Denuncio al mondo ed ai posteri con i miei libri tutte le illegalità tacitate ed impunite compiute dai poteri forti (tutte le mafie). Lo faccio con professionalità, senza pregiudizi od ideologie. Per non essere tacciato di mitomania, pazzia, calunnia, diffamazione, partigianeria, o di scrivere Fake News, riporto, in contraddittorio, la Cronaca e la faccio diventare storia. Quella Storia che nessun editore vuol pubblicare. Quelli editori che ormai nessuno più legge.

Gli editori ed i distributori censori si avvalgono dell'accusa di plagio, per cessare il rapporto. Plagio mai sollevato da alcuno in sede penale o civile, ma tanto basta per loro per censurarmi.

I miei contenuti non sono propalazioni o convinzioni personali. Mi avvalgo solo di fonti autorevoli e credibili, le quali sono doverosamente citate.

Io sono un sociologo storico: racconto la contemporaneità ad i posteri, senza censura od omertà, per uso di critica o di discussione, per ricerca e studio personale o a scopo culturale o didattico. A norma dell'art. 70, comma 1 della Legge sul diritto d'autore: "Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l'utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali."

L’autore ha il diritto esclusivo di utilizzare economicamente l’opera in ogni forma e modo (art. 12 comma 2 Legge sul Diritto d’Autore). La legge stessa però fissa alcuni limiti al contenuto patrimoniale del diritto d’autore per esigenze di pubblica informazione, di libera discussione delle idee, di diffusione della cultura e di studio. Si tratta di limitazioni all’esercizio del diritto di autore, giustificate da un interesse generale che prevale sull’interesse personale dell’autore.

L'art. 10 della Convenzione di Unione di Berna (resa esecutiva con L. n. 399 del 1978) Atto di Parigi del 1971, ratificata o presa ad esempio dalla maggioranza degli ordinamenti internazionali, prevede il diritto di citazione con le seguenti regole: 1) Sono lecite le citazioni tratte da un'opera già resa lecitamente accessibile al pubblico, nonché le citazioni di articoli di giornali e riviste periodiche nella forma di rassegne di stampe, a condizione che dette citazioni siano fatte conformemente ai buoni usi e nella misura giustificata dallo scopo.

Ai sensi dell’art. 101 della legge 633/1941: La riproduzione di informazioni e notizie è lecita purché non sia effettuata con l’impiego di atti contrari agli usi onesti in materia giornalistica e purché se ne citi la fonte. Appare chiaro in quest'ipotesi che oltre alla violazione del diritto d'autore è apprezzabile un'ulteriore violazione e cioè quella della concorrenza (il cosiddetto parassitismo giornalistico). Quindi in questo caso non si fa concorrenza illecita al giornale e al testo ma anzi dà un valore aggiunto al brano originale inserito in un contesto più ampio di discussione e di critica.

Ed ancora: "La libertà ex art. 70 comma I, legge sul diritto di autore, di riassumere citare o anche riprodurre brani di opere, per scopi di critica, discussione o insegnamento è ammessa e si giustifica se l'opera di critica o didattica abbia finalità autonome e distinte da quelle dell'opera citata e perciò i frammenti riprodotti non creino neppure una potenziale concorrenza con i diritti di utilizzazione economica spettanti all'autore dell'opera parzialmente riprodotta" (Cassazione Civile 07/03/1997 nr. 2089).

Per questi motivi Dichiaro di essere l’esclusivo autore del libro in oggetto e di tutti i libri pubblicati sul mio portale e le opere citate ai sensi di legge contengono l’autore e la fonte. Ai sensi di legge non ho bisogno di autorizzazione alla pubblicazione essendo opere pubbliche.

Promuovo in video tutto il territorio nazionale ingiustamente maltrattato e censurato. Ascolto e Consiglio le vittime discriminate ed inascoltate. Ogni giorno da tutto il mondo sui miei siti istituzionali, sui miei blog d'informazione personali e sui miei canali video sono seguito ed apprezzato da centinaia di migliaia di navigatori web. Per quello che faccio, per quello che dico e per quello che scrivo i media mi censurano e le istituzioni mi perseguitano. Le letture e le visioni delle mie opere sono gratuite. Anche l'uso è gratuito, basta indicare la fonte. Nessuno mi sovvenziona per le spese che sostengo e mi impediscono di lavorare per potermi mantenere. Non vivo solo di aria: Sostienimi o mi faranno cessare e vinceranno loro. 

Dr Antonio Giangrande  

 

NOTA BENE

NESSUN EDITORE VUOL PUBBLICARE I  MIEI LIBRI, COMPRESO AMAZON, LULU E STREETLIB

SOSTIENI UNA VOCE VERAMENTE LIBERA CHE DELLA CRONACA, IN CONTRADDITTORIO, FA STORIA

NOTA BENE PER IL DIRITTO D'AUTORE

 

NOTA LEGALE: USO LEGITTIMO DI MATERIALE ALTRUI PER IL CONTRADDITTORIO

LA SOMMA, CON CAUSALE SOSTEGNO, VA VERSATA CON:

SCEGLI IL LIBRO

80x80 PRESENTAZIONE SU GOOGLE LIBRI

presidente@controtuttelemafie.it

workstation_office_chair_spinning_md_wht.gif (13581 bytes) Via Piave, 127, 74020 Avetrana (Ta)3289163996ne2.gif (8525 bytes)business_fax_machine_output_receiving_md_wht.gif (5668 bytes) 0999708396

INCHIESTE VIDEO YOUTUBE: CONTROTUTTELEMAFIE - MALAGIUSTIZIA  - TELEWEBITALIA

FACEBOOK: (personale) ANTONIO GIANGRANDE

(gruppi) ASSOCIAZIONE CONTRO TUTTE LE MAFIE - TELE WEB ITALIA -

ABOLIZIONE DEI CONCORSI TRUCCATI E LIBERALIZZAZIONE DELLE PROFESSIONI

(pagine) GIANGRANDE LIBRI

WEB TV: TELE WEB ITALIA

108x36 NEWS: RASSEGNA STAMPA - CONTROVOCE - NOTIZIE VERE DAL POPOLO - NOTIZIE SENZA CENSURA

(diritti esclusivi: citare la fonte)

 

ARTICOLI PER TEMA

 

 Di Antonio Giangrande

 

INDICE

 

Coronavirus. Covid-19. SARS-CoV-2.  Lo conosco. Li conosco. Testimonianza dall’inferno della malattia.

Chi cerca trova: i misteri della coerenza della scienza.
Censura da Amazon libri. Del Coronavirus vietato scrivere.

A proposito di Conoravirus.

Coronavirs: altro che Immunità di Gregge.

Quelli che…o tutti o nessuno e poi vogliono la secessione!

Gli affari della Sanità privata padana a danno di quella del Sud, sotto tutela dello Stato.

Vincono sempre loro.

In che mani stiamo.

La pedanteria sanitaria.

Settentrionali vs Meridionali.

La Dittatura Sanitaria.

Coronavirus ed esperti. I protocolli sanitari della morte.

Coronavirus. I nostri esperti? Inaffidabili.

Coronavirus: idiozia ed invidia vs capacità.

Bonus Spesa: l'umiliazione della domanda e l'umiliazione della spesa e la rinuncia per dignità ed orgoglio.

La lezione degli Albanesi ai Lombardo-Veneti.

L’inutile e dannosa autocertificazione.

Un popolo di coglioni…

 

 

Coronavirus. Covid-19. SARS-CoV-2.  Lo conosco. Li conosco. Testimonianza dall’inferno della malattia.

Intervista al dr Antonio Giangrande, sociologo storico, autore di “Coglionavirus”, libro in 10 parti che analizza gli aspetti clinici e sociologici del Virus; la reazione degli Stati e le conseguenze sulla popolazione.

Dr Antonio Giangrande, lei stesso è stato vittima del virus, essendo stato ricoverato in gravi condizioni in ospedale. Esprima, preliminarmente,  la sua considerazione da vero esperto del virus.

«I nostri professoroni, dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, al Consiglio Superiore di Sanità, fino ai componenti dei vari comitati consultivi, saranno titolati, sì, ma sono assolutamente ignoranti sul tema, essendo il Covid-19 un virus assolutamente sconosciuto. A dimostrazione di ciò ci sono i pareri e le direttive  espressi nel tempo, spesso in contraddizione tra loro. Si va da “non è epidemia” dell’Organizzazione Mondiale di Sanità, al “le mascherine non servono” del Consiglio Superiore di Sanità. Per non dire delle contrapposizioni tra gli scienziati. Nonostante ciò, i pseudo esperti hanno imposto regole che si sono dimostrati essere protocolli della morte.

Il Contagio avviene per aerosol con insinuazione in ogni orifizio. O si è tutti bardati o ristretti in casa, o si è tutti a rischio di infezione: altro che mascherina e distanziamento di un metro.

La gente non è morta, o ha sofferto per il Covid-19, ma per la malasanità e per i protocolli sbagliati.

I posti letto negli ospedali sono mancanti perchè il ricovero non è tempestivo e con ciò si allungano i tempi di degenza. E le degenze non sono ristrette, usufruendo della terapia domiciliare o dell'assistenza domiciliare Usca per i casi più gravi non ospedalizzabili.

I nostri governanti, poi, da incompetenti in materia, hanno delegato ai sanitari, spesso amici, per pararsi il culo, la gestione della pandemia. Dico amici perché stranamente gli esperti non allarmisti, si trovano tutti dalla parte dell'opposizione politica. La Gestione maldestra della pandemia ha comportato gravi conseguenze economiche, sociali e psicologiche. Scrivere "Coglionavirus" ha comportato la mia rovina economica. Amazon, piattaforma internazionale su cui quel libro ed altri 200 testi tematici, erano distribuiti, stampati e venduti, ha cancellato il mio account e fatto cessare i miei proventi. Un giorno, forse, qualcuno dovrà rendere conto a Dio ed alla giustizia penale e civile per il male fatto alla popolazione».

Cosa pensa dell’allarmismo?

«Quando i numeri si danno a casaccio. La comparazione tra i tamponi effettuati ed il numeri dei positivi non sono veritieri. I dati ufficiali, se da una parte sono carenti, dall’altra parte sono eccedenti:

si prendono in esame i tamponi effettuati da privati, che danno solo esito positivo, escludendo quelli con esito negativo;

per ogni soggetto si effettuano più tamponi procrastinati nel tempo, quindi si rilevano più positività per un singolo soggetto positivo.

Da quotidianosanita.it il 3 novembre 2020. Gentile Direttore, ogni giorno nell’aggiornamento dei dati giornalieri sul Covid-19 tra i dati del Ministero della Salute/Istituto Superiore di sanità costantemente riportati e rielaborati in tutti i sistemi “derivati” di monitoraggio (come quelli utilizzati dai media di settore o “generalistici”  o da social molto seguiti come “Pillole di ottimismo” su Facebook) ci sono quelli relativi ai nuovi casi (e quindi il numero di persone trovate per la prima volta positive al tampone riportato nella Tabella originale nella colonna “incremento casi totali”)  ed al numero di tamponi effettuati (riportato nella tabella originale nella colonna “incremento tamponi”). Prendiamo i dati di ieri 2 novembre: ci sono stati in Italia 22.253 nuovi casi e 135.731 tamponi. Automaticamente viene calcolato in molti sistemi “derivati” il rapporto positivi/tamponi che sistematicamente cresce (ad esempio ieri è stato di 21,9 contro il 21,7 del giorno prima). E ovviamente questo dato viene assimilato ad un dato negativo che testimonia della maggiore circolazione del virus. In realtà si tratta di un indicatore fuorviante che così com’è non andrebbe usato o comunque molto meglio descritto ed interpretato. Perché mette in un unico calderone dati di diversa provenienza e completezza come evidenzierò tra poco. Premesso che il disciplinare tecnico che regolamenta il flusso dei tamponi è difficile da trovare (e non dovrebbe esserlo), lo si può ricostruire in base ad alcune ricostruzioni empiriche che partono da una analisi del modello organizzativo delle attività di laboratorio che “generano” il dato sui tamponi (ovviamente di quelli ritenuti validabili dai Servizi di Prevenzione e quindi eseguiti con tecnica molecolare in laboratori autorizzati dalle Regioni). I tamponi vengono per lo più eseguiti all’interno di tre percorsi: quello delle nuove diagnosi in persone con sintomi compatibili o contatti di casi, quello del  monitoraggio dei casi ai fini del calcolo dei “guariti” e quello dello screening spesso su base volontaria da persone che vogliono sapere se sono  infette o meno. I primi due percorsi sono gestiti per lo più da laboratori pubblici, mentre il terzo vede un coinvolgimento imponente dei laboratori privati autorizzati dalle Regioni. Cosa succede? La mia ricostruzione in base alla situazione delle Marche, che conosco bene, è che mentre i nuovi casi positivi diagnosticati dai privati finiscono appunto tra i nuovi casi e confluiscono nel numeratore del rapporto positivi/tamponi, il numero totale di persone esaminato dai privati (che comprende anche i negativi) non entra nel denominatore falsando l’andamento del rapporto. Ma non è finita qui. Il denominatore ha invece dentro anche i dati dei tamponi di monitoraggio  che non c’entrano niente coi nuovi casi. Un denominatore (o un suo pezzo) che non genera numeratore non va incluso nel calcolo di un rapporto. Facciamo una verifica coi dati Ministero/ISS del 29 ottobre relativi alla Regione Marche che confrontiamo con l’elaborazione più analitica che ha fatto coi dati dello stesso giorno la Regione Marche. Scegliamo questo giorno perché sta in mezzo alla settimana e rappresenta più fedelmente la situazione. I dati di Ministero e Regione coincidono: 686 casi e 3.915 tamponi. Ma quello della Regione Marche è più analitico e ci dice che in realtà i nuovi casi sono stati “generati” da soli 2.372 tamponi (quelli relativi al cosiddetto percorso nuove diagnosi) e che quel numero 3.915 ha dentro anche i tamponi del cosiddetto percorso guariti ovvero quello che riguarda il monitoraggio dei “vecchi” casi. Ma non è finita qui. I tamponi del percorso diagnosi includono quelli dei laboratori privati solo quando positivi, mentre quelli negativi sempre più numerosi non vengono verosimilmente conteggiati.

Risultato: il rapporto positivi/tampone del monitoraggio ministero/ISS per quanto riguarda le Marche al denominatore conta tamponi in più di un tipo che non ci dovrebbero stare e dall’altra manca dei tamponi dei privati che ci dovrebbero stare. Se non si fa chiarezza è legittimo e credibile pensare che almeno parte dell’incremento quotidiano del rapporto positivi/tamponi sia sovrastimato visto il numero fortemente crescente dei tamponi fatti dai privati. Soluzione: migliore gestione del flusso. Claudio Maria Maffei,  Coordinatore scientifico di Chronic-on».

Parli di come è stato infettato.

«Per il mio lavoro e per il mio carattere ho sempre fatto vita riservata, così come mia moglie. Le uniche uscite erano il fare sport da singolo ed isolato ed il fare la spesa, con rispetto delle regole imposte: mascherine e distanziamento e rapportarsi il meno possibile con i genitori anziani. Eppure, questo mio comportamento esemplare, in ossequio alle regole sbagliate, si è dimostrato letale.

L’8 novembre 2020 mio fratello fa visita ai genitori: il giorno dopo ha la febbre.

Il 9 novembre 2020 vado a far visita ai miei genitori ultraottantenni: mascherina e distanziamento. Presente un terzo fratello. Ho notato che avevano il riscaldamento alto.

Il 10 novembre 2020, cioè giorno dopo il malessere dei miei genitori si trasforma in febbre lieve. Per questo motivo tutti i figli, tre maschi ed una donna, con altri familiari ristretti, gli fanno visita con mascherina e distanziamento.

I miei due fratelli dopo pochi giorni hanno evidenziato i primi sintomi, mia sorella asintomatica. Immediatamente, si è coinvolto il medico curante che ha provveduto al tampone per tutti. Alla fine risultano tutti infettati, compresi le loro famiglie. 15 componenti di 4 nuclei familiari. Ai primi sintomi, correttamente, tutti abbiamo adottato il confinamento domiciliare e nessuno ha infettato alcuno. Fortunatamente i genitori anziani sono stati pauci sintomatici, così come gli altri componenti della famiglia. Un fratello ricoverato in modo lieve. Solo io ho subito le conseguenze gravissime, rasentando la morte.

Si è scoperto che mio padre è stato infettato frequentando, con mascherina e distanziamento, un luogo pubblico. Egli pensava che la lieve febbre fosse dovuta al vaccino antinfluenzale. 

Questo sta ha dimostrare due cose:

1. Che la mascherina ed il distanziamento non bastano, ma bisogna essere bardati con occhiali e visiera per non essere infettati. Il virus si insinua in ogni orifizio. Il virus è 100 volte più piccolo del batterio e quindi galleggia nell’aria e con essa si muove. Posso prenderlo dopo molti metri e dopo molti minuti;

2. Che spesso sono gli anziani ad infettare i giovani e non viceversa. Perché sono quelli che spesso non rispettano le regole;

3. Molti sono infetti asintomatici e non lo sanno. Ed infettano in buona fede;

4. Molti sono infetti pauci sintomatici o conviventi asintomatici o pauci sintomatici di infetti conclamati. Sanno di essere infetti, ma continuano la loro vita e da criminali infettano gli altri.

5. Ma cosa più importante che ho potuto constatare in seguito, dopo il mio ricovero, è che ci si infetta principalmente in strutture protette. Il degente C.mo C.lò è stato infettato in una RSA, quella di Villa Argento di Manduria e poi trasferito al Giannuzzi di Manduria. Il Degente V.to T.liente di Martina Franca, ricoverato al Santissima Annunziata di Taranto per altre patologie, è stato refertato negativo all’arrivo nel nosocomio e poi infettato in quel reparto. Successivamente trasferito al Giannuzzi di Manduria».

Parli dell’evoluzione della malattia.

«Dal famoso 9 novembre 2020 ho avvertito subito sintomi di malessere e febbre, ma ho continuato a fare i miei 22 chilometri di corsa e bicicletta. Fino a che la febbre a 39 e mezzo, senza sintomi specifici, me lo ha impedito. Pensavo fosse un periodico raffreddore, dovuto alla sudorazione e le temperature anomale, curabile con la tachipirina e gli antibiotici.

Il 15 novembre 2020 chiamo il medico curante chiedendogli un antibiotico più potente, con l’ausilio della penicillina, il cortisone e la protezione. Mi prescrive tutto, meno la tachipirina che è a pagamento. Antibiotico Azitromicina da 500, cortisone Deltacortene da 25, Penicillina, protezione, Eparina e sciroppo per la tosse. Per il proseguo della malattia ha voluto essere informata ed ella stessa si informava. Ha prontamente contattato l’ASL.

Il 20 novembre 2020 il tampone effettuato risulta positivo.

Il 22 novembre 2020 alle 10.30 per il persistere della febbre e per i sintomi di asfissia chiamo il 118. Con l’ossigenazione del sangue a 82, si decide il ricovero immediato».

Parli del suo ricovero e dell’impatto con il sistema sanitario.

«Per questa malattia la tempestività è essenziale. Prima si interviene, prima si impedisce l’aggravamento, prima si guarisce e nessuno muore. Prima si interviene e meno giorni sono di degenza e più posti letto sono a disposizione. Così come più posti letto si ottengono con una degenza limitata sostenuta da assistenza domiciliare Usca. Invece il sistema sanitario, per non ingolfare gli ospedali impedisce il ricovero ai pazienti sintomatici fino a farli diventare critici ed a lunga degenza, o con conseguenze mortali.

Ergo: il protocollo sbagliato porta la morte dei pazienti e la paralisi delle strutture sanitarie.

La saturazione ottimale del sangue deve essere pari a 100 o quasi. Ogni alterazione comporta un intervento immediato. A mio fratello è stato impedito un primo ricovero, dal medico del 118, con la saturazione a 92, chiaro sintomo di sofferenza. Tanto che c’è stato l’inevitabile peggioramento ed il ricovero, con degenza di settimane.

Alle 12 del 22 novembre 2020 inizia la mia odissea.

Dante Inferno, Canto III

"...Dinanzi a me non fuor cose create

se non etterne, e io etterno duro.

Lasciate ogni speranza, voi ch'intrate"...

Ed ecco verso noi venir per nave

un vecchio, bianco per antico pelo,

gridando: "Guai a voi, anime prave! ..."

Così sen vanno su per l'onda bruna,

e avanti che sien di là discese,

anche di qua nuova schiera s'auna..."

11 ore in attesa di ricovero Covid: la precisazione del Marianna Giannuzzi. ​Non ha tardato ad arrivare la replica da parte della direzione medica del presidio ospedaliero “Marianna Giannuzzi” sul caso dell’uomo di Avetrana rimasto ad aspettare in ambulanza per circa 11 ore prima di essere ricoverato. Francesca Dinoi su La Voce di Manduria venerdì 27 novembre 2020. Non ha tardato ad arrivare la replica da parte della direzione medica del presidio ospedaliero “Marianna Giannuzzi” sul caso dell’uomo di Avetrana rimasto ad aspettare in ambulanza per circa 11 ore prima di essere ricoverato. A narrare l’esperienza, era stato il figlio del paziente, l’avvocato Mirko Giangrande in un’intervista rilasciata al Nuovo Quotidiano di Taranto, in cui lamentava, appunto, la lunga attesa a cui erano stati sottoposti a causa di un affollamento di ambulanze nel piazzale dell’ospedale. La direzione medica, in base alle notizie pervenute dal responsabile del Pronto Soccorso, racconta che all’arrivo del signor Giangrande in ospedale, l’assistito era stato visitato, eseguito il tampone naso-faringeo per verificare l’eventuale positività al Covid-19 e somministrata la terapia adeguata. In seguito, all’esito della positività del tampone, veniva fatto accomodare nell’area attrezzata all’osservazione breve fino a 48/72 ore e alle ore14:00 del giorno successivo, ricoverato nel reparto Medicina Covid, occupando il primo posto letto disponibile. «Al signor Giangrande non sono mai mancate le cure di cui ha avuto necessità in una giornata tuttavia congestionata per l’arrivo contestuale di numerose ambulanze del 118.», chiarisce la responsabile, riconoscendo l’imprevisto. Della stessa opinione anche la direzione Asl di Taranto che rivolge le proprie scuse al signor Giangrande ed al figlio, ribadendo che al paziente era sempre stata assicurata la massima sicurezza grazie all’esemplare competenza di tutti gli operatori sanitari presenti. Francesca Dinoi

Parla il figlio dell'uomo rimasto 11 ore in ambulanza prima del ricovero al Giannuzzi. L’avvocato Mirko Giangrande racconta in un’intervista al Nuovo Quotidiano di Taranto il calvario del padre ricoverato al Giannuzzi dopo un’attesa di 11 ore in ambulanza. La Redazione de La Voce di Manduria martedì 24 novembre 2020. Un calvario di 11 ore. Tanto è durata l’attesa in ambulanza di un uomo di Avetrana domenica scorsa. A raccontare l’incredibile vicenda al Nuovo Quotidiano di Taranto è il figlio del povero malcapitato, Mirko Giangrande. I particolari che l’avvocato riferisce hanno dell’incredibile. Il paziente, positivo già da diversi giorni, è stato prelevato dalla sua abitazione dopo aver effettuato una cura anti-Covid domiciliare. Giunto nel piazzale dell’ospedale Giannuzzi, dopo le prime ore, l’uomo - provato dall’attesa ed in evidente stato di agitazione - ha allertato il 112 ed il 113 addirittura dall’interno dell’ambulanza. Le comunicazioni con la famiglia avvenivano tramite whatsapp, visto l’affaticamento respiratorio e la difficoltà nell’effettuare chiamate vocali. Intorno alle 16.30, gli è stato effettuato un prelievo di sangue, ma il povero malcapitato – già da più di 4 ore all’interno dell’ambulanza – non dava segni di miglioramento e la febbre continuava ad aumentare. Il racconto del figlio del pover’uomo si fa sempre più inquietante: «Io vivo fuori, mi sono sentito impotente oltre che angosciato. In più – aggiunge l’avvocato – la cura intrapresa a casa si era interrotta durante le ore in ambulanza. Aveva solo l’ossigeno a sua disposizione e la febbre continuava a salire. Non sapevo cosa fare così, ormai stravolto, ho contattato il consigliere regionale Renato Perrini che si è adoperato a denunciare all’Asl di Taranto quanto stava accadendo» riferisce Giangrande. Stando a ciò che ha raccontato lo stesso avvocato durante l’intervista, sarebbero state ben cinque le ambulanze in coda per ore, così come riferitogli dal padre. L’avvocato non ci sta e promette di andare a fondo sulla vicenda: «Mi preme evidenziare che questo è accaduto ad un uomo di 57 anni in grado di comunicare con l’esterno e di mantenere lucidità. Ma se fosse capitato ad un uomo anziano? Non si può correre il rischio di morire in attesa di essere ricoverati. Questi inconvenienti potevano essere comprensibili a marzo, ma non a novembre perché, come cittadini, ci saremmo aspettati una maggiore organizzazione» aggiunge Giangrande, che poi conclude: «Tenere bloccate le ambulanze per così tante ore è inconcepibile. E se dovessero servire per un’emergenza? Non ho parole».

Verso mezzanotte, dopo la previsione di spostarmi all’Ospedale di Castellaneta, a 100 km di distanza, e la mia forte opposizione (ho preso la valigetta e stavo per scendere dall’ambulanza per recarmi al pronto soccorso), mi introducono in Pronto Soccorso. Qui mi rifanno il tampone e la radiografia. Fino alle 4 nel corridoio, poi in una stanzetta. Il ricovero effettivo in reparto avviene il giorno, 23 novembre 2020, dopo alle 14.00».

Parli della sua degenza in ospedale.

«Traumatica e psicologicamente devastante. Dante Inferno, Canto III

"...Dinanzi a me non fuor cose create

se non etterne, e io etterno duro.

Lasciate ogni speranza, voi ch'intrate"...

Ed ecco verso noi venir per nave

un vecchio, bianco per antico pelo,

gridando: "Guai a voi, anime prave! ..."

Così sen vanno su per l'onda bruna,

e avanti che sien di là discese,

anche di qua nuova schiera s'auna..."

Il Reparto. I Reparti Covid si suddividono in: reparto ordinario Covid; reparto Medicina Covid (reparto semi intensivo con gestione diversa del paziente); reparto di terapia intensiva (Rianimazione con assistenza più pregnante per i casi più gravi), reparti post Covid per la rieducazione polmonare. Sono stato ricoverato al Reparto Ortopedia Covid dell’ospedale Giannuzzi di Manduria. Quindi curato anche da ortopedici. Mi portano in una stanza a tre letti. C’è uno di Avetrana che non vuole esser nominato ed il mio amico Damiano Messina, noto per la sua ditta di trasporti, che mi ha autorizzato a citarlo. E’ critico e con criticità, cioè grave e con comorbidità o comorbilità, ossia patologie pregresse. In precedenza i suoi polmoni erano stati colpiti da una malattia simile al Covid 19 dovuta ad un virus trasmesso dai pipistrelli e debitamente curata. Era proveniente dal Moscati di Taranto, di cui racconta tutto il male possibile. E’ stato tra i primi degenti del reparto Ortopedia Covid di Manduria, con altri provenienti dal Moscati di Taranto. Arrivato sabato 14 novembre sera, ha trovato il solito balletto dell’inaugurazione. Però non c’era ancora acqua per lavarsi, né per bere. Così come mancava l’elemento essenziale: l’ossigeno.  Elemento essenziale e continuativo. Poi sono sempre state insufficienti le bombolette dell’ossigeno per i degenti sufficienti che dovevano andare al bagno non accompagnati. Avevo il letto numero 2. In quella stanza c’era il letto n. 3. Postazione speciale con ossigenazione fino a 20 litri. Adeguata per necessità dopo un caso di emergenza proveniente dalle altre stanze. Alla dimissione dei miei amici mi hanno spostato nella stanza assieme a mio fratello, ricoverato al pronto soccorso il giorno prima di me, ma saliti simultaneamente in reparto. Poi sono stato spostato in un’altra stanza. Avevo il letto n. 7. Entrambe le stanze avevano un comune denominatore. Le emergenze delle seconda andavano a finire nella prima. E guarda caso solo la stanza numero 2 ha avuto emergenze, risultate, poi, mortali.  La stanza è una prigione. Rispetto a noi i reclusi ostativi o del 41 bis del carcere sono in vacanza. Quando non sei costretto a letto, sei comunque costretto a letto. Non puoi aprire le finestre, né aprire la porta di entrata/uscita. Così per settimane. La stanza aveva due telecamere, affinchè i medici avessero la situazione sempre sotto controllo. In questo modo loro sanno tutto quanto succede nelle camere, anche delle emergenze. Non puoi ricevere i parenti, ne la biancheria di ricambio, quindi stesse mutande, stessa maglietta, stesso pigiama per settimane. Se non hai rasoi o strumenti della manicure diventi un licantropo.

La pulizia delle stanze. La pulizia era buona e per due volte al dì.

Il Vitto. Il vitto era decente, ma spesso freddo. Le buste ermeticamente chiuse con l’elenco del contenuto, come previsto dal capitolato d’appalto, erano sempre aperte a rischio di contaminazione e con l’acqua mancante. L’acqua era riservata al buon cuore dei sanitari, su richiesta. La distribuzione del vitto avviene:

Ore 8.00 colazione. Latte macchiato o te, quasi sempre freddo. Biscotti o fette biscottate con marmellata.

Ore 12. Pranzo. Primo, secondo, pane e frutta. Posate. Acqua mancante.

Ore 15.30. Cena. Idem come pranzo.

I pazienti. Paziente inteso come sostantivo si intende una persona affetta da malattia affidata ad un medico. Paziente inteso come aggettivo si intende una persona disposta alla moderazione, alla tolleranza ed alla rassegnata sopportazione. In questo caso verso il Covid e nei confronti dei sanitari.

Per i sanitari la morte di un paziente è sempre certificata come conseguenza di patologie pregresse: falso!

Antonio Calitri per “il Messaggero” il 22 novembre 2020. Nella BAT che i medici chiedevano diventasse zona rossa, una mamma di 41 anni è morta di Covid dopo aver atteso 11 ore al pronto soccorso. Non ci sono posti per i ricoveri all' ospedale di Barletta, capoluogo della provincia Bat in Puglia. E così Antonella Abbatangelo, che soffriva da una settimana di sintomi da Covid-19 sempre più gravi, è costretta ad attendere ben 11 ore prima di essere visitata. Quando finalmente viene presa in carico come recita la nota della Asl, i medici si accorgono subito della gravità della situazione, in due giorni finisce in terapia intensiva ma non ce la fa e dopo altri quattro, muore. E sberleffo finale, il marito e il figlio di appena 14 mesi non possono partecipare al suo funerale perché in isolamento domiciliare nonostante siano risultati negativi al tampone.

LE FALLE. Disorganizzazione, ospedali allo stremo e tanta sfortuna hanno inciso sul destino di una donna, giovane per le statistiche della letalità del virus, ma che si scopre essere stata anche vittima di malasanità. «Ben 11 ore di attesa prima di essere visitata al pronto soccorso», ha denunciarlo il marito Massimiliano che poi ha anche scritto sui social di aver ricevuto pochissime notizie della moglie. «Siamo stati attaccati al telefono da mattina a sera solo per avere spiegazioni confuse e veloci da parte dei dottori». La storia inizia la settimana scorsa quando la donna accusa febbre e tosse che inizia a curare a casa. Quando la situazione diventa più grave, il 12 novembre Antonella si reca all' ospedale di Trani, la città dove vive, ma non essendoci un reparto Covid, viene rimandata a casa. Il giorno dopo viene accompagnata a Barletta, dove attende 11 ore, fino alla presa in carico delle 23.01.

LA NOTA DELLA ASL. Poi, seguendo la nota della Asl, la donna è stata sottoposta a visita medica alle 23.05, sono stati evidenziati dispnea e febbre elevata da due giorni curata a domicilio. Al quadro clinico acuto va aggiunta una grande comorbilità rappresentata da problemi metabolici. È stato immediatamente eseguito tampone che ha dato esito positivo. La signora è stata quindi sottoposta a ossigenoterapia e sono stati immediatamente richiesti esami ematochimici ed emogasanalisi. Poi, prosegue la ricostruzione dell' Asl, il quadro clinico è apparso già molto complesso e compromesso. La situazione è peggiorata nella mattinata del 15 novembre quando sono intervenuti i rianimatori che hanno intubato la paziente in pronto soccorso e poi l' hanno trasferita nel reparto di Rianimazione ma, conclude il comunicato, nonostante tutti gli sforzi dei clinici la paziente è deceduta in data 19.11. Per sapere se abbia inciso anche la lunga attesa prima di accedere alla struttura, il direttore generale della Asl Alessandro Delle Donne ha detto di aver «avviato indagine per verificare tutti i passaggi di quanto accaduto».

Nel reparto normale ortopedia Covid di Manduria venivano ricoverati pazienti critici, ma anche critici e con criticità, cioè gravi e con comorbidità o comorbilità, ossia patologie pregresse, che sicuramente avevano bisogno di altro reparto:

con assistenza specialistica semi intensiva ed intensiva, con interventi invasivi e non invasivi, che un normale reparto non garantisce;

strumenti specifici come per esempio il casco respiratorio per ventilazione polmonare o l’intubazione e non la semplice  mascherina polmonare, o l’occhialino polmonare di un normale reparto.

La ossigenoterapia può essere sostenuta da 0 a oltre venti litri di ossigeno. Dipende dagli strumenti di erogazione. E in quel reparto non c’erano. Come non c’erano medici specialistici per ogni patologia riscontrata. Differenze di interventi che possono causare la morte.

Il mio amico Damiano Messina mi parla della sua esperienza traumatica. Ha assistito alla morte di P.tro D.ghia di Monteiasi, 64 anni. Damiano è stato ricoverato sabato 14 novembre, P.tro è portato nella sua stanza 2-3 giorni dopo. Il degente critico e con criticità non è stato ricoverato in un reparto adeguato alle sue patologie: ne prima né dopo l’emergenza. Il pomeriggio del 16 o 17 novembre è stato spostato di urgenza dal posto n. 9 della stanza di ricovero e posto al n. 3 della stanza di Damiano. Il posto è stato adeguato successivamente come postazione speciale. Tutto il pomeriggio P.tro ha sofferto agonizzante con sintomi di asfissia. Sostenuto con il solo ausilio del casco respiratorio con ossigenazione a 20. Spesso i compagni di stanza chiamavano con il pulsante di emergenza, perché il paziente lasciato solo per molto tempo si spostava e si toglieva il casco, perchè non dava il ristoro richiesto. L’intervento dei sanitari non era immediato. L’agonia si è protratta, senza soluzione di continuità, senza che vi sia stato alcun cambio di intervento terapeutico, fino al primo mattino del giorno dopo. La morte è intervenuta per inerzia. Spesso la presenza fisica dell'assistenza dei sanitari non era garantita. Loro hanno visto tutto con le telecamere e non sono intervenuti. Morte di un essere umano senza il sostegno dei familiari. E’ seguita pulizia della salma e composizione della stessa in un sacco di plastica. Un uomo diventato una cosa trasferita in obitorio.

La mia seconda stanza era la camera della morte. Durante la mia decenza, tutti i morti erano ivi ricoverati. C.mo C.lò, infettato alla RSA Villa Argento di Manduria, del letto n.9 ha preso il posto di P.tro D.ghia di Monteiasi. Il degente critico e con criticità non è stato ricoverato in un reparto adeguato alle sue patologie: ne prima né dopo l’emergenza. Ho convissuto con lui per due giorni dal 3 al 4 dicembre 2020. Era un continuo chiamare seguito da non immediata risposta. Per due giorni i parametri erano intorno agli 85-90 per l’ossigenazione e un  ritmo cardiaco intorno ai 135 battiti, mai al di sotto dei 125, senza soluzione di continuità. La mascherina con il sacchetto gliela hanno messa quando la saturazione era ad 88, in sostituzione di quella con la proboscide. L’ultima chiamata di allarme da parte nostra (mia e di mio fratello riuniti nella stanza) per l’evidente sofferenza del paziente è avvenuta il 4 dicembre 2020. L’intervento non è stato pronto ed  immediato. Loro hanno visto tutto con le telecamere e non sono intervenuti. Saturazione a 85 e 135 battiti e strumentazione impazzita. Il ritardo degli interventi mi ha costretto a filmare gli eventi a fini di giustizia ed informazione. Quando con le telecamere hanno visto che filmavo con il telefonino la situazione, con i parametri anomali e gli allarmi sonori della strumentazione, sono intervenuti a spostare il paziente nella postazione speciale. Subito dopo è intervenuto un energumeno di infermiere, che con fare minaccioso mi ha intimato, su ordine del medico, di cancellare il video dal cellulare. C.mo C.lò successivamente è morto, a 56 anni, ma tutti (dagli Oss, fino agli infermieri ed i medici) omertosamente hanno tenuto nascosto la notizia. Nella postazione n. 8 della mia seconda stanza un degente non autosufficiente è andato al bagno senza bomboletta di ossigeno, mancante, così come senza accompagnamento dei preposti a farlo. Loro hanno visto tutto con le telecamere e non sono intervenuti. Il paziente uscendo dal bagno ha avuto una mancanza d'aria ed è caduto. Si è schiantato al suolo ed è morto.

Omertà o meno, peccato per loro che mi sono trovato sempre nel posto giusto al momento giusto. O sbagliato secondo i punti di vista.

L’assistenza sanitaria.  E’ previsto il Bonus Covid per medici e operatori sanitari. Va da 600 euro a oltre mille euro. L’1 dicembre 2020 c’è stata un’infornata di nuove assunzioni e trasferimenti al reparto Ortopedia Covid di Manduria.

Seconda ondata Covid in Puglia, indagine della Procura sulla gestione da parte della Regione.  Fascicolo senza indagati né reati: tra gli accertamenti quello sulle assunzioni del personale sanitario. La Repubblica di Bari il 28 novembre 2020. La Procura di Bari ha aperto un fascicolo conoscitivo, cioè un modello 45, senza indagati né ipotesi di reato, sulla gestione della seconda ondata di contagi Covid in Puglia da parte della Regione. Sugli accertamenti in corso gli inquirenti mantengono il massimo riserbo. Il fascicolo è coordinato dal procuratore facente funzione Roberto Rossi.  A quanto si apprende, tra gli aspetti su cui si sta concentrando l'attività investigativa ci sono verifiche sull'assunzione del personale sanitario.

Gli operatori sanitari, spesso, denunciano che a loro non viene fatto il tampone di controllo.

Gli operatori della sanità sono considerati degli eroi a torto dall’opinione pubblica, sotto influenza dei media, così come le forze dell’ordine ed i magistrati. I medici, gli infermieri e gli Oss, alcuni sono gentili, altri meno. Alcuni sono capaci, altri meno. Gli infermieri, spesso, passano da un paziente ad un altro per le operazioni di routine (prelievi del sangue, inserimento flebo, ecc.) senza disinfettarsi le mani. Tutti sono corporativi ed omertosi. Ai richiami di allarme non c’è pronto intervento, salvo eccezioni dovuti al buon cuore dell’operatore. Ma quello che turba ed inquieta è il loro distacco ed indifferenza di fronte alla sofferenza ed alla morte. Un giudice che manda in cella un innocente, spesso dovuto ad un suo errore, è indifferente e distaccato. Ma un operatore sanitario, se ha una coscienza, non può avere lo stesso distacco di fronte alla morte, specie se è stata causata per sua colpa o per colpa di un protocollo criminale.

Comunque delle mie affermazioni sugli operatori sanitari vi è ampia cronaca di stampa di conforto.

"Tra dieci minuti muori": così il medico al paziente Covid in fin di vita. Maltrattamenti e furti ai defunti nell'inferno dell'ospedale di Taranto. Gino Martina il 4 dicembre 2020 su La Repubblica-Bari. Sono almeno sette gli episodi che riguardano pazienti ricoverati al Moscati morti dopo giorni. Sarebbero venute a mancare assistenza e condizioni di ricovero umanamente adeguate: indaga la procura e anche l'Asl con un'inchiesta interna. Il sindaco convoca i vertici dell'azienda per un chiarimento. Uno dei racconti più scioccanti è quello di Angela Cortese. Il padre, Francesco, positivo al Covid, la notte tra l'1 e il 2 novembre aveva fatto il suo ingresso all'ospedale Moscati di Taranto. Dal suo ricovero al giorno seguente, l'uomo, 78enne, è rimasto in contatto con la famiglia attraverso il telefonino. Ma ciò che ha comunicato in quelle ore ha allarmato tutti: "Venitemi a prendere, qui muoio". Il 3 mattina, la donna, avvocato, parla con un medico che si trova nell'Auditorium dove il padre era stato sistemato. "Suo padre non collabora, non vuole mettersi la maschera Cpap, fra dieci minuti morirà, preparatevi!". La donna racconta di urla, di una sorta d'aggressione al telefono.  "Ci sentiamo piombare addosso d'improvviso queste parole terribili - spiega -, quel medico sembrava una bestia inferocita, contro di noi e mio padre. Ho avuto solo la forza di chiedere della saturazione e per tutta risposta ho ricevuto altre urla: non c'è saturazione, vedrete che fra poco muore!". Cortese domanda se il padre fosse lucido, se stesse lì vicino. "Sì è qui, è qui, mi sta ascoltando, fra poco morirà!". La donna assiste in questo modo alla sua fine. "Neanche i veterinari con i cani si comportano in questa maniera", aggiunge, sottolineando come "Non gli è stata somministrata nessuna terapia, solo ossigeno, solo la Cpap". Affermazioni, quelle di Cortese, che dovranno trovare riscontro nella cartella clinica richiesta all'ospedale e nelle indagini che la procura ha avviato per diversi altri casi di morti nel presidio sanitario a Nord del rione Paolo VI.

Le inchieste. I procedimenti sono più d'uno, fanno seguito alle denunce dei parenti, ma sono volti anche a verificare la corretta osservanza delle misure precauzionali sanitarie da parte della dirigenza ospedaliera. Il sospetto è che l'organizzazione, le attrezzature e il numero del personale tra ottobre e novembre non fossero adeguati ad affrontare la seconda ondata della pandemia, lasciando spazio all'improvvisazione, a Operatori socio sanitari utilizzati come infermieri e personale sotto stress, portando a gravi mancanze.  Al di là del lavoro della magistratura, sono almeno sette gli episodi che riguardano degenti del Moscati morti dopo giorni nei quali sarebbero venute a mancare assistenza e condizioni di ricovero adeguati, oltre che telefoni e oggetti di valore, come fedi e collane, non restituiti ai parenti. Su questi ultimi episodi l'Asl ha diffuso una nota nella quale smentisce che ci possano essere stai dei furti, ma fa emergere anche una scarsa comunicazione tra l'organizzazione del presidio e gli stessi operatori. "Nelle singole unità operative coinvolte nei percorsi assistenziali di presa in carico - scrive l'Asl - sono custoditi e repertoriati numerosi piccoli oggetti di valore ed altri effetti personali. Intanto il sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci, ha deciso di convocare i vertici Asl: "Se confermati, i fatti sono di una gravità inaudita".

"Attento, tra 10 minuti muori". Il medico rivela: "Perché l'ho detto..." Nessun provvedimento nei confronti del medico dell'ospedale di Taranto, che spiega: "Ho urlato solo per salvarlo, come un padre che urla al figlio, perché non voleva mettersi la maschera Cpap". Federico Garau, Mercoledì 09/12/2020 su Il Giornale. Continua la polemica intorno ai fatti avvenuti all'ospedale Moscati di Taranto, dove sono state denunciate gravi lacune di assistenza ed alcuni pazienti hanno perso la vita dopo essere stati ricoverati per giorni. A finire sotto la lente d'ingrandimento il caso del signor Francesco, finito in ospedale dopo aver manifestato i sintomi del Coronavirus. L'uomo, secondo quanto riferito da "Repubblica", era arrivato al pronto soccorso nella notte fra l'1 ed il 2 novembre, e da subito aveva chiesto aiuto alla famiglia, temendo per la propria vita. A raccontare tutto la figlia del 78enne, Angela Cortese, che ha spiegato come il padre avesse chiesto di essere riportato a casa già dal giorno successivo al ricovero. Parlando con un medici per chiedere conto di quanto stava accadendo al genitore, la donna si sarebbe sentita rispondere: "Suo padre non collabora, non vuole mettersi la maschera Cpap, fra dieci minuti morirà, preparatevi!". Da qui l'allarme lanciato dalla signora Cortese, avvocato di professione. "Ci sentiamo piombare addosso d'improvviso queste parole terribili. Quel medico sembrava una bestia inferocita, contro di noi e mio padre. Ho avuto solo la forza di chiedere della saturazione e per tutta risposta ho ricevuto altre urla: non c'è saturazione, vedrete che fra poco muore!", ha raccontato la donna a "Repubblica". "Non gli è stata somministrata nessuna terapia, solo ossigeno, solo la Cpap". Parole forti, quelle dell'avvocato Cortese, alle quali hanno fatto seguito delle indagini da parte della Procura della Repubblica di Taranto. A dire il vero, le inchieste che riguardano l'ospedale sono più di una, dal momento che sono state diverse le famiglie a denunciare discutibili comportamenti nei confronti dei pazienti. Oltre ad episodi di mancata assistenza, c'è chi parla anche di oggetti rubati, cosa che la Asl ha categoricamente smentito. Per quanto riguarda il caso del signor Francesco, poi deceduto lo scorso 3 novembre, il medico accusato di aver usato parole troppo dure nei suoi confronti ha deciso di parlare. La Asl di Taranto, al momento, non ha preso provvedimenti nei suoi confronti. "Ho urlato solo per salvarlo, come un padre che urla al figlio, perché non voleva mettersi la maschera Cpap che in quel momento era fondamentale ma non voleva indossare", ha spiegato il dottor Angelo Cefalo, medico del 118 di Taranto, nel corso della conferenza stampa organizzata nell'auditorium dell'ospedale Santissima Annunziata di Taranto. "Ho conservato come in una cassaforte i messaggi su Whatsapp con la figlia, perché le ho dato la mia disponibilità per spiegarle cosa fosse accaduto e un conforto per la perdita del padre". Il 78enne, hanno spiegato i medici, aveva un livello di saturazione di ossigeno nel sangue molto basso. In più, era cardiopatico, soffriva di insufficienza renale, diabete e bronchite cronica, oltre ad avere una fistola al braccio. "Se fosse stato intubato non ce l'avrebbe fatta, perciò per convincerlo a mettere la Cpap ho utilizzato un linguaggio trasparente, come siamo abituati a fare noi medici che ci relazioniamo con pazienti e parenti", ha raccontato il dottor Cefalo. "Tra dieci minuti muori glielo dicevo solo per convincerlo a mettere la mascherina, gli ho detto se aveva voglia di rivedere i suoi nipoti. Ovviamente i dieci minuti non erano reali ma era la mia disperazione emergentista, perché il nostro lavoro si basa sui secondi che erano fondamentali per salvare la vita del paziente, che purtroppo non ce l'ha fatta dopo circa due ore", ha concluso.

Maltrattamenti e furti in ospedale a Taranto, il sindaco convoca i vertici Asl: "Fatti di una gravità inaudita". La Repubblica-Bari il 04 Dicembre 2020.

Gli oggetti smarriti. Si segnala, ad esempio, che nella cassaforte allocata nel punto di Primo intervento del 118 del presidio ospedaliero San Giuseppe Moscati, sono custoditi oggetti preziosi, mentre altri effetti personali quali valigie, telefoni e relativi carica batteria, sono conservati in aree dedicate del reparto". Nella stessa nota sono stati pubblicati i contatti e il link dell'ufficio di Medicina legale dell'azienda sanitaria attraverso il quale poter cercare le cose appartenenti ai propri cari. Ma alcuni parenti vanno avanti con la denuncia ai carabinieri, come il caso della famiglia Rotelli, sicura che il telefono del padre sia stato rubato e manomesso. Come affermano anche altri parenti di altri degenti, che parlano di video girati all'interno cancellati dai telefoni dei propri cari. "Mia madre - spiega Tina Abanese, di Massafra - è stata ricoverata in quei giorni per una crisi respiratoria. È stata maltrattata da alcuni addetti che le rispondevano in malo modo. Non è stata cambiata per ore. È rimasta anche senza cibo e dopo due giorni dalla sua morte ci siamo accorti che nella borsa mancavano la fede e un altro anello, che indossava al momento dell'ingresso in ospedale". 

Il ricovero nel container. Donato Ricci, imprenditore di Martina Franca, ha perso invece il padre, ex ispettore di polizia. Ha raccolto i primi di novembre il suo grido d'aiuto. "Chiamate la polizia, portatemi via da qui", diceva. L'uomo, in salute prima di aver contratto il Covid, ha anche girato dei video nel container dov'era ricoverato con la biancheria abbandonata per terra in un angolo. Ricci ha raccolto in un gruppo Whats'app i contatti di altri parenti di chi non c'è più dopo esser passato in quei giorni nell'ospedale, durante i quali era anche difficile poter contattare i propri cari o avere notizie dal personale, per mancanza di un numero telefonico apposito (è stato attivato nelle ultime settimane). C'è chi racconta di bagni sporchi, inaccessibili, camere mortuarie con cadaveri sistemati alla peggio, addetti delle onoranze funebri che li prelevano senza alcuna protezione. "Abbiamo denunciato la sparizione di anelli, della fede nuziale e d alcune collane di mio padre - raccontano Mariangela e Pierangela Giaquinto, figlie di Leonardo, paziente Covid ricoverato il 30 ottobre e scomparso il 21 novembre - ci hanno detto che avrebbero richiamato se e nel caso avessero ritrovato qualcosa ma non abbiamo avuto alcune segnalazione. Mio padre è stato intubato e indotto due volte al coma farmacologico. La seconda, però, non ce l'ha fatta". A muoversi ora è anche il Tribunale del malato, che chiede formalmente un intervento della Regione: dall'assessore alla Sanità Pierluigi Lopalco al governatore Michele Emiliano. "La situazione è allarmante - spiega la coordinatrice Adalgisa Stanzione - non solo perché ci sono casi di morti, ma perché c'è stata una sottovalutazione delle autorità competenti. Se non si aveva personale sufficiente per assistere i pazienti bisognava agire prima, non arrivare fino ai primi di novembre, quando c'erano al Moscati 95 persone ricoverate per Covid. Gli Oss hanno dovuto sopperire al lavoro degli infermieri. Ci stiamo muovendo con le nostre strutture legali per fare chiarezza. La situazione è migliorata con l'attivazione dei posti alla clinica Santa Rita e all'ospedale Militare, ma senza personale i posti letto servono a poco. Il diritto alla salute - prosegue Stanzione -  va rispettato a partire dalla qualità della prestazione che non può essere soffocata dalla pseudo carenza di infermieri e medici. E poi la gente va trattata con umanità, va ascoltata, e non attaccata come incompetente e sprovveduta, da personale sotto stress. La pandemia - conclude - non può essere affrontata senza mezzi, è come combattere una guerra senza fucili".

In ospedale la morte sospetta di un 68enne. I familiari: «Abbandonato su una sedia». C'è l'inchiesta. Francesco Casula su  il Quotidiano di Puglia-Taranto Martedì 8 Dicembre 2020. La procura della Repubblica di Taranto ha disposto l'autopsia sul corpo di un uomo deceduto all'ospedale Moscati per Covid19, ma per cause ancora ignote alla famiglia dell'uomo. È stato il sostituto procuratore Remo Epifani ad aprire un fascicolo contro ignoti e a disporre l'esame autoptico: l'incarico al medico legale sarà affidato domani mattina nel Palazzo di giustizia e subito dopo il consulente eseguire gli accertamenti richiesti dal magistrati per stabilire la reale causa del decesso. Non ci sono, al momento, nomi iscritti nel registro degli indagati, ma il pubblico ministero Epifani ha ipotizzato il reato di «responsabilità colposa per morte o lesioni personali in ambito sanitario». È stata la denuncia depositata dai familiari, alcuni dei quali si sono rivolti all'avvocato Gaetano Vitale, a spingere la procura a effettuare una serie di approfondimenti. Nella denuncia, infatti, i parenti della vittima hanno raccontato che l'uomo, dopo aver trascorso una degenza burrascosa dovuta al peggioramento delle sue condizioni, sembrava aver ormai superato la fase critica e secondo gli aggiornamenti che il medico di famiglia forniva ai congiunti, sembravano prossime le dimissioni dall'ospedale. Una mattina, però, quelle speranze insieme al resto del mondo sono crollate. I familiari hanno infatti ricevuto la telefonata da un medico del nosocomio tarantino che annunciava la morte dell'uomo. Nessuna spiegazione sulle cause, nessuna comunicazione ufficiale che informasse la famiglia di cambiamenti improvvisi del quadro clinico. Non solo. Secondo le informazioni raccolte da alcuni parenti, l'uomo di 68 anni con problemi di diabete, sarebbe stato ritrovato già cadavere nelle prime ore del 18 novembre, non nel suo letto, ma addirittura seduto su una sedia accanto al suo letto. Un dettaglio che secondo i denuncianti è la dimostrazione dello stato di abbandono al quale sarebbero stati costretti i pazienti nei reparti dell'ospedale ionico. E oltre all'elevato numero di pazienti rispetto a quello del personale sanitario, denunciato anche dai sindacati nelle scorse settimane, i familiari avrebbero anche fatto notare come in quella stessa notte in cui sarebbe avvenuta la morte del 68enne, sarebbero stati registrati anche altri 13 decessi. Per i familiari, quindi, la causa della morte potrebbe non essere stato il virus contratto dall'uomo una decina di giorni prima, ma lo stato di abbandono oppure le negligenze di chi avrebbe dovuto garantire assistenza. E dalle parole dei familiari, inoltre, sarebbero emerse anche accuse circostanziate rispetto alle modalità di sistemazione dei pazienti a cui il personale medico e paramedico è costretto a fare ricorso per affrontare l'emergenza in corso. Sulla vicenda il pm Epifani ha affidato anche una delega di indagini agli investigatori della Squadra mobile di Taranto che hanno acquisito la cartella clinica della vittima. La salma, in attesa dell'autopsia è stata trasferita nelle celle frigorifere di Bari. Gli elementi raccolti dai poliziotti e dal medico legale che sarà nominato come consulente della procura per effettuare l'autopsia, serviranno per ricostruire l'intero quadro della vicenda e poter valutare in modo chiaro e approfondito le eventuali responsabilità del personale che aveva in cura il 68enne.

Covid, preziosi scomparsi e disumanità, inchiesta sull'ospedale: «Vogliamo la verità». Le testimonianze dei familiari delle vittime: «Quando ci dissero, “faccia poche tragedie”». u  il Quotidiano di Puglia-Taranto Sabato 5 Dicembre 2020. «Amore, mi stanno portando in rianimazione, forse m'intubano». È l'ultimo messaggio che Ubaldo, 62 anni, è riuscito a mandare alla moglie prima di morire. Un tenero cuoricino rosso per chiudere la frase. Questo, assieme a tanti altri strazianti messaggi audio e video, farà parte delle denunce, undici sinora quelle previste, che presenteranno i componenti del gruppo «Per i nostri parenti», mogli, figlie e figli di altrettanti pazienti deceduti per Covid nei reparti soppressi dell'ospedale San Giuseppe Moscati di Taranto. Parenti che chiedono giustizia, spinti da cause diverse: la scomparsa di oggetti di valore indossati dai propri cari, ma anche presunti comportamenti dei sanitari al limite del disumano come anche dubbi sul trattamento e sulle terapie praticate sui pazienti. Anelli, fedi nuziali, orologi e telefoni cellulari che appartenevano a pazienti morti per Covid, nell'ospedale Moscati di Taranto, non sono mai più stati consegnati ai parenti che sospettano possano essere stati rubati. La magistratura ha aperto una inchiesta, mentre l'Asl di Taranto ha avviato una indagine interna. Ad alcuni cellulari restituiti - secondo la denuncia dei parenti - sarebbe stata cancellata la memoria che conteneva importanti ricordi. E forse anche qualcosa di strano che accadeva nell'ospedale e che era stata filmata e quindi - secondo i familiari delle vittime - doveva essere cancellata. Tra gli episodi riferiti, quello di un paziente 78enne la cui figlia ha ricevuto la telefonata di una dottoressa che, urlando, si lamentava perché l'anziano non sopportava la maschera per l'ossigeno. Davanti al paziente, che era vigile, la dottoressa avrebbe detto «se non la tiene muore, fra dieci minuti muore». Pochi minuti dopo la stessa dottoressa avrebbe chiamato la figlia del paziente dicendo «gliel'avevo detto che moriva, ed è morto». Nel suo racconto, la figlia di Ubaldo, quello del tenero e drammatico ultimo messaggio con il cuoricino rosso alla moglie, parla di «sgarbatezza e disumanità» nel descrivere le comunicazioni tra la famiglia e il personale dove è stato ricoverato suo padre. La sua storia è simile alle altre del gruppo. «Nostro padre aveva 62 anni, era pensionato Ilva e soffriva solo di pressione che controllava bene con una compressa al giorno». Poi l'incontro con il coronavirus. Otto giorni di cura a casa, il peggioramento dei sintomi e il ricovero al Moscati. «Gli hanno fatto il tampone risultato poi positivo e nell'attesa del referto è stato messo in un ufficio adibito a stanza di degenza dove è rimasto due giorni su una brandina con la borsa degli indumenti sulle gambe». Finalmente viene sottoposto ad esame Tac che rivela una grave polmonite da Covid. Viene così spostato nel prefabbricato della rianimazione modulare e da allora inizia l'odissea della famiglia che non avrebbe avuto notizie per mancanza di interlocutori. Nel bunker schermato il telefonino non sempre aveva la linea. Il seguito del racconto è ricco di telefonate senza risposta o di mezze risposte o di risposte cariche d'astio di chi dall'altra parte del telefono avrebbe dovuto tranquillizzare e informare sulle condizioni di salute del malato. E' ancora a figlia a parlare. «Infine il messaggio di papà alla mamma e poco dopo la telefonata di una dottoressa che c'informa che dovevano intubarlo. La nostra reazione si può immaginare racconta la figlia - io stessa ho richiamato subito dopo per avere più informazioni e la risposta che mi hanno dato non la scorderò mai: "Signora, poche tragedie per favore perché non posso perdere tempo con lei"». Ubaldo non ce l'ha fatta, è morto il 7 novembre scorso nella rianimazione del Moscati. Le cause del decesso, oltre ai comportamenti dei sanitari, saranno i quesiti che i familiari metteranno nella denuncia che presenteranno appena entreranno in possesso della cartella cinica. Intanto su questo e sui presunti casi di furto di oggetti di valore dai cadaveri Covid, il sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci, ha convocato il direttore generale Asl, Stefano Rossi. «Si tratta di vicende - commenta il primo cittadino - se confermate, che oltre ad essere di una gravità inaudita, vanificherebbero gli sforzi che l'intera comunità sta compiendo e che, in particolare, stanno compiendo le istituzioni di ogni genere per garantire i diritti fondamentali dei cittadini in questo particolare periodo. Nessuna emergenza, infatti conclude il sindaco - può giustificare abusi, superficialità o deroghe al corretto esercizio di qualsiasi genere di servizio essenziale, a maggior ragione dei servizi di natura sanitaria».

Gli strumenti della cura. Il saturimetro è uno strumento per la misurazione dell’ossigeno del sangue e del battito cardiaco. In ospedale, questo strumento non è ad acchiappapanni, ma è adesivo al dito. Le unghie, il sudore, l'acqua ne minano l'affidabilità, ma sui parametri falsati, spesso si poggiano le terapie.

La Cura. Per i sanitari la morte di un paziente è sempre certificata come conseguenza di patologie pregresse: falso!

Carla Massi per “il Messaggero” il 22 novembre 2020. Il titolo del documento è Decisioni per le cure intensive in caso di sproporzione tra necessità assistenziali e risorse disponibili in corso di pandemia da Covid-19. Tradotto significa ecco quali sono i criteri che i medici, gli anestesisti in particolare, dovrebbero seguire nel caso in cui dovessero trovarsi a scegliere chi ricoverare prima in terapia intensiva. Solo in una situazione di estrema gravità, dunque.

IL PROTOCOLLO. È stato messo a punto dalla Società italiana di anestesia analgesia rianimazione e terapia intensiva e dalla Società italiana di medicina legale e delle assicurazioni. Un documento secondo il quale dovrebbe essere assistito prima colui che ha maggiori speranze di vita. Come avviene durante le catastrofi. Come sta avvenendo in molte terapie intensive in cui, spesso, ci si trova a dover fronteggiare uno squilibrio tra domanda e offerta di cure. Al paziente, si legge ancora, vanno comunque garantiti i suoi diritti e assicurato che sarà preso in carico con «gli strumenti possibili». «Fermi restando i principi costituzionali (diritto alla tutela della salute e all'autodeterminazione, principio di uguaglianza, dovere di solidarietà - si legge nel testo pubblicato sul sito del Sistema nazionale linee guida dell' Istituto superiore di sanità) - si rende necessario ricorrere a scelte di allocazione delle risorse». Per le due società, vista la situazione, è necessario creare un triage ad hoc negli ospedali. Un centro di valutazione finalizzato a stabilire quali pazienti hanno la priorità per essere assistiti. Che per le rianimazioni, spiegano gli anestesisti, significa accertare chi «potrà con più probabilità o con meno probabilità superare la condizione critica con il supporto delle cure intensive». L' età, dunque, non è di per sé un criterio sufficiente per stabilire chi può beneficiare delle terapie. Ovviamente sono stati individuati anche tutti i parametri, sono dodici ora all' esame dell' Istituto di sanità, e tutte le possibili condizioni da seguire prima di arrivare alla scelta. Scelta che i medici, sempre nel caso di sovraffollamento, quando possibile, intendono sottoporre anche al paziente. Alcuni, come ci ricorda l' ampio dibattito sul testamento biologico, potrebbero anche non desiderare di essere sottoposti a cure intensive. In ogni caso dovrebbero essere rispettate le volontà nel caso il paziente abbia lasciato uno scritto o, in quel momento, informi il medico che lo sta assistendo.

LE RISORSE. «Lo scenario in cui ci siamo trovati a marzo sta purtroppo tornando attuale con un' intensità e una durata ancora non quantificabili - fa sapere la presidente della Società italiana di anestesia, analgesia, rianimazione e terapia intensiva Flavia Petrini - Per questo si è lavorato sui criteri di scelta di fronte a una eventuale mancanza di letti in terapia intensiva. Gli anestesisti-rianimatori sono tra i sanitari maggiormente impegnati, in Italia come negli altri Paesi, nelle cure per i pazienti colpiti dal virus. La scarsità di risorse prodotta dalla pandemia ci coinvolge in modo particolare. Abbiamo fatto e stiamo facendo ogni sforzo per garantire le migliori possibilità di cura in circostanze spesso drammatiche. Come si è visto in tanti filmati». La deontologia medica, come scrive nell' introduzione del documento Carlo Maria Petrini, direttore dell' Unità di Bioetica e presidente del Comitato etico dell' Istituto superiore di sanità, pone al centro il paziente privilegiando il criterio terapeutico. «Tuttavia - sono parole di Petrini - vi sono situazioni in cui è impossibile trattare tutti. In questi casi la sola etica ippocratica risulta insufficiente. Occorre applicare il triage. E come ogni atto medico deve basarsi innanzi tutto sui criteri di appropriatezza e proporzionalità». Si cominciano, intanto, a vedere i primi effetti della generale stretta nel Paese. Frena, infatti, l' incremento dei pazienti ricoverati in terapia intensiva per Covid-19. Secondo i dati di ieri del ministero della Salute: sono dieci le persone entrate nei reparti di rianimazione, che portano il totale a 3.758. Superata invece la soglia dei 34 mila nei reparti ordinari.

In ospedale l’iter giornaliero è questo:

5.30 prelievi di sangue, a volte l’Emogas arterioso. Per sottoporsi a emogasanalisi arteriosa non è richiesto il digiuno, né la sospensione di eventuali terapie in corso. L'esame può essere moderatamente doloroso. E’ estremamente doloroso se fatto da mani incapaci. Spesso analisi dell’urine. Tre volte al giorno misurazione della febbre e misurazione della pressione.

8.30 distribuzione della protezione e del cortisone ed eventuale flebo.

16.30 somministrazione tramite flebo di antibiotici, farmaci sperimentali, liquido di lavaggio.

Si crede che rivolgendosi alle strutture sanitarie ci si possa curare dal covid. Non è così. Spesso si muore. Io posso raccontare la mia esperienza in virtù del fatto di essere Antonio Giangrande. Esperto del Virus, fortemente caparbio ed estremamente rompiballe. Io sono a detta di tutti un miracolato. Ma il miracolo l’ho anche voluto io. Dal primo momento, la degenza in ospedale è stata caratterizzata dall’essere positivo sia dal Covid, sia nello spirito. Il mio principio, data la mia esperienza, le mie traversie e le mie sofferenze, è: me ne fotto della morte. Ed è stato lo spirito giusto. Ho mantenuto il morale alto ai miei compagni ed intrattenuto ottimi rapporti con gli operatori sanitari (meglio tenerseli buoi a scanso di ritorsioni).

La mia cura prima del ricovero era: protezione, antibiotico, cortisone, eparina.

La mia cura in degenza era: protezione, antibiotico, cortisone, eparina. Uguale!

In aggiunta c’era solo l’ossigenoterapia.

Loro curano la polmonite bilaterale interstiziale. La polmonite da Covid-19 è altra cosa. Perché è diversa la causa. Se non combatti la causa, l’infiammazione si aggrava, porta al collasso dei polmoni, in particolare uno, e mina la funzionalità degli altri organi: da ciò consegue la morte.

Negli ospedali si attende. Si aspetta l’evoluzione della malattia. Si aspetta il miracolo. Non c'è evoluzione positiva della malattia se non si effettua la cura adeguata. Le cure ci sono ma non le applicano per protocollo.

L’ossigenoterapia a me applicata era pari a 10 litri, con inalazione tramite mascherina con la bustina.

Tra i medicinali e l’ossigeno, la terapia nel complesso si è dimostrata inadeguata, tanto da causare l’aggravarsi della mia situazione. Hanno portato il livello della mia ossigenazione a 15, il massimo per quel reparto di ortopedia con inalazione tramite mascherina con busta. Sempre lucido e con il morale alto ho imposto la mia volontà e la mia competenza. Farmi somministrare, tramite flebo, il “remdesivir”, adottato contro l’Ebola. Farmaco osteggiato dall’elite sanitaria mondiale e nazionale.

La battaglia sul Remdesivir, il farmaco anti Covid che divide i due lati dell'Oceano. Elena Dusi su La Repubblica il 5 dicembre 2020. Per l'Oms non va usato: benefici inferiori ai rischi. Ma per il prestigioso New England Journal of Medicine a sbagliare è stata l'organizzazione mondiale per la sanità con sperimentazione su dati disomogenei. In ballo, oltre alla salute, c'è una fortuna: ogni ciclo di cura costa 2.400 dollari. C’è un farmaco che funziona in America ma non nel resto del mondo. E’ il controverso remdesivir, antivirale messo a punto per Ebola ma “riposizionato” in regime d’emergenza contro il coronavirus, usato anche per trattare il presidente americano Donald Trump. L’Organizzazione mondiale della sanità a fine novembre ha pubblicato i risultati di uno studio da lei coordinato: i benefici del farmaco non superano i rischi. «L’antivirale remdesivir non è consigliato per pazienti ospedalizzati per Covid-19, a prescindere dalla gravità della malattia, perché al momento non ci sono prove che migliori la sopravvivenza o la necessità di supporto di ossigeno». Anche i risultati dei trial precedenti non erano stati brillanti, ma lasciavano intravedere un qualche beneficio, come la riduzione dei giorni passati in ospedale (cinque in meno, in media, rispetto al placebo, secondo uno studio americano). La pubblicazione targata Oms, avvenuta sul British Medical Journal, ha spinto anche la nostra Aifa (Agenzia italiana per il farmaco) a riunire un tavolo per riscrivere le indicazioni di questo antivirale, che frutta alla casa produttrice americana Gilead 2.400 dollari per ogni ciclo (5 giorni di trattamento), somministrato via flebo esclusivamente in ospedale. L’articolo del British (che mette insieme i risultati di quattro studi diversi per un totale di 7mila pazienti) ha fatto cadere le azioni dell’azienda farmaceutica, nel giorno della pubblicazione, dell’8%. Da Boston, sede del prestigioso New England Journal of Medicine, è subito arrivata la replica: a sbagliare è l’Oms, scrive la rivista in un editoriale. La sperimentazione dell’Organizzazione di Ginevra, battezzata Solidarity, è stata condotta in 30 paesi, dalla Svizzera alla Germania, dall’Iran al Kenya. Secondo il New England non avrebbe raccolto dati omogenei. “Gli standard di cura in queste nazioni sono variabili, così come la condizione dei pazienti che vengono ricoverati in ospedale”. Il remdesivir – ribadisce l’altra sponda dell’Atlantico – deve continuare a essere somministrato.  Di questa opinione era, fino alla scorsa estate, anche l’Europa. Trovatasi a corto di scorte (a luglio la Casa Bianca si è accaparrata tutte le dosi prodotte da lì a settembre), la Commissione ha intavolato in tutta fretta una trattativa con Gilead per una fornitura di 500mila dosi al prezzo di 1,2 miliardi di euro. La casa farmaceutica, secondo un’indiscrezione del Financial Times, conosceva già i risultati scettici dello studio Oms, ma non li avrebbe comunicati agli europei. “L’Italia – prosegue il quotidiano inglese – ha pagato 51 milioni per un ordine di remdesivir quando i casi stavano salendo e le scorte si stavano assottigliando”.  Mi hanno fatto firmare la liberatoria con assunzione di responsabilità, previa nota informativa, per l’assunzione di un farmaco, non adottato a Manduria e nella maggior parte degli ospedali italiani. E poi, in previsione di morte certa, perché non tentare con cure che possono essere anche dannose o inefficaci?

Sull’efficacia del farmaco io sono un testimone, vivente, ospedalizzato ed attendibile. Dopo due giorni di cure, sì inefficaci, che mi hanno fatto rasentare la morte con il quadro clinico compromesso ed aggravante, con 15 litri di ossigeno e saturazione insufficiente, dopo tre giorni di infusioni con una dose al dì del farmaco, la mia situazione clinica è immediatamente migliorata. Da 15 litri di ossigeno sono passato a 4, con ossigenazione a 92, e tutti gli altri valori sono immediatamente migliorati. Tanto da che il tampone effettuato il giorno 3 dicembre 2020 è risultato negativo.

Sul costo del farmaco io sono dubbioso. Se si è curata l’Africa infetta da Ebola, non penso non si possa salvare la popolazione dei paesi più ricchi. E poi con tanti soldi buttati al vento tra sprechi, regalie e sostegni economici a pioggia, non penso che si possa far morire la gente per spilorceria.

Michele Bocci per repubblica.it il 28 novembre 2020. Non vanno dati subito e in certi casi non devono proprio essere somministrati. Bisogna valutare bene la situazione prima di scegliere i farmaci per la terapia domiciliare contro il Covid. Il cortisone, ad esempio, si può prendere in considerazione dopo almeno tre giorni di sintomi e se peggiora la saturazione dell'ossigeno nel sangue. L'eparina, che tanti medici invece utilizzano, andrebbe iniettata solo a chi rimane a letto a lungo a causa del virus. Del resto non ci sono prove di un beneficio clinico dal suo uso su chi non è ospedalizzato o comunque immobilizzato. E vitamine e integratori non servono proprio a niente. Sta finendo novembre e finalmente arrivano delle linee guida nazionali per la gestione al domicilio dei malati di Covid. Le ha approvate ieri il Cts della Protezione civile anche se il documento va ancora ritoccato. Ad attenderlo sono tantissimi professionisti. Medici di famiglia (che hanno collaborato a stenderlo) e delle Usca, ad esempio, oltre a tutti gli specialisti che in questi mesi sono rimasti sommersi sotto un gran numero di protocolli. C'è quello dell'ordine dei medici della Lombardia, che ritiene utile il cortisone ma solo con problemi di saturazione e febbre che va avanti da 5-7 giorni, e c'è il primario delle malattie infettive di Genova Matteo Bassetti, che suggerisce di aspettare 4 giorni di sintomi moderati prima di avviare i trattamenti farmacologici. Poi c'è la Simg, la società scientifica dei medici di famiglia, che parla di malattia moderata quando ci sono tre giorni di febbre superiore a 38 gradi o problemi di respirazione non gravi e indica di prendere il cortisone al settimo giorno di sintomi, quando suggerisce di introdurre anche l'eparina. L'Italia è il Paese delle linee guida sanitarie e il Covid non ha fatto eccezione.(…) Il documento del Cts dovrebbe mettere le cose a posto. Intanto sottolinea l'importanza del saturimetro, che in situazione normale segna un dato superiore al 95%: "L'utilizzo diffuso di questo strumento potrebbe ridurre gli accessi potenzialmente inappropriati ai pronto soccorso". Il limite di saturazione accettabile, tenuto anche conto del margine di errore degli strumenti da casa, è comunque quello del 92%. Quando il medico assiste a domicilio persone con pochi sintomi deve appunto far misurare l'ossigenazione di frequente, trattare la febbre con il paracetamolo e assicurarsi che il pazienti si idrati e mangi. Il cortisone a domicilio "può essere considerato in quei pazienti in cui il quadro clinico non migliora entro le 72 ore, soprattutto in presenza di un peggioramento dei parametri pulsossimetrici". Come detto l'eparina non va usata "se non nei soggetti immobilizzati per l'infezione in atto". Poi ci sono gli antibiotici, che vanno dati solo se c'è febbre per oltre 72 ore e il quadro clinico fa sospettare che sul problema virale si sia innestata una infezione batterica. L'idrossiclorochina non va usata, dicono gli esperti, e non vanno fatti farmaci con l'aerosol se ci sono conviventi non colpiti dal virus, visto che quel sistema è molto contagioso. Infine "non esistono a oggi evidenze solide e incontrovertibili di efficacia di supplementi vitaminici o intengratori alimentari, a esempio la vitamina D, la lattoferrina, la quercitina, il cui utilizzo per questa indicazione non è quindi raccomandato".

Bassetti: "Ecco la verità su Remdesivir, eparina e cortisone". Il professor Bassetti intervistato da ilGiornale.it: "Troppa confusione, ora servono linee condivise per fermare il virus". Matteo Carnieletto e Andrea Indini, Lunedì 02/11/2020 su Il Giornale. Professor Bassetti, ad oggi il Covid-19 ha fatto oltre 38mila morti in Italia. C’è chi punta il dito contro i medici di base, che non avrebbero curato a dovere i propri pazienti, preferendo spedirli in ospedale.

È davvero così?

«Innanzitutto non è del tutto vero che i medici non vanno a visitare i pazienti a casa. C’è però una cosa da dire: la nostra organizzazione delle medicina territoriale non è fatta per gestire una pandemia. Un medico arriva ad avere 1500 assistiti. In una città come Milano, dove in questo momento c’è una grande circolazione del virus, è probabile che un medico abbia a casa anche il 10, 15 per cento dei pazienti con i sintomi del Covid-19. Un medico è in grado di gestire 150 persone insieme? Non è un problema dei medici, è un problema di organizzazione e di tagli che sono stati fatti negli ultimi trent’anni. Nessuno se n’è accorto sul momento, adesso però stiamo vedendo i risultati. Ora bisogna imparare la lezione e organizzare il futuro: ci vogliono investimenti pesanti e sostanziosi».

Cortisone ed eparina sono medicinali che potrebbero essere somministrati ai malati che sono a casa. Perché non vengono prescritti?

«Bisogna stare attenti: lo studio “Recovery” dice che il cortisone ha un beneficio nelle forme gravi, in quelle dove il paziente ha la polmonite e un deficit di ossigeno. In questo caso funziona. Nei casi medio-lievi il cortisone potrebbe anche non essere la risposta corretta. Il problema è avere protocolli condivisi. Sapere cioè cosa fare quando un paziente ha la febbre, quando ha anche tosse e sintomi respiratori, se ha una grave (ma ancora non gravissima) insufficienza respiratoria, a chi posso dare l’eparina e a chi no. Sono tutte cose che sarebbe bene fossero in un protocollo nazionale».

Che attualmente però non c’è…

«No, c’è molto disordine. Ognuno fa un po’ come gli pare. Ho saputo anche di soggetti asintomatici che sono stati trattati con eparina, cortisone e antibiotici. La gente sente questa confusione e va in ospedale, dove si presume ci sia un po’ più di ordine».

Arrivata in ospedale, come viene curata la gente?

«Dipende dal quadro che ci troviamo davanti. Entro i dieci giorni dall’emergere dei sintomi si usa il cortisone a dosi sostenute, il Remdesivir che è stato approvato per chi ha deficit respiratori, l’eparina per evitare che si formino trombi e poi, per le forme più impegnative di polmonite, si aggiunge l’antibiotico».

Perché non viene regolarmente somministrato il Remdesivir?

«Ci sono criteri molto chiari definiti dall’Aifa. Va usato solo se i sintomi hanno un esordio da meno di dieci giorni ed è quello che facciamo anche noi seguendo i criteri dell’Aifa».

Quando Trump ha preso il Covid è guarito nel giro di pochi giorni. Eppure era considerato un soggetto a rischio. Perché?

«Hanno usato una cura sperimentale che attualmente non è in commercio - l’anticorpo monoclonale Regeneron - e che probabilmente ha dato buoni risultati. Ci sono dati preliminari che dicono che questo anticorpo potrebbe funzionare. Bisogna aspettare la conclusione dello studio: una volta che ci sarà, potremo dire qualcosa di più. Indubbiamente però uno degli anticorpi monoclonali in studio sembra essere promettente. È probabile che Trump abbia avuto una forma non troppo grave, ma è anche vero che per curarlo sono stati utilizzati il Remdesivir, l’eparina e l’anticorpo monoclonale».

Torniamo alle cure in casa. Il professor Cavanna è considerato il "padre" del modello Piacenza alla base del quale c'è l'uso della idrossiclorochina. Funziona?

«C’è uno studio che dimostra che l’idrossiclorochina non funziona. Fino a che non ci saranno nuovi studi che dimostrano che il farmaco funziona, io non lo utilizzerei. C’è uno studio randomizzato che dimostra come coloro a cui è stata somministrata l’idrossiclorochina non hanno ottenuto alcun beneficio. Bisogna evitare di fare una medicina aneddotica. La medicina si fa con l’evidenza scientifica, che arriva dagli studi. L’unico modo che hai per dimostrarne l’efficacia è quello di fare uno studio randomizzato: se lo fa hai un’evidenza scientifica. Altrimenti hai solo un’opinione».

Si può dunque fare di più nella scelta dei medicinali e così diminuire il numero dei morti?

«Ci sono alcune cose che si sarebbero dovute fare e che non sono state fatte. Primo: creare protocolli condivisi a livello nazionale, una sorta di linee guida italiane a cui le società scientifiche stanno lavorando. Io sono presidente della Società italiana di terapia anti infettiva, e abbiamo messo in piedi un gruppo di studio, insieme alla Società italiana di pneumologia, per stilare delle linee guida di trattamento del Covid. Con questo gruppo di lavoro cercheremo di produrre un documento che spieghi come trattare il Covid: quali farmaci utilizzare e quali no. Secondo: uniformare i criteri di ospedalizzazione. Chi deve essere ricoverato in ospedale? Chi deve essere curato a casa? Chi deve essere ricoverato in una struttura extra ospedaliera? Ci devono essere parametri precisi, che siano utilizzati da tutti. Ci devono essere anche criteri di dimissioni condivisi: una volta che il paziente sta bene, che non ha più bisogno di presidi ospedalieri, quando lo posso dimettere? Questo è importante perché permette un turnover maggiore di posti letto. Se riusciamo a far girare al meglio i pazienti, il sistema può reggere. Terzo: collegare l’ospedale e il territorio. La gente deve sentirsi sicura e sapere che i medici di base sono collegati all’ospedale in un certo senso si porta a casa l’ospedale».

Molti hanno affermato che la lattoferrina può essere un utile alleato contro il Covid. È davvero così?

«Anche su questo non ci sono forti evidenze. La lattoferrina è un farmaco che non ha grandi effetti collaterali, quindi se uno vuole può usarlo, ma non ci sono evidenze così forti a suo favore. Ci sono delle esperienze aneddotiche, ma io lavoro con le evidenze. Se uno la vuole utilizzare può farlo, ma non credo entrerà nelle linee guida come farmaco che cambierà la storia del Covid».

Da leggo.it l'11 dicembre 2020. La III Sezione del Consiglio di Stato ha accolto, in sede cautelare, il ricorso di un gruppo di medici di base e ha sospeso la nota del 22 luglio scorso di AIFA che vietava la prescrizione off label (ossia per un uso non previsto dal bugiardino) dell' idrossiclorochina per la lotta al Covid. «La perdurante incertezza circa l'efficacia terapeutica dell'idrossiclorochina, ammessa dalla stessa AIFA a giustificazione dell'ulteriore valutazione in studi clinici randomizzati - si legge nell'ordinanza - non è ragione sufficiente sul piano giuridico a giustificare l'irragionevole sospensione del suo utilizzo sul territorio nazionale». Gli appellanti, nella loro qualità di medici che avevano sino a quel momento prescritto l'idrossiclorochina ai pazienti, hanno proposto ricorso contro la nota di AIFA sostenendo in sintesi che l' idrossiclorochina, sulla base di studi clinici pubblicati su riviste internazionali accreditate, sarebbe efficace nella lotta contro il virus, censurando il difetto di istruttoria che inficerebbe le determinazioni di AIFA, e hanno lamentato la lesione della loro autonomia decisionale, tutelata dalla Costituzione e dalla legge, nel prescrivere tale farmaco sotto la propria responsabilità, ai pazienti non ospedalizzati che acconsentano alla sua somministrazione per la cura domiciliare del SARS-CoV-2. Nella prima fase della pandemia AIFA, così come del resto altre Agenzie nazionali europee ed extraeuropee, ha inizialmente consentito all'utilizzo off label - e, cioè, al di fuori del normale utilizzo terapeutico già autorizzato - dell'idrossiclorochina e ha reso prescrivibili a carico del Servizio Sanitario Nazionale alcuni farmaci, tra i quali la clorochina e, appunto, l'idrossiclorochina. Ma successivamente AIFA ha disposto la sospensione dell'autorizzazione all'utilizzo off label dell' idrossiclorochina per il trattamento del Sars-Cov-2, se non nell'ambito di studi clinici controllati, e la sua esclusione dalla rimborsabilità a carico del Servizio sanitario nazionale. Alla base di questa determinazione AIFA ha posto alcune evidenze sperimentali che avrebbero rivelato un profilo di efficacia assai incerto del farmaco nel contrasto al virus e un rischio di tossicità, in particolare cardiaca, rilevante ad elevati dosaggi. «La scelta se utilizzare o meno il farmaco, in una situazione di dubbio e di contrasto nella comunità scientifica, sulla base di dati clinici non univoci, circa la sua efficacia nel solo stadio iniziale della malattia - si legge nell'ordinanza del Consiglio di Stato - deve essere rimessa all'autonomia decisionale e alla responsabilità del singolo medico» «in scienza e coscienza» e con l'ovvio consenso informato del singolo paziente. Rimane fermo il monitoraggio costante e attento del medico che lo ha prescritto. L'ordinanza - è la n.7097/2020 ed è stata pubblicata oggi - precisa che non è invece oggetto di sospensione (né a monte di contenzioso) la decisione di AIFA di escludere la prescrizione off label dell' idrossiclorochina dal regime di rimborsabilità

Covid, via libera all'idrossiclorochina: "Irragionevole vietarne l'uso". Colpo di scena in Italia: il Consiglio di Stato accoglie il ricorso dei medici di base. "Dati clinici non univoci". Ma non può essere rimborsato. Giuseppe De Lorenzo, Venerdì 11/12/2020 su Il Giornale. Colpo di scena. Esultano i medici che da tempo sostengono l'uso dell'idrossiclorochina contro la malattia Covid-19. Il Consiglio di Stato, infatti, ha accolto il ricorso di alcuni medici contro la decisione dell'Aifa di vietarne la prescrizione off label, cioè per un uso non previsto dal bugiardino. Il medicinale finito al centro della polemica politica per "colpa" di Trump, Bolsonaro e (soprattutto) dei loro detrattori rientra in campo dalla finestra dopo essere stato messo alla porta senza tanti complimenti. Una decisione, quella dell'Aifa, che aveva diviso (e che ancora divide) la comunità scientifica tra chi ritiene l'Hcq pericolosa e chi la considera una valida arma contro il coronavirus. L'ordinanza del Consiglio di Stato, la numero 7097/2020, è stata pubblicata questa mattina ed è destinata a far discutere. Per i giudici amministrativi l'idrossiclorochina può essere usata come terapia per Covid-19, previa prescrizione di un medico e comunque, come previsto dall'Aifa, senza la rimborsabilità da parte del Servizio sanitario nazionale. La III Sezione ha accolto, in sede cautelare, il ricorso di un gruppo di medici di base e ha sospeso la nota del 22 luglio del 2020 con cui l'Aifa aveva impedito ai medici di prescrivere l'Hcq al di fuori degli studi clinici autorizzati dall'Ente. "La perdurante incertezza circa l'efficacia terapeutica dell'idrossiclorochina, ammessa dalla stessa Aifa a giustificazione dell'ulteriore valutazione in studi clinici randomizzati - si legge nella corposa ordinanza - non è ragione sufficiente sul piano giuridico a giustificare l'irragionevole sospensione del suo utilizzo sul territorio nazionale da parte dei medici curanti". E ancora: "La scelta se utilizzare o meno il farmaco, in una situazione di dubbio e di contrasto nella comunità scientifica, sulla base di dati clinici non univoci, circa la sua efficacia nel solo stadio iniziale della malattia, deve essere dunque rimessa all'autonomia decisionale e alla responsabilità del singolo medico in scienza e coscienza". Ovviamente ci deve essere il consenso informato del paziente e il medico deve monitorare il progresso clinico: ma non può essere vietato. La battaglia su questo farmaco è ormai di vecchia data. Come raccontato nel Libro nero del coronavirus, tra i primi ad utilizzarla fu Luigi Cavanna, primario di oncologia e padre del "Metodo Piacenza", decantato anche dai media stranieri. L’Hcq contro il Covid ha dimostrato di funzionare - ci raccontò - Anche tanti medici l'hanno assunta. Non farà testo, ma vuol dire che ci credevano. E poi ci sono centinaia se non migliaia di pazienti che l'hanno presa e sono guariti”. Per un certo periodo l'Aifa ha dato il via libera all'uso dell'Hcq a discrezione dei medici, autorizzando pure il rimborso da parte del Ssn. In fondo si tratta di un farmaco già usato contro diverse malattie. E costa pochissimo. Oggi però la molecola antimalarica è osteggiata e motivo di scontro sia medico che politico. Dopo uno studio pubblicato su Lancet sui rischi cardiaci e l'aumento di mortalità (poi ritirato con non poco inbarazzo), lo scorso maggio sia l'Oms che le agenzie del farmaco mondiali ne hanno sospeso l'utilizzo. Diversi medici ritengono che sul tema non ci sia un sereno dibattito scientifico, probabilmente anche per colpa delle prese di posizione di leader mondiali: diventato il farmaco "sovranista", è stato fatto quasi di tutto per dichiararlo inutile. "Purtroppo gli editori di riviste importanti sono molto riluttanti a pubblicare qualcosa di positivo sull’idrossiclorochina (chiamo questa riluttanza effetto Trump-Bolsonaro), mentre pubblicano immediatamente anche paper deboli quando non funzionano”, disse Antonio Cassone, già direttore del Dipartimento di Malattie Infettive dell’Iss e membro dell’American Academy of Microbiology. Certo sull'efficacia dell'idrossiclorochina i dubbi permangono. Alcuni studi randomizzati realizzati, tra cui il "Solidarity" dell'Oms, non hanno trovato effetti benefici, sottolineando pure "un rischio di tossicità, in particolare cardiaca, rilevante ad elevati dosaggi". Per L'Aifa alla base della decisione di bloccare l'Hcq ci sono "evidenze sperimentali, emergenti dagli studi clinici randomizzati e controllati", ma diversi medici ritengono che ancora non si sia arrivati all'ultimo capitolo. “Questi trial - disse Cassone - hanno usato dosi alte di Hcq nell’idea che queste dosi fossero quelle giuste per una diretta attività antivirale”. I favorevoli all'Hcq ritengono infatti che puntando sulla capacità anti-infiammatoria e anti-trombotica del farmaco sia sufficiente usare una dose inferiore, incapace di provocare controindicazioni. A quelle dosi uno studio dell'European Journal of Internal Medicine riteneva che l'Hcq potesse ridurre il rischio morte per Covid del 30%. Chi ha ragione? Il Consiglio di stato, va detto, non dà una risposta a questa domanda. I giudici si sono solo espressi sul ricorso presentato da un folto gruppo di medici di base che "nella prima fase della pandiemia" hanno "esercitato la loro attività somministrando" ai pazienti l'Idrossiclorochina. "Da decenni - si legge nell'ordinanza - l’Hcq viene usata non solo per curare la malaria, ormai debellata in Italia, ma contro l’artrite reumatoide e il lupus eritematoso in virtù della sua efficace azione di riduzione dei livelli di anticorpi fosfolipidi, tanto da essere somministrato in Italia a circa 60.000 pazienti affetti da tali malattie autoimmuni". I ricorrenti ritengono che le decisioni dell'Aifa siano superate da "studi clinici pubblicati su riviste internazionali accreditate" e che sia stata lesa la loro autonomia decisionale "nel prescrivere tale farmaco, in scienza e coscienza sotto la propria responsabilità" ai pazienti che acconsentono a farsi curare così. Le toghe danno loro ragione: via libera dunque all'uso dell'idrossiclorochina.

Una decisione che scatena polemiche. Idrossiclorochina, il Consiglio di Stato "sospende" l’Aifa e da l’ok al farmaco contro il Coronavirus. Carmine Di Niro su Il Riformista l'11 Dicembre 2020. Una decisione destinata a scatenare sicure polemiche. Il Consiglio di Stato ha dato il via libera all’uso dell’idrossiclorochina per la cura del Covid-19, solo su prescrizione e non rimborsabile. La terza sezione del Consiglio di Stato ha accolto, in sede cautelare, il ricorso di un gruppo di medici di base e ha sospeso la nota del 22 luglio 2020 di Aifa che vietava la prescrizione off label, cioè per un uso non previsto dal bugiardino, dell’idrossiclorochina per la lotta al Covid 19. Si legge nell’ ordinanza che “la perdurante incertezza circa l’efficacia terapeutica dell’idrossiclorochina, ammessa dalla stessa Aifa a giustificazione dell’ulteriore valutazione in studi clinici randomizzati, non è ragione sufficiente sul piano giuridico a giustificare l’irragionevole sospensione del suo utilizzo sul territorio nazionale da parte dei medici curanti”. “La scelta se utilizzare o meno il farmaco, in una situazione di dubbio e di contrasto nella comunità scientifica – è scritto nell’ordinanza – sulla base di dati clinici non univoci, circa la sua efficacia nel solo stadio iniziale della malattia, deve essere dunque rimessa all’autonomia decisionale e alla responsabilità del singolo medico“, “in scienza e coscienza” e con l’ovvio consenso informato del singolo paziente. Fermo il monitoraggio costante e attento del medico che lo ha prescritto. L’ordinanza precisa che non è invece oggetto di sospensione (né a monte di contenzioso) la decisione di Aifa di escludere la prescrizione off label dell’idrossiclorochina dal regime di rimborsabilità.

LE DIVISIONI SUL FARMACO – Lo sblocco dell’idrossiclorochina sancito oggi dal Consiglio di Stato riapre il dibattito sul farmaco e sui metodi scientifici per contrastare il virus. L’idrossiclorochina, va ricordato, è un farmaco genericamente utilizzato nel trattamento della malaria e di alcune malattie autoimmuni, come l’artrite reumatoide e il lupus eritematoso discoide e disseminato. Tra i primi sponsor del suo utilizzo contro il Covid-19 c’era stato il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, un entusiasmo che non aveva trovato grande sponda nella comunità scientifica, con più studi che avevano in realtà evidenziato i suoi effetti minimi, se non nulli o dannosi, contro il Coronavirus. Recentemente anche l’Oms, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, ha pubblicato uno studio in cui “boccia” l’utilizzo del farmaco contro il virus, mentre a luglio l’Aifa ne aveva sospeso l’autorizzazione “per il trattamento dell’infezione da Sars-CoV-2, al di fuori degli studi clinici, sia in ambito ospedaliero che in ambito domiciliare”. La decisione odierna del Consiglio di Stato ha provocato la reazione contrariata di Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe, che su Twitter ha attaccato la decisione dei giudici: “Idrossiclorochina: le evidenze confermano che il profilo rischio-beneficio nella Covid-19 è sfavorevole, le linee guida e le autorità sanitarie raccomandano contro il suo utilizzo, il Consiglio di Stato sovverte la scienza”. Di tutt’altro parere uno sponsor "nostrano" del farmaco, il segretario della Lega Matteo Salvini, secondi cui il sì del Consiglio di stato “è una notizia che molti medici stavano attendendo. Tra gli altri, ricordiamo il dott. Luigi Cavanna che a Piacenza somministrando precocemente questo farmaco ha trattato con successo molti pazienti affetti da Covid, casa per casa, riducendo gli accessi all’ospedale e guadagnandosi anche fama internazionale per il suo impegno medico e umano”.

Così l’idrossiclorochina finisce al Consiglio di Stato. Gioia Locati il 7 dicembre 2020 su Il Giornale. Cos’è l’idrossiclorochina? Fa bene o fa male? Come si affronta oggi il Covid? Ci si può curare a casa? Proviamo a rispondere con l’aiuto di un medico, l’oncologo e professore Luigi Cavanna, che ha seguito centinaia di malati di Covid, trattandoli con questo farmaco al loro domicilio. Da maggio però non si può più prescrivere né somministrare idrossiclorochina (vedremo perché). Il 10 dicembre il Consiglio di Stato si esprimerà sull’esposto presentato da alcuni medici che chiedono il via libera al farmaco e di poter prescrivere in scienza e coscienza. 

L’ antefatto. L’idrossiclorochina si usa da oltre 50 anni per curare la malaria e alcune malattie autoimmuni. Per le sue proprietà immunomudulanti, anti trombotiche e anti virali è stata impiegata anche per contrastare alcune importanti infezioni, dall’HIV all’Ebola, dalla Sars alla Mers. Costa poco. Durante la prima ondata del Sars-Cov-2, l’idrossiclorochina era presente nelle linee guida dei Paesi occidentali colpiti dall’infezione (approvata, dunque, anche da Aifa ed Ema) per trattare i malati, sia in ospedale che a domicilio. A maggio però esce uno studio su Lancet – rivelatosi poi fallace – che richiama le attenzioni delle agenzie regolatorie. Si afferma che l’idrossiclorochina era stata causa di un aumentato numero di decessi, a riprova si millanta l’analisi di 96mila cartelle di pazienti in 970 ospedali nel mondo. Ma, a una prima seria verifica, le basi di quel lavoro, crollano. Nessuno aveva esaminato quelle cartelle e la società che eleborò i dati falsi finì indagata. Cliccate qui. Tuttavia l’idrossiclorochina è rimasta inaccessibile ai malati di Covid. Sospesa la somministrazione nei Paesi occidentali già a poche ore dalla pubblicazione dello studio fallace. A giustificazione, oggi, Aifa cita la posizione dell’OMS che “per prudenza ne ha sospeso i trial”. Sarebbe pericolosa per il cuore e potrebbe aumentare i decessi. La situazione oggi. In mezzo mondo, i medici che, nei mesi di marzo aprile hanno trattato i malati con quel farmaco, hanno raccolto e pubblicato i loro dati. Secondo chi l’ha prescritta, “soprattutto nei primi giorni di malattia”, l’idrossiclorochina ha contribuito a contenere i decessi. Sono stati fatti numerosi confronti sia con con gruppi di pazienti ricoverati sia con chi si è curato a domicilio. Qui uno studio osservazionale belga su 8.075 partecipanti. Si sono poi studiati i decorsi dei pazienti che non hanno usato quel farmaco e si è giunti alle conclusioni che sintetizza Luigi Cavanna, oncologo, primario all’ospedale di Piacenza e ricercatore: “La mia esperienza con l’impiego di quel farmaco è più che buona, ho seguito personalmente a casa oltre 300 malati, dei quali il 30 per cento con forme severe e un altro 30 per cento con forme moderate. Di questi nessuno è morto e i ricoverati sono stati meno del 5 per cento”. E poi. “Mi sono sentito ringraziare con queste parole, ‘dottore, stavo così male che pensavo di non farcela, dopo 3 giorni di terapia la mia vita è cambiata”. Lo staff del professor Cavanna ha raccolto i dati in due pubblicazioni sui malati di tumore che hanno avuto il Covid e un terzo lavoro verrà spedito nei prossimi giorni per essere pubblicato. Intanto, altre ricerche sono state pubblicate, dapprima una metanalisi, ossia una summa di 26 studi che riferiscono dell’impiego di idrossiclorochina su 44.521 malati di Covid e che mostrerebbero una riduzione di mortalità con il farmaco a basse dosi. Cliccate qui. Poi un altro lavoro tutto italiano che riunisce le esperienze di 33 ospedali della Penisola in uno studio osservazionale multicentrico che trovate qui. Sono stati seguiti i decorsi di 3.451 pazienti non selezionati, ricoverati dal 19 febbraio al 23 maggio. Ed è emersa una mortalità ridotta del 33% in chi ha usato quel farmaco. In luglio, 13 Regioni italiane hanno chiesto di poter usare l’idrossiclorochina off label nei trattamenti domiciliari, cliccate qui. Ma Aifa è rimasta ferma sulla sua posizione. Nel frattempo ci sono stati ricorsi al Tar e si attende il verdetto del Consiglio di Stato del 10 dicembre.

Per l’Ema è un farmaco che “se preso in dosi elevate induce al suicidio”. Il 30 novembre Ema pubblica una nota. Si dice che “a seguito di una revisione dei dati sono emersi 6 casi di disturbi psichiatrici in pazienti Covid a cui erano state somministrate dosi di idrossiclorochina superiori a quelle autorizzate”.

Professor Cavanna ha osservato anche lei la tendenza al suicidio? “Qualsiasi farmaco preso a dosi da cavallo fa male…che dico farmaco, anche la pastasciutta…Penso che ci si debba avvicinare ai dati con umiltà e senza pregiudizi. Invito a guardare a ogni terapia in termini di costi e benefici, tenendo presente gli effetti collaterali e la situazione di ciascuno. A Piacenza ci sono stati oltre 900 morti nella prima ondata, in quel periodo, dei pazienti che noi seguimmo a domicilio trattati con idrossiclorochina – all’incirca 300 – i ricoveri sono stati inferiori al 5% e nessuno è morto”.

Per quanti giorni va somministrata l’idrossiclorochina? 

“Per una settimana, non di più. Si ottenevano miglioramenti dopo due-tre giorni. Abbiamo osservato che è importante dare il farmaco ai primi sintomi, ed è sufficiente un basso dosaggio”.

Cosa pensa del fermo divieto delle agenzie regolatorie?

“Che per onestà sia necessario spiegare ai pazienti che hanno ricevuto l’idrossiclorochina nei primi mesi e sono guariti che cosa è successo; se hanno rischiato, che cosa hanno rischiato, e come hanno fatto a rimettersi in piedi. Una spiegazione è dovuta. Prima il farmaco era ammesso e lo è stato per tre mesi, ora è vietato. Perché Aifa non va vedere come stanno queste persone?”.

Aifa sostiene che non esistono studi randomizzati sui pazienti Covid.

“Abbiamo molti dati, non solo noi di Piacenza, ma da tutta Italia, penso alla provincia di Alessandria, a Novara, a Milano, e a Bologna. Sono stati pubblicati gli studi osservazionali (vedi sopra), una metanalisi che mostra la riduzione di mortalità su 40mila malati. Questi report vanno messi sul tavolo. Si tratta di  uomini e donne, non di esperimenti in vitro. Sono un sostenitore dello studio randomizzato (si dividono i pazienti in due gruppi omogenei, a uno si somministra la miglior cura esistente più il farmaco da testare, all’altro la miglior cura più il placebo) ma lo studio è sempre un mezzo, non un fine. I malati bisogna guardarli in faccia e, in mancanza di studi randomizzati utilizzare farmaci di provata efficacia ‘sul campo’, di facile somministrazione, di costo contenuto e con pochi effetti collaterali.

Cosa farebbero all’Aifa se qualcuno di loro o dei loro familiari si ammalasse di Covid e si ritrovassero con una febbre alta che non passa dopo tre giorni, tosse e fiato pesante? Si accontenterebbero dell’antipiretico e del saturimetro (sono le indicazioni per curarsi a casa) aspettando forse di peggiorare per essere ricoverati d’urgenza? È come se misurassimo la pressione alta senza dare alcun farmaco ma consigliando di tenere a casa l’apparecchio per la pressione…”

Il Covid si può curare a casa?

“Assolutamente sì, la cura precoce, fatta cioè nei primi giorni di febbre alta, tosse e affanno, consente ai pazienti di evitare il ricovero in ospedale e di guarire. La mia esperienza coincide con quella di centinaia di medici in Italia e migliaia nel mondo che hanno curato a casa i pazienti”.

Cosa prendere ai primi sintomi?

“Chi non ha sintomi o ne ha pochi non deve fare nulla, isolarsi con le precauzioni per non infettare gli altri. Chi ha sintomi può assumere un antinfiammatorio. Se sopraggiunge tosse o se la febbre non passa in 24-30 ore bisogna rivolgersi al medico di famiglia che può attivare le Usca, Unità mediche territoriali che, a domicilio, possono visitare, fare un’ecografia ai polmoni, fare un tampone e valutare il livello dell’ossigeno” (nel Piacentino funziona così).

Insomma, è importante agire subito?

“Sì. Durante la pandemia abbiamo visto arrivare in ospedale persone con alle spalle 10 e più giorni di febbre, tosse, dispnea, non va bene”.

Ma oltre all’antinfiammatorio? Antibiotico o cortisone?

“Decide il medico. Se c’è il sospetto che l’infiammazione abbia intaccato i polmoni l’antibiotico va consigliato. Il cortisone va dato non subito ma nei giorni successivi per evitare il picco infiammatorio. L’eparina se il paziente è allettato o fatica a muoversi. Fondamentale è misurare la saturazione di ossigeno”.

Come mai un oncologo cura i malati di Covid a domicilio?

“L’oncologo ha come background culturale la presa in carico del malato, lo segue nel suo percorso di cura e nei successivi controlli fino alla guarigione o alle cure palliative. Ricordo un paziente che ci disse che avrebbe dovuto interrompere la terapia perché il figlio non lo poteva più accompagnare in ospedale poiché avrebbe rischiato di perdere il lavoro. Era 20 anni fa. Decidemmo di istituire una rete territoriale che funziona ancora oggi: nelle zone senza ospedale ci sono i nostri presidi, portiamo le cure oncologiche vicino al domicilio del paziente e siamo stati i primi in Italia a eseguire le terapie nella Casa della Salute, in una vallata del Piacentino priva di ospedali”.

Con l’inizio del Covid vi siete comportati così?

“Un nostro paziente, malato di tumore, ci avvisò di avere tosse e febbre. Siamo andati a domicilio. È cominciata così…Poi sono stati trattati tanti altri malati, anche, e soprattutto, non oncologici”.

Guariti con idrossiclorochina?

“Esattamente”.

Oggi in ospedale a Piacenza avete tanti malati Covid?

“Molti meno che a marzo, grazie anche alla nostra rete di assistenza domiciliare”.

Ora cosa farete?

“Cercheremo di convincere Aifa a cambiare le linee guida con la forza degli argomenti ma anche con la determinazione che ci trasmettono i malati”.

Ci sono speranze?

“C’è un assoluto bisogno di cure precoci. Ci sono tanti dati, c’è un’interrogazione parlamentare presentata dal senatore Armando Siri che ha a cuore la nostra causa e c’è il Consiglio di Stato”.

Siri: “I farmaci anti-covid fanno paura a chi fa business sulla salute dei cittadini”. Rec News, direttore Zaira Bartucca 1 Dicembre 2020. Il senatore: “Ci si inventa di tutto per non utilizzarli. In atto propaganda strumentale, i medici hanno già salvato un sacco di vite” Idrossiclorochina a 6 euro funziona e fa paura a chi specula e fa business sulla salute dei cittadini. Così, pur di evitare che si utilizzi sui pazienti, ci si inventa qualunque cosa per screditarla. Pongo in premessa che personalmente non ho alcuna passione per l’Idrossiclorochina e che, per me, qualunque farmaco che si riveli utile per la cura a casa dei pazienti dovrebbe avere attenzione e la giusta considerazione da parte delle Autorità Sanitarie, soprattutto se sono i medici a chiederlo”. Mi limito a rilevare il dato, ovvero: il Dottor Cavanna, medico Primario all’Ospedale di Piacenza e con lui la Dottoressa Paola Varese Primario ASL di Alessandria, il Dottor Luigi Garavelli Primario Malattie Infettive Ospedale di Novara e centinaia di altri medici del Territorio hanno salvato centinaia di pazienti curandoli a casa con questa medicina, eppure hanno contro quasi tutta la comunità scientifica e i cosiddetti organi di “controllo” statali che si rifiutano di leggere gli studi nazionali e internazionali sull’efficacia del farmaco (che io ho letto) e insistono con una propaganda strumentale e vergognosa per delegittimarne l’utilizzo. L’ultima trovata propagandistica è quella dell’EMA, l’Agenzia Europea per i medicinali (sostanzialmente la sorella europea dell’AIFA nazionale), che guarda caso, proprio mentre 13 Regioni Italiane chiedono la ripresa dei protocolli sperimentali per le cure domiciliari con Idrossiclorochina, fa uscire una notizia in cui afferma che il farmaco è pericoloso per la salute mentale. Dunque, se quello che EMA afferma fosse vero ne conseguirebbe che tutti i reumatologi del mondo dovrebbero immediatamente sospendere la somministrazione di Idrossiclorochina che da più di 50 anni prescrivono ai loro pazienti visto che l’EMA dice che altrimenti si suicideranno. I medici non hanno mai avuto evidenza di questo grave effetto collaterale? Beh, non importa, vuol dire che non saranno stati attenti. Ora (proprio perché si è scoperto che l’idrossiclorochina è efficace per curare il COVID-19) guarda caso emerge che 6 persone che prendevano il farmaco si sono suicidate (non sappiamo niente di loro, ovvero ad esempio se avessero già problemi psichiatrici). Sappiamo però che hanno abusato del farmaco prendendo dosi superiori a quelle consigliate. E questa vi pare una notizia? Sei persone dal quadro clinico sconosciuto abusano di un farmaco, si suicidano e la colpa è del farmaco? Un farmaco che prendono ogni giorno milioni di persone a cui non è mai successo nulla di tutto questo? Certo che bisogna proprio essere dei mascalzoni, oppure davvero in malafede, per fare una propaganda così smaccatamente strumentale contro una medicina solo perché si è dimostrata, se assunta a basse dosi e all’insorgenza dei sintomi, uno strumento efficace per curare a casa il COVID-19 e costa solo 6 euro. Come si fa ad accettare che Enti istituzionali, che nella coscienza collettiva godono di autorevolezza scientifica, si approfittino della buona fede dei cittadini per diffondere storie artefatte come quella sulla pericolosità psichiatrica di un farmaco che viene utilizzato da 50 anni per la cura di artrite reumatoide e altre importanti malattie del sistema immunitario? Tra l’altro, non si vuole evidenziare che il Trattamento per il COVID-19 è molto breve (massimo una settimana e a dosi molto più basse di quelle già oggi consentite). Possibile che nessun organo di controllo etico della comunità scientifica sollevi il caso? Dov’è finita la serietà di una categoria che fa un giuramento solenne “di esercitare la medicina in libertà e indipendenza di giudizio e di comportamento rifuggendo da ogni indebito condizionamento”? Lo ripeto ancora: il Ministero della Salute e AIFA concedano la possibilità a tutti questi medici che lo chiedono, di poter riprendere la sperimentazione, con tutti i dovuti controlli e verifiche. Perché non si può negare una cura ritenuta efficace dai medici sul campo solo sulla base di storie rivelatesi false come il famoso studio di The Lancet, o suggestioni ai limiti del ridicolo come questa di EMA. Curare a casa il COVID-19 significa scongiurare l’affollamento degli Ospedali e dunque la necessità di DPCM che stanno, questi sì, incidendo negativamente sulla socialità e sulla salute mentale degli individui producendo danni incalcolabili al lavoro e all’economia”.

Coronavirus e vitamina D, l'appello di 61 prof e medici italiani: “Diamola ai soggetti a rischio”. Le Iene News il 10 dicembre 2020. Sono 61 i professori, ricercatori e medici che hanno sottoscritto un appello alle istituzioni per somministrare alle categorie più a rischio per il coronavirus la vitamina D in via preventiva: “E’ stata largamente evidenziata l’utilità della somministrazione ai pazienti di COVID-19”. Una richiesta simile a quella fatta un mese fa dai colleghi inglesi. Un appello di 61 tra professori, ricercatori e medici sul modelli di quello firmato dai colleghi inglesi: “Diamo la vitamina D ai soggetti a rischio per contrastare il coronavirus”. Vi abbiamo raccontato di questo appello oltre un mese fa: un gruppo di scienziati inglesi guidati dal professor Gareth Davies ha indicato come circa la metà della popolazione inglese abbia una carenza di vitamina D, e secondo loro questo basso livello potrebbe comportare un maggior rischio di contrarre il coronavirus. Non solo: se ci si ammala, e si ha poca vitamina D, la possibilità di avere sintomi gravi sarebbe più alta. E per questo il gruppo di scienziati ha lanciato un appello al governo per intervenire, facendo aggiungere dosi di vitamina D ai cibi più consumati come il latte o il pane. Adesso in Italia un documento sottoscritto da 61 tra professori, ricercatori e medici propone alle istituzioni italiane un percorso simile. “Ad oggi è possibile reperire circa 300 lavori con oggetto il legame tra COVID-19 e vitamina D”, scrivono i ricercatori. Gli studi “hanno confermato la presenza di ipovitaminosi D nella maggioranza dei pazienti affetti da COVID-19, soprattutto se in forma severa, e di una più elevata mortalità ad essa associata”. Per questo i 61 studiosi suggeriscono, nel documento inviato alle istituzioni sanitarie italiane, di valutare la “somministrazione preventiva” di vitamina D “a soggetti a rischio di contagio come anziani, fragili, obesi, operatori sanitari, congiunti di pazienti infetti, soggetti in comunità chiuse”. Secondo loro non ci sarebbero, in questo contesto, “sostanziali effetti collaterali”. La motivazione di questa richiesta è chiara: “E’ stata largamente evidenziata l’utilità della somministrazione di vitamina D a pazienti COVID-19”. Un tema che noi de Le Iene stiamo approfondendo da tempo: a inizio novembre vi abbiamo raccontato dello stato degli studi sul possibile legame tra vitamina D e coronavirus, dopo che gli scienziati inglesi avevano lanciato l’appello al governo per aggiungere la sostanza al cibo “per aiutare nella lotta contro il Covid”. Una richiesta seguita dall’annuncio del ministero della Salute britannico, che ha chiesto ai propri consiglieri sanitari di fornire linee guida per utilizzare la vitamina D come possibile modo per prevenire e trattare il coronaviurs. Con Giulia Innocenzi poi abbiamo intervistato il professor Giancarlo Isaia dell’università di Torino, tra i 61 firmatari dell’appello e coautore di uno studio secondo cui le regioni italiane che ricevono meno raggi solari UV sono anche quelle dove il coronavirus ha causato più contagi e morti. I risultati dello studio, ci ha detto il professore “sono coerenti con i possibili effetti benefici della radiazione UV solare sulla diffusione del coronavirus e sulle sue manifestazioni cliniche. Risulta infatti che la radiazione UV è sia in grado di neutralizzare direttamente il virus, sia di favorire la sintesi della vitamina D che, per le sue proprietà immunomodulatorie, potrebbe svolgere un ruolo antagonista dell’infezione e delle sue manifestazioni cliniche”. Pochi giorni fa infine vi abbiamo dato conto di una circolare del ministero della Salute, per la quale “non esistono ad oggi evidenze solide e incontrovertibili (ovvero derivanti da studi clinici controllati) di efficacia di supplementi vitaminici e integratori alimentari (ad esempio vitamine, inclusa vitamina D, lattoferrina, quercetina), il cui utilizzo per questa indicazione non è quindi raccomandato". A quelle parole ha replicato a Iene.it il professor Isaia, che ci ha detto: “La circolare è discutibile perché un nostro nuovo documento riporta nuove evidenze su quanto andiamo dicendo. Chi ha scritto il documento ha accomunato la vitamina D, che è cosa ben diversa, ad altre vitamine e integratori. Le nostre evidenze, che partono dall’inizio del 2020, possono essere discutibili ma meritano almeno un approfondimento”».

Tra il ricovero e la dimissione son passati solo 16 giorni, dal 22 novembre dell'attesa del ricovero, avvenuto il 23, fino al 7 dicembre 2020, data delle dimissioni.

«La mia dimissione. Purtroppo la mia dimissione come il mio ricovero è stato traumatico. Dal 3 dicembre 2020 al 7 dicembre 2020 sono stato costretto a stare da negativo in un reparto Covid. Le linee guida raccomandano il distanziamento tra coniugi, positivi e negativi, e poi le autorità permettono la promisquità negli ospedali Covid. Non è provato scientificamente il periodo di immunità, specie in presenza di carica virale forte, però in reparto per ben due volte hanno introdotto nella mia stanza pazienti di prima positività. La seconda volta, il 5 dicembre 2020 notte, addirittura, V.to T.liente di Martina Franca, poverino, egli stesso infettato in ospedale. Ho consigliato, per impedire la promisquità, l’appaiamento in stanze separate: vecchi degenti, con vecchi degenti, a minima trasmissione del virus; nuovi ricoverati con nuovi ricoverati ad alta carica virale. Risposta: problemi organizzativi. Ergo: troppo lavoro per gli addetti. Ho detto che la mia degenza non era necessaria perché potevo essere curato a casa o tramite Usca. Giusto per liberare il letto per nuove emergenze. Insomma sono stato costretto alla dimissione volontaria, da me imposta ed anticipata da giorni. L’uscita è stata procrastinata fino alle 19.30 della sera del 7 dicembre. E non voglio pensare che sia stata una sorta di ritorsione.

Positivi e negativi insieme al Giannuzzi, è normale? Lavoceassociazioneculturaleasud.it l'8 Dicembre 2020. Finalmente negativo. Antonio Giangrande, il “famoso” paziente dell’attesa di undici ore in ambulanza prima di essere ricoverato all’ospedale Giannuzzi di Manduria , è finalmente negativo. Tutto bene quel che finisce bene, direte voi. Invece no. Dopo 15 giorni di ricovero , la degenza procedeva secondo quanto auspicato, fino all’esito negativo del tampone. A questo punto ci si sarebbe aspettato uno spostamento di reparto per evitare che un negativo restasse in stanza con positivi. Ma niente. E risposta negativa è arrivata neanche alla richiesta del Giangrande di essere spostato almeno in un reparto dove i negativi non fossero “recenti ” e con altissima carica virale. Come noto, anche i negativizzati, specie chi ha avuto insufficienze respiratorie, devono rispettare le solite prescrizioni. La presenza di anticorpi neutralizzanti non d à certezza scientifica di “immunità” e, come già successo, i guariti possono essere reinfettati. Da non dimenticare la possibilità di imbattersi in un tipo di virus mutato contro cui gli anticorpi acquisiti nulla possono fare. A questo punto, data la possibilità di curare i postumi della malattia con cure ordinarie e con assistenza domiciliare, il Giangrande è stato costretto alla dimissione volontaria, per evitare di passare altri giorni da negativo in un reparto di positivi , anche nuovi, con i relativi rischi per la propria salute . Con l’assurdo che, in fase di dimissione, è stato raccomandato di non tornare a casa da coniugi o parenti positivi.

La denuncia di Giangrande: “guarito dal Covid nella stessa stanza con positivi”. Già protagonista della lunga attesa in ambulanza prima di essere ricoverato. La Voce di Manduria mercoledì 9 dicembre 2020. Dopo la denuncia per aver atteso undici ore in ambulanza prima di essere ricoverato in un reparto Covid del Giannuzzi, l’avvocato Antonio Giangrande, di Avetrana, si rende protagonista di un’altra vicenda. Dopo quindici giorni di ricovero, Giangrande si è negativizzato ma, racconta, è rimasto nella stanza con altri pazienti ancora positivi. Alla sua richiesta di essere trasferito in un reparto dove i positivi non fossero recenti e quindi con una carica virale alta, i responsabili del reparto si sarebbero opposti. «A questo punto, data la possibilità di curare i postumi della malattia con cure ordinarie e con assistenza domiciliare – si legge in una nota stampa -, l’avvocato Giangrande è stato costretto alla dimissione volontaria per evitare di passare altri giorni da negativo in un reparto di positivi, anche nuovi, con i relativi rischi per la propria salute». «Con l’assurdo che, in fase di dimissione – concluso il comunicato - è stato raccomandato di non tornare a casa da coniugi o parenti positivi».

Come conclude questa intervista.

«Il virus ha smascherato la vera natura della gente. Conoscenti, amici e parenti che ti allontanano e ti accusano, sol perché ti hanno infettato.  I positivi conclamati posti alla pubblica gogna, non sono untori. Essi divenuti negativi, quindi immuni ed in un certo senso vaccinati, proprio loro devono stare attenti agli altri, che possono reinfettarli. E poi di questi tempi un contagio da Covid non si nega a nessuno, specie alla cattiva gente».

 

Chi cerca trova: i misteri della coerenza della scienza.
Tasso di morbosità più alta rispetto agli altri paesi? Perché sono stati fatti più tamponi rispetto alla popolazione.
Tasso di letalità più alto rispetto altri paesi? Perché sono stati fatti meno tamponi rispetto alla popolazione.

La nostra vita in mano ai sedicenti esperti: Esperti di che?

Il loro parere vale quanto l’opinione dei partecipanti ai vari Grandi Fratelli di Mediaset.

Esperto è chi conosce: il Covid 19 è un virus sconosciuto.

I professoroni hanno detto il tutto ed il contrario di tutto ed in antitesi tra di loro.

Il Governo di inesperti si sono affidati ai professoroni inesperti ed hanno portato i cittadini italiani terrorizzati e condizionati un po’ di qua ed un po’ di là come cani al guinzaglio. Mascherina per tutti:

è possibile che il cittadino sia infettato

è probabile che il cittadino sia infettato

è possibile che il cittadino sia a rischio d'infezione

è probabile che il cittadino sia asintomatico

è possibile che il cittadino sia pauci sintomatico

è confermato che il cittadino sia infettato

Se il cittadino non ha niente ed è sano come un pesce, vuol dire che è un complottista: a lui non va messa la mascherina, ma si obbliga l’uso del bavaglio

 

 

Censura da Amazon libri. Del Coronavirus vietato scrivere.
"Salve, abbiamo rivisto le informazioni che ci hai fornito e confermiamo la nostra precedente decisione di chiudere il tuo account e di rimuovere tutti i tuoi libri dalla vendita su Amazon. Tieni presente che, come previsto dai nostri Termini e condizioni, non ti è consentito di aprire nuovi account e non riceverai futuri pagamenti royalty provenienti dagli account aggiuntivi creati. Tieni presente che questa è la nostra decisione definitiva e che non ti forniremo altre informazioni o suggeriremo ulteriori azioni relativamente alla questione. Amazon.de".
Amazon chiude l’account del saggista Antonio Giangrande, colpevole di aver rendicontato sul Coronavirus in 10 parti.
La chiusura dell’account comporta la cancellazione di oltre 200 opere riguardante ogni tema ed ogni territorio d’Italia.
Opere pubblicate in E-book ed in cartaceo.
La pretestuosa motivazione della chiusura dell’account: “Non abbiamo ricevuto nessuna prova del fatto che tu sia il titolare esclusivo dei diritti di copyright per il libro seguente: Il Coglionavirus. Prima parte. Il Virus.”
A loro non è bastato dichiarare di essere l’esclusivo autore del libro in oggetto e di tutti i libri pubblicati sul mio account Amazon.
A loro non è bastato dichiarare che sul mio account Amazon non sono pubblicate opere con Kdp Select con diritto di esclusiva Amazon.
A loro non è bastato dichiarare altresì di essere l’esclusivo autore del libro in oggetto e di tutti i libri pubblicati sul mio account Google, ove si potrebbero trovare le medesime opere pubblicate su Amazon, ma solo in versione e-book.
A loro interessava solo chiudere l’account per non parlare del Coronavirus.
A loro interessava solo chiudere la bocca ad Antonio Giangrande.
Che tutto ciò sia solo farina del loro sacco è difficile credere.
Il fatto è che ci si rivolge ad Amazon nel momento in cui è impossibile trovare un editore che sia disposto a pubblicare le tue opere.
Opere che, comunque, sono apprezzate dai lettori.
Ergo: Amazon, sembra scagliare la pietra, altri nascondono la mano.

AMAZON. CENSURA LA CONTRO-INFORMAZIONE SUL COVID. Cristiano Mais su La Voce delle Voci il 7 Ottobre 2020. La scure della censura contro le verità che danno fastidio. L’oscuramento di tutto coloro i quali, in modo autonomo e indipendente, con i propri mezzi e sforzi personali, cercano di fare autentica controinformazione. Succede adesso, è il caso di dirlo, ad un pioniere della comunicazione, Alberto Contri. Proprio come è successo, alcuni mesi fa, ad un pioniere nel campo dei vaccini, Giulio Tarro, con il suo “Covid, il virus della paura”. Allievo di Albert Sabin che scoprì l’antipolio, per ben due volte nella cinquina del Nobel per la Medicina, Tarro è l’autore di un libro che ha subito cercato di far luce sul bollente tema del Coronavirus e la disinformazione imperante. Incorrendo subito negli strali di Amazon, che ha inserito il volume nella sua vetrina virtuale, impedendone però l’acquisto. La strategia di Amazon era il fresco frutto avvelenato di un accordo per la “non informazione” siglato addirittura con l’Organizzazione Mondiale per la Sanità, il super organismo internazionale controllato da Bill Gates. L’OMS, infatti, non gradiva tutto ciò che avrebbe potuto aprire gli occhi a tanti cittadini. Costretti invece ad ingurgitare montagne di fake news propinate dai media di regime. Lo stesso copione, adesso, per l’altrettanto scomodo “La sindrome del criceto”, firmato da Alberto Contri ed edito da “La Vela”, piccola casa ma coraggiosa casa editrice guidata da David Nieri. Denunciano Contri e Nieri: “Abbiamo fatto in estate una intensa campagna social per promuovere il libro, con buoni risultati di vendita. Ma non con Amazon: sappiamo che ha ricevuto molte richieste alle quali non ha dato e non dà seguito, perché dicono che stanno ristrutturando i processi di acquisizione e vendita e poi hanno problemi di algoritmo”. Un modo come un altro per boicottare in modo palese l’uscita del Criceto. Sottolineano ancora Contri e Nieri: “I monopolisti della distribuzione, oltre a distruggere intere filiere concorrenti, intervengono sulla libertà di pensiero, agevolando od ostacolando la presenza di prodotti e di libri nei loro scaffali virtuali. Semplicemente vergognoso. Ricordiamo che il nostro libro si può ordinare direttamente andando sul sito edizionilavela.it”. Contri è stato il fondatore e per anni animatore della Federazione Italiana della Comunicazione, quindi presidente di Pubblicità Progresso.

Amazon denunziata per la censura di libri sul Coronavirus. su La Voce delle Voci il 30 Giugno 2020. Amazon nega anche ad un giornalista italiano, Francesco Amodeo, la vendita on line di un libro  sul coronavirus. Lo scrittore non si arrende e decide di chiedere alla giustizia l’autorizzazione alla vendita del suo  testo e il risarcimento danni subiti rispetto ad altri autori, preferiti da Amazon, conferendo mandato all’avvocato Angelo Pisani di trascinare in tribunale il colosso commerciale del web  per combattere ogni forma di censura. L’avvocato Angelo Pisani, nel denunciare all’Autorità Giudiziaria  ogni violazione  in danno del giornalista censurato  e la arbitraria e fuorviante strategia commerciale di Amazon, chiede anche l’immediato  intervento dell’Antitrust e massima tutela per le vittime indifese del sistema Amazon. Il caso del giornalista Amodeo non è l’unico. Anche il professor Giulio Tarro ed altri autori sono stati esclusi dalla piattaforma Amazon per il mancato gradimento da parte di qualcuno dei loro iscritti, ma non è possibile giustificare simili violazioni  dei fondamentali  principi di informazione legalità e democrazia. Insomma, esplode una guerra legale contro il colosso del web per porre freno a censure e discriminazioni e comprendere il perché di tanto interesse e volontà di indirizzamento. Questo l’attacco di Pisani. «Ingiustificabile e discriminatoria  la strategia della società Amazon, che la comunica al giornalista Amodeo il rifiuto  di vendere il suo libro-inchiesta “31 coincidenze sul coronavirus e sulla nuova Guerra Fredda USA-Cina” sulla loro piattaforma kindle, perché violerebbe le loro linee guida, spiegando che a causa del rapido cambiamento delle condizioni relative al Virus Covid19, si sarebbe deciso di indirizzare la clientela verso fonti ufficiali per ottenere informazioni sul virus, proponendo pertanto all’autore del libro l’assurda scelta di valutare la rimozione dei riferimenti al Covid19, affinchè lo stesso possa vendersi sulla piattaforma Amazon». Pare che l’algoritmo censuri in automatico i libri che fanno riferimento alla parola “coronavirus” nel titolo.  Non sembra però un’ipotesi plausibile, dal momento che sul portale Amazon sono in vendita libri che contengono nel titolo la parola “coronavirus”, come il libro di Roberto Burioni, intitolato: “Virus, la grande sfida: Dal coronavirus alla peste: come la scienza può salvare l’umanità”. «Purtroppo – denuncia l’avvocato Pisani  – risulta chiaro  che se il libro è in linea con una certa versione sul virus, non esistano linee guida né algoritmi capaci di intercettarne le parole. Se in fase di revisione i libri fossero  letti si sarebbero accorti  che nel libro inchiesta di Amodeo sono pubblicate 150 foto tratte solo da fonti ufficiali, analizzando oltretutto il coronavirus non dal punto di vista sanitario, ma dal punto di vista giornalistico e geopolitico. Non vi era quindi alcuna ragione di censurarlo, ma il sistema preferisce imporre un altro  sapere». Di fronte a queste condotte,  al di là degli approfondimenti e di indagini su tematiche delicate e stravolgenti come quelle su mondo del coronavirus – dichiara l’avvocato Pisani – non si può far finta di nulla e non chiedere tutela per l’autore discriminato  Francesco Amodeo  vittima di illegittima censura e discriminazione ingiustificabile da parte del sistema Amazon che, in barba ai fondamentali principi di trasparenza,  correttezza e buona fede non può escludere libri non graditi accettando invece il libro di Burioni (sul quale invece  il reportage delle Iene ha dimostrato il conflitto di interessi con le case farmaceutiche). Oltre a presentare ricorso cautelare  e richiesta risarcitoria alla Magistratura, ricorriamo anche dell’Antitrust e dell’Ordine dei giornalisti  per la tutela dei diritti di tutti noi e la difesa del diritto di informazione, in uno alla corretta concorrenza commerciale. Dalle prime indagini emerge in realtà che proprio l’Organizzazione Mondiale della Sanità non voglia vedere in giro tesi contrarie sul coronavirus. Stavolta però si mina la libertà d’informazione, in combutta con Amazon. Per la serie: i due big boss a stelle e strisce Bill Gates, fondatore di Microsoft e grande finanziatore dell’OMS, e Jeff Bezos, in sella al colosso della distribuzione, sono oggi uniti nell’indirizzamento dei lettori e negano la commercializzazione e diffusione di altri testi, generando anche ingiustificabile  disinformazione. Così si impedisce ai cittadini di farsi una propria idea e di comprendere  la vera storia del coronavirus e quali sono i motivi e gli autentici responsabili della pandemia che sta mettendo in ginocchio il mondo. «Pochi lo sanno – attacca Pisani – ma già ad inizio febbraio 2020 OMS, Amazon e altri book store a livello internazionale hanno deciso  di indirizzare i lettori a fonti preferenziali tramite un accordo che va sotto il nome di “Covid Policy”,  con lo scopo dichiarato  di “bloccare la vendita di libri che avrebbero, a dire del sistema dominante,  l’obiettivo di fomentare la paura o, peggio, di diffondere teorie di cospirazione sul Covid”. Con queste ultime, strategiche parole, in pratica viene attuata una politica di vendite editoriali che nessuno mai in democrazia si sarebbe mai sognato di mettere in atto: meglio, a questo punto, bruciarli, quei libri scomodi, invece che vigliaccamente impedirne la diffusione». «Pare che a qualcuno dia fastidio  la conoscenza di quanto è successo per la tragedia del coronavirus: non si devono ricercare colpevoli della strage e capovolgimento del mondo in corso, ma fortunatamente noi continueremo sempre a scrivere per l’amore della verità e dell’informazione, garantisce l’avvocato al giornalista oscurato da Amazon».

AMAZON. BLOCCA l’USCITA DEL LIBRO-ACCUSA DI TARRO SUL COVID. Paolo Spiga su La Voce delle Voci il 20 Giugno 2020. L’Organizzazione Mondiale della Sanità colpisce ancora. Stavolta la libertà d’informazione, in combutta con Amazon. Per la serie: i due big boss a stelle e strisce Bill Gates, fondatore di Microsoft e grande finanziatore dell’OMS, e Jeff Bezos, in sella al colosso della distribuzione, sono oggi uniti nella lotta per la disinformazione. Impediscono ai cittadini di conoscere la vera storia del coronavirus e quali sono gli autentici responsabili della pandemia che sta mettendo in ginocchio il mondo. Pochi lo sanno, infatti, ma già ad inizio febbraio 2020 OMS, Amazon e altri book store a livello internazionale hanno sottoscritto un patto che va sotto il nome di “Covid Policy”, il cui scopo dichiarato e basilare è stato ed è quello di “bloccare la vendita di libri che hanno l’obiettivo di fomentare la paura o, peggio, di diffondere teorie di cospirazione sul Covid”. Con queste ultime, strategiche parole, in pratica viene attuata una politica di vendite editoriali che neanche i nazisti si sarebbero mai sognati di mettere in atto: meglio, a questo punto, bruciarli, quei libri eretici, invece che vigliaccamente oscurarli e con sotterfugi impedirne la diffusione. E soprattutto la conoscenza di quanto è successo per la tragedia del coronavirus: dove ci sono nomi, cognomi e indirizzi dei colpevoli della strage, fino ad oggi impuniti, a piede libero. E guarda caso, i colpevoli si possono rintracciare proprio sotto i vessilli dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e della Bill & Melinda Gates Foundation, come abbiamo documentato nell’inchiesta del 19 giugno. Ovvio, quindi, che killer e mandanti si siano ben attrezzati e premuniti – come testimonia la “Covid-Policy” – per nascondere le verità, per affossare quella contro-informazione, quei libri che spiegano e documentano la scientifica strage del Covid-19, ottimamente studiata a tavolino, mossa per mossa, azione per azione. Un esempio fresco e lampante? Amazon ha appena bloccato la vendita del libro firmato dal più autorevole virologo italiano, Giulio Tarro, intitolato “Covid, il Virus della paura”, che fa luce su una serie di fatti e vicende che la dicono lunga sulle responsabilità di Big Pharma nella coronavirus-story, su quelle dell’OMS, della Fondazione Gates, e – sul fronte di casa nostra – del governo e di tanti, troppi cialtroni travestiti da scienziati. Evidentemente un pugno nello stomaco per amici & sodali di Amazon, come appunto sancito dalla “Covid-Policy” ammazza libertà e democrazia. Così dichiara Tarro. “Invece di indossare i panni del martire, preferisco evidenziare come i condizionamenti posti dalla "Covid-Policy" stanno facendo perdere credibilità soprattutto alle riviste scientifiche. Mi riferisco alla planetaria figuraccia della rivista ‘The Lancet’ sulla idrossiclorochina. Se "The Lancet" ha dovuto ritirare il suo articolo è solo perché centinaia di medici, tra i quali molti che avevano pazienti in cura con idrossiclorochina, si sono dovuti mobilitare contro quell’articolo che aveva immediatamente fatto sospendere la vendita di un farmaco efficace. Una mobilitazione che spero segni l’inizio di una presa di coscienza politica in una categoria, quale quella dei medici, che non brilla certo per coraggio. Basti pensare, ad esempio, alle vaccinazioni alle quali, come è noto, la stragrande maggioranza dei medici non si sottopone (e molti, addirittura, arrivano a redigere falsi certificati di vaccinazione per i propri pazienti). Ma quando si trattò di prendere posizione contro la radiazione del medico Roberto Gava, "colpevole" di esternare pubblicamente alcune sacrosante considerazioni sui vaccini, tra i 400mila medici italiani iscritti all’Ordine, solo pochissimi hanno sottoscritto una lettera di protesta”. Aggiunge Tarro: “Sembra normale che "The Lancet", considerata la Bibbia della Medicina, non si sia degnata di verificare che gli strampalati dati sui quali si basava l’articolo erano falsi? Ma cosa c’era davvero dietro la pubblicazione di quell’articolo destinato a togliere di mezzo un farmaco che faceva svanire i guadagni legati al vaccino anti-Covid? Ma quali intrallazzi si nascondono dietro tanti articoli che pubblicati su autorevoli riviste scientifiche spianano ai loro autori una carriera accademica? Basta leggersi il libro di Marcia Angell, già direttrice del "New England Journal of Medicine", ovvero "Farma&Co. Industria farmaceutica: storie di straordinaria corruzione". Che ovviamente non è disponibile su Amazon”.

PER IL NUOVO COLOSSO MONDADORI-RIZZOLI IN ARRIVO L’ANTITRUST. MA ECCO COSA SUCCEDE NEGLI USA CON IL CASO AMAZON. Paolo Spiaga su La Voce delle Voci il 24 Ottobre 2015. Mondadori ingoia Rizzoli, un affare da 127 milioni di euro. Dopo sette mesi di tira e molla, di trattative, di “si dice”, manifesti anti fusione, esternazioni anti berlusconiane da parte di un nutrito gruppo di autori, ai primi di ottobre il matrimonio si fa e nasce il nuovo colosso che sfiora il 40 per cento del mercato dei libri, mettendosi alle spalle – iperdistanziate – le altri sigle (Gems al 10, Giunti al 6, Feltrinelli col 5 e De Agostini con il 2 per cento). Sconto da circa 8 milioni sulla base iniziale della trattativa, perchè Mondadori si “accolla” il rischio Antitrust: vale a dire cosa dirà, a questo punto, l’autorità di controllo circa la legittimità o meno di un colosso del genere, che – secondo alcuni addetti ai lavori – in qualche comparto (ad esempio i tascabili), arriva addirittura a detenere l’80 per cento del mercato. Minimizzano il rischio alla Mondadori: “nella scolastica – osservano – non superiamo il 25 per cento mentre nel commerciale in senso ampio non andiamo oltre il 35 per cento: quindi quote compatibili in un libero mercato”. Le cifre dei fatturati, comunque, sono elevatissime: ai circa 240 milioni di introiti della divisione libri della Mondadori, infatti, si sommeranno gli oltre 220 che arrivano dalle entrate di Rcs Libri (ossia i nuovi marchi Bompiani, Fabbri, Sonzogno, Marsilio e la stessa Rizzoli). Un’operazione fortemente voluta da Ernesto Mauri, convinto che la nascita del nuovo colosso possa dare impulso al mercato del libro in Italia, allineandoci ai trend dei paesi esteri (e anche per fronteggiare l’assalto di Amazon). Di parere opposto, ad esempio, un altro Mauri, Stefano, al timone di Gems dalla sua nascita (in tandem con Spagnol), tra i parti più riusciti quello di Chiarelettere. Ai microfoni di Lilli Gruber per Otto e mezzo, Stefano Mauri ha espresso i suoi dubbi circa la nascita del colosso-competitor: e ha denunciato l’esistenza di un vero e proprio “monopsonio”. Tecnicamente si tratta della presenza, sul mercato, di “un solo acquirente a fronte di una pluralità di venditori” (mentre il monopolio è caratterizzato da “un unico venditore che offre il suo prodotto”). E’ la stessa accusa che negli Stati Uniti tre storiche e agguerrite sigle associative – American Bookseller Association, Authors United e Authors Guild – hanno formulato nei confronti di Amazon a metà luglio, chiedendo un pronunciamento da parte dell’Antitrust a stelle e strisce, in particolare al “Justice Department of the Antitrust Division”. I promotori chiedono di verificare l’esistenza di una “posizione dominante” nel mercato editoriale ormai detenuto da Amazon, che “ha ottenuto una posizione di monopolio nella vendita dei libri e di monopsonio nell’acquisto di libri”. Il gruppo di Seattle – spiegano alcuni esperti – sarebbe cioè “venditore unico o quasi nel primo caso, compratore unico o quasi nel secondo caso”. Se il buongiorno si vede dal mattino, Amazon ha buone chance per farla franca, o quasi. Il numero uno dell’Antitrust, William J. Baer, ha “esternato” a giugno in modo “leggermente” inappropriato, celebrando – scrive il New York Times – il modello economico “selvaggio” di Amazon nel campo degli e-book: “è servito ad alimentare la competizione”, “a ravvivare il mercato”, è il parere di Baer. Qualche “conflitto” in vista anche negli Usa e nelle “sentenze”? Di parere opposto – cita ancora il New York Times – una nota firma statunitense, Peter Meyers, fresco autore di “Breaking the Page” sul passaggio dalla stampa al digitale: “Il successo di Amazon – sottolinea Meyer – ha schiacciato la competizione”. Insomma un Golia senza alcun Davide all’orizzonte capace di intimorirlo. Ma vediamo, più in dettaglio, le principali accuse contenute nel documento (24 pagine) inviato al Dipartimento di giustizia dalle tre sigle associative, “gruppi che rappresentano – scrive ancora il New York Times – migliaia di autori, agenti e librai indipendenti”. In primo luogo, viene sottolineato, “Amazon ha usato la sua posizione dominante in modi che secondo noi danneggiano i lettori americani, impoveriscono l’industria editoriale nel suo complesso, danneggiano le carriere di molti autori (generando paura fra di essi) e impediscono il libero scambio delle idee nella nostra società”. Bordate da non poco. “Non esiste un solo esempio, nella storia americana, dove la concentrazione di potere nella mani di una sola compagnia abbia alla fine portato benefici ai consumatori”. Ecco alcune fra le pratiche più “distruttive” adottate da Amazon nella sua politica iperaggressiva: “vendere alcuni libri e non altri sulla base di precise tendenze politiche; vendere alcuni libri sottocosto in modo tale da mettere in serie difficoltà, fino ad estromettere, le aziende editoriali dotate di minori mezzi economici; bloccare o ridurre la vendita di alcuni libri (per milioni di copie) per esercitare pressione sugli editori; esercitare la sua posizione dominante per ottenere una percentuale sulle vendite superiore rispetto agli altri editori”. Pratiche e tattiche commerciali che “minano alla base l’ecosistema dell’intera industria del libro negli Stati Uniti”, in una misura che risulterà molto dannosa anche per gli autori della “mid list”, quelli emergenti, le “voci delle minoranze”. Ci voleva la guerra con Amazon (che oggi controlla un terzo del mercato dei nuovi prodotti stampati e i due terzi delle vendite di e-book) per riuscire a riunire sigle storicamente mai gemellate, come ad esempio la Bookseller Association e Author Guilds, che mettono insieme 9000 autori e 2.200 punti vendita. “I nostri punti di vista fino ad oggi sembra siano stati ignorati”, lamentano, ma confidano nel fatto che “il clima sta cambiando”. E, a quanto pare, sperano (sic) nell’Europa. “Ci sono dei grossi sforzi all’interno dell’Unione Europea – Germania e pochi altri Paesi – per esaminare con più attenzione il dossier Amazon. Ciò può avere dei positivi riflessi in quello che accade qui da noi”. Nota il sito “Consumerist”: “a giugno l’Unione Europea ha annunciato che aprirà formalmente una pratica di Antitrust per quanto riguarda i particolari contratti di vendita stipulati da Amazon sul fronte degli e-book”. Saranno allora curiosi, negli States, di conoscere gli sviluppi del nostro Antitrust alle prese con la patata bollente del nuovo colosso “Mondazzoli”?

 

A proposito di Conoravirus.

Il parere del sociologo storico e scrittore, dr Antonio Giangrande.

Sul Coronavirus ho scritto “Coglionavirus”, un saggio in più parti di centinaia di pagine con fonti autorevoli ed attendibili.

Il saggio scritto a futura memoria e inteso a dimostrare come l’incapacità ed inaffidabilità del passato possa affrontare un problema nel presente, e l’incompetenza, poi, ritrovarcela nel futuro.

Perché in Italia nemmeno i disastri o le rivoluzioni cambiano le cose.

Il sunto del mio saggio sono verità che dai media prezzolati e politicizzati non sentirete mai.

Covid. Immunità di gregge o Lockdown e Coprifuoco?

L'Immunità di gregge è l'infezione totale ed immediata, tale da scongiurare la reinfezione, ove sussistesse come nel Coronavirus. La pandemia si estinguerebbe naturalmente in breve tempo.

Il Confinamento-Quarantena (Lockdown) e Coprifuoco è l'infezione graduale che,  ove si manifestasse la reinfezione, sarebbe duratura e mai totale. La pandemia, negli anni, si fermerebbe, inibendo il protrarsi dell'infezione, tramite la prevenzione con i vaccini periodici, a secondo la variante del virus, che attivano gli anticorpi nei soggetti più forti, o con le cure con gli antivirali (combattono le cause) ed antinfiammatori (leniscono gli effetti). La quarantena è preferita per la speculazione effettuata su prevenzione e cura. 

Immunità di gregge. Sarebbe un sistema che ci permetterebbe di uscire dalla crisi in tempi brevi senza restrizione. Il Virus circola liberamente. Ci sarebbero asintomatici, paucisintomatici e sintomatici lievi e gravi, i quali, quest'ultimi, sarebbero ricoverati e curati con qualsiasi cura disponibile, anche quelle osteggiate, ma efficaci. Ma è No!  No. Non perchè,  per media prezzolati ed allarmisti, per politici incapaci e per pseudoesperti virologi di sinistra, morirebbe troppa gente, ma perchè la malconcia sanità italiana non potrebbe sopportare lo stress dei ricoveri. Ergo: i morti sarebbero tali per la malasanità e non per il virus.

Lockdown e coprifuoco: misure per salvare vite umane? No! Misure deleterie per l'economia,  ma obbligate per nascondere il fallimento della Sanità. Foraggeria e tagli. Clientelismi e nepotismi per la cooptazione e favoritismi al Privato hanno ridotto il sistema sanitario a dover adottare l'unica scelta: confinare i cittadini e centellinare i ricoveri per Covid per mancanza di personale ed infrastrutture, impedendo la cura, inoltre, di altre patologie, il cui numero di morti conseguenti è taciuto. Infartuano i pazienti per non collassare gli ospedali. Taglia, taglia che qualcosa resterà!

La Sanità che ci meritiamo. Né ospedali, né medici, né infermieri. Barbara Palombelli su “Stasera Italia”, di Rete 4° del 6 novembre 2020: Si è tagliato la spesa sanitaria ed adottato il numero chiuso per l’accesso alle professioni sanitarie.

Insomma: confinamento e crisi economica è il prezzo da pagare per salvare la faccia ed i finanziamenti a pioggia a soggetti fisici e giuridici tutelati a fini elettorali. Finanziamenti che, se veicolati sulla sanità, porterebbe questa ad affrontare qualsiasi emergenza.

Il Virus italiano non è cinese: nessun cinese o comunità razziale o etnica diversa da quella italiana, stanziata nel Bel paese, è stata origine di focolaio o di paziente zero.

Il Virus italiano non è tedesco, come qualcuno a ripicca del diniego degli euro aiuti vuole far credere. Nessun focolaio tedesco è stato acceso in Germania, così come in Italia.

Il Virus italiano è padano, per la precisione è lombardo: perché lì vi è stato il paziente uno. Lì vi è stato il focolaio principale che ha causato decine di migliaia di morti. Tanti contati, altri non conosciuti. Quel Focolaio ha dato vita alla pandemia in Italia ed all’estero. Perché gli italiani dove vai vai, lì ne trovi sempre qualcuno, chi per vacanza, chi per lavoro.

Il Virus italiano è simile, non uguale, a quello cinese ed ama umidità ed inquinamento. Attraverso le particelle dello smog o le goccioline della nebbia si trasporta per vari metri e per lungo tempo.

Il fattore principale di propagazione in tutta Italia è stata la partita a Milano tra l’Atalanta ed il Valencia, con quarantamila bergamaschi in trasferta, originari del focolaio principale. Così come è stato strumento di propagazione ogni partita che l’Atalanta ha giocato a porte aperte fuori casa, compresa quella col Lecce, in Puglia.

Per il resto si è permesso di infettare il Sud Italia, al momento immune, per alleggerire il carico sulla sanità padana. Qualche coglione padano, cosiddetto giornalista, si rallegrava del fatto che ora sì, siam diventati tutti “Fratelli d’Italia”!

La Sanità Lombarda, prima, e quella nazionale, poi, ha mostrato tutti i suoi limiti, essendo gli operatori sanitari i principali untori della pandemia. Si andava per cure e si usciva infettati.

Gli operatori sanitari, qualcuno vero eroe, altri meno, tra cui coloro che hanno preso decisioni scellerate o i disertori dalla malattia facile, hanno pensato bene di proporre la loro immunità penale, facendo leva sull’indignazione e cavalcando l’onda del momento a loro favore.

Il sistema lombardo centrico non ha avuto remore, in tempo di crisi, a privare la sanità meridionale dei macchinari salva vita per devolverli agli ospedali del nord, requisendo i respiratori già consegnati in Calabria ed in Puglia.

L’eccellenza riconosciuta all’estero, ma come al solito denigrata in Italia, è stata quella dell’ospedale napoletano: il Cutugno per mezzo del prof. Ascierto, che ha scoperto la cura testata su tanti pazienti già guariti.

I media prezzolati e politicizzati, poi, con i soliti ciarlatani, hanno allarmato il popolo per prepararlo al peggio, con decisioni risibili.

Il popolo italiano, inoltre, ha combattuto la guerra come è usuale farlo: fuggendo.

Chi di dovere, anziché relegare pochi migliaia di malati ed il proprio nucleo familiare in strutture protette, ha rinchiuso 60 milioni di sani, privandoli di libertà e ricchezza, senza soluzione di continuità e senza barlume di speranza. Non li ha rinchiusi tutti, però. Nel contempo hanno permesso a chi, infettato, era autorizzato a girare per le città su autobus e metrò, e così a continuare a contagiare ed a diffondere l’epidemia.

Bastava poco ad arginare l’emergenza. Tamponare o analizzare il sangue a tutti, o perlomeno, uno per nucleo familiare, considerato che dove lo è uno lo sono tutti quelli a lui vicino. Di conseguenza monitorare i suoi spostamenti, passati, presenti e futuri, con gli strumenti tecnologici.

Invece se coglioni eravamo prima del disastro, lo siamo durante o lo resteremo in futuro.

Per provare quello che dico, basta fare mente locale su quello che si è detto e fatto durante tutto questo periodo: il tutto ed il contrario di tutto. E nulla si sa del futuro.

Antonio Socci cinguetta: “Siccome non erano capaci di procurare le mascherine, ci dicevano che non servivano alla gente comune. Di questa splendida informazione sanitaria firmata dal governo chi risponde?”

Maria Giovanna Maglie  punta il dito contro il secondo presunto fronte della menzogna, quello relativo ai tamponi. “E siccome non hanno tamponi ci dicono che i test agli asintomatici non servono. Quante bugie di Stato! Qualcuno pagherà?”

Qualcuno dice che tutto questo ci cambierà: sì, in peggio.

 

Coronavirs: altro che Immunità di Gregge.

Coronavirs: altro che Immunità di Gregge. Con la falsa quarantena si è permesso di infettare il Sud Italia per salvare i padani. L’opinione del sociologo storico e scrittore Antonio Giangrande che sul tema ha scritto il saggio “Coglionavirus”.
I media prezzolati e nordisti a criticare l’immunità di gregge, per giustificare le scelte del Governo italiano.
Perché si obbliga la quarantena della reclusione in casa con relative sanzioni penali e poi si agevola la fuoriuscita criminale dalla zone rosse del settentrione degli infettati, permettendo loro la mobilità verso il sud?
Scientemente si è diffuso il contagio dell’epidemia nel sud Italia? Perché?
Il virus si può combattere in due modi: il primo è il metodo cinese e nei fatti, anche se messo in atto con ritardo ed incertezze, anche il metodo italiano. Un metodo che si basa sull’isolamento delle aree urbane, o comunque dei territori, dove la malattia imperversa, e che determina il crollo della possibilità di avere contatti sociali, limitando in questo modo la circolazione della malattia.
Esiste poi un secondo metodo che è sicuramente meno “prudente” ma in presenza di determinate condizioni potrebbe essere più efficace delle quarantene. Il secondo metodo consiste nel far circolare liberamente il virus, far si che infetti rapidamente gran parte della popolazione ed raggiungere, dopo circa 3/4 mesi La cosiddetta immunità di gregge.
Un termine importante è la Curva appiattita. Questa è un qualcosa di non concreto, ma importante. Si tratta di spalmare il numero di contagi più in là nel tempo grazie ai vari interventi fatti. Se si lasciasse proseguire il contagio libero, quest’ultimo presenterebbe un picco molto più grande, ma in poco tempo. Il problema di lasciarlo libero è che si crea una pressione eccessiva sul sistema sanitario e altri collegati. Si diluisce il contagio per favorire il suo decorso. Moltissimi contagiati, in pochissimo tempo e, anche se la letalità fosse bassissima, le vittime potrebbero essere tantissime (su grandi numeri, anche una piccola percentuale è in ogni caso numerosa).
Questo, a prescindere dalla gravità dei sintomi della malattia, oltre a fare vittime, sovraccarica le strutture sanitarie. Migliaia di persone si riversano al pronto soccorso, centinaia di ricoverati, tanti in rianimazione. Serve personale, farmaci, posti letto, macchinari. Quando questo succede in sei mesi (come per l’influenza) si riesce a sopportare l’impatto (e supportare tutti), quando questo avviene in un mese potrebbe far crollare tutto. E poi diventa una reazione a catena.
Se i reparti di rianimazione fossero pieni di pazienti con polmonite da Coronavirus, non potrebbero ricevere persone in insufficienza renale, con un infarto, chi ha avuto un incidente, una donna che ha avuto un’emorragia post partum, un uomo che ha avuto un ictus con conseguente diminuzione dell’assistenza, delle cure e quindi un aumento senza precedenti della mortalità e delle complicanze, oltre che un peggioramento improvviso e pesante del livello delle cure.
L’Italia disponeva un tempo di molti più posti letto di terapia intensiva, sub intensiva e di degenza ordinaria. Poi vennero le “razionalizzazioni”, le cure dimagranti, i tagli alla sanità. Benvenuti nell’era dell’austerità.
Togliamocelo dalla testa: l’attenzione all’epidemia di coronavirus non è dovuta alla sua letalità quanto alla capacità di far «saltare» il nostro sistema sanitario. La spiegazione è nelle parole di Massimo Galli, primario infettivologo dell’Ospedale Sacco di Milano, in un’intervista rilasciata a Corriere della Sera il 23 febbraio 2020: «In quarantadue anni di professione non ho mai visto un’influenza capace di stravolgere l’attività dei reparti di malattie infettive e delle rianimazioni di un’intera regione tra le meglio organizzate e preparate alle emergenze d’Italia. Nessun sistema sanitario avanzato può essere predisposto per ricoverare tanti pazienti critici tutti assieme e per di più in regime di isolamento». Alle 18 di ieri infatti, dei 2052 casi confermati, circa l’8% è in terapia intensiva e il 36% è ricoverato con sintomi. Anche se il rischio di contrarre la malattia nella popolazione, soprattutto al di fuori dei focolai, rimane basso, la diffusione del virus va rallentata per evitare che questo rischio aumenti con il conseguente collasso degli ospedali. Più persone si ammalano – e nella maggior parte dei casi il decorso è benigno – e più individui necessiteranno di ricovero.
Conclusione. Hanno infettato il Sud per spalmare su tutta l’Italia e le relative strutture sanitarie il picco del contagio e salvare, curandoli, così, quanto più Padani.

 

Quelli che…o tutti o nessuno e poi vogliono la secessione!
Lo sproloquio del saggista e sociologo storico Antonio Giangrande. Da far riflettere…
2 e 3 giugno: Si festeggiano il giorno della Repubblica ed il giorno della libera circolazione tra regioni.
Il tutto sotto diktat della Padania.
I Padani hanno voluto l’Unità d’Italia per depauperare l’Italia meridionale.
I Padani comunisti hanno voluto la Repubblica per continuare a saccheggiare l’Italia Meridionale.
I Padani con le sedi legali delle loro aziende nei paradisi fiscali vogliono continuare a dettar legge con la scusa della secessione.
L’Italia divisa in due.
MAGGIO 1860, IL RUOLO DELLA GRAN BRETAGNA NELL’ATTACCO ALLA SICILIA E AL REGNO DELLE DUE SICILIE. Michele Eugenio Di Carlo, Giovedì, 28 Maggio 2020 su retegargano.it. Uno dei più dettagliati resoconti della spedizione garibaldina - tanti ne hanno tratto informazioni senza citare la fonte - resta quello di Giacinto de’ Sivo. Con precisione assoluta lo scrittore di Maddaloni descrive l’apparato di sicurezza che il Governo aveva disposto per proteggere la Sicilia dall’invasione ritenuta certa: quattro fregate a vapore, due a vela, nove piroscafi da guerra, che navigavano incessantemente lungo le coste siciliane. Considerate anche le forze di Polizia e le Guardie Urbane, supporre che Giuseppe Garibaldi, nel caso fosse riuscito a sbarcare, potesse andare oltre Marsala non era proprio possibile. Per de’ Sivo era del tutto chiaro: la forza di Garibaldi era stata costruita a tavolino, in particolare dalla potentissima macchina della propaganda inglese. E quanto Cavour, convintosi a favorire la spedizione, cercò di metterne a capo Nino Bixio, «allora dolentissimo il Nizzardo, scordò la venduta patria, e scrisse umilissime lettere al La Farina, scongiurandolo d’aiutarlo… ». Sicuramente era stata proprio l’azione di mediazione di Giuseppe La Farina a spingere Garibaldi ad incontrare Camillo Cavour e Vittorio Emanuele II a Bologna il 2 maggio, al fine di addivenire ad un accordo, come già supposto dallo storico Pietro Pastorelli. Ed è così che «quel marinaio già dalla stampa mazziniana magnificato, quasi promesso da’ fati, per patti segreti tra reggitori di popoli potenti, con l’oro del Piemonte indebitato a posta, doveva lanciarsi a portar guerra civile nelle Sicilie».
Dopo l’unificazione artefatta e truffaldina dell’Unità d’Italia venne la nascita della Repubblica, altrettanto artefatta e truffaldina voluta sempre dalla gente del nord.
L’Italia divisa in due.
REGIONE NORD SEZIONI REPUBBLICA MONARCHIA
Piemonte 3529 1.250.070 938.945
Liguria 1470 633.130 284.692
Lombardia 5241 2.270.335 1.275.183
Venezia Tridentina
(Escluso Bolzano e Trieste) 465 191.450 33.728
Veneto 3636 1.403.441 954.372
Emilia Romagna 2928 1.526.838 454.589
Toscana 2781 1.280.815 506.167
Marche 1126 498.607 213.621
Umbria 631 301.209 117.755
TOTALE 21.807 9.355.895 4.779.052

REGIONE SUD SEZIONI REPUBBLICA MONARCHIA
Lazio 2212 753.978 795.501
Abruzzo e Molise 1264 347.578 459.478
Campania 2770 435.844 1.427.038
Puglie 1950 465.620 954.754
Lucania 394 107.653 158.210
Calabria 1337 337.244 514.633
Sicilia 2827 708.109 1.301.200
Sardegna 859 206.098 319.557
TOTALE 13613 3.362.124 5. 930.371
Con la Repubblica inizia il declino dell’Italia Meridionale e la differenza tra le due Italie si perpetua.
Lo scippo della Spesa Storica che toglie al Mezzogiorno e regala al Nord è l’origine del declino italiano. E tutti i Governatori del Sud tacciono. Come sempre. Roberto Napoletano il 30 aprile 2020 su Il Quotidiano del Sud. Tutti tacciono. Come hanno fatto negli ultimi venti anni. Hanno sempre qualche emergenza di cui occuparsi. Spicciano pratiche. Hanno una conference call dietro l’altra (prima incontravano gente). Zitti e muti. I soldi loro vanno da un’altra parte, ma loro non se ne accorgono. Se glielo spieghi, ti guardano strano. Preferiscono il silenzio. Dopo diranno che non hanno capito. Si spartiranno le briciole – se ci sono – che i ricchi lasceranno cadere dai tavoli imbanditi con le pietanze rubate ai poveri. Che sono loro. Quelli che stanno zitti quando dovrebbero urlare e strepitano o piagnucolano quando non serve a nulla. Facciamo presente che se avere chiuso un occhio con 60 e passa miliardi di spesa pubblica dovuti al Sud e regalati al Nord ogni anno negli ultimi dieci anni è stato grave. Lo scippo della Spesa Storica che toglie al Sud e regala al Nord – è l’origine del declino italiano – lo si vuole replicare approfittando della Pandemia, nonostante il disastro della superforaggiata Lombardia. Mi raccomando – lo dico provocatoriamente ma vale per tutti e per chiunque abbia un po’ di sale in zucca della classe dirigente meridionale – non disturbiamo il manovratore e occupiamoci di distanze in casa e al bar.
Quando il Governo Letta penalizzò le Università del Sud per favorire quelle del Nord. Michele Eugenio Di Carlo su I Nuovi Vespri il 6 maggio 2020. La sottrazione di risorse alle Università povere (quelle del Sud) per favorire le università ricche (quelle del Nord, che non sono affatto le migliori) ha determinato la migrazione di studenti (e di risorse finanziarie) dal Sud al Nord. Una vergogna infinita e uno scandalo ignorato. Sentire che tanti nostri studenti universitari, e i propri familiari, in questi giorni si lamentano di dover pagare affitti mentre le università sono praticamente chiuse, mi fa proprio male e mi costringe a riferire quello di cui pochi sono a conoscenza. Fu un provvedimento del governo di Enrico Letta e della ministra dell’Istruzione di allora, Maria Grazia Carrozza, a penalizzare fortemente le università del Sud con una sorta di decreto ammazza università meridionali che ha dato soldi alle università ricche e li ha sottratti a quelle povere. Badate bene, non a quelle migliori, a quelle più ricche. Lo scrive peraltro l’amico Pino Aprile nel suo ultimo testo “L’Italia è finita”, come sempre una miniera di informazioni. Tanto che l’economista barese Gianfranco Viesti – ricordo che è anche cittadino onorario della città di Vieste – ne scrisse un libro di denuncia: “La laurea negata”, arrivando a dire che tanto valeva farle chiudere. Un decreto che andò a peggiorare le già antimeridionali norme dei precedenti ministri Profumo e Gelmini. Ora uno studente meridionale su due (8 su 10 in Basilicata) sceglie un università del Nord e questo comporta l’ennesimo esborso di miliardi che passano da Sud a Nord, quasi non bastasse la tristissima e abominevole emigrazione sanitaria.
Michele Emiliano a Stasera Italia su Rete4 (Rete Lega) del 3 maggio 2020. «Innanzitutto noi abbiamo aumentato di millecinquecento posti i posti letto autorizzati da Roma. E abbiamo subito approfittato di questa cosa. Devo essere sincero: il sistema sanitario pugliese è un sistema sanitario regolare. Noi non abbiamo mai avuto problemi sulle terapie intensive. Quindi però, Pomicino evidentemente è intuitivo, capisce che questo è il momento per cui le sanità del Sud…siccome i nostri non possono più andare al Nord per curarsi perché è troppo pericoloso, devono essere rinforzate per limitare la cosiddetta mobilità passiva. Quindi io l’ho detto chiaro: io non terrò più conto dei limiti, posti letto, assunzioni, di tutta questa roba, perché non siamo in emergenza. Farò tutte le assunzioni necessarie, assumerò tutte le star della medicina che riuscirò a procurarmi, cercherò di rinforzare i reparti. Manterrò i posti letto in aumento. Anche di più se possibile. Chiederò ai grandi gruppi privati della Lombardia per i quali c’è una norma che li tutelava in modo blindato. Immaginate: io potevo pagare senza limite i pugliesi che andavano in Lombardia presso queste strutture, se queste strutture erano in Puglia c’era un tetto massimo di spesa fatto apposta…Siccome questo tetto deve saltare, io sto proponendo a questi grandi gruppi di venire e spostarsi al Sud per evitare il rischi Covid, ma soprattutto per evitare il rischio aziendale per loro. Perché è giusto che questa mobilità passiva: 320 milioni di euro di prestazioni sanitarie che la Puglia paga alla Lombardia in prevalenza, solo perché quel sistema è stato supertutelato. Adesso tutti dovremmo trovare il nostro equilibrio e la nostra armonia».
Tgnorba Il Fatto del 29-05-2020. Editoriale a cura del direttore Enzo Magistà di venerdì 29 maggio. Nel presentare il “decreto rilancio” e le riaperture del 18 maggio il presidente Conte annunciò che il 3 giugno, cioè da mercoledì prossimo, sarebbe stato possibile prevedere la ripresa anche della libera circolazione tra le regioni italiane. Però precisò: tutto sarebbe stato collegato alle condizioni della pandemia territorio per territorio, regione per regione. Tanto che si creò una specie di misuratore che indicava il rischio: alto, medio, oppure, assente. Le regioni a rischio alto, disse Conte, sarebbero rimaste chiuse; quelle senza rischio sarebbero state riaperte. Avrebbero potuto collegarsi fra loro. In pochi giorni, però, le cose sono cambiate. Ieri le regioni hanno fatto sapere al Governo di non essere d’accordo sulle riaperture differenziate. O tutti o nessuno. Il Governo si è un po’ spazientito, però, sembra essere disponibile. Però non tutte le regioni italiane sono a rischio controllato, è molto probabile che la libera circolazione sull’intero territorio nazionale possa slittare di una settimana: non più il tre, ma il 10 giugno. Non ci cambia la vita, però ci fa rabbia lo stesso. Perché ancora una volta ci si inchina al volere, per non dire al diktat, delle regioni del nord: Lombardia e Veneto in particolare. Sono le regioni italiane più a rischio. E quindi Fontana e Zaia sono stati loro a cavalcare la tesi del “tutti o nessuno”, perché, altrimenti, sarebbero rimaste chiuse. A loro, stavolta, fa comodo, sposare questa tesi, “tutti o nessuno”. Ma in altre occasioni non è stato così. Anzi, in tantissime altre occasioni non hanno fatto altro che rivendicare il contrario, fino a chiedere una autonomia esagerata. Vogliono l’autonomia su tutto: sulle tasse, sulla salute, la scuola, ecc.. Però quando si deve riaprire, siccome loro non possono riaprire: no! O tutti o nessuno. Sarebbero le sole a restare chiuse: allora no! O tutti o nessuno. Purtroppo, però, questo è il dramma: vincono sempre loro.

 

Gli affari della Sanità privata padana a danno di quella del Sud, sotto tutela dello Stato.

Con il principio della spesa storica (riferimento a quanto percepito negli anni precedenti), il Nord Italia si “fotte” più di quanto dovuto, a spese del Sud Italia.

In virtù, anche, di quel dipiù la Sanità padana spende di più perché è foraggiata dallo Stato a danno della Sanità meridionale, che spende di meno perchè vincolata a dei parametri contabili prestabiliti.

Poi c’è un altro fenomeno sottaciuto:

Nelle strutture private del Nord, costo pieno di rimborso;

Nelle strutture private del Sud, costo calmierato di rimborso.

Con questa situazione si crea una contabilità sbilanciata e un potere di spesa diversificato.

In questo modo i migliori chirurghi del meridione sono assoldati dalle strutture settentrionali e pagati di più. Questi, spostandosi, con armi, bagagli e pazienti meridionali affezionati, creano il turismo sanitario.

Con una finanza rinforzata la Sanità padana è pubblicizzata dalle tv commerciali e propagandata dalla tv di Stato.

Ergo: loro diventano più ricchi e reclamizzati. Noi diventiamo sempre più poveri e dileggiati.

Poi arriva il Coronavirus e ristabilisce la verità:

la presunta efficienza crea morte nei loro territori;

la presunta arretratezza contiene la pandemia, nonostante, artatamente, dal Nord per salvare la loro sanità, siano stati fatti scappare i buoi infetti con destinazione Sud.

Michele Emiliano a Stasera Italia su Rete4 (Rete Lega) del 3 maggio 2020. «Innanzitutto noi abbiamo aumentato di millecinquecento posti i posti letto autorizzati da Roma. E abbiamo subito approfittato di questa cosa. Devo essere sincero: il sistema sanitario pugliese è un sistema sanitario regolare. Noi non abbiamo mai avuto problemi sulle terapie intensive. Quindi però, Pomicino evidentemente è intuitivo, capisce che questo è il momento per cui le sanità del Sud…siccome i nostri non possono più andare al Nord per curarsi perché è troppo pericoloso, devono essere rinforzate per limitare la cosiddetta mobilità passiva. Quindi io l’ho detto chiaro: io non terrò più conto dei limiti, posti letto, assunzioni, di tutta questa roba, perché non siamo in emergenza. Farò tutte le assunzioni necessarie, assumerò tutte le star della medicina che riuscirò a procurarmi, cercherò di rinforzare i reparti. Manterrò i posti letto in aumento. Anche di più se possibile. Chiederò ai grandi gruppi privati della Lombardia per i quali c’è una norma che li tutelava in modo blindato. Immaginate: io potevo pagare senza limite i pugliesi che andavano in Lombardia presso queste strutture, se queste strutture erano in Puglia c’era un tetto massimo di spesa fatto apposta…Siccome questo tetto deve saltare, io sto proponendo a questi grandi gruppi di venire e spostarsi al Sud per evitare il rischi Covid, ma soprattutto per evitare il rischio aziendale per loro. Perché è giusto che questa mobilità passiva: 320 milioni di euro di prestazioni sanitarie che la Puglia paga alla Lombardia in prevalenza, solo perché quel sistema è stato supertutelato. Adesso tutti dovremmo trovare il nostro equilibrio e la nostra armonia».

 

Vincono sempre loro.

Tgnorba Il Fatto del 29-05-2020. Editoriale a cura del direttore Enzo Magistà di venerdì 29 maggio. Nel presentare il “decreto rilancio” e le riaperture del 18 maggio il presidente Conte annunciò che il 3 giugno, cioè da mercoledì prossimo, sarebbe stato possibile prevedere la ripresa anche della libera circolazione tra le regioni italiane. Però precisò: tutto sarebbe stato collegato alle condizioni della pandemia territorio per territorio, regione per regione. Tanto che si creò una specie di misuratore che indicava il rischio: alto, medio, oppure, assente. Le regioni a rischio alto, disse Conte, sarebbero rimaste chiuse; quelle senza rischio sarebbero state riaperte. Avrebbero potuto collegarsi fra loro. In pochi giorni, però, le cose sono cambiate. Ieri le regioni hanno fatto sapere al Governo di non essere d’accordo sulle riaperture differenziate. O tutti o nessuno. Il Governo si è un po’ spazientito, però, sembra essere disponibile. Però non tutte le regioni italiane sono a rischio controllato, è molto probabile che la libera circolazione sull’intero territorio nazionale possa slittare di una settimana: non più il tre, ma il 10 giugno. Non ci cambia la vita, però ci fa rabbia lo stesso. Perché ancora una volta ci si inchina al volere, per non dire al diktat, delle regioni del nord: Lombardia e Veneto in particolare. Sono le regioni italiane più a rischio. E quindi Fontana e Zaia sono stati loro a cavalcare la tesi del “tutti o nessuno”, perché, altrimenti, sarebbero rimaste chiuse. A loro, stavolta, fa comodo, sposare questa tesi, “tutti o nessuno”. Ma in altre occasioni non è stato così. Anzi, in tantissime altre occasioni non hanno fatto altro che rivendicare il contrario, fino a chiedere una autonomia esagerata. Vogliono l’autonomia su tutto: sulle tasse, sulla salute, la scuola, ecc.. Però quando si deve riaprire, siccome loro non possono riaprire: no! O tutti o nessuno. Sarebbero le sole a restare chiuse: allora no! O tutti o nessuno. Purtroppo, però, questo è il dramma: vincono sempre loro.

 

In che mani stiamo.

Un Governo che non è stato votato dal Popolo, si impegna a non rappresentarlo. Questo Governo non decide, ma per pararsi il culo per le stragi, si tiene buoni scienziati, pubblici ministeri e giornalisti. A loro fa decidere sulla carcerazione domiciliare dei cittadini e sulla scarcerazione dei detenuti. Ed ai giornalisti ha dato l'incarico di vigilanza sulle fake news (sic).

 

La pedanteria sanitaria.

Per i medici tutto fa male. Pedante. Nell’uso moderno, e per lo più in senso spregevole, e chi, nell’insegnamento e nello studio e nella cura, si richiama continuamente alle regole, osservandole e facendole osservare con scrupolo meticoloso e scarsa intelligenza; per estensione, di chi pone una cura eccessivamente minuziosa, meticolosa, pignola in qualsiasi cosa faccia: Finalmente i medici sono riusciti a renderti la tua vita sana, ma vissuta in un inferno.

Coronavirus, non uscire di casa, non fare sesso, non mangiare le patate fritte. Arrigo D'Armiento il 10 Aprile 2020 su romadailynews.it. La sapete quella delle patate fritte? Un uomo va dal dottore per un controllo. Dopo la visita, il dottore gli dice: “Le condizioni generali sono buone, tuttavia io le raccomando vivamente di smettere di fumare”. Il paziente: “Veramente io non fumo, non ho mai fumato”.

Il medico: “Bene, ma mi raccomando, smetta di bere alcolici, al massimo mezzo bicchiere di vino ai pasti”. Il paziente: “Veramente io non bevo alcolici, sono totalmente astemio”.

Il medico: “Bene, bene. Però, non esageri con le donne, col sesso, ha una certa età, deve trattenersi”. Il paziente: “Dottore, io sono assolutamente casto, vado in chiesa tutte le mattine, ho sposato soltanto Cristo e la Madonna”.

A questo punto il medico spazientito sbotta: “Ma c’è una cosa, almeno una, che le piace?”. Il paziente: “Bè, veramente, io ho una certa predilezione per le patate fritte, le mangio spesso”. Il medico non trattiene un urlo: “Basta! Da oggi non mangi più le patate fritte!”.

Quanta saggezza nelle barzellette! Perché il medico ha proibito al malcapitato paziente di mangiare le patate fritte? Semplice, perché proibendo al paziente una cosa, qualsiasi cosa, il medico lo spinge a fare mea culpa. Se ti ammali, se hai problemi di salute, la colpa è tua, non mia che non so curarti.

È la stessa ricetta che la chiesa ci propina da millenni, vietandoci un sacco di cose a cui non sappiamo né possiamo rinunciare. La trovata più perfida e più utile, utile ai preti, è di proibirci di fare sesso se non alle condizioni stabilite da loro.

Agli adolescenti è proibito masturbarsi, ai ventenni di fornicare con le ragazze, ai mariti e alle mogli di ricorrere alle corna per rendere meno noioso il matrimonio. E hanno la faccia tosta di vietare tutte queste naturali tendenze con la trovata che sono contro natura. Contro natura le tendenze naturali? Contro natura la cosa più naturale del mondo, conseguente all’istinto di conservazione della specie?

Loro, i preti, lo sanno benissimo che contro la natura non c’è proibizione che tenga. Proprio per questo ricorrono a quei divieti, così chi non obbedisce, e non obbedisce nessuno, si sente in colpa, poi più recita il mea culpa e più si sottomette al potere dei preti.

Perché vi ho raccontato queste cose? È per ricordarvi che le autorità sanitarie e politiche ragionano alla stessa maniera: vietano al gregge di stare all’aperto, pur sapendo che il contagio di covid-19 è molto meno facile all’aperto che al chiuso. Facendo jogging o passeggiate, rimanendo a più di un metro di distanza dagli altri, non ci si infetta. Affollandoci al supermercato o sui mezzi pubblici, ci si infetta facilissimamente.

Così, se ti infetti, è colpa tua che sei uscito di casa, non colpa delle autorità che non ti hanno dato la mascherina e che hanno tagliato i fondi alla sanità non avendo l’abitudine di guardare al passato per prevenire i danni nel futuro.

 

Settentrionali vs Meridionali.

La parafrasi di un atteggiamento razzista da una parte e coglionista dall'altra.

Ogni volta che aprono bocca i padani non parlano mai (o solo) dei cazzi loro.

Su ogni argomento stanno sempre lì a comparare loro ai meridionali.

Riguardo al tema del Coronavirus.

Il Nord untore ha prima infettato il Sud e poi l'ha rinchiuso in casa da sano, affamandolo.

Il Nord ha dato prova di inefficienza ed incompetenza. Ciononostante, stanno lì a chiedersi ed a trovare il cavillo calunnioso sul perchè il Sud non deborda di morti, stante, secondo loro, l'arretratezza della sanità e della società meridionale, restia a rispettare le norme di contenimento.

La litania dei "Corona" settentrionali con la moglie cozza: Quanta è bella mia moglie; ma quanta è brutta la loro.

La risposta dei "Terroni" meridionali con la moglie bella ed affascinante: Quanta è brutta mia moglie; è più bella la loro.

Non riesco a trovare nessun settentrionale che riveli la realtà dei fatti e parli male della Padania. Che dica: che racchia di femmina!

Si riscontra solo: quanto è bella, progredita, onesta, ricca che paga le tasse.

Non riesco a trovare alcun meridionale che metta in evidenza i difetti e le mancanze del Nord ed indichi le eccellenze del Sud e che, nel paragone dica: che bonazza di femmina!

Si riscontra solo: quanto è brutta, arretrata, mafiosa, povera ed evasora fiscale.

Non so chi mandare a fanculo: i razzisti o i coglioni!!

 

La Dittatura Sanitaria.

Sono sì consulenti, ma guai a non attenersi alle loro linee guida. Gli esperti scientifici e gli enti nazionali ed internazionali di Sanità hanno dimostrato la loro inaffidabilità. Eppure a sviare dalle loro voglie si paga dazio con la magistratura, la quale alla politica deviante affibbierà le colpe di un disastro.

  

Coronavirus ed esperti. I protocolli sanitari della morte.

I protocolli adottati e resi obbligatori hanno dimostrato gli errori criminali dell’OMS (Organizzazione Mondiale di Sanità) ed dell’ISS (Istituto Superiore di Sanità) e del Comitato Tecnico Scientifico consulente del Governo.

I tamponi non previsti per gli asintomatici ed i paucisintomatici hanno fatto sì che gli infettati contagiassero tutti coloro che, prima, erano liberi di muoversi, e, dopo, era permesso di muoversi.

L’uso non previsto delle mascherine e di ogni apparato di protezione ha permesso agli infettati di contagiare ed ai sani di essere ammorbati.

La politica ha pensato bene di prevedere uno scudo penale per la sanità e per i suoi pseudo esperti scientifici.

Ergo: di questo scempio mai nessuno renderà conto, se non a Dio.

 

Coronavirus. I nostri esperti? Inaffidabili.

Da rivedere le misure contro il contagio.

Il virus si trasmette tramite aerosol naturale (nebbia, pulviscolo, polveri sottili) a molti metri di distanza e per parecchio tempo. Si contagiano occhi, naso, bocca. Per questo servono mascherine che coprano occhi e naso ed occhiali che proteggano gli occhi.

Leggete Coglionavirus di Antonio Giangrande.

 

Coronavirus: idiozia ed invidia vs capacità.

Mediaset ed il sistema padano non possono nascondere i meriti mondiali dei professori meridionali Ascierto, Gambotto, Ranieri. rispettivamente: Cura, vaccino e tecnica salvavita. Il razzismo territoriale dei padani contro la competenza dei meridionali. Ci chiamano Terroni, potremmo chiamarli Corona, ma li apostrofiamo semplicemente: Coglioni.

 

Bonus Spesa: l'umiliazione della domanda e l'umiliazione della spesa e la rinuncia per dignità ed orgoglio.

Ne approfitteranno i soliti furbi, spendendoli in futilita', e chi ne chiederà conto politico. Se tutti, oggi, sono in emergenza, perché non distribuiscono i pacchi spesa casa per casa, salvo rifiuto? Consegna a domicilio del fabbisogno alimentare a carico degli esercizi commerciali convenzionati con l'amministrazione comunale.

L'IMMONDA IDEA DI UN REDDITO PER CHI LAVORA IN NERO. Così scrive Maurizio Tortorella il 31 marzo 2020 su Panorama.

La Germania non ha fiducia nell’Italia nell’onorare i suoi debiti. L’Italia è reputata indebitata, inaffidabile e senza garanzie. E tutti gli italiani contro i tedeschi.

La stessa cosa, però, pensano i padani di noi meridionali: lavativi e approfittatori.

Mi devono spiegare e farmi capire, questo tipo di scienziati, in termini di PIL a quanto ammonta il “Lavoro Nero”, se per definizione il “Lavoro Nero” e la relativa evasione fiscale è di per sé invisibile. Ergo: incalcolabile.

Questi scienziati considerano "Nero" anche quella fascia di contribuenti che per legge fiscale sono esonerati dal presentare la dichiarazione dei Redditi.

E comunque il cosiddetto “Nero” vero è che non paga l’Irpef, ma vive e consuma Padano, facendoli ricchi, e, quindi, spende, e spendendo paga, comunque, tasse ed imposte (Iva, accise, ecc), che servono ai parassiti per sostenersi e per avere l’aria di parlare.

In tempo di Coronavirus si cerca di aiutarsi tutti quanti. Così dicono.

Chi lavora è sostenuto con i bonus.

Chi è dipendente e non lavora gli viene riconosciuta la Cassa Integrazione Guadagni o la disoccupazione.

Gli autonomi ed i professionisti che si sono fermati vengono pagati con una indennità (600-800 euro).

Chi non lavora e non rientra nelle categorie suddette ha il reddito di cittadinanza.

Poi ci sono gli sfigati. Quelli che per 10 euro in più nel conto in banca o nel valore immobiliare non rientrano nel reddito di cittadinanza, o quelli che, lavorando sottopagati, o pagati parzialmente in nero al Nord, con questa crisi sono stati licenziati a paga dimezzata e senza diritti, o quelli che comunque sono stati licenziati, o che sono disoccupati da lunga data, ma non maturano i requisiti di alcun beneficio.

Questi non sono “nero”, ma semplici sfigati. Per gli scienziati dall’accusa e dalla condanna facile, hanno un peccato: essere meridionali. Come se al Nord non ci fossero i morti di fame, anzi, di più. Perché non hanno una famiglia dietro che li sostiene. Però i media padani la menano sul pericolo Sud e le rivolte per la fame, aiutati in questo da certi sindaci meridionali senza dignità ed orgoglio, che sono sempre lì a lamentarsi..

Se al Nord guardassero meno la pagliuzza negli occhi del Sud, e si facessero solo i cazzi propri, forse scriverei meno nei miei libri sulle loro nefandezze.

 

La lezione degli Albanesi ai Lombardo-Veneti.

E’ atterrato all'aeroporto Valerio Catullo di Verona, riaperto in via straordinaria per l'occasione, il volo con a bordo il team, arrivato ieri a Fiumicino, composto da 10 medici e 20 infermieri provenienti dall'Albania per aiutare gli ospedali di Bergamo e Brescia, tra le zone più colpite dalla pandemia.

"È vero che tutti sono rinchiusi dentro le loro frontiere e anche Paesi ricchissimi hanno girato la schiena agli altri, ma forse esattamente perché noi non siamo ricchi e neanche privi di memoria, non ci possiamo permettere di non dimostrare all'Italia che gli albanesi e l'Albania non abbandonano mai l'amico in difficoltà”. Ha detto il Premier albanese.

Matteo Salvini e la coerenza, un rapporto complicato. Il leader della Lega, come tanti colleghi politici, ha ringraziato il gesto di solidarietà del premier albanese Edi Rama, che ha inviato 30 medici e infermieri in Lombardia per aiutare la sanità nostrana a fronteggiare l’epidemia di Covid-19. Bisogna andare indietro di qualche anno, è il 24 giugno del 2014, per leggere sempre sui social dell’ex ministro parole al vetriolo contro la stessa Albania. “Alla faccia della storia, dell’economia, del passato e del futuro – è il commento del leader del Carroccio, all’epoca europarlamentare – No all’Europa Supermercato”.

"Qualche giorno fa è uscita una lettera dei primari di rianimazione della Regione Lombardia, che accusavano la mancanza di solidarietà delle vicine Regioni, e credo si riferissero al Veneto, perché non avevano messo a disposizione personale medico e infermieristico fondamentale nel momento in cui qui avevamo il picco e non riuscivamo più a gestire le terapie intensive e il personale che veniva ricoverato. Mi sono chiesto, leggendo questa lettera, se esiste il Servizio sanitario nazionale, visto che ogni Regione cerca di chiudersi al proprio interno". Lo ha detto il sindaco di Brescia, Emilio Del Bono, ospite di "Che tempo che fa" il 29 marzo 2020.

«L'impresa veneta ha un Pil di 150 miliardi di euro: se crolla il Pil del Veneto crolla l'Italia». Lo ribadisce il governatore del Veneto, Luca Zaia, impegnato da questa mattina, 28 febbraio, nella sede della Protezione civile regionale a Marghera per fare il punto sulla situazione sanitaria in Veneto in merito alla diffusione del coronavirus. «In Veneto il turismo è letteralmente in ginocchio - dice Zaia -. Un comparto che, con 18 miliardi di fatturato, a livello nazionale rappresenta la più grande industria turistica in Italia. A questo settore si aggiunge la grande difficoltà che stanno vivendo le nostre 600mila partite Iva».

A questo punto ci vorrebbe un pernacchia. Ma mi esimo, ricordando la storia.

Il Veneto da prima dell'annessione al regno d'Italia era una terra con una forte tradizione migratoria soprattutto nelle zone pedemontane. Inizialmente il fenomeno fu di carattere perlopiù temporaneo o stagionale, diretto in particolare verso la Germania, l'Austria e l'Ungheria. Si emigrava soprattutto dalle zone montane, in particolare dalle province di Vicenza, Treviso e Belluno. Dopo l'Unità d'Italia, anche il Veneto subì una profonda crisi economica, la quale diede inizio alla grande emigrazione.

E dire che in momenti di estrema necessità, a mangiare i topi – e qualsiasi altro essere vivente commestibile – siamo stati anche noi italiani. E in particolare, proprio i veneti. Per ironia della sorte, era stato lo stesso Zaia a ricordarlo nel 2018 con un post su Facebook. «Topi messi ad essiccare a Belluno durante “l’an de la fam“, l’anno della fame. Questa straordinaria immagine è esposta, insieme a moltissime altre, nella straordinaria mostra documentaria, iconografica e multimediale su Belluno durante la Prima guerra mondiale appena inaugurata a Palazzo Crepadona».

 

L’inutile e dannosa autocertificazione.

Sarà la quarta e ultima autocertificazione? Se consideriamo chi doveva entrare e uscire dalle prime zone rosse, senza contare il provvedimento dell’8 marzo scorso.

Stanno lì solo per fotterci. In una situazione di merda non poteva capitarci gente peggiore e giustizialista.

In un paese civile uno Stato avrebbe fiducia nei suoi cittadini che lo mantiene con le tasse, tributi e contributi.

Invece lo Stato che fa? Anziché aiutare il cittadino in difficoltà pensa solo a fotterlo.

Se uno ha necessità di uscire dal carcere dove è stato recluso senza condanna, gli si chiede oralmente qual è il motivo. Il cittadino si giustifica oralmente e finisce lì. Invece lo Stato burocrate considera tutti i suoi civici come incalliti spergiuri da perseguire. Senza alcuna distinzione e monca di difesa. La Sanzione da penale, poi, l’hanno resa amministrativa: per far pronta cassa.

Intanto i media asserviti creano tensione, ansia e stress parlando di assembramenti che non esistono. Si creano untori e delatori. Creano odio tra la gente. A morte il Runner! Le Istituzioni che non ringrazio per la situazione che hanno creato si vantano delle sanzioni elevate e dei controlli effettuati.

E’ corretto, è sacrosanto controllare e monitorare. Ma perché sempre a onerare chi è già soggetto ad una tensione psicologica? Perché lo Stato è forte con i deboli e debole con i forti? Perché stiamo pagando la sottovalutazione di un fenomeno? Perché non si sono svegliati prima nel chiedere di rompere il tabù dei tamponi che sono limitati e possono essere fatti solo dall’Istituto superiore di sanità e non nei laboratori disponibili? Perché gli asintomatici non sono stati considerati e non lo sono tutt’ora per il ministero un fenomeno scientificamente “pericoloso” per la diffusione del virus?

Noi ci autocertificheremo ancora, lo Stato si è già da solo autocertificato assente e deficiente (inadeguato), pesante, malato morente, e ancor di più correo.

Perché lo Stato ha permesso il propagarsi dell’infezione nelle sedi che meno te lo aspetti: gli ospedali; e resi i maggiori untori: gli operatori sanitari. Perché lo Stato rinchiude i suoi cittadini in casa, ma autorizza e consente il propagarsi dell’infezione dal Nord al Sud Italia. E se qualcuno lo rinfaccia, scatta la denuncia per vilipendio come per il sindaco Cateno De Luca.

Mi preoccupa altresì un fatto addivenire: cosa farà questo Stato nel momento in cui la gente sarà costretta ad uscire di casa per la fame? Non avendo né da mangiare, né soldi per comprare: ci fucileranno seduta stante?

Subire e tacere? Ma andate affanculo. Sono anch’io Cateno De Luca.

Se sei d’accordo condividi e fai girare.

 

Un popolo di coglioni…

Parafrasi ed Assioma con intercalare. Non ho nulla più da chiedere a questa vita che essa avrebbe dovuto o potuto concedermi secondo i miei meriti. Ma un popolo di coglioni sarà sempre governato, amministrato, giudicato, istruito, informato, curato, cresciuto ed educato da coglioni. Ed è per questo che un popolo di coglioni avrà un Parlamento di coglioni che sfornerà “Leggi del Cazzo”, che non meritano di essere rispettate. Chi ci ha rincoglionito? I media e la discultura in mano alle religioni; alle ideologie; all’economie. Perché "like" e ossessione del politicamente corretto ci allontanano dal reale. In quest'epoca di post-verità un'idea è forte quanto più ha voce autonoma. Se la libertà significa qualcosa allora ho il diritto di dire alla gente quello che non vuole sentire.

Hanno prima istituito le zone rosse contagiate dal Virus Padano con limiti invalicabili e poi hanno permesso agli infettati di quelle zone di varcare i limiti e di contagiare il Sud.

Hanno prima chiuso gli stadi del nord per timore del contagio del Virus Padano e poi hanno permesso la trasferta a Lecce degli infettati atalantini.

Oggi hanno unificato l’Italia. Se prima si erano dati al lassismo, oggi, nell’onda lunga giustizialista, hanno ristretto l’Italia ai domiciliari con misure draconiane.

Tutti contagiati. Ergo: niente vizi privati; niente servizi pubblici.

Tra queste misure si è previsto la chiusura delle scuole in tutta Italia. Come se le scuole fossero veicolo di contagio in territori dove il virus non c’è.

Come dire: gli ulivi del Salento sono infettati dalla Xylella? Tagliamo le piante in Liguria.

Vada per gli stadi ed ogni manifestazione sportiva, per non avvantaggiare nessuno. Ma cosa centrano le scuole.

Se uno Stato non riesce a garantire la sicurezza dalla violenza e dall’illegalità.

Se uno Stato non riesce a garantire la salubrità degli edifici pubblici da contaminazioni e contagi.

Se uno Stato non riesce a fare ciò: è uno Stato che non merita rispetto.

Vincenzo Magistà : Tgnorba 4 marzo 2020. «A tutto c’è rimedio, anche al Coronavirus. Ma, a quanto sembra, nulla, nulla può guarire dalla idiozia. L’idiozia sta facendo danni irreparabili. Hanno cominciato i social a diffondere il terrore. Stanno continuando gli idioti. Gli idioti sono quei soggetti che, sempre sui social, stanno prendendo di mira le persone risultate positive ai controlli. I contagiati, così come vengono definiti, con la stessa terminologia che si usava ai tempi della peste. E loro da appestati vengono trattati. Un esempio della più cieca ed assurda inciviltà. Queste persone andrebbero sostenute, difese, rispettate. E, invece, ricevono insulti, offese, emarginazione. Loro, i figli , le famiglie. C’è da vergognarsi. Anche in questi casi, però, c’è da indentificare i responsabili delle denigrazioni e denunciarli. Così come una denuncia la merita questo giornale che adesso vedrete. Che anziché Libero (Quotidiano, nda), è stupido e idiota. Una vera miscela esplosiva, fra l’altro. “Il Virus va alla conquista del Sud” leggete questo titolo. Così titola con entusiasmo questo giornale milanese e leghista: “trenta infetti in Campania, undici nel Lazio, cinque in Sicilia e sei in Puglia. Ora sì che siamo tutti fratelli”. Verrebbe da lanciargli qualcosa contro, se ne avessimo la possibilità. Potremmo rispondergli che, invece di fare gli stupidi, dovrebbero piangere per le loro sventure., perché poi gli untori sono proprio loro: i lombardi, che da soli contano 1500 infetti. Noi ne abbiamo in tutto il Sud, insieme, meno dei loro morti, che sono 55. Adesso si rallegrano per averci contagiato. Come se ci fosse da guadagnare qualcosa in questo. La supesanità lombarda è allo stremo: denuncia tutti i propri limiti. Gli ospedali, la Regione Lombardia chiedono aiuto a noi. E un giornale che “Libero” non è per niente si permette di ironizzare sull’Unità d’Italia realizzata attraverso il Coronavirus. Adesso siamo tutti uguali: Coronavirus al Nord; Coronavirus al Sud. No, no, no signori. L’Italia resta ancora divisa: spaccata in due. Da una parte il Nord: il Nord degli untori. Quello che infetta. Dall’altra, purtroppo, il Sud infettato. Però, una volta tanto, stiamo meglio noi».