Denuncio al mondo ed ai posteri con i miei libri tutte le illegalità tacitate ed impunite compiute dai poteri forti (tutte le mafie). Lo faccio con professionalità, senza pregiudizi od ideologie. Per non essere tacciato di mitomania, pazzia, calunnia, diffamazione, partigianeria, o di scrivere Fake News, riporto, in contraddittorio, la Cronaca e la faccio diventare storia. Quella Storia che nessun editore vuol pubblicare. Quelli editori che ormai nessuno più legge.

Gli editori ed i distributori censori si avvalgono dell'accusa di plagio, per cessare il rapporto. Plagio mai sollevato da alcuno in sede penale o civile, ma tanto basta per loro per censurarmi.

I miei contenuti non sono propalazioni o convinzioni personali. Mi avvalgo solo di fonti autorevoli e credibili, le quali sono doverosamente citate.

Io sono un sociologo storico: racconto la contemporaneità ad i posteri, senza censura od omertà, per uso di critica o di discussione, per ricerca e studio personale o a scopo culturale o didattico. A norma dell'art. 70, comma 1 della Legge sul diritto d'autore: "Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l'utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali."

L’autore ha il diritto esclusivo di utilizzare economicamente l’opera in ogni forma e modo (art. 12 comma 2 Legge sul Diritto d’Autore). La legge stessa però fissa alcuni limiti al contenuto patrimoniale del diritto d’autore per esigenze di pubblica informazione, di libera discussione delle idee, di diffusione della cultura e di studio. Si tratta di limitazioni all’esercizio del diritto di autore, giustificate da un interesse generale che prevale sull’interesse personale dell’autore.

L'art. 10 della Convenzione di Unione di Berna (resa esecutiva con L. n. 399 del 1978) Atto di Parigi del 1971, ratificata o presa ad esempio dalla maggioranza degli ordinamenti internazionali, prevede il diritto di citazione con le seguenti regole: 1) Sono lecite le citazioni tratte da un'opera già resa lecitamente accessibile al pubblico, nonché le citazioni di articoli di giornali e riviste periodiche nella forma di rassegne di stampe, a condizione che dette citazioni siano fatte conformemente ai buoni usi e nella misura giustificata dallo scopo.

Ai sensi dell’art. 101 della legge 633/1941: La riproduzione di informazioni e notizie è lecita purché non sia effettuata con l’impiego di atti contrari agli usi onesti in materia giornalistica e purché se ne citi la fonte. Appare chiaro in quest'ipotesi che oltre alla violazione del diritto d'autore è apprezzabile un'ulteriore violazione e cioè quella della concorrenza (il cosiddetto parassitismo giornalistico). Quindi in questo caso non si fa concorrenza illecita al giornale e al testo ma anzi dà un valore aggiunto al brano originale inserito in un contesto più ampio di discussione e di critica.

Ed ancora: "La libertà ex art. 70 comma I, legge sul diritto di autore, di riassumere citare o anche riprodurre brani di opere, per scopi di critica, discussione o insegnamento è ammessa e si giustifica se l'opera di critica o didattica abbia finalità autonome e distinte da quelle dell'opera citata e perciò i frammenti riprodotti non creino neppure una potenziale concorrenza con i diritti di utilizzazione economica spettanti all'autore dell'opera parzialmente riprodotta" (Cassazione Civile 07/03/1997 nr. 2089).

Per questi motivi Dichiaro di essere l’esclusivo autore del libro in oggetto e di tutti i libri pubblicati sul mio portale e le opere citate ai sensi di legge contengono l’autore e la fonte. Ai sensi di legge non ho bisogno di autorizzazione alla pubblicazione essendo opere pubbliche.

Promuovo in video tutto il territorio nazionale ingiustamente maltrattato e censurato. Ascolto e Consiglio le vittime discriminate ed inascoltate. Ogni giorno da tutto il mondo sui miei siti istituzionali, sui miei blog d'informazione personali e sui miei canali video sono seguito ed apprezzato da centinaia di migliaia di navigatori web. Per quello che faccio, per quello che dico e per quello che scrivo i media mi censurano e le istituzioni mi perseguitano. Le letture e le visioni delle mie opere sono gratuite. Anche l'uso è gratuito, basta indicare la fonte. Nessuno mi sovvenziona per le spese che sostengo e mi impediscono di lavorare per potermi mantenere. Non vivo solo di aria: Sostienimi o mi faranno cessare e vinceranno loro. 

Dr Antonio Giangrande  

 

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 Di Antonio Giangrande

 

 

 

INDICE

 

Il Gioco delle parti

Storie di Ordinaria Ingiustizia

 

Il Gioco delle parti

UNISALENTO: IL GIOCO DELLE PARTI

I sindacati, Laforgia e Mantovano. Università del Salento. Una grande famiglia.

Tanto rumore per nulla. E’ tutto truccato e si accapigliano per tre compiti truccati.

Omertà invece per i concorsi in avvocatura, magistratura e notariato.

Università del Salento: una grande famiglia. Si intitolava un servizio di Tele Rama. I grappoli di famiglie che hanno fatto il nido nell’Università del Salento, il nepotismo che rischia di soffocare l’ateneo leccese e le contromisure che il rettore Domenico Laforgia ha cercato di mettere in campo, senza troppo successo. Scheda a cura di Danilo Lupo e Matteo Brandi, andata in onda nell’Indiano del dicembre 2008 dedicato all’università e condotto da Mauro Giliberti.

Con il discorso ufficiale del Magnifico Rettore, Prof. Ing. Domenico Laforgia, è stato inaugurato a Brindisi il 3/12/2009 l’anno accademico 2009-2010 dell’Università del Salento. Presenti alla cerimonia Gianfranco Fini, Presidente della Camera dei Deputati e diverse altre insigne personalità del mondo politico, economico e culturale della penisola salentina. In quella sede ha palesato una realtà, che molti cercano di ignorare o tacitare. “…..Questo è un altro dato che si presta ottimamente ad una lettura politica. Il familismo non è la ferita pruriginosa di questa o quella Università, ma di tutto il sistema occupazionale italiano. È una malattia endemica del Paese che ha contagiato tutti i campi, dalla politica alle libere professioni, dal giornalismo al mondo dello spettacolo, dall’industria a tutto il comparto pubblico. Familismo, nepotismo e clientelismo non sono le conseguenze di un sistema malato, come spesso si dice, ma sono il segno più evidente di una mancanza effettiva di alternative possibili. Ed è questa povertà di occasioni che mette in moto il meccanismo, che diventa perverso e nocente alla comunità quando non è neppure compensato dal merito.”

Che una vera corazzata di parlamentari italiani sottoscriva una dichiarazione di guerra contro un ateneo di provincia è un caso più unico che raro. Porta la firma di ben cinquantacinque deputati, infatti, la richiesta di ispezione ministeriale da eseguire nell’Università del Salento. L’interpellanza urgente, ideata dall’ex sottosegretario agli Interni, il pidiellino Alfredo Mantovano, è stata inoltrata ai ministri dell’Istruzione e della Funzione Pubblica, Francesco Profumo e Filippo Patroni Griffi. Di mezzo ci sono presunte condotte illecite e ragioni di trasparenza da ripristinare. Ci sono anche gli appalti che si accingono ad essere portati in gara. Tanti. Molti. Del valore, all’incirca, di cento milioni di euro. Nell’interpellanza si parla del Tar di Lecce. Tar che spesso adotta decisioni contrastanti tra loro, pur aventi lo stesso oggetto. E pur la stampa pubblica: Indagato presidente del TAR Lecce solo per abuso d’ufficio e solo lui. Antonio Cavallari, presidente del Tar di Lecce indagato per abuso d’ufficio per aver favorito un’azienda in odor di mafia difesa dal noto amministrativista leccese, avv. Pietro Quinto. Ahhh… Quante volte io e tutti gli avvocati non principi del foro che bazzicano le aule del Tar di Lecce avremmo desiderato un atto di sospensiva di sabato ed in 24 ore!!!!!!!! Poi si parla della Procura di Lecce. Mi astengo dal dare giudizi sull’esito delle mie denunce contro i concorsi truccati, ma mi riporto a quanto detto dal Procuratore Capo di Bari: «Non posso non rilevare che questo tipo di accertamenti è iniziato un anno fa, ma un’indagine a carico di un procuratore non può durare tanto. Occorre dare risposte rapide sia che siano stati commessi reati, sia che non siano stati commessi, soprattutto per la credibilità dell’ufficio».

La pensano allo stesso modo migliaia di persone indagate che vivono in un «limbo» e che chiedono senza fortuna di potere dire la loro. La giustizia non è uguale per tutti?

«Capita a me quello che accade a tanti cittadini. Rappresento, però, che, indipendentemente dalla vicenda personale, la questione si riverbera sull’intero ufficio. Non sostengo che la mia posizione è diversa, ma lamento che così si mette a rischio la credibilità della giustizia e delle istituzioni. Una situazione che deve essere definita in tempi rapidi. Per questo voglio subito essere interrogato».

Tanto rumore per nulla. Certo è che nessuno, tanto meno l’On. Alfredo Mantovano più volte interpellato, va a chiedere ispezioni ministeriali per vagliare le risultanze dell’esame di abilitazione di avvocato o di notaio o di professore universitario, ovvero di verificare la legalità delle procedure di accesso alla magistratura. Compiti non corretti? Per le commissioni d’esame: Fa niente, conta il nome e l’accompagno. Il TAR, intanto, da parte sua sforna sentenze antitetiche tra loro su domande aventi lo stesso oggetto. Basta leggere il libro del dr Antonio Giangrande, presidente della “Associazione Contro Tutte le Mafie” http://www.controtuttelemafie.it, e scrittore-editore dissidente che proprio sul tema ha scritto e pubblicato “CONCORSOPOLI”. Libro facente parte della collana editoriale “L’Italia del Trucco, l’Italia che siamo” pubblicata sui propri siti web, su Amazon in E-Book e su Lulu in cartaceo. Uno tra i 40 libri scritti dallo stesso autore e pertinenti questioni che nessuno osa affrontare. Opere che i media si astengono a dare la dovuta visibilità e le rassegne culturali ad ignorare.

 

Storie di Ordinaria Ingiustizia.

Angela Petrachi. Il Delitto di Melendugno. La condanna di Giovanni Camassa è un errore giudiziario?

Il caso del delitto di Angela Petrachi, che ha sconvolto non solo Melendugno e la provincia di Lecce, ma anche tutta Italia. Di lei si è interesatta il programma di Rai3: “Chi La Visto?

Se ne occupa Antonio Giangrande, noto autore di saggi pubblicati su Amazon, tra cui “Giustiziopoli, disfunzioni che colpiscono il singolo”, “Malagiustiziopoli, disfunzioni che colpiscono la collettività”, oltre che “Tutto su Lecce, quello che non si osa dire”. Libri che raccontano questa Italia alla rovescia. Giangrande per una scelta di libertà si pone al di fuori del circuito editoriale. Libri dettagliati che fanno la storia, non la cronaca, perché fanno parlare i testimoni del loro tempo.

«Sono orgoglioso di essere diverso. In un mondo caposotto (sottosopra od alla rovescia) gli ultimi diventano i primi ed i primi sono gli ultimi. L’Italia è un Paese caposotto. Io, in questo mondo alla rovescia, sono l’ultimo e non subisco tacendo, per questo sono ignorato o perseguitato. I nostri destini in mano ai primi di un mondo sottosopra. Che cazzo di vita è? Faccio mia l’aforisma di Bertolt Brecht. “Ci sedemmo dalla parte del torto visto che tutti gli altri posti erano occupati. Ci sono uomini che lottano un giorno e sono bravi, altri che lottano un anno e sono più bravi, ci sono quelli che lottano più anni e sono ancora più bravi, però ci sono quelli che lottano tutta la vita: essi sono gli indispensabili.” Rappresentare con verità storica, anche scomoda, ai potenti di turno, la realtà contemporanea, rapportandola al passato e proiettandola al futuro. Per non reiterare vecchi errori. Perché la massa dimentica o non conosce. Denuncio i difetti  e caldeggio i pregi italici. Perché non abbiamo orgoglio e dignità per migliorarci e perché  non sappiamo apprezzare, tutelare e promuovere quello che abbiamo ereditato dai nostri avi. Insomma, siamo bravi a farci del male e qualcuno deve pur essere diverso!»

Continua Antonio Giangrande «E’ comodo definirsi scrittori da parte di chi non ha arte né parte. I letterati, che non siano poeti, cioè scrittori stringati, si dividono in narratori e saggisti. E’ facile scrivere “C’era una volta….” e parlare di cazzate con nomi di fantasia. In questo modo il successo è assicurato e non hai rompiballe che si sentono diffamati e che ti querelano e che, spesso, sono gli stessi che ti condannano. Meno facile è essere saggisti e scrivere “C’è adesso….” e parlare di cose reali con nomi e cognomi. Impossibile poi è essere saggisti e scrivere delle malefatte dei magistrati e del Potere in generale, che per logica ti perseguitano per farti cessare di scrivere. Devastante è farlo senza essere di sinistra. Quando si parla di veri scrittori ci si ricordi di Dante Alighieri e della fine che fece il primo saggista mondiale. Le vittime, vere o presunte, di soprusi, parlano solo di loro, inascoltati, pretendendo aiuto. Io da vittima non racconto di me e delle mie traversie.  Ascoltato e seguito, parlo degli altri, vittime o carnefici, che l’aiuto cercato non lo concederanno mai. Faccio ancora mia un altro aforisma di Bertolt Brecht “Chi non conosce la verità è uno sciocco, ma chi, conoscendola, la chiama bugia, è un delinquente”. Bene. Tante verità soggettive e tante omertà son tasselli che la mente corrompono. Io le cerco, le filtro e nei miei libri compongo il puzzle, svelando l’immagine che dimostra la verità oggettiva censurata da interessi economici ed ideologie vetuste e criminali.

«Del delitto di Angela Petrachi – racconta Giangrande – ne dava conto il 9 novembre 2002 lo stesso Corriere della Sera a firma di Roberto Buonavoglia. “I genitori pensavano che fosse fuggita, forse con un uomo. L’ hanno cercata per 5 giorni prima di dare l’ allarme. Ieri mattina, invece, Angela Petrachi, 31 anni, separata e madre di due bambini, è stata trovata morta da un cercatore di funghi in un boschetto di querce alla periferia di Melendugno, 15 chilometri da Lecce. Aveva la gonna arrotolata sui fianchi. Nessuna traccia degli indumenti intimi. Gli abiti, invece, erano strappati ma erano gli stessi che la vittima indossava il giorno della scomparsa, il 26 ottobre, quando lasciò i figli di 7 e 11 anni nella casa materna dicendo: «Torno subito». Sul cadavere il medico legale che oggi compirà l’autopsia, Alberto Tortorella, ha riscontrato tante sevizie da far dire agli investigatori che «il killer si è accanito sul corpo della povera donna». Angela Petrachi sarebbe stata attirata in una trappola dall’assassino, che quasi certamente conosceva. Forse l’uomo ha tentato di violentarla e lei ha resistito. L’ha colpita al volto con un bastone o una pietra, ha messo il corpo faccia in giù e l’ha trascinato per alcuni metri fino a nasconderlo dietro un cespuglio. Poi, prima di fuggire, l’assassino ha infierito sul cadavere. Uno sfregio, secondo i militari, che farebbe pensare a un delitto a sfondo sessuale forse riconducibile al giro di frequentazioni della donna. Proprio su conoscenti e amici di Angela Petrachi indagano ora i carabinieri che stanno controllando i tabulati delle schede telefoniche della donna e stanno scavando nella sua vita privata. La vittima, che svolgeva lavori saltuari, era separata da due anni dal marito, un militare al quale la famiglia non aveva perdonato di aver sposato Angela. Dopo la rottura del matrimonio la donna aveva frequentato un altro uomo che, alla fine della relazione, l’aveva denunciata sostenendo che la 31enne teneva comportamenti diseducativi con i figli. Per questo i due bambini erano stati affidati per 5 mesi a un istituto di Oria (Brindisi), fino al ritiro della denuncia. E proprio per impedire che alla donna venissero sottratti di nuovo i bimbi i suoi genitori hanno aspettato 5 giorni prima di denunciarne la scomparsa. Una perdita di tempo forse fatale: un testimone ha detto ai carabinieri di aver visto la donna 24 ore dopo la scomparsa.”. Angela Petrachi viveva a Melendugno, con i figli di 5 e 7 anni. Alle 14.30 di sabato 26 ottobre 2002, dopo aver pranzato con i figli in casa dei propri genitori, si allontanò dicendo che sarebbe andata per un’ora a casa sua e poi sarebbe tornata in tempo per accompagnare il figlio maggiore al catechismo. Ma questa evoluzione dei fatti non si verificò mai. Giovedì 31 i genitori di Angela vennero avvisati che l’auto della figlia si trovava nello spiazzo adiacente il campo sportivo, con la ruota posteriore destra a terra per un chiodo conficcato nel copertone. All’interno i documenti dell’auto e il giubbino. Secondo alcune testimonianze sarebbe stata parcheggiata lì fin dal pomeriggio di sabato. I documenti di Angela vennero ritrovati un paio di giorni. Non si seppe più nulla fino alle 8,30 circa di venerdì 8 novembre, quando il corpo di Angela venne trovato da un cercatore di funghi. Era in un boschetto, nelle vicinanze della strada su cui erano stati rinvenuti i documenti e la borsa. Indossava ancora i vestiti che aveva quando era uscita dalla casa dei genitori. Le indagini dei carabinieri si concentrarono da subito sull’ex fidanzato della donna al quale Angela, quel sabato 26 ottobre, aveva inviato ben 14 messaggi, tra le 17 e le 23. Nonostante tutto questo, invece è stato condannato Giovanni Camassa. Secondo la ricostruzione degli inquirenti, i due si erano dati appuntamento per l’acquisto di un cane ma l’incontro ben presto degenerò. Come accertato dal medico legale, Angela fu vittima di uno stupro, poi soffocata con le sue stesse mutandine e infine accoltellata. Di quel delitto fu accusato e condannato in via definitiva il 26 febbraio 2014 Giovanni Camassa. La corte di Cassazione ha confermato la condanna alla pena dell’ergastolo per Giovanni Camassa, l’agricoltore 45enne ritenuto responsabile dell’omicidio di Angela Petrachi, la 31enne uccisa brutalmente nell’ottobre del 2002 nelle campagne di Melendugno (Lecce). I giudici di primo grado avevano assolto l’imputato per non aver commesso il fatto; in appello, invece, l’imputato fu condannato al carcere a vita. Angela Petrachi, madre di due figli, uscita dalla casa dei genitori nel primo pomeriggio del 26 ottobre 2002, scomparve nel nulla. Il suo corpo venne ritrovato solo la mattina dell’8 novembre da un cercatore di funghi. L’autopsia rivelò che la donna era stata violentata, strangolata con i suoi slip e seviziata con la lama di un coltello. Secondo l’accusa, l’imputato e la vittima si sarebbero incontrati nel pomeriggio del 26 ottobre per discutere dell’acquisto di un cane. Durante l’incontro, però, la situazione sarebbe degenerata e l’uomo, colto da un raptus forse perchè invaghito della donna, avrebbe aggredito Angela Petrachi uccidendola. Carcere a vita. E’ il verdetto emesso dai giudici della Suprema Corte dopo circa quattro ore di camera di consiglio. Ci sono voluti la sbobinatura di 400 file, la ripulitura di centinaia e centinaia di intercettazioni, un lavoro meticoloso da parte dell’ingegnere informatico Luigina Quarta e una nuova istruttoria dibattimentale per riscrivere una nuova inaspettata verità nel processo istruito per fare luce sull’omicidio di Angela Petrachi, avvenuto il 26 ottobre del 2002. I giudici di secondo grado, Presidente Roberto Tanisi, a latere Rodolfo Boselli, condannarono all’ergastolo il presunto assassino, Giovanni Camassa, 44enne di Melendugno, assolto in primo grado per non aver commesso il fatto dopo aver trascorso due anni e mezzo di carcere. Camassa si è sempre giustificato affermando che quel giorno si trovava in compagnia della propria compagna, ma gli accertamenti tecnici avrebbero ribaltato l’impianto difensivo costruito dall’avvocato difensore Francesca Conte che aveva evidenziato come non vi sarebbe mai stato un movente e fatto notare l’esistenza di rapporti burrascosi tra la donna e il suo ex marito, tanto che la Petrachi presentò anche una querela. I figli di Angela erano assistiti dall’avvocato Tiziana Petrachi. Dopo la pronuncia della colpevolezza ribadita, in via definitiva, dalla Cassazione i carabinieri della Stazione di Martano hanno arrestato Giovanni Camassa, 47enne, in ottemperanza all’ordine di esecuzione per la carcerazione emesso dalla Procura Generale della Repubblica presso la Corte d’Appello di Lecce, in seguito alla sentenza della Suprema Corte di Cassazione per l’omicidio di Angela Petrachi. Camassa, dopo le formalità di rito è stato tradotto alla Casa Circondariale di Lecce dove dovrà scontare la pena. Il ricorso alla Suprema Corte era stato presentato dall’avvocato difensore Francesca Conte, che ha sempre insistito sull’inesistenza di un movente che potesse spiegare il brutale assassinio. L’autopsia permise di stabilire che la giovane era stata violentata, strangolata e seviziata. A distanza di poco tempo i sospetti degli inquirenti si concentrarono su Giovanni Camassa, con il quale la Petrachi aveva un appuntamento il giorno della sua scomparsa per concordare l’acquisto di un cane. Al termine del processo di primo grado l’uomo fu assolto, mentre in Appello arrivò la condanna all’ergastolo da parte dei giudici a cui poco convincente risultò anche l’alibi fornito dal presunto assassino, che ha sempre sostenuto di avere trascorso il pomeriggio del 26 ottobre con la donna che in seguito diventò sua moglie. L’accusa ha analizzato e confutato l’alibi dell’imputato, dimostrando, attraverso riscontri di natura tecnica che, secondo il pubblico ministero hanno evidenziato come le “risultanze delle consulenze di parte siano prive di significato”, che l’imputato e la moglie non erano insieme in quel tragico pomeriggio macchiato di sangue. Camassa, infatti, ha sempre affermato che quel triste giorno di ottobre era proprio in compagnia di quella che sarebbe poi divenuta sua moglie, Moira Flamini. Un passaggio fondamentale questo. La difesa di Camassa, rappresentata dall’avvocato Francesca Conte, aveva presentato ricorso in Cassazione. La penalista leccese ha sempre evidenziato come non vi fosse un movente dell’omicidio. Non sarebbe mai stato concordato, infatti, alcun incontro per l’acquisto di un cane, come sostenuto dall’accusa. Nella denuncia di scomparsa non vi è alcun riferimento, né nella successiva integrazione. La vicenda relativa al cane emergerebbe sol alcuni mesi dopo. Quel pomeriggio Angela Petrachi avrebbe dovuto incontrare, con ogni probabilità, due amiche. Una testimone, ritenuta inspiegabilmente inattendibile ha spiegato la difesa, vede alle 14.50 la donna salire su una Lancia Thema blu. L’avvocato Conte ha poi evidenziato come i rapporti tra la 31enne e l’ex marito fossero a dir poco burrascosi, tanto che la stessa aveva in passato presentato una querela nei suoi confronti. Appare singolare, secondo la nota penalista leccese, come l’alibi dell’uomo sia stato verificato telefonicamente, contattando una donna che, secondo la sua versione, era con lui quel pomeriggio. Tesi e ipotesi che non hanno trovato riscontro nei giudici, che hanno deciso di scrivere le parole “fine pena mai” sul fascicolo di Giovanni Camassa. A sollevare l’interesse sul caso ci ha pensato il nipote di Camassa che ha chiesto il mio aiuto, certamente non per risolvere il caso, né per porvi giustizia, incarico delegato alle toghe, magistrati ed avvocati, ma per sollevare un velo pietoso sulla spinosa vicenda. Testimonianza che è già stata riportata dal tg di Telenorba  il 12 marzo 2014 e da un articolo sulla Gazzetta del Mezzogiorno del 13 marzo 2014.  Egli mi scrive: “Sono Francesco Di Cianni, Vi scrivo da Martignano, piccolo Comune della Provincia di Lecce, per illustrarVi una situazione gravissima e che vede protagonista un uomo, mio zio, detenuto ingiustamente per quasi 4 anni, e cosa ancor più grave, condannato all’ergastolo in via definitiva, al termine di un Processo quanto mai strano e anomalo, che non ha tenuto in considerazione aspetti fondamentali e prove che,  “senza ogni ragionevole dubbio“, se fossero state considerate, avrebbero dimostrato l’assoluta innocenza ed estraneità ai fatti di quella che invece appare essere solo un caprio espiatorio a protezione di chissà chi o quale persona, invece evidentemente più influente di un normalissimo cittadino onesto, che ad oggi è invece libero ingiustamente! I fatti, brevemente, e che avremo modo sicuramente di affrontare e spiegarVi più nel dettaglio attraverso tutte le carte processuali, riguardano l’omicidio di Angela Petrachi, avvenuto nel 2002 in un Comune della medesima provincia di Lecce, Melendugno, e per il quale è stato condannato per l’appunto mio zio, Giovanni Camassa, senza nessuna prova e anzi con molti punti interrogativi e sospetti. A parziale dimostrazione di ciò, era stato anche assolto con formula piena per non aver commesso il fatto in primo grado in Corte di Assise dal Giudice Giacomo Conte. Lo stesso Giudice infatti, al tempo dei fatti, dispose anche la scarcerazione immediata dell’imputato. L’amara sorpresa giunse però in Corte d’Appello, dove, come per magia, venne ribaltata la sentenza di primo grado (che venne commutata in ergastolo, il massimo della pena prevista dal Codice Penale Italiano, e che non viene comminata nemmeno ai Mafiosi, ma che evidentemente nel caso di mio zio doveva cancellare in fretta il reato dalle spalle del vero esecutore, molto più influente di un povero e comunissimo contadino leccese), e la definitiva doccia fredda in Cassazione, il 26/02/2014, con la riconferma dell’ergastolo in capo al mio congiunto. La cosa eclatante non sta nella condanna in sé (non sarebbe il primo caso di mala giustizia italiana, e forse neanche l’ultimo nostro malgrado), ma nel fatto che nei gradi successivi al primo non sono state prese in considerazione prove eclatanti (una su tutte la perizia del R.I.S. che scagionava l’imputato, e lo stesso Capitano del R.I.S. che scriveva testualmente nella relazione “…..escludiamo Giovanni Camassa dall’ipotesi che avesse potuto commettere il fatto.”), o testimonianze di persone che confermavano l’alibi di mio zio. Al tempo stesso, non sono stati presi in considerazione fatti importanti e sicuramente decisivi al fine dell’esito processuale (se appunto considerate), quali le denunce per percosse alla povera vittima antecedenti il suo omicidio, o posizioni di persone quanto meno sospette che dalle 17.00 alle 23.00 ricevevano messaggi da parte della Petrachi anche dopo la presunta morte (che secondo l’accusa è avvenuta intorno alle 13.00) e la presenza del loro DNA sul corpo della vittima e le quali ad oggi sono libere e le cui posizioni non sono mai state affrontate processualmente!!!!!!!!!!!!!!!!!!! Da ultimo abbiamo la testimonianza di nuove persone che finalmente sembra abbiano trovato la forza di testimoniare a favore di mio zio, dopo anni di terrore e paura per la loro incolumità.”. Ben venuto nel club, direi a Francesco ed a tutti i disillusi da questa giustizia. Peccato che a contarli tutti vien l’orticaria. Ben 5 milioni di errori giudiziari ed ingiuste detenzioni negli ultimi 50 anni. Se sembran pochi per alimentare un dubbio su come funziona la giustizia in Italia, vuol dire che vale il detto già richiamato: “Chi non conosce la verità è uno sciocco, ma chi, conoscendola, la chiama bugia, è un delinquente”.»