Denuncio al mondo ed ai posteri con i miei libri tutte le illegalità tacitate ed impunite compiute dai poteri forti (tutte le mafie). Lo faccio con professionalità, senza pregiudizi od ideologie. Per non essere tacciato di mitomania, pazzia, calunnia, diffamazione, partigianeria, o di scrivere Fake News, riporto, in contraddittorio, la Cronaca e la faccio diventare storia. Quella Storia che nessun editore vuol pubblicare. Quelli editori che ormai nessuno più legge.

Gli editori ed i distributori censori si avvalgono dell'accusa di plagio, per cessare il rapporto. Plagio mai sollevato da alcuno in sede penale o civile, ma tanto basta per loro per censurarmi.

I miei contenuti non sono propalazioni o convinzioni personali. Mi avvalgo solo di fonti autorevoli e credibili, le quali sono doverosamente citate.

Io sono un sociologo storico: racconto la contemporaneità ad i posteri, senza censura od omertà, per uso di critica o di discussione, per ricerca e studio personale o a scopo culturale o didattico. A norma dell'art. 70, comma 1 della Legge sul diritto d'autore: "Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l'utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali."

L’autore ha il diritto esclusivo di utilizzare economicamente l’opera in ogni forma e modo (art. 12 comma 2 Legge sul Diritto d’Autore). La legge stessa però fissa alcuni limiti al contenuto patrimoniale del diritto d’autore per esigenze di pubblica informazione, di libera discussione delle idee, di diffusione della cultura e di studio. Si tratta di limitazioni all’esercizio del diritto di autore, giustificate da un interesse generale che prevale sull’interesse personale dell’autore.

L'art. 10 della Convenzione di Unione di Berna (resa esecutiva con L. n. 399 del 1978) Atto di Parigi del 1971, ratificata o presa ad esempio dalla maggioranza degli ordinamenti internazionali, prevede il diritto di citazione con le seguenti regole: 1) Sono lecite le citazioni tratte da un'opera già resa lecitamente accessibile al pubblico, nonché le citazioni di articoli di giornali e riviste periodiche nella forma di rassegne di stampe, a condizione che dette citazioni siano fatte conformemente ai buoni usi e nella misura giustificata dallo scopo.

Ai sensi dell’art. 101 della legge 633/1941: La riproduzione di informazioni e notizie è lecita purché non sia effettuata con l’impiego di atti contrari agli usi onesti in materia giornalistica e purché se ne citi la fonte. Appare chiaro in quest'ipotesi che oltre alla violazione del diritto d'autore è apprezzabile un'ulteriore violazione e cioè quella della concorrenza (il cosiddetto parassitismo giornalistico). Quindi in questo caso non si fa concorrenza illecita al giornale e al testo ma anzi dà un valore aggiunto al brano originale inserito in un contesto più ampio di discussione e di critica.

Ed ancora: "La libertà ex art. 70 comma I, legge sul diritto di autore, di riassumere citare o anche riprodurre brani di opere, per scopi di critica, discussione o insegnamento è ammessa e si giustifica se l'opera di critica o didattica abbia finalità autonome e distinte da quelle dell'opera citata e perciò i frammenti riprodotti non creino neppure una potenziale concorrenza con i diritti di utilizzazione economica spettanti all'autore dell'opera parzialmente riprodotta" (Cassazione Civile 07/03/1997 nr. 2089).

Per questi motivi Dichiaro di essere l’esclusivo autore del libro in oggetto e di tutti i libri pubblicati sul mio portale e le opere citate ai sensi di legge contengono l’autore e la fonte. Ai sensi di legge non ho bisogno di autorizzazione alla pubblicazione essendo opere pubbliche.

Promuovo in video tutto il territorio nazionale ingiustamente maltrattato e censurato. Ascolto e Consiglio le vittime discriminate ed inascoltate. Ogni giorno da tutto il mondo sui miei siti istituzionali, sui miei blog d'informazione personali e sui miei canali video sono seguito ed apprezzato da centinaia di migliaia di navigatori web. Per quello che faccio, per quello che dico e per quello che scrivo i media mi censurano e le istituzioni mi perseguitano. Le letture e le visioni delle mie opere sono gratuite. Anche l'uso è gratuito, basta indicare la fonte. Nessuno mi sovvenziona per le spese che sostengo e mi impediscono di lavorare per potermi mantenere. Non vivo solo di aria: Sostienimi o mi faranno cessare e vinceranno loro. 

Dr Antonio Giangrande  

NOTA BENE

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FACEBOOK: (personale) ANTONIO GIANGRANDE

(gruppi) ASSOCIAZIONE CONTRO TUTTE LE MAFIE - TELE WEB ITALIA -

ABOLIZIONE DEI CONCORSI TRUCCATI E LIBERALIZZAZIONE DELLE PROFESSIONI

(pagine) GIANGRANDE LIBRI

WEB TV: TELE WEB ITALIA

108x36 NEWS: RASSEGNA STAMPA - CONTROVOCE - NOTIZIE VERE DAL POPOLO - NOTIZIE SENZA CENSURA

 

ANNO 2020

 

LA CULTURA

 

ED I MEDIA

 

TERZA PARTE

 

 

 

 

DI ANTONIO GIANGRANDE

 

 

 

 

L’ITALIA ALLO SPECCHIO

IL DNA DEGLI ITALIANI

 

       

L’APOTEOSI

DI UN POPOLO DIFETTATO

 

Questo saggio è un aggiornamento temporale, pluritematico e pluriterritoriale, riferito al 2019, consequenziale a quello del 2018. Gli argomenti ed i territori trattati nei saggi periodici sono completati ed approfonditi in centinaia di saggi analitici specificatamente dedicati e già pubblicati negli stessi canali in forma Book o E-book, con raccolta di materiale riferito al periodo antecedente. Opere oggetto di studio e fonti propedeutiche a tesi di laurea ed inchieste giornalistiche.

Si troveranno delle recensioni deliranti e degradanti di queste opere. Il mio intento non è soggiogare l'assenso parlando del nulla, ma dimostrare che siamo un popolo difettato. In questo modo è ovvio che l'offeso si ribelli con la denigrazione del palesato.

 

IL GOVERNO

 

UNA BALLATA PER L’ITALIA (di Antonio Giangrande). L’ITALIA CHE SIAMO.

UNA BALLATA PER AVETRANA (di Antonio Giangrande). L’AVETRANA CHE SIAMO.

PRESENTAZIONE DELL’AUTORE.

LA SOLITA INVASIONE BARBARICA SABAUDA.

LA SOLITA ITALIOPOLI.

SOLITA LADRONIA.

SOLITO GOVERNOPOLI. MALGOVERNO ESEMPIO DI MORALITA’.

SOLITA APPALTOPOLI.

SOLITA CONCORSOPOLI ED ESAMOPOLI. I CONCORSI ED ESAMI DI STATO TRUCCATI.

ESAME DI AVVOCATO. LOBBY FORENSE, ABILITAZIONE TRUCCATA.

SOLITO SPRECOPOLI.

SOLITA SPECULOPOLI. L’ITALIA DELLE SPECULAZIONI.

 

L’AMMINISTRAZIONE

 

SOLITO DISSERVIZIOPOLI. LA DITTATURA DEI BUROCRATI.

SOLITA UGUAGLIANZIOPOLI.

IL COGLIONAVIRUS.

 

L’ACCOGLIENZA

 

SOLITA ITALIA RAZZISTA.

SOLITI PROFUGHI E FOIBE.

SOLITO PROFUGOPOLI. VITTIME E CARNEFICI.

 

GLI STATISTI

 

IL SOLITO AFFAIRE ALDO MORO.

IL SOLITO GIULIO ANDREOTTI. IL DIVO RE.

SOLITA TANGENTOPOLI. DA CRAXI A BERLUSCONI. LE MANI SPORCHE DI MANI PULITE.

SOLITO BERLUSCONI. L'ITALIANO PER ANTONOMASIA.

IL SOLITO COMUNISTA BENITO MUSSOLINI.

 

I PARTITI

 

SOLITI 5 STELLE… CADENTI.

SOLITA LEGOPOLI. LA LEGA DA LEGARE.

SOLITI COMUNISTI. CHI LI CONOSCE LI EVITA.

IL SOLITO AMICO TERRORISTA.

1968 TRAGICA ILLUSIONE IDEOLOGICA.

 

LA GIUSTIZIA

 

SOLITO STEFANO CUCCHI & COMPANY.

LA SOLITA SARAH SCAZZI. IL DELITTO DI AVETRANA.

LA SOLITA YARA GAMBIRASIO. IL DELITTO DI BREMBATE.

SOLITO DELITTO DI PERUGIA.

SOLITA ABUSOPOLI.

SOLITA MALAGIUSTIZIOPOLI.

SOLITA GIUSTIZIOPOLI.

SOLITA MANETTOPOLI.

SOLITA IMPUNITOPOLI. L’ITALIA DELL’IMPUNITA’.

I SOLITI MISTERI ITALIANI.

BOLOGNA: UNA STRAGE PARTIGIANA.

 

LA MAFIOSITA’

 

SOLITA MAFIOPOLI.

SOLITE MAFIE IN ITALIA.

SOLITA MAFIA DELL’ANTIMAFIA.

SOLITO RIINA. LA COLPA DEI PADRI RICADE SUI FIGLI.

SOLITO CAPORALATO. IPOCRISIA E SPECULAZIONE.

LA SOLITA USUROPOLI E FALLIMENTOPOLI.

SOLITA CASTOPOLI.

LA SOLITA MASSONERIOPOLI.

CONTRO TUTTE LE MAFIE.

 

LA CULTURA ED I MEDIA

 

LA SCIENZA E’ UN’OPINIONE.

SOLITO CONTROLLO E MANIPOLAZIONE MENTALE.

SOLITA SCUOLOPOLI ED IGNORANTOPOLI.

SOLITA CULTUROPOLI. DISCULTURA ED OSCURANTISMO.

SOLITO MEDIOPOLI. CENSURA, DISINFORMAZIONE, OMERTA'.

 

LO SPETTACOLO E LO SPORT

 

SOLITO SPETTACOLOPOLI.

SOLITO SANREMO.

SOLITO SPORTOPOLI. LO SPORT COL TRUCCO.

 

LA SOCIETA’

 

GLI ANNIVERSARI DEL 2019.

I MORTI FAMOSI.

ELISABETTA E LA CORTE DEGLI SCANDALI.

MEGLIO UN GIORNO DA LEONI O CENTO DA AGNELLI?

 

L’AMBIENTE

 

LA SOLITA AGROFRODOPOLI.

SOLITO ANIMALOPOLI.

IL SOLITO TERREMOTO E…

IL SOLITO AMBIENTOPOLI.

 

IL TERRITORIO

 

SOLITO TRENTINO ALTO ADIGE.

SOLITO FRIULI VENEZIA GIULIA.

SOLITA VENEZIA ED IL VENETO.

SOLITA MILANO E LA LOMBARDIA.

SOLITO TORINO ED IL PIEMONTE E LA VAL D’AOSTA.

SOLITA GENOVA E LA LIGURIA.

SOLITA BOLOGNA, PARMA ED EMILIA ROMAGNA.

SOLITA FIRENZE E LA TOSCANA.

SOLITA SIENA.

SOLITA SARDEGNA.

SOLITE MARCHE.

SOLITA PERUGIA E L’UMBRIA.

SOLITA ROMA ED IL LAZIO.

SOLITO ABRUZZO.

SOLITO MOLISE.

SOLITA NAPOLI E LA CAMPANIA.

SOLITA BARI.

SOLITA FOGGIA.

SOLITA TARANTO.

SOLITA BRINDISI.

SOLITA LECCE.

SOLITA POTENZA E LA BASILICATA.

SOLITA REGGIO E LA CALABRIA.

SOLITA PALERMO, MESSINA E LA SICILIA.

 

LE RELIGIONI

 

SOLITO GESU’ CONTRO MAOMETTO.

 

FEMMINE E LGBTI

 

SOLITO CHI COMANDA IL MONDO: FEMMINE E LGBTI.

 

 

 

 

 

 

LA CULTURA ED I MEDIA

INDICE PRIMA PARTE

 

LA SCIENZA E’ UN’OPINIONE. (Ho scritto un saggio dedicato)

In Montagna si invecchia prima.

I Nemici della Scienza.

Scienza e fede religiosa.

La contestazione…

E se il Big Bang non fosse mai esistito?

L’estinzione di massa.

Gli Ufo.

Fuori di…Terra.

Il Futuro nel Passato.

Il computer quantico.

Le Telecomunicazioni.

L’uso del Cellulare.

Un microchip sottopelle.

Cos'è un algoritmo.

Il concetto di Isocronismo.

Giaccio Bollente.

La Sfida della Scopa.

SOLITO CONTROLLO E MANIPOLAZIONE MENTALE. (Ho scritto un saggio dedicato)

Mente sana in Corpo sano.

Il Cervello che invecchia.

Il Toccasana del Cervello.

L’Odio per i Geni.

L’Idiozia.

Il Pessimismo.

La cura dell’Ottimismo.

Passo Dyatlov. La teoria della “tempesta perfetta”: «Impazzirono per infrasuoni».

SOLITA SCUOLOPOLI ED IGNORANTOPOLI. (Ho scritto un saggio dedicato)

Ignoranti …e basta!

La Scuola dalla A alla Z.

La scuola degli strafalcioni.

La Laurea Negata.

Laurea…non c’è.

Cervelli in Fuga.

Studenti in fuga.

La scuola dirupata.

Concorso docenti, il grande business dei crediti e le ombre sul Concorsone.

Più bidelli che carabinieri.

Eccellenze e Metodi.

L'Università Telematica.

Università Private: Affari ed Inchieste.

I Compiti a Casa.

 

INDICE SECONDA PARTE

 

SOLITA CULTUROPOLI. DISCULTURA ED OSCURANTISMO. (Ho scritto un saggio dedicato)

"Dio, Patria, Famiglia" contro "Uomo, Mondo, Sesso".

Falsi sin dagli albori.

La crisi dei competenti.

Non è vero che…

La saggezza degli animali.

La Libertà dell’Occidente.

La Memoria: tra passato e futuro.

La prossima egemonia culturale.

Il Buonismo.

La Dolce Vita.

Gli anni Ottanta.

Il Grande Fratello.

Il Galateo.

Siamo egolatri. Ergo: Egoisti e Narcisisti.

Lo Snobbismo.

Il nostro Accento.

«Ma che dici?»

Chi uccide la Lingua italiana?

Oltre ogni ragionevole dubbio.

La libertà: uno Stato di Fatto che non è di questa Italia.

I Radical Chic.

I Tabù.

Emozione ed Amore.

Il Pianto.

Il Romanticismo contemporaneo.

Quell’irrefrenabile bisogno di costruire il nemico.

L'anziano tolga il disturbo.

Hikikomori, il fenomeno dei ragazzi che vivono al contrario e si isolano.

Gioventù del “Cazzo”.

Un popolo di Maleducati.

Fascista!

L’Odio, il Rancore, l'Invidia, l’Ingratitudine.

La Fiducia.

Gli Amici.

V per Vendetta.

Il perdono.

C’era una volta la vergogna.

Etica dell’onore.  

La Cultura di Destra.

Le Figure Retoriche.

Data Palindroma.

Il 2020 è bisestile, la leggenda dietro al 29 febbraio.

I Collezionisti di…

Ladri di Cultura.

La caccia ai tesori delle navi perdute.

Per tutti Kalashnikov, per i tecnici AK-47.

La paura della “Rete”.

L'Era Digitale.

Quando si scriveva con la penna.

Le Scoperte utili ed inutili.

Fenomeno Panini.

Fenomeno Sneakers.

Il Pac-Man.

Gli Hot-Pants.

La “Gran Moda”.

La Peluria. Spettinati sopra e sotto.

Il Nome dei Marchi.

Le Righe diaboliche.

Il Mastercheff dell'800.

Cinema: Trucco ed Inganno.

Il Doppiaggio.

Il Fotoromanzo.

L'Arte e la Conoscenza.

La Storia da conoscere.

Musei. Colosseo, Uffizi e Pompei sul podio.

Arte: le 15 mostre da non perdere nel 2020.

L’Arte Nera.

I Pinocchio.

Il Mito di Zorro.

Buon compleanno, Pippi Calzelunghe.

James Bond.

I Simpson.

Artisti Anticonformisti.

Letteratura. Dal Figlio al Foglio. Il Figlio come ispirazione.

La Cultura Contemporanea? Il trash-pop-cult berlusconiano.

I Social. Lo spazio all'orda degli imbecilli.

Scrittori da Social.

Editoria: Roba mia…

Giangrande e Morselli. Quando gli editori non editano.

Cultura e /o Propaganda?

La Grafologia.

I premi Nobel.

Albert Einstein.

Alberto Arbasino.

Alberto Moravia.

Aldo Nove.

Alessandro Manzoni.

Alessandro Michele.

Andy Warhol.

Angelo Cruciani.

Antonio Ligabue.

Antonio Pennacchi.

Bansky.

Betony Vernon.

Boris Pasternak.

Bruno Bozzetto.

Charles Bukowski.

Carlo Levi.

Cechov.

Cecilia Mangini.

Cesare Pavese.

Dan Brown.

Dante Alighieri.

Diego Dalla Palma.

Dolce e Gabbana.

Donatella Versace.

Donatien-Alphonse-François de Sade.

Eduardo e Peppino De Filippo.

Emanuele Trevi.

Ennio Flaiano.

Erno Rubik ed il Cubo.

Eugenio Montale.

Eva Cantarella.

Federico Moccia.

Gabriel Matzneff.

Geco.

George Orwell.

Giacomo Leopardi.

Giampiero Mughini.

Gianni Rodari.

Gianni Vattimo.

Giordano Bruno.

Giordano Bruno Guerri.

Giorgio Forattini.

Giuseppe Peri.

Giuseppe Ungaretti.

Giuseppe Verdi.

Goffredo Fofi.

Hans Christian Andersen.

J. K. Rowling.

Johann Wolfgang von Goethe.

Leonardo Da Vinci.

Leonardo Pisano Bogollo, noto a tutti come Fibonacci.

Leonardo Sciascia.

Ludovica Ripa di Meana.

Luigi Mascheroni.

Luigi Pirandello.

Louis-Ferdinand Céline.

Malcom Pagani.

Marcella Pedone, vita da fotografa.

Marco Lodola.

Maurizio Cattelan.

Mauro Corona.

Natalia Aspesi.

Oliviero Toscani.

Oscar Wilde.

Patrizia Cavalli.

Patrizia Valduga.

Pier Filippo d’Acquarone.

Piero ed Alberto Angela.

Primo Levi.

Robert Schumann.

Roberto Capucci.

Roberto Cavalli.

Sergio Lepri.

Sibilla Aleramo.

Steinback e Silone, i punti in comune di due cantori diseredati.

Thomas Mann.

Totò.

Valentino.

Van Gogh, il modernissimo.

Vittorino Andreoli.

Vittorio Sgarbi.

Zadie Smith.

Mai dire Influencer.

 

INDICE TERZA PARTE

 

SOLITO MEDIOPOLI. CENSURA, DISINFORMAZIONE, OMERTA'. (Ho scritto un saggio dedicato)

La Morte dell’informazione.

Siete sicuri che è informazione?

“Professione: Odio”.

La Stampa condannata.

Il quarto grado a Quarto Grado.

Il nefasto Politicamente corretto partigiano.

La Doppia Morale.

La Censura.

Ecco la Tv del nulla.

Gli Opinionisti.

Tv-Truffa: Nulla è come appare.

Sulle spalle dei contribuenti.

Le Fake News.

L’Albo della Gloria.

Le redazioni partigiane.

Emmy Awards & Company 2020. I premi dei partigiani.

La Cnn e la tv del futuro.

Dicembre 1975, così nacque Radio Radicale.

La rivoluzione mancata di TeleBiella.

Novella 2000: 100 anni.

L'Espresso, 65 anni: partigiano.

Il decimo anno di Instagram.

Il metodo Iene.

Le "signorine buonasera".

Alda D' Eusanio.

Alessandra Ghisleri.

Alessio Orsingher e Pierluigi Diaco.

Alessio Viola.

Andrea Scanzi.

Anna Billò.

Augusto Del Noce.

Barbara Palombelli.

Bernardo Valli.

Bianca Berlinguer.

Bruno Vespa.

Daria Bignardi.

Emilio Fede.

Fabio Fazio.

Fausto Biloslavo.

Federica Sciarelli.

Franca Leosini.

Francesca Baraghini.

Furio Colombo.

Gad Lerner.

Gavino Sanna.

Gianni Minà.

Giovanna Botteri.

Giovanni Floris.

Giovanni Minoli.

Giuseppe Cruciani.

Josephine Alessio.

Ilaria D'Amico.

Luca Abete.

Mario Giordano.

Maurizio Costanzo.

Michele Santoro.

Mimosa Martini.

Monica Maggioni.

Nicola Porro.

Paolo Brosio.

Paolo Del Debbio.

Paolo Guzzanti.

Roberto D’Agostino.

Rino Barillari.

Selvaggia Lucarelli.

Veronica Gentili.

 

 

 

 

LA CULTURA ED I MEDIA

 

TERZA PARTE

 

SOLITO MEDIOPOLI. CENSURA, DISINFORMAZIONE, OMERTA'. (Ho scritto un saggio dedicato)

·        La Morte dell’informazione.

IL VIRUS HA FATTO FUORI PURE “LETTERA43”. Paolo Madron: Venerdì @Lettera43 sospende le pubblicazioni. Io ho lasciato la direzione. Ringrazio l'editore che mi ha dato 10 anni di assoluta libertà. E la redazione che ci ha messo grande impegno. Le storie iniziano, finiscono, talvolta si riprendono. Si vedrà. Grazie a tutti. Agli amici e colleghi per le belle parole e l'affetto. Ai "nemici", e ne avevamo molti, che hanno reso a @Lettera43 l'onore delle armi. Mi sa che, nello stesso posto o altrove, ci rivedremo presto. Da primaonline.it il 12 maggio 2020. Da qualche tempo girava come ipotesi, ora però si è concretizzata con la decisione del Cda di News 3.0 di sospendere dopo dieci anni, dal 15 maggio, la pubblicazione di Lettera43,il quotidiano online fondato e diretto da Paolo Madron. Motivo: Matteo Arpe, il finanziere che attraverso Sator controlla l’editrice non ritiene più sostenibile l’iniziativa, anche alla luce della situazione determinata dal Covid 19, dal punto di vista economico, oltre che per le ricadute di conflitto di interessi sulle altre sue attività. Con la chiusura di Lettera43 finisce anche la direzione di Madron che tanto ha investito sul giornale on line sia in termini di soldi, avendo sottoscritto una quota del capitale sociale alla fondazione dell’impresa editoriale, sia in energie professionali, impegnatosi oltre che come direttore e giornalista, anche come presidente e amministratore delegato di News 3.0. Rimangono a disposizione almeno per ora i 13 giornalisti della redazione del sito. Cosa accadrà della testata che sicuramente è un brand riconoscibile nel mondo dell’informazione su internet – a febbraio aveva 77.000 utenti unici al giorno, piazzandosi al 72esimo posto della classifica Audiweb – ancora non si sa. Si tratta infatti di trovare un acquirente interessato a diventarne l’editore. A Madron sicuramente le conoscenze non mancano, così come amici influenti. Non ci saranno invece cambiamenti nella partecipazione di News 3.0 in Studio Editoriale – editrice di Rivista Studio, Undici e VO+ –che attraverso MoSt sole un business interessante producendo contenuti per alcuni importanti brand.

Paolo Madron per lettera43.it il 15 maggio 2020. Chiudiamo, dopo aver sfiorato i 10 anni. Li avremmo compiuti ufficialmente il prossimo 7 ottobre, il giorno in cui nel 2010 Lettera43 ha debuttato. Ricordo la temperie dell’epoca, l’entusiasmo per le magnifiche sorti e progressive dell’informazione digitale, la convinzione dell’ineluttabile declino della carta stampata. Diciamo che è andata così per la seconda, mentre per la prima non è stato il pranzo di gala che allora ci si aspettava. Piuttosto, un desco frugale. Lettera43 è nata e cresciuta con una vocazione mai tradita: quella di dare notizie, retroscena, alzare il velo sui ben paludati mondi del potere economico-finanziario (e non solo) che certo non gradiscono di essere scandagliati oltre la superficie. Di questo, anche molti che sono stati bersaglio dei nostri articoli, ci hanno alla fine reso merito. Abbiamo sempre cercato di andare dentro e dietro le cose, i fatti e i personaggi, fedeli alla convinzione che l’apparenza nasconde i veri accadimenti, che la realtà è diversa dal racconto che la filtra, dalla sua versione dominante. Ho sempre considerato che dare le notizie, possibilmente scrivendole bene, fosse una filosofia che prescindeva dalla specificità del mezzo. In parte è vero, in parte mi sono sbagliato: ho capito con ritardo che sul digitale, per dirla all’ingrosso, la distribuzione conta più della produzione. Il più clamoroso scoop o la più bella inchiesta possono risultare inefficaci se non sai come immetterli nel micidiale circuito dove il combinato di indicizzazione sui motori di ricerca e social media la fa da padrone. Il non averlo da subito compreso ci ha fatto perdere treni importanti e tempo prezioso. Siamo comunque stati un giornale che nei momenti più alti poteva contare, stando alle classifiche e agli Analytics, su una media quotidiana di 250 mila lettori. Purtroppo, e questo sin dal primo anno, mai su un bilancio in pareggio per via di una struttura dei costi che, ancorché progressivamente ridotta, è risultata sempre pletorica. Crudo dirlo, ma sarebbe sciocco edulcorare. Il modello di business non ha mai trovato un equilibrio anche perché la diversificazione sulla carta con l’esperienza di Pagina99 ha aggravato la situazione. È stato un settimanale che tutti hanno riconosciuto di grande qualità, che ha vinto il premio della critica ma non quello dell’edicola e degli inserzionisti, indispensabile per la sua sopravvivenza. La gratuità dell’informazione online, unitamente ad una tanto invocata quanto disattesa riforma dell’editoria che prendesse in carico la peculiarità dei nuovi media e i mutamenti del mercato, hanno fatto il resto. Così come il passaggio della raccolta pubblicitaria dalle campagne premium al programmatico ha ridotto i prezzi e conseguentemente i ricavi. Ciò nonostante quella di Lettera43 resta una preziosa esperienza: per la precisione e autorevolezza dell’informazione che su alcuni temi le sono state riconosciute, per aver potuto contare su un editore che ad essa ha garantito grande libertà. E per l’impegno di chi, giornalisti e non, in questi anni vi ha partecipato. Ora la casa editrice prosegue la sua attività con i periodici, Rivista Studio e Undici, che hanno saputo nel tempo trovare un equilibrio economico e un modello editoriale i cui risultati confortano e fanno sperare in un futuro di ulteriore crescita. Per quanto riguarda noi, questa non vorrebbe essere una cerimonia degli addii ma degli arrivederci. E così l’abbiamo titolata. Alla notizia della chiusura abbiamo ricevuto attestazioni di affetto e stima oltre ogni aspettativa. E parevano davvero sincere, non di circostanza o piaggeria (se pensi di aver svolto un ruolo importante sei un presuntuoso, se te lo riconoscono gli altri cominci a credere che possa essere vero). Sono stati comunque, nella buona come nella cattiva sorte, 10 anni belli e intensi. Il pessimismo della ragione, unito a un po’ di stanchezza e scoramento, porterebbe a considerarla finita qui. Ma l’ottimismo, la passione, l’insano folle attaccamento a un mestiere che ovviamente è il più bello del mondo, fanno sperare e lasciano le porte socchiuse per una ripartenza. Chissà.

Sergio Carli per litzquotidiano.it il 18 febbraio 2020. Giornali in crisi nel mondo, è l’ecatombe. Cadono gli ultimi fortini sopraffatti dall’avanzata dei barbari di internet. Secondo un recente report, dal 2004 ha chiuso il 20% di tutti i giornali statunitensi, uno su cinque, e il settore ha perso il 47% del lavoro. Le ultime notizie da brivido riguardano il gruppo McClatchy (più di 30 giornali locali), che ha dichiarato bancarotta, e Advance (una quarantina di testate in tutto il continente, facente capo alla famiglia Newhouse), che ha venduto al concorrente diretto il quotidiano di New Orleans, gioiello della corona, pianificando però 10 miliardi di dollari di investimenti ben lontano dal mondo delle notizie. Per i giornali in America crolla la pubblicità, crolla anche la pubblicità su internet per le versioni online di quotidiani e settimanali. Il duopolio divora tutto. In Italia c’era il duopolio Rai-Mediaset, poi ''triopolio'' con Sky. Nel mondo ci sono Google e Facebook che controllano, in America, tre quarti del mercato pubblicitario. Nel 2010, le entrate totali per gli annunci stampa sono scese al di sotto dei livelli del 1950 e hanno continuato a diminuire. Commenta un esperto: “Tutti ritenevano che se avessi potuto semplicemente passare al digitale, le cose sarebbero andate bene. Ma il problema è che a partire dal 2015, Google e Facebook rappresentano circa il 75% di investimenti pubblicitari digitali in dollari nei mercati statunitensi”. Se non altro, in America, si presume che Google e Facebook qualche tassa la paghino. In Europa nemmeno quello. In Italia, quando il Fisco ci provò, l’allora premier Matteo Renzi si mise di traverso essendo poi ripagato col sabotaggio del suo referendum. Ora al loro fianco si è schierato anche il presidente Trump. Bella compagnia. McClatchy è un nome che dice poco in Italia ma il gruppo comprende più di 30 quotidiani in tutti gli Stati Uniti, con un fatturato complessivo di un miliardo di dollari. Il modesto utile operativo, poco sopra i 20 milioni che portava a una perdita di decine di milioni, arrivata a oltre 300 milioni con la svalutazione del goodwill delle testate, non era sufficiente a servire l’ingente debito che McClatchy si era caricato acquisendo un altro antico e importante gruppo, Knight-Ridder, che ha fatto la storia del giornalismo americano. Era il 2006, due anni prima che il fallimento della banca Lehman Brothers scatenasse la più grande crisi dopo il 1929, che da noi dura ancor oggi grazie all’intransigenza tedesca e agli errori dei governi Berlusconi e Monti. McClatchy comprò Knight Ridder ai prezzi massimi pre crisi, poi alla crisi del 2008 si è aggiunto l’irreversibile declino dei giornali e poi ancora quello della fetta lasciata ai concorrenti dall’eccessiva voracità di Google e Facebook. McClatchy ha annunciato che intende avvalersi della cosiddetta protezione prevista dalla legge fallimentare americana e nota come  “Chapter 11”. L’operazione porterebbe la famiglia McClatchy a perdere il controllo, ma porterebbe anche alla eliminazione di circa il 60 per cento dei 700 milioni di dollari di debiti, come fanno notare Taylor Telford e Thomas Heath sul Washington Post. La crisi di McClatchy, nota il WP, rappresenta “un altro segnale della sempre più profonda crisi dei giornali locali”: Il capitolo 11 consentirà a McCaltchy di mantenere a galla i 30 giornali mentre ristruttura oltre 700 milioni di debito, il 60% dei quali sarebbe eliminato. Se il piano dovesse ottenere l’approvazione del tribunale, il controllo dell’editore verrebbe trasferito all’hedge fund Chatham Asset Management, il principale creditore. La società ha ottenuto 50 milioni di dollari in finanziamenti da Encina Business Credit per mantenere le operazioni mentre è sottoposta a procedura di fallimento. Il caso McClatchy, prevede il giornale di Washington, prefigura un’ulteriore riduzione dei costi e il ridimensionamento per uno dei maggiori protagonisti del giornalismo locale, in un momento in cui la maggior parte delle redazioni statunitensi si stanno già sforzando per coprire le loro comunità tra il calo delle entrate pubblicitarie e la riduzione delle risorse. McClatchy, editore del Miami Herald, del Kansas City Star e di altri quotidiani regionali, è stato gravato dai debiti nel 2006 dopo l’acquisizione per 4,5 miliardi di dollari, di un concorrente molto più grande, Knight Ridder. L’associazione ha coinciso con un boom digitale che ha interrotto il prevalente modello di business e trasformato il modo in cui le notizie vengono consumate. I sentori sui problemi riguardanti il settore sono emersi alla fine del secolo, quando i prezzi delle azioni hanno iniziato a diminuire dalla vetta raggiunta negli anni ’90. Ma McClatchy ha superato meglio della maggior parte, le prime tempeste: alla fine del 2004, la società aveva registrato 20 anni consecutivi di crescita della circolazione, e il suo stock per 10 anni consecutivi aveva rappresentato il miglior guadagno nel settore. Poi è arrivata la Grande Recessione e lo spostamento al digitale che ha alimentato l’ascesa di Google e Facebook. I giornali annaspavano, lottavano per trovare nuove strade ed essere redditizi, a decine furono costretti a ricorrere al tribunale fallimentare o venduti a prezzi stracciati a gruppi di private equity, che ricoprirono un ruolo attivo nella gestione dei giornali. Ne derivò un inarrestabile taglio dei costi, che dimezzò quasi la forza lavoro del settore, passando da 71.000 del 2008 a 38.000 nel 2018, secondo il Pew Research Center. Fondata nel 1857, McClatchy era principalmente una società di quotidiani regionali fino a quando non ha aspirato a Knight Ridder. Nel 2005, McClatchy aveva meno della metà delle entrate di Knight Ridder. “Era il pesciolino che aveva inghiottito il pesce grosso”, si diceva all’epoca. McClatchy, dunque, acquistando il vertice del mercato, ha pagato troppo per Knight Ridder e l’immenso debito assunto per l’acquisto sarebbe stata una pietra al collo della società. Inoltre, McClatchy è stato vittima di un tipico errore del clima predatorio e barbaro che troppo spesso rende cieche le grandi aziende: non ha mandato avanti nessuna divisione digitale o personale aziendale di Knight Ridder, nonostante la crescente importanza di Internet e Knight Ridder all’epoca aveva operato un rispettabile impegno.La strategia digitale della nuova compagnia sbagliò, ponendo troppa enfasi sulle notizie locali. Una delle ultime società di quotidiani regionali con uffici all’estero nel 2015 [eredità di Knight Ridder] ha sospeso le operazioni internazionali per concentrarsi sulla copertura politica e regionale. Un esperto ha detto: “Grazie al fatto che sono in inglese, una lingua conosciuta e utilizzata in tutto il mondo, il Washington Post e il New York Times hanno raddoppiato le operazioni nazionali e internazionali che hanno portato il traffico online al di fuori di quelle città. Con un vasto traffico digitale puoi guadagnare. McClatchy aveva la stessa abilità con uffici nazionali ed esteri di 30 giornali e un ufficio di Washington che ha vinto un Pulitzer. Avrebbero potuto optare per ciò che hanno fatto The Post e il Times, ma hanno deciso di non farlo. Hanno privilegiato le notizie locali e ciò sta provocando la loro fine”. Meno strazianti per gli effetti ma impressionanti per il valore simbolico sono state due notizie riguardanti il gruppo Advance Publications. Anche il nome di Advance non dice molto in Italia, anche se si tratta di uno fra i primi gruppi in America, interamente in mano a una famiglia, i Newhouse. Suona però familiare il nome di una delle loro principali società, Condé Nast, presente anche in Italia con riviste come Vogue, Vanity Fair, Wired. Del canale tv Discovery possiedono un terzo del capitale. Advance ha un fatturato consolidato di oltre 2 miliardi di dollari e occupa 12 mila persone. Nel campo dei quotidiani è fra i primi in America, con una quarantina di testate locali. Tutto ebbe inizio con lo State Island Advance, circa un secolo fa, quando un giovanissimo ragioniere figlio di immigrati ebrei dalla Bielorussia comprò dal ricchissimo datore di lavoro a prezzo di favore la testata che perdeva tanti soldi e avrebbe dovuto essere chiusa. Fra i più importanti giornali del Gruppo c’era il Times-Picayune di New Orleans, vincitore di tanti premi Pulitzer, coperto di gloria ai tempi della grande alluvione. I Newhouse furono tra i primi a spingere sul digitale, nel 2012 tagliarono le edizioni su carta, gli organici da 260 a 70 ma alla fine si sono dovuti arrendere. Hanno venduto ai concorrenti di Advocate, che hanno fuso i due giornali, continuano con la carta, e con un sito internet molto focalizzato localmente. Al tempo stesso, informa Business Insider la famiglia Newhouse ha deciso di investire dieci miliardi di dollari per diversificare sempre di più dalla carta. Fra gli obiettivi ci sono satelliti artificiali, intelligenza artificiale, produzioni teatrali. Molti si domandano che fine farà un altro gioiello di famiglia, il Celeveland Plain Dealer, un giornale da 200 mila  copie al giorno, con punte oltre il mezzo milione la domenica, fra i 25 quotidiani più diffusi degli Usa. Hanno tagliato i giornalisti di un terzo, hanno ridotto la consegna a domicilio a tre giorni la settimana. Negli altri giorni edicole, che sono pochissime, distributori meccanici e versione Pdf del cartaceo da comprare on line. Basterà? O sarà un altro buco nell’acqua? Forse qualcuno dovrebbe andare a Londra a studiare la strada percorsa dal Daily Mail, oggi il primo sito di notizie del mondo.

Carlo Tecce per “il Fatto Quotidiano” il 20 gennaio 2020. Autori e dirigenti televisivi da tempo si interrogano con aria cogitabonda su cosa offrire ai giovani e pure ai giovani fuori corso dalla gioventù, su cosa inserire nei palinsesti, scusate il termine arcaico, su cosa testare di notte come ordigni nucleari e poi lentamente portare alla dignità sacrale della sera. Un sacco di fatica sprecata. I giovani appena iscritti alla gioventù o di vecchia iscrizione non guardano la televisione per come la televisione italiana la intende, prevedibile, strutturata, arrogante perché illusa di poter imporre orari, gusti e modi di fruizione. Le statistiche Auditel per il periodo con più alta utenza (autunno-inverno), rielaborate dallo Studio Frasi, certificano una diaspora dai canali classici - quelli che sul telecomando vanno da Rai1 alle emittenti locali regionali o a pagamento di Sky - verso un altrove inafferrabile di piattaforme straniere, video di pochi minuti o addirittura di pochi secondi: oltre 2,8 milioni di italiani, dai 15 ai 44 anni, hanno smesso di accendere il televisore in prima serata e chi lo accende, badate, lo fa per 29 minuti sui 120 totali e non s' assopisce davanti ai talk show che spiegano il mondo ai giovani, ma preferisce le partite di calcio in diretta e, se adolescente o ventenne, il reality Il Collegio, un prodotto di Maria De Filippi o l' eterna Striscia la notizia. Per anticipare l' obiezione: sì, l' Italia è invecchiata, gli anziani adorano la televisione e i giovani che restano sono condannati a diventare anziani. I giovani di oggi, però, sono disabituati a un rapporto superficiale, di semplice intrattenimento, con le trasmissioni e, per non scadere nella sociologia che tracima dallo schermo, non hanno motivo di cambiare approccio. Per una semplice ragione: in passato lo spettatore subiva l' imposizione autoritaria della televisione, capace di ordinare il varietà il sabato e l' informazione il martedì, adesso è lo spettatore che comanda e, di conseguenza, sceglie. Il palinsesto non ha senso con i programmi impilati dall' alba a Gigi Marzullo con intermezzi di telegiornali, se non per il pubblico - l' Auditel ha introdotto una categoria per loro - di chi ha più di 80 anni e trascorre in media 440 minuti al giorno con la compagnia di un televisore contro i 100 minuti di un adolescente. Il 65 per cento degli italiani con più di 80 anni è sintonizzato in prima serata, ma soltanto il 18 per cento degli adolescenti (-10 punti percentuali sul 2010/11), il 20 per cento dei ventenni (-4), il 26 per cento di chi ha un' età compresa fra i 25 e i 34 anni (-7) e il 32 per cento degli adulti fra 34 e 44 anni (-10). E dai pensionati in poi le oscillazioni sono minime. Allora si può desumere che la televisione generalista e a pagamento, ben piegata nei palinsesti, sia in salute con la ricarica ricostituente degli anziani: no, sbagliato, perché la popolazione televisiva - rispetto ai residenti che sono aumentati anche se da un po' sono in fase di contrazione - è diminuita abbastanza nella media di giornata (-426.000) e molto in prima serata (-3,1 milioni). In questa stagione 19/20, al momento, in media 6 italiani su 10 non hanno toccato il telecomando durante la prima serata, o almeno non l' hanno toccato per rimbalzare tra i canali tradizionali, preferiscono serie tv a basso costo e di ottima qualità che non prevedono abbonamenti oppure piluccano frammenti di informazioni dai filmati che scorrono dai social network o, per carità, s' affacciano sul terreno presidiato dai nonni se Rai1 ha la nazionale di calcio, Canale5 dà in chiaro una gara di Champions League o Sky ha l' esclusiva di Formula1 e Motogp. Ciascuna azienda televisiva ha punti di forza che interessano milioni di spettatori, ma tutte hanno un problema: sono costrette a diluire i punti di forza in palinsesti imbottiti a volte con sciatteria per la paura di lasciare vuoti in onda e così si disperdono risorse, non soltanto economiche. È inutile parlare di giovani. I giovani non possono ascoltare. Non ci sono.

Alessandro Avico per blitzquotidiano.it il 16 gennaio 2020. Vendite giornali novembre 2019. Il mercato totale nel mese di novembre 2019 è stato di 1.859.910 vendite quotidiane. Nel novembre del 2018 erano 2.011.366 al giorno. Una differenza di 151.456, che corrisponde ad un calo totale del 7,5%. Ecco le tabelle con le vendite quotidiane dei singoli giornali nel mese di novembre, comparate con il novembre dell’anno precedente. 

Quotidiani nazionali: Novembre 2019 Novembre 2018

Corriere Sera 175.993 181.588

Repubblica 133.584 143.548

La Stampa 88.853 100.830

Il Giornale 40.749 45.362

Il Sole 24 Ore 38.308 43.349

Il Fatto 23.665 29.777

Italia Oggi 16.240 16.928

Libero 24.971 23.946

Avvenire 22.191 22.144

Il Manifesto 6.859 7.547

La Verità  24.201 21.763 

Quotidiani locali: Novembre 2019 Novembre 2018

Resto del Carlino 76.288 83.245

Il Messaggero 66.573 71.472

La Nazione 56.501 60.318

Il Gazzettino 40.044 40.952

Il Secolo XIX 32.265 35.167

Il Tirreno 29.783 31.991

L’Unione Sarda 30.433 32.543

Dolomiten 5.144 5.595

Messaggero Veneto 31.736 34.057

Il Giorno 30.993 41.908

Nuova Sardegna 24.636 28.800

Il Mattino 22.778 25.180

Arena di Verona 20.134 19.902

Eco di Bergamo 18.408 21.039

Gazzetta del Sud 14.693 16.925

Giornale Vicenza 17.635 19.035

Il Piccolo 16.358 18.320

Provincia (Co-Lc-So) 15.400 16.670

Il Giornale di Brescia 16.219 17.131

Gazzetta Mezzogiorno 14.185 16.448

Libertà 15.335 16.443

La Gazzetta di Parma 14.647 15.912

Il Mattino di Padova 13.555 14.861

Gazzetta di Mantova 13.626 15.174

Il Giornale di Sicilia 9.943 12.114

La Sicilia 10.938 13.580

Provincia Cremona 11.207 11.822

Il Centro 10.073 10.828

Il Tempo 11.310 12.574

La Provincia Pavese 9.279 10.225

Alto Adige-Trentino 7.403 8.574

L’Adige 9.491 10.794

La Nuova Venezia 6.696 6.875

Tribuna di Treviso 8.323 9.024

Nuovo Quot. Puglia 9.064 8.393

Corriere Adriatico 10.908 11.553

Corriere Umbria 8.347 8.689

Gazzetta di Reggio 7.247 7.622

Gazzetta di Modena 6.409 6.688

La Nuova Ferrara 5.083 5.339

Quotidiano del Sud 9.222 4.868

Corriere delle Alpi 4.098 4.516

Quotidiano di Sicilia 6.499 6.256 

Nell’ultima tabella mettiamo insieme i dati di vendita (sempre in edicola) dei quotidiani sportivi, separando i risultati dell’edizione del lunedì, che è sempre quella più venduta.

Quotidiani sportivi: Novembre 2019 Novembre 2018

Gazzetta dello Sport Lunedì 127.796 138.940

Gazzetta dello Sport 121.430 127.197

Corriere dello Sport  57.648 62.214

Corriere dello Sport Lunedì 67.339 71.395

Tuttosport  37.320 40.477

Tuttosport Lunedì 39.858 46.679 

Perché insistiamo sulle vendite in edicola e teniamo distinte le copie digitali? Per una serie di ragioni che è opportuno riassumere.

1. I dati di diffusione come quelli di lettura hanno uno scopo ben preciso, quello di informare gli inserzionisti pubblicitari di quanta gente vede la loro pubblicità. Non sono finalizzate a molcire l’Io dei direttori, che del resto non ne hanno bisogno.

2. Le vendite di copie digitali possono valere o no in termini di conto economico, secondo quanto sono fatte pagare. Alcuni dicono che le fanno pagare come quelle in edicola ma se lo fanno è una cosa ingiusta, perché almeno i costi di carta, stampa e distribuzione, che fanno almeno metà del costo di una copia, li dovreste togliere. Infatti il Corriere della Sera fa pagare, per un anno, un pelo meno di 200 euro, rispetto ai 450 euro della copia in edicola; lo stesso fa Repubblica.

3. Ai fini della pubblicità, solo le vendite delle copie su carta offrono la resa per cui gli inserzionisti pagano. Provate a vedere un annuncio sulla copia digitale, dove occupa un quarto dello spazio rispetto a quella di carta. Il confronto che è stato fatto fra Ads e Audipress da una parte e Auditel dall’altra non sta in piedi. Auditel si riferisce a un prodotto omogeneo: lo spot, il programma. Le copie digitali offrono un prodotto radicalmente diverso ai fini della pubblicità. Fonte Ads

·        Siete sicuri che è informazione?

Che fine ha fatto il vero giornalismo? Martino Bertocci, Studente e social media manager, su Il Riformista il 9 Dicembre 2020. La sera dell’8 dicembre l’onorevole Maria Elena Boschi, Presidente dei Deputati di Italia Viva, è stata ospite di Lilli Gruber nella trasmissione Otto e Mezzo su La7. Il tema in cui si è inizialmente concentrato il dibattito è quello di una possibile crisi di governo, che, secondo la giornalista, è stata minacciata da Italia Viva. La conduttrice, molto innervosita, ha subito chiesto a Maria Elena Boschi quali fossero le richieste di Italia Viva a Giuseppe Conte e se fosse davvero pronta a far cadere il governo e aprire una crisi in piena pandemia di coronavirus. La deputata ha risposto con molta pacatezza e col sorriso ciò che aveva detto in un’intervista al Corriere della Sera del giorno stesso: “Ci auguriamo ovviamente di no”. Poi ha aggiunto: “Chiediamo che i 200 miliardi siano spesi per i cittadini italiani senza intermediari e di non sostituire il governo con una task force dopo aver già rimpiazzato il Parlamento con le dirette Facebook. Chiediamo di affrontare i problemi attuali, come l’organizzazione della distribuzione del vaccino Covid”. Subito però la Gruber ha interrotto la Boschi sostenendo che Italia Viva, se avesse avuto qualche problema con il premier lo avrebbe dovuto dire prima. Giustamente l’onorevole Boschi si è rivolta con educazione alla giornalista dicendole: “Si è persa qualche puntata precedente allora. Di fronte ai problemi non possiamo far finta di non vedere e sentire. Ne abbiamo parlato anche alle riunioni di maggioranza. Abbiamo contribuito fortemente a far nascere questo governo per non dare i pieni poteri a Salvini, ma adesso non siamo disponibili a darli a Conte”. L’ex-ministra del governo Renzi pensava giustamente, esaurito questo argomento, di poter parlare dei progetti che Italia Viva ha per questo paese e delle proposte che Italia Viva ha fatto per poter gestire i soldi in arrivo dal piano “Next Generation EU”. Questo però non è avvenuto perché la Gruber ha mostrato le foto della deputata insieme al suo compagno, mentre si faceva un selfie, senza mascherina, mentre erano completamente soli. La conduttrice le ha fatto notare come, da personaggio pubblico e politico, dovesse attenersi alle regole come tutti ma con ancora maggiore attenzione. Peccato che la giornalista forse non abbia ben presente cosa è scritto sul sito del governo italiano: “I dispositivi di protezione delle vie respiratorie devono essere obbligatoriamente indossati sia quando si è all’aperto, sia quando si è al chiuso in luoghi diversi dalla propria abitazione, fatta eccezione per i casi in cui è garantito l’isolamento continuativo da ogni persona non convivente”. La giornalista, non avendo forse elementi per attaccare l’on. Boschi, grida allo “scandalo”. Brutto vedere una giornalista di grande livello, paladina della solidarietà femminile, usare foto di riviste di gossip per la sua trasmissione che dovrebbe parlare di Politica e attualità. Dopo l’incivile trasmissione Maria Elena Boschi scrive su Twitter: “Grazie a tutti per i commenti di solidarietà dopo Otto e mezzo. Quando cercavo di parlare di contenuti venivo sempre interrotta: per Lilli Gruber più importante parlare delle mie foto che non dei 200 miliardi del Recovery Fund. Mi spiace per gli ascoltatori”. Maria Elena Boschi riceve il sostegno della Ministra Bellanova e dalla titolare del dicastero per le pari opportunità e la famiglia, Elena Bonetti, che dichiara: “L’accanimento sulla vita privata delle persone è sempre fuori luogo, soprattutto se si è chiamati a commentare le scelte politiche del paese. Da cittadina che ascoltava mi aspettavo un approfondimento politico e non sul bacio tra l’onorevole e il suo compagno”. Ma il sostegno arriva anche da destra: Guido Crosetto picchia duro con ironia su Lilli Gruber, affidando anch’egli ad un tweet il suo pensiero: “Vi sembrerà impossibile e non ci crederete ma la Gruber, anni fa, prima del passaggio in Parlamento Europeo, faceva la giornalista“. La feroce intervista condotta dalla Gruber contro Maria Elena Boschi a Otto e mezzo, che ha scatenato i social, con i telespettatori quasi tutti in difesa della deputata di Italia Viva, ha mostrato il decadimento del vero giornalismo. La conduttrice, che la scorsa settimana aveva intervistato il premier Conte senza mai interromperlo, ha provato a coinvolgere nelle accuse alla Presidente Boschi gli altri due ospiti, Mariolina Sattanino e Massimo Gramellini che però si sono elegantemente defilati dall’incredibile linciaggio, cercando di placare un po’ le acque. È stato veramente toccato un punto bassissimo di giornalismo, se possiamo ancora definirlo tale. È vergognoso vedere in un paese civile una giornalista che, avendo in studio la capogruppo di uno dei partiti di maggioranza, trascende nella vita privata delle persone, senza invece far chiarire le posizioni politiche e interrompe l’intervistata ogni poco. La trasmissione poteva essere un momento di approfondimento, mentre si è trasformata in una macchina del fango. Non mi capacito del perché si debba mischiare la vita lavorativa con quella privata. È qualcosa di assurdo e inaccettabile. Nessuno pretende che tutti condividano le stesse idee e ciò che è proposto da una parte politica. Ma alla base di tutto ci deve essere sempre essere il rispetto. E questo nella puntata di Otto e mezzo è venuto veramente a mancare.

 “Burattini, venduti e servi”: perché in ogni protesta i giornalisti vengono insultati? Rossella Grasso su Il Riformista il 3 Novembre 2020. Ormai quasi ogni giorno le strade e le piazze delle città italiane si riempiono di proteste e cortei di ogni tipo. Tra i vari ci sono semplici cittadini, le categorie che l’ultimo dpcm ha messo in crisi, le mamme che si lamentano contro la chiusura delle scuole ecc. Immancabili in ogni occasione anche gruppi di negazionisti senza mascherina che inneggiano all’amore e invitano all’abbraccio. In questa pletora di persone unite per diversi motivi dalla protesta volano spesso anche insulti più o meno violenti contro i media. Spesso con spintoni e aggressioni verbali invitano i giornalisti a togliere la mascherina accusandoli di non dire la verità, di “essere asserviti”. Una scena che si è ripetuta anche durante il provocatorio “corteo Funebre” che si è svolto a Napoli la sera del 2 novembre. Il gruppo di manifestanti ha, infatti, inscenato il funerale dell’economia campana con tanto di carro funebre, necrologi e crisantemi. Ma durante il percorso i manifestanti hanno iniziato a insultare violentemente anche i giornalisti che erano lì per dare voce alla protesta e raccontare le istanze dei manifestanti. “I giornalisti ci devono sempre buttare a terra, sempre. Invece di venire a occuparsi dei nostri diritti, delle nostre difficoltà da lavoratori a partita iva, che dobbiamo chiudere le nostre attività, ci accusano solo di assembramenti”. Ha detto polemicamente una ragazza alludendo al fatto che nel racconto dei fatti non sfugge il problema degli assembramenti che queste manifestazioni comportano. Un fatto anche questo innegabile e ben visibile dalle immagini. Assembramenti a cui i giornalisti, loro malgrado si espongono, pur di dar voce alle proteste e raccontare a tutti cosa accade. Comprese quelle che sono le storture che la paura e la rabbia per la pandemia stanno generando senza freno. Gli insulti continui ai giornalisti sono una parte di questi. “Voi giornalisti dovete dire le cose giuste – continua una delle manifestanti – non quelle che convengono a voi che vi mandano a dire di dire”. Poi la manifestante prosegue asserendo di essere in primis giornalista “ma me ne sono andata dal sistema – ha continuato – paragonando l’informazione pubblica alla camorra – e quindi non vengo a fare la burattina qua in mezzo io mi sono rifiutata”. Dunque la critica viene da una “giornalista” ed è curioso anche che la manifestazione in questione fosse stata organizzata proprio da un giornalista. Un pensiero che per chi ha seguito con passione e dedizione varie proteste si è sentito ripetere spesso. Il 2 novembre la scena sotto la Regione Campania è stata ancora più violenta, magari non fisicamente, come durante gli scontri di quel primo venerdì di coprifuoco, ma verbalmente sicuramente si. Nelle immagini si vede il gruppo dei giornalisti impugnare telecamere e microfoni e dal lato opposto alcuni manifestanti gli gridano in faccia “giornalaio!”, “venduti!” e poi in coro “servo, servo, servo!”. Poi la scena tocca picchi di follia: un manifestante con la maschera di De Luca insulta uno dei cameramen accusandolo di non indossare la mascherina. Il cameraman, che invece indossa tanto di mascherina a norma, resta impassibile mentre l’uomo continua a gridargli contro: “Ti stanno filmando tutti, poi ti sputtaneranno… poi ci farai sapere se siamo noi i negazionisti o tu il prezzolato”. E parte l’applauso della folla intorno. Una scena che fa male a chi si affatica a raccontare anche questo, spesso anche mal pagato o nulla o affatto tutelato. “Giornalisti terroristi alla gogna vergogna”, recita invece un altro cartello. A portarlo fieramente al collo una donna che ne spiega i motivi: “In televisione fanno vedere cose assurde – ha spiegato – pochi giorni fa hanno fatto vedere due ospedali di due paesi differenti, poi due barelle che portavano i cuscini, uno vestito da marziano con la tuta anticovid ma che indossava gli infradito, un altro che portava un cadavere con tre dita. Quindi adesso diciamo basta”. Peccato che tutte le assurdità elencate dalla signora siano state promosse e divulgate sui social, tanto da diventare virali. Forse dei giornalisti non si può poi così tanto fare a meno.

LA NOTA DEL PRESIDENTE DELL’ORDINE DEI GIORNALISTI OTTAVIO LUCARELLI – Ringrazio il Riformista per questa puntuale denuncia ed esprimo solidarietà e vicinanza al collega minacciato e a tutti i giornalisti sotto tiro. In questa fase più che mai siamo in prima in linea vicini ai contagiati, ai medici, agli infermieri. E siamo in strada a raccontare il Covid. Eppure l’ignoranza dilagante continua a prenderci di mira. Per questo insisto nel chiedere a Prefetto e Questore maggiore protezione per chi ha il delicato compito di informare l’opinione pubblica.

Se adesso la Murgia "insegna" a Repubblica come fare giornalismo. Michela Murgia ha deciso di insegnare ai giornalisti come parlare del femminicidio: l'ha fatto con una lista di frasi da usare e da non usare consegnata alla redazione di Repubblica. Era necessaria? Francesca Galici, Venerdì 02/10/2020 su Il Giornale. Michela Murgia inizia a essere indigesta anche dalle parti de la Repubblica. Strano ma vero, la redazione del quotidiano pare si sia ribellata a un diktat della scrittrice, a capo di un team che si è premurato di stilare un decalogo orewlliano con le regole per trattare i casi di femminicidio in modo tale da non urtare la sensibilità altrui, in primis quella della scrittrice. "Come raccontare un femminicidio", è il titolo dell'elenco che la Murgia ha preparato per la Repubblica con la benedizione del direttore Maurizio Molinari. È un argomento insidioso quello del femminicidio, che purtroppo regala spunti di cronaca quasi quotidiani nel nostro Paese. Tuttavia, si presume che giornalisti professionisti ed esperti come quelli de la Repubblica siano capaci di raccontare i contorni di vicende così complicate anche senza la guida di una scrittrice. Non c'è da stupirsi se - come racconta il quotidiano La Verità - pare che dopo aver scorso le regole della guida, la redazione sia stata pervasa da un sentimento diffuso di nervosismo, del tutto giustificato. La Repubblica in questo periodo non naviga in acque serene. La massima espressione del giornalismo progressista del nostro Paese è sceso sotto la quota psicologica delle 100mila copie di tiratura. Il motivo? La nuova linea proposta dal direttore Molinari, che si è insediato solo pochi mesi fa, ha destabilizzato le sicurezze dei lettori, soprattutto quelli più anziani, abituati a un approccio più duro e pasionario del giornale su molte tematiche, soprattutto quelle politiche da sempre care alla sinistra pura italiana. Il nuovo corso di Molinari ha confuso anche i giornalisti, che dopo diverse novità introdotte dal direttore, ora si trovano anche a dover sottostare a un elenco scritto da Michela Murgia. Nel suo decalogo, la scrittrice sarda spazia su molti aspetti, comprese le modalità di scrittura degli articoli sul femminicidio. È comprensibile che i cronisti si siano sentiti offesi nella loro professionalità, anche per il modo in cui la scrittrice è salita in cattedra. I 7 punti della lista orwelliana sono divisi in due colonne, i sì da una parte e i no dall'altra. Rispettivamente, in ognuna delle colonne, i cronisti di Rep trovano esempi di frasi da usare e da non usare, indicazioni per lo più ovvie che riscaldano gli umori dei giornalisti del quotidiano fondato da Eugenio Scalfari. "Non far sembrare l'omicidio una conseguenza delle scelte della vittima", "non empatizzare con l'omicida ma con la vittima", "non patologizzare il movente", e cosi via. I cronisti de la Repubblica hanno improvvisamente disimparato il loro mestiere? Difficile crederlo, infatti il comitato di redazione sta studiando la questione e si prepara ad agire. Michela Murgia non gode di particolare stima giornalistica da parte della redazione di Rep, che non riconosce alla scrittrice doti in questo ambito. Eppure, la scrittrice sarda non è completamente estranea all'universo del quotidiano, visto che è stata assoldata tempo fa a capo del team social de la Repubblica. È vero che il tema del femminicidio è spinoso ma è altrettanto vero che un giornalista non può realizzare un articolo con il bignami delle frasi pronte di Michela Murgia. I vertici del quotidiano di Scalfari hanno fatto un passo avanti dopo i debunker e i fact check, dopo i cani da tartufo delle fake news e gli invocatori del karma. Hanno assoldato la donna del "fascistometro" per dare lezioni di politicamente corretto alla redazione che del politicamente corretto ha fatto la sua bandiera. E così, sulle pagine di la Repubblica non si leggeranno più frasi giustificatorie per gli omicidi delle donne, non si dirà più "che si trattava di un fidanzatino, che era un insospettabile, che aveva perso da poco il lavoro, che era soffocato dai debiti". Giusto, ma succederà lo stesso con le tematiche legate ai migranti?

Laura Cesaretti per “il Giornale” il 29 settembre 2020. Un tempo c'era Ernest Hemingway. Oggi c'è Dibba, e basterebbe questa malinconica parabola a dare idea della decadenza di una nobile ed antica professione. Ma c'è di più: oltre che reporter d'oltremare, l'ex deputato grillino Alessandro Di Battista si fa anche docente di giornalismo, e sale in cattedra, per spiegare a giovani di belle speranze le «linee guida per la realizzazione di un reportage dall'estero». Alla modica cifra di 185 euro, e senza spostarsi dal divano di casa perché la lectio magistralis sarà online. L'ideona didattica è venuta a quelli di Tpi, sito di informazione «senza giri di parole» (qualunque cosa ciò voglia dire) diretto da Giulio Gambino (figlio di Antonio, cofondatore dell'Espresso) e da Stefano Mentana (figlio di Enrico, direttore del Tg La7), e animato nel tempo da firme come Davide Lerner (figlio di Gad) o Sofia Bettiza (figlia di Enzo). Il sito sta lanciando questo suo «workshop» sul giornalismo online, che si svolgerà ad inizio ottobre, per dare agli aspiranti Montanelli in erba «l'opportunità di imparare dalle nostre più importanti firme», previo sganciamento di 185 euro, i segreti del mestiere. E tra queste «importanti firme» c'è per l'appunto - da un paio di mesi - anche l'egregio Dibba, che ultimamente non se la passa benissimo. Il suo tentativo di prendersi le redini del declinante M5s, come gli aveva promesso Davide Casaleggio (figlio di Gianroberto), non pare decollare. La legislatura, tanto più dopo l'improvvido taglio del numero di parlamentari, è destinata a durare fino al suo termine naturale, e se possibile oltre, quindi il miraggio della rielezione a deputato si allontana. E i committenti dei «reportage» di Di Battista dai Caraibi, dalla West Coast o dalla Persia sembrano defilarsi: Sky, dopo la trasmissione del lunghissimo filmino delle vacanze della famiglia Dibba, intitolato L'altro mondo, non pare interessatissima a nuove produzioni. Quanto al Fatto Quotidiano, primo organo di stampa mondiale a lanciare l'Hemingway di Roma Nord, con Marco Travaglio che sfidava la redazione imbizzarrita per difendere la prestigiosa firma e mantenere segreti i suoi compensi, è finita a schifio, causa contrasti politici sulle regionali pugliesi. Nel suo editoriale pre-voto, il medesimo Travaglio (che ormai ha trasferito i suoi affetti dall'aspirante Corto Maltese de noantri al più azzimato Giuseppe Conte) ha praticamente scomunicato la sua ex firma, prendendolo a pesci in faccia per la sua imperdonabile fronda contro lo statista di Volturara Appula. Certo, sul canale tv travagliesco si può ancora trovare il filmino pro-Iran intitolato Sentieri Persiani, frutto dell'ultima vacanza-studio dibbiana. Ma in futuro ci sarà ancora spazio per il suo giornalismo d'assalto e controcorrente, capace di spiegare coraggiosamente (in ben tre puntate) che «l'Islam non è un monolite ma si divide tra sunniti e sciiti» e che «l'Iran è un grande paese abitato da grandi popoli», inclusi i turcomanni? Intanto, la nomade firma è ospitata da Tpi, dove da agosto ad oggi ha lasciato tre pregevoli scampoli di prosa: uno per spiegare che la guerra in Afghanistan è fallita; uno (chilometrico) per inveire contro Mario Draghi «apostolo delle élite» e l'ultimo - datato 16 settembre - ed incongruamente rubricato «reportage», per fare un appello al «Sì» nel referendum. Se pagate 185 euro potrete farvelo spiegare di persona.

Giovanni Vasso per ilgiornale.it il 2 ottobre 2020. Sulle ceneri dell’Udeur esplode la rissa politica tra Alessandro Di Battista e Clemente Mastella. Di Battista, in un’intervista televisiva andata in onda su La7 nella prima serata di ieri, aveva evocato il Campanile per commentare, negativamente, l’evoluzione politica del Movimento Cinque Stelle. Di Battista ha affermato che se la creatura pentastellata continuerà nelle politiche attuali "si andrà verso una direzione di indebolimento del M5S e si diventerà un partito più come l’Udeur, buono forse più per la gestione di poltrone e di carriere. Non è quello per il quale ho combattuto". Profetizzandone come inesorabile la trasformazione in una sorta di piccola formazione centrista, Di Battista, in pratica, ha evocato una sorta di vero e proprio contrappasso politico per i Cinque Stelle. Le sue dichiarazioni, infatti, hanno colpito al cuore l’immaginario stesso del M5s e ovviamente hanno sollevato un putiferio all’interno della compagine pentastellata. Ma hanno sortito anche un effetto collaterale, non da poco. La reazione, furibonda, del sindaco di Benevento Clemente Mastella, per lunghi anni padre e dominus dell’Unione dei democratici per l’Europa. Non è stata, da parte del “movimentista”, una citazione innocente quella del Campanile: Clemente Mastella, infatti, era diventato negli anni scorsi una delle figure più criticate sul panorama nazionale ed era tra i bersagli "preferiti" dei pentastellati già dagli albori. Mai è corso buon sangue tra l'ex Guardasigilli e il M5s. Una sfumatura, questa, che non è certo sfuggita allo stesso Mastella il quale ha tenuto a rispondere, in un video, alle dichiarazioni di Di Battista. E lo ha fatto prendendosi la soddisfazione di restituirgli, in una videorisposta che ha pubblicato sui suoi social, i “vaffa” che gli erano piovuti in testa all’epoca del V-Day di Bologna. Un redde rationem che attendeva, evidentemente, da ben tredici anni dato che quella manifestazione "fondativa" del M5s si tenne l’8 settembre del 2007 nel capoluogo emiliano. Mastella non ha lesinato sulle definizioni e le accuse: “Questo Robespierre dei miei stivali manifesta l’intenzione di prendersela con i suoi e chiama in causa il mio Udeur. Che era una cosa molto seria a differenza di questo gruppo di personaggetti senza cultura, insignificanti e loro sì davvero legati al potere”. E dunque, non prima di aver ricordato che lui con l'Udeur aveva il peso di determinare il destino dei governi e di aver ottenere per questo risultati politici importanti, si è tolto il macigno che si portava nei mocassini da più di un decennio: "A lui potrei dire soltanto una cosa: vaffa. Come voi dicevate a me quando, con Beppe Grillo e gli altri vi divertivate a Bologna. Ora mi diverto io. Vaffa, carissimo Di Battista: sei un grande leader mondiale dell’idiozia politica”.

QUANTO VALE UNA FIRMA AUTOREVOLE DEL ''CORRIERE DELLA SERA''? DAGOREPORT il 2 ottobre 2020. Quanto vale una firma storica, e autorevole, del Corriere della Sera? Per Urbanetto Cairo 50 euro se l’articolo è commissionato dal direttore (sic!) Luciano Fontana. Ogni ulteriore proposta dell’autore va messa in pagina gratis anche on line. Nel deserto pietrificato di via Solferino gira da giorni una lettera-ultimatum firmata di proprio pugno dall’ex tuttofare di Berlusconi, che segue un percorso miserevole di risparmi a spese della redazione e della residua qualità del quotidiano. Un ukase incredibile , che – ma c’è ancora un comitato di redazione? -, fa a pugni con il contratto di lavoro. Tocca infatti al direttore responsabile non ad Arpagone Cairo, l’assunzione o la rimozione di redattori e collaboratori. E non all’editore che seduto su una montagna di debiti (vedi articolo a seguire) - coperti generosamente a tassi agevolati fino al 2022, dalle banche azioniste (in testa Intesa e Ubi) -, come tutti gli spilorci non sa nemmeno fare di conto. Da una parte, strapaga alcuni giornalisti e opinionisti, ad altri offre umilianti oboli da 50 euro. Del resto già molti giornalisti lavorano gratis per la causa di patron Cairo, costretti a fare i ciceroni nei tour turistici organizzati dall’Rcs. Ma se i tifosi del Torino calcio contestano i mediocri risultati della squadra presieduta da Cairo, da tempo in via Solferino hanno ripiegato le bandiere dell’indipendenza e della qualità. Certo, nei corridoi qualcuno, a denti stretti, si lamenta di questa pratica stracciona di Cairo: “Ormai siamo l’ house-organ della cairota La7! Nella pagina dei commenti, una volta presidiata da Sergio Romano e da altre illustri firme, è occupata ora da Myrta Merlino e Pierluigi Diaco che, senza offesa per i colleghi, non mi sembrano all’altezza dei precedenti e titolati collaboratori”. Tacciono i naufraghi aggrappati alla scialuppa di via Solferino. Silente il direttore Fontana, trasformatosi in una sorta di passacarte di Cairo che impone le sue scelte anche sulle pagine culturali. E al coro dei muti (e sordi) si uniscono il vate Abramo Bazoli, predicatore dei valori umani (altrui), che ha imposto Urbanetto al comando dell’Rcs Mediagrup, e gli azionisti forti (Nagel-Mediobanca, Della Valle-Tods, Cimbri-Unipol, Tronchetti Provera-Pirelli) nonostante il titolo in borsa abbia toccato il minimo storico perdendo metà del suo valore (-50%). Per la prima volta la Cairo Communication di Urbanetto vale meno della partecipazione da lui controllata (58,83&). Forse il bilancio si risolleverà tagliando le buste paga e dando l’elemosina ai collaboratori del Corriere.

Gianluca Zappa per startmag.it il 2 ottobre 2020. Cairo Communication vale attualmente meno della partecipazione di controllo (58,83%) detenuta in Rcs Mediagroup. E’ quello che sottolinea in un commento-analisi del quotidiano Mf/Milano Finanza del gruppo Class Editori fondato e diretto da Paolo Panerai. Il quotidiano finanziario parte da una premessa: il settore dei media è stato uno dei più colpiti dal Covid-19. “Per questo i dati e le valutazioni attuali probabilmente non sono veritieri, non rappresentano il reale valore di un business in crisi ormai dal 2008”. Comunque, guardando all’andamento di Piazza Affari – i numeri sono pur sempre i numeri – non si può non notare che, complice il nuovo minimo storico toccato ieri (1,24 euro per azione), Cairo Communication vale attualmente meno della partecipazione di controllo (58,83%) detenuta in Rcs Mediagroup, sottolinea il giornale diretto da Panerai. Questo – rimarca Mf/Milano Finanza – perché se il gruppo di via Rizzoli alla data di ieri aveva una capitalizzazione di 290,68 milioni, la market cap della società controllante, 166,68 milioni, risulta inferiore per valore (173,92 milioni) della quota detenuta della società fondata da Urbano Cairo. Il tutto senza considerare che “Cairo Communication al 30 giugno scorso presentava un indebitamento complessivo (inclusi i contratti d’affitto ex Ifrs 16) di 297,5 milioni. Il dato però tiene anche conto del debito totale di Rcs, 276,2 milioni”. Ciò significa che, in termini di equity value, il mercato per l’appunto assegna alla capogruppo quotata che fa riferimento (67,375%) al patron del Torino Calcio un valore in complesso inferiore a quello della partecipazione di riferimento detenuta nel suo principale asset, ossia la società che in Italia edita tra gli altri il Corriere della Sera e la Gazzetta dello Sport: “Va segnalato che a fine giugno l’emittente La7 presentava i ricavi per 50,9 milioni e una perdita di 6,3 milioni e la Cairo Editore aveva un fatturato di 44,4 milioni e un utile di 1,9 milioni”.

Alberto Custodero per repubblica.it il 31 luglio 2020. La diretta, a volte, può giocare brutti scherzi. È il caso del servizio del Tg2 che, proprio in una diretta dal Senato a pochi secondi dalla chiusura delle votazioni sul caso Open Arms, ha annunciato "il colpo di scena". "Salvini non andrà a processo, non è stata concessa l'autorizzazione". La giornalista era nella sala dei Postergali, quella usata per le dirette nella quale non ci sono agenzie, non ci sono computer e non ci sono nemmeno schermi dai quali seguire i lavori in Aula. La cronista posa il telefono e prende la parola. "È proprio di ora il risultato, non è passata l'autorizzazione a procedere..." è stato l'incipit del servizio della cronista di Palazzo Madama. Pare che l'errore di interpretazione del voto dell'Aula le sia stato suggerito al telefono, pochi istanti prima della diretta, dal suo caporedattore. "Sembrava un voto scontato - prosegue lo sfortunato servizio  - visto anche il sì di Iv. E invece no, ci sono stati 141 voti favorevoli ma 149 no. Quindi Salvini non andrà a processo. Questo è davvero un colpo di scena perchè tutta la maggioranza era compatta per dire che non c'era interesse generale". "Ma il centrodestra compatto ha detto no: Salvini ha fatto l'interesse generale". Protagonista della clamorosa gaffe una giornalista parlamentare con vent'anni di esperienza e scrittrice. Suo il libro "Di corsa e di carriera", edito da Macchioni, prefazione Vittorio Sgarbi. Questa volta, ironia della sorte, andare in onda di corsa ha procurato alla conduttrice un inciampo di carriera. Il suo svarione non è passato inosservato. E come avrebbe potuto non essere notato, del resto, vista tra l'altro l'enfasi con cui annunciava che "il centrodestra, compatto, ha detto che Salvini ha fatto l'interesse generale".

Le scuse della direzione del Tg2. "Nell'edizione del Tg2 delle 18.15, subito dopo l'annuncio della presidente del Senato Casellati del risultato della votazione sull'autorizzazione a procedere nei confronti di Matteo Salvini, durante un collegamento abbiamo erroneamente detto che con il voto l'autorizzazione a procedere non sarebbe stata concessa, mentre il Senato ha autorizzato il processo al senatore Salvini". Così, in una nota, la direzione del Tg2. "È stato un grave errore di interpretazione del risultato, che abbiamo corretto qualche minuto dopo con un vivo del conduttore. Ci scusiamo comunque - conclude la direzione del Tg2 - per aver indotto in errore i nostri ascoltatori".

Tg2, errore su Salvini. Il direttore attacca tre giornalisti: “Dilettantismo”. Da professionereporter.eu il 7 agosto 2020. Il Tg2 delle 13 del 5 agosto ricordando le opere e le azioni di Sergio Zavoli, appena scomparso, ha detto che era “senatore a vita”. Notizia destituita di fondamento. Il grande giornalista, orgoglio dell’azienda dove viene prodotto il Tg2, è stato quattro volte senatore (eletto), nei Ds, nell’Ulivo e due volte nel Pd. Nel giro di una settimana è il secondo incidente della testata Rai dopo l’annuncio del voto negativo in Senato sul processo a Salvini. Ore 18,15, giovedì 30 luglio, il Tg2 dà la notizia che la richiesta di autorizzazione a procedere per il leader della Lega Salvini sul caso Open Arms è stata respinta dal Senato. La verità è il contrario. Il segretario delle Commissione parlamentare di vigilanza Rai, Michele Anzaldi (Italia Viva) ha chiesto la sostituzione del direttore Gennaro Sangiuliano, nominato dal governo giallo-verde Salvini di Maio, e ritenuto vicino alla Lega. Sangiuliano reagisce attribuendo le colpe della vicenda Salvini-Open Arms al vicedirettore Francesca Nocerino, al caporedattore Massimo D’Amore e alla caporedattrice Maria Antonietta Spadorcia. Scrive di “faciloneria e dilettantismo”, annuncia che, d’intesa con la Rai, valuterà “eventuali provvedimenti”. Dopo l’incidente Salvini-Open Arms, Anzaldi ha rivolto un’interrogazione al presidente e all’amministratore delegato della Rai: “Nel corso di un collegamento con il Senato, la caporedattrice Maria Antonietta Spadorcia ha dichiarato che la votazione appena conclusa aveva decretato lo stop al processo per il leader della Lega. In realtà il Senato aveva deciso a maggioranza di dare il via libera al processo. Dopo questo palese errore, nessuna correzione immediata è stata fatta né dalla conduttrice in studio, al momento di riprendere la linea dal Senato, né subito dopo. Sono passati ben 13 minuti di tg e svariati servizi, prima che la conduttrice tornasse sull’argomento e proponesse non una totale smentita della notizia falsa, ma una "parziale correzione" di quanto detto. Nell’occasione, peraltro, la conduttrice non ha rivolto nessuna scusa ai telespettatori”. Anzaldi chiede di conoscere quanti fossero i giornalisti che vigilavano sulla messa in onda dell’edizione delle 18.15 (oltre alla giornalista inviata in Senato e alla conduttrice), tra direttore, vice direttore, capi redattori e vice capiredattori, capi servizio e vice capiservizio, responsabili dell’edizione, redazione politica. E chiede se l’azienda non ritenga doveroso prendere provvedimenti. Il direttore Sangiuliano ha fatto sapere che giovedì 30 luglio era assente dalla redazione, perché convalescente dopo un’operazione chirurgica. “La responsabilità del direttore c’è sempre -dice Anzaldi- che lui sia materialmente presente o meno in redazione. E sottolineature del genere sono umilianti innanzitutto per la redazione”. Dopo il servizio con errore su Zavoli Anzaldi ha chiesto all’ad Salini, “cosa altro deve succedere per sostituire il direttore?”. La Direzione Relazioni Istituzionali Rai ha risposto ad Anzaldi che, innanzitutto, ”il direttore Gennaro Sangiuliano ha ammesso l’errore sulla notizia della non autorizzazione a procedere nei confronti del senatore Salvini”. In un comunicato del giorno dopo -ricorda la Rai- Sangiuliano ha definito l’accaduto “un errore inaccettabile”. Sangiuliano era in convalescenza per un serio intervento chirurgico e non era in sede: “Sono intervenuto tempestivamente da casa per far leggere dal conduttore una nota che ristabiliva la corretta narrazione dei fatti”. Probabilmente -sostiene la Rai- la concitazione del momento, la tempestiva evoluzione dei fatti, la volontà di informare rapidamente i telespettatori, insieme alla postazione logistica della giornalista in collegamento all’interno del Senato ma lontana dal luogo degli eventi, sono fattori che hanno contribuito a rendere possibile l’errore. Così la Rai ha ricostruito i fatti: nel corso dell’edizione pomeridiana del Tg2 del 30 luglio è stato trasmesso un servizio, realizzato dalla stessa inviata al Senato, Maria Antonietta Spadorcia, che dava conto dello svolgimento dei fatti e concludeva che probabilmente, dopo le dichiarazioni del senatore Matteo Renzi, si sarebbe giunti a un esito sfavorevole al senatore Matteo Salvini. Il Tg2 si è poi collegato con la postazione a palazzo Madama, dove si trovava la giornalista in una posizione logistica dalla quale era estremamente complicato seguire l’evoluzione dei fatti e dunque l’esito delle votazioni. Contemporaneamente il caporedattore della redazione politica, Massimo D’Amore, ha trasmesso via telefono alla Spadorcia una errata informazione sull’esito della votazione e per questo la giornalista ha riferito la notizia non corretta. In tale quadro occorre sottolineare che, nel corso della stessa edizione del notiziario, è stata prontamente data ampia notizia dell’esatto svolgimento dei fatti per correggere l’errore commesso e si è cercato invano di ricollegarsi con la postazione al Senato per scusarsi dell’accaduto in diretta. “Al fine di porre rimedio alla incresciosa vicenda, con pieno senso di responsabilità il direttore Sangiuliano, d’intesa con la direzione comunicazione della Rai, ha fornito alle agenzie il comunicato suesposto in cui ha riconosciuto l’errore e ha chiesto scusa ai telespettatori, mentre il caporedattore Massimo D’Amore si è assunto la piena responsabilità dell’accaduto in una nota inviata all’amministratore delegato Fabrizio Salini”. In una lettera inviata all’amministratore delegato Salini, al Direttore del personale, Felice Ventura, al comitato di redazione e ai diretti interessati, Sangiuliano parla di “estrema gravità” di quanto accaduto al Tg2 a proposito del voto su Salvini. Ribadisce che dal 21 luglio si è allontanato dal giornale per due settimane per sottoporsi a un intervento chirurgico e poi per un’altra settimana di convalescenza. Quindi mette in fila la catena di errori da lui individuata “alla luce di un’analisi fredda e accurata”:

1) Il Tg2 delle 18.15 aveva già un servizio che dava conto della vicenda Salvini, non era assolutamente necessario fare questo ulteriore collegamento, che il vicedirettore avrebbe dovuto rifiutare, nell’attesa di precisare i termini e i numeri della votazione. Meglio dare dopo, con puntualità e precisione una notizia, che farsi prendere dall’ansia dell’immediatezza.

2) Il caporedattore D’Amore, iscritto da anni alla stampa parlamentare, ha stravolto l’esito della votazione, mentre erano giorni che agenzie e giornali chiarivano che la votazione sarebbe avvenuta sulla richiesta di non autorizzare inoltrata dalla Giunta presieduta dal senatore Gasparri.

3) La modalità con cui la giornalista Spadorcia ha annunciato un esito errato della votazione non presentavano quella sobrietà e quel distacco che dovrebbero costituire l’essenza del servizio pubblico, la terzietà del giornalismo, rispetto al quale vanno celate idee ed entusiasmi di sorta. Non solo, essendo in Senato, anche di fronte ad una comunicazione del caporedattore, avrebbe dovuto verificare la notizia.

4) Il vicedirettore Nocerino non solo non ha vigilato su quanto stava accadendo intervenendo con la sua autorità, accertando come era suo dovere prima l’esatta essenza della notizia, ma non ha organizzato una pronta reazione.

5) Sono dovuto intervenire io da casa per chiedere A) far ricollegare la Spadorcia per scusarsi e ridare i tennini esatti dei fatti; B) mandare il caporedattore D’Amore in studio, in diretta a chiarire i termini della questione; C) Dare una nuova notizia letta dal conduttore (per vari motivi tecnici che mi sono stati accampati solo l’ultima delle richieste è stata soddisfatta nella stessa edizione).

6) Per mia dignità ho dettato alle agenzie un comunicato, senza se e senza ma, di scuse, riconoscendo in tutto il clamoroso errore. Mesi di impegno, come la rubrica sui “Musei d’Italia” o “L’era del coronavirus”, che ci sono state riconosciute unanimemente come esempio di giornalismo positivo, lo straordinario impegno degli inviati nel raccontare i fronti caldi della pandemia, tutto rischia di essere vanificato in termini di immagine e credibilità da faciloneria e dilettantismo non richiesti. Valuterò d’intesa con l’azienda eventuali provvedimenti”.

Intanto, proprio nella rubrica “Musei d’Italia”, firmata da Sangiuliano e Ricci, la sera del 6 agosto, Anzaldi ha pescato un altro errore: Giosuè Carducci viene definito senatore della Repubblica. Ma correva l’anno 1890.

Quell’informazione così drogata sui migranti e le guerre. Il Mediterraneo sta esplodendo e l’Europa non se ne accorge. Per l’Italia è solo un problema di profughi. Alberto Negri il 30 luglio 2020 su Il Quotidiano del Sud. In Italia ci sono giornalisti, come Nancy Porsia e Nello Scavo, minacciati da criminali e milizie per i loro reportage sul traffico di migranti in Libia e noi ci occupiamo di Bernard Henry-Levy che si autocelebra sulla stampa per un episodio che per qualunque inviato di guerra è al massimo due righe in cronaca. Il Mediterraneo sta esplodendo e l’Europa non se ne accorge mentre per l’Italia è soltanto un problema di profughi. Ma questa oggi è la pseudo informazione contemporanea: forse sarebbe meglio avere un corrispondente dell’Ansa a Tripoli per avere un resoconto affidabile dei fatti. Il problema è che l’informazione costa, che i giornali non hanno risorse o preferiscono investire in altri settori, che la mano pubblica di tutto si occupa tranne che di sostenere giovani giornalisti e progetti di informazione indipendenti. Quindi si deve per forza fare riferimento alla solita mazzetta di giornali dove gli esteri occupano sempre meno spazio o alla tv pubblica che pur con buone punte professionali più di tanto non fa o non ha voglia di fare. Certo ci sono anche siti web interessanti sia italiani che stranieri ma il mainstream informativo resta quello, non si scappa. Il risultato è che siamo circondati dal caos e ne sappiamo sempre di meno: per noi il mondo si ferma a Lampedusa, dove finisce il viaggio dei migranti più fortunati. Nella Libia che consideriamo un “porto sicuro”, i migranti muoiono uccisi dai colpi della Guardia costiera finanziata ed equipaggiata dall’Italia. È accaduto lunedì a Khums, città costiera della Tripolitania, dove un gruppo di 73 migranti _ partito qualche ora prima a bordo di un gommone _ è stato prima intercettato in mare e poi riportato indietro da una motovedetta libica. Al momento dello sbarco, consapevoli di cosa li aspettava, i migranti hanno tentato la fuga pur di non essere internati in uno dei famigerati centri di detenzione gestiti dal governo di Tripoli. La reazione della Guardia costiera è stata immediata ed è consistita nell’aprire il fuoco sui fuggitivi. Tre migranti morti e due feriti, tutti cittadini sudanesi. Così vanno le cose con i migranti. Ma le conseguenze anche politiche sono devastanti. In Libia abbiamo legittimato al potere dei personaggi assai discutibili che quando il generale Haftar si è presentato alle porte di Tripoli per avere aiuto militare si sono rivolti alla Turchia di Erdogan visto che noi _ Italia Usa e Gran Bretagna _ glielo abbiamo negato. Oggi il leader turco, che si fa beffe anche del Papa invitandolo a Santa Sofia tornata moschea, è quello che comanda insieme ai jihadisti assoldati in Siria. In pratica quando finanziamo la Guardia Costiera libica indirettamente appoggiamo anche Erdogan. Ovvero quella Turchia che già viene pagata dall’Unione europea per tenersi in casa tre milioni di profughi e far dormire sonni tranquilli sulla rotta balcanica alla Germania e al Nord Europa. Ecco che a cosa serve il nuovo Sultano che naturalmente non perde occasione per farsi sentire, una volta sui profughi e un’altra sul gas dell’Egeo. Essendo poi membro della Nato non possiamo neppure troppo arrabbiarci con lui se non provare a giocare dalla parte del suo nemico Al Sisi per tenerlo a bada: siamo nelle mani di autocrati e massacratori ai quali vendiamo miliardi di armi. Altro che caso Regeni, Zaki e difesa di diritti umani. Le minoranze, come i curdi che hanno combattuto contro il Califfato, le abbiamo abbandonate alla repressione di Ankara. Questa è la lezione amara che viene dall’Europa. Siamo in un mare destabilizzato e che controlliamo sempre di meno dove l’Italia comanda una missione navale europea buffonesca che dovrebbe fermare il traffico d’armi verso la Libia ma è già praticamente naufragata. Il Libano intanto esplode per la crisi economica, la pandemia e le minacce di una nuova guerra tra Hezbollah Israele. L’informazione italiana, sempre più drogata, assegna la colpa alle milizie sciite libanesi e all’Iran. Già ci siamo dimenticati che il 2020 è cominciato con Trump che il 3 gennaio ha fatto ammazzare nell’aeroporto di Baghdad il generale iraniano Qassem Soleimani. Finge di ignorare che Israele quasi tutti i giorni bombarda in Siria le milizie libanesi e i pasdaran iraniani. Insomma questi dovrebbero stare fermi a fare da bersaglio allo stato ebraico senza reagire. Forse l’anno si concluderà come è cominciato, con Trump che pur di tentare di farsi rieleggere, assesterà qualche bordata all’Iran e alla Mezzaluna sciita. E piegheremo la testa davanti al gran turco, agli israeliani che vogliono annettersi la Cisgiordania e all’Egitto di Al Sisi: questi oggi sono i nostri clienti e padroni nel Mare Nostrum.

Giornali e tv, una narrazione sugli abissi dell’ovvio. Walter Siti su Il Riformista il 29 Luglio 2020. Martedì 21 luglio la ministra De Micheli si è recata in auto a Genova e ha dichiarato all’arrivo di non aver trovato molto traffico; ha aggiunto che la “narrazione” di una Liguria irraggiungibile poteva scoraggiare il turismo. Le sue parole hanno immediatamente scatenato un vespaio di polemiche: i comitati cittadini e le associazioni degli autotrasportatori si sono sentiti umiliati e trattati da bugiardi, il vicepresidente della Camera di Commercio ha reagito duramente («la ministra ha detto che tutto quello che abbiamo vissuto è una nostra invenzione»). Poi la tempesta in un bicchier d’acqua si è placata, la De Micheli si è dispiaciuta di essere stata strumentalizzata, il traffico per la Liguria ha continuato a essere difficile ma non impossibile. L’aneddoto ci spinge a riflettere sul tema delle “narrazioni”, termine di moda per indicare quando i mass media abbandonano la fredda esposizione dei fatti, o dei numeri, a favore di “storie di vita” emotivamente suggestive. (Nel caso specifico, interviste a viaggiatori esasperati). Le “narrazioni” servono per valorizzare il fattore umano anche nella divulgazione scientifica e perfino nella pubblicità. Una situazione viene percepita diversamente a seconda della narrazione che viene scelta per illustrarla: se molti negozianti e baristi accettano senza problemi il pagamento digitale, basta mostrare due che non lo fanno (meglio se colti in castagna da una telecamera nascosta) e sembra che il rifiuto del pagamento digitale sia un’abitudine diffusa; chi sceglie il tipo di narrazione ha una grande responsabilità nel condizionare l’opinione pubblica. Certo ora, con la disintermediazione dominante, ora che tutti possono postare tutto ogni minuto sui vari social, c’è sempre la possibilità di falsificare la narrazione dell’altro opponendo la propria; ma in mezzo a un urlo contraddittorio sono poi sempre i maggiori giornali, o la tivù, quelli che dettano il clima. La scelta più razionale, e moralmente più equa, sembra essere quella dell’esemplarità di una storia: si mostra, con la narrazione, la situazione che appare statisticamente più numerosa e socialmente più tipica. Ma già il vecchio Lukàcs insegnava che scegliere il “tipico” significa scegliere una prospettiva di percorso e dunque un asse ideologico. Per questo esistono le parti politiche, e ogni lettore o ascoltatore appena un po’ avveduto sa che la medesima decisione del Consiglio europeo, a parità di numeri, può essere raccontata come un grande successo italiano o come una fregatura, e che a seconda della famiglia intervistata sembra che il reddito di cittadinanza sia stato una salvezza o uno spreco assurdo di denaro. Nascono liti senza costrutto che giovano ai media perché contribuiscono allo spettacolo. Ma, a proposito di spettacolo, il giornalismo deve affrontare anche un altro conflitto quando si tratta di narrazioni: da una parte sarebbe giusto rappresentare ciò che è comune alla maggioranza, dall’altra è noto che a fare notizia sono piuttosto il bizzarro, l’inconsueto, l’eccezionale. Il problema, da statistico ed etico, diventa allo stesso tempo estetico e commerciale. Tra commozione e informazione si apre un divario: le “storie di vita” che costeggiano la media sarebbero le più corrette dal punto di vista informativo, ma sono anche quelle che coinvolgono emotivamente di meno e fanno vendere meno copie, o scattare meno clic di condivisione. Chi se ne frega del cittadino senza qualità? Lo scarto dalla media è benedetto quando ci fa sbattere il muso contro quel che preferiamo non vedere: gli inferni che si nascondono tra le pieghe della città, la corruzione degli incorruttibili, le guerre dimenticate, gli angoli di mondo rimossi dalle egemonie geopolitiche. Ma c’è invece una eccezionalità che confina col sensazionalismo, e che si limita ad applicare un altoparlante a ciò che sappiamo fin troppo bene perché è un prodotto dei nostri pregiudizi, o dei nostri comodi miti mentali. I protagonisti delle rispettive “storie di vita”, in questo caso, non sono personaggi che ci aiutano a capire la realtà, ma stereotipi che confermano le nostre facili indignazioni: il politico ladro, il criminale affascinante, la mela marcia nelle forze armate, il migrante spacciatore o vittima (o eroe), il malato e l’infermiera, il povero dignitoso e il ricco strafottente, il cervello in fuga e il tiktoker dalla testa vuota. I personaggi di queste storie sono chiamati a confermare un ruolo, non a sorprenderci: e se la vittima, in qualche zona della propria vita, fosse anche colpevole? Se il tiktoker che balla fosse un ragazzo intelligente e ambizioso? Se l’eroe pubblico fosse un cattivo padre? Se i più interessanti, in questo tempo di pandemia, fossero i sani e gli asintomatici? Dopotutto, i cambiamenti epocali dipendono da quel che prova la gente comune, non le eccezioni. Le narrazioni dei media e dei social estremizzano e banalizzano, riducono l’individuo a maschera e gli incidenti a complotto; dell’ambiguità e complessità dell’essere gettati in questo mondo trattengono soltanto quel che è popolare in quel momento, cioè vendibile. Il guaio è che le narrazioni letterarie, colpite da improvviso complesso di inferiorità, le imitano e le seguono. I romanzi e i teatri si riempiono di problematiche à la page. Mi domando se tutta la paradossale manfrina del politicamente corretto in letteratura (per cui Il bombarolo di De André può essere scambiato per un elogio del terrorismo, e l’Otello shakespeariano per un dramma razzista) non dipenda dall’aver dimenticato che in qualunque vera narrazione, o storia di vita, la forma conta più del contenuto, anzi è il contenuto; perché la forma integra nella descrizione dei fatti il tremore di chi li racconta e tiene conto di quel che non è un semplice fatto ma un confronto col nulla, o con l’infinito; perché il punto di vista sugli abissi dell’ovvio è ciò che resta quando un fatto si esaurisce. Più che sull’esemplarità, o sulla statistica, la narrazione letteraria dovrebbe puntare sulla stratificazione dei livelli, che sola consente di durare oltre le contingenze della stagione. Forse, sotto la spinta corrosiva dei media, la letteratura dovrebbe ridiscutere il concetto stesso di “impegno”.

Pulci di Notte di Stefano Lorenzetto il 12 maggio 2020. Da “Anteprima – la spremuta dei giornali di Giorgio Dell’Arti” e pubblicato da “Italia Oggi”.

Eugenio Scalfari su Repubblica scrive dei suoi trascorsi scolastici di quattordicenne: «Al liceo di Sanremo c’era un gruppo di giovani invaghiti dalle arti e dalla filosofia e respinti dalle materie scientifiche e matematiche. Avevano infatti voti molto alti in queste materie e, al contrario, pessimi nelle materie scientifiche». Per non parlare dei voti in italiano.

Più avanti aggiunge che il professore di Lettere (un ex prete) gli fece studiare «da Montaigne ed Étienne de La Boétie, all’Illuminismo di Diderot, d’Alembert e Voltaire. E ancora: Vico, Foscolo, Alfieri. Per proseguire con Carducci, Pascoli, D’Annunzio e poi con Quasimodo, Ungaretti e Montale. Naturalmente, c’erano anche Italo Calvino e Federico García Lorca».

Siccome Calvino era nato sei mesi prima di Scalfari, se ne deduce che quell’insegnante era un veggente: nel 1938 faceva studiare al futuro fondatore di Repubblica un autore di 15 anni che avrebbe pubblicato il suo primo libro soltanto nel 1947.

Libero intervista Silvio Berlusconi, in isolamento nella villa della figlia Marina in Provenza. Un sommario recita: «La ripresa delle scuole è più importante di quella del Campionato, ma l’esecutivo ha abbandonato lo sport». Stando all’estero deve aver imparato una nuova lingua.

Il sociologo Francesco Alberoni nella sua rubrica sul Giornale: «L’amore bilaterale dura perché rinasce continuamente. L’amore unilaterale invece dura sempre». Fa una bella differenza.

«La virtualità non potrà mai sostituire la realtà: per godere dell’arte ci vogliono occhi e cuore, non schermi da toccare (o almeno, non solo quelli!)». Così il segretario generale del Governatorato, il vescovo spagnolo Fernando Vérgez Alzaga, intervistato dall’Osservatore Romano sulla riapertura dei Musei vaticani, le cui enormi entrate si sono fermate a causa della pandemia. «Abbiamo un grande bisogno di realtà, un disperato bisogno». Messaggio ricevuto, eccellenza: meglio i biglietti interi (21 euro, con l’evangelica opzione “Salta la fila”) del virtual tour gratis su tablet e pc.

Titolo d’apertura in prima pagina sul Tempo: «Trappola Mes». Occhiello: «Scritta una lettera dalle sirene Gentiloni e Dombroskis per escludere condizioni. Ma vale nulla e non è vero». Tutto chiaro.

Classifica dei giornali che, nel periodo 15 marzo-30 aprile, hanno utilizzato le formule «non lasciare indietro nessuno», «non lasceremo indietro nessuno», «per non lasciare indietro nessuno», «senza lasciare indietro nessuno», e simili: Avvenire 25 volte, La Repubblica 22, Corriere della Sera 20, Libertà 20, Il Resto del Carlino 17, L’Adige 15, Il Quotidiano di Puglia 14, La Gazzetta del Mezzogiorno 14, Il Messaggero 13, Corriere Adriatico 13, Giornale di Sicilia 13, Il Foglio 12, Il Mattino di Padova 12, Il Giornale 11, Il Quotidiano del Sud 11, Il Giorno 10, La Sicilia 10, La Gazzetta di Parma 9, Gazzetta di Mantova 9, Il Gazzettino 8, L’Arena 8, La Tribuna di Treviso 8, Il Mattino 8, Gazzetta del Sud 8, La Na- zione 7, La Nuova Venezia 6, Gazzetta di Modena 6, Il Tirreno 6, La Verità 5, Il Secolo XIX 5, La Gazzetta dello Sport 4, Il Piccolo 4, Messaggero Veneto 4, Il Fatto Quotidiano 4, Il Giornale di Vicenza 4, Il Sole 24 Ore 3, Libero 3, Italia Oggi 3, L’Eco di Bergamo 3, Il Tempo 3, La Provincia Pavese 3, Milano Finanza 2, Il Manifesto 2, Giornale di Brescia 2, La Stampa 1. Totale delle citazioni, inclusi periodici, edizioni locali e supplementi: 468. Il Covid-19 non lascia indietro il conformismo.

Roberto Saviano su Repubblica scrive della volontaria milanese rapita in Kenya nel 2018 e ritrovata dopo 536 giorni in Somalia: «Silvia Romano è libera, torna a casa. Troverà un’Italia profondamente cambiata dalla sua partenza». Magari fosse bastata la partenza della cooperante per cambiare l’Italia.

Sul caso di Silvia Romano, il Corriere.it intervista il comboniano «padre Antonio Albanese», che però si chiama Giulio. Quando i missionari diventano comici.

Nell’editoriale di prima pagina, il direttore di Libero, Pietro Senaldi, descrive Luca Zaia come «un fenomeno», tuttavia si dice convinto «che egli non voglia e non possa insediare la leadership» di Matteo Salvini. Insediarla no, ma insidiarla forse sì. E conclude: «Gli artefici del nuovo miracolo italiano non avranno nessun Conte e nessun Zingaretti. [...] Non siamo fattucchiere. Possiamo sbagliarci». Su quando usare «nessun» o «nessuno», di sicuro.

Titolo dalla Verità: «Il borgo ligure delle case a 1 euro adesso svende terreni e cascine». Nel testo si legge che il Comune in questione si trova in provincia di Alessandria. Urge ripassare la geografia delle regioni d’Italia.

Avvenire titola in prima pagina: «Non è bene che Dio sia solo (tra veramente ed eppure)». In effetti, tra avverbi e congiunzioni si stuferebbero anche gli uomini.

Titolo dal Corriere.it: «Ricordiamocelo sempre: mascherine e guanti non vanno gettati per terra». Mozziconi di sigarette e fazzoletti di carta invece sì. 

Corsi di giornalismo a pagamento. L' Ordine dei Giornalisti Puglia: "Attenti ai furbi". Ma a Bari continuano......Il Corriere del Giorno l'8 Febbraio 2020. Ci chiediamo a questo punto cosa aspettino l’ Ordine dei Giornalisti di Puglia e l’ Assostampa pugliese a rivolgersi alla Guardia di Finanza e verificare la regolarità del lavoro dei giornalisti e collaboratori della testata Barinedita, nonchè sulla legittimità di questi corsi visto che violano la Legge? “Attenti ai furbi, agli approfittatori, ai venditori di illusioni. Non esistono corsi di preparazione per diventare giornalisti, tantomeno bisogna pagare per conseguire uno status che può riconoscere solo l’Ordine dei giornalisti in base a regole chiare stabilite dalla legge e dall’Ordine“: è quanto dichiarava lo scorso 26 luglio 2019  il presidente dell’Ordine dei giornalisti della Puglia dopo alcune segnalazioni ricevute su fantomatici corsi di giornalismo a pagamento pubblicizzati di recente. Le segnalazioni in realtà altro non era che una nostra inchiesta giornalistica, mentre tutto il resto della stampa barese e pugliese con in testa il sindacato pugliese, l’ Assostampa di Bari si giravano dall’altra parte e taceva sul fenomeno dei tesserini a pagamento e sullo sfruttamento delle persone. “Non ci sono corsi a pagamento, anche quelli di aggiornamento, sono organizzati dall’Ordine e sono gratuiti”, osservava a suo tempo  Pietro Ricci  presidente Ordine dei giornalisti della Puglia . “Vogliamo mettervi in guardia da quanti, spesso giornalisti professionisti o pubblicisti, ogni anno danno vita a improbabili percorsi di studio o selezioni il cui unico scopo è lucrare sulle vostre aspirazioni e farvi lavorare gratis per le testate dalle quali essi stessi traggono guadagni“. Cioè esattamente il caso della testata online Barinedita, di cui ci siamo occupati in passato e che continua a spacciare come “redattori” persone che non sono neanche giornalisti! Ma proprio oggi sul socialnetwork Facebook abbiamo trovato questo nuovo avviso: “Si aprono le iscrizioni per il nuovo corso di giornalismo di Barinedita, dedicato a coloro che vogliono imparare ad utilizzare il linguaggio giornalistico (anche solo per cultura personale) e che intendono collaborare per la nostra testata. Il corso formerà infatti i futuri COLLABORATORI di BARINEDITA” IL DIRETTORE DELLA TESTATA, Marco Montrone, professionista (e già giornalista per Il Sole 24 Ore, l’Unità, La Gazzetta del Mezzogiorno, Leggo), al suo 27esimo corso come docente, impartirà lezioni teoriche e pratiche…“ Ci chiediamo a questo punto cosa aspettino l’ Ordine dei Giornalisti di Puglia e l’ Assostampa pugliese a rivolgersi alla Guardia di Finanza e verificare la regolarità del lavoro dei giornalisti e collaboratori della testata Barinedita, nonchè sulla legittimità di questi corsi visto che violano la Legge? Ma cosa aspettarsi da un sindacato come l’ Assostampa di Puglia che annovera fra i suoi “collaboratori” Doriana Imbimbo  la “staffista” del sindaco di Taranto Rinaldo Melucci, rinviata a processo dalla Procura di Taranto per “truffa“, fortemente voluta e sostenuta dal suo amico Mimmo Mazza, vicepresidente del sindacato dei giornalisti in Puglia, plurindagato dalle Procure di Taranto, Bari e Roma ? E sarà forse un caso che Mazza con una società recentemente costituita di cui detiene il 50% delle quote (pur avendo un contratto di esclusiva con la Gazzetta del Mezzogiorno)  incassa soldi per pubblicità dal Comune di Taranto violando tutte le norme deontologiche giornalistiche ? Ah quante coincidenze….

Ordine dei giornalisti, perché Travaglio è intoccabile? Redazione de Il Riformista il 22 Gennaio 2020. Vi ricordate quella storia della patata bollente? Era un titolo goliardico e, a nostro parere, molto volgare, che campeggiava un paio d’anni fa sulla prima pagina di Libero. Si riferiva alla sindaca Raggi. Secondo la direzione del giornale non era malizioso, voleva solo segnalare che la Raggi era nei guai, per motivi giudiziari e sentimentali. In realtà il doppio senso era indiscutibile, e il riferimento sessuale e anche antifemminista era piuttosto evidente. Noi del Riformista troviamo che sia sempre sbagliato reagire a quelli che consideriamo errori o cadute di stile o – persino – mascalzonate, con le querele, le iniziative della magistratura, le censure dell’Ordine dei giornalisti. E invece il povero Piero Senaldi, direttore responsabile di Libero, si è trovato in mezzo a un sacco di guai, perché la Raggi lo ha querelato, lui è finito sotto processo penale e in più l’Ordine dei giornalisti lo ha censurato e ha respinto il suo ricorso contro la censura. Reprobo, reprobo, reprobo. Vabbè. Ora però una domanda piccola piccola vorremmo porla all’Ordine dei giornalisti: ma l’avete vista la vignetta del Fatto quotidiano on line nella quale si sostiene che Craxi deve mettere la faccia nella merda e tenercela per tutta l’eternità, e stare nudo per tutta l’eternità, e tenersi anche una carota nel sedere perpetuamente? Vi sembra meno volgare e offensiva di quel titolo di Libero? Possiamo sapere se immaginate che il Fatto quotidiano dovrà subire le stesse traversie di Libero, o se invece esiste uno statuto speciale per il quale se un giornale è molto molto amico dei magistrati può avere un trattamento di favore? P.S. Posta questa domanda, aggiungiamo che a nostro giudizio sarebbe invece più logico abolire le censure per tutti, persino per chi fa quelle vignette su Craxi che dimostrano una capacità modestissima di usare il cervello. Per la verità non saremmo neppure molto contrari all’abolizione dell’Ordine dei giornalisti. Ma questa è una discussione seria che è meglio non mescolare con le oscenità infantili del Fatto.

Giornalismo di qualità è elemento fondamentale di ogni democrazia. Antonio Martusciello il 21 Gennaio 2020 su Il Riformista. A distanza di più di settant’anni dall’entrata in vigore della Carta costituzionale appare quanto mai attuale il contenuto dell’art. 21 a tutela della libertà di espressione e dell’informazione. Il riferimento, poi, nel richiamato articolo, a “ogni altro mezzo di diffusione”, consente di estendere ad ampio raggio la portata del principio costituzionale, elemento essenziale nell’equilibrio tra i pesi contrapposti della democrazia. Il demos sociale e politico, per realizzarsi concretamente, richiede un contesto fondato su un concetto di libertà non completamente illimitato, ma che sia basato sull’informazione, intesa – secondo l’insegnamento aristotelico – come strumento di accesso ai meccanismi di controllo del potere. Oggi però, nell’era digitale, con il passaggio dalla carta stampata ai bit, si delinea un panorama in cui le notizie sono sì libere, ma anche disordinate, disorganizzate e non filtrate. Il cittadino si affida, non al miglior risultato in termini di attendibilità, ma a quello che ottiene più successo, popolarità e collegamenti da altri siti o pagine social, con la conseguenza di consegnare la “verità” alla Search Engine Optimization, ovverosia a un motore di ricerca, o ad altri sofisticati strumenti; diversamente i giornali sembrano aver subito una profonda trasformazione: da attivi “veicolatori” della realtà a soggetti passivi, dipendenti dagli algoritmi. Del resto, i rapporti di forza tra operatori online e quelli tradizionali sono inevitabilmente mutati. Non solo perché gli algoritmi sono in grado di orientare il successo di una notizia, ma anche perché, in questo sistema, gli editori, che distribuiscono le proprie news all’interno della piattaforma, rischiano di veder crollare la notorietà del “brand” della propria testata giornalistica in favore di quello dell’intermediario attraverso il quale viene presentata la notizia. Il problema riguarda quindi la composizione del mercato e la sua sostenibilità. La progressiva difficoltà a “diffondere” contenuti di qualità da parte dei media tradizionali accresce sempre più il potere della Rete. Il crollo dei ricavi editoriali non comporta solo un problema di ordine economico e finanziario, ma può rappresentare una criticità per l’intera società civile. Infatti, una delle forme più pericolose di annichilimento è la censura “per moltiplicazione”: quando cioè si annegano le notizie in un contesto di informazioni irrilevanti. È anche questo il meccanismo che dobbiamo contrastare: la Rete non può incarnare quel “Funes el memorioso” che disdegnava Borges, quell’uomo che, pur ricordando tutto, è bloccato dalla sua incapacità di selezionare e di buttar via. Per arrestare questo declino, potrebbe essere utile prendere atto concretamente del ruolo dei new media e immaginare una sorta di «news quality obligation» a loro carico, pur se sotto la supervisione di un regolatore: migliorare la comprensione dell’origine degli articoli e l’affidabilità delle notizie. D’altra parte, in un sistema dove i cittadini sono esposti a un overload informativo, le fonti tradizionali diventano un faro. Sostenerle appare dunque essenziale. Certo la progressiva riduzione, fino alla totale abolizione dall’annualità 2023, introdotta dalla legge di bilancio 2020, delle sovvenzioni all’editoria non agevolerà un settore già in crisi, ma porrà anche in discussione il ruolo che si vorrà dare al bene pubblico “informazione”. Possiamo rimanere inermi e lasciarlo nelle mani di un mercato, ormai alla mercè dei meccanismi pubblicitari imposti dai Big Tech? In questo senso, uno scossone ci arriva da Oltreoceano, nel messaggio trasmesso dal Washington Post, nell’ultima edizione del Super Bowl. Lo spot recitava «quando andiamo in guerra, quando la nostra nazione è minacciata, c’è qualcuno che racconta i fatti a ogni costo», mentre scorrevano le foto di cronisti catturati o uccisi durante l’esercizio della loro professione, ciò a dimostrazione dell’importanza del ruolo dei giornalisti nella ricerca delle notizie, anche a rischio della propria vita. Ecco che allora se «la democrazia muore nell’oscurità», dobbiamo combattere quel rumore di fondo, quel brusio che confonde le nostre idee. Come affermava Alexis De Tocqueville, “la stampa è per eccellenza lo strumento essenziale della libertà” e allora un plauso e un forte incoraggiamento va proprio a questa testata, Il Riformista, che, portavoce di libertarismo e garantismo, incarna quella necessaria esigenza di giornalismo di qualità, elemento fondamentale di ogni democrazia.

Bufale e censure: è colpa anche di noi giornalisti. Valter Vecellio il 5 gennaio 2017 su Il Dubbio. Qualche grillo berciante, in questi giorni, mette in guardia dai centri di potere “duri”, quelli reali: che vanno al di là e al di sopra delle istituzioni; che influenzano e condizionano informazione, conoscenza, “sapere”. La scoperta dell’acqua calda. Da sempre i centri di potere cercano di influenzare e condizionare gli strumenti cosiddetti di informazione. In Italia, e ovunque. Spesso si evoca lo spettro della censura, o meglio: dell’autocensura. Bufale e censure, così la stampa ha perso credibilità. Più propriamente si dovrebbe parlare di eccesso di zelo, che travalica nel servilismo. Di questo, in fondo, hanno beneficiato i dittatori e potenti/ prepotenti di ogni epoca: di cattivi giornalisti e cattivi scrittori disposti ad andare ben al di là di quello che viene chiesto loro ( Ho parlato di “cattivi”; ma lo hanno fatto e lo fanno, anche i “buoni”). Se tutti i maggiori quotidiani e settimanali dimezzano le copie vendute, se gli indici di ascolto ( non parliamo del gradimento) dei programmi radiotelevisivi di informazione hanno percentuali da prefisso telefonico non è il risultato di un’informazione e di un “sapere” veicolato e sottratto da internet e simili. E’ perché si è persa la fiducia in quegli strumenti di comunicazione e di “sapere”, e in chi in quegli strumenti opera; cosicché si cercano fonti, “alternative”, crogiolandosi nell’illusione di averle trovate. Proviamo a tracciarlo l’identikit dell’editore, del direttore e del giornalista ideali: l’editore ideale è quello che vuole guadagnare dal suo “prodotto”; il direttore ideale è quello che fa un giornale che da lettore acquisterebbe ogni giorno; il giornalista ideale non è quello che racconta la verità assoluta; “semplicemente” racconta il fatto nel momento in cui gli “appare”, e risponde alle cinque classiche domande: chi, dove, quando, come, perché. Il giornalismo è la verità del momento. Se ne ricava che di giornalismo ce n’è molto poco, a disposizione. Poi si accompagna il meccanismo della mistificazione, dell’utilizzo per altri fini: fenomeno vecchio quanto il mondo. Per quel che riguarda carta stampata e televisivi, molto è stato “descritto”, anni fa, da un lucido osservatore francese, Jean- François Revel, autore de La connaissance inutile, pubblicato anche in Italia: un volume del 1988 dove, per esempio, si racconta di come venne a suo tempo diffusa la “bufala” dell’Aids fabbricato in un laboratorio militare americano, e sfuggito di mano come un Golem: una branca del Kgb fa pubblicare la notizia da un quotidiano indiano filocomunista; agenzie di stampa sovietiche la rilanciano, e la “bufala” si propaga per la felicità di tutti i dietrologi e i boccaloni dell’universo. Lettura anche oggi consigliabile, magari recuperando un non troppo datato Homo videns di Giovanni Sartori. Le cose non sono cambiate di molto: magari i mezzi usati si sono raffinati, ma le “bufale”, si tratti delle stragi alle Twin Towers volute e pianificate da Mossad e Cia, o le venefiche strisce bianche nel cielo, i microchip sottocutanei applicati a nostra insaputa o altre simili scempiaggini, trovano sempre dei gonzi che non chiedono di meglio che abboccare. Indubbiamente ora con gli strumenti messi a disposizione dal web, i processi di mistificazione sono facilitati e più veloci. Un recente saggio di Raffaele Simone ( Come la democrazia fallisce) lucidamente “descrive” come la democrazia ci sia sfuggita di mano; come il massimo di informazione corrisponda a un livello infimo di conoscenza; come la pretesa partecipazione (“con internet siamo tutti uguali”, secondo la favola bella dei sacerdoti del web), corrisponda a un inquietante e pericoloso vuoto fatto di inconcludenti scambi di mail che nessuno legge. Un “qualcosa” che non è solo peculiarità italiana; un “qualcosa” di totalitario, che si muove nell’aria e penetra nelle coscienze. Lo si può misurare, questo “qualcosa” nelle piccole, apparentemente insignificanti cose, basta prestare una briciola di attenzione a quello che accade intorno a noi. Produce una melassa uniforme che incombe su tutti, e tutto avvolge: una minaccia totalitaria da intendere non come qualcosa che attiene ai regimi autoritari e violenti già conosciuti. E’ piuttosto un “qualcosa” tra Oerwll e Kafka, il livellamento delle idee, la loro cancellazione. Una favorita pigrizia mentale che lascia spazi vuoti destinati a essere occupati da questo “qualcosa” caratterizzato da assenza di memoria, conoscenza, “sapere”. L’epifenomeno di questo processo è la polemica di questi giorni. La cretinata relativa alla post- verità che agita e scimmiotta un Beppe Grillo, con l’allegato della pretesa di un’impunità orgogliosamente rivendicata per quel che riguarda le scempiaggini che si possono diffondere attraverso la rete; il web con licenza di uccidere… Ma certo: ci si muove su un crinale delicatissimo, un terreno scivoloso; certo: si pongono mille problemi relativi alla libertà di espressione e di comunicazione. Certo: i “paletti” di garanzia facilmente si possono mutare in strumenti di ulteriore censura e manipolazione. Tutto vero. Ma questi rischi sono già incombenti, e non sono certo evitati dalle corbellerie di un grillo e dalle sue giurie popolari per valutare le bufale in rete ( giurie elette come i candidati da presentare nelle liste pentagrilline?). Per alcuni mesi sono stato direttore responsabile di un settimanale satirico che ha fatto storia, “Il Male”. Un onore, che mi ha procurato una sessantina tra querele e denunce, per tutto: perfino la divulgazione di segreto militare per la pubblicazione di una cartina dell’isola della Maddalena ricavata dall’Enciclopedia e un soggiorno di una settimana a Regina Coeli. Personalmente ho fatto un giuramento solenne a me stesso: mai e poi mai querelerò qualcuno, qualsivoglia mi si possa dire e accusare. Non cambio idea, ma non capisco perché nel social si può scrivere e sostenere di tutto, protetti dall’anonimato. E’ un qualcosa di molto vigliacco, sono questi abusi che “giustificano” le contro- misure che si intendono adottare e si adotteranno. Quanto alle “bufale”, torno al discorso d’inizio: devono essere gli editori, i direttori, i giornalisti a conquistarsi una loro credibilità, meritare la fiducia che chiedono. Malati zelo, di servilismo, si raccoglie oggi quello che per anni e anni si è seminato. A tutti noi chiedo: ci sono questioni, tematiche che non vengono mai affrontate, discusse, approfondite, fatte conoscere. Quanti dibattiti e confronti sulla madre di tutti i problemi italiani, la giustizia e come ( non) viene amministrata, in questo paese? Durante le feste di Natale dirigenti e militanti radicali hanno organizzato visite ispettive in decine di carceri. Qualcuno ne ha scritto, parlato, lo ha saputo? In occasione della Marcia dedicata a Marco Pannella e papa Francesco per l’amnistia, circa ventimila detenuti hanno digiunato per due o tre giorni, nomi, cognomi, messaggi che hanno costituito un poderoso volume che sarà consegnato al Pontefice, al presidente della Repubblica Mattarella, al ministro della Giustizia Andrea Orlando. Ventimila detenuti che adottano uno strumento di lotta nonviolenta, un qualcosa che per le sue dimensioni e la sua portata si può accostare alle lotte gandhiane o a quelle di Martin Luther King. A parte il filosofo Aldo Masullo, qualcuno si è accorto e ha riflettuto sulla portata di questo evento? Ecco, partiamo da qui, per cercare di capire perché non si è credibili, non si viene percepiti come attendibili, perché furoreggiano le “bufale” nel web. Signori, questa pigrizia, questa indifferenza è il “qualcosa” di totalitario che ci opprime, ottunde, minaccia. Il “vuoto” che consente spazi alle corbellerie di grilli bercianti, e di conseguenza ad “antidoti” destinati ad essere più dannosi dei mali che intendono curare.

Gratteri via dalla foto del magistrato arrestato.  Franco Bechis il 16 gennaio 2020 su Il Tempo. Tutti i quotidiani hanno tagliato l'immagine di Nicola Gratteri dalla unica foto che avevano del giudice arrestato a Catanzaro, Mario Petrini, presidente di sezione di corte di appello e anche presidente della commissione tributaria provinciale. La notizia dell'arresto di Petrini è stata data con grande evidenza, ed è naturale quando a finire nei guai è un magistrato accusato di avere svenduto la sua funzione in cambio di soldi e favori. Poi siccome l'indagine ha scoperto che fra i pagamenti ricevuti in cambio di sentenze favorevoli c'erano non solo soldi, regali e viaggi, ma anche prestazioni sessuali da parte di giovani avvocatesse filmate addirittura in 18 amplessi nell'ufficio del magistrato, la stampa ha puntato sull'aspetto più pruriginoso. Tutti i media però hanno avuto un problema: dove trovare la foto di Petrini, magistrato che è stato per lo più nell'ombra? C'era una sola soluzione: fare un fermo immagine di un video di un paio di anni fa dal sito del Lametino.

Dagospia il 10 gennaio 2020. SIETE SICURI CHE QUESTO ''È'' GIORNALISMO? - PAGINATA (A PAGAMENTO!) PER RINGRAZIARE DRAGHI DELLA ''GRANDE DISPONIBILITÀ AVUTA NEI CONFRONTI DEI GIORNALISTI DI TUTTO IL MONDO'', FIRMATA DA ALCUNE DELLE PIÙ IMPORTANTI PENNE D'ITALIA, E PAGATA DA GIANCARLO ANERI, ORGANIZZATORE DEL PREMIO ''E' GIORNALISMO''. SI PREPARANO ALL'ASCESA DIVINA DI SAN MARIO AL QUIRINALE E CON DUE ANNI D'ANTICIPO SI ALLENANO A CAREZZARNE LE PIUME ANGELICHE? DA CANI DA GUARDIA A BARBONCINI DEL POTERE…

Antonello Piroso per Dagospia il 10 gennaio 2020. D'accordo, ormai i premi giornalistici si danno a destra -pochi- e a manca -quasi tutti. Si offrono medaglie, targhe e corone d'alloro a cani e porci (senza offesa: ne hanno dato più d'uno perfino a me, dal Flaiano al Premiolino, e ho detto tutto). Ma in effetti la pagina (a pagamento) dei ringraziamenti di autorevoli firme a Mario Draghi è un non plus ultra senza precedenti, un inedito da inserire nei manuali delle scuole di giornalismo, e lo affermo da ultras pro Draghi quale sono. Sembra di sentire in sottofondo l'eco di Paolo Villaggio in salsa fracchiana, quando si rivolge al Gran Cav Lup Mann Figlio di: "Com'è umano lei". Ma in effetti: perché stupirsi? Tanto ormai sono saltati schemi, parametri, perimetri di gioco, e vale tutto. Quando senti dire -darwinianamente- a Michele Cucuzza, mentre sta entrando non in redazione o in uno studio ma nella casa del Grande Fratello (Vip, neh...): "Tutti fanno tutto, bisogna anche adattarsi ai cambiamenti senza fare gli snob". Quando nel 2016 lo stesso premio "E' giornalismo" è stato dato a Fiorello, showman degnissimo, e chi lo mette in dubbio, ma che c'azzecca? Quando rileggi l'intervista del 2009 allo stesso Giancarlo Aneri -unico superstite tra i fondatori, gli altri erano Enzo Biagi, Giorgio Bocca, Indro Montanelli- in cui spiegava: "Non è il caso di fare business con i giornali. La mia passione è quella di supportare, di stare vicino, di seguire i giornalisti, di aiutare. Ma come imprenditore non metterei una lira in un giornale”, con quella carogna di Sabelli Fioretti che replicava: "Come dice Ricucci, vuoi fare il frocio col culo degli altri", e lo stesso Aneri che chiudeva, sinceramente e sportivamente, con: "Sì, non si potrebbe dire meglio",  capisci davvero che il meglio deve ancora arrivare, e che fino a ora, nei tuoi primi, splendidi 60 anni, non hai ancora visto nulla. Ciao.

Nicolò Zuliani per termometropolitico.it il 10 gennaio 2020. Quando scrivo o dico che siamo meglio di come ci raccontano i mass media, molti s’incazzano come se li avessi offesi sul personale. È come se reputare la propria patria e il proprio popolo una terra di infami e miserabili fosse, in qualche modo, consolatorio o appagante. Ne abbiamo parlato in redazione, e grazie ai potenti mezzi abbiamo incrociato due dati: orientamento elettorale e opinione sugli organi d’informazione, presi su un campione di 3000 persone. Il risultato è stato il seguente. Forse per alcuni non è una novità, ma è un dato da non sottovalutare. Significa che la fiducia nell’imparzialità dell’informazione italiana è scarsa o scarsissima in entrambi gli schieramenti. Chi vota centrosinistra reputa l’informazione non affidabile ma equilibrata. Parafrasando, racconta favole rassicuranti. È tutto lì, nero su bianco: il 43% dei lettori non crede quello che legge o sente sia imparziale, ma gli piace perché coccola la propria visione politica. Questo viene confermato anche da un altro studio fatto dall’Università di Milano, in cui si evidenzia che i giornalisti sono “molto più a sinistra” non solo dei cittadini italiani in genere, ma dei loro stessi lettori. È da anni che l’elite accademica tende al progressismo; il perché porterebbe a speculazioni non verificabili e, forse, inutili. Le conseguenze, invece, sono sotto agli occhi di tutti. Sempre più cittadini vanno dalla parte opposta perché come disse Obama, a furia di andare verso gli estremi sei destinato a perdere per strada i moderati. Uomini e donne che anche se non sembra, sono la maggioranza dei cittadini: solo che nessuno ha voglia di raccontarli.

Ed è questa la parte scandalosamente idiota. Continuare a raccontare che gli italiani sono un popolo di razzisti, fascisti, intolleranti, criminali è la classica strategia a breve termine del manager incapace: per un breve periodo ti regala consensi, perché a tutti piace condividere articoli schierati per dimostrarsi duri, puri e migliori. Ma alla lunga avvelena irrimediabilmente i pozzi: vivere sull’orlo di una crisi di nervi, sentirsi circondati da mostri, rigirarsi nell’odio verso il proprio popolo, satura la psiche e ti fa abbandonare quel gruppo in funzione di qualcuno meno fanatico.

O nelle fauci del lupopulismo, se sbagli strada. Del resto quella di scindersi in molecole irrilevanti pur di dimostrare ai propri simili di essere più puri è un meccanismo atavico della sinistra fin dai tempi dei Monty Python, col solito risultato di trovarsi con una popolazione a maggioranza moderata e di centrosinistra, ma con un governo di centrodestra. E giù a parlare di fascismo, di regime strisciante, di italiani popolo di razzisti. Una narrazione che goccia dopo goccia ha corrotto il cuore di questa nazione, un episodio di razzismo accentuato e un episodio d’integrazione taciuto dopo l’altro. Un crimine degli immigrati strillato e una storia di tolleranza sussurrata dopo l’altra.

Tutto per potersi svegliare la mattina e dire “io sono migliore di loro”. È improbabile i giornali vorranno prendere in considerazione questi dati e cambiare strategia, perché è diventata un sistema stratificato e sorretto da vari pensatori ottuagenari. Meglio cercare di affondare chi ancora prova a essere imparziale come Il Foglio, o negare l’evidenza (Liliana Segre e i 200 insulti) e proseguire verso il patibolo frignando editoriali passivo aggressivi. Anche perché chi oggi dirige l’informazione pubblica è più interessato alla fama che agli introiti, non avendo bisogno dei secondi. Non si può sperare che le direzioni dei giornali tornino indietro; Repubblica fece un esperimento di questo tipo quando cambiò direttore, provando a raccontare entrambi i punti di vista dopo vent’anni di antiberlusconismo. Fu un tracollo di copie dovuto non solo al fatto che oramai i lettori si erano abituati al peggio, ma anche alle statistiche drogate: la telenovela Berlusconi aveva trasformato i quotidiani in cloni di Novella 3000, era un baraccone che macinava miliardi e le vendite s’erano impennate.

Per uno spacciatore tutti sono drogati. Il problema non è il popolo italiano se non in percentuali risibili, aumentate perché funzionava a livello di narrativa e per il principio della profezia autoavverante. Il problema sono uomini e donne mai candidati né eletti che dalle redazioni spiegano a leader o segretari di partito quali battaglie portare avanti, mentre ai lettori raccontano un’Italia romanzata, e tutto questo dall’alto di non si capisce cosa. Questi sono i quotidiani più letti nell’ottobre 2019: il FQ vende 500 copie in più di tale Dolomiten. Ecco, io a ‘sto punto invece di Travaglio voglio il direttore di Dolomiten – meglio se in vestiti tradizionali – che dice cosa fare al ministro degli esteri. Perché hanno la stessa autorità. E questo, stando ai sondaggi, non lo penso solo io.

·        “Professione: Odio”.

Antonio Socci contro Claudia Fusani a Quarta repubblica. "Per lei le manifestazioni violente in Usa sono colpa di Trump". Libero Quotidiano il 04 novembre 2020. Avrà fatto un balzo sulla sedia, Antonio Socci. Sul divano a guardare Quarta repubblica e lo speciale di Nicola Porro #Lanotteamericana sulle presidenziali americane, l'opinionista di Libero ha ascoltato sgomento il commento di Claudia Fusani. La giornalista di Tiscali non smentisce il vizietto della sinistra italiana, che non passa neanche quando di discute di Ohio, Pennsylvania e dintorni. "Secondo la Fusani - sottolinea Socci - se ci sono manifestazioni violente della sinistra americana la colpa non è dei violenti, non è dell'ideologia dell'odio che costoro professano. No, la colpa è di colui che i violenti odiano: Trump". Vista nell'ottica ribaltata dei "radicals", non fa una piega.

Piazzapulita, Federico Rampini zittisce Corrado Formigli: "In tanti contro il razzismo scesi in piazza senza mascherina, ma nessuno ha detto niente". Libero Quotidiano il 06 novembre 2020. Federico Rampini riesce a zittire Corrado Formigli. Questo il pensiero che prevale su Twitter dove in tantissimi hanno condiviso l'uscita del corrispondente estero di Repubblica a Piazzapulita nella puntata di giovedì 5 ottobre. "Quando qui a giugno le piazze erano piene di giovani che manifestavano contro il razzismo, erano tutti incollati senza mascherina e nessuno ha detto niente", ha tuonato su La7 il giornalista. Tantissimi i commenti a sostegno: "Federico Rampini - scrive un utente - dice voi criticate i comizi di Trump che sono tutti senza mascherina e quando c'erano le manifestazioni per l'afroamericano Floyd ucciso dalla polizia che erano tutti senza mascherina invece vi andava bene? Formigli zitto non riesce a rispondere". E ancora: "Mi sono perso uno dei migliori interventi del 2020. Il giornalista Rampini ( di sinistra ) smaschera la grande ipocrisia della sinistra nelle tv italiane e americane. Consegnato alla storia". Democratici colpiti e affondati.

DAGONEWS il 5 novembre 2020. Una manifestante anti-Trump è stata arrestata a New Yorkd opo aver sputato in faccia a un poliziotto durante una manifestazione in attesa dell’esito del voto. Devina Singh, 24 anni, è tra le 57 persone arrestate a New York mercoledì notte dopo essere stata filmata nel quartiere del West Village di Manhattan mentre urlava a un agente “Fuck you fascist” prima di sputargli in faccia. Il filmato, diventato virale su Twitter, è stato immediatamente condannato dal NYPD e dai sindacati di polizia, che hanno fatto sapere che azioni come questa non saranno tollerate: «Coloro che commettono questi atti verranno arrestati» ha twittato il NYPD. Il sindacato degli investigatori del NYPD, la Detectives Endowment Association, ha aggiunto: «Questo comportamento spregevole non sarà tollerato! Questo dopo aver appiccato incendi e aver distrutto proprietà. Sappiamo che i newyorkesi rispettosi della legge non vogliono che i loro poliziotti vengano trattati in questo modo». Dopo aver sputato al poliziotto, Singh è stata messa a terra e arrestata. Singh, che secondo la polizia è di Schwenksville, in Pennsylvania, è stata accusata di oltraggio a pubblico ufficiale e molestie.

"Fottuto fascista". Insulti choc e sputi in faccia al poliziotto. Devina Singh è stata filmata nel quartiere del West Village di Manhattan mentre aggrediva un agente. Arrestata con l'accusa di oltraggio a pubblico ufficiale e molestie. Ignazio Riccio, Venerdì 06/11/2020 su Il Giornale. L’esito sul filo di lana delle elezioni presidenziali negli Stati Uniti, con il prevedibile colpo di coda polemico dei protagonisti della campagna elettorale, ha reso incandescente il clima politico negli Usa. Donald Trump si dice pronto a ricorrere alla Corte Suprema per fare chiarezza sul voto degli americani, sentendosi derubato del risultato finale, e per le strade cominciano a manifestare i sostenitori sia del presidente uscente sia di Joe Biden. Nella notte di mercoledì si è tenuta a New York un’iniziativa contro Trump, durante la quale sono state arrestate ben 57 persone. In manette è finita anche una manifestante di 24 anni, che ha sputato in faccia a un poliziotto. Devina Singh è stata filmata nel quartiere del West Village di Manhattan mentre urlava a un agente “Fuck you fascist”, prima di sputargli in faccia. Il video è diventato ben presto virale su Twitter ed è stato immediatamente condannato dai sindacati di polizia. La ragazza è stata arrestata con l'accusa di oltraggio a pubblico ufficiale e molestie, e poi rilasciata dal tribunale. La donna si è giustificata dicendo di essere stata provocata dai poliziotti, che avrebbero attaccato senza motivo i manifestanti. Il video a disposizione degli inquirenti, però, sembrerebbe smentire la 24enne. Dalle immagini si vede il poliziotto che rimane fermo fino a quando la giovane non lo assale con forza. Il New York City Police Department ha pubblicato sulla propria pagina Twitter il video dell’aggressione scrivendo: “Azioni come questa non saranno tollerate. Gli agitatori che commettono questi atti verranno arrestati”. La Detectives Endowment Association, il sindacato degli investigatori, ha aggiunto: “Questo comportamento spregevole non sarà tollerato. Questo dopo aver appiccato incendi e aver distrutto proprietà. Sappiamo che i newyorkesi rispettosi della legge non vogliono che i loro poliziotti vengano trattati in questo modo”.

Da repubblica.it il 5 novembre 2020. "Gli Stati Uniti non sono New York, San Francisco o le infinite praterie". Ma "un mondo di immensa e sterminata ignoranza", "dove il marito di Kim Kardashan Kanye West che appoggia Trump crea un vero dibattito nella nazione, mentre gli intellettuali non contano più niente". Così Roberto Saviano durante la diretta di RepTv condotta da Laura Pertici 'La scelta dell'America' davanti ai primi risultati delle elezioni Usa che non registrano la prevista valanga blu per Biden, ma una grande tenuta dei trumpiani. "C'è una frase che gira - ricorda Saviano -: “Gli Stati Uniti sono il Paese del terzo mondo più ricco e potete del pianeta”. Pensavo fosse un gioco radical, ma è così".

"È ora di odiare": ecco come Saviano vuole tornare in campo. In una intervista rilasciata a L’Espresso lo scrittore Roberto Saviano ha spiegato che "non basta più rintanarci dentro i buoni modi, la buona educazione" ed ammette di provare odio anche verso i falsi amici. Gabriele Laganà, Martedì 03/11/2020 su Il Giornale. Il tempo del buonismo, per modo di dire, per Roberto Saviano è finito. Ad annunciarlo è lo scrittore campano che, così, ha deciso di rinnegare quella che per molti anni è stata la sua linea morale e politica, che gli ha dato gloria e lustro. Ora è giunto il tempo di odiare. Sì, è proprio questo il termine usato da quello che fino a pochi giorni fa era il guru della sinistra progressista e radical chic. Perché di nascondere i sentimenti Saviano proprio non ce la fa più. Ed è lui stesso ad ammetterlo. Non solo odio contro i nemici, nascosto in malo modo in questi anni, ma anche verso quelli che considera finti amici che tramano nell’ombra contro di lui. Ci fu un tempo in cui lo scrittore era venerato quasi come un dio dall’intellighenzia rossa. Tra un trasmissione di Santore ed una di Fazio dava lezioni di vita a tutti. Addirittura qualcuno si augurava come guida del Pd proprio il maestro Saviano. Il tempo passa e le cose cambiano. Lo scrittore poco alla volta ha perso il suo "fascino", le persone si sono stufate di lui, gli ascolti sono calati. E poco alla volta i fedeli del "savianismo" si sono allontanati dal sommo. Saviano è tornato a scrivere di camorra, con un certo successo. Ma lui non si accontenta. Forse gli piacerebbe buttarsi a capo fitto in politica. Se il capitolo Pd è chiuso magari ne potrebbe aprire un altro con qualche partito rigorosamente più a sinistra dei dem. Come ricorda La Verità, nei prossimi giorni uscirà il volume per Bompiani intitolato "Gridalo": in sostanza si presenta come una collezione di scritti impegnati e militanti. L'arrivo del tomo in libreria è stato anticipato da una lunga intervista che il buon Roberto ha rilasciato a Marco Damilano sull'Espresso. E la chiacchierata riserva una grande sorpresa: la nuova linea politica dello scrittore è riassumibile con "odio". "Gridare significa prendere parte", ha spiegato Saviano che con orgoglio rivendica di avere mandato "a cagare" il segretario del Pd, Nicola Zingaretti, perché "non basta più rintanarci dentro i buoni modi, la buona educazione". Pare di capire che secondo Roberto la sinistra, per rinnovarsi, deve diventare più cattiva. "Basta con le prediche contro l'odio. Io, per esempio, sento di odiare tantissimo", ha ammesso lo scrittore. Qualcuno in verità se ne era accorto da tempo. "Devo disciplinarmi- ha continuato- per non far emergere in pubblico un odio che provo in modo assoluto. Io odio chi mi ha fatto del male. Odio quelli che stanno dalla mia parte ma poi mi pugnalano alle spalle perché mi detestano". Nei fatti nel corso del tempo Saviano ha fatto discorsi contro l’odio. Nel suo mirino in particolare Matteo Salvini, anche se il suo discorso era rivolto a tutta quella parte politica lontana dalle idee progressiste e pro-immigrazioniste. Quasi un anno fa era lo stesso Saviano a scrivere su Twitter:"L'odio verso Liliana Segre è responsabilità di Matteo Salvini e Giorgia Meloni. [...] A lei vogliamo somigliare e non a chi avvelena l'Italia con parole di intolleranza e odio". La sinistra, a cominciare proprio da Saviano, ha sempre condannato l’odio a parole, presentandolo come caratteristica principale della destra e non solo. Eppure, in un certo modo, i progressisti attaccano con furore chiunque non la pensi come loro. Basta davvero poco per essere additato come fascista, razzista, xenofobo, populista, omofobo, bigotto e altro. L’illustre scrittore chiamava Salvini "il ministro dell'inferno", sostenendo di fatto che chiunque si opponga all'immigrazione di massa sia cattivo. Ora Saviano parla pubblicamente di odio. Un sentimento che forse ora gli conviene. Nella sua intervista lo scrittore chiarisce ulteriormente il concetto: "Non credo che la strada da seguire sia la gentilezza. È ora di dire basta: basta con il mondo mediatico che ospita il peggio, con giornali che hanno fatto cose ignobili, dossieraggio e istigazione al razzismo, che hanno perso qualsiasi autorevolezza, ma vengono tenuti al tavolo perché deve esserci tutto, anche la quota della merda". C’è da preoccuparsi per la "chiamata" all’odio di Saviano. Questa presa di posizione non è una bella prospettiva per un’Italia scossa da tensioni politiche e sociali provocate dall’emergenza sanitaria e dalla crisi economica che ne è conseguita.

Meloni zittisce Lucia Annunziata: “Basta domande sul fascismo. Chiedi a Zingaretti del comunismo”. Carlo Marini domenica 12 Maggio 2020 su Il Secolo d'Italia. Giorgia Meloni, ospite della trasmissione di Lucia Annunziata, ha risposto per le rime alla conduttrice di Raitre, che ha posto alla leader di Fratelli d’Italia le solite domande su Mussolini e sul fascismo. «Il fascismo non sta ritornando– ha tagliato corto la leader di Fratelli d’Italia –  Il fascismo scatta quando scatta la par condicio. Appena finirà la campagna elettorale, il problema non ci sarà più. Trovo abbastanza ridicolo e triste che ogni volta che vengo intervistata dal servizio pubblico mi si chiede della storia e non dei programmi del mio partito. Chieda a Zingaretti del comunismo e dei morti che ha fatto, deve valere per tutti…». “In mezz’ora in più” su Rai 3 la presidente di FdI a un certo punto ha perso la pazienza: «Mi faccia almeno finire, non si può fare un’intervista così, non mi fa parlare…». La conduttrice ha replicato: «Lei sta parlando, l’abbiamo invitata a posta…»  Ad accendere il faccia a faccia i temi caldi dell’immigrazione clandestina, le periferie, la sicurezza. «Se si ferma un attimo e mi fa dire le cose, questa cosa che devo parlare sopra non funziona, non va bene», rimarca Annunziata.

Meloni intervistata su CasaPound anziché sul programma elettorale. Il dibattito si surriscalda quando si parla di fascismo, del ruolo della destra in Europa e dei rapporti con CasaPound. Meloni non ci sta: «Mi chiede di CasaPound, io sono un’altra cosa… Ci sta tanta gente non ideologizzata, non potete far finta di nulla. Lei ha fatto 40 puntate senza mai parlare di fascismo, ora che c’è la campagna elettorale ne riparliamo e mi fa la domanda senza chiedermi nulla sul mio programma elettorale…». Nel corso della trasmissione Mezz’ora, la leader di FdI  è riuscita a ritagliarsi qualche spazio per qualche ragionamento politico che esulasse dalla solita querelle sull’antifascismo. «Io ambisco a costruire un’alternativa – ha detto la Meloni a proposito del governo gialloverdeo – Non ho mai detto “Salvini stacchi la spina” ma il mio ruolo è che gli italiani abbiano un governo che non litighi su tutto. Penso siano fondamentali le elezioni del 26 maggio. Non devo convincere io Salvini, ma gli italiani…».

Adriano Scianca per “la Verità” il 20 ottobre 2020. Avviso alla commissione straordinaria del Senato per il contrasto dei fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all'odio e alla violenza, meglio nota come commissione Segre: stanno circolando per l'Europa due testi che istigano pesantemente all'odio. In Italia non sono ancora sbarcati, ma è bene iniziare a vigilare, come retorica insegna, giusto? I due testi sono Le génie lesbien, di Alice Coffin e Moi les hommes, je les déteste, di Pauline Harmange. Quest' ultimo ha già sollevato un dibattito enorme, di cui pure in Italia è giunta qualche eco, anche in virtù di un titolo decisamente esplicito: Io gli uomini li odio (è vero che l'autrice usa il più tenue détester, anziché haïr, cioè odiare, appunto, ma basti vedere i titoli delle traduzioni inglesi e tedesche - I Hate Men, Ich hasse Männer -per capire che è di quello che si parla, di odio). Cominciamo però dalla Coffin, perché il suo testo è meno conosciuto ma, se possibile, persino più violento. Il suo libro è una vera dichiarazione di guerra ai maschi. Tutti. Lo scenario dipinto è apocalittico: «Tutti i giorni ci sono delle minacce di morte perfettamente pubbliche contro di noi. [] Tutti i giorni contiamo i nostri morti. Sono colpita da ogni nuovo annuncio. Non passa mai. Non so se morirò senza aver ferito un uomo». Per quanto blesser, come in italiano, possa significare anche ferire nell'animo, il contesto non lascia spazio a dubbi: l'autrice sta ipotizzando di attaccare fisicamente i maschi. Subito dopo, del resto, fuga ogni dubbio citando una frase di Christiane Rochefort: «C'è un momento in cui occorre tirar fuori i coltelli. È solo un dato di fatto, puramente tecnico. È fuori questione che l'oppressore possa comprendere da sé che egli opprime, dato che questo non lo fa soffrire». Parlando delle offese ricevute online, la Coffin dice: «Lo so che loro vogliono che io crepi. Non so come finirà. Se loro avranno la pelle dell'umanità prima che noi abbiamo la loro, se tireremo fuori i coltelli. Oppure, non riuscendo a prendere le armi, organizzeremo un blocco femminista. Non andare a letto con loro, non vivere con loro ne è una forma. Non leggere i loro libri, non vedere i loro film, è un'altra. A ciascuna i suoi metodi. Noi abbiamo il potere, senza eliminarli fisicamente, di privare gli uomini del loro ossigeno: gli occhi e le orecchie del resto del mondo. [] Non ho soluzioni, ma non ho alcuna esitazione. La posta in gioco è troppo importante. Chi, fra l'uomo e l'umanità, soccomberà per primo?». La scelta di non eliminare fisicamente gli uomini, lo si capisce bene, è presa quasi a malincuore, per mancanza di mezzi, più che di volontà. Per il resto, il gergo è quello della lotta senza quartiere. Ma sono proprio tutti gli uomini, presi in blocco, a rappresentare questa minaccia stragista? L'autrice, bontà sua, è disposta in linea del tutto teorica ad ammettere che non sia così, ma rivendica il diritto di generalizzare: «Non so quale massa di uomini supplementari bisognerebbe mettere sulla bilancia per smettere di denunciare "gli uomini", di scrivere "certi uomini", "degli uomini", "qualche uomo", ma so che si conta in teragrammi, non in grammi». Pauline Harmange, dal canto suo, rivendica le virtù della misandria, definita «necessaria, persino salutare»: «Odiare gli uomini, in quanto gruppo sociale e spesso anche in quanto individui, mi apporta un sacco di gioia - e non solamente perché sono una vecchia strega che ama i gatti. Se fossimo tutte misandriche, si potrebbe metter su una bella e grande sarabanda». Si dirà che dietro il termine misandria l'autrice voglia indicare qualcosa con più sfumature. È la stessa Harmange a sostenere il contrario, quando, all'inizio del suo pamphlet, precisa: «Parlerò di misandria come di un sentimento negativo riguardo alle persone maschili nel loro insieme». Spropositi talmente pesanti da allertare persino il ministero francese delle Pari opportunità. O quanto meno un suo funzionario, Ralph Zurmély, che ha scritto alla casa editrice: «Mi permetto di ricordarvi che l'incitamento all'odio sulla base del sesso è un reato! Per questo vi chiedo di rimuovere immediatamente questo libro dal vostro catalogo a meno che non vogliate incorrere in conseguenze penali». Il ministero, coraggiosamente, ha però chiarito che l'email di Zurmély è «un'iniziativa personale e del tutto indipendente dal ministero». In questo delirio, la cosa davvero divertente è che, se la Coffin è lesbica, la Harmange, benché bisessuale, è... sposata con un uomo. Un uomo che ama, persino. Ma si sente in dovere di specificare in nota: «Questa scelta va per lo meno posta nel suo contesto. In quanto donna bisessuale, chi può dire cosa sarebbe la mia vita oggi se non fossi stata confrontata molto presto con l'omofobia della società e del mio ambiente?». Insomma, ama suo marito, sì, ma è stato un incidente, è la società che l'ha costretta a farlo. «Oggi», spiega, «pur amando il mio partner e senza pensare un secondo di separarmene, continuo a pensare e a rivendicare la mia ostilità verso gli uomini. E a metterlo nel paniere». Quando il pover' uomo scriverà il suo, di pamphlet, allora sì che scopriremo cosa vuol dire odiare.

Da blitzquotidiano.it il 16 ottobre 2020. Su Facebook un’attivista M5S ha scritto un post in cui festeggia per la morte della governatrice della Calabria Jole Santelli, scomparsa a soli 51 anni. “Evviva!!! Una mafiosa di meno!!!”, questo il post dell’attivista M5S riguardo la morte di Jole Santelli. Un post che è stato poi rimosso, mentre la pagine dell’attivista è stata oscurata da Facebook dopo le diverse segnalazioni fatte da molti utenti. Il post poi si concludeva con la frase: “Speriamo chiami Silvio, Giorgio, Sergio, ecc.ecc.”. A sollevare il caso è Monica Pietropaolo, attivista di Fratelli d’Italia e presidente del Circolo Giorgia Meloni presso il V Municipio di Roma. Il post in questione invece porta la firma di una attivista 5 stelle che su Facebook si presenta come “la prima attivista genovese dai tempi degli ‘Amici di Beppe Grillo’”. Il post è stato rimosso ma lo ha condiviso sulla sua pagina Fb la Pietropaolo, che all’agenzia Dire spiega: “Io non riesco a capire la cattiveria dimostrata da questa appartenente a M5s di Genova. Cattiveria totalmente gratuita e inutile, anche perché la Santelli non ha mai avuto a che fare con i mafiosi né tantomeno avuto mai procedimenti penali a suo carico. Detto questo io sono sempre per il discorso che il nemico politico si batte nelle urne e non si deve mai esultare per la morte di nessuno. Che esso sia del tuo stesso seme politico o d’altro”. “Premesso ciò – prosegue – se fossi nei rappresentanti politici del Movimento 5 stelle prenderei immediatamente le distanze e produrrei le scuse per colpa di questo soggetto che ritengo ignobile. Ma essendo loro di caratura politica sinistroide sono sicurissima che ciò non accadrà. Gioire per la morte di un essere umano è ignobile!”.

Ci va di mezzo anche l’Agesci. L’attivista M5S sul suo profilo tra le informazioni ha scritto “lavora presso Agesci gruppo Genova 14”. E così molti utenti stanno scrivendo proprio all’Agesci di Genova. L’Agesci gruppo Genova su Facebook si vede quindi costretta a fare questa precisazione: “Da questa mattina la Comunità Capi riceve tramite i canali social ingiurie e manifestazioni di sdegno e repulsione per alcuni post pubblicati da questa perona, la quale sul suo profilo – nonostante i nostri inviti a rimuoverlo – mantiene la dicitura ‘lavora presso Agesci gruppo Genova 14’. Questa persona nulla ha a che vedere con noi da almeno 25 anni. Il gruppo tutto pubblicamente prende le distanze sia dalle ideologie espresse dalla persona in oggetto sia dai contenuti da essa pubblicati”. (Fonte Facebook e Stretto Web).

L'odio dei 5 Stelle contro Jole Santelli, il post di Paola Castellaro: "Evvai, una mafiosa di meno". L'odio non si ferma nemmeno davanti alla morte, come dimostra Paola Castellaro, attivista 5 Stelle, con un post contro Jole Santelli a poche ore dalla sua scomparsa. Francesca Galici, Venerdì 16/10/2020 su Il Giornale. L'odio del web non si smentisce mai, nemmeno davanti alla morte. La scomparsa del governatore della Calabria, Jole Santelli, ha scatenato gli istinti più bassi di molti utenti del web che, si sono spinti ben oltre con commenti inutili e fuori luogo. Dalle pagine di satira fino ad attivisti politici, i messaggi contro la Santelli non si contano. Tra questi c'è un post di Paola Castellaro, che dopo aver pubblicato la sua gioia per la morte di una donna, è stata sommersa dalle critiche, al punto che non si è limitata a cancellare il commento, ha preferito sospendere il suo profilo di Facebook. "Evvai!!! Una mafiosa di meno!!! Speriamo chiami Silvio, Giorgio, Sergio ecc. ecc.", ha scritto Paola Castellaro. Parole violente e cattive come non mai, che fotografano una situazione fuori controllo nel nostro Paese. La donna si vantava di essere un'attivista del Movimento 5 Stelle, anzi, "la prima attivista genovese dai tempi degli 'Amici di Beppe Grillo'". Il suo attivismo politico è certificato anche da una candidatura alle amministrative del 2017 nel consiglio comunale con il Luca Pirondini per il Movimento 5 Stelle. Forse consapevole dell'errore commesso, o forse per evitare di continuare a essere sottoposta alla gogna mediatica per quanto scritto, Paola Castellaro ha preferito eliminare il suo profilo Facebook. Ma il web non perdona, rimane sempre una traccia di quanto scritto, tanto più quando si tratta di affermazioni di questo tenore. Inevitabile la polemica contro di lei, tanto che molti utenti adesso chiedono che vengano presi provvedimenti. "In merito a Paola Castellaro. Vi prego segnalate queste sue esternazioni alla scuola dove lavora. Mi sono presa la briga di cercare informazioni e ho scoperto che dovrebbe lavorare al liceo Parini di Genova", scrive Maura che si appella agli altri utenti: "Per cortesia spendere 5 minuti del vostro tempo per far sì che anche le parole d'odio e la cattiveria sui social possano aver conseguenze nella vita reale, andando oltre il credo politico". A dissociarsi dalla signora è anche il gruppo scout Agesci - Genova 14, che la Castellaro ha indicato come una delle sue sedi lavorative nel profilo Facebook. Per questa ragione, il distaccamento scoutistico ha ricevuto neumerosi insulti e inviti a prendere le distanze dalla Castellaro. "Questa persona non ha nulla a che vedere con noi da almeno 25 anni. Il gruppo tutto, pubblicamente, prende le distanze sia delle ideologie espresse dalla persona in oggetto, sia dai contenuti da essa pubblicati", si legge nel messaggio.

Silvia Sardone, no alla moschea islamica: minacce di morte e insulti, "Puttana di merda, ti entriamo in casa e ti stupriamo". Libero Quotidiano il 05 ottobre 2020. La leghista Silvia Sardone si oppone alla moschea provvisoria che il Comune di Milano vuole installare nell'area di via Novara, e in tutta risposta viene insultata, minacciata di stupro e di morte. "Questi insulti - denuncia la Sardone -, moltissimi dei quali provenienti da profili di stranieri, evidenziano, una volta di più, che c’è un odio latente verso coloro che osano chiedere regole, controlli, sicurezza". "Non saranno certo queste minacce di stupro o di morte a fermarmi dal denunciare la sottomissione del Pd a certe comunità islamiche e i rischi per la città - prosegue la combattiva europarlamentare leghista -. Ho già dato mandato al mio avvocato per denunciare questa gentaglia. Continuerò a stare al fianco dei cittadini che chiedono la chiusura delle moschee abusive, dopo aver ascoltato per anni le promesse del sindaco Sala ed essere poi rimasti delusi. Questa amministrazione, così come la precedente, ha mostrato un lassismo clamoroso nell’affrontare la questione dei centri di preghiera islamici, consentendo abusi di tutti i tipi. Noi chiediamo un atteggiamento pragmatico e di non andare contro la volontà dei cittadini fortemente contrari a questa scelta e del Consiglio Comunale che già si era espresso opponendosi alla moschea in Via Novara. Ribadisco che le minacce di questi frustrati non mi fermeranno, la nostra battaglia a testa alta al fianco dei milanesi che dicono no alla moschea continuerà".

Gabriele Laganà per ilgiornale.it il 5 ottobre 2020. Ci sono insulti ed insulti. Se riversi parole pesanti contro un esponente della Lega allora non devi temere che buonisti e radical-chic si infervorino. Neanche se oggetto degli improperi è una donna. Forse è su questo che contava il deputato di Italia viva, il partito di Matteo Renzi uscito piuttosto malconcio dalle recenti elezioni Regionali, Gianfranco Librandi. Il parlamentare ospite di Paolo Del Debbio a Dritto e Rovescio lo scorso venerdì sera, ha attaccato la leghista Silvia Sardone. E lo ha fatto con frasi che se fossero state pronunciate da un esponente della destra avrebbero scatenato i benpensanti nostrani. Ma visto che l’obiettivo era una donna del partito di Salvini non si sono alzate voci di condanna. O almeno non ancora. Nel corso della puntata si parlava di immigrazione. Ad un tratto il buon Librandi ha esclamato: "Il futuro dell’Italia è l’Africa e tu cara Sardone andrai a pulire i bagni degli africani perché saranno più ricchi di noi". Neanche le femministe sono scese in campo in segno di solidarietà alla Sardone. Sui social, invece, molti i commenti contro Librandi che fa parte di un partito che si dichiara moderato. "Tu in futuro andrai a pulire i bagni agli africani. Ditemi che è una frase decontestualizzata che non ho tempo di sentire cosa dica Librandi. Femministe mute? Eh già. La Sardone è leghista", ha commentato una utente. Un'altra persona ha notato la reazione dell’altra ospite, Karima Moual, giornalista di origini marocchine "Librandi maleducato e violento. Dice alla Sardone che presto pulirà i gabinetti agli africani solo per umiliarla, suscitando l’ilarità di quell’altra maleducata di Karima". "L’arroganza di Karima e l’ignoranza di Librandi nell’affermare certe idee sull’immigrazione mi fanno perdere la fiducia nelle istituzioni", ha scritto un altro utente dei social. Anche dai vertici di Italia viva non sono giunte condanne del deputato. Forse Renzi è troppo impegnato in altre faccende come capire del perché il partito, nato con grandi progetti, non ha sfondato elettoralmente parlando.

Gregoretti, Matteo Salvini: “Da processare e condannare sempre”, ecco la giustizia secondo la sinistra. Libero Quotidiano il 03 ottobre 2020. “Io Matteo Salvini lo processerei e condannerei sempre”. Claudio Sabelli ha fatto indignare il centrodestra e tutti i suoi elettori con questa frase pronunciata a Stasera Italia, la trasmissione condotta da Barbara Palombelli su Rete 4. Il giornalista non è affatto passato inosservato: “A che titolo uno così stava là libero di produrre veleno?”, si è chiesta Maria Giovanna Maglie dopo aver seguito la diretta. La nota opinionista è incredula come tanti altri che qualcuno abbia il coraggio di esprimere concetti simili sul segretario della Lega, tra l’altro a poche ore dall’udienza preliminare del processo per il presunto sequestro di persona di 131 migranti bloccati a bordo della Gregoretti, la nave della Marina militare. Quello di Sabelli è solo l’ultimo dei tanti attacchi strumentali subiti da Salvini, che intanto a Catania ha dato una grande prova di forza in qualità di leader del centrodestra, essendo stato seguito da tutti gli alleati, Giorgia Meloni e Antonio Tajani in primis. 

Gregoretti, Vauro: “Forza Etna”, la vignetta choc contro Matteo Salvini e i leghisti a Catania. Libero Quotidiano il 3 ottobre 2020. L’udienza preliminare del processo a Matteo Salvini per il presunto sequestro di persona di 131 migranti a bordo della nave Gregoretti è stata accolta in maniera particolare da Marco Travaglio. Nel suo editoriale il direttore del Fatto Quotidiano sostiene che il segretario della Lega sia riuscito a “buttarla in caciara”, facendo il martire e convocando a Catania i suoi parlamentari e alleati. La grande mobilitazione del centrodestra non è quindi una prova di forza della leadership di Salvini per il Fatto, che non nutre particolare simpatia nei suoi confronti (eufemismo): lo si evince anche dalla vignetta in prima pagina di Vauro, che commenta la presenza dei leghisti a Catania facendo pronunciare proprio all’ex ministro un “forza Etn… ops” che lascia pochi spazi all’interpretazione. 

Alessandro Sallusti contro Gianrico Carofiglio a Otto e mezzo, rissa in diretta: "Di cattivo gusto", "Lei è un esperto". Libero Quotidiano il 02 ottobre 2020. Il coronavirus di Trump fa litigare Alessandro Sallusti e Gianrico Carofiglio a Otto e mezzo. Il direttore del Giornale, incalzato da Lilli Gruber, premette: "Trovo di cattivo gusto giocare o ironizzare sulla malattia di un essere umano. Ma mi chiedo perché Carofiglio non ha usato la giustizia poetica quando Zingaretti, negando ben prima di Trump l'esistenza del virus, venne a Milano a fare lo spiritoso e si ammalò". "Quando sento parlare Sallusti di cattivo gusto, mi arrendo perché lui è un esperto", è la battuta dell'ex pm e senatore del Pd. "Dove sta il mio cattivo gusto?", ribatte Sallusti. "Basta guardare il suo giornale per capire la categoria", risponde un Carofiglio a corto di argomenti. "La sua è una deriva populista - taglia corto il direttore del Giornale -, lei è più populista dei populisti".

Mariangela Garofano per ilgiornale.it il 2 ottobre 2020. Non si arrestano le frecciatine che Selvaggia Lucarelli è solita lanciare al leader della Lega, Matteo Salvini. Questa volta l'opinionista dalla "penna polemica" ha scatenato l’indignazione del web dopo un post pubblicato sui suoi profili social, riguardante la scomparsa di un medico a causa delle complicazioni del Covid-19. Il dottor Peppe Ascione, medico di Ischia, si era ammalato durante la pandemia di Coronavirus e dopo diversi tentativi era riuscito a guarire grazie alla cura al plasma, promossa dal dottor De Donno, somministrata al dottore quando le sue condizioni erano molto gravi. Ma purtroppo non è bastato e dopo alcuni mesi gli strascichi della malattia hanno avuto la meglio sul dottore, che si è spento nella notte del 30 settembre. “Il medico salvato dal plasma e da De Donno con l’ovazione di Salvini è morto”, scrive senza peli sulla lingua la Lucarelli, allegando un post che Matteo Salvini pubblicò quando il dottore guarì. “E della plasmaterapia come cura definitiva e occultata dai poteri forti, non parlano manco lui e Le Iene, grandi promotori”, conclude polemica la giornalista. Il post, pubblicato sia su Facebook che su Twitter, ha ricevuto parecchie critiche per l'argomento trattato. “Penso che una notizia così triste, scritta in questo modo, senza un minimo di sensibilità, è davvero… non trovo le parole, solo vergogna”, scrive un utente, al quale ne seguono tanti altri, che hanno attaccato la Lucarelli per la mancanza di tatto e per non avere rispetto di una tragedia così grande. “Pur di criticare Salvini, sbeffeggia la morte di una persona. Questo è il livello ormai. Ma è Salvini lo sciacallo, giusto?”. “Ma lei gode nel dire cattiverie, pensando di fare dell’ironia? Non prova assolutamente alcun senso di inadeguatezza nel pronunciare simili sconcezze? Tutto ciò è intollerabile e insopportabile”. Non è la prima volta che la Lucarelli attacca il leader della Lega, inserendolo come il prezzemolo in molti suoi articoli polemici, ma stavolta la giornalista sembra aver passato il segno ed è stata accusata di sciacallaggio e di utilizzare ogni pretesto per denigrare Salvini.

Irene Famà e Massimiliano Peggio per “la Stampa” l'1 ottobre 2020. «Qualcuno forse pensa di fermare il Piemonte e i piemontesi con le intimidazioni. Ma, ci ha insegnato Aldo Moro, "la vera libertà si vive faticosamente tra continue insidie". E la nostra terra va avanti». Il presidente del Piemonte Alberto Cirio cita lo statista della Democrazia Cristiana per commentare i volantini trovati ieri incollati sulle pareti esterne del centro sociale torinese Askatasuna, luogo simbolo dell' antagonismo. Fotomontaggi - cinque in tutto - che sostituiscono il volto del presidente Cirio a quello dell' onorevole Moro nella fotografia diffusa dalle Brigate Rosse dopo il rapimento. Sotto la frase: «I cosplayer che vogliamo». Dove il riferimento è al cosplay, la pratica dei fan di indossare i costumi dei personaggi dei fumetti giapponesi. Come dire che Cirio dovrebbe indossare i panni di Moro. «Minacce - aggiunge Cirio - che si aggiungono a quelle rivolte in queste ore a rappresentanti della Giustizia e di altre Istituzioni dello Stato». A Torino si respira un clima teso. L' altro giorno una busta con due proiettili è stata recapitata ad Elena Bonu, magistrato del Tribunale di Sorveglianza che nei giorni scorsi aveva ha firmato l' ordinanza di carcerazione per Dana Lauriola, portavoce del movimento No Tav ed esponente di Askatasuna, negandole misure alternative. Un segnale allarmante. Per questo è stata affidata la scorta al magistrato. Ieri notte, intorno al Palagiustizia, sono stati fermati due attivisti No Tav, dopo aver incollato una ventina di volantini, firmati da un sedicente Nuovo Pci, contro esponenti delle istituzioni, accusati di far parte della «mafia del Tav». Poco dopo, è stato ritrovato il fotomontaggio choc contro Cirio. Episodi su cui indaga la Digos, coordinati dal dirigente Carlo Ambra. Secondo gli investigatori sarebbero azioni slegate tra loro. Da un lato le minacce a Cirio. Dall' altro il fermento No Tav, legato al centro sociale Askatasuna. Episodi da distinguere, ma che ruotano intorno alla casa occupata di corso Regina Margherita, tempio nazionale dell' autonomia. Per celebrare i vent' anni di quel luogo, nel novembre 2016, era stato ospitato il fondatore delle Brigate Rosse Renato Curcio, per la presentazione di un suo libro. Ieri, mentre erano in corso perquisizioni legate alla vicenda dei proiettili, la politica reagiva ed esprimeva solidarietà. «Nessuna critica politica può trovare spazio dove c' è violenza» scrive la sindaca di Torino Chiara Appendino. La vicepresidente della Camera Anna Rossomando (Pd), invita a «non sottovalutare il grave atto». Antonio Tajani, vicepresidente di Forza Italia, il partito di Cirio, si dice «vicino all' amico fraterno». Giorgia Meloni, Fratelli d' Italia, aggiunge: «Questo dimostra come ancora oggi il clima di odio degli anni di piombo si annidi in alcuni ambienti».

Il “Fatto quotidiano” si scaglia ancora contro i giornalisti del Dubbio. Il Dubbio il 27 settembre 2020. NOTA DEL COMITATO DI REDAZIONE. In un articolo apparso oggi sul quotidiano di Marco Travaglio, si parla dei “costi del personale” del Dubbio. Rivendichiamo la qualità del nostro lavoro, la nostra professionalità, l’impegno per i diritti. Ci faremo una ragione del fatto che altri colleghi vorrebbero vederci sparire. Un altro articolo-siluro da parte di colleghi. Cioè da parte del “Fatto”, perché un altro giornale che abbia avuto l’impudicizia di sparare cannonate contro i nostri posti di lavoro finora non si è visto. Il “Fatto” ha questo primato. Il nostro è un quotidiano che conduce battaglie politiche, innanzitutto in difesa dei diritti e delle garanzie, i valori dell’avvocatura di cui il Dubbio è espressione. Evidentemente c’è chi non sopporta giornali con idee diverse dalle proprie. Forse i colleghi del “Fatto” non ci sopportano, non sopportano l’idea che noi del Dubbio lavoriamo. E c’è da chiedersi come possa il cdr del “Fatto” tollerare l’ennesimo attacco nei nostri confronti. L’articolo apparso oggi sul quotidiano diretto da Marco Travaglio, in cui si parla dei “costi del personale” del Dubbio, fa ironicamente e inopinatamente riferimento ai “nemici del populismo giudiziario”. I quali nemici non devono esistere. Deve esistere solo la giustizia usata come arma per distruggere. Rivendichiamo la qualità del nostro lavoro, la nostra professionalità, l’impegno per i diritti. Ci faremo una ragione del fatto che altri colleghi vorrebbero vederci sparire. Il cdr del Dubbio

DAGOREPORT il 30 ottobre 2020. Non sapevamo se rispondere all'esilarante paginata che la vispa Cinzia Monteverdi ha dedicato al nostro articoletto di due giorni fa, in cui scrivevamo cose che poi ha confermato (in sostanza, che il terzo maggiore azionista del ''Fatto Quotidiano'' vuole vendere la sua quota). E non perché ci ha definito ''fogna mediatica'' – meno male che ci sono le fogne, sennò vivremmo sommersi dalla merda –, né perché nel titolo ci chiama ''rosiconi'' come Renzi definiva il ''Fatto'' quando (bei tempi!) faceva inchieste sui governi. Ma perché avevamo di meglio da fare. E invece, eccoci qui. La regola vuole che più lunga è la smentita e più lunga è la coda di paglia, e la colata che ci dedica lady Monteverdi la rispetta pienamente. La presidente e ad della SEIF sostiene che questo ''sito di gossip'' (ha dimenticato il porno) abbia scritto ''frottole'', cioè che Edima vuole vendere le sue azioni per due ragioni: i conti in rosso e la linea del giornale ormai totalmente appiattita su quella del governo Conte-Casalino (ah, Casalino non l'avevamo menzionato noi ma lei, a proposito di code di paglia). È questo il bello di essere una ‘’fogna mediatica’’ e un sito di gossip: quando poi scrivi qualcosa di interessante o pubblichi qualche notizia in anteprima, chi legge pensa: ''hai capito quegli zozzoni, non sono poi così male''. Quando invece passi anni a raccontarti come il cane da guardia del potere, il quotidiano libero che non fa sconti a nessuno, e poi ti trasformi nella Gazzetta di Giuseppe Conte, la caduta è sicuramente più rovinosa. Ed è sotto gli occhi di tutti, come la repentina uscita di alcune delle firme più importanti e battagliere del giornale. Da quando Marco Travaglio ha tenuto a battesimo il governo Conte-bis ed è diventato lo spin doctor del premier, se ne sono andati Davide Vecchi, Stefano Feltri, Sandra Amurri, Carlo Tecce, Giorgio Meletti. Alessandro Di Battista, lautamente remunerato per farsi dei viaggetti in giro per il mondo, con famiglia al seguito, appena ha iniziato a fare opposizione al governo è stato scaricato, tanto da essere passato a ''Tpi'' dove insegna come si fanno i reportage (dovrebbe insegnare come farsi pagare dal ''Fatto''! Quella è una lezione che vale i soldi che costa). Alvaro Cesaroni, che ha messo i suoi soldi nella Edima e dunque nel capitale originario del ''Fatto'', commentando l'addio di Sandra Amurri ha raccontato di essere stato definito un ''salumaio'' da qualcuno che fa parte del giornale. Quindi non ci pare certo un rapporto idilliaco. Ma non serve leggere noialtri infognati, basta aprire il bilancio 2019, quello che si è chiuso con 1,5 milioni di euro di perdita. Nel corso dell'assemblea che doveva approvarlo, che si è svolta per via telematica causa Covid, ha preso la parola proprio il rappresentante della Edima, precisando che avrebbe monitorato da vicino l'andamento dei conti, che veniva accettato considerando l'attività editoriale del ''Fatto'' come quella di una start-up (e dunque, intrinsecamente, in perdita), ma che voleva immediate "informative approfondite sulla gestione". Ecco il passaggio: Prende quindi la parola il Rappresentante Designato, in nome e per conto del socio delegante Edima S.r.l., titolare di n. 2.835.784 pari all'11,34% del capitale della Società, dichiarando che il socio Edima S.r.l. dopo aver analizzato attentamente i dati del bilancio e le relazioni accompagnatorie degli organi amministrativi e di controllo, approva il bilancio chiuso al 31 dicembre 2019, ritenendo il relativo risultato di esercizio rappresentativo di una fase di start up fondamentale per il progetto media-data company. Il Socio Edima srl ritiene parimenti necessario si ponga particolare attenzione all'equilibrio economico e al contenimento dei costi per le prospettive aziendali di sostegno al piano industriale e raccomanda informative approfondite sull'andamento di gestione nel breve e medio termine. Chi conosce le assemblee aziendali sa che se un socio vuole essere messo a verbale, e soprattutto con la frase ''raccomanda informative approfondite sull'andamento di gestione nel breve e medio termine'', significa che le cose non vanno come vorrebbe. Non a caso, pochi mesi dopo Edima ha messo in vendita la sua quota, e questa è la notizia principale confermata dalla stessa Monteverdi. Sulla paginata a noi dedicata appare anche una breve nota di Edima in cui precisa che non ha messo mai becco nella linea editoriale (cosa che ovviamente noi non abbiamo scritto) e casualmente tra i soci non appare mai il nome di Alvaro Cesaroni, ma solo ''Angela Iozzi, Mario Cesetti, Luca D’Aprile e il sottoscritto Enrico Paniccià''. E chi è Angela Iozzi, se non la moglie di Cesaroni? Edima poi ribadisce la volontà di vendere, fatta salva la facoltà di chi intenderà rimanere nell'azionariato di SEIF. Se i rapporti sono così rosei, perché cedere la quota dopo 11 anni? Solo per monetizzare, come dice la Monteverdi? Ma finora hanno incassato ricche cedole, avrebbero potuto monetizzare dopo la quotazione quando il titolo valeva 80 centesimi, mentre ora viaggia intorno ai 50. Insomma, si conferma la quota in vendita, è confermato (addirittura nel bilancio depositato!) l'allarme sui conti in rosso, mentre sulla linea editoriale appiattita sul governo e sgradita ad Alvaro Cesaroni aspettiamo ancora smentita. Essendo uno dei soci fondatori, tanto che le feste per i primi due compleanni del ''Fatto'' si sono tenute a Fermo, sua città natale, la notizia ha sicuramente una rilevanza mediatica, seppur fognaria…

PS: non perdetevi la parte finale del monologo, in cui la Monteverdi ci ''brucia'' annunciando che il ''Fatto'' si è messo in affari con Berlusconi. Si ride forte.

PPS: la notizia della Santanché che vuole comprarsi la quota non è stata data da noi, come ha scritto la Monteverdi. Le frasi della Pitonessa sono state raccolte da ''Repubblica'', che ovviamente non ha manco citato questo disgraziato sito.

Cinzia Monteverdi, Presidente e Amministratore delegato SEIF, per il “Fatto quotidiano”. Quando le persone mi chiedono: "È dura gestire un'impresa editoriale di questi tempi, vero?", rispondo sempre che è molto più sopportabile gestire le difficoltà del mercato editoriale rispetto alla fogna mediatica costruita sulle frottole e non su fatti veri. In effetti la cosa più dura e fastidiosa è dover gestire la consueta, ormai tradizionale, "informazione" che parte sempre da qualche angolo buio e triste per arrivare a propagarsi in un'onda maleodorante tramite certi siti di gossip. La tentazione è sempre quella di non rispondere per non dare importanza alle bugie e, soprattutto, per non perdere tempo. Ma, per rispetto dei nostri lettori, dei nostri giornalisti, dei nostri dipendenti, del nostro direttore e dei nostri investitori, spesso sono e siamo costretti a replicare e precisare. Così anche oggi ho l'obbligo, ma anche il piacere di comunicare che l'articolo uscito lunedì su Dagospia titolato "C'è del movimento tra i Soci del Fatto", costruito ad arte povera, riportava una serie di baggianate seguite da altre baggianate, culminate con l'ipotesi dell'ingresso di Daniela Santanchè come futura azionista della nostra Società. Tutto questo accadeva, guarda caso, proprio mentre il nostro Consiglio di amministrazione era riunito per approvare il bilancio semestrale. Mentre il pezzo riportava l'intenzione del nostro azionista Edima di vendere le sue quote a causa della linea editoriale di Travaglio e dei conti in rosso, il nostro Cda approvava una semestrale con i conti a posto e un risultato di esercizio positivo. Inutile inviare diffide, rettifiche e smentite a Dagospia con preghiera di pubblicazione perché la velocità media di pubblicazione delle bugie è inversamente proporzionale a quella di pubblicazione delle nostre smentite. Che, al solito, sono state corredate da una simpatica foto (che ormai ha stufato anche i sassi) della sottoscritta insieme a Travaglio, risalente - credo - a dieci anni fa, quando eravamo inseguiti dai paparazzi non appena andavamo a cena dopo il lavoro. L'unica cosa positiva è che, per Dagospia, sembro non invecchiare mai. Scherzi a parte, è tutto molto prevedibile e comprensibile: Il Fatto dà fastidio a tanti, il nostro giornale rompe le scatole a un bel po' di potenti e in giro ci sono molti invidiosi malvissuti che forniscono informazioni inesatte o totalmente false a testate fatte apposta per diffonderle. A questo andazzo siamo ormai abituati: il mondo è bello perché è vario. A chi però vuole sapere come stanno davvero le cose preciso che la Società Editoriale il Fatto è una società per azioni, approdata per giunta al mercato della Borsa un anno e mezzo fa, dunque - per definizione - aperta alla vendita e all'acquisto di azioni. I soci hanno diritto di vendere se ne hanno l'esigenza, essendo le nostre azioni per fortuna monetizzabili perchè hanno un valore. Considero fondamentale per la crescita della Società e il raggiungimento dei nostri obiettivi industriali valutare l'entrata di partner strategici nel nostro azionariato. Pertanto non ci preoccupa l'ipotesi che un azionista ceda le sue azioni a un nuovo socio funzionale alla crescita societaria. Come in tutte le Società, i cambiamenti nella compagine azionaria sono la normalità: ne abbiamo già avuti anche noi in passato. Ma non è in atto alcuno sconvolgimento tra i Soci del Fatto, specie tra quelli fondatori e operativi, che credono fermamente nel piano di sviluppo. Il fatto che alcuni Soci possano avere l'esigenza di monetizzare la propria quota non comporta certamente un fuggi-fuggi, tantomeno per colpa della "linea Travaglio" (nota fin dalla nostra fondazione) né per i fantomatici conti in rosso (che invece sono in attivo). Mi dispiace poi deludere Dagospia, ma la sottoscritta non ha esercitato alcuna pressione per impedire a chicchessia di vendere le proprie azioni. Anzi, comunico di essere assolutamente favorevole ai cambiamenti, purchè siano sani e portino valore all'impresa. Dunque ben vengano altri azionisti, anche se "scomodi". Anche perchè siamo protetti da uno statuto che ci tutela dalle "nocività". Ma soprattutto perchè i soci "scomodi", se sono intelligenti e avvezzi al business, sono i primi a non voler entrare nel Fatto. Quella su Santanchè nostra azionista è una boutade. Essendo donna tutt' altro che sprovveduta e abile negli affari, è la prima a comprendere che, se investisse davvero un milione e mezzo di euro per acquisire azioni (come riportato da Dagospia e da un'intervista addirittura su Repubblica), queste perderebbero immediatamente valore, visto che i nostri lettori non comprenderebbero l'operazione e smetterebbero di acquistare il giornale. Non credo che Daniela Santanchè abbia alcuna intenzione di buttare via i suoi soldi. Insomma, cari lettori e investitori, godetevi la nostra bella semestrale su il sito seif-spa.it, con i conti a posto. E perché i conti sono a posto? Perché i ricavi sono aumentati, la diversificazione su diversi rami ha funzionato e soprattutto quel "maledetto" giornale chiamato Il Fatto Quotidiano, con la maledetta linea editoriale di Travaglio, ci ha portato un aumento dei ricavi del 30% nel primo semestre. Non cantiamo vittoria perché il 2020 è stato per l'economia un anno duro e lo sarà ancora, imponendo ulteriori sforzi a noi come a tutte le imprese. Ma intanto festeggiamo alla faccia di chi ci vuole male. Ah, dimenticavo: ho un nuovo titolo-scoop da suggerire a Dagospia: "Il Fatto si fa distribuire da Berlusconi". Oppure "Travaglio fa affari con Berlusconi". Infatti abbiamo cambiato società di distribuzione per mia scelta, legata a motivazioni oggettive: dal 1° ottobre saremo seguiti da Pressdì, società del gruppo Mondadori. Lo "scandalo" è già pronto, servito su un piatto d'argento. Forza Dago a tutta birra. Divertiamoci un altro po'.

Achille Milanesi per “MF” il 30 ottobre 2020. «Ci sono partner industriali interessati a entrare nel capitale e garantire il sostegno di sviluppo futuro del progetto editoriale». Parola di Cinzia Monteverdi, azionista e top manager della casa editrice Seif, che controlla il Fatto Quotidiano e altre attività nel settore della produzione di contenuti. Il gruppo ha chiuso il primo semestre con ricavi per 19,78 milioni (+30,47%), un ebitda di 2,5 milioni e un utile di 73mila euro (rispetto a una perdita di 862 milioni del 30 giugno 2019) e ora valuta la possibilità di ampliare l' azionariato. Il tutto all' interno di un piano di espansione operativo ed editoriale che può necessitare di nuovi capitali e che quindi non può escludere un rimescolamento dell' attuale assetto. Come riferito nei giorni scorsi da Dagospia, il socio storico Edima (11,34%) starebbe valutando l' opportunità di uscire dal capitale, anche se va ricordato che Luca D' aprile - socio di Edima al 10% - è nel cda della casa editrice e ha un ruolo di rilievo sulla parte digitale e d' innovazione del gruppo. Inoltre, gli altri soci di Seif - a partire da Monteverdi (16,26%) e dal direttore Marco Travaglio (16,26%) - possono rilevare a loro volta le azioni che un altro socio intendesse cedere e anche la società stessa può comprarle, come già avvenuto in passato. Quanto agli altri soci rilevanti, Chiare Lettere (11,34%) e Aliberti Editore (7,35%), non hanno intenzione di monetizzare e abbandonare il progetto portato avanti dal management. Va però segnalato che l' imprenditrice Daniela Santanché si sarebbe fatta avanti con Edima per rilevare la quota del Fatto Quotidiano. Secondo quanto appreso in ambienti finanziari, Santanché avrebbe messo sul piatto 1,5 milioni per l' 11,35% potenzialmente in vendita, per una valutazione implicita di Seif di 13,2 milioni rispetto a una capitalizzazione di borsa di 12,5 milioni. Al momento non è dato sapere se la trattativa sia in fase avanzata e se vi sia davvero interesse di Edima a uscire dal capitale del Fatto. Resta invece l' interesse della senatrice di FdI a incrementare la presenza nel settore editoriale, oggi rappresentata dalla partecipazione in Visibilia Editore. In tal senso, secondo rumors di mercato, Santanché - in qualità di presidente della società - starebbe per lanciare un aumento da 5 milioni e sarebbe pronta a sottoscrivere pro-quota (18,24%) oltre a coprire gran parte dell' eventuale inoptato. Anche perché di recente ha ottenuto una linea di credito da 2 milioni per questa operazione e ha liquidità a disposizione per eventuali operazioni di mercato.

Da “il Giornale” il 27 settembre 2020. La scrittrice Michela Murgia si conferma una incallita hater, ma siccome è di sinistra i suoi insulti non sembrano fare scandalo. E siccome è una donna se tratta un uomo con volgarità non c'è problema o rischio di sessismo. Specie se l'uomo in questione è Matteo Salvini, su cui c'è libertà di dileggio. L'ultima delicatezza della Murgia arriva da una domanda di Lilli Gruber circa la credibilità di una svolta moderata del leader leghista. La scrittrice non ci crede e argomenta: «Quando il gioco si è fatto duro, con i morti per il coronavirus, i toni forti come ci ha dimostrato il successo dei sindaci sceriffi funzionano bene solo se sei percepito come una persona seria. Se in una mano hai un supplì o il muso unto di porchetta a una sagra e nell'altra mano un pugno di commercialisti in odor di ladrocinio è difficile che questi toni forti non suonino grotteschi o anche tragici». Attribuire un «muso», invece che un volto, ad una persona equivale a dargli dell'animale, che sarebbe poi un insulto. Chissà cosa sarebbe successo se qualcuno lo avesse detto a lei.

DAGONOTA il 23 settembre 2020. - Cara De Gregorio, ma se lei ha una rubrica quotidiana su Repubblica che si chiama ''Invece Concita'', vuol dire che sul suo nome di battesimo ha costruito anche una parte di notorietà. Giustamente, essendo un nome inusuale in Italia, chi sente Concita capisce subito che si parla della giornalista ed ex direttrice de L'Unità. Un elemento di forza nell'affollato panorama mediatico. Vale per Emma Marrone che è nota solo come ''Emma'', vale per ''Lorenzo'' (Cherubini, in arte Jovanotti), vale per ''Maria'' (De Filippi), un nome che ormai identifica la Sanguinaria di ''Uomini e donne'' più che la donna più famosa della storia. Invece dopo aver alimentato questa familiarità, di colpo si rimangia tutto e vuole essere chiamata ''De Gregorio''. Magari senza il ''la'' prima del cognome, così da essere confusa con il pingue senatore eletto con Di Pietro e noto per essersi venduto a Berlusconi per far cadere il secondo governo Prodi. Contenta lei, anzi, contenta Concita.

Marco Leardi per davidemaggio.it il 23 settembre 2020. Solo il sessismo reale – atteggiamento di degno assoluto biasimo – è peggio di quello presunto. Abbiamo assistito con incredulità alla polemica sollevata ieri sera da Concita De Gregorio a diMartedì nei confronti di Alessandro Sallusti: su La7, la giornalista ha rimproverato al direttore de Il Giornale di averla chiamata per nome e non per cognome, a differenza di quanto egli avesse fatto con gli altri ospiti di sesso maschile. Peccato che, poco prima, anche il conduttore della trasmissione, Giovanni Floris, avesse fatto altrettanto, senza però ricevere alcuna ramanzina.

“Sallusti scusi, ma perché mi chiama per nome e io la chiamo per cognome?“ ha lamentato ad un tratto De Gregorio esibendo un certo fastidio. Pungolato, il direttore de Il Giornale ha a quel punto replicato ironicamente ma con fermezza: “Cara professoressa, mi dimenticavo che non puoi mischiarti con gli ignoranti. Dottoressa, le chiedo scusa! Siccome quando ci vediamo di persona ci diamo del tu e scherziamo, mi permettevo di farlo. Diciamo ai telespettatori che quando lei mi vede in privato e capita che ci incontriamo mi dà del tu e ci salutiamo con grande affetto. Adesso in televisione le fa schifo?“.

Ma la giornalista di Repubblica ha ribadito: “Non capisco perché chiami me con il nome di battesimo e Damilano con il suo cognome. Chiamare una persona con il nome di battesimo è un indizio…“. A quanto pare, tuttavia, l’«indizio» in questione stavolta era abbastanza nebuloso e infatti nemmeno il conduttore – che ha subito tentato di stemperare gli animi – lo aveva colto come particolarmente irrispettoso.

“L’accusa è di sessismo, diciamo, ma in realtà credo sia una maggior affabilità“ aveva ragionevolmente chiosato il padrone di casa. Ma sapete il paradosso? Poco prima, proprio Giovanni Floris aveva adottato il medesimo ed involontario comportamento nei confronti della giornalista di Repubblica, senza che nessuno (a cominciare da lei stessa) avesse giustamente battuto ciglio. Dopo aver presentato tutti gli ospiti, il conduttore aveva aggiunto: “Concita, se sei d’accordo inizierei da te e Sallusti“. E di seguito aveva elencato in questo modo l’ordine degli interventi previsti: “Concita, Sallusti, Senaldi, Sotis“. Accidenti! Anche nel prosieguo del dibattito, De Gregorio era stata ripetutamente chiamata per nome da Floris ed ella stessa si era rivolta a quest’ultimo con un colloquiale “Giovanni“. Ora, sappiamo bene che l’utilizzo del nome proprio può essere utilizzato come tecnica per sminuire l’interlocutore ma in questo frangente non abbiamo avvertito la volontaria intenzione di farlo. Di polemiche pretestuose, perché fondate su basi traballanti, sono piene i talk show: quella andata in scena ieri sera su La7 crediamo possa inserirsi in tale categoria.

Vittorio Feltri ad Alessandro Sallusti: "Non dovevi chiamarla Concita. Trinariciuta e arrogante, come si è conciata". Vittorio Feltri su Libero Quotidiano il 25 settembre 2020. Caro Alessandro Sallusti, data la nostra vecchia amicizia e colleganza, mi permetto di osservare che hai sbagliato a chiamare Concita la signora De Gregorio. Vero che lei ha ecceduto in inutili e ridicole proteste, come se tu l'avessi insultata quando, invece, nei suoi confronti hai dimostrato addirittura di essere ossequioso. Tuttavia dovresti conoscere sia i tuoi polli, non ho scritto galline, visto che frequenti da anni, come me del resto, i personaggi della politica e del giornalismo. Essi, specialmente se di sinistra, soffrono di un complesso di superiorità che li rende inavvicinabili. Sono presuntuosi e arroganti e, se hanno a che fare con qualcuno che rosso non è, si irritano considerandolo un essere pressoché indegno, col quale è umiliante interloquire. In fondo De Gregorio fa bene a darsi delle arie, avendo compiuto una impresa storica, meritevole di applausi: ha distrutto l'Unità, che fu organo del vecchio e per fortuna defunto Partito comunista italiano. Ma siccome ella è rimasta nel suo intimo una compagna, avresti dovuto appunto appellarla «compagna». Chi è stato trinariciuto rimane tale a vita e si compiace del proprio vergognoso passato. De Gregorio ti avrebbe ringraziato. Anche io sono stato di sinistra e mi sono imbattuto in tanti comunisti, alcuni perbene, altri stupidi al punto di avere vergato questo titolo sull'Unità in occasione della morte di Stalin: «È scomparso un grande statista». Non ha errato De Gregorio a far secco un simile giornale. E se si offende qualora un direttore si rivolga a lei quale madame Concita, ha ragione: più che altro Concita si sente conciata, male. 

Vittorio Feltri, la riflessione politicamente scorretta: "Perché alcuni uomini hanno molte donne". Libero Quotidiano il 24 settembre 2020. Tempo di riflessioni. Brevi, sarcastiche, pungenti. Insomma riflessioni il cui regno è Twitter, laddove il limite a parole e caratteri impone la brevità. E a spendrsi nella riflessione di cui stiamo parlando è Vittorio Feltri, il direttore di Libero. Si parla di uomini e donne. O meglio, si parla delle relazioni tra uomini e donne e dei rapporti, spesso difficili, tra i due sessi. Dunque, ecco il peculiare punto di vista del direttore: "Ci sono uomini che hanno molte donne perché una sola è di troppo", cinguetta Vittorio Feltri. Come detto in premessa: breve, sarcastico e pungente.

Lucia Esposito per “Libero quotidiano” il 26 settembre 2020. La colpa è dell'amigdala. Se i vaffanculo e i coglione abbondano sulla vostra bocca, se date del cornuto all'automobilista che vi taglia la strada e urlate stronza alla vicina che vi molesta con l'aspirapolvere alle due di notte, dovete prendervela con l'amigdala che non è una parolaccia ma una struttura a forma di mandorla nascosta nel vostro cervello. È lei, l'amigdala, il grilletto che innesca la carica incendiaria e vi libera della rabbia che ribolle dentro. Quando, invece, vi mordete la lingua e ingoiate la parolaccia come un boccone amaro dovete ringraziare (o maledire) i gangli basali che si trovano sempre nel cervello ma funzionano come freni inibitori. Sono i grilli parlanti cerebrali che vi suggeriscono che è meglio tacere e mettono il silenziatore ai vostri pensieri più feroci. L'emisfero destro del cervello, infine, è quello che confeziona l'insulto e conferisce una forma verbale alla vostra rabbia: tra i mille improperi disponibili vi fa scegliere quello giusto. Dopo aver letto il saggio Insultare gli altri (Einaudi editore, pp.141, euro 12) del professor Filippo Domaneschi direttore del Laboratory of Language and Cognition dell'Università di Genova, non accuserete più di volgarità chi si lascia scappare un'imprecazione. Guarderete con una certa stima chi fino al giorno precedente bollavate come sboccato e scurrile. Scoprirete che insultare è un'ancòra di salvezza nelle giornate burrascose della vostra esistenza, un bel vaffa accompagnato dal dito medio è un argine contro lo straripare della rabbia. Sigmund Freud un secolo fa scrisse: «Il primo umano che scagliò un insulto al posto di una pietra fu il fondatore della civiltà». L'insulto è ammortizzatore della frustrazione che aiuta a rinviare e spesso a evitare lo scontro fisico, insomma dobbiamo ringraziare tutti i coglione che abbiamo detto per aver salvato la nostra fedina penale. Domaneschi definisce l'insulto «un'arte marziale che educa a contenere e a ritualizzare l'aggressività». Una parolaccia ben assestata umilia l'avversario, attrae l'attenzione e sprona qualcuno a fare qualcosa. Per questo l'autore fa notare che «una lingua deprivata delle ingiurie è condannata al disarmo, menomata di una sua capacità espressiva». E pensare di trovare dei sinonimi più socialmente accettabili, sostituire per esempio: sei un coglione con una perifrasi ridicola come sei una persona poco intelligente oppure sei un individuo che non brilla vuol dire rinunciare ad essere linguisticamente attrezzati ad affrontare le diverse situazioni conflittuali. La vita quotidiana impone versatilità, bisogna padroneggiare diversi registri, saper raggiungere vette liriche e poi essere capaci di sprofondare negli abissi. Saper insultare, possedere un vasto repertorio di parolacce ed offese tra cui scegliere significa saper stare al mondo. sallustio e cicerone Molti pensano all'antichità come a un'età in cui il linguaggio era forbito, i modi eleganti e l'eloquio ossequioso, in realtà parolacce e cattiverie fiorivano anche sulle bocche di Catullo, Sallustio e Cicerone. La differenza rispetto al passato è l'irruzione dell'offesa nell'agone politico: oggi l'insulto è usato come strumento per attirare consenso e delegittimare l'avversario politico. È molto interessante il capitolo del saggio dedicato agli insulti in politica in cui l'autore paragona le parole normalmente usate dalla sinistra progressista contro la destra e viceversa. Da una parte fascisti, ignoranti, trogloditi, rozzi, dall'altra professoroni, radical chic, buonisti e intellettualoni. Dal confronto è evidente che i primi sono asimmetrici, presuppongono cioè una superiorità gerarchica dell'insultatore sull'insultato sia di natura morale e civile (fascisti), intellettuale (ignoranti) o cognitiva (trogloditi). Insomma, ci si mette in cattedra e si bacchetta. «L'insulto populista, al contrario, è ecumenico. Chiunque può dare del professorone a qualcun altro»: l'autore sottolinea che quest' ultimo è un linguaggio che fa presa su un più largo numero di persone e ha maggiori chance di colpire. Per quanto tutti vorremmo un confronto politico più pacato e tollerante, la verità è che oggi la competenza denigratoria è diventata un elemento fondamentale di una comunicazione politica efficace. Non bollate l'insulto come espressione di un'incontinenza emotiva perché alcune offese raggiungono il bersaglio solo se ben ponderate e creative. Ci sono mille buoni motivi per leggere questo saggio. Il primo è che dopo averlo chiuso potrete insultare e arricchire il vostro arsenale denigratorio di nuove parolacce senza mai sentirvi scurrili.

Maledizioni, minacce e offese: qui hanno tutti "perso" la testa. Gli odiatori da tastiera attaccano? I vip rispondono a tono mostrando il loro vero volto. Da Vasco Rossi a Caterina Balivo, Da Elena Morali a Valentina Vignali ecco chi questa settimana c'è andato giù pesante. Novella Toloni, Mercoledì 16/09/2020 su Il Giornale. Saranno anche fonte di guadagno e mezzo per ottenere popolarità, ma per i personaggi famosi i social network sono una gran bella gatta da pelare. Tra odiatori seriali, profili finti e leoni da tastiera i vip sono il bersaglio preferito di commenti sgradevoli, sessisti e ingiuriosi. Ma a tutto c'è un limite. Che abbiano ragione oppure no, ecco che i personaggi noti - presi dalla foga di rispondere - mostrano il loro vero volto mettendosi anche allo stesso livello di chi li attacca. È successo al cantante Vasco Rossi che sui social mostra, da sempre, la sua vena artistica musicale. La questione "mascherine" però lo ha fatto scivolare in un "contenzioso" quanto mai discutibile con alcuni seguaci, ai quali il rocker di Zocca ha replicato senza mezze misure, stupendo per l'audacia chi lo segue da anni. "Da 'vita spericolata' a 'vita in mascherina', che tracollo che hai fatto. Brutta fine", ha scritto un follower sotto uno dei più recenti post di Vasco che, indispettito, ha pensato bene di replicare a tono: "Fai così, brucia tutti i miei dischi e datti fuoco anche te". Lo scontro social è proseguito poco dopo con un altro utente: "La mascherina è tossica, stanno trovando funghi nei polmoni e a breve saranno tumori". "Quindi tutti i medici e gli infermieri che la usano da sempre moriranno di tumore? I poteri forti sono nella tua testa e tu sei un tonto e basta", ha replicato Rossi dando in sostanza del cretino al follower. Difficile sorvolare su certi commenti anche per il vip più serafico. Dai oggi, dai domani anche il più pacato dei volti noti scivola nella trappola degli odiatori, abbassandosi allo stesso livello. È successo anche a Caterina Balivo che, oggetto dei commenti audaci di un follower, non è riuscita a trattenersi e c'è andata giù pesante. "Che ti possa cadere la lingua", ha replicato la conduttrice al commento hot di un utente: "Col bikini sei mostruosamente gnocca mi fai rizzare tutto leccherei tutto il tuo corpo...". Chi proprio non riesce a mordersi la lingua è Valentina Vignali che, per rispondere a tono ai sui hater, è ricorsa addirittura alla musica, scrivendo versi in rima. Per l'ultimo sgradevole commento però non è servito arrivare a tanto. Alla giocatrice di pallacanestro è stato sufficiente dare dell'imbecille a un follower per rimetterlo in riga. "Mi raccomando denuncia il fotografo! Sai qualcuno non vi dà modo di esistere siete morte!!!!", ha scritto un fan sotto il suo ultimo post, ricordando la vicenda dello skipper che avrebbe fotografato di nascosto lei e alcune sue amiche durante una vacanza a Lipari. Seccata dal riferimento la Vignali ha replicato: "Quello 'morto' e soprattutto imbecille sei proprio tu invece". Chi invece finisce spesso nel mirino degli odiatori social è Marco Bacini, compagno di Federica Panicucci, che ogni volta replica alle accuse e alle offese con garbo ma pur sempre a tono. L'ultima stilettata all'indirizzo della fidanzata lo ha fatto letteralmente infuriare e la risposta è epica. "Si è ossigenata troppo la chioma, tipico di chi ormai ha una certa età", scrive un follower sotto l'ultimo profilo Instagram della conduttrice. Il giusto "assist" per la clamorosa risposta di Bacini: "Le Sue conclusioni sono invece tipiche di chi ha carenza di ossigeno nel cervello; provi ad ossigenarlo un po' e se saremo fortunati magari il prossimo commento sarà anche intelligente". Una "moda" - quella di attaccare i vip e per contro di rispondere agli hater - che ha portato addirittura alla nascita di pagine social semiserie come "Gli Odiatori" su Instagram, che segnalano il surreale botta e risposta tra volti noti e follower. La carrellata dei commenti che mostrano il vero volto dei vip non può non terminare con i due commenti piccanti rivolti all'indirizzo di due bellissime del piccolo schermo, Francesca Brambilla e Elena Morali. L'ex Bona Sorte di Avanti un Altro non ha battuto ciglio nel replicare al commento sessista del seguace che, ammirandola in uno scatto in cui la modella si gusta una burrata, ha pensato "bene" di scriverle: "Ti piace avere quella cosa bianca in bocca". Scontata ma d'effetto la replica senza peli sulla lingua della Brambilla: "Anche a tua mamma". Risposta audace anche per Elena Morali che - al sospetto di un fan sulla sua vita sessuale - non c'è andata tanto per il sottile. "Avessi un fidanzato così altro che foto e fotine, scoperei 3/4 volte al giorno", le scrivono. Lei replica: "Chi ti dica che non succeda già". Per il momento ci fermiamo qui.

Tommaso Labate per il “Corriere della Sera” il 21 settembre 2020. L'uno eleva l'altro a «sommo e divagante eroe della vita che scansa pericoli, le esagerazioni e la maleducazione», oltre a segnalarlo a Mattarella perché lo nomini «Cavaliere di Gran Croce o forse anche Cavaliere del lavoro». L'altro ricambia con un video in cui ringrazia l'uno, segnalandogli che «mi fa piacere che siamo sulla stessa lunghezza d'onda in questo periodo». L'uno e l'altro sono una coppia così assortita che soltanto il dibattito sulla libertà ai tempi di una pandemia poteva mettere assieme, anche se distanziati. L'uno è Giuliano Ferrara, l'altro è Vasco Rossi. Strano ma vero, finiscono per trovarsi dalla stessa parte dalla barricata proprio nei giorni in cui il fondatore del Foglio , sostenitore del «sì» al referendum, aveva provocatoriamente infilato nello stesso albero genealogico la battaglia antipartitocratica dei Radicali di Marco Pannella, da sempre l'unica «casa» politica del rocker di Zocca, e l'an-tipolitica del duo Crimi-Di Maio. A far guadagnare a Vasco un posto nel personalissimo pantheon di Ferrara - c'è anche una bozza di epigrafe: «A Blasco che da mistagogo della religione della gioventù si fa pedagogo e maestro di vita adulta» - è stata la battaglia sull'uso delle mascherine che il Komandante (si faceva chiamare così da prima di Salvini, con la «k» però) sta portando avanti anche a dispetto di chi gli rinfaccia una senilità decisamente meno spericolata di quella «vita» che canta e decanta da quasi quarant' anni. Quando legge «mistagogo», Vasco avverte i fan dei suoi social che «ci vuole il vocabolario ma ne vale la pena, sì». Magari avrà sorvolato sulla riga in cui Ferrara lo associa a «un bevitore di Lambrusco al Roxy Bar». Non per il Roxy Bar, ma per il Lambrusco. Quello era Ligabue, nelle canzoni di Vasco ci sono whisky e bollicine. Lambrusco mai.

Caro Vasco, ora lo spieghi tu a mia madre…Max Del Papa, 20 settembre 2020 su Nipolaporro.it. Perdoni il lettore se, una tantum, il cronista parla di sé: si permette solo perché a volte la fonte coincide con l’esperienza, e l’esperienza ha a che fare con una consapevolezza: l’impatto mediatico s’è fatto devastante, cosa che evidentemente a qualcuno sfugge; o forse no, non gli sfugge affatto ed è esattamente quello che cerca. Ho una madre sulla soglia degli 88: non esce di casa da anni, reduce da un ictus che le ha soffiato via la lucidità che restava: demenza totale e la sfibrante difficoltà di occuparmene a tempo pieno – con l’aiuto, generoso, decisivo, di una cara amica.

Lite con Vasco. Questa madre di stirpe contadina, che per pochi anni lavorò nella metropoli prima di sposarsi e rientrare nei ranghi (allora si usava così), non sa cosa siano i social, non ha mai acceso un computer in vita sua, il mondo le arriva, confuso e vociante, dallo schermo di una televisione sempre accesa. Chissà come, ha captato strascichi della faccenda di Vasco Rossi, uno che trapassa anche i buchi di una memoria diroccata: “Ma come? Ma Vasco Rossi ha detto che sei un delinquente! I delinquenti vanno in prigione. Allora vai in prigione?”. No, ma’, non vado in prigione, non ho fatto niente, stai tranquilla. “Se vai in prigione chi si occupa di me?”. Da allora è sconvolta, l’unica speranza è che presto la tabula rasa prenda il sopravvento e tutto ricominci da zero. Così vive lei, così vivo io con lei. Fine della parentesi personale e inizio di una considerazione generale.

C’erano una volta i vip. C’era una volta un vip. Il vip era un’entità mitologica che riempiva di sè le cronache degli umani da semidio, assenza immanente, come Liz Taylor, Gianni Agnelli o Frank Sinatra. Regnavano sui i rotocalchi e gli immaginari degli umani a forza di imprese, depravazioni, follie ma erano schermati, stavano nel loro Olimpo vizioso, nessuno li raggiungeva, al massimo qualche paparazzo molesto da scazzottare. Oggi il vip è altro anche lui, diciamo un vippo/vippa figlio dei suoi social, sta dappertutto, pontifica, si pone come fondatore di un nuovo culto: tanti vippi, tante religioni. Quante divisioni ha il vippo/vippa su Instagram o Twitter? Comunque un dèmi-dio, più stregone che santo, tipo le coppie influencer che impostano un figlio come un piano quinquennale. Ora, questi personaggi usano molto lamentarsi della celebrità, vale a dire di quelli che li odiano, li attaccano in rete, non li lasciano vivere, salvo glissare sul recto della medaglia e cioè le schiere di seguaci mandati allo sbaraglio per le loro crociate, le loro guerresante, indette invariabilmente per motivi mercantili: bisogna coltivare l’immagine, alimentare il vecchio mito chi del ribellismo, chi dell’impegno militante, chi della seduttività senile; tutto è lecito, anche giocare sporco.

Fan(atici) social. È una sorta di mutazione antropologica: fino a qualche tempo fa il vip, aggredito da critiche irriverenti, poteva limitarsi a sbandierarle, giocando di sponda, facendo leva sul vittimismo empatico: avete visto, sono famoso ma resto umano, anzi resto umile. Poi, con la scoperta della terra ignota dei social, questi vippi e vippe sempre più smaliziati hanno realizzato che si poteva dare di più: ci voleva una autentica chiamata a raccolta, come quelle di Gregorio VII o Urbano II che intorno all’anno Mille chiamavano alla difesa della Cristianità: e partivano i Cavalieri. Oggi partono i fanatici senza nome e senza faccia e chi più ne ha più ne mandi allo sbaraglio. Una dimostrazione di potenza indiscussa, di autorevolezza in grado di schiacciare sul nascere qualsiasi eretico, per dire chiunque non dica che il vippo/vippa di turno cammina sulle acque, come quel Tale, che non scriveva sul giornale ma guariva gli storpi e moltiplicava i pani e i pesci: robetta al confronto del miracolo planetario di quattro canzoni, o articoli, o selfie. E lo è, gioco sporco, quello di tirarsela da vittime (viptime, le chiama in un suo libro Massimo Coco, il figlio del giudice trucidato dalle Brigate Rosse) mentre si gioca a Risiko, anzi a Napoleone.    Sporco anche perché, oltretutto, si può far come quel tale, quel tale che se ne lavava le mani: i violenti alcoolici da osteria digitale sono come l’Oceano di Lucio Dalla, non li puoi fermare non li puoi recintare, il vippo/vippa lo sa e ci marcia: come fai a colpevolizzare una marea di due o trecentomila esaltati, come fai a ricondurre l’origine della responsabilità a chi li sguinzaglia con un apparentemente innocente invito sui social? E tutto si dilata, i giornali riprendono, i telegiornali raccolgono, l’impatto mediatico diventa bestiale.

Guerre vippe. Qui sta il busillis di un comportamento che intende difendersi dal bullo qualunque, ma diventa iperbullista a sua volta. Il vippo/vippa non si sporca le mani e può sempre risponderti: che c’entro io? Che colpa ne ho se sono famoso? Ma non funziona così e l’oracolo twittatore, selfatore, dispensatore di saggezza tascabile lo sa perfettamente: l’intendenza seguirà. Difatti le intendenze finiscono regolarmente a massacrarsi fra loro, secondo il deprimente paradosso dei volonterosi combattenti contro l’odio che finiscono per scatenare tempeste d’odio in rete. C’è sempre uno squilibrato, un incauto che per primo attacca il vippo/vippa e che si vota a sicuro macello, con il suo esile manipolo di followers che fanno la stessa fine, caduti alle Termopili social travolti dalle legioni della “viptima”. Mentre gli scontri tra vippi e vippe di pari rango non sono mai sulla base delle ragioni, quasi sempre assai presunte, ma della carne da cannone che ciascuno ha da schierare sul suo Risiko virtuale: io ce l’ho più lungo di te, l’esercito virtuale. Davvero fa specie che questa esigenza di responsabilità sociale – non social, sociale, etica, civile – non venga percepita da nessuno, istrioni, guitti, cantanti, virologi improvvisati, politici, giornalisti, tutta gente che di etica della responsabilità si riempie la bocca, preferibilmente coperta da una mascherina. Lo sanno, che hanno una responsabilità diffusa? Lo sanno che i loro ululati si dilatano? Lo sanno, lo sanno: e gli va bene così, poi a fare i martiri è un attimo. Qui c’è chi solfeggia di “negazionisti terrapiattisti del cazzo” e ci fa pure la parte del ribelle perché dice sì alla mascherina sempre e comunque, a parte qualche selfie con altri intransigenti a giorni alterni. Ma tanti anziani annaspano, rantolano, vivono nel terrore, cioè non vivono più, perché sono malati anche da sani, perché sono convinti che, là fuori, stiamo tutti cascando come mosche per colpa di chi la mascherina non la porta a scuola, in casa, in chiesa, in macchina, e anche cucita sulla pelle. Lo sanno cosa combinano, lo sanno che vanno travasando la santa prudenza in isteria, in follia? Lo sanno che lo fanno per agevolare un controllo da un potere di stampo cinese, loro che per tutta la carriera hanno scassato i maroni con l’attacco al potere, e li si escludeva, e non erano capiti, eh, oh, sono ancora qua? Ho una madre fragile come un vecchio cardellino, che, senza saperlo, ed è l’ironia più feroce, usa le parole di una canzone: “Tu mi sa tanto che finisci male”. E dà i numeri. Che faccio, la drogo? Le do 100 gocce di Valium? Mettila come vuoi ma, dovesse succederle qualcosa, non sarà stato il Covid e non saranno stati i “negazionisti del cazzo”. Max Del Papa, 20 settembre 2020

Gianni Giacomino per la Stampa il 15 settembre 2020. Prima ha fotografato con il telefonino la scritta «Salvini appeso» che qualcuno ha lasciato su un muro in centro a Torino. Poi Fabio Tumminello, avvocato praticante di 28 anni, candidato per il Pd a Venaria Reale, l' ha pubblicata sul suo profilo Instagram. Apriti cielo. Nel giro di pochi minuti si è scatenato il finimondo con la reazione dei vertici della Lega e del centro destra. E così, domani pomeriggio, Salvini ha annunciato che sarà proprio a Venaria, la città della Reggia, il primo Comune piemontese conquistato dal M5S alle amministrative di cinque anni fa e poi commissariato. «Parlerò di scuola, di giovani e di lavoro, non di minacce - dice Salvini -. Altri preferiscono gli insulti, i lanci di sedie, bottiglie o pomodori, le minacce o lo strappo di camicie e Rosari. Alla rabbia e alla paura rispondiamo col sorriso e col lavoro». Il deputato Luca Toccalini, coordinatore Giovani della Lega, ha definito il post «infame» chiedendo al Pd di espellere il suo candidato. Un brutto momento per Tumminello che, intanto, si è cancellato da tutti i social: «Perché voglio evitare che i miei familiari o gli amici possano avere delle noie per colpa mia». «E inutile che provi a cercare delle giustificazioni, ho sbagliato, me ne prendo tutte le responsabilità e per questo ho subito chiesto scusa - dice il candidato 28enne -. Ovviamente quello che ho pubblicato non rispecchia il mio pensiero, ci mancherebbe. Voleva solo essere un' uscita ironica, invece ha scatenato un putiferio. Sono stanco e dispiaciuto, un giorno spero di svegliarmi da questo incubo». Sospira: «Quello che mi dispiace è la strumentalizzazione in atto, a cominciare dal fotomontaggio dove mi si vede che bevo un drink con sullo sfondo il post». Post che ha creato parecchio imbarazzo nel Pd torinese e, soprattutto a Venaria dove, tra qualche giorno, oltre 28 mila elettori saranno chiamati ad eleggere il nuovo sindaco. «Certo ho ricevuto anche delle telefonate di solidarietà, ma ho paura di aver combinato un guaio che avrà dei riflessi negativi sul voto» - quasi si dispera Tumminello. Poi si arrabbia: «Il bello è che ero quello che ho sempre dato i consigli agli altri del gruppo, "occhio a quello che scrivete sui social perché ci controllano", e poi ci sono cascato proprio io».

De Benedetti lancia il suo nuovo giornale di odiatori. “Contro Salvini e Meloni: è lei la peggiore”. Monica Pucci martedì 15 settembre 2020 su Il Secolo d'Italia. Si chiama “Domani“, ma il suo domani non sarà un altro giorno. Il nuovo giornale di Carlo De Benedetti rinuncia da subito, per proclama iniziale, a qualsiasi colpo di scena politica. Riserverà meno sorprese di un inverno nebbioso in Val Padana: parlerà sempre e solo male di Matteo Salvini e di Giorgia Meloni. Pure se dovessero dire e fare delle cose intelligentissime. Anzi, “Domani” sarà più cattivo con la leader di Fratelli d’Italia, “perché lei è il peggio”, annuncia candidamente Stefano Feltri, il giovane direttore già asservito ciecamente al suo editore e al fenomeno social degli “haters”, che dovrebbero – in teoria – risparmiare i giornalisti. E invece…

L’imparzialità secondo Stefano Feltri. “I giornali imparziali – spiega oggi Feltri nel suo editoriale – non esistono, quelli onesti dichiarano le proprie preferenze. Domani difenderà le ragioni della democrazia liberale, nella quale decide la maggioranza, ma nel rispetto dei diritti di tutte le minoranze. La storia della democrazia liberale si intreccia a quella del libero mercato, che in Italia viene sempre limitato e distorto per difendere rendite e privilegi, di solito a spese dei contribuenti”. Dunque, secondo Feltri, che oggi apre sugli scandali della Lega e promette paginarte analoghe anche nei prossimi giorni, l’imparzialità, come aveva affermato ieri, non solo non esiste ma va declinata a senso unico. Contro il centrodestra. Anche se Feltri, memore della figuraccia del suo editore, che aveva insultato Silvio Berlusconi nei giorni in cui lo ricoveravano per il Covid, evita di citare il Cavaliere.

Salvini e Meloni i nemici di Carlo De Benedetti. ” Salvini è un pericolo ma anche il sintomo di un pericolo più grande, quello di una politica basata solo su slogan, semplificazioni che poi portano a prendersela con le minoranze fragili. Ma Fratelli d’Italia è molto peggio della Lega di Salvini perché almeno la Lega ha una classe dirigente anche a livello locale. Meloni non ha neanche quella”. Il direttore del nuovo quotidiano non considera pericolosa, invece, la sinistra, i grillini, il Pd, il suo editore, tutti bravi, tutti preparati, tutti pieni di idee. L’accoppiata Feltri-De Benedetti promette bene: di questo passo, oltre a fare il solletico a Meloni e Salvini, lo farà anche agli odiati colleghi di “Repubblica“.

“Pulci di notte” di Stefano Lorenzetto da “Anteprima. La spremuta dei giornali di Giorgio Dell’Arti” e pubblicato da “Italia Oggi” il 17 settembre 2020. Il Domani pare un giornale di ieri, anzi dell’altro ieri. Nel mondo dell’auto, il periodo di osservazione per un nuovo assicurato è di 10 mesi. Per il nuovo quotidiano di Carlo De Benedetti basta un giorno. Risulta l’unico venduto online con tariffa da stallo Easy park: la prima classe di abbonamento è «24 ore: 1 euro». Quindi mi limiterò a sostare sul Domani dell’altro ieri, ché il numero successivo al primo mi è sembrato pure peggio. Nonostante il prezzo d’attacco, e senza voler essere menagrami, è difficile che il Domani possa avere un domani in edicola. A meno che l’ex editore di Repubblica non ci pompi dentro tutti i quattrini che ha messo da parte, pur di evitare una figura barbina a fine carriera. Conoscendolo, l’evento è da considerarsi probabile quanto la glaciazione della Death Valley. Il Domani dell’altro ieri si qualificava per il titolo in apertura di pagina 2: «Mascherine e precari. La scuola riapre tra nuove regole e vecchi problemi». Avrebbe potuto vergarlo Giovanni Spadolini quand’era direttore del Corriere della Sera, perciò fra il 1968 e il 1972. L’altro ieri, appunto, non domani. È l’archetipo del titolo che non dice nulla, citatomi una sera a cena da Paolo Mieli: «L’agricoltura fra ieri, oggi e domani». Fa il paio con una frase che figura nell’armamentario di qualsiasi politico bollito, suggeritami da Paolo Pillitteri: «Molto è stato fatto ma molto resta ancora da fare». E stiamo parlando del titolo portante, che riguardava l’unico argomento di giornata presente in prima pagina. Figurarsi il resto. Non che la vetrina del Domani si differenziasse molto da pagina 2. Il direttore, l’esordiente Stefano Feltri, ha dato al suo editoriale il seguente titolo: «L’inizio. Un giornale nuovo per un futuro tutto da scrivere». Di solito si parla di inizio della fine, anche qui senza voler essere iettatori. Che poi il futuro sia tutto da scrivere è un’intuizione davvero copernicana. La seconda riga del titolo non aveva senso compiuto, andava a capo dopo la preposizione «per». Comodo, ma orrendo. Non lo fa nessuno che si rispetti, nei giornali. Qualcuno che cominciasse ci voleva. Il secondo (e ultimo) titolo della prima pagina recava un occhiello in linea con il «giornale nuovo» del direttore – «Di nuovo in classe» – ed era anche questo deliziosamente spadoliniano: «“Ripartiamo senza dimenticare”. Il virus non ha fermato la scuola». Il sommario precisava che a parlare fra virgolette era «il dirigente di un istituto di Bergamo». Firmava il servizio Francesco Fadigati, da Calcinate, ma solo dalla lettura del pezzo potevi arguire che si trattava del predetto dirigente. L’attacco era folgorante, quasi buzzatiano: «Ieri mattina davanti all’atrio della scuola c’era un arco di palloncini colorati». Degno di nota, sempre nel primo capoverso, anche il fatto che le maestre fossero «stanche» ma «sorridenti». Mia moglie, maestra per 40 anni, mi ha giustamente ricordato che pure lei tornava «stanca ma felice» dalle gite domenicali con i genitori e lo scriveva nel tema del lunedì, non sul Domani. In seconda elementare, però. Escludendo due colonnine di brevi e cinque lettere (svelti, i lettori di Domani), l’avveniristico quotidiano presentava in tutto altri 17 titoli, anche qui senza voler essere uccelli del malaugurio. Tutta roba forte, comunque: «Mancano insegnanti di sostegno, il Covid rallenta la didattica»; «Le temperature record innescano gli incendi che bruciano l’America»; «La nuova enciclica di Francesco nata dal dialogo con l’islam e dal Covid»; «Con destra e sinistra non capiamo i 5 Stelle e neppure i nuovi verdi». Osservazione tecnica: il Domani misura 41,5 centimetri in altezza e 30 in larghezza. Quindi fanno 1.245 centimetri quadrati a pagina. Le firme sotto i titoli galleggiano in uno spazio bianco alto 3 centimetri. Nel primo numero, quelle di Giorgio Meletti, Emiliano Fittipaldi e Giovanni Tizian (articolo a quattro mani), Igiaba Scego, Alberto Melloni, Arianna Farinelli, Gianrico Carofiglio, Jonathan Bazzi e Daniele Mencarelli erano distese su 6 colonne, cioè a tutta pagina. Pertanto ciascuna firma occupava 90 centimetri quadrati. In totale sono stati sprecati 720 centimetri quadrati per 8 firme. Aggiungendo le altre, si arrivava a un’area pari a poco meno di una pagina. All’esordio il Domani di pagine ne aveva 20 (già calate a 16 il secondo giorno). Tolte le 5 e mezza di pubblicità, ne restavano da leggere 14 e mezza. Tolte le firme, 13 e mezza. Tutti autori di peso, per carità, e ora anche di superficie. Ma De Benedetti non faceva prima a spedirci un fax?

Giampiero Mughini per Dagospia il 18 settembre 2020. Caro Dago, che bella notizia quando nasce un nuovo quotidiano e si arricchisce dunque la vetrina dell’edicola dove io vado ogni mattina a comprare i giornali di carta. Ancor meglio se si tratta di un giornale piccolo, animato da una redazione di qualità e una redazione di qualità è certamente quella del “Domani”, il quotidiano di proprietà di Carlo De Benedetti, a cominciare dal suo direttore Stefano Feltri, un trentenne in gambissima al quale auguro ogni bene professionale. Il fatto è che un giornale piccolo deve essere capace come di scaraventarti in faccia una zaffata d’aria ogni mattina e quale che sia quell’aria. Ne era stato capace “l’Indipendente” di Vittorio Feltri e Pialuisa Bianco, un quotidiano cui ho avuto la fortuna di collaborare, e che è il padre di tutti i successivi esperimenti cartacei di cui sto dicendo. Ne è stato capace a iosa “Il Foglio” prima di Giuliano Ferrara e poi di Claudio Cerasa, un quotidiano i cui lettori si contano nell’ordine delle migliaia e non delle decine di migliaia, ma sono tutti lettori aggrappati con le unghie e con i denti a un giornale cui non rinuncerebbero per tutto l’oro del mondo e questo perché occupa uno spicchio tutto suo della verità intellettuale e dell’informazione giornalistica. Ne è stato capace “Il Fatto”, un giornale cui non nuoce il fatto di essersi dato il mestiere di organ-house dei 5Stelle, un giornale dove trovi splendidi pezzi di Pino Corrias, Pietrangelo Buttafuoco, Roberto Beccantini, Selvaggia Lucarelli, Paolo Isotta e a non dire dello stesso Marco Travaglio, giornalista coi fiocchi tra tutti i giornalisti di parte. Ne sono capaci a tutt’oggi i due ringhianti quotidiani vicini al centro-destra, “Libero” di Vittorio Feltri e “La Verità” del bravissimo Maurizio Belpietro, un giornalista che ho avuto come direttore quando collaboravo a “Libero”, un giornalista che si colloca a una latitudine politica molto diversa dalla mia ma che non una volta in tanti anni mi ha contestato un punto e virgola. Tutti giornali dai quali arriva una zaffata d’aria, ti piaccia o non ti piaccia quella zaffata. Lo sai che cosa ti offrono, quello cerchi e quello trovi. Ho comprato “Domani” per due o tre giorni. Non arriva niente. Neppure un soffio d’aria. Non si capisce quale spicchio dell’informazione corrente voglia far suo. Niente. E con tutto questo, i miei più fraterni auguri a tutti loro.

Aldo Cazzullo per "Corriere della Sera" il 19 settembre 2020.

Carlo De Benedetti, in un'intervista al Foglio lei aveva lasciato capire di voler rifondare Repubblica.

«Mi avranno interpretato così. In realtà non ci ho mai pensato».

Ma perché lanciare un quotidiano come Domani, in una fase difficile per l'economia e per l'editoria?

«Perché a me piace il giornalismo. Ho passato quarant' anni con Repubblica . Per Repubblica ho combattuto battaglie, ai tempi della guerra di Segrate. Mi sono attirato l'odio di Craxi, che non aveva altro motivo di odiarmi al di fuori dell'identificazione con Repubblica . Ho avuto un ottimo rapporto personale con Ezio Mauro ed Eugenio Scalfari».

Con Scalfari c'è stata una frattura.

«Ora abbiamo recuperato, ci telefoniamo tutte le domeniche. Insomma, penso immodestamente di aver fatto bene l'editore di Repubblica».

Ciò non toglie che sia difficile oggi trovare spazio per un nuovo quotidiano.

«Non credo. In Italia ci sono quotidiani di destra: Libero , Il Giornale , La Verità , Il Tempo . Ci sono quotidiani di centro: il Corriere , e ormai Repubblica . Ma non c'è più un riferimento culturale per quell'area riformista in cui mi sono identificato tutta la vita, fin da quando presiedevo l'associazione studenti del Politecnico di Torino».

Di Repubblica si diceva che fosse un giornale partito.

«Perché le cose avvenivano su Repubblica . La battaglia contro Berlusconi, le dieci domande, la lettera di Veronica. Prima ancora, la battaglia di Scalfari contro Craxi. Era un giornale molto politico. Ma se tu lo devitalizzi, il giornale non ha più senso per una ragione banale: quelli che la pensano come la pensava Repubblica sono delusi e la abbandonano; quelli che non si sono accorti che Repubblica è un giornale di centro non lo comprano, perché pensano ancora che sia di sinistra».

Ammesso che sia così, perché dovrebbero comprare Domani?

«Perché abbiamo fatto una cosa del tutto nuova. Partiamo con un giornale digitale, e la nostra sorte si giocherà sugli abbonamenti digitali. Ma la mentalità dei lettori è che un giornale devi poterlo prendere in mano; altrimenti non è un giornale, è un sito. E io non volevo fare un sito; volevo fare un giornale. Gli ho aggiunto la nobiltà della carta, che lo rende un giornale».

Lei sta per compiere 86 anni.

«Ho già programmato il trasferimento della proprietà a una fondazione. Alla mia età devo pensare che Domani deve sopravvivermi. Un po' perché, come si è visto, non ho eredi appassionati ai giornali. Un po' perché mi piace lasciare come testimone della mia presenza nell'editoria un giornale che appartenga a una fondazione».

Non succede quasi mai.

«In America, no. Ma in Europa il Guardian e la Faz appartengono a una fondazione. L'ho già costituita e l'ho dotata dei mezzi necessari a renderla sostenibile, indipendentemente da me. Per statuto la fondazione ha un capitale di dieci milioni di euro. Nel mio testamento ho previsto un'ulteriore dotazione di denaro».

Qual è il break-even, la soglia di sopravvivenza?

«Il nostro successo lo si vedrà abbastanza presto. Con 30 mila lettori, tra copie vendute e abbonamenti digitali, saremo ampiamente in utile. La redazione è snella: venti giornalisti, tutti giovani. I più senior sono Giorgio Meletti e Daniela Preziosi, che viene dal Manifesto , mentre il caporedattore Mattia Ferraresi si è formato in Cl. E poi abbiamo collaboratori di prestigio».

Si è scritto di un patto tra Domani e Rcs contro Repubblica.

«Assolutamente no. Con Rcs abbiamo un semplice accordo commerciale, per la stampa e la distribuzione».

Tra dieci anni avremo ancora i giornali di carta?

«Non lo so. Tendo a pensare di sì; ma ne scompariranno tanti. Il modello è il New York Times , che dopo difficoltà drammatiche va benissimo: i ricavi digitali hanno superato i ricavi della carta. L'idea di dare un prodotto gratuito è stata una corbelleria che abbiamo fatto tutti insieme. Rimontare è stato molto più difficile».

Lei è stato molto criticato per le parole dure che ha avuto su Berlusconi al festival di Dogliani.

«Alt. Di Berlusconi non parlo».

Non possiamo non parlare di Berlusconi.

«Mi limito a ricordare che al festival gli ho fatto gli auguri di guarigione e ho chiesto e ottenuto dal pubblico un applauso di solidarietà».

Almeno di Conte vorrà parlare.

«È un personaggio casuale: un avvocato che passava di lì. Un primo ministro che non si è mai preparato a fare non dico il primo ministro, ma almeno il politico. Si è trovato di fronte un problema enorme di cui non c'era esperienza: una pandemia, una piaga universale. L'ha gestita bene, con provvedimenti non facili da prendere».

E poi?

«Poi il governo ha sottostimato l'emergenza economica. Il primo provvedimento era da due miliardi e mezzo. Ho mandato un WhatsApp al mio amico Gualtieri: "Guarda che dovevi moltiplicarli almeno per 10"».

Ora i miliardi arriveranno.

«Ma il governo ha dimostrato un'assoluta mancanza di visione su come far ripartire il Paese. Hanno fatto la commissione Colao, persona eccellente, hanno preso il suo lavoro e l'hanno di fatto archiviato, forse senza neanche leggerlo. Possibile che non ci fosse una cosa che potesse servire? Poi c'è stata l'indegna settimana di Villa Pamphili, voluta da Conte, anzi da Casalino».

Guardi che Casalino nel suo mestiere è bravissimo.

«Non ne dubito, ma è stata un'esibizione inutile. Conte non ha dimostrato di avere una visione per il Paese. Ha dimostrato doti di mediazione, che si fa per definizione al ribasso. Per questo mi spaventa il futuro. Temo che non riusciremo a cogliere la straordinaria opportunità del Recovery Fund».

Sono soldi che ha portato a casa Conte.

«Sì, questo gli va riconosciuto: in Europa ha rappresentato bene l'Italia. Ma ora a Bruxelles attendono piani dettagliati, scadenzati, vigilati; altrimenti il finanziamento si sospende. Purtroppo la nostra burocrazia non è attrezzata».

Sarà mica colpa di Conte.

«Certo che no. Ma c'è un problema di visione - che tipo di progetto voglio fare -, c'è un problema di strutturazione, e c'è un problema di esecuzione. L'Italia è carente su tutti i fronti».

Arriverà Draghi?

«Non penso che Draghi accetterà mai di fare il premier, salvo in una situazione drammatica. Sarebbe un eccellente rappresentante dell'Italia sul Colle; ma non vorrei portargli male».

Lei quattro anni fa disse al Corriere che Trump poteva vincere. Ora può rivincere?

«Mi auguro di no; anche se il messaggio di "legge e ordine" ha una certa presa, pure sui negozianti di colore che si vedono spaccare le vetrine. In politica estera, Trump è stato un disastro: si è fatto solo nemici e si è solo ritirato. "America first" ha significato l'abdicazione al ruolo dell'America nel mondo. Nel Mediterraneo gli Usa non ci sono più. Russia e Turchia si spartiscono la Siria e la Libia, e l'America non dice una parola. Erdogan ha ora un'enorme capacità di ricatto sull'Italia».

E dalla crisi economica come usciremo?

«Con grande pena. Il sistema basato sul dollaro è finito: il dollaro non sarà più la moneta di riserva. Il ruolo delle banche centrali sarà completamente diverso, e molto minore. Negli ultimi dieci anni le banche centrali hanno dettato la politica, creando una gigantesca montagna di carta che non ha aiutato l'economia reale e ha contribuito a esasperare le disuguaglianze».

E come sarà il nuovo sistema?

«Non so come funzionerà la nuova organizzazione finanziaria mondiale, ma sono convinto che le criptovalute giocheranno un ruolo importante. E la sostituzione di una moneta, che può essere stampata, con un'entità di valore, che ha il suo limite nell'algoritmo che crea quel valore, si farà sentire».

Liberoquotidiano.it il 14 settembre 2020. Paolo Del Debbio, nella sua prima puntata di giovedì 10 settembre, ha stracciato l'avversario Corrado Formigli. Il motivo? A spiegarlo ci pensa Repubblica che mette a confronto, senza remore, i due differenti target di Dritto e Rovescio e PiazzaPulita. "Il surplus del primo, è presto detto - scrive il quotidiano di Molinari - deriva tutto dal pubblico meno scolarizzato. Mentre Formigli prevale di gran lunga fra i laureati, ma i numeri di questa minoranza sociale non bastano a compensare lo svantaggio". Insomma, un modo come un altro per dire che Dritto e Rovescio si rivolge a un pubblico meno colto di quello di Piazzapulita. Non solo, perché secondo Repubblica chi ha pochi soldi si affida "alla protezione paterna di Del Debbio che, pur professore, fa il Don Camillo del lavoro autonomo e delle mini rendite". Mentre chi ha status più elevato si divide a metà tra il talk di Rete4 e quello di La7. In sostanza Del Debbio si rivolge al popolo, Formigli all'élite.

I media nostrani e l’inutile tifo anti-Trump: in America gli elettori se ne infischiano. Daniele Milani sabato 12 settembre 2020 su Il Secolo D'Italia. Come spesso accade in periodo elettorale i media adottano comportamenti stravaganti, che riguardando sia le televisioni che i media digitali.

Il tifo del mondo politicamente corretto. Tali condotte sono evidenti e costanti in tutto quel mondo del politicamente corretto, leggi sinistra radical chic e non solo, che hanno ovviamente tutto l’interesse a indirizzare gli elettori verso una visione politica che premi le forze loro presuntamente affini. Si affannano così a dare sostegno alla loro traballante e vetusta concezione della vita e del mondo e quindi della politica e dell’economia.

Le elezioni americane. Fin qui niente di nuovo sotto il sole italiano che comunque continua a risplendere incurante del chiacchiericcio becero e autoreferenziale di questi signori che ormai non destano più né riprovazione né preoccupazione ma solo una indicibile noia. Diversamente spiegabile è il fatto che in prossimità di competizioni elettorale che siano in procinto di verificarsi in altre nazioni, più o meno sovrane, questa “ attenzione” superi soglie francamente singolari; e non da oggi. Stiamo parlando, in questo caso, delle elezioni che si celebreranno negli Stati Uniti d’ America per la designazione del nuovo inquilino della Casa Bianca.

Il silenzio di ministri e sottosegretari. Da una parte c’è il cupo silenzio delle istituzioni politiche propriamente dette (ministri, sottosegretari e segretari di partito o semplici deputati, a parte qualche pazzerello) memori della incoronazione da parte di Trump del governo di Giuseppi.  Dall’altra tutta la stampa “libera” da preoccupazioni di ritorsioni o di sopravvivenza si è compattamente e ferocemente schierata a favore di Biden e contro Trump.

La stampa si schiera con Biden. E così giù articoli, commenti, speciali televisivi sulla vita pubblica e privata del presidente che viene, di volta in volta, indicato come razzista, suprematista bianco, portatore di virus, avvelenatore del mondo contestualmente suggerendo i tanti modi per cucinarlo, alla griglia, bollito, arrosto o alla fuoco neanche troppo lento appiccato nelle città americane dai nipotini di Malcom X. Naturalmente neanche una parola sull’altro candidato del quale molti non conoscono neanche il nome. Noi “buoni europei” siamo, naturalmente, indifferenti alle sorti della competizione. Una notizia, però, ci sentiamo di dare a questa specie di sardine italiote: si vota in America , non in Italia e non sarà certamente la campagna elettorale dei pennivendoli  nostrani a determinare il successo di uno dei due candidati. “Taci Mercuzio, tu parli di niente!”.

Filippo Facci e Simona, sordomuta che sostiene Salvini e Meloni. La maestra la rimprovera: "Eri così intelligente, come fai?" Libero Quotidiano il 13 settembre 2020. Lezioni di democrazia nella roccaforte rossa del Mugello. Un'insegnante inveisce contro una sua ex allieva (sordomuta) perché osa essere salviniana. È tutto nelle schermate di Facebook, nuova agorà della società civile. Accadeva tre giorni fa, quando Matteo Salvini è andato a Borgo San Lorenzo a supporto della candidata alle Regionali Susanna Ceccardi. I protagonisti sono: Simona Calamandrei, meno che trentenne, sordomuta, madre, convivente, laureata in ingegneria; Renata Innocenti, sui 75 anni, ex docente di italiano nella locale scuola media, e, anni addietro, insegnante di Simona; infine Gianni Calamandrei e Giovanna Chelazzi, genitori di Simona. Quel giorno, dopo il comizio di Salvini, la piazza diviene virtuale durante una diretta Facebook dello stesso Salvini. Simona Calamandrei inneggia alla candidata leghista: «Ceccardi presidente!». Salvini risponde, grato: «Con Susanna Ceccardi e gli amici di Borgo San Lorenzo! State con noi». Poi ecco: sempre via Facebook, interviene l'anziana professoressa rivolta alla sua ex alunna sordomuta: «Simona, sei per caso leghista salviniana? Sappi che siamo su fronti decisamente opposti! Ma come fai... una ragazza intelligente come te... Non ti ho insegnato nulla?». Risponde Simona: «Prof, sono meloniana, qualche volta salviniana, e comunque viva la libertà del pensiero politico».

«La pescivendola» - La «prof» non è conciliante: «Bene: siamo su fronti ancor più opposti! La pescivendola romanesca esprime idee, se possibile, ancora più opposte di quelle dell'orso padano». Simona: «Pazienza». (Nota: una cosa è opposta oppure non lo è, non esistono cose più opposte di altre). La professoressa comunque alza il tiro: «Meglio, dirtele chiaramente le cose, così, se andranno al potere i tuoi amici, verrai tu a darmi l'olio di ricino!». Simona: «Pesantina oggi, prof... La ricordavo diversamente, ai tempi della scuola». La prof non tollera: «Anch' io pensavo di averti dato un'educazione diversa! Io sto dalla parte di chi abbraccia e accoglie, non dalla parte di chi disprezza e respinge! Questo ho cercato sempre di insegnare a voi, miei alunni!». E qui interviene il padre di Simona, Gianni: «Carissima Professoressa, l'educazione di mia figlia era compito nostro, mio e di sua madre. Le garantisco che Simona è una persona eccezionale ed educatissima. Una figlia che tutti i genitori vorrebbero avere. Lei deve solo cercare di capire che non tutti possono pensarla come lei, ma va bene così... si chiama democrazia. Per quanto riguarda l'olio di ricino, è rimasta un po' indietro, al giorno d'oggi esistono lassativi migliori. Cordiali saluti». Finita? Manco per idea, la «prof» è una furia: «E anche io sono stata un'insegnante orgogliosa di Simona, come allieva e come persona, certo! Se poi lei, nel fare la sua strada, ha preferito stare dalla parte di chi fa morire degli innocenti sulle navi al grido di "prima gli italiani", benissimo, è una sua consapevole scelta. Sappia però, signor Gianni, che io invece sono stata, sono e sarò sempre dalla parte degli ultimi. Il suprematismo e il razzismo non mi si confanno. Quanto al lassativo, mi accontenterò del più moderno Guttalax!» (Nota: abbiamo dovuto aggiustare sintassi e grammatica delle professoressa di italiano - laureata nel 1971 - aggiungendo punti e maiuscole, ma lasciandole tutti gli amati punti esclamativi. Ancora: il Guttalax, lassativo a base di iodio picosolfato come l'Euchessina e il confetto Falqui, è moderno esattamente come Carosello).

L'accoglienza - Il padre di Simona tenta ancora di chiudere la questione: «Benissimo, ognuno ha le sue convinzioni e io rispetto quelle di tutti, a differenza di Lei. La prego solo di astenersi in futuro dal dare giudizi su mia figlia perché non Le compete. Con questo mio pensiero, che non necessita di risposta, considero chiuso l'argomento pregandola di evitare ulteriori contatti». Chi non considera chiuso l'argomento è però la madre di Simona, Giovanna Chelazzi: «Carissima professoressa, io invece sono orgogliosissima di mia figlia che, nonostante i Suoi insegnamenti, ha dimostrato di pensare con la propria testa». Chiusura finale a cura di Simona: «Al di là della mia educazione, volevo rispondere dicendo che io non sono mai stata fascista né razzista. Ad abbracciare ed accogliere siamo bravi tutti, non è una questione di amore od odio, è che non va bene la situazione dell'immigrazione attuale, non è gestita bene. Esistono i corridoi umanitari e tante altre cose per aiutarli nel loro Paese, bisogna agire in questo senso. L'Italia ha grossi problemi interni e non possiamo permetterci di accollarci altri problemi. Bisogna studiare altre strategie per aiutarli, per aiutare quelli veramente bisognosi». Il dialogo si chiude sostanzialmente qui. La professoressa, l'indomani, si ritroverà con qualche amica postando su Facebook una grande scritta: «Ogni volta che so di qualche ex allievo che ha abbracciato idee fascioleghiste, ho una stretta al cuore!». L'amica Sandra la conforta: «Anch' io, e mi chiedo come sia possibile. Ho sempre cercato di educare alla democrazia».

Matteo Salvini, contro di lui insulti e pallottole: ecco la vera democrazia "sinistra". Andrea Valle su Libero Quotidiano il 13 settembre 2020.  L'hanno accompagnato in tutte le piazze d'Italia e anche in occasione degli ultimi comizi i contestatori non hanno voluto far mancare il loro sostegno a Matteo Salvini. Partiamo dalla Campania. Dopo i pomodori a Torre del Greco, ieri un centinaio di manifestanti si sono radunati fin dalle prime ore del mattino nel centro di Ariano Irpino per essere sicuri di non perdere l'arrivo del leader leghista per l'ultimo comizio del suo tour in Campania. L'ex ministro dell'Interno ha fatto prima tappa al carcere cittadino per esprimere solidarietà al personale della struttura dove si sono registrati più volte episodi di violenza tra i detenuti e una rivolta in occasione del lockdown, poi è arrivato nella piazza centrale dove i contestatori lo attendevano cantando l'immancabile «Bella ciao». Da lì, Salvini si è trasferito a Matera, in Basilicata, dove il consueto comitato di accoglienza dei centri sociali aveva preparato una decina di striscioni. Come già in precedenti occasioni, anche in questo caso il leader leghista non ha fatto mancare il suo saluto ai contestatori. E dal palco ha risposto alle accuse in materia di immigrazione: «Gli amichetti dei clandestini, quelli là, accolgono non per carità cristiana, ma perché ci fanno i miliardi di euro. Altro che carità cristiana, il portafoglio. Quelli con la bandiera rossa lascino in Comune nome, cognome e numero di conto corrente. Fanno i generosi con i quattrini degli altri». Risposta: «Scemo, scemo!». «Ecco», ha ribattuto Salvini. «Il programma della sinistra per Matera è questo, mia figlia che ha 7 anni ha un pensiero più evoluto... Ai vostri insulti rispondo con i bacioni».

DALLE PAROLE AI FATTI. Un siparietto che si è ripetuto a ogni tappa del tour del segretario del primo partito italiano. «Il che fa pensare», ha concluso il leghista «che se proprio dobbiamo cercare, in giro per la Campania o in giro per l'Italia, antidemocratici, razzisti o fascisti, io li trovo nelle piazze a sinistra che aggrediscono, offendono e lanciano sedie e pomodori. Quelli sono gli unici antidemocratici rimasti». Contro il numero uno del Carroccio, però, non arrivano solo insulti e pomodori, ma anche proiettili, come quello giunto in una busta a Roma e intercettato dalla Digos. «Se pensano di spaventarmi, hanno trovato l'uomo sbagliato. Non fanno paura a nessuno», ha commentato Salvini. «Io rispondo col sorriso, vi chiedo il sostegno alla Lega per andare da domenica prossima in Europa e difendere l'Italia e gli italiani». Una tensione crescente che, a giudizio del segretario leghista evidenzia il nervosismo: «Abbiamo già vinto prima del voto. Sapete perchè?», ha detto ai contestatori che questa volta lo aspettavano a Gioia del Colle, Bari. «Perchè sono convinto che se su questo palco ci fosse qualcuno di sinistra che non condividete, non sareste qui a fare casino, ma sareste a casa belli tranquilli». Per questo, ha concluso, «mi aspetto un voto libero, non ideologico».

Ecco chi fomenta il clima d’odio. Alberto Ciapparoni il 9 Settembre 2020 su culturaidentita.it. / ilgiornale.it. In queste ultime ore abbiamo avuto una donna di origine africana (del Congo) che durante un’iniziativa elettorale in Toscana per le Regionali del 20 e 21 settembre ha strappato a Matteo Salvini il rosario che teneva in mano e ha danneggiato la sua camicia e Beppe Grillo che ha mandato al pronto soccorso un giornalista di Rete 4, Francesco Selvi, che ha osato chiedergli, su suolo pubblico, alcune educate domande di attualità politica, senza fra l’altro citare la vicenda della presunta violenza di suo figlio. Ma secondo il mainstream il leader della Lega se l’è cercata, in quanto fomenterebbe odio e rancore: ad esempio per Bruno Astorre, Partito Democratico, “l’ex ministro dell’Interno deve riflettere sul livello dei toni e delle divisioni che da tempo vengono messe in atto ogni giorno dal Carroccio”, mentre su Grillo in versione Casamonica è calato il silenzio quasi generalizzato, perché picchiare un cronista (se non è di sinistra) non fa notizia. Ma non solo. I soliti noti del circolo mediatico stanno provando in tutti i modi ad attribuire alla destra i terribili fatti accaduti a Willy Monteiro, il ragazzo ammazzato di botte a Colleferro, vicino Roma: invece di chiedere giustizia e unire le forze affinché tragedie come questa non accadano mai più, i finti buonisti progressisti sfruttano la vicenda per puntare il dito contro l’attuale opposizione. Peccato che quello che avrebbe sferrato il calcio mortale al povero Willy su Facebook abbia messo like a Luigi Di Maio, Virginia Raggi, Matteo Renzi, il Movimento Cinque Stelle, e segua il premier Giuseppe Conte e l’Unicef. Con buona pace del bignami di sociologia applicato per l’occasione dai cosiddetti giornaloni. In realtà, i veri alleati di questi atti criminosi sono propri quei partiti che incriminano le forze dell’ordine quando usano la forza per compiere il proprio dovere, sono tolleranti con chi delinque – affermando che è vittima della società – e non fanno nulla per garantire la certezza della pena. Che vergogna e che delusione: non è questa la politica che si merita l’Italia. E non ci meritiamo di essere rappresentati da gente così mediocre e bugiarda. A furia di indicare Salvini come il diavolo il folle di turno si è trovato: un clima infame alimentato dalla sinistra. O è normale strattonare un leader di un partito? Schifo per questa ipocrisia e per questa arroganza.

Domenico Di Sanzo per ''Il Giornale'' il 9 settembre 2020. Grillo dovrebbe chiedere scusa. E questa volta glielo dice pure Gad Lerner, firma del giornale filo-grillino Il Fatto Quotidiano, ex colonna di Repubblica, per anni punto di riferimento giornalistico di quella sinistra che adesso è alleata con i Cinque Stelle, di certo non sospettabile di troppa simpatia per Rete 4 e Paolo Del Debbio, conduttore della trasmissione Dritto e Rovescio per cui lavora il malcapitato cronista mandato al pronto soccorso dall'Elevato. Gad twitta e centra il punto. «L'aggressione di Beppe Grillo al giornalista Francesco Selvi di Rete 4 conferma che dalla violenza verbale alla violenza fisica il passaggio è breve», scrive su Twitter il giornalista. Quindi smaschera l'ipocrisia del comico - politico, che quando la spara troppo grossa si rifugia sempre nella sua veste di saltimbanco. A metà tra il dileggio gratuito e lo sberleffo dell'attore da palcoscenico. Ma questa volta Grillo ha passato il segno. E Lerner gli ricorda che è il fondatore del partito attualmente più numeroso del Parlamento italiano: «Grillo è un uomo di potere. Se per una volta si mostrasse abbastanza umile da chiedere scusa senza fingere di fare lo spiritoso?», conclude il collaboratore del giornale di Marco Travaglio. Una pecora nera, Lerner, in un contesto in cui la maggior parte dei grandi quotidiani ha snobbato la notizia. Ma Gad ne sa qualcosa. Infatti anche lui, a giugno del 2014, è stato vittima della gogna dei grillini sul web. Con tanto di foto segnaletica con gli occhi sbarrati, era finito nella rubrica del Blog «il giornalista del giorno». Colpevole di aver scritto un articolo su Repubblica dove criticava la scelta del M5s di allearsi all'Europarlamento con gli euroscettici britannici guidati da Nigel Farage. Sommerso da insulti volgari e commenti antisemiti da parte dei fans del politico - comico. E però stavolta e diverso. Il giornalista televisivo Francesco Selvi è finito all'ospedale. Pubblica su Facebook la foto del ginocchio gonfio. E scrive: «Il mio mestiere è quello di fare domande. Sempre. E questo vale di più di un semplice ginocchio malandato». Eppure il dolore per la botta si fa sentire. Selvi non ha molta voglia di diventare «il giornalista del giorno», parafrasando la rubrica di Grillo, solo per essere stato spintonato dal fondatore del M5s. «Sono messo un po' male - dice al Giornale - grazie a voi per il titolo di oggi», continua riferendosi al risalto dato alla notizia dal nostro quotidiano. Ci tiene comunque a ringraziare per la solidarietà ricevuta da tanti amici e colleghi che l'hanno chiamato e gli hanno mandato messaggi. «Grazie di cuore», ripete. È la giornata del riposo dopo le ore al pronto soccorso. E anche Grillo preferisce rimanere in silenzio. L'ultimo segnale di vita del comico sui social è la condivisione di un articolo, pubblicato il giorno dell'aggressione sul suo Blog, dove si critica il ruolo dei giornalisti nel racconto della corsa al vaccino contro il Covid. L'autore del pezzo condiviso da Beppe, Andrea Zhok, parla di «deprimente livello propagandistico della quasi totalità dell'apparato mediatico» e di «un'informazione la cui tendenziosità si annusa a un miglio di distanza». Sui social, chi segue Grillo inevitabilmente commenta sullo spintone al giornalista collaboratore di Mediaset. C'è chi insulta, come da tradizione. Ma spunta qualcuno che prova ad accendere il cervello e sbeffeggia il comico. Come l'utente marco neri, che scrive: «Guarda che il M5s non è più quello di quando è nato, ora si è evoluto come dite voi, siete diventati come gli altri, e gli altri partiti non mi risulta picchino i giornalisti».

Aggressione a un giornalista di Rete 4? Beppe Grillo pubblica il video di ciò che è realmente successo: “Guardate, resta in piedi”. Il Fatto Quotidiano il 18 settembre 2020. Il giornalista che incespica per le scale – non si capisce se qualcuno dall’interno del locale lo abbia spinto – ma subito si gira e continua a riprendere Beppe Grillo con il suo telefonino. Il video, pubblicato sul blog del cofondatore del Movimento 5 Stelle, mostra l’episodio che l’inviato della trasmissione di Rete4 Dritto e rovescio aveva denunciato come un’aggressione, sostenendo poi di aver riportato distorsioni e una prognosi di cinque giorni e incassando la solidarietà di Associazione Stampa Toscana e Federazione Nazionale della Stampa Italiana. Mentre Paolo Del Debbio aveva aperto la puntata della sua trasmissione dicendo che “Francesco Selvi non meritava di essere buttato giù dalle scale da un leader politico”. “Le immagini che seguono potrebbero urtare la sensibilità dei giornalisti onesti“, commenta Grillo. Nel video della scena, ripreso il 7 settembre da una telecamera della reception del locale sulla spiaggia di Marina di Bibbona, Selvi non cade ma “scivola” sui cinque gradini di legno. Arrivato in fondo, barcolla ma subito si gira e continua a riprendere. Il comico commenta con la canzone Cinque giorni di Michele Zarrillo: un riferimento ironico alla prognosi che la spinta di Grillo avrebbe causato all’inviato. La presunta aggressione era stata stigmatizzata da Del Debbio che in tv aveva fatto una lunga requisitoria contro Grillo, accusato di esibire una mentalità “fascista”, “ignorante” e di essere affetto da “senilità precoce” e pure di “tirchiaggine“. “Un leader politico non tira giù dalla scala un giornalista. Perché ce l’hai con i giornalisti? Fattela con me, vengo da un quartiere popolare di Lucca a me non fai paura, non ti sto minacciando perché sei un poveretto” aveva aggiunto. E subito si erano affrettati a manifestare solidarietà la candidata del centrodestra alla presidenza della Regione Toscana Susanna Ceccardi – “La libertà di stampa è il fondamento di ogni democrazia, è vergognoso che chi inneggia alla democrazia diretta si permetta poi di aggredire un giornalista nell’esercizio della propria professione” – e Matteo Renzi che aveva definito Grillo “inqualificabile”. L’Associazione Stampa Toscana e la Fnsi erano intervenute esprimendo indignazione: “Non è tollerabile che un personaggio impegnato in maniera diretta o indiretta in politica, quindi un uomo pubblico a tutti gli effetti, reagisca in maniera violenta davanti a un giornalista che sta solo esercitando la sua professione”.

M5S, ecco la versione di Grillo: sull'aggressione al giornalista pubblica video sul blog. Le immagini sul blog del garante del movimento dopo le accuse di un inviato di Rete4: la scena ripresa dalle telecamere di un locale sulla spiaggia di Marina di Bibbona. La Repubblica il 18 settembre 2020. "Attenzione! Le immagini che seguono potrebbero urtare la sensibilità dei giornalisti onesti". Cosi Beppe Grillo torna sulla denuncia dell'inviato della trasmissione di Rete4 Dritto e rovescio che aveva accusato il fondatore del M5S di averlo aggredito sulla spiaggia di Marina di Bibbona sostenendo poi di aver riportato distorsioni e una prognosi di 5 giorni. Grillo trova e pubblica tuttavia il video della scena ripreso da una telecamera della reception del locale in cui si vede la caduta del giornalista ma anche che lo stesso si rialza e continua a riprendere Grillo con il suo telefonino. Un modo per smentire la versione dell'inviato che il comico commenta con la canzone Cinque giorni di Michele Zarrillo: un riferimento ironico alla prognosi che la spinta di Grillo gli avrebbe causato. Circa una settimana fa il giornalista Paolo Del Debbio aveva aperto la puntata di Dritto e Rovescio parlando dell'aggressione all'inviato della trasmissione che aveva avvicinato Grillo a Marina di Bibbona per fargli, dice, una domanda su Giorgia Meloni. "La nostra solidarietà va a Francesco Selvi, inviato che non meritava di essere buttato giù dalle scale da un leader politico, dal fondatore del Movimento 5 Stelle che ha addirittura una piattaforma che si chiama Rousseau" aveva esordio Del Debbio facendo una lunga requisitoria in tv contro Grillo accusato di esibire una mentalità "fascista", "ignorante" e di essere affetto da "senilità precoce" e pure di "tirchiaggine". "Un leader politico non tira giù dalla scala un giornalista. Perché ce l'hai con i giornalisti? Fattela con me, vengo da un quartiere popolare di Lucca a me non fai paura, non ti sto minacciando perché sei un poveretto" aveva aggiunto ancora Del Debbio. Ora la telecamera di sorveglianza scovata da Grillo riporta una visione oggettiva dell'accaduto (c'è la data del 7 settembre) e non si capisce bene se e come il giornalista sia stato spinto da qualcuno verso le scale.

Alessandro Sallusti per ''il Giornale'' il 9 settembre 2020. L' altro giorno Beppe Grillo ha maltrattato, spintonato, minacciato e mandato al pronto soccorso un giornalista di Rete4 che, su suolo pubblico, aveva osato porgli alcune educate domande di attualità politica. Auguri al collega, vittima di un incidente sul lavoro evidentemente non riconosciuto dai protocolli degli addetti all' informazione e alla politica. La notizia, infatti, è stata riportata dai giornali con poche righe che mettevano addirittura in dubbio che il fatto fosse realmente successo. Questo accade per due motivi. Il primo: picchiare o insultare un giornalista che lavora non solo per Mediaset (presumendolo quindi non di sinistra, in base a uno schema peraltro errato nella sostanza e nei fatti) ma addirittura per Paolo Del Debbio non è reato. Il secondo è che picchiare o insultate un giornalista non è grave in assoluto e neppure in base alle parole usate o al referto medico, ma bensì all' identitá del picchiatore. Se l' insulto o lo spintone, faccio per dire, arrivasse da Trump o da Salvini ecco che scatta l' allarme democratico da titolone in prima pagina con commento sdegnato di Gad Lerner, Roberto Saviano, Marco Travaglio, monito del presidente della Repubblica e dibattiti in tv. Se il fetentone è invece il leader del partito che regge la maggioranza di sinistra, che regge un governo nato per impedire al centrodestra di vincere le elezioni, ecco che la cosa non ha alcun risalto, anzi deve essere rimossa il prima possibile per non disturbare il manovratore. Povera, e serva, la categoria dei giornalisti, e povero Grillo, un teppistello che una volta faceva ridere e oggi fa pena. La pena che si prova per gli ipocriti e gli arroganti. Per quanti giornalisti meni Grillo non è pericoloso, è solo un piccolo uomo che con la forza del ricatto gode di grandi protezioni. È possibile che a oltre un anno dai fatti, ancora la magistratura non abbia deciso se suo figlio ha violentato o no una giovane ragazza finita nel suo letto in una delle sue tante ville? Dove sono i giornalisti d' inchiesta, i commentatori giustizialisti e moralisti, i difensori dell' onore e della dignità delle donne? Per la presunta violenza del figlio di Grillo (mi auguro sia in grado di dimostrare la sua innocenza) non c' è fretta di giudizio, per la violenza di Grillo padre su un giornalista non c' è inchiesta giudiziaria (dove è l' obbligatorietà dell' azione penale per fatti noti?) né distanziamento politico. Dimenticavo: il ministro della giustizia si chiama Bonafede. Bona o Mala?

“Il Fatto” di Travaglio teme Salvini e Meloni: «bruti», «barbari» e «fascisti» sono alle porte. Mia Fenice sabato 19 settembre 2020 su Il Secolo d'Italia. Sfida in piazza: i “bruti” assediano il muro rosso. Così Il Fatto Quotidiano diretto da Marco Travaglio ha commentato il comizio conclusivo del centrodestra in favore di Susanna Ceccardi, la candidata che cercherà di mandare a casa il Pd e Renzi in Toscana. Il centrodestra fa il pienone a Firenze, la piazza è stracolma di cittadini che vogliono un cambiamento per la Toscana. Il centrodestra è compatto e può farcela. La sinistra è spaccata ed Eugenio Giani non è trainante. La conferma si è avuta in piazza, col suo discorso non è riuscito a scaldare la platea. L’unica cosa che è stato in grado di fare è stato drammatizzare il voto: «Respingeremo Matteo Salvini e chi vuole cambiare, lunedì sarà primavera». L’avversario nella logica della sinistra va demolito. Ecco come il Fatto descrive la piazza del centrodestra. «C’è la piazza che va all’assalto della Toscana rossa e quella, a qualche centinaia di metri di distanza, che prova a respingere i “barbari” e i “fascisti” alle porte. I “bruti” contro le “virtù” dantesche. La fine delle “ideologie” e delle “tessere di partito” contro la difesa dell’antifascismo e della Costituzione». E poi ancora: «La “leonessa”Susanna contro il “mesto” Eugenio». Ma non manca l’attacco a Zingaretti. «Ma soprattutto i leader del centrodestra – Salvini, Meloni, Tajani – che provano a sfondare il muro rosso contro nessuno, perché Zingaretti ha chiuso la campagna in Toscana giovedì fuggendo dall’ultima battaglia campale». Il Fatto ne ha anche per Giani: «Inizia  a parlare alle 20 non scalda la platea. Sia perché l’eloquio è quello che è, sia perché il suo è un esercizio di aneddoti della Toscana: Brunelleschi, Della Rovvia, Dante… ». La consapevolezza di non farcela è concreta. L’articolo chiude amaro: «In chiusura parte un corale Bella Ciao. Il messaggio è chiaro la Toscana è già stata liberata una volta. Chissà se sarà davvero così». Una cosa è certa: il centrodestra fa il pienone a Firenze. Allieve sedute per terra a scuola. Salvini posta la foto e punta l’indice contro Azzolina. Bellanova sfida Salvini e posta la foto su un trattore. Pioggia di commenti: ecco brava, vai a zappare…

No al referendum. Marco Travaglio ha inventato i suoi nuovi nemici: i salvinisti di sinistra. Piero Sansonetti su Il Riformista il 12 Settembre 2020. Marco Travaglio ha individuato i suoi nuovi nemici (perso Berlusconi, perso Renzi, perso Zingaretti, gli resta poca roba: Bergoglio, le Ong, qualche giudice di sorveglianza…). Ha inventato una nuova categoria politica: i salvinisti di sinistra. Da un paio di giorni il suo giornale non parla d’altro. Chi sono i salvinisti di sinistra? Quelli che pur non avendo nessuna simpatia per Salvini, tuttavia dicono di voler votare No al referendum. Ora non è che sia chiarissimo cosa c’entri il salvinismo con queste persone, dal momento che Salvini, come è naturale che sia per ogni leader populista che si rispetti, vota Sì al referendum. Proprio come Travaglio. Vota Sì anche a costo di salvare l’odiato Conte. Ma su queste cose non dovete mai formalizzarvi: i ragionamenti di Marco sono lineari solo in un’occasione: quando chiede – lo fa spesso – di mettere in gattabuia un po’ di gente. Per il resto le sue categorie politiche sono molte vaghe. Non ha mai capito molto di queste cose. Lui si considera un allievo di Montanelli ma in realtà più che altro è allievo di Barbacetto…Allora però è giusto fare un po’ d’ordine nelle polemiche. Cerchiamo di capire qual è il profilo politico di Salvini, sulla base delle cose che ha fatto e delle scelte che hanno segnato la sua ascesa. Salvini si è opposto in modo fiero al governo Monti, come Travaglio. Salvini ha condotto una lotta spietata contro le Ong e quelli che Di Maio aveva definito i taxi del mare. Come Travaglio. Salvini ha progettato e votato i decreti sicurezza, come i 5 Stelle di Travaglio. Salvini – in quanto leader del suo partito – ha partecipato a una sola esperienza governativa: quella fondata sull’alleanza tra il suo partito e il partito di Travaglio. L’unico presidente del Consiglio che Salvini ha appoggiato e votato, da quando è leader della Lega, è Giuseppe Conte, l’idolo di Travaglio. Non è che ho scritto delle cose fantasiose: mi sono limitato a riassumere la vicenda politica di questi ultimi anni. E la vicenda politica di questi anni ci dice semplicemente che – come del resto è del tutto naturale – i partiti di Salvini e Travaglio – che i politologi di tutto il mondo, tutti e senza eccezioni, ritengono i due partiti populisti italiani – hanno sempre marciato fianco a fianco. Poi, a un certo punto, si è verificato una specie di screzio, per motivi personali, tra Salvini e Conte, ma questo non ha modificato le posizioni dei due partiti. Certo, è vero che Travaglio ha chiesto molte volte e per i motivi più diversi l’arresto di Salvini (per esempio per avere bloccato, insieme ai ministri “travaglini” e con gli applausi del Fatto, i profughi africani in mezzo al mare), ma questo non cambia la sostanza dei rapporti tra loro. Travaglio chiede sempre l’arresto delle persone, anche le più miti, anche le più amiche. Nessuno mai si è sentito offeso perché Travaglio ha chiesto il suo arresto, tutti anzi considerano sempre questa richiesta un segno di attenzione e di considerazione. Se Travaglio non ha mai chiesto il tuo arresto, o almeno non ti ha mai detto che sei un mafioso, beh, vali niente. E allora perché Travaglio – che potremmo definire un salvinista di destra, o forse di estrema destra – se la prende coi presunti salvinisti di sinistra? Deve essere una questione di gelosia.

Ora il Fatto arruola i sociologi per psicoanalizzare chi odia i grillini. È vietato criticare il governo giallorosso: "Chi ne parla male o è complice della destra pre-fascista o è cretino perché non lo capisce". Luca Sablone, Venerdì 11/09/2020 su Il Giornale. Se criticate il governo giallorosso siete degli idioti. Lo sapevate? La sinistra è convinta della poca intelligenza degli elettori del centrodestra, e questa non è certamente una novità. Per caso è vietato rimproverare le azioni dell'esecutivo a guida Conte, sottolinearne le ingiustizie e le assurdità? Tutto lecito, sulla carta. Ma state attenti: se contestate la maggiornaza composta da Movimento 5 Stelle, Partito democratico, Italia Viva e Liberi e uguali rischiate di essere definiti come "cretini" da Domenico De Masi, ovvero uno dei sociologi più noti del nostro Paese. Addirittura Il Fatto Quotidiano lo ha interpellato per psicoanalizzare chi non condivide il pensiero dei grillini. L'82enne si è scagliato contro gli intellettuali di sinistra che, a partire dalla nascita del governo giallorosso, si occupano solamente di criticare a prescindere il premier Giuseppe Conte ma soprattutto il M5S. E ha usato parole davvero dure: "Questi intellettuali di finta sinistra che hanno il tic dell’antigrillismo e che ogni giorno attaccano il governo stanno facendo il gioco di Salvini. Quindi o sono complici della destra pre-fascista o sono cretini perché non lo capiscono". A far discutere è stata la recente presa di posizione di Roberto Saviano contro il Pd, i pentastellati e il presidente del Consiglio. Per De Masi i "finti intellettuali" pensano che il loro problema sia il Movimento 5 Stelle, il quale in realtà sarebbe vittima non solo di un preconcetto ma anche di una spocchia antropologica: "Il confronto con i 5 Stelle li fa sentire intellettuali di alto livello, anche se non stiamo parlando di Karl Popper o Albert Einstein". Perciò ha invitato chi è di sinistra a prendere atto del fatto che non si può stare al governo senza i grillini e che l'esecutivo ha messo in campo molte azioni progressiste, dal reddito di cittadinanza ai bonus passando per il decreto Dignità. "Prima di trovare una cosa di sinistra come il reddito di cittadinanza bisogna tornare agli anni Settanta con la riforma sanitaria. E pensare che molti lo criticano", ha dichiarato. Il sociologo, nell'intervista rilasciata al Fatto, ha annunciato che voterà a favore del taglio dei parlamentari: sebbene sostenga che la riduzione del numero di rappresentanti significhi ridurre la democrazia, sposerà la causa del "Sì" perché "in tutti questi anni abbiamo ampiamente capito che 945 parlamentari non siano in grado di organizzarsi, e poi perché bisogna salvare questo governo". Intanto continua a crescere il fronte del "No": l'esito del referendum, in programma domenica 20 e lunedì 21 settembre, non è affatto scontato.

Francesca Galici per ilgiornale.it l'11 settembre 2020. Quella di ieri a Matteo Salvini è stata un'aggressione e non ci possono essere giustificazioni a un atto violento. La donna artefice dell'attacco al leader della Lega è un'immigrata regolare originaria del Congo, ha 30 anni e opera nell'ambito del servizio civile presso il comune. A Matteo Salvini sono arrivate numerose manifestazioni di vicinanza e di solidarietà, sia dai sostenitori che dagli altri leader politici ed esponenti degli schieramenti opposti. L'unico a non esprimersi, al momento, è stato il Presidente del Consiglio. Il silenzio di Giuseppe Conte, rappresentante di tutti gli italiani, pesa in questo momento, dove il clima d'odio generato inizia a mostrare i primi effetti reali. Diverso è stato il comportamento di Nicola Zingaretti, che con un tweet si è mostrato solidale con Matteo Salvini. Un gesto che, però, non è piaciuto ai suoi sostenitori, tra i quali Gabriele Muccino, che lo ha duramente attaccato. "Solidarietà a Matteo Salvini. L’odio e la violenza non devono contaminare la politica, per i democratici è una responsabilità e un valore assoluto", ha scritto Nicola Zingaretti. Parole di grande responsabilità le sue, tese a smorzare un clima che si sta facendo insostenibile, in una campagna elettorale che sta vivendo le sue fasi più intense. A fare da contraltare al segretario del Partito democratico ci sono, però, i sostenitori del Partito democratico. Invece di unirsi al loro leader politico lo hanno attaccato perché si è permesso di esprimere solidarietà a un altro leader politico vittima di una aggressione. Tra i contestatori di Nicola Zingaretti anche nomi noti, come quello del registra Gabriele Muccino. L'ex enfant prodige del cinema italiano, ieri, si è distinto per messaggi contrari a qualunque logica del buon senso. "Solidarietà?!!!! A chi incita odio e violenza verso i più deboli?! No, grazie. Nessuna solidarietà. Non esageriamo adesso. Non siamo tutti buoni e uguali. Ci sono delle differenze di comportamento che hanno delle conseguenze. Anche comprensibili", ha scritto in risposta al messaggio di Nicola Zingaretti, giustificando la violenza contro Matteo Salvini. Non pago, ha lasciato un messaggio simile anche sotto il post di Andrea Scanzi, anche lui solidale con Matteo Salvini. "Solidarietà a Matteo Salvini per la vile aggressione subita. Senza se e senza ma", ha scritto il giornalista, solitamente avverso al leader della Lega. Nella sua risposta a Scanzi, Gabriele Muccino si supera e quella che chiunque, da destra a sinistra, considera come un'aggressione (e di fatto lo è), per lui diventa "uno sfogo doloroso ed esasperato di una donna la cui storia non conosciamo". Seguendo l'illogica logica di Gabriele Muccino, la colpa dell'aggressione a Matteo Salvini è di Salvini stesso: "Se quella è un aggressione, la condotta di continua aggressione di Salvini come la definiamo?! Nessuna solidarietà da parte mia. Ogni comportamento ha una conseguenza". A volte è meglio tacere, ma Gabriele Muccino ha preferito esporsi e così sono state tante le manifestazioni di dissenso verso il suo tweet da parte di chi imputa anche a persone come lui l'attuale clima nel Paese: "Vede è lei il primo ad incitare all'odio."

Matteo Salvini semina odio? Vauro e il colpo in testa, il leghista impiccato: il vero fascismo è a sinistra. Azzurra Barbuto su Libero Quotidiano il 12 settembre 2020. La violenza in politica ha una matrice spiccatamente di sinistra nella storia della Repubblica. Dal 1974 al 1988, ossia in appena quattordici anni, le Brigate Rosse hanno rivendicato 86 omicidi. Le vittime sono state poliziotti, carabinieri, politici, magistrati, industriali, giornalisti. Eppure i cosiddetti "antifascisti" ogni dì sui giornali, in televisione e sui social network vorrebbero farci credere che la forza bruta sia esclusivo appannaggio di alcuni partiti, precisamente di Lega e Fratelli d'Italia, e che Matteo Salvini e Giorgia Meloni siano dei novelli e temibili ducetti che professano acredine e incitano le masse a picchiare, trucidare, torturare minoranze e deboli. Tuttavia, questa narrazione mistificata, che riconduce peraltro le cause di ogni fenomeno sociale negativo e di ogni episodio di cronaca nera alla propaganda di Matteo e Giorgia, come è accaduto in questi giorni per l'uccisione del ventunenne Willy Monteiro, non sta in piedi. Di fatto, sono proprio Salvini e Meloni ad essere oggetto quotidiano di attacchi, aggressioni non soltanto verbali, improperi, accuse gratuite. Insomma, sono i leader di Lega e Fratelli d'Italia ad essere vittime dei modi e degli usi fascisti degli antifascisti. Nonostante ciò, non hanno mai pronunciato parole cariche di rancore, non hanno mai risposto alla violenza con altrettanta violenza, le loro reazioni sono sempre state composte, educate, civili, addirittura signorili. E sfidiamo chiunque a virgolettare una frase uscita dalla bocca di Salvini o Meloni la quale contenga un invito alla sopraffazione. Il 4 settembre del 2019, ad esempio, il giornalista della Rai Fabio Sanfilippo sul suo profilo Facebook si spendeva in un'aspra invettiva contro il capo del Carroccio, tirando in ballo pure la figlia minorenne di quest' ultimo. «Ti sei impiccato da solo. Io ne sono felice. Ora perderai almeno il 20,25 per cento dei consensi che ti accreditano i sondaggi. E che fai? Non hai un lavoro, non sai fare niente, con la vita che ti eri abituato a fare tempo sei mesi e ti spari, nemico mio. Mi dispiace per tua figlia, ma avrà tempo per riprendersi, basta farla seguire da persone qualificate», aveva digitato il cronista. Impiccatelo! - Nel marzo del 2019 il vignettista Vauro Senesi aveva disegnato Salvini nell'atto di spararsi un colpo alla testa. Negli stessi giorni, a Brescia, veniva dato alle fiamme un fantoccio gigante dell'ex ministro dell'Interno. Poche settimane dopo, nel luglio del 2019, era stato il turno di Sergio Staino con una vignetta in cui il leghista veniva impiccato e si esultava poiché San Gennaro aveva compiuto il miracolo di liberarcene. Poi a novembre dello scorso anno sui muri di Bologna erano stati affissi centinaia di volantini recanti l'immagine di Matteo a testa in giù. Salvini aveva risposto sui social: «Ieri a Bologna volantini con la mia faccia capovolta, distribuiti dai "bravi ragazzi" della sinistra violenta, che sa solo odiare. L'unica risposta possibile è il nostro sorriso». Nell'agosto del 2019 pure la consigliera comunale di Genova Stefania Giovinazzo augurava a Matteo di finire appeso. Ecco cosa scrisse su Facebook: «Attento, caro Ruspa, la storia ci insegna che passare dall'avere le piazze gremite di persone che applaudono a finire a testa in giù, è un attimo». Insomma, è Salvini che istiga alla violenza o sono i suoi detrattori ad incitare la gente ad odiare e aggredire il politico in questione, a maledirlo, ad auspicare il suo trapasso? Il leghista viene costantemente accostato a Benito Mussolini, lo ha fatto Luigi Di Maio, quando nell'agosto del 2019 ha affermato che Salvini «si ispira a Mussolini», lo ha fatto il sindaco di Palermo Leoluca Orlando, descrivendo Matteo quale «giovane Mussolini, al quale dobbiamo impedire che diventi il Mussolini maturo», lo fanno pure gli operatori dell'informazione. E cosa dire delle ingiurie indirizzate a Meloni? Le femministe in queste circostanze tacciono. Non si scandalizzarono, ad esempio, quando Giorgia fu fotografata di spalle a sua insaputa in un ristorante romano dall'attrice Asia Argento, la quale postò l'istantanea sui social. «Guardate la schiena lardosa di una fascista», fu il commento della sedicente paladina delle donne. Meloni peraltro aveva appena partorito. Viva la tanto decantata solidarietà femminile. Di recente, ossia a luglio, l'ex vicepresidente della Fondazione Cariplo nonché professoressa di religione Paola Pessina ha diffuso sul web una immagine della leader di Fdi corredandola di una perfida osservazione: «Meloni sta diventando calva. L'eccesso di testosterone oltre che cattivi fa diventare brutti». Sarebbe stato facile abbassarsi allo stesso livello di Pessina, la quale non è propriamente Claudia Schiffer. Eppure Meloni ha replicato con il consueto contegno: «Non mi interessano gli insulti sul piano fisico, tuttavia leggere frasi del genere da chi dovrebbe essere d'esempio lascia un po' delusi e perplessi». Allora, chi sono i veri fomentatori di astio, gli autentici responsabili di quel clima d'odio di cui si discetta ogni dì? 

Vittorio Sgarbi su Matteo Salvini aggredito: "Vedrete, proveranno a giustificare anche questo". Libero Quotidiano il 10 settembre 2020. Gridando "io ti maledico", con occhio spiritato, come è ormai arcinoto una 30enne di origini congolesi ha aggredito Matteo Salvini a Pontassieve, in Toscana, dove il leader della Lega si trovava per un appuntamento elettorale in vista delle regionali del 20 e 21 settembre. Camicia e rosario strappati: un'aggressione in piena regola, quella subita dall'ex ministro dell'Interno, che ha incassato la solidarietà di quasi tutto l'arco parlamentare. Eppure, essendoci Salvini di mezzo, sono già iniziati i distinguo: sì ma, sì però, fomenta l'odio ed eccetera eccetera. Un tema che viene affrontato, in breve, da Vittorio Sgarbi su Twitter. Il critico d'arte infatti rilancia il video dell'aggressione e a corredo aggiunge il commento: "Ecco il risultato di mesi e mesi di campagne di odio contro il leader dell'opposizione. Ma, vedrete, proveranno a giustificare anche questo", conclude avanzando il sospetto.

Matteo Salvini aggredito a Pontassieve, Lilli Gruber: "Aggredito da una persona alterata psico-fisicamente". Libero Quotidiano il 09 settembre 2020. Matteo Salvini aggredito e Lilli Gruber apre Otto e Mezzo con la notizia. Fin qui nulla di strano se non fosse che la conduttrice di La7 afferma: "Il leader della Lega aggredito da una persona alterata psico-fisicamente", come a voler minimizzare quanto di terribile è accaduto. La donna, che lavora per il Comune, è sì stata definita dalla questura "in evidente stato di alterazione psico-fisica", ma il video che ritrae l'aggressione a Pontassieve, in Toscana, parla chiaro. La congolese si scaglia contro l'ex ministro e consapevolmente gli strappa rosario e camicetta. Insomma, da lì a giustificare quanto accaduto ce ne vuole. Sono infatti stati tanti i leader politici, anche lontani dal centrodestra, a esprimere solidarietà al leader del Carroccio.

Matteo Salvini dopo l'aggressione, la risposta in piazza: "Guardate che spettacolo, più forti di tutto e tutti". Libero Quotidiano il 10 settembre 2020. Forse, la miglior risposta possibile all'aggressione subita a Firenze. Si parla di Matteo Salvini, colpito da una 30enne di origine congolese nel comune toscano, un caso che sta facendo discutere. Un caso che però non ha fermato la campagna elettorale del leader della Lega a supporto di Susanna Ceccardi, candidata del centrodestra alle imminenti regionali. Dopo Pontassieve, ci si sposta a Borgo San Lorenzo, in provincia di Firenze. Ed è da questo comune che arriva la risposta, raccolta nel video che potete vedere qui sotto: un clamoroso e caloroso bagno di folla per l'ex ministro dell'Interno. E Salvini rilancia il video sui social nella prima mattina di giovedì 10 settembre, commentando: "Guardate che spettacolo ieri a Borgo San Lorenzo. Più forti di tutto e tutti, grazie" e cuoricino. Quest'ultimo, un evidente riferimento ai fatti della vigilia.

La "profezia" di Mentana sull'aggressione a Salvini: "Perché questo episodio peserà". Secondo il direttore Enrico Mentana, l'aggressione a Pontassieve "rischia di essere, a parti invertite, un episodio chiave come la scena del citofono a Bologna". Giorgia Baroncini, Giovedì 10/09/2020 su Il Giornale. Urla, strattoni, una camicia strappata e la collanina con il rosario rotta. L'aggressione al leader della Lega a Pontassieve è durata pochi istanti, ma ha spaventato tutti i presenti. "Sto bene", ha rassicurato poi Matteo Salvini spiegando che la donna si era avvicinata a lui urlando "ti maledico, ha usato le mani e le minacce". "Non provo rabbia per la signora, provo tristezza", ha poi concluso aggiungendo che "a questa rabbia rispondo col sorriso e col lavoro, evviva l'Italia delle donne e degli uomini che credono nella libertà, nella serenità e nel lavoro. Avanti, senza paura e a testa alta".

Salvini aggredito al comizio: gli strappano camicia e rosario. A scagliarsi contro il leader della Lega è stata una giovane 30enne originaria del Congo, immigrata regolare in Italia. La donna, scavalcando la folla che si era radunata per accogliere Salvini, si è avvicinata al leghista urlando più volte "Io ti maledico". Poi gli ha strappato camicia e rosario (Guarda il video). Subito bloccata dalle forze dell'ordine, la 30enne è stata denunciata. "Nessun graffio, nessun pugno, non mi piango addosso – ha spiegato Salvini -. Non uso questo fatto per la campagna elettorale, quello della Toscana è un voto per i territori. La Toscana non è violenza, è bellezza e rispetto". Il leader della Lega si trovava a Pontassieve per partecipare a un’iniziativa politica in vista delle elezioni regionali in Toscana. Poi l'aggressione. Se Salvini ha dichiarato di non "usare il fatto per la campagna elettorale", quanto accaduto nel comune toscano potrebbe comunque influire sui risultati delle urne. A pensarlo è Enrico Mentana. Sul suo profilo Instagram, il direttore del TgLa7 ha commentato l'aggressione subita da Matteo Salvini spiegando che "rischia di essere, a parti invertite, un episodio chiave come la scena del citofono a Bologna". Il riferimento è all'episodio accaduto a inizio anno al Pilastro di Bologna. Pochi giorni prima delle elezioni in Emilia Romagna, Salvini aveva trascorso una giornata nel quartiere che spesso finisce al centro delle cronache per episodi di spaccio. Accompagnato da alcuni residenti, il segretario della Lega aveva citofonato ad una famiglia tunisina che avrebbe avuto legami con lo spaccio di droga. "Scusi, lei spaccia?", aveva chiesto scatenando numerose polemiche. Secondo molti analisti, questo episodio ha avuto un ruolo nella sconfitta della candidata di centrodestra, Lucia Borgonzoni. Ora invece le cose potrebbero andare nel verso opposto. L'aggressione a Pontassieve, per il direttore Mentana, potrebbe avere un peso importante nelle elezioni in Toscana. Questa volta però a favore del centrodestra e della sua candidata Susanna Ceccardi. Come riporta Libero, Mentana ha precisato agli utenti di parlare di stesso effetto soltanto in termini politici, senza voler mettere sullo stesso livello i due episodi.

Il sospetto sull'attacco a Salvini: "Gesto di magia nera tribale..." Non solo il gesto di una squilibrata. Dietro all'aggressione al leader della Lega potrebbe esserci molto di più, compreso il voodoo. Ne abbiamo parlato con Andrea Bocchi Modrone, antropologo ed esperto in religioni sincretiche afro-americane. Giovanni Giacalone, Venerdì 11/09/2020 su Il Giornale. L'aggressione perpetrata a Pontassieve nei confronti del leader della Lega, Matteo Salvini, dalla 30enne congolese Auriane Fatuma Bindela ha destato sgomento, non soltanto per il fatto in sé, che è di una gravità inaudita (non si capisce infatti come la donna abbia potuto avvicinare l'esponente politico senza venire fermata in tempo dalla sicurezza), ma anche per la brutalità del gesto: lo strappare il rosario che Salvini portava al collo con tanto di grido "ti maledico". Un atto di inaudita violenza non soltanto nei confronti del leader della Lega, ma anche di un simbolo religioso che andrebbe invece rispettato. Accanto all'ipotesi più plausibile, e cioè quella dell'azione di una squilibrata piena di rabbia, non si può non affiancare quella di un atto di magia nera, in particolare ripensando al famoso rito voodoo contro un altro esponente della Lega, Roberto Calderoli, celebrato in Congo nel 2013 dal padre di Cecile Kyenge. Nel Paese africano vi è infatti un'antica tradizione di culti che fanno ricorso anche alla magia nera, spesso definiti genericamente come "voodoo". Ne abbiamo parlato con Andrea Bocchi Modrone, antropologo ed esperto in religioni sincretiche afro-americane e autore di Le Livre du Vaudou - Misteri e Segreti di una Religione.

Dottor Bocchi Modrone, l'aggressione a Salvini ha innescato nella mente di tanti la possibilità che si sia trattato di un rito di magia nera africana; la rottura del rosario, il grido "ti maledico"; ha senso un'ipotesi del genere?

«Allora, premesso che a me sembra una persona fuori di testa, però in effetti c'ho pensato anche io e vedo comunque alcuni elementi che possono far pensare anche a un gesto di magia nera tribale. Innanzitutto vi è la rottura del rosario che sul piano "magico" può essere visto come un talismano di protezione, quindi un gesto che, osservato con la lente della magia nera può essere interpretato come un "io rompo la tua protezione e ti attacco con il mio Dio che è superiore". Poi c'è un secondo aspetto che riguarda l'aggressione culturale e cioè il disprezzo nei confronti della fede (cristiana) di Salvini: per dirla in maniera semplice "io disprezzo il tuo Dio e il tuo credo". Teniamo a mente che in Congo è ancora molto forte l'idea della religione tribale e non si tratta di un culto sincretico come nel caso ad esempio del Palo Mayombe a Cuba. C'è poi il tentativo di strappare un pezzo d'indumento a Salvini, indumento che può essere utilizzato come "testimone" (oggetto appartenuto alla persona che fa da tramite) per fare un rito di stregoneria, una fattura. Ammesso poi che questa persona conosca le pratiche rituali o conosca qualcuno che le sa fare. Li è tutto da vedere. In ogni caso può trattarsi del tentativo di impossessarsi di un oggetto da utilizzare come "feticcio" per danneggiare la vittima».

E il grido "ti maledico", al di là dell'aggressione fisica in sé?

«L'aggressione fisica mostra un odio profondo nei confronti di un esponente politico avversario che non viene rispettato neanche a livello umano, del resto gli mette le mani addosso come se fosse una lotta tribale delle più bieche. Come già detto, lo strappo del rosario, al di là della rottura della protezione, può essere un attacco al crocifisso visto come nemico, come "Dio dei bianchi", in contrapposizione a un non ben chiaro Dio del suo Paese, della sua stirpe. Per quanto riguarda il grido "ti maledico", è una maledizione, un'esternazione di odio, ti butto addosso il male per fartela pagare. Non lo ha semplicemente insultato, lo ha maledetto».

Un gesto che può turbare chi lo riceve, no?

«È certamente un gesto che può turbare, al di là del credo personale; può turbare dal punto di vista religioso, dal punto di vista umano, può turbare perché comunque la persona si sente minacciata ed ha timore. È una violenza verbale pesante perché non è un semplice insulto. La maledizione implica l'appellarsi a una forza superiore affinchè questa ti crei del danno. Lei lo maledice in nome di quale Dio? Sicuramente non in nome di quello cristiano, altrimenti non romperebbe il rosario. Lì poi entrano in gioco tutta una serie di elementi tra cui la fede e le paure della persona. Anche nel Voodoo a volte fanno trovare la bambolina con gli aghi infilzati, poi la persona si autosuggestiona e ricollega a quello tutto ciò che le può accadere».

In Congo questi culti sono ancora oggi ampiamente presenti e praticati?

«Assolutamente sì. Il panorama è un po' confuso in quanto legato anche al discorso tribale. Io conosco meglio i culti sincretici dell'America latina, i quali trovano però origine in Africa. Per quanto riguarda comunque i culti del Congo, vi è una figura di Dio unico, "Zambi" che però non identificano col Dio cristiano, come avviene ad esempio in Sud America. Del resto, se spacchi il crocifisso, già crei una rottura tra le due divinità. Ci tengo tra l'altro a precisare che non mi sento di indicare questi culti africani come "animismo", in antropologia non si può più utilizzare questo termine; le indicherei invece come reminiscenze di spiritualità tribali non sopite e del resto questo lo troviamo spesso anche nell'Islam africano quando si forma il sincretismo con credenze pre-islamiche».

Secondo Lei ci può essere una similitudine con il caso di Calderoli con la Kyenge?

«Il rito fatto a Calderoli era proprio chiaro, c'era la cerimonia, il pentolone, la foto del poveretto. Facevano vedere proprio la cerimonia in atto in Congo. Il padre della Kyenge del resto si è mostrato come stregone. Lo stesso Calderoli dichiarò che dopo il rito gli era capitato di tutto (riferendosi alla caduta che gli ha danneggiato una vertebra e fratturato due dita) ed aveva anche trovato un grosso serpente in casa. Li entra in gioco la psiche e il discorso diventa ben complesso. Nel caso di Salvini, si è trattata di un'aggressione fisica vera e propria, andata sul personale, nell'intimo con la rottura del rosario e simbolicamente del suo Credo. Un'azione che va ben oltre il dissenso politico e scaturisce in maledizione. Io ci vedo rabbia, frustrazione, odio profondo uniti a uno stato mentale psicologicamente instabile. Non possiamo sapere cosa le è passato per la testa. L'ipotesi del rito di magia nera non mi sento di abbandonarla completamente, ma penso più al gesto di un'esaltata in stato alterato. Attenzione poi alle emulazioni, perchè questo caso fa da precedente».

Quel dettaglio sull'aggressione: nessuno sgrida la contestatrice? Due pesi e due misure. Nessuno si accorge che la congolese che ha strappato il rosario al leghista era senza protezione al volto. Giuseppe De Lorenzo, Venerdì 11/09/2020 su Il Giornale. Alla poca coerenza di certi commentatori occorre farci il callo. Dunque non stupisce, o non dovrebbe essere una sorpresa, se l’aggressione a suon di “ti maledico” contro Matteo Salvini non ha sortito la stessa indignazione unanime di fatti simili avvenuti in campi avversi. Però questa è la stagione del Covid. E passi pure l’aver minacciato una persona in strada. Ma anche i più ostinati avversari del leghista, che magari sperano davvero che in quell'invocazione ci fosse della magia nera, non dovrebbero essere disposti a perdonare alla giovane assalitrice il suo più grande peccato. In pochi in effetti sembrano essersene accorti. Neppure il più strenui difensori della mascherina in piazza. Ma la signora in questione non ha solo strappato un rosario o rovinato la camicia del leader del Carroccio. No. Si è presentata in quella piazza, pronta ad attaccare l'avversario, senza copertura sul volto. Nessuno l’ha notato? Nessuno ha trovato il tempo di stendere due righe per biasimarla? L’errore della giovane congolese appare grave. Perché oltre a condannare il leghista alla ignota maledizione, ha pure rischiato di infettarlo. Di sicuro il salvifico metro di distanza non l’ha rispettato. E di questi tempi non sono mancanze che si perdonano senza una pia penitenza. Fa ridere dover sperare che Salvini non si sia contagiato grazie alla mascherina che lui, invece, stava diligentemente indossando. E fa sorridere ripensando alle tante, tantissime critiche che caddero sul leghista il 2 giugno in occasione della manifestazione del centrodestra in piazza. Il leader si tolse la maschera tricolore per scattare i selfie a breve distanza con i suoi fan. Apriti cielo. Le condanne furono unanimi e intransigenti. Andrea Scanzi, giusto per citarne uno, parlò di atto “vergognoso”, “riprovevole”, “imperdonabile” fino ad arrivare a dire che, se ci fosse stata una nuova esplosione della pandemia, “sapremo di chi è la colpa”. Il tono è rimasto lo stesso anche nei giorni a seguire, quando ad ogni appuntamento elettorale o meno la prima critica rivolta al leghista da ogni parte è stata quella di non coprirsi abbastanza la faccia. Ecco perché, anche solo per decenza e non tanto per intelletto, un paio di righe sull’aggressione di Pontassieve senza protezioni poteva anche essere spesa. Perché dubito che nessuno, ma proprio nessun sinistro osservatore, di solito così attenti, si sia accorto di quella colpevole mancanza. Vero è che pure quando il premier Conte sfilò tra la folla a viso scoperto di rimproveri ne arrivarono pochi. Ma stavolta non c'è mica un governo da proteggere. Avrebbero potuto scrivere così: “La camicia si ricompra. Il rosario si fa ri-benedire. Ma la salute di tutti va protetta”. Peccato l’approccio sia sempre lo stesso: due pesi e due mascherine.

Manduria è ancora più leghista (anche per colpa di chi non lo è). Matteo Salvini ha già vinto. Lo ha fatto a mani basse, nel migliore dei modi (senza che i suoi avversari se ne rendessero conto), in pochi minuti e su un palco di fronte ad una piazza Garibaldi. Gabrio Distratis su La Voce di Manduria - martedì 08 settembre 2020. Matteo Salvini ha già vinto. Lo ha fatto a mani basse, nel migliore dei modi (senza che i suoi avversari se ne rendessero conto), in pochi minuti e su un palco di fronte ad una piazza Garibaldi gremita come poche altre volte. Ha vinto senza aspettare nessuno spoglio elettorale, lo ha fatto solo dimostrando i motivi per i quali tra tanti appellativi, quello di “Capitano” gli calza a pennello: un autentico maestro nel condurre avversari e supporters sul suo campo da gioco, dove si seguono esclusivamente con le sue regole e dove surclassa e batte i primi ma nello stesso preciso istante accarezza e ammalia i secondi. Nessun contenuto, nessuna idea politica, nessun programma, nessun dato verificabile scientificamente. Mai, semplicemente perché non gli occorrono e non ne ha bisogno. E non ne ha bisogno semplicemente perché egli parla lo stesso linguaggio (se non proprio lo mutua e ne cavalca a suo vantaggio il potere simbolico e propagandistico) anche di tantissimi contestatori ed oppositori che affollavano la piazza manduriana e continuano ad inondare i social network di ogni forma di insulto, intolleranza, denigrazione, incitamento all’odio e alla violenza, auspici di morte, sessismo, razzismo e deumanizzazione dell’avversario. Salvini ha vinto perché, ancora una volta se ce ne fosse bisogno, ha dimostrato come la forza di un certo tipo di “fare politica” risiede proprio nella vicinanza e nelle affinità con colori i quali credono, anche convintamente e strenuamente, di essere agli antipodi rispetto a lui. Come spiegare, altrimenti, i toni, gli atteggiamenti, le urla e i tumultuosi propositi di tanti anti-leghisti manduriani che, in definitiva ed a conti fatti, sposano in toto ed assumono gli stessi connotati comunicativi del leghista medio? Basterebbe solo dare un veloce sguardo ai tanti post apparsi su Facebook scritti da manduriani che nella loro foga anti-salviniana e nel concitato proposito di “difendere” non si sa bene cosa da non si sa bene chi, finiscono, loro malgrado, per dipingere di verde Padania la propria pelle. Stimati professionisti, pacati padri di famiglia, ragazzine dal viso angelico, mamme apparentemente affettuosissime con foto con i propri bambini in bella vista, universitari modello, addirittura nonni ormai nell'età della saggezza: tutti accomunati dall’impeto di manifestare apertamente e pubblicamente il proprio dissenso e la propria lontananza dalla vuota retorica salviniana. Peccato che lo facciano, però, seguendo proprio gli stessi schemi comunicativi del leader leghista: “Che schifo di uomo” (Teodoro C.), “Buttatelo a mare con un tufo” (Pino D.), “Uomo miserrimo” (Nino F.), “Torna nella tua terra buffone!!” (Raimondo G.), “Mettetelo su un barcone e mandatelo in Libia” (Rita S.), “Chiudono le discoteche ma sto coglione sempre a giro” (Davide R.), “Ma quelli che stanno applaudendo, di cosa soffrono??” (Virginia P.), “Mi fanno più schifo chi sta sul palco con lui” (Pompea S.), “Chiudete lo zoo...lo scimmione è scappato!!!” (Donatella R.), “Ladro bastardo razzista di merda in galera!!!” (Luigi P.), “Tutte quelle persone sul palco sanno fare solo foto e hanno fatto aumentare la puzza a Manduria nessuno si lamenta poveri idioti” (Mimino S.), “Immondizia immondizia immondizia immondizia su e quella chiavica di Bossi immondizia” (Luigi C.), “Uno schifo di persona. Non è politica questa. Questa è fogna.” (Luigi D.P.), “No ma questo sta proprio male con la testa!!! Liberate i cani del canile e sfamateli!!!” (Annalisa T.), “Quel pugno te lo faccio ingoiare!!!” (Michela P.), “Ma come si fa ad applaudire questo demente!” (Teresa S.), “Mueri cesso!!” (Iacopo P.), “È così merda che rende merda anche me.” (Stefano F.). Questi solo alcuni dei circa 500 commenti apparsi sulla pagina Facebook del direttore de “La Voce di Manduria” durante e dopo la diretta streaming del comizio salviniano. Presenti tutte le tipologie: dal razzista al volgare fine a se stesso, dall’offesa snob all’augurio di morte, dalle minacce fisiche al puro vaneggiamento senza senso. Tutti con un unico comune denominatore: rispondere a Salvini entrando, inconsapevolmente, nel campo di Salvini. Dove, ovviamente, Salvini è come il banco al casinò: alla fine vince sempre. E forse Manduria è più “leghista” oggi di quanto non si pensasse ieri. Gabrio Distratis

Ero in piazza per contestare Salvini come quando avevo 18 anni. Erano gli anni 80 e col tempo sui muri delle città, dei sottopassi delle stazioni e sui piloni dei ponti comparivano scritte del tipo: “terroni coglioni”. Almerina Raimondi su La Voce di Manduria - mercoledì 09 settembre 2020. Io c’ero in piazza Garibaldi ad esprimere il mio dissenso nei confronti del Senatore Salvini, c’ero nonostante i dubbi di dover prendere parte a quel gioco mediatico che tanto piace al Senatore e che alimenta la sua propaganda politica. C’ero non per curiosità nei suoi confronti, ma per cercare di capire perché e che cosa spinge la gente del Sud a riempire le piazze per tributargli applausi e ammirazione. A questa gente voglio dire che io c’ero anche a 18 anni quando partii per Padova a studiare medicina e fui costretta ad andare in collegio perché era difficile trovare casa. Molti negozi e condomini avevano affisso sulle loro saracinesche e sui loro portoni la scritta: “non si fitta ai terroni” oppure “niente casa per i meridionali”. Erano gli anni 80 e col tempo sui muri delle città, dei sottopassi delle stazioni e sui piloni dei ponti comparivano scritte del tipo: “terroni coglioni”, “terroni fannulloni”, “meridionali tornatevene a casa vostra”, “forza Etna, la Padania è dei lombardo-veneti”; scritte che puntualmente cercavamo di cancellare con i pochi mezzi di cui si disponeva e queste stesse frasi venivano urlate da Salvini e company nelle manifestazioni leghiste. In Veneto ho studiato, ho cominciato a lavorare e ho conosciuto tanta gente per bene che ammira la passione e la laboriosità della gente del Sud, a loro ancora oggi mi unisce una profonda amicizia e stima reciproca, ma poi sono tornata con la mia famiglia perché da sempre crediamo che il Sud sia una scommessa e che se la “questione meridionale” è ancora tutta da risolvere, non sarà certo un “bullo padano” di turno a farlo. Tocca a noi e soltanto a noi meridionali esprimere una classe dirigente capace di progettare e investire sulla valorizzazione del Mezzogiorno per ridurre il cosiddetto divario tra Nord e Sud. Chi oggi al Sud pensa di fare carriera politica facendosi sostenere da un millantatore che blandisce senza alcun rispetto il Crocifisso, il Rosario e il Vangelo come se fossero idoli per suo tornaconto, non merita il nostro consenso. Salvini è un populista che ha costruito il suo potere politico facendo finta di ascoltare le istanze del popolo e che, facendo leva su “una pulsione primordiale che spinge gli esseri umani a difendere identità, sicurezza e confini”, alimenta in ogni piazza, in ogni uscita pubblica, la fabbrica della paura a cui tiene il suo popolo incatenato, il suo popolo che tanto dice di “amare dispensando baci e selfie”. Salvini se potesse non solo chiuderebbe tutti i porti per bloccare i migranti, ma alzerebbe un muro a livello del fiume Po per impedire a noi meridionali di andare a “contaminare la loro Padania”. La lega nord ha cambiato nome ma i “sentimenti” che animano i leghisti sono sempre gli stessi: secessione, razzismo, omofobia, sessismo. In tutti questi anni su 10 euro stanziati dai diversi governi che si sono succeduti 9 sono andati al Nord (per scuola, sanità, servizi vari) e solo poco più di 1 euro è stato destinato al Sud. Da gennaio 2021 arriveranno i soldi dai fondi europei da destinare alla sanità, come pensiamo che saranno distribuiti? Prevarrà il principio di equità?!

La lega di Salvini e company rivendicheranno il virtuosismo delle loro amministrazioni, il pareggio di bilancio, l’autonomia differenziata per destinare alle loro regioni più risorse. Questa pandemia che ha fatto moltissime vittime ha messo in evidenza le inefficienze di una sanità lombarda che negli anni ha smantellato la sanità pubblica a favore di una sanità privata, cosiddetta “d’eccellenza” che prevedeva l’emigrazione sanitaria dal Sud al Nord. A tutti i meridionali che si fanno ammaliare dall’idea dei pieni poteri, dell’uomo forte che Salvini pensa di rappresentare, tributandogli applausi e ammirazione, mi sento di chiedere: sarete in grado di esprimere una classe dirigente capace di non fare “affondare un pezzo d’Italia” e di fare a meno dei millantatori di turno come Salvini? Almerina Raimondi

Francesco Borgonovo per “la Verità” - estratto il 29 agosto 2020. ……..Giusto ieri, sul Venerdì di Repubblica, Gianrico Carofiglio presentava il suo ultimo libro. E discettava di «nuovi bari» presenti nei talk show, di «manipolatori» e «imbroglioni». Cioè dei politici e giornalisti di destra che a Carofiglio medesimo capita di incontrare nei salotti televisivi. Per tutte e 4 le pagine del servizio, l' ex giudice ed ex senatore Pd se la prende con gli schifosi populisti da cui bisogna «difendersi» perché cercano la zuffa, dicono balle e abbassano il livello culturale della nazione. Certo, dovremmo imparare l' etichetta dal bel Gianrico, uno che non manca mai di guardare i suoi interlocutori con sdegno, specie se sui fatti di cronaca sono più informati di lui (come quasi sempre accade). Uno che elargisce perle di saggezza come se fosse l' oracolo di Delfi, non ha alcuna considerazione dell' altro, eppure si permette di dar lezioni perché - appunto - si considera migliore, dall' alto dei suoi capolavori letterari. Forse, se avessero fatto i conti con la loro storia d' arroganza e presunzione, i progressisti capirebbero che, dall' altro lato della barricata, ci sono concittadini da rispettare, non bruti da insultare e svilire.  O magari no, magari non cambieranno mai e rimarranno sempre così: serenamente stronzi.

Michele Serra per “la Repubblica” il 29 agosto 2020. Ho ammirazione vera per Gianrico Carofiglio, che scende nell' arena dei talk-show con l' aplomb impassibile del torero, e lo sguardo sereno del giusto. E ha scritto un piccolo prontuario per non soccombere alla menzogna, allo sghignazzo volgare, al deragliamento logico, e dice che la gentilezza è un' arte rivoluzionaria. Ma mi permetto, alla luce della mia quasi cinquantennale esperienza di parole in pubblico, di affiancare alla sua valorosa sfida democratica qualche nota malinconica. "La gentilezza è rivoluzionaria" fu uno degli slogan di Cuore , il giornale di satira e non solo di satira che mi capitò di mandare in edicola, ormai trent' anni fa, insieme a valenti autori e redattori. Fondammo le Brigate Molli, gruppo clandestino che considerava molto maleducato rapire le persone, e dunque le invitava a cena. E al posto dell' esproprio proletario, l'aggiunta proletaria: si restituivano le merci in eccesso, già pagate, negli scaffali dei supermercati. La classica provocazione d' avanguardia, tal quale la merda d' artista di Piero Manzoni. Durò lo spazio di un mattino. La parola "gentilezza", palesemente sconfitta sul campo, oggi a me suona tal quale la merda d' artista di Manzoni: un azzardo d' autore, un' idea elegante e soccombente, sommersa tra le voci egemoni, che sono quelle, brutali e trancianti, dei demagoghi, dei conduttori televisivi striduli e aggressivi, dei politici assertivi e semplicioni che parlano di tutto liberi dal dovere di dire qualcosa. Me ne ritraggo per difendere, ben più che me stesso, le mie parole. Sono fraternamente grato a Carofiglio perché affronta una guerra che mi vede disertore.

Pietro Senaldi e Flavio Briatore: "Dal coronavirus ha imparato una lezione, l'odio della sinistra dei mediocri cacasenno". Pietro Senaldi su Libero Quotidiano il 31 agosto 2020.  Il governatore campano De Luca ormai ha cambiato mestiere. Prigioniero di un paio di battute che gli sono riuscite in passato, è convinto di essere un cabarettista. Sabato ha tentato una conferenza stampa con toni e tempi teatrali che volevano essere comici ma, ahi lui, si sono rivelati tragici. L'uomo è in campagna elettorale, però anziché parlare dei propri programmi ha attaccato Salvini, colpevole di essere sceso nelle sue terre, dandogli del «venditore di cocco» e «profugo mal vestito». Questo è nulla rispetto a quanto De Luca ha detto di Briatore, al quale con tono mafioso ha fatto «i più sinceri auguri» di guarigione, invitandolo a «essere prudente in futuro». «Flavio ha la prostatite nei polmoni» ha ironizzato il sultano salernitano tra gli applausi del circolo mediatico che fa da grancassa alla sinistra. «Show di De Luca» intitolavano entusiasti i medesimi siti che criminalizzarono il governatore quando definì la Raggi «bambolina imbambolata». È così. Quando uno è giallorosso, basta dire che è spettinato per commettere reato di lesa maestà; se invece è di centrodestra, anche solo simpatizzante, si può fare perfino del suo stato precario di salute argomento di dileggio pubblico. Briatore ha il Covid e la prostatite e De Luca, in cattivissima compagnia, trova la cosa molto divertente. Il governatore può stare tranquillo, nessuno lo rimprovererà per aver sparato sulla croce rossa. Il proprietario del Billionaire è il più odiato dalla sinistra, chi lo insulta guadagna solo punti da quelle parti. Lo sa per primo l'interessato, che ieri dall'ospedale ha telefonato di buon mattino a Libero per un piccolo sfogo personale. «Quanto odio contro di me, me ne hanno dette di tutti i colori; adesso c'è pure l'inchiesta, ma noi al Billionaire abbiamo fatto tutte le cose per bene. Certo, i miei ragazzi si sono contagiati, ma può capitare. Gli stagionali vivono insieme in alloggi che mettiamo sempre a loro disposizione per aiutarli economicamente ma le mie strutture sono regolari».

Il ricovero  - L'imprenditore è stato accusato di essere un untore ma ieri, quando dopo essere stato dimesso dal San Raffaele è entrato nella casa milanese della Santanchè, l'amica presso la quale trascorrerà la quarantena, il suo stato contagioso non spaventava cacciatori di notizie e curiosi, che si assembravano intorno a lui in cerca di fortuna. «Occhio che se mi fate arrabbiare vi infetto tutti» ha minacciato Briatore, con scarso successo. Ennesimo capitolo surreale di una vicenda che ha evidenziato come il virus sia vissuto come un peccato da espiare se chi lo prende è ricco, famoso. Se poi si è di centrodestra, si diventa colpevoli anche se sani, come hanno dimostrato gli insulti a Salvini, Meloni e Santanchè giunti anche da autorevoli politici della maggioranza, da Zingaretti e De Luca in giù, che accusano persone negative di spargere il contagio. «Io ho fatto il tampone il 19 agosto in Sardegna» racconta Briatore. «Ero risultato negativo e sono partito per Montecarlo, dove mi è venuto un febbrone a 39. Siccome ho problemi di prostatite da più di un anno, ho chiamato Zangrillo, che mi ha in cura, per farmi visitare e sono andato a Milano. In effetti la prostata era infiammata; come chiunque venga ricoverato sono stato sottoposto a tampone, e la prima volta sono risultato ancora negativo. Poi a un secondo controllo ho scoperto di essere positivo, ma senza il test non lo avrei mai saputo, perché sono asintomatico».

Doppia morale - Ecco svelato il mistero del ricovero in un reparto non dedicato ai malati Covid e anche quello della pronta guarigione: fosse stato solo per il Corona, Flavio non sarebbe mai stato ospedalizzato. Ovviamente la storia non servirà a zittire i grilli parlanti e le oche starnazzanti che in questi giorni hanno motteggiato sulla vicenda, augurandosi che «Flavio tragga una lezione» da quanto accadutogli. Le lezioni che Briatore può trarre sono tre. La prima è medica e dimostra che, come disse a Libero lo scienziato Remuzzi in tempi non sospetti, si può essere positivi senza ammalarsi. La seconda è etica, e rivela che la moralità della sinistra è doppia: compassione per gli sfortunati aperitivi di Zingaretti, ferocia per gli infortuni sul lavoro di Flavio. La terza è sociale e conferma che la ricchezza chiama invidia, la quale spesso degenera in odio e perfino in disprezzo. Del resto, quando si è incapaci di fare quello che ad altri riesce, è più facile svalutare chi ha successo piuttosto che chiedersi perché non lo si sia avuto: domandarselo infatti potrebbe portare alla sgradevole constatazione di essere dei mediocri cacasenno.

Pietro Senaldi: "A Matteo Salvini tirano sassi e pietre e i giornali di sinistra tutti zitti". Libero Quotidiano il Pietro Senaldi 28 agosto 2020. Se sei Salvini, ti tirano le pietre, e devi anche ringraziare, perché ti è andata bene. La sinistra non organizzerà mai una manifestazione per dire che anche le vite dei leghisti contano, visto che ormai si sprecano le vignette dei compagni comici che rappresentano l'ex ministro dell'Interno appeso a testa in giù. La prova di questo assunto si è avuta l'altra sera, a Cava de' Tirreni, in Campania, dove il leader dell'opposizione si è recato per tenere un comizio in vista del voto amministrativo del 20-21 settembre. L'appuntamento elettorale si è trasformato in una battaglia per l'irrompere sulla scena dei centri sociali, che hanno cominciato a fischiare e lanciare bottiglie, sedie e oggetti contundenti verso Salvini, colpendo le forze dell'ordine. Una piccola guerriglia urbana che non ha avuto gli onori delle cronache semplicemente perché la sinistra e i suoi numerosi organi di stampa ritengono del tutto normale la violenza contro leghisti e poliziotti. Avrebbe invece meritato di essere portata all'attenzione dell'opinione pubblica, anche perché gli estremisti di sinistra se la sono presa anche con i semplici cittadini, colpevoli di essere intervenuti a un comizio leghista. A parti invertite, con un qualsiasi politicante dem di second'ordine nelle vesti dell'assalito e uno sconosciuto in quelle dell'aggressore, si sarebbe gridato allo squadrismo, paventando il tentativo di insurrezione anti-democratica, e si sarebbero sprecati fiumi di inchiostro per denunciare le prove generali leghiste per raggiungere con le spicce quei pieni poteri che Salvini voleva ottenere l'estate scorsa tramite investitura popolare. La realtà invece è opposta. Si sta avverando la profezia che gli uomini più vicini al capo della Lega hanno fatto già da qualche mese. L'autunno sarà caldo non solo per la crisi economica ma anche perché se, Covid permettendo, l'ex ministro dell'Interno tornerà stabilmente a occupare le piazze, episodi come quello di Cava de' Tirreni saranno sistematici. Creare l'incidente - La tattica della sinistra è infatti provocare Salvini a oltranza, nella speranza di suscitare una reazione e creare l'incidente. Basta poco, un poliziotto che perde la pazienza, un uomo della scorta che dà un pestone a un facinoroso, e subito i tamburi progressisti sono pronti a rullare per accusare il capo dell'opposizione di girare l'Italia spargendo odio e confinarlo definitivamente nel girone dei cattivi. Solo chi non conosce come la sinistra sa piegare la realtà a proprio uso e consumo e giudica i comportamenti non in base al loro significato ma a seconda di chi li tiene può dubitare di questo teorema. D'altronde, sempre di recente, ci sono altri due episodi che confermano la tesi. Il primo è la levata di scudi in favore dell'erede di Salvini al Viminale, la ministra Lamorgese, dopo che il leader leghista ha osato criticarla sostenendo che la sua gestione dell'immigrazione clandestina è criminale, in quanto favorisce l'illegalità anziché combatterla e non si preoccupa di contenere il contagio in arrivo con i barconi. Il capo dell'opposizione è stato accusato di aver poco rispetto per le istituzioni dalle stesse persone che, quando lui era ministro dell'Interno, gli davano del fascista, dell'odiatore, del razzista e del seminatore di paura. Con il medesimo scarso rispetto per le istituzioni poi i magistrati hanno addirittura pensato di incriminare Salvini per sequestro di persona non perché il reato sussistesse ma solo in quanto non gli piaceva come governava e per di più era un rivale politico, come è scritto nero su bianco nelle intercettazioni di Palamara con i colleghi pm. Anche qui a sinistra, non solo non hanno avuto nulla da ridire, ma si sono scorticati le mani negli applausi. Il secondo episodio non c'entra con Salvini, ma con un'altra icona del centrodestra, Flavio Briatore, e con un tema molto caro al leader leghista, gli immigrati. A sinistra non in pochi hanno esultato in maniera scomposta perché il proprietario del Billionaire ha il Covid e perché il suo ristorante-discoteca è stato chiuso in quanto è ritenuto il principale focolaio del virus in Sardegna. Decisione saggia del governatore locale, il salviniano Solinas, presa in nome della tutela della salute pubblica. Peccato però che nell'altra grande isola italiana, la Sicilia, il governatore di centrodestra Musumeci sia additato come nemico dello Stato perché, sempre in nome della tutela della salute pubblica, vuol chiudere il principale focolaio del proprio territorio, ovverosia i centri d'accoglienza dei profughi, che si sono trasformati in lazzaretti dove gli ospiti si scambiano il virus. Anche in questo caso, a fare la differenza non è la situazione in sé ma sono i protagonisti. Se si tratta dei ricconi del Billionaire e di Briatore, il focolaio si chiude in un secondo senza discussione e i sardi sono salvi, se invece ci sono in ballo i clandestini, il governo interviene per impedire la serrata e i siciliani che si contagiano diventano un problema secondario.

Le Sardine si mangiano Facciamo Rete: schiavi dell’odio verso Salvini, Ruotolo e co. cannibalizzati da Santori. Luigi Ragno su Il Riformista il 28 Agosto 2020. Il consenso social della sinistra su Twitter è nelle mani del collettivo “Facciamo Rete”. Un gruppo di amici, professionisti e volontari che da zero ha costruito una macchina del consenso antifascista e favorevole all’accoglienza. Un fenomeno che, però, risulta essere in caduta libera se analizziamo i primi otto mesi del 2020 rispetto all’anno precedente. L’analisi social, condotta dal data journalist Livio Varriale, non da scampo ad interpretazioni sul rendimento calato vertiginosamente nell’anno corrente. La ricerca effettuata riguarda solo i tweet che hanno l’hashtag #facciamorete nel loro testo per un motivo molto preciso. Nonostante esista anche un diminutivo #FR, quello più utilizzato risulta l’originale ed inoltre, per non falsare il dato sul numero complessivo dei tweets è stato necessario specificare il campo testo dei post su twitter per non dare spazio anche a chi ha inserito l’hashtag facciamorete nel nome utente. Entrando nel merito del trend in caduta libera basta dare un’occhiata al numero di tweets ricavati dal 1 gennaio al 26 agosto 2019 ed allo stesso periodo del 2020: Precisiamolo, i numeri restano sempre importanti per un movimento che esprime una grande parte di consenso nel social del cinguettio, ma è giusto evidenziare il forte calo avuto dovuto a diversi fattori storici che hanno sancito il disinteresse della massa e la dispersione del consenso stesso. Non è un caso che la rovina del collettivo è stato quello di accodarsi alle Sardine che ne hanno cannibalizzato il pensiero per fini elettorali in Emilia Romagna per poi dileguarsi. C’è un altro fattore da non sottovalutare che invece rappresenta il fulcro dell’anima del movimento. Nel 2019 al potere c’era Matteo Salvini come Ministro dell’Interno della Repubblica Italiana, famoso per i suoi decreti “razzisti” che tutt’oggi sono in vigore, poi c’è stata la vicenda del Papeete che ha fatto riscaldare gli animi insieme al caso Carola Rackete. Tanto materiale per chi armeggia tastiera, ironia e militanza per esprimere il proprio pensiero. A confermare questa tesi c’è il grafico degli hashtag associati a facciamorete nel 2019.

Hashtag 2019. RestiamoUmani, Apriteiporti, salvini e salvinidimettiti sono gli argomenti riferiti alla vicenda immigrazione seguono anche Seawatch3 e Diciotti in fondo alla classifica. Toni di protesta contro quelli che attualmente sono gli alleati di Governo come dimaio M5S, che prima erano considerati come #governodelfallimento e #governodeiselfie.

Hashtag 2020. Cosa è avvenuto nell’anno corrente? Vuoi il Covid che ha rallentato di molto lo scenario politico, ma ha aumentato il traffico in rete per via dei lockdown sulla penisola, notiamo la presenza delle Sardine, che confermerebbe la tesi della dispersione avvenuta dal mese di febbraio, ma tra le varie declinazioni che fanno riferimento alla pandemia del secolo, troviamo l’immancabile Matteo Salvini e la sua Lega. Dettaglio ancora più significativo è la presenza di salvinivergognati e salvinisciacallo che fa ben intendere come si animi il gruppo in fase di calo. Da un gruppo nato per portare valori ideologici ti alto spessore, ad una macchina, composta a volte anche da fango, che viaggia in direzione contraria alla famigerata Bestia Social del leader della Lega.

FAVOURITE 2019. Chi sono stati gli animatori che hanno dato slancio alla macchina imponente di facciamorete? In testa spicca il giornalista Sandro Ruotolo, adesso Senatore in quota gruppo Misto, che molti associano al PD seppur non sia così. Se non è l’anima, Ruotolo è stato sicuramente il testimonial di eccezione del movimento ed infatti a lui fanno riferimento molti tweets con l’hashtag del collettivo, Marco Skino, Milko Skinolfi, Luigi Maragon, Manuela Bellipani e Daniele Cinnà invece sono i militanti ed i promotori di un successo comunicativo e politico di tutto rispetto.

FAVOURITE 2020. Nell’anno corrente però è mancato proprio il ruolo di Ruotolo e la struttura ha iniziato a perdere like e colpi. L’assenza di Ruotolo non sorprende se consideriamo che adesso anche lui fa parte del Governo che ancora non cambia i decreti Salvini e che lo stesso Leader della Lega fa parte dell’opposizione mente Ruotolo è in maggioranza. Se prima i toni erano comunque indirizzati, seppur a volte animosamente, verso un indirizzo ideologico, ad oggi oltre all’odio per Salvini ed a conflitti stile anni 70 tra fascisti del web ed antifascisti, con toni troppo spesso sopra le righe, facciamorete sta dissolvendo due valori che ne hanno dato credibilità e si possono riassumere con i loro stessi hashtag: #siamotanti e #siamoumani.

Lo scivolone su Twitter. Nubifragio a Verona “karma contro i nazifascisti”, bufera per le parole del giornalista di Repubblica. Redazione su Il Riformista il 24 Agosto 2020. Il maltempo che ha colpito la città di Verona nel pomeriggio di domenica, con acqua alta oltre un metro in pochi minuti di temporale, alberi crollati e ‘fiumi’ di grandine, ha scatenato anche una polemica social. Il caso è nato per un tweet del giornalista de la Repubblica Paolo Berizzi, che da tempo si occupa della galassia neofascista italiana, che proprio a Verona ha una delle città chiave. Berizzi, commentando il nubifragio, scrive su Twitter: “Sono vicino a Verona e ai veronesi per il nubifragio che ha messo in ginocchio la città. I loro concittadini nazifascisti e razzisti che da anni fomentano odio contro i più deboli e augurano disgrazie a stranieri, negri, gay, ebrei, terroni, riflettano sul significato del karma”. L’uscita del giornalista è stata immediatamente criticata, dai veronesi e non solo, per aver messo in relazione l’evento meteorologico che ha sconvolto la città con la presenza di frange estremiste. Inoltre quel “karma” che secondo il ragionamento di Berizzi dovrebbero pagare solo i razzisti e fascisti, in realtà ha colpito tutti i cittadini, anche quelli vittima dell’odio nazifascista. In molti hanno chiesto un intervento duro dell’Ordine dei giornalisti, mentre sul caso è intervenuta anche la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni: “Solo io reputo gravissimo e inaccettabile che un giornalista si esprima con simili termini nei confronti di una comunità colpita da una calamità? Ma un briciolo di vergogna no?!”.

Da liberoquotidiano.it il 24 agosto 2020. Secondo Paolo Berizzi, il giornalista di Repubblica e L'Espresso, l'ondata di maltempo che ha messo in ginocchio Verona è frutto del "karma", una punizione divina per "i nazifascisti e i razzisti" che popolano la città. Una posizione che ha scatenato la rabbia dei veronesi sui social e lo sconcerto anche di molti politici, tra cui Guido Crosetto che laconico si chiede: "Stava bene quando lo ha scritto", e più di un leghista che ha chiesto al gruppo Espresso e all'Ordine dei giornalisti di sanzionare il cronista. Il dubbio sollevato da Crosetto è lecito, anche se Berizzi, da anni impegnato in inchieste sui gruppi della estrema destra italiana, non è nuovo a queste "provocazioni". Verona nelle ultime ore è stata allagata da grandine e diluvio, costringendo il governatore del Veneto Luca Zaia a firmare lo stato di emergenza. Ma Berizzi non trova di meglio che twittare queste parole: "Sono vicino a Verona e ai veronesi per il nubifragio che ha messo in ginocchio la città. I loro concittadini nazifascisti e razzisti che da anni fomentano odio contro i più deboli e augurano disgrazie a stranieri, negri, gay, ebrei, terroni, riflettano sul significato del karma". Decisamente gratuite e fuori luogo, anche per chi crede nel karma (che evidentemente pende a sinistra). La città di Verona è in ginocchio per la violentissima grandinata che ha obbligato il governatore del Veneto. Sono vicino a #Verona e ai veronesi per il nubifragio che ha messo in ginocchio la città. I loro concittadini nazifascisti e razzisti che da anni fomentano odio contro i più deboli e augurano disgrazie a stranieri, negri, gay, ebrei, terroni, riflettano sul significato del karma.

Vittorio Feltri contro Marco Travaglio: "Chi di giudici ferisce...", lo scontro sulla lingua italiana. Libero Quotidiano il 17 agosto 2020. Scontro a distanza tra Vittorio Feltri e Marco Travaglio, con tanto di platea social ad assistere alla sfida sulla lingua italiana. Ad iniziare è il direttore del Fatto Quotidiano, che nel suo editoriale dedica un paragrafo al direttore di Libero, intitolato “senti chi pirla”. Travaglio riporta due citazioni da Libero del 14 agosto: “L’ignoranza dell’esecutivo in 20 pagine di rapporto” è uno dei titoli in prima pagina, mentre “chi di giudici ferisce, di giudici perisce” è di Vittorio Feltri. “La virgola fra il soggetto e il verbo: e danno degli ignoranti agli altri”, è l’appunto di Travaglio che viene mal digerito dal direttore di Libero. Il quale infatti replica via social: “Caro Pirla Travaglio, chi di giudici ferisce, di giudici perisce. Per te ferisce non è verbo? Andiamo bene”.

Mail di replica di Gaetano Pesce al Fatto l'8 agosto 2020. Egregio direttore, la prego pubblicare la mia risposta alla lettera del sig. Lerner uscita lunedì sul suo giornale. Sapevo che la mia nota su Repubblica avrebbe fatto reagire con ragli i molti ritardati reazionari che ancora vivono nel nostro Paese. Questo conformista ha cambiato le mie parole per spiegare quello che non è riuscito a fare con il suo lungo scritto: purtroppo molti cosiddetti giornalisti del mondo non informano più, ma cercano di formare i lettori alle loro idee, anche quando queste sono frutto di ideologie ormai obsolete. Il sig. Lerner, che non ho mai sentito nominare, mi ricorda coloro che usano l'intelletto per scopi nostalgici e reazionari, quelli che esaltano la mediocrità perché in essa possono emergere. L'immagine che mi viene in mente è quella di non so più quale girone dell'Inferno di Dante dove, forse gli invidiosi, sono immersi fino alla bocca nella m. liquida e la regola tra gli immersi è non muoversi e non fare l'onda, perché con essa la m. entra loro in bocca. Quel che è certo è che il sig. Lerner non ama il futuro né i nuovi valori che il Tempo attuale veicola. Vorrei ricordare L'Italia in Croce, un mio progetto (nella foto, e relativo scritto) del 2011 per la Triennale di Milano: "L'Italia in Croce riguarda le responsabilità di un certo mondo politico che ama passare il tempo parlando invece di proporre progetti utili al Paese e consentirgli di avanzare nel futuro e far fronte alla competizione internazionale. L'Italia ha bisogno di una classe politica attiva, giovane, attenta ai cambiamenti del Tempo. Una classe politica che onori il valore della creatività e del lavoro. Quello che mi aspetto da questa installazione è che sia capace di sollevare un dibattito tra personalità "sane"della vita pubblica e non, evitando i "mediocri", i parolai, i vecchi combattenti di partito, i conformisti, i burocrati e tutti quelli che con la loro inattività, moralismo, egoismo e conservatorismo hanno "messo in Croce" il Paese". Gaetano Pesce

Risposta di Gad Lerner. Non raglierò ulteriormente, sebbene l'asino sia tra i miei animali prediletti insieme al cammello, perché mi pare che lo scritto dell'architetto Pesce si commenti da sé. Solo gradirei indicasse dove e in quali termini avrei cambiato le sue parole, riportate ampiamente e con estrema cura tra virgolette per darne conto ai lettori. Ma temo che in proposito resterà muto come un pesce.

Da liberoquotidiano.it il 18 ottobre 2020. Altissima tensione a Ballando con le Stelle, il programma di Milly Carlucci su Rai 1, nella puntata di sabato 17 ottobre. Tensione tra Alessandra Mussolini e Fabio Canino. Quest'ultimo, come già accaduto, ha giudicato la performance della Duciona e di Maykel Fonts in modo lapidario: "È stata migliore quella dell'altra volta". Punto e basta. Dunque, chiamato a essere meno superficiale nel giudizio, Canino ha sbottato: "Lei in passato ha detto in tv che è meglio essere fascisti che frocio". Insomma, Canino ha svelato le ragioni del suo rancore verso la Mussolini. Gelo in studio. "Potrebbe anche scusarsi per quello che ha fatto", ha poi aggiunto Canino, supportato da Selvaggia Lucarelli. E la Mussolini, di fatto, si è scusata: "Ho detto una frase fuori luogo. In quella trasmissione c’era ospite anche Vladimir Luxuria. Quando una persona ti accusa di essere fascista, non lo fa come per dirti sei bella, lo fa per attaccarti e io impazzisco quando mi attaccano per quello che rappresento", ha sottolineato la Mussolini. Pace fatta?

"Potrebbe scusarsi". Fabio Canino attacca la Mussolini. A Ballando con le stelle sono ancora scintille tra Alessandra Mussolini e la giuria: stavolta è Fabio Canino a rivangare un vecchio episodio chiedendo le scuse dell'ex parlamentare. Francesca Galici, Domenica 18/10/2020 su Il Giornale. Alessandra Mussolini a Ballando con le stelle è ogni settimana protagonista di una discussione. Quando non è Selvaggia Lucarelli è qualcun altro ad attaccare la nipote del Duce, che probabilmente all'inizio si era illusa di andare nel programma di Rai1 solo per ballare e per essere giudicata per quanto mostrato in pista. Invece no e ogni settimana nasce una nuova polemica per qualcosa che la Mussolini ha detto o avrebbe detto in passato e che potrebbe eventualmente dire in un prossimo futuro. L'ultimo in ordine di tempo a puntare il dito contro Alessandra Mussolini è stato Fabio Canino e non perché ha sbagliato un passo o perché ha ballato fuori tempo, ma per qualcosa che la ballerina improvvisata ha detto anni fa. Al termine della sua esibizione con il ballerino professionista cubano Maykel Fonts, Fabio Canino ha liquidato l'esibizione di Alessandra Mussolini con un commento lapidario: "È stata migliore quella dell'altra volta". Nient'altro da aggiungere per lo scrittore nei confronti della ballerina, tanto che è stato esortato a essere meno parco di parole, visto che il suo compito è quello di giudicare. È a quel punto che Fabio Canino è andato a ripescare una frase di Alessandra Mussolini di tantissimi anni fa, sbattendogliela in faccia con livore: "Lei in passato ha detto in tv che è meglio essere fascisti che froci". Ecco, quindi, che come sempre il discorso viene spostato su argomenti extra rispetto alla trasmissione. Inevitabile l'intervento di Selvaggia Lucarelli a sostegno di Canino. "Potrebbe anche scusarsi per quello che ha fatto", ha proseguito Fabio Canino con rancore verso Alessandra Mussolini, che ancora una volta si trova sotto processo per le sue parole e non per le sue piroette in un programma che si chiama Ballando con le stelle. "Ho detto una frase fuori luogo. In quella trasmissione c’era ospite anche Vladimir Luxuria. Quando una persona ti accusa di essere fascista, non lo fa come per dirti sei bella, lo fa per attaccarti e io impazzisco quando mi attaccano per quello che rappresento", ha replicato Alessandra Mussolini, scusandosi di fatto per quella frase infelice. Era il 2006 e l'ex parlamentare era ospite di Bruno Vespa a Porta a Porta. In studio la discussione viaggiava tra i Pacs e l'immigrazione clandestina. Lo scontro fu acceso, in quell'occasione in studio era presente anche Antonio Di Pietro che apostrofò la Mussolini come fascista. Sono passati più di 14 anni da quel giorno di marzo, con le scuse di Alessandra Mussolini si potrà dire conclusa la vicenda?

"Meglio fascista che gay". Così è nato l'astio ​fra la Mussolini e Luxuria. Sono trascorsi 14 anni da quanto Alessandra Mussolini e Vladimir Luxuria si scontrarono a Porta a porta, una discussione riportata alla luce da Fabio Canino a Ballando con le stelle. Francesca Galici, Lunedì 19/10/2020 su Il Giornale. Acora una volta, a Ballando con le stelle al centro delle polemiche ci è finita Alessandra Mussolini. Durante l'ultima puntata, l'ex parlamentare col cognome importante, che per alcuni fa rima con scomodo, si è scontrata con Fabio Canino, giudice della puntata evidentemente prevenuto nei suoi confronti. Il giudizio del conduttore è andato oltre la mera opinione sul ballo appena concluso ma si è spostata su un episodio del 2006 che ha visto protagonista Alessandra Mussolini e Vladimir Luxuria. Da quella puntata di Porta a porta è nato un lungo filone di discussioni e di frecciate che si è concluso poco tempo fa e che ha avuto l'epilogo definitivo proprio su Rai1, con il mea culpa della Mussolini. L'episodio da cui tutto ha avuto origine è uno scontro dai toni molto accesi accaduto nel marzo 2006, ormai 14 anni fa. Nel salotto di Bruno Vespa in quel periodo si dibatteva dei Pacs e di immigrazione. Presenti in studio, oltre ad Alessandra Mussolini e a Vladimir Luxuria, anche l'ex ministro della Giustizia Roberto Castelli e Antonio Di Pietro, a quei tempi leader di Italia dei valori. Lo scontro è stato acceso fin dall'inizio su posizioni facilmente immaginabili. Per Antonio Di Pietro, quella fu la prima volta nel salotto di Vespa. Un debutto di fuoco per lui, che in quell'occasione ebbe una discussione vibrante proprio con Alessandra Mussolini. Lo scontro inizialmente più forte, però, è stato quello tra l'ex ministro Castelli e Vladimir Luxuria, che il Guardasigilli chiamò in più occasioni "signor Guadagno", suo vero cognome. Vladimir Luxuria rispose senza scomporsi, senza mostrare risentimento e la discussione andò avanti con l'intervento di Alessandra Mussolini: "Mi scusi, non voglio essere offensiva, ma che vuol dire transgender? Transgender, transgendarmi, sembra Schwarzenegger... Usiamo termini italiani". Prima schermaglia tra le due, caduta però rapidamente con il cambio di argomento che spostò il dibattito verso le tematiche migratorie. Da una parte si schierarono Castelli e la Mussolini e dall'altra Luxuria e Di Pietro. Dopo aver elencato le motivazioni per le quali, secondo lei, l'immigrazione clandestina potesse rappresentare un rischio per il Paese, Alessandra Mussolini venne etichettata come "fascista" da Antonio Di Pietro. Immediata la replica di Mussolini: "E me ne vanto!". È a quel punto che intervenne Luxuria: "Una che si vanta di essere fascista, mi preoccupa. Ci metterete al confino?"". Lo scontro ormai era acceso. "A me preoccupa chi brucia le bandiere, chi grida "dieci, cento, mille Nassyria, vergogna, vergogna, vergogna. Si veste da donna e pensa di poter dire quello che vuole. Meglio fascista che frocio!", replicò la Mussolini dando inizio a uno degli scontri televisivi e politici più noti. A distanza di 16anni, punzecchiata da Fabio Canino e da Selvaggia Lucarelli, Alessandra Mussolini che già si era chiarita in passato con Vladimir Luxuria, è tornata sull'argomento: "Questa cosa non andava detta. Sicuramente, sia da parte mia che da parte di Vladimir, ci sono state frasi completamente sbagliate e fuori luogo". Fine?

Roberto Mallò per davidemaggio.it il 27 settembre 2020. Prime scintille tra Alessandra Mussolini e Selvaggia Lucarelli. Nella seconda puntata di Ballando con le Stelle 2020, la concorrente non ha infatti risparmiato critiche al vetriolo alla giurata, sottolineando in maniera ironica che, la scorsa settimana, “ha avuto una parola buona per tutti” e che ha giudicato l’avversario Paolo Conticini soltanto in base all’ormone: “Cosa vuol dire che un uomo a cinquant’anni è figo e può fare quello che vuole, mentre una donna no? Che si deve mettere un saio?“. La discussione ha avuto inizio al termine di un cha cha cha eseguito con Maykel Fonts (con tanto di bacio sfiorato sul finale). Senza aspettare che Milly Carlucci la coinvolgesse, Alessandra – che aveva promesso di parlare anche a costo di rischiare l’eliminazione – ha dunque indossato una collana d’aglio portata da Guillermo Mariotto ed ha cominciato ad attaccare la Lucarelli: “Devo dire una cosa a Selvaggia (…) Le donne possono e devono fare quello che vogliono. Non c’è l’età. Altrimenti cominciamo a dire la scollatura a 20, a 30, a 40, a 50, a 60… poi, Pablito, Pablito, Pablito (Paolo Conticini, ndDM) può fare… Che cosa significa? Uomini e donne…Le donne osano, gli uomini posano“. Invitata da Milly a dire la sua (“Sei stata chiamata in causa“), Selvaggia ha cercato di rispondere a tono all’accusante: “Mi sembra che qualsiasi cosa dica finisca per cadere nella trappola della Mussolini, che cerca di buttarla in tutti i modi in caciara e rissa. Addirittura tenta di giocarsi la carta del femminismo“. Un parere che ha generato un’altra replica da parte di Alessandra: “Caciara? Non è femminismo.. Ecco vedi? Questo detto da una donna è molto brutto. Non è femminismo. E’ capire che la donna e l’uomo hanno la stessa possibilità, se non di più. (…) Mi dispiace, non capisci, ma io voglio puntualizzare perché altrimenti ritorniamo a “Pablito va bene” … Ma noi ci dobbiamo scollare, minigonna… (…) Minigonna Selvaggia! Pelvica, devi diventare pure tu“. Mentre Alberto Matano ha preso le difese della Lucarelli (“Dire a una donna giornalista come Selvaggia che fa una distinzione tra le donne non mi sembra giusto. Perché nel suo lavoro di giornalista esprime invece una galleria valoriale molto importante sulla donna. Oggi c’è bisogno di opinioni e punti di vista come il suo”), la stessa Selvaggia ha invitato la donna – che continuava ad accusarla di essere contro le donne – a comportarsi più “dignitosamente”: “Quest’aria da popolana perenne, tu pensi che alla fine paghi tutto questo? Alessandra possiamo anche cercare di parlare adottando un registro leggermente più elegante? (…) Basta con questo discorso sulla donna. Stiamo parlando di ballo. Sempre questa volgarità, questi eccessi“. Sfinita dalla Mussolini, che continuava a paventare una disparità di trattamento adottata dalla giurata tra gli uomini e le donne, Selvaggia ha dunque tagliato corto: “Io rinnego quello che ho detto, tu rinnega tutto il resto che sarebbe pure ora, dai Mussolini. Stai buona. Le lezioni di vita e di valori dalla Mussolini, no. Lezioni di vita da te, no. Abbi pazienza (…) Milly non scomodiamo il femminismo, per cortesia, perché io le lezioni da Alessandra Mussolini su questo fronte non le voglio“. Alla fine dei giochi, la Carlucci ha sedato la rissa, invitando le due a parlare di ballo, con Alessandra furente (“Non accetto che tu mi dica cose che vanno oltre la trasmissione“) e Selvaggia sul piede di guerra: “Io dico quello che voglio“. E’ il primo di una serie di lunghi scontri?

Da liberoquotidiano.it il 4 ottobre 2020. Siamo a Ballando con le Stelle, il programma di Milly Carlucci in onda su Rai 1, la puntata è quella in prime time di sabato 3 ottobre. E in scena, ancora una volta, va lo scontro tra Alessandra Mussolini e Selvaggia Lucarelli, che ha seguito a stretto giro la tregua armata nello studio di Mara Venier, a Domenica In. Le due, dalla Carlucci, hanno nuovamente discusso animatamente, fino a quando la Duciona ha estratto una mascherina che portava l'immagine di un divieto di sosta, una protesta contro Selvaggia, a cui non voleva rispondere. Dunque, dopo aver indossato la mascherina, ecco che la Mussolini se la strappa e la lancia sul banco dei giurati. E la Lucarelli è schizzata: "Riprenditela, non è igienico fare così". "Non mi importa", ha replicato la Duciona. "Dovrebbe importartene, c'è una pandemia in corso. Se evitassi tutto quello che c’è intorno a te, l’esagerazione della quale ti circondi, potresti fare un ballo dignitoso, più onesto", ha picchiato durissimo la Lucarelli. E ancora, la Mussolini: "Cosa  c’è attorno a me? Vedi volgarità? C’è solo voglia di divertirmi!". Dunque, Selvaggia è passata all'insulto: "Sembri una vaiassa". "Questo è grave", "Allora vai a ballare nei salotti viennesi". Cala il sipario sull'ultima brutale rissa.

Da liberoquotidiano.it il 4 ottobre 2020. Lo scontro si trasferisce a Domenica In. Si parla di Alessandra Mussolini e Selvaggia Lucarelli, che nella serata di ieri, sabato 3 ottobre, si sono nuovamente affrontate a brutto muso a Ballando con le Stelle di Milly Carlucci, su Rai 1. Selvaggia ha apostrofato la Duciona con il termine di "vaiassa", la Mussolini ha inscenato uno show con mascherina con segno dello stop, poi tolta dal volto e scaraventata contro la giornalista del Fatto Quotidiano. E ora, eccole tutte e due a Domenica In, sempre su Rai 1, pronte a ripartire in un duello rusticano che pare destinato a continuare in eterno. Gli animi si scaldano subito, e la Mussolini trascende, definendo "bestia" Selvaggia (salvo poi chiedere "rispetto). Da par suo la Lucarelli continuava a insistere sulla non-volgarità del termine "vaiassa", che non sarebbe un insulto anche se ci assomiglia. E parecchio. Palpabile l'imbarazzo di Mara Venier, che non sapeva come contenere le due rivali. E lo spettacolo continua.

 Daniela Seclì per tv.fanpage.it il 25 ottobre 2020. Anche la sesta puntata di Ballando con le stelle 2020 ha visto andare in scena uno scontro tra Alessandra Mussolini e Selvaggia Lucarelli, per via di una differenza di vedute sulle donne e sui sacrifici che fanno pur di mantenere unita la famiglia. Tutto è nato da una confessione della concorrente di Ballando con le stelle, in un video andato in onda poco prima della sua esibizione. Ecco quanto ha dichiarato. Dal 1989, Alessandra Mussolini è sposata con Mauro Floriani. La concorrente ha iniziato il suo discorso parlando di quello che sua madre faceva per ignorare i tradimenti del marito. Si tingeva i capelli biondi come quelli dell'amante del suo compagno, in modo da convincersi che i capelli trovati sui vestiti fossero i suoi. Maria Scicolone, tuttavia, divorziò dal marito Romano Mussolini quando Alessandra aveva 4 anni: "Per me è stato un fatto traumatico e non vorrei mai fare provare ai miei figli quello che ho provato io. È dura perché a volte sarebbe più facile dire ciao e non condanno chi lo fa, io non ho più certezze". Poi ha parlato dell'amore che prova per Mauro Floriani, che diversi anni fa fu coinvolto in uno scandalo: "Io non potrei vivere senza mio marito, senza i miei figli. Sarebbe per me un fallimento. La famiglia va puntellata ogni giorno. Non la puoi trascurare. Non è un costo. Lo sarebbe se non ci fosse l'amore. Io ho l'amore per i figli e per mio marito". Rossella Erra, che riporta in studio il parere dei social, si è complimentata con lei: "Riguardo al dolore che le donne portano sulle spalle, Alessandra è un riferimento che ogni donna può fare proprio". Selvaggia Lucarelli è saltata sulla sedia. Si è detta subito contraria: "Scusate non facciamo passare che la donna che si porta la sofferenza sulle spalle sia un modello, ognuno sceglie nella vita quello che vuole sopportare e tollerare. Non facciamo passare questo messaggio. Io ho sentito in quella clip che non puoi vivere senza tuo marito. In realtà, possiamo sempre vivere senza un marito. Si tratta di fare delle scelte. Abbiamo le risorse per farcela anche senza un uomo. È un messaggio sbagliato". Alessandra Celentano ha chiesto un parere in proposito a Milly Carlucci. La conduttrice ha detto di rispettare le scelte di tutte le donne: "Io penso che ognuno scelga il proprio percorso. Può esserci una donna che ha bisogno di aggrapparsi ai propri affetti e la donna che anche nella dissoluzione dei propri affetti, riesce a mantenere la propria forza e identità". Roberta Bruzzone ha colto l'occasione per mandare un messaggio alle donne: "Non siete tenute a sopportare croci e nemmeno corna, ricordatevelo sempre. La vostra vita appartiene a voi, siete libere di fare le scelte che volete. Tentiamo di superare questo Medioevo culturale. Voglio dare questo messaggio in generale". Alessandra Mussolini ha concluso: "Sembrate dei robot, ci sono anche dei sentimenti".

Emiliana Costa per leggo.it l'8 novembre 2020. Su Leggo.it gli ultimi aggiornamenti. Ballando, incidente in diretta: Alessandra Mussolini si sente male durante l'esibizione e si accascia sul pavimento. Interviene Milly Carlucci. Pochi minuti fa, Alessandra Mussolini si è esibita con il maestro Maykel Fonts nella prova speciale, una coreografia country con una serie di prese piuttosto impegnative. Alla fine dell'esibizione, Alessandra Mussolini e Maykel Fonts mostrano ancora una volta alla giuria una delle prese. Ma è a quel punto che avviene il piccolo incidente. La concorrente scivola durante l'esercizio e rischia di sbattere il viso sul pavimento. Fortunatamente, il maestro l'afferra e tutto finisce per il meglio. Non è tutto. Durante la seconda esibizione, Alessandra Mussolini si sente male e si accascia sul pavimento. Interviene Milly Carlucci: «Datemi un bicchiere d'acqua». Poi manda la pubblicità. Rientrati in studio, Alessandra Mussolini è seduta su una sedia. Milly Carlucci spiega l'accaduto: «Alessandra ha avuto un calo di pressione. Oggi non aveva mangiato, perché aveva paura di sentirsi male con la presa e si è sentita male. Ora sta bene».

Da liberoquotidiano.it l'8 novembre 2020. I soliti hater si scatenano contro Alessandra Mussolini. "Ha fatto pure la candela...": la giudice di Ballando con le stelle Carolyn Smith plaude all'esibizione della Mussolini e Maikel Fonts. Tanto coraggio nonostante qualche errore, ha detto la coreografa dopo la performance country. Ma su quella presa acrobatica si sono subito avventati gli hater. "È finita a testa in giù come il nonno", è uno dei tweet che si leggono sui social. "Coreografo della Mussolini. Silenzioso e eroico partigiano", "Però cosi non vale, la Mussolini è avvantaggiata!", scrivono alcuni utenti che ricordano la fine del Duce a piazzale Loreto in un parallelismo barbaro e intollerabile. Cosa replicherà la Mussolini?

Da leggo.it il 7 ottobre 2020. Attacco senza precedenti a Selvaggia Lucarelli sul web. «Oggi - scrive la giornalista sui suoi profili social - una pagina da due milioni e mezzo di utenti ha pubblicato il video di un tizio (ha 25 000 follower) che fa la pipì su una mia foto alla stazione di Torino offrendo duemila euro a chi mi avrebbe taggata più volte. (arrivati circa 20 000 tag col mio nome). Va così». Un episodio che suscita indignazione e che ha portato poi la pagina incriminata a scusarsi. Come spiega nelle stories di Instagram, Lucarelli aveva già visto il video in cui qualcuno faceva i bisogni su una sua foto alla stazione di Torino e aveva scelto di procedere per vie legali denunciandolo. Non aveva pubblicato nulla a riguardo per evitare di fargli pubblicità, ma ha cambiato idea quando si è accorta che una pagina da due milioni e mezzo di utenti aveva condiviso il video per soldi. Alla denuncia legale è subentrata quella pubblica perché la pagina in questione è rivolta a «ragazzini» e invitava a seguire «questo pazzo». «Lo squallore di questa vicenda non è stato tanto nell'iniziativa ma nel seguito che ha avuto e della promozione ricevuta da una pagina che ha più di due milioni di ragazzini che la seguono. Ricordo a tutti quelli che pensano di rimanere impuniti che io non lascio passare nulla», continua ricordando le condanne per diffamazione a due youtuber novaresi che in un video del 2017 l'avevano presa di mira con battute sessiste.

Dagospia l'8 agosto 2020. Riceviamo e pubblichiamo: Caro Dago, ma che due coglioni tutto questo tripudio femminile che dovrebbe offendere le donne tipo “viva Francesca libera da Silvio”, titolo di un articolo sul Fatto Quotidiano scritto da Selvaggia Lucarelli, come se Silvio avesse costretto, sequestrato la povera Pascale. Libera sì, se ne è andata quando voleva e con i soldi di Silvio (mai una donna che in nome dell’indipendenza rinunciasse allo standard di vita datole da un uomo ricco), più libera di così si muore (sempre in yacht ci mancherebbe). Ma che paternalismo, che atteggiamento sprezzante anche verso la Pascale che si finge di difendere giusto per saltare su un pulpito e un piedistallo morale, cito sempre la Lucarelli: “Sono eterosessuale, ma se avessi trascorso 15 anni con Silvio Berlusconi oggi piacerebbero le donne anche a me. In realtà mi piacerebbero anche i lampadari e gli gnu, qualsiasi cosa tranne gli uomini”. Ancora come se la Pascale fosse una cerebrolesa, incapace di intendere e di volere, e con un sottinteso (va con le donne perché traumatizzata da Silvio) che se lo avesse scritto la Meloni sarebbe stata pura omofobia. Tra l’altro scritto dalla Lucarelli che ai suoi ex ha dedicato un libro (inutile) non proprio entusiasta, Dieci piccoli infami (dieci, mica uno come la Pascale: minchia se li trovi tutti tu fatti due domande, ma forse adesso la Lucarelli ha trovato Biagiarelli, sarà uno gnu), mentre Silvio alle sue ex almeno regala milioni, a differenza dei dieci della Lucarelli, e forse questo non le va giù. Baci! Massimiliano Parente

Dagospia l'8 agosto 2020. Sandra Amurri: Su Libero, il prestigioso economista, Antonio MariaRinaldi: M'annoia.. “Fiorella colpita e affondata”.

Su Il FQ Selvaggia Lucarelli: “...la povera Marta Fascina (neo compagna di B ), chiusa in villa con lui, deve essersi fatta due palle così grandi che ora si fidanzerà con Fiorella Mannoia”. Satira convergente da “Novella 3000”. Trionfo dell’ eleganza! Povero il “mio” ex giornale!

Selvaggia Lucarelli: I licenziati livorosi, che triste categoria. Peggio però sono quelli che fingono di non capire una battuta e strumentalizzano il femminismo e la solidarietà femminile per attaccare qualcuno. (la Mannoia che è parecchio più intelligente di te l’ha capita senz’altro) Peggio ancora sono quelli che se ne stanno zitti finché prendono il loro stipendio in un giornale, poi quando vengono mandati via si scoprono improvvisamente coraggiosi e sputano veleno su ex colleghi. Amurri, fatti una vita.

Sandra Amurri: “Selvaggia Lucarelli ciò che scrivi, nel tono e nella sostanza ti racconta perfettamente. Per tua informazione io non sono stata licenziata, me ne sono andata da un giornale che esiste, anche grazie a me e permette a te di scrivere ciò che scrivi . Ti informo anche, evidentemente le tue fonti sono fasulle, che non sono mai stata zitta perché pagata, come era mio diritto da contratto ma non rivelerò altro perché, a differenza di te, il mio stile mi vieta di pubblicare messaggi ed email, compresi quelli che invii tu su chi ti paga. Sulla Mannoia, non dovresti neppure nominarla, l ironia ti salverà la vita, peccato che tu la ignori e la sostituisca con battute banali al pari di quelle del leghista, grevi e volgari. Infine, sappi che di ciò che hai scritto qui, essendo totalmente falso e diffamatorio, ne risponderai nelle sedi competenti, così avrò il piacere di conoscere le tue “autorevoli” fonti”.

Dagospia il 28 settembre 2020. Dall’account twitter di Selvaggia Lucarelli. Aldo Grasso decide di rispondere a un hater che mi accusa di violenza verbale (?), di essere acida (“acido” non esiste), che parla di miei sottofondi macabri (?), di mio giustizialismo (per la verità mi si accusa di eccesso di garantismo) dicendo “E Travaglio”. Un miserabile.

Da forumcorriere.corriere.it il 28 settembre 2020. E dire che ora se cerchi su google Lucarelli... Carlo esce molto dopo. Ma Selvaggia è un mistero da Blu notte: acidume, giustizialismo, perfidismo, violenza verbale, dialettica pacata da scontro, sottofondi macabri, sarcasmi fuori controllo e chi più ne ha più ne metta il tutto condito da rissa social. Alessandro Pagani

LA RISPOSTA A CURA ALDO GRASSO. E Fatto Quotidiano, cioè Travaglio.

Prima Berlusconi, poi Salvini, ora Meloni: per i “buonisti” della sinistra l’insulto è d’obbligo. Marzio Dalla Casta giovedì 6 agosto 2020 su Il Secolo d'Italia. Nostalgia canaglia. Già, e chi se li ricorda più il socialista Rino Formica e il democristiano Nino Andreatta che si beccavano come galli nel pollaio del pentapartito a colpi di «comari di Windsor» e «commercialista di Bari»? Sembrò la fine del mondo in quella Prima Repubblica al tramonto, ma pur sempre ovattata da liturgie complicatissime e dove il grande assente era proprio sua maestà l’Insulto oggi regnante. Bisognerà arrivare a Cossiga  prima di vederne sdoganato l’utilizzo. Lo sa bene Achille Occhetto, sbertucciato dall’allora “Picconatore” come uno «zombie coi baffi». La politica cominciava a cambiare pelle e la zampata del Gattosardo ne era un autorevolissimo indizio.

La pretesa di detenere il monopolio dell’insulto. Il resto lo avrebbe fatto la Seconda Repubblica, prima con la liderizzazione dei partiti e poi con la strapotere dei social. Con una costante: la pretesa della sinistra di detenere il monopolio dell’insulto. Anzi, di decidere cosa è insulto e cosa è, invece, libera manifestazione del pensiero e della parola a difesa della democrazia. Categoria, quest’ultima, cui appartengono – ça va sans dire – tutti gli attacchi a Berlusconi, compresi quelli a base di morte, galera ed esilio. È il linciaggio come continuazione della politica con altri mezzi nella mai interrotta celebrazione di Piazzale Loreto. Cosicché quando una testa sbalestrata gli lancia contro un modellino del duomo di Milano spaccandogli la faccia, le solidarietà che arrivano da sinistra risultano un tantinello pelose. Quando la stella del Cavaliere si eclissa, è Salvini a raccogliere il testimone del centrodestra. Se il primo è stato di volta in volta apostrofato come Al Tappone, Psiconano, Caimano, il Delinquente e, infine, B., cioè innominabile, in poco tempo il Capitano ha visto germogliare un florilegio di insulti che non teme confronti. La sua sagoma a testa in giù è visione quotidiana. Buon per lui che i sondaggi evidenziano qualche affanno della Lega a tutto vantaggio dei Fratelli d’Italia. Puntuale, infatti, è scattato il turno di Giorgia Meloni. L’insulto ora tocca lei in quanto pericolo per la democrazia. La bionda leader ha osato resistere alle sirene del mainstream e ora ne sperimenta il “piano B“. L’operazione è già partita. Chissà se i sondaggi di FdI scenderanno per darle una mano. Già, perché in Italia la democrazia funziona così: la destra può anche esistere, purché resti all’opposizione. Diversamente, la si insulta.

"Noi ti ripudiamo", "E andate...". Ed è "lite" in piazza con Salvini. Il segretario della Lega è stato contestato da militanti di sinistra durante un comizio elettorale a Empoli: "Noi italiani orgogliosi di esserlo". Alberto Giorgi, Sabato 08/08/2020 su Il Giornale. "Salvini, Empoli ti ripudia". Questa è l’accoglienza che centinaia di militanti di sinistra hanno riservato al leader della Lega, in terra toscana per un comizio elettorale in vista delle elezioni regionali del 20 e 21 settembre. La tornata elettorale in Toscana – fra quaranta giorni si voterà anche in Liguria, Veneto, Marche, Campania e Puglia – è assai importante a livello nazionale, dal momento che il centrosinistra rischia di capitolare in quattro regioni su sei. E anche di perdere – il che sarebbe un’onta per il Partito Democratico e l’intera sinistra italiana – quella che è storicamente un fortino rosso. Qui, la candidata leghista del centrodestra Susanna Ceccardi cerca il colpaccio che darebbe un colpo durissimo al Conte-bis. In mattinata il numero uno del Carroccio era atteso a Empoli, in via del Giglio, a pochi passi da piazza della Vittoria. Qui si sono radunati numerosi attivisti di sinistra, con il presidio di "Empoli Antifascista". In strada circa duecento persone, appartenenti ai gruppi Csa Intifada e Azione Antifascista, Settembre rosso e del collettivo femminista "Non una di meno", hanno intonato anche Bella Ciao posizionandosi dietro un grande striscione che, appunto, recitava "Salvini Empoli ti ripudia". Come spesso è accaduto – per esempio nel 2019 in occasione delle Regionali in Emilia-Romagna – Matteo Salvini è stato contestato durante il comizio. "Andate a lavorare in cantiere invece di rompere le scatole!", li ha fulminati il capo politico della Lega, che ha voluto così replicare ai contestatori che hanno cercato di interrompere l’evento elettorale a sostegno di Susanna Ceccardi. "Qui non ci sono i fascisti ma italiani orgogliosi di esserlo!", ha aggiunto Salvini, strappando l’applauso della sua gente. Durante il comizio, peraltro, c’è stato tempo anche per un "sipartietto", visto che all’improvviso ha cessato di funzionare il microfono utilizzato da Salvini. Poco prima del blitz dei militanti di sinistra, l’ex ministro dell’Interno aveva ringraziato la prima cittadina empolese Brenda Barnini, del Partito Democratico: "Devo dire grazie al gentilissimo sindaco di Empoli che mi ha dato il permesso di venire..lei è una signora sinceramente democratica". La sindaca dem, infatti, alla vigilia dell’arrivo di Salvini a Empoli aveva invitato la cittadinanza a non organizzare manifestazioni di protesta contro l’arrivo del leghista. Un appello inascoltato.

L'appuntamento delle Regionali. Quello di settembre sarà un appuntamento decisivo per la legislatura e lo scenario politico del Belpaese. Secondo gli ultimi sondaggi, infatti, il centrodestra sarebbe avanti in quattro regioni – Veneto, Liguria, Marche e Puglia – contro le due che il centrosinistra dovrebbe riuscire a conservare (Toscana e Campania). Però c’è un "però". La stessa Toscana, infatti, non è più “sicura” per la sinistra, visto che Susanna Ceccardi viene rilevata tra il 38,5% e il 42,5% dei voti, mentre Eugenio Giani tra il 44 e il 48%. Certo, il candidato del Pd è davanti, ma da qui al 20 e 21 settembre il gap si potrebbe colmare.

Da liberoquotidiano.it l'1 agosto 2020. Matteo Salvini importunato in spiaggia. Il leader della Lega non trova pace neppure fuori dal Parlamento, dove c'è sempre un piddino in agguato. È accaduto anche domenica 26 luglio sulla spiaggia di Milano Marittima quando la vicesindaco Pd di Proserpio, Veronica Proserpio, si è avvicinata all'ex ministro per attaccare briga. "Rovina il nome di questa bellissima città" , dice la dem al leader della Lega nel video postato su Facebook. Ma Salvini non si scompone e replica: "Fatti un bagno che ti rilassi". "Sono rilassatissima, sono in vacanza da 15 giorni", controbatte ancora la Proserpio. Ma non è tutto perché il vicesindaco in cerca di notorietà ha poi rilanciato il filmato sui suoi social commentando: "Non ce l’ho proprio fatta. Mi avvicino sorridendo al cazzaro verde e gli dico di vergognarsi per le sue esternazioni... Il seguito è nel video!!!". La Proserpio, invece di venire ripresa per il modo di fare politica, è stata addirittura elogiata dal sindaco Barbara Zuccon, vicina a Fratelli d'Italia, ma parte della stessa lista civica della dem: "Veronica ha fatto bene – ha spiegato il primo cittadino - Se fossi stata presente il video non sarebbe finito in quindici secondi. Anch’io pur essendo distante dal Pd non amo le esternazioni di Matteo Salvini. Non tollero i suoi comportamenti, come non mettere la mascherina".

Lo sfogo dell’ex vicesindaco dopo la lite con Salvini. Notizie.it il 09/08/2020. L'ex vicesindaco di Proserpio si sfoga dopo la lite con Salvini: "Pressioni dai piani alti della Lega per arrivare alle mie dimissioni". La lite con Matteo Salvini ha segnato il destino della vicesindaco Veronica Proserpio, che ora si ritrova fuori dal Comune in cui lavorava e minacciata da seguaci della Lega. In un video, la vicesindaco si sfoga: “Salvini è stato anche educato, sono i suoi seguaci che hanno dato il peggio”.

Lo sfogo dopo la lite con Salvini. “Sono certa che la mia sindaca e il consiglio comunale abbiano ricevuto pressioni dai piani alti della Lega per arrivare alle mie dimissioni”. Così Veronica Proserpio, ormai ex vicesindaco del comune che porta il suo cognome, si sfoga dopo la lite avvenuta con Matteo Salvini in spiaggia a Milano Marittima. Con lei, il destino è stato severo: le conseguenze della lite con l’ex ministro dell’Interno sono state pesanti. In un attimo, si è ritrovata fuori dal Comune di Proserpio in cui lavorava e investita da una gogna mediatica. Così, in un video, Veronica Proserpio si sfoga, e racconta cosa ha vissuto. “Devo dire che Salvini è stato anche educato -commenta la vicesindaco-. Sono i suoi seguaci che hanno dato il peggio sui social, arrivando a minacciare di morte anche mia mamma e i miei figli, tralasciando tutti gli insulti a sfondo sessuale. Per questo -aggiunge la Proserpio- ho deciso di presentare denuncia nelle prossime settimane”.

Ex vicesindaco di Proserpio minacciata. Se da parte della Lega è arrivato il peggio, ci si chiede come abbia reagito il suo Pd. “Ho ricevuto attestati di vicinanza da alcuni consiglieri regionali dei 5 stelle -commenta Veronica-. Ma oltre a pochi messaggi da esponenti locali, a livello nazionale nessuno mi è stato vicino”.

Da liberoquotidiano.it  il 4 agosto 2020. Si chiama Paola Pessina e, spiega Giorgia Meloni sui social, "mi dicono che questa signora sarebbe vicepresidente di un'organizzazione filantropica, ex sindaco (di sinistra) di Rho e docente" (Rho è un comune alle porte di Milano). E perché mai la leader di Fratelli d'Italia si occupa di lei? Presto detto, perché l'ex sindaca si è prodotta in un discreto orrore sui social network, roba che se lo avesse fatto un leghista o uno di FdI autorevoli commentatori ne avrebbero parlato con sdegno per giorni. E invece no. Qui, se non ne parla la Meloni non ne parla nessuno. Il punto è che la Pessina ha pubblicato su Facebook una foto della Meloni nel corso di un intervento in aula alla Camera, commentando: "Giorgia Meloni sta diventando calva. L'eccesso di testosterone oltre che cattivi fa diventare brutti". Un vergognoso delirio, insomma. Stigmatizzato dalla leader di FdI con queste parole: "Non mi interessano gli insulti sul piano fisico, tuttavia leggere frasi del genere da chi dovrebbe essere d'esempio lascia un po' delusi e perplessi", conclude la Meloni.

"Te e tu sorella...": gli insulti di Veronesi contro Giorgia Meloni. Sandro Veronesi si è scagliato con violenza contro Giorgia Meloni per i suoi tweet in difesa di Matteo Salvini dopo il via libera a procedere del Senato nei confronti dell'ex ministero dell'interno. Francesca Galici, Domenica 02/08/2020 su Il Giornale. In Italia il libero pensiero non sembra più essere un diritto. O si aderisce alla corrente sinistra o si diventa in automatico dei nemici, che è lecito insultare e richiamare al silenzio. Giorgia Meloni è da sempre il bersaglio di una certa sinistra che utilizza il doppiopesismo del giudizio. Da anni, infatti, il leader di Fratelli d'Italia è presa di mira al di là dei confini dello scontro politico. Contro di lei si è fatto spesso body shaming, ci sono stati insulti e minacce, contro i quali si sono levati solo timidi atti di solidarietà, rispetto a quando le stesse parole e gli stessi metodi sono stati usati (sbagliando) contro donne di diversa appartenenza politica. L'ultimo attacco contro Giorgia Meloni è stato sferrato dallo scrittore Sandro Veronesi, che ha inveito contro il leader di Fratelli d'Italia per i suoi tweet in favore di Matteo Salvini contro la decisione positiva del Senato di procedere contro l'ex ministro dell'intero. "Vigliacca e traditrice te e tu sorella", scrive Sandro Veronesi, fresco vincitore del Premio Strega 2020 per il suo ultimo lavoro Il Colibrì. Il tomo dalla copertina gialla è tra quelli più in voga sulle spiagge radical chic italiane. Da Capalbio in giù è quasi una moda presentarsi sotto l'ombrellone con il libro di Veronesi, come se fosse uno status symbol di una certa appartenenza intellettuale. Giorgia Meloni, però, stavolta non ci sta e dal suo profilo Facebook denuncia l'attacco violento nei suoi confronti da parte dello scrittore. "Ed ecco a voi la famosa intellighenzia di sinistra, sempre molto attenta al rispetto delle donne, del libero pensiero e del prossimo. P.S. Caro Veronesi, un commento all'altezza dei tuoi libri", ha commentato Giorgia Meloni allegando i suoi tweet incriminati e quello di risposta dello scrittore. Il leader di Fratelli d'Italia è da giorni sotto attacco dopo il suo intervento alla Camera, durante il quale con passione e veemenza ha difeso gli italiani ed espresso il suo parere contrario alla proroga dello stato d'emergenza. In quell'occasione, inaspettatamente, la reazione di Giuseppe Conte è stata una risata, stigmatizzata dal centrodestra che l'ha considerata come una mancanza di rispetto. Il discorso politico di Giorgia Meloni, uno dei più passionali visti negli ultimi anni alla Camera, è stato strumentalizzato con il passare delle ore ed è stato preso di mira in modo indegno con offese personali di ogni tipo, fino ad arrivare al commento di Sandro Veronesi, che rispecchia in pieno il clima attuale del nostro Paese. Per fortuna c'è anche chi la difende, come Rita Dalla Chiesa, che nelle scorse ore le ha espresso la masima solidarietà.

Il Pd impari le buone maniere. La politica ridotta a reality show. La vicesindaco, tronfia della propria superiorità morale, insulta Salvini in spiaggia e se ne va. Poi, non appagata del gesto maleducato, posta il video e insulta di nuovo. Andrea Indini, Sabato 01/08/2020 su Il Giornale. Nel ghigno di Veronica Proserpio c'è tutta la superiorità morale della sinistra. Solo loro possono sentirsi tanto intoccabili da scadere nell'insulto e sentirsi degli eroi per averlo fatto, come se infangare l'avversario (anche in modo bieco) rientri nei loro doveri morali. Tanto che viene derubricata a "bravata" l'incursione della vice sindaco piddì che avvicinatasi a Matteo Salvini, mentre se ne stava tranquillo sotto l'ombrellone di Milano Marittima, se ne esce con "Rovini il nome di questa città" e se ne va via. Nel frattempo un suo sodale riprende l'accaduto e il video finisce sui social con tanto di dida boriosa: "Non ce l'ho proprio fatta. Mi avvicino sorridendo al cazzaro verde e gli dico di vergognarsi per le sue esternazioni...". La Proserpio è un'esponente del Partito democratico. A Proserpio, paesino di meno di mille abitanti in provincia di Como, è stata eletta come vice sindaco. Ha una carica istituzionale, dunque. Dovrebbe essere un esempio per i suoi cittadini e, perché no?, anche per tutti gli altri. E invece non lo è. E quel che è peggio è che questa maleducazione non desta più scandalo. Come siamo arrivati a questo punto? Sia chiaro: il dissenso è giusto e deve essere esternato, ma deve essere teso al confronto. Quello andato in scena sulla spiaggia di Milano Marittima è una baracconata degna di un bambino delle elementari. L'intento è chiaro sin dall'inizio. Altrimenti la piddina non avrebbe chiesto di farsi filmare. Chissà come l'ha pensata? Di sicuro si credeva una super eroina. Altrimenti non avrebbe nemmeno avuto il coraggio di spammare sui social una immagine di sé tanto decadente. Se avesse voluto il confronto, sarebbe andata da Salvini e gli avrebbe detto, anche in modo schietto, cosa non le andava giù della narrazione leghista. Il Capitano avrebbe poi risposto per le rime. Magari si sarebbero pure accesi un po' i toni, come accade quando parli di politica (o di calcio) sotto l'ombrellone o al bar. Sicuramente, i due sarebbero rimasti sulle proprie posizioni e magari, mi piace pensarlo, al termine del battibecco si sarebbero salutati con una stretta di mano, certi entrambi di essere in politica per fare del bene per il Paese. Così non è stato. "Rovini il nome di questa città", si è limitata a dirgli. E se la rideva. Era tronfia in viso per averlo fatto. Una brutta scena, lo ripeto. Come è molto brutto quel "cazzaro verde" su Facebook. L'epiteto, coniato da Andrea Scanzi per vendere il libro che ha scritto e fare la guerra al leghista sui social, (s)qualifica ulteriormente la dem che così facendo appare non solo del tutto priva di contenuti ma anche parecchio maleducata. È l'effetto della politica trasformata in reality. Salvini, che in questo genere di situazioni ci sguazza e spesso le cavalca (come lo scivolone con il presunto spacciatore di Bologna), non si è fatto troppi problemi a liquidarla con una battuta pronta: "Fatti un bagno che ti rilassi". Resta, comunque, l'amarezza. Perché difficilmente la sinistra capirà che è la sua supposta superiorità morale a rovinare il nome non di una singola città di mare, ma di tutto il Paese.

Barbara Savodini per ilmessaggero.it il 9 luglio 2020. A dieci giorni dalla gita domenicale di Lucia Azzolina a Sperlonga (Latina) spuntano su “Diva e Donna” gli scatti della ministra in bikini. Come raccontato dai vicini di ombrellone al lido “Il Pirata”, la numero uno dell'Istruzione in Italia era sola, con un elegante due pezzi blu, i capelli sciolti e lo smalto rosso fuoco. A farle compagnia solo un libro e una rivista. Nonostante le due guardie del corpo presenti e la riservatezza che caratterizza la spiaggia di Bazzano, un paparazzo è riuscito a immortalare alcuni momenti della giornata di relax: un tuffo, una passeggiata a riva e un bagno di sole di un paio d'ore. “Le uniche foto in bikini della ministra dell'Istruzione” strilla in prima pagina “Diva e Donna” anche se, in effetti, qualche altra foto un po' datata era già uscita. L'ultimo numero della rivista, in edicola fino al 14 luglio, è andato a ruba tra i numerosi fan della bella pentastellata anche se il triangolo d'amore tra Belen Rodriguez, Stefano De Martino e Alessia Marcuzzi le ha rubato in parte la scena. Difficile prevedere se la Azzolina tornerà a Sperlonga anche se, data la calorosa accoglienza ricevuta, un bis non è escluso. La Perla del Tirreno, del resto, si conferma una delle più belle località italiane a due passi dalla Capitale: una destinazione paradisiaca, quindi, ma anche comoda per chi, come la ministra, sta lavorando sodo per la ripartenza del mondo scolastico. Nel frattempo i vip affollano le acque più cristalline del Lazio: tanti volti noti del piccolo e del grande schermo stanno facendo la loro comparsa, oltre che a Sperlonga, anche a Sabaudia, San Felice Circeo e Ponza. Il 2020, insomma, ha decisamente riportato in auge le spiagge italiane, da sempre universalmente riconosciute come tra le più belle e accoglienti del mondo.

DAGONEWS il 10 luglio 2020. La ministra Azzolina ieri sera a ''In Onda'' ha detto a Telese e Parenzo: ''Mi sono risentita per il titolo che un giornale online ha scritto. Quando vedrò il sedere di un uomo spiattellato sui giornali con lo stesso disprezzo, poi potremo iniziare a riparlarne. Lei ha visto un titolo sprezzante sulla pancia di Salvini? Il modo in cui è trattata la donna in politica in questo Paese, spesso è vergognoso. Le scuse non le deve fare al ministro Azzolina ma alle tante donne''. Tutta colpa del titolo di ieri sulle sue foto al mare, in cui si menzionava il ''chiappone impiegatizio da lavoro sedentario'', un termine quasi scientifico (non lo è). Povera ministra, per l'ennesima volta non ha studiato! Su questo sito una settimana fa c'era un servizio fotografico di ''Chi'' su Vasco al mare, con il mito del rock che esibiva ''maniglione dell'amore'' ed era dipinto come un ''tortello di Zocca rigonfio''. Potremmo fare decine di esempi su Salvini: con l'adipe in costume al Papeete e sotto al suo girocollo da radical chic in Emilia-Romagna, col pacco strizzato nei boxer mentre dà l'acqua alle piante in terrazzo. Quante pagine scritte su Trump insaccato nel completo da golf, spruzzato di abbronzante arancione, o parrucchinato con ciuffo di saggina? C'è un leader, il nord-coreano Kim Jong-un, che su questo sito viene chiamato direttamente Ciccio Kim. Ma come dimenticare Renzi in barca coi rotoli e in parlamento con la pancia sblusata, e i suoi tentativi annuali di buttare giù i chili di troppo, debitamente documentati su queste pagine? Ci commuoviamo pensando a Berlusconi e Toti che si affacciano dalla clinica dimagrante con imbarazzante tutina, e abbiamo i brividi nel ripensare a Calenda al lago con trippa churchilliana (come piace a lui), e col cigno di fuori. Ma non ce la prendiamo solo coi politici: ecco le foto di Fabio Fazio fuori forma, Gerard Depardieu incapace di essere uno stupratore per il girovita eccessivo…Insomma, carissima ministra che parla di sé in terza persona, nel mefitico regno di Dagospia trionfano le pari opportunità di dileggio. Non le resta che indignarsi con altre testate.

Luca Telese per tpi.it il 14 luglio 2020. “Non mi è piaciuta quella foto. Ma soprattutto non mi sono piaciuti i titoli con cui sono stati accompagnati quegli scatti, soprattutto quelli di di un sito di informazione online…”. Lucia Azzolina è seccata, e non lo nasconde. Le sue foto in bikini blu, sulla spiaggia di Sperlonga sono appena rimbalzate dalle pagine di Diva e Donna (che le ha pubblicate per prima) alla rete, ai siti di informazione, e soprattutto a Dagospia, che prende gli scatti e li incarta alla sua maniera, con un titolo beffardo di quelli che chi è abituato a frequentare il sito conosce bene: “La ministra è in Bikini blu, smalto rosso, chiappone impiegatizio da lavoro sedentario”. E così il ministro della Pubblica istruzione decide di rispondere per le rime, prima con un intervento a In Onda, e poi con una riflessione più articolata, che raccolgo e riporto qui: “Io credo che non sia solo una questione personale. Non riguarda solo me. Si tratta di un certo modo sessista con cui sono sempre trattate le donne, il loro corpo, la loro dignità”. Domanda: “Ma perché c’è qualcosa di diverso dal modo in cui si trattano gli uomini?”. La Azzolina sorride: “Ma stiamo scherzando? Quando mai avete visto il titolo di questo tipo sul corpo di un uomo? Quando mai avete visto discettare, faccio una ipotesi, sul "culone" di un ministro?”. Provo a obiettare che in questi anni sono apparse molte foto, per esempio sulla pancia di Matteo Salvini o sul ministro dell’interno fotografato a letto. Ma il ministro dell’istruzione non ci sta e individua delle differenza tra i casi: “Intanto la metà di quelle foto sono dei selfie che lui stesso, o la sua compagna, scelgono o hanno scelto volontariamente di mostrare al pubblico. E poi – aggiunge la Azzolina – c’è una bella differenza fra pubblicare la foto di qualcuno al mare, magari con qualche filo di grasso in più, e il titolare invece sulla sua fisicità, su un presunto difetto, magari in modo volontariamente irrisorio”. Quindi lei è arrabbiata per questo tipo di titoli? La Azzolina sorride: “Ripeto. Non è una questione personale, è una vicenda che mi fa riflettere su certi meccanismi automatici del mondo della comunicazione, sul mondo in cui si raccontano le donne, e solo loro: quando vedrete le foto di un ministro uomo, o di un leader uomo, e quando leggerete sotto un titolo del tipo "il ministro trippone", allora si potrà dire che gli uomini sono trattati con lo stesso dubbio gusto con cui oggi sono trattate le donne”.

Domanda: “Ma il Movimento cinque stelle non è mai stato tenero con gli avversari. Un deputato pentastellato arrivò a dire a delle colleghe del Pd alla Camera: ‘Siete qui perché sono stati fatti troppi pochi pompini'”. La ministra è netta: “Fu una cosa terribile, e se lei scorre le mie dichiarazioni trova mie parole di condanna per tutte queste espressioni sessiste, e di solidarietà per tutte le colleghe colpite. Però…”. Peró? “Qui non si tratta dell’invettiva di un singolo. Io pongo il tema di come i giornali trattano le donne. Come dei media rappresentano e raccontano il corpo delle donne. Sono entrambi episodi gravi, ma molto diversi tra di loro”.

Pausa. “Ho l’impressione che dovrà passare molto tempo prima che i corpi degli uomini siamo trattati nelle stesso modo dei nostri”. Il ministro saluta, se ne va, ma guardandola si capisce subito che la sua battaglia culturale è appena iniziata.

Luca Sablone per ilgiornale.it il 14 luglio 2020. L'articolo pubblicato da Dagospia ha immediatamente scatenato la dura reazione del mondo del politically correct: Roberto D'Agostino pochi giorni fa ha postato sul proprio sito un articolo allegando delle foto ritraenti Lucia Azzolina in bikini mentre si stava godendo qualche ora di relax sulla spiaggia di Bazzano. Gli scatti del ministro dell'Istruzione portano la firma di un paparazzo di Diva e Donna, che è riuscito a intercettare la presenza della grillina al lido Il Pirata - nonostante ci fossero due guardie del corpo - con un elegante due pezzi blu, i capelli sciolti e lo smalto rosso fuoco, in compagnia di un libro e di una rivista. A far discutere sono state le parole utilizzate dal giornalista nei confronti della titolare del dicastero di Viale di Trastevere: "Chiappone impiegatizio da lavoro sedentario". Sulla questione è voluta intervenire Alessandra Maiorino, senatrice del Movimento 5 Stelle, che ha esplicitato il sostegno verso la Azzolina ribadendo il ripudio verso i duri appellativi scritti dall'opinionista: "Grazie a lui e a quelli come lui siamo diventati teledementi. Non gli è bastata la TV... Anche i giornali ci hanno invaso con la loro demenza". Pertanto come soluzione ha proposto di non visitare più i siti sgraditi, non cliccando i link e non condividendo le loro notizie: "Magicamente smetteranno di esistere e l'Italia diventerà un Paese migliore. Spegniamoli!". Peccato però che la pentastellata, la stessa che si è lamentata per le dure frasi del giornalista, abbia usato toni deplorevoli verso di lui. Una vera e propria dimostrazione di incoerenza: uno sfogo da showman per insultare Dago e per difendere la compagna 5S. La Maiorino sul suo profilo Facebook ha pubblicato un video pieno di offese e denigrazioni ai danni di D'Agostino: "Per sentirsi sicuro nel mondo si è dovuto mettere una maschera"; "Porta più anelli alle mani che dita"; "Ha una barbetta da capra amaltea"; "A vederlo sembra uno di quelli che ti leggono le carte per strade per 10 euro"; "Sembra un chiromante". Secondo la grillina, il giornalista sarebbe stato costretto a cambiare il proprio look per sentirsi sicuro e proteggersi poiché non si sentirebbe all'altezza del ruolo che ricopre: "Infatti non è un giornalista. Con questo aspetto...". Infine ha puntato il dito contro alcuni giornalisti, indicando loro come principali responsabili del decadimento totale dell'informazione e del sistema di comunicazione in Italia: "Questo è uno spacciatore di demenza seriale".

Giampiero Mughini per Dagospia il 14 luglio 2020. Caro Dago, premesso che la senatrice grillina Alessandra Maiorino ha tutto il diritto di pensare peste e corna di te e scriverlo e videotrasmetterlo eccetera, da cittadino della Repubblica io ho il diritto di chiedermi che razza di gente segga oggi nella Camera Alta del nostro Paese. E’ del tutto ovvio che la Maiorino non sa bene di che cosa stia parlando, tanto è vero che punta il dito accusatore sulla tua “barbetta” e sui tuoi “anelli” o magari su un episodio televisivo di cento anni fa (quando tra te e Vittorio Sgarbi accadde quel che purtroppo la Tv chiede e spera, una baruffa purchessia), robetta irrilevante a costruire qualsivoglia ragionamento. Non sta a me elogiare il tuo sito, la sua valenza a rompere i coglioni a chiunque e sempre, il tuo andirivieni tra l’alto e il basso, le tante puttane cui dai rilievo collocate dopo o prima i testi di alcuni scriventi non conformisti che se non ci fosse il tuo sito potrebbero vendere cipolle sott’olio a Porta Portese (quorum ego). Non sta a me elogiare il fatto che certe notizie di quelle che inducono a un sonno profondo (tipo quella di Di Maio che incontra Draghi e ne ricava “un’ottima impressione”) tu le offri in modo da farle diventare vivide. Non sta a me elogiare la tua biblioteca personale _ di cui ho un’esatta nozione _ e invitare la Maiorino a prenderne coscienza in modo da elevare alquanto il suo quoziente intellettuale. Il punto non è questo. Il punto è la marea infinita di stupidaggini da cui siamo sommersi, a ogni momento della nostra giornata di cittadini della Repubblica. Tra giornali di carta che purtroppo leggono in pochi, siti, blog, tweets, video tramessi sull’uno o sull’altro canale, a ciascun essere umano arrivano tonnellate di parole, chiacchiere, vaniloqui, rumori fatti con la bocca, esibizioni vanitose e raccapriccianti, eccetera eccetera. La mia idea è che per un cittadino della Repubblica dovrebbe bastare un’ora al giorno per occuparsi della politica del nostro Paese. La politica, quella di cui Borges confidava a Vargas Llosa che era “una forma del tedio”, un vacuo arrovellarsi sul nulla. Di certo non era così quando a Montecitorio sedeva Palmiro Togliatti, quello che assieme allo jugoslavo Tito era l’unico sopravvissuto fra i commensali di Stalin degli anni Trenta, ossia di quello che ha avuto la gloria di essere il più grande criminale della storia dell’umanità (Milovan Gilas dixit). A quel tempo la posta in gioco era alta e drammatica, con le rovine fumanti della Seconda guerra mondiale ancora calde. Oggi è diverso, e seppure la pandemia sia una minaccia micidiale per noi viventi. Solo che sulla politica e sulle tragedie di oggi non c’è moltissimo da dire, tre o quattro cose e non di più. Tre o quattro confini tra la verità e la bestialità, tre o quattro cautele, tre o quattro raccomandazioni a che nessuno si inventi la moltiplicazione dei pani e dei pesci. Un’ora al giorno, e non di più. Per il resto c’è l’arte, la bellezza, i romanzi, la storia dell’arte, il cinema, la danza, la pornografia, le storie a fumetti eccetera eccetera. Cara senatrice Maiorino, lei è pronta ad affrontare questi argomenti, questi e cruciali spazi della nostra anima?

Da tgcom24.mediaset.it il 14 luglio 2020. La scritta "Cerco te, se hai voglia di cambiare, contattami" e una foto con il décolleté in evidenza. Fa discutere il manifesto elettorale di Caterina Zilio, candidata al consiglio comunale di Laterza (Taranto) e coordinatrice cittadina dei dipartimenti di "Puglia Popolare". Il cartello "sexy", pubblicato dalla Zilio su Facebook, ha scatenato polemiche e reazioni sui social network con battute sessiste da parte degli uomini e aspre critiche soprattutto da parte del mondo femminile. Nel pomeriggio dell'1 luglio, Zilio - che lavora come operatrice socio sanitaria - ha postato su Facebook il manifesto politico che la ritrae in décolleté, accostata al logo di Puglia Popolare, con il messaggio "Cerco te! Se hai voglia di cambiare, contattami. Insieme si può" e in minuscolo il suo nome: Caterina. Nel post ha taggato Massimiliano Stellato, presidente provinciale del partito guidato dal senatore Massimo Cassano. "Personalmente - scrive una donna commentando il post della Zilio - penso che lei abbia fatto un manifesto elettorale sessista, una specie di autogol per se stessa e per tutte le donne che combattono quotidianamente per accedere a qualifiche decisionali per le loro capacità. L'immagine da lei scelta unita peraltro a un linguaggio in linea è sessista, si "autooggettifica", usa il richiamo sessuale in modo poco equivocabile per invitare a essere votata. Donne evitiamo di farci autogol”. "Preciso che Caterina Zilio, che da anni dedica la sua attenzione alle persone fragili con gravi disabilità, non ha concordato – ha fatto sapere tramite una nota Massimiliano Stellato, come riporta il Corriere Salentino – tale, forse migliorabile, strategia comunicativa né con il sottoscritto né con i referenti regionali del nostro movimento ma ritengo che una donna in politica debba essere valutata per il suo impegno e la sua dedizione e non per il suo décolleté".

Dagospia il 15 luglio 2020. Messaggio: Caro Dago, trovo grottesca l'indignazione dei grillini per il fatto che tu abbia definito le sacre terga del ministro (sono all'antica e scrivo al "maschile") Azzolina come «chiappone impiegatizio da lavoro sedentario». Eppure, il loro para-guru Beppe Grillo aveva definito la grandissima Rita Levi Montalcini come una «vecchia puttana» e l'altrettanto grande scienziata informatica Grace Murray Hopper come una «puttanaccia, vecchia, schifosa». [Il Gatto Giacomino]

Carmelo Caruso per il Giornale - articolo del 10 luglio 2019. Ferisce una donna la parola «sbruffoncella» o ci indigna ancora tutti «la vecchia p» che Beppe Grillo rivolse a Rita Levi Montalcini? Ed è sgradevolissimo essere costretti a ricordare l' oltraggio di Massimo Felice De Rosa, deputato del M5s, che, in aula, coprì le colleghe del Pd con questa sporcizia: «Siete qui perché brave solo a fare i pom». Convinto di trovare nel sessismo «il lato debole» di Matteo Salvini, il sottosegretario alle Pari Opportunità del M5s, Vincenzo Spadafora, ha rilasciato ieri a La Repubblica l' intervista più maldestra dell' estate, un vero sfogo da Tartufo: «Parole come quelle di Salvini hanno aperto la scia all' odio maschilista contro Carola». Ingiustificabili e intollerabili, va innanzitutto detto che gli insulti finora filmati e rivolti alla Rackete, appena sbarcata a Lampedusa, sono stati rivendicati da un uomo che si è prontamente dichiarato «elettore del M5s». Non si discute dunque l'urgenza di rispetto e di decoro nei confronti dell' altro sesso, ma va messa in discussione l' autorevolezza della cattedra. Lo scorso novembre, sul blog ufficiale del M5s, è stata infatti consentita la pubblicazione di ogni tipo di oscenità contro la deputata di Forza Italia, Matilde Siracusano, perché, scriveva un utente evidentemente sfuggito alla sensibilità di Spadafora, «senza offendere la categoria delle prostitute, c' è chi lo fa per soldi, ma questa p lo fa per lei». La colpa della Siracusano era di aver aspramente criticato il decreto anticorruzione a firma del M5s e aver alzato il tono in aula. Per i cecchini digitali del M5s avrebbe così «indirettamente gridato al mondo quanto desidera farsi sfon». A esercitarsi nel M5s in indecenza era stato per primo proprio Grillo che, in occasione delle Europee del 2014, lanciò la sua campagna elettorale paragonando le candidate avversarie a «quattro veline» «e la loro scelta è una presa per il culo ma tinta di rosa». In verità, Grillo, si era già distinto per garbo anche con le sue stesse donne. Di Federica Salsi, consigliera M5s di Bologna ed espulsa, disse che la televisione era «per lei il punto G». A Spadafora sarà evidentemente fuggito dai ricordi il referendum promosso intorno a Laura Boldrini, ancora una volta da Grillo, arbitro di maniere, e che ha favorito un concorso di ignobili risposte: «Cosa succederebbe se ti trovassi la Boldrini in macchina?». Alla domanda rispose Claudio Messora, ex capo della comunicazione del M5s: «Cara Laura anche se noi del blog fossimo dei potenziali stupratori tu non corri nessun rischio». Era lo stesso Messora che, in un post, rivelò che tipo di fantasie avesse: «Ho fatto una cosetta a tre con la Carfagna, la Gelmini e la Prestigiacomo». Per arginare minacce e sconcezze che prosperavano sul blog di Grillo, la vicepresidente della Camera, Mara Carfagna, è stata costretta, in passato, a rivolgersi alla magistratura. Ma le attenzioni di Grillo si sono concentrate anche a sinistra. Contro Maria Elena Boschi, il fondatore, lanciò l' hashtag #boschidovesei e per infiammare gli incappucciati condivise il commento «la Boschi è in tangenziale con la Pina», dove per Pina si intendeva l' altra deputata del Pd, Pina Picierno, mentre tangenziale era parola figurata. In questo speciale campionato ha giocato anche il senatore Nicola Morra che, agli attivisti, con relativa foto, chiese se la Boschi sarebbe stata ricordata più «per le forme o le riforme». Nel Lazio, il consigliere Davide Barillari ha pensato di fare opposizione a Zingaretti intimandogli di smettere di «fare la donniciola che piagnucola». E forse il commento più spiacevole rimane quello di una donna del M5s a Giorgia Meloni che quotidianamente è oggetto di odio trasversale. Si tratta di Roberta Lombardi del M5s che della Meloni, candidata e futura madre, disse: «Strumentalizza la gravidanza». Mai come oggi è quindi tanto indispensabile il testo di Filippo Maria Battaglia, Stai zitta e va' in cucina (Bollati Boringhieri). Racconta di quanto il maschilismo sia un ritardo italiano, un nodo autentico, e non lo sgambetto di Spadafora a Salvini. Ieri, è invece tornato a essere l' argomento per una zuffa fra soli uomini.

Dagospia il 14 luglio 2020. Riceviamo e pubblichiamo: Caro Dago, ormai non c’è nulla di più sessista dell’accusa di sessismo, usata da molte donne come piagnisteo a seconda dei casi e delle appartenne politiche, paradossalmente perfino da certe signore di destra che si scagliano contro il politicamente corretto salvo invocarlo a loro uso e consumo. Per esempio non si capisce perché Marco Travaglio che parla della lingua della Chirico (autrice del libercolo “Siamo tutti puttane”) sia sessista: la lingua ce l’hanno pure i maschi. Evidentemente la Chirico ritiene di avere una specifica lingua di femmina. Baci, senza lingua, Massimiliano Parente

Marco Travaglio, Gaia Tortora contro Selvaggia Lucarelli: "Signore inqualificabile, quello che fa è peggio del sessismo". Libero Quotidiano il 15 luglio 2020. Continua a far discutere la polemica tra Marco Travaglio e Annalisa Chirico, che si è estesa anche ad altri colleghi. In particolare sui social è andato in scena uno scambio di vedute tra Selvaggia Lucarelli e Gaia Tortora, con la prima che ovviamente si è schierata in difesa del direttore del Fatto Quotidiano. “Vorrei spiegare alla Chirico - ha scritto - che se uno ti dà della leccaculo, il senso è figurato e non occorre scomodare il sessismo per fare siparietti. A tal proposito ricordo il noto libro sessista di Travaglio, in cui i leccacelo per giunta erano quasi tutti uomini”. La Tortora ha replicato facendo notare che “il problema è insultare ogni giorno chiunque servendosi del giornale. Vale per tutti, uomini o donne”, ma pronta è arrivata la risposta della Lucarelli: “Gaia, però allora si scrive “sei stronzo”, senza scomodare il sessismo là dove non c’entra nulla. Le parole sono importanti. Per tutti però. Baci”. L’ultima parola è spettata alla Tortora: “Selvaggia perdonami ma il ‘signore’ che dirige il giornale su cui scrivi è totalmente inqualificabile. Ingiustificabile. E non spenderò altre parole. Infatti è peggio del sessismo. Abbraccio”. 

Marco Travaglio sponsorizza il brano del figlio Travis: "Se volete insultate me, ci sono abituato". Papà Travaglio ha deciso di fare uno strappo alla regola per promuovere il nuovo brano del pargolo Travs sui suoi social, invitando a non insultare il ragazzo ma a rivolgersi a lui, perché abituato e l'invito è stato accolto. Francesca Galici, Domenica 19/07/2020 su Il Giornale. Marco Travaglio è il direttore de Il Fatto Quotidiano, uno dei principali quotidiani nazionali ma è anche un padre. Raramente si è mostrato al pubblico in questa veste e l'ha fatto per promuovere la canzone di suo figlio Alessandro, in arte Travis. I figli si sa, so' piezz' 'e core e così l'indomito giornalista ha fatto uno strappo alla regola e ha deciso di condividere sul suo profilo Twitter il link al video del pargolo. "L'ho visto nascere. Intendo Alessandro, ma anche il suo nuovo brano "Londra". Siccome mi diverte moltissimo, faccio un'eccezione e lo condivido con voi. Chi vuole insultare, si rivolga a me che ci sono abituato. Grazie!", ha scritto Travaglio nelle vesti di padre orgoglioso. Non è la prima volta che Alessandro Travaglio cerca la fortuna in ambito musicale, anzi. Chi segue il mercato si ricorderà di lui per una polemica che l'ha investito poco più di un anno fa. A febbraio 2019 circolò la voce che fosse proprio del giovane travaglio, ora 24enne, la sigla del programma Rai "Popolo Sovrano", in onda sul secondo canale a conduzione di Andrea Sortino. Se da un lato Michele Anzalidi, della Commissione di Vigilanza Rai, aveva chiesto più attenzione per il possibile conflitto di interessi, dall'altra l'ex direttore di Rai2 si era difeso con una dichiarazione rilasciata all'Adnkronos. "Nessuna raccomandazione: Trava partecipa per il suo talento come gli altri rapper. Sono già sette i rapper, lui incluso, che stanno scrivendo un pezzo per "Popolo Sovrano", un programma dove sarà protagonista il primo articolo della Costituzione italiana", disse all'epoca Carlo Freccero. Trava altri non è che Alessandro Travaglio, che nel 2015 partecipò anche a Italia's Got Talent senza però ottenere il pass per la finale. Il pubblico lo conosce anche perché nel 2017 è stato complice de Le Iene per uno scherzo al padre. Il suo debutto assoluto, però, non è avvenuto come cantante ma come ballerino, con una comparsa nel videoclip Tranne te del rapper Fabri Fibra, senza che nessuno in quel momento sapesse realmente chi fosse suo padre. Oggi, Alessandro ha trasformato il suo pseudonimo da Trava in Travis, forse per non essere immediatamente riconduibile a quel genitore così ingombrante. Il suo pezzo cavalca la moda del momento ma le visualizzazioni non sono ancora rilevanti per il giovane Travaglio, che a 5 giorni dall'uscita del pezzo non ha raggiunto nemmeno 7000 views al video condiviso su YouTube. Diversi utenti hanno raccolto l'invito di Marco Travaglio e hanno detto la loro sul pezzo, non sempre positiva. "Diciamo le cose come sono. Non sei abituato solo a essere insultato ma anche a insultare", ha scritto un utente, uno dei meno ruvidi contro Travaglio.

Possibile che nessuno insegna l’educazione a quel cafone di Marco Travaglio? Il Corriere del Giorno il 12 Luglio 2020. Non è la prima volta e non sarà l’ultima manifestazione di arrogante volgarità. Travaglio infatti, in passato aveva già dato prova della sua spiccata cafonaggine lessicale scrivendo a suo tempo che la deputata Maria Elena Boschi era stata “trivellata dai pm”. Se “Striscia la Notizia” fa dell’ironia sul look di Giovanna Botteri, corrispondente della RAI dalla Cina, si scatena un vero e proprio putiferio, e insorge l’indignazione per il giornalismo sessista. Se invece lo fa Marco Travaglio in suo editoriale nessuno se ne accorge…! Sarà forse perchè il Fatto Quotidiano di giorno in giorno perde sempre più lettori? Il ventriloquo dei Cinquestelle e direttore del Fatto Quotidiano, in suo editoriale al veleno ha attaccato volgarmente una collega del quotidiano IL FOGLIO, la giornalista Annalisa Chirico scrivendo: “Il libro di Annalisa Chirico: ci vorrebbe la triade Salvini-Draghi-Renzi. Ma poi ci vorrebbero pure tre lingue come le sue per leccarli tutti e tre”. Ovviamente, non trattandosi di un programma televisivo di successo come Striscia o di una giornalista non “schierata” e sindacalizzata, nessuno ha detto nulla . Se qualcuno se n’è accorto, ha preferito tacere e fare finta di nulla. Non è la prima volta e non sarà l’ultima manifestazione di arrogante volgarità. Travaglio infatti, in passato aveva già dato prova della sua spiccata cafonaggine lessicale scrivendo a suo tempo che la deputata Maria Elena Boschi era stata “trivellata dai pm”. La “compagna” Boldrini o qualche sua emula grillina si è ben guardata dal difendere la nostra collega Annalisa Chirico così come non sono state difese quelle donne prima di lei , e quelle che verranno dopo . La volgarità di Travaglio in realtà stata è molto peggio di quel “patata bollente” che Vittorio Feltri rivolse a Virginia Raggi che costò a Feltri un vera e proprio processo mediatico. Ma come sempre quando c’è di mezzo qualche pennivendolo “sinistrorso” si applicano due pesi e due misure. Se una donna non è di sinistra la si può raffigurare come una cagna tenuta al guinzaglio come  è accaduto per la candidata leghista in Toscana, Susanna Ceccardi ad opera di un altro grande cafone con la tessera di giornalista in tasca e cioè il vignettista Vauro. Ma l’indignazione dei giornalisti del Fatto è tutta rivolta al figlio di Selvaggia Lucarelli al quale, poverino…. avevano chiesto i documenti. Ci mancava solo che lo facessero parlare un dissidente di Hong Kong…o per una “vittima” come l’attivista “no-global” Carlo Giuliani fatto passare una vittima dopo che questi aver cercato di colpire nel 2001 in occasione del G8 che si tenne a Genova, un carabiniere, arrivando a cercando di distruggere una camionetta dei Carabinieri , rimettendoci la vita per una fatale tragedia. Non c’è quindi da meravigliarsi quando Marco Travaglio viene condannato dal Tribunale di Firenze a risarcire con 50mila euro nella causa intentata dalla famiglia Renzi: “Le parole pronunciate dal giornalista hanno connotazioni oggettivamente negative, alludendo le stesse ad un contesto di malaffare e ad un intreccio di interessi privati, economici e politici ad elevati livelli. Nel suo insieme e nel suo impianto, l’intervento del giornalista è demolitivo nei confronti dell’attore e di suo figlio, sul fronte etico, politico e della dignità personale“. Qualcuno si meraviglia ancora?

Dagospia il 12 luglio 2020. Riceviamo e pubblichiamo: Caro Roberto, nel silenzio delle pseudofemministe finalmente qualcuno scopre il velo sulla truce attenzione che Marco Travaglio riserva alla lingua di certe donne e, in particolare, alla mia. Nel suo editoriale, ha la gentilezza di scrivere: “Il libro di Annalisa Chirico: ci vorrebbe la triade Salvini-Draghi-Renzi. Ma poi ci vorrebbero pure tre lingue come le sue per leccarli tutti e tre”. Il corpo "oggettificato", come direbbero le Murge d’Italia. E’ a dir poco mortificante doversi schermire da simili attacchi, la lingua, le lingue, chissà come avrebbero reagito le amiche del karaoke se il loro renatozero preferito, Travaglio appunto, le avesse apostrofate come ha fatto con me. Posto che ogni donna ha il diritto di fare l’uso che vuole della propria lingua, nel caso di specie la "triade Salvini Draghi Renzi" è una tesi giornalistica e politica, la mia: la si può contestare nel merito ma perché volgarizzarla con l’ennesimo volgarissimo insulto sessista? Si sopravvive anche a questo, per carità, ma il silenzio attorno, quello sì che fa rumore. Annalisa Chirico

Da liberoquotidiano.it il 19 luglio 2020. Un duro botta e risposta tra Andrea Scanzi e Annalisa Chirico. Il primo, accecato dall'odio nei confronti di Matteo Salvini, se la prende con la firma del Foglio superando ogni limite. "Se voglio parlare di cose serie - esordisce il giornalista del Fatto Quotidiano - parlo con Telese e Parenzo, non con lei". Una frase che fa ridere i due conduttori, non la Chirico che comunque evita la polemica e torna a parlare di politica: "Lei vuole solo far vedere che è l'ennesimo maschilista, io glielo lascio fare". E ancora, Scanzi senza ritegno: "Tu sei a Capri che te la godi e io sono qua che parlo con gli spettatori". Immediata la risata in studio dei conduttori che non si smentiscono. D'altronde durante tutta la puntata Telese e Parenzo non hanno saputo far altro che interrompere la Chirico "accusandola" di non far parlare Scanzi, quando in realtà quello della firma del Fatto non è stato altro che un monologo.

Fascismo. E’ l’acqua in cui sguazzano la sora Meloni e i suoi Fratelli d’Italia. Alessandro Robecchi su Il Fatto Quotidiano l'8 luglio 2020. Altro giro, altra corsa, altro esponente di Fratelli d’Italia che inneggia al Ventennio, altre polemiche, altre gustose minimizzazioni, altri articoli sui giornali, sui siti, altri appelli, pensosi corsivi e sacrosante prese per il culo. La questione Meloni-nostalgici fascisti si configura ormai come la storiella del criceto e della ruota: non passa giorno che non ci sia un caso di apologia del fascismo ad opera di qualche fratellino d’Italia (o lista collegata), e la competizione più entusiasmante all’interno del partito è aperta: si vedrà a fine campionato se la corrente maggioritaria sarà quella di chi si veste da SS o quella degli arrestati per ‘ndrangheta, una bella gara. Si è detto in lungo e in largo del consigliere comunale di Nimis (Udine) vestito da nazista, tal Gabrio Vaccarin, che nessuno aveva mai sentito nominare finché non hanno cominciato a girare foto in cui compare impettito davanti a un ritratto di Hitler, agghindato come per dirigere un campo di sterminio, croce di ferro inclusa. Meno scalpore, per distrazione dei media, ha fatto il manifesto elettorale di tal Gimmi Cangiano, candidato in Campania per la sora Meloni, che non solo ha messo lo slogan “Me ne frego” sui suoi cartelloni elettorali, ma ci ha pure scritto sotto: “La più alta espressione di libertà”. Non fa una piega, quanto a espressione di libertà. Certo, poteva scegliere altri slogan, per esempio “Cago sul marciapiede”, che anche quella, ammetterete, è un’alta espressione di libertà, come anche “Taglio le gomme alle macchine in sosta”, o “Butto in mare l’olio esausto della mia fabbrichetta”, che sottolinea l’insofferenza del cittadino martoriato dalla burocrazia e dalle costrizioni della legge. Mi fermo qui con gli esempi perché per correttezza giornalistica dovrei elencare anche le difese puntuali e articolate che ogni volta gli esponenti di FdI devono inventarsi per giustificare o minimizzare: una volta “non è iscritto”, un’altra volta “è una ragazzata”, oppure “è stata una leggerezza” o ancora “era carnevale”. Insomma, per dirla con la lingua loro, otto milioni di piroette per allontanare da sé i sospetti di fascismo, preoccupazione un po’ inutile visto che tre indizi fanno una prova, dieci indizi fanno una certezza e dopo cento indizi dovrebbero intervenire i partigiani del Cln con lo schioppo. Ma sia: per farsi perdonare ed allontanare i sospetti, la Meloni candida alla presidenza della regione Marche un suo deputato, tal Francesco Acquaroli, noto alle cronache soprattutto per una cena celebrativa della marcia su Roma (Acquasanta Terme, 28 ottobre 2019). Sul menu, accanto al timballo e allo spallino di vitello al tartufo campeggiavano nell’ordine: un fascio littorio, un’aquila con la scritta “Per l’onore dell’Italia”, il motto “Dio, patria e famiglia”, una foto del duce volitivo e machissimo con la frase “Camminare, costruire e se necessario combattere e vincere”. Si vede che non era necessario, perché persero malamente e il celebrato Mascellone camminava sì, ma verso la Svizzera vestito da soldato tedesco, bella figura. Fa bene Gad Lerner (su questo giornale) a chiedere alla sora Meloni di dissociarsi una volta per tutte dalla retorica fascista dei suoi eletti e dei suoi militanti, ma dubito che succederà: quella retorica, un po’ grottesca e molto ignorante, risibile e feroce, è l’acqua in cui nuota Fratelli d’Italia, gli slogan fascisti e i vestiti da gerarchi sono il plancton di cui si nutre, e non si è mai visto un pesce svuotarsi l’acquario da solo. Bisognerebbe aiutarlo come l’altra volta, settantantacinque anni fa.

Travaglio e gli attacchi del Fatto Quotidiano a Meloni e Gori. Silvia Fregolent su Il Riformista l'11 Luglio 2020. In un articolo del Fatto quotidiano, Alessandro Robecchi, parlando della leader dei Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, ha scritto contro di lei che «dovrebbero intervenire i partigiani del Cnl con lo schioppo». E ancora: «Non si è mai visto un pesce svuotarsi l’acquario da solo, bisognerebbe aiutarlo come l’altra volta, 75 anni fa». Ci sono limiti che un giornalista, nel raccontare i fatti e commentarli, non dovrebbe mai superare. Spero che il direttore del Fatto Quotidiano, Marco Travaglio, si prenda le sue responsabilità, riconoscendo il suo errore e non rilanciando la polemica, spiegandoci magari che non abbiamo capito il suo articolo o trincerandosi dietro il diritto d’opinione. Viviamo giorni terribili, caratterizzati da una gravissima crisi economica e sociale. Molti italiani hanno pianto i loro morti e tutti noi dovremmo promuovere un’azione di pacificazione nei confronti del Paese. Soprattutto chi ha l’onore e la responsabilità di dirigere un giornale: la libertà di espressione e di parola è un diritto universale ma deve tener conto, sempre e comunque, del rispetto e della dignità delle persone. Invocare un tiro di fucile e di schioppo a un esponente politico, e quindi conseguentemente invitare qualcuno a farlo, non è qualcosa di diverso rispetto a quel fascismo che si vorrebbe stigmatizzare. Perché i fascisti, quelli veri, gli avversari politici li hanno uccisi davvero e incitavano i propri militanti a farlo. Io e Giorgia Meloni proveniamo da realtà e da esperienze politiche differenti e abbiamo idee spesso opposte su molte tematiche. So però che 75 anni fa, molti hanno lottato e sacrificato la propria vita affinché ognuno di noi potesse esprimere liberamente, oggi ed in questo Paese, le proprie idee; senza dover temere né olio di ricino né un tiro di schioppo. Un giornalista che dimentica questo rinnega la storia e la cultura antifascista e repubblicana della nazione e della Costituzione. Ogni forma di violenza, anche verbale, va stigmatizzata, e non posso non ricordare che lo stesso quotidiano che ha augurato la morte di un politico, solo pochi giorni fa storpiava il nome di un sindaco, in prima linea con i suoi possibili limiti ma con il suo coraggio contro l’epidemia. Si può legittimamente criticare l’operato di un amministratore senza concedere alcuna attenuante. Scherzare su “Giorgio Covid”, però, non significa soltanto condannare vigliaccamente, e da dietro un computer, chi ha tentato di contrastare il virus dove il virus uccideva, ma vuol dire calpestare la dignità di migliaia di vittime, rinnovare il dolore dei parenti e alimentare rabbia e rancore di un territorio ferito e smarrito. A Giorgio Gori e a Giorgia Meloni non va soltanto la mia solidarietà, ma quella di tutte le persone che vorrebbero cambiare in meglio questo Paese.

Odio del "Fatto" Fdi si appella all'Ordine dei giornalisti. Eppure c'è ancora qualcuno che li chiama giornalisti progressisti. Sebbene approvino, nel loro giornale filogovernativo, la pubblicazione di un commento grondante di odio contro l'avversario politico. Fabrizio Boschi, Venerdì 10/07/2020 su Il Giornale.  Eppure c'è ancora qualcuno che li chiama giornalisti progressisti. Sebbene approvino, nel loro giornale filogovernativo, la pubblicazione di un commento grondante di odio contro l'avversario politico. Quel «dovrebbero intervenire i partigiani del Cnl con lo schioppo», vergato da Alessandro Robecchi sulle colonne del Fatto Quotidiano, ha scatenato un tumulto mediatico. Secondo questa fine penna, i neo-partigiani dovrebbero sparare contro gli esponenti di Fratelli d'Italia. E Giorgia Meloni che diventa la «sora Meloni» fa sorridere in confronto al resto. «Indicare gli obiettivi da colpire nei capi della opposizione con lo stesso linguaggio che utilizzavano le Br è gravissimo», scrive su Twitter il senatore di Fratelli d'Italia, Adolfo Urso. Ma c'è di peggio. «Non si è mai visto un pesce svuotarsi l'acquario da solo, bisognerebbe aiutarlo come l'altra volta, settantacinque anni fa», si legge in chiusura dell'articolo. La diretta interessata stavolta non lascia correre, ed oltre a chiedere chiarimenti all'Odg, chiede a Travaglio «se consideri normale che si scriva che bisognerebbe sparare addosso agli esponenti di Fratelli d'Italia. È o non è questa istigazione all'odio e alla violenza? Pretendo su questo una parola chiara, perché c'è un limite che non si può superare, e voi l'avete superato». E se pure la sinistra si è indignata e ha espresso solidarietà alla Meloni, allora davvero vuol dire che Travaglio e Company stavolta l'hanno veramente fatta fuori dal vaso. «Per essere profondamente democratici bisogna essere contro qualsiasi istigazione alla violenza», il pensiero di Emanuele Fiano del Pd. «Chi fa informazione ha una responsabilità pubblica che non può sottovalutare. L'istigazione all'odio è sempre sbagliato, ma quando proviene da un giornale diventa pericoloso», dice Maria Elena Boschi, presidente dei deputati di Italia Viva. «La considero una cosa indegna e pericolosa», la condanna di Carlo Calenda. E pensare che Travaglio si spaccia pure per l'erede di Montanelli. Questo fa davvero rabbrividire.

Quando Di Battista voleva il sangue di Berlusconi. Deborah Bergamini su Il Riformista il 2 Luglio 2020. «La storia è la memoria di un popolo, e senza una memoria, l’uomo è ridotto al rango di animale inferiore”, disse Malcolm X. Ebbene rinfrescarla è un dovere per contrastare chi la Storia vorrebbe ribaltarla». Queste sono le premesse con cui il passionario grillino, Alessandro Di Battista, introduce una serie di accuse infamanti ai danni di Silvio Berlusconi. Non entrerò nel merito delle accuse a Berlusconi perché non spetta a me né a Di Battista il ruolo di giudice del popolo. Ciò che però occorre ricordare, per contestualizzare al meglio le parole di Di Battista, è ricordare una vicenda che riguarda direttamente il grillino e che fino ad oggi non era mai venuta alla luce. Era il 9 novembre 2011 e di lì a poco Berlusconi si sarebbe dimesso. L’Italia era sotto l’attacco della finanza internazionale nonostante i fondamentali dell’economia fossero migliori di oggi, lo spread era alle stelle, e Mario Monti veniva nominato senatore a vita. In quel periodo il grillino Di Battista viaggiava per il Sud America occupandosi dell’impatto sulla popolazione dei progetti Enel in Cile e Guatemala e sempre nel 2011 iniziava a collaborare con il blog di Grillo. Alle 21:10 del 9 novembre 2011, una signora di nome Eva Aymerich Mas, scrive sul profilo Facebook del pentastellato: «Alessandro, se va Berlusconi!!!!!» (Alessandro, se ne va Berlusconi!!!). La risposta che Di Battista dà alla signora Eva di lì a poco è agghiacciante: «si pero el problema es el sistema…se habla de amato, viejo ladron hijo de puta que pagava craxi con la plata de berlusconi! estamos jodidos… la sangre es la solucion!» (Sì ma il problema è il sistema…si parla di Amato, vecchio ladrone figlio di puttana che pagava Craxi con i soldi di Berlusconi! Siamo fregati…il SANGUE è la soluzione!). “Il sangue è la soluzione” per il grillino. E se grazie al cielo non si sono registrati versamenti di sangue nel nostro Paese, viene da chiedersi cosa fosse disposto a fare l’esponente del Movimento per far arrivare i 5 Stelle al potere. Chi pensa che il sangue sia la soluzione non dovrebbe avere problemi a considerare come una soluzione più che legittima il sostegno economico di dittature straniere o il supporto tecnologico e logistico di altri Stati. Il Di Battista che ieri inneggiava al sangue è lo stesso che oggi accosta Berlusconi a Cosa Nostra senza menzionare che i governi presieduti dal presidente di Forza Italia ottennero risultati strepitosi nella lotta alla mafia. Dal 2008 al 2011 vennero arrestati mediamente 8 mafiosi al giorno (un record), vennero presi quasi tutti i superlatitanti e vennero sequestrati e confiscati beni per oltre 25 miliardi di euro. Il successo di Berlusconi nella lotta alla mafia fu così evidente che nel 2012 il procuratore nazionale antimafia, Pietro Grasso, dichiarò pubblicamente (ci sono le registrazioni) che il governo Berlusconi meritava “un premio speciale” per la lotta alla criminalità organizzata. Ecco: oggi che la vicenda dell’esclusione politica per via giudiziaria di Berlusconi emerge in tutta la sua forza, le parole di Di Battista sull’importanza della storia sono un monito per tutti quegli italiani che hanno sempre saputo quale ingiustizia si fosse consumata ai danni di Berlusconi, ma ancora di più ai danni della democrazia italiana. Malcom X aveva ragione: «La storia è la memoria di un popolo, e senza una memoria, l’uomo è ridotto al rango di animale inferiore». E Il Riformista continuerà a battersi per far sì che la verità storica, politica e giudiziaria venga alla luce.

Riflessione sull’articolo “Quando Di Battista voleva il sangue di Berlusconi”. Dario Fumagalli, Legale specializzato in data protection e privacy, su Il Riformista il 4 Luglio 2020. Ho letto con estremo interesse l’articolo di Deborah Bergamini, pubblicato su questo giornale il 2 luglio 2020, intitolato “Quando Di Battista voleva il sangue di Berlusconi” trovando al suo interno spunti di riflessione notevoli, che vorrei condividere con l’autrice e con ogni lettore. Il nucleo argomentativo dell’articolo ruota attorno ad alcune esternazioni più che censurabili pubblicate nel 2011 da Alessandro Di Battista, in risposta ad un commento postato sul suo profilo FB da una follower. Parole che evocano violenza e che, oggi, sarebbero certamente catalogate come “hate speech”. Mi preme qui una riflessione estemporanea, non diretta all’articolo richiamato. Terrei a sottolineare che a mio parere la violenza, ogni tipo di violenza, è inaccettabile. Già, perché spesso si condanna quella consistente in atti di forza bruta, che però non è l’unica. La differenza, usualmente, è che la violenza bruta è l’arma (pessima e inutile) che resta in mano ai disgraziati, mentre i “primi”, volendo, si possono giovare di mezzi più raffinati per perpetrare abusi. Ecco, sarebbe bene sviluppare radar dello stigma che captassero entrambe le forme allo stesso modo, onde evitare di trasformare la nobilissima guerra culturale alla violenza in una guerra politica contro i disperati. Chiusa la parentesi sulla violenza e (s)qualificate le parole oggetto della disputa, ciò che mi ha indotto a scrivere queste righe è l’aver intravisto, pur con le mastodontiche differenze del caso, un filo rosso tra questa vicenda e quella relativa alla statua di Montanelli. Ciò mi induce a porre, all’autrice e a chiunque abbia interesse a partecipare al dibattito, alcune obiezioni. Vero è che la storia, quella collettiva come quella individuale, non deve e non può essere cancellata, perché ha sempre qualcosa di utile da dire sui suoi protagonisti. Tuttavia, è davvero utile questo genere di attribuzione? Mi chiedo, ad esempio, se l’Alessandro Di Battista che, nel 2011, rispondeva ad un commento su Facebook, si percepisse come personaggio pubblico e/o politico o no. Mi domando dove fosse e cosa gli fosse appena successo, che persone avesse visto. Sarei curioso di sapere cosa ancora non avesse ancora vissuto, quali riflessioni e letture non avesse ancora fatto, quanti anni meno e quanti ormoni in più gravassero sui suoi pensieri. Mi chiedo che percezione avesse, nel 2011, della dimensione del fenomeno Social e delle sue implicazioni. Sintetizzando, mi domando se davvero queste sue parole siano utili a inquadrarne il profilo politico attuale, a indovinarne le intenzioni, a comprendere la sua visione del mondo. Si potrebbe parlare del fatto che le “persone” non sono entità statiche, che evolvono nel tempo e non è quindi sempre pertinente attribuire posizioni datate a qualcuno nel presente. Vero, ma sarebbe discorso stranoto. Piuttosto, allora, mi assumo il rischio di aprire una parentesi ben più complessa, che ha a che fare con la complessità della “persona” in sé, non con la sua evoluzione storica. Al di fuori di ogni banalizzazione o ipocrisia, chi potrebbe infatti affermare di non indossare una maschera? Maschera che, in controtendenza alla vulgata psicologica, mi sento di non considerare necessariamente un male. Siamo esseri sociali, in grado per questo di filtrare le nostre pulsioni spontanee sulla base di ciò che riteniamo possa essere ritenuto tollerabile dalla società (nella quale riteniamo vantaggioso condurre la nostra vita). Certo, a volte questo fenomeno è causa di traumi e psicosi e va per questo contrastato, ma entro certi limiti è una protezione di cui l’evoluzione ci ha dotato. Siamo perfino dotati di “neuroni-specchio” che ci fanno soffrire quando vediamo soffrire il prossimo, così che sia la biologia stessa a imporci di modulare il nostro comportamento sulla base, anche, dei sentimenti altrui. Dunque, pur se più o meno celate, tutti noi siamo attraversati da emozioni. Ma sono queste reprensibili, finché restano solo tali? Sono “perseguibili” finchè restano (salvo gaffe) confinate nel nostro spazio privato, sia esso la nostra interiorità o un perimetro sicuro, ad esempio coincidente con affetti in grado di cogliere l’ironia o lo sfogo nelle nostre parole e non prenderle sul serio? Lo sono, finché non costituiscono la base valoriale e ideologica sulla quale fondiamo il nostro approccio al mondo e non definiscono le nostre condotte sociali (ad esempio in politica o sul luogo di lavoro)? La persona equilibrata, infatti, è ben lungi dal non sperimentarle. L’individuo “normale” sperimenta eccome lampi d’ira, di superficialità e di insensibilità La persona “normale” può essere vittima di retaggi, di ignoranza, di debolezze. Tuttavia ma li riconosce, si supera e (o) li filtra con la coscienza e con la ragione ed evita che condizionino i suoi pensieri più strutturati o, tanto più, le sue condotte. Questo “filtro” è ciò che fa di taluni uomini e donne virtuosi, non una presunta “verginità” morale. Artificiose negazioni rischiano, invece, di generare inutili frustrazioni e distrarci da ciò che davvero abbiamo diritto e dovere di valutare, soprattutto in chi gestisce il potere, a maggior ragione se politico e a maggior ragione in ordinamenti democratici: la visione del mondo, le condotte, le scelte. Non bisognerebbe dunque chiedersi se Alessandro Di Battista abbia realmente pronunciato quelle parole o quanto tempo fa, ma se – alla luce di quanto sappiamo in generale di Di Battista – sia verosimile ritenere quelle parole uno specchio della sua visione del mondo o se siano spia di qualche concezione posta alla base delle sue condotte politiche e sociali. Se non è così, il fatto che possa, ogni tanto, sbottare con espressioni violente, non fa notizia. Certo, se le stesse parole fossero state pronunciate in Parlamento o durante un comizio, oppure scritte in un libro, sarebbe diverso. Lo sarebbe perché riuscirebbe più complicato supporre che siano frutto di un lampo di inconscio sfuggito al controllo. Ma c’è di più, di cui ragionare. Dal momento che le parole di cui si discute sono contenute in un commento su Facebook, qui si innesta una riflessione ulteriore circa la rivoluzione tecnologica che ci ha colti tutti, psicologicamente, impreparati. I social network e internet in generale, uniti agli smart devices, infatti, mandano in crisi (e in soffitta) tutti i paradigmi sulla base dei quali il nostro cervello si è evoluto per milioni di anni. Commentare con una frase violenta in un momento di stizza o enfasi sulla propria pagina Facebook, infatti, è tanto semplice quanto sbottare a tavola guardando il telegiornale ma, soprattutto se si è personaggi esposti (o lo si diventa dopo), ha le stesse conseguenze che avrebbe se accadesse in un comizio pubblico. Sui social, tramite smartphone, non siamo ostacolati da barriere temporali che obbligano a riflettere, come accade per le pubblicazioni classiche. Nel postare si è magari soli, si ha magari la convinzione di essere letti da pochi o nessuno, si agisce nell’immediatezza del fatto che ci ha magari reso nervosi, frustrati, esaltati. Certo, lucidamente tutto ciò ci è noto, ma è ormai consolidato nelle scienze cognitive che, in tempi ristretti, agiamo per automatismi. Ovvio, c’è chi se ne approfitta, ma questo non cancella la realtà descritta. A tutti noi è capitato di pentirci amaramente di qualcosa pubblicato su internet (ma anche in una chat privata) sapendo che quella cosa, purtroppo, potrà teoricamente essere vista da chiunque e per sempre. Nella realtà analogica esistono, invece, circostanze che agiscono sul nostro pensiero razionale o inconscio, le quali fanno da barriera. Nessuno, ad esempio, se ne uscirebbe mai con esternazioni violente o con complimenti troppo diretti verso qualcuno nell’audience durante una lezione universitaria, un discorso in parlamento o scrivendo un libro, nemmeno per superficialità. C’è chi lo fa, ma si tratta spesso di persone lucidamente persuase delle proprie posizioni sessiste, violente, razziste e via dicendo. In questi casi, non c’è dubbio che si tratti di persone censurabili e inadatte, ad esempio, a ricoprire cariche politiche in un mondo nel quale, per fortuna, si diffonde sempre di più una sensibilità egualitaria e anti-discriminatoria. Il non farlo non è (nella maggior parte dei casi) ipocrisia. Non è (sempre), come sostengono le varie propaggini estremiste di ogni -ismo possibile e immaginabile, una forma astuta di occultamento delle proprie idee retrograde. Invece, spesso, è salute. Si tratta cioè del filtro, sano, che si attiva e che ci impone, quando qualcosa ci attraversa la mente solo per rabbia, umorismo, o condizionamento sociale, di tenercela per noi laddove possa far soffrire qualcuno e danneggiare così il prossimo e noi stessi. Infischiarsene ed attaccare chi si dimostra, complessivamente, una persona equilibrata e sensibile solo perché qualche volta questo filtro non funziona, ha come risultato quello (nefasto) di selezionare non le persone migliori, ma quelle più capaci di giocare al gioco ipocrita dell’ostentazione di sentimenti finti e dell’insabbiamento, magari, di condotte reprensibilissime ed autenticamente radicate. Spesso, chi lo fa, non agisce in nome di nobili principi, ma della rabbia più cieca (magari anche giustificata da esperienze personali traumatiche). Ma la collettività deve difendere ciò che è utile a costruire un mondo migliore, non ciò che è funzionale a lenire la fame di vendetta di qualcuno. L’ambiente online poi, dicevamo, è un catalizzatore eccezionale di questi fenomeni, sia perchè ci “inganna”, come detto sopra, sia perché si presta a fissare in memoria “atomi” di pensieri ed emozione, rendendoli pubblici ed eterni. Ma, non potendo né volendo abbandonare la tecnologia alla quale ci stiamo abituando, dobbiamo imparare a interpretare i fenomeni che da essa scaturiscono con buon senso. Nel caso di specie, occorre domandarsi se sia davvero utile utilizzare, per qualificare politicamente qualcuno, scampoli di inconscio o di leggerezza che emergono, più facilmente di un tempo, grazie alle nuove tecnologie o se sia meglio coltivare, anche nell’opinione pubblica, il senso critico necessario a indovinare quando davvero qualcuno sia politicamente “pericoloso”, scansando ogni assolutismo etico puramente illusorio, al quale le masse invece tendono naturalmente. Diversamente, rischieremo di trasformarci tutti in psicopolizia orwelliana, generando e/o selezionando mostri a causa della repressione incontrollata della nostra stessa umanità.

L’odio è democratico se s’abbatte su Salvini. Antonio Rapisarda, 30 giugno 2020 su Nicolaporro.it. Assembrarsi in piena zona rossa solo per evitare a un leader politico, con la violenza e la prepotenza, di poter esplicare un diritto fondamentale in una realtà delicata dove l’assenza endemica delle istituzioni ufficiali grava da tempo sulle spalle dei “penultimi”: gli italiani. Per difendere almeno gli ultimi? Ossia gli immigrati, sfruttati dalla camorra e dai caporali? No, come mera prova di forza antifascista condita da meridionalismo a buon mercato. È quello che è avvenuto ieri a Mondragone, la cittadina nel casertano al centro della crisi del contagio da Covid-19 a causa di un focolaio scoppiato in un’enclave – gli ex palazzi Cirio – abitata da rom e immigrati bulgari e sottratta da anni ad ogni controllo. Sul luogo, chiamato da tantissimi residenti esasperati (lo dimostrano i lenzuoli appesi sui balconi del paese che da giorni invocano «Salvini metti ordine»), è arrivato l’ex ministro dell’Interno e leader della Lega. L’accoglienza? Da una parte i suoi sostenitori e diversi cittadini di Mondragone (indicativa l’immagine di un ragazzo che spiega all’ex ministro di non riuscire più a vivere perché abitante proprio nei pressi dei palazzi “ex Cirio”) che aspettavano di poter accendere i riflettori grazie a un politico attento a questi temi. Dall’altra chi? I soliti centri sociali, diversi provenienti direttamente da Napoli, che hanno inscenato una protesta così vibrante e muscolare (con lanci di bottiglie, scontri con la polizia e caccia al giornalista) da riuscire a bloccare il comizio di Matteo Salvini. L’accusa? Sempre la stessa: «sciacallo», «soffia sui problemi», «razzista». La soluzione? Nessuna, a parte la sardinata «Mondragone non si Lega». Altro che camorra, degrado, abbandono del territorio da parte delle istituzioni. Non una parola su Vincenzo De Luca, che dopo mesi a minacciare il “lanciafiamme” per i runner, continua a non essere tempestivo quando è costretto ad uscire dai social per incontrare la realtà. Il problema, per i centri sociali e Potere al Popolo, è solo “limitare” l’incontro dei mondragonesi con Salvini e quindi la democrazia di prossimità: proprio quella dove quella stessa sinistra è totalmente e colpevolmente scomparsa. Da notare, poi, non solo la facilità e l’impunità con cui si impedisce l’esercizio di un diritto democratico come un comizio, ma la mancata reazione da parte delle forze politiche che si stracciano le vesti contro l’odio sui social o il diffondersi del clima di intolleranza in Italia. E quello che va in scena di piazza in piazza contro Salvini che cos’è se non odio scientificamente riproposto col solo scopo di creare scompiglio? Stesso discorso – cambiando scenario ma non sostanza – è quello che è avvenuto nei confronti di Susanna Ceccardi, la candidata governatrice della Toscana che è stata apostrofata dallo sfidante del Pd Eugenio Giani come una sorta di animale «al guinzaglio di Salvini». Un’uscita misogina, sessista, densa di pregiudizio e di odio politico. Anche qui, a parte una timida presa di distanza di Laura Boldrini, non vi è stata alcuna voce a sinistra che si è espressa a difesa della dignità della donna. Vale lo stesso principio adottato nei confronti di Salvini: se è contro la Lega il sessismo non è “peccato civile”. E l’odio stesso diventa “democratico”, un apostrofo rosa… Antonio Rapisarda, 30 giugno 2020

"Al guinzaglio di Salvini". Vauro e la vignetta contro la Ceccardi. Il noto vignettista ha disegnato la candidata leghista per il centrodestra come un cane al guinzaglio di Matteo Salvini. Alberto Giorgi, Lunedì 29/06/2020 su Il Giornale. "Al guinzaglio? Salvini difende la Ceccardi: Azzardatevi a ripeterlo e la sciolgo", "Ghrr", "Ghrrr". Così Vauro Senesi ha pensato bene di scherzare sulla candidata leghista per il centrodestra in Toscana, raffigurando il segretario del Carroccio Matteo Salvini impegnato a tenere al guinzaglio, con due mani, una figura che non compare, ma che richiama ovviamente la presenza di un cane, ironizzando così sul fatto che Susanna Ceccardi sarebbe al guinzaglio dell’ex titolare del Viminale. Nelle scorse ore si era scagliato contro l’europarlamentare della Lega, ex sindaco di Cascina (in provincia di Pisa) il candidato governatore del Partito Democratico; Eugenio Giani, infatti, ha dichiarato: "Il mio vero avversario è Salvini, che si porta dietro al guinzaglio una candidata". La diretta interessata ha replicato a stretto giro: "Non voglio fare la vittima, una certa sinistra griderebbe allo scandalo se un nostro esponente dicesse a una donna dello schieramento avversario che è buona soltanto a stare al guinzaglio come una cagna: si leverebbero le grida di indignazione a livello internazionale". "Non accetto lezioni da un partito fondato sul culto del maschio forte al comando che svilisce i propri candidati utilizzandoli per fini che non hanno niente a che vedere con i temi politici e amministrativi che interessano la Toscana", la contro risposta polemica di Giani, che ha voluto pure rincarare la dose. Ecco, oggi l’affondo del vignettista, con un disegno creato per Left. "Che vergogna. La solita ipocrisia di una certa sinistra che si permette di denigrare e insultare chi non la pensa come loro. Al disprezzo del Pd e all’odio da centro sociale rispondiamo con cuore, idee e coraggio. Forza Susanna Ceccardi!", il commento odierno alla vignetta da parte di Matteo Salvini, che ha colto tutta l’ipocrisia di Vauro. A parti invertite, come sottolineato dalla stessa Ceccardi, la sinistra urlerebbe allo scandalo. In questo caso, invece, da sinistra non si sono levate voci di dissenso e di denuncia…Nella fila del centrodestra ha invece preso posizione in modo netto e deciso l’azzurra Mara Carfagna: "In campagna elettorale tutto è lecito? No. Non si può mancare di rispetto e dare libero sfogo a un linguaggio pieno di disprezzo e misoginia. Eugenio Giani che definisce Susanna Ceccardi una candidata al guinzaglio di Salvini, qualifica più lui che la sua avversaria". Ceccardi è chiamata a compiere un’imprese nella regione rossa per eccellenza dello Stivale, insieme all’Emilia Romagna: si voterà il 20-21 settembre e il centrodestra punta al colpaccio che potrebbe dare la spallata al Conte-Bis.

I soliti odiatori. Andrea Indini l'11 febbraio 2020 su Il Giornale. Ci risiamo. Come da copione. Mentre l’Italia si stringeva attorno ai sopravvissuti dei rastrellamenti titini, ricordando il terribile martirio delle foibe, la sinistra vomitava il solito odio. Ancora una volta hanno cercato di sbraitare per coprire le preghiere che si alzavano nel Giorno del Ricordo. Si sono preparati con una buona settimana di anticipo. Giorni segnati da ogni sorta di negazionismo. Il tutto nel tentativo di mettere a tacere, come hanno sempre fatto, le barbarie del regime comunista in Jugoslavia. Il culmine, poi, si è toccato ieri con il Partito democratico che al sacrario di Basovizza, monumento nazionale sul Carso triestino, se ne è andato via in blocco quando ha attaccato a parlare Maurizio Gasparri in rappresentanza del Senato (quindi con delega istituzionale). Con la piddì Debora Serracchiani che si è addirittura fiondata a twittare che il Giorno del Ricordo è diventato “un palcoscenico per la destra sovranista”. A rincarare la dose ci ha pensato il vignettista Vauro che sempre più spesso intinge la sua matita nell’odio feroce contro la destra. Ha detto: “È un trucido strumento di propaganda sovranista”. E si è pure lamentato con il capo dello Stato Sergio Mattarella di non aver denunciato le “angherie fasciste” perché, a suo dire, in Jugoslavia fu l’Italia “il Paese aggressore”. Ma non solo. C’è chi, come il Partito comunista di Marco Rizzo, si è spinto più in là, affermando: “Come ogni anno si aggiunge qualche elemento per la falsificazione storica degli avvenimenti del confine orientale. Vent’anni di revisionismo hanno prodotto il totale capovolgimento della realtà storica, grazie allo sconvolgimento e alla decontestualizzazione dei fatti, a una lievitazione dei numeri del tutto arbitraria e priva di criteri scientifici”. In pratica, secondo i nipotini dell’Unione sovietica, gli oltre 10mila italiani infoibati sarebbero solamente un errore di contesto, in quanto “la ricerca storica ha ceduto il passo alle strumentali logiche politiche e ai sentimenti di rivalsa della destra“. Frasi che pesano come macigni sui resti dei nostri connazionali massacrati ed infoibati. Questi, però, sono solo alcuni esempi di una lista (rossa) d’orrore. Ancora oggi le vittime e gli esuli vengono infatti schiacciati dall’odio da chi vuole minimizzare o, peggio, negare questa tragedia. Ci sono voluti 35 anni perché Basovizza diventasse un monumento nazionale. Eppure, ancora oggi, il Pd si permette di censurare la mostra delle vignette del nostro Alfio Krancic per “non offendere l’Anpi”. E ancora: ci sono voluti ben 59 anni perché fosse istituito con una legge dello Stato il Giorno del ricordo. Eppure, come si chiede giustamente Gasparri,” quanto ci vorrà perché scompaiano” tutte queste “sacche deprecabili di negazionismo militante biasimate?”. Probabilmente non andranno mai via. Perché l’odio è rosso, per antonomasia.

Da “il Giornale” il 9 febbraio 2020. «Leggete gli amorevoli commenti che mi rivolgono sul gruppo Sardine di Roma. Ma questi signori sono quelli che scendono in piazza contro il linguaggio d' odio?». Giorgia Meloni pubblica sui social lo screenshot di una pagina delle Sardine di Roma piena di pesanti insulti nei suoi confronti: «Magari schiatti»; «Mentecatta, ritardata, inetta, subnormale, deficiente»; «La odio...arrivista e fascista»; «Mer... fra le mer...». A stretto giro arrivano le scuse delle Sardine nazionali, che ricordano come gli insulti si trovano sulla pagina gestita da Stephen Ogongo che «non è più autorizzato» a usare il nome Sardine «per essersi autoescluso dal movimento».

Simone Di Meo per “la Verità” il 4 febbraio 2020. Sarebbe interessante conoscere quali sono le regole d'ingaggio per vestire la giubba della psicopolizia giallorossa, quella Gestapo del pensiero critico che Palazzo Chigi ha voluto allestire in tutta fretta ufficialmente per dare la caccia ai «discorsi d' odio» sul Web, servendo in realtà da formidabile strumento di repressione del dissenso. E che annovera, in qualità di Feldmarschall, anche l' esperto di giornalismo digitale Massimo Mantellini. Uno che, stando agli standard dei Ghostbusters del rancore, potrebbe tranquillamente finire imputato davanti al tribunale delle rette coscienze per quello che egli stesso ha cinguettato, tutto allegro, dall' alto del suo profilo Twitter. Lui probabilmente si difenderebbe appellandosi all' ironia, ma - per dirla con Friedrich Nietzsche - «non con l' ira ma col riso s' uccide». E allora, leggiamo qualche Mantellini-pensiero. «Ve la meritate la Brexit, razza di idioti», ha scritto il 12 dicembre scorso. Per poi tornarci oltre un mese dopo (31 gennaio) con quell' eleganza e quell' humor che fanno tanto englishman. «Oggi è il giorno di Brexit. Gli inglesi sono sempre stati dei coglioni e come è noto alla natura non si comanda. Ma erano i nostri coglioni. Che dispiacere perdervi, amici». E, sempre in tema di politica estera, ricordiamo: «Tra pochi minuti parla Trump. Speriamo abbia preso le goccine» (3 gennaio) e «I tempi per bannare Donald Trump da Twitter mi parrebbero definitivamente giunti» (8 gennaio). Mica male per uno che dovrebbe fare il guardiano dell' amore online. Volete qualcosa su Coronavirus? Eccovi accontentati. «Il primo asiatico che incrocio lo chiudo in uno sgabuzzino. Così, per sicurezza» (30 gennaio). Che ridere. Capitolo donne. Paragrafo Junior Cally, quello che cantava «Questa non sa cosa dice, porca troia, quanto chiacchiera? L' ho ammazzata, le ho strappato la borsa, c' ho rivestito la maschera» e che si esibirà sul palco dell' Ariston su invito di Amadeus: «Se proprio devo scegliere fra un rapper improbabile che scrive testi orrendi e una schiera di vecchi patetici reazionari che gli si scagliano contro tutti assieme per impedirgli di andare a Sanremo, scelgo i testi orrendi» (19 gennaio). Sottoparagrafo signore di una certà età, stesso giorno (evidentemente Mantellini era ispirato): «Fu un errore posare per Playboy dice oggi Iva Zanicchi a Cazzullo. E nessuno che si alzi e dica: Mi scusi signora ma è stato 42 anni fa!». In tempi di riforma della giustizia targata Alfonso Bonafede, l' esperto di tecnologia pretende evidentemente la prescrizione del pentimento. E vogliamo perderci la ormai leggendaria reazione di Bergoglio nei confronti della fedele che gli aveva trattenuto la mano? Scrive Mantellini: «Il Papa stava per dare un pugno in bocca a una tizia. Poi purtroppo alla fine si è trattenuto e ha optato per due scappellotti sulla mano» (1 gennaio). «Purtroppo» che cosa vorrà mai significare, rammarico per il mancato knockout pontificio? E che dire del tweet geriatrico sulla scomparsa di Giampaolo Pansa? «È morto un giornalista molto noto in piena attività, aveva appena cambiato giornale. Aveva 84 anni. Ne traccia un ritratto oggi in prima pagina un altro giornalista in grande attività che di anni ne ha 95». Quest' ultimo, per chi non lo avesse capito, è Eugenio Scalfari che il 14 gennaio scorso, due giorni dopo la dipartita del cronista di Casale Monferrato, aveva scritto un articolo intitolato «Quando lo portai a Repubblica». Domanda a Mantellini: che facciamo coi vecchi, gli togliamo la macchina per scrivere dalle mani? E se qualcuno, tra qualche anno, dicesse così di lui, il segretario dell' opinione dominante lo denuncerebbe alla sua psicopolizia?

La “Sera di giugno” in cui l’odio comunista spense una vita. Cristiano Puglisi l' 01/02/2020 su Il Giornale Off. Francesco Cecchin era solo un ragazzo. E non era neppure maggiorenne. Ma aveva una passione: il Fronte della Gioventù. Una causa per la quale perse tragicamente la vita, il 16 giugno del 1979, dopo diversi giorni di coma e in seguito a un’aggressione avvenuta per le strade di Roma, in una serata che era iniziata in maniera tranquilla: un’uscita come tante, per una cena fuori con la sorella e un amico, che non poterono salvarlo. Un omicidio, il suo, rimasto senza colpevoli, perché quello che incredibilmente era l’unico imputato, un militante comunista, fu assolto. Una vicenda, quella di Cecchin, cui è stato dedicato uno spettacolo teatrale, ideato per ricordare uno dei tanti e sanguinosi episodi degli Anni di Piombo. Episodi spesso sepolti sotto una coltre di ideologica omertà. Soprattutto quando la vittima si trovava dalla parte “sbagliata”.  Si chiama Sera di giugno ed è stato portato in scena ieri sera al teatro Rosetum, di via Pisanello 1 a Milano. Una rappresentazione accolta tra gli applausi, che ha scaldato il pubblico, rinnovando il ricordo del periodo più buio della recente storia italiana. Un periodo in cui molti furono i giovani morti per un’idea considerata sconveniente. E che, per questo, per anni non hanno goduto neanche del minimo conforto. Quello della memoria.

Caro Zingaretti, l'odio abita a sinistra. Francesco Maria Del Vigo, Sabato 08/02/2020 su Il Giornale. C' è una nuova e gravissima emergenza nazionale. Stando agli strepiti della sinistra. Non è il coronavirus, non è il lavoro, non è la crisi economica, non è l' immigrazione o la sicurezza nelle periferie. La vera pandemia, anche se non ve ne siete accorti è l' odio. Dopo il fascismo, il nazismo, il razzismo, il maschilismo (...) (...) e il populismo, la nuova polemica prêt-à-porter è l' odio. La prima a menare le danze è stata La Repubblica, sempre velocissima nell' imbastire battaglie immaginarie, che ha messo in guardia i suoi lettori dal pericolo degli odiatori con una sintesi spericolata di una intervista al ministro dell' Interno. Per inciso: la stessa Repubblica che non più tardi di venti giorni fa titolava a caratteri cubitali con un sobrissimo «Cancellare Salvini». Che non è esattamente una dichiarazione di amore. Ieri la polemica è rinfocolata attorno a uno scambio di tweet al vetriolo tra Nicola Zingaretti e Giorgia Meloni. La colpa di quest' ultima, secondo il leader del Pd, sarebbe aver detto che in Italia non c' è un problema d' odio. Una banalità, che però ha scatenato le ire dei democratici. Così Zingaretti, probabilmente per consolidare la sua tesi, le ha indirizzato un messaggio che di odio è carico: «Cara Meloni, vai a dirlo a chi è sopravvissuto ad Auschwitz e ora deve girare con la scorta o a chi ha paura di esprimere le proprie idee o di essere se stesso. Il silenzio è complicità». Praticamente ha accusato la Meloni di proteggere con il suo silenzio i delinquenti che minacciano Liliana Segre. Che non è esattamente un buffetto nel segno di peace&love. La sorella d' Italia gli risponde a stretto giro di posta: «Governate con odiatori seriali 5 Stelle, tacete sulle violenze dei centri sociali, andate a braccetto con le sardine (il cui odio organizzato puoi leggere sui social) e con chi organizza convegni giustificazionisti sulle foibe e vorreste dare lezioni? Non ne avete la statura». E, in effetti, la sinistra e i grillini sono i meno adatti a parlare di clima d' odio. O meglio, sono titolatissimi, ma come odiatori. Odio è l' antiberlusconismo con la bava alla bocca, odio è negare una targa a Norma Cossetto, odio è non servire un caffè a un leader politico sgradito, odio è dare del fascista a chiunque la pensi diversamente dalla propria cricca di appartenenza, odio è voler negare il diritto di ascolto ai sovranisti, odio è la criminalizzazione del nemico politico, odio è il tentativo, costante e palese, di delegittimazione dell' opposizione, odio è la supponenza e il livore riversato da decenni sul centrodestra. Zingaretti, se è così interessato ad abbassare il livello dello scontro, farebbe bene a guardare a casa sua e a prendersela con i suoi compagni. E magari a non tirare in ballo, a caso, tragedie come Auschwitz. 

Massimo Malpica per il Giornale il 3 febbraio 2020. Pollice in alto per il faccione del duce. Un giudice del tribunale di Chieti condanna Facebook a risarcire con 15mila euro un avvocato, Gianni Correggiari, già esponente di Forza Nuova, a cui il popolare social network aveva rimosso una foto di Mussolini e una della bandiera della Rsi, oltre a sospendergli l'account per circa quattro mesi complessivi. Ma Correggiari, che aveva postato la foto «nostalgica» in occasione del proprio compleanno, ed era stato poi punito per aver scritto «viva Mussolini» e postato altre foto di simile tenore, in quanto avrebbe violato gli «standard» della community di Fb, a quel punto ha citato in giudizio Facebook per inadempienza contrattuale. E ha visto il giudice, Nicola Valletta, dargli ragione. Motivando nell'ordinanza perché il social fondato da Mark Zuckerberg dovrà risarcire l'avvocato bolognese trapiantato in Abruzzo con 15mila euro, accollandosi anche 8mila euro di spese legali. A difendere Correggiari l'avvocato Antonio Pimpini (già difensore di Giacinto Auriti, l'inventore nel 2000 del Simec, la «moneta» di Guardiagrele, poi sequestrata dalla Gdf), che dopo la decisione del 29 gennaio ha esultato con il suo assistito per questa «sentenza esemplare» che garantisce «la libertà di pensiero e non il pensiero unico, come ha lasciato intendere Facebook». Il giudice, in effetti, nella sua ordinanza non lascia trapelare inclinazioni nostalgiche del Ventennio, anzi. Nello spiegare perché le condotte di Correggiari non costituiscono una violazione degli standard di comportamento richiesti da Facebook ai propri utenti, e in particolare analizzando il «post» con la bandiera della Repubblica sociale italiana, Valletta spiega che quel vessillo apparteneva a «un soggetto che non ha trovato ovviamente riconoscimento nel diritto internazionale pattizio, ma che tale si è manifestato nel diritto internazionale generale, come noto connotato dall'effettività della sovranità, nel caso specie, ahimè, esistente», concedendosi un eloquente «ahimè» che, però, non cambia la sostanza giuridica della questione né la convinzione del giudice. Che è ancora più netta sulla questione della foto di Mussolini che, ricorda la toga teatina, «sul piano squisitamente giuridico (e in tale limitato ambito) è stato Capo di governo dello Stato italiano e come tale riconosciuto nella comunità giuridica internazionale e, fatto storico, non è stato oggetto, come persona fisica, di alcuna sentenza di condanna per attività illecite, le sue condotte non sono state ritenute difformi dal diritto internazionale dell'epoca». Insomma, Correggiari, avrebbe solo esercitato il «diritto costituzionale fondamentale di libertà di manifestazione del pensiero» e tra l'altro l'avrebbe fatto «in modalità improntate a continenza e insuscettive di limitazione». E la decisione del giudice monocratico di Chieti arriva dopo un altro verdetto avverso al social network di Zuckerberg, ossia la decisione di inizio dicembre del tribunale civile di Roma di accogliere il ricorso di Casapound e ordinare a Facebook di ripristinare la pagina del movimento politico che era stata oscurata il 9 settembre. Così, proprio su Facebook, è stato l'avvocato che ha seguito la causa per Casapound, Augusto Sinagra, a dare notizia anche della sentenza di Chieti, prima di attaccare il social network che, secondo il legale, agirebbe «nel preordinato disegno di violare libertà e diritti fondamentali in pregiudizio di una parte politica e a vantaggio di un'altra».

Ilaria Sacchettoni per il “Corriere della Sera - Edizione Roma” il 27 maggio 2020. Forza Nuova no. CasaPound sì. Il Tribunale civile respinge il reclamo di Facebook: la pagina principale di CasaPound e il profilo di Davide Di Stefano, militante dei fascisti del terzo millennio, non sono da chiudere, a dispetto dei contenuti spesso estremi nei confronti degli avversari. Esultanza del movimento anche per la decisione (collaterale) di condannare Facebook al pagamento delle spese processuali, 12mila euro in tutto. Il social network ha la possibilità di ricorrere al giudizio della Cassazione ma, intanto, in via Napoleone III, sede (abusivamente occupata) del movimento dell' estrema destra, si assapora una vittoria inattesa dopo che il 23 febbraio scorso, con un pronunciamento antitetico all' attuale, la sezione per i diritti alla persona e all' immigrazione del Tribunale aveva accolto un' analoga richiesta di Fb stavolta nei confronti di Forza Nuova. In quel caso l' azienda fondata da Mark Zuckerberg si era vista riconoscere il diritto di rimuovere «la fornitura» del servizio agli utenti che violavano le sue condizioni. «Si ritiene - scrivevano i giudici nelle loro motivazioni - che gli esempi riportati siano sufficienti a delineare l' identità politica del gruppo quale si ricava dalla sua concreta attività politica e valgono a rafforzare la qualifica di organizzazione d' odio la cui propaganda è vietata su Facebook in base alle condizioni contrattuali e a tutta la normativa citata. La risoluzione del contratto e l' interruzione del servizio di fornitura appaiono quindi legittimi». Facebook, in quanto fornitore del format online, avrebbe insomma il diritto di pretendere il rispetto delle regole, fra le quali il contenuto della Convenzione europea dei diritti dell' uomo a tutela delle libertà fondamentali dell' individuo e contro qualunque espressione d' odio. Senza entrare nel merito dei contenuti pubblicati, il collegio composto da Claudia Pedrelli, Fausto Basile e Vittorio Carlomagno afferma invece l' inesistenza di «elementi che consentano di concludere che CasaPound sia un' associazione illecita secondo l' ordinamento generale». Il movimento della destra estrema «presente apertamente da molti anni nel panorama politico» non può essere censurato dal social network. Pur non intendendo assegnare «patenti di liceità» i giudici parlano di «impossibilità di riconoscere a un soggetto privato, quale Facebook Ireland, sulla base di disposizioni negoziali e quindi in virtù della disparità di forza contrattuale, poteri sostanzialmente incidenti sulla libertà di manifestazione del pensiero e di associazione». Assistito dagli avvocati Augusto Sinagra e Davide Colaiacovo, Di Stefano giubila, sostenendo, in un intervento a sua firma, che i principi costituzionali e del diritto italiano hanno trionfato sulle ragioni del network straniero.

Professore critica l'Anpi: un mese di sospensione e stipendio dimezzato. Il docente aveva contestato un incontro a scuola: "Un comizio senza contraddittorio". Gli studenti si schierano a suo favore: "Questa è una soffocante censura". Luca Sablone, Domenica 09/02/2020 su Il Giornale. Vietato criticare l'Anpi. Su segnalazione dell'Anpi di Civitanova, un docente è stato sanzionato per aver polemizzato contro la presentazione del libro "Dopo Mussolini. I processi ai fascisti e ai collaborazionisti" dello storico Andrea Martini tenutosi il 28 novembre scorso. Matteo Simonetti, professore di storia e filosofia nella scuola Leonardo Da Vinci, l'aveva etichettato come un "comizio senza contraddittorio". Ma gli è costato caro: sospensione dall'insegnamento per 30 giorni e decurtazione dello stipendio del 50%. Come riportato da Libero, è questa la decisione intrapresa dalla direzione generale dell'Ufficio scolastico regionale. L'incontro era riservato ai ragazzi frequentanti le classi quinte. Improvvisamente alcuni di loro avevano iniziato a lasciare l'auditorium, provocando l'irritazione degli organizzatori. Il prof, seccato dalla situazione, aveva espresso la propria posizione al termine del convegno: "Questo è un comizio, un dibattito a senso unico". Parole che avevano provocato la dura reazione da parte di Pier Paolo Rossi, consigliere del Partito democratico: "Si vergogni, se lei oggi può dire quello che dice è solo perché siamo in democrazia e perché c’è chi ha lottato per ottenerla". In difesa del docente si erano schierati gli studenti della classe quinta N del Liceo Da Vinci di Civitanova. A loro nome Mattia Cervellini aveva scritto un posto su Facebook per tentare di ricostruire la vicenda: "Con la riduttiva espressione 'chiamati a partecipare' intendo sottolineare che il coinvolgimento di tutte le classi quinte dell’istituto era obbligatorio nonostante non fossero passate le adeguate circolari di preavviso nelle classi". Un incontro che ha assunto una "evidente piega politica". Il che ha scatenato "una reazione abbastanza forte da parte degli stessi studenti. Sono stati alcuni di loro infatti, a chiedere ai professori di poter andarsene… Al termine della seconda ora di convegno, erano pochi gli studenti rimasti, tra cui, quelli della mia classe".

"Soffocante censura". Successivamente è arrivato il momento degli interventi. Il prof Simonetti "ha esordito dicendo che coloro che ancora oggi si definiscono fascisti hanno una visione estremamente anacronistica della realtà e sarebbe l’equivalente di definirsi giacobini". Poi ha ribadito che, davanti a tematiche così delicate, è fondamentale garantire "una pluralità di opinioni e fonti, in linea con un vero approccio storiografico". Il docente infatti ha affermato che "il valore di una democrazia sta proprio nel garantire la libera espressione del proprio pensiero, trascendendo ogni forma di componente politica". Le risposte ricevute sono state però tutt'altro che democratiche: "In una democrazia non tutte le opinioni possono essere accettate"; "Quando si parla di Resistenza non occorre una controparte". All'uomo hanno tolto il microfono e "contro di lui si è schierato, maleducatamente, uno dei consiglieri comunali di Civitanova. Il docente è stato accusato di non essere degno di insegnare a noi studenti, di catechizzare pericolosamente, mettendo così in dubbio la sua serietà riguardo l’insegnamento". In seguito al prepotente comportamento, gli studenti hanno deciso di abbandonare l'auditorium: "Questa reazione decisamente impertinente e arrogante ha catalizzato una risposta da parte di noi studenti, che abbiamo preferito uscire dall’auditorium". E alcuni ragazzi rimasti hanno sentito ulteriori attacchi provenire dai relatori: "Lei è un fascista e dunque se la prende"; "Nazista". E in tutto ciò gli studenti sono stati accusati anche di "essere delle marionette, senza la minima capacità peculiare di ragionare". Il ragazzo ha così concluso il suo post sul vergognoso comportamento tenuto dai relatori (e non solo) nel corso del convegno dell'Anpi: "Grazie a questo però, abbiamo capito quanto sia soffocante la censura, specialmente se giustificata dal buon nome della democrazia". 

Rita Dalla Chiesa: "Sardine? Salvini è stato l'unico a omaggiare mio padre". La giornalista, figlia del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, difende il leader leghista e tira una frecciatina ai "pesciolini" per quanto successo a Palermo. Pina Francone, Martedì 04/02/2020 su Il Giornale. "L'unico politico che sia andato a salutare il commissariato di polizia e la lapide di mio padre è stato Matteo Salvini. Mentre le sardine ballavano e bevevano la birra in piazza…". Scrive così Rita Dalla Chiesa sul proprio profilo Twitter, commentando la visita di ieri – lunedì 3 febbraio – del segretario della Lega a Palermo e della contestuale contro-manifestazione del movimento ittico di piazza, come riportato dall'Adnkronos. La giornalista è appunto figlia del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, ucciso il 3 settembre del 1982 nel capoluogo siciliano (di cui era diventato prefetto per combattere la mafia di Cosa Nostra) in un attentato mafioso, nel quale morirono anche la moglie Emanuela Setti Carraro e l’agente della scorta Domenico Russo. Il leader del Caroccio ha incontrato i militanti ma anche in questa occasione è stato preso di mira da contestatori e dalle sardine, che hanno costretto l'entourage dell’ex ministro dell'Interno ad annullare la visita al mercato di Ballarò. Ma non la visita al commissariato di polizia e alla lapide del generale Dalla Chiesa. Il momento clou della giornata è stato l'evento organizzato al teatro "Al Massimo", gremito in ogni ordine di posto: numerose, infatti, le persone che non sono riuscite a entrare visti che i posti erano andati esauriti e visto che la capienza massima era stata appunto raggiunta: "Mi dispiace per le tante persone rimaste fuori - ha dichiarato l'ex titolare del Viminale - la prossima volta prendiamo un palazzetto dello sport o la piazza più grande di Palermo per non lasciare fuori nessuno". In strada anche gli antagonisti: i "pesciolini" hanno cercato di rubare la scena al leghista, attaccandolo con cartelloni e cori di protesti. Su tutti "Palermo non si lega". A differenza però degli annunci, le sardine non erano migliaia ma appena qualche centinaia. E ovviamente qualcuno ha intonato "Bella ciao". Ai microfoni della stampa, l'ex vicepremier ha così commentato la contro-manifestazione:"Quello delle sardine è un movimento che mi odia, non posso neanche dirgli 'mettete dei fiori nei vostri cannoni' perché magari fraintendono. Una brutta vita quella che ti vede in piazza contro qualcuno. Io non sono a Palermo contro qualcuno, sono a offrire un'idea di città ai palermitani che vogliono ascoltare. Uno che dice 'esisto perché non mi piace Salvini'... auguri. Io mi accontento dei sondaggi che danno la Lega al 33.3 per cento. Basterebbe che portassero un'idea. Andare in piazza a dire mi sta sulle balle Salvini, non è che rappresenti un'idea di Sicilia diversa". Le "Sardine" palermitane contro Salvini: ​"Qui non lo vogliamo".

Sardine, Pietrangelo Buttafuoco: "Sorridono, ma hanno metodi maoisti. L'odio è strumentale". Antonio Rapisarda su Libero Quotidiano il 10 Febbraio 2020. Per Pietrangelo Buttafuoco quello dell' odio è un dossier appannaggio, oggi, «di tutte le centrali del cosiddetto "bene assoluto"». Un fronte che va, indifferentemente, dalle Sardine ai «tweet di padre Spadaro» fino a chi dipinge Salvini a testa in giù. Eresia? Tutt' altro. «Il problema - spiega lo scrittore a Libero - nasce dal fatto che da questa macchina potentissima, che passa da tutte le stazioni di questa ascensione trionfante del "bene", non si viene criticati per quello che si dice, si viene criticati per ciò che si è».

Eppure la lotta contro "l' odio" - in questa stagione giallorossa - è indirizzata contro l' opposizione.

«È tutto strumentale. Sono gli ultimi singulti dell' ideologia. Perché è questo l' ambito attraverso cui ci si può agilmente costruire un nemico e schierare quindi il bene contro il male. In automatico, così, chi ancora si fa forte dell' ideologia si "posiziona" ed è inevitabile che qualunque sua rappresentazione sia la rappresentazione dell' assoluto bene».

Sta descrivendo la fenomenologia delle Sardine.

«Le Sardine sono tutte carine, sono tutte giovani. Hanno il cerchietto... hanno a disposizione l' ascolto dei più importanti canali del mainstream. Non c' è nulla di quella che una volta poteva essere la cultura dell' antagonismo che, non a caso, faceva fatica a trovare spazio».

Be', il ruolo delle Sardine sembra proprio quello di arginare la contestazione tacciandola di "odio" per rafforzare il governo.

«L' odio è diventato il pretesto attraverso cui ogni dissenso vero, effettivo, viene derubricato in quella categoria affinché non abbia la possibilità di esprimersi. In tutto questo c' è uno sfondo storico ed ideologico che è stato resuscitato».

Il pericolo "nero".

«Ovviamente. L' antifascismo in assenza di fascismo: che ha una funzione fortissima, è un collante irresistibile, è permeabile a tutti i luoghi comuni. Non necessita di una riflessione storica, e fa impressione una cosa: che è come se nell' orizzonte culturale italiano non ci fosse mai stata l' opera di Renzo De Felice. Come se non ci fosse mai stato il perfetto e coraggiosissimo discorso di Luciano Violante quando dalla Camera chiese una riflessione sui vinti. Come se non ci fosse mai stato un moto di pacificazione che era nelle corde, nelle cose. Dimenticare tutto in un colpo sembra il percorso di questa Italia...».

Il Censis ha fatto la sua diagnosi: se l' Italia oggi non coltiva il futuro è tutta colpa del sovranismo "psichico".

«È conseguenza di un atteggiamento tardo-ideologico: siccome non si vuole avere la responsabilità di risolvere i problemi, allora si criminalizza chi chiede attenzione su quei problemi. Più che psichico è un passaggio di raffinata psicologia delle masse per inibire il dissenso rispetto al pensiero unico».

Orwell prefigurava già in 1984 i "due minuti d' odio" contro il nemico...

«Mi ha colpito il momento in cui le Sardine ricevono il papà di Lucia Borgonzoni. Mi ha ricordato quelle scene che si vedevano nei filmati nella Cina di Mao, quando i genitori venivano costretti a ripudiare i figli se fossero andati fuori linea o viceversa. Raggelante, a maggior ragione perché veniva accolto dal mainstream con compiaciuta e sorridente accettazione. Come per dire: guarda, che coraggio questo padre che si mette contro la figlia. Altro che Orwell, qui siamo nel pieno della rivoluzione culturale maoista».

"Cancellare Salvini", è arrivata a titolare Repubblica.

«Lo fanno perché sanno di poterselo permettere. L' avesse fatto Libero sarebbe arrivata la polizia del pensiero a chiudere la redazione. Sa qual è la questione vera? Nel dibattito pubblico in Italia vige il tabù, e il tabù è inamovibile. E chi è detentore del tabù ti fa una pernacchia. Quel titolo "Cancellare Salvini" è il paradigma per eccellenza di questo meccanismo».

Una forma d' odio è entrata persino nella manovra: tasse etiche contro i produttori, controlli morbosi contro i commercianti...

«Anche questo è un retaggio legato a un ben precisa psicologia: quella di raddrizzare le gambe ai cani. Che cosa ha fatto del resto il sistema dopo la crisi di agosto? Ha detto: basta, abbiamo finito di "scherzare". Come i giornali del mainstream continuano a dettare legge pur in assenza di lettori, così il sistema si fa governo in assenza di elettori».

Ritorna pure l' odio retroattivo. Contro "via Almirante".

«Ha già detto tutto Antonio Padellaro nel suo bellissimo saggio su Almirante e Berlinguer, dove si augura una strada intitolata "Via Giorgio Almirante ed Enrico Berlinguer". Appaiati».

Antonio Rapisarda

Alba Parietti travolta dagli insulti. L'opinionista, ospite a Stasera Italia su Rete Quattro, ha messo in dubbio la legittimità del voto: "Finché una popolazione non ha un'adeguata istruzione non può essere in grado di votare in modo legittimo". Una frase che ha immediatamente suscitato la rabbia della conduttrice, Barbara Palombelli che ribatte: "Adesso mettere in discussione il suffragio universale". Secondo l'ex showgirl "la politica negli ultimi anni è stata fatta solo di sondaggi, abbiamo preso esempio dalle elezioni americane di 2000 anni fa dove si decideva pena di morte, non pena di morte a secondo di quello che votava la gente". E ancora in diretta tv: "Questo è il Paese che ha, come dire, dato la pena di morte o stabilisce l'immigrazione e decide tutto questo sulla base di voti. Cioè io non dico quello che penso o quello che ho nell'animo, ma vado dove va l'elettorato o dove penso che il popolo vada". Un intervento, quello della Parietti, che è stato subito rilanciato sui social. Là dove si è accanita la maggior parte della critica: "Dite alla Parietti che quando il popolo ha guadagnato il diritto di voto aveva percentuali di analfabetismo di oltre il 20%. Eppure il più ignorante dell'epoca avrebbe detto meno c...", scrive un utente. Mentre un altro gli fa eco: "Agghiacciante roba da fare rivoltare nella tomba Margaret Thatcher".

Salvini contro Alba Parietti: "Togliere il voto a chi non è istruito? Arroganza di sinistra senza limiti". Libero Quotidiano il 30 Gennaio 2020. A Matteo Salvini non sfugge il video in cui Alba Parietti suggerisce di "cancellare" la democrazia. "Finché una popolazione non ha un'adeguata istruzione non può essere in grado di votare in modo legittimo", ha dichiarato l'ex showgirl suscitando lo sconcerto di Barbara Palombelli che, ridendo, le ha risposto così: "Adesso mettere in discussione il suffragio universale...". Salvini in un post su Facebook ha rilanciato il video della Parietti tra i suoi sostenitori e lo ha commentato con poche, ma dure parole: "Siamo alla follia. L'arroganza della sinistra non ha limiti...". Nel giro di pochi minuti il leader della Lega ha raccolto migliaia di opinioni, una particolarmente diffusa e apprezzata dal popolo della rete: "Ovviamente finché gli operai con la terza media votavano a sinistra andava bene. Oggi che gli operai guardano a destra, non sono più degni di votare. Brava - riferito alla Parietti - complimenti. Però prima impara a parlare". 

Alba Parietti contro Matteo Salvini dopo Stasera Italia: "Ha scatenato contro di me gli odiatori". Libero Quotidiano il 31 Gennaio 2020. Alba Parietti vaneggia a Stasera Italia e dà la colpa a Matteo Salvini. L'opinionista è stata presa di mira per le parole pronunciate durante il programma di Barbara Palombelli. Quelle in cui annunciava: "Finché una popolazione non ha un'adeguata istruzione non può essere in grado di votare in modo legittimo". Una frase che ha scatenato l'ira di tutti, compresa quella del leghista che ha replicato su twitter: "Siamo alla follia. L'arroganza della sinistra non ha limiti". Un commento pronunciato solo dopo numerosi attacchi, ma che per la Parietti hanno "scatenato una marea di odiatori, le mie parole sono state mistificate" ha riferito. "L'unico termine sbagliato perché fraintendibile è 'legittimo'. Non ho citato nessuna parte politica e sono stata chiara nello spiegare ciò che intendevo - ha proseguito l'ex showgirl -. Dopo aver assistito alla solita gogna mediatica, gratis, aver preso insulti violenti volgari da sessisti, da donne soprattutto, senza che nessuno di autorevole abbia speso una parola per fermare l'odio e gli insulti irripetibili rivolti alla mia persona". E allora, perché prendersela solo con Salvini?  “Finché una popolazione non ha un’adeguata istruzione non può essere in grado di votare in modo legittimo”. Siamo alla follia.

Alessandro Fulloni per milano.corriere.it il 5 febbraio 2020. Il vandalismo — sconcertante — è stato scoperto lunedì mattina dall’Anpi. È stato il presidente della sezione di Milano Roberto Cenati a raccontare che «la targa dedicata a Giuseppe Pinelli dal Comune nella ricorrenza del cinquantesimo anniversario di piazza Fontana e della tragica fine di Pinelli, diciottesima vittima, è stata oltraggiata e spaccata. La gravissima provocazione è avvenuta in piazzale Segesta». A pochi passi da dove viveva la stessa famiglia Pinelli, zona San Siro. Martedì — saranno state circa le 13 — il giornalista Mario Calabresi ha twittato: «Danneggiare la lapide di Pino #Pinelli è un gesto vile e infame. Noi ci abbiamo messo un fiore, perché è quello che merita». Raggiunto telefonicamente dal Corriere il figlio di Luigi — il commissario ucciso a Milano da un commando di Lotta Continua mentre rincasava, alle 9 e 15 del 17 maggio 1972 — racconta che quel fiore «è andato a metterlo mia madre, ne ha messi due, uno per me e uno per lei. Non riusciamo a credere che ci possa essere chi oggi fa un gesto così vigliacco e grave. Pensiamo che lo si debba dire con chiarezza. Io in quella piazza e in quel quartiere ci sono cresciuto. Per noi quella lapide e la quercia rossa che è stata piantata insieme sono simboli belli e importanti da preservare». Sulla stele sono incise queste parole: «A Giuseppe Pinelli ferroviere anarchico morto tragicamente nei locali della questura di Milano il 15-12-1969». Quella morte — un volo dalla finestra di una stanza al quarto piano dove era in corso l’interrogatorio di Pinelli, fermato per accertamenti sulla strage che tre giorni prima fece 17 morti — sconvolse l’Italia. L’istruttoria del giudice Gerardo D’Ambrosio assolse poi il commissario, scagionando la polizia e concludendo che la caduta avvenne per «l’improvvisa alterazione del centro di equilibrio». Una morte «accidentale» in un momento in cui Calabresi non si trovava neppure nella stanza.

Renato Farina per “Libero Quotidiano” il 5 febbraio 2020. Scrivere la recensione di un libro che non si è letto è normale. Gli amici degli amici lo fanno quasi sempre. Un esempio? Lo svenevole entusiasmo che ha accompagnato l' uscita del libro giallo di Walter Veltroni, mi rifiuto di credere sia nato dall' esperienza di una notte in compagnia di quelle pagine. Scriverne una su un libro non ancora uscito, e perciò solo immaginato a partire dal battage che lo accompagna, è invece un' impresa onesta. Si può perfettamente intuire il posto che l' opera e il contorno orchestrale occuperanno nel puzzle di questo nostro tempo. Parlo del volume di Paolo Berizzi, Feltrinelli, 240 pagine, prenotabile al prezzo di 13,60. Sarà in libreria il 6 febbraio. Dopo qualche giorno un evento con la stessa intestazione sarà in scena alla Feltrinelli di piazza Duomo a Milano, il 14 febbraio: dialogheranno con l' autore, il direttore di Repubblica Carlo Verdelli e altri cospicui personaggi. Il vocio crescente, solenne e insieme concitato, sta tutto nel titolo, che ha la forza di una piramide che pretende di spiegare l' essenza del nostro momento storico: «L' educazione di un fascista». Non è un libro storico. Ma racconta il presente. Leggere le stringate parole che introducono all' incontro di piazza Duomo spiega in che cosa consista il male assoluto. «Orgoglio italiano. Onore. Patria. Lealtà. Sacrificio. Sono le parole d' ordine dei nuovi balilla». La presentazione fornita dalla casa editrice è più esplicita. Il fascismo non è un fenomeno del passato. «C' è stato un passaggio tra le generazioni». «Il ritorno dell' educazione fascista» è un fatto di massa: «Da nord a sud l' Italia è percorsa da una tendenza ormai visibile e capillare, capace di modellare i costumi e la mentalità attraverso potenti suggestioni. C' è una rete di palestre in cui gli sport da combattimento si usano per allevare picchiatori, militanti, "uomini nuovi"». Un passaggio tra generazioni. Il fascismo, contestando le tesi arci-documentate di Renzo De Felice, non è un fenomeno storico, circoscritto ed emerso grazie all' unicità di Benito Mussolini. Povero De Felice non ha capito nulla. Non andava in palestra! Il fascismo per questi nuovi geni della storiografia è un connotato razziale, genetico, una specie di virus che si contrae alla nascita dal papà e dal nonno, e poi viene sviluppato nel buio di parolacce orribili. Non viene in mente agli ideologi dell' antifascismo del nuovo millennio che lealtà, onore, patria, eccetera meriterebbero sicuramente interpeti migliori, ma esse affascinano molta gioventù (assai più di quella delle mitiche palestre berizziane) proprio perché sono maciullate dal relativismo devastante che pervade ormai gran parte delle agenzie una volta educative? L' ironia con cui in questi manifesti repubblichesi (per distinguerli da repubblicani e repubblichini) sono circondati i valori, la loro riduzione ad Hitlerum è esattamente carburante per la disperazione di molti, e il fanatismo di alcuni dementi. Fascisti? Direi piuttosto mitomani. Pericolosi. Da non sottovalutare. Questa gente ha minacciato Berizzi, cui tocca girare con la scorta (ad altri è toccato e tocca per oscuri avvertimenti di epigoni di brigatisti rossi); insiste nel terrorismo verbale contro lo stimabile direttore di Repubblica, a cui va la nostra solidarietà senza distinguo; ha imbrattato il nome di Liliana Segre. Ma esaltare la potenza di questo fenomeno somiglia tanto a un desiderio costruito per delegittimare quelle che il libro chiama «pulsioni identitarie» che - senza nominarli, ma di certo pensandolo - sono intese come il veleno sociale sparso da Salvini e Meloni. Il male va combattuto, dovunque si annidi. Ovvio. Ma se si sbaglia diagnosi, e si parla di fascismo rinato, la terapia diventa peggiore del male, si trasforma in una chiamata alle armi, perché la «resistenza è incompiuta». E si finisce per costruire un recinto di sub umanità dove confinare la destra che per ragioni fatali e genetiche partorisce fascisti, tenendola alla larga dal gioco democratico. Ed ecco la mia recensione anticipata, alla cieca, no look, come si dice di certi assist di Messi. Il libro di Berizzi è scritto in modo brillante. L' inviato di Repubblica annota quello che vede, e lo fa con onestà ed eccellente resa drammatica. Qual è il problema? Paolo è formidabile a narrare, ma quando poi si ferma a pensare è un disastro. Le sue storie sono trasformate, sull' onda dei canoni ovvi del giornale per cui lavora, nell' ombelico del mondo. La nostra stima per gli occhi e le dita di Berizzi è tanta. Scorge il ramo, ne descrive i bitorzoli, la fogliolina mangiucchiata dal bruco, lo scoiattolo assalito dallo sparviero. Non vede la foresta, e ignora che poi c' è la pianura. Capita ai cronisti più grandi, come fu Giampaolo Pansa. Non è un peccato mortale, basta saperlo. Berizzi fu assunto al Borghese da Vittorio Feltri, poi lo volle a Libero proprio quando cominciavamo l' avventura. A Repubblica fiutarono uno bravo, la nostra barchetta pareva destinata a un naufragio immediato, Paolo traslocò con i complimenti della nostra ciurma di straccioni di Valmy in ambiente più à la page. Nel 2008 scrisse un libro straordinario ambientato a Milano, non in Calabria: «3 euro l' ora» (Baldini & Castoldi). Berizzi vi raccontava come numerose imprese edili utilizzassero una umanità di stranieri disgraziati, veri schiavi, sotto l' occhio distratto degli ispettori del lavoro. Erano clandestini. Quel volume diventò la pietra fondativa per costruire l' ideologia dell' accoglienza senza limiti, e la regolarizzazione di chiunque e con qualsiasi ragione fosse giunto nel nostro Paese. Berizzi non c' entra, ma accadde. Noi ne traemmo la lezione opposta: occorrevano politiche atte a impedire la tratta di povericristi usati come manovalanza a costo e standard di sicurezza infimi. Eravamo isolati. A noi quegli affreschi di Paolo suggerivano il precedente degli schiavi trascinati dall' Africa Occidentale nelle piantagioni di cotone dell' Alabama. Rimedio? Liberarli e bloccare l' andirivieni di navi negriere. Concetto da trasferire nel nostro tempo. Puro buon senso. Prevalse e perdura invece nella cultura dominante diffusa a larghe mani dalle casematte progressiste il contrario: ponti d' oro all' invasione, da qualunque parte venga e da chiunque sia gestita. Allo stesso modo di «3 euro l' ora» questo volume è una compilazione onesta e drammatica, con toni da far paura, di episodi e personaggi da brividi. Ma «L' educazione di un fascista» con quel titolo e quella ghirlanda di tesi che lo incorona di gloria preventiva, è destinato a essere la tromba squillante di una propaganda menzognera. Al servizio di una vera e propria fabbrica della paura onde squalificare nella competizione politica, con argomenti malati di razzismo biologico, la destra sovranista che dice proprio: lealtà, onore, patria, sacrificio. Saranno mica parole fasciste? Io le ho imparate in Omero.

Vigile si uccide vicino al Comando. Era stato multato per l’auto sul posto disabili. Pubblicato martedì, 04 febbraio 2020 da Corriere.it. Alle 5.30 del mattino si è presentato davanti al comando, con la sua pistola di ordinanza, e si è sparato: un agente di Polizia locale di Palazzolo (Brescia) si è ucciso martedì mattina all’alba. L’uomo, 43 anni, si è ammazzato vicino al comando. Non è ancora chiaro se abbia lasciato un biglietto. Negli ultimi giorni era stato criticato sui social per aver parcheggiato su un posto disabili nella bergamasca. L’agente si era scusato e si era anche auto-multato.

Agente suicida, era stato preso di mira sui social per la sosta in un posto disabili, ma aveva pagato la multa. Per quel posteggio irregolare, immortalato in una foto, aveva ricevuto numerose critiche su Facebook, così aveva deciso di auto-sanzionarsi. La Repubblica il 4 febbraio 2020. L'agente della polizia locale che oggi all'alba si è ucciso a Palazzolo, nel Bresciano, sparandosi con la pistola d'ordinanza, era finito fra le polemiche qualche giorno fa per aver parcheggiato l'auto di servizio in un posto riservato ai disabili a Bergamo vicino a una sede universitaria. L'agente era stato preso di mira sui social, si era scusato e si era anche auto-multato. Al momento però non è stato specificato se l'uomo ha lasciato un biglietto per spiegare i motivi del gesto. Lo scorso 24 gennaio il presidente di una associazione di invalidi aveva notato in via Caniana a Bergamo un’auto della Polizia locale di Palazzolo sull’Oglio posteggiata in modo irregolare, proprio sotto il cartello che riservava quel parcheggio ai disabili, e aveva postato la foto sul proprio profilo, specificando che la macchina era rimasta lì "per parecchie ore". La fotodenuncia ha raccolto molti commenti di utenti indignati ed è stata condivisa decine di volte, provocando pochi giorni più tardi la reazione della Polizia locale di Palazzolo. L’associazione degli invalidi ha ricevuto una duplice lettera di scuse, dal comandante e dall’agente che aveva parcheggiato il mezzo. Il primo si è dichiarato profondamente rammaricato per l’accaduto "in quanto da anni anch’io opero come volontario nel settore della disabilità e sono particolarmente sensibile alle problematiche che ogni giorno devono essere affrontate dalle persone diversamente abili", mentre il secondo ha spiegato di aver commesso un errore perché "purtroppo mi sono confuso con la segnaletica, anche se ciò non mi giustifica", chiedendo inoltre "di considerare le scuse e di continuare a credere nelle istituzioni e nel nostro lavoro". Inoltre il vigile ha inviato all’associazione bergamasca un contributo di cento euro. L’associazione ha accettato le scuse spiegando che la donazione sarebbe stata impiegata nel fondo per l’abbattimento delle barriere architettoniche: "Per noi è tutto risolto", hanno scritto.

Insultato sui social, si uccide il vigile che si era già scusato. Pubblicato mercoledì, 05 febbraio 2020 su Corriere.it da Mara Rodella. La foto della sua auto parcheggiata era finita in Rete. Lui aveva chiesto scusa, si era anche dato una multa. Si è sparato. Non erano bastate le scuse, la multa che si era auto inflitto e persino un «contributo» devoluto all’Associazione nazionale mutilati e invalidi civili. Origini siciliane, 43 anni, agente di polizia locale a Palazzolo, nell’ovest bresciano, Gian Marco Loritopare non abbia retto agli attacchi social che si sono scatenati — e non si sono placati — contro di lui, dopo che, alla fine di gennaio, l’auto di pattuglia era stata immortalata in un parcheggio per disabili a Bergamo, vicino all’università. Lui che, figlio di un carabiniere, «la sua divisa la portava sempre con enorme dignità, grande impegno e acuta sensibilità», lo piangono ora il suo comandante Claudio Modina e il sindaco del paese Gabriele Zanni. Perché Gianmarco non c’è più. Si è sparato all’alba con la pistola d’ordinanza, dentro l’auto di servizio, nel cortile del municipio di Palazzolo, a ridosso del comando. A dare l’allarme è stata la ex compagna (con la quale ancora abitava poco lontano, a Cologne), Marisa Murgia, insegnante di origini sarde. La loro relazione era finita in estate, «ma continuavamo ad avere un ottimo rapporto» assicura, allontanando l’ipotesi che la fine della loro storia possa aver avuto un peso nel drammatico epilogo. Ma forse, non lo sapremo mai. «Non si dava pace per quanto successo, era disperato» assicura lei. Che sferra un attacco durissimo al web: «I social uccidono». Come se Gian Marco temesse che tutto quell’odio gratuito potessero annullare o quantomeno scalfire il duro lavoro di anni, sempre svolto con devozione estrema, verso i colleghi e la gente. Tutto è iniziato il 24 gennaio, quando il presidente dell’Anmic orobica e nel direttivo nazionale, Giovanni Manzoni, ha notato l’auto della polizia locale di Palazzolo in via dei Caniana, a Bergamo, vicino all’università: parcheggiata in un posto per disabili. L’ha fotografata e, indignato, postata sul suo profilo Facebook. I commenti non si sono fatti attendere: a decine, di tutti i toni. La segnalazione è arrivata anche al responsabile. E pure la sua, di reazione, è arrivata in tempo zero. Il suo mea culpa l’aveva messo nero su bianco in una lettera, Gian Marco, dopo essersi multato: «Non ho parole per esprimere il mio rammarico. Voglio precisare che non era mia intenzione, ma purtroppo mi sono confuso con la segnaletica, anche se ciò non mi giustifica». Non solo. «A seguito di quanto successo voglia accettare un contributo di cento euro (pari alla sanzione, ndr) per l’associazione da lei presieduta, oltre alle mie scuse, e continui a credere nelle istituzioni e nel nostro lavoro». L’agente Lorito voleva ripartire proprio dal suo errore, «per poter fare di più e meglio». La sua lettera è stata pubblicata, così come la foto prima, sul profilo di Manzoni che commentava: «Questo episodio ha dato la possibilità di rinsaldare la collaborazione tra Amnic e forze dell’ordine». Tanti like, parecchi commenti positivi anche in relazione al comportamento non scontato di Gianmarco, ma forse, ancora tanta, troppa rabbia verso di lui. Che non avrebbe retto.

Il suicidio del vigile linciato per il parcheggio. "Era diventato un incubo". Il viceministro dell’Interno Crimi: la violenza perpetrata dai social network è vergognosa. Paolo Berizzi il 4 febbraio 2020 su La Repubblica. PALAZZOLO SULL'OGLIO - Sorride Gian Marco, è emozionato come una matricola, la placca dorata sul petto è il suo primo encomio ufficiale. Nella fotografia i colleghi gioiscono con lui. Venti gennaio 2019. Un anno prima dell'abisso. Esattamente 399 giorni dopo, per un parcheggio vietato - un vigile che mette l'auto di servizio su un posto riservato ai disabili - , si scatenerà la gogna dei social. Sarà l'innesco della fine. Non è un ragazzino l'agente Gian Marco Lorito. Non è perseguitato dai compagni di scuola. È un pubblico ufficiale che a 44 anni si toglie la vita perché non riesce a sopportare la condanna del tribunale virtuale: i social network. "Quei messaggi per lui erano diventati un incubo - racconta la compagna Marisa, 42 anni - . Vedeva la sua carriera rovinata. Soffriva all'idea di avere magari disonorato la divisa. Lui che viveva per questo lavoro e che era stimato da tutti. È tutto qui, davvero: non ci sono altri motivi. Prima di questa storia Gian Marco era sereno". Già. Prima che i gruppi Facebook iniziassero a rovesciargli addosso il repertorio che, nel tempo dell'odio in tempo reale, può toccare a un vigile che ha commesso un errore sì, plateale, ma di cui si era già scusato (con tanto di autopunizione e donazione). Messaggi di questo tenore: "Meglio ridere, altrimenti è meglio spararsi". "Vergognati". "Ecco gli abusi di potere". "Incivile, è così che dai l'esempio!". "Puoi anche ammazzarti". Gian Marco l'ha fatto davvero. L'altra notte, erano le 4.30, non vedendolo rincasare dopo il turno finito alle 24 nel comune di Cividate, Marisa chiama il Corpo di polizia di Palazzolo (il comando di appartenenza dell'agente). Si attiva il capo dei vigili, Claudio Modina. È lui che trova Lorito riverso nell'auto di servizio: parcheggiata lì, nel cortile della polizia locale (che confina con il municipio). L'agente che l'anno scorso era stato premiato perché aveva fermato un'auto rubata con a bordo gli attrezzi dei rapinatori - armi finte, attrezzi da scasso, passamontagna - si è tirato un colpo con la pistola d'ordinanza. La soluzione più estrema per togliersi di dosso l'onta del vigile che sulla pubblica via occupa lo spazio destinato ai veicoli dei portatori di handicap. Una storia agghiacciante dove alla fine, forse, perdono tutti. Raccontiamola dall'inizio. Il 24 gennaio Lorito - origini siciliane, niente figli, l'hobby del calciobalilla (giocava il torneo del campionato Csi) - è con i colleghi di Palazzolo all'università di Bergamo: seguono un corso anti-infortunistica nella sede centrale di via Dei Caniana. Fuori dall'ateneo l'auto della polizia locale è parcheggiata sulle strisce del posteggio riservato ai disabili. Alla guida c'era lui, Gian Marco. L'immagine viene catturata da uno smartphone: a rilanciarla sui social, per denunciare il fatto, è Giovanni Manzoni, presidente della sezione bergamasca dell'Anmic (associazione nazionale mutilati e invalidi civili). La notizia inizia a girare: prima sui social, poi sui giornali locali. Lorito si scusa immediatamente con una lettera indirizzata allo stesso Manzoni: "Buongiorno presidente - scrive - , non ho parole per esprimere il mio rammarico... A seguito di quanto successo voglia accettare un contributo di 100 euro per l'associazione da lei presieduta. Si prega di considerare le scuse e di continuare a credere nelle istituzioni e nel nostro lavoro". Il vigile, in pratica, si auto-sanziona. Oltre che fare pubblica ammenda gira all'Anmic un contributo: la multa per chi parcheggia sulle strisce dei disabili è di 87 euro (60 euro se pagata entro i classici cinque giorni). Lorito fa un bonifico di 100 euro. Finita lì? Macché. Il ventilatore del fango social continua a girare. La vicenda viene strumentalizzata anche dalla politica: a Palazzolo le opposizioni alla giunta di centrosinistra (attraverso il gruppo MOS Palazzolo) soffiano sui tizzoni. Le ultime pietre virtuali piovono addosso a Lorito il 2 febbraio, domenica. Il giorno dopo, il vigile si suicida (è il quarto caso negli ultimi tre anni che vede vittime agenti della polizia locale nella provincia di Brescia, tra Darfo, Desenzano del Garda e Travagliato). "È uno dei più grandi fallimenti umani e professionali da quando sono sindaco", dice Gabriele Zanni, primo cittadino di Palazzolo. Parla di Lorito come di "un uomo di valore che ha sempre cercato di onorare la divisa, assumendosi in pieno le sue responsabilità". Una rosa bianca e un biglietto ("ciao Gian Marco"). A destra del cancello. Un altro mazzo di fiori in cortile. Venerdì Lorito aveva giocato a biliardino all'oratorio di San Pancrazio. La mente, però, doveva essere altrove. Agli attacchi della rete, certo. Forse alla paura di sanzioni. O chissà, magari di vedersi declassato per il danno d'immagine procurato al Comune. Dopodiché non si può escludere che al suo disagio profondo abbia contribuito anche altro. "Aveva già chiarito tutto sia con noi che con il sindaco", spiegano al comando dei vigili. Anche per Giovanni Manzoni la vicenda era chiusa. "Non volevamo trasformarlo in un mostro. Per noi era tutto finito dalla mattina alla sera. Non può essere che per alcuni commenti imbecilli una persona possa essersi tolta la vita". I commenti imbecilli, se alimentati, si gonfiano e possono diventare cyberbullismo. "La violenza perpetrata dai social network è vergognosa e inaccettabile", afferma il viceministro dell'Interno Vito Crimi. Paradosso: la carambola impazzita dell'odio, ieri, dopo la notizia della morte del vigile, ha invertito la sua rotta e si è indirizzata contro il presidente dell'Anmic. Insulti contro di lui, adesso, "colpevole" di avere diffuso la foto dell'auto in sosta vietata. 

Fabio Poletti per ''la Stampa'' il 5 febbraio 2020. Presidente Giovanni Manzoni, alla fine si è suicidato l'agente della polizia locale che avete additato sulla pagina Facebook dell' Associazione Nazionale mutilati e invalidi civili, per aver parcheggiato negli spazi dei disabili...

«Non volevamo certo metterlo alla gogna. Ma è difficile pensare che possa essersi suicidato per alcuni commenti imbecilli sui social. Non ci si può suicidare per un parcheggio sbagliato. Non volevamo certo creare un mostro. C' è dell' altro dietro al suo gesto».

Ma è normale che qualcuno per un parcheggio sbagliato finisca additato sui social?

«Noi riceviamo decine di segnalazioni di gente che parcheggia su spazi dedicati ai disabili. Nessuno poteva immaginare la sua reazione».

Ha mai parlato con l' agente?

«Mi sono sentito nei giorni scorsi e anche oggi col comandante. Eravamo d' accordo che in settimana avrei incontrato anche l' agente. Lui si era scusato, ci aveva inviato una lettera ammettendo di avere fatto un errore involontario. Ci aveva anche fatto una donazione di 100 euro e si era auto-multato. Per noi il caso era chiuso».

E invece...

«Il comandante dei vigili di Palazzolo mi aveva detto che questo agente aveva problemi personali, soffriva anche di depressione. Quando la notizia è finita sui quotidiani alcuni giornalisti mi avevano cercato ma io non ho mai risposto per questo. Non volevo alimentare altre polemiche».

Forse bisognerebbe stare più attenti ad usare i social.

«Se solo avessimo immaginato che questo agente aveva dei problemi, non avremmo scritto quel post. Non abbiamo mai messo il suo nome. Solo la foto della sua auto di servizio parcheggiata male. Mi dispiace ovviamente che questo, insieme ad altro, abbia innescato una reazione di questo agente che a quanto mi dicono, nessuno poteva immaginare».

Non si sente un po' in colpa?

«Non mi sento in colpa. È una tragedia. Una grande disgrazia anche per i suoi famigliari e i suoi colleghi. Quando noi pubblichiamo la foto di un' auto parcheggiata sullo spazio disabili non lo facciamo per mettere qualcuno alla gogna. Vogliamo che la gente si sensibilizzi a certe problematiche».

Però poi ci sono i commenti...

«Certo ci sono commenti imbecilli. Ma non so se questi da solo possono avere provocato quello che poi è successo. Probabilmente un' altra persona, con meno problemi, non avrebbe reagito in quel modo. Rimane tutta l' amarezza di non essere riusciti a fare questo incontro. Lo avremmo tranquillizzato. nei prossimi giorni incontrerò il comandante. Rimane una grande tragedia, inaspettata ma è una tragedia irreparabile».

Fabio Poletti per ''la Stampa'' il 5 febbraio 2020. Nel vaso con il bosso all' ingresso della Polizia Locale di Palazzolo Sull' Oglio qualcuno ha messo un rosa bianca con un biglietto: «Ciao Gian Marco». Aveva 44 anni Gian Marco Lorito, l' agente che ieri mattina alle 5 e 45 è venuto fino a qui, è salito su un' auto di servizio, ha impugnato la pistola d' ordinanza e si è sparato un colpo. Non un biglietto, non una spiegazione. Ma la memoria di tutti va alla settimana scorsa, quando l' agente era finito alla gogna sui social per aver parcheggiato nel posto disabili, in via Caniana a Bergamo, l' auto con le insegne del Comune. Qualche commento spiacevole, nemmeno troppo feroce. «Una vera schifezza. Da un vigile poi...», «Chi controlla il controllore?», «Abuso di potere! Non si può tollerare!», «Una merda sul cofano, bell' esempio!». Nessuno aveva scritto il suo nome. Ma era stato lui a farsi avanti con una lettera di poche righe al presidente dell' Associazione Mutilati e Invalidi Civili Giovanni Manzoni che aveva pubblicato il post. Il tono è quello accorato di chi ammette un errore: «Non ho parole per esprimere il mio rammarico per aver parcheggiato il veicolo di servizio nello spazio riservato ai disabili. Mi sono confuso con la segnaletica, anche se ciò non giustifica. La ringrazio per il lavoro che svolgete e si prega di considerare ancora scuse sincere». L'agente si era anche automultato e aveva fatto una donazione di 100 euro all' associazione. Incidente chiuso, sembrava di capire. Anche i suoi colleghi, lacrime agli occhi e poca voglia di parlare, dicono di non aver immaginato quello che è poi successo: «Ne avevamo parlato. Gli avevamo detto di non preoccuparsi che può capitare a tutti di sbagliare e che non sarebbe successo nulla». Ma chissà cosa aveva in testa Gian Marco Lorito, arrivato 20 anni fa dalla Sicilia per fare il poliziotto locale, fino al 2013 ad Erbusco e poi qui a Palazzolo, sempre in provincia di Brescia. Una persona tranquilla, attenta al lavoro, unica passione le partite a biliardino, se aveva dei problemi non ne parlava con i suoi colleghi. Il sindaco di Erbusco, Ilario Cavalleri, non crede che sia solo colpa dei social quello che è successo: «La gente scrive sui social come una volta si faceva sui muri dei cessi pubblici. L' affetto è amplificato un milione di volte però. Io spero che non si sia ammazzato solo per questo. So che aveva problemi in famiglia, che si stava lasciando con la compagna. Ma siamo tutti sotto choc. Era una persona per bene». È stata la sua convivente a dare l' allarme. Lunedì l' agente Gian Marco Lorito aveva fatto il turno del pomeriggio a Palazzolo. Poi per qualche ora alla sera era stato di servizio in un comune vicino che usa la polizia locale di Palazzolo. A mezzanotte alla fine del turno non era rientrato a casa. Dove sia stato tutta la notte non si sa. Quando non era ancora l' alba la sua convivente aveva dato l' allarme. Il comandante una volta arrivato in ufficio lo ha trovato in auto già morto con ancora la pistola in mano. Non un biglietto. Non una spiegazione. Il sindaco di Palazzolo Gabriele Zanni è sotto shock: «Nei giorni scorsi era venuto da me a scusarsi per quello che era successo con il parcheggio disabili. Non ci sarebbero state conseguenze. Non aveva motivo di preoccuparsi. Lascia tanta disperazione non aver capito segnali, ammesso che ce ne siano stati. Purtroppo le motivazioni di un gesto tanto drammatico oramai le può conoscere solo Gian Marco e per rispetto a lui è inutile e insensato fare congetture».

Insultato sui social si uccide, ma che fine ha fatto la pietà? Angela Azzaro de Il Riformista il 6 Febbraio 2020. Le vere ragioni per cui una persona decide di togliersi la vita restano sempre avvolte nel mistero. È difficile capire che cosa avviene davvero nella sua testa e nel suo cuore. Impossibile quindi stabilire rapporti di causa-effetto certi e dire: si è ucciso per questo, si è ucciso per quest’altro. Ma ci sono episodi che levano, se non tutti i dubbi, perlomeno qualche domanda e spingono a ragionare su quanto è accaduto. È andata così per il vigile di Palazzolo, in provincia di Brescia, che l’altro ieri si è tolto la vita, sparandosi un colpo con la pistola di ordinanza. Le motivazioni profonde per cui Gian Marco Lorito, 43 anni, ha deciso di compiere questo terribile gesto non le sapremo mai, conosciamo però la causa esterna scatenante: il vigile aveva parcheggiato la macchina in un posto per disabili, era stato scoperto e la foto era finita sui maledetti social. Ad accorgersi dell’errore compiuto da Lorito era stato il presidente dell’associazione nazionale mutilali e invalidi civili, di cui volutamente non facciamo il nome. Non lo facciamo perché non ci interessa ora mettere alla gogna lui, ma criticare un meccanismo che va fermato. Assolutamente fermato. Il presidente infatti poteva denunciare l’accaduto senza mettere la foto dell’auto, da cui poi si è risaliti al conducente. Bastava raccontare l’accaduto, sfogarsi contro una situazione che immaginiamo accada più volte, creando grossi problemi a chi già ogni giorno deve affrontare una via crucis attraverso le nostre città poco attrezzate. Si è scelto invece di sbattere l’errore sui social, di dare sfogo all’indignazione e il vigile, che pure aveva chiesto pubblicamente scusa, è stato travolto dalle offese, dagli insulti, dalle critiche. “Chi è senza peccato scagli la pietra”: il monito di Cristo è un lontano ricordo. Siamo diventati un popolo che quando si tratta di lapidare, è sempre in prima fila, pronto a lanciare la pietra, a giudicare, a chiedere pene sempre più severe, assolutamente disinteressati della tenuta civile della nostra società. Gian Marco a un certo punto non ha retto. Ha avuto paura, paura di essere giudicato, di perdere la stima e il rispetto che si era conquistato in tanti anni. E si è tolto la vita. E allora noi abbiamo il dovere di ragionare su quanto è avvenuto. Capire in che cosa abbiamo sbagliato, che cosa dobbiamo fare perché questi episodi non si ripetano più. Nella storia di Gian Marco ci sono alcune caratteristiche che si ripetono continuamente. La prima è l’ossessione per la denuncia: ci sentiamo come tanti Savanarola pronti a liberare il mondo dal male. Interessa poco che il male in realtà sia l’errore commesso da una persona in carne e ossa che come tutti può sbagliare. Deve sbagliare, perché è l’errore che ci rende umani, non la perfezione, non l’ossessione per una onestà che diventa un dogma, una fede religiosa che in nome dei propri valori cancella le singolarità, i difetti, l’umanità. Un’altra caratteristica è legata al modo di fare giornalismo in questo Paese: esiste un filo rosso, sottile ma indistruttibile, che lega l’odio social a come in questi anni i giornali hanno alimentato le convinzioni dell’opinione pubblica. Veniamo da decenni in cui per i giornali un’accusa è una condanna, un avviso di garanzia è una sentenza definitiva, in cui basta che un magistrato dica bah per finire nella lista nera.  Sono anni in cui la tv ha alimentato il fuoco sacro del giustizialismo, descrivendo l’Italia come un Paese di corrotti, responsabili di ogni male, insensibili e pronti a fregare l’altro. Non ci si può stupire se i cittadini, di fronte ad avvenimenti complessi, reagiscano tirando fuori lo spirito della gogna: sono allenati dai talk che vedono e dagli articoli che leggono. E mentre credono di essere rappresentanti dell’onestà, stanno uccidendo la pietà, il rispetto e anche quella democrazia che dicono di volere ma poi dimenticano nella sua sostanza profonda. Ma soprattutto dicono addio alla pietà. Ma che cosa è la pietà se non la capacità di capire l’errore altrui perché sappiamo che può essere anche il nostro? Non è un atteggiamento di commiserazione, è al contrario la capacità di identificarci con l’altro. E allora proviamo a immaginarci questa storia riavvolgendo il nastro. Gian Marco parcheggia male. Qualcuno se ne accorge e protesta non sui social, ma direttamente con la stazione dei vigili. Lui chiede scusa, fa una donazione per l’associazione nazionale mutilati e invalidi civili e, chissà, magari nel tempo va anche lì a dare una mano e riesce a vincere anche quelle paure che ha dentro e non riescead affrontare. No, non è una storia impossibile. È una storia che si può ricostruire. Ma per dire basta all’odio social, diciamo basta tutti al giustizialismo.

Coronavirus, gli islamici in festa: "Una punizione contro la Cina". Secondo i follower della pagina Facebook "Siamo fieri di essere musulmani" i morti in Cina per via del coronavirus sono "una punizione divina". Roberto Vivaldelli, Domenica 02/02/2020, su Il Giornale. Mentre salgono a 304 morti e a 14.380 i casi di infezione da coronavirus in Cina - secondo quanto riferito dai dati della Commissione sanitaria nazionale cinese, a cui si aggiunge anche la morte di un paziente cinese nelle Filippine, il primo al di fuori dei confini, che porta il totale dei decessi per coronavirus a quota 305 - c'è chi esulta sul web . Sulla pagina Facebook Siamo fieri di essere musulmani, infatti, che conta più di 94 mila follower, la pandemia del coronavirus è stata salutata come la punizione di Allah per gli infedeli. Secondo uno dei moderatori della pagina, infatti, in Cina ci sono "1 milione di musulmani Uighuri detenuti in campi di concentramento. La Cina ha trasformato la regione autonoma Uighura dello Xinjiang in qualcosa che assomiglia a un enorme campo di internamento avvolto nella segretezza - una sorta di zona senza diritti". In allegato, una foto di Xi Jinping con il volto insanguinato. I cinesi sono accusati dai follower della pagina di "bruciare il Corano" e "demolire le moschee". Inoltre, "nei campi di detenzione i musulmani vengono torturati e costretti al lavoro forzato". Il coronavirus, dunque, è una punizione divina contro la Repubblica popolare cinese. I commenti al post sono tutto un programma: "In effetti è vero, è una punizione di Allà (sic): il virus è originario del serpente, animale associato al demonio. Perciò è collegato anche ad Allà". Un altro ancora scrive: "Ciò che si semina si raccoglie e ora e il momento che devono raccogliere dopo tutto il male che hanno fatto verso i nostri fratelli e sorelle e verso le creature di Allah". "La Cina - osserva un altro utente della pagina -sta raccogliendo ciò che ha seminato e questo è solo l'inizio". "Allah gli ha mandato un virus che sta uccidendo un sacco di persone, allahu akbar" commenta M.Y. R.S, uno dei fan più attivi della pagina, ne è sicuro: "Questi miscredenti non sanno che devono fare i conti con Dio, eccoli adesso sono loro che vivono nell'angoscia e nella paura, eccoli adesso prigionieri dentro le loro citta. Allah akbar". I commenti si riferiscono a ciò che accade nella regione autonoma dello Xinjiang – nella Cina occidentale – dove vivono 24 milioni di persone, la maggior parte delle quali appartenente alla minoranza etnica cinese degli uiguri. Questa popolazione ha una propria cultura, è turcofona e musulmana. Proprio qui nasce la tensione con il governo centrale. Alcune stime parlano di 1,5 milioni tra uiguri, kazaki, kirghizi e Hui internati in quelli che la comunità internazionale ha definito campi di concentramento ma che la Cina definisce semplici edifici in cui viene offerta agli ospiti "una trasformazione attraverso l’educazione”. Da qui a gioire per la morte di persone innocenti, però, ce ne passa. Ma a Facebook, sempre attentissimo quando si tratta di censurare i sovranisti o i conservatori in tutto il mondo, sembra non interessare.

Mauro Zanon per “Libero quotidiano” il 5 febbraio 2020. Da quando ha criticato l' islam, in un live su Instagram, dicendo che nel Corano «c' è solo odio», Mila, 16 anni, è vittima di minacce di morte e di stupro, vive barricata in casa protetta dalla gendarmeria e non può più andare al liceo perché il pericolo di aggressioni è troppo alto: i suoi compagni musulmani vogliono «linciarla» e «punirla» poiché si è permessa di attaccare la loro «comunità». Non siamo in Arabia Saudita, ma a Villefontaine, nel dipartimento dell' Isère, in Francia, in quel Paese che si vanta dinanzi al mondo della sua laïcité, ma abbandona una ragazza alla violenza inaudita di chi non tollera che la religione maomettana sia oggetto di critiche. «Sporca baldracca» e «sporca lesbica» hanno scritto a Mila sul suo profilo social, dove mostrava con fierezza, prima di essere obbligata a chiudere ogni account pubblico, la bandiera Lgbt. «Nel Corano c' è solo odio. Ho detto quello che penso, non me ne farete pentire», ha detto la ragazza nel live postato su Instagram lo scorso 19 gennaio. Da quel giorno, è iniziato un incubo che non è ancora finito e chissà quando finirà per questa liceale. Hanno minacciato di «sgozzarla», di venirla a cercare per «strapparle tutti gli organi e farglieli mangiare», perché si è permessa di criticare il «nostro dio Allah, l' unico e il solo». Dopo l' esplosione del caso, il liceo di Villefontaine, dove ora non potrà più tornare perché i suoi compagni musulmani vogliono fargliela pagare, è stato costretto a chiamare la polizia per "esfiltrarla" e portarla a casa, dove tutt' ora è trincerata per paura di essere aggredita. «L' obiettivo è riscolarizzarla in maniera pacifica affinché possa tornare ad avere una vita normale», ha dichiarato ieri il ministro dell' Istruzione Jean-Michel Blanquer, l' unico del governo, assieme alla collega alle Pari opportunità, Marlène Schiappa, ad aver manifestato solidarietà nei confronti di Mila. La procura locale, subito dopo il video, aveva addirittura aperto un' inchiesta contro la sedicenne per «incitamento all' odio», prima di archiviarla. Ma il peggio l' hanno dato le femministe, a partire da colei che si erge a portavoce del femminismo francese in politica: Ségolène Royal. L' ex candidata alle presidenziali del Partito socialista, appena rimossa dal ruolo di ambasciatrice per i Poli, ha attaccato Mila dicendo che è «un' adolescente irrispettosa», dandola in pasto all' odio dei propagatori dell' islam politico, che da due settimane continuano a minacciarla. «Chi semina vento, raccoglie tempesta», ha commentato Abdallah Zekri, delegato generale del Consiglio francese del culto musulmano (Cfcm), dicendo che in fondo se l' è cercata facendo quel video. Nessun rappresentante del culto islamico in Francia ha difeso Mina dalle minacce di morte ricevute, e accanto a questo silenzio rimbomba quello dei progressisti. Abitualmente rumorosi, quando di mezzo c' è la religione cattolica, sembrano essere spariti dalla Francia. Uno dei pochi che si è fatto sentire, ha chiesto a Mila di «rimuovere la bandiera Lgbt» dalla biografia, perché non ha «la mentalità aperta per far parte di una comunità che sostiene l' amore e l' accettazione». Cronache da un Paese che ha dimenticato Voltaire e si è sottomesso ad Allah.

Minacciata perché critica islam: il ministro sta con i musulmani. Il caso di una sedicenne di Villefontaine infiamma la Francia. Polemica sulle frasi del ministro della Giustizia: "Offendere la religione è grave". Alessandra Benignetti, Mercoledì 05/02/2020, su Il Giornale. Tutto è iniziato lo scorso gennaio con un video in diretta su Instagram. Mila, 16 anni, occhi azzurri e capelli da maschiaccio, sogna di fare la cantante. Un ragazzo inizia a scriverle. Lei è bella e affascinante, lui vorrebbe agganciarla. Ma Mila è gay. Il suo coetaneo di origine araba, però, non si rassegna. E all’ennesimo no della ragazza scattano gli insulti. "Sporca lesbica", "francese di m…", le scrive assieme ai suoi amici. Una tempesta di offese che spingono la sedicenne di Villefontaine, non lontano da Lione, a replicare pubblicamente. Inizia un altro video pubblicato sulle storie di Instagram. Un video che di lì a poco le avrebbe cambiato la vita. "Detesto la religione – si sfoga con i suoi follower – il Corano è una religione d’odio, l’Islam è una m…". "Non sono razzista, dico quello che penso e voi non me ne farete pentire", continua. Le offese sono pesanti. "Al vostro Dio metto un dito nel buco del c…, grazie e arrivederci", attacca la ragazza. Un’arringa che però non rimane senza conseguenze. Da quel momento Mila viene presa di mira da centinaia di fedeli musulmani che invocano la legge sulla blasfemia per far farle fare la fine che si merita: torture, stupro e anche la morte. Il suo video circola su tutti i social network e le reazioni sono sempre le stesse: insulti e minacce. Ben presto il suo indirizzo, i suoi dati sensibili e il nome del liceo che frequenta finiscono in rete. Da allora non può più frequentare le lezioni. La liceale sporge denuncia e vengono aperti due fascicoli. Uno, si legge su Le Figaro, per individuare gli autori delle minacce e uno contro di lei per “incitamento all’odio religioso". Nel frattempo sui social l’hashtag #jesuismila diventa virale. Ma la questione divide la Francia. E la polemica si è allargata qualche giorno fa, quando la ministra della Giustizia, Nicole Belloubet, intervistata da Europe 1, ha condannato le intimidazioni dei fedeli musulmani detto che "insultare la religione" è "grave" ed "è un attentato alla libertà di coscienza". Una frase che non è piaciuta a chi nel 2015 scese in piazza per dire "Je suis Charlie". "Il governo ha abbandonato la libertà francese per sottomettersi al terrore islamista", ha attaccato Nicolas Dupont Aignan, di Debout la France. In effetti le dichiarazioni della ministra si avvicinano a quelle del delegato generale del Consiglio francese del culto musulmano, Abdallah Zekri, per il quale la ragazza se la sarebbe "cercata". "Deve assumersi le conseguenze di quello che ha detto, chi semina vento raccoglie tempesta", ha infierito ai microfoni di Sud Radio. Che la ragazza abbia usato parole offensive è fuor di dubbio. Ma la reazione è stata davvero spropositata. Tanto che la sedicenne di Villefontaine da settimane non può entrare a scuola perché non è possibile garantire la sua sicurezza e vive sotto protezione. Del caso si sta occupando direttamente il ministro dell’Istruzione, Jean-Michel Blanquer. Nel frattempo, ospite della trasmissione Quotidien del canale Tf1, Mila chiarisce di non pentirsi affatto delle sue parole. "Rivendico il diritto di dire cose blasfeme, non devo nascondermi per questo motivo, non devo smettere di vivere", ha detto al conduttore del programma. "Mi scuso con le persone che posso aver ferito – ha aggiunto – con chi pratica la religione in pace, non volevo prendere di mira gli esseri umani ma solo parlare della religione". Cinque anni dopo l’attentato nella redazione di Charlie Hebdo il suo caso rimette in discussione il concetto di "laicità" nella patria dell’Illuminismo. La conclusione è disarmante: oggi chi parla male del Corano in Francia rischia la vita.

Umberto Rapetto per ilfattoquotidiano.it il 18 gennaio 2020. V come vendetta, Www come strumento di offesa, ritorsione e magari estorsione. Il web si prospetta ogni giorno in posizione antitetica al sogno di Tim Berners Lee, che – suo creatore – ne aveva immaginato un ben differente utilizzo rispetto quello che ogni giorno abbiamo modo di assaporare. Lo strumento di condivisione di conoscenze, se è diventato una cornucopia di fake news che avvelena l’atmosfera, nel tempo ha consolidato anche il suo ruolo di potente balestra digitale per il micidiale cecchinaggio degli avversari o semplicemente di malcapitati da trafiggere con dardi avvelenati. Ne sanno qualcosa le realtà imprenditoriali nel settore della ristorazione, categoria che svetta per la pluviale produzione di commenti e giudizi al curaro che si ammonticchiano sulle pagine dei portali consultati da chi cerca un posto dove mangiare un boccone o fare una cena romantica. Molti clienti, magari per il solo motivo di non aver ottenuto uno sconto o per altre futili ragioni, non esitano a vomitare sul web informazioni non veritiere per – a loro dire – farsi giustizia. Le dichiarazioni rilasciate sui siti che classificano ristoranti e trattorie spesso sono lo sfogo esagitato di qualche avventore che affida al turpiloquio o a descrizioni horror il proprio giudizio sull’esercizio pubblico visitato. Animati dall’inesorabile “adesso ti faccio vedere io”, parecchi cybernauti interpretano la possibilità di rilasciare opinioni o valutazioni come una sorta di rito purificatore per colpe che i destinatari dell’aggressione virtuale magari sono ben lontani dall’avere. E chiunque può diventare bersaglio…Recentemente un caso destinato a “fare scuola” riguarda un noto ortopedico italiano, reo di essere incappato in un paziente… impaziente. Il tizio, sottoposto a un delicato intervento protesico bilaterale al ginocchio, non rispetta alcuna indicazione vincolante sul decorso post-operatorio, a distanza di tempo lamenta una infezione facilmente riconducibile all’aver disatteso le raccomandazioni cliniche e ingaggia una furente corrispondenza con l’ortopedico. Quest’ultimo – offrendo inutilmente la più assoluta disponibilità a verificare l’accaduto e a individuare il percorso medico e chirurgico maggiormente efficace per risolvere ogni eventuale problema insorto – riceve una serie di minacce in taglienti messaggi di posta elettronica. Il “refrain” della corrispondenza via mail è la possibilità (ma soprattutto l’intenzione) di rovinare la reputazione dell’ortopedico con una feroce campagna online, così da trovare conforto a fronte di un presunto danno. Il tizio sottolinea che le sue cospicue risorse patrimoniali gli permettono un volume di fuoco incomparabile e comincia a darne ampia dimostrazione registrando un sito il cui nome a dominio riporta i riferimenti anagrafici dello specialista e comprando da Google il posizionamento dei relativi contenuti in vetta ai risultati di eventuali ricerche relative al professor Stefano Zanasi. Il sito fraudolento riporta l’invito a diffidare della “autorità … in cerca di miracoli” e a condividere esperienze negative con la garanzia di restare nell’anonimato. La sassata tirata a Zanasi, amplificata dal motore di ricerca più utilizzato al mondo, sfrutta la cronica lentezza della macchina investigativa e giudiziaria che – non bastasse – deve fare i conti con la transnazionalità dei fatti. Il sito è stato registrato all’estero, soggiace alle regole dell’ordinamento giuridico corrispondente e naturalmente è inaccessibile l’identità di chi ne è titolare. Chi attacca sa perfettamente che il sito “resterà in piedi” a lungo e che ogni giorno di permanenza online in più reca danni irreparabili al bersaglio. L’eventuale oscuramento di quelle pagine (attraverso l’attivazione dei provider per l’inserimento in black list del relativo indirizzo) avrebbe effetto nazionale o al limite comunitario e – in ogni caso – in un attimo innescherebbe la migrazione del “cecchino” su altro sito e poi, se necessario, su un altro ancora. Lo stesso Garante per la privacy si trova con una “pallottola spuntata” perché il Gdpr (ovvero il regolamento europeo a tutela dei dati personali) ha efficacia negli spazi continentali e “non funziona” oltreoceano. Quanti altri come Zanasi sono vittime di simili ignobili lapidazioni? Quanto tempo dovremo ancora aspettare per bloccare condotte reprensibili su Internet senza che subito qualcuno gridi più o meno legittimamente alla censura o alla mortificazione del diritto di critica? Purtroppo è la politica la prima a servirsi della Rete per disseminare il contesto sociale di venefiche esalazioni che ne rendono l’aria irrespirabile. Difficile sperare in provvedimenti legislativi che mutilerebbero anche chi urla, strepita, insulta e diffonde false notizie nella incessante bagarre elettorale. Forse impossibile immaginare Convenzioni internazionali che stabiliscano cosa si può e non si può fare, facilitando – a dispetto dei confini geografici – le procedure di intervento delle magistrature e dei Garanti, accelerando il ripristino di quella “normalità” e di quella correttezza nei comportamenti che chiunque auspica. Da qualche parte, però, occorre iniziare. Serve il punto di appoggio che Archimede invocava per sollevare il mondo? Non basta certo la buona volontà dei singoli ingranaggi del gigantesco motore del vivere quotidiano, ma – in attesa di una fatale intuizione – lo sforzo di ciascuno di noi a capire e ad agire può essere un ottimo avvio.

Se la sinistra si attacca al citofono…Michel Dessì il 31 gennaio 2020 su Il Giornale. “Salvini? Mi ha rovinato la vita!” Ha detto ai microfoni di Piazza Pulita Yassin, il ragazzo del citofono. Grazie a loro, alla trasmissione di Formigli, non associamo più il “minorenne tunisino” ad un anonimo citofono di un palazzo qualunque del quartiere Pilastro nella periferia di Bologna. Grazie alle telecamere di La7 il “presunto spacciatore” ha un volto. Una storia. Ora tutti sanno chi è Yassin, il diciassettenne che, fino a ieri, era da proteggere e “tutelare”. Da chi? Naturalmente dai cattivi. Dagli “odiatori”. Dai sostenitori di Salvini. Lo ha detto per giorni la sinistra “sinistra”. La stessa che, senza troppi scrupoli, lo ha mandato in onda in prima serata. Lo ha dato in pasto al pubblico feroce, facendo di lui un “campione”. Un modello. Un ragazzo da sposare. “Convocato dalla nazionale”. Sì, perché lui non spaccia, gioca. Fa il calciatore. Il tono della voce è flebile, quasi rotto dal profondo “dolore” provocato dal suono del campanello. Trrriiiinnnlllllll… Il giornalista lo asseconda, con sguardo quasi compassionevole. La telecamera è stretta, come si usa fare in questi casi. Gli occhi del ragazzo non mentono. Sembrano spietati. Non mi commuove, anzi. Non mi convince. Non gli credo. Tra le righe leggo “l’opportunità” del momento. La malafede. Mi sbaglierò? Probabile. Ma l’occasione da cogliere è ghiotta: denunciare Salvini, vincere la causa, intascare i soldi e andare in TV. Sarà politicamente scorretto? Tutto sembra essere stato costruito ad arte. L’atmosfera è quella giusta. L’ideale per raccontare “il dramma”. Il dramma del citofono. Salvini ha sbagliato, non c’è dubbio. Si è fidato di un’anziana signora inebriata dal “capitano”. Esaltata dal momento. Convinta di farsi giustizia da sola. Non doveva. Ma chi è che strumentalizza? Lui è un “povero” ragazzo che, pur di rispondere all’offesa, e attaccare Salvini, si fa usare consapevolmente dalla sinistra. La peggiore, la più becera. La più squallida. Usare un ragazzino (minorenne) per punzecchiare il “capitano”. Chiedo solo: quanto è costata “L’ESCLUSIVA”? 

Alba Parietti contro Matteo Salvini dopo Stasera Italia: "Ha scatenato contro di me gli odiatori". Libero Quotidiano il 31 Gennaio 2020. Alba Parietti vaneggia a Stasera Italia e dà la colpa a Matteo Salvini. L'opinionista è stata presa di mira per le parole pronunciate durante il programma di Barbara Palombelli. Quelle in cui annunciava: "Finché una popolazione non ha un'adeguata istruzione non può essere in grado di votare in modo legittimo". Una frase che ha scatenato l'ira di tutti, compresa quella del leghista che ha replicato su twitter: "Siamo alla follia. L'arroganza della sinistra non ha limiti". Un commento pronunciato solo dopo numerosi attacchi, ma che per la Parietti hanno "scatenato una marea di odiatori, le mie parole sono state mistificate" ha riferito. "L'unico termine sbagliato perché fraintendibile è 'legittimo'. Non ho citato nessuna parte politica e sono stata chiara nello spiegare ciò che intendevo - ha proseguito l'ex showgirl -. Dopo aver assistito alla solita gogna mediatica, gratis, aver preso insulti violenti volgari da sessisti, da donne soprattutto, senza che nessuno di autorevole abbia speso una parola per fermare l'odio e gli insulti irripetibili rivolti alla mia persona". E allora, perché prendersela solo con Salvini?  “Finché una popolazione non ha un’adeguata istruzione non può essere in grado di votare in modo legittimo”. Siamo alla follia.

Salvini contro Alba Parietti: "Togliere il voto a chi non è istruito? Arroganza di sinistra senza limiti". Libero Quotidiano il 30 Gennaio 2020. A Matteo Salvini non sfugge il video in cui Alba Parietti suggerisce di "cancellare" la democrazia. "Finché una popolazione non ha un'adeguata istruzione non può essere in grado di votare in modo legittimo", ha dichiarato l'ex showgirl suscitando lo sconcerto di Barbara Palombelli che, ridendo, le ha risposto così: "Adesso mettere in discussione il suffragio universale...". Salvini in un post su Facebook ha rilanciato il video della Parietti tra i suoi sostenitori e lo ha commentato con poche, ma dure parole: "Siamo alla follia. L'arroganza della sinistra non ha limiti...". Nel giro di pochi minuti il leader della Lega ha raccolto migliaia di opinioni, una particolarmente diffusa e apprezzata dal popolo della rete: "Ovviamente finché gli operai con la terza media votavano a sinistra andava bene. Oggi che gli operai guardano a destra, non sono più degni di votare. Brava - riferito alla Parietti - complimenti. Però prima impara a parlare". 

Alba Parietti travolta dagli insulti. L'opinionista, ospite a Stasera Italia su Rete Quattro, ha messo in dubbio la legittimità del voto: "Finché una popolazione non ha un'adeguata istruzione non può essere in grado di votare in modo legittimo". Una frase che ha immediatamente suscitato la rabbia della conduttrice, Barbara Palombelli che ribatte: "Adesso mettere in discussione il suffragio universale". Secondo l'ex showgirl "la politica negli ultimi anni è stata fatta solo di sondaggi, abbiamo preso esempio dalle elezioni americane di 2000 anni fa dove si decideva pena di morte, non pena di morte a secondo di quello che votava la gente". E ancora in diretta tv: "Questo è il Paese che ha, come dire, dato la pena di morte o stabilisce l'immigrazione e decide tutto questo sulla base di voti. Cioè io non dico quello che penso o quello che ho nell'animo, ma vado dove va l'elettorato o dove penso che il popolo vada". Un intervento, quello della Parietti, che è stato subito rilanciato sui social. Là dove si è accanita la maggior parte della critica: "Dite alla Parietti che quando il popolo ha guadagnato il diritto di voto aveva percentuali di analfabetismo di oltre il 20%. Eppure il più ignorante dell'epoca avrebbe detto meno c...", scrive un utente. Mentre un altro gli fa eco: "Agghiacciante roba da fare rivoltare nella tomba Margaret Thatcher".

Da liberoquotidiano.it il 29 gennaio 2020. Indagata Daniela Santanchè per "diffamazione aggravata, propaganda e istigazione all'odio razziale". La pitonessa nel mirino della procura di Genova dopo la denuncia di Aleksandra Matikj, presidentessa del Comitato per gli Immigrati e contro ogni forma di discriminazione. Una denuncia piovuta per quanto detto dalla Santanchè nel corso di una puntata di CartaBianca, il programma di Bianca Berlinguer su Rai 3: "Il 90% delle donne che arrivano in Italia vanno a fare le puttane sulle strade. Le nigeriane!". Dunque, quando le hanno chiesto: "E tutte le donne che vengono qua coi bambini che muoiono in mare?". E la Santanché ha ribadito: "Le donne che arrivano in Italia sono messe sulla strada a fare le prostitute". Concetti poi ribaditi il giorno successivo su Twitter, dove la pitonessa ha rilanciato le sue prese di posizione". La Matikj, denunciandola, ha spiegato: "Non è accettabile che noi migranti, in particolare noi donne, siamo trattate con questa superficialità da una rappresentante dello Stato italiano. Da una donna, ci si attenderebbe la solidarietà verso noi donne straniere. Vorrei ringraziare Bianca Berlinguer per averci difese nel corso della trasmissione televisiva, adempiendo al suo ruolo di Giornalista seria e preparata", ha concluso. 

Firenze, la prof agli alunni: "Liliana Segre cerca pubblicità". Polemica per la frase dell'insegnante di una scuola media della città. La donna avrebbe chiesto scusa. La ministra dell'Istruzione Azzolina: "Parole gravi e ingiustificabili". la Repubblica il 31 gennaio 2020. "Liliana Segre non la sopporto. E anche voi, ragazzi, non vi fate fregare da questi personaggi che cercano solo pubblicità". È quanto avrebbe detto un'insegnante di una scuola media di Firenze, agli alunni di seconda lunedì scorso, Giorno della memoria. Lo riporta oggi il quotidiano La Nazione. "Anche mio nonno è stato in un campo di concentramento - avrebbe proseguito la docente stando alle testimonianze dei ragazzi - ma non è certo andato in giro a dirlo a tutti". "E ora non andate a casa a dire ai vostri genitori che sono nazista e antisemita", avrebbe anche aggiunto. Gli alunni hanno però informato i genitori che poi, attraverso una chat di WhatsApp, hanno deciso di protestare con la dirigenza dell'istituto. La docente, riferisce il quotidiano, avrebbe quindi chiesto scusa. Sul caso è intervenuta anche la ministra dell'Istruzione Lucia Azzolina che ha definito le parole della docente "gravi e ingiustificabili". "A maggior ragione in questa fase, in cui si moltiplicano gli episodi di intolleranza, la scuola deve farsi portatrice di messaggi di pace e di inclusione", ha ribadito Azzolina. "Anche per questo, episodi come quello riportato questa mattina dalla stampa locale devono essere stigmatizzati", ha proseguito la ministra che ha poi aggiunto: "Mi aspetto che il gesto venga verificato e valutato con la massima attenzione. Colgo anche l'occasione per rinnovare il mio abbraccio sincero alla senatrice Liliana Segre. La Scuola è la sua scorta". "Qualora fossero confermate dalle verifiche che stiamo compiendo tramite l'Ufficio scolastico regionale, queste parole sarebbero davvero inaccettabili", scrive la viceministra dell'Istruzione, Anna Ascani. "È allucinante che una insegnante tenti di delegittimare proprio l'elemento più prezioso del lavoro della senatrice: passare il testimone della memoria e della coscienza civile alle giovani generazioni, che sempre meno potranno contare sui testimoni diretti di quell'orrore" spiega Valerio Fabiani, componente della segreteria regionale del Pd della Toscana e della direzione nazionale del Pd. Mentre il deputato fiorentino di Italia Viva Gabriele Toccafondi definisce "sconcertante quanto accaduto". "Sgomento e sconcerto" anche dalla Cgil, che ringrazia gli studenti per la reazione avuta.

Solidarietà a Segre e Repubblica Lettera di minacce al direttore. Le reazioni dopo i tweet intimidatori. Zingaretti: "Chi colpisce voi colpisce tutti noi. Non saranno vili minacce a fermare il vostro impegno nel tenere alta l'attenzione sugli orrori della Shoah, nel raccontare i troppi episodi di antisemitismo". Caterina Pasolini su La Repubblica il 29 gennaio 2020. "Se hai da fare un testamento fallo finché sei in tempo", c'era scritto sul foglio. Un nuovo messaggio minatorio è arrivato ieri mattina alla redazione di Repubblica , chiuso in una busta indirizzata al direttore Carlo Verdelli. Ancora parole di odio da chi si nasconde dietro l'anonimato, dopo i numerosi attestati di solidarietà arrivati per le frasi antisemite, razziste, e le minacce indirizzate via Twitter nel giorno della Memoria alla senatrice Liliana Segre, al giornalista Paolo Berizzi e ancora al direttore Verdelli: "Offese e minacce che con altri episodi vergognosi hanno finito per macchiare la giornata della Memoria ", ha ricordato il presidente del Consiglio Giuseppe Conte. "Ma non saranno questi gesti spregevoli a oscurare le nostre coscienze", ha aggiunto il premier. Che ha espresso la solidarietà sua personale e del governo alle vittime degli episodi. "Va difeso con ogni mezzo l'impegno di chi, ogni giorno, si batte per la libertà d'informazione contrastando l'odio e ogni forma di violenza con le parole della democrazia e dell'uguaglianza", ha detto la presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati. Preoccupato per il ripetersi in Italia di minacce e insulti razzisti, "che non vanno sottovalutati", anche il presidente della Camera Roberto Fico, secondo il quale "compito delle istituzioni è impegnarsi per una società tollerante, inclusiva, condannando ogni manifestazione d'odio". Parole nette dal segretario del Pd Nicola Zingaretti: "Chi colpisce voi colpisce tutti noi. Non saranno vili minacce a fermare il vostro impegno nel tenere alta l'attenzione sugli orrori della Shoah, nel raccontare i troppi episodi di antisemitismo". Mentre il senatore dem Luigi Zanda ha sottolineato come la missiva al direttore di Repubblica "costituisca anche un attentato al lavoro della redazione e un'intimidazione della libera stampa". Sugli autori delle minacce, il viceministro dell'Interno, Matteo Mauri, ha assicurato che "le forze dell'ordine lavorano per individuarli al più presto possibile". "Bisogna rispondere con fermezza perché questa inaccettabile spirale di odio abbia fine", ha commentato Vasco Errani, senatore di Articolo Uno. Messaggi e tweet di partecipazione sono arrivati infine dal sindaco di Milano Giuseppe Sala, dal commissario europeo Paolo Gentiloni ("solidarietà contro la vergogna") e da Roberta Pinotti, senatrice Pd. In una nota, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega all'editoria Andrea Martella ha scritto: "Alla senatrice Liliana Segre, al direttore di Repubblica Carlo Verdelli e al giornalista Paolo Berizzi va la mia solidarietà per le gravi ed inquietanti minacce e intimidazioni ricevute in questi giorni. Sono sempre più frequenti gli episodi di intolleranza, antisemitismo e di razzismo che riguardano purtroppo anche il mondo dell'informazione e che vanno a minare la libertà di stampa. Fenomeni che vanno isolati con l'impegno della politica e delle istituzioni insieme al lavoro delle forze dell'ordine".

Governo firma decreto, nasce gruppo di lavoro contro l'odio online. È stato firmato un decreto ministeriale a Palazzo Chigi per la creazione di gruppo di lavoro sul fenomeno dell'odio online. Un'iniziativa del ministro all'Innovazione, Paola Pisano, di concerto con quello della Giustizia, Alfonso Bonafede, e il sottosegretario con delega all'Editoria, Andrea Martella. Il gruppo di lavoro nasce per "mappare i possibili strumenti tecnologici di contrasto, identificare le modalità con le quali i gestori delle piattaforme possono contribuire a limitarne l'impatto sulla società nel rispetto dei principi costituzionali".

Giorgia Meloni contro le Sardine a DiMartedì: "Dicono di combattere l'odio e danno del negro a uno di FdI". Libero Quotidiano il 30 Gennaio 2020. "E loro sono quelli della pace". Incalzata da Giovanni Floris e Alessandro Sallusti, la leader di Fratelli d'Italia Giorgia Meloni svela a DiMartedì il vero volto delle sardine: "Loro dicono di combattere l'odio - ha ricordato in diretta - ma sono gli stessi che hanno insultato un militante di colore di FdI...". Il riferimento è a Francesco Nadalini, il 34enne attivista di FdI che ha accusato un uomo di 45 anni "con una sardina sul petto" di averlo apostrofato con il termine "negro" in piazza a Bologna. E tanti saluti alle "anime belle" della sinistra che quando si tratta di insulti a Matteo Salvini, Meloni, Silvio Berlusconi e destra in genere sono sempre pronti a chiudere un occhio (e anche due).

A Bologna scritta "Spara a Salvini", il senatore: "Aspetto reazioni". La solidarietà di Bonaccini. Scritta in un muro alla periferia di Bologna. Il governatore emiliano: "Frase inaccettabile. Gli avversari si affrontano politicamente, non si minacciano". La Repubblica il 29 gennaio 2020. Su un muro alla periferia di Bologna è comparsa nelle scorse ore una ignobile scritta minacciosa contro Matteo Salvini: "Soprattutto spara a Salvini". Una delle prime reazioni è proprio del senatore leghista, che in un tweet commenta la scritta. "Idioti all'opera a Bologna. Però saremmo noi a seminare odio. Mi aspetto la reazione indignata di tantissimi intellettuali di sinistra. Secondo voi quanti di loro diranno qualcosa a riguardo?". A Salvini ha risposto Stefano Bonaccini, presidente della Regione Emilia-Romagna: "Mi indigno io Matteo. Frase inaccettabile. Gli avversari si affrontano politicamente, non si minacciano".

Insegnante minaccia alunni: "Canta Bella Ciao o sei fascista". Insegnante di scuola media minaccia alunni di brutto voto se non intonano 'Bella Ciao': "Chi non canta, è fascista". Rosa Scognamiglio, Martedì 28/01/2020, su Il Giornale. "Se non canti Bella Ciao, vuol dire che sei fascista e ti metto un brutto voto". Con questa frase un'insegnante di scuola media avrebbe intimato ai suoi studenti di intonare l'inno della Resistenza partigiana minacciando una sfilza di insufficienze a chiunque si fosse rifiutato di farlo. Dalle parole ai fatti, il passo è breve. Così, con metodi educativi piuttosto discutibili, una professoressa ha ben pensato di politicizzare la classe - virando verso una inequivocabile ideologia di sinistra - con la minaccia di un brutto voto sul registro qualora i giovanissimi alunni avessero osato delle rimostranze o si fossero rifiutati di cantare i versi di Bella Ciao. Ma non è tutto. A quanto pare, l'insegnante si sarebbe spinta ben oltre il semplice ammonimento. La faziosa educatrice avrebbe talora apostrofato con l'appellativo "fascista" coloro che non avrebbero assecondato la sua richiesta perentoria. Dunque, spaventati dalle conseguenze di un eventuale diniego sulla media in pagella, i ragazzini non avrebbero potuto far altro che compiacere l'insegnante. A dare notizia dell'accaduto è stata la Lega Prato che, stando a quanto si apprende dalla testa d'informazione GoNews.it, ha riportato la segnalazione di un genitore - l'identità dell'uomo non è stata rivelata per evitare la gogna social – il quale riferiva della presunta condotta diseducativa adottata dalla professoressa durante le ore di lezione. "Abbiamo letto con molta preoccupazione la richiesta d'aiuto di un genitore di un bambino di seconda media: questi denunciava ieri sul suo profilo Facebook che la professoressa di Italiano avrebbe minacciato gli alunni di una classe di seconda media di cantare Bella ciao, pena un brutto voto. - si legge nella nota trasmessa dal gruppo consiliare Lega Prato - L'insegnante avrebbe anche detto agli alunni che se non avessero intonato Bella ciao sarebbero stati dei fascisti. Speriamo si sia trattato di un frainteso, perché altrimenti sarebbe un fatto gravissimo: tanto più apostrofando come 'fascisti' dei bambini 'colpevoli' di non aver imparato una canzone. Per questo chiediamo lumi alla presidenza della scuola media interessata. Pretendiamo quindi chiarezza: questi sarebbero metodi inaccettabili, trattandosi eventualmente di una educatrice che si rivolge a minori con pregiudizio e minacce". Al momento la vicenda resta ancora da accertare ma non è escluso che, nei prossimi giorni, possa essere ulteriormente dettagliata da altre eventuali testimonianze. Nel caso in cui, tale segnalazione fosse confermata, le conseguenze per l'insegnante potrebbero avere persino conseguenze giudiziarie fino alla sospensione dal servizio.

 Otto e mezzo, Gianrico Carofiglio balla sulla sconfitta di Salvini: "L'avevo detto, cos'è". Festa anti-Lega. Libero Quotidiano il 28 Gennaio 2020. "L'avevo detto in tempi non sospetti". Gianrico Carofiglio partecipa alla festa anti-Salvini allestita a Otto e mezzo. Dopo l'Emilia Romagna, Lilli Gruber si sfrega le mani e chiede anche allo scrittore, ex magistrato e parlamentare, il suo parere sul risultato. Il verdetto è accolto con sorrisi e ampi cenni del capo dalla conduttrice: "Avevo detto che Salvini non è un bravo comunicatore, soggetto culturalmente poco attrezzato e con un ego dilatato", è il "pacato" giudizio di Carofiglio, ospite habitué del salottino televisivo di Lilli la Russa. No, non poteva proprio mancare nella sera della grande euforia. Per la cronaca, tra gli altri ospiti spiccavano Elly Schlein, consigliera regionale del centrosinistra eletta con il record di preferenze (oggetto dell'intervista: "Come si fa a battere Salvini") e l'editorialista del Fatto quotidiano Andrea Scanzi, specializzato in insulti contro il capo leghista. Tutto un programma. 

Sandro Pertini "assassino e brigatista rosso". Il disastro del consigliere leghista Frugoli, caos in Toscana. Libero Quotidiano il 28 Gennaio 2020. L'ex presidente della Repubblica Sandro Pertini? "Un assassino" e "brigatista rosso". Il post su Facebook di Filippo Frugoli, consigliere comunale della Lega a Massa, provoca un terremoto politico in Toscana. Il Carroccio prende ufficialmente le distanze, per bocca di Daniele Belotti, commissario regionale, che ha definito le parole di Frugoli "sconsiderate e inaccettabili, Pertini è in realtà una delle massime ed apprezzate figure istituzionali italiane". Lo stesso giovane consigliere comunale, che a 21 anni è anche coordinatore provinciale dei giovani leghisti, è poi tornato sui suoi passi: "Chiedo scusa se qualcuno pensa io possa aver offeso la memoria di Pertini. Chiedo scusa se ho sbagliato. Avevo cercato di rimediare subito, rimuovendo il post dopo 20 minuti ma era già stato fatto uno screen e quindi non ho potuto più rimediare. Quando si fa un errore l'importante è rendersene conto ed andare avanti, se ho sbagliato me ne assumo le responsabilità e fine del discorso. Tutti sbagliano nella vita, a 21 anni forse è ancora più facile sbagliare e penso anche che esistano errori molto più gravi. Comunque, non cerco giustificazioni, sono una persona seria e non sono uno scemo, per questo mi assumo le mie responsabilità". "Sbaglierò, come tutti, ma posso dire che non sarò mai come voi - ha poi replicato a chi lo ha criticato sui social -. Se qualcuno vuole continuare ad attaccarmi e/o offendere lo faccia pure, comprendo. Ho comunque le spalle larghe". "L'inesperienza - è il commento di Belotti - purtroppo, talvolta, fa commettere sciocchezze come quella del nostro consigliere che si è poi prontamente scusato, capendo di aver commesso un grave errore". 

La Mussolini contro Liliana Segre: "Non fomenti l'odio contro il fascismo, da nonnina a strega di Biancaneve". Libero Quotidiano il 28 Gennaio 2020. Fa discutere Alessandra Mussolini. Intervistata qualche giorno fa dalla radio padovana Radio Cafè, l'ex europarlamentare di Forza Italia ha invitato Liliana Segre "a pacificare e non a fomentare". Sottinteso: l'odio contro il fascismo. Il tema era la decisione del Comune di Verona di dedicare una via a Giorgio Almirante, ex repubblichino, storico leader post-fascista e fondatore del Msi. Una scelta contro cui si è schierata con forza la Segre, ebrea internata in un lager, senatrice a vita, cittadina onoraria di Verona e presidente della Commissione parlamentare contro l'antisemitismo. "Stiamo discutendo di cosa è odio e cosa non lo è – ha spiegato la Mussolini, nipote del Duce -, proprio quello di cui dovrebbe occuparsi la commissione contro l'antisemitismo presieduta dalla Segre. Non provochiamo l'effetto contrario, altrimenti ci si trasforma da nonnina a strega di Biancaneve". Poi, ricordando lo scempio fatto dai partigiani sul corpo di Benito Mussolini dopo la Liberazione, ha rincarato: "Fino a quando un presidente della Repubblica non dirà che piazzale Loreto è stato uno scempio, non ci sarà pacificazione". Parole rimbalzate solo nelle ultime ore, che hanno scatenato la rabbia del popolo di sinistra sui social (#Mussolini è argomento di tendenza) e della politica. con Laura Boldrini, oggi nel Pd, in prima fila: "La prossima volta che ad Alessandra Mussolini viene in mente di parlare di Liliana Segre conti fino a dieci", ha commentato l'ex presidente della Camera su Twitter.

«Incitamento all’odio» Facebook rimuove il video di Salvini che citofona. Pubblicato martedì, 28 gennaio 2020 su Corriere.it da Claudio Bozza. Il leader della Lega, accompagnato da una sostenitrice, aveva suonato al campanello di una famiglia tunisina chiedendo: «Scusi, lei spaccia?». Il social (in ritardo) ha rimosso il video dopo le tante segnalazioni. «Incitamento all’odio». Per questa motivazione, a seguito delle numerose segnalazioni ricevute dagli utenti, Facebook ha rimosso il video in cui Matteo Salvini aveva suonato al citofono di una famiglia italo tunisina, nel quartiere popolare dei Pilastro a Bologna, insinuando che spacciassero. Il video, nell’ambito della strategia mediatica della Lega per la volata a sostegno di Lucia Borgonzoni, candidata governatrice in Emilia-Romagna, aveva totalizzato centinaia di migliaia di clic. La mossa aveva innescato una raffica di proteste: da quelle di tutto il centrosinistra e non solo, a quella ufficiale dell’ambasciata tunisina e alla censura del capo della polizia Franco Gabbrielli: «Non alla giustizia porta a porta».

Facebook rimuove il video di Salvini al citofono: quando l’etica la fa il web. Giampiero Casoni il 28/01/2020 su Notize.it. La rimozione del video di Salvini al citofono da Facebook è simbolo dell'etica pigra del Terzo Millennio e della morte del Diritto. È andata così ed era giusto che così andasse: il video a trazione tamarreggiante e popular con cui Matteo Salvini aveva messo alla berlina un 17enne durante il blitz elettorale al Pilastro di Bologna era diventato volano di incitazione all’odio e aveva consentito la localizzazione fisica di un minorenne. Perciò la Suprema Corte di Cassazione di Facebook ha deciso di rimuoverlo dal social tiranno di Zuckerberg perché non rispetta gli standard della comunità. E questo è un bene, ribadiamolo ché non guasta mai, in certe cose conta l’effetto e in vacca la causa. Ma dà anche il senso di una società dove l’etica e perfino il Diritto viaggiano su strade aliene.

Facebook rimuove il video di Salvini al citofono. A decretare infatti il reset senza appello di quel frame in cui Salvini si improvvisa uomo dell’anno per la copertina de La Torre di Guardia e va a fare i grattini all’elettorato malpancista apostrofando in diretta un ipotetico pusher italo tunisino con codazzo stampa annesso e prono è stata quella che in gergo si chiama la "Community". Sono state le migliaia di segnalazioni degli utenti social cioè a far mettere toga e parruccone all’algoritmo di Facebook, che ha contato e incasellato sullo scaffale del ‘mancato rispetto degli standard’ una cosa che sarebbe dovuta diventare appannaggio d’ufficio della Procura competente. La Legge Mannino e l’articolo 604/bis del Codice Penale vigente non sono certo messi lì per abbellire gli involti dei Baci Perugina, sono maniglie istituzionali autonome con cui uno Stato di Diritto si autoimmunizza dai corpi estranei che ne minano le basi, mica cotica. In Italia, casomai qualcuno se ne fosse dimenticato nel coacervo di autolegislazione casereccia che cola via dai social come melassa guasta, l’esercizio dell’azione penale è ancora obbligatorio, vale a dire che la magistratura inquirente ha il dovere, non la facoltà, di tampinare gli ipotetici illeciti, e i cittadini hanno l’opportunità, che sia figlia di spessore etico o specifico interesse in atti, di segnalarli. È il guaio del rinnovato, corale e pavido senso civico italiota, che non spinge più singoli cittadini o consessi a denunciare un fatto e a farsi carico fisico e cognitivo della cosa, ma a rimarcarne con trombonesca indignazione la denunciabilità sull’innocuo, comodo e appagante teatro dei social. È l’etica pigra del Terzo Millennio che avanza a tappe forzate e che fa abdicare le Leggi, facendole diventare le domestiche sceme degli Standard, al più un orpello carino con cui insapidire un post quando si vuol far vedere che non si è a digiuno di leguleismi durante una rissa social. Che il Diritto sia nato dalle nostre parti pare sia vero, ma che sempre dalle nostre parti stia morendo è quanto meno verosimile.

Maria Giovanna Maglie contro il consigliere di Papa Francesco: "Razzista e comunista, insulta i calabresi". Libero Quotidiano il 28 Gennaio 2020. Nei meandri del voto in Emilia Romagna. Ad esplorarli ci ha pensato Maria Giovanna Maglie, la quale non ha mai fatto mistero di stare dalla parte di Lega, Lucia Borgonzoni e Matteo Salvini. In questo caso, dalla parte degli sconfitti, per quanto il risultato del Carroccio nella roccaforte rossa sia stato eccezionale. E così, scavando scavando, la giornalista ha intercettato, rilanciato e stigmatizzato un commento di Bartolomeo Sorge. Di chi si tratta? Gesuita, teologo e politologo italiano, è un esperto di dottrina social della Chiesa. Nato nel 1946, all'attivo diverse pubblicazioni, è considerato uno dei più stretti e fidati collaboratori di Papa Francesco. Col "vizio" del commento politico, recentemente si era distinto per la "bocciatura" della scissione di Matteo Renzi quando salutò il Pd per dar vita ad Italia Viva. Ma in questo caso, Sorge si è speso commentando su Twitter il voto in Emilia Romagna. Un cinguettio nel quale non nasconde assolutamente da che parte stia - ovvero, contro Salvini - e in cui aggiunge considerazioni destinate a far discutere. Già, perché il prelato cinguetta: "Due Italie. Emilia Romagna: benestante, guarda al futuro, rinvigorita dalla linfa nuova delle sardine. Calabria: ferma al palo, ai affida al congenito antimeridionalismo della Lega, senza speranza". Insomma, bravi i "benestanti emiliani" mentre vengono bocciati gli zoticoni - ovvio, zoticoni non lo ha scritto. Eppure... - calabresi che hanno votato a destra: "Fermi al palo", "senza speranza". Parole, appunto, destinate a far discutere. Parole riprese e rilanciate dalla Maglie, sempre su Twitter, che contro Sorge usa parole pesantissime: "Questo vetero comunista travestito da sardone - premette - è il gesuita decano dei consiglieri di Bergoglio", dunque cita Papa Francesco. Dunque la Maglie aggiunge: "È anche un razzista, leggete cosa scrive della Calabria che ha votato il centrodestra!". E in effetti...

Fa un selfie con Salvini mentre è in malattia: licenziato delegato Cgil. Pubblicato domenica, 26 gennaio 2020 su Corriere.it da Alessandro Testa. Si scatta un selfie con Matteo Salvini e lo licenziano in tronco. Succede, a pochi giorni dalla chiamata alle urne, a un delegato sindacale della Filt-Cgil, candidato a maggio, e non eletto, al consiglio comunale del comune di residenza con una lista appoggiata da Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia. A Christian Lanzi, 47 anni, di Granarolo dell’Emilia, sposato con tre figli, la doccia fredda è arrivata a fine turno, la sera del 22 gennaio. Dipendente della società A3S, che lavora all’Interporto di Bologna per la multinazionale della logistica Schenker, era in malattia dal 2 ottobre con prognosi fino al 6 dicembre. Ma lo scorso 18 novembre è stato fotografato e ripreso dalle telecamere di una tv locale durante la visita del leader del Carroccio allo zuccherificio di Minerbio Coprob.«Non credo di aver fatto nulla di male — si difende — e lo dimostrerò nelle sedi opportune». Nero su bianco le motivazioni del licenziamento. «Era personalmente alla visita del segretario della Lega benché fosse in malattia — si legge —. Tale presenza è documentata da immagini e video mentre, apparentemente in buona salute, era intento a farsi fotografare». «Quell’immagine — prosegue la missiva — ha indispettito i suoi colleghi di lavoro, anche in considerazione della sua carica sindacale». Un licenziamento per giusta causa che, assistito dai legali Francesco Alleva, Ugo Lenzi e Gabriele Cazzara, Lanzi ha deciso di impugnare. Innanzitutto perché la contestazione disciplinare, che aveva preceduto il licenziamento, «non mi è mai arrivata», racconta. E poi perché Lanzi, che era assente dal lavoro per una patologia certificata da specialisti che gli avevano «vivamente raccomandato di uscire di casa, ovviamente fuori dalle fasce di reperibilità», quegli orari assicura di averli rispettati. «Dovevo essere a casa dalle 10 alle 12 e dalle 17 alle 19 — informa — e l’evento con Salvini iniziava alle 15 mentre il selfie è delle 16.10. Alle 16.30 sono andato a prendere i bimbi a scuola a Granarolo, che dista pochi chilometri da Minerbio. Poi subito a casa per farmi trovare in caso di controllo».

Matteo Salvini come Kim Jong-un, l'assurda paginata di Repubblica prima del voto in Emilia-Romagna. Libero Quotidiano il 26 Gennaio 2020. Va bene che siamo alla vigilia di un voto quanto mai sentito e capiamo anche che la campagna elettorale per Emilia Romagna e Calabria ha una valenza nazionale e quindi allarga le maglie dei colpi bassi ammessi. Ma poi c' è un limite anche a quelli a effetto e sicuramente «Repubblica» ieri è andata un po' oltre quando ha pubblicato una paginata per paragonare il segretario della Lega, Matteo Salvini, alla guida suprema della Repubblica democratica di Corea, il dittatore Kim Jong-un. La pagina era pure corredata da un collage fotografico che mostra alcune pose dei due. Nella prima entrambi sono a cavallo. Capirai la notizia. A sinistra, si legge nella didascalia, c' è Kim nella neve del monte Paektu, nell' ottobre del 2019, e a destra Salvini alla "Fieracavalli" di Verona. Ma questo è solo l' antipasto. Poi ci sono i due che imbracciano delle armi. Scoop. Peccato che Salvini lo faccia per un' iniziativa dedicata alla sicurezza. E quindi la chicca gastronomica. Kim che visita un mattatoio e Salvini a Parma in una fabbrica di prosciutti. Tutto molto bello. Ma ci sfugge il senso.

L'assist di Mihajlovic alla Lega: "Tifo per Salvini e Borgonzoni". L'allenatore del Bologna si schiera con la Lega in vista delle elezioni regionali in Emilia-Romagna. Alberto Giorgi, Mercoledì 22/01/2020, su Il Giornale. "Matteo Salvini è mio amico, ci conosciamo da tanti anni, dai tempi del Milan. Mi piace la sua forza, la sua grinta, è un combattente". Sinisa Mihajlovic esce allo scoperto e fa il proprio endorsement al leader della Lega. "Tifo per lui e spero che possa vincere in Emilia-Romagna con Lucia Borgonzoni", spiega nell'intervista rilasciata al Resto del Carlino. L'allenatore del Bologna sta combattendo da mesi come un leone contro un brutto male e come spesso gli capita non ha paura di esporsi. Neanche se si tratta di politica. E infatti nella chiacchierata con il quotidiano locale, il serbo si lascia andare a parole al miele verso il segretario del Carroccio: "Mi ispira fiducia. Quello che dice, poi lo realizza. E il fare è sempre più raro nei nostri tempi. Matteo è uno tosto, fa quello che fanno i grandi nel calcio: se promette, mantiene. I grandi uomini fanno questo, nello sport e nella politica". Dunque, il mister dei rossoblù entra nel merito della tornata elettorale nella regione "rossa" per eccellenza, dove il centrosinistra governa senza sosta da cinquant'anni: "Cambiare tanto per cambiare non serve. Io posso solo dire che sono in Italia dal 1992 e anche se non è il mio Paese di origine, è come se lo fosse diventato. E, da allora, trovo l'Italia peggiorata. Quindi bisogna avere idee e la forza di migliorare…". Da questo presupposto, ecco l'appoggio totale al capo politico della Lega e alla candidata (leghista) del centrodestra unito contro il dem Stefano Bonaccini: "Salvini è intelligente e capace, è all'altezza di guidare il Paese. E le donne – come Lucia Borgonzoni, ndr – beh le donne sono più forti degli uomini: le donne hanno carattere, determinazione, riescono sempre: Lucia è una di queste donne. Non la conosco personalmente, ma so che sarà all'altezza. Bisogna avere coraggio nella vita e per cambiare serve coraggio. Io dico la mia opinione come persona, non do lezioni. Ma penso al carisma e a chi mi dà fiducia". L'ultima battuta dell'intervista di Mihajlovic al Carlino è dedicata alla querelle sul caso della nave Gregoretti e al processo a Matteo Salvini: "Normale. Silvio Berlusconi quanti processi ha avuto? È normale che quando cerchi di cambiare molte cose e magari usi metodi forti, qualcuno possa chiedere di valutare il tuo operato. Di Matteo io dico: 'Fidatevi. E vedete quello che fa'".

Mihajlovic e le elezioni in Emilia Romagna: “Sto con Salvini”. Debora Faravelli il 22/01/2020 su Notizie.it. In vista delle elezioni regionali in Emilia Romagna, Sinisa Mihajlovic ha fatto sapere da che parte è schierato. Sinisa Mihajlovic ha espresso la sua opinione in merito alle elezioni regionali dell’Emilia-Romagna in programma per domenica 26 gennaio 2020. L’allenatore del Bologna ha dichiarato di voler sostenere Matteo Salvini e la sua candidata Lucia Borgonzoni. Il leader leghista ha ringraziato Sinisa tramite social, definendolo un “grande campione” e un “uomo coraggioso“. Pur non votando per il rinnovo del Consiglio regionale, Sinisa ha espresso la sua preferenza politica schierandosi dalla parte della Lega. Ha infatti raccontato di essere amico di Salvini da qualche anno, precisamente dal 2015, “i tempi del Milan“. Ha poi avuto recentemente un incontro con il leader del Carroccio, che ha sempre espresso ammirazione nei suoi confronti e che è passato a trovarlo per vedere come stesse. “Un incontro piacevole“, ha spiegato l’allenatore. “Mi piace la sua forza e la sua grinta, è un combattente“, ha continuato. Ha poi aggiunto che ritiene Salvini un uomo tosto che fa quello che dice, ribadendo il sentimento di amicizia che lo lega a lui. Mihajlovic ha poi espresso il suo apprezzamento anche nei confronti della candidata presidente del centrodestra. Pur non conoscendola personalmente, la ritiene una donna all’altezza in virtù del suo carattere e della sua determinazione. “Bisogna avere coraggio nella vita e per cambiare serve coraggio“, ha precisato, sostenendo che Lucia Borgonzoni sia un’ottima scelta per la regione per il suo carisma e per la fiducia che si è meritata. Non è tardato ad arrivare il ringraziamento della leghista all’allenatore del Bologna. Queste le sue parole condivise in un post su Facebook: “Grazie di cuore, Mister, speriamo, insieme alla nostra squadra, di riuscire a meritare questa fiducia, per il cambiamento dell’Emilia Romagna, con umiltà ma tanta passione“. Anche Matteo Salvini ha ringraziato Sinisa per il coraggio che ha avuto nell’esprimere la preferenza per il suo partito.

Mihajlovic si schiera con Salvini e gli heaters gli augurano la morte. Il Dubbio il 22 gennaio 2020. L’allenatore del Bologna si era schierato con la candidata del centrodestra. Dopo l’endorsement per Matteo Salvini e Lucia Bergonzoni in vista delle elezioni emiliane di domenica prossima, l’alleantore del Bologna Sinisa Mihajlovic è finito nel mirino degli heaters  che sui social lo hanno ricoperto di insulti, arrivando in alcuni casi ad augurargli la morte. L’allenatore serbo sta combattendo la sua battaglia contro la leucemia che lo ha colpito l’estate scorsa ed è reduce da un trapianto di midollo osseo. Tra coloro che si sono scagliati contro di lui per l’intervista pro-Salvini vi è anche chi gli rimprovera scarsa riconoscenza nei confronti di Stefano Bonaccini, presidente uscente dell’Emilia Romagna e candidato del centro sinistra alle elezioni di domenica, per il fatto di essere stato curato in un ospedale pubblico di Bologna. Sull’altro versante, non manca chi prende le difese di Mihajlovic stigmatizzando il comportamento di chi si è spinto fino ad augurargli la morte. “Mihajlovic può sostenere qualsiasi partito. È libero di farlo. Come tutti. Che pena leggere gente che gli vomita addosso bile e insulti perché ha detto di simpatizzare per questo partito invece che per quell’altro. Chi mette in mezzo la sua malattia è una persona piccola piccola”, “Vorrei dire a tutti i #facciamorete, i #restiamoumani e gli #odiareticosta che augurare la morte a Mihajlovic per aver espresso vicinanza alla Lega vi qualifica per quello che siete: la feccia d’Italia”, sono alcuni dei commenti che circolano su twitter.

Il leone Sinisa e i conigli rossi. Andrea Indini su Il Giornale il 22 gennaio 2020. Ha visto di tutto nella sua vita Sinisa, figuriamoci se si fa scalfire da quattro conigli rossi che lo insultano e gli augurano la morte. Lui resterà sempre un leone, loro degli ignobili roditori che si attaccano a una tastiera per inveire contro chi non la pensa come loro. Ne ha viste tante Mihajlovic e oggi non si fa certo problemi a rilasciare un’intervista per dire che appoggia in tutto e per tutto Matteo Salvini. Non se li fa anche se siede sulla panchina di una squadra, il Bologna, la cui curva è più rossa che non ce n’è. E poi: perché mai dovrebbe farsene? Ha detto quello che pensa. Punto. Si chiama libertà. La violenza con cui gli sono piombati addosso era prevedibile. E sono andati a colpirlo là dove, fino a qualche settimana fa, tutti gli si stringevano attorno: la malattia che gli divora dentro, quel tumore che non lo ha fermato. Se non lo ha fatto il cancro figuriamoci se ci riusciranno quei quattro idioti che gli augurano la morte perché ha fatto un endorsement al Capitano leghista. Gli rinfacciano di appoggiare Lucia Borgonzoni e gli ricordano che nel frattempo “si fa curare con la sanità di Bonaccini”. Per questo dovrebbe tacere. “Sosterrà Salvini in Emilia Romagna – scrivono – con un tumore già ci convive”. Da brividi. E ancora: “Speriamo muoia entro domenica”. Per Sinisa sono tutti moscerini. Lui che è cresciuto nella Jugoslavia del generale Tito, che ha vissuto sulla propria pelle due guerre violentissime, che ha visto le bombe americane radere al suolo le città serbe e gli amici cadere come foglie, non si lascia certo smuovere da un augurio di morte. La morte, appunto, l’ha guardata in faccia più volte e più volte l’ha sconfitta. Con un unico rimpianto. “Quando si parla di sogni non penso ad alzare una Champions League o uno scudetto – ha raccontato tempo fa – il mio è impossibile: poter riabbracciare mio padre”. Tutto il resto sono bassezze che non lo toccano ma che a noi dicono, ancora una volta, che le anime belle che vogliono i tribunali contro le destre sono i primi, feroci odiatori che metterebbero alla gogna chiunque non la pensi come loro. 

Sinisa tifa Salvini e la sinistra impazzisce: "E poi ti curi con la sanità di Bonaccini". Dopo l'endorsement dell'allenatore del Bologna Siniša Mihajlović a Matteo Salvini e Lucia Borgonzoni in Emilia Romagna, c'è chi lo accusa: "Si cura con la sanità di Bonaccini". Roberto Vivaldelli, Mercoledì 22/01/2020 su Il Giornale. Sinisa Mihajlovic, ex giocatore di Sampdoria, Lazio e Inter e ora allenatore del Bologna, è finito nel mirino della stampa di sinistra dopo l'endorsement a Matteo Salvini e Lucia Borgonzoni dato in un'intervista rilasciata a Il Resto del Carlino. "Tifo per Matteo Salvini e spero che possa vincere in Emilia-Romagna con Lucia Borgonzoni" ha dichiariato Sinisa, sottolineando che Salvini "mi ispira fiducia. Quello che dice, poi lo realizza. E il fare è sempre più raro nei nostri tempi". Apriti cielo! Da notare che Sinisa Mihajlovic è uno dei pochissimi "vip" a fare il tifo per Salvini e Borgonzoni in Emilia-Romagna: se dovessimo stilare la lista di quelli apparsi sui giornali in favore di Bonaccini, a cominciare da quelli saliti sul palco con le sardine a Bologna, non finiremmo più.

"Si cura con la sanità di Bonaccini". La notizia, oltre a scatenare i social (insulti compresi), ha anche acceso la stampa di sinistra e progressista. Next Quotidiano, testata edita da Nexilia, titola così: "Sinisa Mihajlovic appoggia Borgonzoni ma si cura con la sanità di Bonaccini", in riferimento alla battaglia contro la leucemia che l'allenatore del Bologna sta conducendo con grandissima tenacia e dignità dopo essersi sottoposto al trapianto di midollo osseo. Una malattia terribile che Mihajlovic sta combattendo sin dal primo giorno con la forza di un leone, senza peraltro mai abbandonare la sua squadra, il Bologna. Nell'articolo Next Quotidiano si chiede "cosa vorrebbe cambiare Mihajlovic in Emilia-Romagna" probabilmente "non l’equipe medica dell’Ospedale Sant’Orsola che lo ha avuto in cura. L’istituto di ematologia Seragnoli è considerato una delle eccellenze della Sanità pubblica italiana. Ma probabilmente all’allenatore del Bologna poco importa che il progetto della Lega sia quello di una progressiva privatizzazione del comparto sul modello della Lombardia". Oltre all'inopportunità di scomodare la malattia e questioni personali estremamente delicate per criticare una legittima opinione politica, va rilevato che la sanità "non è di Bonaccini" ma dell'Emilia-Romagna e dello stato italiano. Il fatto che un suo diritto sia stato garantito significa che Sinisa, peraltro cittadino onorario di Bologna, debba per forza di cose pensarla come l'attuale governatore su tutto? Si fa davvero fatica a comprendere la logica di un'argomentazione del genere. Lo stesso quotidiano osserva, inoltre: "Nessuno a quanto pare lo ha avvertito che in Emilia-Romagna vincerà Lucia Borgonzoni e non il leader della Lega, ma sono dettagli dei quali non si curano nemmeno i più convinti elettori della Lega". Peccato che Mihajlovic sappia benissimo chi è Lucia Borgonzoni, come spiega lui stesso nell'intervista rilasciata a Il Resto del Carlino: "Le donne hanno carattere, determinazione, riescono sempre: Lucia è una di queste donne. Non la conosco personalmente, ma so che sarà all’altezza. Bisogna avere coraggio nella vita e per cambiare serve coraggio. Io dico la mia opinione come persona, non do lezioni. Ma penso al carisma e a chi mi dà fiducia". Ci sarebbe poi molto da discutere e da obiettare sulla paventata privatizzazione della sanità menzionata nell'articolo, oggetto di dibattito politico (e scontro) fra lo stesso Bonaccini e la Lega in Emilia-Romagna. Bonaccini aveva commentato così sulla sua pagina Facebook l’intervista del segretario della Lega Emilia, Gianluca Vinci, andata in onda su Telereggio: "Il segretario della Lega Emilia ci spiega il loro progetto per la sanita’ in Regione: privatizzazione del 50% dei servizi. Dice inoltre che il loro programma e’ stato scritto con i presidenti di Lombardia e Veneto". Affermazioni per le quali il governatore uscente dell'Emilia-Romagna è stato querelato dallo stesso Vinci: "Bonaccini pubblica sul suo profilo una fake news creata con un copia incolla di parti di una mia intervista distorcendone il significato. Complimenti al governatore ‘uscente’ per questa ennesima dimostrazione del fatto che è in estrema difficoltà".

Insulti sui social contro Sinisa: c'è chi gli augura la morte. Nel frattempo, Sinisa è stato oggetto di pesanti attacchi sui social network dopo il suo endorsement per Matteo Salvini in vista delle elezioni regionali di domenica. Come riporta l'Adnkronos, l'allenatore del Bologna è finito nel mirino degli haters che sui social lo hanno ricoperto di insulti, arrivando in alcuni casi ad augurargli la morte. Qualcuno addirittura scrive commenti choc di questo tenore: "Questo per farvi capire che a volte uno le disgrazie se le merita"; "Ci sono cose che non si guariscono nemmeno negli ospedali dell'Emilia Romagna nonostante sia la migliore sanità d'Italia". A scagliarsi contro il il mister dei rossoblù anche la pagina SatirSfaction. "Mihajlovic sosterrà Salvini in Emilia Romagna, con un tumore già ci convive", si legge su Twitter. E ancora "Mihajlovic sostiene Salvini: "Darei il mio sangue per lui". Frasi forti che non hanno fatto per nulla sorridere. Anzi, hanno attirato le critiche degli utenti. "Questa non è satira, è assoluta mancanza di rispetto", "Fai schifo", "Non è satira, è stronzaggine pura", "Vi dovreste vergognare", "Mi viene il voltastomaco", alcune delle reazioni al post. Senza dimenticare la gaffe dell'assessore regionale della giunta Bonaccini, Massimo Mezzetti: "E pensare che, se dessimo retta a chi dice “negli ospedali dell'Emilia-Romagna va data la precedenza prima agli emiliano-romagnoli...poi agli italiani...poi agli altri”, un serbo, non residente in Emilia-Romagna, non potrebbe curarsi" ha scritto sulla sua pagina Facebook. Dichiarazioni a cui ha prontamente risposto Matteo Salvini: "L’assessore regionale dell’Emilia-Romagna, Massimo Mezzetti, dice che per la Lega un serbo come Mihajlovic non potrebbe essere curato in ospedale. Mezzetti non è stato ricandidato e con questa scemenza ne intuiamo i motivi: non è adatto a ricoprire un ruolo pubblico e fa polemica sulla salute di una persona".

Gli insulti shock a Mihajlovic: "Malato mentale, meriti la morte". Vergognosi attacchi all'allenatore del Bologna dopo l'endorsement alla Lega: "Ha alcuni danni cerebrali irreversibili, speriamo che muoia". Luca Sablone, Mercoledì 22/01/2020 su Il Giornale. Una vergogna assoluta: commenti deplorevoli ai danni di Sinisa Mihajlovic, "colpevole" di aver espresso parole positive nei confronti della Lega. Il serbo, che sta combattendo contro la leucemia ed è reduce da un trapianto di midollo osseo, ha strizzato l'occhio a Matteo Salvini: "Tifo per lui e spero che possa vincere in Emilia-Romagna con Lucia Borgonzoni. Mi ispira fiducia. Quello che dice, poi lo realizza. E il fare è sempre più raro nei nostri tempi. Matteo è uno tosto, fa quello che fanno i grandi nel calcio: se promette, mantiene". Appoggiare una linea politica di destra, come al solito, ha scatenato tutta la violenza dei leoni da tastiera della sinistra. Coloro che si dichiarano antifascisti e antiviolenti hanno messo in campo un'ondata di minacce contro l'allenatore del Bologna. Tra l'altro è spuntata anche la battuta choc della pagina di SatirSfaction: "Mihajlovic sosterrà Salvini in Emilia Romagna, con un tumore già ci convive". Gli haters lo hanno ricoperto di offese, arrivando addirittura ad augurargli la morte. "Speriamo muoia entro domenica. Fatti curare da Casapound. Sei un fascista. Laziale. Ti davano dello zingaro e te lo sei scordato e quindi non mi sorprende che tu abbia fatto propaganda per Salvini. Ai bolognesi tifosi però dispiace. Se ti levi dalle palle a me sta bene", scrive un utente. C'è chi ha espresso felicità per il travaglio che ha passato: "Mi auguro sinceramente che la chemio aiuti Mihajlovic ad uscire dalla malattia! Purtroppo però debbo constatare che alcuni danni cerebrali irreversibili sembra che li abbia già fatti". Un'altra utente ha invece twittato: "Questo per farvi capire che a volte le disgrazie uno se le merita". Ovviamente non sono mancate le difese a sostegno del tecnico: "Mihajlovic può sostenere qualsiasi partito. È libero di farlo. Come tutti. Che pena leggere gente che gli vomita addosso bile e insulti perché ha detto di simpatizzare per questo partito invece che per quell’altro. Chi mette in mezzo la sua malattia è una persona piccola piccola"; "Vorrei dire a tutti i #facciamorete, i #restiamoumani e gli #odiareticosta che augurare la morte a Mihajlovic per aver espresso vicinanza alla Lega vi qualifica per quello che siete: la feccia d'Italia".  

Salvini replica all'uscita di Massimo Mezzetti su Sinisa Mihajlovic: "Non è stato ricandidato e con questa scemenza ne intuiamo i motivi: non è adatto a ricoprire un ruolo pubblico e fa polemica sulla salute di una persona". Roberto Vivaldelli, Mercoledì 22/01/2020, su Il Giornale. "E pensare che, se dessimo retta a chi dice negli ospedali dell'Emilia-Romagna va data la precedenza prima agli emiliano-romagnoli...poi agli italiani...poi agli altri, un serbo, non residente in Emilia-Romagna, non potrebbe curarsi". È il commento, pubblicato su Facebook, di Massimo Mezzetti, assessore alla cultura, politiche giovanili e politiche per la legalità nella giunta Bonaccini, in Emilia-Romagna. Il riferimento dell'assessore regionale è alle recenti dichiarazioni dell'allenatore del Bologna, Sinisa Mihajlovic, che ha confessato in un'intervista a Il Resto del Carlino di fare il tifo per il leader leghista Matteo Salvini e Lucia Borgonzoni. Parole, quelle dell'assessore, destinate ad alimentare nuove polemiche. Durissima la replica del leader del Carroccio, Salvini: "L’assessore regionale dell’Emilia-Romagna, Massimo Mezzetti, dice che per la Lega un serbo come Mihajlovic non potrebbe essere curato in ospedale. Mezzetti non è stato ricandidato e con questa scemenza ne intuiamo i motivi: non è adatto a ricoprire un ruolo pubblico e fa polemica sulla salute di una persona" osserva Salvini in una nota. "Orgogliosi di governare tante Regioni con Sanità d’eccellenza, onorati della stima di Sinisa e fieri di poter liberare l’Emilia-Romagna dalla sinistra di Bonaccini e Mezzetti. Speriamo - prosegue Matteo Salvini - che Bonaccini censuri la scemenza del suo assessore, e che magari ci parli anche di Jolanda di Savoia". Sui social network alcuni uteni hanno espresso dure critiche nei confronti dell'uscita (a dir poco infelice) dell'assessore regionale. "Questa te la potevi risparmiare" scrive un utente sotto il post, mentre un altro rimarca: "Sono di sinistra. Ma questa è pessima". Mezzetti prova a difendersi: "Non mi sembra di essere stato offensivo nei confronti di [Mihajlovic] in quanto uomo. Ho messo in evidenza una sua contraddizione fra ciò che sostiene (forse meglio dire, chi sostiene) e l'esperienza che ha vissuto". E ancora: "Ho fatto una constatazione semplice. I cattivi sono quelli che non l'avrebbero curato, mica io. Io voglio che possa continuare a usufruire della nostra buona sanità, non sono come quelli che vogliono cacciare gli stranieri dai nostri ospedali". Dopo l'assist a Matteo Salvini e alla Lega, l'allenatore del Bologna ed ex calciatore è stato oggetto di una vera e propria campagna d'odio via social. Sinisa Mihajlovic è finito nel mirino degli haters che sui social lo hanno ricoperto di insulti, arrivando in alcuni casi ad augurargli la morte. Qualcuno addirittura scrive commenti choc di questo tenore: "Questo per farvi capire che a volte uno le disgrazie se le merita"; "Ci sono cose che non si guariscono nemmeno negli ospedali dell'Emilia Romagna nonostante sia la migliore sanità d'Italia". La sua colpa? Non essere di sinistra o, perlomeno, non simpatizzare per la sinistra italiana. Quella dei "buoni", delle sardine e di chi rigetta l'odio.

ELEONORA CAPELLI per bologna.repubblica.it il 23 gennaio 2020. Le regionali in Emilia si trasformano in un derby tra allenatori rossoblù. Dopo l'endorsement di Sinisa Mihajlovic per la Lega alle elezioni del prossimo 26 gennaio, l'ex allenatore del Bologna, Renzo Ulivieri scende in campo per Bonaccini e per la coalizione di centrosinistra. In particolare a sostegno del candidato Igor Taruffi della lista "Coraggiosa". "Sono un estimatore di Mihajlovic, in tante occasioni ci siamo conosciuti e abbiamo parlato - dice l'allenatore toscano, sulla panchina del Bologna dal 1994 al 1998 e successivamente dal 2005 al 2007 - non condivido chi sostiene che non dovesse parlare, chi è nel mondo del calcio può parlare e sosterrò sempre la sua libertà di farlo. Però poi dico: non gli date retta". Ulivieri, che in passato è stato anche candidato alle elezioni con Sel, difende la dimensione dell'impegno politico ma anche idee completamente diverse da quelle di Sinisa. "Il nostro è un pensiero completamente diverso - spiega - riguardo l'uomo, l'umanità, riguardo al senso di stare insieme. Sostengo che l'Emilia è un modello, sono per Bonaccini e Taruffi, per quella coalizione che porta avanti un discorso cominciato tanti anni fa, di democrazia, di partecipazione, di scelte". Per questo Ulivieri chiede: "Non statelo a sentire". "Le cose in Emilia stanno in un'altra maniera, non come dice Salvini - sostiene Ulivieri - i cittadini dell'Emilia lo sanno e non si faranno incantare".

Tony Damascelli per il Giornale il 23 gennaio 2020. Non c' è dubbio che Benito Mussolini fosse tifoso della Roma così come, in seguito, Giulio Andreotti, mentre Palmiro Togliatti si scaldasse per la Juventus, come Luciano Lama, gente di sinistra, quest' ultima, vicina al simbolo del capitalismo, Giovanni Agnelli. Ai tempi, nessuna speculazione o rivolta di popolo per il tifo calcistico dei personaggi politici ma è vero il contrario, quando un calciatore illustra la propria idea e ideologia, allora la musica cambia, Bruno Neri si rifiutò di alzare il braccio per il saluto romano, era l' anno millenovecentotrentuno e si inaugurava lo stadio di Firenze alla presenza dell' autorità del fascio, quell' immagine restò non soltanto nelle fotografie ma fu il simbolo di una ribellione che portò Neri a diventare partigiano ed essere poi fucilato dai nazisti. Venne poi la democrazia che, comunque accetta con fatica, alcune posizioni politiche degli atleti. Si discute della dichiarazione pro Salvini e Lega di Sinisa Mihajlovic, allenatore simbolo del Bologna, cioè del club che è stato allenato negli anni da Renzo Ulivieri la cui appartenenza al partito comunista viene ribadita con il busto di Vladimir Ilic Uljanov, per i compagni di tutto il mondo, Lenin, collocato sulla credenza di casa. Lo stesso Uliveri, vice presidente della Federcalcio e presidente degli allenatori, si è fotografato a Chicago, posando con il dito medio rivolto alla Trump Tower. Affollato, come una gradinata, è l' elenco di figure illustri che passano dal pugno chiuso di Paolo Sollier a quello di Cristiano Lucarelli, così come Riccardo Zampagna apertamente schierato con gli operai della ThyssenKrupp, acciaierie di Terni, fabbrica nella quale lui stesso aveva lavorato prima di darsi al football. Non figurine ma persone e personaggi di rilievo per la tifoseria che, spesso, si manifesta con nomi da battaglia, dai commandos ai feddayn, dagli ultras alle brigate. Quando il portiere del Milan, Christian Abbiati, dichiarò di condividere il fascismo per i valori della Patria, il senso dell' ordine e della sicurezza, garanzie del vivere quotidiano, provocò il subbuglio anche se tentò di rimediare dicendo di non poter assolutamente accettare le leggi razziali e l' alleanza con Hitler e l' entrata in guerra. Fu timbrato, come Paolo Di Canio che, tra tatuaggi duceschi e saluto romano, non abbisogna di passaporto diplomatico. Idem come sopra per Stefano Tacconi che si presentò per le liste di Alleanza Nazionale che fu. Di destra è Sergio Pellissier che ha ammesso di rispettare il fascismo «per le cose belle, accanto a quelle brutte». Se la squadra va verso la squadraccia, in campo corrono anche molti compagni e affini, Simone Perrotta si è innamorato dei 5Stelle, Massimo Mauro era entrato nel giro dell' Ulivo, Sacchi e Lippi amano il garofano rosso, mentre la battuta più felice rimane quella di Eugenio Fascetti: «L' unica cosa di sinistra che mi piace è la colonna della classifica di serie A». Aggiungo ai passionari della politica, Giovanni Galli e Giuseppe Giannini e Angelo Peruzzi, in formazione tra Forza Italia e Popolo delle Libertà. A sorpresa, Antonio Cabrini aveva aderito all' Italia dei Valori di Di Pietro. Un album che non solletica i collezionisti ma dimostra che il football tenta di nascondersi nel canneto. Se i politici usano il calcio per aumentare il consenso e salire a bordo della diligenza quando la loro squadra, nazionale o di club, vince, i calciatori, sulla stessa diligenza preferiscono non salire, per evitare fischi e ingiurie del favoloso pubblico dei tifosi. Che sono anche elettori.

Alessandro Barbano per il ''Corriere dello Sport'' il 23 gennaio 2020. Disse, Sinisa Mihajlovic, tornando dopo tre mesi di cure: “Mi sorprende aver unito tutti con la mia malattia, io sono stato sempre divisivo. E forse tornerò a esserlo”. La promessa l’ha mantenuta con l’endorsement a Matteo Salvini, fatto ieri in un’intervista al Carlino. Chi lo conosce bene non si è stupito, perché sa che la divisività è una cifra irredimibile del suo carattere. Ma per un Sergente serbo che si schiera a destra, c’è subito uno Zar russo che gli risponde dal lato mancino. È Ivan Zaytsev, campione del volley modenese e nazionale, in piazza Grande con le sardine fin dalle prime adunate: sul suo profilo Instagram da ieri compare una foto di Stefano Bonaccini, con una eloquente didascalia: “Il mio Presidente”. Lo sport si è schierato. Se qualcuno avesse ancora dubbi sulla valenza di questa sfida elettorale, eccolo servito: la competizione tracima dalle segreterie politiche fino agli spogliatoi più prestigiosi. L’Emilia Romagna è una roccaforte che neanche gli incerti della Seconda Repubblica avevano messo in discussione. Su questo confine mai conteso, e oggi improvvisamente contendibile, si giocano non solo gli equilibri di governo, ma le visioni e gli schemi con cui il Paese si è raccontato e in parte ancora si racconta da settant’anni. Non c’è da stupirsi che la battaglia delle battaglie abbia assoldato l’intera platea dei riservisti. Ma quanto pesa l’opinione dei campioni dello sport? Molto, secondo le aspettative degli spin doctor dei due sfidanti, che se li sono contesi con un corteggiamento scientifico. Meno, a giudicare dalle reazioni sui social: la sovraesposizione ha sempre un effetto paradosso. Così, sulla community “Lo spettro della bolognesità”, che conta su Facebook 17mila utenti, c’è chi arriva a rimproverare a Mihajlovic di sputare nel piatto di quel modello emiliano che lo ha assistito con tempestività taumaturgica. “Mica l’ha operato Bonaccini”, replica un altro cibernauta. E da più parti ci si chiede in che misura la sortita del tecnico chiami in corresponsabilità anche il club: in tempi in cui le società regolano il diritto di parola dei loro campioni, è difficile pensare che il Bologna non sapesse e non volesse. D’altra parte Sinisa non è uno abituato a chiedere il permesso di parlare. E certamente parlare di politica è un suo diritto. Ma che cosa accadrebbe se il tecnico della Spal Leonardo Semplici, contro cui il Bologna giocherà a Ferrara il giorno prima dell’apertura delle urne, dichiarasse la sua fede per Bonaccini? Il derby emiliano rischierebbe di trasformarsi in un antipasto bollente delle elezioni. In nome di un tirannia che assoggetta ambiti della vita pubblici abitualmente separati, il calcio cesserebbe di essere quella valvola di decantazione che è. Certamente questo Mihajlovic e Zaytsev e le loro scuderie politiche di riferimento non l’hanno pensato. A questa soffocante polarizzazione di bandiere e stati d’animo viene in soccorso un motto di Blaise Pascal, a cui si ispira il filosofo statunitense Michael Walzer nel suo libro “Sfere di giustizia”: «Dobbiamo onori diversi ai diversi meriti, amore alla bellezza, timore alla forza, credito alla scienza». E, si può aggiungere, ammirazione all’impresa sportiva. Questo per dire che il 4-2-3-1 del Sergente e l’ace in battuta a 120 all’ora dello zar restano una fenomenologia del corpo, e non una religione dello spirito e del sapere assoluto. Per nostra fortuna.

Sacchi come Mihajlovic: ha scelto Salvini e Borgonzoni. Stasera a Bologna presenterà il suo libro in un incontro organizzato da Forza Italia. La senatrice Bernini: ''Ci aspettiamo il suo appoggio''. Antonio Prisco, Giovedì 23/01/2020, su Il Giornale. Anche Arrigo Sacchi in appoggio alla Lega di Matteo Salvini e della candidata Lucia Borgonzoni, in vista delle prossime elezioni del 26 gennaio in Emilia-Romagna. Dopo le dichiarazioni di Sinisa Mihajlovic, dal mondo del calcio potrebbe arrivare un nuovo endorsement a favore di Lucia Borgonzoni. Arrigo Sacchi, romagnolo di Fusignano, l'indimenticato allenatore del primo Milan di Silvio Berlusconi e della Nazionale italiana, potrebbe lanciare da Bologna il proprio endorsement al centrodestra in vista del voto di domenica. Questa sera, nelle sale del Museo della storia di Bologna, Sacchi presenterà il libro La coppa degli immortali Sottotitolo: Milan 1989: la leggenda della squadra più forte di tutti i tempi raccontata da chi la inventò, scritto con Luigi Garlando. A quanto si sa, Arrigo non ha mai aderito ad alcun partito, rifiutando sempre qualsiasi tessera in tasca. Tuttavia non ha mai nascosto di avere votato sempre per Silvio Berlusconi, da quando il Cavaliere scese in campo nel 1994. Sugli inviti, il simbolo Forza Italia-Berlusconi per Borgonzoni, che si troverà anche sulle schede elettorali delle regionali non lascerebbe alcun dubbio sulla scelta dell'ex tecnico milanista. Con Sacchi, all’incontro intervengono Anna Maria Bernini, presidente dei senatori di FI, Adriano Galliani, ex vicepresidente del Milan, senatore di FI, e Marino Bartoletti, giornalista, nel 2004 candidato sindaco civico a Forlì, sostenuto dal centrodestra. Non sarebbe la prima volta che il nome di Sacchi viene associato alla Lega. L’agosto scorso, il grande tifoso rossonero Matteo Salvini, allora Ministero dell’Interno, dalla spiaggia del Papeete, a Milano Marittima, pubblicò su Instagram un selfie proprio in suo compagnia con il commento: ''Arrigo Sacchi, numero uno!''. Inutile nascondere che tutti, questa sera, si attendono dall'ex allenatore rossonero un sostegno esplicito a favore del centro destra. ''Sarei molto delusa se non lo facesse'', afferma la senatrice Anna Maria Bernini, che con grande entusiasmo aggiunge: ''Il mondo pallonaro è con noi, con un presidente così, se il mondo del pallone non fosse con noi avremmo veramente sbagliato tutto''. Intanto sponda Pd arrivano a sorpresa le dichiarazioni di Andrea Corsini, assessore regionale al turismo dell'Emilia-Romagna: ''Arrigo Sacchi ha partecipato a due iniziative organizzate dal Partito Democratico di Cervia e Fusignano, per promuovere e sostenere la mia candidatura alle elezioni regionali di domenica prossima. In entrambe le occasioni e in una importante trasmissione radiofonica nazionale Arrigo ha dichiarato che lui sostiene le persone che hanno lavorato bene e quindi sosterrà Andrea Corsini e Stefano Bonaccini''. Questa sera la soluzione del giallo?

Salvini citofona al cittadino tunisino: “Scusi lei spaccia?” La campagna porta a porta dell’ex ministro è senza limiti. Il Dubbio il 22 gennaio 2020. La campagna elettorale di Matteo Salvini prosegue senza limiti. Stavolta a farne le spese è un cittadino tunisino residente in Emilia. Raccolto alcune voci di quartiere che lo indicavano come spacciatore, l’ex ministro dell’Interno, circondato dai microfoni e dalle guardie del corpo, ha citofonato e ha chiesto: “E’ lei il tunisino che spaccia nel quartiere?”. “A che titolo l’ho fatto?  – ha spiegato poi Salvini ai giornalisti -. In qualità di cittadino. Le forze dell’ordine fanno meglio di me il loro mestiere, quindi hanno gli elementi per decidere se quel tizio spaccia o non spaccia. Mi volevo togliere una curiosità, visto che una signora di 70 anni mi dice "mi minacciano di morte perchè lì spacciano”. Intorno a Salvini molti sostenitori, ma anche diversi contestatori che gridavano: “Cosa fai qui? Tornatene al Papeete”.

Salvini e il citofono a Bologna: “L’ho fatto per aiutare una mamma”. Debora Faravelli il 22/01/2020 su Notizie.it.  Continua la campagna elettorale di Matteo Salvini in Emilia Romagna in vista delle elezioni regionali di domenica 26 gennaio 2020: nel corso di una diretta Facebook da Bologna con i cittadini del quartiere Pilastro, ha suonato il citofono di un cittadino per chiedere se, come su segnalazione di una residente, fosse uno spacciatore di droga. Il motivo del gesto – che ha suscitato non poche polemiche, prima fra tutte quella dello scrittore Fabio Volo – è stato rivelato dallo stesso leader della Lega.

Il motivo del gesto. “Quando una mamma chiede aiuto, una mamma che ha perso un figlio per droga, faccio il possibile mettendomi in prima linea, anche se qualche benpensante protesta“. All’indomani dell’episodio nel quartiere Pilastro, Salvini è intervenuto a Mattino 5 spiegando le motivazioni del gesto al citofono. “Gli spacciatori devono stare in galera, non a casa” ha continuato il leader leghista. “Abbiamo segnalato a chi di dovere che là si spaccia droga. C’è una normativa tollerante con gli spacciatori, per questo la Lega ha presentato la proposta Droga zero, perché la droga è morte“.

Matteo Salvini al citofono, il tunisino Yassin a tutto campo: "Perché la signora mi ha segnalato". Libero Quotidiano il 22 Gennaio 2020. Dopo 24 ore esatte è arrivata la replica di Yassin, il 17enne tunisino, che, mentre Matteo Salvini citofonava, giocava a calcio. Il video di risposta è stato pubblicato dal profilo Facebook dell'avvocato e attivista Cathy La Torre, e ritrae il giovane di spalle, in quanto minorenne. Yassin afferma di esserci "rimasto male" quando, al suo ritorno, i genitori gli hanno comunicato la comparsata di Salvini alla ricerca di un ragazzino spacciatore. Lui che non ha mai spacciato in vita sua ed entro 4-5 mesi diventerà padre e maggiorenne. Per approfondire leggi anche: Matteo Salvini al citofono e la Tunisia si indigna. Sapete chi è questo parlamentare? Molto sospetto..."Non ho mai spacciato, non ho precedenti penali, non sono indagato", riferisce Yassin, che poi spiega la possibile ragione per cui quella donna lo ha indicato come spacciatore: "Ho avuto a che fare con la signora perché scoppiavamo petardi sotto casa". Quindi, secondo il 17enne, la signora lo avrebbe associato agli spacciatori del quartiere Pilastro. Infine arriva l'appello indirizzato direttamente al leader della Lega: "Salvini, togli quel video". 

SALVATORE DAMA per Libero Quotidiano il 23 gennaio 2020. La signora Annarita Biagini ha dato fastidio. Prendendo Matteo Salvini sotto braccio e portandolo per un giro "panoramico" sul suo quartiere degradato, il Pilastro di Bologna, ha acceso un faro dove non doveva. Una piazza di spaccio dove i pusher vogliono continuare la propria attività al riparo dal clamore. Ed eccola la ritorsione: la sessantenne bolognese ieri mattina si è ritrovata la macchina con il parabrezza e i vetri laterali in frantumi. Un dispetto. Una intimidazione. Indagano le forze dell' ordine. D' altronde che il suo fosse un rione difficile, lo sapeva: «Io la sera, quando esco a portare il cane, tengo sempre la pistola in tasca. È regolarmente denunciata, mi dispiace ma è così», ha confessato al Corriere. «Vivo qui da trent' anni e le cose negli ultimi tempi sono solo peggiorate. Tutti sanno quello che succede ma nessuno parla, ho spesso denunciato queste cose alle forze dell' ordine», ha detto la donna mostrando un dossier con foto e segnalazioni sulle attività degli spacciatori. «Chiedo semplicemente di poter uscire di casa tranquillamente e qui da un po' non mi sento sicura» (...)

Da La Stampa il 23 gennaio 2020. Anna Rita Biagini vive da trent' anni al Pilastro, un quartiere difficile oltre l' anello della tangenziale bolognese, a duecento metri dal punto in cui la banda della Uno Bianca ammazzò tre carabinieri nel 1991. L' altra notte, dopo la visita di Salvini e le accuse di spaccio alla famiglia tunisina via citofono, qualcuno ha spaccato i vetri della sua auto con un mattone. Sul gesto del leader leghista e sulle sue conseguenze su un ragazzo di 17 anni e sul padre, denigrati in diretta tv, non ha alcuna riserva: «Io avrei fatto la stessa cosa, avrei suonato al citofono come ha fatto Salvini, perché quando uno ha ragione è giusto fare così. Ho denunciato queste persone, le ho fotografate insieme ad altri e consegnato le foto alle forze dell' ordine. Spacciano qui sotto, dappertutto, e nessuno mi leva dalla testa che siano stati loro a rompermi i vetri della macchina».

Non si sente strumentalizzata politicamente?

«Non mi aspettavo che ci sarebbero state telecamere e giornalisti, così come lo schieramento di polizia. Pensavo che ci sarebbe stato solo un colloquio con Salvini, poi è stato lui a trasformarlo in un evento pubblico. Può aver sbagliato, ma conosciamo Salvini e sappiamo com' è spontaneo. Io comunque non mi sento usata, mi sento dalla sua parte, e l' importante è che questa storia sia venuta fuori».

Com' è nata l' idea di incontrare il leader della Lega qui al Pilastro?

«Martedì ho ricevuto una telefonata del maresciallo dei carabinieri che mi ha detto che sarei stata avvisata del suo arrivo da un collaboratore di Salvini. Si fidava ciecamente di me perché sapeva che ho tutto in mano sulla situazione dello spaccio in quartiere, foto e prove».

Ma se suonassero al suo di campanello, accusandola di un reato grave, come reagirebbe?

«Non ho niente da nascondere, li farei entrare e mi farei spiegare com' è nata quella voce. Sono schietta e pulita».

Sì ma la privacy delle persone?

«E la mia privacy dove sta quando questi tipi sono qui sotto a spacciare?».

È vero che gira armata?

«Solo di sera, quando esco col cane, porto con me una pistola regolarmente denunciata. Ce l' ho da 6-7 anni, da quando mi hanno minacciata di morte». (fra.giu.)

Bologna, distrutta la macchina della donna che ha denunciato lo spaccio. Offese e minacce alla signora che ha perso il figlio per droga: "Lei fa schifo, spero vi lascino in mutande, ti butterei un secchio di merda." Luca Sablone, Mercoledì 22/01/2020, su Il Giornale. Chi denuncia spaccio di droga rischia non solo di avere serie ripercussioni, ma di essere vittima di gravi offese e minacce. È successo ad Anna Rita Biagini, la signora che ha indicato a Matteo Salvini a quale citofono suonare in via Deledda, nel cuore del quartiere popolare del Pilastro a Bologna, per chiedere al presunto pusher tunisino se spacciasse. Questa mattina i familiari della donna hanno scoperto che la sua vettura è stata oggetto di un atto violento: parabrezza danneggiato e vetri laterali della macchina in frantumi. Perciò è stata subito presentata una denuncia ai carabinieri della Stazione Bologna Mazzini, che hanno tempestivamente provveduto ad avviare le indagini per danneggiamento aggravato, al momento contro ignoti. Si tenterà dunque di risalire al colpevole o ai vandali. Il leader della Lega, intervenuto in una diretta sul proprio profilo Facebook, si è schierato a sostegno della Biagini: "Ieri ho avuto l'onore di incontrare una madre coraggiosa che si batte con una motivazione in più, perchè ha perso un figlio di overdose e su di lei la politica si divide, qualcuno arriva a fare polemica su di lei, ma noi siamo andati a disturbare la piazza dello spaccio". Poco dopo su Twitter ha aggiunto: "Questa è la dura verità. Il mio abbraccio alla signora, onore al suo coraggio. Chi vota Lega domenica in Emilia-Romagna sa che da parte nostra ci sarà lotta dura e senza quartiere agli spacciatori di morte".

Offese e minacce. Il profilo Facebook della donna è stato tempestato e invaso da vergognosi commenti, con tanto di offese e minacce. "Che schifo di persona che è..mi vergognerei a girare se fossi in lei...spero vi lascino in mutande..schifosi"; "Ignobile ....che essere umano spregevole ....vieni a citofonare a me ... Te jett nu sicchie e merd ncuoll....Lota di femmina ....mi fa orrore"; "Spero che venga denunciata, che debba pagare di tasca sua le spese processuali e il risarcimento, magari la prossima volta eviterà di fare la spia al suo impresentabile capitone felpato"; "Le hanno sfondato l'auto. Sarà pure brutto da dire, ma siamo contenti".

Francesco Cancellato per fanpage.it il 22 gennaio 2020. Non era in casa, quando Matteo Salvini ha citofonato a casa dei suoi genitori, la sera di martedì 21 gennaio, chiedendo se in quella casa al primo piano ci fosse una centrale di spaccio del quartiere Pilastro di Bologna.  E ora vuole denunciare la donna che ha portato il leader della Lega a diffamarlo in diretta Facebook. Perché lui, il 17enne di origine tunisina accusato dal leader leghista non spaccia droga. Non più,  in realtà, perché ammette “sono pieno di precedenti, in passato ho fatto di tutto e di più”, ma ora “vado a scuola, sono un ragazzo normalissimo, non mi manca niente”. Abbiamo intercettato il ragazzo sotto casa dei genitori, sconvolti dal blitz di Salvini: “Mia madre ha 67 anni, mio padre si spacca il culo, se vai a casa trovi i vestiti di Bartolini – spiega il ragazzo a Fanpage.it – Lui ci è rimasto molto male”.  Difende anche il fratello, “che non fa queste cose, lui gioca a calcio”. È anche per questo che il ragazzo ha deciso di sporgere denuncia nei confronti della signora che ha portato Salvini sotto casa sua:“Io incontro questa signora qua dietro nel parcheggio – racconta – Lei ha il cane, io ho il cane, a volte ci incrociamo. Domani vado in procura e la denuncio per diffamazione”. Seguendo le indicazioni di una residente della zona, il leader della Lega, Matteo Salvini, era andato a citofonare a casa di alcune persone ritenute “presunti spacciatori”. L'ha fatto in diretta su Facebook, facendo i nomi di queste persone e mostrando il palazzo in cui vivono. Andando a chieder loro se è vero che spacciano e se può salire a casa loro. Salvini si trovava nella zona periferica del Pilastro a Bologna. Seguendo sempre le indicazioni della donna, ha suonato al citofono di una famiglia di origine tunisina su indicazione della signora. Al citofono ha risposto un uomo e Salvini l'ha interrogato: “Buonasera. Lei è al primo piano? Ci può far entrare cortesemente? Perché ci hanno segnalato una cosa sgradevole e volevano che lei la smentisse, ci hanno detto che da lei parte lo spaccio del quartiere. Giusto o sbagliato?”.

Salvini e la signora Biagini, la sua guida al Pilastro: «Quando esco col cane porto sempre con me una pistola». Pubblicato mercoledì, 22 gennaio 2020 su Corriere.it. È piombata nel cuore della campagna elettorale dell’Emilia-Romagna. A pochi giorni dal voto anche lei, accompagnata dal leader della Lega, Matteo Salvini, si è presa i riflettori per una sera, guidando l’ex ministro dell’Interno nei meandri del Pilastro, quartiere alla periferia di Bologna. Era con lui anche di fronte al citofono di una presunta famiglia di spacciatori stranieri diventato nelle ultime ore il nuovo caso con relative polemiche della propaganda salviniana. Anna Rita Biagini, 61 anni, ammette di «non avere paura per essersi mostrata vicino a Salvini, anche perché tutti sanno che denuncio gli spacciatori e il degrado della zona, piuttosto ho paura certe sere a uscire». Davanti alle telecamere ha ammesso: «La sera quando porto il cane a fare una passeggiata mi porto una pistola in tasca, è regolarmente denunciata. Mi spiace ma è così». La signora è stata portata al presidio annunciato da Salvini da alcuni esponenti della Lega, che l’hanno poi «scortata» quando l’evento elettorale è finito. Lei si è apertamente dichiarata fan del Capitano, ricevendo la promessa di Salvini di una nuova visita: «Tornerò». «Mio figlio è morto di overdose a trent’anni, per questo combatto lo spaccio – racconta la signora –. In realtà lui era malato di Sla e purtroppo era tossicodipendente. Quando le suoi condizioni erano pevauggiorate tanto da ridurlo su una sedia rotelle ha deciso di farla finita e lo ha fatto nel modo che conosceva, facendosi una dose letale». La 61enne racconta di vivere al Pilastro da trent’anni e ha consegnato al segretario leghista un dossier con foto e segnalazioni fatte in zona contro i pusher. Il quartiere è da sempre etichettato come una delle zone più difficili di Bologna, noto anche per la strage del Pilastro ad opera della Uno Bianca: il 4 gennaio 1991 i carabinieri Otello Stefanini, Andrea Moneta e Mauro Mitilini rimasero vittime della scia di sangue dei fratelli Savi e dei loro complici. La Biagini ha parlato a Salvini dei pusher che infestano il quartiere. «Tutti sanno quello che fanno – ha sottolineato la signora all’ex capo del Viminale –. Ho più volte denunciato a polizia e carabinieri la situazione». Poi ha mostrato le aiuole e i muretti dove verrebbe nascosta la droga. Con lei hanno solidarizzato altri residenti ma le sono piovute addosso anche le critiche di altri abitanti del Pilastro perché «facendo in questo modo vuoi raccontare questa zona sempre allo stesso modo». Lei si è difesa, spiegando anche di non essere mai stata un’elettrice di sinistra riconvertita alla Lega. «Ho visto questa zona peggiorare nel tempo – ha ammesso –. E quello che mi dispiace è che dal presidente di quartiere mi sento dire che invece qui le cose vanno bene, ma non vanno bene per niente. Per questo apprezzo Salvini, mi è sembrato che su questi problemi abbia le idee chiare e mi convince. Qui da tempo ci promettono una nuova caserma dei carabinieri, ma rimandano sempre. E la cosa non la sopporto».

Il ragazzo a cui ha citofonato Salvini:  «Non siamo spacciatori, solo pregiudizi» E Tunisi protesta: deplorevole provocazione. Pubblicato mercoledì, 22 gennaio 2020 su Corriere.it da Mauro Giordano e Cesare Zapperi. Il 17enne nordafricano vive con la sua famiglia nel quartiere Pilastro. «Io e la mia famiglia siamo scossi per quello che è successo, intendiamo andare avanti per vie legali». Il vicepresidente del parlamento tunisino: «Salvini è razzista e mina i rapporti tra i nostri Paesi». «Non sono uno spacciatore e non lo sono nemmeno i miei parenti, siamo scossi per quello che è successo e intendiamo andare avanti per vie legali». A parlare è il 17enne accusato di spaccio insieme al padre nel quartiere Pilastro di Bologna. L’accusa è arrivata dal leader della Lega, Matteo Salvini, che durante un evento elettorale ha citofonato alla famiglia chiedendo: «È vero che qui spacciate?». Il tutto mentre veniva ripreso dai giornalisti che stavano seguendo l’appuntamento della campagna elettorale per le elezioni regionali in Emilia-Romagna. Il tour anti-spaccio dell’ex ministro dell’Interno è stato guidato da una residente della zona, alla quale alcune ore dopo è stata danneggiata l’auto. La famiglia si è rivolta allo studio dell’avvocato Cathy La Torre e ha intenzione di presentare delle denunce per quanto accaduto sia nei confronti di Salvini che della 61enne che lo ha accompagnato.

Cosa rispondi a queste accuse?

«Che non c’è nulla di vero. Sono un ragazzo tranquillo che vive in quel quartiere, non ho precedenti penali. Mio fratello, di qualche anno più grande, ha invece degli arretrati con la giustizia per furto e rissa. Niente a che vedere con lo spaccio di droga».

C’erano già stati dei contrasti con la vostra vicina di casa?

«In passato sì, ma per questioni di altro tipo. Lei ha da ridire con tutti nel quartiere non solo con me, mio padre e gli altri familiari. Soprattutto quando c’era un bar sotto casa nostra lei si lamentava di tutto. Ma non capisco come sia arrivata ad accusarmi di questo».

Perché, secondo te, sono venuti a citofonare proprio a voi?

«Questo è quello che mi domando dall’altra sera. O meglio, me lo spiego così: è vero che in strada ci sono degli spacciatori, ma cosa ci posso fare io se qualcuno che frequenta i miei stessi posti spaccia? Noi abbiamo una casa, un indirizzo, un posto dove venirci a cercare e lo hanno fatto solo sulla base di pregiudizi. Ma in ogni caso nessuno autorizza Salvini a fare quello che ha fatto».

Oggi, spiega l’avvocata La Torre, c’è stato un incontro con il giovane per valutare i primi aspetti con la vicenda. Domani ci sarà invece un confronto con i genitori del ragazzo.

Da fanpage.it il 31 gennaio 2020. Durante un blitz a Bologna, nel quartiere periferico del Pilastro, il leader della Lega, Matteo Salvini, ha citofonato alla casa di una famiglia di origine tunisina accusata, da una residente della zona, di spacciare droga. Tutto è avvenuto in diretta su Facebook, coi nomi delle persone coinvolte ripetuti più volte. "Ho 17 anni, faccio la vita di qualsiasi altro studente" dice il giovane indicato come presunto spacciatore. "Ho precedenti, ma sono pulito da un bel po'" aggiunge suo fratello maggiore, che fra l'altro non vive più nella zona già da tempo.

Da “la Stampa” il 31 gennaio 2020. «Ho 17 anni, studio e gioco a calcio. A Imola. Sono stato convocato in nazionale, è stata una grandissima esperienza». Il ragazzo del citofono a cui ha suonato il leader della Lega Matteo Salvini durante la campagna elettorale per le Regionali dell' Emilia Romagna è stato ieri intervistato a Piazza Pulita su La7. «Non ho mai avuto precedenti, non sono uno spacciatore. Ogni giorno mi chiedo: perché proprio me? A un 17enne gli hai rovinato la vita in cinque minuti da un giorno all' altro. Un politico che è venuto in periferia così...Cioè da pizzaiolo, postino, a suonare e dire "tu spacci". Ma cos' è?»

Karima Moual per “la Stampa” il 31 gennaio 2020. Al civico 16, tra una delle tante palazzine del Pilastro, quartiere popolare e multietnico alla periferia di Bologna, non c' è solo un citofono al quale ha suonato l' ex ministro dell' interno Matteo Salvini, ma un appartamento dove già al suo ingresso si respira l' aria di un' Italia che difficilmente viene raccontata. Quella della contaminazione che si fa famiglia. Una famiglia, Labidi - Razza, che si scopre solo dopo essere italo - tunisina, ribaltando un finale che sembrava scontato, quando in piena campagna elettorale, la sera del 22 gennaio l' ex Ministro dell' interno Matteo Salvini si fece guidare da una cittadina di quartiere, che gli indicava una famiglia tunisina, accusandola di spaccio. Il resto lo conosciamo ed è testimoniato in un video sul web, che Facebook ha già rimosso perchè inneggia all' odio: «Buonasera, ci hanno detto che da lei parte una parte dello spaccio nel quartiere». Sono le parole di Matteo Salvini. Risate, clack e poi, il sipario doveva scendere. E invece no. Entriamo nella casa della famiglia Labidi - Razza: «Quando dalla Tunisia sono arrivato in Italia nel '79, Matteo Salvini forse non era ancora nato - racconta il signor Labidi, 58 anni, oggi autista ma con alle spalle 20 anni come cuoco. E' scosso, fatica a dormire perché amareggiato e molto stanco per quella famosa citofonata, che non fece solo il giro delle reti italiane, ma fu trasmessa anche in lingua araba nei social network e nei maggiori canali televisivi arabi, facendo montare tanta rabbia, sdegno e un intervento del governo tunisino, trascinando il nostro paese in un incidente diplomatico con un paese amico. «Perché proprio a noi?». E' la domanda che si continua a chiedere Labidi, da più di 40 anni in Italia e residente al quartiere Pilastro da sempre. Lì ha conosciuto la moglie Caterina, e lì sono nati i loro 4 figli. Due figlie che vivono all' estero, il figlio più grande con la sua famiglia in un altro quartiere, mentre con loro è rimasto solo il figlio più piccolo, Yassin, 17 anni, calciatore, preso di mira dall' ex ministro dell' interno, dal momento in cui lo ha indicato come spacciatore. Ma perché proprio a voi? Ci pensa ancora un po', ma a rispondere è Caterina, seduta nel salottino di casa, grondante sino a toccare il kitch, di Tunisia e Italia, Islam e cristianesimo. Quadri di sure del corano, insieme a croci, angeli e un ritratto di Madre Teresa di Calcutta, insieme a trofei coppe e medaglie del figlio calciatore. «Salvini ci ha citofonato, facendoci passare per una famiglia di spacciatori, a scopi propagandistici per la sua campagna elettorale, ma la verità è che non pensava fossimo una famiglia italo-tunisina. Non pensava che io fossi italiana, perché purtroppo, finché si trova di fronte a minoranze, stranieri che non conoscono i loro diritti, che magari hanno paura, allora gli va bene - spiega Caterina. E gli è sempre andata bene - rincara - ma questa volta no, questa volta gli è andata male perché ha trovato me, italiana, che conosco i miei diritti, e porterò fino in fondo la mia battaglia contro questo uomo, che ha rovinato una famiglia intera». Caterina è un fiume in piena, mentre Labidi con occhi bassi, continua a ripetere: «Ma l' Italia non è così! qui nel quartiere mi conoscono da anni, sanno chi sono, mi rispettano e mi vogliono bene e mai come in questa occasione li ho sentiti vicino. Ci è arrivata tanta solidarietà. Certo, qualche sbaglio - confessa Labidi - l' ho fatto anch' io in passato quando ero molto giovane, ma io sono ormai un uomo di famiglia e da anni, pulito, che si sveglia all' alba lavorando onestamente 8- 9 ore come autista. Guadagno anche bene e non mi posso lamentare». E mentre lo dice, si premura di tirare fuori le sue busta paga come a dimostrare la sua innocenza. Un gesto che evidenzia la consapevolezza di sentire sulla pelle come la sua storia sia stata sporcata. «Siamo stati processati in mondo visione, senza aver fatto nulla, abbiamo subìto una violazione dei nostri diritti ma anche una violenza inaudita verso di noi e un minore di 17 anni, mio figlio Yassin - si sfoga ancora Caterina - che oggi è rovinato psicologicamente. È spento, non ha più voglia di uscire, di fare nulla, un ragazzo che era energia pura». Dietro alla famiglia c' è più di un avvocato. «Abbiamo denunciato Salvini - dice Caterina - perché ciò che ha fatto non può passare impunito in quanto pericoloso non solo per il male che ci ha fatto ma anche per il messaggio che manda agli italiani, la libertà di processare chiunque, soprattutto se straniero e indifeso, anche solo per sentito dire». Buona parte del quartiere Pilastro si è sollevata nei giorni dopo. Lo racconta Mohamed, che spiega come ha sensibilizzato la famiglia, amici e tutti quelli delle comunità straniere con in tasca la cittadinanza per andare a votare Bonaccini per non far vincere Salvini. «A casa mia - spiega Fadoua oggi 25 anni nata al Pilastro ma di origine marocchina - abbiamo riunito tante persone per spiegargli come votare. Persone che avevano la cittadinanza ma non avevano mai votato». Riunioni, appelli via social, telefonate messaggi, anche in lingue straniere, il passa parola è stato una valanga. «A Salvini - continua Flavia - la citofonata, gliel' abbiamo suonata noi. Basta fare carne da macello con i più deboli, gli immigrati, perché se la loro voce è più debole, ci penseremo noi italiani, che con loro conviviamo fianco a fianco».

Parla il padre del presunto pusher tunisino: "Ora denunciamo Salvini". Il ragazzo respinge tutte le accuse: "Io sono uno studente, gioco a calcio nell'Imolese, mio padre è un gran lavoratore. Noi non spacciamo". Luca Sablone, Giovedì 23/01/2020, su Il Giornale. Ancora polemiche sulla citofonata di Matteo Salvini al presunto pusher in via Deledda, nel cuore del quartiere popolare del Pilastro a Bologna. Nella giornata di ieri sono arrivate le forti reazioni da parte di Moez Sinaoui: l'ambasciatore della Tunisia a Roma ha espresso la propria "costernazione per l’imbarazzante condotta", che viene definita come una "deplorevole provocazione senza alcun rispetto del domicilio privato". In scena però è entrato anche il ragazzo in questione, che ha smentito tutte le accuse sullo spaccio. La famiglia ha annunciato una battaglia legale contro l'ex ministro dell'Interno: "Non siamo spacciatori, con quella pagliacciata Salvini ci ha rovinato la vita e per questo lo denunceremo". Il 17enne si difende dopo essere stato additato praticamente in diretta nazionale: "Come si è permesso di fare una cosa simile, siamo brave persone". Il giovane ha fornito alcuni dettagli anche per quanto riguarda la sua vita privata: "Io sono uno studente, gioco a calcio nell’Imolese, mio padre è un gran lavoratore. Tra qualche mese avrò anche io una bambina. Non capisco perché se la siano presa con noi". Intanto nella giornata di ieri ha incontrato l'avvocato Cathy La Torre e oggi è prevista una riunione del legale con i genitori del ragazzo: in tale occasione verranno presentate denunce contro il leader della Lega e contro Anna Rita Biagini, la 61enne che ha indicato a quale citifono suonare e a cui hanno distrutto la macchina.

Scatta la manifestazione. Come riportato dal Corriere della Sera, padre e figlio hanno fatto sapere: "Con quella donna abbiamo problemi da tempo. Screzi legati al fatto che si lamenta di tutto. È vero, c’è chi spaccia sotto i portici o in strada: ma non siamo noi". Pare che il baby tunisino sia incensurato, mentre il fratello - che vive in un altro appartamento nel quartiere - ha già avuto problemi con la giustizia: una denuncia per furto e rissa. Il padre ha ammesso: "Io invece più di vent’anni fa ho avuto una vicenda legata allo spaccio, ma appartiene tutto al passato, da tempo lavoro regolarmente". Di professione fa il corriere. Domani i residenti e le associazioni del Pilastro organizzeranno una manifestazione in strada per protestare e per rispondere "all'immagine negativa che è stata proiettata da chi vuole strumentalizzare una zona con problemi ma anche ricca di cose positive".

Blitz di Salvini al citofono, Yassin difeso da Cathy La Torre: “Non spaccio, studio e gioco a calcio. Ora ho paura”. Redazione de Il Riformista 23 Gennaio 2020. “Ancora una volta, al Capitano, ha detto male. Si è scusato per il video in cui ha preso in giro un ragazzo dislessico. Questa volta le scuse non credo basteranno”. L’avvocato bolognese Cathy La Torre, attivista per i diritti civili, torna ad accusare Matteo Salvini. Al legale si è rivolto infatti Yassin, il 17enne tunisino che lunedì sera si è visto citofonare dall’ex ministro dell’Interno e chiedere se spacciava. “Ci sono rimasto, è una brutta cosa – spiega il ragazzo nel video -. Mi viene da pensare ‘adesso la gente come mi guarda? I miei amici come mi guardano?’. Molto probabilmente mi guarderanno con occhi diversi, ma voglio far capire che io non sono uno spacciatore, gioco a calcio, tra 5 mesi divento padre”. Yassin si rivolge allo stesso Salvini e lancia un appello. “Vorrei far capire questo: che non sono uno spacciatore e voglio far levare quel video lì. Salvini togli quel video, sono cose non vere, tu dici ‘spacciatore, padre e figlio che spacciano’ e questo non è vero… Voglio continuare la mia vita di prima, voglio uscire di casa. Prima la gente non mi conosceva, ora dicono ‘Iaia lo spacciatore’ (Iaia è il soprannome di Yassin, ndr). Ma cos’è?”, si chiede il 17enne. In un post che accompagna la video-intervista, l’avvocato (che difenderà Sergio Echamanov, il ragazzo dislessico bullizzato da Salvini durante un comizio in una cittadina alle porte di Ferrara, ndr) ricorda che Yassin “è italiano, figlio di un matrimonio misto, che mi vergogno pure a doverlo dire che si, si è pure figli di matrimoni misti! Iaia – spiega – nella vita gioca a calcio e lo fa pure discretamente bene tanto da essere stato convocato 3 volte dalla nazionale giovanile a Coverciano, e aver giocato nel Sassuolo, nel Modena e no: non spaccia. Non ha precedenti penali, di nessun tipo. Zero. Nada. Niente. Vuole solo vivere la sua vita, giocare a calcio, studiare per ottenere la stessa patente del padre (che è un autista della Bartolini) e fare lo stesso lavoro. Perché tra 5 mesi diventa papà anche lui. Ma da ieri – sottolinea ancora -, per tanti, è solo ‘Yassin lo spacciatore’. Perché un ex Ministro dell’Interno ha citofonato a casa sua chiedendogli ‘lei è uno spacciatore’. Perché serviva dare in pasto ai suoi fan l’immigrato delinquente”, conclude l’avvocato.

Monica Rubino per repubblica.it il 22 gennaio 2020. "Siamo sbalorditi, la Tunisia non merita un trattamento del genere". A nome del Parlamento tunisino, il deputato Sami Ben Abdelaali chiede a Matteo Salvini scuse ufficiali nei confronti della famiglia tunisina coinvolta nel "blitz" al quartiere Pilastro di Bologna. Ieri, l'ex ministro dell'Interno in campagna elettorale in Emilia Romagna, ha inscenato un tour nella periferia bolognese citofonando -  mentre veniva ripreso dalla telecamere e circondato dalle forze dell'ordine -  a una famiglia tunisina di via Deledda su indicazione di alcuni residenti e chiedendo: "A casa sua si spaccia?". Dopo le contestazioni dei giovani del quartiere, del Pd e dello stesso sindaco di Bologna Merola, contro il leader leghista si è sollevata un'ondata di indignazione anche fra i deputati del Parlamento tunisino. "In Tunisia quest'azione vergognosa di Salvini ha scatenato una grande protesta - spiega Sami Ben Abdelaali -  unita a manifestazioni di solidarietà nei confronti della famiglia tunisina e del minore citati per nome dall'ex (per fortuna) ministro dell'Interno".

Il Parlamento tunisino. "Siamo sbalorditi per l'attacco diffamatorio nei confronti di una famiglia di lavoratori, oltretutto sferrato da una persona che in Italia ha ricoperto incarichi di governo. Anche se un parente di questa famiglia ha avuto precedenti penali, questo non giustifica una tale campagna di odio. Chi sbaglia deve pagare, ma non possiamo tollerare il discredito sull'intera comunità tunisina che è sana e lavoratrice", aggiunge Abdelaali, ex presidente di un istituto bancario siciliano, residente a Palermo e sposato con una siciliana, eletto al Parlamento tunisino nelle liste dei tunisini all'estero. "Trattare così nostri immigrati è una vergogna - conclude - difendo la dignità e diritti dei nostri cittadini. Se ci fosse stato un problema si poteva segnalare alle autorità competenti, senza alcun bisogno di messinscene a favore di telecamere. Salvini capisca che queste azioni per ottenere qualche voto in più non sono più di moda, i rapporti internazionali fra Italia e Tunisia vanno bel al di sopra dei suoi incitamenti discriminatori".

Blitz di Salvini al citofono, il Parlamento tunisino: «Gesto razzista, chieda scusa». Simona Musco su Il Dubbio il 22 gennaio 2020. La replica del leader della Lega: « la lotta a spacciatori e stupefacenti dovrebbe unire e non dividere». Crisi diplomatica tra Italia e Tunisia dopo che Matteo Salvini, su segnalazione di alcuni cittadini, ha citofonato ad una famiglia tunisina del quartiere Palazzo, a Bologna, per chiedere se le persone residenti nell’appartamento spacciassero droga.  Un gesto ripreso dalle telecamere a seguito del senatore, impegnato nella campagna elettorale per le regionali in Emilia, che ha suscitato l’indignazione del vicepresidente del Parlamento di Tunisi, Osama Sghaier, che in un’intervista rilasciata a Radio Capital ha parlato di «atteggiamento razzista e vergognoso che mina i rapporti tra Italia e Tunisia». Salvini, ha aggiunto Sghaier, «è un irresponsabile, perché non è la prima volta che prende atteggiamenti vergognosi nei confronti della popolazione tunisina. Lui continua a essere razzista e mina le relazioni che ci sono tra la popolazione italiana e la nostra. I nostri paesi hanno ottimi rapporti. I tunisini in Italia pagano le tasse e quelle tasse servono anche a pagare lo stipendio di Salvini. Dunque, si tratta di un gesto puramente razzista». Duro anche il commento del deputato Sami Ben Abdelaali, che a nome del Parlamento tunisino ha chiesto le scuse ufficiali di Salvini nei confronti della famiglia, definendo quella del leader del Carroccio «un’azione vergognosa, fatta per ottenere qualche voto in più alle regionali». A rincarare la dose anche l’ambasciatore tunisino a Roma, Moez Sinaoui, che in una lettera inviata alla presidente del Senato Maria Elisabetta Casellati,  ha espresso la sua «costernazione per l’imbarazzante condotta» del leader della Lega, una «deplorevole provocazione senza alcun rispetto del domicilio privato» da parte di un «pubblico rappresentante dell’Italia», paese che vanta «un’amicizia di lunga data con la Tunisia». Sinaoui ha accusato Salvini di aver«illegittimamente diffamato una famiglia tunisina», atteggiamento che ha «stigmatizzato l’intera comunità tunisina in Italia».

Ma Salvini non torna sui suoi passi. «Il vicepresidente del Parlamento tunisino mi accusa di razzismo? Io ho raccolto il grido di dolore di una mamma coraggio che ha perso il figlio per droga – ha replicato – un atto di riconoscenza che dovremmo far tutti: la lotta a spacciatori e stupefacenti dovrebbe unire e non dividere. Tolleranza zero contro droga e spacciatori di morte: per noi è una priorità. In Emilia Romagna e in tutta Italia ci sono immigrati per bene, che si sono integrati e che rispettano le leggi. Ma chi spaccia droga è un problema per tutti: che sia straniero o italiano non fa nessuna differenza».

Aldo Grasso per il “Corriere della Sera” il 24 gennaio 2020. Nell' ambito delle comunicazioni di massa, scarso rilievo hanno avuto gli studi sul citofono. Una sottovalutazione imperdonabile, relegata ad ambito condominiale: «Tra il balcone e il citofono ti dedico i miei guai», canta Tiziano Ferro. La bravata di Matteo Salvini (com' è noto ha citofonato a una famiglia di origine tunisina della periferia di Bologna per chiedere se in quella casa abitasse uno spacciatore) è stata paragonata a una forma di linciaggio (con telecamere a seguito). Ma è anche figlia, come ha sottolineato Mattia Feltri, «di un giornalismo che si acclama da sé con la schiena diritta perché insegue la preda per strada, e a microfono e telecamera spianati gli chiede se sia un pedofilo o se non si senta un genocida a riscuotere il vitalizio». Una decina d' anni fa, in questo spazio, mi è capitato di scrivere: «Lo strappa-opinioni non recede di fronte a nulla: l'umanità dolente gli si presenta come uno sterminato campionario, un' inesauribile collezione di vicende personali, facce, accenti, gesti, manie cui porre una sola e unica domanda: "Cosa ha provato in quel momento?" Se non c' è la persona si accontenta anche di un citofono: il microfono davanti a un citofono, dal punto di vista espressivo, è il livello più basso del mestiere». Il citofono è stato nobilitato dai comici (Chiambretti a Complimenti per la trasmissione ; Aldo, Giovanni e Giacomo a Mai dire gol ; Andrea Rivera a Parla con me , Enrico Brignano a A Sproposito di noi ) e mortificato dai «cronisti d' assalto» che hanno trasformato lo strumento nel surrogato dello scalpo. Un genere, come scrive Il Foglio , «portato alla gloria dalle Iene : si suona al portone di qualcuno sospettato o indicato di qualcosa, che non sa bene con chi sta parlando, e gli si fa l' interrogatorio al citofono». Con una mossa tracotante, Salvini è riuscito a citofonare a sé stesso, cioè a far parlare di sé anche negli ultimi giorni di campagna elettorale.

Simone Di Meo per la Verità il 24 gennaio 2020. Aveva annunciato: «Rifarei tutto». Ed è stato di parola Matteo Salvini, per nulla intimorito dalla tempesta mediatica (con strascico diplomatico) che si è abbattuta dopo la citofonata di martedì scorso, al Pilastro, quartiere bordeline di Bologna, a un' abitazione di presunti spacciatori. Ieri, nel tour elettorale a Modena, è andato nuovamente in scena. Puntando un esercizio commerciale. «Dov' è questo negozio, è qui al civico 38?» ha domandato il leader leghista in diretta Facebook. La segnalazione, pure in questa circostanza, è arrivata dalle donne del rione. «Chiediamo cortesemente a chi di dovere, alla Procura e alle forze dell' ordine, di fare i dovuti controlli in questo negozio, perché qua dentro si spaccia la droga», ha aggiunto. «Speriamo che la nostra presenza di oggi possa portare a fare i controlli del caso, possa portare a qualche chiusura e a qualche arresto. Ringrazio le mamme e le nonne che ci hanno messo la faccia. È dal 1999 che c' è questo negozio? Sono vent' anni? Visto che sono testone, tornerò tutte le volte, finché non sarà chiuso definitivamente», è stata la sua promessa. Resta aperta, anzi apertissima, invece la questione bolognese con la famiglia tunisina di via Grazia Deledda, additata dall' ex vicepremier come presunta centrale di smercio di stupefacenti. Al Corriere della Sera, il padre e il figlio minorenne hanno annunciato di voler trascinare davanti al giudice sia Salvini sia la signora che gli ha indicato il loro appartamento. «Con quella donna abbiamo problemi da tempo. Screzi legati al fatto che si lamenta di tutto. È vero, c' è chi spaccia sotto i portici o in strada: ma non siamo noi», hanno riferito. Il diciassettenne, che studia e gioca a calcio, risulta incensurato, ma il papà, oggi corriere per la Bartolini, ha ammesso qualche problema: «Io invece più di vent' anni fa ho avuto una vicenda legata allo spaccio, ma appartiene tutto al passato, da tempo lavoro regolarmente». Pure il fratello maggiore, che non vive più al Pilastro, ha trascorsi giudiziari. Al quotidiano online Fanpage.it, ha ammesso di essere «pieno di precedenti, in passato ho fatto di tutto e di più, adesso sto facendo il bravo». La donna a cui fanno riferimento il genitore e il figlio nordafricani si chiama Anna Rita Biagini, ed è stata la «guida» di Salvini nel giro per le strade a caccia di pusher. Il giorno dopo il tour, l' anziana ha trovato la sua auto vandalizzata. Ma non si è scomposta. A Radio Capital, la Biagini ha rincarato la dose: «Io so che quel ragazzo spaccia, ho le foto. Ora Salvini mi ha regalato i soldi per ripagare i vetri della macchina che mi hanno danneggiato». Suo figlio, malato di Sla, è morto per un' overdose a trent' anni. Qualcuno l' ha accusata di essere una visionaria. Lei ha replicato: «Ho già fatto chiudere un bar qui vicino per stupefacenti». Appena possibile, racconta tutto quel che può alle forze dell' ordine. «Ho iniziato a ricevere minacce, così ho deciso di prendere una pistola, regolarmente detenuta (da lei soprannominata «l' amica Mafalda», ndr). Saranno ormai sei o sette anni che la porto sempre con me quando esco. Mi spiace, ma è così». Lo stesso leader leghista non ha alcuna intenzione di indietreggiare e, davanti alle dichiarazioni della famiglia tunisina, ha ribattuto: «Se c' è una mamma coraggio che ha perso un figlio per droga che ti chiama e ti chiede una mano a segnalare lo spaccio, io ci sono sempre. Poi polizia e carabinieri faranno il loro lavoro. Il ragazzo dice di non essere uno spacciatore? Difficile trovare un rapinatore che confessi di essere un rapinatore». E ha difeso quelli che lo hanno accompagnato a Bologna: «I cittadini non hanno dubbi, hanno certezze». La sortita dell' ex ministro dell' Interno ha scatenato una ridda di reazioni. Oltre a quella delle autorità tunisine, che hanno protestato ufficialmente con una lettera al presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati, esprimendo «costernazione per l' increscioso episodio», è arrivata la rampogna (non la prima, a dire il vero) anche da parte del capo della polizia, Franco Gabrielli. «Stigmatizzo sia quelli che fanno giustizia porta a porta, sia quelli che accusano la polizia in maniera indiscriminata», è stata la bordata del massimo responsabile nazionale di pubblica sicurezza. Concetti che risuonano anche nel monito del segretario generale della Cei, monsignor Stefano Russo. «Non è stato un atteggiamento particolarmente felice», ha spiegato. I vescovi dicono «basta con la costante campagna elettorale», il clima di «conflittualità» va avanti da troppo tempo. Al fianco del capo del Carroccio si è schierato però Vittorio Sgarbi. «Il tunisino è uno studente, ma occorrerà fare un' indagine. Gli untori sono gli spacciatori, l' altro è un cittadino normale», ha attaccato il parlamentare. «Se tu avessi un figlio che prende droga data da un pusher a scuola, avresti un solo desiderio: picchiare il pusher. È il pensiero di ogni genitore. Il politico rappresenta i cittadini nel modo più umano e diretto, è questa la sua grandezza». Difficile che tutti la pensino così.

Dagospia il 24 gennaio 2020. Paola Sacchi, già inviata politica di Panorama (Gruppo Mondadori). Riceviamo e pubblichiamo: Caro Dago, ha suscitato un vespaio di polemiche la citofonata di Matteo Salvini in un quartiere a rischio di Bologna, dove si spaccia droga. Io stessa, nel mio piccolo, per aver difeso, con motivazioni politiche, quel gesto estremo sono stata presa di mira da alcuni, anche colleghi molto politically correct, che sui social hanno provato a spiegarmi il garantismo. Proprio a me che andavo a trovare in privato, ero ancora inviato speciale a L'Unità, Bettino Craxi vivo a Hammamet. Ma da giornalista politica poi di Panorama del Gruppo Mondadori sono stata e sono tuttora anche per altri giornali inviata sulla Lega. Approvo il gesto di Salvini perché così ha gettato un sasso politico nello stagno del silenzio di quel quartiere dove una madre coraggio, che ha perso il figlio per droga, è costretta a girare armata, nell'indifferenza delle istituzioni locali e nazionali. E lo analizzo da giornalista esperta anche di Lega, dalla Lega Nord di Umberto Bossi a quella nazionale di Salvini, primo partito italiano. L'allievo ha superato il maestro Umberto nei voti. Ma la tecnica, rivista e aggiornata, anche attraverso un geniale mix di linguaggio senza intermediazione tra territorio e internet, segue di fatto il canovaccio base del Senatùr. Ovvero "spararla" o farla grossa quando nessuno ti ascolta. Bossi a me allora a Panorama, a margine di una delle prime interviste esclusive, dopo la malattia del 2004, rivelò: "Chiedevo la secessione in realtà per ottenere la Devoluzione. Quando nessuno ti ascolta, devi gridare più forte". Era il Bossi che parlava di "bergamaschi armati", di "proiettili a 30 lire" che in realtà così, bucando il video, voleva ottenere più autonomia, mettendo in guardia dal fatto che se non l'avessero concessa allora sì che ci sarebbe stata la secessione. Certo, anche lì linguaggio non era esattamente in punta di diritto. Ma era linguaggio politico. Così come politico io ritengo il gesto estremo di Salvini, da me intervistato tante volte da 15 anni, che, per sua stessa natura e non solo perché allievo del "Barbaro di Gemonio", è proprio così. Come ha scritto su Twitter Annalisa Chirico, confermo: avrebbe citofonato anche a un camorrista. La notizia anche secondo me non è la citofonata, ma quel quartiere abbandonato dalle istituzioni. Paola Sacchi, già inviata politica di Panorama (Gruppo Mondadori)

Matteo Salvini e la citofonata a Bologna, Pietro Senaldi: "Nostalgia del Viminale?" Pietro Senaldi su Libero Quotidiano il 25 Gennaio 2020. Dagli allo spacciatore. Salvini l' ha rifatto. Martedì sera, nella periferia bolognese, a favore di telecamere e attorniato da elettori festanti aveva citofonato a casa di una famiglia tunisina con un figlio carico di precedenti penali. «Scusi, è vero che in famiglia smerciate droga? Perché nel quartiere si dice così e ad accusarla è anche la madre di un ragazzo morto per overdose». Da sinistra si sono alzate subito migliaia di avvocati d' ufficio per il ragazzo pregiudicato e altrettanti pm pronti a incriminare il leader leghista per violazione della privacy e delazione. Il bailamme suscitato non ha intimorito lo sponsor numero uno di Lucia Borgonzoni, candidata presidente dell' Emilia-Romagna. Ieri a ora di pranzo l' ex ministro dell' Interno ha concesso la replica. Evidentemente nostalgico dei tempi in cui sedeva al Viminale, il Matteo, sempre attorniato da due cordoni di folla adorante, ha puntato la saracinesca abbassata di un negozio di proprietà di immigrati nigeriani e ha allungato l' indice accusatorio: «La gente, i residenti, mi dicono che qui dentro si spaccia. Non se ne può più, invito la Questura e la Procura a indagare». Più che pentito, recidivo. Le accuse della sinistra mirano a screditare Salvini e additarlo agli occhi degli elettori come una sorta di teppista della politica, forse cercano anche di demoralizzare e far vacillare il rivale, ma sull' interessato ottengono l' effetto opposto. Il leader leghista non si scusa, anzi, si eccita e alza la posta.

IL GARANTISMO. Chi ha ragione? Vedremo domenica sera, è la risposta più facile. Ma noi di Libero vogliamo dire la nostra anche a partita in corso. Esteticamente, e pure sostanzialmente, il gesto ci piace poco. Siamo garantisti con tutti, perfino con gli immigrati in odore di spaccio. Temiamo peraltro che la denuncia pubblica, indipendentemente dal fatto che risponda o meno al vero, procurerà più noie giudiziarie al leader leghista che agli individui di origine extracomunitaria messi alla gogna. Penalmente parlando quindi, la mossa potrebbe rivelarsi un autogol. Però questo non significa che ci sfugga il significato politico del comportamento di Salvini, che va letto esclusivamente come un momento della sua campagna elettorale. Proprio quello che i suoi denigratori non riescono a fare. Il ragionamento di Matteo è piuttosto semplice. Gli spacciatori non votano e se proprio lo fanno, scelgono gli altri a prescindere da qualsiasi cosa che io possa dire o fare. Quanto agli immigrati, quelli integrati e che rispettano la legge sono normalmente più inflessibili degli italiani da venti generazioni verso i nuovi arrivati che delinquono e screditano tutta la categoria. Pertanto, sono d' accordo con me. Il ragionamento salviniano si estende poi ai cosiddetti residenti, siano delle periferie o anche dei quartieri centrali infestati dai trafficanti e dai loro clienti. Il leader leghista sa che essi hanno ben chiaro che la droga gli rovina la vita e ritengono la soluzione del problema più impellente del rispetto del galateo politico e, anche se è brutto dirlo, sono insensibili alle ragioni giuridiche di chi viene messo all' indice, perché lo detestano e ritengono di non potersi trovare mai al suo posto. Per quel che riguarda gli altri, gli elettori del centrodestra benpensanti, che pure esistono anche se la sinistra li ignora, Matteo sa che sono disponibili a pagare il prezzo delle sue intemperanze verbali e comportamentali se la ricompensa è liberarli dalla sinistra. E non solo per le tasse, la politica migratoria dissennata, la guardia abbassata sulla sicurezza nelle strade, la connivenza con le organizzazioni di natura sociale che agiscono, come a Bibbiano, ispirate più dall' ideologia che dai bisogni e tutto l' armamentario di mal governo pratico e teorico che il Pd e i suoi alleati si portano dietro ovunque.

REAZIONI SCOMPOSTE. Le provocazioni di Salvini gli portano voti anche per le reazioni che suscitano nella sinistra, della quale esaltano il moralismo, l' ipocrisia e l' atteggiamento di chi la sa sempre giusta e pretende di dirti come comportarti. E se non la ascolti si scatena, mentre tace quando il suo popolo augura a Mihajlovic che la leucemia lo uccida solo perché ha detto che gli piace il leader della Lega. Pure i vescovi ieri hanno attaccato l' ex ministro per il suo tour anti-spaccio, sostenendo che è stato un comportamento infelice. Certo non è stato ineccepibile, e noi di Libero non lo sottoscriviamo. Ma ce ne fosse uno tra i detrattori che, con Salvini, avesse premesso anche una doverosa condanna della droga e di chi la spaccia. Se non altro, avrebbe tolto all' ex ministro dell' Interno l' esclusiva della lotta alla criminalità e forse avrebbe diminuito nella maggioranza degli italiani il desiderio impellente di vedere tornare al Viminale l' oggetto della disapprovazione delle sardine e degli altri branchi di pesci rossi. Pietro Senaldi

Dagospia il 22 gennaio 2020. Da radiocusanocampus.it. Matteo Salvini, leader della Lega, è intervenuto ai microfoni della trasmissione “L’Italia s’è desta”, condotta dal direttore Gianluca Fabi, Matteo Torrioli e Daniel Moretti su Radio Cusano Campus, emittente dell’Università Niccolò Cusano.

Sulla citofonata. “Se c’è una mamma coraggio che ha perso un figlio per droga che ti chiama e ti chiede di dargli una mano a segnalare lo spaccio, io ci sono sempre –ha affermato Salvini-. Poi polizia e carabinieri faranno il loro lavoro. Però era giusto squarciare il silenzio che purtroppo c’è in tanti quartieri italiani. Per me che sono stato a San Patrignano a parlare con ragazzine di 15 anni che si facevano di eroina, gridare che la lotta alla droga debba essere un obiettivo primario della politica è mio dovere. Che poi uno spacciatore sia tunisino, italiano o finlandese non è importante. Il ragazzo dice di non essere uno spacciatore? Difficile trovare un rapinatore che confessi di essere un rapinatore. I residenti del quartieri non hanno dubbi, hanno certezze. Travaglio parla di giustizia citofonica? Secondo Travaglio io dovrei andare in galera, con una pena maggiore rispetto a quella degli spacciatori di droga, perché il reato per cui sono imputato prevede fino a 15 anni di carcere. E’ assurdo che i Travaglio e il Pd di turno ritengano che sia normale una roba del genere, secondo me è un enorme spreco di denaro pubblico questa roba qui. Mi chiedono di citofonare ai mafiosi? Sono andato a bermi un caffè con Nicola Gratteri che è uno dei principali nemici delle mafie, che si batte ogni giorno contro la ‘ndrangheta. Ricordo poi che la villa ai Casamonica con la ruspa l’ho abbattuta io, non Fabio Volo o Fabio Fazio. E a Corleone il commissariato di polizia confiscato alla mafia l’ho inaugurato io. Se c’è qualcuno a cui sto sulle palle sono proprio mafiosi e camorristi”.

Sul caso Gregoretti. “Ho chiesto ai miei di votare per il processo. Di sbarchi ne avrò bloccati una trentina. Non l’ho mai fatto di nascosto né da solo. Oggi Conte e compagnia fanno come le 3 scimmiette, non vedo non sento non parlo, per me vale più la dignità, per Conte evidentemente vale di più la poltrona”. Sulle elezioni in Emilia Romagna. “Un anziano partigiano a Brescello mi ha detto: se ci fosse ancora Peppone voterebbe te. Lui ha la tessera del PCI e domenica voterà Lega. Mi ha detto che il PD ormai è il partito del sistema, delle banche, non è più il partito della tradizione contadina, operaia, degli artigiani. Noi vinceremo domenica perché ci votano quelle persone lì, non perché sbarcano gli alieni. Il M5S nasce a Bologna con il Vaffa Day contro il sistema del Pd, oggi governano col Pd quindi è chiaro che oggi anche molti delusi del M5S voteranno Lega. Mi sento di rappresentare una certa tradizione della sinistra vicina agli ultimi. Modello emiliano? I successi delle imprese emiliane dipendono dagli imprenditori emiliani, nonostante la burocrazia imposta dalla Regione e nonostante il sistema non fondato sul merito, perché se sei amico corri se non hai l’amico al posto giusto fai fatica. Non vogliamo insegnare niente a nessuno, ma nelle regioni in cui governiamo abbiamo dimostrato che le liste d’attesa si possono accorciare, si possono assumere più medici e infermieri”.

Su Bibbiano. “Stasera sono a Bibbiano, splendido comune agricolo. Ma quello che è successo in quel comprensorio con 26 indagati e troppi bambini portati via con l’inganno alle famiglie secondo l’accusa, è indegno per una splendida regione come l’Emilia Romagna. La responsabilità penale è dei singoli. Quello che noi contestiamo da anni è di non aver visto e, quando è esploso tutto, averlo liquidato come un fatto da poco. A parte che anche un singolo bambino portato via con l’inganno a una mamma e un papà è un dramma, l’obiettivo dei bimbi dati in affido è lavorare per riconsegnarli alle famiglie di provenienza e questo purtroppo, a Bibbiano e non solo, accade solo nella minoranza dei casi. Questo vuol dire che l’intero sistema di affidi va rivisto”. “Si parla molto di Emilia Romagna perché vincere qua sarà un fatto clamoroso e commovente, ma c’è anche la Calabria che di problemi ne ha di enormi. Pensate che non c’è l’assessore al turismo. E’ come se in Arabia Saudita non ci fosse un ministro che si occupa del petrolio. Secondo me qui vinceremo con almeno 20 punti di distacco e per la Lega sarà una prima volta in assoluta. Sarà un’emozione anche quella”.

Sul retroscena secondo cui Di Maio avrebbe accettato di fare il premier con la Lega ma Grillo glielo avrebbe impedito. “Onestamente non so se sia vero. Sia Grillo che Di Maio mi sembra che abbiano scelto l’abbraccio mortale col PD contro la volontà del loro popolo. Evidentemente Grillo ha fatto le sue valutazioni, però io non ho mai parlato direttamente né con Grillo né con Di Maio. Se si fossero sciolte le Camere e si fosse andati al voto, oggi avremmo un governo diverso, che rappresenta la volontà popolare, stabile e non litigioso”.

Rivalità con Meloni? “Assolutamente no. Più cresce tutto il centrodestra meglio è, più cresce FDI, FI, la lista di Toti meglio è. Chiaro che la Lega al 30% ormai da mesi per me è un enorme responsabilità ma è anche il premio a tanti amministratori della Lega. Anche nel Lazio. Zingaretti teoricamente è pagato per fare il governatore del Lazio, invece fa il segretario di partito in giro per l’Italia. Vedremo di restituire il prima possibile parola ai cittadini di Roma e del Lazio perché l’accoppiata Zingaretti-Raggi sta producendo disastri”.

Simone Pierini per leggo.it il 22 gennaio 2020. Fabio Volo tuona contro Matteo Salvini. Nel corso della sua trasmissione su radio Deejay, Il Volo del Mattino, il conduttore si è scagliato contro l'ex ministro dell'Interno. Motivo scatenante il gesto di Salvini che citofona a casa di un tunisino a Bologna chiedendo se fosse uno spacciatore. Fabio Volo non usa giri di parole: «Vai a suonare ai camorristi se hai le palle stronzo, non da un povero tunisino che lo metti in difficoltà stronzo, sei solo uno stronzo senza palle. Fallo con i forti lo splendido, non con i deboli». Lo sfogo ha raccolto l'approvazione del popolo di Twitter che ha apprezzato la dura presa di posizione del conduttore di Radio Deejay. Ma già nella serata di ieri era montata la protesta contro il leader della Lega. Il primo ad accusarlo il sindaco di Bologna Virginio Merola su Facebook: «Io credo che si debba vergognare, caro Salvini. Lei non è un cittadino qualunque. Ha fatto il ministro dell'interno, come mai in quel caso non ha avuto lo stesso interesse? Forse perché adesso è solo propaganda e si comporta da irresponsabile per qualche voto in più». Contro Salvini si era espressa anche il sottosegretario di Stato al Ministero dello Sviluppo Economico Alessia Morani: «Ecco il video di #Salvini che suona al campanello di una casa a #Bologna chiedendo se li abita uno spacciatore. Fa anche il nome. Poi chiede: è tunisino? È un cialtrone, un provocatore pericoloso. Ha passato ogni limite. Sta cercando l’incidente, è evidente. Guardate voi stessi». Questa mattina l'ex ministro ha voluto spiegare i motivi del gesto. «Abbiamo segnalato a chi di dovere che là c'è chi spaccia droga. C'è una normativa tollerante con gli spacciatori, per questo la Lega ha presentato una proposta di Droga zero, perchè droga è morte». Ha affermato Matteo Salvini in collegamento con Mattino 5, tornando sulla sua scelta di citofonare, ieri sera, a casa di un presunto spacciatore, nel quartiere Pilastro. «Gli spacciatori devono stare in galera, non a casa. Quando una mamma mi chiede aiuto, una mamma che ha perso un figlio per droga, faccio il possibile mettendomi in prima linea, anche se qualche benpensante - conclude - protesta».

Linus si scusa per l'attacco di Fabio Volo a Salvini: "Parole condivisibili ma ha sbagliato i toni". Dopo le dure critiche di Fabio Volo a Matteo Salvini in diretta radiofonica, il direttore di radio Deejay ha pubblicato sui social un messaggio di scuse agli ascoltatori pur condividendo il punto di vista di Volo. Novella Toloni, Giovedì 23/01/2020, su Il Giornale. Non si smorza la polemica intorno a Fabio Volo dopo le pesanti affermazioni rivolte dallo speaker radiofonico a Matteo Salvini. L'attacco frontale al leader della Lega per aver citofonato a un privato accusato di spaccio di droga a Bologna ha diviso il popolo social ma anche scatenato una reazione interna all'azienda per cui lavora. A poche ore dalle sue dichiarazioni fatte nel corso del suo programma mattutino, il direttore di radio Deejay, Linus, è intervenuto per smorzare i toni della polemica, ma soprattutto per chiedere scusa agli ascoltatori per i toni usati dal bresciano. Pasquale Di Molfetta, noto come dj Linus, ha bacchettato pubblicamente il suo speaker parlando di "comizio scomposto" e confermando che Fabio Volo non era autorizzato a fare dichiarazioni simili in radio. Con un post pubblicato sulla sua pagina Instagram, Linus ha così detto la sua sulla vicenda: "Viviamo in un’epoca in cui si pensa che si possano affrontare temi delicati come la politica sulle pagine di un social network. Non si può. Non c’è lo spazio, non c’è il tempo. Quindi non si fa. [...] Oppure a un comizio. Come ha fatto Fabio, in maniera scomposta e senza la mia autorizzazione, questa mattina. È un comizio quando una persona esprime dei concetti e chi hai di fronte sai già che non avrà modo di ribattere. Per questo non si fa". Linus ha però ribadito che l'opinione espressa da Volo sull'azione di Matteo Salvini a Bologna è "condivisibile", ma sbagliata nei toni, per questo ha chiesto scusa: "Quello che ha detto Fabio, cioè che Salvini a Bologna si è comportato da bullo arrogante, è sacrosanto e condivisibile da qualunque persona perbene. Ma si passa dalla parte del torto nel momento in cui lo si fa usando il linguaggio che ha usato Fabio (di cui mi scuso a nome della radio che dirigo) e quando soprattutto sai già che non ci sarà modo di avere un confronto. Siccome noi che andiamo in onda su una radio come la nostra lo sappiamo, sappiamo anche che non ce lo possiamo permettere". Il direttore di radio Deejay, alla fine del post, non ha risparmiato una stoccata finale a chi accusa la radio di essere di sinistra: "Il mio "padrone" da qualche mese a questa parte si chiama John Elkann, gruppo Exxor, o FCA se preferite. Non mi risulta siano di sinistra. Leggete, informatevi, ragionate con la vostra testa. E poi sì, votate per chi cazzo volete".

Simone Pierini per leggo.it il 23 gennaio 2020. Il "capo" bacchetta il "suo ragazzo". Linus, direttore artistico di Radio Deejay, se la prende con Fabio Volo per le parole usate, il modo e il tema affrontato ieri mattina durante la sua trasmissione "Il Volo del Mattino". «Non era autorizzato, mi scuso a nome di Radio Deejay», dice Linus in un lungo post su Instagram dove spiega i motivi della strigliata a Fabio Volo che nei confronti di Matteo Salvini si era espresso così: «Vai a suonare ai camorristi se hai le palle stronzo, non da un povero tunisino che lo metti in difficoltà stronzo, sei solo uno stronzo senza palle. Fallo con i forti lo splendido, non con i deboli». Il riferimento era chiaramente al gesto dell'ex ministro di citofonare a casa di una famiglia di origine tunisina colpevole, secondo Salvini, di spacciare droga nel quartiere Pilastro a Bologna. «Due parole sulla vicenda Volo / Salvini - scrive Linus su Instagram - Viviamo in un’epoca in cui si pensa che si possano affrontare temi delicati come la politica sulle pagine di un social network. Non si può. Non c’è lo spazio, non c’è il tempo. Quindi non si fa. O si fa solo se si è in malafede. Di politica, cioè di vita, si dovrebbe parlare guardandosi negli occhi, altrimenti si riduce tutto al solito triste tifo da stadio. Oppure a un comizio. Come ha fatto Fabio, in maniera scomposta e senza la mia autorizzazione, questa mattina. È un comizio quando una persona esprime dei concetti e chi hai di fronte sai già che non avrà modo di ribattere. Per questo non si fa». «Quello che ha detto Fabio, cioè che Salvini a Bologna si è comportato da bullo arrogante, è sacrosanto e condivisibile - aggiunge il direttore artistico di Radio Deejay - da qualunque persona perbene. Ma si passa dalla parte del torto nel momento in cui lo si fa usando il linguaggio che ha usato Fabio (di cui mi scuso a nome della radio che dirigo) e quando soprattutto sai già che non ci sarà modo di avere un confronto. Perché purtroppo la gente non è disponibile nè a parlare nè ad ascoltare, ma vuole soltanto vedere confermate le proprie posizioni. È sbagliato ma è così, e siccome noi che andiamo in onda su una radio come la nostra lo sappiamo, sappiamo anche che non ce lo possiamo permettere». «Una piccola cosa però ci tengo a precisare - conclude su Instagram - che dà l’idea della superficialità di molti che mi hanno scritto: il mio “padrone” da qualche mese a questa parte si chiama John Elkann, gruppo Exxor, o FCA se preferite. Non mi risulta siano di sinistra. Leggete, informatevi, ragionate con la vostra testa. E poi sì, votate per chi cazzo volete».

IL POST SU INSTAGRAM SU LINUS SU FABIO VOLO E SALVINI. Due parole sulla vicenda Volo / Salvini. Viviamo in un’epoca in cui si pensa che si possano affrontare temi delicati come la politica sulle pagine di un social network. Non si può. Non c’è lo spazio, non c’è il tempo. Quindi non si fa. O si fa solo se si è in malafede. Di politica, cioè di vita, si dovrebbe parlare guardandosi negli occhi, altrimenti si riduce tutto al solito triste tifo da stadio. Oppure a un comizio. Come ha fatto Fabio, in maniera scomposta e senza la mia autorizzazione, questa mattina. È un comizio quando una persona esprime dei concetti e chi hai di fronte sai già che non avrà modo di ribattere. Per questo non si fa. Quello che ha detto Fabio, cioè che Salvini a Bologna si è comportato da bullo arrogante, è sacrosanto e condivisibile da qualunque persona perbene. Ma si passa dalla parte del torto nel momento in cui lo si fa usando il linguaggio che ha usato Fabio (di cui mi scuso a nome della radio che dirigo) e quando soprattutto sai già che non ci sarà modo di avere un confronto. Perché purtroppo la gente non è disponibile nè a parlare nè ad ascoltare, ma vuole soltanto vedere confermate le proprie posizioni. È sbagliato ma è così, e siccome noi che andiamo in onda su una radio come la nostra lo sappiamo, sappiamo anche che non ce lo possiamo permettere. Una piccola cosa però ci tengo a precisare, che dà l’idea della superficialità di molti che mi hanno scritto: il mio “padrone” da qualche mese a questa parte si chiama John Elkann, gruppo Exxor, o FCA se preferite. Non mi risulta siano di sinistra. Leggete, informatevi, ragionate con la vostra testa. E poi sì, votate per chi cazzo volete. Grazie

Da leggo.it il 23 gennaio 2020. Anche Fedez ha commentato il gesto di Matteo Salvini sotto la casa di un giovane tunisino, presunto spacciatore. Il video del leader della Lega al citofono è diventato virale e ha riempito le bacheche social. «Stamattina mi imbatto in questo video dove, in sostanza una signora dice al buon Salvini che il tipo del primo piano spaccia e lui decide di dare vita a questo teatrino», ha dichiarato su Instagram il cantante. Critici contro l'ex ministro degli Interni, anche altri personaggi dello spettacolo come Fabio Volo. «Sembra banale dirlo, ma in uno stato di diritto non dovrebbe essere la portinaia del condominio a dare l'etichetta di spacciatore. Il buon Matteo forse voleva vestire i panni del giustiziere, mi è sembrato più un testimone di Geova mancato», ha scritto nelle storie. «Questa scena è comica eppure non mi viene da ridere», aggiunge il marito di Chiara Ferragni, che accompagna il suo commento con lo screenshot di una foto in cui si vede Salvini che parla con il capo ultras del Milan, condannato per spaccio di droga. «Chissà se si sono conosciuti durante il tour dei citofoni», scrive Fedez sull'immagine.

Salvini ci ricasca, teatrino e gogna davanti negozio a Modena: “Qui dentro si spaccia”. Redazione de Il Riformista il 23 Gennaio 2020. Matteo Salvini ci ricasca. Il leader della Lega, impegnato nel tour elettorale per le Regionali in Emilia Romagna, ha ripetuto a Modena il teatrino messo in piedi già martedì sera a Bologna, quando ha citofonato ad una abitazione nella periferia del capoluogo cercando presunti spacciatori. Durante una diretta Facebook Salvini si è fatto indicare un esercizio commerciale dove, secondo i residenti della zona, in maggioranza mamme, si spaccerebbe droga. “Al civico 38 spacciano, non serve citofonare, l’hanno già chiuso. Ogni volta che posso dare una mano a mamme e persone che denunciano queste cose, io la do. La sinistra invece continua a non farlo nemmeno in Parlamento”, ha detto Salvini davanti ai microfoni e alle telecamere dei giornalisti. ”Chiediamo cortesemente a chi di dovere, alla procura e alle forze dell’ordine, di fare i dovuti controlli in questo negozio, perché stando a residenti e commercianti qua dentro si spaccia la droga, chi spaccia deve stare in galera e non a passeggio per Modena”, ha aggiunto il leader del Carroccio.

IL CAPO DELLA POLIZIA CONTRO SALVINI – Una stoccata alla strategia mediatica di Salvini è arrivata al capo della Polizia Franco Gabrielli. A margine di un evento sulla sicurezza ha infatti commentato con durezza il gesto dell’ex ministro dell’Interno di citofonare a un presunto spacciatore a Bologna: “Stigmatizzo sia quelli che fanno giustizia porta a porta, sia quelli che accusano la Polizia in maniera indiscriminata”.

Salvini a Bologna fa un passo indietro: “Se il ragazzo è innocente avrà le mie scuse”. Laura Pellegrini il 24/01/2020 su Notizie.it. Matteo Salvini fa un passo indietro sul caso della citofonata al 17enne tunisino di Bologna: potrebbero arrivare delle scuse al giovane. Il leader della Lega fa marcia indietro sul caso del 17enne tunisino di Bologna: dopo le polemiche scoppiate per la citofonata, Salvini potrebbe porgere le sue scuse. Sul web continua a girare il video del leghista che chiede al 17enne: “Scusi lei spaccia?”, mentre il dibattito pubblico si divide. L’ex ministro, dunque, ospite ad Agorà su Rai 3 ha annunciato: “Avrà le mie scuse”, ma con una condizione. Si continua a parlare del blitz di Matteo Salvini nel quartiere di Pilastro, a Bologna: il leghista aveva citofonato a un ragazzo tunisino per chiedere se fosse uno spacciatore. Tra una polemica e l’altra, però, Salvini ha annunciato che potrebbe porgere le proprie scuse al ragazzo ma ad una condizione. Ospite ad Agorà, il leader del Carroccio ha ammesso le proprie responsabilità e si è detto pronto a fare un passo indietro. “Contro la droga non sono garantista, è morte – ha detto -. Se questo ragazzo non sarà ritenuto una spacciatore avrà le mie scuse”. Poi, però, il leghista ha proseguito: “In quel palazzo si spaccia. Punto. E non vado io a fare gli arresti. ma sono contento che l’Italia sappia che là si spaccia”. Nella giornata del 23 gennaio, inoltre, da Piacenza il leghista aveva dichiarato: “Adesso mi manca solo di essere denunciato da uno spacciatore e le ho viste tutte”. Tuttavia, ribadiva anche: “Sono orgoglioso di essere andato in una zona della periferia bolognese dove non vedevano un politico da anni a dare una mano a madri e padri nella loro lotta alla droga”. Il giovane tunisino di 17 anni, infatti, aveva dichiarato a Tpi: “Sono andato a denunciare. Non spaccio, non ho nessun precedente”.

Salvini al citofono, Maroni: “Questioni di campagna elettorale”. Veronica Caliandro il 24/01/2020 su Notizie.it. Maroni ha commentato il gesto dell’ex ministro dell’Interno Salvini che a Bologna ha citofonato una famiglia accusata di spacciare nella zona. Ospite a Piazzapulita, Roberto Maroni ha espresso il proprio parere in merito al gesto dell’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini che a Bologna ha citofonato una famiglia accusata di spacciare nella zona. In Emilia-Romagna per continuare la campagna elettorale in vista delle imminenti elezioni regionali, l’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini ha citofonato ad un cittadino per chiedere se fosse uno spacciatore di droga. Una richiesta, quella del leader del Carroccio, fatta dopo la segnalazione di una signora del posto. Immediate le polemiche conseguenti a questa vicenda, con i vari esponenti politici che a loro volta hanno espresso il loro parere. Nella giornata di ieri ci ha pensato Giorgia Meloni, affermando che lei, al posto del leader leghista, non lo avrebbe fatto. A commentare la vicenda, oggi, ci ha pensato Roberto Maroni che, ospite a Piazzapulita ha affermato: “Io la lotta allo spaccio di droga e alla criminalità l’ho fatta con uno stile diverso, però l’importante è che si faccia. Salvini ha voluto sottolineare questo fatto e che se ne parli sempre avendolo fatto in campagna elettorale vuol dire che ha fatto una scelta che fa parlare. Giusta o sbagliata fa parlare… sono questioni di campagna elettorale“. Per poi aggiungere: “Io non l’avrei fatto”. Per quanto riguarda il caso Ferrara sollevato dal servizio del programma ha poi affermato: “La sensazione è che per la prima volta nella storia di quella regione, nella prima volta nella storia della sinistra ci sia un testa a testa che potrebbe determinare una sconfitta storica, come avvenne a Bologna per altri motivi. Perché là fu un errore della sinistra, qui invece sarebbe proprio un giudizio negativo sul governo. Un giudizio politicamente molto pesante che dovrebbe avere conseguenze sul governo, Naturalmente questa è la mia opinione”. Per poi aggiungere: “Salvini fa sei comizi al giorno: quello è lo stile che può portare alla vittoria. Se quello che ha fatto può avere rilevanza penale lo vedremo…”.

Blitz al citofono, azione squadrista di Salvini ma non è l’unico. Iuri Maria Prado il 23 Gennaio 2020 su Il Riformista. Quando un fatto di inciviltà irrompe sulla scena pubblica di questo Paese bisogna evitare accuratamente di far finta che si tratti del classico caso isolato, dell’eccezione additata a esempio di una perversione accidentale e minoritaria. O peggio: dare a intendere che che le involuzioni incivili del Paese siano il frutto di colpi di mano addebitabili a una parte cattiva, mente l’Italia democratica, l’Italia perbene, viva e resistente, soffre soltanto la pena inflitta da episodiche prevalenze di sentimenti estranei e maligni. Su queste contraffazioni si è retto tutto il corso democratico di un Paese – il nostro – inerte di fronte alle leggi razziali, e tra i padri della patria repubblicana stanno tutti quelli che hanno prestato giuramento di fedeltà al regime ventennale, mentre i tredici che non hanno giurato sono estromessi – et pour cause – da quel Pantheon balordo e mistificatorio. Tutto questo per dire che bisogna stare molto attenti quando, pur doverosamente, si denuncia il fatto di squadrismo di cui si è reso responsabile il senatore Matteo Salvini, che, ripreso dalle telecamere, a capo di un codazzo di cittadini inferociti, si è attaccato al citofono di un abitante di un quartiere bolognese per chiedergli se è vero che spaccia stupefacenti. E’ un fatto di gravità incommensurabile, perché a presidio del rispetto della legge dovrebbero esserci le forze dell’ordine, non i parlamentari-agitatori che si mettono alla guida di ronde che vogliono processare sotto casa il “tunisino” di turno. Ma, per favore, evitiamo di contrassegnare la faccenda come se fosse la dimostrazione che l’Italia è un bel Belpaese incomprensibilmente esposto a un imprevedibile ed esclusivo vento, come si dice, “di destra”. Il capo leghista che minaccia di ruspa la zingaraccia non è diverso, manco d’un grammo, rispetto al democratico Walter Veltroni che dice che Roma era una città sicura finché non l’hanno invasa i romeni, e il ministro diessino che vanta il calo degli sbarchi grazie all’inconfessata politica di finanziamento dei lager libici, giustificata dal pericolo di smottamento democratico del Paese, non è migliore del leghista truce che li vuole tutti respinti perché prima vengono gli italiani. Il razzismo, lo Stato di diritto violentato, la maniera spiccia della giustizia, non sono in questo Paese denunciati per quello che sono e a prescindere da chi sia responsabile di queste violazioni: ma secondo che a rendersene responsabile sia l’uno o l’altro, con lo sfregio, con lo scempio, con l’insulto civile che si giustifica perché, alternativamente, difende il confine italiano della Padania allargata o la democrazzia con due zeta del circolo progressista. I commenti sui giornali di domani (oggi, per chi legge) ce li immaginiamo, con gli editorialisti giudiziosamente democratici a spiegarci che i tunisini spacciatori, in effetti, bisogna arrestarli senza tante storie ma deve pensarci la magistratura combattente, non il leghista sostituito al governo dalla lungimirante sinistra che si toglie il cappello davanti all’avvocato del popolo, quello che non è più un mascalzone per i decreti sicurezza e l’abolizione della prescrizione approvati in gialloverde, e anzi diventa uno statista quando si tratta di mantenerli, uguali uguali, in maggioranza giallorossa. O come al tempo delle proposte di “segnalazione” del Movimento 5 Stelle, poco più di un anno fa, quando i capi grillini istituivano un sistema di denuncia dei responsabili di comportamenti “che non rispettano i principi che stanno alla base del Movimento”, il partito dell’onestà per via di delazione. Una iniziativa che spiegava molto bene quale fosse il concetto di ordine sociale e di convivenza civile coltivato da quella pericolosa schiatta di analfabeti. Era l’immagine dello Stato che ci propongono, della società che ci offrono, dell’ordinamento civile che ci promettono: l’immagine riflessa del loro Movimento. E nessuno a dirne nulla. Per cui: piano, piano. Quel che ha fatto l’altra sera Salvini (tra l’altro con giornalisti al seguito, tutti zitti) merita ogni censura. E’ una cosa che fa vergogna, e non si capisce come anche solo quell’iniziativa di sostanziale istigazione al linciaggio possa non revocare gli intendimenti di voto di chi ancora oggi si affiderebbe al potere di governo di quel signore. Ma l’alternativa a quelli che oggi gli si oppongono sta in gente che considererebbe perfettamente legittimo citofonare al presunto corrotto piuttosto che al nordafricano: a telecamere aperte e sulla cima di un analogo corteo di italiani perbene. E non che si tratti di un’ipotesi, perché la pratica di fare picchetti davanti al portone di casa del mascalzone di turno per esporlo alla giustizia di piazza – sia il furbetto del cartellino, sia il politico indagato, sia l’extracomunitario che ruba l’alloggio ai figli della Nazione, sia l’imprenditore corrotto – costituisce qui da noi una tradizione ben diffusa a destra e a manca. E a fronteggiarsi sono due opposte ma identiche pretese di forca, due politiche e due giornalismi uniti nell’identico disprezzo per i diritti della persona.

Vittorio Sgarbi: "Fabio Volo non ha capito il gesto di Salvini, occhio che un giorno non suoni suo citofono". Libero Quotidiano il 22 Gennaio 2020. Vittorio Sgarbi le suona a Fabio Volo che ha sfidato Matteo Salvini invitandolo ad andare "a suonare il campanello di un camorrista". Una "irritazione incomprensibile", sbotta il critico d'arte. Volo "sopravvaluta o sottovaluta Salvini. Si tratta di colpi di teatro e di provocazioni. D'altra parte se Volo avesse un figlio di cui si può identificare il pusher, dovrebbe avere il coraggio di affrontarlo. Questo ha voluto dire, con il suo gesto, Salvini, avendo anche il vantaggio di seguire una pista che lo portava verso un presunto spacciatore tunisino". Volo, continua Sgarbi, "non ha pensato che Salvini è candidato anche in Calabria e presto lo sarà in Campania. Nessun dubbio che risponderà positivamente alla sfida di Volo e andrà, con molti sostenitori, a suonare il campanello di un pusher della camorra o della 'ndrangheta. Ne sono certo". E conclude: "Vorrà insistere Volo fino a che punto arriva Salvini? Non è detto che un giorno non suoni anche il suo campanello. Con molti auguri".

Blitz di Salvini al citofono, Giorgia Meloni: “Io non lo avrei fatto”. Veronica Caliandro il 22/01/2020 su Notizie.it. Giorgia Meloni ha commentato il gesto dell’ex ministro dell’Interno Salvini che a Bologna ha citofonato una famiglia accusata di spacciare nella zona. La leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, ha commentato il gesto dell’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini che a Bologna ha citofonato una famiglia accusata di spacciare nella zona. In Emilia-Romagna per continuare la campagna elettorale in vista delle imminenti elezioni, che si svolgeranno domenica 26 gennaio, Matteo Salvini ha citofonato ad un cittadino per chiedere se fosse uno spacciatore di droga. Una richiesta, quella del leader leghista, fatta dopo la segnalazione da parte di una signora del posto, scatenando un bel po’ di polemiche, come ad esempio quelle di Fabio Volo. A prendere le distanze dal gesto del leader leghista anche Giorgia Meloni. Ospite a Stasera Italia su Rete 4, infatti, la Meloni ha a commentato il gesto dell’ex ministro dell’Interno, affermando che lei non lo avrebbe mai fatto. In particolare ha affermato: “È sicuramente una mossa forte, di quelle a cui lui ci ha abituato; credo volesse dare voce a un problema diffuso nelle periferie, di fronte al quale la gente si sente lasciata sola. Lo spaccio è sostanzialmente impunito in Italia”. Per poi aggiungere: “Il dubbio che ho è che quando sei una persona in vista il rischio emulazione potrebbe non essere controllabile. Io non lo avrei fatto, ma non lo trovo così incredibile”. Dichiarazioni, quella della leader di Fratelli d’Italia, che dimostrano una linea di pensiero diversa da quella di Salvini, volta a mettere ben in evidenza le differenze tra i due partiti. D’altronde, come dichiarato poco tempo fa dalla stessa Meloni a Lucia Annunziata su Rai Tre: “ Noi, dico proprio il centrodestra diciamo che quello che prende più voti all’interno della coalizione è il leader del centrodestra. Salvini l’ultima volta ha vinto quella competizione. La prossima volta vediamo chi le vince”.

Ordine dei giornalisti, perché Travaglio è intoccabile? Redazione de Il Riformista il 22 Gennaio 2020. Vi ricordate quella storia della patata bollente? Era un titolo goliardico e, a nostro parere, molto volgare, che campeggiava un paio d’anni fa sulla prima pagina di Libero. Si riferiva alla sindaca Raggi. Secondo la direzione del giornale non era malizioso, voleva solo segnalare che la Raggi era nei guai, per motivi giudiziari e sentimentali. In realtà il doppio senso era indiscutibile, e il riferimento sessuale e anche antifemminista era piuttosto evidente. Noi del Riformista troviamo che sia sempre sbagliato reagire a quelli che consideriamo errori o cadute di stile o – persino – mascalzonate, con le querele, le iniziative della magistratura, le censure dell’Ordine dei giornalisti. E invece il povero Piero Senaldi, direttore responsabile di Libero, si è trovato in mezzo a un sacco di guai, perché la Raggi lo ha querelato, lui è finito sotto processo penale e in più l’Ordine dei giornalisti lo ha censurato e ha respinto il suo ricorso contro la censura. Reprobo, reprobo, reprobo. Vabbè. Ora però una domanda piccola piccola vorremmo porla all’Ordine dei giornalisti: ma l’avete vista la vignetta del Fatto quotidiano on line nella quale si sostiene che Craxi deve mettere la faccia nella merda e tenercela per tutta l’eternità, e stare nudo per tutta l’eternità, e tenersi anche una carota nel sedere perpetuamente? Vi sembra meno volgare e offensiva di quel titolo di Libero? Possiamo sapere se immaginate che il Fatto quotidiano dovrà subire le stesse traversie di Libero, o se invece esiste uno statuto speciale per il quale se un giornale è molto molto amico dei magistrati può avere un trattamento di favore? P.S. Posta questa domanda, aggiungiamo che a nostro giudizio sarebbe invece più logico abolire le censure per tutti, persino per chi fa quelle vignette su Craxi che dimostrano una capacità modestissima di usare il cervello. Per la verità non saremmo neppure molto contrari all’abolizione dell’Ordine dei giornalisti. Ma questa è una discussione seria che è meglio non mescolare con le oscenità infantili del Fatto.

Giovanni Sallusti per nicolaporro.it il 22 gennaio 2020. Quando uno ha ragione, ha ragione. Pensate, può capitare perfino a Mattia Santori, il Capobranco cerchietto-dotato delle Sardine. E noi, onestamente, appuntiamo. C’è un grave problema relativo alle tonnellate di odio che circolano in rete, una vera e propria esplosione della “violenza digitale”, tuona da giorni l’istruttore di frisbee. Sacrosanto. Lievissimo corollario omesso dal nostro eroe: spesso questo odio, questo hate speech collettivo che non vede mai avversari da sconfiggere, ma sempre e soltanto nemici da abbattere, prospera a sinistra, dalla parte dei buoni e giusti e illuminati, dalle sue parti, nella pancia della società (in)civile antisalviniana. Affaire-Mihajlovic: l’allenatore del Bologna esprime un’opinione non conforme a quella dell’acquario progressista (“Tifo per Matteo Salvini e spero che possa vincere in Emilia Romagna con Lucia Borgonzoni”). Uno dei pochi casi di endorsement destrorsi, rispetto alle frotte di intellò, cantautori, aspiranti tali, vip e vippastri vari che in questi giorni hanno declinato l’alfabeto sardinesco, il tutto dentro il normalissimo gioco della democrazia? No, per una fetta di web odiatrice e sinistrorsa (sì, caro Santori, le due cose sono compatibili, e del resto bastano a provarlo due decenni di selvaggio antiberlusconismo) Sinisa deve espiare la colpa ideologica con la vita. Letteralmente. Ecco di seguito un bel campionario di “violenza digitale” attinta dai social, con tanto di citazioni bestiali e codarde della leucemia che ha colpito Mihajlovic. “Speriamo muoia entro domenica”. “Questo per farvi capire che a volte uno le disgrazie se le merita” (chi la pensa diversamente merita la leucemia, Mengele sarebbe fiero). “Sosterrà Salvini, con un tumore già ci convive”. “La chemio ha effetti collaterali, bisogna capirlo”. “Verrebbe da dire: curiamo prima gli italiani!” (un esplicito appello a lasciar morire chi non vota Pd, puro sovietismo 2.0). “Speravo che la malattia ti avesse insegnato qualcosa, ed invece mi sbagliavo”. “Un po’ di gratitudine verso la sanità emiliana, no?” (dal che si deduce che tutti i pazienti della miglior sanità italiana per distacco, ovvero quella lombarda, dovrebbero votare centrodestra, giusto?). Ci fermiamo qui, perché il ribrezzo è troppo e la nausea tracima, ma è stato un vero fuoco di fila online contro il reprobo “fascista”, che si permette perfino di combattere la leucemia senza essere dei loro. Chiediamo solo a Mattia Santori: ha già chiesto, vero, il Daspo dai social network per tutti questi scarti avariati di umanità, in coerenza con la propria proposta di qualche giorno fa? Noi immaginiamo di sì, il ragazzo non è mica un quaquaraquà. Vero?

Le sardine scrivono ai sindaci e presentano il loro programma antifascista. Tra i punti della lettera sostenere la commissione Segre e sollecitare il Parlamento perché si completi la legislazione di contrasto dei fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all’odio e alla violenza. Sul sito dell'Espresso, ogni giorno il diario di viaggio con in anteprima notizie, eventi, storie e retroscena. Elena Testi il 22 gennaio 2020 su L'Espresso. "Livore" e "aggressività". Con queste parole inizia la lettera inviata a 1.500 comuni della Lombardia. A spedirla le sardine di Milano che chiedono un cambiamento nel linguaggio politico e nel modo di porsi. Se in Emilia Romagna la campagna elettorale è ormai agli sgoccioli, le sardine sembrano prepararsi alle prossime sfide elettorali (a Milano si vota tra un anno). Simona Reingod, 49 anni, ha aderito al "movimento" dopo un messaggio in rete che chiedeva ‘sardine a Milano’ ce ne sono?’ E io ho risposto”. Dopo il concerto del 19 gennaio, il movimento getta nuove radici, mentre dialoga in cerca della sua identità , e lo fa organizzando eventi: “Abbiamo deciso di scrivere questa lettera perché i sindaci sono i diretti rappresentanti dei cittadini e chi meglio di loro può riportare all’interno della società valori come ‘antifascismo’ ed ‘equità’”. Ed ecco l’incipit: “In questi mesi,  anche grazie alle Sardine, è stato possibile far emergere l’esistenza di un’altra Italia, che alla politica becera, priva di contenuti e incentrata sulla propaganda dell’odio risponde con i valori della solidarietà, dell’accoglienza, del rispetto dei diritti umani, dell’intelligenza, della non violenza, dell’antifascismo, dell’antirazzismo e della giustizia sociale”. Nella lettera che le sardine invieranno ai sindaci, ai consigliere e agli amministratori chiedono di: sostenere la commissione Segre; coltivare la memoria antifascista; aderire alla “Rete dei comuni per la memoria, contro l’odio e il razzismo”; sollecitare il Parlamento perché si completi la legislazione di contrasto dei fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all’odio e alla violenza. Dalla Lombardia si passerà poi in tutta Italia, almeno questa sembra essere la speranza, ma non sarà solo una lettera “coinvolgeremo le persone in prima persona, chiedendo loro un impegno concreto su questa tematica, dobbiamo far comprendere che è un problema di tutti”. E chissà se servirà a qualcosa.

A Verona una via per Almirante, Segre: «Incompatibile con la mia cittadinanza». Pubblicato martedì, 21 gennaio 2020 da Corriere.it. Il consiglio comunale di Verona ha votato di intitolare una strada a Giorgio Almirante, lo storico leader del Msi e della destra nazionale, che dopo la caduta del regime fascista di Mussolini aderì alla repubblica di Salò alleata di Hitler. «Mi chiedo se sia lo stesso Comune, quello di Verona, a concedere a me la cittadinanza onoraria e poi a intitolare una via ad Almirante: si mettano d’accordo!» è stata la prima reazione della senatrice Liliana Segre, sopravvissuta all’Olocausto. « Le due scelte sono di fatto incompatibili, per storia, per etica e per logica. La città di Verona, democraticamente, faccia una scelta e decida ciò che vuole, ma non può fare due scelte che sono antitetiche l’una all’altra. Questo no, non è possibile!» ha aggiunto la senatrice. Lo scorso 16 gennaio il consiglio comunale di Verona aveva deciso di conferire la cittadinanza onoraria a Liliana Segre. Ma il 20 novembre del 2019 la stessa assemblea aveva approvato l’intitolazione di una strada all’ex segretario del Msi. Dopo che il centrodestra aveva votato contro la presidenza della commissione sull’odio razziale a Segre, numerosi sindaci d’Italia aveva reagito conferendo la cittadinanza onoraria alla sopravvissuta ai lager. Anche comuni di centrodestra, per farsi perdonare lo «sgarbo», avevano aderito all’iniziativa; in altri casi invece erano nati casi paradossali: il comune di Biella, ad esempio, aveva nominato cittadino onorario Ezio Greggio, negando invece analogo titolo a Liliana Segre. Contemporaneamente il Viminale aveva dovuto assegnare una scorta alla senatrice divenuta bersaglio di decine di messaggi di odio antisemita al giorno.

Date un Tuttocittà alla Segre. Domenico Ferrara su Il Giornale il 21 gennaio 2020.

- Via Lenin

- Via Stalin

- Via Stalingrado

- Via Togliatti

- Via Ho Chi Minh

- Via Tito

- Via Che Guevara

- Via Mao Tse Tung

- Via Carlo Marx

- Corso Unione Sovietica

Date un Tuttocittà dell’Italia alla Segre.

Odio e fake news: per bloccare via Almirante a Verona la sinistra tira in ballo pure Liliana Segre. Valeria Gelsi martedì 21 gennaio 2020 su Il Secolo d'Italia. Una lettera al prefetto di Verona per chiedergli di fermare l’intitolazione di una strada a Giorgio Almirante, già deliberata dal Consiglio comunale. A scriverla è stata l’associazione La città che sale. Sostiene che nulla nella vita e nei valori del padre della destra italiana avrebbe dato la “testimonianza dello sviluppo materiale e civile” richiesta dal regolamento comunale per l’intitolazione. Per questa associazione, infatti, la decisione del consiglio comunale sarebbe giustificata solo da “atteggiamenti ideologici”. Insomma, la solita manfrina, questa sì, dettata da atteggiamenti ideologici di chi ha lo sguardo fermo a un secolo fa.

La lettera al prefetto di Verona. La città che sale mette in relazione “l’assegnazione quasi contemporanea della cittadinanza onoraria a Liliana Segre (tributata quattro giorni fa, ndr) e la proposta di intitolare la via ad Almirante”. Una scelta che esporrebbe la città “al ridicolo, oltre che all’indignazione, configurando una sorta di grottesca, anacronistica e strumentale compensazione ideologica”. “Come si può celebrare la vittima di uno dei più abominevoli regimi politici novecenteschi e intitolare una strada ad uno dei responsabili di quel regime? Che senso ha insistere con questi atteggiamenti ideologici a 75 anni dalla fondazione della Repubblica e a 30 dalla fine della guerra fredda?”, si chiede quindi il consiglio direttivo dell’associazione, che firma la lettera al prefetto Donato Cafagna. La lettera non è estemporanea, ma fa seguito alle polemiche già sollevate dalla sinistra in consiglio comunale. Riproponendone errori e falsità. “Da un lato si dà un riconoscimento a una donna coraggiosa impegnata contro i rigurgiti di fascismo, dall’altro si sdogana una figura come Almirante, che di questo razzismo omicida fu un accanito e mai pentito teorico”, ha sostenuto il capogruppo di Sinistra in Comune, Michele Bertucco, parlando con Repubblica. E qui c’è la prima fake news.

Giampiero Mughini per Dagospia il 22 gennaio 2020. Caro Dago, ti confesso che se io fossi in un qualche consesso politico che dovesse decidere se votare sì o no l’intestazione di una strada cittadina al nome di Giorgio Almirante, voterei sì. E vengo a spiegarti il perché, che è semplicissimo. Almirante fa parte della storia italiana che è la nostra e in questa storia ha avuto un ruolo, il recupero alla vita pubblica dei “vinti” del 1945, di quelli che avevano fortemente parteggiato per i “vincitori” del 1922, quel fascismo storico che è impossibile ridurre a mera esperienza criminale. E’ un pezzo di storia del nostro Paese. Nel 1922 tutti menavano le mani. Più tardi, dopo l’assassinio di Giacomo Matteotti vennero uccisi per rappresaglia otto fascisti fra cui un parlamentare. Non erano rose e fiori gli anni Venti e Trenta, da nessuna parte in Europa: non lo furono in Germania, in Austria, in Spagna, dove la guerra civile durò tre anni con orrori a bizzeffe compiuti da una parte e dall’altra. Attenuare quegli orrori, quelle zuffe mortali, quelle guerre civili latenti o guerreggiate significa non capire nulla del secolo appena trascorso. In quel tempo e in quel periodo Almirante debuttò da giovane giornalista in un quotidiano diretto da Telesio Interlandi. Gli sedeva a fianco un coetaneo, Antonello Trombadori, futuro comandante militare dei gap comunisti durante la “Roma città aperta”. Più tardi Almirante divenne una sorta di redattore capo de “La difesa della razza”, la fetenzia antisemita voluta da Benito Mussolini e diretta dallo stesso Interlandi. Una colpa intellettuale morale non da poco, certamente. Alla mattina del 26 luglio, con il suo distintivo fascista all’occhiello Almirante stava recandosi alla tipografia de “La difesa della razza”. Un suo amico lo intercettò e gli disse che non era il caso e lo convinse a starsene alla larga. Le cose poi sono andate come sono andate. Com’è nel diritto di chiunque Almirante - e lo ha scritto impareggiabilmente Mattia Feltri nel suo “buongiorno” di oggi - Almirante ha mutato pelle e identità. L’antisemita degli anni Trenta in lui è morto, esattamente - e tanto per fare un esempio -come “il comunista” da anni Ottanta è morto nel mio carissimo amico Oliviero Diliberto, oggi tutt’altro personaggio e di tutt’altra caratura morale e intellettuale (anche se lui dice di no e sostiene anzi che io sono un “comunista” come lo era lui una volta). La storia ci tritura e ci seleziona, tutti noi raschiamo e raschiamo quello che eravamo ancora ieri e l’altro ieri. Almirante mi raccontò la volta che nell’immediato dopoguerra andò a fare un comizio missino in non ricordo più quale comune “rosso” del nord Italia. A un certo punto gli arrivarono addosso in molti e cominciarono a tempestarlo di cazzotti e pedate. Lui andò giù, ne uscì indenne, si accorse che gli mancava l’orologio. Si rivolse protestando a un dirigente comunista che si trovò innanzi. Dopo pochi minuti l’orologio gli fu restituito. Almirante è stato per 40 anni il testimone vivente di quella parte del Paese che nel fascismo ci aveva creduto. Uno di loro era mio padre, che mi ha pagato gli studi universitari e l’acquisto dei libri Einaudi dai quali ho imparato l’antifascismo. Una volta che avevo scritto delle “squadracce fasciste” mio padre mi chiese se sapevo che lui ne aveva fatto parte. Gli risposi di sì, pronto alla pugna. Papà non aggiunse altro. Per stile di vita e tutto, lui era l’opposto esatto del “fascismo” in cui aveva creduto, come lo era l’avvocato Battista padre del mio carissimo Pigi Battista che gli ha poi dedicato un libro quanto mai toccante. Il fascismo c’è stato nella storia d’Italia, e nessuno lo può cancellare. Nella storia successiva Almirante ha avuto un ruolo, e nessuno lo può cancellare. A dirla in una sola parola, il suo nome ci può stare sulla targa di una strada. La volta che lo intervistai a lungo nel suo studio in via della Scrofa, guardavo dietro di lui alla foto di Mussolini e al gagliardetto della Juventus. Una foto di Mussolini simile a quella che mio padre teneva dietro il suo tavolo da lavoro.

 Lettera di Mirella Serri a Dagospia il 22 gennaio 2020. Gentile direttore,  leggo con stupore la lettera in cui Mughini  difende l’intestazione di una via a Giorgio Almirante. Mughini è un intellettuale colto che conosce tanti risvolti della storia. A suo parere Giorgio Almirante  merita una targa in quanto rappresentativo degli ex fascisti che agirono e operarono nel dopoguerra in regime democratico ma con molte e ingiustificabili nostalgie. Mughini sa benissimo che vi furono parecchie ex camicie nere che riuscirono a cambiare pelle e altre che rimasero invece ancorate al vecchio credo. Almirante non fu nel dopoguerra un dannato della terra: ebbe anche la fortuna di avere un bel sostegno nella creazione di un partito neo fascista. Peraltro ci sono già molte strade in Italia a lui intestate, da Pomezia a Giarre in provincia di Catania e tante altre. Non aggiungiamone di nuove in memoria di un personaggio che, oltre a essere stato fascista come la maggior parte degli italiani ha avuto l’incancellabile colpa di avere sostenuto attivamente l’ideologia razzista. Lasciamo che Almirante riposi in pace con tutti i suoi errori ma evitiamo di rinverdirne il ricordo con nuove vie. Ci sono molti altri più o meno conosciuti eroi come Enzo Sereni morto a Dachau oppure Ada Ascarelli che riportò in Palestina circa 25 mila ebrei che si erano rifugiati in Italia che aspettano la loro targa.  In generale lascerei perdere la guerra delle targhe o delle cittadinanze in cui si equipara la persecuzione razziale subita da Liliana Segre al destino di un ex fascista persecutore degli ebrei.

Felice Manti per il Giornale il 25 gennaio 2020.  Il marito di Liliana Segre, senatrice a vita e testimone vivente dei guasti dell' antisemitismo e dei campi di concentramento nazisti, era un antifascista cattolico. Nulla di strano. Se non fosse che il suo cuore di uomo d' ordine, con una carriera militare, batteva a destra. E se non fosse che, come è stato possibile appurare spulciando negli archivi del Viminale, nel 1979 avesse deciso di candidarsi alla Camera con il Movimento sociale italiano ma come «indipendente». Neanche 700 voti. Già, l' Msi di Giorgio Almirante, il cui destino curiosamente si è intrecciato di recente con la stessa Segre per via del pasticciaccio della via intitolata (legittimamente) all' ex leader Msi dal Comune di Verona nel giorno della cittadinanza scaligera offerta (e rifiutata) dalla stessa Segre. Il perché Alfredo Belli Paci, morto nel 2008, avesse scelto di correre nel Movimento sociale «da posizioni antifasciste» l' ha spiegato al Giornale il figlio Luciano, che con il padre condivide la passionaccia per la politica, seppur da sponde opposte. «Ero il segretario provinciale dei giovani del Psdi, poi ho militato nel Psi, nei Ds, in Sd, Sel e infine Liberi e Uguali - dice al telefono con Il Giornale - non mi sono spostato io, che resto sulle posizioni di Saragat». Ma i tormenti politici del figlio sono poca cosa rispetto a quelli della madre alla notizia della candidatura: «Non le nascondo che fu un periodo difficile per lei e che la scelta di mio padre portò a delle lacerazioni nei nostri rapporti. Fin quando poi si decise a mollare tutto e a fare l' avvocato, da solo e poi insieme a me». Certo, c' è una Milano da raccontare e un clima irrespirabile che nessun libro di Storia potrà mai neanche lontanamente riuscire a far capire. «Siamo negli Anni '70, mio padre lavorò insieme ad altri - liberali, monarchici e antifascisti, lo scriva mi raccomando... - a quell' esperimento politico chiamato la Costituente di Destra», poi diventata Democrazia nazionale che trovò in Pietro Cerullo l' ispiratore insieme a Ernesto De Marzio, il generale Giulio Cesare Graziani, finanche Achille Lauro. Un tentativo di sfuggire al ghetto nel quale il fin troppo nostalgico Pino Rauti aveva confinato il Movimento sociale. L' esperimento fallì «ma papà ci credeva ancora, e per questo disse sì alla candidatura». Nonostante il no alla Repubblica di Salò gli fosse costato la permanenza in «sette campi di concentramento». Dalla storia della famiglia Segre arriva un' altra lezione a chi si ostina a dividere tutti in buoni e cattivi e a pretendere di avere la verità in tasca.

Ma il marito della senatrice Segre fu missino e almirantiano. Un documento del “Secolo”. Giovanni Pasero sabato 25 gennaio 2020 su Il Secolo d'Italia. Alfredo Belli Paci è stato più che un candidato del Msi. Il marito della senatrice Segre è stato convintamente almirantiano. Almeno così risulta a noi. Alle elezioni politiche del 3 e 4 giugno 1979 l’avvocato Belli Paci figura infatti nel cappello di lista dei candidati del Msi della Circoscrizione Milano-Pavia. In una competizione che, basta andare a guardare i giornali dell’epoca, vedeva il Msi su posizioni di destra radicale. In contrapposizione con gli “scissionisti” di Democrazia nazionale. Il servizio che documentiamo, si rende necessario dopo le quanto riportato da Il Giornale e La Verità. Con l’intervista al figlio del professionista milanese, che ha confermato la candidatura del padre, seppure sfumandone il significato. Tutto, ovviamente, comprensibile dal punto di vista del figlio. Ma il dato che a noi sembra importante è che quella dell’avvocato Belli Paci è stata una decisione convinta e non frutto di un momentaneo sbandamento.

Il marito della Segre non era un semplice candidato. Ecco la ricostruzione cronologica. A pagina 11 del Secolo d’Italia di giovedì 10 maggio 1979, vengono pubblicati i candidati della IV circoscrizione per la Camera e per il Senato. Alla Camera, il capolista è Franco Servello (storico esponente della destra italiana). Belli Paci è al numero 6, nel cappello di lista. Non proprio un Signor nessuno. Anzi, un candidato di prestigio, di assoluto prestigio per la Fiamma tricolore. È il 1979, siamo nel pieno degli “anni di piombo”. E a Milano, anche solo comprare il Secolo d’Italia all’edicola, è un rischio. Candidarsi, quindi, con il Msi-Dn è una scelta di campo coraggiosa. Né tiepida, né moderata.

Le parole di La Russa alla senatrice a vita. Nei giorni scorsi, Ignazio La Russa aveva lanciato un appello alla senatrice a vita Liliana Segre, per chiederle di non opporsi all’intitolazione di una via a Giorgio Almirante. Un appello che faceva una premessa. “Se la signora Segre lo avesse conosciuto, sicuramente avrebbe dato di quell’uomo un giudizio completamente diverso. Purtroppo Almirante è morto e un incontro con la Segre non è possibile. Un incontro tra i due, ne sono certo, avrebbe risolto la questione”. Il marito della signora Segre lo aveva conosciuto. E quindi si era candidato.

Con Alfredo una storia d’amore durata tutta la vita. Nell’intervista rilasciata a Sat 2000, la tv dei Vescovi, la senatrice Segre parlava del marito come di una persona fondamentale nella sua vita. “Liliana Segre attribuisce al marito la sua rinascita dopo l’orrore vissuto ad Auschwitz e lui le restò sempre vicino anche quando decise, compiuti i 60 anni, di diventare una testimone della Shoah”. Liliana e Alfredo si sono conosciuti nel 1948 e, fino alla morte di lui, nel 2007, non si sono mai lasciati.

Meloni: Almirante merita un omaggio, la sinistra ha perdonato il passato fascista di Scalfari e Bocca. Redazione de Il Secolo d'Italia mercoledì 22 gennaio 2020. “Non credo assolutamente che una via dedicata a Verona a Giorgio Almirante sia in contrasto con la concessione della cittadinanza onoraria a Liliana Segre”. Lo afferma all’Adnkronos la presidente di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni, interpellata sulla polemica nata dalla decisione del Consiglio comunale di Verona di intitolare una strada all’ex segretario missino e le affermazioni di Liliana Segre che l’ha giudicata “incompatibile” con il conferimento a lei della cittadinanza onoraria. Per la leader della destra erede del Msi è anzi bello che Verona pensi in contemporanea all’omaggio a due figure come Liliana Segre e Giorgio Almirante. Il merito di quest’ultimo, sottolinea Meloni, fu di avere portato nell’alveo democratico un partito che nasceva dai reduci dell’esperienza della Rsi. Un merito che la storia gli deve riconoscere. “Appare oggi davvero bizzarro sostenere che un personaggio che per cinquant’anni ha fatto parte delle Istituzioni della Nazione sia un reietto, meritevole dell’oblio”. “L’approvazione delle leggi razziali – aggiunge – è una grave ferita nella storia del popolo italiano. Su questo non abbiamo alcun dubbio”. Anche il leader dell’Msi – ricorda Meloni – condannò “le leggi razziali” ed ebbe un ruolo importante nel traghettare la comunità politica che aveva il legame con l’esperienza fascista “nell’alveo del dibattito democratico”. La leader di FdI ricorda infine che anche altri personaggi, poi santificati dalla sinistra, come Eugenio Scalfari e Giorgio Bocca, scrivevano con entusiasmo sui giornali fascisti ma la loro “colpa” fu perdonata perché poi divennero bandiere della sinistra. Tale indulgenza invece non si è dimostrata verso altre figure, rimaste coerenti con la loro storia.

Liliana Segre, Almirante e Salvini. Alberto Giannoni su Il Giornale il 23 gennaio 2020. Il fatto che l’intitolazione di una via a Giorgio Almirante, a Verona, abbia coinciso con la cittadinanza onoraria a Liliana Segre, rende tutto più complicato, e certo non si possono mettere sullo stesso piano, storicamente, un torto e una ragione. Ciò premesso, si può forse provare a ragionare, andando oltre il corto-circuito della cronaca. Nessuno come la senatrice a vita Segre, oggi, ha l’autorevolezza e la forza per unire, e quindi per riconciliare l’Italia con se stessa. Certo, non è pensabile che Liliana Segre si riconcili col Fascismo o con le infami leggi razziali, o che riabiliti quell’oscuro redattore della “Difesa della razza” che è stato il giovane Almirante. Allo stesso modo non si possono e non si devono legittimare gli attuali, patetici nostalgici del Regime. Cosa ben diversa, però, sarebbe riconoscere un pezzo della destra che viene dal Msi e che da quella pagina orrenda del razzismo fascista ha preso chiaramente le distanze, fino a condannarla nettamente. Si tratta di valorizzare quella condanna, che c’è stata, riconoscendo quel percorso che dal post-fascismo, tenendosi alla larga dagli estremismi, ha condotto alla democrazia, al “gioco” delle istituzioni parlamentari, e oltretutto a posizioni apertamente filo israeliane. Non si può dimenticare che Marco Pannella, il radicale, il nonviolento, l’antifascista che metteva in guardia dal “fascismo degli antifascisti”, invitato al tredicesimo congresso del Msi-Dn, il 20 febbraio 1982 andò a dire a quella platea: “Il fascismo non è qui!”, suscitando nella sala un evidente imbarazzo che Almirante stesso dovette risolvere assicurando che invece no, il fascismo era lì. Era chiaramente un artificio retorico, propaganda, e in ogni caso già da molti anni, lì, di quell’antisemitismo non c’era più traccia, e questo potrebbe confermarlo e spiegarlo meglio chi conosce bene la storia di quella destra – a cui personalmente non sono legato, neanche come “lessico familiare”. Nel 1967 Almirante già spiegava che quell’antisemitismo era “completamente superato, per ragioni umane, per ragioni concettuali”. Lo disse con rigore e pudore, mentre altri, anche a sinistra, praticarono l’infingimento e il silenzio opportunista. Questa storia andrebbe riscoperta in pieno. Questa, andrebbe riconosciuta e rispettata. Meriterebbe un riconoscimento. Ignazio La Russa l’ha ricordata bene ieri. Nel Consiglio regionale della Lombardia, due giorni fa, Viviana Beccalossi ha detto ad alta voce: “Alle leggi razziali guardo con orrore”. In una recente intervista al Giornale, Riccardo De Corato ha spiegato: che “Almirante prese le distanze, fu una brutta pagina che mai né il Msi né An hanno mai condiviso, l’abbiamo denunciata come la peggiore della nostra storia e non abbiamo mai avuto problemi a dirlo nelle piazze, nei congressi, sempre”. A sinistra c’è (stata) un’onestà intellettuale paragonabile a questa, sugli orrori del Comunismo e le complicità della sinistra italiana? La questione è ovviamente delicata, da non affrontare con l’accetta, ma la riconciliazione – nella verità – alla fine rafforza tutti e rafforza la democrazia. Offrire una mano tesa, un gesto di dialogo, avrebbe un valore storico. Le contrarietà ci sono, anche comprensibili, ma il tema-antisemitismo non dovrebbe essere usato con l’intenzione di dividere ed escludere, e soprattutto non ha titolo per farlo chi, a sinistra, finge di non vedere il problema delle vie intestate a Stalin, che fu ferocemente antisemita, e ai suoi complici politici, anche italiani. L’antisemitismo è una piaga, e non si può accettare che venga maneggiato con strumentalità e disinvoltura da chi intende solo mettere in difficoltà la destra o la Lega, che peraltro oggi è il partito più filosionista d’Europa, ha fatto approvare una mozione sacrosanta contro il boicottaggio di Israele e da molti viene vista non come uno spauracchio ma come un argine nei confronti dei nuovi pericoli, che oggi in Europa e al di là delle Alpi, non vengono da destra ma dal fanatismo religioso islamista.

Il Fatto Quotidiano e l’odio di cui si nutre la redazione, qualcuno ha voglia di dire basta? Piero Sansonetti il 21 Gennaio 2020 su Il Riformista. Ieri è apparsa sulla home page del Fatto Quotidiano la vignetta che pubblichiamo qui accanto. La pubblichiamo, sebbene sia una vignetta evidentemente oscena, perché pensiamo che sia bene sapere fino a che punto può arrivare il nuovo corso del giornalismo italiano. Non ho la minima idea di chi sia questo Natangelo. Sarà un ragazzo giovane, spero, che sa poco di politica, che non ha mai conosciuto Craxi, ha letto poco la storia e si è imbevuto delle idee e dei sentimenti che animano la sua redazione. Quali sono le idee? Lo ignoro. I sentimenti? Uno solo: odio. Odio allo stato puro, odio come carburante del giornalismo e del mercato. È un odio speciale. Forse non è neanche esattamente un sentimento, è quasi una teoria. La teoria secondo la quale per fare politica o per vendere i giornali bisogna avere un nemico, e che per avere un nemico occorre odiarlo, e che per odiarlo è giusto stracciare tutti i codici della civiltà, dell’informazione, della conoscenza. Bisogna evitare di darsi limiti. Da diversi giorni il Fatto conduce una campagna di odio – volgarissima – contro Craxi, a firma del direttore e di altri giornalisti. Il suo direttore e altri giornalisti del Fatto sanno poco o niente di Craxi. Si occupano solo di carte bollate, di sentenze, di atti di accusa, di veline di Procure. Son persone così: se chiedi loro qualcosa di Leopardi, probabilmente, ti rispondono che dalle carte dell’epoca risulta che pagava le tasse. Se gli chiedi di Enrico Mattei cadono dalle nuvole. La domanda che faccio è semplice: può sopravvivere a questi indegni livelli di autodegradazione il giornalismo italiano, se non reagisce? Esiste qualcuno che ha voglia di reagire? Ci sono dei giornalisti, anche del Fatto, che hanno voglia di dire: ora basta?

P.S. Quanto mi piacerebbe poter discutere liberamente di Craxi, dei suoi errori, che secondo me – anti-craxiano da sempre – furono molti. Furono i molti errori di un grande statista.

Le sardine all'assemblea del liceo per insegnare l'anti-salvinismo. Il leader del movimento degli studenti bolognesi: il nemico è il Capitano. Costanza Tosi, Mercoledì 22/01/2020 su Il Giornale. Erano nati come il movimento del libero pensiero. Quello buono, pacifico che, pur di farsi sentire e non rimanere schiacciato da una politica populista che parla alla pancia dei cittadini, scende in piazza e “muove i corpi”. Per loro la politica, la democrazia, è questo: “partecipazione attiva”. Ora si ritrovano a parlare ad una platea di giovani studenti del liceo scientifico statale Fermi di Bologna vantando vittorie contro il nemico cattivo. Dicono agli studenti in ascolto cosa è giusto e cosa è sbagliato. Suggeriscono ai giovani cosa dovrebbero accettare e cosa, invece, devono combattere. Scendendo in piazza insieme a loro. A soli due mesi dalla loro nascita, le Sardine, si rivelano già vittime della fame di consensi. Pronti a plasmare il pubblico cercando di trasmettere il loro “credo” ai più giovani. In totale assenza di contraddittorio. Limitando, di fatto, la loro libertà di scelta. La stessa, che hanno sempre preteso dalle piazze. “Una lezione di antisalvinismo”. Potremmo definirlo così l’incontro di ieri mattina al Circolo Arci “Benassi” di Bologna. Dove i ragazzi del liceo statale hanno organizzato un’assemblea d’istituto per dialogare “sull’importanza della partecipazione democratica dei giovani alla vita politica.” A partecipare dal palco, come esempio di lotta per la democrazia, alcuni leader dei movimenti cittadini. Pancho Pardi, storico attivista toscano della sinistra anti berlusconiana e membro dei Girotondi e gli inventori delle Sardine: Giulia Trappoloni, Andrea Garreffa e Mattia Santori. Che, da circa due mesi, nuotano a banchi per le piazze di tutta Italia. L’obiettivo: arrestare la corsa leghista in vista delle prossime elezioni regionali. Lungi dagli organizzatori mettere i ragazzi nella condizione di ascoltare rappresentanti di fazioni politiche diverse. Quasi a voler gridare che la democrazia è solo di sinistra. E così, tra le mura del circolo rosso, sulle note di "Bella Ciao", in una grande sala gremita di adolescenti da orientare, ecco andare in scena la lezioncina per istruire le nuove generazioni. Gli elettori del domani. I ragazzi alzano la mano e rivolgono alle Sardine domande generiche. “Come pensate di gestire la comunicazione sui social in base anche quello che mette in atto il vostro avversario?” Chiede un ragazzo della terza liceo. A togliere ogni dubbio sul focus dell’evento ci pensano i professori. Istintiva la reazione del prof scelto per moderare l’incontro, che rilancia: “Contro la “bestia” che si fa?” Dopo poco è il turno di Mattia Santori che, interrogato sui propri sentimenti che lo hanno spinto a mettersi in gioco, si lascia andare ad un monologo che poco sembra avere a che fare con un confronto sulla democrazia. Anzi, si avvicina molto di più ad un comizio elettorale della sinistra moderata. “Mi sono chiesto: è normale che subiremo una campagna elettorale di due mesi basata sull’insulto, sulla falsificazione, sulla mancata verità?” La domanda strappa una manciata di applausi in più e, al contempo, palesa il mal celato attacco a Matteo Salvini smascherando, ancora una volta, il vero interesse dei pesciolini: acquisire consensi screditando l’avversario. A spese della democrazia.

Toh, i pesciolini rossi odiano i neri. Insulti a un militante di Fdi di colore. Nadalini, italiano di pelle scura: offeso solo perché sono di destra. Giuseppe De Lorenzo, Martedì 21/01/2020, su Il Giornale. Dovevano essere il movimento della buona politica, della lotta al razzismo, del daspo contro gli insulti sui social. Quelli che amano «le cose divertenti, la bellezza, la non violenza (verbale e fisica)». E invece alla fine scopri che pure le Sardine sono in grado di odiare e di definire «negro» un ragazzo di colore, la cui unica colpa è quella di non sposare il credo buonista della sinistra italiana. A Bologna sono passate da poco le quattro di pomeriggio di domenica. Mentre in piazza VIII Agosto le Sardine si apprestano a iniziare il loro concertone, nella vicinissima piazza Nettuno Fratelli d'Italia distribuisce volantini per le elezioni regionali. Tra loro c'è anche Francesco Nadalini (nel tondo, ndr), militante di 34 anni. All'improvviso si avvicina «un uomo intorno ai 45 anni», scatta un paio di foto al gazebo e «inizia a insultare tutti». Niente di nuovo sotto il sole, in realtà. Visti i numerosi precedenti, l'episodio non farebbe neppure notizia se non fosse che Francesco è originario del Brasile, è scuro di carnagione e che l'aggressore in questione «aveva una sardina attaccata al petto». «Ha iniziato a dire: Fdi paga gli extracomunitari per fare campagna elettorale», racconta Nadalini al Giornale. «Poi mi ha chiamato negro». Francesco è arrivato in Italia a soli 5 giorni di vita. La carta d'identità certifica che è italiano. Accento bolognese, metalmeccanico, si impegna in politica (quella con la P maiuscola decantata da Santori) dal lontano 2013. «Sempre con la destra», sorride lui, nonostante il colore della pelle. «Le Sardine pensano che Fdi sia razzista, ma non è vero. In tanti anni di militanza non ho mai ricevuto offese da qualcuno di destra». Dai pesciolini, però, sì. «È assurdo che, senza conoscermi, chi si vanta di combattere l'odio venga a rivolgermi insulti razzisti solo perché non sono di sinistra». Poco dopo, peraltro, la scena si ripete. Al banchetto si avvicina un altro signore e, con fare stupito, sentenzia: «Non pensavo che anche quelli come voi dessero volantini di Fratelli d'Italia». «Quelli come voi», capito? Fa sorridere (per non piangere) ascoltare le parole di Francesco e ripensare ai proclama letti da Santori durante la manifestazione ittica di Roma dello scorso dicembre. In piazza San Giovanni, il comandante in capo delle sarde italiane «pretendeva» che la violenza venisse «esclusa dai toni e dai contenuti della politica in ogni sua forma». E puntava pure a equiparare la violenza verbale con quella fisica. Giusto, per carità. Ma a questo punto viene da chiedersi se il principio valga pure per le Sardine, visto che nella loro breve vita si sono macchiate ripetutamente di ogni offesa verso gli avversari politici. Prima Giorgia Meloni (definita «bestia, sgorbia, feccia»), poi Buonanno e ora il militante «negro» di Fratelli d'Italia. «Questa cosa mi ha fatto imbestialire - conclude Francesco -. Io non mi sognerei mai di denigrare chi non la pensa come me. Invece se non condividi il pensiero unico, diventi un appestato e ti becchi gli insulti».

Il Daspo social di Santori vale anche per le Sardine? "Daspo per chi diffonde odio via social". E' la proposta del leader delle Sardine. Che però forse dovrebbe guardare anche dentro al suo movimento. Oppure per loro vale tutto? Panorama il 18 gennaio 2020. "Caro Salvini, lo saprà sua figlia che consente ai suoi sostenitori di inneggiare allo stupro di gruppo per punire una donna che semplicemente non la pensa come lei?".

Samar Zaoui: "avremmo bisogno di un giustiziere sociale, di quelli che compaiono nella storia, che dopo aver ucciso vengono marchiati come anarchici".

Silvia Benaglia: "La Borgonzoni ed i leghisti non sono politici ma delinquenti prestati alla politica".

Questi che leggete sono tre messaggi pubblicati sui social e scritti da "Sardine", persone che hanno partecipato, organizzato, condiviso appuntamenti del movimento di protesta contro "il clima d'odio" e fondato da 4 ragazzi di Bologna, su tutti Mattia Santori. Oggi, il leader delle Sardine, ha lanciato una proposta: "Daspo per chi diffonde odio sui social". Insomma, come i tifosi violenti del calcio, niente stadio, anzi, niente tastiera per punizione. La prima domanda da fare a Santori è quale sia il limite. Quando un post quindi è concesso e quando invece va punito? La seconda è chi lo stabilisce? Facebook stesso? Un Giudice? Lui? Facciamo volentieri un altro esempio: quando Giulia Bridget Bodo pubblica un post con una foto su Facebook del politico della Lega Gianluca Buonanno, morto in un incidente stradale nel 2016, accompagnata con le seguenti parole "Buonanno a tutti i leghisti"... merita il Daspo o no? Oppure, per non andare così indietro nel tempo, "Cancellare Salvini", titolo di apertura di Repubblica di pochi giorni fa, merita il Daspo o no? La sensazione è che detta così sembra l'ennesima proposta di parte. Di quelli che si sentono sempre e solo dalla parte giusta.

L’avvocata Cathy La Torre difenderà Sergio, il ragazzo bullizzato da Salvini: “Non vincerà la sua Italia di odio”. Redazione de Il Secolo D'Italia il 18 Gennaio 2020. L’avvocata bolognese Cathy La Torre, attivista per i diritti civili, difenderà Sergio Echamanov, 21 anni,, il ragazzo dislessico bullizzato da Salvini durante un comizio in una cittadina alle porte di Ferrara. Sergio aveva fatto un intervento davanti ai suoi compaesani e mentre parlava è scivolato sulle parole. Sergio  era salito sul palco per parlare dei libri «come unico modo di renderci liberi dall’odio» e impappinatosi per una frazione di secondo è un ragazzo che soffre di dislessia, e che ha finito per essere attaccato da molti nei commenti sotto al posto del leader leghista. Cathy La Torre, cofondatrice della campagna "Odiare ti costa", ha deciso di difendere in tribunale il ragazzo. “Agiremo legalmente per l’immediata rimozione del video”, ha scritto su Facebook. L’avvocata è la vincitrice nella categoria “professionisti pro-bono” dei The Good Lobby Awards 2019 consegnati a Bruxelles e porta avanti una campagna contro l’odio. “Questi metodi, ormai sistematicamente utilizzati dall’ex Ministro contro chiunque la pensi diversamente da lui, non possono più essere tollerati.  Non si può vivere nel terrore di dire la propria davanti a 50 persone, di inciampare sulle parole, perché poi si finisce con l’essere ridicolizzati davanti a milioni di italiani. Molti dei quali non aspettano altro per sfogare il proprio odio”, ha detto. “Come i bulli che deridono le persone che loro considerano più deboli. Caro Sergio, sei un ragazzo meraviglioso. E coraggioso – ha continuato – Non sarà la sua Italia di odio e bullismo a vincere. Sarà la tua”. E conclude dicendo “Ci vediamo in tribunale Matteo Salvini”.

Silvana Palazzo per ilsussidiario.net il 19 gennaio 2020. Bufera sul video di Sergio Echamanov, il ragazzo che era stato preso di mira da Matteo Salvini per la sua dislessia. Il ragazzo ha spiegato che a causa delle minacce che ha ricevuto ha perso il suo lavoro. Gli sarebbe stato consigliato infatti di non lavorare più, anche dal suo avvocato. Ha parlato quindi di un periodo difficile e dell’aiuto che sta ricevendo dalle Sardine. Il loro leader, Mattia Santori, nello stesso video aveva detto che il 21enne «rischia di perdere a causa delle solite buffonate di Salvini, che scatenano l’odio». Poi si scopre che la realtà è ben diversa: in realtà Sergio Echamanov non aveva perso il lavoro per colpa del leader della Lega. Una bugia delle Serdine? Lui preferisce parlare di un «refuso». Di fatto prima ha detto che gli hanno consigliato di lasciare il lavoro, poi ci ha ripensato e ha parlato di un refuso dovuto allo stresso. Anche la “retromarcia” arriva su Facebook. Sergio Echamanov ha ammesso l’errore su Facebook. In primis ha smentito il fatto che l’avvocato La Torre gli abbia suggerito di lasciare il lavoro. «Non mi ha mai consigliato di dimettermi o di allontanarmi dal mondo del lavoro, mai e mai», ha precisato il 21enne sui social. Quindi si è spiegato e soprattutto scusato: «Ho avuto un refuso, dovuto al grande stress, i tempi stretti. Mi scuso con Cathy, che mi sta aiutando ad affrontare questa situazione particolare. Grazie a tutti». Nel video precedente invece il leader delle Sardine aveva attaccatto Matteo Salvini: «Ci va di sorridere di fronte all’ennesimo caso su cui ci sarebbe da piangere: Sergio oltre a parlare davanti alla piazze, ha anche un lavoro che rischia di perdere o che probabilmente ha già perso perché le solite buffonate di Salvini portano altri buffoni a scatenare un sacco di odio nella vita reale». Al suo fianco Sergio Echamanov, altro esponente del movimento nato a Bologna che poi ha chiarito quanto accaduto.

"A casa per colpa di Salvini". Ma la sardina si è inventata tutto. Sergio Echamanov: "Mi è stato consigliato di non lavorare più". Poi fa retromarcia: "Ho avuto un refuso". L'avvocato: "Si è dimesso per paura". Giuseppe De Lorenzo e Marianna Di Piazza, Domenica 19/01/2020, su Il Giornale. Boicottaggi, "refusi", ricatti e bugie. Dopo aver provato a sottrarre la piazza di Bibbiano a Matteo Salvini per la chiusura della campagna elettorale, ecco che vengono alla luce nuovi dettagli sulle sardine e in particolare sul caso del 21enne intervenuto durante un comizio a San Pietro in Casale, in provincia di Bologna. Il giovane era stato preso di mira da Salvini. "Guardate la carica e la grinta che avevano pesciolini e sinistri poco fa a San Pietro in Casale. Se pensano di fermarci così... abbiamo già vinto!", aveva scritto il leader della Lega su Facebook a commento di un video che mostrava i momenti in cui la sardina si ingarbugliava con le parole sul palco. E così è esploso il caos. Il giovane protagonista del filmato è il 21enne Sergio Echamanov che di lavoro fa il rappresentante porta a porta e soffre di dislessia. "Mi sento orgoglioso del mio imbarazzo, non avevo preparato nulla, nemmeno il discorso, perché volevo essere me stesso - aveva replicato il giovane -. Sono Dsa (disturbi specifici di apprendimento, ndr) e ne sono orgoglioso: talvolta hai difficoltà nelle esposizioni, ma stavolta c'entra poco, in realtà non ero preparato a parlare in quel momento, ha giocato più l'emozione. Credo in una politica che non brutalizzi l'umano, ma che renda libero ogni essere umano di essere ciò che è". Ma le polemiche non si sono placate. E anzi, le sardine hanno cavacato l'onda. Il loro leader, Mattia Santori, si è subito indignato per l'accaduto e ha spiegato in un video che ora Sergio "rischia di perdere il lavoro, o probabilmente lo ha già perso, a causa delle solite buffonate di Salvini che scatenano l'odio". "Per le minacce che ho ricevuto - era intervenuto lo stesso 21enne - mi è stato consigliato anche dal mio avvocato Cathy La Torre di non lavorare più. È un periodo un po' difficile per me. Ci sono persone straordinarie qua che mi stanno aiutando molto più che altro emotivamente perché è quella la vera batosta, non politicamente". Parole che non sembrano lasciare spazio ad interpretazioni. Poi però si scopre che la realtà è un po' diversa: nessun "lavoro perso" e nessuno che gli abbia suggerito di lasciare il suo posto di rappresentante porta a porta. A fare un passo indietro e ammettere l'errore è stato lo stesso Sergio sul suo profilo Facebook. "La mia avvocata La Torre non mi ha mai consigliato di dimettermi o di allontanarmi dal mondo del lavoro, mai e mai. Ho avuto un refuso, dovuto al grande stress, i tempi stretti. Mi scuso con Cathy, che mi sta aiutando ad affrontare questa situazione particolare", si legge sul social. Altre bugie da parte delle sardine quindi? No, un semplice "refuso" dovuto al grande stress. O almeno così lo ha definito lo stesso Sergio. E sul caso è intervenuta anche l'avvocato Cathy La Torre. "Lui si è dimesso, indipendentemente da me. Quando è arrivato da me si era già dimesso. Mi ha detto: "Io mi sono dimesso perché c'ho paura ad andare a lavorare". E io gli ho detto: 'Va beh, c'hai paura, non so che dirti'", ha spiegato l'avvocato La Torre al Giornale.it. Insomma, la giovane sardina avrebbe deciso da sola di lasciare il lavoro perché "per il tipo di lavoro che fa, cioè il porta a porta, aveva paura". Dopo il video del leader leghista, il 21enne ha ricevuto numerose minacce e commenti pieni di odio. Così, ha spiegato l'avvocato, "abbiamo mandato una diffida al senatore Salvini chiedendo la rimozione del post, proprio perché è noto ormai alla cronaca che si tratta di una persona con un disturbo neurocognitivo dell'apprendimento. E perché quel post ha generato decine di migliaia di insulti. Il post stesso aveva un montaggio ridicolizzante del ragazzo. Se il senatore non lo farà, agiremo in causa". E provvedimenti verranno presi anche nei confronti di chi ha commentato con parole di odio i post della sardina: "Sergio agirà per risarcimento danni nei confronti di tutti gli hater", ha concluso l'avvocato.

Alfonso Piscitelli per ''La Verità'' il 18 gennaio 2020. A una settimana dal voto in Emilia Romagna, le sardine alzano il tiro della loro polemica contro Matteo Salvini e nello stesso tempo prendono di mira la comunicazione politica sul Web. I due nemici si identificano e il leader, Mattia Santori, ora parla addirittura di «populismo digitale». Nella narrazione di questi improvvisati agenti emiliani della «buon costume», il principale artefice della «violenza digitale» sarebbe ovviamente il leader della Lega. La soluzione? L' espulsione dal Web, transitoria o definitiva, con un procedimento simile a quello applicato negli stadi per gli ultrà. Santori propone infatti un daspo, unito alla «vigilanza di un organo di polizia che garantisca che c' è un livello di sostenibilità democratica all' interno dei social network». Quello di controllare, vigilare, reprimere, ovviamente a fin di bene, è un' idea fissa che accompagna il movimento delle sardine fin dalla loro prima apparizione in pubblico. Si ricordi la roboante proposta lanciata sulla piazza romana di obbligare i ministri a comunicare solo «attraverso i canali istituzionali»: una prescrizione assurda nell' epoca dell' informazione 2.0, che, se applicata con rigore, impedirebbe anche al Papa di fare un tweet. Si noti anche il linguaggio anni Settanta: quel «livello di sostenibilità democratica» ricorda da vicino il concetto di «agibilità democratica» che facilmente i militanti di sinistra negavano a chiunque fosse loro sgradito. Facile obiettare alle sardine che chi è senza peccato «digitale» scagli la prima pietra. Ai primi dell' anno, dal loro bel mare è emersa una parodia un po' infame di Gianluca Buonanno, il dirigente leghista morto in incidente automobilistico. Giulia Bridget Bodo pubblicava su Facebook una foto del deputato con la seguente didascalia: «Buonanno a tutti i leghisti». Mentre altre sardine rilanciavano una foto di Salvini che donava il sangue commentando: «Condividi se anche tu hai sperato che gli stessero facendo l' iniezione letale». Umorismo da quattro soldi, che però non sembra incorrere in furori censori. Nota il commentatore politico Alessandro Sansoni: «Si cerca oggi di diffondere l' idea che Salvini sia l' unico responsabile dell' attuale livello della comunicazione politica, ma in realtà il livello si era abbassato di molto a partire dalle piazze del Vaffa day». Il vaffa il famoso slogan politico che ha fatto la fortuna di Beppe Grillo e che oggi sembra ammiccare alle sardine. Ma volendo andare più indietro nel tempo, ricordiamo che per un ventennio la polemica politica di sinistra si è nutrita di «somatizzazioni», di riferimenti alla fisicità dell' avversario, a voler usare un eufemismo. Prima ancora che Grillo coniasse per Silvio Berlusconi l' epiteto di «psiconano», già a sinistra si sprecavano gli insulti a Renato Brunetta. Violenze verbali forse passate in prescrizione. Per realizzare la sua utopia «cinese» di un controllo censorio a tappeto, Santori finisce col riprendere la proposta dal ministro per l' Innovazione tecnologica, la grillina Paola Pisano, che aveva proposto la «password di Stato» per accedere a Internet, salvo poi fare marcia indietro in poche ore dopo essere stata sommersa dalle critiche. Riciclare la sparata grillina non è il massimo per un movimento che si vuole libero e innovativo e che forse prima di pretendere di controllare le comunicazioni degli avversari dovrebbe verificare meglio la capacità di autocontrollo della propria base.

Dieci domande a "La Repubblica". Vorrei rispolverare le loro famigerate "dieci domande" al regnante Silvio Berlusconi per capire fino a che punto può arrivare l'ipocrisia di un giornale come Repubblica. Alessandro Sallusti, Venerdì 17/01/2020, su Il Giornale. La «Repubblica dell'odio», dopo il titolo «Cancellare Salvini» dell'altro giorno non solo non si pente ma rilancia. Il quotidiano che fu di Scalfari, alle prese come tutti i giornali con la crisi di mercato, cerca di risalire la china prendendo un nemico da agguantare alla giugulare, cinica e vigliacca formula sperimentata con successo per un ventennio nei confronti di Silvio Berlusconi. Il suo attuale direttore, Carlo Verdelli, ne ha facoltà e per questo non mi associo - a differenza loro nei nostri confronti - a chi vorrebbe trascinarlo davanti al tribunale speciale dei giornalisti. Sono convinto che la libertà di stampa, anche nelle sue forme più estreme, sia inviolabile e che gli unici giudici di un giornale sono i lettori. Saranno il numero delle copie e i risultati elettorali a scrivere la sentenza. Ma detto questo vorrei rispolverare le loro famigerate «dieci domande» al regnante Silvio Berlusconi per capire fino a che punto può arrivare l'ipocrisia di un giornale come Repubblica.

1. Perché se Salvini ferma una nave carica di immigrati vìola i diritti dell'uomo ma se la stessa cosa la fa la ministra Lamorgese e un governo di sinistra (ottobre 2019, caso Ocean Viking, 100 persone di cui 48 bambini lasciati in mare dieci giorni senza permesso di attracco) non avete nulla da obiettare?

2. Perché se da destra qualcuno contesta la partecipazione della democratica Rula Jebreal al Festival di Sanremo è un caso di sessismo politico mentre se Elisabetta Gregoraci viene esclusa in quanto «donna di destra» è cosa irrilevante?

3. Perché chi vuole regolare l'immigrazione è razzista e chi a sinistra nega il diritto all'esistenza di Israele no?

4. Perché un falso allarme bomba a La Repubblica è un attentato e una bomba vera che esplode in una sede della Lega è una cazzata?

5. Perché ironizzare sulla stazza della ministra Bellanova per voi è grave ma farlo sull'altezza di Brunetta no?

6. Perché le nostre inchieste - poi confermate dalla magistratura come nel caso di Fini - le bollate come «macchina del fango» e le vostre sono «grande giornalismo»?

7. Perché (giustamente) indagate sugli intrighi finanziari del capitalismo italiano ma tacete sulla lotta di potere fratricida dei vostri ex e nuovi editori (De Benedetti e Elkann) per il controllo del vostro giornale?

8. Come fate a conciliare il vostro entusiasta appoggio al movimento di Greta ed essere pagati dal più grande costruttore di auto a combustione d'Europa?

9. Come avete fatto a celebrare Gianpaolo Pansa senza riconoscergli il merito di avere scoperchiato le schifezze e le stragi dei partigiani?

10. Come fate a non vergognarvi di tutto questo?

Boldrini insulta ancora Salvini: "È un bullo e un maestro dell'odio". Laura Boldrini ancora all'attacco del leader della Lega: "Sollecita le peggiori reazioni. È un maestro per gli odiatori". Alberto Giorgi, Venerdì 17/01/2020, su Il Giornale. Laura Boldrini contro Matteo Salvini, ancora una volta. Ennesimo episodio della mai sopita e infinita querelle a distanza tra l'ex presidente della Camera dei deputati e il segretario della Lega. Nel corso della puntata di ieri sera di Dritto e Rovescio, nella prima serata di Rete 4, è andato in onda un servizio che ha visto protagonista l'esponente del Partito Democratico – è tornata nelle fila dei dem a settembre 2019, dopo la fallimentare esperienza in Liberi e Uguali – scagliarsi frontalmente contro il capo politico del Carroccio. Ecco l'affondo dell'ex portavoce Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati si è scagliata: "Matteo Salvini ha fatto dell'odio la sua cifra di comunicazione in un modo che non è necessariamente è diretto, bensì indotto attraverso domande sui social network apparentemente innocenti che sollecitano invece le peggiori reazioni…". Finita qui? Macché. La Boldrini ha rincarato la dose utilizzando parole davvero dure all'indirizzo dell'ex titolare del Viminale. Eccole: "Matteo Salvini ci ha ragionato sull'odio, ci ha lavorato, l'ha strutturato e l'ha reso strategia. È un maestro e gli odiatori hanno un riferimento a cui rivolgersi se vogliono migliorarsi sulle tecniche…". Dunque, ecco che arriva l'insulto finale: "È noto a tutti, Salvini è il capo dei bulli". Mentre veniva mandato in onda il filmato, la candidata alla presidenza dell'Emilia-Romagna per il centrodestra Lucia Borgonzoni in collegamento con lo studio sbuffava stizzita per l'ennesimo attacco della Boldrini nei confronti del leader leghista. In conclusione, nel servizio ecco le ultime parole della Boldrini:"Salvini ora fa convegni e incontri sull'antisemitismo: se si ravvede è una buona notizia. Ma dovrebbe anche farli sul razzismo, visto che gli attacchi alle persone di colore in questi anni si sono moltiplicati per colpa di una società che non è serena, che non sta bene e che cova un odio che viene alimentato...". Oggi, ci ha pensato un altro esponente di punta del Carroccio, l'europarlamentare Silvia Sardone, a dare risalto alle sparate della dem contro. 

Da liberoquotidiano.it il 10 gennaio 2020. Altissima tensione a L'Aria che tira, con Gianni Riotta che sbotta contro Gianni Barbacetto e gli urla "Shut up!", stai zitto in inglese. L'ex direttore del Sole 24 Ore sta commentando in studio la riforma della prescrizione criticando gli aspetti più manettari dell'impostazione del Movimento 5 Stelle, e Barbacetto, giornalista del Fatto quotidiano "schienato" sulle posizioni grilline scuote il capo, borbotta, lo interrompe continuamente. Riotta è una pentola a pressione, si trattiene e all'ennesima provocazione urla a pieni polmoni, provocando la reazione attonita della conduttrice Myrta Merlino e le risate, quasi isteriche, di Barbacetto in collegamento da Milano. "Non parlare mentre parlo io altrimenti mi alzo e me ne vado", minaccia. Stessa scena qualche minuto dopo, quando Barbacetto interrompe ancora Riotta: "Myrta, sono venuto qui per rispetto tuo e dei telespettatori, ma di fronte a certe asinerie...". E stavolta è Barbacetto a prendersela: "Volete che sia io ad andarmene?". Ovviamente, tutti restano in studio: capolavoro diplomatico della Merlino.

Da adnkronos.com il 15 gennaio 2020. Botta e risposta via twitter tra Peter Gomez e Bobo Craxi sul film Hammamet con Pierfrancesco Favino nei panni di Bettino Craxi. O meglio sul quel che il film di Gianni Amelio ''omette'' di raccontare sul leader socialista.  ''Craxi, quello che non c’è nel film Hammamet: nelle sentenze la lista della spesa delle tangenti, tra case a New York, a Roma, a Madonna di Campiglio a La Thuile e soldi alla tv di Anja Pieroni, alla quale passava 100 milioni di lire al mese'', è il tweet di Gomez che accende la miccia postando un articolo del Fatto che entra nel dettaglio della ''lista della spesa delle tangenti, tra case a New York e soldi alla tv dell’amante''. Pur sottolineando che siamo davanti a un film ''molto ben recitato'', Gomez sottolinea come sia ''doveroso per chi fa informazione raccontare pure il resto. È cronaca non una presa di posizione politica''. Il figlio di Bettino, Bobo, risponde a stretto giro intimando a Gomez di ''dimostrare che l’elenco di quegli appartamenti fossero a disposizione sua o della famiglia. Se non sarai in grado di dimostrarlo credo che il tribunale ti condannerà per diffamazione. Peter, è finita questa Storia che sputtanate gratis. Il tuo Esercito sta in rotta''. ''Bobo questo dice la sentenza - replica Gomez - Non lo devi dimostrare a me ma ai giudici che l’hanno scritta è confermata nel processo All Iberian. Si tratta del denaro, spiegano, gestito prima da Tradati e poi da Raggio, che come noto fece sparire una parte notevole di quella cinquantina di mld''. Ma Bobo Craxi insiste. ''No guarda. Tu ti presenterai in Tribunale con i certificati di proprietà di immobili. Diversamente, come è naturale che sia, vieni giudicato come uno spacciatore di bugie. Te l’ho detto, e mi spiace perché sai che rispetto il tuo lavoro, questo modo di fare non regge più. É finita''. Un aut aut a cui il direttore del Fatto on line risponde: ''Mi presenterò con le sentenze che sono tutte correttamente citate esplicitamente come fonte negli articoli del mio sito''.

Matteo Salvini dà appuntamento ai leghisti in un bar e trova quelli di Potere al popolo e una "signora eroica". Libero Quotidiano il 15 Gennaio 2020. Matteo Salvini, impegnato nella campagna elettorale in Emilia-Romagna, aveva dato appuntamento ai suoi sostenitori in un bar a Casalecchio di Reno (Bologna), ma non ha trovato l'accoglienza che si aspettava. Innanzitutto il titolare del bar "Dolce Lucia", appena ha appreso dell'incontro, ha deciso di chiudere il locale, giustificandosi così: "Non ci prestiamo a nessun tipo di campagna elettorale. Non sono contento di tutto in generale. Nelle campagne elettorali non facciamo da sponda a nessuno". Ad attendere il leader della Lega davanti il bar vi era qualche decina di manifestanti di Potere al Popolo, che intonavano il classico "Casalecchio non si lega". Per contenere i manifestanti, è intervenuta la polizia.

Angelo Scarano per il Giornale il 15 gennaio 2020. Tensioni e contestazioni al comizio di Matteo Salvini e Lucia Borgonzoni in Emilia Romagna in vista del voto per le Regionali del prossimo 26 gennaio. Un gruppo di contestatori a Piacenza ha cercato di interrompere il discorso di Salvini a colpi di urla e di cori con Bella Ciao. Dopo averli ascoltati il leader del Carroccio rivolgendosi ai contestatori ha mandato un messaggio chiaro: "Non ci sono più i contestatori di una volta. Cantano 'Bella Ciao' con il rolex al polso. Fosse qua Berlinguer vi prenderebbe a sputazzi". Dopo qualche fischio e dopo qualche attimo di tensione, Salvini e la Borgonzoni hanno proseguito nel loro intervento. Non è certo questo l'unico episodio di lotta aspra in queste settimane di campagna elettorale. Nel mirino dei "kompagni" sono finiti anche le altre forze del centrodestra che sono impegnate sul campo per la sfida alle Regionali. Solo qualche giorno fa alcuni militanti di Fratelli d'Italia sono stati attaccati dai centri sociali per un gazebo in piazza mentre lo stesso Salvini ha dovuto fare i conti con insulti e contestazioni in un altro comizio in Emilia Romagna. La lotta per il voto del 26 dicembre si fa sempre più dura e accesa. Anche la Borgonzoni dal palco di Piacenza ha mandato un messaggio chiaro a chi in queste settimane la insultata nell'indifferenza della sinistra che protesta solo quando l'insulto arriva da destra: "Noi siamo avanti e non di poco - ha detto ancora Borgonzoni - io lo capisco perchè ogni mattina mi sveglio e ho Bonaccini più - si alternano - Cazzola, Sala, Zingaretti, Prodi anche , lo vedo sta iniziando ad arrivare, che mi insultano". Poi l'affondo: "Ma non hanno capito - ha concluso Borgonzoni rivolgendosi alla piazza - che no siamo fatti ed abbiamo la tempra di quelli che non mollano mai. Noi questa Regione ce la riprendiamo, la rivogliamo, e servite tutti voi: non facciamoci prendere dal siamo avanti, loro porteranno chiunque, anche quelli 'tiepidi', per cui stiamo attenti: dobbiamo portare al voto e convincere tutte le persone indecise, questa volta possiamo farcela". Insomma dietro gli attacchi in piazza e gli insulti ci sarebbe quel nervosismo che comincia a disturbare una sinistra impaurita da un flop in Emilia-Romagna. Di fatto in questo quadro va sottolineata l'ipotesi di una "slavina" sul governo in caso di sconfitta dei giallorossi alle Regionali. Infatti con un doppia sconfitta in Calabria ed Emilia Romagna la stabilità dell'esecutivo verrebbe messa in discussione. Un avviso di sfratto chiaro per Conte, Pd e 5 Stelle...

La lettera di Vittorio Feltri all’Ordine dei Giornalisti della Lombardia il 15 gennaio 2020. Cari colleghi dell’Ordine, stamane la Repubblica reca in prima pagina il seguente titolone di apertura: Cancellare Salvini. Non credo che l’intenzione del titolista fosse quella di cancellare con la gomma il capo della Lega. È una frase minacciosa che incita al linciaggio. Cosa sarebbe successo se Libero avesse scritto a caratteri cubitali: Cancellare la Segre? Segnalo a voi che non leggete i giornali ma processate i giornalisti politicamente scorretti questa perla democratica e antifascista. Sono curioso di vedere se sanzionerete Verdelli che pure è un direttore stimabile. Cordiali saluti. Vittorio Feltri

Vauro ancora contro Salvini: ecco l'ultima vignetta d'odio. Il vignettista, nel suo ultimo disegno per Il Fatto Quotidiano, ha associato il leader della Lega a un blitz anti-mafia. Alberto Giorgi, Giovedì 16/01/2020, su Il Giornale. Non bastano le dita delle mani e neanche quelle "in soccorso" dei piedi per contare le vignette di Vauro Senesi contro Matteo Salvini. Ogni settimana, il vignettista sforna disegni che attaccano frontalmente il segretario della Lega. Il noto simpatizzante della sinistra (specie quella estrema e comunista) per l'edizione de Il Fatto Quotidiano di oggi, giovedì 16 gennaio, ha pensato bene di associare il capo politico del Carroccio al mega blitz antimafia che i carabinieri del Ros e la Guardia di Finanzia hanno condotto in Sicilia, riuscendo a colpire duramente i clan mafiosi dei Nebrodi. L'esito dell'inchiesta della procura di Messina è infatti riuscita ad arrestare novantaquattro persone (48 in carcere e 46 agli arresti domiciliari) e a ottenere il sequestro di 151 imprese, conti correnti e rapporti finanziari. Milioni di euro finiti nelle casse del clan dei Batanesi e dei Tortoriciani. Come già registrato nella giornata di ieri anche da ilGiornale.it, nel mirino degli inquirenti sono finiti esponenti del sodalizio mafioso, imprenditori, amministratori e il sindaco di Tortorici: le accuse, a vario titolo, sono di associazione mafiosa, estorsione, falso, truffa. Il primo cittadino, Emanuele Gelati Sardo, secondo le accuse sarebbe stato "a disposizione dell'organizzazione mafiosa per la commissione di una serie di truffe". Ecco, Vauro ha allora deciso di dedicare al blitz la vignetta per Il Fatto di oggi:"Messina – blitz antimafia, 94 arresti". Bene, la penna del vignettista disegna le due porte di due celle appaiate, dietro le quali fanno capolino le voci di due neo arrestati per mafia. Uno di loro dice: "Bei tempi quando al ministro dell'Interno bastavano i selfie con il giaccone della Polizia…". E l'altro, facendo il verso a uno degli slogan del leader leghista, gli risponde: "È finita la pacchia!". Insomma, Vauro esalta l'operato del ministro dell’Interno Luciana Lamorgese, tirando invece le orecchie all'ex titolare del Viminale, che a par suo non si sarebbe occupato di queste questioni durante il suo mandato. Un utente su Facebook, commentando la vignetta postata sul proprio profilo dal disegnatore, coglie nel segno: "Fa ridere, ma in questo caso non c'entra nulla. Infatti, sono le procure che fanno partire le indagini, mica i ministri…la Lamorgese non c'entra nulla…". E anche questa volta Vauro non si smentisce...

Eppure Salvini sa leggere. Carlo Verdelli il 16 gennaio 2020 su La Repubblica. Matteo Salvini sa leggere. Ieri ha letto Repubblica e ha capito benissimo il senso del titolo di prima pagina. D'altronde, non era difficile. Sotto un occhiello arancione bello grosso, "Immigrazione", la scritta "Cancellare Salvini" era la sintesi di un'intervista al capogruppo Pd alla Camera Graziano Delrio sul tema delle politiche migratorie, a partire dai decreti sicurezza pretesi proprio dalla Lega. Delrio sosteneva che tutto l'impianto che ha trasformato l'Italia in una terra di respingimenti andava cambiato, e al più presto. Da qui la sintesi: eliminare tutta la scia di disumanità lasciata in eredità da Salvini, cancellare la spirale di paure contro lo straniero da lui fomentata con brutale insistenza. Questo e non altro era il senso, e Salvini l'aveva capito benissimo. Ma in campagna elettorale vale tutto, per Salvini almeno, e così, da un palco di Casalecchio di Reno, ha trasformato l'attacco di un esponente della maggioranza di governo alla sua linea sovranista, nazionalista e anche razzista, in una minaccia alla sua persona, in una "istigazione alla violenza senza precedenti", agitando la prima pagina di Repubblica come fosse un manifesto di caccia all'uomo. Non era, con tutta evidenza, un wanted in stile Western. Ma a lui serviva farlo credere. E per tutto il giorno, fino a notte, e probabilmente ancora oggi e domani, è questo giornale che è diventato il mostro da cacciare. Buona continuazione, senatore. Nella speranza che vengano tempi più seri. Con la certezza che Repubblica, come ama ripetere lei nelle sue citazioni nostalgiche, non arretrerà di un millimetro.

Repubblica, Alessandro Morelli annuncia un esposto per il "titolo-porcata" "Cancellare Salvini". Libero Quotidiano il 15 Gennaio 2020. La Lega passa all'azione contro Repubblica. Il titolo in prima pagina del quotidiano diretto da Carlo Verdelli in edicola mercoledì 15 gennaio, Cancellare Salvini, è stato definito "una schifezza" dal diretto interessato, Matteo Salvini, che ha parlato di "istigazione a delinquere". E ora Alessandro Morelli, deputato leghista e responsabile Editoria del partito, annuncia di aver presentato un esposto contro Repubblica per il "titolo-porcata". "Quelli di sinistra con la puzzetta sotto il naso, che pensano di avere superiorità morale e giudicano sempre il prossimo e parlano di odio, quando sono loro a creare un clima di odio se ne dimenticano, anzi sono i primi fomentatori", accusa Morelli in un video pubblicato sulla propria pagina Facebook. Il leghista alla fine del filmato fa un implicito riferimento al posto che dovrebbe occupare un titolo come quello di Repubblica, chiudendo con una passeggiata verso il bagno della Camera dei Deputati. "Saranno gli elettori di Emilia- Romagna e Calabria a dare il ben servito a certi partiti, sostenuti da certi giornali. In fondo dei giornali ognuno ci fa quello che crede", conclude sarcastico Morelli.

Repubblica, allarme bomba e redazione romana evacuata nel giorno di "cancellare Salvini". Libero Quotidiano il 15 Gennaio 2020. Allarme bomba nella sede romana di Repubblica. "Il sito ha dovuto momentaneamente sospendere gli aggiornamenti", si legge sul profilo Twitter della testata diretta da Carlo Verdelli, mentre il palazzo della redazione in largo Fochetti (zona Roma Sud) è stato evacuato. In giornata sono state violentissime le polemiche a causa del titolo del quotidiano andato in edicola mercoledì, "Cancellare Salvini". Il leader della Lega Matteo Salvini l'ha definito "istigazione a delinquere", denunciandolo pubblicamente in un comizio a Casalecchio di Reno (Bologna) e sui social. Il deputato leghista Alessandro Morelli, responsabile Editoria del Carroccio, ha annunciato un esposto contro Repubblica perché il titolo sulla "cancellazione" di Salvini "può diventare un pesante strumento in mano a chi sta conducendo una battaglia politica contro il segretario della Lega basandosi su violenza e minacce. Pur essendo consci dei diritti di cui gode la categoria giornalistica, ci chiediamo dove sia la libertà di stampa nel cancellare Salvini".

Repubblica "cancella" Salvini. La Lega: "Minaccia ignobile". Il titolo del quotidiano romano scatena la reazione del Carroccio: "La cultura dell'odio inequivocabilmente a sinistra". Angelo Scarano, Mercoledì 15/01/2020, su Il Giornale. Matteo Salvini finisce nel mirino di Repubblica. Il quotidiano diretto da Carlo Verdelli questa mattina è andato in edicola con un titolo piuttosto forte: "Cancellare Salvini". Il titolo di apertura del quotidiano fondato da Eugenio Scalfari è legato a un'intervista a Graziano Delrio in cui il capogruppo dem chiede a gran voce la rimozione dei dl Sicurezza voluti dall'ex ministro degli Interni per porre un freno ai flussi migratori. Nell'intervista Delrio non usa giri di parole: "Dopo la legge di bilancio è arrivato il momento di intervenire sui decreti Salvini. Partendo dalle cose che sicuramente condividiamo e che abbiamo già scritto: accogliere i rilievi fatti dal presidente della Repubblica e scrivere una nuova legge sull’immigrazione che superi l’emergenza e affronti il problema dal punto di vista strutturale. Con decreti flussi, persone che arrivano con nome e cognome, viaggi regolati dalle ambasciate e non affidati a scafisti senza scrupoli". Insomma, dai dem arriva la richiesta (per altro già "approvata" dal ministro Lamorgese) di smantellare in tempi brevi i decreti che regolano i flussi migratori. Ma il titolo con cui Repubblica ha presentato l'intervista a Delrio sul quotidiano ha scatenato aspre polemiche, soprattutto in un momento caldo della campagna elettorale per le Regionali che ha visto il leader della Lega ricevere minacce e diverse contestazioni di piazza. E così la Lega fa quadrato attorno al suo leader e i capigruppo di Camera e Senato, Molinari e Romeo puntano il dito contro il quotidiano romano: "La prima pagina di oggi de 'La Repubblica' è la testimonianza diretta che la cultura dell’odio sta inequivocabilmente a sinistra, che, come da suo Dna, non tollera quanti non si riconoscono nelle sue posizioni; è una minaccia ignobile che travalica il dibattito politico e la divergenza di opinioni. Pensare di poter 'cancellare' chi la pensa diversamente, rimanda alla mente scenari inquietanti e inaccettabili". Poi arriva l'affondo dei due esponenti del Carroccio: "Sconcerta che un quotidiano di questo calibro faccia filtrare così tanto odio e meschinità; e poi parlano di tolleranza e democrazia. Sappiano comunque che possono scrivere e dire ciò che vogliono perchè il consenso della Lega e di Matteo Salvini è fatto di ascolto, partecipazione e rispetto delle regole: non basta un titolo di giornale per fermare un movimento popolare". E Alessandro Morelli ha annunciato anche un esposto all'Ordine dei giornalisti contro il quotidiano per "istigazione all'odio". "Pur essendo consci dei diritti di cui gode la categoria giornalistica, ci chiediamo dove sia la libertà di stampa nel cancellare Salvini e presenterò in questi giorni un esposto all’Ordine dei giornalisti contro il quotidiano", ha detto il deputato e responsabile Editoria della Lega, "Leggere certe porcate da chi si arroga il ruolo di giudicante rispetto a comportamenti d'odio altrui, basandosi su una presunta superiorità morale che è frutto solo della totale lontananza dalla vita reale, dal buonsenso e dai cittadini, qualifica chi le scrive. I colleghi di Repubblica non possono non rendersi conto dell'infamia compiuta nei confronti non tanto di un politico di cui non si condividono le idee, ma di un esponente visto come un nemico". Il commento di Matteo Salvini non si è fatto attendere: "Questa è istigazione a delinquere. Poi parlano di odio e di violenza... . Gli unici che istigano all'odio e alla violenza sono loro". E a sinistra regna come sempre il silenzio. L'indignazione si manifesta solo nel caso di insulti che arrivano da destra. Mai quando le offese arrivano dal campo "rosso". Insomma la sinistra usa le ultime carte per dare l'assalto a Salvini in vista di una tornata elettorale, quella del 26 gennaio, che probabilmente deciderà le sorti del governo giallorosso. Su quanto accaduto è poi arrivata la replica del direttore di Repubblica, Verdelli che all'Adnkronos ha affermato: "Quel titolo non è un auspicio ma una sintesi giornalistica di quello che dice Delrio in un'intervista sulle questioni legate all'immigrazione. Non si tratta di "un editoriale ma è la sintesi del pensiero di Delrio il quale dice che il governo deve cancellare i decreti Salvini sull'immigrazione come è stato chiesto dal Quirinale. Abbiamo riportato quello che ha detto Delrio, punto. Sarebbe diverso se, viceversa, ci fosse un editoriale con scritto 'cancellare Salvini'".

Maria Giovanna Maglie per Dagospia il 15 gennaio 2020. Cancellare Salvini, scritto senza virgolette, che fa la differenza, cara Repubblica, hai voglia a precisare che erano sintetizzate le parole del PD del Rio. Non prima di averlo affamato, assetato, legato; non prima di aver manifestato per la libertà del gestore del bar di Casalecchio di non fare entrare il medesimo Matteo Salvini e i suoi eventuali numerosi fastidiosi fans, o semplicemente cittadini, curiosi di ascoltarlo e incontrarlo; non prima di aver dimostrato invece contro la libertà del gestore della Locanda della Zucca a Ferrara di ospitarlo con piacere a cena, e anzi aver invitato a boicottare quel ristorante e far fallire il losco figuro. Procedere alla beatificazione di un tizio che incidentalmente, stando alle cronache e visto che a quanto pare della figlia scarsamente in passato si occupò, cioè il padre di Lucia Borgonzoni, trasformarlo in testimonial del voto contro la Lega e in artista che regala importanti quadri d'autore, fino a poche settimane fa catalogabili come croste ignobili. Scartare con fastidio e sopracciglio appena sollevato la nozione fastidiosa per la quale la Borgonzoni è femmina, come lo era la Tesei, eletta dal centrodestra governatore in Umbria, come lo sarà se eletta la Jole Santelli in Calabria, insomma delle scelte che indurrebbero a tirar fuori tutto il patrimonio buono, e la paccottiglia, del femminismo, dal soffitto di cristallo alle donne da valorizzare.  Il soffitto si sfonda un'altra volta, quando ci saranno candidate progressiste, per chiarimenti ripassare, intanto vai con frasi ficcanti come "Salvini ha candidato il suo cavallo", oppure "non sa neanche da che parte è girata". Cancellare Salvini, in leggerezza e allegria eh, mi raccomando, mica come successe in Brasile che poi un pazzo raccolse appelli e allarme e si senti" autorizzato a dargli una bella serie di sventrate, e il presidente del Brasile è vivo per miracolo e con molta sofferenza. O come negli Stati Uniti il deputato repubblicano Steve Scalise, che pure si è ripreso a malapena da una sventagliata di spari in un campo di baseball della Louisiana per iniziativa operosa di un militante del democratico Bernie Sanders, il quale, com'è naturale, condannò, ma certo non condannò mai se stesso per la violenza del linguaggio usato allora ed ora contro Trump e i trumpiani. Cancellare Salvini, ma non c'è mica odio in una frase di questo genere che campeggia sulla prima pagina di un quotidiano nazionale, senza virgolette, ricordare sempre. E' amore, come quello delle Sardine e dei Sardoni, con e senza cerchietto in testa, che quando preparano i loro comandamenti che cominciano inevitabilmente con la parola ""pretendiamo", lo fanno per un afflato verso il resto del mondo, che merita di essere in qualche modo tenuto sgombro, libero dalla minaccia del nuovo fascismo salviniano. Una obietta che se vuoi smontare il mostro e lo reputi tale davvero, lascialo andare in giro a parlare con tutti, ci penserà la gente a metterlo al suo posto, a stanarlo, comprendere chi è veramente, non votarlo. Eh no, purtroppo i gli italiani sono pronti a farsi fregare, c'hanno la smania dell'uomo forte che prima o poi rincorrono, sono pericolosi per se stessi e gli altri, anzi, com'era quel termine felicissimo coniato a sinistra, sono degli analfabeti funzionali. Ergo bisogna salvarli da se stessi, intervenire durissimamente, spiegare che qui non c'è un avversario politico con le sue proposte da confutare, c'è un nemico da abbattere, uno che in Emilia non ci doveva neanche entrare senza visto rosso sul passaporto, E ora bisogna reagire, isolandolo, la gente deve restare a casa, affamandolo, niente ristorante, neanche un panino per sbaglio, assetandolo, bar verboten. So che il dibattito politico è imbarbarito in questo paese e che è necessario occuparsene e preoccuparsene. Ma nella convinzione che una risata li seppellirà, anzi un voto, tutte le volte che alla gente glielo faranno esprimere, invito le forze progressiste a scegliersi come nuovi eroi Harry e Meghan in fuga dalla reazionaria monarchia inglese e dal fascista Boris Johnson, verso nuovi lidi in Canada e tra poco chissà a Los Angeles non appena sarà stata liberata dal perfido Trump. Campacavallo! Quanto al bar di Casaleggio che ha chiuso i battenti per non far entrare Matteo Salvini e i suoi fans del caffè, su Google campeggia una recensione innocente nel tempo, 3 mesi fa, nella quale si racconta come quello sia un bar gestito la gente scortese, lenta, nel quale i prezzi variano in modo molto allegro, e 3 crodini in piedi siano costati ben €18, con 4 salatini serviti con malagrazia.  Perciò per non andarci più non serve l'appello al rispetto della democrazia e della libertà, nemmeno ricordare che non si può fare così in un locale pubblico, basta dire che è un postaccio. Cancelliamolo.

Ps: Scampoli di campagna elettorale nella quale evidentemente le certezze scarseggiano, il nervosismo sale.

 "Cancellare Salvini" ed il clima d'odio, sempre degli altri. Sta suscitando polemiche il (libero) titolo di Repubblica di oggi, alla faccia del clima d'odio che, a quanto pare, è solo da una parte. Andrea Soglio il 15 gennaio 2020 su panorama. Evviva sia la libertà di opinione e di espressione. Per questo non sta a noi e non è nemmeno giusto giudicare nel merito il titolo che capeggia nella prima pagina di oggi de La Repubblica: Cancellare Salvini. Scelta libera. Certo, il riferimento è ai decreti sicurezza (tra l'altro, questo governo ormai è in sella da mesi ma continua a rimandarne la cancellazione, pur avendola annunciata come priorità assoluta e condizione sine qua non nel momento dell'accordo Pd-M5S) ma lette così, scritte così, stampate così quelle due parole trasformano il messaggio in una cosa un pochino diversa. E' un attacco diretto ad una persona, fin quasi a sfiorare la minaccia. E qui un ragionamento lo si deve fare. Da mesi lo stesso quotidiano è una delle principali casse di risonanza di quella parte del paese che parla incessantemente di "clima d'odio", creato però sempre dagli altri. In primis da Salvini. Un clima che avrebbe reso la vita impossibile al punto da far nascere le Sardine, il movimento politico il cui slogan principale è proprio "Basta con questo clima d'odio". Ecco ci piacerebbe sapere cosa ne pensa di questo titolo di Repubblica il buon Mattia Santori, leader delle Sardine (buone, brave, belle e soprattutto politically correct). Ci piacerebbe sapere come avrebbe reagito se un giornale, anche il nostro, avesse titolato in prima pagina: "Cancellare Santori" o "Cancellare le Sardine". Ovviamente non avremo risposte, ovviamente anche questo titolo è "colpa di Salvini" (che immaginiamo sia responsabile anche degli incendi in Australia), che "non è poi così esagerato", che "gli sta bene" o "Repubblica ha ragione". Perché c'è una cosa che per la sinistra non cambierà mai: l'idea di essere sempre e solo, anzi soli, dalla parte della ragione.

Cancellare Salvini. Anche Repubblica incita all’odio ma nessuno si indigna per il giornale di Scalfari.  Redazione mercoledì 15 gennaio 2020 su Il Secolo d'Italia. Cancellare Salvini. Recita così il titolo di prima pagina di oggi su Repubblica. Un titolo dal significato inequivocabile, e non proprio indulgente nei confronti del capo della Lega. Matteo Salvini lo ha subito rilanciato sulla sua pagina Fb con questo commento, altrettanto duro: “E poi loro sarebbero quelli che portano fratellanza e pace…Vergognatevi, vergognatevi, vergognatevi!”. Sul tema interviene anche Vittorio Feltri, spesso al centro di polemiche roventi per i titoli choc del quotidiano Libero. Scrive Feltri su Twitter: “Oggi la Repubblica titola in prima pagina: Cancellare Salvini. Con la gomma o col mitra? Perché l’Ordine non cancella Repubblica?”. Nessuna voce si è levata, tranne quella di Feltri, per far notare la violenza del titolo di apertura di Repubblica. Nessuna di quelle voci che in genere sono pronte all’indignazione quando appunto di mezzo ci sono i titoli ad effetto di Libero. Un anno fa il quotidiano fondato da Vittorio Feltri titolava così:  ‘Calano fatturato e Pil ma aumentano i gay’. In quell’occasione il sottosegretario con delega all’editoria Vito Crimi dichiarò il suo “disgusto”. Non meno accesi i toni dei detrattori contro un altro titolo di Libero: “La rompiballe va dal papa”, titolo che si riferiva a Greta Thunberg. Lo stesso Feltri, va ricordato, è rinviato a giudizio per il titolo “La patata bollente” riferito alla sindaca di Roma Virginia Raggi. Si arrivò, in quelle occasioni, a minacciare il taglio dei fondi al giornale. Non c’è traccia oggi della stessa indignazione, ma neanche nelle forme più tiepide, rispetto all’espressione che Repubblica utilizza nel suo titolo e che risulta un chiaro riferimento all’annullamento dell’avversario.

Chiudere Repubblica dovrebbe essere l’unica risposta alla minaccia di cancellare Salvini. Francesco Storace giovedì 16 gennaio 2020 su Il Secolo d'Italia. Cancellare Salvini o chiudere Repubblica? “La seconda che hai detto”, recitava Guzzanti in televisione. E poniamo il caso che il Secolo d’Italia intervistasse Vittorio Feltri per poi fare il titolo con le stesse, violente, modalità della voce della sinistra italiana. Chiudere Repubblica: come la prenderebbero quei signori? Se per un fotomontaggio – anche qui nel parallelismo con Salvini – sul suo cronista Paolo Berizzi hanno fatto il diavolo a quattro, figuriamoci che cosa avrebbero combinato. Ieri sera sono riusciti pure a scatenare l’allarme bomba in redazione, rientrato dopo pochi minuti perché non c’era nulla. Eppure, sembra tutto normale. E chissà come va cancellato Salvini. Poi, la faccia tosta della “spiegazione”. Repubblica, hanno “precisato”, si è limitata a riportare e sintetizzare in un titolo di prima pagina il senso di un’intervista al capogruppo del Pd alla Camera Graziano Delrio sul tema delle politiche migratorie da cambiare, a partire dai decreti sicurezza.

Repubblica e l’indecenza. Aggiungendo: “Trasformare la sintesi di un’intervista in un attacco personale è indebito e anche un po’ indecente”. No, indecenti siete voi, signori di Repubblica. Voi esponete al linciaggio un leader politico, giocando con titoli e parole in prima pagina, e mutuandone l’odio che gli rimproverate. Tanto più che scrivete anche di decreti “già criticati dal Quirinale”. Dietro quel titolo volete far credere che ci sia un mandante di nome Mattarella? Questa è la vergogna di un giornalismo a senso unico. Possono sparare – per ora virtualmente – contro i nemici, ma guai se nel mirino opposto finiscono loro. Frignano, invocano solidarietà, sono patetici. Nel caso Salvini hanno però giocato davvero a fare male. Se ce l’avete con i decreti sulla sicurezza, bastava titolare “Cancellare quei decreti”. Oppure “cancellare la Salvini”. E ancora “cancellare i decreti Salvini”. No, hanno preferito sparare ad alzo zero. E’ come se non ci fosse differenza tra “cancellare la Fornero” e “cancellare Fornero”. Lo fanno tirando per la giacchetta anche il Capo dello Stato, che li ha “criticati”. Operazione da killeraggio, non c’è alcun dubbio, sulla quale si registrano i soliti silenzi. Di Mattarella, e stavolta è davvero grave. Della sinistra, che non sa se esserne contenta perché può trasformarsi in autogol. E pure delle sardine, ovvero quei ragazzetti che dicono di scendere in piazza contro l’odio. Magari sventolando proprio Repubblica.

Tutti zitti, cariche dello Stato e leader della sinistra. Non è affatto normale che si trincerino a bocca chiusa. Perché mai come in questo caso il silenzio è complice. Ed è davvero vergognoso che sulla prima pagina di Repubblica – diffusa in chissà quante rassegne stampa televisive e social – si possano scrivere impunemente cose del genere senza che si senta il dovere di dire basta. Cariche istituzionali, leader politici di sinistra, non ve la cavate voltandovi dall’altra parte, perché date un pessimo esempio. Bastava almeno riecheggiare quello che ha detto il pentastellato Di Stefano contro quel titolo di Repubblica, definito sbagliatissimo. Così come è singolare registrare la singolare afonia dell’ordine nazionale dei giornalisti. Il compagno Giulietti non riesce a biascicare neppure una parola. Idem per i sindacalisti della federazione nazionale della stampa. Proprio non riescono – costoro – a dire al direttore di Repubblica e ai suoi cronisti che roba del genere è da volantino di sezione e non da grande testata nazionale. Ma questo è lo stato della democrazia italiana con l’ipocrisia dominante in una politica sempre più faziosa. Con media sempre più schierati. Con istituzioni che appaiono sempre più di parte. Sempre la stessa parte. A tutto questo bisogna porre fine. Altro che cancellare un leader politico.

La Repubblica dell'odio. Il quotidiano di Scalfari vuole «cancellare» il leghista: uno schiaffo alla democrazia. Alessandro Sallusti, Giovedì 16/01/2020, su Il Giornale. «Cancellare Salvini» titolava ieri a tutta pagina La Repubblica, quotidiano democratico e antifascista. Proprio così, «cancellare», verbo che sa tanto di soluzione finale. Non «contestare», «battere» o - che ne so - «ostacolare». No, proprio «cancellare», manco fosse un rifiuto della società. «Cancellare», alla peggio e se necessario magari anche fisicamente come fecero i nazisti con gli ebrei. «Cancellare» è una parola definitiva che non ammette repliche o mediazioni e se stampata a caratteri cubitali su un giornale diventa un ordine, qualcosa di simile al manifesto degli intellettuali pubblicato su Lotta Continua contro il commissario Calabresi che portò in breve tempo alla sua esecuzione fisica eseguita dagli odiatori radical chic. Il verbo «cancellare» sul giornale che ha fatto della senatrice Segre la sua bandiera da sventolare in faccia alle destre svela tutta l'ipocrisia di questi intellettuali democratici con la bava alla bocca e il coltello nella mano tenuta dietro la schiena per apparire pacifici e perbene. Basta che ti giri un attimo e zac, questi ti colpiscono con ferocia perché come scrisse e ben documentò nei suoi libri Giampaolo Pansa, più feroci dei fascisti ci sono stati solo gli antifascisti partigiani rossi. «Cancellare Salvini» è il nuovo «manifesto dell'odio» del giornale e dell'area politica che celebra e sostiene il movimento «no all'odio» delle Sardine. Chi dei due mente non lo sappiamo, ma sospettiamo che entrambi siano odiatori seriali che si camuffano in un reciproco gioco di specchi. «Cancellare Salvini» è un titolo che se traslato su Zingaretti lo avessimo fatto noi o altri giornali non di sinistra, avrebbe suscitato lo sdegno democratico della politica, l'apertura di un procedimento di espulsione dall'Ordine dei Giornalisti e forse anche una denuncia penale per istigazione alla violenza (Vittorio Feltri e Pietro Senaldi sono finiti nei guai seri per un ironico «La patata bollente» riferito a Virginia Raggi, io anche per meno). «Cancellare» è la negazione della democrazia e pure del giornalismo, indipendente (che ridere) o no che sia. Noi non vogliamo «cancellare» questa sinistra, tanto meno uno dei suoi tanti viscidi leaderini. Noi vogliamo salvare noi e il Paese da questa sinistra e da questo governo nato sull'odio contro la parte politica avversa. Noi vogliamo difenderci e salvarci dalla «Repubblica dell'odio».

Repubblica, Pietro Senaldi: "L'ennesimo tentativo della sinistra di linciare i politici sgraditi". Libero Quotidiano il 17 Gennaio 2020. Ieri un quotidiano di sinistra, solito denunciare l'odio e il razzismo imperante in Italia e addebitarlo automaticamente al centrodestra in generale e alla Lega in particolare, ha fatto un titolo che ricorda un ukaz staliniano: «Cancellare Salvini». Il giornale è Repubblica e il titolo sintetizzava brutalmente un'intervista di Delrio, nel quale l'ex ministro piddino si limitava a dire che l'attuale governo dovrebbe smantellare le leggi sulla sicurezza volute dal segretario del Carroccio quando era al Viminale. L'idea è politicamente un suicidio per i dem ma il foglio rosso ha voluto giocarci trasformandola in un invito, o quantomeno in un auspicio, a eliminare l'odiato rivale, a giorni alterni definito democraticamente razzista, xenofobo, cazzaro verde, cialtronaro, venduto ai russi, sequestratore di profughi. Poiché gli uomini non si cancellano con la gomma, «cancellare Salvini» non può che voler dire eliminarlo in un modo o nell'altro, fisicamente, per via giudiziaria o Dio sa come. Di certo però non democraticamente, attraverso il voto degli italiani, un diritto che l'esecutivo giallorosso e la stampa che lo sostiene continuano a negare alla cittadinanza solo perché probabilmente la sinistra perderebbe e il centrodestra trionferebbe. Non siamo dei mestatori, e ci teniamo a restare equilibrati anche se siamo di continuo accusati dalla sinistra di avvelenare il clima, sorte che condividiamo proprio con il leader leghista. Pertanto chiariamo subito che è evidente che non pensiamo neppure lontanamente che Repubblica nutra pensieri violenti. Sono così buoni... Di certo però un titolo di questo genere spinge la polemica politica oltre i confini della critica e dello scontro civile e si presta ad alimentare odio e propositi poco sereni nelle menti esaltate, che risiedono a sinistra tanto quanto a destra; anzi, a sinistra un po' di più, come ci insegna la storia recente del nostro Paese.

SE L'AVESSIMO FATTO NOI. Già in passato un giornale di estrema sinistra, che fu scuola giornalistica di molte penne che ora nobilitano Repubblica, mise nel mirino un personaggio pubblico fino a farne oggetto di un linciaggio mediatico che ne provocò la morte violenta mediante pistolettate sotto l'uscio di casa. Quella volta il giornale si chiamava Lotta Continua e l'obiettivo era il commissario Luigi Calabresi. Ci auguriamo che a questo giro ci siano meno orecchie sensibili alla lezione dei cattivi maestri, che tanto per cambiare stanno sempre dalla stessa parte. La reazione della vittima da «cancellare» non si è fatta attendere. Salvini ha accusato Repubblica di istigazione a delinquere e ha rimproverato al Pd di continuare a parlare di odio e violenza, imputandola all'avversario, mentre i soli che fomentano odio e violenza starebbero proprio a sinistra. Repubblica si giustifica spiegando che il suo titolo non è un augurio ma una sintesi giornalistica all'intervista di Delrio sulle questioni legate all'immigrazione. Ma si sente il rumore delle unghie che grattano il vetro. Se Libero avesse titolato «Cancellare la Segre» un articolo che auspicava l'abolizione della Commissione parlamentare contro l'odio, posizione politicamente legittima, probabilmente ci saremmo trovati il giorno stesso la polizia in redazione e un'incriminazione per razzismo. Senza considerare il carnevale che avrebbero inscenato i parlamentari del Pd, di Leu e di M5S, che invece quando si tratta di difendere Salvini tacciono vigliaccamente e con una gran dose di malafede. Non serve tirarla troppo per le lunghe. Quando c'è un rivale politico che non riesce a sconfiggere, la sinistra conosce una sola strada per liberarsene, criminalizzarlo, scatenargli una campagna d'odio contro e quindi abbatterlo fisicamente. Se non con le rivoltelle, come è accaduto ad Aldo Moro e a tanti altri, giudiziariamente, come capitato a Craxi e Berlusconi e come ora sta cercando di fare con Salvini, con incriminazioni del tutto campate in aria, da quella di sabotaggio a beneficio di Putin a quella di essere un rapitore, manco appartenesse all'anonima sequestri sarda. L'intimidazione spesso arriva a essere fisica. In faccia a Berlusconi due squilibrati tirarono una volta una statuetta e un'altra un treppiede, tra gli olé della sinistra. Più volte Silvio è stato artisticamente rappresentato in una bara, come il leader della Lega è apparso sui muri e su internet disegnato appeso per i piedi a testa in giù, come Mussolini a piazzale Loreto.

L'ESERCITO DEL BENE. Non siamo delle vergini. Nulla ci indigna, se non la faccia tosta di chi, come molti esponenti della sinistra, proviene da una cultura aggressiva e ne è impastato al punto da non rendersene conto e da scandalizzarsi per le pagliuzze negli occhi del rivale senza essere capace di vedere le travi nelle proprie pupille. Fossero in malafede, saremmo meno preoccupati. Il dramma è che i cattivi maestri rossi sono convinti di quel che dicono quando affermano di rappresentare l'esercito del bene e che, al di fuori di loro, esiste solo barbarie, razzismo, fascismo, violenza. L'insensibilità nei confronti del Paese reale li condanna alla sconfitta perpetua, mentre l'inconsapevolezza di loro stessi li rende boriosi, aggressivi, insopportabili e ridicoli agli occhi di chi li guarda da fuori. Pietro Senaldi

Maurizio Belpietro per ''La Verità'' il 16 gennaio 2020. Che cosa sarebbe successo se io avessi aperto la prima pagina della Verità con un titolo a caratteri cubitali con scritto «Cancellare Zingaretti»? Beh, come minimo sarebbero arrivati i carabinieri a consegnarmi un avviso di garanzia per istigazione allo Zingaretticidio. Di sicuro dalla stampa, dai partiti di sinistra e financo dalle sardine - che sebbene in natura siano mute, da settimane parlano senza tregua su giornali e in tv - sarebbero piovute condanne di ogni tipo e di certo si sarebbero mossi i guardiani dell' Ordine dei giornalisti, quelli che ti convocano per ogni virgola fuori posto e pretendono di insegnare anche alla Treccani come si debba scrivere una parola. Sì, ne sono certo, sarebbe successo un putiferio e qualche simpatico collega avrebbe raccolto online le firme per farmi bandire dalla professione, come già ha provato a fare in passato. Io però non ho aperto il giornale strillando: «Cancellare Zingaretti». In compenso Repubblica, noto quotidiano dei buoni sentimenti, da sempre specializzato nella difesa dei diritti, colonna portante della società civile che si contrappone a quella incivile e rozza di centrodestra, ha titolato «Cancellare Salvini». Per opporsi alle leggi volute dall' ex ministro dell' Interno e alle sue idee «pericolose» in tema di immigrazione, il quotidiano diretto da Carlo Verdelli non ha trovato di meglio che questa sintesi di pensiero. Dovendo titolare un' intervista al capogruppo del Pd Graziano Delrio sui decreti Sicurezza, il giornale non si è limitato a dire che quelle leggi devono essere cambiate, come sostiene l' ex ministro dei Trasporti. Né ha riportato le testuali parole di Delrio, il quale a domanda risponde che si devono accogliere le modifiche suggerite dal presidente della Repubblica, scrivendo una nuova legge sull' immigrazione. No, Repubblica non mette nel titolo le legittime critiche dell' esponente del Pd, ma sintetizza il tutto con un «Cancellare Salvini». Non «Cancellare i decreti Salvini» o «la Salvini». Il quotidiano dice proprio che bisogna cancellare lui, il capo del partito che non piace al giornale ex debenedettiano. Certo, gli esegeti del pensiero democratico e progressista diranno che il senso era chiaro, che leggendo poi l' intervista non si poteva equivocare, e dunque non esiste alcun incitamento all' odio come pensa Salvini e men che meno si propugnava la cancellazione fisica del capo della Lega. Ma a leggere il titolo si capisce proprio così. Quelli che si lamentano per il linguaggio truce dell' ex ministro dell' Interno, che lo accusano di fascismo e di razzismo un giorno sì e l' altro anche, hanno stampato in prima pagina un perentorio invito a cancellare una persona. Ora, tornando alla Treccani (magari all' Ordine dei giornalisti non piace, ma sarebbe consigliabile che i colleghi ne facessero buon uso), il verbo cancellare deriva dal latino «chiudere con un cancello». Già questo non è un bel proposito da esprimere sul quotidiano dell' amore universale. Ma a leggere i diversi usi che si possono fare di cancellare si trova anche di peggio. Oltre a «coprire con tratti di penna o in diverso modo», che è il meno, per estensione può anche significare altro, «cioè far scomparire e perfino uccidere o annientare», se vi si aggiunge o si sottintende «dalla faccia della terra», per non parlare poi di «ripulire» quando si tratti di qualche cosa che non va. Sì, insomma, scrivere che bisogna cancellare Salvini, come è stato stampato sulla prima pagina di Repubblica, non vuol dire che si intende modificare una legge fatta da Salvini e ritenuta sbagliata, ma nel migliore dei pensieri che lo si vuole far svanire. Che i colleghi del quotidiano di Verdelli volessero fare un titolo che forzasse la mano anche a Delrio (il quale criticava i decreti Sicurezza), andando oltre le sue frasi, lo si capisce dal fatto che non hanno usato le virgolette. Hanno fatto invece una sintesi originale di ciò che ha detto il capogruppo del Pd, il quale non parla mai di cancellare le leggi, anche se il giornalista che lo intervista vorrebbe strappargli un sì. E in effetti ne è uscito un titolo forte, anzi urlato. Naturalmente immaginiamo che a Repubblica negheranno qualsiasi cattiva intenzione nei confronti di Salvini, professando la loro buona fede. E alla fine saranno pure creduti. Anzi, si dichiareranno loro vittime di aggressione per le critiche subite. Con un po' di aiuto dei guardiani della professione forse spunterà anche un premio per la libertà di stampa. Perché, come scrive sotto ogni articolo Carlo Verdelli, «La Repubblica si batterà sempre in difesa della libertà di informazione, per i suoi lettori e per tutti coloro che hanno a cuore i principi della democrazia e della convivenza civile». Applausi. 

Vittorio Feltri su "Cancellare Salvini" di Repubblica: "Criticare il leghista si può, altri sono intoccabili". Libero Quotidiano il 16 Gennaio 2020. Cari colleghi dell'Ordine, stamane il quotidiano Repubblica reca in prima pagina il seguente titolone di apertura: "Cancellare Salvini". Non credo che l'intenzione del titolista fosse quella di cancellare con la gomma il capo della Lega. È una frase minacciosa che incita al linciaggio. Cosa sarebbe successo se Libero avesse scritto a caratteri cubitali: "Cancellare Segre"? Segnalo a voi, che non leggete i giornali ma processate i giornalisti politicamente scorretti, questa perla democratica e antifascista. Sono curioso di vedere se sanzionerete Carlo Verdelli che pure è un direttore stimabile. Cordiali saluti. Ecco, questo è l'esposto che ieri ho inviato ai soloni della categoria dopo essere inciampato nel citato titolo di Repubblica dedicato al reprobo Matteo Salvini. Noi di Libero non vorremmo mai punire un collega, convinti come siamo che le libertà di pensiero e di stampa siano sempre da salvaguardare e da rispettare in ogni circostanza, purché le espressioni maneggiate dai cronisti non sconfinino, come in tal caso, nell'incitamento all'odio oppure, come in altri casi, nella diffamazione, che è un reato da perseguire penalmente e non deve riguardare i tribunalini di categoria, a mio giudizio poco raccomandabili essendo influenzati dalle ideologie. La mia denuncia non intende colpire il direttore Verdelli, che sul suo giornale ha il diritto di adoperare il linguaggio che ritiene più opportuno. A me importa soltanto stabilire la fondatezza di un concetto: la deontologia o la si rispetta tutti, anche se discutibile, oppure che venga archiviata fra le cose inutili, o meglio dannose, perché essa si presta a dividere i professionisti della informazione in buoni e cattivi, quando invece siamo quasi tutti cattivi, noi che scriviamo cazzate quotidiane senza nemmeno avere tempo di riflettere. Infine ci troviamo o in tribunale a giustificarci oppure a subire le reprimende della corporazione che pende a sinistra come la torre di Pisa. Inoltre faccio presente che in questo genere di contenziosi si usano due pesi e due misure. Un paio di anni orsono Libero, riferendosi alle grane del sindaco di Roma Virginia Raggi, pubblicò questo titolo: "Patata bollente". Non l'avesse mai fatto. La signora ci querelò. E in settembre si discuterà la causa, mi pare a Catania. Venerdì 27 settembre 2019 noto poi su Italia Oggi, il mio quotidiano preferito, diretto da Pierluigi Magnaschi, grande giornalista, la seguente titolazione: "Fioramonti, una patata bollente". Espressione identica a quella da noi rivolta alla prima cittadina di Roma. E non vi è anima che l'abbia contestata, né a livello giudiziario né a quello dell'Ordine degli scribi. Nessuno ci ha spiegato perché noi non possiamo parlare di tuberi mentre il quotidiano economico li può citare senza conseguenze negative. Il mio sospetto, anzi la mia certezza, è che la patata bollente possa essere maschile e non femminile. Trattasi di discriminazione sessista. La signora va rispettata e non può essere paragonata a una verdura commestibile, mentre il signore finisca pure in una friggitrice. Vi rendete conto quanto i nostri giudici siano privi di senso logico? Vittorio Feltri

Vittorio Feltri per “Libero quotidiano” il 14 febbraio 2020. Caro Francesco Merlo, sai che sono un tuo estimatore. Abbiamo lavorato insieme al Corriere della Sera in anni lontani e fui tra i primi a segnalare ai colleghi di vertice che eri un fuoriclasse. Poi fu Paolo Mieli a valorizzare il tuo talento. E da allora hai scalato la montagna di carta. La mia ammirazione per te tuttavia non mi impedisce di criticare alcune tue prese di posizione che assomigliano molto nel linguaggio agli sfoghi della destra più aspra. Un esempio. Difendi la tua Repubblica che ha titolato: "Cancellare Salvini". A me tale espressione non scandalizza. Ciascuno usa introdurre gli articoli con le parole che preferisce. Tuttavia ti pongo una domanda. Se Libero avesse aperto così il giornale: "Cancellare Segre", come avresti commentato la nostra scelta? Non dirmi che avresti applaudito. E allora perché giustifichi infantilmente la cancellazione di Salvini, il quale comunque, benché non ti piaccia, è il leader del più grande partito italiano? E veniamo al discorso del Capitano in Senato. Esteticamente ripugnante? De gustibus. Ma trattare l' uomo come fosse un brigante quando questi si è limitato a citare i propri figli non mi sembra un atto di cavalleria. Matteo ha tanti difetti, però rispetto alla tua amata sinistra ha il pregio di essere in sintonia con gli abitanti della penisola, che non lo votano per le felpe o per le invocate ruspe, bensì in quanto egli si propone di difenderli dalle invasioni barbariche. Probabilmente Quintino Sella era migliore di lui, eppure non è un buon motivo per considerarlo peggiore di Di Maio, Bonafede e Conte, i quali stanno rendendo ridicolo il nostro già abbastanza buffo Paese. In politica ciascuno ha le proprie idee e io non voglio contestare le tue malgrado non le condivida. Mi limito a segnalarti che le discussioni in materia debbano svolgersi nell'ambito del Palazzo e che i contenziosi è bene si risolvano entro le mura del medesimo. Se invece si affida l'arbitrato alla magistratura, nella speranza venga liquidato l' avversario con una sentenza, significa che i politici hanno rinunciato al loro ruolo consegnandosi mani e piedi ai giudici. A me dei Casamonica, dei rom e degli immigrati non importa nulla, immagino che non saranno mai sconfitti né tantomeno integrati. Il punto è un altro e riguarda la cultura. Non è lecito supporre che coloro i quali la pensano diversamente da noi, da te, siano dei deficienti degni di disprezzo.

Segre, il bacio allo studente di destra lezione a Strada. Francesco Maria Del Vigo, Mercoledì 19/02/2020 su Il Giornale. Liliana Segre e Gino Strada. Una donna maiuscola e un uomo minuscolo. Ieri mattina, quasi contemporaneamente, per uno strano gioco del destino, hanno incarnato il meglio e il peggio del Paese. Lei, sopravvissuta all'Olocausto, attivista e senatrice a vita della Repubblica. Lui, medico fondatore di Emergency, non sopravvissuto alla scuola d'odio del peggior '68. «La differenza tra Meloni e Salvini? Anche tra i gerarchi nazisti c'era discussione fra chi rappresentava meglio la destra...», attacca Strada a Circo Massimo, ospite di Massimo Giannini, dando sfogo alla pancia (potremmo scegliere anche organi meno nobili) di una certa sinistra che riesce solo a demonizzare il nemico. Dopo gli insulti parte l'accorato appello per salvare la democrazia dall'imminente ritorno della dittatura: «Ho paura che, di fronte a un'assenza totale dell'opposizione, questa destra possa continuare a fare presa. La nostra società è a rischio». «Un'assenza totale dell'opposizione», attacca Strada. Che, forse, dimentica che la destra non è al governo, bensì all'opposizione. E, come se non bastasse - perché siamo un Paese che non vuole farsi mancare nulla -, abbiamo anche un'ampia schiera di oppositori all'opposizione (caso unico nelle democrazie occidentali): le sardine di Mattia Santori, i centri sociali, il vario associazionismo «civile», i No Tav e tutta la stampa e gli intellettuali di sinistra che non perdono occasione per evocare fasci, fez e camicie nere. Poi Strada passa al linguaggio che più gli appartiene, quello medico-scientifico: «Le mafie non c'entrano niente con i decreti sicurezza. Ma questo è tipico della diarrea verbale della destra populista». E, se esistesse un imodium per questa patologia da lui scoperta, gli consiglieremmo di autoprescriverselo. Ma Strada ne ha per tutti e scomoda persino la tragedia del nazismo per argomentare i suoi deliri: «C'è una logica fascista e razzista non soltanto nell'opposizione, ma anche nel governo. La logica che sta dietro a Prima gli italiani è la stessa che sta dietro a America first e che stava dietro a Deutschland über alles». Nel frattempo, sono le undici di un assolato 18 febbraio, Liliana Segre, alla Sapienza di Roma, riceve la laurea Honoris causa in Storia dell'Europa. Una cerimonia di routine che però aveva scatenato più di una polemica. Nei giorni scorsi gli studenti di sinistra avevano criticato la scelta del ragazzo che avrebbe parlato a nome degli iscritti: Valerio Cerracchio, colpevole di essere stato eletto in una lista di destra. Ci sono tutti gli elementi per un'altra giornata di odio e polemiche. Fuori dall'aula gli studenti di sinistra rumoreggiano: «Siamo qui per protestare contro la scelta di fare intervenire una persona vicina alla destra romana». Dentro, invece, va tutto bene. Come dovrebbe andare in un Paese normale. Liliana Segre, alla presenza del presidente della Repubblica, riceve l'attestato e lo dedica a suo padre: «L'uomo più importante della mia vita, ucciso per la colpa di esser nato». Poi si avvicina a Cerracchio, lo studente incriminato, il presunto fascista, e, come una nonna qualsiasi, gli dice: «Hai il ciuffo come mio nipote, posso darti un bacio o sono troppo vecchia?». E in un attimo svanisce tutto l'odio, si placano le polemiche, si ammutoliscono le tifoserie, finisce in cantina quel clima da guerra civile permanente che fa sembrare gli italiani separati in casa e fa sentire quelli di destra, come scriveva Marco Tarchi, degli esuli in Patria. La Segre chiude la polemica con un bacio. Che è una lezione per gli haters di tutti i colori. E, per uno strano gioco del destino, uno schiaffo morale ai vari Gino Strada che continuano a seminare rancore e odio.

Coronavirus, Giuseppe Felice Turani e la foto anti-Salvini: "Trovato paziente zero, una fatalità che...?" Libero Quotidiano il 24 Febbraio 2020. Qualcuno trova anche il coraggio di scherzare in un momento così delicato. È il caso di Giuseppe Felice Turani, ex giornalista dell'Espresso e ora direttore della rivista economica Uomini & Business: "Sarà un caso o una fatalità - scrive sul suo profilo Facebook -, ma il coronavirus è apparso quasi solo nelle regioni leghiste". Parole che hanno subito indignato la Lega: "Senza vergogna" replicano dalla pagina Lega-Salvini premier. Una risposta, questa, in difesa delle sei persone decedute per l'epidemia che genera in Turani non poca ironia. Poco più in giù, sempre sui suoi social, si può vedere la foto di Matteo Salvini con tanto di commento "Trovato il paziente zero". Insomma, una presa in giro che potrebbe essere evitata di questi tempi. 

Vauro contro Salvini sul Coronavirus. "La bava è contagiosa", gli dà dell'untore in prima sul Fatto quotidiano. Libero Quotidiano il 25 Febbraio 2020. Dagli all'untore. Ormai Matteo Salvini è il colpevole numero uno del coronavirus in Italia, almeno per Giuseppe Conte, il governo, Pd, M5s e loro sostenitori. E così non stupisce, anche se disgusta, la vignetta di Vauro Senesi in prima pagina sul Fatto quotidiano. "Occhio a Salvini", mette in guardia la matita armata di Marco Travaglio, che aveva passato la scorsa settimana a insultare Matteo Renzi dandogli finanche del "testicolo". Ora aggiusta la mira e torna a colpire duro il leader della Lega, dipinto come al solito sbraitante e fuori controllo. Poi la stoccata elegantissima: "La bava è contagiosa". Ma il cattivo gusto e la disonestà intellettuale, di più. 

Coronavirus, Salvini: “C’è chi gode perché i morti sono in Lombardia”. Laura Pellegrini 25/02/2020 su Notizie.it. Salvini commenta la situazione sul coronavirus e attacca la sinistra: "C'è qualcuno che gode perché le vittime sono in Lombardia". Secondo Matteo Salvini “a sinistra c’è qualcuno che gode perché i morti” per coronavirus “sono in Lombardia”. Queste le parole del leader della Lega in una diretta su Facebook. Dopo aver alimentato lo scontro con Conte e aver annullato il maxi evento a Trento, il leader della Lega torna ad alimentare la polemica sul Covid-19. Nel frattempo in Italia le vittime sono salite a 7, quasi tutte in Lombardia.

Coronavirus, Salvini attacca la sinistra. “Ma mi domando se in Italia occorra sempre che si debba aspettare che ci scappi il morto per intervenire come si sarebbe potuto intervenire il 30 gennaio scorso…”. Con questa parole Matteo Salvini commenta la situazione in Italia sul coronavirus. Il leader della lega ha ricordato che il Carroccio aveva chiesto la chiusura delle frontiere già da gennaio, ma era stato additato e considerato come “sciacallo“. “Sono stato chiamato persino l’untore… – ha riferito Salvini -. Insultare la Lega e Salvini” per il coronavirus “è davvero demenziale”. Inoltre, il leghista ha attaccato la sinistra accusando: “C’è qualcuno che gode perché i morti sono in Lombardia… Ma voi non state bene… C’è qualcuno a sinistra, pochi per fortuna, tra i politici e i giornalisti, a godere dei morti… Ma voi davvero non state bene”. “Ora – ha dichiarato ancora Salvini – è il momento di stare uniti e sperare. Naturalmente il presidente del Consiglio deve fare il presidente del Consiglio, e il ministro deve fare il ministro… Mi auguro che, arginato il disastro, qualcuno chieda scusa e si dimetta. Non serve chiedere scusa a Salvini, ma ai marchigiani, ai toscani, ai lombardi e ai veneti”. E infine attacca nuovamente il governatore della Toscana: “A Prato c’è enorme comunità cinese e cittadini sono preoccupati, ma governatore della Toscana, Rossi, ha addirittura accusato di essere fascioleghisti perfino i medici che chiedevano i controlli. Mi auguro che chieda scusa agli italiani e si dimetta”.

Luana Rosato per il Giornale il 28 marzo 2020. Casuale incontro in aereo tra Alba Parietti e Matteo Salvini: l’attrice ha raccontato sui social quanto accaduto, ma non tutti hanno accettato di buon grado questa sua condivisione. Il tutto è successo qualche ora fa, quando entrambi erano a bordo di un volo della compagnia aerea nazionale, seduti uno dietro l’altra. E proprio il posto assegnato alla Parietti ha fatto sì che lei, girandosi, si accorgesse di essere in compagnia del leader della Lega. Così, dopo avergli scattato una foto in maniera fortuita, Alba ha raccontato ai suoi follower un aneddoto. “Ero seduta davanti a un signore che nervosamente faceva ballare il mio posto tamburellando con la gamba – ha iniziato a spiegare lei in un post su Instagram - . Io non lo vedo e gli dico: "Scusi per favore può stare fermo con quella gamba?". Gentilmente, e lui gentilmente sta fermo”. Fino a questo punto, però, Alba non si era resa conto di chi fosse il destinatario della sua richiesta. “Poi mi sposto in un posto più libero, sempre per evitare contagi, mi giro e guardo il signore di cui non avevo visto la faccia... – ha aggiunto ancora lei su Instagram - . Naturalmente chi era? Matteo Salvini”. La Parietti, che non ha mai fatto mistero delle sue preferenze politiche diametralmente opposte a quelle di Salvini, quindi, ha concluso: “Non c’è niente da fare: l’energia si attrae o respinge anche ad alta quota e a scatola chiusa”. “Avrà pensato che sono una gran rompipa..e e che gliel’ho detto apposta – ha scherzato lei - . Però ha smesso [...]”. L’aneddoto che la Parietti ha condiviso con i suoi follower sui social, però, ha dato vita ad una serie di polemiche da parte di alcuni utenti della rete. Se qualcuno, infatti, ha letto il suo post senza enfatizzare, qualcun altro ci ha visto un modo per sollevare delle critiche nei confronti di Salvini. “Te la potevi risparmiare!”, “Non capisco il senso di questo post, mah”, hanno scritto alcuni utenti della rete, “Ma il senso di tutto ciò? Se non fosse stato Salvini lo avrebbe riportato?”, “Se gentilmente hai chiesto e gentilmente hai avuto perché voler iniziare una polemica?”, si è domandato qualcun altro, mentre altri internauti hanno interpretato con sarcasmo le parole della Parietti. “Potevi cantargli ‘Bella ciao’”, ha scritto un fan di Alba, “hai cambiato posto perché sentivi puzza di marcio”, “Potevi aprire il portellone...”, ha aggiunto ancora qualcun altro.

Da video.corriere.it il 21 febbraio 2020. Un duro botta e risposta quello avvenuto durante l’ultima puntata di Piazza Pulita tra Giorgia Meloni e Corrado Formigli. Il conduttore ha mostrato alla Meloni la foto di Alima, una bimba sudanese reduce dal lager della Libia e salvata da un naufragio. “Quando penso a sua figlia o a mio figlio credo che ogni bambino debba avere le stesse opportunità. E ci facciamo un mazzo così per dare delle chances per il loro futuro. Allora, le chiedo: perché Alima, che oggi per fortuna si trova in Europa, non ha diritto ad avere almeno una chance come ce l’hanno sua figlia e mio figlio?”. Arriva così la risposta della Meloni: “Guardi, Formigli, mi dispiace che, nonostante ci conosciamo da anni, le non ha ancora avuto la pazienza di leggere le mie proposte”. “E’ quello che pensa lei. Non è così”, dice il giornalista. “Anche qui la sua domanda è sbagliata“, ribatte la deputata. “Ma facciamo tutte domande sbagliate stasera?”, risponde allora Formigli che riceve una risposta affermativa dalla leader di Fratelli d’Italia. “Ma ogni tanto non le viene in mente di dare una risposta sbagliata nella sua vita?”, dice il conduttore. “Io le do una risposta e la gente giudica da casa”, afferma la Meloni “E allora lasci che sia la gente a giudicare da casa – risponde Formigli – Io non le sto dando patenti sulle sue risposte. Lei non dia voti alle mie domande, abbia pazienza. Io la maestrina non me la faccio fare da lei”.

Immigrazione, scontro Formigli-Meloni: "La sua è una domanda sbagliata". Il conduttore ha usato la storia di una bimba sudanese per criticare la proposta del blocco navale proposto da Fdi. Pronta la risposta della Meloni. Gabriele Laganà venerdì 21/02/2020 su Il Giornale. Il tema dell’immigrazione è sempre al centro della battaglia politica. Tutto sembra lecito per supportare le tesi dell’accoglienza senza se e se ma, anche usare i bambini piccoli che, indubbiamente, sono costretti a vivere in condizioni difficili. La prova è il durissimo scontro avvenuto durante l’ultima puntata di Piazza Pulita su La7 tra Corrado Formigli e Giorgia Meloni. Il conduttore ha prima mostrato alla leader di Fratelli d’Italia la foto di Alima, una bimba sudanese reduce dal lager della Libia e salvata da un naufragio e poi ha affermato in merito alla proposta di istituire il blocco navale: "Quando penso a sua figlia o a mio figlio credo che ogni bambino debba avere le stesse opportunità. E ci facciamo un mazzo così per dare delle chances per il loro futuro. Allora, le chiedo: perché Alima, che oggi per fortuna si trova in Europa, non ha diritto ad avere almeno una chance come ce l’hanno sua figlia e mio figlio?". Storia difficile di una minore usata per mettere in difficoltà l’esponente politico della destra italiana. La Meloni non si scompone e ribatte a tono: "Guardi, Formigli, mi dispiace che, nonostante ci conosciamo da anni, le non ha ancora avuto la pazienza di leggere le mie proposte". "È quello che pensa lei. Non è così", ha replicato il giornalista. Il battibecco prosegue con la leader di Fdi che afferma, rivolgendosi al conduttore, come "anche qui la sua domanda è sbagliata". Il giornalista, stizzito, replica in modo sarcastico dicendo: "Ma facciamo tutte domande sbagliate stasera?". Domanda retorica alla quale segue una risposta affermativa della deputata."Ma ogni tanto non le viene in mente di dare una risposta sbagliata nella sua vita?", dice il conduttore. "Io le do una risposta e la gente giudica da casa", afferma la Meloni. "E allora lasci che sia la gente a giudicare da casa – risponde Formigli – Io non le sto dando patenti sulle sue risposte. Lei non dia voti alle mie domande, abbia pazienza. Io la maestrina non me la faccio fare da lei". A chiudere le danze è stata la Meloni che, senza perdere la pazienza, ha illustrato la sua proposta sul blocco navale. Il piano prevede la creazione di hotspot, da fare anche nella tranquilla Tunisia, per valutare chi ha diritto ad essere rifugiato e che poi distribuisca equamente i migranti nei vari Paesi della Ue. Una risposta precisa su un tema difficile.

Otto e mezzo, Giorgia Meloni attacca Conte sull'emergenza Coronavirus e Lilli Gruber si innervosisce. Libero Quotidiano il 25 Febbraio 2020. In studio a da Lilli Gruber a Otto e mezzo, su La7, si parla di Coronavirus e Giorgia Meloni attacca Giuseppe Conte: "La valutazione sull'operato del governo andrà fatta a valle, oggi dobbiamo affrontare l'emergenza. Ma io ho trovato inaccettabile l'assenza di informazione che c'è stata a partire dal regime cinese fino al governo Conte", dice la leader di Fratelli d'Italia. Infatti, "trattare l'epidemia come un'influenza rinforzata cozzava con le immagini di una Cina militarizzata. C'è stata una sottovalutazione all'inizio e ora c'è una psicosi, siamo passati dall'abbracciare i cinesi a Oddio è finita l'amuchina". Una tesi che evidentemente non piace alla conduttrice che in modo nervoso dice: "Ma cosa poteva fare il governo?". 

Marco Leardi per davidemaggio.it il 26 febbraio 2020. Lilli Gruber non dissimula. E nemmeno se ne fa scrupolo. Quando si trova innanzi ad un ospite di cui non condivide le opinioni, la conduttrice di Otto e Mezzo dà chiari segni di insofferenza, si incupisce in volto, pronuncia chiose stizzite. L’abituale reazione si è ripetuta anche ieri sera in presenza di Giorgia Meloni. L’atteggiamento spigoloso della giornalista ha innervosito la leader di Fratelli d’Italia e tra le due è scoppiato un vivace battibecco. Ad infastidire la Meloni, il fatto che la Gruber avesse utilizzato il tema Coronavirus per parlare di sovranismi, nazionalismi e frontiere aperte. “Lo dico con rispetto, trovo questo dibattito un tantino surreale. Non riconduciamo sempre tutto ad una follia ideologica per cui, qualunque cosa accada nel mondo, si deve finire a parlare del sovranismo, del nazionalismo. Qui si tratta di difendere la salute dei cittadini“. ha affermato la leader di Fratelli d’Italia. E la conduttrice, poco più avanti, le ha restituito la stoccata. Riassumendo una precedente affermazione della sua ospite in merito alla possibilità di derogare Schengen, la giornalista ha chiosato: “Vogliamo un’Europa à la carte, che mi pare difficilmente realizzabile…“.

La Meloni, a quel punto, non ci ha visto più: “À la carte che significa, scusi? Io sto dicendo una cosa seria, la prego! Davvero soffro di queste chiose francamente prive di senso. Che cos’è l’Europa à la carte? Non è quello che ho detto. Mi ha ascoltato? (…) Se evita di dire cose non hanno senso, mi aiuta, perché à la carte non ha chiesto niente nessuno. À la carte è uno slogan buono per fare propaganda“. E la Gruber, riferendosi all’ultimo rimprovero dell’ospite, ha ribattuto: “Ho imparato da lei“. Colpo secco. A conclusione dell’acceso botta e risposta, con epilogo al limite del puerile, è stata la Meloni a ribadire nuovamente la propria irritazione. Di recente, la leader di Fratelli d’Italia aveva reagito con toni altrettanto stizziti anche a Piazzapulita, sempre su La7, dove aveva contestato il conduttore Corrado Formigli per alcune sue domande. In quel caso, il giornalista non l’aveva presa bene ed aveva reagito così: “Io la maestrina non me la faccio fare da lei. Se vuole rispondere alle domande risponde, sennò non risponde. Non dia il voto alle mie domande, risponda semplicemente“.

Gad Lerner contro Salvini e la Meloni: "Il mio benzinaio...", ecco a chi piace il suo delirante commento. Libero Quotidiano il 13 Gennaio 2020. Gad Lerner ha intrattenuto Massimo Giletti a Non è l'Arena con un aneddoto dei suoi: "Il mio benzinaio mi ha detto che per fare politica in Italia e avere successo bisogna parlare male degli extracomunitari e parlare bene degli animali, perfetto per Matteo Salvini e Giorgia Meloni". Una frase a cui la stessa leader di Fratelli d'Italia ha replicato, aggiungendo però un ulteriore dettaglio: "Rula Jebreal mette mi piace a questo raffinato ragionamento raccontato da Gad Lerner, ma pretende di essere pagata migliaia di euro per un monologo di 5 minuti al festival di Sanremo anche con i soldi di chi vota Fratelli d'Italia e Lega". Proprio così perché la tanto bella quanto faziosa giornalista palestinese finirebbe in prima serata sulla televisione pubblica per ben 25mila euro. Tutti ovviamente prelevati dalle nostre tasche. 

Rita Pavone, sui social infuriano le polemiche: «No alla sovranista a Sanremo». Pubblicato martedì, 07 gennaio 2020 su Corriere.it da Andrea Laffranchi e Arianna Ascione. A distanza di 48 anni dalla sua ultima partecipazione sanremese Rita Pavone tornerà sul palco dell'Ariston: l'annuncio è stato dato da Amadeus nel corso della puntata speciale de I Soliti Ignoti legata alla Lotteria Italia, durante la quale il conduttore ha fatto il nome dei due cantanti in gara che andranno ad aggiungersi agli altri 22 già resi noti (oltre a Pavone parteciperà alla 70ma edizione del Festival della Canzone Italiana anche Tosca). Il ritorno dell'interprete del Geghegè però non è stato visto di buon occhio in rete: in molti infatti hanno ricordato gli scivoloni dell'artista su Twitter, dall'attacco contro i Pearl Jam nel giugno 2018, rei di aver dedicato Imagine ai migranti e aver supportato la campagna per l'apertura dei porti ("Della serie: ma farsi gli affari loro, no?"), al commento caustico contro l'attivista 16enne Greta Thunberg (aveva scritto "Quella bimba con le treccine che lotta per il cambio climatico, non so perché ma mi mette a disagio. Sembra un personaggio da film horror" salvo poi scusarsi). Nonostante le numerose voci contrarie c'è comunque chi si è esposto in difesa della collega come Fiordaliso: "Non capisco questo linciaggio di Rita Pavone. A volte (e sottolineo a volte), io non sono d'accordo con lei. Ma Sanremo non è politica, abbiate pazienza. Lei è una delle più grandi artiste italiane. O avete la memoria corta? Io sono contenta che partecipi". Intanto nel mirino dei social è finito anche il rapper Anastasio, anche lui nella rosa di Sanremo 2020: il vincitore della dodicesima edizione di X Factor all'indomani della vittoria era stato accusato di nutrire simpatie per Matteo Salvini e CasaPound («Io non sono nè comunista nè fascista, ancora parliamo di comunismo e fascismo? Io non so sulla base di cosa abbiano scritto quelle cose, sulla base dei like alle pagine? Io mi tengo informato, metto i like e vedo cosa dicono le persone», aveva replicato).

Ecco la violenza della sinistra: "Boicottiamo i locali in cui andrà Salvini". I "democratici" mettono in campo tutto l'odio contro la Lega: "Salvini sei un fascista, vai a lavorare, ti aspetta Piazzale Loreto". Luca Sablone, Martedì 07/01/2020, su Il Giornale. Dalle parole ai fatti. Se fino a pochi giorni fa si erano limitati a gravi minacce e istigazioni alla violenza, ora i "democratici" hanno deciso di passare all'azione: boicottare tutte le attività di Modena in cui ci sarà la presenza di Matteo Salvini. Questo l'ultimo gesto di intolleranza da parte della sinistra, che ha pensato di mettere nel mirino i locali in cui il leader della Lega terrà aperitivi e comizi in vista delle elezioni Regionali in Emilia-Romagna. L'intento è quello di organizzare contestazioni lungo l'intero percorso dell'ex ministro dell'Interno, ma non solo: è da intendersi come un vero e proprio dissenso anche contro le attività commerciali. Contattato in esclusiva da ilGiornale.it, Luca Bagnoli ha espresso tutta la rabbia del caso: "Non sappiamo da chi siano arrivate le accuse di boicottaggio, ma di certo chiunque sia stato ha usato metodi di stampo fascista". Il segretario del Carroccio modenese ha fatto sapere che "questi subdoli attacchi" non hanno sortito alcun effetto di paura: "La Lega di certo non si spaventa. Queste sono manifestazioni di stampo antidemocratico che combatteremo sempre per la libertà di opinione".

Le polemiche. La questione è stata inizialmente sollevata da Stefano Bargi: "Si tratta di un atteggiamento non solo antidemocratico ma anche dannoso sia per le attività economiche, che altro non fanno se non adempiere al proprio lavoro, che per i lavoratori di quelle medesime attività economiche". Il capogruppo del Carroccio in regione ha ribadito come la campagna elettorale abbia preso una piega davvero violenta: "L'aria sta diventando irrespirabile a causa di una violenza settaria e inquietante da parte di una sinistra, catechizzata da qualche cattivo maestro, per cui chiunque la pensi diversamente è fascista e non ha diritto di cittadinanza". Al centro della campagna di boicottaggio è finito il pub Mr Brown situato in via Gallucci, non lontano da corso Canalgrande. Il gestore del locale ha confessato di essere stato preso in contropiede: "Salvini verrà nel mio pub? Allora è probabile che saremo chiusi per ferie. Io non ne sapevo niente. Nessuno ci ha avvertito. Qui non si fa politica e per questo saremo chiusi per ferie". Ma la polemica è stato presto chiarita. "Abbiamo incaricato uno dei nostri di avvisare il locale. Non vogliamo creare problemi e capiamo la decisione del gestore. È una brava persona e non vogliamo che abbia dei problemi", ha fatto sapere la Lega. Uno dei post recitava: "Salvini vergognati. Sarà nuovamente a Modena. Ai miei concittadini e a chi la viene a visitare invito a boicottare (per sempre) il pub MrBrown". Il tutto con tanto di hashtag "BoycottMrbrown". Intanto per le strade della città sono comparse scritte per attaccare l'ex ministro dell'Interno: "Salvini fasesta"; "Per Salvini a Piazzale Loreto"; "Più tortellini, meno Salvini, meno Mr Brown"; "Salvini a Piazzale Loreto, Mr Brown in fallimento, via i fascisti da Modena"; "Mo va a lavurer, Salvini". Luca Bagnoli ci ha precisato: "La politica viene espressa fuori dal locale". Il leghista infine ha concluso: "Voler screditare un locale pubblico, dove avremmo voluto offrire noi sostenitori e militanti un aperitivo in un momento conviviale, è un atto discriminatorio verso sia il libero pensiero democratico oltre che l'oltraggio verso il commerciante che esercita la sua professione e che notoriamente non ha mai manifestato una bandiera politica".

«Vai a dormire con il gas aperto»: lo scioccante post della consigliera Pd contro Salvini. Chiara Volpi venerdì 10 gennaio 2020 su Il Secolo D'Italia. «Salvini curato con il gas aperto. “Lezioni di democrazia” da parte di quelli del Pd. Poi i cattivi saremmo noi… Roba da matti»… Commenta così, il leader del Carroccio, l’ultimo sconcertante attacco subito sui social da un utente di Facebook e, cosa ancor più degna di nota, rilanciato e applaudito (con tanto di manine che fanno l’applauso e emoji sorridente) da una consigliera dem di Prato. È la sua condivisione dello scioccante post che incita all’odio contro il leader politico, con tanto di commenta che recita «standing ovation» l’inaccettabile risvolto dell’incresciosa vicenda virtuale. Una vicenda che il segretario della Lega ha denunciato con tanto di eloquenti immagini sulla sua Pagina Facebook.

«Vai a dormire con il gas aperto»: lo sconcertante post contro Salvini. Tutto ha inizio con la richiesta lanciata sul web dal capo politico del Carroccio che, in un precedente post, chiedeva rimedi alternativi alla tachipirina per curare febbre e raffreddore. E tutto prosegue con la replica di un utente che suggerisce a Salvini di lasciare «il gas aperto» e di andare «a dormire». Poi, non finisce qui. Nel macabro siparietto, infatti, interviene Monia Faltoni, esponente del Partito Democratico di Prato, che rilancia il post choc e rincara la dose come spiegato poco sopra. Rendendosi protagonista dell’ultima attestazione di odio conclamato da parte della sinistra…Naturalmente l’intervento dell’esponente Pd non è passato inosservato. A partire proprio dal destinatario dell’invettiva gratuita che, tempestivamente, ha denunciato (e commentato) tutto via social. A quel punto la Faltoni ha tentato una tardiva e goffa marcia indietro. Tanto che, come riferisce La Nazione e riprende il sito de Il Giornale, la piddì ha provato a giustificarsi dicendo: «In realtà solidarizzavo con Salvini che era nella mia stessa condizione di oggi. L’ho fatto in modo ironico e sarcastico. Eventualmente il gas lo auguravo a me stessa, ovviamente scherzando… Mi dispiace che si sia strumentalizzata una battuta. Non sento di dover chiedere scusa a nessuno». E come è evidente, la pezza è risultata peggio dello strappo che voleva andare a rattoppare…

L’intervento di Marco Curcio, consigliere comunale della Lega a Prato. L’ultima parola (per ora almeno), spetta dunque a Marco Curcio, consigliere comunale della Lega a Prato, che intervenendo sulla sconcertante vicenda, e puntando l’indice contro la dem, ha dichiarato: «Mi vengono i brividi, vengono in mente violenze su vasta scala del secolo scorso. Faltoni deve dimettersi, non ha più alcun senso sieda in un’assemblea democratica, è una vergogna per Prato e la Toscana, per l’Italia intera. Mi aspetto che il Sindaco, il capogruppo e il segretario del Pd di Prato facciano con la Faltoni ciò che avrebbero chiesto per qualunque altro esponente politico di centrodestra».

L'odio antifascista della Sardina: "Per loro legge della giungla". Il portavoce delle Sardine di Reggio Calabria, Filippo Sorgonà, ha scritto che "la democrazia inizia dopo i fascisti. Con i fascisti (di ogni genere) esiste e deve esistere la regola della jungla". Matteo Orlando, Giovedì 09/01/2020, su Il Giornale. Il portavoce delle Sardine di Reggio Calabria ha invocato la "legge della giungla" per i "fascisti" d’oggi. Con un messaggio postato su Facebook e su Twitter Filippo Sorgonà ha scritto che "La democrazia inizia ‘dopo’ i fascisti. Con i fascisti (di ogni genere) esiste e deve esistere la regola della jungla, perché non ne conoscono altre. Non si deve perdere tempo a cercare logica civile e confronto democratico con Chi rinnega quelle regole. Buonisti la fungia!". Sorgonà, che su linkedin si presenta come giornalista pubblicista presso il Quotidiano della Calabria dal mese di settembre del 2018 e ideatore/speaker dei format-radio "Ondanomala" e "KlubIn" su Antenna Febea, ma anche come un "hacker etico" e (su Twitter) come operatore "Psicoacustico - Ritratti Musicali - Piano-Sciamanesimo, Anarchia e Nichilismo – Animismo", lo scorso mese di dicembre aveva chiamato a raccolta le Sardine della città dello Stretto. "Condividete, stampate e divulgate. Coloriamo piazza Castello!", aveva scritto il 21 dicembre sul suo profilo Facebook Filippo Sorgonà, postando un manifesto raffigurante una sardina arcobaleno, con l’acrostico delle Sardine (solidarietà, accoglienza, rispetto, diritti umani, intelligenza, non-violenza, antifascismo) e l’invito a recarsi nella nota piazza reggina nel pomeriggio del successivo 27 dicembre. L’invito, come ha scritto l’Ansa, era stato accolto da circa cinquecento persone e Sorgonà aveva spiegato che erano scesi in piazza "per i diritti di tutti e per restituire alla politica una dimensione ed una dialettica democratica. Le piazze sono un simbolo assoluto di democrazia perché ricostruiscono relazioni umane e il senso di comunità che si è perduto". Un concetto di democrazia, evidentemente, che non vale per gli avversari politici di Sorgonà, cioè Matteo Salvini (Lega) e Giorgia Meloni (Fratelli d’Italia), per i militanti e coloro che votano questi partiti.

Matteo Salvini diventa un cinghiale sui manifesti affissi a Torino. Francesco Leone il 09/01/2020 su Notizie.it.  Questa volta non si tratta della bravata di qualche writer, tantomeno di una delle opere di street art del noto TvBoy. A Torino, durante la notte tra l’8 e il 9 gennaio, sono comparsi dei manifesti che si prendono gioco di Matteo Salvini, segretario federale della Lega. Sui cartelloni, affissi sui muri degli edifici nei pressi di Palazzo Nuovo (sede universitaria della facoltà di scienze umanistiche), si vede un Salvini trasformato in un cinghiale. La didascalia, che tanto ricorda nelle fattezze quella della propaganda politica, recita “Prima i cinghiali! Vota Matteo Suini, Sega per Salvini Premier”.

Il Salvini-cinghiale sui manifesti torinesi. Grugno da cinghiale, felpa verde Lega con box logo “Polizia“, crocefisso al collo e qualche mosca a corredare la vignetta satirica. Sulla sinistra il simbolo del partito del Carroccio è orfano della figura di Alberto da Giussano e trova la foto di un maiale. Il commento della politica non si è fatto di certo attendere, l’ex ministro ha risposto direttamente dalla sua pagina facebook. “Per certa sinistra la sola idea di indossare una felpa con cui ringraziare le nostre forze dell’ordine è un motivo di biasimo, di presa in giro, di insulto” -ha commentato Fabrizio Ricca, il segretario torinese del Carroccio- “Per noi no! Siamo fieri della polizia italiana. E lo stesso vale per il rosario. Chi crede di insultare Matteo Salvini e le forze dell’ordine con simili manifesti non fa altro che convincerci del fatto che siamo dalla parte della ragione. Essere dalla parte Forze dell’Ordine, che ogni giorno difendono i cittadini rischiando di persona, per noi è un vanto”.

Sì, la sinistra odia Giorgia Meloni. E’ stizza per i riconoscimenti, chiedere alla Rai che succede…Francesco Storace sabato 11 gennaio 2020 su Il Secolo D'Italia. In effetti è vero, la sinistra odia Giorgia Meloni. A destra lo si intuisce, diciamo, con una certa esperienza nella pratica. E quel che è insopportabile è l’ipocrisia. Dichiarazioni roboanti contro l’odio e poi i veri hater della politica stanno tutti dalle loro parti. Del resto, non si hanno molte tracce di contestazioni ai loro comizi. Il “nuovo”, le sardine nascono proprio contro le manifestazioni altrui, ad esempio Salvini. Ma è sulla rete che sono sempre attivi i diffamatori, i calunniatori, i leoni da tastiera come li chiamano tutti. Il motivo? Accade quando non si hanno più idee da esibire con orgoglio. La sinistra ha praticamente smarrito la propria superiorità morale, o almeno quella che riteneva di poter mostrare. Le ricette di cui era orgogliosa. Il popolo di cui era fiera. L’analisi non è di parte, ma viene da un cronista esperto, Michele Fusco, che ne ha scritto sul sito glistatigenerali.com raccontando la sua esperienza di conduzione su RadioTre della rubrica Prima Pagina. Titolo tosto, ma efficace “la sinistra disprezza la Meloni come gli italiani disprezzano i migranti“. Che cosa è successo? Di buon mattino alla radio, Fusco commentava la rassegna stampa. “Il Mattino, in prima, aveva scelto di definire il 2019 come “l’anno della donna”, racchiudendo in un grande riquadro fotografico le signore che lo avevano vissuto da protagoniste. C’era Liliana Segre, c’era Christine Lagarde, c’era Ursula von der Leyen, e diverse altre. E nel mazzo, mal gliene incolse, compariva anche Giorgia Meloni”. Concludevo, racconta Fusco, “che certo, Giorgia Meloni, nell’asfittico panorama politico, si era guadagnata uno spazio di un certo rilievo, arrivando al 10%, a mani nude, solo con le sue forze, in un mondo, quello della politica, ad altissima gradazione maschile”. Per giorni, la redazione ha ricevuto decine e decine di messaggi contro Giorgia Meloni e Fusco che ne aveva parlato. Poi, il Times. Con la classifica di quelle venti personalità del mondo tra le quali spicca, unica italiana, proprio la leader della destra. Quello che appariva chiaro – secondo l’analisi di cui parliamo –  “è che a persone estranee al conflitto sociale che lacera la piccola Italia, quella donna era apparsa come una personalità di enorme carattere. E come tale meritevole di stare in quel piccolo olimpo”. E qui, il guizzo del cronista che indica con chiarezza che cosa accade nel rapporto tra la sinistra e la Meloni: “La sinistra impazzisce se vede un riconoscimento fuori dal suo stagno. Lo contesta in radice, dice che non è possibile. Che tu sei un ignorante, che non hai studiato, che sei un fascista, che vuoi togliere le libertà che abbiamo conquistato con il sangue dei nostri partigiani”. La sinistra riteneva che le sue idee fossero migliori di tutte le altre. Smarrendo la pretesa di superiorità morale, la sinistra ha giocato semplicemente di rimessa, ha puntato solo il dito contro gli altri. “E siamo arrivati a questo punto – conclude Fusco – dove se il Times mette la Meloni tra le venti personalità politiche del mondo, tu ti incazzi come una bestia, invece di chiederti il perché“. Persino se un capo di Stato come Orban va ad Atreju (vedi foto) perdono la testa. Da applausi a scena aperta. Perché è semplicemente la verità. E non lo dice solo Vittorio Feltri. Per la Meloni come per Salvini. E fino a ieri accadeva a Berlusconi.

Valeria Braghieri  per “il Giornale” il 31 luglio 2020. Curioso che un Paese immobile come il nostro riesca ad avere due velocità quando si tratta di principi. Scattante difensore in un caso, immobile incurante in un altro. Perché dipende chi ci sta attaccato, ai principi. Quando la stessa cosa era successa alla giornalista Giovanni Botteri, erano tutti partiti in quarta con indignate accuse, mancava forse giusto l' intervento del presidente Mattarella. Ora che si tratta di Giorgia Meloni, gli italiani restano natanti distratti imbolsiti dalla calura estiva. A parità di chiome dubbie prese di mira dalla rete. A dire il vero, non è alla pettinatura che si sono limitati ieri con la leader di Fretelli d' Italia. Hanno sì diffuso meme e foto che riprendevano dall' alto la testa di Giorgia e la sua «riga in mezzo un po' larga» (la Botteri era invece colpevole di ricrescita). Ma poi hanno continuato. La bravata anonima migliore è stata il video del suo discorso di mercoledì alla Camera, montato al contrario. L'effetto era ovviamente demoniaco, anche perché Giorgia è già una che ci mette passione di suo, in più l' altro giorno era davvero tanto arrabbiata con Conte e con gli immigrati che il presidente del Consiglio lascia entrare a frotte nel nostro Paese, in barba alle norme anticovid, salvo poi multare l' educata protesta dei commercianti italiani che, a causa del virus, hanno chiuso le loro attività. Quindi enfasi, più rullo al contrario, Giorgia sembrava la figlia naturale di Satana. A questo, sempre in rete, si sono aggiunte edificanti battute, tipo quella di un tizio che la paragonava ad una pescivendola: «Mi è piaciuto molto l' intervento di Giorgia Meloni. Solo non ho capito a quanto le mette al chilo, le spigole». O quello che la usava come minaccia ai bambini: «Finisci di mangiare tutto se no chiamo la Meloni!». O l' altra, che chiosava il video sfottò: «Qui è quando ha cominciato a parlare in greco antico prima di girare la testa di 180 gradi». Ma niente. Nessuno che si sia fatto sentire in difesa dell' ex An. Nessuno che abbia interrotto la siesta. Alla Meloni si può dire di tutto: dal compagno «troppo bello per lei» alla gravidanza («incinta di un meloncino») «strumentalizzata», di «non essere sposata», di essere «grassa», di essere «brutta»... «Daje». Giù a corcare, per rimanere nel linguaggio che le rinfacciano, ovvio, nel suo caso anche essere romana è una colpa, per di più non è dei Parioli. Come in quell' altro video virale di un po' di tempo fa «Sono Giorgia, sono una donna, sono una madre, sono cattolica», montato quella volta in loop. La Meloni è diventata il collante ideologico dei social: la detestano tutti, a quanto pare. Il pungiball della rete che, come è noto, è il ring dei coraggiosi. Bulli decaffeinati protetti da anonimato e distanza a cui augureremmo di diventare improvvisamente visibili e reali. Intanto a lei, che invece ci mette sempre la faccia, va il nostro: daje Giorgia. In politica, ce la si prende con chi cresce.

L’ex deputato Scotto (Leu) aggredito a Venezia. «Urlavano Duce, Duce». Pubblicato mercoledì, 01 gennaio 2020 su Corriere.it da Franco Stefanoni. La moglie: «Picchiato perché voleva fermare i cori antisemiti». Arturo Scotto, ex deputato e candidato non rieletto nel 2018 con Leu, è stato aggredito e da un gruppo di persone a Venezia al grido «Duce, Duce». A segnalare l’aggressione, è stata la moglie di Scotto, Elsa Bertholet, su Facebook, che ha scritto: «Capodanno a Piazza San Marco con marito e figlio grande, mezzanotte e un minuto: un gruppo dietro di me canta “Anna Frank sei finita nel forno”, mi giro: “Ragazzi basta!”, si mettono a urlare: “Duce, duce …..” con mano alzata, si gira mio marito che prima non le aveva sentito cantare: “Basta!!!!” e boom si prende botte in faccia da vari lati, poi si mette di mezzo un ragazzo per aiutarci e lo picchiano pure lui, visibilmente abituati al fatto, poi fuggono come dei vigliacchi che sono. La polizia municipale: “Avete ragione, picchiare è brutto, fate denuncia domani”. Ora in un bar meraviglioso nel ghetto». Scotto, di Torre del Greco (Napoli), 41 anni, ex Pds, Ds, Sel e tra i fondatori di Articolo 1 - Movimento democratico e progressista (Mdp), lo scorso settembre era stato indicato come possibile sottosegretario al Lavoro nel governo Conte II. Il segretario nazionale di Articolo Uno e ministro, Roberto Speranza, via Twitter ha commentato: «Un abbraccio fraterno ad Arturo_Scotto aggredito stanotte da un gruppo di balordi che inneggiavano al duce. So che nessuna violenza fermerà il tuo impegno per la libertà e la democrazia e contro ogni forma di fascismo». Pietro Grasso, di Leu, via Facebook ha fatto sapere: ««Ho parlato con Arturo Scotto che mi ha raccontato dell’aggressione subita a Venezia. A lui, alla famiglia e al coraggioso ragazzo che ha provato a fermare i giovani fascisti va la mia solidarietà e un grande abbraccio».

"Duce, duce, duce", "Ora basta". Aggredito l'ex deputato Scotto. Un diverbio in piazza a Venezia tra Scotto e alcuni ragazzi si trasforma in rissa. E la moglie racconta tutto sui social. Angelo Scarano, Mercoledì 01/01/2020, su Il Giornale. Il Capodanno di Arturo Scotto, esponente di Articolo Uno ed ex parlamentare, è stato piuttosto movimentato. Mentre si trovava a Venezia, a piazza San Marco, per salutare il nuovo anno sarebbe stato aggredito da alcune persone che lo avrebbero preso a pugni urlando "Duce, Duce, Duce...!". A raccontare quanto accaduto è stata la moglie, Elsa Bertholet, che in un post su Facebook ha ricostruito la dinamica dell'aggressione: "Capodanno a Piazza San Marco con marito e figlio grande, mezzanotte e un minuto: un gruppo dietro di me canta 'Anna Frank sei finita nel forno', mi giro: 'Ragazzi basta!', si mettono a urlare: 'Duce, duce...' con mano alzata, si gira mio marito che prima non le aveva sentito cantare: 'Basta!!!!' e boum si prende botte in faccia da vari lati, poi si mette di mezzo un ragazzo per aiutarci e lo picchiano pure lui, visibilmente abituati al fatto, poi fuggono come dei vigliacchi che sono". Poi, sempre la moglie di Scotto, dopo l'aggressione sui social ha aggiunto: "Ora in un bar meraviglioso nel ghetto. Bella Venezia. Buon anno antifascista a tutti!". E su quanto accaduto è intervenuto anche l'ex presidente del Senato, Pietro Grasso: "Ho parlato con Arturo Scotto che mi ha raccontato dell'aggressione subita a Venezia. A lui, alla famiglia e al coraggioso ragazzo che ha provato a fermare i giovani fascisti va la mia solidarietà e un grande abbraccio". Vicinanza e solidarietà è stata mostrata anche dal ministro alla Sanità, Roberto Speranza di Leu: "Un abbraccio fraterno ad Arturo Scotto aggredito stanotte da un gruppo di balordi che inneggiavano al duce. So che nessuna violenza fermerà il tuo impegno per la libertà e la democrazia e contro ogni forma di fascismo". Infine