dopo la vaccinazione antinfluenzale, è piccolo, nell’ordine di uno o due casi di GBS aggiuntivi per milione di dosi di vaccino antinfluenzale somministrati”.

Antonio Lamorte. Giornalista professionista. Ha frequentato studiato e si è laureato in lingue. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Ha collaborato con l’agenzia di stampa AdnKronos. Ha scritto di sport, cultura, spettacoli.

Coronavirus, nel Cilento muore vigile di 62 anni, si era vaccinato con Pfizer poche ore prima. Vincenzo Rubano su La Repubblica il 15 marzo 2021. Procura Lagonegro dispone sequestro salma. Non è possibile, in questa fase, stabilire un collegamento fra la tragedia e una possibile reazione al vaccino. Nelle prossime ore la salma sarà sottoposta ad esame autoptico. Vigile urbano stroncato da un infarto poche ore dopo la somministrazione della prima dose del vaccino contro il Covid-19. E’ accaduto questa sera a Vibonati, in provincia di Salerno. La vittima è Michele Quintiero, un agente della polizia municipale di 62 anni. Si era sottoposto al vaccino Pfizer nel tardo pomeriggio, presso l’ospedale dell’Immacolata di Sapri. L’uomo è stato colpito da un malore, pochi minuti dopo le 21, mentre si trovava a casa con i propri familiari. I sanitari del 118 sono arrivati tempestivamente, hanno tentato di rianimarlo ma non c’è stato nulla da fare. Sul posto anche i carabinieri che, su disposizione dell’autorità giudiziaria del tribunale di Lagonegro, hanno disposto il sequestro della salma. Non è possibile, in questa fase, stabilire un collegamento fra la tragedia e una possibile reazione al vaccino. Nelle prossime ore la salma sarà sottoposta ad esame autoptico. “Siamo molto dispiaciuti per quanto accaduto – ha dichiarato il direttore sanitario dell’ospedale di Sapri, Rocco Calabrese - Ma non è dimostrabile una relazione causale con la somministrazione del vaccino. Tra l'altro – continua - risulta che il paziente fosse affetto da patologie pregresse di natura metabolica e cardiocircolatoria. Inoltre per il 62enne, così come previsto dalle linee guida, a vaccinazione eseguita, sono stati rispettati i 15 minuti di osservazione, nell'arco dei quali lo stesso non ha lamentato nessun disturbo”. L’agente si era sottoposto al vaccino insieme ad un collega, in qualità di volontario della protezione civile. Ad ogni modo l'episodio ha destato dolore e commozione nel piccolo comune del Cilento dove Michele era stimato e conosciuto da tutti.

Ma non vi sono evidenze di correlazione. Vigile urbano muore poche ore dopo la dose di vaccino Pfizer, Procura sequestra la salma. Carmine Di Niro su Il Riformista il 16 Marzo 2021. Non si ferma l’attività delle procure in tutte Italia sui decessi “sospetti” dopo la somministrazione del vaccino. Nel giorno in cui l’Aifa, seguendo l’esempio di altri paesi europei, ha disposto lo stop precauzionale all’inoculazione del vaccino anglo-svedese di AstraZeneca, la Procura di Lagonegro (Potenza) ha disposto il sequestro della salma di un vigile urbano 62enne di Vibonati (Salerno), Michele Quintiero. Lunedì sera, intorno alle 20:30, Quintiero è stato colto da un malore improvviso che ne ha provocato il decesso. Poche ore prima gli stata iniettata una dose del vaccino anti-Covid di Pfizer presso l’ospedale di Sapri. Il direttore sanitario dell’ospedale di Sapri, Rocco Calabrese, ha chiarito sin dal primo momento che in realtà una correlazione tra il decesso e la somministrazione del vaccino non è possibile da appurare. “Siamo molto dispiaciuti per quanto accaduto, non è dimostrabile una relazione causale con la somministrazione del vaccino – ha spiegato Calabrese – tra l’altro risulta che il paziente fosse affetto da patologie pregresse di natura metabolica e cardiocircolatoria. Inoltre per il 62enne cosi’ come previsto dalle linee guida in ambito vaccinale, a vaccinazione eseguita, sono stati rispettati i 15 minuti di osservazione, nell’arco dei quali lo stesso non ha lamentato nessun disturbo”.

IL CASO SONIA BATTAGLIA A NAPOLI – E’ invece ricoverata in terapia intensiva all’ospedale del Mare di Napoli Sonia Battaglia, 54enne originaria di San Sebastiano al Vesuvio (Napoli) e segretaria dell’Itis Enrico Medi di San Giorgio a Cremano. 

La donna è finita in ospedale una decina di giorni dopo aver ricevuto la prima dose di AstraZeneca appartenente allo stesso lotto (ABV5811) sequestrato in tutta Italia da parte dei Nas su disposizione della procura di Biella dopo il decesso del professore di musiva avvenuto a 24 ore dal vaccino. Battaglia, sottolineano i figli e il fratello, non aveva particolari patologie pregresse ed al momento le sue condizioni sarebbero gravissime. Si è vaccinata il primo marzo scorso ed era inserita nelle graduatorie gestite dall’Asl Napoli 2 nord. Due giorni dopo la dose di Astrazeneca ha iniziato ad avere la febbre. Sintomi – spiegano i familiari – considerati “normali” dal medico di base. Al terzo giorno “mia mamma – spiega Raffaele Conte – ha iniziato a vomitare senza sosta, abbiamo chiamato l’ambulanza con i sanitari che le hanno messo una flebo per recuperare tutti i liquidi che stava perdendo”. Nei giorni successivi “mia mamma dormiva in continuazione e non riusciva a parlare, si addormentava mentre parlava”. “La sera del 12 marzo abbiamo richiamato l’ambulanza la quale dopo aver controllato i parametri vitali si è rifiutata di portarla in ospedale e tenerla sotto controllo. La mattina seguente ovvero sabato 13 marzo ho chiesto a mia madre di muoversi e di alzare la gamba sinistra, lei era convinta di riuscire ad alzarla ma invece era totalmente immobile. L’ho presa in braccio e portata al pronto soccorso dell’Ospedale del Mare dove è entrata immediatamente e le hanno fatto una tac alla testa che ha evidenziato una emorragia cerebrale. Poi ci hanno detto che aveva anche una occlusione dell’aorta causata da una placca. Ma non era finita, due ore dopo ci hanno detto che ha avuto dei trombi polidistrettuali e anche un infarto. A quel punto è stata messa in coma farmacologico e ora è in terapia intensiva. I medici non trovano una spiegazione, mia mamma era sanissima”. Il figlio Raffaele spiega che “mamma non voleva andarci a fare il vaccino, era molto spaventata, poi per senso civico, per riguardo verso gli alunni e i colleghi ha deciso di aderire”.

La donna ricoverata dopo il vaccino. E’ morta Sonia Battaglia, la 54enne vaccinata con il lotto ritirato di AstraZeneca. Carmine Di Niro su Il Riformista il 18 Marzo 2021. E’ morta  Sonia Battaglia, la 54enne di San Sebastiano del Vesuvio (Napoli) ricoverata da giorni all’ospedale del Mare di Napoli in terapia intensiva. Come riferito al Riformista da fonti sanitarie, la donna era in gravissime condizione ed in mattinata è stata accertata la morte cerebrale, poi nel primo pomeriggio è arrivata, purtroppo, l’ufficialità del decesso. Battaglia, che da vent’anni lavora nella segretaria dell’Itis Enrico Medi di San Giorgio a Cremano, era stata ricoverata in gravissime condizioni  dopo aver ricevuto prima dose di AstraZeneca appartenente al lotto ABV5811 sequestrato in tutta Italia da parte dei Nas su disposizione della procura di Biella. Sonia Battaglia si era vaccinata il primo marzo scorso ed era inserita nelle graduatorie gestite dall’Asl Napoli 2 nord. Due giorni dopo la dose di Astrazeneca ha iniziato ad avere la febbre. Sintomi – avevano spiegato i familiari – considerati “normali” dal medico di base. Al terzo giorno “mia mamma – aveva sottolineato il figlio Raffaele– ha iniziato a vomitare senza sosta, abbiamo chiamato l’ambulanza con i sanitari che le hanno messo una flebo per recuperare tutti i liquidi che stava perdendo”. Nei giorni successivi “mia mamma dormiva in continuazione e non riusciva a parlare, si addormentava mentre parlava”. “La sera del 12 marzo abbiamo richiamato l’ambulanza la quale dopo aver controllato i parametri vitali si è rifiutata di portarla in ospedale e tenerla sotto controllo. La mattina seguente ovvero sabato 13 marzo ho chiesto a mia madre di muoversi e di alzare la gamba sinistra, lei era convinta di riuscire ad alzarla ma invece era totalmente immobile. L’ho presa in braccio e portata al pronto soccorso dell’Ospedale del Mare dove è entrata immediatamente e le hanno fatto una tac alla testa che ha evidenziato una emorragia cerebrale. Poi ci hanno detto che aveva anche una occlusione dell’aorta causata da una placca. Ma non era finita, due ore dopo ci hanno detto che ha avuto dei trombi polidistrettuali e anche un infarto. A quel punto è stata messa in coma farmacologico”. Attualmente resta tutto da dimostrare l’eventuale rapporto di causa tra vaccinazione anti-Covid e il ricovero in terapia intensiva della donna dovuto all’emorragia cerebrale che l’ha colpita, seguito poi da un infarto.

LO SFOGO – Il figlio di Sonia Battaglia accusa il vaccino e saluta la mamma: “Te ne sei andata per il tuo senso civico”. Redazione su Il Riformista il 18 Marzo 2021. “Ciao mamma, sarai la cosa più bella della mia vita, te ne sei andata per un vaccino, per un senso civico”. Non si dà pace Mario Conte, figlio di Sonia Battaglia, la donna 54enne di San Sebastiano del Vesuvio (Napoli) ricoverata da giorni all’ospedale del Mare di Napoli in terapia intensiva e morta questa mattina dopo aver ricevuto il vaccino AstraZeneca. Battaglia, che da vent’anni lavora nella segretaria dell’Itis Enrico Medi di San Giorgio a Cremano, aveva ricevuto una dose appartenente al lotto ABV5811, quello sequestrato in tutta Italia da parte dei Nas su disposizione della procura di Biella. La donna si era vaccinata il primo marzo scorso ed era inserita nelle graduatorie gestite dall’Asl Napoli 2 nord. Attualmente resta tutto da dimostrare l’eventuale rapporto di causa tra vaccinazione anti-Covid e il ricovero in terapia intensiva della donna dovuto all’emorragia cerebrale che l’ha colpita, seguito poi da un infarto. “Ti guarderò sempre così – scrive su Facebook il giovane – tu che mi chiamavi la mattina per chiedere come stavo, tu che mi facevi i complimenti per tutto, mi dicevi che ero bellissimo anche quando mi svegliavo la mattina. Tu che pensavi prima a noi poi a te. Tu che hai fatto di tutto per i tuoi figli, per tuo marito”. Una vera e propria tragedia, visto che la donna era in salute. LA VICENDA – Due giorni dopo la dose di Astrazeneca ha iniziato ad avere la febbre. Sintomi – avevano spiegato i familiari – considerati “normali” dal medico di base. “Al terzo giorno – aveva sottolineato il figlio Raffaele – mia mamma ha iniziato a vomitare senza sosta, abbiamo chiamato l’ambulanza con i sanitari che le hanno messo una flebo per recuperare tutti i liquidi che stava perdendo”. Nei giorni successivi “mia mamma dormiva in continuazione e non riusciva a parlare, si addormentava mentre parlava”. “La sera del 12 marzo abbiamo richiamato l’ambulanza la quale dopo aver controllato i parametri vitali si è rifiutata di portarla in ospedale e tenerla sotto controllo. La mattina seguente ovvero sabato 13 marzo ho chiesto a mia madre di muoversi e di alzare la gamba sinistra, lei era convinta di riuscire ad alzarla ma invece era totalmente immobile. L’ho presa in braccio e portata al pronto soccorso dell’Ospedale del Mare dove è entrata immediatamente e le hanno fatto una tac alla testa che ha evidenziato una emorragia cerebrale. Poi ci hanno detto che aveva anche una occlusione dell’aorta causata da una placca. Ma non era finita, due ore dopo ci hanno detto che ha avuto dei trombi polidistrettuali e anche un infarto. A quel punto è stata messa in coma farmacologico”.

Vaccini ed effetti collaterali: a Hong Kong scoppia il caso. Il Dipartimento della Salute parla di 71 "eventi avversi". Segnalati 4 presunti decessi collegati al vaccino e un episodio di paralisi facciale. Federico Giuliani - Dom, 14/03/2021 - su Il Giornale. In Europa tutti i riflettori sono puntati sulle presunte reazioni avverse provocate dal vaccino sviluppato da AstraZeneca. A Hong Kong, sta succedendo qualcosa di analogo con vaccini diversi. Nella megalopoli asiatica, altre due persone sono morte dopo aver ricevuto la somministrazione del Coronavac, ovvero il vaccino dell'azienda cinese Sinovac Biotech. Le autorità sanitarie hongkonghesi hanno fatto sapere che, in totale, sono sei le persone decedute nelle medesime circostanze temporali.

Decessi e problemi. L'argomento in questione è delicato visto che, proprio come nel caso AstraZeneca, è difficile constatare il collegamento effettivo del decesso a ipotetici effetti causati dai vaccini. Nel caso di Hong Kong, come ha sottolineato il South China Morning Post, non ci sarebbero (il condizionale è d'obbligo) collegamenti diretti in due casi registrati, mentre le indagini sono ancora in corso per analizzare gli altri quattro misteriosi decessi. Tra i deceduti troviamo un uomo di 80 anni che soffriva di diabete e ipertensione, e che era stato colpito da ictus. Stando a quanto riportato dalle autorità, è morto di ischemia intestinale. Troviamo, poi, un 67enne, anch'egli affetto da diabete, ipertensione e iperlipidemia, e un altro uomo, 63enne, con problemi al cuore e al fegato. In condizione critiche, un ictus gli è stato fatale. Oltre alle vittime, i sanitari di Hong Kong si sono ritrovati di fronte a un paziente, 69enne affetto da ipertensione, che, a due ore dalla somministrazione del Sinovac, ha iniziato a sviluppare i sintomi della cosiddetta Paralisi di Bell, una particolare paralisi che colpisce il nervo facciale.

Il report delle autorità. Quanto accaduto è inserito in un rapporto sulle reazioni avverse ai vaccini divulgato dal Dipartimento della Salute. Il report, che è stato stilato prendendo in considerazione l'arco temporale che va dall'inizio della campagna vaccinale di Hong Kong, a fine febbraio, alla scorsa domenica, parla di 71 casi di "eventi avversi" a seguito di vaccinazioni. Calcolatrice alla mano, il tasso di eventi avversi in seguito alla somministrazione di dosi è di circa lo 0.07% tra le oltre 93 mila dosi inoculate. I funzionari hanno sottolineato che il valore non era anormalmente alto. La maggior parte delle reazioni, non ancora definitivamente collegate all'inoculazione dei sieri, ha riguardato il vaccino Sinovac (69 casi su 91.818 dosi somministrate), mentre due hanno coinvolto il Pfizer-BioNTech (2 casi su 1.207 dosi iniettate).

Una vicenda da chiarire. In ogni caso, informa ancora il report, 30 uomini e 17 donne, di età compresa tra 30 e 90 anni, sono stati ricoverati in ospedale dopo aver manifestato stanchezza, vertigini e persino un ictus. In relazione ai decessi, un comitato di esperti sta analizzando la documentazione per contribuire a fare chiarezza sulla vicenda. Le segnalazioni dei potenziali effetti negativi hanno complicato la campagna di vaccinazione di Hong Kong, alimentando diffidenza e paura. È pur vero che il tasso di incidenza sugli effetti avversi registrato nella megalopoli è di circa 7.6 segnalazioni ricevute per 10.000 dosi. Un dato inferiore rispetto al 39.9 registrato in Gran Bretagna, al 38.2 di Singapore e al 23.4 dell'Australia.

Dagospia il 13 marzo 2021. Risponde il Primario Prof. Fabrizio Salvucci. Chirurgo Cardiologo, Direttore Sanitario Ticinello Cardiovascular & Metabolic, Presidente ASD Athletic Pavia, Presidente Insieme per Ruzira ONLUS

L’ADE. Perché si muore di infarto dopo i vaccini? Non c'entrano nulla il vaccino AstraZeneca o quello Pfizer o altro. Bisogna essere molto attenti allo svilupparsi del fenomeno ADE. Si tratta di un’amplificazione infiammatoria della risposta derivata dagli anticorpi. Quindi un’infiammazione dovuta agli anticorpi aumentata in maniera esponenziale, ovvero quando si ha riproduzione di anticorpi su un substrato che gli anticorpi li ha già. In sintesi, se uno ha fatto il Covid, anche accorgendosene ma soprattutto i famosi asintomatici,  determina un’amplificazione della risposta anticorpale.

Il fenomeno ADE. Ed è per questo che molti professori, come il professor Maga (Pavia), il professor Galli (Sacco di Milano) e molti altri ancora stanno consigliando di fare prima l’esame sierologico. Bisogna essere certi di non aver avuto un contatto con il virus e di non avere anticorpi, altrimenti si rischia il fenomeno ADE. L'esito del sierologico quantitativo va attentamente visionato dal medico in caso di positività. I dosaggi immunologici, scrupolosamente valutati sui particolari valori delle immunoglobuline. Il problema non è il vaccino, il problema è la faciloneria con cui il vaccino viene somministrato. Bisogna stare attenti, come in tutte le cose, bisogna guardare se qualcuno ha già fatto il Covid, sintomatico o asintomatico che sia. Qualche giorno fa, da Perugia, un’infermiera che ho conosciuto mi stava dicendo che stava vivendo una situazione drammatica. Tantissime persone venivano ricoverate, stavano molto male e molte di queste erano vaccinate. Lei era sbalordita da questo fatto e mi chiedeva: “Dottore ma cosa sta succedendo?”. Semplice,  il fenomeno ADE determinato dalla condotta medica superficiale. Diciamo che questo fenomeno sta diventando drammatico. Ribadisco: nessuna paura del vaccino, questa è una reazione di tutti i vaccini, bisogna solo stare attenti ad essere certi di non avere già gli anticorpi attraverso l’esame sierologico. Fare l’esame sierologico prima di fare il vaccino, è una scelta obbligatoria oltre che  intelligente e permette di evitare la maggior parte delle reazioni più violente che il vaccino stesso può determinare. Addirittura, in alcuni laboratori valutano gli anticorpi contro la proteina S1 e la proteina S2, ovvero gli anticorpi neutralizzanti che noi abbiamo nel nostro organismo. Ripeto, bisogna fare il sierologico prima del vaccino, non è il vaccino il problema. Il problema è la faciloneria e che alcune persone si permettono di dire a pazienti a cui non può venire inoculato il vaccino “non hai fatto il vaccino?!” oppure “come mai non fai il vaccino!”, come fossi un appestato... Ho detto a questi pazienti che devono rispondere ai datori di lavoro: “Non faccio il vaccino perché mi è stato disposto dal medico. Non ne ero consapevole perché asintomatico, ma sono stato già contagiato o solo venuto in contatto con  il Sars-Cov-2. Ho nel mio sangue gli anticorpi specifici prodotti dal Covid-19, rischio il fenomeno ADE e  se mi iniettano il vaccino posso morire stroncato da un infarto o da embolia.

Le reazioni ai vaccini Covid: "Legate al fenomeno ADE". Chi ha gli anticorpi naturali e fa il vaccino potrebbe andare incontro al fenomeno dell'ADE: "Si tratta di un’amplificazione infiammatoria della risposta derivata dagli anticorpi". Alessandro Ferro - Dom, 14/03/2021 - su Il Giornale. La risposta alle numerose reazioni immunitarie causate dai vaccini anti-Covid forse c'è: tutto dipenderebbe dall'aver contratto il virus in precedenza ed aver sviluppato gli anticorpi naturali.

Di cosa si tratta. È quanto sostenuto dal Prof. Fabrizio Salvucci, Chirurgo Cardiologo, Direttore sanitario Ticinello Cardiovascular & Metabolic, Presidente Athletic Pavia, Presidente Insieme Per Ruzira ONLUS. A cosa è dovuta l'eccessiva risposta anticorpale, è colpa dei vaccini? "Non c'entrano nulla il vaccino AstraZeneca o quello Pfizer o altro. Bisogna essere molto attenti allo svilupparsi del fenomeno ADE. Si tratta di un’amplificazione infiammatoria della risposta derivata dagli anticorpi. Quindi un’infiammazione dovuta agli anticorpi aumentata in maniera esponenziale, ovvero quando si ha riproduzione di anticorpi su un substrato che gli anticorpi li ha già. In sintesi, se uno ha fatto il Covid, anche accorgendosene ma soprattutto i famosi asintomatici, determina un’amplificazione della risposta anticorpale", afferma il Prof. a Dagospia.

Cos'è l'Ade. Ripartiamo con ordine: Ade è l'acronimo di Antibody-dependent Enhancement, traducibile come “intensificazione (dell’infezione) anticorpo-mediata". Questo fenomeno è stato scoperto nel 1977 da un virologo che studiava la malattia di Dengue e da allora è stato riconosciuto anche per altri virus, inclusi alcuni della famiglia dei coronavirus. Si sta osservando che, se qualcuno ha già gli anticorpi "naturali" a seguito dell'infezione da Covid-19, una vaccinazione potrebbe esporre ad un rischio maggiore di effetti collaterali per i motivi spiegati chiaramente dal Prof. Salvucci. Qual è la soluzione per evitare che questo accada?

"Sierologico prima del vaccino". "Molti professori, come il Prof. Maga (Pavia), il Prof. Galli (Sacco di Milano) e molti altri ancora stanno consigliando di fare prima l’esame sierologico. Bisogna essere certi di non aver avuto un contatto con il virus e di non avere anticorpi, altrimenti si rischia il fenomeno ADE. L'esito del sierologico quantitativo va attentamente visionato dal medico in caso di positività. I dosaggi immunologici, scrupolosamente valutati sui particolari valori delle immunoglobuline", specifica l'esperto. Secondo questa tesi, quindi, il rischio non deriva dai vaccini in se ma dalla "faciloneria con cui il vaccino viene somministrato. Bisogna stare attenti, come in tutte le cose, bisogna guardare se qualcuno ha già fatto il Covid, sintomatico o asintomatico che sia".

I casi di Perugia. Il Prof. Salvucci racconta l'esperienza di un'infermiera di Perugia sbalordita dal numero di persone ricoverate a seguito della vaccinazione anti-Covid. Alla domanda che ha rivolto all'esperto sul perché ci fosse questo fenomeno, il chirurgo ha risposto che si trattava del "fenomeno ADE determinato dalla condotta medica superficiale. Diciamo che questo fenomeno sta diventando drammatico. Ribadisco: nessuna paura del vaccino, questa è una reazione di tutti i vaccini, bisogna solo stare attenti ad essere certi di non avere già gli anticorpi attraverso l’esame sierologico", ribadisce l'esperto. Insomma, il consiglio del cardiologo è quello di esame sierologico prima di vaccinarsi, "scelta obbligatoria oltre che intelligente e permette di evitare la maggior parte delle reazioni più violente che il vaccino stesso può determinare. Addirittura, in alcuni laboratori valutano gli anticorpi contro la proteina S1 e la proteina S2, ovvero gli anticorpi neutralizzanti che noi abbiamo nel nostro organismo". Se ne riparlerà sicuramente, specialmente quando il Prof., in chiusura d'intervista, ha invitato i pazienti già infettati dal Covid a non vaccinarsi e rispondere ai datori di lavoro di avere già nel "mio sangue gli anticorpi specifici prodotti dal Covid-19, rischio il fenomeno ADE e se mi iniettano il vaccino posso morire stroncato da un infarto o da embolia". Il Direttore della Clinica di Malattie Infettive dell'Ospedale di Genova, Matteo Bassetti, intervenendo a "Domenica In" ha affermato come non sia necessario fare un esame "ma se hai avuto una infezione recente il vaccino va procastinato più avanti. Tuttavia occorre un'indicazione certa e chiara anche ministeriale. Ad oggi infatti il sierologico non è richiesto per fare il vaccino".

"Mancano i dati". In mancanza di prove scientifiche, questa tesi può essere giusta o ancora senza risposta: infatti, come riportato da Med4care, il rischio che un vaccino per il Covid determini questo effetto è tutt'ora ignoto. "Al momento non sono presenti dati sufficienti o convincenti che associno l’ADE per Sars-CoV-2 all’uomo. Finora c’è stata solo un’osservazione dei fenomeni in laboratorio, ma gli esperti concordano nel dire che gli esperimenti condotti in una situazione artificiale possono non rispecchiare che cosa avviene all’interno di un organismo complesso", scrivono gli esperti.

La critica di Burioni. Non risparmia critiche, invece, il virologo Roberto Burioni che con un post su Facebook attacca pesantemente chi ha diffuso questa "scemenza che dimostra solo una cosa: la totale ignoranza di chi l’ha scritta e di chi la diffonde", riferendosi al discorso sull'ADE ed a quello che potrebbe provocare una vaccinazione in chi ha già gli anticorpi naturali a seguito dell'infezione.

I casi di tromboemoblia sono stati 250 su 11 milioni. Morte dopo vaccino Astrazeneca, l’Aifa: “Nessun rischio, solo emotività”. Redazione su Il Riformista il 14 Marzo 2021. Dopo i decessi avvenuti a poche ore, o al massimo giorni, dalla somministrazione della prima dose del vaccino AstraZeneca in Piemonte, Campania e Sicilia, arrivano le rassicurazioni di Giorgio Palù, presidente Aifa (Agenzia italiana del farmaco), intervenendo a ‘In mezz’ora in più’ su Rai3, in relazione ai casi di questi giorni. Non c’è “nessuna correlazione, nessun nesso causale, se non una relazione temporale”, tra la somministrazione del vaccino AstraZeneca e la morte di alcune persone vaccinate con questo farmaco. “C’e’ molta emotività” su queste vicende che riguardano le vaccinazioni, “e questo vale anche per le vaccinazioni AstraZeneca”, ha detto Palù sottolineando che nel caso verificatosi in Austria “si trattava di emopatia, e nel caso di Napoli c’è stato un infarto intestinale, mentre in Sicilia è ancora da conoscere l’esito dell’autopsia”. Il presidente dell’Aifa ha poi ricordato i numerosi studi valutativi e la somministrazione di milioni di dosi di vaccino AstraZeneca in Gran Bretagna, senza che si siano registrati incidenti tromboembolici o mortali correlati. I casi di tromboemoblia sono stati su 11 milioni 250 circa, e siamo ben al di sotto dell’incidenza di questi fenomeni nella popolazione normale, soprattutto negli anziani, cioè circa uno su mille. Bisogna essere molto cauti”, aggiunge. Occorre quindi “molta cautela” ha proseguito Palù, evidenziando che la stessa Ema, l’agenzia europea per il farmaco, ha detto che non c’è alcuna relazione diretta, nessun rischio. “E’ vero che la somministrazione di un vaccino può comportare un aumento dell’infiammazione, della coagulazione del sangue ma nel caso in questione questo è stato escluso da studi molto accurati, allo stato non vi sono questi episodi. Tra 7 giorni Ema emetterà un nuovo comunicato sulle reazioni avverse, lo stesso ha già fatto l’Aifa. Io sono assolutamente tranquillo”. Sulla terapia al cortisone a casa, che ha sollevato polemiche nei giorni scorsi, Palù osserva: “All’inizio della malattia c’è una difesa naturale e non è il caso di usare un farmaco che blocca la nostra risposta anti-infiammatoria. Quando l’infiammazione esplode, è invece molto pericolosa perché può accendere la spia della coagulazione e si possono avere fenomeni trombotici. Il cortisone andrebbe usato nella fase in cui questa infiammazione sta procedendo, andrebbe usato con grande accortezza”, aggiunge.

La malattia cardiovascolare. Cos’è la trombosi e quali sono i sintomi: al vaglio la correlazione con il vaccino AstraZeneca. Rossella Grasso su Il Riformista l'11 Marzo 2021. La trombosi è una malattia cardiovascolare molto comune. Comprende due condizioni interconnesse: l’embolia polmonare e la trombosi venosa profonda. Quest’ultima è determinata dalla presenza di un trombo, un coagulo di sangue in un’arteria o in una vena. “Il coagulo può essere composto da un’aggregazione di cellule ematiche che ostruiscono o rallentano la normale circolazione sanguigna e che possono migrare e spostarsi in un organo vitale, con conseguenze potenzialmente fatali”, si legge sul sito della Fondazione Veronesi. Si parla di trombosi venosa o arteriosa a seconda del vaso coinvolto. I trombi alle arterie sono più pericolosi perché bloccano l’arrivo dell’ossigeno con il sangue, provocando l’infarto del miocardio, ictus cerebrale o ischemia periferica. I trombi nelle vene possono essere più subdoli perché rallentano il ritorno del sangue al cuore e la parte liquida del sangue fuoriesce dal vaso gonfiando i tessuti circostanti (edema).

QUALI SONO I SINTOMI – La trombosi venosa profonda è spesso asintomatica. Secondo la Fondazione Veronesi circa il 50% dei soggetti colpiti da trombosi venosa non ha alcun sintomo. Per questo motivo in molti casi non viene diagnosticata e la malattia non è presa per tempo, prima che possa creare complicazioni anche fatali. Se presenti, invece, le manifestazioni più frequenti sono: dolore al polpaccio, gonfiore (prevalentemente alla caviglia o ai piedi), rossore o perdita di colorito della pelle (discromia), calore della zona interessata.

FATTORI DI RISCHIO – Tra i fattori di rischio per la trombosi ci sono il fumo di sigaretta, il consumo di alcol, la sedentarietà, alcune malattie croniche (cardiopatia, malattie polmonari, cancro, morbo di Crohn e rettocolite ulcerosa), la gravidanza (fino a sei settimane dopo il parto) e l’utilizzo di farmaci a base di estrogeni (come gli anticoncezionali orali e i farmaci per ridurre i sintomi della post-menopausa). Tra i fattori di rischio ci sono anche i processi infettivi acuti come potrebbe essere l’infezione da Covid.

LA CORRELAZIONE CON I VACCINI – La trombosi non ha collegamenti scientifici appurati con i vaccini, come si è ipotizzato in merito ad alcuni lotti di Vaccino AstraZeneca, ritirati da diversi paesi europei dopo che alcuni vaccinati avevano riportato episodi di trombosi dopo il vaccino. “Al momento non ci sono indicazioni che la vaccinazione abbia causato queste condizioni, che non sono elencate come effetti collaterali di questo vaccino”, aveva riferito in un comunicato l’Agenzia. Le informazioni finora disponibili, ha chiarito l’Ema, “indicano che il numero di eventi tromboembolici nelle persone vaccinate non sia superiore a quello osservato nella popolazione generale. Al 9 marzo 2021, erano stati segnalati 22 casi di eventi tromboembolici tra i 3 milioni di persone vaccinate con le dosi Covid-19 AstraZeneca nello Spazio economico europeo”. Si stanno ancora portando avanti studi su questo argomento.

(ANSA-AFP il 18 maggio 2021) L'Austria eliminerà gradualmente AstraZeneca dal suo programma di vaccinazioni contro il Covid-19 a causa di problemi di consegna e della diffidenza tra la popolazione per i rari effetti collaterali del vaccino. Lo ha annunciato il ministro della Salute. L'Austria è il terzo paese europeo, dopo Norvegia e Danimarca, a eliminare completamente il vaccino AstraZeneca dal suo programma di immunizzazione nazionale. "Probabilmente continueremo a fare prime somministrazioni fino all'inizio di giugno e poi basta", ha detto lunedì il ministro della Salute Wolfgang Mueckstein al canale televisivo privato Puls 24.

"Casi di trombosi". Ed è bufera: già sei Paesi rifiutano Astrazeneca. In Danimarca è stata sospesa la somministrazione per alemno 14 giorni per problemi di coagulazione in alcuni pazienti. Valentina Dardari - Gio, 11/03/2021 - su Il Giornale. La Danimarca ha sospeso per due settimane la somministrazione del vaccino anti-Covid prodotto da AstraZeneca per problemi di coagulazione in alcuni pazienti. Lo stop all'uso è dovuto al rischio di effetti collaterali potenzialmente seri.

La Danimarca blocca il vaccino. Come riportato da alcuni media internazionali, la decisione è stata presa dal ministro della Salute danese Magnus Heunicke, dopo che si sono verificati diversi casi di formazione di coaguli di sangue e problemi di circolazione in persone vaccinate con il siero di AstraZeneca. Il ministro ha comunque precisato su Twitter, che non è ancora chiaro se tali problemi siano legati o meno al vaccino inoculato. Dovranno essere condotte ulteriori indagini. Il provvedimento è arrivato in seguito a diverse segnalazioni di casi gravi. Come spiegato dall’autorità danese, "l'Agenzia europea per i medicinali ha avviato un'indagine sul vaccino AstraZeneca. Un rapporto si riferisce a un decesso anche in Danimarca. Al momento non si può concludere che esista un legame tra il vaccino e i coaguli di sangue". La sospensione durerà per 14 giorni, durante i quali l’Autorità danese per la salute e i medicinali, con l'Agenzia danese per i medicinali, farà una nuova valutazione. Søren Brostrøm, il direttore del National Board of Health, ha affermato che in questo momento c’è bisogno di tutti vaccini possibili e che sospendere uno di questi non è una decisione presa a cuor leggero, ma che il fatto di dover vaccinare molte persone porta a rispondere velocemente se vengono riscontrati possibili gravi effetti collaterali. Ha inoltre tenuto a precisare che la Danimarca non ha rinunciato al vaccino AstraZeneca ma ha solo deciso di sospenderlo. Ci saranno ripercussioni nella campagna vaccinale della Danimarca, dato che per almeno due settimane il vaccino non verrà inoculato, neanche ai cittadini che sono in attesa di ricevere la seconda dose. Al momento tutte le prenotazioni per AstraZeneca sono bloccate. Nel nuovo piano vaccinale danese non compare questo tipo di vaccino. Ma la Danimarca non è l’unico paese ad averlo sospeso, proprio per possibili reazioni avverse anche di gravi entità dovute a un singolo lotto, sulle quali vi è la necessità di effettuare nuovi controlli.

I Paesi che hanno sospeso AstraZeneca. Il primo paese era stato l’Austria, seguito poi da altri. Il lotto ABV5300 di AstraZeneca non è stato distribuito in Italia ma in altri 17 Paesi: Austria, Bulgaria, Cipro, Danimarca, Estonia, Francia, Grecia, Islanda, Irlanda, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Polonia, Spagna, Svezia, Estonia, Lituania, Lussemburgo, Lituania. Dopo la somministrazione infatti vi erano stati alcuni casi di trombosi, dopo che ne erano stati riscontrati altri due simili avvenuti nei giorni scorsi in Austria. Così, oltre alla Danimarca, anche Vienna, Estonia, Lituania, Lettonia e Lussemburgo avevano deciso di sospendere la somministrazione del vaccino. L'Ema aveva tenuto a precisare che “la maggior parte delle reazioni avverse segnalate è stata di severità lieve o moderata e solitamente gli eventi si sono risolti entro pochi giorni dalla vaccinazione. Rispetto a quanto osservato nei partecipanti più giovani, reazioni avverse, che sono comunemente previste con la somministrazione di un vaccino, sono state generalmente meno frequenti e più lievi nei partecipanti con più di 65 anni”. Il primo caso era avvenuto in Austria e aveva riguardato un soggetto vaccinato con il lotto indagato. La persona aveva poi sofferto di trombosi multipla ed era deceduta 10 giorni dopo aver ricevuto il vaccino. Un secondo caso si era riscontrato in una persona che aveva invece avuto un’embolia polmonare e che al momento starebbe guarendo.

Il lotto indagato non è stato distribuito in Italia. Secondo le informazioni diffuse dall'Agenzia europea del farmaco Ema, l'Italia non sarebbe tra i Paesi che hanno ricevuto il lotto indagato ABV5300. Questo è finito sotto esame dopo un decesso avvenuto in Austria, un caso di embolia polmonare e due segnalazioni di eventi tromboembolitici. Le valutazioni proseguono ed è stato reso noto che il lotto in questione, 1 milione di dosi, ha raggiunto 17 Paesi escluso il nostro. Si tratta, lo ripetiamo, di Austria, Bulgaria, Cipro, Danimarca, Estonia, Francia, Grecia, Islanda, Irlanda, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Polonia, Spagna e Svezia. L'Italia non figura tra questi. L'Ema ha precisato che dopo l'Austria, in via precauzionale anche Estonia, Lituania, Lettonia, e Lussemburgo avevano deciso di sospendere il lotto, mentre è in corso un'indagine completa. Per ultima la Danimarca che ha sospeso le vaccinazioni per due settimane. Come ha assicurato l'Ema, il Prac continuerà la sua valutazione "di qualsiasi potenziale problema con il lotto, nonché la revisione degli eventi tromboembolici e delle condizioni correlate". Da un aprima valutazione non risulterebbe comunque che sia stata la vaccinazione a causare i problemi riscontrati in alcuni soggetti. Queste condizioni non risultano neanche in elenco tra gli effetti collaterali di questo tipo di vaccino.

Aifa vieta lotto in Italia. L'Aifa ha vietato l'utilizzo in Italia di un lotto del vaccino AstraZeneca, ma non sarebbe lo stesso che ha causato la sospensione in diversi Paesi europei. Il divieto è arrivato dopo la segnalazione di alcuni eventi gravi avvenuti sul nostro territorio. L'Aifa ha spiegato che "in concomitanza temporale con la somministrazione di dosi appartenenti al lotto ABV2856 del vaccino AstraZeneca anti COVID-19, ha deciso in via precauzionale di emettere un divieto di utilizzo di tale lotto su tutto il territorio nazionale e si riserva di prendere ulteriori provvedimenti, ove necessario, anche in stretto coordinamento con l'EMA, agenzia del farmaco europea. Al momento non è stato stabilito alcun nesso di causalità tra la somministrazione del vaccino e tali eventi". L'Agenzia ha inoltre reso noto che "sta effettuando tutte le verifiche del caso, acquisendo documentazioni cliniche in stretta collaborazione con i NAS e le autorità competenti. I campioni di tale lotto verranno analizzati dall'Istituto Superiore di Sanità. AIFA comunicherà tempestivamente qualunque nuova informazione dovesse rendersi disponibile".

 (Adnkronos Salute l'11 marzo 2021) - L'Italia non sarebbe fra i Paesi che, stando alle informazioni diffuse dall'Agenzia europea del farmaco Ema, hanno ricevuto il lotto "ABV5300" di vaccino anti-Covid di AstraZeneca, finito sotto esame per un decesso registrato in Austria, un caso di embolia polmonare e dUE segnalazioni di eventi tromboembolitici. Mentre proseguono le valutazioni del Comitato Prac dell'Ema, che si occupa di farmacovigilanza, l'ente UE ha spiegato che il lotto in questione da 1 milione di dosi ha raggiunto 17 Paesi: Austria, Bulgaria, Cipro, Danimarca (che oggi ha sospeso la vaccinazione con AstraZeneca), Estonia, Francia, Grecia, Islanda, Irlanda, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Polonia, Spagna, Svezia. Non dunque l'Italia. L'Ema ha spiegato che dopo l'Austria altri 4 Paesi - Estonia, Lituania, Lettonia, Lussemburgo - avevano sospeso questo singolo lotto come misura precauzionale, in questa fase in cui è in corso un'indagine completa. Il Prac continuerà la sua valutazione "di qualsiasi potenziale problema con il lotto, nonché la revisione degli eventi tromboembolici e delle condizioni correlate", ha assicurato l'Ema, che ieri aveva segnalato come una prima visione dei dati da parte del Prac non suggerisse problemi specifici con il lotto e come non risultassero "indicazioni che la vaccinazione avesse causato queste condizioni, le quali non sono elencate come effetti collaterali di questo vaccino".

(ANSA-AFP l'11 marzo 2021) - La Danimarca ha sospeso per precauzione l'uso del vaccino anti Covid di AstraZeneca nel Paese a causa di problemi di coagulazione del sangue in alcuni pazienti. Lo hanno reso noto le autorità. La decisione "segue le notizie di gravi casi di coaguli di sangue in persone vaccinate con il vaccino anti Covid-19 di AstraZeneca", ha spiegato in un comunicato l'Autorità sanitaria danese, aggiungendo comunque che "al momento non è stato determinato che ci sia un legame tra il vaccino e i coaguli di sangue". Come è noto, domenica scorsa l'ufficio federale austriaco per la sicurezza sanitaria ha reso noto di avere sospeso la somministrazione di un lotto di vaccini AstraZeneca (il numero ABV5300) in seguito al decesso di una donna ed il ricovero di un'altra per un'embolia polmonare dopo la somministrazione di due dosi del vaccino. In seguito a questo episodio anche l'Estonia, la Lituania, il Lussemburgo e la Lettonia hanno sospeso in via precauzionale l'uso dei vaccini provenienti dallo stesso lotto, che conta un milione di dosi ed è stato distribuito in 17 Paesi (Italia esclusa). Oltre a Danimarca, Austria, Estonia, Lituania, Lussemburgo e Lettonia, gli altri Paesi che hanno ricevuto vaccini dal lotto numero ABV5300 sono Bulgaria, Cipro, Francia, Grecia, Islanda, Irlanda, Malta, Paesi Bassi, Polonia, Spagna e Svezia.

Vaccino, la Danimarca sospende la somministrazione di AstraZeneca: "Gravi casi di coaguli di sangue". Libero Quotidiano l'11 marzo 2021. Un altro stop al vaccino AstraZeneca. Dopo il caso che ha riguardato l'Austria, l'Autorità nazionale danese per la salute ha sospeso in via precauzionale la somministrazione del vaccino AstraZeneca dopo la segnalazione di alcuni gravi casi di coaguli di sangue. A segnalarlo con un comunicato è la stessa Autorità danese, che fa sapere che sui casi in questione sono in corso delle indagini per stabilire eventuali connessioni con la somministrazione del vaccino contro il coronavirus. Al momento, chiarisce l'Autorità, non ci sono però prove certe di una correlazione tra questi episodi di coagulo e la somministrazione del siero AstraZeneca. Ma resta la correlazione statistica che ha spinto la Danimarca allo stop alla somministrazione. "Siamo nel bel mezzo del più grande e importante programma di lancio di vaccinazioni nella storia danese. E in questo momento abbiamo bisogno di tutti i vaccini che possiamo ottenere. Pertanto, mettere in pausa uno dei vaccini non è una decisione facile. Ma proprio perché vacciniamo così tanto, dobbiamo anche rispondere con tempestività quando si é a conoscenza di possibili gravi effetti collaterali", ha commentato Soren Brostroem, direttore della National Health Authority. Due giorni fa, il 9 marzo, in Austria, era stata sospesa in via cautelativa la somministrazione di un lotto del vaccino AstraZeneca, dosi che le autorità hanno fatto sapere che non sarebbero più state utilizzate. Lo stop era arrivato dopo che una donna era morta mentre una seconda era ricoverata per embolia polmonare, sorte in seguito ad aver ricevuto le due dosi del vaccino. Le due donne in questione sono delle infermiere. La causa del decesso della donna morta è stata una trombosi, che però "non risulta essere tra gli effetti collaterali noti o tipici del vaccino", spiegava un comunicato dell'ufficio federale austriaco. Ma la vicenda ricorda da vicino quella che ha portato lo stop in Austria, dovuto al riscontro di diversi casi di coaguli di sangue. L'infermiera ricoverata, di 35 anni, aveva sviluppato una grave embolia polmonare: in condizioni considerate gravi, non sarebbe però in pericolo di vita.

Alessandro Ferro per ilgiornale.it l'11 marzo 2021. Molti di noi hanno un parente o amico che ha già ricevuto la prima dose di AstraZeneca. In molti casi sono stati segnalati febbre, dolori articolari e brividi per almeno 48 ore. La stessa cosa è avvenuta anche con i vaccini Pfizer e Moderna? Assolutamente sì.

La risposta dell'Aifa. Innanzitutto è bene tranquillizzare tutti: questi effetti sono normali dopo la somministrazione di qualsiasi vaccino e spariscono da soli. Sono una scocciatura e fanno stare male ma è sempre meglio che contrarre il Covid. Detto questo, per onestà intellettuale va anche sottolineato che gli effetti collaterali sono più frequenti della media rispetto ai classici vaccini influenzali ma riguardano tutti e tre quelli a disposizione, quindi Pzifer, Moderna e AstraZeneca. La nostra Agenzia Italiana del Farmaco ne ha dato comunicazione tramite un documento pubblicato all'interno del "Secondo Rapporto Aifa sulla sorveglianza dei vaccini Covid-19" che conferma l’elevato profilo di sicurezza dei vaccini attualmente usati in Italia e in Europa.

Un po' di dati. L'immagine che vedete all'interno del pezzo parla chiaro: i dati aggiornati al 26 febbraio dicono che si sono avute "30.015 segnalazioni su un totale di 4.118.277 dosi somministrate per tutti i vaccini, con un tasso di segnalazione di 729 ogni 100.000 dosi". Il tasso di segnalazione, quindi, ci dice che il 13,72% di centomila persone ha avuto alcuni dei sintomi sopra descritti. Dal momento che quello Pfizer è stato il più utilizzato finora, il 96% delle segnalazioni riguarda proprio questo vaccino, a seguire AstraZeneca con il 3% ed infine Moderna all'1% (quello meno usato). "Un tasso più elevato di quello che abitualmente si osserva per altre vaccinazioni, per esempio quella antinfluenzale, ma coerente con i risultati degli studi clinici e indicativo della speciale attenzione dedicata a questa vaccinazione", scrive Aifa, che sottolinea come "il 93,6% delle segnalazioni è riferito a eventi non gravi e risulta in linea con le informazioni già presenti nel Riassunto delle Caratteristiche del Prodotto dei vaccini".

Pfizer e Moderna. Il vaccino Comirnaty (nome tecnico) di Pfizer ha come effetti indesiderati febbre (soprattutto dopo la seconda dose), dolore in sede di iniezione, stanchezza e brividi classificati come non gravi nel 95% dei casi. In pù, sono stati riscontrati cefalea e dolori muscolari, nausea e diarrea. 1.700 segnalazioni ritenute gravi hanno, invece, provocato febbre alta, cefalea intensa, dolori muscolari/articolari diffusi e astenia, reazioni di tipo allergico, linfoadenopatia, parestesia, tachicardia, crisi ipertensiva e paralisi facciale. Le segnalazioni relative a Moderna riguardano gli stessi effetti non gravi nel 94% dei casi e soltanto in 32 occasioni sono stati segnalati gravi eventi avversi come febbre alta, mialgie ed artralgie diffuse.

Ema, benefici AstraZeneca restano superiori ai rischi. (ANSA l'11 marzo 2021) "Attualmente non ci sono indicazioni che la vaccinazione abbia causato queste patologie, che non sono elencate come effetti collaterali con questo vaccino. La posizione del comitato per la sicurezza dell'Ema (PRAC) è che i benefici del vaccino continuano a superare i suoi rischi e il vaccino può continuare a essere somministrato mentre sono in corso le indagini sui casi di eventi tromboembolici".  Lo rende noto l'Ema, dopo che la Danimarca ha sospeso l'utilizzo di AstraZeneca per delle segnalazioni di coaguli di sangue nelle persone che hanno ricevuto il vaccino, incluso un caso in cui una persona è morta. L'Ema, si legge in un comunicato, "è a conoscenza del fatto che l'Autorità sanitaria danese ha sospeso la sua campagna di vaccinazione con AstraZeneca. Ciò è stato deciso come misura precauzionale mentre è in corso un'indagine completa sulle segnalazioni di coaguli di sangue nelle persone che hanno ricevuto il vaccino, incluso un caso in Danimarca in cui una persona è morta. Anche alcuni altri Stati membri hanno sospeso la vaccinazione con questo vaccino". Allo stesso tempo, aggiunge l'agenzia europea del farmaco, "attualmente non ci sono indicazioni che la vaccinazione abbia causato queste patologie, che non sono elencate come effetti collaterali con questo vaccino. La posizione del comitato per la sicurezza dell'Ema (PRAC) è che i benefici del vaccino continuano a superare i suoi rischi e il vaccino può continuare a essere somministrato mentre sono in corso le indagini sui casi di eventi tromboembolici". Nella nota si aggiunge che il PRAC "sta già esaminando tutti i casi di eventi tromboembolici e altre condizioni correlate a coaguli di sangue, segnalati dopo la vaccinazione con il vaccino AstraZeneca". "Il numero di eventi tromboembolici nelle persone vaccinate non è superiore al numero osservato nella popolazione. Al 10 marzo 2021, sono stati segnalati 30 casi di eventi tromboembolici tra quasi 5 milioni di persone vaccinate con il vaccino COVID-19 AstraZeneca nello Spazio economico europeo".

Astrazeneca: anche Regione Veneto blocca lotto. (ANSA l'11 marzo 2021) Il Veneto ha già provveduto a bloccare l'utilizzo del lotto come da indicazione precauzionale di Aifa: lo rende noto la Regione In relazione alla decisione di vietare l'utilizzo sul territorio nazionale delle dosi del lotto ABV2856 del vaccino AstraZeneca, dopo la segnalazione di alcuni "eventi avversi gravi". La Regione Veneto conferma di aver ricevuto un quantitativo di dosi del lotto segnalato.

Astrazeneca:Draghi sente Von Der Leyen,no evidenza trombosi. (ANSA l'11 marzo 2021) Mario Draghi ha avuto un colloquio telefonico con Ursula Von der Leyen. Dalla conversazione - riferiscono fonti di Palazzo Chigi - è emerso che non c'è alcuna evidenza di un nesso tra i casi di trombosi registrati in Europa e la somministrazione del vaccino Astrazeneca.

Astrazeneca:Von Der Leyen a Draghi,avviata review dall'Ema. (ANSA l'11 marzo 2021) Nella telefonata con il premier Mario Draghi la Presidente Von der Leyen "ha comunicato che l'Ema ha avviato una ulteriore review accelerata" sui vaccini di Astrazeneca. Lo rende noto Palazzo Chigi.

Astrazeneca, in ogni lotto ci sono 500mila dosi. (ANSA l'11 marzo 2021) Sono circa 500mila le dosi contenute in ogni lotto del vaccino di AstraZeneca. E' quanto si apprende dalla stessa azienda che produce il vaccino. L'Aifa ha vietato l'utilizzo di dosi del lotto ABV2856 della stessa azienda.

Distribuito in tutta Italia il lotto Astrazeneca bloccato. (ANSA l'11 marzo 2021) Dosi del vaccino anti-Covid AstraZeneca appartenenti al lotto ABV2856 sono state distribuite in tutta Italia. E' quanto apprende l'ANSA. L'Agenzia italiana del farmaco Aifa ha deciso oggi, in via precauzionale, di emettere un divieto di utilizzo di tale lotto su tutto il territorio nazionale a seguito della segnalazione di alcuni eventi avversi gravi avvenuti in concomitanza temporale con la somministrazione di dosi appartenenti al lotto indicato.

Somministrato anche in Molise lotto Astrazeneca bloccato. (ANSA l'11 marzo 2021) Il lotto ABV2856 del vaccino AstraZeneca, per il quale l'Agenzia italiana del farmaco (Aifa) ha deciso in via precauzionale di emettere un divieto di utilizzo su tutto il territorio nazionale è stato distribuito e somministrato anche in Molise. Lo riferisce, interpellato dall'ANSA, il direttore generale dell'Azienda sanitaria regionale (Asrem), Oreste Florenzano. Lo stop, a seguito della segnalazione di alcuni eventi avversi gravi, in concomitanza temporale con la somministrazione di dosi. (ANSA).

Astrazeneca: decine telefonate in Calabria,"dubbi su dosi". (ANSA l'11 marzo 2021) Decine di telefonate stanno giungendo all'hub vaccinale della Calabria, a Catanzaro, dopo la notizia della partita di Cosenza, dopo la comunicazione dell'Aifa che ha vietato l'utilizzo di dosi del lotto ABV2856 di AstraZeneca. Nella regione alcune dosi già iniettate appartengono al lotto indicato dall'Aifa. "A chiamarci sono pazienti fragili, che chiedono di essere rassicurati sulla somministrazione del vaccino Pfizer, oltre a varie richieste di annullamento. Non sappiamo quanta gente domani si presenterà per le inoculazioni", spiegano alcuni medici dell'hub.

Toscana sospende temporaneamente lotto AstraZeneca. (ANSA l'11 marzo 2021) "Il mio direttore del settore sanità mi ha detto che ha sospeso alcune dosi di quel lotto" di vaccini AstraZeneca "che era arrivato in Toscana, assolutamente in modo temporaneo, a scopo cautelativo". Lo ha detto Eugenio Giani, presidente della Regione Toscana, intervenendo a 'Tagadà' su La7, precisando che la decisione vale solo per il lotto sospeso dall'Aifa.

AstraZeneca, la Regione Piemonte sospende un lotto del vaccino a titolo precauzionale dopo il decesso di un insegnante. L'Aifa: "Non c'è un nesso causale".  Paolo La Bua,  Sara Strippoli su La Repubblica il 14 marzo 2021. L'assessore Icardi: "Atto di prudenza". In un primo momento la Regione aveva stoppato l'intera campagna di vaccinazione, poi ha optato per lo stop del solo lotto sotto osservazione. Il ministero: "Sulla sicurezza dei vaccini decidono Aifa ed Ema". Palù (Aifa): "AstraZeneca è sicuro". I medici Anaao: "Di estrema gravità il comportamento della Regione". Vaccinazioni sospese per un lotto del vaccino di AstraZeneca (ABV5811) in tutto il Piemonte. I cittadini che attendevano questa mattina di essere vaccinati sono stati rimandati a casa. Una decisione dell'Unità di crisi per controlli sui lotti. Prosegue la vaccinazione con i vaccini di Pfizer e di Moderna. La decisione è stata presa dopo la notizia che era morto un insegnante in mattinata, dopo aver avuto il vaccino ieri. Si tratta di un docente di musica di Biella, Sandro Tognatti,  58 anni,  insegnante di clarinetto al Conservatorio di Novara, che ha ricevuto l'iniezione ieri pomeriggio nel centro vaccinale di Candelo. In un primo momento la Regione Piemonte aveva interrotto l'intera campagna vaccinale legata ad AstraZeneca. Dopo le prime valutazioni si è deciso di sospendere la somministrazione delle dosi di un solo lotto, quello di cui il docente biellese ha ricevuto una dose. Si tratta del lotto ABV5811.

Prima la sospensione totale, poi lo stop al singolo lotto. "In attesa degli esiti dei riscontri per verificare l'eventuale nesso di causa, in via precauzionale il commissario dell'Area giuridico-amministrativa dell'Unità di crisi della Regione Piemonte, Antonio Rinaudo, ha disposto immediatamente la sospensione su tutto il territorio regionale della somministrazione del vaccino AstraZeneca per i dovuti accertamenti sul lotto coinvolto", aveva fatto sapere alle 13.45 la Regione, che aveva subito convocato la Commissione piemontese sulla farmaco-vigilanza per l'attivazione di tutte le procedure previste dalla legge. "Si tratta - aveva specificato l'assessore alla Sanità della Regione Piemonte, Luigi Genesio Icardi - di un atto di estrema prudenza in attesa di verificare se esista un nesso di causalità tra la vaccinazione e il decesso. Ad oggi in Piemonte non era mai stata segnalata nessuna criticità particolare dopo la somministrazione dei vaccini".

Astrazeneca, Icardi (Regione Piemonte): "Sospensione lotto vaccino è un atto di prudenza". Due ore dopo la Regione ha invece deciso di riprendere le vaccinazioni con AstraZeneca, stoppando soltanto quelle del lotto sotto osservazione: "Sono riprese regolarmente in Piemonte le somministrazioni di vaccino AstraZeneca, dopo la sospensione precauzionale di un paio d'ore finalizzata a individuare e isolare il lotto del quale faceva parte la dose somministrata all'insegnante biellese deceduto. Il lotto è stato individuato e proseguono ora regolarmente le somministrazioni di vaccini AstraZeneca appartenenti a lotti diversi, in attesa delle decisioni dell'Aifa e della Commissione piemontese per la farmaco vigilanza, che è stata già convocata", si legge nelll'ultimo comunicato inviato dall'Unità di crisi regionale.

Il ministero della Salute: "Sulla sicurezza dei vaccini decidono Aifa e Ema". L'annuncio della sospensione totale di AstraZeneca non è passata inosservata al ministero della Salute. "Le uniche autorità che possono prendere decisioni sulla sicurezza dei vaccini sono Aifa (l'Agenzia italiana per il farmaco) ed Ema (l'agenzia europea) e c'è piena fiducia sulla sorveglianza da loro costantemente esercitata", hanno fatto sapere dal dicastero guidato da Roberto Speranza.

Palù (Aifa): "C'è molta emotività, ma su AstraZeneca nessun rischio". "Non c'è nessun rischio con Astrazeneca", dice il presidente dell'Aifa, Giorgio Palù, a Mezz'ora in più, parlando del "caso Piemonte. "C'è molta emotività rispetto ai vaccini, già ai tempi del vaccino anti-influenzale", osserva il professore, "ma a tutt'oggi, e questo vale per Astrazeneca, non c'è nessuna correlazione sinora dimostrata né un nesso causale" tra la somministrazione del vaccino e le morti che si sono verificate. Per questo, prima di prendere certe decisioni, "bisogna essere molto cauti".

Anaao Assomed: "Messaggi fuorvianti, un comportamento di estrema gravità". "Quel che è accaduto oggi è di estrema gravità: diffondere messaggi fuorvianti, smentiti dopo due ore, rischia di compromettere la campagna vaccinale. Diffonde diffidenza , paura e dubbi nella popolazione. Che sta già disdicendo le prenotazioni per vaccinarsi con AstraZeneca". Così, in una nota, la segreteria regionale Anaao Assomed Piemonte, l'associazione dei medici dirigenti, che critica lo stop and go sul vaccino e chiede di conoscere "quante disdette dal vaccino, e quindi quante morti, causerà". "Devono essere Aifa e Ema che decidono. Vogliamo risposte scientifiche, non umorali e dettate dall'emotività, dall'ansia di comandare e  dalla improvvisazione", sostiene il sindacato, che attacca: in Piemonte diamo fiducia all'idrossiclorchina, che espone ignari pazienti a rischi inaccettabili, e compromettiamo la vaccinazione che ha sicura efficacia. Chiediamo che la gestione della campagna di vaccinazione venga immediatamente affidata a persone competenti in logistica, gestione e analisi dei dati - conclude il sindacato dei dirigenti medici - rimuovendo coloro che sono evidentemente incapaci di gestire questa difficile situazione".

AstraZeneca: "Nessuna prova di aumento di coaguli di sangue con il nostro vaccino". Finora in tutta l'Europa e nel Regno Unito, su un totale di 17 milioni di soggetti vaccinati con il vaccino anti-Covid di AstraZeneca, "ci sono stati 15 eventi di trombosi venosa profonda e 22 eventi di embolia polmonare segnalati tra coloro a cui è stato somministrato il vaccino, in base al numero di casi che la società ha ricevuto all'8 marzo". Lo afferma AstraZeneca, sottolineando che tale numero di eventi "è molto più basso di quanto ci si aspetterebbe che si verifichi naturalmente in una popolazione generale di queste dimensioni ed è simile per altri vaccini Covid-19 autorizzati". Inoltre, precisa l'azienda, "negli studi clinici, anche se il numero di eventi trombotici era piccolo, questi erano inferiori nel gruppo dei soggetti vaccinati" e "non ci sono state prove di un aumento del sanguinamento negli oltre 60mila partecipanti arruolati". "Circa 17 milioni di persone nell'UE e nel Regno Unito - ha affermato Ann Taylor, Chief Medical Officer - hanno ricevuto il nostro vaccino e il numero di casi di coaguli di sangue segnalati in questo gruppo è inferiore alle centinaia di casi che ci si aspetterebbe tra la popolazione generale. La natura della pandemia ha portato a una maggiore attenzione nei singoli casi e stiamo andando oltre le pratiche standard per il monitoraggio della sicurezza dei medicinali autorizzati nella segnalazione di eventi vaccinali, per garantire la sicurezza pubblica ".

Agenzia italiana del farmaco: "Allarme ingiustificato sulla sicurezza del vaccino". "Ingiustificato l'allarme sulla sicurezza del vaccino AstraZeneca". Lo scrive in una nota l'Agenzia italiana del farmaco (Aifa) sottolineando che i casi di decesso verificatisi dopo la somministrazione del vaccino "hanno un legame solo temporale. Nessuna causalità è stata dimostrata tra i due eventi". Aifa sottolinea "che le attività di farmacovigilanza proseguono sia a livello nazionale che europeo in collaborazione con Ema, monitorando con attenzione possibili effetti avversi legati alla vaccinazione" e "rassicura fortemente i cittadini sulla sicurezza del vaccino AstraZeneca per una ottimale adesione alla campagna vaccinale".

Vaccino Astrazeneca, ecco le Regioni che hanno ricevuto il lotto ritirato. Dalla Lombardia alla Sicilia, quasi tutte le Regioni hanno ritirato il lotto di vaccino AstraZeneca sospeso dall'Aifa. Francesca Galici - Gio, 11/03/2021 - su Il Giornale. Il lotto Abv2856 del vaccino AstraZeneca è stato ritirato con effetto immediato dall'Aifa in via precauzionale in tutto il Paese. La decisione è arrivata dopo le segnalazioni di eventi avversi gravi per permettere alle autorità di condurre tutte le verifiche del caso e dare risposte chiare e concrete. Aifa, inoltre, "si riserva di prendere ulteriori provvedimenti, ove necessario, anche in stretto coordinamento con l’Ema, agenzia del farmaco europea". È quanto si legge nel comunicato dell'Agenzia italiana del farmaco. Inizialmente si pensava che il lotto fosse stato distribuito solo in Sicilia ma in queste ore stanno emergendo somministrazioni anche in altre regioni del Paese. È bene specificare che allo stato attuale delle cose non è stato determinato nessun nesso causale certo tra la somministrazione e gli eventi avversi. La decisione di ritirare il lotto di vaccino AstraZeneca indicato è arrivata dopo la morte del marinaio di Siracusa. Il militare è deceduto a causa di un arresto cardiocircolatorio tra le mani dei medici rianimatori del 118, 24 ore dopo avere ricevuto l'immunizzazione. Le autorità sanitarie invitano a non creare allarmismi ma per precauzione è stato disposto il ritiro del lotto. "Questo lotto non è stato distribuito solo in Sicilia, ma almeno in un'altra regione, il Molise, anche se ci risulta, da parte del distributore, che potrebbero essere coinvolte anche altre regioni. Una quota di vaccini del medesimo lotto, infatti, sono stati sequestrati a Modena e consegnati ai carabinieri", ha dichiarato l'assessore alla Sanità della Regione Sicilia, Ruggero Razza. "Complessivamente del lotto di AstraZeneca sospeso dall'Aifa sono arrivate in Sicilia 20.500 dosi, di queste ne sono state somministrate 18.194. Le rimanenti 2.306 dosi sono state bloccate", ha confermato l'assessore Razza. Oltre che in Sicilia, in Molise e in Emilia Romagna, alcune dosi del lotto Abv2856 sono state rinvenute anche in Umbria, per la precisione a Orvieto. Qui, al momento, nessuno dei vaccinati che hanno ricevuto l'inoculazione da questo lotto ha manifestato criticità. Ma nelle ultime ore si moltiplicano le segnalazioni di dosi di vaccino AstraZeneca del lotto Abv2856 che vengono ritirate. Al momento, infatti, i Nas hanno sequestrato le ampolle della partita sotto esame anche in Campania, Lombardia, Veneto, Puglia, Calabria e Abruzzo. 1.500 dosi sono state sequestrate nelle scorse ore a Potenza, in Basilicata, dove non è mai stato utilizzato. 15.743 dosi sono state somministrate in Toscana, dove la Regione ha provveduto a sospendere le 15 non utilizzate. Altre dosi sono state ritirate in Friuli Venezia Giulia. Nella maggior parte dei casi, le Asl regionali non hanno segnalato reazioni avverse gravi dopo la somministrazione della dose del lotto Abv2856.

Campania, psicosi da AstraZeneca: prof in fuga dal vaccino. Antonio di Costanzo su La Repubblica il 13 marzo 2021. Su 605 operatori scolastici attesi alla Mostra d'Oltremare se ne presentano solo 226. Ma poliziotti e docenti in fila: "Il Covid è il vero nemico che uccide". Polemiche sul mancato rilascio del certificato di avvenuta vaccinazione. La giovane prof ha gli occhi fissi sul suo smartphone. Scorre le notizie on line per cercare news su Astra-Zeneca e in particolare sui lotti Abv 2856 e Abv 6096. Sono le due sigle diventate ormai note tra docenti e forze dell'ordine. Indicano le due forniture del vaccino anglo-svedese il cui utilizzo è stato sospeso in via precauzionale dopo la morte di due militari e un poliziotto in Sicilia e di un bidello ad Acerra. "Dovrei vaccinarmi, ma ci rinuncio" dice prima di andare via la docente. L'impatto emotivo dello stop si è riversato sul Covid vaccine center della Mostra d'Oltremare. Lo spiegano bene i numeri: un operatore scolastico sue due non si è presentato. " Erano convocati 605 lavoratori - fa sapere l'Asl - ne abbiamo vaccinati 226". Meglio è andato con le forze dell'ordine: 892 su 1218. Ma c'è chi teme molto più il Covid alle reazioni avverse associate ad AstraZeneca: "È un nostro dovere vaccinarci - dice Giovanna - dobbiamo farlo per il bene della scuola e delle nostre famiglie. Il Covid è il vero nemico, quello che uccide da oltre un anno". Alla Mostra d'Oltremare arrivano di nuovo i carabinieri del Nas. Giovedì cercavano il lotto Abv 2856 che però è terminato già a febbraio, così fa sapere l'Asl diretta da Ciro Verdoliva. Ieri invece le fiale bloccate sono quelle Abv 6096, sospese dopo la morte mercoledì ad Acerra di Vincenzo Russo, una tragedia che sarebbe legata alle sue condizioni di salute. Ma questa tragedia alimenta l'apprensione che viene riversata nelle chat dei docenti. Il numero verde di " Farmacovigilanza" attivato da AstraZeneca è tempestato di chiamate per lo più inutili. L'azienda farmaceutica rimanda alle Asl per informazioni sul lotto di vaccini utilizzato. Ma mentre in alcune aziende sanitarie viene rilasciato un certificato che lo attesa, alla Mostra d'Oltremare a chi si vaccina non è consegnata alcuna ricevuta. "Così è impossibile capire se si sono utilizzate le dosi su cui sono in corso verifiche" dice un funzionario di polizia. Il manager dell'Asl Verdoliva, annuncia che nei prossimi giorni sarà possibile scaricare l'attestato dell'avvenuta vaccinazione dalla piattaforma telematica regionale attivata da Soresa. Poco dopo le 12 non ci sono più "prof" da vaccinare, e così gli addetti alla sorveglianza aprono i varchi della Mostra d'Oltremare alle divise che sarebbero dovute entrare a partire dalle 15. Sergio Conte, poliziotto e sindacalista del Consap attende i canonici quindici minuti dopo la vaccinazione: "Sono tranquillissimo, dobbiamo fidarci ed è giusto essere qui". Un altro poliziotto rassicura: "Per tre volte ci hanno chiesto se avessimo patologie particolari e i farmaci che assumiamo". Un carabiniere spiega: "Per me niente AstraZeneca perché ho problemi di salute e hanno deciso di somministrarmi Pfizer". Accade anche per Pasqualina, agente di polizia: "Sono in sovrappeso e AstraZeneca è sconsigliato". Sulla paura dilagante in molti replicano: " Meglio rischiare reazioni avverse che il contagio da Covid". Riccardo del reparto mobile afferma: "A prescindere da tutto devo proteggere la mia famiglia". Rosario e Rosanna, motociclisti della polizia municipale, festeggiano l'avvenuta vaccinazione con un selfie. Rosanna ammette: "Un po' di apprensione c'è, ma dobbiamo fare di tutto per uscire da questo incubo". Ma a questi ritmi di vaccinazione il governatore Vincenzo De Luca vede lontano il traguardo: "Se andiamo avanti così, con queste forniture di vaccini, il calvario continuerà ancora nel 2022 e nel 2023 "accusa durante la consueta diretta- monologo Facebook del venerdì. Sullo stop scattato per i due lotti di AstraZeneca il presidente della Regione aggiunge: "Evitiamo psicosi, situazioni di angoscia. Non c'è nessun motivo per essere angosciati". Per quanto riguarda l'aumento dei contagi, il governatore parla di situazione "estremamente seria. Siamo in guerra. La Campania, subito dopo la Basilicata, è la regione italiana con l'indice Rt attualmente più elevato, pari a 1,5". Secondo l'ultimo bollettino dell'Unità di crisi sono 2.644 i positivi nelle ultime 24 ore di cui 702 sintomatici (ieri erano 684) su 22.066 tamponi esaminati. Sale il tasso di incidenza che passa dal 10,85 all'11.98 per cento. Ventinove i decessi e 1.418 le persone guarite. Leggero calo per i posti letto occupati in terapia intensiva che passano dai 156 di giovedì ai 149 di ieri mentre aumentano i posti letto occupati in degenza: da 1492 a 1502. Ma la paura cresce in tutti i settori e lo studio legale Vizzino chiede " la sospensione immediata di tutti gli uffici giudiziari fino a quando non migliorerà la situazione sanitaria o si completerà la vaccinazione del personale. Non esistono adeguati sistemi di controllo e le aule non sono sicure anche a causa degli assembramenti".

AstraZeneca: paura in polizia e molti cancellano la prenotazione. "La nostra preoccupazione non è criticabile ma legittima" dice il segretario generale del Sap Steafano Paoloni. Dall'Aifa arrivano rassicurazioni. Sofia Dinolfo - Dom, 14/03/2021 - su Il Giornale.  Da quando è stato ritirato il lotto ABV2856 dei vaccini AstraZeneca da parte dell’Agenzia italiana del Farmaco non si placa la preoccupazione da parte di chi ha già ricevuto la somministrazione di quelle dosi. La lente d’ingrandimento adesso è puntata su questi vaccini e chi si è sottoposto alla loro inoculazione gli scorsi giorni, adesso non sottovaluta i sintomi che ha avvertito nelle ore a seguire. Particolare preoccupazione in queste ultime giornate è quella che dilaga tra le Forze di polizia. A raccontare su il Giornale.it questi momenti scanditi dall’ansia è Stefano Paoloni, segretario generale del SAP(Sindacato Autonomo di Polizia). Paoloni, in particolar modo, ha spiegato che dal nord al sud Italia sono numerosi i poliziotti che avendo aderito alla campana di vaccinazione, hanno ricevuto proprio le dosi del lotto ritirato. “Ci sono diversi uomini della polizia- ha detto il sindacalista- che hanno avuto sintomi lievi ma perduranti, altri che invece sono stati molto male, per alcuni giorni, con febbre alta, forti dolori articolari e anche mal di testa”. Il richiamo lo hanno fatto solo in pochi perché la seconda somministrazione, nel caso AstraZeneca, viene eseguita anche 10 settimane dopo rispetto alla prima. Ed ecco che adesso sorgono dubbi e perplessità per la prossima data. “La paura tra il personale c’è ed è anche tanta” ha affermato Stefano Paoloni che ha poi proseguito: “Molti degli agenti che non hanno ancora ricevuto la prima dose ma anche quelli che già l’hanno ricevuta, hanno disdetto la loro presenza nei centri di vaccinazione per le prossime date. Siamo tutti in attesa di capire quale sarà l’evoluzione dei fatti e credo che la nostra preoccupazione non sia criticabile ma legittima”. Lo sfogo del segretario generale del SAP si unisce a quello dell’agente di stanza a Trieste e segretario provinciale dell’Fsp, Alessio Edoardo, raccolto per il Giornale.it da Giusepe De Lorenzo. La paura non è altro che la conseguenza di quanto accaduto ai loro colleghi in questi ultimi giorni: a distanza di poco tempo l’uno dall’altro, dopo aver ricevuto il vaccino AstraZeneca sono deceduti il militare Stefano Paternò ad Augusta , il poliziotto Davide Villa a Catania e il maresciallo dei carabinieri Giuseppe Maniscalco a Trapani. All’interno delle procure delle rispettive città si cerca di fare luce su un possibile collegamento fra la somministrazione del vaccino AstraZeneca e la causa delle morti. Dopo questi episodi l’Aifa, a scopo precauzionale, ha ordinato il ritiro del lotto in questione in Italia e la paura ha iniziato a dilagare fra le persone che hanno ricevuto già la dose del codice ABV2856. Il 12 marzo, come ha fatto sapere l’assessore alla Salute della Sicilia Ruggero Razza, settemila siciliani hanno cancellato in un solo giorno la loro prenotazione. Un fatto che rischia di incidere notevolmente sul proseguo della campagna vaccinale con la possibile conseguenza di un prolungamento della pandemia. Intanto dall’Aifa il presidente Giorgio Palù ha cercato in più occasioni di rassicurare i cittadini sull’importanza di proseguire con la vaccinazione: “È tutto in evoluzione- ha detto il professore- bisogna ancora accertare il nesso di causalità”. Anche i virologi che da un anno ci hanno abituato ad assistere ad opinioni contrastanti fra loro adesso in coro unanime concordano sulla sicurezza del vaccino AstraZeneca. Fra questi, ad esempio Matteo Bassetti: “Quello che sta succedendo in Italia nelle ultime 24 ore- ha scritto su Instangram- è inaccettabile. Una campagna anti-scientifica contro i vaccini che rischia di mettere a repentaglio la riuscita della campagna stessa. Occorre analizzare i fatti con trasparenza, rapidità e scientificità. Ad oggi- ha precisato il direttore del San Martino di Genova- sulle oltre 15 milioni di persone vaccinate con AstraZeneca non c’è stato neanche un decesso direttamente correlato al vaccino e gli effetti collaterali sono stati meno di 1 ogni 10000 vaccinati. I vaccini sono e restano sicuri”. Intanto ieri pomeriggio dall’Ema è arrivata una raccomandazione dopo la revisione di 41 segnalazioni di possibili casi di anafilassi registrati nel Regno Unito tra 5 milioni di vaccinazioni. Il Prac, ossia il comitato per la valutazione dei rischi dell'agenzia, ha ritenuto "probabile" un collegamento al vaccino in alcuni di questi casi. Da qui la raccomandazione dell’Ema di aggiornare le informazioni sul prodotto includendo l’anafilassi e l’ipersensibilità come effetti collaterali. Nel frattempo fuori dall’Italia a decidere la sospensione di AstraZeneca sono Austria, Estonia, Lituania, Lettonia, Lussemburgo, Danimarca, Norvegia e Islanda. In Italia prosegue invece la somministrazione del vaccino anglo-svedese. A confermarlo ieri pomeriggio nel corso della sua visita al centro vaccinale di Fiumicino, è stato il presidente del consiglio Mario Draghi. "Il nostro obbiettivo - ha detto il premier - in accordo con il ministro della Salute, Roberto Speranza, il capo della Protezione Civile, Fabrizio Curcio, e il Commissario straordinario all'emergenza, Generale Francesco Paolo Figliuolo, è quello di utilizzare tutti gli spazi utili disponibili per le vaccinazioni. Ci si potrà vaccinare non solo negli ospedali, ma anche nelle aziende, nelle palestre e nei parcheggi come questo di Fiumicino". Draghi facendo un riepilogo dei siti vaccinali già operativi sul territorio nazionale ha promesso l’individuazione di altri siti a breve termine annunciando allo stesso tempo la necessità dell’aiuto di personale specializzato: “Penso prima di tutto- ha detto- ai medici generali, specialisti e specializzandi, con cui abbiamo già sottoscritto accordi a tal fine. Ma anche ai medici competenti delle aziende, ai medici sportivi e agli odontoiatri. Opereranno nel pieno rispetto dei protocolli medici, per garantire somministrazioni rapide e sicure. Il loro contributo è centrale per il successo di questa campagna, come lo è già stato in tutte le altre fasi della pandemia, ma fondamentale è la partecipazione di tutti i cittadini. Pensiamo solo- ha concluso il premier- che con una vaccinazione diffusa potremo fare a meno di restrizioni come quelle che abbiamo dovuto adottare"

Effetti vaccino AstraZeneca: “Lo 0,002% di complicazioni, trombosi rare”. Redazione su Il Riformista il 13 Marzo 2021. Il vaccino AstraZeneca “ha lo 0,002 per cento di casi assoggettabili a patologie gravi. E’ stato pubblicizzato male, purtroppo. Dai miei incontri con i vertici dell’Ema mi è stato ribadito che AstraZeneca è un prodotto fortissimo: teoricamente più la classe è avanzata e più funziona”. Le rassicurazioni arrivano dal generale alpino Francesco Paolo Figliuolo, commissario straordinario per l’emergenza Covid in un colloquio con il quotidiano ‘Il Foglio‘ dall’hub di Fiumicino. Il nuovo capo della Protezione civile nelle prossime ore lancerà nuovi centri vaccinali con l’obiettivo di “essere più capillari possibili”. Tornano invece agli effetti di AstraZeneca e all’allarmismo creatosi nei giorni scorsi dopo il blocco di un lotto, Figliuolo sottolinea: “Sui giovani, per paradosso, il vaccino provoca risposte forti perché essendo forte con adenovirus dà una carica importante fin da subito con anticorpi, gli anziani che ne hanno di meno stanno subito meglio. Io farò AstraZeneca. C’è stato un problema di percezione, senza dubbio e una serie di problemi con le liberatorie. Tutto si risolverà quando arriverà Johnson & Johnson, a partire da quelli logistici visto che la dose è unica”. Poi lancia l’obiettivo: ‘‘Puntiamo a chiudere la campagna entro l’estate, se faremo prima saremo stati più bravi. Se andrà male, tornerò a fare quello che facevo prima. Scherzo, ovviamente. Normalmente faccio le battaglie per vincere – ha sottolineato il commissario – l’importante non sono io, ho detto sì per senso di responsabilità verso lo Stato. Vedrete, vincerà l’Italia”. Rassicurazioni su AstraZeneca arrivano anche da Marco Cavaleri, responsabile della strategia vaccini dell’EMA, l’agenzia europea per i medicinali. “Il nostro comitato di farmacovigilanza ha guardato tutti i dati che abbiamo a disposizione riguardo alla sicurezza di questo vaccino, inclusi gli eventi tromboembolici che si sono verificati, ma che in effetti sono molto rari, stiamo parlando di un numero di casi inferiore a quelli che ci saremmo aspettati se le campagne vaccinali non fossero in corso, nella popolazione in generale” ha detto a Sky Tg24 Cavaleri. “Essendo casi molto rari non sono stati ancora discussi nel dettaglio, prima di far questo è impossibile concludere. Ad oggi quello che ci sentiamo di dire è che il vaccino risulta sicuro e efficace, quindi bisogna continuare ad usarlo”. “I trombi – ha aggiunto poi – non sono eventi che comunemente vengono associati all’uso di vaccini, poi bisogna vedere di quale vaccino si parla. Questo è un vaccino usato su tutta la popolazione adulta e sugli anziani, una popolazione in cui questi eventi succedono comunque, in cui queste malattie avvengono. È molto importante cercare di capire esattamente cosa sarebbe successo comunque, al di là del vaccino, e che quindi non ha nulla a che fare con il vaccino. Ad oggi non abbiamo nessuna prova che il vaccino possa causare questi eventi, ma ovviamente stiamo indagando per capire meglio”. Nel Regno Unito – ha aggiunto – che è il Paese che ha vaccinato di più con AstraZeneca con undici milioni di dosi, non hanno visto niente di allarmante o preoccupante su questo fronte, sono dati che rassicurano”. Cavalieri ha spiegato che “ci potrebbe essere bisogno di più tempo, di capire se altri casi di eventi avversi vengono riportati e capire se, effettivamente, ci sia un aumento dei casi dopo la vaccinazione, che non ci saremmo aspettati. Ad oggi non è così, i casi sono molto rari”.

"Perché non ci sono rischi". I virologi “assolvono” il vaccino AstraZeneca. AstraZeneca nell'occhio del ciclone. Ma la scienza rassicura: "C'è differenza tra correlazione temporale e causale". Alessandro Ferro - Dom, 14/03/2021 - su Il Giornale. Da alcuni giorni non si parla d'altro: da un lato il vaccino AstraZeneca e dall'altro le reazioni avverse che fanno temere (fino a quando non avremo risposte dall'autopsia) addirittura per la morte di due militari in Sicilia. Danimarca, Norvegia e nelle ultimissime ore l'Irlanda ne hanno sospeso temporaneamente la somministrazione dopo i casi di coaguli nel sangue. Su più di 17 milioni di persone vaccinate con il siero di AstraZeneca, "finora in tutta l'Ue e nel Regno Unito ci sono stati 15 eventi di Tvp (Trombosi venosa profonda) e 22 eventi di embolia polmonare segnalati tra coloro a cui è stato somministrato il vaccino, in base al numero di casi che la società ha ricevuto all'8 marzo. Questo dato è molto più basso di quanto ci si aspetterebbe che si verifichi naturalmente in una popolazione generale di queste dimensioni ed è simile per altri vaccini Covid-19 autorizzati", riporta una nota di AstraZeneca.

Proviamo a fare chiarezza. Insomma, inutile negare che sia un gran casino nel bel mezzo della campagna vaccinale anti-Covid che subirà, nei prossimi giorni, finalmente quell'impennata (500mila vaccini al giorno l'obiettivo del Commissario Figliuolo) necessaria per mettere alle strette il virus e in sicurezza la maggior parte delle persone. Sicurezza e chiarezza, appunto, è quanto i cittadini italiani giustamente chiedono. "Bisogna aspettare. Le spiego con un esempio la differenza tra correlazione causale e temporale. Se oggi piove e io scivolo in casa, non significa che sia caduto a causa della pioggia, ma se finisco a terra sul marciapiede bagnato potrebbe esserci una correlazione, in questo caso causale”, afferma il Prof. Carlo Federico Perno, Direttore di Microbiologia e Virologia al Bambin Gesù di Roma, in un'intervista su Repubblica.

Lo stop di AstraZeneca. Per il momento, però, il siero italo-inglese ha subìto un boomerang incredibile: un lotto di vaccini è stato bloccato, alcuni Paesi hanno chiesto lo stop alle somministrazioni e gli italiani che dovranno sottoporsi nei prossimi giorni a questa vaccinazione hanno più dubbi che certezze. Ma c'è una realtà "incontrovertibile" che dovrebbe rassicurare. "La prima dose AstraZeneca, nel mondo è stata già somministrata a milioni di persone e non è stato segnalato alcuno di quei drammatici eventi a cui stiamo assistendo. Quindi è ragionevole pensare, ma deve essere un’indagine a chiarirlo, che reazioni avverse e decessi registrati non siano correlati al vaccino in sé ma a singoli lotti. Sempre che per questi ultimi venga dimostrata la correlazione causale cui accennavo”, afferma Perno.

Le reazioni ai vaccini Covid: "Legate al fenomeno ADE". Però, mentre nel caso di Pfizer e Moderna sono molto meno frequenti i casi di gravi reazioni avverse, per AstraZeneca le cose non vanno certo a meraviglia. "Un vaccino, per definizione, deve essere prima di tutto sicuro, proprio perché viene inoculato a persone sane e non, come la chemio, a malati gravi - continua l'esperto - E se è tollerata una tossicità, modesta e tipica dei vaccini, non sarebbe ipotizzabile in nessun caso una tossicità grave”.

"Nessun rischio con AstraZeneca". "Non c'è nessun rischio con Astrazeneca. Nessuna correlazione finora dimostrata nè nesso causale tra vaccino e mortì. C'è molta emotività rispetto ai vaccini, già ai tempi del vaccino anti-influenzale, ma a tutt'oggi, e questo vale per Astrazeneca, non c'è nessuna correlazione sinora dimostrata nè un nesso causale tra la somministrazione del vaccino e le morti che si sono verificate. Per questo, prima di prendere certe decisioni bisogna essere molto cauti". Queste dichiarazioni sono del Presidente dell'Aifa, Giorgio Palù, intervenuto domenica alla trasmissione "Mezz'ora in più". Palù ha continuato il suo intervento sottolineando come, sui casi di morte sospetta, "il caso austriaco si trattava di un'ematopatia, cioè una malattia del sangue, a Napoli si trattava di un infarto intestinale e in Sicilia è ancora in atto l'autopsia. Posso dire che sia dagli studi validativi che dalle milioni di dosi che sono state somministrate, specie nel Regno Unito che è un laboratorio a cielo aperto, non si sono verificati incidenti trombo embolici o mortali correlati". In totale, infatti, i casi di trombo embolia sono stati circa 250 su 11 milioni, "nè più nè meno di quelli riscontrati con Pfizer e siamo ben al di sotto dell'incidenza relativa di questi fenomeni nella popolazione normale, soprattutto negli anziani cioè circa 1 su 1.000 o 2.000".

"Mi rivaccinerei con AstraZeneca". "AstraZeneca è un vaccino che ha mostrato che se usato su vasta scala riduce le ospedalizzazioni Covid con polmonite. Io, se potessi, mi rivaccinerei con AstraZeneca, ci metterei il braccio, non avrei nessuna paura a rifarlo. Non dimentichiamo che qualunque farmaco che assumiamo ha effetti collaterali". È questo il parere di Matteo Bassetti, Direttore della Clinica di Malattie Infettive dell'Ospedale di Genova, che intervenendo a "Domenica In" ha aggiunto: "Mi rivolgo ai magistrati, rispondano in 24-48 ore. Il modo per uscire da questo incubo sono i vaccini. Spero che chi domani è programmato per farlo, lo faccia, contento di farlo". L'infettivologo, poi, ha sottolineato come non sia necessario fare un esame sierologico prima del vaccino ma soltanto di spostare più in avanti la vaccinazione per chi ha già gli anticorpi naturali. "Tuttavia occorre un'indicazione certa e chiara anche ministeriale. Ad oggi infatti il sierologico non è richiesto per fare il vaccino".

"Mi arrendo..." "Vi capisco se deciderete di non vaccinarvi spaventati da decisioni inspiegabili, titoli terrorizzanti, menefreghismo delle case farmaceutiche. Vi capisco e mi dispiace perché vi esporrete a un rischio grave - quello di contrarre COVID-19 - per evitarne uno irrisorio, correlato alla vaccinazione. Mi dispiace ma non posso farci niente. Mi arrendo". Sono queste le parole del virologo Roberto Burioni che ha scritto sulla sua pagina Facebook in cui campeggia la notizia della Regione Piemonte che ha sospeso la vaccinazione con AstraZeneca a titolo precauzionale dopo il decesso di un'insegnante.

Morto dopo dose Astrazeneca, il Piemonte sospende un altro lotto. Nonostante nei giorni scorsi il virologo sia entrato a gamba tesa contro AstraZeneca sul famoso lotto ritirato e i dati che non erano ancora stati pubblicati, anche Burioni sta dalla parte della vaccinazione di massa, l'unica soluzione concreta per uscire fuori dalla pandemia che ci tiene in casa e distanziati da ormai un anno.

Vaccino, i dubbi dopo il caso Astra-Zeneca. Rispondono gli esperti. Giuseppe del Bello su La Repubblica il 12 marzo 2021. Perché gli effetti avversi? I sieri sono sicuri? Cosa succede in Italia? Un grande esperto risponde alle domande che ora tutti ci poniamo. In Italia AstraZeneca ha ritirato qualche lotto del suo vaccino. In Danimarca è stata sospesa la vaccinazione. Fatalità, destino, predisposizione o casistica irrilevante, fatto sta che qualche morto c’è stato. Decessi che fanno discutere e riflettere perché, al di là dei numeri, troppi o pochissimi, la cronaca, quella che poi finisce sul banco degli imputati con l’accusa di allarmismo, deve riportare in ogni caso. Prima di tutto per non venir meno al suo compito, informare. Anche a costo di scatenare aspre polemiche. A rispondere è Carlo Federico Perno, direttore di Microbiologia e Virologia al Bambin Gesù di Roma. Che premette: “È stata avviata un’inchiesta per scoprire se c’è correlazione causale tra la somministrazione del vaccino e le morti”.

Appunto, la popolazione vuol sapere cosa sta succedendo.

"Perciò bisogna aspettare. Le spiego con un esempio la differenza tra correlazione causale e temporale. Se oggi piove e io scivolo in casa, non significa che sia caduto a causa della pioggia, ma se finisco a terra sul marciapiede bagnato potrebbe esserci una correlazione, in questo caso causale”.

Nel frattempo, la vaccinazione AstraZeneca ha subìto uno stop imprevisto.

“Certo, è la procedura corretta, secondo cui le autorità hanno bloccato la somministrazione in nome del principio di precauzione. Ma stiamo parlando di un vaccino del quale occorre sottolineare un dato. Fondamentale e che va sempre ricordato ai cittadini”.

A cosa si riferisce?

“Ad una realtà incontrovertibile che dovrebbe rassicurare: la prima dose AstraZeneca, nel mondo è stata già somministrata a milioni di persone e non è stato segnalato alcuno di quei drammatici eventi a cui stiamo assistendo. Quindi è ragionevole pensare, ma deve essere un’indagine a chiarirlo, che reazioni avverse e decessi registrati non siano correlati al vaccino in sé ma a singoli lotti. Sempre che per questi ultimi venga dimostrata la correlazione causale cui accennavo”.

Eppure qualcosa è andata storta.

“È evidente. Un vaccino, per definizione deve essere prima di tutto sicuro, proprio perché viene inoculato a persone sane e non, come la chemio, a malati gravi. E se è tollerata una tossicità, modesta e tipica dei vaccini, non sarebbe ipotizzabile in nessun caso una tossicità grave”.

Perciò ritiene indispensabile un approfondimento?

“Sarà a tutto campo. Con i vaccini soliti, quelli che conosciamo, si è esposti soltanto a modesti effetti collaterali. Transitori e, quindi, non significativi. Spesso amplificati, a torto, dai media”.

Non è che le sperimentazioni sono state condotte così in fretta da far passare in secondo piano la sicurezza?

“Su questo punto è necessario un ulteriore chiarimento. In momenti di normalità, le sperimentazioni vaccinali richiedono un tempo considerevole per raggiungere l’utilizzazione di massa perché vanno verificati con attenzione efficacia ed effetti collaterali. È chiaro adesso che per il Covid ci si è mossi molto più rapidamente, proprio perché in emergenza. Ed è altrettanto evidente che nelle procedure di emergenza qualche passaggio richieda ulteriori valutazioni che, in questo caso, sono state fatte durante la campagna vaccinale e non prima. Ma va precisato che gli studi registrativi non avevano mostrato alcun effetto dannoso di rilievo, quindi potrebbe, ripeto, essere sfuggito qualcosa dopo, durante la preparazione delle dosi in urgenza. Ed è ciò che andrà verificato, perché il controllo di qualità resta sempre imprescindibile, in qualsiasi situazione. Saranno, ancora una volta, le autorità a dare una risposta esauriente a questo importante quesito”.

Che ruolo gioca la psicosi collettiva nel fenomeno dissuasivo?

“Tanto. Qui entrano in ballo tre fattori: la situazione del Covid che è di per sé impegnativa, la pressione mediatica che controlla tutto in tempo reale e spesso priva di elementi sufficienti di valutazione, e poi il sospetto dell’inefficacia dei vaccini nei confronti delle varianti”.

E lei, non ha dubbi sulle mutazioni?

“Per ora non abbiamo alcuna evidenza che i vaccini attuali non siano efficaci anche contro le varianti. Anzi, lancerei l’allarme: ci si muova rapidamente con i vaccini, altrimenti nel mondo si conteranno altre centinaia di migliaia di morti, per ora siamo quasi a due milioni di vittime. In Gran Bretagna e Israele, dove la vaccinazione massiva fila a gran ritmo, è crollato il numero di ricoveri”.

Non c'è alcun motivo per l'allarmismo sul vaccino AstraZeneca. I dati oggi ci dicono questo: nessuno è morto a causa del vaccino e nessuna reazione grave inaspettata è stata provocata dal vaccino. E le sospensioni preventive di alcuni lotti, fatte in via precauzionale, dimostrano semmai la serietà dei sistemi di controllo. di Mauro Munafò su L'Espresso il 12 marzo 2021. L'Italia e l'Europa sono al centro della più importante campagna vaccinale della storia. Una campagna resasi necessaria per la diffusione del Covid-19 che, dati alla mano, ha causato già 100mila morti nel nostro Paese, quasi un milione in Europa e oltre 2 milioni e mezzo nel mondo. Oltre a danni fisici, psicologici ed economici di difficile quantificazione. Quando si tratta una qualsiasi notizia che riguardi i vaccini, a oggi l'unico strumento in nostro possesso per mettere fine a questa pandemia, non si può quindi sottovalutare questo contesto e le relative responsabilità per i media. Fatta questa premessa, passiamo ai fatti.

Il vaccino AstraZeneca è al momento al centro di una serie di eventi che, uniti tra loro, stanno riducendo la fiducia delle persone nell'efficacia su questo strumento. Di più, molte persone sono ora convinte della sua dannosità. I motivi sono fondamentalmente due, con le relative conseguenze. Il primo fatto è la sospensione della vaccinazione con AstraZeneca in alcuni paesi europei (Danimarca, Islanda e Norvegia). Qui per i prossimi giorni nessun cittadino verrà vaccinato con questo farmaco perché si sono registrati alcuni casi di sospetti di coaguli nel sangue. Altri paesi europei, come Austria, Estonia, Lituania, Lussemburgo e Lettonia hanno invece sospeso l'uso di uno specifico lotto di vaccino AstraZeneca per indagare su alcuni casi di coaguli e una morte sospetta.

Secondo fatto: in Italia è stato sospeso l'uso di un lotto AstraZeneca, l'ormai famoso ABV2856, sempre in via precauzionale. Anche nel nostro paese si sono infatti registrati alcuni casi considerati sospetti di trombosi e coaguli del sangue. La sospensione di alcuni lotti non è un evento raro o inatteso: quando si somministrano dei farmaci è sempre attivo un sistema di farmacovigilanza per cui, in presenza di casi sospetti, in via precauzionale si ferma tutto e si controlla che non ci siano pericolosi per la salute. Vale la pena ricordare inoltre che i vaccini oggi in uso hanno tutti superato 3 fasi di sperimentazione e relativi protocolli per controllarne efficacia e sicurezza. Di più: in altri paesi extraeuropei che sono più avanti con la campagna vaccinale (ad esempio il Regno Unito), nonostante siano state usate milioni di dosi di vaccino, non si sono registrati casi che hanno portato a credere ci possano essere rischi.

Torniamo un attimo in Italia e parliamo dei casi sospetti che hanno portato alla sospensione del lotto AstraZeneca. Si tratta, purtroppo, di casi di persone decedute. Persone che, nei giorni o nelle ore precedenti al decesso, avevano ricevuto il vaccino AstraZeneca (un giorno prima, un'altra due giorni prima, una 12 giorni prima). Con una certa approssimazione, sui media si parla di “tre morti sospette” a cui spesso per ragioni non ben chiare, ne viene aggiunta anche una quarta o quinta. Su due delle cinque persone di cui parliamo (tre militari e due persone che lavorano nella scuola), è già stata fatta un'autopsia da cui emerge che il vaccino non è stato la causa della morte. E allora perché sono morte? Il motivo è puramente e freddamente statistico: perché ogni giorno in Italia muoiono per motivi vari e non collegati al vaccino circa 2mila persone. E quindi capita, e capiterà sempre più spesso, che qualcuno muoia dopo aver ricevuto il vaccino. Senza però che il vaccino sia in alcun modo collegato a questa morte. Tutte le fonti, gli studi, i dati e le autorità al momento coinvolte chiariscono con dichiarazioni su ogni media che non esiste oggi una sola prova che i casi di morte sospetti o anche quelli di coaguli siano state causate dal vaccino AstraZeneca. «Al momento non è stato stabilito alcun nesso di causalità tra la somministrazione del vaccino e tali eventi», spiega l'Aifa, l'agenzia italiana del farmaco. Sulla stessa lunghezza d'onda anche l'Ema (l'agenzia europea) e i tanti virologi interpellati dai media o che sono intervenuti sulle proprie pagine Facebook. Una posizione confermata anche dalla decisione di Francia e Germania di proseguire con il piano vaccinale, che comprende anche il vaccino AstraZeneca, senza stop e sospensioni.

L'intervista dopo la sospensione del lotto. AstraZeneca, parla Ascierto: “Tutti i vaccini danno il 100% di protezione contro le forme gravi”. Rossella Grasso su il Riformista il 12 Marzo 2021. La polemica che ha travolto il vaccino AstraZeneca preoccupa moltissime persone, soprattutto chi da poco si è sottoposto al vaccino o chi deve farlo a breve. Il lotto ritirato “per via precauzionale” dall’Aifa per presunte reazioni avverse ha mandato in tilt tante persone ma si tratta in realtà di una decisione presa per fare chiarezza: non è detto che quel lotto abbia qualcosa che non va. “Niente paura, il vaccino AstraZeneca è stato già usato su milioni di persone in tutto il mondo e non c’è stato alcun problema”, dice perentorio Paolo Ascierto, direttore del Dipartimento di Melanoma e Terapie Innovative dell’Irccs Pascale di Napoli. “È giusto fare dei controlli – continua il dottore –  è giusto che l’Aifa e l’Istituto Superiore di Sanità in questo momento abbiano bloccato il lotto e stiano facendo dei controlli perché la sicurezza è sempre la prima cosa soprattutto nell’ambito dei vaccini”. E a chi si sta chiedendo se AstraZeneca sia un vaccino meno buono o efficace risponde: “Non esistono vaccini di Serie A e B, sono per forza di serie A. Tutti servono a prevenire l’infezione, ma soprattutto le forme gravi di questa”. Ascierto è diventato il simbolo della lotta alla pandemia. Fu il primo ad avere giusto un anno fa l’intuizione di un farmaco per contrastare il virus. Oggi fa parte dello studio per testare il vaccino italiano Takis-Rottapharm, conosciuto come E-Vax. Conosce bene la genesi di un farmaco ed è certo che una volta messo in commercio, usato sulle persone, è sicuro al 100%. “Quando un vaccino viene messo in commercio significa che gli organi regolatori preposti hanno fatto una valutazione importante e dettagliata di quello che è il profilo di sicurezza – continua Ascierto –  Questo è stato fatto dall’ FDA (Food and Drug Administration) e di Ema (European Medicines Agency). Dunque il controllo sui dati c’è ed è certo. Ci possono essere state delle situazioni particolari a vaccinazione avviata ma se consideriamo che solo nel Regno Unito sono state vaccinate circa 18 milioni di persone e non ci sono stati problemi su un numero così elevato possiamo confermare che è un vaccino sicuro”. “Possono esserci reazioni avverse – chiosa Ascierto –  ma questo lo sappiamo per tutti i tipi di vaccino, fortunatamente sono sempre episodi rarissimi, ma il beneficio che viene dal poter vaccinare tutti è sicuramente maggiore rispetto alla rara possibilità di avere effetti collaterali”. Proprio nel Regno Unito la vaccinazione di massa ha permesso di ridurre i contagi e soprattutto di far diminuire drasticamente il numero di pazienti che necessitava di ricovero. “Si parla molto di percentuale, del 70, 80% o 90% però tutti i vaccini danno protezione del 100% per le forme gravi”, sottolinea Ascierto. Dunque cosa può essere successo al famoso lotto di vaccino AstraZeneca ritirato dall’Aifa? Può essercfi stato qualche problema nella produzione, che sia venuto fuori dal laboratorio con qualche difetto di produzione? “Questo è qualcosa da mettere in conto ma non è detto che sia così – ha risposto Ascierto –  In questo momento si stanno facendo dei rilievi e delle valutazioni. I vaccino sono importanti soprattutto laddove ci sono delle situazioni di virus che danno una mortalità elevata come il Coronavirus“. L’arma del vaccino per Ascierto è fondamentale per uscire dalla pandemia. “Abbiamo visto come programmi vaccinali importanti nel Regno Unito e Israele, che sono quelli che hanno avviato la vaccinazione in maniera massiva, questo programma ha dato i suoi frutti”. Nel marasma delle informazione miste a paure dei vaccini ci sono dunque dei punti saldi e tutte le convinzioni che si stanno diffondendo su AstraZeneca e gli altri vaccini non devono intimorire le persone a farsi vaccinare. “Non abbiamo ancora dati che ci dicano quanto dura l’immunità – conclude Ascierto –  Immaginate che questi sono studi iniziati lo scorso anno tra aprile e maggio, troppo poco tempo per saperlo. Ci troviamo di fronte a una situazione nuova con vaccini nuovi e pochi dati. L’idea è che questa vaccinazione non dia una immunità permanente, quindi è probabile che sarà necessario fare dei richiami, quando non si sa ancora. È possibile che nei prossimi mesi con qualche dato in più si venga a qualche decisione sulle tempistiche di un eventuale richiamo. Personalmente sono convinto che ci sarà necessità di fare qualche richiamo, così come capita anche per i vaccini antinfluenzali, probabilmente di anno in anno, ma questa è una mia idea, non ci sono dati che supportano la mia ipotesi”.

Da "Ansa" il 15 marzo 2021. L'Agenzia italiana del farmaco Aifa ha deciso di estendere in via del tutto precauzionale e temporanea, in attesa dei pronunciamenti dell'EMA, il divieto di utilizzo del vaccino AstraZeneca Covid19 su tutto il territorio nazionale. Tale decisione è stata assunta in linea con analoghi provvedimenti adottati da altri Paese europei. 

Ema, nessun problema nell'uso di AstraZeneca: "Verifiche sui casi sospetti, rapporto rischi-benefici positivo". Da "Ansa" il 15 marzo 2021. "Il rapporto tra benefici e rischi" per il vaccino anti-Covid di AstraZeneca "è considerato positivo e non vediamo alcun problema nel proseguire le vaccinazioni utilizzando questo vaccino". Lo ha detto Marco Cavaleri, responsabile per la strategia vaccinale dell'Ema, in audizione all'Europarlamento. "Stiamo esaminando i dati e gli eventi letali riportati per tentare di capire se ci sono cluster specifici di casi" legati "a certi tipi di patologie o allo status medico dei soggetti", ha aggiunto Cavaleri, sottolineando che finora non vi sono evidenze che "dimostrino un rischio emergente che influenzi il rapporto benefici/rischi". 

(ANSA il 15 marzo 2021) "Per ora l'unica cosa sicura che abbiamo è il numero enorme di dosi di vaccino di AstraZeneca somministrate in Gran Bretagna, che hanno portato ad una riduzione delle morti e dei ricoveri in rianimazione. Questa è l'unica risposta che abbiamo. Per altri tipi di commenti è troppo presto, bisogna aspettare i risultati dell'indagine in corso". Così Giuseppe Remuzzi, direttore dell'Istituto Mario Negri di Milano, commenta all'ANSA la sospensione del vaccino AstraZeneca da parte dell'Agenzia italiana del farmaco (Aifa). "Lo stop deciso dall'Aifa - conclude - è una questione precauzionale. E' troppo presto per dire altro". (ANSA).

(ANSA il 15 marzo 2021) "C'è stata una sospensione perché diversi paesi europei, tra cui Germania e Francia, hanno preferito sospendere in presenza di alcuni recentissimi e pochissimi casi di eventi avversi in donne e giovani, e ciò ha suggerito uno stop di verifiche prima di ripartire. A giorni attendiamo EMA e poi vedremo meglio i numeri che saranno analizzati nei prossimi giorni". Lo ha affermato a Radio capital il direttore generale dell'Aifa Nicola Magrini, che ha aggiunto: "Chi ha già fatto il vaccino può e deve restare sicuro. Io mi sento di dire il vaccino è sicuro, anche avendo rivisto tutti i dati".

(ANSA il 15 marzo 2021) "Al momento sono stati riportati 7 casi di trombosi venose cerebrali su 1,6 milioni di vaccini somministrati in Germania". Lo ha detto il ministro della Salute tedesco Jens Spahn, in conferenza stampa a Berlino, annunciando la decisione di sospendere il vaccino AstraZeneca temporaneamente. "Si tratta di un rischio molto basso. Ma se dovesse rilevarsi un collegamento con il vaccino, sarebbe superiore alla media", ha aggiunto.

Spahn: Per fiducia in vaccino dare tempo a verifiche tecnici. Da "Ansa" il 15 marzo 2021. "Conosciamo la portata di questa decisione che non è stata presa a cuor leggero. Ma è una decisione fattuale e non politica". Lo ha detto il ministro della Salute tedescon Jens Spahn, annunciando che la Germania ha sospeso l'uso di AstraZeneca temporaneamente. "È una decisione presa per pura cautela".   "Per mantenere la fiducia nel vaccino dobbiamo dare ai nostri esperti il tempo di verificare i nuovi casi e "sgomberare il campo da eventuali rischi", ha continuato. "Deve essere chiaro - ha aggiunto - che anche non vaccinare comporta dei rischi".

Francia sospende AstraZeneca "in attesa parere Ema domani". Lo annuncia il presidente Emmanuel Macron. Da "Ansa" il 15 marzo 2021. La Francia sospende la somministrazione del vaccino AstraZeneca fino a domani, in attesa del parere dell'Ema, l'agenzia europea del farmaco. Lo ha annunciato il presidente Emmanuel Macron. 

(LaPresse il 15 marzo 2021) Tutti a casa: dopo la sospensione del siero AstraZeneca ordinata dall'Aifa i centri vaccinali romani che stavano procedendo con la somministrazione hanno immediatamente bloccato le operazioni. È accaduto all'hub della Nuvola, dove chi era in fila per il turno delle 16 si è visto rimandato a casa da un operatore della protezione civile che ha comunicato la notizia, ed è successo ugualmente nel punto di Termini dove si è creata confusione e una lunga coda in attesa di spiegazioni.

AstraZeneca, Aifa solo venti ore prima dello stop in tutta Italia: "Allarmismo ingiustificato", cortocircuito sul vaccino. Libero Quotidiano il 15 marzo 2021. "Stop alla somministrazione di AstraZenaca in tutta Italia", "Allarmismo ingiustificato, AstraZeneca è sicuro": le due dichiarazioni, molto diverse tra loro, sono state fatte dall'Aifa, Agenzia italiana del farmaco, a poche ore di distanza l'una dall'altra. Il siero dell'azienda anglo-svedese, infatti, prima è stato considerato affidabile e dopo una ventina di ore si è deciso di vietarne l'utilizzo su tutto il territorio nazionale. Ne viene fuori una comunicazione schizofrenica che non lascia spazio alla chiarezza. Il vaccino di AstraZeneca è sicuro oppure no? Risale a ieri sera, intorno alle 20, il comunicato con cui l'Aifa ha voluto rassicurare i cittadini sul farmaco in questione: "I casi di decesso verificatisi dopo la somministrazione del vaccino AstraZeneca hanno un legame solo temporale. Nessuna causalità è stata dimostrata tra i due eventi. L’allarme legato alla sicurezza del vaccino AstraZeneca non è giustificato". Parole chiare che hanno messo a tacere chi aveva dubbi sull'affidabilità del vaccino. Tuttavia, la decisione che l'Aifa ha preso a distanza di qualche ora va in forte contraddizione con la nota diramata per tranquillizzare la popolazione. Dopo la scelta della Germania di bloccare la somministrazione di AstraZeneca, anche l'Aifa in Italia ha preso, inspiegabilmente, la stessa decisione. Una decisione che molti fanno fatica a comprendere viste le rassicurazioni precedenti. La notizia ha sorpreso tutti e in molti commentano in maniera scettica sui social. Qualcuno scrive: "Ormai si è generata confusione e diffidenza nei cittadini". Qualcun altro, invece, chiede all'Aifa quali sono i dati sulla base dei quali si è deciso di bloccare la vaccinazione con AstraZeneca. Intanto fonti del ministero della Salute fanno sapere che la decisione della sospensione del vaccino, per ragioni precauzionali, da parte di Aifa è stata assunta dopo un colloquio tra Mario Draghi e Roberto Speranza, che durante la giornata ha avuto colloqui con i ministri della Salute di Germania, Francia e Spagna.

"E' solo emotività..." AstraZeneca sospeso, il disastro comunicativo dell’Aifa: prima rassicura poi semina allarmismo. Ciro Cuozzo su Il Riformista il 15 Marzo 2021. Appena 24 ore prima Giorgio Palù, presidente dell’Aifa (Agenzia italiana del farmaco), aveva rassicurato gli italiani sul vaccino Astrazeneca dopo i decessi sospetti che hanno creato non poco allarmismo tra la popolazione e, soprattutto, tra il personale scolastico e quello delle forze dell’ordine che in queste settimane stanno ricevendo le dosi del vaccino dell’azienda anglo-svedese. Nel giro di un giorno siamo passati da “nessuna correlazione, nessun nesso causale, se non una relazione temporale, c’è molta emotività” alla sospensione “in via del tutto precauzionale e temporanea, in attesa dei pronunciamenti dell’Ema”, l’agenzia europea per il farmaco che si pronuncerà soltanto giovedì 18 marzo. Il blocco – ha spiegato l’Aifa – è “in linea con analoghi provvedimenti adottati da altri Paese europei. Ulteriori approfondimenti sono attualmente in corso”. Al momento in Europa infatti oltre all’Italia anche Francia, Spagna, Germania, Paesi Bassi, Bulgaria, Danimarca, Norvergia, Islanda e Irlanda hanno adottato la stessa linea. Un dietrofront, avvenuto nel primo pomeriggio di lunedì 15 marzo mentre erano numerose le persone in fila per la somministrazione, che non fa altro che creare ulteriore allarmismo tra la popolazione spaventata dalle eventuali connessioni del vaccino Astrazeneca con i decessi avvenuti 24 ore dopo di Sandro Tognatti, professore di musica di Biella, e del militare Stefano Paternò in Sicilia. Casi sospetti anche a Napoli con i decessi del collaboratore scolastico Vincenzo Russo e della docente di inglese Annamaria Mantile, la morte è stata attribuita a uno shock emorragico e arresto cardiocircolatorio conseguente una “ernia strozzata”. Domenica Giorgio Palù, ospite di ‘In mezz’ora in più’ su Rai3, ha spiegato che “i casi di tromboemoblia sono stati su 11 milioni 250 circa, e siamo ben al di sotto dell’incidenza di questi fenomeni nella popolazione normale, soprattutto negli anziani, cioè circa uno su mille. Bisogna essere molto cauti”. Palù ha quindi inviato alla “cautela”, evidenziando che la stessa Ema, l’agenzia europea per il farmaco, ha detto che non c’è alcuna relazione diretta, nessun rischio. “E’ vero che la somministrazione di un vaccino può comportare un aumento dell’infiammazione, della coagulazione del sangue ma nel caso in questione questo è stato escluso da studi molto accurati, allo stato non vi sono questi episodi. Tra 7 giorni Ema emetterà un nuovo comunicato sulle reazioni avverse, lo stesso ha già fatto l’Aifa. Io sono assolutamente tranquillo”.

L’ATTACCO DI BASSETTI –  Dopo la decisione dell’Aifa di sospendere il vaccino AstraZeneca “sono molto preoccupato. Così i cittadini perderanno la fiducia nelle istituzioni”. Lo ha detto a LaPresse il professor Matteo Bassetti, direttore del reparto di Malattie Infettive dell’ospedale San Martino di Genova. “Le stesse autorità che oggi sospendono il vaccino AstraZeneca magari domani lo sbloccano – aggiunge Bassetti – . Credo che in questi casi ci voglia tanta calma, sangue freddo e scientificità . Se guardiamo alla Gran Bretagna, con 17milioni di vaccinati, i fatti ci dicono una cosa e la pancia, le paure, ce ne dicono un’altra”, chiarisce il virologo, convinto che una decisione come quella di Aifa non farà altro che alimentare il folto gruppo nei no vax. “Oggi – conclude – mentre Aifa dice di bloccare i vaccini AstraZeneca, si sta ancora vaccinando. Che cosa mai potrà pensare? Quando si perde la fiducia nella istituzioni, poi, è difficilissimo riguadagnarla”.

LA DIFESA DI AIFA –  “Io mi sento di dire il vaccino è sicuro, anche avendo rivisto tutti i dati. Non è stato approvato troppo presto: è stato approvato con dati meno convincenti, da cui le limitazioni anche dell’età in origine. Aveva dati meno ampi per gli anziani. Era ed è un vaccino su cui si ripongono grandi aspettative anche per i grandi quantitativi, che purtroppo non sono giunti. Questi ultimi effetti su persone giovani hanno destato un sospetto che si è voluto cogliere immediatamente. Da qui questa azione altamente precauzionale”. Così Nicola Magrini, direttore generale dell’Aifa, spiega a Radio Capital.

IL SUPPORTO DI PREGLIASCO – “Visto quanto deciso in Austria, Germania e in altri Paesi, a questo punto è meglio sperare in un’azione coordinata europea che dica quello che io credo sarà alla fine un messaggio tranquillizzante. Credo che si tratti di una scelta precauzionale che avrà effetto rasserenante”. Così Fabrizio Pregliasco, virologo e direttore sanitario dell’ospedale Galeazzi di Milano a LaPresse in merito alla sospensione del vaccino Astrazeneca decisa dall’Aifa in tutta Italia. “È un aspetto precauzionale, prendiamo atto e organizziamo la cosa in modo coordinato per dare una comunicazione trasparente e rasserenante ai cittadini”, ha aggiunto precisando di essere “convinto” che la campagna vaccinale continuerà.

“DECIDONO AIFA E EMA” – Piena fiducia sull’attività di sorveglianza da parte dell’Ema e dell’Aifa, “uniche autorità che possono prendere decisioni sulla sicurezza dei vaccini”. E’ quanto ha sottolineato nelle scorse ore fonti del ministero della Salute dopo i recenti casi di morte di persone a cui era stata somministrata la dose di vaccino, casi che hanno innescato allarme e forti titubanze in ampie fasce della popolazione.

"Nesso causa-effetto è tutto da provare". AstraZeneca, l’Aifa rassicura dopo il disastro comunicativo: “6 casi sospetti su milioni di dosi”. Fabio Calcagni su Il Riformista il 16 Marzo 2021. Gli eventi che hanno portato alla sospensione del vaccino AstraZeneca? “Tutto ha origine dall’iniziativa del Paul Ehrlich Institute, l’ente regolatorio e di ricerca tedesco. L’istituto ha suggerito al ministro della Salute Jens Spahn di sospendere temporaneamente e in forma cautelativa il preparato di AstraZeneca in seguito al verificarsi di 6 casi di tromboembolia in soggetti di sesso femminile, due dei quali mortali. Questi casi sono stati messi in relazione temporale con la dose inoculata”. Giorgio Palù, presidente dell’Aifa (Agenzia italiana del farmaco) in un’intervista al Corriere della Sera, torna sulla sospensione del siero prodotto dalla casa farmaceutica anglo-svedese ma non sulla gestione comunicativa schizofrenica della stessa Aifa, che domenica rassicurava parlando di “emotività” e poi con una decisione lampo ha seguito proprio la Germania nel blocco del vaccino, fondamentale per la riuscita dalla campagna vaccinale nel Paese. Secondo Palù “l’evidenza scientifica di un nesso causa-effetto al momento non c’è. Un caso analogo di trombosi venosa profonda si era verificato anche in Olanda. Questi eventi si aggiungono a quelli riportati precedentemente in Danimarca e Austria. Da qui, Olanda, Francia, Germania, Spagna e poi anche Italia hanno deciso ‘a cascata’ di sospendere in via cautelativa e temporanea il preparato anti Covid fino a che non si esprima l’Ema. L’agenzia regolatoria europea dovrebbe acquisire i dati di farmaco vigilanza e delle autopsie sulle persone decedute entro giovedì per dare una risposta”. Per il presidente dell’Aifa, “è improbabile un nesso causale diretto tra vaccinazione e decessi. Al massimo potrebbe esserci una concausa nel senso che i problemi potrebbero riguardare solo persone predisposte a sviluppare queste patologie. L’autorizzazione ad AstraZeneca da parte di Ema – aggiunge – è stata data condizionatamente a una costante valutazione rischi/benefici. L’agenzia e le autorità sanitarie nazionali svolgono un’azione di stretta sorveglianza proprio per intervenire rapidamente”. Alla domanda se era mai stata ipotizzata una relazione diretta tra vaccino e tromboembolia, il presidente dell’Aifa risponde così: “Nei 12 milioni di vaccinati del Regno Unito e nei 5 milioni dell’Unione europea, i casi registrati di questi eventi gravi erano finora prevalenti in persone anziane, età media 70 anni. L’incidenza è dunque nettamente inferiore a quella di un caso su mille circa, tipico di queste manifestazioni. Bisognerà vedere se le donne morte in Germania avevano condizioni predisponenti la trombosi come l’assunzione di pillola anticoncezionale oppure altre alterazioni di base della coagulazione”. Ma chi si è già vaccinato con AstraZeneca come deve comportarsi? “Sappiamo dagli studi inglesi che la seconda dose – sottolinea Palù – può essere fatta alla dodicesima settimana, come raccomanda anche Aifa, c’è tutto il tempo di attendere l’imminente decisione di Ema. Non solo. I vaccini basati sulla tecnologia utilizzata da AstraZeneca danno eventuali reazioni alla prima dose e molto meno alla seconda, il contrario di quanto avviene per quelli ad Rna (Pfizer-Biontech e Moderna)”.

Caos vaccini anti-covid. L’Oms bacchetta mezza Europa: “Si continui a usare il vaccino AstraZeneca”. Vito Califano su Il Riformista il 15 Marzo 2021. AstraZeneca sì, Astrazeneca no. Si apre una nuova linea di pensiero condiviso o meno nell’emergenza coronavirus. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) ha raccomandato ai Paesi di continuare a usare il vaccino AstraZeneca. La comunicazione, che suona come un ammonimento, nel giorno in cui mezza Europa ha sospeso l’uso del preparato anglo-svedese, in via precauzionale, per via di alcuni “eventi avversi gravi”. L’esperta dell’Oms Soumya Swaminathan ha affermato che i funzionari dell’agenzia sanitaria delle Nazioni Unite “non vogliono che le persone si lascino prendere dal panico” anche se continua l’attento monitoraggio sull’uso del vaccino. La funzionaria ha fatto notare come 300 milioni di dosi di diversi vaccini siano state somministrate in tutto il mondo e che “non vi è alcuna morte documentata che sia stata collegata a un vaccino contro il Covid-19”. Le velocità con cui si sono verificati gli eventi tromboembolici nelle persone che hanno ricevuto il vaccino AstraZeneca, secondo l’esperta, “sono in realtà inferiori a quanto ci si aspetterebbe dalla popolazione generale”. L’Agenzia del Farmaco Italiana (Aifa) ha sospeso l’uso del preparato di Oxford nemmeno 12 ore dopo si invitava alla cautela e a non scadere nel panico in merito ai casi di trombosi in persone che avevano ricevuto la prima dose del vaccino. Nessuna correlazione è al momento dimostrata, ripetevano così gli esperti fino a ieri e lo ripetono oggi. Fatto sta che la sospensione, “in via del tutto precauzionale e temporanea”, è arrivata. La linea è stata quasi contemporaneamente adottata anche dagli altri grandi Paesi Europei: Germania, Francia, Spagna. I primi a lanciare l’allarme erano stati i Paesi del Nord Europa come Danimarca, Islanda, Norvegia, Bulgaria, Irlanda, Olanda. Fuori dall’Europa Thailandia, Repubblica Democratica del Congo e Indonesia. Sotto esame nuovi casi di trombosi e decessi. La società produttrice, l’Oms, l’università di Oxford, le autorità sanitarie britanniche e il premier Boris Johnson insistono sull’assenza di controindicazioni. L’Agenzia europea del farmaco (Ema) sostiene che non ci sono evidenze e che eventuali rischi sono superati dai benefici. L’Ema terrà giovedì una riunione straordinaria per esaminare la situazione. Il responsabile per la strategia vaccinale dell’agenzia Marco Cavaleri, in audizione all’Europarlamento, aveva dichiarato poco prima della sospensione che il rapporto tra benefici e rischi “è positivo e non vediamo alcun problema nel proseguire le vaccinazioni”. Lo stesso Cavaleri aveva sottolineato come il preparato non sembra efficace contro la variante sudafricana. Ottima efficacia invece contro le varianti degli altri vaccini approvati in Ue: Pfizer, Moderna, Johnson&Johnson. I test su AstraZeneca hanno coinvolto 23mila persone. Gli effetti collaterali più frequenti sono stati febbre e mal di testa. Estremamente rari effetti avversi più gravi. Nel Regno Unito circa 11 milioni le dosi somministrate. L’Autorità di controllo locale ha rilevato tre decessi e 45 trombosi tra i vaccinati. L’Ema ha segnalato come non ci sia stato alcun aumento di incidenze delle trombosi tra la popolazione europea dall’inizio della campagna vaccinale. Su cinque milioni di individui che nell’Unione Europea hanno ricevuto il preparato AstraZeneca sono stati rilevati 30 casi di trombosi. Il Piemonte aveva sospeso ieri un lotto del vaccino dopo la morte sospetta di un professore di Biella. La settimana scorsa era successa la stessa cosa dopo la morte di un militare, Stefano Paternò, in Sicilia. Dello stesso lotto il vaccino somministrato all’agente di polizia Davide Villa, morto dopo qualche giorno. Nessuna correlazione è emersa al momento tra il vaccino e i decessi. Austria, Estonia, Lettonia, Lituania e Lussemburgo hanno ritirato soltanto le dosi provenienti da un lotto sul quale al momento sono in corso indagini.

"Difficile sia colpa dei vaccini. In Italia 2mila morti al giorno". Lo scienziato: Aifa costretta a dare lo stop dopo Berlino. Il rischio è la sfiducia: il governo deve spiegare di più. Maria Sorbi - Mar, 16/03/2021 - su Il Giornale. La scienza ha tempi troppo lunghi per verificare gli effettivi rischi del vaccino Astrazeneca. Di contro gli Stati europei hanno troppa fretta e decidono da sè per la sospensione. È il caos più totale. A fare chiarezza sul pasticcio in corso è il farmacologo Silvio Garattini, fondatore dell'istituto Mario Negri.

Aifa non ha atteso il parere di Ema e ha deciso per la sospensione. Mai successo nulla del genere in passato.

«Aifa era obbligata a prendere quella decisione. Io la vedo come un atto dovuto. Del resto non potevamo fare altrimenti dopo che Germania e Francia avevano decretato di sospendere Astrazeneca».

Quindi non legge in questo cortocircuito un disallienamento delle autorità sanitarie a cui da mesi facciamo riferimento?

«Ognuno ha il suo ruolo. Ema non si può pronunciare prima di aver concluso la sua ispezione. Non è una crepa, è solo questione di tempistiche e compiti. In ogni caso i risultati delle verifiche sul vaccino arriveranno in tempi molto rapidi».

Aifa nei giorni scorsi diceva di stare tranquilli e continuare a vaccinarci.

«Aifa non ha fatto inversioni di rotta. Nei giorni scorsi c'era un solo lotto sospetto. Quando i lotti diventano due o tre, cosa che era ampiamente prevedibile, allora scatta la sospensione di tutte le forniture».

Anche se Ema dovesse dire che non c'è nessun pericolo, la sfiducia della gente è tale che le disdette delle vaccinazioni proseguiranno.

«Questo è il vero problema: la sfiducia della gente. Per questo è fondamentale la comunicazione. Dobbiamo spiegare bene ogni cosa per evitare inutili allarmismi. E il primo che pecca di un'insufficienza di comunicazione è il Governo. Non basta più fare annunci, bisogna dare spiegazioni. E ripetere tante volte le cose, non basta una sola. In una situazione come questa è giusto che la gente abbia dei dubbi. Sarebbe da cretini non averne. Fondamentale quindi dare alle persone le risposte della scienza».

Ma lei si sottoporrebbe al vaccino Astrazeneca?

«Io lo farei senza problemi se non fossi già stato vaccinato».

Secondo lei il rischio di trombosi è reale? Quali possono essere i problemi?

«Le spiegazioni possono essere due. Uno: ci può effettivamente essere qualcosa che non va in svariati lotti, ma questo sarebbe molto strano vista la semplicità della composizione del vaccino. Inoltre in Gran Bretagna, dove continuano a utilizzare Astrazeneca, non sono mai venuti a galla particolari casi gravi.

Due: ogni giorno in Italia muoiono tra le 1.800 e le 2mila persone in generale. Quindi che qualcuno muoia anche se è stato vaccinato è normale, non è possibile il contrario perchè il vaccino non protegge da tutto ciò che non sia Covid. Stabilire il rapporto causa-effetto tra vaccinazioni e decessi post vaccino è molto complicato ma è un rapporto che va stabilito».

Astrazeneca nei giorni scorsi aveva giudicato buoni i risultati sul rapporto tra trombosi e vaccinati. Come è possibile?

«Io non prendo mai in considerazione il parere dell'industria perchè ovviamente c'è un conflitto di interesse. Non mi fido di me stesso, figuriamoci se guardo solo i dati delle aziende. Per questo è fondamentale il parere che darà Ema tra un paio di giorni».

Purtroppo la campagna vaccinale subirà un ulteriore ritardo.

«Purtroppo si. Ma non per la sospensione. Piuttosto per la mancata consegna delle dosi Astrazeneca».

Cosa succederà a chi ha ricevuto la prima dose Astrazeneca?

«Non potrà ricevere la seconda con altri vaccini. Ma verrà convocato non appena questa storia verrà chiarita. Sperando sia disponibile a completare la sua vaccinazione. Non c'è obbligo, è una libera scelta».

AstraZeneca si difende: "15 trombosi su 17 milioni di casi". I dati e quello che non torna: cosa sta succedendo. Libero Quotidiano il 15 marzo 2021. L’Agenzia per il farmaco italiana, Aifa, ha sospeso il vaccino anti Covid di AstraZeneca. Varrà in tutta Italia "in linea con quanto deciso da altri Paesi europei", si fa sapere. Lo stop, di cui non si conosce la durata (si attende il parere dell'Ema di domani, martedì 15 marzo, che potrebbe sbloccare subito la situazione), ritarda ancora di più la possibilità di rispettare i tempi della campagna vaccinale: cioè ’immunizzazione dell’80 per cento degli italiani entro il 20 settembre. Da poco è stato consegnato un  milione di dosi che ovviamente non è stato ancora somministrato, mentre le dosi di AstraZeneca già somministrate sono oltre un milione ( 1.093.000). La somministrazione del vaccino AstraZeneca stata fermata anche oggi in Germania, in Francia e poi anche dalla Spagna, ed era stata già sospesa in Danimarca, Norvegia, Bulgaria, Islanda, Irlanda, Paesi Bassie Indonesia. Austria, Estonia, Lettonia, Lituania e Lussemburgo, invece, hanno ritirato solo le dosi provenienti da un lotto su cui sono in corso indagini. Gran Bretagna e Canada continuano regolarmente ad utilizzare il vaccino. Giovedì intanto arriverà un nuovo giudizio sul farmaco da parte dell’Ema. Mentre l'azienda anglo-svedese è intervenuta sulla questione dopo i tanti i casi controversi. Finora in tutta l’Europa e nel Regno Unito, su un totale di 17 milioni di soggetti vaccinati con il vaccino anti-Covid di AstraZeneca, "ci sono stati 15 eventi di trombosi venosa profonda e 22 eventi di embolia polmonare segnalati tra coloro a cui è stato somministrato il vaccino. Il dato è molto più basso di quanto ci si aspetterebbe che si verifichi naturalmente in una popolazione generale di queste dimensioni ed è simile per altri vaccini Covid-19 autorizzati", spiegano dalla società che produce il vaccino. "La natura della pandemia ha portato a una maggiore attenzione nei singoli casi e stiamo andando oltre le pratiche standard per il monitoraggio della sicurezza dei medicinali autorizzati nella segnalazione di eventi vaccinali, per garantire la sicurezza pubblica", ha raccomandato Ann Taylor, Chief Medical Officer di AstraZeneca. Restano però dei dubbi. In particolare, considerati i dati forniti da AstraZeneca - ovvero 15 trombosi veneree e 22 embolie su milioni di vaccini -, si stenta a capire le ragioni di uno stop così massiccio. A meno che vi siano ulteriori reazioni allergiche ancora da indagare.

In Italia somministrate oltre un milione di dosi. AstraZeneca sospeso, parla lo sviluppatore di Oxford: “Dati rassicuranti, incremento trombosi escluso”. Redazione su Il Riformista il 15 Marzo 2021. In Italia le dosi del vaccino AstraZeneca utilizzate sono 1.093.800 sulle 2.196.000 consegnate, il 49.8% del totale. La sospensione dell’Aifa, l’agenzia del farmaco italiana, è avvenuta nel primo pomeriggio del 15 marzo in via cautelativa in attesa del parare dell’Ema, l’agenzia europea per i medicinali, che si pronuncerà giovedì 18 marzo. Lo stop temporaneo dell’uso del vaccino di AstraZeneca, oltre all’Italia, è stato annunciato anche in Germania, Francia e Spagna.  Una “sospensione precauzionale” è il mantra che viene ripetuto dopo una serie di eventi tromboembolici registrati in diversi Paesi europei dopo somministrazioni di AstraZeneca. Eventi per i quali però, sottolinea l’Organizzazione Mondiale della Sanità, non ci sono prove di un nesso causa-effetto relazionato alle dosi. Ora gli occhi sono puntati sull’Ema: l’Agenzia europea del farmaco si riunisce prima martedì, per rivedere tutti i dati raccolti nell’ambito della sua indagine, e poi giovedì per un meeting straordinario in cui trarre le conclusioni. Sempre martedì si riunisce il comitato consultivo dell’Oms sulla sicurezza dei vaccini, che è in contatto con l’Ema. L’Oms sta compiendo analisi sulla base delle segnalazioni, ma sottolinea che è importante che le vaccinazioni continuino. L’Ema fa sapere che “rimane attualmente del parere che i benefici del vaccino di AstraZeneca nel prevenire il Covid-19, con i suoi rischi associati di ricovero e morte, siano superiori ai rischi di effetti collaterali”. Nello specifico, l’Agenzia europea del farmaco sottolinea che i casi di trombi sanguigni si sono verificati “in un numero molto piccolo di persone che hanno ricevuto il vaccino”, mentre “molte migliaia di persone sviluppano ogni anno trombi sanguigni nell’Ue per diverse ragioni” e “il numero complessivo di eventi tromboembolici nelle persone vaccinate sembra non essere più alto di quello rilevato nella popolazione generale”. Dal canto suo il professor Andrew Pollard, direttore del gruppo dell’università di Oxford che ha sviluppato il vaccino di Oxford-AstraZeneca, ha dichiarato alla Bbc: ci sono “prove molto rassicuranti del fatto che non ci sia un aumento di casi di trombi sanguigni nel Regno Unito, dove finora è stata somministrata la maggior parte delle dosi“. Su oltre nove milioni di dosi di AstraZeneca, in Gran Bretagna sono stati riscontrati 275 decessi (non ancora collegati al 100% al vaccino) e 54.180 report di effetti collaterali per un totale di reazioni avverse al farmaco pari a 201.622. L’analisi raccoglie le relazioni spontanee di medici raccolte dal 4 gennaio al 28 febbraio 2021. La catena di sospensioni si è consumata nel giro di poche ore, in un’Europa che in gran parte ha inasprito le restrizioni alla luce di un nuovo aumento dei contagi. Prima la Germania, per bocca del ministro della Sanità Jens Spahn: la decisione è stata presa su consiglio dell’ente regolatore nazionale sui vaccini, il Paul Ehrlich Institute, ed è stata presentata come “misura puramente precauzionale”. Poi è stata la volta della Francia, con il presidente Emmanuel Macron, che ha parlato di sospensione in attesa della decisione dell’Ema. Dopo lo stop dell’italiana Aifa, infine, è giunta anche la sospensione da parte della Spagna: stop precauzionale alle somministrazioni AstraZeneca per i prossimi 15 giorni, ha annunciato la ministra della Sanità spagnola Carolina Darias. Germania, Francia, Italia e Spagna sono andati a unirsi a una serie di altri Paesi (non solo in Europa) che ne avevano bloccato temporaneamente l’uso a partire dalla scorsa settimana, quando la Danimarca aveva fatto da apripista. Irlanda, Danimarca, Norvegia, Bulgaria e Islanda hanno fermato le inoculazioni, e anche l’Olanda ha annunciato domenica lo stop (fino al 29 marzo). Repubblica Democratica del Congo e Indonesia hanno rinviato l’avvio delle vaccinazioni con AstraZeneca. Altri Paesi invece, come Polonia, Repubblica Ceca, Ucraina e anche il Canada – ricorda la Bbc – hanno annunciato che continueranno a somministrare le dosi di AstraZeneca.

Dagospia 15 marzo 2021. Dal profilo Facebook di Enrico Mentana. Quindi il vaccino di Astrazeneca è stato sospeso in via precauzionale almeno fino a domani - quando dovrebbe arrivare la parola definitiva dell'Agenzia Europea del Farmaco - in Italia e in diversi altri paesi, come Francia e Germania. La svolta prudenziale conferma la fondatezza dei timori originati da diversi episodi dei giorni scorsi, che una parte dell'informazione ha segnalato con la dovuta evidenza, nonostante qualche ditino alzato di chi ammoniva "così non si fa, perché la gente si impaurisce". E' di tutti la speranza che l'Ema rassicuri, e il vaccino possa essere ridistribuito, certo. Ma una ricetta intanto riguarda noi. Le notizie vanno date, sempre.

AstraZeneca, Manzin: “Paure infondate, segnalazioni di eventi avversi ci sono per tutti i farmaci”. Annalisa Cangemi su Fanpage.it il 17/3/2021. Lunedì pomeriggio l’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) ha annunciato la sospensione, in via precauzionale e temporanea, della somministrazione del vaccino AstraZeneca. Si è trattato di un cambio di passo improvviso, perché meno di 24 ore prima la stessa agenzia aveva fatto sapere che "I casi di decesso verificatisi dopo la somministrazione del vaccino AstraZeneca hanno un legame solo temporale", aggiungendo che non solo non ci sarebbe un nesso di causalità tra le morti e l'inoculazione del siero, ma anche che "l'allarme legato alla sicurezza del vaccino AstraZeneca non è giustificato". Due giorni fa la doccia fredda con il nuovo stop, in attesa di nuove valutazioni dell'Ema sul preparato della società anglo-svedese, che saranno rese note domani, giovedì 18 marzo. Il premier Mario Draghi ha già fatto sapere che in caso di conclusione positiva dell'analisi dell'Ema il governo farà ripartire speditamente la campagna vaccinale, con la somministrazione del vaccino AstraZeneca. Abbiamo chiesto un parere a Aldo Manzin, professore ordinario di Microbiologia e Microbiologia clinica all'Università di Cagliari, che fa parte anche del comitato direttivo di Pillole di Ottimismo.

Professore, secondo lei è stata giusta la sospensione a scopo precauzionale della somministrazione del vaccino AstraZeneca in Italia?

La sospensione dell'Aifa è un atto dovuto, forse eccessivo, ma non equivale a una bocciatura. È un alert, dopo che si sono verificati eventi avversi di una certa rilevanza. È stato giusto sospendere momentaneamente, in attesa che l'Ema dia un parere tecnico. Gli eventi avversi non sono affatto inaspettati, però si è dato immediatamente un risalto mediatico a fenomeni che diventano ovviamente più numerosi man mano che cresce il numero dei vaccinati. Mi aspetto che dopo un pronunciamento positivo dell'Ema si riprenda a somministrare questo vaccino. Anche se il danno ormai è stato fatto, dal punto di vista dell'immagine, dal punto di vista mediatico, perché la notizia di questi eventi sparata in prima pagina ha determinato lo scatenarsi di paure a mio avviso infondate.

Si sono riscontrati 37 eventi di problemi circolatori su oltre 17 milioni di dosi somministrate. Come si commenta questo dato?

L’Ema ha fatto sapere che su 5 milioni di dosi di vaccino AstraZeneca somministrate in Europa, i casi di trombosi sono 30. Si tratta praticamente dello 0,0006% di rischio. Sono eventi che sono stati già registrati in fase sperimentale, sia per questo vaccino sia per altri vaccini a RNA messaggero come Pfizer e Moderna, e numericamente sono di gran lunga inferiori agli eventi che normalmente avvengono nella popolazione, indipendentemente dall'utilizzo di questi vaccini. Penso agli eventi che si riscontrano per esempio con l'assunzione di contraccettivi ormonali per via orale. Di questi non si parla. Però viene fatta subito l'associazione, non dimostrata, di eventi avversi con l'utilizzo dei vaccini.

La normativa europea sulla farmacovigilanza richiede a tutti gli operatori sanitari e ai cittadini di segnalare qualsiasi sospetta reazione avversa. Quindi è una prassi che viene seguita normalmente. Perché in questo caso se ne sta parlando tanto?

Per qualsiasi tipo di farmaco, quindi anche per il vaccino, superata la fase sperimentale clinica 3, scatta subito per un certo periodo la fase di farmacovigilanza, cioè la fase 4. In questo step, ed è un fatto assolutamente positivo perché significa che il sistema funziona, vengono segnalati tutti gli eventi avversi che si registrano dopo la somministrazione. È una procedura che avviene normalmente per ogni preparato farmacologico. Ma, attenzione, segnalazione non significa automaticamente associazione causa-effetto. Ho letto oggi il report sugli eventi avversi registrati dall'MHRA, l’Agenzia regolatrice inglese dei farmaci, corrispondente nel Regno Unito all'Aifa, sia per i vaccini Pfizer sia per AstraZeneca, ed erano segnalati casi di menarca precoce, sindrome d'affaticamento cronico, dopo appena due giorni dalla somministrazione, per assurdo anche un incidente stradale.

Come un incidente stradale?

Viene registrato perché potenzialmente collegato alla somministrazione del vaccino, perché magari è avvenuto non appena il soggetto è uscito dal centro per la vaccinazione. Teoricamente il sinistro potrebbe essere stato causato da ipotensione. Al di là del paradosso, qualsiasi evento temporalmente conseguente alla somministrazione di un farmaco deve essere registrato. Poi però deve essere valutato criticamente e va verificato che ci sia realmente una correlazione di causa-effetto. Se, come è avvenuto in questo caso, un lotto viene associato alla comparsa di eventi avversi non osservabili in altri lotti, è normale che se ne disponga il ritiro, perché non è escluso che possano esserci anomalie, alterazioni, o qualcosa che nella filiera di produzione di questo particolare lotto non ha funzionato. È solo un'ipotesi, ma comunque impone in via cautelativa la sospensione della somministrazione. Aifa ha deciso di estendere successivamente la sospensione a tutta la produzione. Si dovrà poi confermare o smentire che c'è stata una correlazione tra vaccini ed eventi avversi. Mentre si dà per scontato che ci sia solo perché si è osservata un'associazione di tipo temporale, ed è bastato questo a far sì che i media la sbandierassero.

Anche per il vaccino anti-influenzale ci sono in genere segnalazioni di reazioni avverse?

Certamente, la segnalazione di qualunque evento collegato temporalmente con la somministrazione del vaccino è comunque obbligatoria, all'interno di un sistema capillare serio, nell'ambito dei protocolli di farmacovigilanza. Ma non se ne discute di solito. Qualche tempo fa c'è stato il caso Fluad, vaccino antinfluenzale, sospeso perché c'erano state notizie di decessi dopo l'inoculazione. Poi venne scagionato completamente.

Secondo il direttore generale dell'Aifa Magrini la decisione presa è stata di tipo "politico", cosa significa secondo lei?

Io posso rispondere sugli aspetti tecnici, ma se vuole la mia opinione penso che possa esserci stata effettivamente una forzatura, e ritengo che la decisione, per altro condivisa da diversi governi europei, sia stata dettata anche dal fatto che c'è stato un immediato riscontro a livello mediatico che ha imposto un atteggiamento super prudenziale.

Però pare che il governo si sia mosso anche dopo un confronto con la Germania, visto che l'agenzia tedesca che si occupa della sicurezza dei medicinali ha denunciato "importanti" segnalazioni si problemi circolatori nei vaccinati. Cosa ne pensa?

Indubbiamente a fronte di una segnalazione del genere, ripeto, è dovuto l'atto sospensivo. Ci sono altri documenti, perizie tecniche, autopsie, che hanno dimostrato come non ci sia un collegamento tra un evento tragico come la morte del cittadino siciliano e l'assunzione del vaccino. Quindi ci sono già evidenze in questo senso. La cautela è dovuta, il terrorismo no, non fa bene alla verità dei fatti né alla prosecuzione della campagna vaccinale, indispensabile per fronteggiare la pandemia.

Cosa dovrà ancora verificare l'Ema? Quali altri approfondimenti sono necessari per fugare ogni dubbio sul preparato di AstraZeneca, oltre a fare un confronto dell'incidenza di eventi trombotici tra popolazione vaccinata e non vaccinata?

L'associazione da un punto di vista della correlazione statistica già c'è, abbiamo parlato di numeri enormemente inferiori di eventi che si sono registrati nei soggetti che sono stati vaccinati con AstraZeneca, rispetto alla popolazione generale. Ma questo non basta ad assolvere il vaccino, che potrebbe effettivamente causare episodi tromboembolici. Ci vogliono delle perizie tecniche e controlli sull'adeguatezza del preparato per poter negare qualsiasi associazione. Spettano ai tecnici queste verifiche, che verranno fatte non soltanto guardando i dati numerici, ma con approfondimenti sul prodotto e sui casi clinici.

Quindi una volta che l'Ema darà il via libera la campagna vaccinale riprenderà secondo lei?

Io credo che i tempi saranno relativamente rapidi. Bisogna accettare il concetto che il rischio zero non esiste, va valutato un bilanciamento tra effetti avversi possibili e il risultato che si può raggiungere con l'immunizzazione di comunità.

AstraZeneca, Palù adesso rivela: "Chi farebbe bene a non farlo..." Il presidente dell'Aifa afferma a Porta a Porta: "Il vaccino ha provocato su alcune donne delle trombosi, magari che hanno difetti di coagulazione, donne che prendono la pillola. Meglio che non lo facciano queste persone? Potrebbe essere così ma aspettiamo". Ignazio Stagno - Mar, 16/03/2021 - su Il Giornale. Il caso AstraZeneca continua a far discutere. Dopo la sospensione del vaccino da parte dell'Aifa, si attende il verdetto dell'Ema, fissato per giovedì prossimo per poter riprendere, in caso di verdetto positivo la somministrazione delle dosi. Da più parti, Astrazeneca e soprattutto Ema in testa, sono arrivate rassicurazioni sulle possibili correlazioni tra le morti sospette per trombosi e la somministrazione del vaccino. Ma le parole pronunciate questa sera a Porta a Porta dal professor Palù, presidente dell'Aifa, fanno riflettere. Palù non ha usato giri di parole ed ha affermato: "Il rapporto rischi-benefici è nettamente a favore dei benefici. Ovviamente si deve attendere la valutazione dell'Ema, che probabilmente darà una nota di avvertenza perché se soggetti femminili con problemi di coagulazione hanno avuto questa trombosi, probabilmente bisognerà studiare e chiedere maggiore attenzione verso questi soggetti". E ancora: "Il vaccino ha provocato su alcune donne delle trombosi, magari che hanno difetti di coagulazione, donne che prendono la pillola. Meglio che non lo facciano queste persone? Potrebbe essere così ma aspettiamo". Insomma, secondo quanto dichiarato da Palù, molto probabilmente giovedì l'Ema potrebbe correggere il tiro sul vaccino. Intanto non resta che affidarsi alle considerazioni arrivate dall'Ema proprio in queste ore. La direttrice dell'Ema, Emer Cooke ha fatto sapere che la revisione sul vaccino è stata decisa a seguito di preoccupazioni emerse per alcuni casi di trombosi in persone alle quali era stato somministrato il siero: "La nostra priorità è assicurarci della sicurezza del vaccino", ha precisato la direttrice dell'Ema. Per il momento, però, precisa Cooke, "non ci sono indicazioni che il vaccino abbiamo causato queste condizioni. Durante la sperimentazione le persone hanno mostrato numeri minimi di trombosi". Bisognerà attendere ancora un giorno per capire quanto sia sicura la somministrazione di AstraZeneca. In questo momento sono stati inviati migliaia di sms in tutta Italia per annullare tutti gli appuntamenti previsti nelle giornate di oggi e di domani. Il governo ha comunque fatto sapere che lo stop di questi giorni potrebbe essere recuperato nel giro di due settimane con un fitto piano di somministrazioni. Intanto, va ricordato, che nel secondo semestre verrà incrementata la somministrazione di Pfizer con l'arrivo in Ue di circa 10 milioni di dosi. Il tutto per accelerare un piano vaccinazioni che diventa sempre più fondamentale per la ripresa del Paese e del suo tessuto economico.

"Trombosi sospette? Rare ma accadono. Più pericolosa una sigaretta della dose". L'ematologo del Policlinico: "Il calo delle piastrine può attivare la coagulazione, ma non c'è correlazione. Dimostrata invece col fumo". Maria Sorbi - Mer, 17/03/2021 - su Il Giornale. Il nesso tra somministrazione del vaccino Astrazeneca e casi di trombosi è tutto da dimostrare e, fino a prova contraria, medici e scienziati non ci vedono una correlazione. Tra di loro anche l'ematologo Marco Moia, per anni responsabile del Centro di terapia anti coagulante del Policlinico di Milano e ora consulente del centro San Giuseppe.

Nelle persone decedute dopo il vaccino è stato rilevato contemporaneamente un calo delle piastrine e un coagulo del sangue che ha portato alla trombosi. Come è possibile?

«Non si tratta di una contraddizione. Il calo delle piastrine nel sangue può essere la spia dell'attivazione della coagulazione. Accade raramente ma accade. Tuttavia non c'è correlazione con i vaccini».

Quindi le morti sospette nulla hanno a che fare con la vaccinazione?

«Io per ora mi baso su dati epidemiologici. Ma non si tratta di numeri che vanno oltre la normalità dei decessi. Consideriamo che le trombosi colpiscono 65mila persone all'anno solo in Italia e le morti improvvise ci sono, anche in persone apparentemente sane. Se un atleta muore nel sonno è una morte improvvisa, se però qualche giorno prima ha fatto il vaccino è una morte da indagare».

Quindi tutto normale?

«Diciamo che durante le sperimentazioni cliniche, ad esempio su mille persone, conosciamo alla perfezione tutta la cartella clinica dei pazienti. Su una popolazione così ampia come quella dei vaccinati non si può approfondire la storia clinica di tutti e un singolo caso grave fa ovviamente clamore. È normale che sia così. Ma statisticamente non si tratta di numeri rilevanti».

Però quando un deceduto ha nome e cognome, è dura parlare di statistica?

«Uso un esempio già fatto dal virologo Massimo Galli: su un milione di donne gravide si verificano ogni giorno circa 400 aborti spontanei. Per dire che un vaccino aumenti il rischio d'aborto bisogna che gli aborti nelle gravide vaccinate siano molti di più rispetto a quelli attesi nell'intera popolazione. Non è così».

Quindi lei crede che Ema faccia rientrare l'allarme su Astrazeneca?

«Ema ha poco tempo per valutare. Per verificare il nesso causa-effetto tra vaccini e morti sospette non basta di certo un'autopsia. Bisogna analizzare i numeri degli studi fatti sul vaccino e capire se il siero ha introdotto un elemento peggiorativo nella popolazione. In Gran Bretagna, dove la metà della popolazione è stata vaccinata con Astrazeneca e dove sono stati fatti controlli corretti, è andata bene. Bisogna sempre tener presente i rapporto tra rischi e benefici».

Cosa che accade anche per gli altri farmaci.

«Si. Quando curo un paziente che ha avuto un ictus, gli somministro la terapia trombolitica per ridurre i danni. Ma i farmaci rischiano di provocargli un'emorragia cerebrale. Anche in questo caso valuto rischi e benefici».

Quindi dobbiamo continuare a fidarci dei vaccini?

«É molto più pericoloso fumare che vaccinarsi. Nel caso della sigaretta la correlazione con episodi tromboembolici c'è ed è dimostrata, ma la gente non smette di fumare».

Però la gente ha paura ed è molto confusa.

«Lo capisco bene, è impressionante la velocità con cui si è cambiato idea sui vaccini. Cambiare posizione ogni 5 minuti è deleterio per un genitore che educa un figlio, figuriamoci per la scienza. Eppure è normale che si adeguino le scelte in base ai colpi di scena, alle prove e alle controprove».

È vero che la sorte di questi giorni di Astrazeneca è routine per molti farmaci?

«I farmaci vengono spesso ritirati per verifiche e poi riammessi sul mercato. È accaduto anche ad Aulin, su cui è scattato un allarme (poi rientrato) dopo alcuni casi di ischemia. La differenza è che quel farmaco era sostituibile mentre Astrazeneca al momento no. Se ci fosse un'ampia gamma e quantità di altri vaccini, potremmo dire all'azienda di prendersi anche sei mesi per verifiche. Ma ora non è possibile».

Giulio Gambino per tpi.it il 16 marzo 2021.

Professore, ha fatto bene Aifa a sospendere in via precauzionale il vaccino Astrazeneca?

Dipende da come intendiamo il concetto di precauzione. Io temo che la sospensione peggiori gli aspetti psicologici delle persone. Non sarebbe stato precauzionale considerare anche l’impatto sulla gente? Questo è il mio concetto.

L’Aifa ha cambiato posizione in pochi giorni. Lei che conosce bene quel mondo, ritiene che abbiano agito al meglio?

È vero, conosco bene quel mondo. Nel caso di AstraZeneca, so che non è popolare dirlo, ma io avrei fatto un’analisi a porte chiuse in realtà.

Cioè?

Avrei analizzato i dati senza ancora uscire. In Europa, su un totale di 17 milioni di soggetti vaccinati con AstraZeneca, ci sono stati 37 casi di persone che hanno riscontrato problematiche, poi ci sono stati anche alcuni decessi, ma la correlazione è ancora tutta da dimostrare…

Ha già risposto, la fermo qui perché è questo il punto cruciale.

La correlazione è tutta da dimostrare. Quindi io avrei chiesto maggiori informazioni agli inglesi, che sono quelli che hanno più esperienza nel mondo, perché hanno somministrato circa 26 milioni di dosi. Avrebbero potuto fornirci subito i numeri degli effetti collaterali, perché hanno una rete di farmaco vigilanza che fa paura.

Luca Pani, 60 anni, cagliaritano, è l’ex direttore generale dell’Aifa (2011-2016), vive negli Usa e insegna psichiatria alla University of Miami. Nella sua intervista a TPI.it a proposito della sospensione precauzionale del vaccino di AstraZeneca in Italia da parte dell’Aifa, fa riferimento ai circa 26 milioni di vaccini somministrati dal Regno Unito finora (nel Paese 24 milioni di persone hanno ricevuto almeno la prima dose, divise più o meno a metà tra Pfizer e Astrazeneca). Il governo inglese, dopo la Brexit, non deve sottostare alle approvazioni dell’Agenzia europea dei medicinali (Ema) e non ha sospeso le somministrazioni del vaccino sviluppato a Oxford.

Quindi gli inglesi avrebbero potuto fornire dei dettagli che noi non abbiamo per capire esattamente quali erano le condizioni?

Certo.

E chi avrebbe dovuto chiedere queste informazioni?

Avrebbe potuto farlo l’Ema visto che il vaccino è in una procedura centralizzata, lo poteva fare qualunque agenzia. Sono agenzie tra le quali ci sono degli scambi di informazioni.

E l’Aifa?

Sì, anche l’Aifa avrebbe potuto. Io mi sarei molto fidato di Ema e anche degli inglesi. Bisogna essere sinceri su questo. Avrei fatto una bella nota urgente alla dottoressa June Raine della MHRA (l’Agenzia regolatrice inglese dei farmaci, ndr) e le avrei chiesto che segnali hanno visto sui loro vaccinati.

Pensa che sia possibile che né l’Agenzia del farmaco italiana, né quella tedesca, spagnola, francese e dei Paesi Bassi abbiano fatto questa chiamata alla dottoressa Raine?

Io ritengo che tutto sia possibile, purtroppo è una delle cose che mi ha insegnato questo mestiere. Forse a causa della Brexit, non so.

È giusto che sia Aifa ad annunciare la sospensione? Oppure avrebbe dovuto essere l’Ema?

La risposta è molto semplice. Si possono fare due cose, ma non tutte e due insieme. L’Aifa può, per ragioni di urgenza ed emergenza e per una situazione critica a livello nazionale, scavalcare l’Agenzia europea e sospendere per il momento la somministrazione. Oppure, in alternativa, rimettersi all’Ema, in quanto lei è responsabile della procedura centralizzata. Quindi l’Aifa avrebbe dovuto aspettare la revisione dell’Ema e poi agire. Invece non è stato così. E su questo vorrei subito chiederle una cosa: io oggi (ieri, ndr) ho seguito le agenzie stampa. Alle 15.50 l’Ema ha dichiarato: “Non ci sono rischi, si deve andare avanti con AstraZeneca”. E poi alle 16,17 è uscita la decisione di Aifa di sospendere il vaccino. Alle 16,30 Ema lancia un nuovo comunicato e dice “Al netto di tutto, a nostro modo di vedere, i benefici sono maggiori rispetto ai rischi collaterali”. Dopo il primo comunicato dell’Ema io sarei andato avanti. E dopo il secondo, eventualmente, come Aifa avrei riattivato le somministrazioni. In attesa che l’Ema si pronunciasse, sarei andato avanti, visto che sosteneva che i benefici erano maggiori degli effetti collaterali.

Ha senso fermare una campagna di vaccinazione in questo modo?

No, secondo me non ha senso. Tanto più con questi numeri.

Come è possibile che l’Aifa e le altre rispettive agenzie del farmaco europee scavalchino l’Ema? Hanno agito solo sull’emotività?

È lo stesso motivo per cui la Regione di turno, che sia il Piemonte o un’altra, prende le decisioni sopra l’Aifa. È evidente che non si può continuare così.

Negli Stati Uniti non avviene questo?

No, negli Stati Uniti li mettono in galera se provano a fare una cosa del genere sopra l’FDA (ride). Sto scherzando, ovviamente.

Ci spieghi come funziona negli Stati Uniti, c’è l’FDA e poi?

E poi basta. Nonostante sia un Paese federale, questo negli Usa non avviene. I regolatori sono indipendenti, quelli veri sono indipendenti.

Però non è nemmeno un episodio solo italiano. È successo anche con i tedeschi per esempio.

Poi i tedeschi figurati.

Cosa?

Dico, se i tedeschi possono dare una lezione agli inglesi…

Ripeto, a suo avviso hanno agito sulla base dell’emotività delle persone?

Spero proprio di no. Spero che abbiano dei dati che a questo punto potranno uscire.

Potrebbero avere dei dati che Ema non ha?

Questo non lo so. Ovviamente sono le nazioni i luoghi dove succedono le cose, no? Sono loro che alimentano i database di Ema. L’Ema non ha il controllo dell’Europa, i dati arrivano dagli Stati membri, dalla rete di farmaco vigilanza nazionale. Usciranno e tra 48 ore. A quel punto AstraZeneca sarà sospesa in tutto il mondo, se ha veramente questa possibilità di dare trombo embolie. Ma gli inglesi con 26 milioni di vaccinati ancora non se ne sono accorti? Loro che la farmaco vigilanza la sanno fare? Non lo so. A me sembra strano.

E se invece i dati non riveleranno nulla di preoccupante? Come si spiegherebbe questa scelta?

Allora sarebbe stata una scelta emotiva. E/o politica non lo so.

Politica in che senso?

Mi sembra di averlo fatto intendere, preferisco non entrare nel dettaglio.

Però non c’è solo l’Aifa, la decisione di sospendere AstraZeneca è stata avallata anche dal ministro della Salute Roberto Speranza e dal premier Mario Draghi.

Anche questo mi dispiace dirlo, sia per Draghi che per Speranza, ma non ne hanno alcuna competenza. C’è un’agenzia regolatoria e devono seguire quell’agenzia regolatoria.

Cioè l’Aifa?

Sì, se l’Aifa gli ha detto di sospendere è l’Aifa che ha sospeso. Non Draghi o Speranza. E quindi l’Aifa si prenderà la responsabilità di questa sospensione. Sennò le agenzie regolatorie che cosa ci stanno a fare?

Lei lo conosce Magrini, il direttore generale dell’Aifa?

il 16 marzo 2021. L’ho incontrato una volta anni fa. Non posso dire di conoscerlo. Ha una responsabilità immensa.

Come giustifica un comportamento del genere?

Quello è un posto che scotta, io lo posso dire perché ci sono stato seduto. Bisogna essere molto coerenti con se stessi e basarsi sui dati. Né considerazioni emotive e né considerazioni politiche di nessun genere possono influenzare. Perché sul momento può anche darsi che possa essere “conveniente”. Ma poi, alla lunga, se tra 48 ore l’Ema dice che non c’è nessun problema, nel frattempo hai danneggiato la campagna vaccinale. Questa è una campagna vaccinale mastodontica.

Prendiamo l’ipotesi che Ema ci dica che è tutto a posto e si può procedere. Il direttore generale dell’Aifa Magrini dovrebbe rispondere in qualche modo dello stop alla campagna?

Non mi sembra che ne risponda mai nessuno, in Italia, di quello che succede. È la stessa cosa che è successa con i monoclonali. Stavamo aspettando da mesi che li autorizzassero.

Però qui c’è una campagna di vaccini in forte ritardo.

Se la campagna vaccinale riprende con lo stesso vigore, anzi, con rinnovato vigore, abbiamo perso 72 ore, ma va bene così. Non doveva succedere, ma poco danno. Se invece la gente non si vuole più vaccinare, ecco questo sarà un problema.

Magrini potrebbe aver commesso un passo falso? 

Non so quali dati abbia. Mi sta facendo delle domande molto giuste. Ma non so che dati lui ha in mano.

Delle due l’una, l’Aifa può aver agito o “in attesa di un pronunciamento dell’Ema” o “in coordinamento con l’Ema”. Ma sono due cose diverse. Lei cosa ne pensa?

L’Ema ha detto di continuare.

Se ci fosse stato un vero coordinamento, AstraZeneca forse sarebbe stato sospeso ovunque, invece è successo solo in alcuni Paesi Ue.

Questo vuol dire che non c’è stato il coordinamento.

E per chi ha già avuto la prima dose? L’Aifa ha detto che farà sapere le modalità, ma per il momento non si sa nulla di preciso. Lei lo avrebbe fatto?

No, io non l’ho neanche capito il messaggio devo dire la verità. Vuol dire per adesso non fai niente, poi ti dico se puoi fare la seconda dose. E se non posso fare la seconda dose che dose devo fare? Perché non è che possiamo dare Moderna.

Perché se ne hai fatto uno con la prima dose devi fare lo stesso vaccino anche nella seconda?

Certo. Non abbiamo nessuno studio di nessun’altra combinazione al momento.

E se per assurdo si interromperà la somministrazione del vaccino AstraZeneca che faranno quelli che hanno fatto una sola dose? Ricominceranno da zero?

Non abbiamo neanche questo di studio. Penso che rimarrebbero così. Poi controllerebbero loro gli anticorpi neutralizzanti, quando diventerebbero così bassi da non essere più protetti, potrebbero ripartire con un altro ciclo vaccinale con un altro vaccino.

Quindi alla fine qui l’errore l’hanno commesso le agenzie Aifa e le varie agenzie spagnole, francesi etc?

Sì, se loro non hanno altri dati in mano. In questo caso, li dovrebbero dare ovviamente all’Ema che li analizzerebbe. Ma penso che comunque avrebbero dovuto continuare, perché ha ragione l’Ema in quello che ha scritto il rapporto rischio-beneficio è ancora positivo rispetto a non vaccinarsi. Non è assolutamente banale quello che è successo.

In tutto questo l’Oms dice continuare ad utilizzare Astrazeneca.

L’Oms dal punto di vista regolatorio lascia il tempo che trova, però è un’altra affermazione sicuramente di peso. Poi può capitare che qualcuno abbia degli effetti collaterali, non sto dicendo che i vaccini non hanno effetti collaterali, ma il rapporto rischio beneficio in una situazione del genere è sempre positivo.

Margherita De Bac per il "Corriere della Sera" il 16 marzo 2021.

Professor Giorgio Palù, presidente dell' Aifa (Agenzia italiana del farmaco), ricostruiamo gli eventi che hanno portato alla sospensione del vaccino AstraZeneca.

«Tutto ha origine dall' iniziativa del Paul Ehrlich Institute, l' ente regolatorio e di ricerca tedesco. L' istituto ha suggerito al ministro della Salute Jens Spahn di sospendere temporaneamente e in forma cautelativa il preparato di AstraZeneca in seguito al verificarsi di 6 casi di tromboembolia in soggetti di sesso femminile, due dei quali mortali. Questi casi sono stati messi in relazione temporale con la dose inoculata».

Per chiarezza, facciamo un passo indietro. Cos' è la tromboembolia?

«È la formazione di coaguli all' interno di vasi sanguigni che possono ostruire la circolazione del sangue. A seconda di dove i coaguli, i trombi, si formano, sopraggiungono conseguenze più o meno gravi. Se ostruiscono l' arteria coronarica, del cervello o polmonare, si possono generare problemi gravissimi per la salute e la sopravvivenza».

È solo un sospetto?

«L' evidenza scientifica di un nesso causa-effetto al momento non c' è. Un caso analogo di trombosi venosa profonda si era verificato anche in Olanda. Questi eventi si aggiungono a quelli riportati precedentemente in Danimarca e Austria. Da qui, Olanda, Francia, Germania, Spagna e poi anche Italia hanno deciso "a cascata" di sospendere in via cautelativa e temporanea il preparato anti Covid fino a che non si esprima l' Ema. L'0,agenzia regolatoria europea dovrebbe acquisire i dati di farmaco vigilanza e delle autopsie sulle persone decedute entro giovedì per dare una risposta».

Era mai stata ipotizzata una relazione diretta tra vaccino e tromboembolia?

«Nei 12 milioni di vaccinati del Regno Unito e nei 5 milioni dell' Unione europea, i casi registrati di questi eventi gravi erano finora prevalenti in persone anziane, età media 70 anni. L' incidenza è dunque nettamente inferiore a quella di un caso su mille circa, tipico di queste manifestazioni. Bisognerà vedere se le donne morte in Germania avevano condizioni predisponenti la trombosi come l' assunzione di pillola anticoncezionale oppure altre alterazioni di base della coagulazione».

Chi si è già vaccinato con AstraZeneca come deve comportarsi?

«Sappiamo dagli studi inglesi che la seconda dose può essere fatta alla dodicesima settimana, come raccomanda anche Aifa, c' è tutto il tempo di attendere l' imminente decisione di Ema. Non solo. I vaccini basati sulla tecnologia utilizzata da AstraZeneca danno eventuali reazioni alla prima dose e molto meno alla seconda, il contrario di quanto avviene per quelli ad Rna (Pfizer-Biontech e Moderna)».

Che «verdetto» si aspetta?

«È improbabile un nesso causale diretto tra vaccinazione e decessi. Al massimo potrebbe esserci una concausa nel senso che i problemi potrebbero riguardare solo persone predisposte a sviluppare queste patologie. L' autorizzazione ad AstraZeneca da parte di Ema è stata data condizionatamente a una costante valutazione rischi/benefici.

L' agenzia e le autorità sanitarie nazionali svolgono un' azione di stretta sorveglianza proprio per intervenire rapidamente».

Perché nell' occhio del ciclone finiscono sempre i vaccini?

«Perché vanno a persone solitamente in piena salute, a scopo preventivo. Si hanno meno timori a ingurgitare una pillola. Nei bugiardini dei medicinali più banali comunemente usati sono elencati una sfilza di effetti indesiderati molto superiori a quelli dei vaccini. Ci dimentichiamo che sono i farmaci più sicuri, meno costosi e che ogni anno salvano 2,5 milioni di vite umane. Hanno reso all' umanità un grande servigio: aumentare la speranza di vita dai primi del '900 a oggi di quasi 30 anni».

Dagospia il 16 marzo 2021. Da “Radio Cusano Campus”. Il farmacologo Silvio Garattini, presidente dell’Istituto Mario Negri, è stato ospite del programma "L'imprenditore e gli altri" condotto da Stefano Bandecchi, fondatore dell'Università Niccolò Cusano, su Cusano Italia Tv (canale 264 dtt). Sulla sospensione del vaccino Astrazeneca. “La sospensione temporanea della vaccinazione di fronte a questi fatti è un atto dovuto, per ragioni precauzionali –ha affermato Garattini-. Ci sono le commissioni che valuteranno e io penso che in 4-5 giorni avremo una risposta. Ci sono Paesi come la Gran Bretagna dove sono state utilizzate milioni di dosi e non ci sono problemi. Poi bisogna dire che in Italia ogni giorno muoiono circa 1800-2000 persone, che qualche persona muoia avendo preso il vaccino il giorno prima fa parte della realtà, il vaccino non dà l’immortalità, protegge soltanto dai danni indotti dal covid. Noi sappiamo che c’è un rapporto di causa-effetto tra il virus e il trombo-embolismo, non tra il vaccino e il trombo-embolismo, che poi ci possa essere qualche lotto che dà degli effetti collaterali più intensi nessuno lo può escludere, ma bisogna sempre considerare il rapporto benefici-rischi, se avessimo avuto il vaccino non avremmo avuto 100mila morti. Gli effetti collaterali sono pochissimi, sono moltissime le persone che non hanno avuto nessun effetto, come me ad esempio. Io ho fatto il Pfizer, ma se potessi fare anche Astrazeneca per dare l’esempio lo farei domani. Io non sono contrario all’idea che si debbano dare spiegazioni, la comunicazione finora è stata pessima, perché la gente ha tutto il diritto di avere dei dubbi. Tutti dobbiamo essere dubbiosi perché siamo di fronte ad un evento straordinario, ma è compito del governo e delle autorità regolatorie dare spiegazioni e non solo una volta. Prima di tutto deve essere una comunicazione indipendente, commissionata dal governo a qualcuno che gode di credibilità e dovrebbe essere giornaliera. Se voi pensate che continuiamo ancora oggi a dare i dati regionali sulla base dei numeri assoluti, è una comunicazione falsa, un morto nel Molise sono 6 morti in Lombardia, ma la gente percepisce come se in Lombardia ci fosse la catastrofe e nelle altre Regioni non ci fosse niente. Adesso si dà il dato del rapporto tra positivi e tamponi, ma se di tamponi se ne facesse uno al giorno avremmo zero casi. Dobbiamo cercare di informare la gente sul valore dei numeri. Ovviamente per la situazione di questo vaccino sono preoccupato, speriamo che presto la situazione venga risolta. Astrazeneca di vaccini ce ne dà pochi, ha ridotto del 60%, avremo qualcosa nel secondo trimestre che vuol dire la fine di giugno, noi abbiamo bisogno di accelerare l’acquisto di vaccini perché ne abbiamo troppo pochi, abbiamo sbagliato completamente tutto, abbiamo ordinato Pfizer e Moderna a novembre, quando già a maggio gli Usa e la Gran Bretagna così come Israele avevano già ordinato”. Se Astrazeneca venisse bloccato, cosa farà chi ha già fatto la prima dose? “Ci sono 12 settimane di tempo tra la prima e la seconda dose, se poi dovesse venire bloccato definitivamente, è molto probabile che si possa fare la seconda dose con un altro vaccino, anche se non abbiamo dei dati, però nel frattempo si faranno le prove. Potrebbero fare la seconda dose con il Johnson, oppure con lo Sputnik, che è fatto sullo stesso principio di Astrazeneca, solo che ha due vettori differenti per le due dosi, mentre Astrazeneca ha lo stesso vettore. Ci vuole una buona comunicazione, bisogna che queste cose qui non vengano lasciate al caso, i ministri spesso parlano senza sapere cosa dicono, devono parlare le persone che hanno una credibilità e sempre quelle. Io racconterei questo: in Inghilterra siamo giunti ad una mortalità per covid di 1200 persone al giorno, dopo l’inizio delle vaccinazioni la mortalità è diminuita del 60%, questa è la riprova che il vaccino è efficace”. Sul vaccino per i giovani da 0-16 anni. “Pfizer sta facendo la sperimentazione sui ragazzi con meno di 16 anni, fra un paio di mesi avremo dei risultati, in ogni caso al momento non abbiamo i vaccini per farlo, quindi dovremo aspettare comunque”. Sulla produzione dei vaccini in Italia. “Qualche Paese ha già provveduto, in Francia le strutture di Sanofi verranno utilizzate per produrre il vaccino Biontech, in Germania hanno già costituito due sedi per produrre i vaccini Pfizer, fra poco loro saranno pronti, noi non abbiamo ancora cominciato. Teniamo presente che ci sono colossali interessi economici, Pfizer ha già incassato 20 miliardi, quindi lo scoraggiamento a fare qualcosa in Italia è molto evidente. Fino a poco tempo fa Farmindustria diceva che è complicato e ci vuole tempo, in realtà in Germania l’hanno fatto in pochi mesi”.

Silvia Turin per corriere.it il 17 marzo 2021. Il vaccino di AstraZeneca potrebbe essere sconsigliato alle donne che prendono la pillola, essendo il contraccettivo un farmaco che di per sé aumenta il rischio di eventi tromboembolici? E agli altri soggetti con aumentato rischio di trombosi?

Avvertenza per chi prende la pillola? La domanda nasce dopo che il presidente dell’Agenzia italiana del farmaco, Giorgio Palù, ha dichiarato alla trasmissione «Porta a Porta»: «Il rapporto rischi-benefici per il vaccino di AstraZeneca è nettamente a favore dei benefici. Ovviamente si può attendere la valutazione dell’Ema (l’Agenzia europea dei farmaci, ndr) che, probabilmente, io mi aspetto, darà una nota di avvertenza perché se ci sono soggetti femminili che hanno avuto trombosi, bisognerà studiarli. Soprattutto le donne che prendono la pillola, che è un farmaco pro-trombotico o che hanno difetti della coagulazione. Una maggiore attenzione, cioè, per questi soggetti».

Rischio trombosi molto più alto con il Covid. «Non sappiamo se chi prende la pillola non dovrà vaccinarsi e cosa scriverà l’Ema, ma faccio un esempio basato sui dati e sulla logica - spiega al Corriere SaluteSergio Siragusa, vicepresidente della Società Italiana di Ematologia (Sie) e fra i maggiori esperti italiani di trombosi - : per un paziente che ha un aumentato rischio trombotico di qualunque natura (e la pillola conferisce questo rischio) è molto più pericoloso prendere il Covid, perché il coronavirus ha delle complicanze tromboemboliche nel 15 % dei casi con percentuali che vanno dal 3 al 40% a seconda dell’età e di altri fattori. Il rischio dato dalla vaccinazione è al momento valutato in 0,00003% e questo vale anche per il vaccino Pfizer».

I vaccini non causano trombosi in modo diretto.

Le persone più a rischio di tromboembolia venosa vanno incontro a pericoli maggiori se si vaccinano?

«Al contrario – dice il vicepresidente Sie -: in Italia ci sono centinaia di pazienti che chiamiamo trombofilici (con maggior rischio di sviluppare trombosi) cui non è mai stata data alcuna indicazione contraria alle vaccinazioni, di qualunque tipo siano. Nessun tipo di vaccino, infatti, nemmeno quelli pensati contro il Covid, agisce direttamente sulla coagulazione del sangue: non ci sono meccanismi che possano determinare in modo diretto l’aumento di eventi tromboembolici dopo una vaccinazione. Quello che può accadere, è che il sistema immunitario reagisca alla vaccinazione attivando le citochine, che a loro volta possono influire sullo stato infiammatorio e la coagulazione, ma non ci sono evidenze scientifiche in questo senso».

Sconsigliata l’eparina.

E chi è già a rischio trombosi non potrebbe fare dei test specifici prima di vaccinarsi o prendere eparina in via preventiva?

«Assolutamente no – risponde l’esperto -. Al momento attuale, come detto, non esiste una correlazione dimostrata tra vaccinazione ed eventi trombotici; inoltre non disponiamo di test che permettano di identificare facilmente il rischio trombotico individuale. Per questo non sarebbe sicuro somministrare eparina nei soggetti da vaccinare. La profilassi eparinica è infatti indicata solo nelle categorie di pazienti in cui sia certamente dimostrato che il vantaggio del farmaco (antitrombotico) superi il suo rischio emorragico. Non dobbiamo difatti dimenticare che l’eparina (come tutti i farmaci antitrombotici) fluidifica il sangue: quindi è giusto correre un potenziale rischio emorragico solo nel caso in cui il rischio trombotico sia ad esso superiore. Cosa che di fatto non sussiste in corso di vaccinazione, in cui l’uso di eparina su larga scala determinerebbe un incremento delle emorragie».

Rai nella bufera, il Tg1 sotto accusa per il caso AstraZeneca: «Non è stata detta la verità». Milena Desanctis lunedì 15 Marzo 2021 su Il Secolo d'Italia. La Rai nella bufera. Sabato alle 13.30 il Tg1 nel resoconto dell’inviato Marco Varvello dedicato alla somministrazione di AstraZeneca nel Regno Unito, ha sostenuto che non ci siano stati morti a causa del vaccino. Il giornalista, come scrive il sito Affaritaliani.it, minimizza sulle reazioni avverse, 54.000, che vengono definite “reazioni anomale minori”. Affaritaliani scrive ancora: «Chissà quanto saranno “minori” i 1922 casi di disturbi cardiaci, gli aborti spontanei, le neoplasie o i casi di cecità avutisi dopo la somministrazione del vaccino AstraZeneca (solo per citarne alcuni) e per i 275 decessi, che diventano “257”, sempre dopo la somministrazione, si sostiene che “nessuna era dovuta a cause legate al vaccino”». Ecco quello che ha detto Franco Varvello nel servizio andato in onda sabato. «Già a dicembre l’Agenzia del farmaco britannica è stata la prima al mondo a dare il via libera al vaccino sviluppato da Oxford e prodotto da AstraZeneca e somministrato senza restrizioni anche alle persone più anziane. Da allora sono stati inoculati oltre undici milioni di dosi, quasi la metà dunque del totale 25 milioni. Il 45% della popolazione britannica ha ricevuto infatti almeno la prima dose». «Insomma, un test su milioni di cittadini. In 54mila casi si sono registrate reazioni anomale minori, un centinaio di shock anafilattici senza conseguenze gravi. Dei 257 decessi avvenuti dopo la somministrazione nessuno era dovuto a cause legate al vaccino.  In Gran Bretagna  si procede dunque senza esitazioni sulla strada delle vaccinazioni di massa anche con AstraZeneca che ha il vantaggio di poter essere conservato a temperature di frigorifero e costa molto meno degli altri. Dopo l’Ema anche l’Oms ha raccomandato di continuare ad usare questo vaccino…».

Cosa dice il governo inglese. Come scrive Affaritaliani, «per il governo inglese il numero e la natura delle sospette reazioni avverse segnalate finora non sono insolite rispetto ad altri tipi di vaccini utilizzati di routine. L’esperienza complessiva in materia di sicurezza con entrambi i vaccini è per quanto attesa dagli studi clinici. Sulla base dell’esperienza attuale, i benefici sono superiori alle complicanze».

Il sito in un altro articolo osserva che «AstraZeneca ha fatto registrare 54180 reazioni avverse al vaccino. Sul report del governo britannico si evidenziano i 275 morti e tutte le reazioni avverse anche di non irrilevante entità. Il governo britannico rende pubbliche anche le reazioni avverse al vaccino Pfizer/BioNTech, 33207, segnalando 227 morti». Per poi concludere: «La questione vaccini non è un esercizio di tifoseria, come in una partita di calcio dove si è pro o contro i vaccini ma un tema di approfondimento più complesso degli slogan che spesso ascoltiamo in tv da persone che hanno solo certezze e nessun dubbio, mai».

Tg1, Vinci (FdI): «Dare informazioni chiare e non tendenziose». Immediato il commento Gianluca Vinci. Il parlamentare di Fratelli d’Italia ha annunciato che rivolgerà un’interpellanza urgente al governo. «Tutta l’informazione deve dare dati corretti, a maggior ragione quella delle reti pubbliche. In una pandemia non ci deve essere nessuno che fa giornalismo giocando con le parole. Tifando pro o contro le vaccinazioni, ma dando informazioni chiare e non tendenziose, per questo chiederò al governo cosa intende fare per fornire dati chiari per tutti».

"Dottore non sto bene". I malati di suggestione in fila ai pronto soccorso. Boom di accessi tra chi ha ricevuto il siero di Oxford. Le chiamate preoccupate ai medici. Maria Sorbi - Gio, 18/03/2021 - su Il Giornale. «Mi hanno vaccinato una settimana fa e ora ho uno strano mal di testa». «Ho avuto la febbre e ora ho questa improvvisa irritazione sul collo, mi sono spaventato e sono corso qui». I casi delle persone vaccinate che si presentano in pronto soccorso non si contano, in tutta Italia. Ma la diagnosi è quasi sempre una sola per tutti, soprattutto da due giorni a questa parte: panico da Astrazeneca. Suggestione, nulla di più. Sono rarissimi i pazienti con complicazioni reali. In molti casi le persone si presentano senza avere nulla di particolare, ma chiedono una visita perchè hanno scoperto di aver ricevuto una dose del lotto di dosi sospette. «Molti pazienti - spiega una dottoressa in prima linea a Varese - non sanno nemmeno descrivere bene i loro sintomi e vagheggiano su un malessere generale senza darci nessuna indicazione di più». In realtà non hanno nulla, solo paura, solo voglia di prevenire tutto ciò che potrebbe causare il vaccino. Anche a costo di passare ore in un pronto soccorso pieno di casi (reali) di Covid senza essere protetti dalla seconda iniezione del vaccino. Anche il Codacons sta raccogliendo una valanga di segnalazioni: 250 solo in un giorno. L'associazione dei consumatori ha lanciato qualche giorno fa una class action per i casi di danni derivanti dalla vaccinazione in seguito al blocco del vaccino AstraZeneca e sul proprio sito ha pubblicato una pagina dove gli utenti possono segnalare le reazioni e aderire alle iniziative legali. L'incertezza e la paura, dopo tutto quello che è stato scritto e detto (non solo dalla stampa ma anche dalle autorità sanitarie), sono comprensibili. «Ho avuto febbre alta con picchi fino a 39 gradi durante la notte racconta Cinzia Pettinelli, dirigente di un istituto scolastico di Ascoli e tra le persone a cui è stata somministrata una fiala del lotto sequestrato dai Nas - ma già la mattina dopo stavo meglio. Sul momento non mi sono spaventata ma quando ho scoperto, verificando dalla documentazione che mi avevano rilasciato, che ero stata vaccinata proprio con uno dei lotti sospesi, un po' di ansia è arrivata. Farò autonomamente il test di coagulazione per stare più tranquilla». Non tutti reagiscono con il sangue freddo della preside di Ascoli. E non fanno che aggravare una situazione già al limite in molte città. I pronto soccorso sono stra pieni, i ricoveri aumentano e oltre a quelli Covid ci sono da gestire le emergenze di sempre. I medici però sono sempre quelli, non sono stati aumentati. Se si presentano in ps anche casi che hanno semplicemente bisogno di rassicurazioni, allora i tempi di attesa si allungano e il lavoro diventa insostenibile. E non è proprio il momento. Più saggiamente, un'altra fetta di «impanicati da Astrazeneca» telefona al medico di base e chiede consiglio su cosa fare.

Astrazeneca, il Codacons: cittadini traumatizzati. Da noi 250 segnalazioni di reazioni di ogni tipo. Prisca Righetti mercoledì 17 Marzo 2021 su Il Secolo D'Italia. Astrazeneca, il Codacons sottolinea l’allarme: i cittadini sono traumatizzati. All’indirizzo dell’associazione di utenti e consumatori, sono già arrivate 250 segnalazioni di reazioni avverse di ogni tipo. Anche gravi. Dunque, il Codacons ufficializza il panico che attanaglia gli italiani sul vaccino Astrazeneca e lo stop sopraggiunto. E ne ufficializza dimensioni e motivazioni con l’allarme rendendo note le segnalazioni arrivate all’associazione che riportano reazioni avverse di ogni tipo. Insomma, i cittadini già sottoposti alla vaccinazione col siero anti-Covid appena sospeso, o comunque in procinto di farla, sono spaventati. Molto spaventati. Uno «stress indicibile, che incide sulla vita quotidiana e che fa registrare l’esistenza di un enorme trauma nella popolazione italiana. Ci è arrivata una valanga di segnalazioni – fa sapere il Codacons – in cui sono riportati sintomi anche molto gravi. Ad oggi ne abbiamo ricevuto circa 250 in tutta Italia». Un report inquietante, quello  che il Codacons riferisce all’Adnkronos, dopo aver lanciato qualche giorno fa una class action per i casi di danni derivanti dalla vaccinazione anti Covid in seguito al blocco del vaccino AstraZeneca. E che sul proprio sito ha pubblicato una pagina dove gli utenti possono segnalare le reazioni e aderire alle iniziative legali allo studio dell’associazione. «In pochi giorni siamo i cittadini ci hanno sommerso di segnalazioni che denunciano reazioni avverse alla vaccinazione Astrazeneca – spiega all’Adnkronos il presidente del Codacons Carlo Rienzi –. Ciò che emerge in modo lampante è uno stato di preoccupazione e di paura molto diffuso». Una situazione di angoscia generalizzata «che sta provocando ansia e stress negli utenti che si sono sottoposti alla vaccinazione. Un danno morale incalcolabile, aggravato dalle notizie sullo stop al vaccino Astrazeneca e dall’assenza di informazioni rese ai cittadini vaccinati da parte delle autorità preposte». Una situazione allarmante, rispetto alla quale il Codacons rilancia: «Crediamo sia indispensabile eseguire analisi pre-vaccinali per scongiurare il rischio di trombosi o altre reazioni gravi», prosegue il numero uno dell’associazione. Che poi aggiunge: «Ma il costo per lo Stato sarebbe troppo elevato. E la campagna vaccinale subirebbe un forte rallentamento. Senza contare gli interessi economici in gioco, che come sempre hanno un ruolo centrale quando si parla di salute pubblica e multinazionali del farmaco. Elementi che rendono ipocrita l’attesa dell’Ema. Siamo sicuri – conclude quindi Rienzi – che alla fine si dirà che non c’è alcuna anomalia e la vaccinazione Astrazeneca può proseguire a ritmo spedito».

La malainformazione sui decessi "per vaccini", abbiamo perso tutti. È inaccettabile moralmente, culturalmente e scientificamente. Sono dati senza valore. Alessandro David, Medico Chirurgo, su Il Quotidiano del Sud il 16 marzo 2021. Molti anni fa mi iscrissi a Medicina, più di un quarto di secolo ormai, e mi trovai davanti una cosa come 54 o 56 esami, talmente tanti che non ricordo nemmeno più il numero esatto. Come tutti i giovani entusiasti non vedevo l’ora di studiare Chirurgia, Medicina Generale, affrontare la famigerata prima autopsia e visitare finalmente il primo paziente. Non riuscivo a capire e rassegnarmi al fatto che, chi aveva progettato il piano di studi, avesse inserito esami come Statistica Medica o Epidemiologia e Igiene. Passavo il tempo studiandole pensando a come era inutile imparare nozioni che a nulla servivano per fare diagnosi e prescrivere farmaci. Poi, poco alla volta, durante questi corsi si sono delineate nozioni che iniziavano ad avere un senso sempre più concreto nella pratica medica quotidiana. Ad esempio ho iniziato a capire che quello che mi sembrava un fatto, in realtà, era una suggestione. Da giovane medico osservavo eventi apparentemente connessi tra loro ma che, in realtà, non avevano una reale correlazione causa-effetto. Erano solo avvenuti casualmente, o in modo non statisticamente significativo, in successione. L’aver iniziato a intuire questo primo fatto ha poi condizionato successivamente tutta la mia pratica clinica e chirurgica alla luce del “non basta quello che sembra a me, ma devo avere una evidenza scientifica”. Cosa vuol dire avere una evidenza scientifica? Significa procedere col metodo scientifico: osservare cioè una serie di eventi positivi in numero sufficiente da essere confrontati con un altro numero sufficiente di eventi negativi o neutri e trarne una considerazione statisticamente significativa. Vuol dire applicare il metodo scientifico alla ricerca medica creando studi strutturati con ampi campioni così da trarre considerazioni ragionevoli sui dati osservati. Se lancio un dado una sola volta e esce il 6, non posso concludere che lanciando un dado ho il 100% delle probabilità di avere il 6. Basterà lanciare il dado 1000 volte per capire che la probabilità di avere il 6 è di 1/6. E più lanci faccio più il valore si avvicina a 1/6. Ecco perché la Statistica e l’Epidemiologia servono in Medicina. Perché ogni medico sa che: se somministro ogni giorno centinaia di migliaia di dosi di un farmaco ai pazienti e ottengo 3-4 morti, ho il dovere morale di essere affranto per l’avvento avverso osservato, il dovere scientifico di cercarne la causa e prevenirlo per quanto possibile, e il dovere sociale di considerare il farmaco sicuro. Quello che sta succedendo con l’informazione sui vaccini è preoccupante. Persone che nulla sanno di Medicina, di Ricerca Medica, di Epidemiologia e Statistica, stanno pubblicando notizie di persone morte dopo la somministrazione di un vaccino di una marca particolare. È inaccettabile moralmente, culturalmente e scientificamente. Sono dati senza valore perché mancano di una evidenza correlativa tra causa e effetto e perché non hanno un significato statistico ragionevole. Nel dettaglio: ad oggi le dosi usate di quel vaccino sono circa 200.500 e le supposte morti riferite legate al suo uso sono 5. Il che corrisponde allo 0.0025%. Un dato che, sinceramente, renderebbe illegale la vendita di qualsiasi crostaceo o della frutta secca, alimenti che hanno frequenza di eventi avversi ben più alta. Questo poi varrebbe se ci fosse almeno evidenza certa del nesso di causalità, ma non è nemmeno così. Allora credo che il problema sia ancora più serio perché chi si occupa di comunicazione dovrebbe farlo con coscienza e rispetto per se stesso. Se oggi i miei genitori hanno paura di vaccinarsi non posso biasimarli, sono terrorizzati da chi scrive senza sapere di cosa parla, da chi produce terrore solo per fare notizia, da chi per vendere un pezzo del giornale per qualche euro se ne frega delle conseguenze sociali che può avere la sua leggerezza. Se oggi 4000 persone hanno rinunciato al vaccino perché spaventate non è colpa loro ma di chi svende la propria professionalità al peggior offerente. Il guaio è che i miei genitori, che poi farò vaccinare, e queste 4000 persone saranno in pericolo rischiando di contrarre una malattia che, ad oggi, non ha cura e che ha un tasso di eventi avversi decisamente superiore a quello dei vaccini. Mi spiace pertanto ammetterlo ma come medici e ricercatori abbiamo perso. Ha vinto l’informazione di terzo ordine, ha vinto la cultura della paura e dell’uno vale uno. Ha vinto chi non si fa scrupolo a mettere a repentaglio la vita delle persone e il futuro di un paese per semplice misero interesse personale ed egoismo. Mi spiace ma abbiamo perso noi, dopo 54 esami universitari e molti anni di specializzazione e master. Ha perso la scienza vera, quella di cui tracciò le basi Galileo. Ha perso la cultura della fiducia e della serietà. Ha perso la civiltà. Quindi se non volete vaccinarvi, vi capisco e non proverò a convincervi. Non fatelo. Io mi limiterò a vaccinare i miei cari. A tutti gli altri auguro buona fortuna.

Maurizio Belpietro per “La Verità” il 17 marzo 2021. Tanto per cambiare, la colpa è dei giornali e delle tv. Sì, se gli italiani sono spaventati a morte e rifiutano gli appuntamenti per vaccinarsi, la responsabilità è nostra, di noi signori dell' informazione, che diffondiamo notizie allarmistiche tramite le nostre testate. In una trasmissione di mezza serata mi è toccato ascoltare un presunto esperto che pontificava sull' esiguità del numero di decessi e spiegava che qualche effetto collaterale è da mettere nel conto con qualsiasi farmaco. «Se si legge il bugiardino di ogni medicinale», ha detto senza arrossire, «si scoprono un' infinità di controindicazioni». Dunque, è stata la logica conclusione, non c' è motivo di preoccuparsi. Ebbene, io penso che non solo la colpa di ciò che è successo, ossia dello stop al vaccino anti Covid di Astrazeneca, non sia della stampa e in generale dell' informazione, ma che anche di fronte a un solo morto sia doveroso indagare per scoprire se esista un nesso fra inoculazione del farmaco e il decesso, perché questo fa un Paese che abbia a cuore la salute dei propri cittadini. Alzare le spalle, per dire che statisticamente un defunto ogni milione di abitanti è irrilevante, non solo è un atteggiamento cinico, ma è pure stupido, perché non aiuta la causa di tranquillizzare le persone, inducendole a vaccinarsi. Lo dico da sostenitore della necessità di immunizzare la popolazione per uscire dall' incubo della pandemia: se vogliamo che le persone non abbiano timore di farsi iniettare un farmaco, bisogna capire la questione fino in fondo, non raccontare che qualche morto è da considerare una normale reazione. Infatti, appena si è cercato di approfondire che cosa avesse causato il decesso del professore di clarinetto a Novara, si è scoperto che non c' era alcun nesso con la vaccinazione. I medici avrebbero appurato che l' uomo non è deceduto a causa del vaccino a cui si era sottoposto il giorno prima, ma per un infarto. Il farmaco del gruppo anglo-svedese il cui utilizzo è stato sospeso dopo una serie di morti sospette, in pratica non c' entrerebbe nulla. Checché ne dicano gli esperti, i quali invece di studiare la malattia che ci impaurisce da un anno mi pare stiano sempre in tv, questo significa fare informazione. Si dà la notizia di un fatto che desta preoccupazione e poi si va alla radice del fenomeno, cercando di fornire al lettore o all' ascoltatore il maggior numero di notizie, senza pregiudizi, né a favore del vaccino né contro. Tanto sono convinto sostenitore della necessità di sottoporre il maggior numero di italiani al vaccino che, senza preclusioni ideologiche pro no vax, vi racconto anche un' altra storia, ovvero ciò che ha detto ieri il ministro Roberto Speranza. Intervistato dal Corriere della Sera, che gli chiedeva conto della decisione di sospendere l' uso del farmaco prodotto da Astrazeneca, l' uomo che si occupa della nostra salute ha dichiarato che la scelta di bloccare tutto è stata presa dopo che la Germania aveva fatto lo stesso. Una cosa analoga l' ha detta pure l' ex direttore generale dell' Aifa, ovvero dell' agenzia che in Italia controlla i farmaci. Secondo Luca Pani, invece di aspettare la decisione dell' Ema, cioè dell' organismo che ha valutato e autorizzato il vaccino Astrazeneca, ci saremmo piegati agli ordini della Germania. In un' intervista a Tpi, Pani spiega che la decisione è stata presa sull' onda dell' emotività, senza valutare i dati, ma soprattutto senza pensare bene alle conseguenze. In pratica, nessuno si sarebbe dato da fare per avere dalla Gran Bretagna, Paese che ha già vaccinato 26 milioni di inglesi con il farmaco anglo-svedese, le risultanze sugli effetti collaterali. Invece di chiedere a loro se ci fosse evidenza di decessi a causa dell' immunizzazione da Covid, ci siamo fidati di alcuni dati forniti da un istituto tedesco che non è il corrispettivo dell' Aifa, ma un ente di ricerca non ufficiale. Un collega che vive a Berlino mi spiega: è una questione eminentemente politica. In Germania sono nati i No vax e qui da sempre c' è diffidenza nei confronti dei vaccini. In un momento come quello attuale, con la Cdu in difficoltà e i verdi in ascesa, Angela Merkel dunque va con i piedi di piombo. Il senso è chiaro: per lei e per un partito in cerca di consensi, la cosa migliore era fermare il farmaco Astrazeneca. Anche perché, come ho spiegato ieri, i tedeschi possono sempre contare su 30 milioni di dosi di Pfizer-Biontech, che hanno comprato fuori dagli accordi europei. Insomma, per loro lo stop era la soluzione più facile, ma per noi? Noi non abbiamo le scorte di altri vaccini, perché grazie all' Europa e a Speranza abbiamo puntato soprattutto su Astrazeneca. Dunque, adesso che diciamo agli italiani dopo avergli detto che un po' di morti sono da mettere nel conto? Che i professori scherzavano e non era vero niente e si muore di trombosi anche senza vaccino? Riflessione semplice semplice: ma i danni li fanno i giornalisti o i presunti esperti, politici compresi?

La psicosi per i vaccini e la responsabilità della stampa. Lidia Marassi su Il Quotidiano del Sud il 15 marzo 2021. La corsa ai vaccini sembra essersi trasformata in un caso di psicosi collettiva,  dopo che alcuni paesi hanno deciso di sospendere in via temporanea la somministrazione delle dosi di AstraZeneca. Questa scelta è stata dettata dalle necessità di disporre di informazioni più precise circa gli effetti collaterali, dopo una serie di segnalazioni relative a formazione di coaguli di sangue riscontrati in alcune persone a cui era da poco stato somministrato il farmaco – una delle quali, in Danimarca, è deceduta per trombosi. Il lotto è stato pertanto ritirato in via precauzionale dal mercato, nonostante  al momento non sia stato provato un effettivo legame tra il vaccino e i coaguli di sangue. Anche qui in Italia è stata bloccata un’altra partita di vaccino AstraZeneca – identificata con la sigla ABV28569 – su tutto il territorio nazionale; alcune dosi di questo lotto erano già state utilizzate per la prima somministrazione, ma il panico generato dal susseguirsi incessante di notizie circa i casi sospetti ha finito per allarmare molti dei vaccinati, che adesso rifiutano di ricevere il richiamo. Nell’ultimo rapporto dell’Agenzia italiana del farmaco circa gli effetti delle vaccinazioni, si dice che da fine dicembre vi sono state 30.015 segnalazioni di reazioni avverse, che costituiscono lo  0,73% rispetto al totale delle dosi somministrate e questo indipendentemente dalla tipologia di vaccino (che si tratti dunque di Pfizer, AstraZeneca o Moderna). Gli eventi avversi segnalati sono perlopiù non gravi, come ad esempio febbre, mal di testa, dolori muscolari/articolari,  e insorgono prevalentemente lo stesso giorno della vaccinazione o il successivo. Negli ultimi giorni si stanno tuttavia moltiplicando le segnalazioni di effetti collaterali sospetti, probabilmente a seguito della fuga di notizie in merito ad AstraZeneca. Adesso, dopo una campagna vaccinale partita dopo numerose incertezze, la gente sembra nuovamente impaurita, legittimamente allarmata rispetto ad una vaccinazione che teme possa costituire un rischio per la propria salute. Su tutti i giornali si legge di  “caos da psicosi” e tutti gli sforzi fatti negli ultimi mesi per convincere i cittadini a mettere in sicurezza il Paese rischiano di essere pertanto parzialmente vanificati. Se il caso in questione costituisce una situazione quantomeno probabile, rispetto ad una tanto inedita ed estesa campagna vaccinale, il motivo per il quale tanto allarmismo si sta diffondendo tanto rapidamente è probabilmente imputabile soprattutto alla stampa italiana. Nonostante questa abbia il ruolo – in un certo senso – morale, oltre che professionale, di riportare tutte le notizie, quindi anche quelle parziali, per trasparenza d’informazione, è tuttavia impossibile assolvere i giornalisti dall’accusa di aver diffuso maliziosamente il panico nelle ultime settimane. Se ultimamente i giornali sembrano essere più interessati a diffondere  le notizie in fretta più che a verificarle, l’impatto maggiormente critico sembra essere quello generato dal fenomeno del clickbait. Con questo termine si intende un pezzo del contenuto di una notizia, che intenzionalmente tergiversa o esagera la percezione di un titolo per attirare gli utenti verso il sito che la pubblica. È un fatto noto nell’ambito della comunicazione che un titolo abbia il ruolo principale nel coinvolgimento emotivo del lettore, così come è cosa nota che la maggior parte delle persone, soprattutto online, non vada oltre nella lettura dell’articolo. Che questo comportamento sia giusto o errato non è tuttavia passibile di giudizio da parte del giornalista, non essendo l’atteggiamento del fruitore a dover cambiare, quanto piuttosto quello della stampa. Il giornalismo non dovrebbe essere un mero mezzo di diffusione passiva, esistendo piuttosto una responsabilità dei media la cui scelta linguistica e di informazione contribuisce alla percezione della notizia, che viene veicolata in un modo piuttosto che in un altro. La maggior parte delle testate online presenta da mesi ai lettori il conteggio spasmodico dei nuovi ammalati, il numero dei decessi, con titoli allarmanti spesso in maiuscolo. Gli avvenimenti vengono seguiti senza sosta, ma in modo approssimativo. Le notizie negative, che era giusto che fossero diffuse, sono state enfatizzate durante la pandemia fino allo stremo. Che i giornali, in un periodo tanto delicato della storia del nostro Paese, abbiano preferito sfruttare il momento per aumentare le visualizzazioni, piuttosto che scegliere una buona e corretta informazione, è particolarmente grave e, soprattutto, rischia adesso di essere d’ostacolo per una campagna vaccinale tanto fondamentale quanto delicata. Alla diffusione del virus, si affianca così un altro fenomeno “pandemico”, quello di una angoscia esacerbata al massimo e veicolata da media purtroppo irresponsabili.

Federico Fubini per il "Corriere della Sera" il 17 marzo 2021. Il 29 gennaio scorso Emmanuel Macron si lascia sfuggire una delle affermazioni potenzialmente più impegnative della sua intera carriera politica. Esistono «poche informazioni» sul vaccino del gruppo britannico AstraZeneca, dice il presidente francese. E aggiunge: «Pensiamo che per le persone di più di 65 anni sia quasi inefficace». Era una dichiarazione pericolosa, perché rischiava di indurre un gran numero di persone a rinunciare alle somministrazioni. È plausibile che Macron stesso avesse ricevuto informazioni fuorvianti, tanto che in seguito si è corretto. AstraZeneca era ampiamente sperimentato sugli anziani: nello studio presentato per l'approvazione ai regolatori in Europa erano stati inseriti 2.100 ultrasessantenni. Del resto un secondo studio indipendente delle Università di Edimburgo e di Wellington, già allora consultabile, dimostrava un'efficacia del 94% per tutte le fascie d'età. Ma è difficile capire errori come quello di Macron senza il loro contesto. Sul piano politico, tutto si svolge mentre l'Unione europea e Londra stanno facendo i conti con l'impatto della Brexit; tutto accade quando l'America di Joe Biden avvia un riavvicinamento all' Europa continentale, dopo gli anni del sostegno di Donald Trump alla secessione euroscettica di Boris Johnson. Trump era arrivato persino a finanziare il progetto sui vaccini di AstraZeneca, voluto dal premier britannico, con 1,2 miliardi di dollari. Sul piano del business poi il contesto presenta sviluppi anche più concreti: Covid-19 sta diventando forse il più grande affare di sempre per l'industria del farmaco. Solo nel 2021 si venderanno nel mondo almeno dieci miliardi di dosi di vaccini, che porteranno ai gruppi di Big Pharma tra 120 e 150 miliardi di dollari di ricavi in più. Impossibile prevedere oggi esattamente quanto, perché molto dipende da quale fra due grandi case conquisterà le quote più ricche del mercato: il vaccino di AstraZeneca, sviluppato all' Università di Oxford e alla Irbm di Pomezia, è un prodotto tradizionale in vendita a 2,80 euro a dose; quello dell' americana Pfizer, sviluppato con la tedesca BioNTech, è una tecnologia avanzata e ha un prezzo medio di circa 16 euro (19,5 dollari). La casa prima è impegnata a fornire nel 2021 tre miliardi di fiale, la seconda sta cercando di crescere oltre il limite di 1,2 miliardi previsto per ora. Chiunque vinca, la sfida per il mercato europeo fra i due gruppi è la cornice entro la quale le autorità di Parigi, di Roma e della Germania continuano a seminare dubbi sul vaccino inglese. Quel 29 gennaio Macron parlava nelle ore in cui l'agenzia europea del farmaco (Ema) approvava in pieno il vaccino di Oxford e Pomezia per tutti gli adulti. Il presidente francese parlava - anche - a due giorni dall' annuncio dell'americana Pfizer di una licenza concessa alla francese Sanofi per produrre di cento milioni di dosi. Lo stesso governo di Parigi aveva dato sostegno all' accordo con Pfizer e probabilmente anche parte dei 160 milioni di euro stanziati per i vaccini in Francia. Macron non sarebbe rimasto solo a diffondere sospetti su AstraZeneca. Il 30 gennaio il ministro della Salute tedesco Jens Spahn parla di «limiti di età» per il vaccino britannico, finanziato dal governo di Londra con circa 200 milioni di euro. In quella fase, Berlino lo approva solo per chi ha meno di 65 anni. Poco dopo l'agenzia italiana del farmaco avrebbe persino fissato il limite a 55 anni (per poi ricredersi e accettare la raccomandazione dell' Ema). Non sapremo mai se in qualche politico europeo si faccia sentire la tentazione di punire AstraZeneca per i ritardi nelle consegne - Londra sta bloccando l' export delle sue dosi - o quella di sminuire un successo del governo della Brexit. Johnson era stato rapidissimo un anno fa nel finanziare il progetto di Oxford e Pomezia e a maggio aveva già ordinato 100 milioni di dosi. Ursula von der Leyen, la presidente della Commissione Ue, ha telefonato a AstraZeneca solo in agosto. Di certo la Germania deve gestire un oggettivo conflitto d'interessi: ha finanziato con quasi 400 milioni di euro di denaro pubblico la tedesca BioNTech, alleata di Pfizer. L' Italia stessa sta cercando di conquistare una licenza di Pfizer per produrre vaccini -- al più presto, alla fine dell' anno - probabilmente presso la Thermo Fischer Scientific di Ferentino (Frosinone). E anche l' atteggiamento della Casa Bianca è cambiato. Con decisioni prese negli ultimi mesi di Trump, negli Stati Uniti sono stati prodotti 60 milioni di dosi di AstraZeneca. Ora però restano ferme da mesi in attesa di autorizzazione dei regolatori americani; di solito nelle emergenze il processo è rapido anche per i prodotti di case estere, invece al gruppo inglese è stato chiesto di ricostruire da zero un campione di 20 mila persone in Sudafrica, in Brasile e negli Stati Uniti. AstraZeneca può aspettare. E con loro milioni di italiani e di europei,rimasti ancora senza vaccino.

Paolo Valentino per il "Corriere della Sera" il 17 marzo 2021. Sono stati sette casi di trombosi cerebrale, di cui tre mortali, su 1,6 milioni di dosi del vaccino di AstraZeneca somministrate in Germania, a motivare la decisione del governo tedesco di bloccare l'uso del preparato della casa anglo-svedese su tutto il territorio federale. A spiegarlo è Klaus Cichutek, presidente del Paul-Ehrlich-Institut, l'equivalente dell'Aifa in Germania, che tuttavia cerca di tranquillizzare tutti coloro che hanno già ricevuto la prima dose del vaccino, definendolo «sicuro ed efficace»: «Non dovete preoccuparvi, non siete a rischio. E comunque chi si è vaccinato da più di 16 giorni non ha nulla da temere», ha detto, precisando che reazioni ai vaccini sono normali e solo nel caso di forti mal di testa nei primi giorni dopo la somministrazione bisogna rivolgersi a un medico. «Il nostro dovere - ha spiegato Cichutek - è di verificare anche i più piccoli segnali di rischio. Non è allarmismo, ma precauzione». Secondo il capo del Pei, biochimico di formazione, le complicazioni sono state registrate su sei donne di età compresa tra 20 e 50 anni, due delle quali sono decedute. La terza vittima è stato un uomo, morto per emorragia cerebrale con trombosi. «Questo ci ha spinti a consigliare al governo la sospensione delle somministrazioni, fino a quando non avremo analizzato più precisamente questi segnali. Il nostro giudizio è ancora sospeso». Secondo Cichutek, tuttavia, «per quanto ne sappiamo, questi casi non si registrano con analoga frequenza in alcuno degli altri Paesi dell'Unione europea». Quanto alle conseguenze del blocco di AstraZeneca sulla campagna vaccinale in Germania, che già procede a rilento, Cichutek ha detto che «se dura un po' di più non è un problema». Il presidente del Paul-Ehrlich-Institut ha però messo in chiaro che se dovesse essere provato un legame tra il vaccino AstraZeneca e le trombosi, allora «bisognerebbe o prendere misure per limitare il rischio, ovvero rivedere il rapporto tra usi e rischi di tutti i vaccini». La decisione del governo di sospendere il vaccino anglo-svedese si scontra con forti critiche anche dall'interno della maggioranza. Sotto attacco è il ministro della Salute, Jens Spahn, accusato di muoversi in modo improvvisato e senza un vero piano: «Un errore», l'ha definita il deputato Karl Lauterbach, epidemiologo di fama e portavoce della Spd per la Sanità, secondo il quale non ci sono dati sufficienti che giustifichino la misura. «Sarebbe stato meglio prima fare le verifiche vista la rarità delle complicazioni. Nel momento in cui la terza ondata della pandemia cresce, una prima dose di questo vaccino salverebbe molte vite umane». Ma le critiche cominciano a lambire anche Angela Merkel, che intanto ha deciso di cancellare la conferenza tra governo e premier regionali, prevista per oggi e nella quale si doveva decidere il lancio della campagna di vaccinazione anche negli studi medici. Alla cancelliera viene rimproverato di «essersi nascosta» mandando avanti Spahn, nell'annuncio di una decisione così grave e delicata come la sospensione del vaccino di AstraZeneca.

Estratto dalla Dagonews il 17 marzo 2021. I medici, i virologi e gli esperti variamente intervistati che assicurano la bontà e sicurezza del vaccino AstraZeneca, se vaccinati, non sono stati vaccinati con AstraZeneca ma con Pfizer-Biontech. Dunque, sarebbe un buon esempio che i primi a vaccinarsi con AstraZeneca fossero proprio il ministro Speranza, i medici dell’Ema, i loro familiari ecc ecc… se non ancora vaccinati (ce ne sono?).

Dagospia il 17 marzo 2021. Da “Un giorno da Pecora - Radio1”. Il vaccino Astrazeneca? “Sarebbe importantissimo se le autorità, come il ministro Roberto Speranza, il premier Draghi o il presidente dell'AIFA si vaccinassero con Astrazeneca, sarebbe un gesto convincente per la popolazione”. Lo dice a Rai Radio1, ospite di Un Giorno da Pecora, Silvio Garattini, direttore dell'Istituto Farmacologico Mario Negri di Milano. Esiste la possibilità che aumenti esponenzialmente il numero dei vaccini disponibili? “Ad aprile abbiamo lanciato un appello per far produrre in Italia i vaccini. E' stato assurdo pensare di poter aver tutti i vaccini dall'esterno, se avessimo cominciato quando sono partiti gli altri alla fine dell'anno avremo avuto pronte le nostre strutture”, ha aggiunto Garattini a Radio1. Troveremo mai un farmaco che possa curare il Covid? “Non dobbiamo pensare solo alla prevenzione ma anche a curare chi si ammala. Fortunatamente ci sono tante ricerche e tanti studi in corso, con alcuni che sembrano esser a buon punto: anticorpi monoclonali, farmaci antivirali”. In quanto tempo potrebbe esser pronti? “Credo sia questione di mesi - ha concluso Garattini a Un Giorno da Pecora - penso che dovremmo avere qualche buona notizia prima dell'estate”.

Francesco Malfetano per ilmessaggero.it il 17 marzo 2021. Professor Cognetti, lei da presidente di FOCE (Federazione degli Oncologi, Cardiologi e Ematologi) e soprattutto da direttore del reparto Oncologia Medica del Regina Elena' di Roma, cosa pensa della sospensione del vaccino AstraZeneca?

«Io ritengo che lo stop ad AstraZeneca doveva e poteva essere evitato. E le spiego perché».

Mi dica.

«In primo luogo bisognava evitarlo perché stiamo parlando di una guerra contro un nemico che in Italia sta mietendo, stando ai dati di oggi (ieri ndr) fino a 500 morti al giorno. Una situazione gravissima, e noi rischiamo di neutralizzare la sola arma a disposizione: il vaccino. Ma soprattutto la sospensione poteva essere evitata, e non sto parlando di politica ma di evidenze scientifiche. Oggi c'è una massa enorme di pazienti trattati con questo vaccino che già ci fornisce le risposte cercate. Parliamo di almeno 12 milioni di pazienti vaccinati in Inghilterra, un Paese che ha grande dimestichezza con i big data. E in tutti questi non c'é evidenza che ci potesse essere una correlazione tra gli eventi che si sono verificati e il vaccino AstraZeneca».

Sono stati commessi degli errori quindi?

«È evidente, soprattutto a livello comunicativo, c'è stata una scissione tra le evidenze scientifiche e l'umore del momento. La nostra Agenzia del farmaco ha fatto errori di comunicazione madornali, non si possono gestire così le cose. L'Aifa un paio di mesi fa ha validato il vaccino di AstraZeneca per la somministrazione fino a 55 anni. Dopo 2 giorni ha esteso la validità fino ai 65. Cosa è potuto mai accadere sul piano scientifico in 48 ore che non era già evidente? Come se non bastasse, la settimana dopo c'è stata un'ulteriore estensione a tutte le età».

Lei vede un modus operandi ricorrente tra questi episodi e la sospensione del vaccino?

«Me lo dica lei. Il giorno prima dello stop i vertici dell'Aifa hanno affermato individualmente e in comunicato che non c'era correlazione tra le inoculazioni e i casi sospetti. Ma poi ha deciso per la sospensione del vaccino. Io non capisco, c'è una questione di credibilità. E tutto ciò crea un clima di paura».

Parla dell'impatto sulla fiducia degli italiani nei vaccini?

«La gente davanti a posizioni contraddittorie si spaventa. I miei pazienti sono confusi. Le dico che noi al Regina Elena, come in tutto il Lazio, abbiamo cominciato lunedì primo marzo con le vaccinazioni ai pazienti oncologici. I primi giorni c'era entusiasmo, per quella che tutti vedevano come una soluzione, rifiuti erano fisiologici, attorno al 7%. Perché questi pazienti hanno percentuali di mortalità elevate se dovessero contrarre il virus. Dal momento in cui si è iniziato a gestire la situazione così i rifiuti sono arrivati al 20% circa nonostante noi erogassimo un vaccino diverso da AstraZeneca. Per questo temo che si possa danneggiare in modo serio la campagna vaccinale».

E come si fa ora?

«Bisogna cambiare strategia comunicativa e farlo presto. Perché dopo che l'Aifa ha detto che il vaccino andava ritirato, tra due giorni, dopo la valutazione dell'Ema, di nuovo dirà che va tutto bene. E sarà così, perché ce lo dicono i dati e lo hanno dimostrato anche le prime autopsie sui casi sospetti. L'Agenzia cambierà opinione. La gente cosa deve pensare?»

Mi pare di capire che per lei i vertici di Aifa dovrebbero dimettersi. È così?

«Non è di mia competenza chiedere a qualcuno di dimettersi, io faccio il medico. Anche altri paesi hanno deciso di sospendere il vaccino, ma fino a quel momento nessuno si era espresso. Hanno prima valutato e poi preso una posizione. Invece Aifa è stata contraddittoria».

Per cui? Come si risolve?

«Il problema vero è che questi professionisti non stanno a contatto con gli ammalati e con la gente, per cui non hanno la dimensione di quello che può passare nella testa di un paziente a cui si danno informazioni discordanti. Bisogna che parlino i professionisti, i medici, chi ha esperienza sul campo e conosce la delicatezza di questi meccanismi».

I social avrebbero fermato anche gli antibiotici? Una storia vera. Riccardo Luna (palazzotto) su La Repubblica il 16 marzo 2021. Sono confuso: quello che sta accadendo sui vaccini, la sospensione europea di AstraZeneca, è la vittoria dei social che hanno imposto lo stop alla politica per salvarci da un vaccino pericoloso? O è il trionfo della irrazionalità e delle nostre ataviche paure e quindi la sconfitta della scienza? Ieri sera mentre regnava il caos, il professor Roberto Burioni ha postato un tweet che era una pista da seguire: “Ricordatevi di una cosa” ha scritto, “il primo paziente sul quale si è utilizzata la penicillina - Albert Alexander, un poliziotto con una grave infezione cutanea -  è morto. Per fortuna era il 1941”. Perché “per fortuna”? Vuol dire che se ci fossero stati i social - e più in generale il sistema mediatico in cui siamo immersi con i suoi titoli spesso sgangherati, capziosi e acchiappa clic-, l’umanità avrebbe sospeso anche il primo antibiotico della storia? “Chissà” mi ha risposto il professore, mentre andavo a ricercare dettagli su quella vicenda che come AstraZeneca ci riporta ad Oxford, in Inghilterra, quasi un secolo fa. Nel 1928, al St. Mary Hospital Medical School, Alexander Fleming aveva scoperto il potere di una misteriosa sostanza nel fermare i batteri e l’aveva chiamata penicillina. Era una scoperta fondamentale, ma ci vollero più di dieci anni e il lavoro di altri tre scienziati per ottenere della penicillina pura da sperimentare come farmaco. Il primo test, nel maggio del 1940, su quattro topi, fu un successo. Per passare al test sugli umani servivano però dosi tremila volte maggiori e la Dunn School divenne una fabbrica di penicillina. Il 12 febbraio 1941 fu il momento del primo paziente, Albert Alexander, 43 anni, un poliziotto: secondo alcuni si era ferito e infettato con le rose del suo giardino, secondo altri in una esplosione durante un'operazione di polizia. Comunque aveva una brutta ferita infetta: per quattro giorni venne trattato con la penicillina, arrivando persino ad estrarla dalle sue urine per evitare che finisse; inizialmente sembrava che le cose andassero meglio, ma morì qualche giorno dopo, il 15 marzo. I giornali però non titolarono a caratteri cubitali: “Prende la penicillina e muore”. Non perché fossero migliori dei nostri ma forse perché c’era la guerra e il nazismo occupava le prime pagine. E poi non c’erano i social, insomma non si scatenò nessun allarme: ci furono altri pazienti e alla fine della seconda guerra mondiale la penicillina salvò la vita a migliaia di soldati feriti. Non so come stiano le cose con AstraZeneca, ma so che viviamo in un sistema mediatico in cui la rabbia e le paure diventano subito trending topic azzerando qualunque contributo razionale, qualunque tentativo di ragionare sui fatti. Il Medio Evo deve essere cominciato così. 

Matteo Sacchi per “il Giornale” il 17 marzo 2021. Ogni nuovo vaccino presenta dei rischi e richiede dei controlli. Esattamente quello che ora sta accadendo per il vaccino prodotto da AstraZeneca e su questo devono parlare gli esperti, dati ed esami alla mano. Nella storia delle vaccinazioni però una costante c'è. Rispetto ai vaccini si sono sempre susseguite ondate di sospetti e di paure. Qualche esempio? Partiamo ab origine. La nascita del vaccino è legata alla tremenda esperienza del vaiolo: nell'Europa del XVIII secolo uccideva quasi 400 mila persone ogni anno. Moriva tra il 20 e il 60% degli adulti infettati e l'80% dei bambini. I turchi avevano inventato un sistema di cura, la «variolizzazione», che consisteva nell'inoculare nei sani il materiale prelevato dalle pustole delle persone quasi guarite. Contenevano materiale virale inattivato e consentivano lo sviluppo dell'immunità. Non era una panacea, ma la mortalità scendeva al 2% tra gli inoculati. Durante l'epidemia di vaiolo di Boston del 1721 il pastore protestante e medico Cotton Mather e un altro medico, Zabdiel Boylston, si misero a praticare l'inoculazione. Per i loro pazienti fu una benedizione. Ma in città iniziò subito un movimento di protesta che accusò i due di violare le leggi umane e divine. Venne tirato in ballo il Vangelo di Matteo: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati», anche l'argomento che la «variolizzazione» non ci fosse nella Bibbia venne usato. Senza contare che se il vaiolo era una punizione divina pareva brutto intromettersi. Non parve però brutto buttare una bomba in casa Mather, anche se nella Bibbia si dice di non uccidere e gli esplosivi non compaiano nelle Sacre scritture. Certo i rischi della «variolizzazione» erano alti, nonostante i benefici. Quando nel 1798 Jenner rese pubblico che il vaiolo vaccino (da cui il termine vaccinazione) poteva essere inoculato con maggiore sicurezza ci si potrebbero immaginare un immediato successo e lo scroscio degli applausi. Non andò così. L'Inghilterra in una sola decade passò da 18 mila casi di vaiolo all'anno a 200. Ma nel 1802 circolavano vignette su Jenner che trasformava in mucche le persone inoculandole... Quando, poi, nel 1853 la vaccinazione venne resa obbligatoria ci furono rivolte a Ipswich, Henley, Mitford. Nacquero le Anti-Compulsory Vaccination League che diedero dura battaglia legale. Con il bel risultato di causare una nuova epidemia di vaiolo tra chi aveva rifiutato di vaccinarsi nel 1871: 20 mila morti. Per carità non tutte le critiche erano folli, Edgar M. Crookshank, un luminare della batteriologia, poneva interessanti questioni di metodologia igienica su come somministrare il vaccino. Ne venne fuori una commissione parlamentare che lavorò dal 1889 al 1896, per dire che il vaccino era sicuro. I secoli cambiano ma i tempi delle commissioni parlamentari sono sempre gli stessi. Beh, direte voi però oggi è ben più difficile che ci si lasci prendere dal panico. Tra il luglio 1996 e il febbraio 1997, al Royal Free Hospital di Londra venne effettuato dal dottor (ora ex dottore) Andrew Wakefield un piccolo studio su 12 bambini e il vaccino trivalente (morbillo, parotite, rosolia). Orrore, in ben 8 di loro scrisse di aver registrato segni dello spettro autistico e sintomi di infiammazione intestinale. La questione finì in un articolo pubblicato dall'autorevole rivista Lancet. Fece il giro del mondo in un attimo e sul vaccino trivalente fioccarono accuse tremende, cavalcate da Wakefield. La comunità scientifica fece quello che fanno gli scienziati, si mise a esaminare con calma l'allarme anche se veniva da un campione così piccolo. Alla fine fu un giornalista del Sunday Times, Brian Deer, a scoprire che lo studio presentava una metodologia truffaldina e che, stranamente, Wakefield aveva lui stesso depositato un brevetto per un vaccino sul morbillo concorrente del trivalente. Ovviamente il medico è stato radiato e dal 1998 al 2014 sono stati pubblicati 107 lavori scientifici di livello che dimostrano che la trivalente è sicura. Ma le false notizie sono bastate a far saltare l'eradicazione del morbillo (e quindi della meningite che ne può derivare). Esattamente come non si spegne mai la polemica sul vaccino antipolio Sabin che viene utilizzato molto in Africa, perché è dato per via orale. Ha quasi eradicato la poliomielite dal continente, ma è stato accusato di aver favorito la nascita dell'Hiv e di indurre sterilità. Ogni volta che si va al riscontro la risposta è la stessa: è sicuro. Ma tanto basta a creare sacche di popolazione che lo rifiuta, è successo in Nigeria. Allora i vaccini vanno controllati e monitorati, non fa una piega. Ma a come lo si racconta bisogna stare ben attenti. E ricordarsi i milioni di vite salvati usandoli, anche con coraggio (e modificandoli se serve).

Vaccino, Pietro Senaldi: non vogliono la puntura? Peggio per loro. Pietro Senaldi su Libero Quotidiano il 14 marzo 2021. Allarme vaccini. L’indice del terrore cresce a un ritmo cento volte superiore rispetto a quello del contagio. Da quando si è saputo che due militari sono morti dopo essere stati vaccinati con Astrazeneca il virus della stupidità sta dilagando. Ieri in Italia abbiamo avuto più persone che hanno stracciato il biglietto vincente della lotteria e non si sono presentate all’appuntamento con la profilassi di quanti non siano stati i nuovi positivi. In Toscana le defezioni sono state il 12%, in Lombardia il 10%,in Sicilia, terra dove sono state inoculatele fiale sospette, in due giorni si sono ritirate diecimila persone. Prima, meno del 2% degli aventi diritto rinunciava, ora quel numero è più che quintuplicato. Il ministro Speranza si allarma e chiude il Paese se la quantità degli infetti sui tamponati passa dal 6,2 al 6,9% ma non proferisce verbo se il numero di quanti rifiutano la profilassi aumenta del 500%. Come ha scritto ieri Renato Farina, la variante siciliana del morbo, quella che prende il cervello anziché i polmoni, rischia di mandare il Paese fuori controllo più di quella inglese. La storia insegna che l'Italia, a differenza di altri Paesi, soprattutto quelli dell'Estremo Oriente, è incapace di convivere con il virus. Le chiusure selvagge in vigore da domani infatti potranno al massimo contenere l'epidemia, ridurne la diffusione, ma non batterla. Essa, se nel frattempo non avremmo fatto un numero di iniezioni adeguato, rialzerà la cresta alle prime riaperture e si andrà avanti in un giro infinito come un criceto nella ruota, fatta salva solo l'oasi dell'estate piena. Nel mondo centinaia di milioni di persone sono state attualmente vaccinate con Astrazeneca e non c'è una sola morte collegata scientificamente a questo genere di profilassi. In Inghilterra sono state immunizzate dieci milioni di persone senza un decesso e con lo 0,002% di complicazioni che hanno reso necessario un ricovero. Non serve un genio della statistica per comprendere che, giacché la letalità del Covid è stimata intorno allo 0,4%, è molto più pericoloso sfuggire alla somministrazione piuttosto che sottoporvisi. Chi rifiuta l'iniezione accampa la paura di una trombosi come effetto collaterale ma in nessuna parte del mondo si sono registrati decessi in aumento per questa causa tra i vaccinati rispetto alla media. Eppure molti italiani rifiutano Astrazeneca. Verrebbe la tentazione di dire «peggio per loro» e di chiuderla lì ma purtroppo non sarebbe una soluzione, perché finché la gente si ammalerà e morirà, il governo ci terrà chiusi. E allora le istituzioni forse dovrebbero prendersi la responsabilità di difendere il vaccino inglese, magari offrendo il braccio pubblicamente alla profilassi, e difendere i medici indagati semplicemente per aver fatto il loro lavoro, cioè inoculare nelle braccia dei due militari morti le dosi che il governo ha comprato e ha fornito loro. Invece non succede, la politica delega alla vituperata stampa la difesa ufficiale della profilassi. C'è qualcosa in Italia, nell'atteggiamento di chi ci comanda e di molti cittadini, di inspiegabile, come se qualcuno si fosse affezionato al virus, un po' perché è un grande alibi per restare al potere senza governare, un po' perché agevola la trasformazione della nostra società in una mandria di assistiti senza iniziativa né mordente, che è poi l'obiettivo della nuova sinistra di conio giallorosso. Altri Paesi, come l'Islanda e la Danimarca, hanno bloccato la diffusione di Astrazeneca in via precauzionale, ma si tratta di nazioni dove il virus sta battendo in ritirata da tempo. Noi non l'abbiamo fermata, ma non abbiamo spiegato né tranquillizzato e abbiamo lasciato aperti i boccaporti all'ondata montante di panico, prevedibile in una nazione in cui terrorizzare la cittadinanza è diventata una tecnica di comando. L'ultima psicosi è la febbre post-iniezione: è diventato un caso nazionale che la siringa produca in taluni casi come effetto collaterale febbre e nausea. Forse bisognerebbe ricordare agli italiani che il vaccino Astrazeneca è estratto dal virus e non è acqua minerale; è statistico che possa dare reazioni sgradevoli ma al momento non c'è alcuna prova che uccida; anzi, una casistica che si basa su centinaia di milioni di persone dimostra che salva la vita.

Quando i governi seguono i No vax, muoiono le persone e la politica. Il ritiro “precauzionale” del vaccino AstraZeneca è un segnale inquietante, certifica che anche l’esecutivo dei “competenti” guidato da Mario Draghi si è piegato alla logica della paura piuttosto che difendere le evidenze della ragione scientifica. Daniele Zaccaria su Il Dubbio il 16 marzo 2021. Il ritiro “precauzionale” dei lotti di vaccino AstraZeneca da parte del governo italiano è un segnale inquietante, nella sostanza come nella forma. Da un lato questa scelta sciagurata contribuirà ad aumentare il numero di persone che perderanno la vita a causa del Covid-19, dall’altro certifica la totale permeabilità dei governi alle pulsioni irrazionali della strada, o, come si dice oggi, della rete. E questo ormai vale per tutti, non solo per i cosiddetti populisti: anche l’esecutivo dei “competenti” guidato da Mario Draghi – falange di esperti bocconiani, ciellini, liberal in ordine sparso e vecchie volpi della politica – si è piegato alla logica inversa della paura piuttosto che difendere le evidenze della ragione scientifica. Persino il governo della Cancelliera Merkel ha messo al bando AstraZeneca per venire incontro agli umori e ai timori del popolo. E con la Germania anche la razionalissima Danimarca ha scelto la strada del ritiro. Pensavamo che la pandemia di coronavirus avesse almeno relegato nel libro dei ricordi le intemerate dei no-vax, nella nostra mente li avevamo derubricati a minoranza chiassosa e pittoresca: abbiamo arricciato il naso di fronte al complottismo puerile anti-establishment, abbiamo irriso le loro fake news, il loro fervore antiscientifico, smontato pezzo per pezzo le loro leggende metropolitane a volte alimentate da medici che hanno smarrito il senno come il premio Nobel Luc Montagner o chiaramente in malafede come quel mascalzone di Andrew Warkfield e il suo studio farlocco su vaccini e autismo. La variante “no musk” spuntata all’inizio della pandemia doveva poi rappresentare la mesta coda di quel movimento ormai scivolato nel puro folklore. Ci eravamo sbagliati. I no vax non hanno più bisogno di scendere in piazza con gli scolapasta in testa e gridare al complotto perché il loro messaggio è già passato in cavalleria. E condiziona scelte di importanza cruciale come quelle che servono a fronteggiare il virus che da oltre un anno ha cambiato la vita nel pianeta. Il primo effetto tangibile ricade sul la comunicazione ufficiale delle autorità politiche e sanitarie: confusa, contraddittoria, incoerente. Come nel caso dell’Aifa che in accordo con Palazzo Chigi ha ritirato i lotti di vaccino da tutto il territorio nazionale affermando allo stesso tempo che sono «completamente sicuri» e che non c’è «nessuna evidenza» che causino gravi effetti collaterali. Si invoca in tal senso il principio di precauzione ma quest’ultimo non è una notte in cui tutte le vacche sono grigie, dovrebbe fondarsi su dati e statistiche affidabili e non su un vago sentimento di paura. Anche perché fin qui i dati e le statistiche dicono il contrario: il vaccino AstraZeneca innanzitutto è efficace, al 65% nei casi più lievi di Covid-19, oltre il 95% per quelli con sintomi più gravi. Anche per quel che riguarda i decessi post-vaccino i numeri dovrebbero rassicurarci invece di scatenare il batticuore collettivo. In Italia ogni giorno muoiono circa 1800 persone, circa un abitante su 35mila, una media tra le più basse del mondo: sempre ogni giorno 170mila persone ricevono una dose di vaccino e di queste circa tre perdono la vita per cause disparate. Nello specifico la correlazione tra la somministrazione del vaccino e i casi di trombosi non ha alcun fondamento: secondo i dati ufficiali al 10 marzo si è avuto segnalazione di una trentina di eventi tromboembolici su quasi cinque milioni di persone vaccinate. La Gran Bretagna che ha già vaccinato con AstraZenaca quasi 15 milioni di persone oltre a non registrare casi sospetti di trombosi vede in questi giorni precipitare le percentuali di contagiati, ricoverati e deceduti. Noi invece rischiamo di pagare a caro prezzo questa interruzione allontanando nel tempo l’obiettivo dell’immunità di gregge. Non è facile far passare messaggi razionali, o semplicemente di buon senso, quando anche il circo mediatico si mette remare dalla parte della psicosi. Come ad esempio l’edizione siciliana di Repubblica, che ieri titolava: “Covid Sicilia, grave insegnante di Gela vaccinata il primo marzo: aperta un’inchiesta”. Poi ti vai a leggere l’articolo e scopri una realtà alternativa: la donna era stata vaccinata con AstraZenaca tre settimane fa (peraltro un lotto diverso da quelli ritenuti sospetti) e soprattutto che la causa del ricovero è stata un’emorragia cerebrale che non è minimamente accostata ai possibili effetti collaterali.

«È ora di prendere le armi»: viaggio nella violenta galassia no vax. Abbiamo indagato tra gruppi e pagine online dei negazionisti. Che gridano alla dittatura sanitaria, accusano Papa Francesco e si lanciano in impervie teorie del complotto. Da Facebook a Telegram ecco parole d'ordine e protagonisti che hanno un unico obiettivo: minare la credibilità della scienza. Maurizio Di Fazio su Il Dubbio il 17 marzo 2021. Riaffiorare in superficie dopo questo viaggio intensivo nei gruppi e nelle pagine social dei no vax in chiave Covid-19, ci lascia storditi. Per loro, Astrazeneca, Pfizer Biontech, Moderna, Johnson&Johnson e quelli che verranno sono dei veleni micidiali, pericolosissimi. Fabbricati ad hoc. E non fanno che stilare una mappa dei presunti caduti quotidiani sul fronte della vaccinazione: peccato sia quasi sempre una riproposizione degli stessi articoli, attinti da improbabili media alternativi o gonfiati per la bisogna. Vedono effetti collaterali avversi ovunque, non credono alla fola della “mancanza di correlazioni” dopo una somministrazione con problematicità di troppo. Anzi, assicurano, sarebbe in corso un esperimento eugenetico su scala planetaria, pilotato dai soliti noti che hanno beffato il benemerito Trump: Bill Gates (che chiamano “Kill Bill”), la “cricca di Davos”, il gruppo Bilderberg, l’Oms, Big Pharma, i Grandi Vecchi del 5G, i “deep state”, i governi tecnocratici eterodiretti dalle peggio multinazionali senz’anima e dalle sempreverdi élite demo-pluto-giudaico-massoniche (nonché clero-pedofile) che muovono, si sa, i nostri fili esistenziali residui. Quelli che «il virus non viene curato più a bella posta per tirare la volata agli affari miliardari dei vaccini, ci sono direttive precise dall’alto». Quelli che «la pandemia, già simulata nel 2017, è un’operazione pianificata di dittatura sanitaria e terrorismo economico, sociale e psicologico per condurre all’avvento di un nuovo ordine mondiale satanico». Ecco perché «in Germania stanno ricostruendo i campi di concentramento per la vaccinazione forzata». Ecco perché «Israele si è portato avanti nel lavoro».  Ma tanto saremmo ormai prossimi a un Grande Reset, previo remake del mega-processo di Norimberga per i “responsabili”. Questo si legge estrapolando alcuni dei concetti fissi e della retorica d’ordinanza che animano pagine Facebook come “Il danno nascosto” (8 mila followers e rotti) e “Libertà di scelta vaccinale” (più di 26 mila like), gruppi Fb del tipo di “Free-Vax Italia” (con quasi 11 mila membri) e canali Telegram alla “Eventi avversi vaccino Covid”, che conta 10 mila iscritti. Strana galassia, questa dei negazionisti della necessità di un’immunizzazione pure tanto attesa e ineludibile per ritornare alla normalità: parliamo di persone sovente ossessionate, i loro profili virtuali sono monotematici. Ora strepitano di strage di massa a mezzo siringa, fino a pochi mesi fa si battevano contro la mascherina “musuerola di Stato”. E ogni quattro o cinque righe augurano in tutto relax la morte a chi non la pensa come loro, “pecoroni e menti lobotomizzate”, o troll nella migliore delle ipotesi. Capite il paradosso. Il demone da cui sembrano posseduti resta quello dell’hater online, alimentato dai ritrovi risaputi di controinformazione/disinformazione, catene di montaggio di fake news. E dai loro legali, medici, opinionisti, blogger e guru d’area. Ha scritto uno dei più cliccati di loro, che non nominiamo per non fargli pubblicità: «Nel vaccino di Astrazeneca ci sono feti di bambini abortiti. I cristiani stanno protestando contro questo orrore, ma Bergoglio non si preoccupa di questo. Si preoccupa che tutti possano avere la possibilità di iniettarsi in vena dei bimbi morti». Per un bravo no vax che si rispetti, vaccinarsi è un po’ come giocare alla roulette russa. Le reazioni anafilattiche costantemente dietro l’angolo, per tacere delle emorragie cerebrali, degli aborti, degli infarti provocati dall’iniezione fatale. Proliferano i video apocrifi di contorsioni e spasmi di gente appena vaccinata, girati da registi di serie z. «La cosa certa è che tra i 20 e i 50 anni fa sicuramente più morti il vaccino che il coviddo» afferma lapidario Michele T. Senza dimenticare le ripercussioni a medio e lungo termine, come osserva Anna E., una tranquilla ragazza con le lentiggini: «stanno bene oggi, forse, ma in futuro? Sta scritto anche sul foglietto illustrativo». Chiara B. concorda: «Lo so, il problema è che ti ammali per il vaccino». Clara G. rilancia: «Si servono dei militari per costringere il popolo a fare da cavia a questa sperimentazione con vaccini che non sono testati, per una semplice influenza sparita, inesistente, ma che il governo s'inventa che esista. Perciò, se si ha un po' di tosse, intubano e fanno cure che alle volte ci si lascia la pelle per quanto sono drastiche». Fabio F. guarda in lontananza: «La mia ipotesi è che il vantaggio del vaccino sia duplice: da un lato si continua a mantenere in vita questo "terribile virus", perché i vaccinati ne diventano veicoli attivi, e quindi si può continuare all’infinito con la farsa; dall’altro chi non presenta effetti collaterali immediati svilupperà, nell'arco di qualche anno, simpatiche malattie autoimmuni, piuttosto che leucemie e tumori». Capitolo varianti: «sono più complicate da debellare e sono causate proprio dai vaccini, per nulla efficaci né contro l'infezione né per la malattia» sostiene un altro. Aggiunge Rossella C., tra le più elettriche: «Vi minacciano, vi estorcono il consenso, vi impongono finte leggi su un fantomatico obbligo (che non esiste), vi fanno mobbing, vi trattano come bestiame da macello, tutti ammucchiati nelle scuole chiuse (avranno i requisiti minimi di sicurezza per essere adibite a centri vaccinali?). Ma per cosa, esattamente? Per cosa? Questa è pura macelleria… Non vedo l'ora di vedervi appesi a un palo, tutti». Le dà manforte, da par suo, Luigi M.: «È arrivata l'ora di prendere il porto d'armi». Si aggrega Annamaria: «Pronti: balestre, mazze, kalashnikov». Sul piede di guerra, a cavallo della paranoia, anche Alex P.: «È tutto collegato. Questo è il Quarto Reich. I vaccini genici sono una terapia non umana. Non fatevi fottere». Esacerbata e con idee chiarissime Valentina V.: «Sono degli inetti, con seri deficit mentali. Si privano della libertà di vivere la vita per paura di essere contagiati dal fuffavirus. E poi si fanno ammazzare facendosi iniettare ‘sta merda. Chi è causa del suo male pianga solo se stesso. Gli sta bene. Selezione naturale. Siamo troppi». Infine svela un antefatto, un presentimento fondante: «Credo che questo sia un momento di autentico e radicale cambiamento. Ho dei sensi molto sviluppati. Qualche settimana prima del Covid feci un sogno, dove le strade erano invase da zombie. Alcuni amici potrebbero testimoniare. Questo per dirvi che ci sarà un risveglio globale. Non sarà un processo facile, né indolore, ma ciò che verrà dopo sarà stupendo».

Dagonews il 16 marzo 2021. I medici, i virologi e gli esperti variamente intervistati che assicurano la bontà e sicurezza del vaccino AstraZeneca, se vaccinati, non sono stati vaccinati con AstraZeneca ma con Pfizer-Biontech. Dunque, sarebbe un buon esempio che i primi a vaccinarsi con AstraZeneca fossero proprio il ministro Speranza, i medici dell’Ema, i loro familiari ecc ecc… se non ancora vaccinati (ce ne sono?). Vediamo cosa deve firmare un cittadino che viene chiamato a sottoporsi al vaccino AstraZeneca. Il modulo dell’informativa ha almeno cinque passaggi inquietanti.

1 “Al momento sono disponibili dati limitati sull’efficacia di Covid-19 Vaccine AstraZeneca in soggetti di età pari o superiore ai 55 anni”: e allora perché lo si è esteso fino a 65? 

2 “Il vaccino potrebbe non proteggere completamente Tutti coloro che lo ricevono. Infatti, l'efficacia stimata dalle sperimentazioni cliniche dopo due dosi di vaccino è del 59,5% e potrebbe essere inferiore in persone con comorbosità e problemi immunitari”. Dopo due dosi si è protetti al 59,5%: ma è una percentuale di protezione significativa? 

3 “Il vaccino può causare reazioni avverse. Molto comuni sono: dolorabilità, malessere, brividi e febbre, mal di testa, nausea e dolore alle articolazioni. Comuni sono: tumefazione, febbre, vomito o diarrea”: quindi è comune stare poco bene dopo la somministrazione.

4 “L'elenco di reazioni avverse sovraesposto non è esaustivo di tutti i possibili effetti indesiderati che potrebbero manifestarsi”: quindi non si escludono altri effetti indesiderati.

5 “Non è possibile al momento prevedere danni a lunga distanza”: non si sa nulla del futuro.

Domanda: ma come può un cittadino firmare in coscienza e tranquillità un simile modulo che gli chiede di assumersi tutti questi rischi? Se il vaccino AstraZeneca è sicuro, come ripetono fino alla noia i cosiddetti esperti, perché non se lo somministrano a loro stessi e perché fanno firmare questo modulo di scarico delle responsabilità?

Dagospia il 16 marzo 2021. Da "Un Giorno da Pecora". Lo sospensione di Astrazeneca? “Giusta decisione politica per resettare quello che stava avvenendo a macchia di leopardo in tutta Europa e rimettersi all'opinione dell'Ema”. Lo dice a Rai Radio1, ospite di Un Giorno da Pecora, Fabrizio Pregliasco, Direttore Sanitario dell'IRCCS Istituto Ortopedico Galeazzi di Milano. Per il medico i casi contestati di complicazioni post vaccino “sono pochi e casuali", mentre "le trombosi di vario caso sono purtroppo frequentissime, solo in Italia se ne calcolano circa 60 mila all’anno, quindi circa 166 al giorno, dovute a cause dirette a prescindere da quello che potrebbe esser il 'contributo' del vaccino Covid”. Lei crede che il vaccino Astrazeneca sia comunque sicuro? “Ritengo che lo sia, il rischio zero non esiste ma i dati ci dicono che questo e gli altri vaccini sono sicuri”.

Si muore per il Covid  e non per i vaccini. Aldo Cazzullo su Il Corriere della Sera il 16/3/2021. Caro Aldo, a proposito di AstraZeneca, non mi spiego il panico per alcuni decessi per trombosi mentre non c’è un panico altrettanto grande per le centinaia di morti giornaliere per Covid. Cosa ci fa essere così irrazionali? Forse l’idea che muoiano solo anziani? Adele Cesi

Sono un medico, iscritto all’Ordine dei medici di Lodi. Ho chiesto di essere vaccinato. L’ordine ha girato la mia domanda alla Regione, ma non ho ricevuto nulla. Non dovrei rientrare nella categoria a rischio? Elio Caccialanza, Lodi

Mia madre, 84 anni residente a Ripalta Cremasca, a tre chilometri da Crema dove c’è un centro vaccinale, è stata convocata a Casalmaggiore che ne dista 80. Assurdo. Agostino Comandulli

Cari lettori, La gran parte dei vostri messaggi riguardano ovviamente i vaccini. Molti lamentano di non essere stati chiamati; altri ora il vaccino non lo vogliono più fare. La mia impressione è che la vicenda sia stata affrontata dai Paesi europei in modo emotivo e, in primis, dalla Germania che si sta avvicinando alla scadenza elettorale (e che ha instaurato con Pfizer un rapporto che altri Stati europei non hanno). La realtà è meno complicata di quanto sembri. AstraZeneca non è probabilmente il vaccino migliore; ma funziona. Lo dimostra il Regno Unito, dove più di undici milioni di persone l’hanno ricevuto, e dove le morti per Covid sono quasi azzerate. È possibile che le autorità di Londra abbiano silenziato alcune morti sospette, collegate alle vaccinazioni? Ne dubito, considerando la forza del giornalismo d’inchiesta in quel Paese. E in ogni caso è sufficiente confrontare le cifre. Noi in Italia ieri abbiamo perso per il Covid oltre 500 vite in un giono. Le morti sospette legate al vaccino sono in tutto una piccola frazione dei morti per il Covid. Il rischio zero purtroppo non esiste. L’Ema, l’agenzia europea del farmaco, si prenderà ora qualche giorno di tempo. Difficilmente riuscirà a diradare tutti i dubbi. Più che stemperare la tensione, questa pausa servirà a far crollare la fiducia nel vaccino AstraZeneca. L’unico modo che l’Unione europea ha a disposizione per uscire da questa impasse è indurre le altre aziende a produrre massicciamente in Europa, se necessario rinunciando a una parte dei profitti derivanti dall’esclusiva del brevetto. Non è facile, ma un’aspirante grande potenza si giudica in emergenze come questa.

LE ALTRE LETTERE DI OGGI.

Storia. «Papà, ce l’hai fatta. Grazie per essere ancora con noi». È poco più di un influenza. Ma cosa compri le mascherine? Prima del 6 marzo 2020 erano questi i miei pensieri. Poi mio padre è finito al pronto soccorso e mi si è alzato il velo sulla realtà: ospedali al collasso, impotenza delle cure, mortalità. Caro papà, hai iniziato l’iter degenerativo tipico di un paziente Covid. In una delle ultime chiamate prima dell’aggravarsi della situazione mi hai detto che non volevi che ti mettessero in «quella gabbia». Non capivo. Poi è stato tutto chiaro: dalle cannule nel naso per l’ossigeno eri passato al famigerato casco. Sapevo che il passo successivo sarebbe stato l’intubazione con anestesia totale. Ed è arrivato. La rianimazione ad Alessandria era satura quindi ti hanno spostato a Borgomanero. Una chiamata mi ha distrutto: era il 27 marzo: «I valori di suo papà stanno peggiorando». Ti hanno bombardato di antibiotici e i tuoi reni hanno iniziato a soffrirne. La dialisi li ha salvati. Piano piano i valori sono migliorati; il 31 marzo con tracheotomia la speranza si è riaccesa. Il 10 aprile ancora panico. Poi la speranza ha ripreso forma. Dopo 43 gironi di terapia intensiva, il 23 aprile ti hanno trasferito a Veruno, dove abbiamo fatto le prime video chiamate e dal 4 maggio a Pavia. In quelle lunghissime settimane, ogni volta che suonava il telefono sentivo la paura salire. Ho capito che ti voglio bene con tutto il mio cuore e prego di avere preso anche solo un briciolo della forza che ti ha permesso di compiere questo miracolo. Grazie papà per essere ancora qui con me, per essere ancora qui con noi. Michele Inglese

"Errore disastroso bloccare il vaccino. Sulla pandemia Ue in mano ai dilettanti". L'ex ministro della Salute: "Giusto fermare lotti sospetti, ma non una cura efficace per milioni di persone. Bruxelles ora ci mette a rischio". Lodovica Bulian - Mer, 17/03/2021 - su Il Giornale. Quello su AstraZeneca è «un pasticcio generale dell'Italia e dell'Europa». Ferruccio Fazio - medico, ministro della Salute nel 2009 quando nel mondo si diffondeva il virus A/H1N1 e oggi sindaco di Garessio (Cuneo) - vede «chiari i rischi derivanti da una mancata vaccinazione» a causa dello stop temporaneo alle dosi dell'azienda anglo svedese.

Non ha condiviso la scelta di bloccare la vaccinazione?

«I rischi di non vaccinare sono chiaramente maggiori di quelli di eventuali eventi avversi non prevedibili. Se si tratta di bloccare dei lotti contaminati è ovviamente un discorso diverso, ma altra cosa è fermare in Europa un vaccino che è stato somministrato a 11 milioni di persone nel Regno Unito senza che lì si sia ritenuto di dover stoppare la procedura».

Si poteva gestire la campagna vaccinale in modo diverso? A partire dagli approvvigionamenti?

«Col governo Draghi è evidente che il passo è cambiato, ma prima la situazione non era affatto sotto controllo. A Bruxelles poi non vedo grande professionalità. In emergenza ci vuole coraggio, bisogna saper prendere delle decisioni. Quando da ministro nel 2009 mi sono trovato davanti alla scelta sul vaccino per l'influenza A/H1N1, se fare due somministrazioni o una, mi sono preso la responsabilità di fare la vaccinazione a un'unica dose. La politica non può sottrarsi alle decisioni e lasciar fare tutto ai tecnici».

Vede una mancanza di decisionismo?

«Sono stati fatti errori, basti pensare che l'ultimo piano pandemico è stato il nostro. Ora si sta cercando di rimediare. Ma il nodo da superare è ancora nel rapporto con i tecnici. È giusto che ci siano, anche se non condivido questo proliferare di virologi - fenomeno che avevo scoraggiato quando ero al governo perché rischiava di creare confusione nei cittadini. È giusto che ora il comitato tecnico scientifico parli con una sola voce, ma bisogna ricordare che non spetta al comitato prendere decisioni politiche. Il suo compito è offrire degli scenari, delle alternative. Ma poi deve essere il governo a scegliere».

Questo non sta avvenendo secondo lei?

«Finora non è avvenuto, mi auguro che col governo Draghi le cose cambino. Sulle chiusure c'è stato un appiattimento sugli orientamenti del comitato tecnico scientifico. Ed è normale che siano rigorosi, non possono discostarsi dal giusto principio di precauzione. Ma poi è la politica che deve bilanciare la tutela della salute con gli effetti economici e sociali delle chiusure, che sono state generalizzate senza distinguere tra le singole realtà».

Crede al traguardo fissato dal commissario Figliuolo sulla fine della campagna di vaccinazione a metà settembre?

«Credo sia realistico, vista l'approvazione imminente di altri vaccini. È stata una scelta giusta mettere da parte le primule e fare una vaccinazione capillare, fin nei paesi, con la collaborazione dei sindaci. Il blocco delle esportazioni dei vaccini è stato un atto coraggioso da parte del premier Draghi. Nessuno meglio di lui può affrontare questa situazione. Ha il coraggio e l'autorità che servono in Europa. E che finora l'Italia non ha avuto».

Marco Bresolin Paolo Russo per "la Stampa" il 17 marzo 2021. «Per il momento non ci sono indicazioni che il vaccino abbia causato gli episodi di trombosi». «Il rapporto rischi-benefici rimane positivo». Dopo il caos scatenatosi nella giornata di lunedì, quando le autorità nazionali di mezza Europa hanno deciso di sospendere la somministrazione del vaccino di AstraZeneca, l'Agenzia europea del farmaco (Ema) ribadisce ciò che dice da giovedì scorso. Certo, l'esame dei casi sospetti è ancora in corso e una risposta definitiva arriverà soltanto domani, ma ieri la direttrice Emer Cooke ha voluto presentarsi davanti ai giornalisti per rispondere alle preoccupazioni dei cittadini e chiarire un paio di cose. Più che le possibili reazioni avverse sui vaccinati, l'irlandese sembra temere le ripercussioni sull'opinione pubblica. «Ci preoccupano gli effetti di questa decisione sulla fiducia nei vaccini» ha puntualizzato ieri, criticando indirettamente la gestione politica della vicenda. Dall'Ema, così come dall'Aifa, filtra una certa irritazione per il pressing esercitato dai governi che mina la loro autonomia. Cooke, pur ribadendo che «è una prerogativa degli Stati agire», ha chiuso il suo intervento con una velenosa sottolineatura: «Vorrei mettere a verbale che la nostra valutazione è guidata esclusivamente dalla scienza e dall'indipendenza». Al di là delle polemiche per le pressioni dei principali governi, la numero uno dell'Ema ha ricordato che «migliaia di persone sviluppano trombosi ogni anno per cause varie» e che «la situazione attuale non era imprevista perché quando si vaccinano milioni di persone non è raro che si abbiano reazioni avverse». Il ruolo dell'Ema è quello di «valutare se si tratti di coincidenze o di effetti collaterali». Ieri gli esperti del comitato per la sicurezza si sono riuniti per l'esame dei casi sospetti, affiancati da un gruppo di specialisti dei disturbi della coagulazione: «Sono stati fatti ulteriori progressi» spiega una nota, nella quale si ripete che secondo Ema «i benefici superano i rischi di effetti collaterali». Emer Cooke ha confermato che fino al 10 marzo erano stati registrati 30 casi di trombosi su un totale di 5 milioni di vaccinati, anche se negli ultimi giorni sono arrivate ulteriori segnalazioni di pazienti con coaguli di sangue con caratteristiche insolite, come un basso numero di piastrine. Si stanno valutando possibili eventi collaterali per tutti i vaccini, ma il focus è certamente su quello di AstraZeneca. Domani, terminato l'esame, il comitato per la sicurezza pubblicherà le sue raccomandazioni «per minimizzare i rischi e proteggere i pazienti». Tutto fa pensare che la somministrazione del vaccino non sarà sospesa. Nella peggiore delle ipotesi potrebbe esserci la raccomandazione di inserire elementi aggiuntivi nelle informazioni del prodotto, come era stato fatto la scorsa settimana con la richiesta di indicare tra i possibili effetti collaterali anche gravi reazioni allergiche (anafilassi). Questo potrebbe andare incontro ai timori dei governi, che avrebbero deciso di sospendere il farmaco anche per evitare il rischio di risarcimenti. Secondo gli accordi, la responsabilità sarebbe in capo agli Stati per una prima fase e, soltanto successivamente, alle case farmaceutiche. Anche se ieri un portavoce della Commissione ha spiegato che «è molto difficile fare previsioni su chi potrebbe essere responsabile». Intanto, tra ritardi e dubbi sulla sicurezza, Pfizer prova ad approfittare del caos AstraZeneca: l'azienda fornirà in anticipo 10 milioni di dosi nel prossimo trimestre all'Ue. La commissaria alla Salute, Stella Kyriakides, invita i governi a non mettere da parte le scorte di vaccini: «Bisogna utilizzare tutte le dosi disponibili perché nei prossimi tre mesi le consegne aumenteranno».

AstraZeneca, Galli: “Bufala drammatica, trombosi frequenti a prescindere”. Debora Faravelli su Notizie.it il 17/03/2021. Massimo Galli definisce una drammatica bufala la sospensione dell'utilizzo del vaccino AstraZeneca: "Le persone non sono morte di vaccino". Il direttore del reparto di Malattie Infettive del Sacco Massimo Galli torna ad esprimersi sul caso AstraZeneca temendo che “questa cosa sia una drammatica bufala“. Ogni giorno, ha spiegato, in Italia si verificano 100 o 200 eventi trombotici e se dovesse scattare sempre lo stop sarebbe impossibile portare avanti qualsiasi procedura medica. Intervenuto nel corso della trasmissione Cartabianca in onda su Rai Tre, l’esperto ha sottolineato come le trombosi siano assolutamente frequenti nella popolazione generale a prescindere dalla vaccinazione. Dunque la coincidenza tra la somministrazione del siero anti Covid e alcuni eventi di questo tipo è da mettere in conto. “Una serie di eventi sono assolutamente attesi ogni giorno per la popolazione e sono legati a tutt’altre condizioni rispetto al vaccino. Noi dobbiamo vaccinare per evitare che la gente muoia di Covid e questi stop fanno molto male“, aveva affermato in un precedente collegamento. Galli ha inoltre evidenziato come la proporzione di decessi tra le persone vaccinate segnalabili come eventuali eventi avversi in Gran Bretagna è più bassa per AstraZeneca rispetto al vaccino Pfizer. Di qui la sua considerazione: “La netta sensazione è che questa cosa sia una drammatica bufala. Massimo rispetto per le persone che sono state male o sono morte, ma non sono morte di vaccino“. Il rischio è a suo dire quello che in prospettiva si rischi di vedere persone che muoiono per mancanza di vaccino. Il fatto che il siero in questione sia “chiacchierato” potrebbe infatti risultare dannoso e spingere molti soggetti ad avere timore e paura di sottoporsi alla vaccinazione.

Debora Faravelli. Nata in provincia di Como, classe 1997, frequenta la facoltà di Lettere presso l'Università degli studi di Milano. Collabora con Notizie.it

AstraZeneca: autopsia prof Biella, fatto cardiaco improvviso. (ANSA il 16 marzo 2021) Un problema cardiaco improvviso: sembrerebbe questa la causa della morte di Sandro Tognatti, il professore di clarinetto 57enne deceduto domenica a diciassette ore dalla prima dose del vaccino AstraZeneca. Durante l'autopsia, secondo le prime informazioni, non sarebbe emerso nessun segno che permetta di collegare la morte alla vaccinazione. "Finalmente potremo pensare a dare una sepoltura a mio figlio, da domenica non lo abbiamo più visto. Dell'autopsia aspetto di parlare con mia nuora". Così Sergio Tognatti, padre di Sandro, il professore di clarinetto morto nel Biellese 17 ore dopo essere stato sottoposto alla prima dose del vaccino AstraZeneca.

Nadia Muratore Stefano Vladovich per "il Giornale" il 17 marzo 2021. Un infarto improvviso. Potrebbe essere questa la causa della morte di Sandro Tognatti, il musicista e insegnante di musica 57enne di Cossato, in provincia di Biella, deceduto 14 dopo essere stato vaccinato con AstraZeneca. Resta da accertare se quel blocco improvviso del cuore sia collegato, oppure no, alla dose di vaccino. Le indiscrezioni parlano di un esame che non avrebbe evidenziato trombi, come avvenuto invece in altri casi e quindi la morte potrebbe non avere un collegamento esplicito con la vaccinazione. Il cuore e gli altri organi del docente, secondo quanto evidenziato dall' esame autoptico, erano in un apparente stato di salute buono. Queste valutazioni non sono però confermate del tutto dal medico legale Roberto Testi - presidente del comitato tecnico-scientifico dell' Unità di crisi della Regione Piemonte - che ha eseguito la perizia, durata poco più di due ore, in presenza di un consulente nominato dalla famiglia. «Non ci sono riscontri evidenti e certi - ha precisato il perito -, nulla di così macroscopico è emerso da poter affermare con sicurezza che il decesso di Tognatti non sia collegato alla somministrazione del vaccino. E neppure si può affermare il contrario. È ancora troppo presto: senza esami istologici e di laboratorio non è possibile avere certezze». E i risultati arriveranno solo nei prossimi giorni. «La consulenza non è ancora stata completata - ribadisce il procuratore di Biella, Teresa Angela Camelio -, sono necessari ancora altri esami ed ulteriori quesiti agli specialisti». L'indagine prende anche in considerazione il fatto che lo stesso giorno in cui è stato vaccinato il docente di musica, anche la moglie Simona Riussi - insegnante di musica alle scuole medie -, ha ricevuto la sua dose di AstraZeneca senza alcuna conseguenza. Così come la loro figlia Ginevra, anche lei insegnate nelle scuole elementari, e i genitori di Sandro: il papà Sergio, 85 anni e la mamma Lina, 81: tutti vaccinati senza nessun problema. Stesse incertezze - e per adesso stessi misteri -, dovuti soprattutto alla necessità di eseguire ulteriori esami, sono stati riscontrati nei risultati delle altre autopsie disposte dalle procure competenti su persone morte a poche ore di distanza dalla somministrazione della dose vaccinale di AstraZeneca. Il pm della Procura di Roma Giovanni Musarò ha aperto un fascicolo per omicidio colposo in seguito alla denuncia inoltrata da Luca Maccioni, fratello di Stefania Maccioni, 51 anni, insegnante di Lettere alla scuola media Salvo D' Acquisto di Cerveteri. Riesumazione della salma, sequestro della cartella clinica, nuovi accertamenti autoptici. La donna, che lascia una bambina di 8 anni e il compagno, anche lui docente nella scuola secondaria, due fratelli e i genitori, è deceduta il 9 marzo al policlinico Gemelli per «trombosi venosa cerebrale massiva», come riferito dai medici ai familiari. Alla Maccioni viene somministrata la prima dose del vaccino il 25 febbraio in una struttura della Asl Roma 4 di Santa Severa. Il lotto? ABV5811, quello che sarà sequestrato in Piemonte il 14 marzo. La magistratura vuole stabilire se ci può essere o meno una correlazione fra la somministrazione del vaccino e il decesso. La Maccioni, che non aveva alcuna patologia pregressa o in corso, accusa un malessere generale il 6 marzo. Una fortissima emicrania durante la notte tra il 6 e il 7 marzo e finisce in coma. «Un mal di testa fortissimo da cui non si è più risvegliata» spiega l' avvocato Mariano Mereta al magistrato.

AstraZeneca, nessuna autopsia ha trovato legame con i decessi. Chiara Nava su Notizie.it il 17/03/2021. Le autopsie sulle vittime hanno rivelato che non è stato trovato alcun legame tra i decessi delle scorse settimane e il vaccino. Secondo quanto emerso dalle autopsie e dagli esami sui corpi delle vittime, non ci sarebbe nessun tipo di legame tra i decessi sospetti e il vaccino AstraZeneca. L’Italia al momento è in attesa della decisione dell’Ema, prevista per giovedì 18 marzo, riguardo il futuro di questo vaccino, che al momento è stato sospeso. Le varie procure hanno disposto accertamenti su alcune morti sospette avvenute dopo la somministrazione del vaccino AstraZeneca, ma gli esami effettuati fino ad ora non hanno trovato nessuna correlazione. Si parla della morte del maresciallo dei carabinieri Giuseppe Maniscalco, di 54 anni, che ha avuto un infarto 48 ore dopo aver ricevuto la dose appartenente ad un lotto che poi è stato ritirato. L’indagine era stata aperta dalla Procura di Trapani dopo un esposto presentato dalla famiglia. Anche gli esami sul corpo di Annamaria Mantile, professoressa di Napoli morta pochi giorni dopo il vaccino, non hanno evidenziato nessuna correlazione. Stessa cosa per gli esami effettuati sul corpo di Sandro Tognatti, docente di musica morto a Biella dopo 17 ore dalla somministrazione del vaccino. La sua morte sembra essere stata causata da un infarto improvviso. La moglie del professore e l’avvocato di famiglia sono in attesa della relazione sull’autopsia, disponibile tra 60 giorni. “La signora Riussi crede nella scienza e nella medicina ed è convinta che gli accertamenti chiariranno le cause del decesso del marito” ha dichiarato il legale. Anche il decesso di Vincenzo Russo, collaboratore scolastico di 58 anni, morto in Campania pochi giorni dopo il vaccino, non sarebbe collegato alla dose di AstraZeneca ricevuta. Al momento, però, non sono chiari i motivi del decesso. I risultati dell’autopsia sul corpo del sottufficiale Stefano Paternò, morto in Sicilia, arriveranno tra 20 giorni. Tutto è iniziato in Germania, quando il Paul-Ehrlich-Institut (PEI), l’agenzia del governo tedesco che si occupa della sicurezza dei medicinali, e in seguito l’Ema hanno deciso di sospendere AstraZeneca per casi sospetti di trombosi. “Nonostante l’elevato numero di vaccinazioni con AstraZeneca (1,6 milioni in totale), sette casi di questa particolare trombosi è un numero superiore alla media. Il PEI ha evidenziato una possibile connessione tra la vaccinazione con AstraZeneca e alcuni casi di trombosi venosa cerebrale. Questa condizione è così grave (e persino fatale) che non è giustificabile continuare la vaccinazione senza ulteriori test” è stato dichiarato dal ministero tedesco.

Chiara Nava. Nata a Genova, classe 1990, mamma con una grande passione per la scrittura e la lettura. Lavora nel mondo dell’editoria digitale da quasi dieci anni. Ha collaborato con Zenazone, con l’azienda Sorgente e con altri blog e testate giornalistiche. Attualmente scrive per MeteoWeek e per Notizie.it

Giuseppe Scarpa per "il Messaggero" il 17 marzo 2021. Siracusa, Gela, Trapani, Catania, Napoli, Biella e Roma. Sette città in cui sono morte dopo la somministrazione di AstraZeneca otto persone. Tuttavia ad oggi nessun decesso può essere attribuito al vaccino. Le morti di un bidello di 58 anni e di un insegnante di 62 anni nel capoluogo campano sono dovute a cause naturali. Stessa sorte per un professore di musica 57enne di Biella e di un carabiniere 54enne a Trapani. Insomma la dipartita dopo l'assunzione del medicinale anti covid è da considerarsi casuale. In altri termini sarebbero morti a prescindere da AstraZeneca. Per quanto concerne i casi che si sono verificati a Siracusa con il sottufficiale di Marina 43enne, a Catania con un poliziotto 50enne e a Gela con un insegnate di 37 anni, non vi è ancora il definitivo risultato dell' autopsia. In queste tre vicende i medici legali attendono l' esito di alcuni esami per stabilire se vi sia stato il nesso di causalità. Ossia una rapporto tra l' inoculazione del farmaco e la morte. Tutte le procure indagano per omicidio colposo. Nella maggior parte dei casi a carico di ignoti. Anche a Roma ieri è stato aperto un fascicolo in relazione alla morte di Stefania Maccioni, 51enne insegnante di Cerveteri. Ma l' iscrizione del reato è, come spiegano i pm, un atto dovuto. È indispensabile per poter autorizzare tutta una serie di verifiche, esami, ispezioni. Non rappresenta di per sé un' accusa. In questo frangente si distingue, in parte, la procura di Siracusa ma solo perché ha iscritto nel registro degli indagati Lorenzo Wittum, l' ad di AstraZeneca Italia. A Biella si è svolta l' autopsia sul corpo di Sandro Tognatti, il professore di clarinetto 57enne deceduto domenica a 17 ore dalla prima dose di AstraZeneca: secondo le prime indiscrezioni, non sarebbero emerse indicazioni tali da collegare la morte alla vaccinazione, anche se gli inquirenti sul punto sono molto cauti. A fornire ulteriori risposte saranno gli esami istologici i cui risultati arriveranno nei prossimi giorni. Ieri, comunque, i carabinieri del Nas hanno continuato con il sequestro del lotto collegato al decesso dell' uomo, l' ABV5811: altre 753 dosi sono state acquisite dai militari negli hub vaccinali di Bari e Barletta-Andria-Trani. Anche Annamaria Mantile, insegnante 62enne del Vomero, non è morta come si sospettava, per le conseguenze della vaccinazione antiCovid praticata il 27 febbraio, quattro giorni prima del decesso. L'evento tragico e inaspettato, vista la buona salute di cui godeva la professoressa, è stato invece causato da un infarto intestinale. Per quanto concerne Vincenzo Russo, collaboratore scolastico di 58 anni, morto il 10 marzo dopo due giorni dall' assunzione di AstraZeneca, i medici legali del secondo Policlinico di Napoli non hanno riscontrato alcuna relazione con l' inoculazione del farmaco. Anche gli esami autoptici sul maresciallo dei carabinieri Giuseppe Maniscalco, 54 anni, morto a metà febbraio, 48 ore dopo la somministrazione anti covid, non hanno fatto emergere correlazioni tra la vaccinazione e il decesso. Nel frattempo in Sicilia, la procura di Gela ha aperto un fascicolo sul caso di un' insegnante di 37 anni colpita da trombosi ed emorragia al cervello e di cui è stata dichiarata la morte cerebrale. La procura ha sequestrato le cartelle cliniche e la documentazione inerente il vaccino. Undici giorni prima, infatti, la donna aveva ricevuto la prima dose di AstraZeneca. «La paziente - come hanno spiegato i sanitari - a quanto sembra non aveva malattie pregresse». Intanto oggi, a Catania, si terranno i funerali di Stefano Paternò, il sottufficiale di 43 anni deceduto una settimana fa nella sua abitazione di Misterbianco, sedici ore dopo aver ricevuto la prima dose di vaccino AstraZeneca. Secondo l' avvocato della famiglia bisognerà «attendere una ventina di giorni» prima di avere maggiori chiarezze sulle cause del decesso. Infine la Procura di Messina, che indaga sulla morte di Davide Villa, il poliziotto deceduto il 7 marzo, 12 giorni dopo il vaccino AstraZeneca, ha disposto una nuova consulenza, anche per capire che terapie sono state somministrate al paziente dopo l' insorgere della trombosi.

Colpa di Astrazachena? Taranto, anziana travolta da un bus: si era appena vaccinata. Valentina Mericio su Notizie.it il 16/03/2021. Si era appena sottoposta al vaccino una donna di 83 anni che è stata travolta a Taranto da un autobus. È morta sotto gli occhi del marito e del figlio una donna di 83 anni che è stata travolta da un bus poco dopo essere uscita dal centro vaccinale. La terribile vicenda avvenuta Taranto in Piazza Ebalia avrebbe messo sotto choc l’autista del mezzo che stando a quanto riportato dalla Gazzetta del Mezzogiorno, non avrebbe visto l’anziana. A nulla sono serviti i soccorsi da parte degli operatori sanitari del 118. L’anziana di 83 anni sarebbe infatti morta sul colpo. Sul luogo intervenute anche le Forze dell’Ordine che avrebbero avviato le indagini al fine di accertare quale sia la posizione del conducente del mezzo. Si sarebbe appena sottoposta a vaccinazione una donna di 83 che è deceduta a Taranto in Piazza Ebalia dopo essere stata investita da un autobus appartenente ad una nota azienda partecipata per il trasporto urbano. Stando a quanto appreso la donna sarebbe appena uscita dallo stabile dell’ex Banca d’Italia ora facoltà di medicina dell’università di Bari, accompagnata dal figlio e dal marito. Per la donna il cui decesso sarebbe avvenuto nel tardo pomeriggio del 16 marzo, non ci sarebbe stato nulla da fare. L’anziana sarebbe morta sul colpo. Intervenuti gli operatori sanitari del 118 oltre alla Polizia Municipale e la Questura. Non sarebbero chiare le dinamiche dell’incidente. Proprio su questo punto sarebbero in corso gli accertamenti al fine di verificare la posizione dell’autista.

Valentina Mericio. Classe 1989, laureata in Lingue per il turismo e il commercio internazionale, gestisce il blog musicale "432 hertz" e collabora con diversi magazine.

Ema su AstraZeneca, nessuna indicazione su legami diretti. (ANSA il 16 marzo 2021) "Non ci sono indicazioni che le vaccinazioni possano aver provocato questi eventi" ma l'Ema sta conducendo "un'analisi rigorosa sugli eventi tromboembolici", e sta valutando "caso per caso le reazioni sospette". Lo ha detto Emer Cooke, direttore esecutivo dell'Ema. "Dobbiamo fare un'analisi scientifica approfondita per dare una risposta" sul vaccino di AstraZeneca. "Prendiamo la situazione molto sul serio, e per questo abbiamo coinvolto esperti anche di trombosi. Ad ora noi siamo fermamente convinti che i benefici di AstraZeneca superino gli effetti collaterali e attualmente non ci sono indicazioni di correlazione" tra vaccino e incidenti, ha spiegato ancora Emer Cooke.

AstraZeneca: Ema, nostra valutazione si basa su scienza. (ANSA il 16 marzo 2021) "Le decisioni prese a livello nazionale vengono prese nel contesto delle informazioni disponibili a livello nazionale. È una prerogativa dei Paesi agire ed è nostra responsabilità concentrarci su una valutazione scientifica" per verificare il possibile nesso causa-effetto tra le vaccinazioni e gli effetti collaterali. Lo ha detto la direttrice dell'Agenzia europea del farmaco Emer Cooke, parlando in conferenza stampa. Per valutare i casi sospetti e i dati di AstraZeneca sono al lavoro "i nostri esperti e specialisti dei disturbi della coagulazione" del sangue, ha aggiunto Cooke.

AstraZeneca: Ema, giovedì la decisione finale. (ANSA il 16 marzo 2021) "La fiducia nella sicurezza e nell'efficacia dei vaccini che abbiamo approvato è di fondamentale importanza. La decisione finale dell'Ema sarà data giovedì". Lo ha detto la direttrice dell'Agenzia europea del farmaco (Ema), Emer Cooke, parlando in conferenza stampa. "E' prioritario arrivare ad una conclusione chiara per capire se ci sono nessi" tra vaccinazioni ed eventi tromboembolici.

Ema, il nostro compito è mantenere la fiducia sui vaccini. (ANSA il 16 marzo 2021) "C'è preoccupazione che ci sarà un effetto sulla fiducia nei vaccini" dopo lo stop ad AstraZeneca da parte degli Stati membri: "Il nostro compito è mantenere la fiducia nella sicurezza e nell'efficacia dei vaccini" con una valutazione "scientifica". Lo ha detto la direttrice dell'Ema, Emer Cooke, parlando in conferenza stampa.

AstraZeneca:Ema ribadisce,rapporto rischi-benefici positivo (ANSA il 16 marzo 2021) Il rapporto rischi-benefici del vaccino AstraZeneca "rimane positivo, stiamo continuando a valutare possibili eventi collaterali" e "la situazione attuale non è imprevista". Lo ha detto la direttrice dell'Agenzia europea del farmaco (Ema), Emer Cook, parlando in conferenza stampa. "Quando si vaccinano milioni di persone non è raro che si abbiano reazioni avverse, il nostro ruolo è valutare che qualsiasi caso sia un reale effetto collaterale o una coincidenza", ha sottolineato Cooke. (ANSA).

Ema, giovedì valutazione AstraZeneca, saremo trasparenti (ANSA il 16 marzo 2021) Giovedì arriverà la valutazione dell'Ema sugli eventi tromboembolici denunciati dopo la somministrazione del vaccino AstraZeneca nei Paesi europei e "assicuriamo trasparenza". Lo ha detto Emer Cooke, direttore esecutivo dell'Ema. "E' nostra priorità garantire la sicurezza del vaccino e comunicare i risultati", ha aggiunto.

Ema, inchiesta su alcuni lotti specifici AstraZeneca. (ANSA il 16 marzo 2021) Un'inchiesta su alcuni lotti specifici del vaccino AstraZeneca è in corso da parte dell'Ema. Lo ha detto la direttrice dell'Agenzia europea del farmaco Emer Cooke, parlando in conferenza stampa.

Ema, improbabile eventi legati a lotti vaccino AstraZeneca. (ANSA il 16 marzo 2021) "Il possibile collegamento" dei casi "a lotti specifici" del vaccino AstraZeneca "lo abbiamo indagato inizialmente quando l'Austria aveva sospeso l'uso di un lotto particolare a causa di possibili eventi collegati al lotto. All'epoca non avevamo trovato alcun effetto plausibile collegato al lotto. Continuiamo ad indagare questo aspetto, ma visto che ci sono più casi in Europa, con più lotti coinvolti, riteniamo improbabile che si tratti di eventi legati ai lotti, anche se non lo possiamo escludere, e non possiamo escludere che sia qualcosa legato alla manifattura". Così la direttrice esecutiva dell'Ema, Emer Cooke.

AstraZeneca: Ema, 30 casi tromboembolici su 5 mln vaccinati (ANSA il 16 marzo 2021) "Fino al 10 marzo ci sono stati 30 casi" di eventi tromboembolici riportati su quasi 5 milioni di persone vaccinate con AstraZeneca. Lo ha detto la direttrice dell'Ema, Emer Cooke, parlando in conferenza stampa. Cooke ha precisato che si tratta di un numero inferiore agli eventi reali perché "anche nel fine settimana sono stati segnalati ulteriori casi"

AstraZeneca, nessuna correlazione con le morti dopo il vaccino: “Rischi inferiori ai benefici”. Elena Del Mastro su Il Riformista il 17 Marzo 2021. Dopo lo stop precauzionale alla somministrazione delle dosi del vaccino AstraZeneca da parte di diversi Paesi Ue, l’Agenzia europea per i medicinali ha rassicurato sull’uso del siero, sottolineando che ad ora non ci sono indicazioni che il farmaco abbia provocato gli eventi tromboembolici segnalati tra le persone che hanno ricevuto le dosi, e che i benefici superano i rischi. La decisione finale dell’authority è attesa per giovedì e in caso di parere positivo Italia e Francia faranno ripartire la somministrazione del siero. Lo hanno annunciato il presidente del Consiglio italiano Mario Draghi e il presidente francese Emmanuel Macron nel corso di un colloquio avuto al termine della giornata. I due leader hanno definito “incoraggianti” le dichiarazioni preliminari dell’agenzia europea. Al 10 marzo sono stati 30 i casi segnalati su 5 milioni di vaccinati, ha detto in conferenza stampa la direttrice esecutiva dell’Ema, Emer Cooke, specificando però che non si tratta di un numero esatto visto che altri eventi sono stati rilevati nel weekend. Il dato non è comunque, secondo l’Ema, superiore a quello osservato nella popolazione generale e, ha spiegato Cooke, questa “non è una situazione inaspettata” quando si vaccinano milioni di persone. “È inevitabile che ci siano casi rari o gravi di malattie che si verificano dopo la vaccinazione”, ha detto la direttrice esecutiva. L’Ema ha rassicurato che sta analizzando “in maniera rigorosa” i dettagli e le circostanze per determinare se il siero abbia contribuito agli eventi tromboembolici. “Abbiamo mobilitato tutte le nostre parti per cercare di esaminare la situazione e capire se può esserci un nesso collegato a lotti specifici” del vaccino e “questo è ancora sotto inchiesta”, ha detto Cooke, aggiungendo che oltre all’AstraZeneca l’agenzia europea sta raccogliendo informazioni anche per tutti gli altri sieri in circolazione. “Gli eventi tromboembolici”, ha spiegato l’Ema, “hanno coinvolto più di un lotto” del vaccino AstraZeneca, ed è “improbabile che si tratti di eventi legati a un singolo lotto, ma non può essere escluso che ci sia un legame con la produzione”. La decisione finale è in programma per giovedì. “Desidero mettere a verbale che la nostra valutazione è guidata dalla scienza e dall’indipendenza, e da nient’altro”, ha tenuto a sottolineare Cooke. Lunedì diversi Stati membri dell’Ue hanno fermato la somministrazione del siero AstraZeneca, tra cui Germania, Francia e Spagna, oltre all’Italia, in attesa della decisione dell’agenzia. La commissaria alla Salute Stella Kyriakides ha ribadito che le decisioni dell’Ue si baseranno sull’analisi scientifica e sulle raccomandazioni dell’Ema. “La sicurezza per noi non è negoziabile”, ha detto la commissaria, riconoscendo poi che la fiducia dei cittadini è “fondamentale per la vaccinazione” e che in questo contesto l’agenzia europea del farmaco ha avviato un’indagine per fare chiarezza sui casi di trombosi. Intanto la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha annunciato un accordo con BioNTech e Pfizer per una consegna accelerata di 10 milioni di dosi che porteranno a quota 200 milioni di dosi le consegne totali del vaccino per il secondo trimestre. “Ciò darà spazio di manovra agli Stati membri e possibilmente colmerà i gap delle consegne”, ha detto von der Leyen. La corsa al vaccino prosegue nel resto del mondo. La Cina nelle scorse ore ha approvato l’uso di emergenza di un quinto siero contro il Covid-19. Si tratta di un vaccino a tre dosi, che vanno somministrate a un mese di distanza l’una dall’altra. Come altri vaccini sviluppati da Pechino, può essere conservato a normali temperature di refrigerazione. (Fonte:LaPresse)

AstraZeneca fa paura agli italiani? Nove domande e risposte sul vaccino: tutto quello che dovete sapere. Alessandro Gonzato su Libero Quotidiano il 16 marzo 2021. Mezza Europa ha sospeso la somministrazione del vaccino AstraZeneca. Per l’agenzia europea di controllo non ce n’era motivo. Giovedì ci sarà una riunione straordinaria. Cresce la diffidenza. Viene messa in dubbio la scienza. Ognuno sulla vaccinazione può pensarla come vuole. I no-vax c'erano già prima, ma dopo le morti del carabiniere Maniscalco, del militare della Marina Paternò e del poliziotto Villa - tutti siciliani - le fila si sono ingrossate. Sono deceduti qualche giorno dopo aver ricevuto la prima dose del vaccino anglo-svedese. Al momento, stando alla prima autopsia, non c'è la prova che il decesso sia stato provocato da effetti collaterali. Intanto nelle Ulss di tutta Italia fioccano le disdette da parte di cittadini spaventati: 4mila in un giorno in Toscana, 7mila in Sicilia e in Lazio, solo a Treviso mille insegnanti. Astrazeneca è diventato uno spauracchio. C'è chi chiama e avvisa della rinuncia, ma molti non lo fanno. Non si presentano all'appuntamento e così medici e infermieri sono spesso costretti a buttare le fiale. C'è il rischio psicosi. Facciamo il punto su informazioni e dati.

1) Quante sono le morti sospette legate al farmaco di Astrazeneca?

In Italia una decina a fronte di 2 milioni di somministrazioni, il che significa che anche se tutti i decessi dovessero risultare correlati all'iniezione la probabilità di reazioni fatali sarebbe lo 0,0005%. Impossibile avere una stima verosimile dei casi in tutto il mondo, le informazioni sono troppo caotiche. C'è la tendenza ad associare al vaccino ogni decesso avvenuto nei giorni seguenti all'iniezione».

2) Quanti effetti collaterali gravi sono stati registrati?

Astrazeneca ha diffuso un comunicato dettagliato: fino all'8 marzo 15 casi di trombosi venosa profonda e 22 di embolia polmonare, ossia lo 0,0002%, visto che nel Regno Unito e in Europa sono state somministrate circa 17 milioni di dosi. Ieri in Olanda sono stati segnalati altri 10 casi: ancora trombosi ed embolie. Giungono altre segnalazioni, ma il rapporto somministrazioni-effetti collaterali gravi non differisce significativamente.

3) I controlli sul siero.

Durante la produzione, ha reso noto Astrazeneca, vengono effettuati 60 test, sia da parte dell'azienda che dei partner, oltre a 20 esami di laboratori indipendenti.

4) Com' è formato, modalità di somministrazione, come agisce.

Il vaccino, riporta il sito dell'Aifa - l'Agenzia italiana del farmaco - è composto da un adenovirus di scimpanzè incapace di replicarsi e modificato per veicolare l'informazione genetica destinata a produrre la proteina Spike del virus Sars-Cov-2. Le cellule immunitarie riconoscono lo stimolo della proteina, inducono una risposta cellulare e la produzione di anticorpi neutralizzanti. La tecnologia del vettore virale usata per questo vaccino è già stata testata con successo ed è utilizzata per prevenire altre malattie. Viene somministrato nel muscolo della parte superiore del braccio. Tra la prima e la seconda iniezione (il richiamo dev' essere sempre di Astrazeneca, non di altre case farmaceutiche) dev' esserci un intervallo compreso tra i 28 e gli 84 giorni. Tuttavia, specifica l'Aifa, nuovi dati raccolti da studi in corso e pubblicati a febbraio sulla rivista scientifica Lancet (la Bibbia del settore) «sembrano offrire l'opportunità di indicare un intervallo più lungo tra la prima e la seconda dose».

5) A chi può essere somministrato?

Dai 18enni in su, anche a chi ha più di 65 anni, a eccezione dei soggetti «estremamente vulnerabili». Inizialmente l'Aifa aveva fissato il limite a 55 anni.

6) Livello d'efficacia.

Gli studi clinici hanno dimostrato che è dell'82,4% in chi ha ricevuto la seconda dose dopo 12 settimane. Uno studio scozzese effettuato su 500 mila persone vaccinate ha evidenziato che dopo la prima dose i ricoveri in ospedale dello stesso campione si sono ridotti del 94%.

7) Quando inizia la protezione.

Ci rifacciamo sempre all'Aifa. Il vaccino fa effetto circa 3 settimane dopo la prima dose e dura fino a 12. Fino a 15 giorni dopo il richiamo però c'è la possibilità di non essere ancora immuni. Non c'è ancora uno studio che dimostri quanto duri complessivamente la protezione, così come non v'è la certezza che una persona vaccinata non possa comunque trasmettere l'infezione, anche se gran parte degli scienziati tende a escluderlo.

8) Effetti collaterali più frequenti.

Febbre, mal di testa, dolori muscolari e articolari.

9) Gli esperti: «Niente panico».

Nelle scorse ore il professor Anthony Harnden, immunologo dell'Università di Oxford (dove in collaborazione con la Irbm di Pomezia è stato sviluppato il farmaco) e vicepresidente dell'organismo medico-scientifico indipendente che assiste il governo inglese, ha sottolineato che «ogni mese nel Regno Unito vengono individuati 3mila casi di trombosi tra tutta la popolazione, casi che occorrono naturalmente». Quanto agli effetti collaterali lievi ha spiegato che insorgono con più frequenza dopo la prima dose e che sono diffusi più tra le donne, in particolare quelle meno anziane. Il professor Giuseppe Remuzzi, direttore dell'Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di Milano, ha ricordato il caso del vaccino antinfluenzale Flaud. «Nel 2014 la stampa ha riportato le morti sospette di 3 anziani. La popolazione più in là con gli anni si è spaventata e non si è vaccinata. Quell'anno sono morti mille anziani in più dell'anno scorso, e sono morti di paura, non di vaccino». Il 10 marzo il "sistema di vigilanza europeo degli eventi avversi" aveva registrato 30 casi di trombosi in 5 milioni di vaccinati. «Questo numero», ha dichiarato la Società italiana per lo studio dell'Emostasi e della Trombosi, «è paragonabile al tasso di trombosi abitualmente registrato nella popolazione generale».

MaS. per "il Giornale" il 16 marzo 2021. La sfiducia dei confronti di Astrazeneca c'è sempre stata. Dall'inizio della campagna vaccinale è stato considerato il farmaco Cenerentola. Figuriamoci ora. Prima ancora di sapere della sospensione delle fiale in via precauzionale da parte di Aifa, in migliaia in tutta Italia hanno chiesto di rinviare l' appuntamento. Dopo lo stop in Lombardia, comunica la Regione, le disdette sono state 33.500. I dati arrivano in modo disordinato a seconda della Regione, ma l' umore è lo stesso in tutta Italia, da giorni. Anche se le morti per embolia di persone sane appena vaccinate si limitano a pochissimi casi (e non sono ancora confermate), la gente ha paura, non si fida. E di fatto la decisione di sospendere le vaccinazioni con le fiale Astrazeneca non ha fatto altro che tradurre in un documento ufficiale un terrore comune. Il Lazio e la Puglia dichiarano poche disdette, la Sicilia (dove la scorsa settimana è morto un militare per embolia) rileva un' autentica psicosi con oltre 10mila cancellazioni, Treviso ne denuncia una su quattro, la Sardegna ne registra una valanga. Per il momento poco valgono le rassicurazioni dei medici: «Tante persone hanno disdetto il loro appuntamento e hanno deciso di non vaccinarsi - scrive Antonio Pintus, medico infettivologo dell' Aou di Sassari - Capisco la paura, le notizie allarmistiche dei giorni scorsi e il decesso di tre persone pochi giorni dopo aver fatto il vaccino, ma consideriamo che sono state fatte circa 15 milioni di inoculazioni di Astrazeneca, e non vi è nessuna dimostrazione che quelle povere persone siamo morte a causa del vaccino. Il lotto da cui sono stati prelevate quelle dosi è stato messo sotto sequestro a titolo precauzionale, conosco diversi soggetti che hanno fatto la dose vaccinale in questione, alcuni senza nessun problema, altri con effetti che vanno dalla cefalea alla febbre alla stanchezza, ma tutto reversibile in uno, due giorni. Se vi hanno fissato un appuntamento andateci - conclude Pintus - vi metterete al riparo da una malattia che fa 300-400 morti al giorno, come se un piccolo paesino dell' Italia ogni giorno sparisse, pensateci bene». Ma in questo momento gli appelli a nulla valgono. La fiducia, già vacillante, è andata persa. E nemmeno Ema con le sue rassicurazioni sembra più avere peso. Non lo ha su Aifa, figuriamoci sulla popolazione. Se per qualche giorno il piano vaccinare reggerà, ovviamente il ritmo e l' agenda andranno rivisti, sia per recuperare i pazienti che si sono cancellati dagli elenchi sia perché i conti sulle 500mila iniezioni al giorno erano state fatte calcolando anche le forniture Astrazeneca. Intanto dagli ospedali italiani arrivano le denunce di casi sospetti (ancora da accertare) ma potenzialmente riconducibili al vaccino di Oxford: a Napoli una donna di 54 anni il 1° marzo si era sottoposta al vaccino ed è stata colpita da emorragia cerebrale.

AstraZeneca: il confronto con gli altri vaccini e quei miti da sfatare. Federico Giuliani su Inside Over il 17 marzo 2021. Vaccini, reazioni avverse, panico. Nell’Unione europea si è diffusa una fobia generale e generalizzante in merito alle dosi del vaccino realizzato da AstraZeneca e Università di Oxford. Tutto nasce in seguito alle molteplici segnalazioni di gravi problemi  di salute (e decessi sospetti) verificatesi, un po’ in tutta Europa, in alcuni pazienti appena vaccinati con l’AZD1222. La maggior parte dei Paesi Ue ha così deciso di sospendere temporaneamente, e in via precauzionale, l’uso del suddetto vaccino. Adesso toccherà agli enti regolatori di ciascuno Stato fare chiarezza sulla vicenda, ufficializzando o smentendo il nesso di causa-effetto tra le reazioni avverse dei pazienti vaccinati con l’AstraZeneca e il vaccino realizzato dall’azienda anglo-svedese. La situazione è paradossale, visto che si è scatenata un’autentica psicosi prima ancora di un’eventuale correlazione tra i gravi problemi di salute registrati e il prodotto. Detto in altre parole, molti dei problemi che hanno provocato il panico collettivo potrebbero essere semplicemente avvenuti temporalmente dopo la vaccinazione, senza un nesso apparente con la somministrazione delle dosi.

Vaccini ed effetti collaterali. Tutti i vaccini e i medicinali, inoltre, hanno effetti collaterali. Il punto è che, nel corso del tempo, questi effetti devono essere continuamente bilanciati con i benefici attesi nel prevenire le malattie che intendiamo sconfiggere. Finché le reazioni avverse – che, matematicamente parlando e per la legge dei grandi numeri risultano fisiologiche – sono rare, ridotte e irrisorie, non ha alcun senso alimentare il panico. A maggior ragione in un momento delicato come questo, in cui l’Europa fatica a reperire i vaccini necessari da distribuire a tutti i Paesi membri. Il tam tam mediatico delle ultime ore potrebbe, in sostanza, convincere le persone – molte delle quali di per sé già diffidenti nei confronti dei vaccini – a rifiutare l’inoculazione del prodotto AstraZeneca. E questo sarebbe un grave errore, visto che nel Regno Unito, dove sono state utilizzate circa 10 milioni di dosi dell’AZD1222, la Medicines & Healthcare products Regulatory Agency (MHRA) è stata chiarissima. L’Agenzia Regolatrice dei Prodotti per la Cura della Salute e delle Medicine dell’Uk ha ricevuto, dall’avvio del piano vaccinale al 28 febbraio, 214 reazioni avverse spontanee per il Pfizer-BioNTech e 194 per l’AstraZeneca. Capitolo decessi: l’MHRA ha ricevuto 227 segnalazioni di sospette reazioni avverse al Pfizer-BioNTech che avrebbero provocato la morte dei pazienti, e 275 per l’AstraZeneca.

Numeri a confronto. Nel Regno Unito è scoppiato il panico? Neanche per idea. Mentre la natura e la frequenza delle segnalazione sugli effetti avversi sono state definite rare e “in linea” con gli ultimi aggiornamenti, per il resto non sono stati riscontrati legami “tra la vaccinazione e gli incidenti mortali segnalati”. Insomma, a detta degli esperti inglesi, il vaccino di AstraZeneca non avrebbe svolto alcun ruolo nella morte degli individui registrati. Sfatato il primo mito, ossia che l’AstraZeneca sia un vaccino pericolosissimo, è adesso interessante dare un’occhiata ai problemi causati dagli altri vaccini anti Covid attualmente in uso in Europa. D’altronde, la vulgata popolare ha già bollato l’AZD1222 un mezzo flop, incoronando invece i prodotti di Pfizer-BioNTech e Moderna i migliori sulla piazza. È davvero così? Diamo uno sguardo ai dati raccolti dall’Ema, l’Agenzia europea del farmaco. Scopriamo che in realtà è il vaccino di Pfizer a registrare una più alta quantità di eventi avversi rispetto a quelli associati all’AstraZeneca. E lo stesso vale per i problemi cardiaci eventualmente collegabili alla somministrazione del vaccino. Al 13 marzo, il Tozinameran – questo il nome del vaccino Pfizer-BioNTech – ha registrato 102.100 reazioni avverse in tutta Europa. Il prodotto di Moderna ha invece fin qui registrato 5.939 reazioni avverse, mentre l’AstraZeneca, unico vaccino fin qui stoppato da discreto numero di governi, ne ha totalizzate 54.571. Dulcis in fundo, l’AZD1222 è stato “accusato” di provocare problemi cardiaci. Ebbene, anche in questo caso, i numeri “scagionano” in un certo senso il siero anglo-svedese. Sempre considerando i dati Ema, al 13 marzo il vaccino di AstraZeneca ha fatto registrare 2.080 reazioni avverse assimilabili a presunti problemi cardiaci, con 63 decessi sospetti; Pfizer 4.636 con 276 decessi sospetti e Moderna rispettivamente 501 e 96.

Cartabianca, "AstraZeneca cigno nero che fa deragliare l'Europa". Vaccini, cosa sa Antonio Caprarica. Libero Quotidiano il 17 marzo 2021. "Il cigno nero che fa deragliare l'Europa". Le conseguenze dello stop al vaccino Astrazeneca, con tutto quello che ne consegue in termini di fiducia della popolazione, potrebbe avere conseguenze inimmaginabili. Di certo, al momento, difficilmente prevedibili. A Cartabianca lo storico inviato Rai Antonio Caprarica, esperto di Gran Bretagna, coglie la scissione avvenuta plasticamente tra Londra e l'Unione europea proprio sul caso AstraZeneca. Il premier Boris Johnson ha deciso di continuare la campagna vaccinale nonostante alcune morti sospette, Bruxelles ha tentennato e i governi dell'Unione, presi dal panico, hanno deciso di stoppare i vaccini del siero anglo-svedese. "I politici usano la scienza come vogliono - accusa in collegamento con Bianca Berlinguer il professor Pierluigi Struzzo, medico italiano attivo a Londra -. Prima dicono che vogliono seguire gli esperti. Poi, quando escono quattro casi che fanno scalpore, bloccano tutto. È chiaro che ci siano altre influenze sulle decisioni prese".  Anche Michele Mirabella punta il dito contro l'Ue: "Perché l’industria europea e italiana non hanno investito abbastanza nella ricerca contro i virus? L’Europa adesso ci ha lasciato nello sgomento". "La questione del vaccino - ammonisce Caprarica - potrebbe essere il cigno nero che fa deragliare l’Europa. Hanno ragione quelli che hanno ribadito il punto: la decisione di sospendere AstraZeneca è stata politica. In Gran Bretagna volevano ridurre contagi e mortalità". Per questo hanno deciso di proseguire la campagna vaccinale a tambur battente, essendo l'unica arma a disposizione se si escludono deleteri lockdown totali. Una strada, quest'ultima, che l'Italia sembra invece considerare la più sicura, anche dopo la fallimentare esperienza del governo Conte 2 e l'approdo di Mario Draghi a Palazzo Chigi.

Cartabianca, Massimo Galli su AstraZeneca: "Tutta questa pubblicità negativa avrà conseguenze", Draghi e l'Ue hanno sbagliato? Libero Quotidiano il 16 marzo 2021. A Cartabianca, la trasmissione di Rai3 condotta da Bianca Berlinguer, ovviamente la puntata di martedì 16 marzo è partita dal caso di AstraZeneca, il cui vaccino è stato sospeso in via precauzionale sia in Italia che in gran parte dell’Europa. Il primo ospite a parlarne è stato Massimo Galli, che ha puntato su un effetto molto negativo che potrebbe avere tutta questa vicenda, dato che da giovedì molto probabilmente verrà ripresa la somministrazione. “Lo sto al vaccino di AstraZeneca? Un effetto domino partito da altre nazioni, con una presa di posizione a scopo cautelativo. Purtroppo - ha sottolineato il professor Galli - non hanno tenuto conto che una ‘pubblicità negativa’ legata a questo vaccino non può non avere conseguenze”. E infatti già prima che venisse imposto il blocco momentaneo erano state migliaia le persone che, pur avendone diritto, avevano rifiutato la somministrazione del siero di AstraZeneca, nonostante il numero di casi (circa una trentina su milioni) di effetti collaterali potenzialmente mortali (tra l’altro non riscontrati nelle varie autopsie) rappresenti una statistica praticamente irrilevante in confronto a quella dei morti certi per Covid di ogni giorno. “In cuor mio non me la sento di dire che la colpa sia del vaccino, dobbiamo continuare a crederci”: queste sono state le parole di Simona Riussi, moglie dell’insegnante di clarinetto morto dopo la somministrazione del vaccino AstraZeneca, lette da Corrado Augias in studio dalla Berlinguer. 

AstraZeneca, Pietro Senaldi: "L'ennesima genialata dell'Europa: terrorizzare tutti i suoi cittadini". Libero Quotidiano il 16 marzo 2021. Il direttore di Libero Pietro Senaldi sulla sospensione del vaccino AstraZeneca: “Per precauzione e per prudenza l’Europa terrorizza tutti i suoi cittadini. È questo l’effetto della decisione presa dai ministri della Salute di Italia, Francia, Germania e Spagna. E qual è la ragione? C’è stato un morto ogni 50mila vaccinati, più o meno. Senza che sia ancora stata provata una relazione tra il decesso e l’inoculazione del siero. Sapremo giovedì che cosa deciderà l’Ema. E intanto avremo perso tre giorni in cui avremmo potuto continuare a somministrare vaccini e, a causa dell’allarme dei governi, le persone rifiuteranno AstraZeneca. Eppure sappiamo che è l’unico modo per uscire dall’emergenza sanitaria”.

AstraZeneca, Paolo Mieli a L'aria che tira: "Mario Draghi e lo stop ad AstraZeneca? Rischiava di essere un uomo finito". Libero Quotidiano il 16 marzo 2021. “La grande imputata di questi giorni è l’Europa, che sta facendo una gran brutta figura”. Così Paolo Mieli è intervenuto a L’aria che tira, dove è stato ospite in studio di Francesco Magnani, che oggi ha sostituito Myrta Merlino nel corso della diretta su La7. “E non la sta facendo oggi su AstraZeneca - ha chiarito il giornalista del Corriere della Sera - ma da tempo, perché ha sottovalutato troppe questioni. Io mi sento europeo ed europeista, quindi dico che abbiamo fatto cattivi contratti con le case farmaceutiche”. Secondo Mieli l’errore più grave è stato di pensare di poter affrontare “una guerra di dimensioni mondiali in ordine sparso, facendo ognuno quello che gli pareva perché sostanzialmente veniva perdonato chi si muoveva in modo discorde dagli altri Paesi”. Il giornalista del Corsera ha ribadito che questa è una brutta figura e molto grave: “Siamo ancora in partita, ma questi leader si stanno dimostrando deboli. E purtroppo si è rivelata debole anche la Merkel, non solo la von der Leyen”. Anche Mario Draghi ha dato prova di indecisione? Venerdì aveva detto che i vaccini erano sicuri sulla base dei dati Ema e che quindi l’Italia sarebbe andata avanti, ma dopo due giorni anche lui ha deciso di disporre la sospensione di AstraZeneca: “No, lui è appena entrato in carica, è stato coerente e organico ai grandi Paesi europei. Bisogna ricordare che anche Germania e Francia hanno sospeso AstraZeneca, non poteva fare quello che è appena arrivato e si distingue. E poi c’è un discorso di sicurezza, perché se ti capitano tra capo e collo 2-3 morti nei prossimi giorni, poi sei un uomo finito”. 

DiMartedì, Pietro Senaldi: "Stop ad AstraZeneca allucinante, l'ennesimo omaggio ad Angela Merkel". Libero Quotidiano il 17 marzo 2021. "Allucinante". Pietro Senaldi, in studio da Giovanni Floris a DiMartedì su La7, definisce così lo stop alla vaccinazione con AstraZeneca, deciso dal governo italiano e dall'Aifa, la nostra agenzia del farmaco, dopo alcuni casi sospetti di soggetti morti dopo essersi vaccinati con il siero anglo-svedese. La Gran Bretagna, che pure in proporzione ha contato più vittime tra i vaccinati, è andata avanti a spron battuto in mancanza di prove scientifiche che evidenziassero un nesso tra il vaccino e i decessi. L'Unione europea ha invece assistito in silenzio alle reazione da panico dei vari paesi membri, che anche sull'onda emotiva e la reazione popolare ha deciso di fermare la campagna, con ovvie conseguenze negative sul piano della copertura  vaccinale e della fiducia della gente nei confronti dei vaccini anti-Covid. "Che si riprenda giovedì è una buona notizia - spiega il direttore di Libero -, ma viene da chiedersi perché ci siamo fermati lunedì". La risposta, forse, più che nella cautela sanitaria è da ricercarsi nella politica. Nella paura, in altre parole, che la gente spaventata volti le spalle ai governanti "insensibili". "La mia sensazione? Pressioni internazionali eccetera, che è l'ennesimo omaggio alla Germania. Angela Merkel si è spaventata, ha fermato tutto, c'è stato un giro di telefonate tra i ministri della Salute e noi ci siamo adeguati. Vale la solita regola: un morto in Germania, 8 morti in Italia al giorno, come dice la dottoressa Salmaso. Il dato vero è che in Inghilterra prima della vaccinazione c'erano 1.000 morti al giorno e oggi ce ne sono meno di 100".

DiMartedì, AstraZeneca e la bomba di Concita De Gregorio: "Gira una voce, la dico anche se non sono complottista". Libero Quotidiano il 17 marzo 2021. Un complotto contro AstraZeneca? Ospite in studio da Giovanni Floris a DiMartedì, su La7, è Concita De Gregorio, prima penna di Repubblica che per la prima volta sembra titubare e cedere al dubbio del "retropensiero" e dei sospetti. Floris passa ai raggi X il vaccino anti-Covid della società anglo-svedese, stoppato in Italia a causa di alcune morti sospette. "Efficacia al 60%, poi alzata all'82,4%, più bassa degli altri vaccini. Sconsigliato ai soggetti fragili. Una Età raccomandata cambiata più volte, intervallo tra le dosi definito solo dopo l'approvazione dell'Ema e primi testi sulla variante sudafricana rivelano una bassa efficacia. Il dubbio viene no?", domanda il padrone di casa. "Il presidente dell'Aifa Magrini - risponde la De Gregorio - ha detto 'Io credo in questo vaccino'. Ecco noi oggi finalmente abbiamo risolto la diatriba millenaria tra fede e scienza, noi dobbiamo avere fede nella scienza". Dietro la scienza, però, c'è un'industria. Ed ecco qua l'inghippo, suggerisce Concita: "Circola la tesi di un complotto, la metto qui anche se non sono complottista. Siccome AstraZeneca è il vaccino low cost, quello che costa meno, che è più facile da esportare nei Paesi poveri e che non possono pagare e quello che ha una multinazionale più debole dietro, rispetto per esempio a Pfizer. E che soprattutto ha l'università, dietro...". "E non ha colossi come Stati Uniti e Russia", aggiunge Floris. "Ecco - riprende il filo del ragionamento la De Gregorio -, AstraZeneca sarebbe vittima dei poteri forti, Johnson&Johnson e Pfizer, che vorrebbero vincere questa partita e toglierla di scena. Io non ho gli strumenti per dire se sia vero. Ma intanto il seme del dubbio è stato seminato.

DiMartedì, Alessandro Sallusti e "il retropensiero" sullo stop ad AstraZeneca: "Guerra tra multinazionali dei vaccini". Libero Quotidiano il 17 marzo 2021. "Ho un retropensiero". Alessandro Sallusti, ospite di Giovanni Floris in collegamento con DiMartedì su La7, dà una lettura alternativa allo stop ai vaccini di AstraZeneca. "Io leggo i giornali stranieri ogni mattina, e non trovo queste polemiche e problematiche nei paesi produttori di vaccino, gli Stati Uniti, la Russia... Quelli vaccinano dalla mattina alla sera e se ci sono incidenti di percorso magari li registrano e indagano", ma di certo non bloccano tutta la macchina della campagna vaccinale. "Perché in Europa siamo ossessionati da questo? Perché siamo un mercato per questi tre vaccini. Devono conquistare l'Europa perché così conquisterebbero tanti soldi, oltre a tanto prestigio", sottolinea il direttore del Giornale. Insomma, dietro la campagna giudiziaria, mediatica e politica su AstraZeneca, società anglo-svedese rivale di Pfizer, Moderna, Sputnik e Johnson & Johnson, ci sarebbero interessi internazionali nemmeno tanto occulti. "Stiamo parlando di una guerra tra multinazionali e di lobby che le rappresentano, prima ancora di un problema scientifico. Mi spiegate altrimenti perché questi problemi non ci sono negli Stati Uniti, in Russia e in Inghilterra, che sono i tre Paesi che stanno vaccinando più di tutti?". Secondo il direttore di Libero Pietro Senaldi, invece, siamo di fronte a un problema eminentemente politico: "La Merkel si è spaventata e noi ci siamo adeguati, una cosa piuttosto allucinante". Risultato: l'Italia stoppa i vaccini AstraZeneca, gli stessi che in Inghilterra hanno permesso di ridurre il bilancio delle vittime da coronavirus da 1.000 al giorno prima delle vaccinazioni agli attuali meno di 100 decessi quotidiani.

AstraZeneca, Enrico Mentana non ha dubbi: "Nessun blocco sanitario, cosa c'è davvero dietro". Libero Quotidiano il 17 marzo 2021. "È un blocco politico al 100 per cento". Enrico Mentana non ha dubbi su quanto sta accadendo con AstraZeneca. Il direttore del Tg di La7, ospite a Tagadà, ha snocciolato i numeri e a suo dire, rispetto al totale di vaccinati, non devono preoccupare. Non a caso - ha spiegato a Tiziana Panella - "il blocco è stato sospeso non da un'autorità sanitaria, bensì politica". A spingere perché il vaccino contro il coronavirus venisse fermato non solo in Germania, anche la reputazione. "AstraZeneca a differenza di Pfizer e di Moderna è arrivata dopo e non senza intoppi, questo ha fatto sì che non godesse di ottima fama. Eppure - è la conclusione - funziona, anzi funzionissima quindi è imbarazzante tutto questo". Qualche giorno fa il direttore si era scagliato contro i paesi europei. Ancora una volta per aver creato inutili allarmismi: "Quindi il vaccino di Astrazeneca è stato sospeso in via precauzionale almeno fino a domani - quando dovrebbe arrivare la parola definitiva dell'Agenzia Europea del Farmaco - in Italia e in diversi altri paesi, come Francia e Germania. La svolta prudenziale conferma la fondatezza dei timori originati da diversi episodi dei giorni scorsi, che una parte dell'informazione ha segnalato con la dovuta evidenza, nonostante qualche ditino alzato di chi ammoniva così non si fa, perché la gente si impaurisce". Lo stesso Matteo Salvini non aveva usato mezzi termini a riguardo puntando il dito contro l'Europa: “AstraZeneca, altro fallimento dell’Europa. Non solo non arrivano i vaccini promessi, ma vengono sospesi quelli autorizzati - tuonava dopo la sospensione per un lotto "incriminato" -. Ma che fanno a Bruxelles? L’Ema deve aspettare fino a giovedì? Fa bene il governo italiano a correre per una produzione propria nazionale, e a contattare altri Paesi per forniture e produzione: si corra per verificare l’affidabilità del vaccino Sputnik, si chieda aiuto a India e Israele. Nella speranza che sulla pelle dei cittadini, italiani ed europei, non si stia giocando una guerra commerciale ed economica”. 

AstraZeneca, Maria Teresa Meli a L'aria che tira: "Lo stop? Decisione politica, Roberto Speranza lo ha confessato candidamente". Libero Quotidiano il 17 marzo 2021. Maria Teresa Meli si è collegata con Francesco Magnani a L’aria che tira, la trasmissione in onda tutti i giorni su La7, per affrontare il tema del vaccino di AstraZeneca, che è stato sospeso per un eccesso di precauzione. “Su 17 milioni di inglesi vaccinati - ha esordito la giornalista del Corriere della Sera - ci sono state soltanto 15 embolie e 22 trombosi, cioè nulla. Angela Merkel si è presa paura ma lei ha anche Pfizer, la Germania è co-produttrice di quel vaccino, ha investito decine di milioni, per cui bloccare AstraZeneca non era un problema”. Invece per gli altri Paesi, a partire dall’Italia che aveva appena riorganizzato il piano vaccinare, lo era eccome: “Prima si è accodato Macron, poi Draghi e infine un po’ tutti. È stata una scelta dettata dalla paura e dall’eccesso di prudenza, ora tornare indietro è complicato perché chi è che si fiderà più? Già in Italia c’è una incomprensibile paura per i vaccini, una diffidenza nei confronti della scienza, adesso sarà molto difficile vaccinare con AstraZeneca”. La Meli ha portato l’esempio del Lazio, dove dopo Pfzier quello si AstraZeneca è il siero maggiormente a disposizione. “Non so quanto sia possibile ricreare un clima di fiducia, forse avremmo dovuto essere più prudenti al contrario, pensandoci un attimo prima di accodarci alla Germania”, ha aggiunto la Meli che poi ha voluto mettere in chiaro un aspetto importante: “Il ministro Speranza ha ammesso candidamente che ci siamo fermati quando c’è stato lo stop della Germania. Non c’è stata alcuna consultazione con il Cts, è stata una decisione politica”. 

Blocco AstraZeneca, è tutta questione di soldi? Michele Dessì il 17 marzo 2021 su Il Giornale. Siamo proprio sicuri che AstraZeneca sia un vaccino pericoloso e mortale? A dire degli esperti no! E noi, degli scienziati, dobbiamo fidarci. E se la parola di uno studioso non dovesse bastare, ci sono i numeri a confortarci: 15 embolie polmonari e 22 trombosi su 17 milioni di vaccinati in tutta Europa. Siamo sicuri che gli altri vaccini siano sicuri? No! Non ci sono certezze, anche dopo la somministrazione di Pfizer, ad esempio, si sono registrati casi di morti sospette. Nessuno ne parla, nessuno punta il dito contro il colosso americano. Nessuno blocca il vaccino. Né la Germania, né la Francia. Come mai? Non è dato sapere. Tra i tanti misteri, però, c’è un fatto certo (oltre alla sfiducia degli italiani nel siero anglo svedese) il costo dei vaccini per ogni singola dose.

ASTRAZENECA 1,78 euro

JOHNSON & JOHNSON 7,14 euro

SANOFI 7,56 euro

CUREVAC 10 euro

PFIZER 12 euro

MODERNA 15,12 euro

Dopo il blocco di AstraZeneca la multinazionale Usa  che produce Pfizer ha annunciato che la produzione per l’Europa è in crescita. Come il loro fatturato. 

COME MAI SI PARLA SOLO DELLE REAZIONI AVVERSE DI ASTRAZENECA E NON DI QUELLE PFIZER?  Dagospia il 18 marzo 2021. Questi dati sono stati resi pubblici dal Governo Inglese. Si tratta delle reazioni al vaccino Pfizer

Data di esecuzione: 4 marzo 2021

VACCINO PFIZER 

* Disturbi del sangue: 2.033

* Disturbi cardiaci: 1,032

* Disturbi congeniti: 3

PUBBLICITÀ

* Disturbi dell'udito: 713

* Disturbi endocrini: 10

* Disturbi dell'occhio: 1.242 (12 cecità)

* Disturbi gastrointestinali: 9.360

* Disturbi generali: 26.391

* Disturbi del fegato: 17

* Disturbi del sistema immunitario: 466

* Infezioni: 1,863

* Lesioni: 393

* Indagini continuate: 965

* Disturbi metabolici: 525

* Disturbi del tessuto muscolare: 11,565

* Neoplasie: 20

* Disturbi del sistema nervoso: 16,107

* Associati alla gravidanza: 29

VACCINO PFIZER 1

* Disturbi psichiatrici: 1,235

* Disturbi renali / urinari: 187

* Sist.  Riproduttivo: 338

* Disturbi respiratori: 3,575

* Disturbi della pelle: 6,042

* Disturbi vascolari: 992

* Morti: 212

* Procedure mediche e chirurgiche: 45

Le reazioni avverse del vaccino Pfizer. Scatta il "cartellino giallo". Perché AstraZeneca si e Pfizer no? Sono decine di migliaia le segnalazioni di effetti collaterali nel Regno Unito dopo la somministrazione del vaccino: tra gli eventi avversi più frequenti, disturbi del sistema nervoso e problemi gastro-intestinali. Alessandro Ferro - Ven, 19/03/2021 - su Il Giornale. Nonostante l'ok di poche ore fa da parte dell'Ema, il vaccino di AstraZeneca viene ancora considerato (sbagliando) con molto scetticismo mentre Pfizer/BioNtech, nell'immaginario collettivo, è ritenuto un vaccino di "Serie A", sicuro ed affidabile.

Ma è davvero così? Siamo proprio sicuri che non abbia già causato numerose reazioni avverse?

Cosa dice il governo inglese. Un report del governo inglese, la fonte più autorevole possibile oltre Manica, fa un riepilogo generale prima di passare ai casi conclamati registrati fino al 7 marzo 2021 dopo 10,9 milioni di prime dosi del vaccino Pfizer/BioNtech. Durante gli studi clinici che hanno coinvolto più di 44mila partecipanti, le reazioni avverse più frequenti sono state dolore al sito di iniezione, affaticamento, mal di testa, mialgia (dolori muscolari), brividi, artralgia (dolori articolari) e febbre; ognuno di questi è stato segnalato in più di 1 persona su 10. "Queste reazioni sono state generalmente di intensità lieve o moderata e si sono risolte entro pochi giorni dalla vaccinazione. Le reazioni avverse sono state riportate meno frequentemente negli anziani (oltre i 55 anni) rispetto ai giovani".

Ecco il "cartellino giallo" del vaccino. L'ente che, nel Regno Unito, ha la responsabilità di garantire che i medicinali ei dispositivi medici funzionino e siano accettabilmente sicuri è l'MHRA (Medicines and Healthcare products Regulatory Agency), l'equivalente della nostra Aifa. Ebbene, il rapporto datato 7 marzo 2021 segnala 35.325 cartellini gialli per il vaccino Pfizer/BioNtech da quando il siero è in somministrazione. Lo schema "Yellow Card" è un meccanismo mediante il quale chiunque può segnalare volontariamente qualsiasi reazione avversa o effetto collaterale sospetto al vaccino. È molto importante notare che un rapporto del cartellino giallo non significa necessariamente che il vaccino abbia causato quella reazione o evento. "Chiediamo che venga segnalato qualsiasi sospetto, anche se il giornalista non è sicuro che sia stato causato dal vaccino. Le segnalazioni allo schema sono note come sospette reazioni avverse (ADR)", scrive il governo inglese sul proprio sito.

Disturbi generali anche gravi. Serie A o no, le segnalazioni per Pfizer sono enormi: oltre alle 35mila del "cartellino giallo", eccone svariate migliaia registrate dal governo britannico all'interno del report che noi alleghiamo integralmente, dove sono riportate 64 pagine di file in Pdf in cui sono indicate, in rigoroso ordine alfabetico, tutte le reazioni avverse o effetti collaterali che dir si voglia del vaccino ad Rna messaggero. Sulla colonna di destra sono indicati il "Total" della reazione in questione ed il "Fatal", cioè persone che sono andate incontro a decessi. In questo caso, però, i casi si contano sulle dita di una mano e non è stato dimostrato il nesso causa-effetto. Gli eventi più frequenti che sono stati segnalati hanno riguardato, per la maggior parte, disturbi generali (ben 26.391) seguiti da disturbi del sistema nervoso (16.107). Al terzo posto si piazzano i disturbi del tessuto muscolare (11.565), a seguire disturbi gastrointestinali (9.630) e disturbi della pelle in poco più di seimila casi. Tra quelli più gravi, però, sono stati segnalati 2.033 casi di disturbi del sangue e 1.242 disturbi dell'occhio di cui 12, si legge, avrebbero causato cecità. Sopra i mille anche i disturbi cardiaci. Insomma, se è vero che su quasi 11 milioni di somministrazioni gli effetti collaterali rappresentano soltanto una percentuale minima, anche il vaccino Pfizer/BioNtech non è esente da effetti collaterali anche gravi, ed il polso della situazione lo abbiamo visto con decine di migliaia di segnalazioni su molti sintomi. Questo report non deve far spaventare ma dovrebbe riabilitare, per così dire, anche il vaccino AstraZeneca, attaccato senza prove certe (non ancora) dopo i casi di trombosi e i decessi dei due militari in Sicilia.

Dietro il caso AstraZeneca c’è la guerra dei vaccini tra multinazionali e grandi potenze. Bruxelles contro Usa e Gran Bretagna che fanno scorta di dosi a spese dell'Unione Europea. E mentre le big del farmaco hanno ricevuto miliardi dai governi per la ricerca, i contratti di fornitura restano segreti. Vittorio Malagutti su L'Espresso il 18 marzo 2021. Colpito e affondato. Lunedì 15 marzo il siluro dell’Agenzia europea del farmaco (Ema) contro AstraZeneca ha cambiato le carte in tavola nel grande gioco dei vaccini. Dopo l’ok ricevuto in seconda battuta dall’Ema, la multinazionale anglo-svedese resta in campo, ma dovrà riconquistare in tempi brevi la fiducia dell’opinione pubblica internazionale, perlomeno quella del Vecchio continente. Da settimane, in verità, l’azienda guidata dall’amministratore delegato Pascal Soriot era sulla difensiva. Le dichiarazioni contraddittorie di politici e autorità sanitarie sull’efficacia del vaccino per la popolazione più anziana hanno alimentato la diffidenza dei cittadini. Mentre i ritardi nelle consegne delle dosi promesse all’Unione Europea erano da tempo al centro di polemiche e controversie con i governi. A fine febbraio, in un’intervista al quotidiano Frankfurter Allgemeine, anche Angela Merkel aveva parlato di «problemi di accettazione» per il vaccino di AstraZeneca. E adesso, a tre settimane di distanza da una dichiarazione che molti osservatori hanno interpretato come l’annuncio della tempesta in arrivo, siamo arrivati a un punto di svolta in una battaglia che vale decine di miliardi di euro e coinvolge i giganti globali dell’industria farmaceutica variamente sostenuti dalle grandi potenze. È il nuovo nazionalismo dei vaccini. La cooperazione internazionale tanto sbandierata a parole, cede il passo all’egoismo dei singoli governi, pressati dai propri elettori e terrorizzati di fronte al baratro di una prolungata recessione economica. Ogni Stato guarda al proprio interesse, a maggior ragione quando si tratta di mettere fine a una pandemia che è già costata circa 2,7 milioni di morti nel mondo e migliaia di miliardi euro in termini di Pil: il 6 per cento di quello globale nel 2020 e forse il 4 per cento quest’anno. Negli Stati Uniti, il neoeletto presidente Joe Biden ha di fatto confermato la linea protezionista del suo predecessore Donald Trump, chiudendo le frontiere all’export di vaccini. Ancora nei primi giorni di marzo, nonostante le pressioni della diplomazia europea, Washington ha ribadito di non aver nessuna intenzione di consentire la vendita all’Unione europea degli stock prodotti e poi accantonati nei magazzini Usa. Il divieto riguarda anche le dosi di AstraZeneca, almeno 10 milioni, che giacciono invendute in attesa del via libera dell’ente statunitense di sorveglianza, previsto non prima di maggio. Dopo quanto è successo nei giorni scorsi è improbabile che Bruxelles torni alla carica per ricevere quello stock di vaccini custodito oltre Atlantico. Di certo lo scontro con gli Stati Uniti illumina una volta di più la debolezza della posizione dell’Unione europea, costretta di volta in volta a inseguire le multinazionali del farmaco oppure a subire l’iniziativa americana e quella di Londra, fresca di Brexit, con il primo ministro Boris Johnson che non vede l’ora di far valere i presunti vantaggi della sua scelta isolazionista. Nell’estate dell’anno scorso la Commissione di Bruxelles ha siglato sei contratti con altrettanti produttori di vaccino per una fornitura complessiva di 2,3 miliardi dosi da distribuire ai 27 paesi membri nell’arco dei successivi due anni. Non esistono dati precisi sul valore di questi accordi, ma l’ipotesi più accreditata fissa in circa 4,5 miliardi di euro l’impegno finanziario complessivo dell’Unione. Oltre a Pfizer, AstraZeneca, Moderna e Johnson & Johnson, i cui vaccini sono già stati autorizzati dall’Ema, le intese riguardano anche la tedesca Curevac e l’alleanza anglo-francese Gsk-Sanofi, che ancora devono completare i test clinici sui loro farmaci anticovid. Ai primi dell’anno però, quando la partita è entrata nel vivo e sono cominciate le consegne, l’Europa si è accorta di aver giocato male le sue carte. Gli Stati Uniti, che hanno varato l’operazione Warm Speed da quasi 12 miliardi di dollari, e la Gran Bretagna, che ha firmato accordi con quattro produttori (100 milioni di dosi dalla sola AstraZeneca), si erano serviti in anticipo, spuntando le condizioni migliori. «La firma del primo contratto tra AstraZeneca e il governo di Londra è di tre mesi precedente all’intesa dell’agosto 2020 con la Ue», ha dichiarato a fine gennaio il numero uno della multinazionale anglo-svedese, Pascal Soriot, in risposta alle critiche di chi lo accusava di privilegiare le forniture verso Londra rispetto a quelle destinate ai paesi Ue. Alcuni commentatori, come l’economista tedesco Daniel Gros, hanno segnalato che l’Unione europea ha mercanteggiato troppo sul prezzo senza ottenere impegni imprecisi e vincolanti da parte delle imprese in merito ai tempi e alle quantità delle consegne. AstraZeneca ne ha subito approfittato. I 100 milioni di dosi pattuiti nel contratto per il primo trimestre dell’anno sono dapprima diventati 31 milioni per poi scendere ancora. Alla vigilia dello stop precauzionale deciso dell’Ema lunedì 15 marzo eravamo intorno ai 12 milioni. Peggio ancora. Mentre la diplomazia di Bruxelles arrancava all’inseguimento di multinazionali del farmaco come Pfizer e AstraZeneca si è scoperto che grandi quantitativi di dosi hanno preso il volo dagli stabilimenti europei di quelle stesse aziende verso Stati Uniti e Gran Bretagna. Un’inchiesta del New York Times che citava documenti riservati della Commissione ha rivelato che tra il primo febbraio e il 9 marzo almeno 34 milioni dosi targate Ue sono state esportate, in gran parte con destinazione Londra. A fine febbraio, il governo di Roma ha fatto ricorso una norma d’emergenza da poco approvata in sede europea per bloccare un carico di 250 mila vaccini AstraZeneca in partenza dall’Italia verso l’Australia, dove peraltro la pandemia è in ritirata ormai da tempo, con poche decine di casi al giorno. Nel nostro Paese, per la precisione ad Anagni, si trova uno stabilimento, controllato dal gruppo statunitense Catalent, che si occupa del confezionamento delle dosi di vaccino per conto della multinazionale guidata da Soriot, la cui rete produttiva si estende anche alla Germania, al Belgio e all’Olanda. Secondo quanto dichiarato dallo stesso Soriot, i ritardi nelle forniture si spiegherebbero con contrattempi e imprevisti vari che hanno rallentato il lavoro di questi impianti. Le difficoltà sono in parte comprensibili. Per far fronte a una domanda di farmaci che nel frattempo è esplosa, i laboratori sono stati costretti ad aumentare la produzione a un ritmo fino a poco tempo fa neppure immaginabile. Guarda caso però, si ribatte a Bruxelles, i problemi si sono concentrati nelle fabbriche in territorio Ue, mentre tutto è andato liscio sul suolo britannico, dove si producono i vaccini acquistati dal governo di Londra. In questo clima di sfiducia, tra veleni e accuse reciproche, nessuno si fida più di nessuno. Neppure tra i paesi Ue. La Germania, il paese che più si è esposto per il blocco precauzionale ad AstraZeneca, è parte interessata della vicenda. Batte bandiera tedesca, infatti, la Biontech che ha sviluppato insieme a Pfizer il rivoluzionario vaccino anticovid con la tecnologia mRna. I profitti miliardari dell’operazione verranno spartiti in parti uguali tra le due società. Da qui il sospetto che l’accanimento di Berlino contro la multinazionale anglo-svedese sia in parte spiegabile con la difesa di ben precisi interessi commerciali. Alla periferia dell’Unione, intanto, c’è già chi preferisce far da sé. L’intesa tra i Paesi Ue prevede che la gestione delle forniture venga delegata a Bruxelles, che trattando per tutti acquista maggior peso al tavolo dei negoziati commerciali. L’Ungheria di Viktor Orbán, in grave difficoltà nella gestione della pandemia, non ha però esitato a rompere gli accordi per rivolgersi in cerca di aiuto alla Cina, che ha prontamente risposto. A Budapest è così arrivato un carico di vaccini Sinopharm. Vince Pechino, quindi. E vincono anche gli intermediari che hanno facilitato l’operazione, visto che secondo quanto ammesso dallo stesso governo ungherese, la consegna è stata recapitata da una società terza che si è fatta pagare le dosi 30 euro ciascuna, un prezzo ben superiore rispetto, per esempio, ai 15 euro circa del contratto tra Unione europea e Pfizer. I cinesi, al pari dei russi con il loro Sputnik, cercano di farsi largo sul ricco mercato europeo sfruttando le divisioni e i conflitti tra i Paesi Ue. È uno scontro sotterraneo, una guerra di spie e di anonimi mediatori. Del resto, neppure Bruxelles ha scelto la trasparenza. I dettagli dei contratti di fornitura siglati nell’arco dell’ultimo anno dall’Unione Europea, così come quelli analoghi di Stati Uniti e Regno Unito, restano un segreto ben custodito dai singoli governi. E diventa quindi complicato valutare quali saranno i profitti delle multinazionali impegnate nel nuovo gigantesco business dei vaccini. Secondo le stime più aggiornate Moderna e Pfizer dovrebbero quest’anno incassare tra i 15 e i 20 miliardi di euro ciascuna. Più difficile immaginare a quanto ammonteranno gli utili. Forse il 15 per cento dei ricavi, forse di più. Fin d’ora, comunque, si può dire che AstraZeneca si è mossa su una strada diversa rispetto a Moderna e Pfizer, che insieme a Biontech hanno da subito dichiarato di voler realizzare un profitto dalla vendita dei loro vaccini. AstraZeneca invece ha garantito prezzi di gran lunga più bassi, riducendo a zero i propri margini di guadagno. È una strategia a lungo termine, che ha come obiettivo finale quello di conquistare la fetta più larga possibile del mercato una volta passata la pandemia. E cioè quando, nei prossimi anni, la vaccinazione anticovid diventerà, come prevedono molti studiosi, una prassi comune come è oggi quella contro l’influenza stagionale. Adesso, come minimo, AstraZeneca dovrà rivedere i propri programmi. Sul piano dell’immagine e della reputazione i rischi sono molto alti. I bilanci invece potrebbero salvarsi. Non per niente, subito dopo l’intervento dell’Agenzia europea del farmaco, i titoli del gruppo hanno addirittura messo a segno alcuni rialzi alla Borsa di Londra, perché gli investitori sono convinti che la multinazionale, forte di un ricco portafoglio di farmaci, non avrà grandi problemi in futuro. Il mondo assediato dalla pandemia ha un gran bisogno del vaccino. AstraZeneca invece può anche farne a meno. E continuare a guadagnare miliardi di euro ogni anno.

Vaccino, i profitti di BigPharma "tra 120 e 150 miliardi di dollari": le cifre e il sospetto, guerra economica sulla nostra pelle? Libero Quotidiano il 17 marzo 2021. Giovedì 18 marzo arriverà la tanto attesa decisione dell'Ema riguardo all'utilizzo del vaccino anglo-svedese AstraZeneca. Sin da subito, molti Paesi dell'Ue hanno deciso di inoculare il serio solo a determinate fasce della popolazione, ritenendolo inutile per le fasce d'età dai 65 anni in su. "Pensiamo che per le persone di più di 65 anni, il vaccino AstraZeneca sia quasi inefficace" aveva detto il presidente francese Emmanuel Macron, correggendo successivamente la sua affermazione. In italia la soglia era stata abbassata a 55 anni. Ma cosa c'è realmente dietro al mercato dei vaccini? La battaglia contro il virus si è trasformata in una battaglia commerciale dei vaccini, nella quale non conta tanto l'efficacia del siero, quanto il Paese di provenienza. La corsa al vaccino ha messo in luce gli scontri geopolitici che si rinnoveranno anche nei prossimi anni. L'insediamento di Joe Biden alla casa bianca ha portato di nuovo in auge il patto transatlantico, riavvicinando l'Unione europea agli USA. Così ci siamo piegati alle linee guida di Bruxelles, acquistando dosi dai Paesi occidentali, a discapito di quelli orientali. La "cortina di ferro" è così diventata "cortina del siero". Questo riavvicinamento avviene in uno scenario in cui Ue e Londra devono ancora fare i conti con l'impatto di Brexit. Trump era stato un forte sostenitore di Boris Johnson, e del suo progetto sui vaccini di AstraZeneca. Inoltre, non si tratta soltanto di un confronto diplomatico, bensì di un mercato, attraverso il quale le industrie farmaceutiche coinvolte stanno traendo profitti stratosferici. Secondo il Corriere della Sera, solo nel 2021 al mondo verranno vendute almeno dieci miliardi di dosi di vaccini, che porteranno nelle casse dei gruppi di BigPharma tra i 120 e 150 miliardi di dollari di ricavi in più. Le differenze dei vaccini non sono soltanto strutturali, ma colpiscono anche il prezzo: 16 euro è il prezzo medio di una dose prodotta da Pfizer e BoNTech, 2,80 euro, invece il prezzo a dose del preparato AstraZeneca. Non è chiaro se alcuni politici europei vogliano vendicarsi per i ritardi nelle consegne di AstraZeneca, oppure se si cerchi di sminuire un successo di Londra, fresca dal completamento del periodo di transizione per uscire formalmente dall'Ue (periodo durato ben 4 anni). Guarda caso, dubbi sono stati sollevati solo nei confronti dei vaccini prodotti da Paesi con cui l'Ue ha un rapporto complicato, mentre nessuna domanda è stata posta ad esempio riguardo a quello americano di Pfizer e BioNTech. Dopo un anno di reclusione per il popolo italiano, quello che conta è uscire da questa situazione. Non importa se ad aiutarci siano gli americani, i russi o i cinesi. L'importante è che gli aiuti siano efficaci.

Vaccino, guadagni e profitti: il grande business delle Big Pharma ai raggi X. Federico Giuliani su Inside Over il 19 marzo 2021. Una torta ghiottissima, per un guadagno assicurato compreso tra i 120 e i 150 miliardi di dollari. E questo considerando solo le stime relative al 2021. Già, perché il grande business dei vaccini anti Covid durerà un bel po’ di anni, almeno a giudicare dalle caratteristiche del Sars-CoV-2. Tra varianti e mutazioni del virus, la sensazione è che ogni anno le Big Pharma dovranno impegnarsi a creare farmaci “aggiornati”, o comunque capaci di tenere lo stesso passo del nemico invisibile. Questo significa che gli affari andranno a gonfie vele anche ben oltre il termine del primo giro di vaccinazioni globali, che pure richiederà ancora diversi mesi. E lascia intendere che, nel medio-lungo periodo, potranno irrompere sul mercato vaccini nuovi, mai sentiti o innovativi. Al momento, infatti, abbiamo imparato a conoscere un solo un pugno di aziende: Pfizer, BioNTech, AstraZeneca, Moderna e Johnson & Johnson, soltanto per citarne alcune. Ebbene, non è detto che, nel prossimo futuro, continueremo a utilizzare i loro vaccini. Una società sconosciuta potrebbe infatti creare un prodotto più funzionale ed efficace di quelli attualmente autorizzati, e stravolgere completamente un mercato, quello dei vaccini anti Covid, ancora gli albori e a dir poco “liquido”.

Un mercato ricco di opportunità. Il mercato dei vaccini anti Covid sarà pure liquido, ma rappresenta anche un business miliardario capace, teoricamente, di accogliere nuovi attori protagonisti. Ma, detto in altri termini, deve ancora arrivare – e forse non arriverà mai – il “re” o la “regina” in grado di monopolizzare il settore. Nel frattempo, le aziende in prima fila in questa complessa battaglia commerciale si stanno affrontando senza esclusioni di colpi. È innegabile che ogni centimetro conquistato equivale a una fetta di torta più grande messa nel proprio piatto, e quindi a un profitto più elevato. Ogni Big Pharma ha investito tempo, energie e soprattutto risorse nel tentativo di creare un prodotto tanto efficace contro il Sars-CoV-2 quanto migliore rispetto alla concorrenza. Attenzione però, perché, nonostante i messaggi drammatici lanciati dai leader mondiali e la gravità dell’emergenza sanitaria che ha travolto il mondo, le case farmaceutiche scese in campo non sono organizzazioni senza scopo di lucro o enti benefici. Il loro obiettivo, proprio come tutte le aziende sul mercato, è fare profitto. I vaccini, pur necessari, fondamentali e decisivi per “uscire dall’incubo”, sono beni che le aziende vendono a un dato costo per ottenere un ritorno economico. Ci sono Big Pharma, come ad esempio Pfizer, che incasseranno i profitti in maniera “diretta”. Altre, come Johnson & Johnson, impiegheranno il ricavato per migliorare la ricerca scientifica, mentre altre ancora – è il caso di AstraZeneca – hanno assicurato di non guadagnare niente dal vaccino anti Covid. Queste ultime useranno il vaccino come una sorta di biglietto da visita per ottenere guadagni “indiretti”, come la vendita di altri farmaci o migliorare la loro quotazione in Borsa.

La scelta di AstraZeneca. Risulta pressoché impossibile definire il guadagno che ogni singola casa farmaceutica riceverà dal vaccino anti Covid che ha prodotto. Intanto perché, come detto, continueranno a essere vendute milioni e milioni di dosi nel corso del tempo. Poi, perché accordi, cifre e costi sono avvolti in una nube di fumo nerissimo. Possiamo soltanto attingere alle indiscrezioni riportate dai media internazionali e fare stime ipotetiche. Prendiamo ad esempio AstraZeneca, il cui vaccino è stato prima sospeso in numerosi Paesi per presunti gravi effetti collaterali, poi scagionato. L’attacco ricevuto dall’azienda anglo-svedese ha subito fatto pensare a un’operazione commerciale condotta da un soggetto non meglio definito. Di chi si tratta? Probabilmente – ma siamo nel campo delle ipotesi – qualcuno infastidito dal basso prezzo di mercato di ciascuna dose dell’AZD1222 o dalla diffusione raggiunta dal prodotto. Fatto sta che Piero di Lorenzo, presidente di IRBM, l’istituto italiano che collabora con AstraZeneca nei test di controllo sul vaccino anti Covid, ha rilasciato al Corsera un’interessante intervista. “L’azienda sta facendo uno sforzo sovrumano, dopo aver gestito tutta la sperimentazione clinica, per organizzare la produzione e la distribuzione di tre miliardi di dosi del vaccino senza guadagnare un centesimo. Sento tanti discorsi sul vaccino inteso come bene comune e sulla necessità di consentire a tutti di vaccinarsi per dovere etico nei confronti della collettività. Ebbene una multinazionale fa questa scelta e l’iniziativa viene metabolizzata come se rinunciare ad un pacco di miliardi di dollari fosse una ovvietà”, ha dichiarato. E sul prezzo per dose del vaccino di AstraZeneca di soli 2.80 euro, non ha dubbi: “Sulla estraneità di Pfizer e delle altre multinazionali rispetto alle perplessità che ho espresso metterei la mano sul fuoco. Al massimo qualche banda locale può aver strumentalizzato il prezzo di vendita nel quale non è stato incluso alcun profitto per AstraZeneca, per far passare l’idea che fosse dovuto ad un’efficacia minore”.

Guadagni e profitti. AstraZeneca, ovviamente, ricaverà pur qualcosa dal suo vaccino anti Covid. Cosa? Come ha sottolineato Cnbc, l’azienda anglo-svedese ha dichiarato che nel corso del 2020 la vendita dei suoi prodotti è aumentata del 10%. Stiamo parlando di un anno cruciale: quello della pandemia, quello in cui il nome AstraZeneca ha iniziato a circolare in tutto il mondo, anche nelle orecchie dei non addetti ai lavori. L’azienda ha affermato che era la prima volta in “molti anni” che le vendite trimestrali risultavano così ingenti. Il fatturato totale annuale è stato di 26,6 miliardi di dollari, mentre quello relativo al quarto trimestre di 7,4 miliardi (aumento del + 12%). “I risultati costanti in cantiere, l’accelerazione delle prestazioni della nostra attività e il progresso del vaccino contro il Covid-19 hanno dimostrato ciò che possiamo ottenere”, ha spiegato Pascal Soriot, CEO di AstraZeneca. La società ha inoltre fatto sapere che fornirà l’accesso al suo vaccino senza scopo di lucro per la “durata della pandemia”, anche se i tempi sono tutti da decifrare. Si è inoltre impegnata a fornire il vaccino senza scopo di lucro in perpetuo ai Paesi a basso e medio reddito. Nei guadagni di AstraZeneca non sono quindi inclusi i vaccini anti Covid. E le altre aziende? Stando a quanto riferito dalla Cnn, Pfizer prevede che le vendite del vaccino sviluppato con BioNTech possano ammontare a circa 15 miliardi di dollari entro la fine dell’anno, con un margine di profitto di quasi il 30%. Prevede inoltre entrate per il 2021 comprese tra i 44 miliardi e 46 miliardi di dollari, con almeno 14 miliardi di dollari di profitti, senza contare alcun aumento delle entrate derivanti dal vaccino anti Covid. I vaccini, ricordiamolo, sono solitamente i prodotti più redditizi nel catalogo delle Big Pharma, molto più dei farmaci usati per trattare condizioni o malattie croniche. Johnson & Johnson ha affermato che fornirà il vaccino senza scopo di luco finché il mondo continuerà a soffrire della pandemia. Il profitto è comunque assicurato, tra vendite future e ritorni d’immagine. Moderna è invece una società farmaceutica relativamente nuova, che fino al 2019 non aveva prodotti approvati per la vendita. Quell’anno, l’azienda americana contò su appena 60 milioni di entrate; nel 2020, grazie al vaccino anti Covid, ha invece incassato 529 milioni. E non è finita qui, perché le previsioni per il 2021 stimano un fatturato di 16 miliardi di dollari, in gran parte dovuto alle vendite di vaccini. Intanto, le azioni di Moderna sono schizzate alle stelle: + 187% negli ultimi 12 mesi. Ultima annotazione: i ricavi e i profitti delle aziende farmaceutiche derivanti dal vaccino anti Covid dipendono anche dagli eventuali contributi ricevuti. Pfizer, ad esempio, si è assunta tutti i rischi mettendo sul tavolo una cifra compresa tra 1 e 2 miliardi di dollari in ricerca e sviluppo. Logico, quindi, che si aspetti un consistente rientro economico dal vaccino sviluppato. Che, come ha avuto modo di spiegare il CEO dell’azienda americana, Albert Bourla, porta al mondo un valore “molto, molto più alto” del suo prezzo di mercato.

Quel pasticciaccio brutto dell’Europa sui vaccini. Alessandro Maran, Consulente aziendale, appassionato di politica estera, su Il Riformista il 17 Marzo 2021. Come sappiamo, nonostante le indicazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e dell’Agenzia europea per i medicinali (EMA) assicurino che non c’è motivo di ritenere che il vaccino contro il Covid-19 di AstraZeneca provochi trombosi, una serie di paesi europei (compreso il nostro) hanno sospeso temporaneamente le vaccinazioni, dopo che si sono registrati alcuni casi di decesso dopo la somministrazione del vaccino. E la lista dei paesi che sospendono l’uso del vaccino continua a crescere: ieri si sono aggiunti Cipro, il Lussemburgo, la Lettonia e la Svezia. La cosa, ovviamente, ha provocato grande sconcerto e, ovviamente, mezzo mondo ci guarda sbigottito. L’Europa, ha scritto la CNN, «è seduta su quasi 8 milioni di dosi inutilizzate del vaccino AstraZeneca». L’Economist ha parlato non solo di una decisione esageratamente prudente, ma di un errore concettuale nel ragionamento: «Il punto in discussione … è svincolare la causalità dalla correlazione», scrive il magazine. “Le trombosi sono frequenti. E lo sono, in modo crescente, i vaccini contro il Covid-19. EMA riconosce che ci sono stati 30 ‘eventi tromboembolici’ tra circa 5 milioni di persone a cui è stato somministrato il vaccino AstraZeneca. Che alcune persone con la trombosi abbiano anche fatto il vaccino contro il Covid è, di per sé, non più significativo del fatto che alcune di loro avranno probabilmente assunto integratori vitaminici o paracetamolo o fatto colazione”. Gli studi, del resto, non indicano alcuna differenza nel rischio di trombosi tra i gruppi trattati con placebo e le persone vaccinate con AstraZeneca, ha scritto sul Guardian David Spiegelhalter, presidente del Winton Center for Risk and Evidence Communication a Cambridge. Tuttavia, gli esseri umani sono notoriamente incapaci “di resistere alla tentazione di trovare relazioni causali” anche quando non ci sono. Per quanto riguarda le conseguenze, il columnist di Bloomberg Lionel Laurent ha sottolineato il costo nel ritardare le vaccinazioni e l’immunità di gregge: il gigante delle assicurazioni Allianz SE “ha stimato il costo di un ritardo di cinque settimane nella riapertura economica della UE a 90 miliardi di euro». Senza contare che se i governi europei sperano in questo modo di rabbonire un’opinione pubblica molto scettica riguardo ai vaccini, la sospensione può rivelarsi controproducente: secondo Michael Head, docente di global-health all’Università di Southampton (intervistato da Bobbie Johnson della MIT Technology Review), può “fissarsi indelebilmente nella coscienza dell’opinione pubblica” e “accrescere la riluttanza” a vaccinarsi. Ieri David Leonhardt del New York Times ha dedicato «The Morning», la newsletter quotidiana al «disastro dell’Europa sui vaccini». Il fatto è che i vaccini contro il Covid-19 funzionano, ha scritto Leonhardt. Nei paesi che hanno vaccinato una quota rilevante dei loro abitanti, il numero dei nuovi casi è in diminuzione, spesso in modo drastico. Questa è la situazione in Israele, negli Emirati Arabi Uniti e in Gran Bretagna. I casi stanno diminuendo anche negli Stati Uniti, che non sono ancora arrivati al punto a cui sono giunti questi tre paesi, ma sono comunque molto più avanti la maggior parte degli altri. “All’altro capo dello spettro” c’è appunto, sostiene Leonhardt, il continente europeo. Nella maggior parte dell’Unione Europea, il lancio del vaccino è stato lento e i nuovi casi sono in aumento. L’Europa è stata il primo luogo dove il coronavirus ha seminato la morte e ora è “di fronte alla prospettiva di emergere dalla morsa del virus per ultimo”. Sempre sul New York Times, Jason Horowitz ha scritto da Roma: “I governi stanno mettendo in lockdown popolazioni esauste. Le proteste di piazza stanno diventando violente. Un anno dopo che il virus ha iniziato a diffondersi in Europa, le cose sono sempre sorprendentemente allo stesso punto”; e come hanno scritto Eyck Freymann ed Elettra Ardissino su Foreign Policy: “La primavera nell’Unione europea sarà una cosa triste”. Si tratta di “propaganda anglo-americana”? Macchè. Perfino il giornale tedesco Bild ha titolato di recente “Liebe Briten, We Beneiden You!”, un misto di tedesco e di inglese che significa “Cari inglesi, vi invidiamo!”; e Wolfgang Münchau di Eurointelligence ha detto che il programma di vaccinazione europeo rivaleggia con l’austerità di bilancio degli ultimi anni per il titolo di “peggior errore politico dell’Unione europea della mia vita”.

Perché l’Europa si è mossa in modo così maldestro? Secondo David Leonhardt, tre sono i motivi principali. In primo luogo, c’è troppa burocrazia. Mentre gli Stati Uniti ed altri paesi si sono affrettati a firmare accordi con i produttori di vaccini, l’Unione europea per prima cosa ha cercato di assicurarsi che tutti i 27 paesi membri concordassero su come affrontare i negoziati. L’Europa ha scelto “di dare priorità al processo rispetto alla rapidità e all solidarietà tra i paesi della UE rispetto all’esigenza di dare ai singoli governi più margine di manovra”, hanno scritto Jillian Deutsch e Sarah Wheaton su Politico Europe. Il risultato è stato un’approvazione più lenta dei vaccini da parte delle autorità e accordi procrastinati per l’acquisto delle dosi, costringendo l’Europa ad aspettare in fila dietro ai paesi che si sono mossi più velocemente. In secondo luogo, c’è stata troppa taccagneria, sostiene Leonhardt ricorrendo ad un vecchio detto, “l’avarizia è nemica della saggezza”. L’Europa ha posto l’accento sulla negoziazione di un prezzo contenuto per le dosi del vaccino. I funzionari israeliani, al contrario, hanno pagato di buon grado un sovrapprezzo per ricevere le dosi rapidamente. Israele ha pagato circa 25 dollari per ogni dose Pfizer e gli Stati Uniti pagano circa 20 dollari per dose. La UE paga dai 15 ai 19 dollari. Il prezzo «scontato» è diventata perciò un’altra ragione per cui l’Europa ha dovuto aspettare il suo turno dopo altri paesi. Eppure, come ha scritto Münchau, “la differenza di prezzo è macroeconomicamente irrilevante”. Di più, anche in termini puramente economici, il trade-off sarà probabilmente negativo: ogni dollaro risparmiato per ciascuna dose del vaccino potrebbe ammontare alla fine ad 1 miliardo di dollari:  nient’altro che un “insignificante” errore di arrotondamento per un blocco commerciale con una produzione economica annuale di quasi 20 trilioni di dollari. Senza contare che potrebbe bastare un singolo ulteriore lockdown, come quello disposto dall’Italia questa settimana, per spazzare via ogni risparmio. Infine, c’è la paura dei vaccini. “L’Europa è l’epicentro mondiale dello scetticismo sui vaccini» hanno scritto Deutsch e Wheaton su Politico Europe. Questo scetticismo precede il Covid e ora le sue conseguenze si fanno sentire. In un sondaggio pubblicato sulla rivista Nature Medicine, agli abitanti di 19 paesi è stato chiesto se avrebbero preso un vaccino contro il Covid che si fosse «dimostrato sicuro ed efficace”. In Cina, l’89 per cento delle persone ha detto di sì. Negli Stati Uniti, il 75 per cento. In gran parte dell’Europa le percentuali sono state più basse: 68 per cento in Germania, 65 per cento in Svezia, 59 per cento in Francia e 56 per cento in Polonia. Il che, secondo Leonhardt, aiuta a spiegare il problema delle vaccinazioni in Europa. Poco importa, infatti, che la principale autorità di regolazione dei farmaci in Europa dica ancora che i benefici superano i rischi; che Ann Taylor, lo Chief Medical Officer di Astrazeneca, sottolinei che il tasso di trombosi tra gli europei vaccinati sia inferiore “a quello che ci si aspetta tra la popolazione nel complesso”; o che i virologi continuino a ribadire, uno dopo l’altro, che “i benefici del vaccino AstraZeneca nella prevenzione del Covid, dell’ospedalizzazione e dei decessi, superano i rischi di effetti collaterali, soprattutto nel pieno della pandemia”. La diffidenza rimane. Col risultato che se nel corso dell’estate, erano gli Stati Uniti a faticare, più di qualsiasi altro paese, a contenere il Covid, oggi a stare peggio è l’Europa.

I vaccini e le big pharma. Su AstraZeneca l’oscillare dei governi e gli interessi di Big Pharma: aveva ragione Totò? Oreste Scalzone su Il Riformista il 17 Marzo 2021. Così parlò questo stupido… (detto, parafrasando e volgendo al riflessivo il Totò di «Voglio vedere dove vuole arrivare questo stupido… Io non mi chiamo Pasquale»). D’abord: mi sa, mi è sempre saputo veramente ozioso e insensato il chiedersi se, o in che misura, siamo in presenza di demenza o di cinismo moderno . O ancora – complessificando concedendoci “semel in vita”, per disperazione, una caduta nell’abisso del “sospetto” (che è sempre maligna grottesca caricatura e contraffazione del dubbio) – chiedermi se si tratti di vero ”sterminismo” a fini di «igiene del mondo, eliminazione degli scarti». Magari si tratta di tutto questo assieme. Ora, parlando semplice-semplice: dunque, già il vaccino AstraZeneca era, o comunque risultava, dubbio, e percepito come tale, e “chiacchierato”. Dapprima lo si preconizza come adatto tra i 18 e i 55 anni come tetto. Poi, si alza il tetto a 65 anni. Poi anche oltre, fino a 79, poi senza limite… Accade poi che – certo, sporadicamente, sporadicissimamente… – a diverse latitudini alcune persone vaccinate, giovani e sane, muoiono dopo aver ricevuto il vaccino. In tutti i casi, con siero vaccinale proveniente da uno stesso «lotto», identificato e codificato. Qui, si assiste a un qualcosa che a me pare da ogni punto di vista assurdo. Dall’Ema europeo (in particolare, il suo vicepresidente italiano, tale Cavaleri), all’Aifa italiano; fino a tutti – perfino una pletora di virologi, epidemiologi, infettivologi, immunologi (&tc.), e anche clinici, di terreno… anche chi è apparso solitamente più rigoroso, ritenendo che si deve sempre partire dall’ipotesi, dalla “scenarizzazione” più pessimistica; nonché, manco a dirlo, Governanti, Politician, improvvisati/e ”Opinion Makers” e ”Maîtres/sses à penser” dei Talks main-stream… è tutto un correre che mi pare cieco, accecato… correre a dare risposte non-pertinenti, sbieche, elusive, di lato. Dicono: «Non sono state stabilite evidenze di un rapporto di causalità… Sembra trattarsi di un effetto di suggestione, che fa scambiare coincidenze o sequenze temporali per sequenze causali… Inoltre, l’incidenza statistica di questi casi è minimissima, quasi-zero, al di sotto di quella ordinaria, che si dà nella popolazione in generale per i motivi eziopatogenici più svariati… E come si sa, il ”rischio-zero” non esiste, mai… Si tratta sempre di un calcolo di costi/benefici… Nessun farmaco – come il nome stesso dice – è assolutamente anodino e privo di effetti secondari, iatrogeni : il punto è, valutare…». Ma visto in termini di psicologia singolare e sociale: per gli stessi fattori operanti che conducono all’atroce superstizione ”dell’auto-diniego”, diciamo, self-negationism non già costituito in Ideologia, il riflesso pulsionale “eguale&contrario”, speculare, è quello di dirsi: «Ma… e se uno di questi casi statisticamente sporadici, sporadicissimi, fino all’inezia, mi trovassi ad essere io, i miei vecchi, figli, intimi?». Ecco mettendomi per una volta in panni rispetto a cui la mia ”estraneità ostile” è totale, facendo esercizio dell’avvocato del diavolo, mi chiedo: ma cosa fa che persino il Big Pharma e tutti Lor Signori non hanno – nei loro stessi interessi, per limitare e circoscrivere i danni per sé – detto che, ad ogni buon conto, cautelativamente, per principio di precauzione tutte le fiale del ”lotto” perfettamente individuato erano congelate, e la somministrazione sospesa? Tanto per non saper né leggere né scrivere, come si dice dalle mie bande ternane, già una sequela dei più svariati Paesi d’ogni latitudine e longitudine (lista che in ordine cronologico, si è aperta con Danimarca e chiusa con Olanda, sede dell’Ema) avevano disposto una sospensione, un blocco «temporaneo, cautelativo, precauzionale» della somministrazione del lotto, in attesa di riscontri, evidenze, anche successive a prove obiettive, anche autoptiche. Poi, d’un colpo, si allineano sulla stessa condotta i governi di Germania e Italia, seguiti a ruota con un testa-coda dell’Aifa. Immediatamente, seguono a ruota il governo degli ineffabili Macron&C, nonché quello della Spagna. Ma che pensavano? Non capivano che le persone ”vaccinande” gli avrebbero opposto un no? Chiedo: sono solo lo stupido di Totò, oppure…

Il vaccino Pfizer-BioNTech sospeso a Hong Kong e Macao: “Imballaggio difettoso”. Federico Giuliani su Inside Over il 24 marzo 2021. In Europa il vaccino realizzato da AstraZeneca e Università di Oxford è finito nell’occhio del ciclone e continua a essere motivo di accesi dibattiti. Dall’altra parte del mondo, in Asia, una sorte simile sta toccando l’antidoto sviluppato da Pfizer e BioNTech. Il contesto è diverso, visto che nel primo caso il casus belli era collegabile a presunti problemi sanitari provocati dall’AZD1222, mentre alla base della decisione adottata da Hong Kong e Macao ci sarebbe un grattacapo con l’imballaggio di alcuni lotti del Pfizer-BioNTech. Il risultato, tanto nell’Unione europea che nei due Paesi asiatici, è stato tuttavia identico: sospensione dei due vaccini in questione. Certo, la vicenda AstraZeneca è in parte rientrata in seguito al sostanziale via libera rilasciato dall’Ema, l’Agenzia europea del farmaco, che ha di fatto riabilitato l’immagine del vaccino. Ma la diffidenza nei confronti dell’azienda anglo-svedese ha raggiunto limiti inimmaginabili. Come se non bastasse, ogni governo ha scelto di recepire le indicazioni dell’Ema a suo modo. Diversi Stati del Nord Europa, come Norvegia, Svezia, Danimarca e Finlandia, non hanno ancora ripreso a somministrare il vaccino. Altri lo hanno fatto, pur adottando limitazioni in base all’età dei pazienti, mentre altri ancora non hanno adottato restrizioni. Resta da capire quali saranno le conseguenze a Hong Kong e Macao.

I problemi di Pfizer-BioNTech. Il “danno” subito dall’immagine di AstraZeneca potrebbe quindi avere ripercussioni anche in vista dell’imminente futuro. Quanto capitato a Pfizer-BioNTech è ancora in fase embrionale e, almeno dalle prime indiscrezioni, non dovrebbe riguardare l’aspetto sanitario. Sappiamo che Hong Kong e Macao hanno annunciato la sospensione della loro campagna vaccinale con il vaccino BNT162b2 dopo esser state informate dal laboratorio di un problema con il confezionamento di alcuni lotti di fiale. “Come misura precauzionale, l’attuale vaccinazione dovrebbe essere sospesa durante l’indagine”, ha fatto sapere l’esecutivo hongkonghese in un comunicato. Entrambi i territori hanno detto di aver preso la decisione dopo essere stati contattati da Fosun, l’azienda farmaceutica cinese che distribuisce il vaccino Pfizer-BioNTech in Cina. Ma che cosa è successo? Secondo quanto riportato dal South China Morning Post, il personale locale di Hong Kong avrebbe segnalato oltre 50 casi di imballaggi difettosi, tra cui fiale incrinate che perdevano il liquido. Le autorità hanno quindi optato per la cancellazione “fino a nuovo avviso” delle prenotazioni in tutti i 21 centri di vaccinazione allestiti in città che garantivano la somministrazione del prodotto.

Sospensione a Hong Kong e Macao. Dal canto suo, la dottoressa Constance Chan Hon-yee, Director of Healt di Hong Kong, ha dichiarato in una conferenza stampa che il personale che lavora al programma di vaccinazione Covid-19 nella città aveva già segnalato otto casi di fiale incrinate e 22 problemi di pressione dell’aria con conseguenti perdite. In seguito, sono state effettuate altre 16 segnalazioni di sigilli alle fiale allentati o fuori posizione, e 11 casi relativi alla presenza di macchie o segni sull’esterno dei contenitori di vetro. La sospensione delle vaccinazioni è stata descritta come una misura precauzionale. Al momento non ci sarebbero prove che capaci di suggerire eventuali rischi sanitari connessi a dosi mal impacchettate. Fosun – che, come anticipato, si occupa della distribuzione del Pfizer-BioNTech in Cina – avrebbe spiegato di essere stato avvisato da BioNTech in merito a un piccolo numero di vaccini di un lotto con problemi di tenuta della fiala. Ora, in attesa di chiarire la vicenda, intanto, una piccola ombra si è estesa anche sull’immagine del vaccino Pfizer-BioNTech. Un’ombra che, molto probabilmente – almeno a giudicare dalle versioni fornite – finirà presto per evaporare come neve al sole. Non prima di aver minato ulteriormente la fiducia dei cittadini.

AstraZeneca, il sospetto dietro lo stop della Germania: "Spinge per Pfizer". Ma a noi arriveranno solo le briciole. Libero Quotidiano il 17 marzo 2021. Dopo lo stop al vaccino AstraZeneca reso inevitabile dall'alt di Angela Merkel che ha costretto a sua volta Italia, Francia e Spagna a sospendere il siero anglo-svedese, la Commissione europea cerca di indorare la pillola con qualche dose Pfizer, il vaccino prodotto dalla stessa Germania. La presidente della Commissione Ursula von der Leyen ha spiegato che Pfizer-Biontech anticiperà a giugno la distribuzione di 10 milioni di dosi, che erano previste per la seconda metà del 2021. "Questi 10 milioni di dosi anticipate porteranno il totale delle dosi nel secondo trimestre sopra i 200 milioni. Questo darà agli Stati membri margine di manovra e consentirà di colmare le mancanze nelle consegne", annuncia la von der Leyen. Peccato che, sottolinea il Giornale, che le 10 milioni di dosi Pfizer non basteranno a coprire la voragine lasciata da AstraZeneca. Basta fare due conti. Le 10 milioni di dosi suppletive infatti dovranno essere distribuite nei 27 Paesi europei. E in Italia non garantiranno, da sole, più di un 1,35 milioni di somministrazioni, ergo 700mila vaccinazioni. Ben poco.  L'impressione è che la Germania abbia cominciato una campagna contro AstraZeneca. Già a gennaio comparvero i primi articoli che mettevano in dubbio la sua efficacia sulla popolazione oltre i 65 anni. In realtà, mancavano dei test specifici su campioni di quell'età. Poi il gioco al massacro con la notizia delle prime morti. Insomma, Berlino, bloccando la somministrazione di AstraZeneca ha di fatto avviato una reazione a catena che ha costretto Italia, Francia e Spagna a prendere la stessa decisione. La Gran Bretagna si è ben guardata dalla sospensione del vaccino. Anche perché le 270 vittime nelle ore successive al vaccino non sono state ritenute collegate alla somministrazione. Il sospetto è che la Germania spinga per il vaccino concorrente ad AstraZeneca, Pfizer-BiONtech. A fine dicembre la big pharma garantì infatti a Berlino 30 milioni di dosi in più rispetto ai 55,8 milioni assegnate dall'Ue. Sembra che la campagna tedesca anti-AstraZeneca dipenda più da interessi industriali e commerciali che non da preoccupazioni scientifiche. Ma ormai il danno è fatto. 

Carlo Tarallo per “La Verità” il 19 marzo 2021. «Io mi vaccinerei domani, ma devo sapere cosa fare nel caso in cui mi succedesse qualcosa». Sta tutta in questa frase di Emer Cooke, direttore esecutivo dell'Ema, la chiave di questi tre giorni di caos intorno al vaccino Astrazeneca. Anzi, in quel «ma», che rappresenta, insieme all'annuncio dell'aggiornamento del foglietto illustrativo, il tributo politico pagato alla Germania, responsabile principale di questo terribile caos, da quello che dovrebbe essere un ente «indipendente». Dovrebbe, e qui virgolette e condizionale sono quanto mai appropriati. La Verità, per prima, ha scritto senza giri di parole che quella a cui tutto il mondo stava assistendo con sconcerto era una operazione orchestrata dai tedeschi. Quanto affermato dai vertici dell'Ema conferma in pieno questa tesi. L'Astrazeneca, il vaccino del «ma» esce infatti dalla conferenza stampa di ieri e più in generale da tutto quello che è accaduto in questa settimana, terribilmente azzoppato dal punto di vista dell'immagine internazionale. In casi come questi, infatti, un «ma», un «tuttavia», significano tantissimo, considerata la inevitabile preoccupazione scatenata in decine di milioni di cittadini europei dallo stop and go alla somministrazione di Astrazeneca. Significano, in sostanza, che quello anglosvedese diventa il vaccino per i figli di un Dio minore: basta leggere sui social le reazioni alla conferenza stampa dell'Ema per rendersi conto che più che sciogliere i dubbi, le dichiarazioni della Cooke li hanno consolidati. Chi si avvantaggerà di questa macchia indelebile sulla sicurezza di Astrazeneca? Naturalmente le aziende concorrenti, a cominciare da Pfizer-Biontech, colosso farmaceutico che nell'immaginario collettivo è statunitense, ma che in realtà, è più che altro tedesco, essendo Biontech un'azienda solidamente germanica, con sede a Magonza. Una coincidenza? A pensar male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca, soprattutto se le coincidenze si moltiplicano: la Germania ha acquistato, al di là degli accordi stipulati dall'Unione europea con i colossi farmaceutici, ben 30 milioni di dosi Pfizer-Biontech. Coincidenza numero tre: è in arrivo un altro vaccino tedesco, il Curevac. Il discorso è puramente commerciale: oggi come oggi, con la sete di vaccini che c'è in Europa, è ovvio che i governi non potranno che riprendere con forza le somministrazioni del siero anglosvedese, ma quando sarà necessario vaccinare tutto il mondo, operazione che durerà ancora per i prossimi cinque anni, occorreranno miliardi, e non milioni, di dosi, e c'è da scommettere che con decine di prodotti sul mercato Astrazeneca farà molta fatica a imporsi, con le mille riserve scatenate da quanto accaduto in questi giorni, e non solo, considerando anche il balletto sull'autorizzazione all'utilizzo sugli over 65. Ricordiamo infatti che lo scorso 28 gennaio, 24 ore prima che l'Ema autorizzasse l'utilizzo di Astrazeneca, il ministero della Salute tedesco ne aveva ufficialmente raccomandato l'utilizzo solo per i soggetti under 65, per poi ripensarci e dare il via libera anche per gli anziani il 4 marzo. Intendiamoci: l'Ema in tutta questa vicenda ha dimostrato una certa coerenza, in quanto non ha mai chiesto il blocco delle vaccinazioni, limitandosi a questo supplemento di istruttoria. Un atto però per nulla dovuto, considerato che l'ente «indipendente» avrebbe potuto ribadire l'ok già lunedì scorso, quando la Germania ha clamorosamente bloccato le somministrazioni di Astrazeneca seguendo le indicazioni del Paul Ehrlich Institut e mandando in frantumi l'unità (vaccinale) europea, con Italia, Francia, Spagna e altri paesi che si sono accodati a Berlino e mentre quelli dell'est hanno continuato come se niente fosse, insieme curiosamente al Belgio, sede della Commissione europea. Per non parlare del Regno Unito, che ha approvato Astrazeneca lo scorso 30 dicembre, con un mese di anticipo sull'ok dell'Ema, e prima che la Brexit diventasse effettiva. L'Agenzia di regolamentazione dei medicinali e dei prodotti sanitari britannica ha approvato Astrazeneca prima del via libera dell'Ema applicando una clausola dei trattati Ue: una clausola che avrebbe potuto utilizzare anche l'Italia, se non avesse scelto di mettersi nelle mani dell'Unione europea, con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti. Una scelta tutta politica, dunque, così come tutto politico, in estrema sintesi, si dimostra il compromesso al ribasso scelto dall'Ema su Astrazeneca. L'Agenzia europea per i medicinali avrebbe potuto sciogliere tutti i dubbi, diradare tutte le nubi berlinesi intorno alla sicurezza di Astrazeneca, esponendo i tedeschi a una figuraccia, oppure bloccare tutto in attesa di nuovi e più approfonditi test, suicidandosi dal punto di vista della credibilità. È stata scelta invece la strada del «ma», quella del mezzo e mezzo, dando valore alle riserve di Berlino, sbloccando la somministrazione di Astrazeneca senza riuscire a restituire la fiducia nei cittadini. Quando un ente «indipendente» dipende, eccome, dalla politica, e quindi, essendo un'istituzione europea, in primo luogo dalla Germania, il pasticcio è servito.

Francesca Galici per ilgiornale.it il 19 marzo 2021. Da imprenditore, ieri Flavio Briatore è intervenuto nella trasmissione Dritto e Rovescio condotta da Paolo Del Debbio ogni giovedì su Rete4. Il patron del Billionaire è titolare di numerose attività di ristorazione in diversi Paesi del mondo e ieri ha raccontato la sua esperienza diretta con i locali che possiede in Inghilterra, spiegando in che modo sono stati supportati in questo anno di difficoltà dovuto all'epidemia. Grazie alle vaccinazioni di massa, condotte soprattutto grazie ad AstraZeneca, ora il Regno Unito vede la luce in fondo al tunnel, tanto che dal prossimo 12 aprile ci sarà la prima riapertura dei ristoranti all'aperto, che poi proseguirà il 12 maggio con la riapertura delle sale interne. Ma al di là degli aiuti forniti dal governo di Elisabetta II alle imprese, Flavio Briatore ha centrato il suo discorso sul blocco del vaccino AstraZeneca. "Noi ragioniamo con la testa degli altri, dato che siamo scarsi. A questo punto il presidente dell'Aifa dovrebbe dimissionarsi", ha sentenziato l'imprenditore ai microfoni di Dritto e Rovescio. Flavio Briatore ha puntato il dito contro la decisione di differire la riunione sul tema invece di farla nell'immediato per evitare di scatenare il panico nei cittadini, ora spaventati alla prospettiva di ricevere il vaccino AstraZeneca. Inoltre, col blocco alle vaccinazioni col preparato di Oxford da parte di Aifa, e non di Ema, si sono persi quattro giorni sulla tabella di marcia del piano vaccinale. Per questi motivi, secondo Flavio Briatore, "il presidente e direttore di Aifa prima di tutto si dovrebbe dimettere". L'attacco dell'imprenditore è molto forte: "Non possiamo avere dei burocrati che non prendono mai una decisione. Non possiamo avere dei ministri che ragionano con la testa dei tedeschi. Non possiamo, non è possibile. Bisogna cambiare passo, qui siamo in guerra e con la guerra non puoi pensare con la testa degli altri. Devi pensare con la tua testa e avere gente brava che prende decisioni". Il ragionamento di Flavio Briatore è lineare nella sua logica, che pesca a piene mani da quella imprenditoriale con la quale ha grande familiarità e che si può facilmente e con successo traslare nelle dinamiche governative di un Paese. Il caso del vaccino AstraZeneca bloccato dall'Aifa sulla scia della decisione tedesca è emblematico per Flavio Briatore: "Hanno fatto un casino d'inferno e adesso si riprende a vaccinare con AstraZeneca? In Inghilterra hanno vaccinato 13 milioni di persone e si è visto che la mortalità del vaccino è uguale a zero. Abbiamo perso altri 6/7 giorni e secondo me i dirigenti che hanno fatto questo casino qui si devono dimettere. Il problema è che in Italia pagano sempre i cittadini, loro non pagano mai".

Pesante accusa a Speranza: sulla farsa AstraZeneca è stato il maggiordomo della Merkel. Luisa Perri mercoledì 17 Marzo 2021 su Il Secolo D'Italia. “E adesso non diamo la colpa ai giornalisti di questa farsa su Astrazeneca“. Lo dice Nicola Porro sul suo blog, ricostruendo una vicenda grottesca. “Speranza dice che è colpa dei tedeschi mentre Rasi, ex Ema, dice che è una scelta politica. Una cosa è certa – premette il giornalista nella sua Zuppa di Porro – l’Europa è morta e sepolta”. Lo dice ancora più esplicitamente Maria Teresa Meli del Corriere della Sera su La7. “Su 17 milioni di inglesi vaccinati ci sono state soltanto 15 embolie e 22 trombosi, cioè nulla. La Merkel si è presa paura ma la Merkel ha anche Pfizer, la Germania è co-produttrice di quel vaccino, ha investito decine e decine di milioni, per cui bloccare AstraZeneca non era un problema”. “Si sono accodati Macron e Draghi – aggiunge la Meli – Adesso, però, sarà molto difficile far vaccinare con AstraZeneca. Sarà complicatissimo. Perché ricreare un clima di fiducia non so quanto sia possibile. Forse avremmo dovuto essere più prudenti al contrario. Prima di accodarci alla Germania pensarci un attimo”. Proprio oggi, il ministro della Salute, Roberto Speranza, in Parlamento ha ribadito che lo stop ad AstraZeneca è arrivato dalla Merkel.  “Il prestigioso Paul Ehrlich Institut – riferisce Speranza – ha segnalato in Germania sette casi di trombosi che si sono verificati tra i 4 e i 16 giorni successivi alla somministrazione del vaccino in pazienti giovani, tra i 20 e i 50 anni”. Intanto, l’omologo tedesco di Speranza, il ministro della Salute, Jens Spahn fìnito sotto accusa per la sua gestione della pandemia e per “avere minato la fiducia nella politica di vaccinazione”, dopo la sospensione del vaccino AstraZeneca.

Farsa AstraZeneca, il sospetto di Salvini: “Vogliono favorire altri vaccini”. “Non vorrei che dietro certi allarmismi possa nascondersi una battaglia economica per sfavorire alcuni vaccini a vantaggio di altri”. Lo dice il leader della Lega, Matteo Salvini in un’intervista con il Messaggero, che sulla farsa del vaccino AstraZeneca afferma “che in Europa e anche in Italia qualcuno dovrà rispondere di errori, omissioni e ritardi. Non credo nei capri espiatori, ma è ora che chi sbaglia paghi, soprattutto se c’è di mezzo la vita e la salute delle persone. Si deve ripensare a una governance per Aifa, che nasce come agenzia-strumento per dare voce concreta alle regioni”. I paesi che hanno sospeso la vaccinazione con AstraZeneca potrebbero essere rimasti vittima di un panico indotto dai media, frutto di una campagna di disinformazione. Lo sostiene Michal Dworczyk , alto funzionario del governo polacco responsabile della campagna di vaccinazione. “E’ possibile che ci troviamo di fronte ad una campagna pianificata di disinformazione e a un brutale scontro fra case farmaceutiche”, ha affermato Dworczyk, citato dall’agenzia stampa polacca Pap. “Vale la pena ricordare che oltre alle società registrate nell’Ue, Gran Bretagna e usa, vi sono altre società che cercano di far usare i loro vaccini”, ha detto, in quello che appare un riferimento a società farmaceutiche in Russia e Cina.

Dworczyk ha sottolineato che le autorità polacche e l’ente regolatorio europeo Ema continuano a raccomandare l’uso del vaccino AstraZeneca. “Siamo fiduciosi che molti di questi paesi torneranno presto” a far uso di AstraZeneca, dimostrando che la Polonia ha fatto bene a non interrompere la vaccinazione, ha aggiunto.

Estratto dell’articolo di Tommaso Ciriaco e Anais Ginori per “la Repubblica” il 17 marzo 2021. (…) La telefonata tra Draghi e Macron ha un significato in più, a dire il vero. Sia pure con il tocco felpato della diplomazia, guarda a Berlino, che scegliendo di sospendere AstraZeneca ha determinato un effetto a valanga sulle altre Cancellerie, non del tutto preparate all’impatto. All’Eliseo, ad esempio, non si nasconde un certo fastidio per la decisione annunciata ieri dalle autorità tedesche in modo unilaterale e senza una consultazione preliminare con la Francia. Macron ha scoperto la decisione mentre era a colloquio con il premier spagnolo Sanchez. E a quel punto è stato costretto a seguire, sia pure a malincuore visto l’impatto sulla campagna di vaccinazione, a Parigi come nelle altre capitali.(…)

Angela Mauro per huffingtonpost.it il 17 marzo 2021. Al terzo giorno Ursula von der Leyen parlò. La presidente della Commissione Europea, tedesca come Angela Merkel, esponente dello stesso partito della cancelliera, la Cdu, è rimasta in silenzio finora, mentre la sua Germania scatenava il caos in Europa, sospendendo la somministrazione del vaccino Astrazeneca per rari casi di reazioni avverse e trascinando con sé mezzo continente. Oggi, in occasione della conferenza stampa di presentazione del certificato vaccinale per viaggiare, una von der Leyen in evidente imbarazzo per le scelte del Governo tedesco, svolge il difficile compito di smarcarsi da Merkel, schierarsi con gli scienziati dell’Ema e al tempo stesso attaccare Astrazeneca per i ritardi nelle consegne. Insomma, il vaccino è efficace, l’azienda no: “Inaffidabile”. La presidente minaccia di non autorizzare gli export dei vaccini prodotti in Europa verso la Gran Bretagna, dove si stanno fermando partite di dosi destinate all’Ue (Londra smentisce), ma questo significherebbe bloccare le esportazioni di Pfizer-Biontech, che invece sta rispettando il contratto. Complicato, a dir poco. “Ho fiducia nel prodotto dell’Astrazeneca e nelle procedure dell’Ema”, ripete von der Leyen rispondendo alle numerosissime domande dei cronisti sul caso (caos) tedesco. “In Europa non abbiamo preso scorciatoie, non abbiamo dato un’autorizzazione di emergenza”, bisogna avere “rispetto nei confronti degli scienziati che hanno l’onere di dire se una cosa va bene o meno. Va valutato anche il numero delle reazioni avverse”, poche appunto. “E bisogna accettare che gli scienziati hanno bisogno di qualche giorno per approfondire l’esame. Ci aspettiamo che giovedì diano l’ok”. La distanza dal governo Merkel è massima, almeno in pubblico. Del resto, la mossa di Berlino ha suscitato irritazione sia in Commissione Europea, dove tra l’altro non sono informati della scelta di sospendere Astrazeneca, sia all’Ema, che domani dovrebbe confermare la validità del prodotto al termine dell’ulteriore indagine avviata nei giorni scorsi. E ora queste due istituzioni europee dovranno sobbarcarsi l’onere di ricostruire la fiducia dei cittadini per un caos che stavolta non hanno creato loro, ma i governi nazionali. Casca bene a questo proposito la presentazione stamane del certificato vaccinale per viaggiare: saranno gli Stati membri a decidere come usarlo, potranno renderlo valido per i vaccini autorizzati da Ema, ma anche per quelli non autorizzati, tipo Sputnik. Servirà a viaggiare nell’Ue, si punta a renderlo operativo da giugno, sarà cartaceo o digitale con un ‘QR code’, ma gratuito. Non dovrebbe discriminare tra ‘vaccinati e non’ perché potrà registrare anche la negatività ai tamponi oppure la guarigione dalla malattia. La Commissione assicura che non dovrebbe creare problemi alla libera circolazione in area Schengen, che ora invece è messa a rischio dalle scelte unilaterali dei paesi membri di istituire controlli alle frontiere (anche qui, la Germania ha fatto da apripista). Ma soprattutto, in un giorno nefasto per l’immagine della campagna vaccinale europea, il certificato vaccinale diventa anche un tentativo per risollevare gli animi: lasciar intravedere un viaggio all’orizzonte per recuperare la fiducia degli europei nei vaccini. Sempre che il sortilegio riesca, il problema principale è che non ci sono abbastanza dosi. Su questo von der Leyen non fa sconti ad Astrazeneca. “Pfizer e Moderna sono affidabili, Astrazeneca no”, dice chiaramente dopo aver svolto una sorta di operazione verità sulle forniture dei prossimi mesi. “AstraZeneca ha sotto-prodotto e sotto-consegnato: ha promesso 90 milioni di dosi entro la fine di marzo, poi ha ridotto a 40 milioni, ora siamo a 30 milioni. E per il secondo trimestre, sui 180 milioni promessi, l’azienda ne consegnerà soltanto 70 milioni”. A dir poco deludente. E la presidente non fa mistero che qui l’imputato numero 2 dopo l’azienda è il governo britannico, che trattiene le fiale oltre-Manica. Per rivalsa, Von der Leyen minaccia di bloccare l’export di vaccini o componenti di vaccini dall’Unione Europea verso il Regno Unito. “La situazione epidemiologica sta peggiorando. L’Ue sta cercando di collaborare con le esportazioni”, dice esaltando il fatto che nell’ultimo mese e mezzo dall’Ue siano partite ben “41 milioni di dosi verso 33 paesi extra-Ue”, malgrado il regolamento sull’export approvato a fine gennaio per punire l’inadempiente Astrazeneca. In quasi due mesi, il problema non si è risolto, anzi. “Le strade corrono in entrambe le direzioni, ci deve essere reciprocità e proporzionalità – dice la presidente - Se la situazione non cambia, dovremo riflettere di far dipendere l’export sul livello di apertura dei Paesi” riceventi. E “rifletteremo se con i Paesi che hanno tassi più alti di vaccinazioni c’è proporzionalità”. L’avvertimento è rivolto al premier britannico Boris Johnson. Potrebbe riguardare anche Joe Biden, che pure fa protezionismo sui vaccini, ma von der Leyen non vuole attaccare gli Usa, con cui l’Ue spera di mettere a frutto una collaborazione strategica. Il problema è il paese della Brexit, con cui ormai è aperta una vera e propria guerra commerciale sui vaccini. “Dall’Ue abbiamo esportato dieci milioni di dosi” alla Gran Bretagna, “stiamo ancora aspettando che arrivino dosi dal Regno Unito in modo che ci sia reciprocità. È difficile spiegare ai nostri concittadini perché i vaccini prodotti in Ue vanno in altri Paesi anche se loro producono vaccini e non torna indietro nulla”. Ma l’Ue esporta soprattutto prodotti Pfizer-Biontech verso il Regno Unito. Bloccarne l’export, vorrebbe dire punire un’azienda che, come conferma la stessa presidente, sta rispettando i patti con l’Unione. “Per il primo trimestre Pfizer/BioNTech avrà consegnato 66 mln di dosi, come previsto dal contratto”, “per il secondo trimestre 200milioni di dosi”. È evidente che non si può fare. Da Londra intanto il ministro degli Esteri Dominic Raab chiede spiegazioni. La minaccia di von der Leyen “contraddice le rassicurazioni che abbiamo avuto direttamente dalla Commissione: eravamo stati informati in modo affidabile che non ci sarebbe stato nessun progetto di restringere le forniture verso il Regno Unito legalmente contrattate”, sottolinea il capo del Foreign Office. Raab assicura che Londra sta mantenendo i flussi delle consegne aperti e che “si aspetta che queste assicurazioni e questi contratti di fornitura legali siano rispettati”. Nonostante il "bidone" da Astrazeneca, “possiamo raggiungere l’obiettivo di avere il 70% della popolazione adulta pienamente vaccinata entro fine estate”, insiste von der Leyen, contando su un “aumento delle consegne nel secondo trimestre”. Johnson & Johnson, fresco di autorizzazione dell’Ema, “inizierà ad aprile. Dovremmo ricevere 55 mln di dosi nel secondo trimestre”. Duecento milioni da BioNTech e Pfizer, altri 35 milioni da Moderna (che per il primo trimestre ne sforna 10 milioni, ndr.), più i 70 milioni di Astrazeneca, sempre che non tradisca ancora. Il tunnel Astrazeneca è senza via d’uscita per l’Ue: costretta ad accettare la beffa pur di non perdere dosi utili alla strategia vaccinale, meno di quelle promesse, pur sempre utili. “Tutte le opzioni sono sul tavolo”, risponde von der Leyen quando le si chiede se la prossima settimana in Consiglio europeo i leader potrebbero discutere la possibilità di usare l’articolo 122 del Trattato per farsi rispettare dall’azienda anglo-svedese. Ma, rabbia legittima a parte, finora ha prevalso la linea della collaborazione, le Big Pharma continuano ad avere il coltello dalla parte del manico. E da domani, dopo il nuovo disco verde dall’Ema, toccherà anche rimettere insieme i cocci mandati in frantumi a Berlino.

Fausto Carioti per “Libero Quotidiano” il 17 marzo 2021. C’entra l’orgoglio patriottico (il «vaccino di Oxford» è una gloria nazionale) e c’entra lo spirito di un popolo forgiato dai bombardamenti tedeschi su Londra, Coventry e le altre città: 43.000 civili uccisi, mentre i manifesti con la corona reale invitavano a mantenere la calma e tirare avanti: «Keep calm and carry on». Così, ora che il farmaco AstraZeneca è stato bloccato da Germania, Italia e altri Paesi dell'Unione, il premier conservatore Boris Johnson e i suoi connazionali reagiscono indignati, ma anche compiaciuti di poter mostrare al mondo la loro superiore fibra morale: si arrendono subito così, questi del continente? Non lo sanno che in guerra qualcuno muore? Dall'alto dei 25 milioni di persone immunizzate, 11 milioni delle quali proprio con il vaccino della discordia, il numero giornaliero dei decessi per Covid crollato (ieri 110, il giorno prima 64; il 20 gennaio, per capire, ne erano morti 1.820) e una tabella di marcia che promette di restituire la totale libertà di movimento agli inglesi entro la fine di giugno, Johnson ha spiegato agli altri leader europei la portata del loro errore su AstraZeneca. «Il vaccino è sicuro e lavora estremamente bene», ha scritto in un articolo apparso ieri sul Times. Lo stesso quotidiano che riportava le parole di un consigliere del governo, secondo il quale le pause nell'uso del vaccino AstraZeneca saranno «un disastro» per la Ue. Lunedì, dopo che nei Paesi dell'Unione si era sparso il panico, il premier aveva ricordato a tutti che l'Agenzia del farmaco di Londra è «una delle più rigide e con più esperienza al mondo», e i suoi responsabili «non vedono alcuna ragione per interrompere il programma di vaccinazione». Sui quotidiani la musica è la stessa, ma suonata con molto meno garbo. I leader europei e i timori dei loro governati sono un bersaglio facile: per le testate di destra, ma non solo. Il Daily Express, tabloid conservatore, spara enorme in prima pagina l'aggettivo «Shameful», vergognosa, riferito alla decisione dei Paesi Ue di sospendere l'uso del vaccino anglo-svedese «a causa di paure infondate per i coaguli di sangue». Il Daily Mail, foglio che si era battuto per la Brexit, denuncia la «Ue incosciente» che ha deciso di «snobbare» il vaccino inglese, e dà voce alla «furia degli esperti» nei confronti di «Francia, Germania, Italia e Spagna», che con la loro decisione «mettono a rischio vite umane». Fonti anonime da Whitehall, la sede del governo, fanno sapere al Daily Mail che la mossa «è un cinico tentativo per screditare AstraZeneca». L'edizione online della stessa testata avverte che «il vaccino Covid di Pfizer è correlato a più coaguli di sangue rispetto a quello di AstraZeneca. Perché l'Ue non lo vieta? Svelata l'ipocrisia delle nazioni europee, mentre l'Italia ammette che la decisione è stata "politica"». Più equilibrato nei toni, ma non nella sostanza, il moderato Daily Telegraph, che dà il titolo principale al «Caos nella Ue» e riporta i pareri di scienziati che definiscono «sconcertante» il blocco delle vaccinazioni con AstraZeneca. Un commento spiega ai lettori che a causa di questa scelta «è assolutamente certo che un numero significativo di europei morirà di Covid, perché il tempo è fondamentale e non esiste un'alternativa a portata di mano». Pure The Independent, di area centrosinistra, prende le distanze dalle decisioni dei governi Ue, evidenziando in prima pagina che secondo gli esperti «non ci sono prove di legami tra il vaccino e i coaguli di sangue». La ciliegina l'ha messa la 73enne Camilla, duchessa di Cornovaglia e seconda moglie del principe Carlo. Ieri ha fatto sapere che anche lei è stata immunizzata con il prodotto di AstraZeneca: manco a dirlo, tutto è andato per il meglio. E per far capire che è arrivato il momento di pensare ad altro, Boris Johnson ha annunciato che intende accrescere del 40 per cento l'arsenale nucleare inglese. Chi può ricomincia a guardare avanti e tanto peggio per chi resta indietro.

AstraZeneca, Pietro Senaldi e la verità sui vaccini: Gran Bretagna immune, la pandemia ha ucciso l'Europa. Libero Quotidiano il 17 marzo 2021. Aiuto, nel nobile intento di essere prudenti e tranquillizzare i cittadini, l'Unione Europea ha gettato nel panico tutto il Vecchio Continente, a eccezione della Gran Bretagna, beata lei, che resta da tradizione millenaria (...) (...) orgogliosamente isolata e immune dalle bufere al di qua della Manica. I quattro ministri della Salute di Germania, Francia, Italia e Spagna si sono telefonati e hanno deciso di sospendere la somministrazione del vaccino Astrazeneca, quello su cui la Ue aveva puntato. In realtà ha deciso la Merkel da sola, ex cancelliera di ferro tramortita e intimorita dalle recenti sconfitte elettorali e dalla maturata consapevolezza di averci imposto alla presidenza della Commissione Ue una donna inadeguata, che non ha altro titolo per stare lì se non l'amicizia e la fedeltà con Angela. Il più tonto della compagnia, il nostro Speranza, l'ha ammesso candidamente: ci siamo fermati perché allarmati dai dati tedeschi. Ma cosa dicono questi numeri? Che in Germania su un milione e seicentomila vaccinati si sono verificati sette casi sospetti. Anche fossero legati ad Astrazeneca, il vaccino avrebbe un tasso di pericolosità di uno su duecentomila e passa, decisamente inferiore alla letalità di uno su 200 riferibile a chi si ammala di Covid. La Gran Bretagna, sul sito del suo ministero della Salute, scrive chiaramente che, su oltre venti milioni di immunizzati, ci sono 500 decessi temporalmente riferibili all'iniezione, ma oltre duecento di essi riguardano persone vaccinate con Moderna o Pfizer, e comunque non c'è la prova di nessun nesso causale tra profilassi e morte. Cionondimeno, Londra va avanti a spron battuto, così come fanno gli Stati Uniti, che hanno già punturato cento milioni di persone. Berlino, Roma e Parigi invece si fermano, chiarendo ancora una volta, con settant' anni di ritardo, perché America e Gran Bretagna hanno vinto la guerra mentre l'Europa Continentale l'ha persa. Il paragone non è fuori luogo. Tante volte si è parlato di conflitto mondiale riferendosi all'epidemia. Bene, il vaccino è il fucile che ci permetterebbe di vincerlo, ma i nostri governi esitano a imbracciarlo per paura del rinculo. Siamo vittime di una classe politica che non si prende nessuna responsabilità, priva di coraggio e che ci gestisce come fossimo conigli; infatti ci chiude in gabbia. Abbiamo una serie di parlatori i quali non si rendono neppure conto di quel che dicono. A meno di ventiquattro ore dall'aver fermato la profilassi, Speranza ha dichiarato di essere fiducioso di riprendere con le iniezioni e che chi ha ricevuto la prima dose di Astrazeneca può stare tranquillo. Pare fosse sobrio nel proferire tali parole, e questa è la cosa più allarmante. La presidente Von der Leyen ha invece fatto sapere di aver siglato un accordo che garantirà dieci milioni di dosi supplementari di Pfizer all'Europa, una goccia nel mare. Magari la signora si aspettava un applauso, dopo aver bloccato centinaia di milioni di fiale del vaccino inglese. È evidente come i politici del Vecchio Continente siano persuasi che si governi con le parole anziché con i fatti.

Governare con le parole - Purtroppo per loro non è così. Domani probabilmente l'Agenzia Europea del Farmaco (Ema), la quale ha sempre sostenuto che Astrazeneca sia sicuro e che ha ammesso solo trenta casi di complicanze, ma non morti, su cinque milioni di vaccinati, darà per la seconda volta il richiesto via libera all'uso del prodotto anglo-svedese. Significherebbe che quella di tedeschi, francesi, italiani e spagnoli - sembra l'inizio di una barzelletta - è stata una pagliacciata. Bisognerà vedere a questo punto quanti cittadini si fideranno ora di farsi iniettare il siero controverso. Anziché dichiarare, Speranza potrebbe offrire il braccio alla siringa in un gesto dimostrativo che varrebbe più delle sue parole, quasi sempre contraddette dalla realtà. L'Italia non è il Giappone o la Corea, è incapace di convivere con il Covid, lo ha largamente dimostrato. La sola nostra salvezza è il vaccino, che essendo un medicinale fa bene ma anche male e può avere terribili effetti collaterali, in una infinitesimale casistica. Metà del pianeta sta uscendo dall'incubo grazie alla profilassi, noi siamo fanalini di coda e, a differenza dei tedeschi, non ce lo possiamo permettere, perché la nostra economia fa acqua e i nostri conti sono in rosso cronico ma crescente. La pandemia si sta rivelando il killer della Ue, che non ha saputo reagire e si avvia rapidamente a un declino irreversibile. La Cina ha un vaccino, la Russia e la Gran Bretagna pure, gli Usa ne hanno addirittura tre. Noi non abbiamo nulla e ci permettiamo di tenere in magazzino quel poco che abbiamo sottratto a pessime condizioni alla concorrenza mondiale. Per tre giorni ci siamo disperati per il professore di clarinetto di Biella, deceduto dopo la puntura. Il Piemonte ha fermato le iniezioni, prima ripreso duramente e poi imitato dal governo centrale. Ieri l'autopsia ha dimostrato che l'uomo è morto di infarto, per ragioni non collegate all'iniezione. Nel frattempo sono morti di Covid oltre mille italiani anonimi non vaccinati. Più di mille erano anche i defunti che piangeva ogni giorno Londra, prima che iniziasse la grandiosa campagna di profilassi che, a siringate di Astrazeneca, ha ridotto a circa cento i decessi quotidiani in Inghilterra.

Pietro Senaldi per “Libero Quotidiano” il 21 marzo 2021. La colpa è di costare poco. Lo stop alla profilassi con il vaccino inglese è solo l' ultimo capitolo di una serie di falsi allarmi che hanno rallentato il cammino del ritrovato di Astrazeneca. Equivoci, contestazioni infondate, contrattempi che, se voluti, avrebbero richiesto la regia di entità superiori, sono arrivati al risultato di delegittimare in Europa il vaccino che costa poco. È stata Berlino a fermare per quattro giorni il siero britannico, obbligando Italia e Francia a seguirla sulla strada dell'allarmismo ingiustificato. Il risultato è che decine di milioni di europei oggi diffidano del prodotto di Astrazeneca, eppure nessuno può affermare che ci sia stata una volontà politica tedesca di ostacolarlo, anche se attraverso Biontech la Germania è socia della statunitense Pfizer, rivale dell'azienda farmaceutica inglese, e patria del vaccino Curevac, di prossima approvazione. Allo stesso modo, nessuno può denunciare un complotto dell'amministrazione americana ai danni di Astrazeneca. Però è incontestabile che la profilassi sia un affare da 150 miliardi di dollari nel solo 2021 e ci siano interessi geopolitici enormi dietro di essa. Per questo la scelta della casa inglese di non guadagnare dalla vaccinazione di massa può aver infastidito chi scommette sul mercato e chi lo muove. Non si può affermare che il colosso britannico sia stato punito per tutelare interessi economici superiori, ma certo una comunicazione gratuitamente così ostile e costante nel tempo, partita dai grandi giornali americani e seguita da quelli tedeschi, orientata sempre in senso negativo, spinge a porsi domande, anche perché ogni accusa è inesorabilmente caduta. Chissà se qualcuno ricorda il comunicato stampa che il gruppo delle multinazionali impegnate nella produzione dei vaccini Usa, riunite a New York l'8 settembre 2020, mandò in rete. C'era scritto che le società firmatarie si impegnavano a non chiedere l'autorizzazione al commercio del loro vaccino fino a quando non avessero avuto la certezza della sicurezza ed efficacia del prodotto. Una cosa davvero singolare e incomprensibile. Come se i dirigenti dei commissariati di polizia si riunissero per impegnarsi a non arrestare gli innocenti.

LA YALTA DEI VACCINI. Riunione e relativo comunicato davvero inutili, a meno che l'incontro non sia stato la Yalta dei vaccini anti-Covid-19, con l'assegnazione all'inglese e generosa Astrazeneca dell'influenza pressoché esclusiva sul mercato del Commonwealth e dei Paesi poveri di Africa, Sud America e Asia (in concorrenza con cinesi e russi), in cambio di un rallentamento della registrazione da parte dell'Agenzia del Farmaco degli Stati Uniti (Fda), che tutti aspettavano a brevissimo, e di una non aggressività sui mercati ricchi di Usa ed Europa. Infatti il paradosso di Astrazeneca è che, alla fine, immunizzerà mezzo mondo, Inghilterra a parte quello più povero, mentre l'Occidente ha preferito perdere tempo e aumentare la lista dei decessi anziché prenotare il vaccino inglese. E questo nonostante Trump abbia finanziato robustamente Astrazeneca. Grazie a Donald oggi gli Stati Uniti hanno trenta milioni di dosi del prodotto inglese, ma esse restano inutilizzate perché non c'è il via libera della Fda e ciononostante Biden non consente che le fiale siano vendute all'estero, bloccando il mercato a vantaggio dei vaccini americani. Altro giallo è il blocco della sperimentazione del vaccino inglese ordinato da Fda lo scorso autunno, che ha preteso che Astrazeneca ripetesse la fase 3, già eseguita a Londra, negli Usa. Uno stop che ha permesso nel frattempo l'approvazione dei prodotti come era stato posto, e il limite d'età è salito a 65 anni, dopo la ribellione della politica, che temeva che la decisione dell'Aifa facesse saltare il piano nazionale di profilassi. Infine c'è stato l'allarme arrivato dalla Norvegia, che ha bloccato Astrazeneca prima inNord Europa, poi nei Paesi satelliti di Berlino, come l'Austria, infine anche in Germania. Il vaccino inglese fa venire le bolle rosse e la trombosi a uno su cinquantamila, era l'accusa, piuttosto debole anche se fosse stata vera. Ma è bastata a bloccare tutto malgrado l'Ema avesse dichiarato in proposito che «il vaccino è sicuro, efficace e utilizzabile senza limiti d'età in quanto tra i vaccinati si sono verificati meno casi di trombosi rispetto alla media».

UN BILANCIO. Tutto è bene quel che finisce bene? Dipende per chi. Certo non va bene per Astrazeneca, che deve ricostruire la propria immagine. E neppure bene va agli italiani, che hanno visto aumentare le proprie paure e hanno perso tempo. Per sei sospetti ammalati in Germania, nel nostro Paese per una settimana abbiamo avuto quasi cinquecento morti al giorno. Ma neppure bene va per Aifa, la nostra agenzia del farmaco, che dopo aver alimentato i dubbi è stata costretta ad approvare il vaccino senza limiti d'età. In compenso è andata bene a Pfizer, e anche alla tedesca Biontech, che ne è socia, che hanno visto aumentare da cento a seicento milioni il numero di dosi richiestele dall'Europa, al prezzo di dodici euro l'una. Colpa anche di Draghi? Lo stop imposto dal premier forse era comprensibile, vista la situazione. L'opinione pubblica era stata messa in allarme dall'estero e il nostro esecutivo non avrebbe retto la pressione. E ora, torneremo a vaccinarci con Astrazeneca? Il presidente della filiale italiana del colosso inglese, Lorenzo Wittum, è indagato per omicidio colposo per la morte di un militare inoculato con il siero inglese in Sicilia, malgrado il pm che ha promosso l'inchiesta abbia già stabilito che non ci siano nessi tra siringa e decesso. Cionondimeno, il manager si sta industriando per far arrivare nel nostro Paese quante più fiale possibili. Ma non sarà facile convincere la multinazionale inglese ad avere un occhio di riguardo per l'Italia dopo che l'ex premier Conte ha minacciato di portarla in tribunale per i ritardi nelle consegne. Dopo aver bloccato le dosi destinate agli altri Paesi, come l'Australia, ci dovremo accontentare di quelle che produrremo in Europa e sperare che gli americani ci diano le loro fiale, che costano quattro volte di più.

"Dosi a milioni di persone, inevitabile casi inattesi". Tre i casi in Italia. AstraZeneca sicuro ed efficace, il via libera dell’Ema: riparte oggi la campagna vaccinale. Redazione su Il Riformista il 18 Marzo 2021. “Il vaccino AstraZeneca è sicuro ed efficace nel contrastare il covid-19 e riduce i casi di trombosi” rispetto alla popolazione non vaccinata. Dall‘Ema, l’agenzia europea dei medicinali, arriva il via libera al ritorno della somministrazione dei siero dell’azienda anglo-svedese dopo il blocco cautelativo di lunedì 15 marzo. “I benefici del vaccino sono superiori ai rischi ed escludiamo relazioni tra casi di trombosi e la somministrazione dei sieri” afferma la direttrice di Ema Emer Cooke nel corso della conferenza stampa in corso ad Amsterdam. “I casi di trombosi dopo la somministrazione del vaccino AstraZeneca sono inferiori a quelli che avvengono tra la popolazione non vaccinata” ha spiegato Sabine Straus, presidente del Prac (Commissione di farmacovigilanza), specificando che i casi di “trombosi rare” sono tre in Italia. A livello europeo invece sono stati riportati 25 casi” di eventi tromboembolici rari “su 20 milioni di vaccinati” con AstraZeneca. “Le prove non sono abbastanza per decretare una correlazione stretta tra il vaccino e questi eventi – aggiunge Straus – continueremo a monitorare la situazione da vicino, è molto importante evidenziare che questi eventi sono molto rari e che non sono stati evidenziati nella sperimentazione clinica, bisogna rimanere vigili, è importante che chi si sottopone al vaccino sia consapevole di questi eventi che possono manifestarsi dopo la vaccinazione”. Straus ha poi evidenziato la necessità di “aggiornare il foglietto illustrativo per pubblico e operatori sanitari, speriamo che ciò permetta di mitigare gli effetti collaterali”. La direttrice esecutiva Cooke ha poi spiegato che “faremo degli studi specifici sugli effetti collaterali. Restiamo fiduciosi sui vaccini, che sono fondamentali per la sfida che stiamo affrontando”. Vaccinando “milioni di persone, è inevitabile” che si verifichino “casi inattesi” ha spiegato Cooke parlando in conferenza stampa, precisando che la situazione verificatasi con AstraZeneca “non è imprevista”. “Molti Stati membri  – aggiunge – hanno indicato che ciò che l’Ema fa dal punto di vista scientifico è molto importante per loro per prendere una decisione su come continuare con le vaccinazioni. Oggi stiamo mantenendo la nostra promessa”. Un pronunciamento accolto “con soddisfazione” dal presidente del Consiglio Mario Draghi. La somministrazione del vaccino di AstraZeneca quindi “riprenderà già domani”, ha chiarito in una nota il premier giovedì. “La priorità del governo rimane quella di realizzare il maggior numero di vaccinazioni nel più breve tempo possibile”, ha aggiunto Draghi. A confermare la ripresa della vaccinazioni anche l’Aifa, che dopo una riunione col ministro della Salute Roberto Speranza, la Direzione generale della Prevenzione e il Consiglio Superiore di Sanità, ha comunicato che “non il Comitato per i farmaci ad uso umano (CHMP) rilascerà il proprio parere, Aifa procederà a revocare il divieto d’uso del vaccino AstraZeneca, consentendo così una completa ripresa della campagna vaccinale a partire dalle ore 15″ di venerdì.

Alessandro Barbera e Paolo Russo per “la Stampa” il 19 marzo 2021. Le iniezioni riprendono subito. Da oggi stesso, promette Mario Draghi. Sono le 18.14 quando il premier, rompendo l'abitudine a non dichiarare per iscritto, manda alle agenzie di stampa la decisione del governo di ripartire con la campagna vaccinale per AstraZeneca. «Accogliamo con soddisfazione il pronunciamento dell'Ema». Che cosa avrebbe detto l'ente per il farmaco europeo, Draghi lo sapeva da qualche ora. Attendeva solo l'ufficialità. «Ora la priorità rimane quella di realizzare il maggior numero di vaccinazioni nel più breve tempo possibile». Facile a dirsi, difficile a farsi. Appena rientrato dalla visita a Bergamo, il premier ha la notizia dell'accelerazione delle sperimentazioni sul vaccino italiano di Reithera, che però arriverà ben oltre settembre. Per il momento si può proseguire con i tre prodotti a disposizione, anzitutto con quello che, nonostante le rassicurazioni dell'Ema, soffrirà comunque una crisi di fiducia. Mentre la Francia già ieri pomeriggio ha ripreso a vaccinare con AstraZeneca, l'Agenzia per il farmaco italiana si è presa fino alle 15 di oggi per dare il via libera alle immunizzazioni. La decisione finale deve ancora essere presa, ma con ogni probabilità l'Aifa non porrà alcuna limitazione all'uso del vaccino di Oxford, limitandosi ad apportare leggere modifiche al foglietto illustrativo, e aggiungendo all'elenco delle avvertenze quella sui rarissimi casi di trombosi cerebrali, rispetto ai quali non sussistono prove di un nesso di causalità con il siero. Questo obbligherà a ritoccare anche il foglio del consenso informato che è chiamato a firmare chi si immunizza, ma buona parte delle Regioni ha deciso di ripartire lo stesso oggi pomeriggio chiamando a mostrare il braccio chi aveva prenotato per la stessa data. Nei prossimi giorni saranno avvisati con sms i circa quattrocentomila che avevano dovuto saltare il turno dopo la sospensiva. Una ripresa condizionata dal rischio fuga da AstraZeneca. «Da sabato abbiamo registrato la metà delle defezioni. Siamo imbarazzati», ammette il governatore Veneto, Luca Zaia. «Chi non lo fa lo metterei a fine coda e ci stiamo pensando», aggiunge subito dopo, anticipando una scelta comune a diverse Regioni. Sulla stessa linea punitiva rispetto a chi rifiuta il ritrovato di AstraZeneca sono infatti anche Puglia, Friuli Venezia Giulia, Emilia-Romagna e Lombardia. «Il vaccino a Rna messaggero è riservato ai fragili, gli altri fanno quello che è disponibile. Cercheremo di convincere i più scettici che i vaccini sono tutti uguali, ma per noi dire no a quello appena dichiarato sicuro ed efficace dell'Ema significa rifiutare la vaccinazione», taglia corto l'assessore alla sanità pugliese, Pierluigi Lopalco. «Speriamo che il maggior numero possibile di persone continui a vaccinarsi, ma nessuno può scegliere quale vaccino fare. Chi lo rifiuta va in fondo alla coda», conferma l'emiliano, Raffaele Donini. Se cinque grandi Regioni tra le dodici da noi interpellate decidono di riportare alla casella di partenza chi fa un passo indietro di fronte al vaccino anglo-svedese, altre tre (Piemonte, Liguria e Campania) non riservano ai disertori l'ultimo posto, ma certamente li metterà in attesa: per riavere un appuntamento dovranno aspettare che prima si vaccinino gli ultraottantenni, gli «estremamente vulnerabili» e i disabili gravi con i loro familiari e care giver, ai quali sono al momento riservati in esclusiva i vaccini Pfizer e Moderna. In ogni caso, riprenotandosi, potrebbero vedersi di nuovo assegnato l'antidoto rifiutato. La Liguria riprenderà da lunedì le somministrazioni con il siero di Oxford, mentre in Campania chi lo rifiuta finirà in coda agli over settanta, ancora in grandissima parte da vaccinare. Infine altre quattro Regioni - Val d'Aosta, Lazio, Umbria e Toscana - hanno scelto la linea che potremmo definire morbida: chi non vuole più iniettarsi il prodotto Astra Zeneca, potrà disdire l'appuntamento e riprenotarsi attraverso il sito internet. Con una ma: non è detto che ciò significhi ottenere la garanzia del vaccino Pfizer o Moderna.  

Alessandra Ghisleri per “La Stampa” il 20 marzo 2021. Nelle intenzioni di voto, che rileviamo settimanalmente ci siamo accorti oramai da un paio di anni che, in media, un italiano su tre si «astiene» o si reputa «indeciso» nella sua scelta di voto. Tuttavia è risaputo che vivere nella totale incertezza per tutti rappresenta una vera condanna per alleviare la quale molti si affidano, illudendosi di essere nel giusto, a scelte «di intuito» che qualcuno definisce «di pancia» o «di getto». Più la situazione è complessa e confusa, cioè meno si conoscono i possibili esiti futuri e ci si sente smarriti, più le scelte irrazionali emergono feconde. Così con il procedere della campagna vaccinale 10 giorni fa il 60.4% della popolazione si diceva certa di volersi sottoporre all' inoculazione del vaccino e il 20.2% era ancora indeciso, ma ben propenso a farsi immunizzare, insomma un buon 80.0% si sentiva responsabilizzato e sicuro della strada da intraprendere per poter tornare a quella normalità quotidiana tanto agognata. Il 7.6% degli intervistati si dichiarava fermo sulle sue posizioni no vax, mentre l' 11.8% rimaneva nell' area dell' incertezza, ma fortemente orientato a non vaccinarsi. Oggi all' indomani del fermo e della nuova riapertura per AstraZeneca i convinti a sottoporsi all' iter per l' immunizzazione sono calati al 45.6% a cui bisogna sommare quel 9.3% che ha dichiarato di aver già ricevuto una o due dosi. Questi due dati addizionati insieme raggiungono il 54.9% rilevando un calo del 5.5% rispetto a dieci giorni fa. Anche le altre indicazioni legate all' indecisione crescono: +2.5 indecisi ma propensi; +2.1% indecisi ma non propensi e +0.9% il rifiuto del vaccino. E se il 45.8% è convinto che tutti i vaccini siano sicuri e, nonostante i possibili rischi, il miglior strumento per combattere il virus; il 29.8% fa emergere i propri dubbi sulla loro efficacia, mentre il 15.9% li ritiene inutili e dannosi per la salute. Insomma lo smarrimento dovrebbe invece essere sostituito da una buona dose di incoraggiamento visto che esiste sempre una relazione diretta tra «incentivi» e «performance». La campagna di vaccinazione è troppo importante per lasciarla cadere nel vuoto, tuttavia dopo il caso AstraZeneca confusione e paura si sono nuovamente impossessate di molte persone e a domanda diretta ben il 33.1% ha dichiarato di non volersi assolutamente vaccinare con AstraZeneca. Di fronte al caso AstraZeneca si sono sommate una serie di complicazioni che non lo hanno fatto percepire dal principio come un vaccino sicuro. Tra i ritardi nell' approvazione, il numero di possibili inoculazioni per singolo paziente - da 1 a 2 e addirittura a 3 - e i balletti per le limitazioni anagrafiche; di fatto il vaccino che viene dal Nord Europa non ha convinto gli italiani fino in fondo. Già il 9 marzo infatti AstraZeneca con il 2.7% delle indicazioni risultava quinto nel ranking di preferenza dei vaccini surclassato da Pfizer (23.6%) e superato anche da Johnson&Johnson (8.6%) - non ancora presente sul nostro mercato -, Moderna (7.6%) e Sputnik (7.3%). Davanti solo a brand più o meno sconosciuti ai più. Oggi, dopo giorni di grande chiasso mediatico, AstraZeneca scende al 6° posto nella graduatoria con lo 0.6% delle preferenze superato anche da Reithera (2.2%). Il grande salto in avanti riguarda proprio il vaccino che ancora non è stato distribuito: J&J che in dieci giorni registra un + 9.7%. Il sospetto per il 51.2% del campione intervistato è che sia in ballo una guerra geopolitica tra multinazionali del farmaco dove le responsabilità di quanto sta accadendo siano direttamente associate all' intreccio politico-affaristico internazionale. Purtroppo questo rende ancora più difficile riconquistare la fiducia dei cittadini anche perché è in gioco la salute di ciascuno e sono troppe le voci contraddittorie che si contendono l' agorà mediatica. È sicuramente complicato e difficile stabilire la causa effetto tra vaccino e morti e a quanto ci dicono i numeri Pfizer, AstraZeneca, la pillola anticoncezionale, e molte altre cure hanno le stesse problematiche; tuttavia anche se i numeri rappresentano percentuali irrisorie diventano spaventosi se parliamo di uomini. Non esiste il rischio zero e nessuno vuole essere un topolino da laboratorio, ma è necessaria una buona motivazione perché, laddove forti spinte e stress dominano la scena, non c' è più molto spazio per la ragionevolezza.

Silvia Turin per il “Corriere della Sera” il 19 marzo 2021. Ha collaborato Sergio Siragusa, vicepresidente della Società Italiana di Ematologia, Direttore dell'UO di Ematologia del Policlinico Universitario di Palermo.

Il vaccino AstraZeneca è sicuro?

L'Agenzia europea per i medicinali (Ema) lo ha giudicato tale dopo la revisione dei dati in suo possesso, resasi necessaria dopo alcune segnalazioni di «eventi avversi» nuovi. «I benefici del vaccino nel proteggere le persone da Covid superano i possibili rischi», ha stabilito l'ente.

Può provocare trombosi?

L'Ema ha valutato che il vaccino non è associato a un aumento del rischio di eventi tromboembolici che, complessivamente, sono stati 469 (tra studi clinici e segnalazioni dopo l'autorizzazione all'uso): un numero inferiore a quello atteso nella popolazione (in Italia si registrano circa 60 mila casi all'anno, 166 al giorno). Non c'è nessuna base fisiologica attualmente conosciuta che possa permettere di dire che questo tipo di vaccino sia in grado di innescare meccanismi trombotici.

L'Ema non ha escluso un legame con un particolare tipo di trombosi. Quale?

Una «coagulazione intravascolare disseminata», che, raramente, può determinare una «trombosi venosa cerebrale», dovuta all'occlusione di una vena del cervello. Questa trombosi atipica si riscontra in pazienti affetti da tumori del sangue o in donne in terapia estroprogestinica. Dopo le analisi di tutti i rapporti, si è osservato un incremento di episodi in giovani donne (sotto i 55 anni) non visto nella popolazione più anziana e l'Ema non ha escluso un legame tra questi casi e il vaccino. Si tratta, però, di pochi casi e di un tempo di osservazione troppo breve. Dal punto di vista statistico la «distorsione» può essere notevole.

Ci saranno avvertenze sul foglietto illustrativo relative a questa patologia, quali?

L'invito a rivolgersi a un medico in caso di «affanno, dolore al petto o allo stomaco, gonfiore o freddo a un braccio o una gamba, mal di testa grave o in peggioramento o visione offuscata dopo la vaccinazione, sanguinamento persistente, piccoli lividi multipli, macchie rossastre o violacee o vesciche di sangue sotto la pelle».

Come si interviene in questi casi?

Molti dei sintomi descritti sono aspecifici e comuni nelle normali reazioni vaccinali. In caso di diagnosi confermata, la terapia anticoagulante è generalmente efficace. Il punto è capire chi deve approfondire gli accertamenti e chi no. Purtroppo test rapidi della coagulazione non sono stati validati in queste trombosi rare e atipiche. Se un paziente dovesse presentarsi con questi sintomi, sarebbe d'aiuto l'anamnesi personale e familiare per eventi trombotici, ma i test di conferma diagnostica sono assolutamente obbligatori prima di iniziare una terapia.

Persone con aumentato rischio trombotico, possono fare qualcosa prima di vaccinarsi?

Non sarebbe consigliabile somministrare prima una terapia: non si sa ancora se una profilassi con anticoagulante possa abbassare il rischio della rara forma di trombosi. Quello che è noto, invece, è il pericolo di emorragia dato dalla somministrazione di farmaci come l'eparina. Seppure molto basso in termini percentuali, questo pericolo in termini assoluti supera certamente il rischio (ancora da dimostrare) di trombosi. Le persone che hanno una storia di trombosi o rischio trombotico sono decine migliaia, somministrare a tutti eparina sarebbe un provvedimento sbilanciato.

Che cosa si potrebbe fare allora?

 È comunque opportuno scegliere di vaccinarsi, perché il Covid ha complicanze tromboemboliche nel 15 per cento dei casi, con valori che vanno dal 3 al 40 per cento, a seconda dell'età e di altri fattori. Su 20 milioni di persone vaccinate con AstraZeneca nel Regno Unito (il Paese dove il farmaco è stato maggiormente utilizzato) sono stati segnalati solo 7 casi di coagulazione intravascolare disseminata e 18 di trombosi venosa cerebrale.

Margherita De Bac per il “Corriere della Sera” il 19 marzo 2021. Si toglie qualche sassolino dalla scarpa Piero Di Lorenzo, presidente di Irbm, l'istituto di Pomezia che collabora con AstraZeneca nei test di controllo sul vaccino anti Covid, appena riscattato da Ema dall'accusa di aver causato morti per tromboembolia. Siete partiti col netto favore dei pronostici, a luglio 2020. Poi una serie di «frenate», lo stop temporaneo alla sperimentazione per due casi di malattia grave, che invece non avevano nesso con i test, infine la gaffe sulle dosi.

Sfortuna?

 «Voglio pensare che sia un concentrato di casualità. Elenco altri fatti. Qualcuno oggi ha ricordato dei casi di mielite di cui sui giornali si è scritto per settimane, bloccando la sperimentazione per più di un mese? E che dire della dichiarazione divertita di un ricercatore che ha parlato di serendipity , di scoperta casuale? Si riferiva al protocollo sperimentale che aveva portato a dimostrare una efficacia del 91%, subito tradotto e qualificato invece come errore, quando errore non era. Ritenere che il trattamento riservato al nostro vaccino non sia stato proprio sereno non è un'affermazione esagerata».

E il taglio delle dosi da consegnare all'Europa mentre i lotti andavano al mercato estero?

«Due premesse. La prima. Da italiano non riesco a essere neutrale. Perciò ritengo ovvio e giusto che il nostro Governo percorra ogni strada per procurarsi il maggior numero possibile di dosi per i nostri concittadini».

E la seconda?

«Non rappresento AstraZeneca e ho la facoltà di ricordare un "dettaglio", per dirla con ironia, che sta passando quasi inosservato. L'azienda sta facendo uno sforzo sovrumano, dopo aver gestito tutta la sperimentazione clinica, per organizzare la produzione e la distribuzione di 3 miliardi di dosi del vaccino senza guadagnare un centesimo».

Siamo sicuri?

«Sottolineo questa frase: senza guadagnare un centesimo. Sento tanti discorsi sul vaccino inteso come bene comune e sulla necessità di consentire a tutti di vaccinarsi per dovere etico nei confronti della collettività. Ebbene una multinazionale fa questa scelta e l'iniziativa viene metabolizzata come se rinunciare a un pacco di miliardi di dollari fosse una ovvietà».

Ma le dosi da consegnare all'Europa si sono assottigliate troppo.

«Purtroppo, fare vaccini non è come fare pillole: è un processo vivo la cui resa è sempre sconosciuta fino a quando non si comincia a ragionare su scala industriale. I contratti sono stati firmati prima di avere tali conoscenze. Poi una serie di problemi nella messa a punto del processo produttivo nel sito belga ha provocato le conseguenze che stiamo vivendo. Infine, penso che la Brexit non abbia affatto aiutato la soluzione dei problemi. Lorenzo Wittum, presidente di AstraZeneca Italia, sta facendo l'incredibile perché sia garantito al nostro Paese il maggior numero di dosi possibile».

Il prezzo politico a 2,80 euro del vaccino (molto più basso di quelli di Moderna e Pfizer) ha determinato ostruzionismo da parte delle aziende concorrenti?

«Scherza? Sulla estraneità di Pfizer e delle altre multinazionali rispetto alle perplessità che ho espresso metterei la mano sul fuoco. Al massimo qualche banda locale può aver strumentalizzato il prezzo di vendita nel quale non è stato incluso alcun profitto per AstraZeneca, per far passare l'idea che fosse dovuto a un'efficacia minore. Penso inoltre che qualche nazionalismo mediatico esasperato possa aver prodotto una comunicazione distorta e orientata, oltre a concrete azioni di ostruzionismo come gli attacchi hacker che hanno colpito anche l'Irbm».

Un errore il prezzo basso?

«Sono molto orgoglioso di aver condiviso questa splendida avventura con partner prestigiosi che hanno oltretutto dato prova di un tale senso etico come la Oxford University e AstraZeneca».

Quanto ci ha rimesso Irbm?

«Per fortuna la comunità scientifica, nostro riferimento industriale, conosce bene la realtà. I benefici e i vantaggi che il Gruppo Irbm ha ricevuto e sta ricevendo da questa operazione sono talmente grandi che a volte, guardandomi intorno, me ne vergogno. Abbiamo avuto una straordinaria opportunità di crescita in un contesto così drammatico».

Quali saranno le conseguenze di questi allarmi? La gente ha già cominciato a diffidare del vaccino.

«Sì, è innegabile che questa serie di allarmi concorra a creare un clima di sfiducia e di incertezza che si traduce in perplessità verso tutti i soggetti dell'operazione vaccinale. Mi rincuora la certezza che i medici e gli scienziati, a parte qualche eccezione irrilevante, siano ben convinti di quanto sia efficace e sicuro il vaccino che AstraZeneca sta distribuendo nel mondo».

Tra Usa e Francia: così Draghi si muove dopo il flop Ue sui vaccini. Andrea Muratore su Inside Over il 19 marzo 2021. Mario Draghi contro Angela Merkel, sei anni dopo. Il 2015 aveva segnato la sostanziale fine dello scontro apertosi nei tre anni precedenti tra la Bce guidata dal banchiere italiano e il governo di Berlino, incentrato sulla necessità di avviare le politiche di stimolo culminate nel quantitative easing. Il 2021, invece, vede il nuovo premier italiano schierarsi al fianco di Emmanuel Macron contro la Cancelliera e la sua ex “delfina” promossa presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, sul caos della partita vaccinale che agita l’Europa.

I sospetti sulla Merkel. A Roma e Parigi si sospetta con forza che siano state politiche, prima ancora che sanitarie, le ragioni che hanno indotto la Germania a frenare la distribuzione del vaccino britannico AstraZeneca. Promuovendo un vero e proprio caos tra le campagne vaccinali dei Paesi europei, già in ritardo per le titubanze e le debolezze della politica della Commissione von der Leyen, che non ha evitato problemi di fornitura ai Paesi e tagli alle dosi da parte delle multinazionali del farmaco. Quasi a voler benedire la Brexit con cui Londra si è, di fatto, messa al riparo dal caos organizzativo di Bruxelles sui vaccini. Germania e Francia, raccontano gli addetti ai lavori del potere romano, hanno fortemente premuto su Sergio Mattarella per poter avere Draghi come interlocutore a Palazzo Chigi. Sul caos vaccini l’asse franco-tedesco si è però incrinato e il nuovo premier italiano ha potuto trovare un interlocutore privilegiato in Macron per un cambio di passo. Possibile preludio a un dialogo italo-francese che Draghi intende porre in essere senza sensi di inferiorità o timori di alcun tipo, stabilendo bene interessi comuni e terreni di competizione.

Le convergenze possibili. Una scelta che, nota Tpi, “non potrà non avere ripercussioni anche sulla geopolitica europea e l’Italia già da tempo non vedeva l’ora di rinsaldare i rapporti con la Francia, reputata più “gestibile” della Germania”: Parigi è sicuramente legata alla Germania dai solidi interessi bilaterali dell’asse franco-tedesco in campo industriale, tecnologico e militare, ma mantiene delle strutture da Paese mediterraneo, come la necessità di contare su un efficace sfruttamento del debito pubblico e una sostanziale ostilità all’ideologia del rigore. “In ballo oltre ai vaccini ci sono i soldi del Recovery che finora sono stati assegnati solo sulla carta” e la necessità di una posizione comune per evitare che i falchi del Nord inizino a pressare per un repentino ritorno alle logiche dell’austerità dopo la pandemia. La questione dei vaccini è stata in un certo senso una cartina di tornasole sulle potenzialità che la Germania mantiene, e ha rafforzato, nel Vecchio Continente, di cui è diventato il punto di riferimento per le scelte in materia sanitaria e di organizzazione della risposta alla pandemia così come tra il 2010 e il 2015 lo era divenuto in materia di politiche fiscali e finanziarie. La Merkel ha rafforzato, con una sagace politica di mediazione, la centralità tedesca in Europa nell’ultimo anno, ma l’inizio del 2021 ha portato all’inizio di una fase di turbolenza interna al suo partito, la Cdu, e a diversi errori di valutazione che hanno avuto il loro apice nella campagna vaccinale. In un’Unione plasmata attorno alla Germania, un fallimento della Commissione è ipso facto un flop della Germania. Essendo emersa la consapevolezza del fatto che aver seguito fino in fondo Berlino sul fronte dello stop a AstraZeneca sia stato un passo falso, Italia e Francia intendono correre ai ripari, cogliendo questa palla al balzo. Draghi e Macron lo hanno capito, e l’asse venutosi a creare per bilanciare Berlino sta già avendo risultati operativi nella sinergia tra il commissario di Parigi, Thierry Breton, e il titolare del ministero dello Sviluppo Economico Giancarlo Giorgetti per dare un retroterra industriale alla politica vaccinale comunitaria.

Draghi l’americano. Contenere l’egemonia tedesca, ora come ora, può essere nell’interesse italiano e francese, ovvero di due Paesi desiderosi di mettersi nella migliore posizione per approfittare dell’interregno che si aprirà in autunno, quando la Merkel passerà la mano al suo successore dopo sedici anni di governo. Ed è certamente nei desiderata degli Stati Uniti, di cui Draghi è ritenuto un ferreo alleato già dai tempi della Bce. Nei giorni della nascita del governo, l’attuale sottosegretario addetto alla programmazione economica Bruno Tabacci ha ricordato il filo diretto che univa Barack Obama a Draghi in quegli anni, e freschi nel ricordo di molti sono gli elogi tributati a Draghi da Donald Trump. Diverse nomine del governo Draghi e le prime scelte operative segnalano la volontà di presidiare l’allineamento atlantico del Paese, benedetta dal Quirinale: Giorgetti è il “pontiere” tra la Lega e gli Stati Uniti, il ministro della Difesa Lorenzo Guerini e il sottosegretario agli Affari Europei Enzo Amendola sono i principali esponenti della corrente atlantista del Pd, la nomina di Franco Gabrielli ai vertici dei servizi segreti segnala la volontà di riportare l’intelligence nell’alveo e nei tradizionali riferimenti internazionali del Paese. E un sottofondo a stelle e strisce si può leggere anche nella bozza del piano italiano per il Recovery Fund in materia di tecnologia e innovazione. La cooperazione industriale sul vaccino Pfizer-Biontech non inganni: Washington è infastidita dal protagonismo politico tedesco, dalla sua tresca economico-politica con la Russia, dall’ambigua scelta di plasmare la competizione con la Cina secondo i propri desiderata, dall’accelerazione che la Merkel ha chiesto a Macron sulla sovranità digitale europea. Anche nell’era Biden ne vuole ridimensionare il potere, ridurre il peso specifico. L’Italia torna dunque centrale come “perno” atlantico interno all’Unione europea dopo che, nella fase finale del governo Conte II, l’appiattimento di “Giuseppi” sulla Merkel aveva portato Joe Biden, nel suo calcolo, a ritenere l’esecutivo una succursale tedesca. Il passo falso tedesco sui vaccini AstraZeneca, paradossalmente avversario comune di Washington e Berlino, e gli errori della Commissione hanno cambiato le carte in tavola. Parigi e Washington sembrano ora i maggiori riferimenti di Roma: due capitali tra cui Draghi dovrà sapersi muovere avendo ben chiaro l’interesse nazionale italiano, ovvero la possibilità di ottenere un reale potere decisionale nei tavoli operativi in cui si determinano le future politiche del Vecchio Continente. Per spezzare l’assedio dei rigoristi e, in prospettiva, essere punto di riferimento per quei Paesi dell’Europa meridionale che troppo spesso vanno in ordine sparso ai tavoli decisivi dell’Unione.

AstraZeneca, Massimo Galli e lo stop ai vaccini: "Ricordo con orrore il 2014. Le conseguenze possono essere nefaste". Libero Quotidiano il 16 marzo 2021. "Un danno importante di immagine e di comprensibilità delle cose". Lo stop ai vaccini di AstraZeneca deciso dall'Aifa, in via "temporanea e precauzionale", inquieta Massimo Galli. Il professore di malattie infettive dell'Università statale di Milano e direttore della clinica di malattie infettive dell'Ospedale Sacco, in collegamento con CorriereTv, punta il dito direttamente su Bruxelles e le sue agenzie, a cominciare dall'Ema: "Talvolta i guai sembrano provocati dall'Europa stessa. L'effetto domino delle sospensioni attuate ieri poteva essere diversamente valutato, queste decisioni potevano essere evitate questa è la mia irrilevante opinione ma sono timoroso delle conseguenze". C'è un precedente che lascia temere il peggio: "Ricordo con orrore il 2014, anno in cui venne ritirato un lotto di vaccino anti-influenzale che poi si è rivelato assolutamente non correlato agli eventi che gli erano stati imputati. Questa cosa ha avuto un impatto del 6%, sei punti secchi in meno nelle vaccinazioni contro l'influenza. Da uno scarso 54% si passò a uno scarsissimo 48%, il minimo storico. E ovviamente questo comportò anche un bel po' di decessi in più legati direttamente o indirettamente all'influenza nell'inverno successivo. Determinate lezioni andrebbero imparate quando si decide per un supposto principio di precauzione non fondato sui dati reali di mettere in pericolo determinati provvedimenti. Poi non ci si può lamentare se le conseguenze saranno nefaste". Il mondo dei virologi si è dimostrato compatto nel difendere non tanto il vaccino di AstraZeneca, ma nel principio per cui non si può compromettere l'intera campagna vaccinale prima ancora che l'Agenzia europea del farmaco abbia accertato se esiste o meno un nesso causale tra la somministrazione del siero anglo-svedese e i casi di morti per trombosi verificatisi in Germania e altri paesi europei, tra cui l'Italia, su soggetti vaccinati pochi giorni prima. "Qui c'è una comunicazione che pagheremo a caro prezzo", ammoniva a Quarta repubblica il professor Massimo Bassetti, direttore della clinica di malattie infettive del San Martino di Genova e spesso in passato contrapposto al "pessimista" Galli. "Pagheremo per tanto tempo questa settimana. La decisione presa oggi è più di pancia che di testa". 

Il populismo delle classi dirigenti. Davide Varì su Il Dubbio il 21 marzo 2021. A brigante, brigante e mezzo, amava ripetere Sandro Pertini. A populista, populista e mezzo potremmo dire noi guardando alla scelta – per fortuna rientrata – di Merkel, Draghi e Macron di interrompere i vaccini di AstraZeneca e chiedere una nuova verifica all’Ema sulla base di “dicerie social”. Forse potrebbe essere utile tornare a sfogliare il Marc Bloch di “La guerra e le false notizie” per capire la lunga e disastrosa storia di quelle che oggi chiamiamo fake news. Le quali, è vero, nascono dal basso, dalle trincee dei social media, ma vengono spesso cavalcate nei piani alti del potere per simulare una vicinanza al “popolo” che invece è sintomo dell’esatto contrario: di una distanza strutturale tra quello stesso “popolo” e le sue “élite”. Distanza che a questo punto appare difficilmente rimarginabile. Sappiamo tutti com’è andata la triste vicenda dei vaccini. Di fronte alle poche decine di “reazioni avverse” su milioni di dosi inoculate di Astrazeneca (si parla di 25 trombosi su 20 milioni di somministrazioni), è nata una campagna stampa terrorizzante arrivata fin su i piani alti dei leader europei i quali, invece di rassicurare i cittadini sulla base delle evidenze scientifiche, hanno deciso di cavalcarne il terrore. Risultato? Uno stop alle vaccinazioni delle dosi di Astrazeneca per vari giorni che avrà come unico effetto l’aumento del numero di morti da Covid. Si tratta di persone sacrificate sull’altare del populismo medico-scientifico divulgato dai laureati alla libera università di Google. Ma la novità non è la data dalla virulenza delle fake-news (il libro di Bloch è addirittura del 1921) quanto dalla decisione delle nostre istituzioni di “accogliere” e assecondare questo tsunami di falsità per ragioni di opportunismo politico, di mera ricerca del consenso (Merkel aveva appena perso le elezioni in Baden Wuerttemberg e Sassonia) che altro non è se non la premessa del cedimento delle istituzioni democratiche al populismo. Negli anni ‘20, all’alba del fascismo, Gramsci parlava di sovversivismo delle classi dirigenti, per denunciare la tendenza storica delle nostre élite a scivolare nell’eversione e nell’antiparlamentarismo. Oggi, quelle stesse classi dirigenti, sembrano cedere alla seduzione pericolosissima del populismo. Si tratta di quello stesso blocco che si è compiaciuto, quasi fosse una sua vittoria, dell’istantanea che ritraeva il presidente della Repubblica in fila allo Spallanzani in attesa della sua dose di vaccino. Una immagine molto bella che però conteneva almeno due letture. La prima è quella limpida di un capo dello Stato che decide di scendere dal Palazzo per vivere accanto ai cittadini “la guerra pandemica”; l’altra, decisamente più pericolosa e portata avanti da quello stesso blocco, è quella che inscrive quella foto nel manifesto populista dell’uno vale uno. Ma il capo dello Stato rappresenta gli interessi di 60 milioni di italiani e per questo non può e non deve essere considerato come un cittadino come gli altri. L’uno vale uno è una frottola che ha sempre preceduto il suo esatto opposto: l’uomo solo al comando. Basta rileggere le drammatiche biografie di Bloch e Gramsci per scoprire, allora, come andò a finire.