Denuncio al mondo ed ai posteri con i miei libri tutte le illegalità tacitate ed impunite compiute dai poteri forti (tutte le mafie). Lo faccio con professionalità, senza pregiudizi od ideologie. Per non essere tacciato di mitomania, pazzia, calunnia, diffamazione, partigianeria, o di scrivere Fake News, riporto, in contraddittorio, la Cronaca e la faccio diventare storia. Quella Storia che nessun editore vuol pubblicare. Quelli editori che ormai nessuno più legge.

Gli editori ed i distributori censori si avvalgono dell'accusa di plagio, per cessare il rapporto. Plagio mai sollevato da alcuno in sede penale o civile, ma tanto basta per loro per censurarmi.

I miei contenuti non sono propalazioni o convinzioni personali. Mi avvalgo solo di fonti autorevoli e credibili, le quali sono doverosamente citate.

Io sono un sociologo storico: racconto la contemporaneità ad i posteri, senza censura od omertà, per uso di critica o di discussione, per ricerca e studio personale o a scopo culturale o didattico. A norma dell'art. 70, comma 1 della Legge sul diritto d'autore: "Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l'utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali."

L’autore ha il diritto esclusivo di utilizzare economicamente l’opera in ogni forma e modo (art. 12 comma 2 Legge sul Diritto d’Autore). La legge stessa però fissa alcuni limiti al contenuto patrimoniale del diritto d’autore per esigenze di pubblica informazione, di libera discussione delle idee, di diffusione della cultura e di studio. Si tratta di limitazioni all’esercizio del diritto di autore, giustificate da un interesse generale che prevale sull’interesse personale dell’autore.

L'art. 10 della Convenzione di Unione di Berna (resa esecutiva con L. n. 399 del 1978) Atto di Parigi del 1971, ratificata o presa ad esempio dalla maggioranza degli ordinamenti internazionali, prevede il diritto di citazione con le seguenti regole: 1) Sono lecite le citazioni tratte da un'opera già resa lecitamente accessibile al pubblico, nonché le citazioni di articoli di giornali e riviste periodiche nella forma di rassegne di stampe, a condizione che dette citazioni siano fatte conformemente ai buoni usi e nella misura giustificata dallo scopo.

Ai sensi dell’art. 101 della legge 633/1941: La riproduzione di informazioni e notizie è lecita purché non sia effettuata con l’impiego di atti contrari agli usi onesti in materia giornalistica e purché se ne citi la fonte. Appare chiaro in quest'ipotesi che oltre alla violazione del diritto d'autore è apprezzabile un'ulteriore violazione e cioè quella della concorrenza (il cosiddetto parassitismo giornalistico). Quindi in questo caso non si fa concorrenza illecita al giornale e al testo ma anzi dà un valore aggiunto al brano originale inserito in un contesto più ampio di discussione e di critica.

Ed ancora: "La libertà ex art. 70 comma I, legge sul diritto di autore, di riassumere citare o anche riprodurre brani di opere, per scopi di critica, discussione o insegnamento è ammessa e si giustifica se l'opera di critica o didattica abbia finalità autonome e distinte da quelle dell'opera citata e perciò i frammenti riprodotti non creino neppure una potenziale concorrenza con i diritti di utilizzazione economica spettanti all'autore dell'opera parzialmente riprodotta" (Cassazione Civile 07/03/1997 nr. 2089).

Per questi motivi Dichiaro di essere l’esclusivo autore del libro in oggetto e di tutti i libri pubblicati sul mio portale e le opere citate ai sensi di legge contengono l’autore e la fonte. Ai sensi di legge non ho bisogno di autorizzazione alla pubblicazione essendo opere pubbliche.

Promuovo in video tutto il territorio nazionale ingiustamente maltrattato e censurato. Ascolto e Consiglio le vittime discriminate ed inascoltate. Ogni giorno da tutto il mondo sui miei siti istituzionali, sui miei blog d'informazione personali e sui miei canali video sono seguito ed apprezzato da centinaia di migliaia di navigatori web. Per quello che faccio, per quello che dico e per quello che scrivo i media mi censurano e le istituzioni mi perseguitano. Le letture e le visioni delle mie opere sono gratuite. Anche l'uso è gratuito, basta indicare la fonte. Nessuno mi sovvenziona per le spese che sostengo e mi impediscono di lavorare per potermi mantenere. Non vivo solo di aria: Sostienimi o mi faranno cessare e vinceranno loro. 

Dr Antonio Giangrande  

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IL TERREMOTO E…

 

 

 

DI ANTONIO GIANGRANDE

 

 

 

 

 

LA MAFIA TI UCCIDE, TI AFFAMA, TI CONDANNA

IL POTERE TI INTIMA: SUBISCI E TACI

LE MAFIE TI ROVINANO LA VITA. QUESTA ITALIA TI DISTRUGGE LA SPERANZA

UNA VITA DI RITORSIONI, MA ORGOGLIOSO DI ESSERE DIVERSO

 

 

 

 

SOMMARIO

 

INTRODUZIONE.

PRESENTAZIONE DELL’AUTORE.

TERREMOTO E STORIA.

IL BELICE ED I TERREMOTI NELL’ERA MODERNA.

TERREMOTO: CORSI E RICORSI STORICI.

ISCHIA. TERREMOTO, POLEMICHE E LA SINDROME DEGLI ABUSI EDILIZI.

L’ITALIA DEGLI ABUSI EDILIZI PER NECESSITA’.

I PASTICCI OLTRE LE POLEMICHE.

TERREMOTO. SULLA PELLE DEI DISGRAZIATI.

RIGOPIANO: L’INEFFICIENZA E L’INCAPACIATA’ DELLE ISTITUZIONI.

TERREMOTO ED IMPREPARAZIONE.

TERREMOTO E PREVISIONE.

IL TERREMOTO E L'INFORMAZIONE.

TERREMOTO E SATIRA.

TERREMOTO E SPETTACOLARIZZAZIONE.

TERREMOTO E BUFALE.

TERREMOTO E SOCCORSI.

TERREMOTO, RAZZISMO E SCIACALLAGGIO.

TERREMOTO. SCIACALLAGGIO ED OMERTA’.

TERREMOTO, IMBECILLITA’ E SOLIDARIETA’.

TERREMOTO E SOCIAL NETWORK.

TERREMOTO E BENEFICENZA.

TERREMOTO E TRUFFE.

TERREMOTO E BUROCRAZIA.

TERREMOTO COME VOLANO DELL'ECONOMIA.

TERREMOTO ED ADEGUAMENTO ANTI SISMICO.

TERREMOTO E LOBBY.

TERREMOTO E SPRECHI.

TERREMOTO E MONOPOLIO.

IL TERREMOTO, GLI SGRAVI FISCALI ED I FONDI EUROPEI.

TERREMOTO E FONDI PER LA RICOSTRUZIONE.

TERREMOTO E RESIDENZE.

TERREMOTO: ANTE E POST DI ILLEGALITA'.

TERREMOTO E GIUSTIZIA.

TERREMOTO E CASE SICURE.

IL TERREMOTO E LA LUNA.

ANIMALI SENSITIVI. PRECURSORI DEI TERREMOTI.

TERREMOTO E MISURAZIONI.

IL TERREMOTO E LA GENTE.

IL TERREMOTO ED IL PATRIMONIO ARTISTICO.

IL TERREMOTO, L'AUTONOMA SISTEMAZIONE E L'AFFARE DELLE CASETTE PREFABBRICATE IN LEGNO.

IL FRACKING: TERREMOTO E PETROLIO.

 

 

 

 

 

 

INTRODUZIONE.

"Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza". Dante, Inferno XXVI

Antonio Giangrande, scrittore, accademico senza cattedra universitaria di Sociologia Storica, giornalista ed avvocato non abilitato. "Prima di giudicare la mia vita o il mio carattere mettiti le mie scarpe, percorri il cammino che ho percorso io, vivi i miei dolori, i miei dubbi, le mie risate...vivi gli anni che ho vissuto io e cadi là dove sono caduto io e rialzati come ho fatto io. Ognuno ha la propria storia. E solo allora mi potrai giudicare." Luigi Pirandello.

Dapprima ti ignorano. Poi ti deridono. Poi ti emarginano. Poi ti combattono. Tu sei solo, ma non per sempre. Loro sono tanti, ma non per sempre. Ed allora sarai vincente, ma solo dopo la tua morte. I primi a combatterti sono i prossimi parenti ed i compaesani ed allor "non ragioniam di loro, ma guarda e passa" (Dante Alighieri). “Gesù, venuto nella sua patria, insegnava nella loro sinagoga e la gente rimaneva stupita e diceva: «Da dove gli vengono questa sapienza e i prodigi? Non è costui il figlio del falegname? E sua madre, non si chiama Maria? E i suoi fratelli, Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda? E le sue sorelle, non stanno tutte da noi? Da dove gli vengono allora tutte queste cose?». Ed era per loro motivo di scandalo. Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria e in casa sua». E lì, a causa della loro incredulità, non fece molti prodigi”. Mt 13, 54-58.

Se si disprezza quello che gli altri sono e fanno, perché, poi, si è come gli altri e si osteggiano i diversi?

"C’è un’azione peggiore che quella di togliere il diritto di voto al cittadino e consiste nel togliergli la voglia di votare.” (R. Sabatier)

«La disperazione più grave che possa impadronirsi di una società è il dubbio che vivere onestamente sia inutile» - Corrado Alvaro, Ultimo diario, 1961.

Vivere senza leggere, o senza sfogliare i libri giusti scritti fuori dal coro o vivere studiando dai saggi distribuiti dal sistema di potere catto comunista savoiardo nelle scuole e nelle università, è molto pericoloso. Ciò ti obbliga a credere a quello che dicono gli altri interessati al Potere e ti conforma alla massa. Allora non vivi da uomo, ma da marionetta.

Se scrivi e dici la verità con il coraggio che gli altri non hanno, il risultato non sarà il loro rinsavimento ma l’essere tu additato come pazzo. Ti scontri sempre con la permalosità di magistrati e giornalisti e la sornionità degli avvocati avvezzi solo ai loro interessi. Categorie di saccenti che non ammettono critiche. Se scrivi e sei del centro-nord Italia, i conterranei diranno: che bel libro, bravo, è uno di noi. Se scrivi e sei del centro-sud Italia i conterranei diranno: quel libro l’avrei scritto anch’io, anzi meglio, ma sono solo cazzate. Chi siamo noi? Siamo i “coglioni” che altri volevano che fossimo o potessimo diventare. Da bambini i genitori ci educavano secondo i loro canoni, fino a che abbiamo scoperto che era solo il canone di poveri ignoranti. Da studenti i maestri ci istruivano secondo il loro pensiero, fino a che abbiamo scoperto che era solo il pensiero di comunisti arroganti. Prima dell’ABC ci insegnavano “Bella Ciao”. Da credenti i ministri di culto ci erudivano sulla confessione religiosa secondo il loro verbo, fino a che abbiamo scoperto che era solo la parola di pedofili o terroristi. Da lettori e telespettatori l’informazione (la claque del potere) ci ammaestrava all’odio per il diverso ed a credere di vivere in un paese democratico, civile ed avanzato, fino a che abbiamo scoperto che si muore di fame o detenuti in canili umani. Da elettori i legislatori ci imponevano le leggi secondo il loro diritto, fino a che abbiamo scoperto che erano solo corrotti, mafiosi e massoni. Ecco, appunto: siamo i “coglioni” che altri volevano che fossimo o potessimo diventare. E se qualcuno non vuol essere “coglione” e vuol cambiare le cose, ma non ci riesce, vuol dire che è “coglione” lui e non lo sa, ovvero è circondato da amici e parenti “coglioni”.

Quando il più importante sindaco di Roma, Ernesto Nathan, ai primi del ‘900 scoprì che tra le voci di spesa era stata inserita in bilancio, la TRIPPA, necessaria secondo alcuni addetti agli archivi del comune, per nutrire i gatti che dovevano provvedere a tenere lontani i topi dai documenti cartacei, prese una penna e barrò la voce di spesa, tuonando la celeberrima frase: NON C'È PIÙ TRIPPA PER GATTI, il che mise fine alla colonia felina del Comune di Roma. 

I mediocri del Politically Correct negano sempre il merito. Sostituiscono sempre la qualità con la quantità. Ma è la qualità che muove il mondo, cari miei, non la quantità. Il mondo va avanti grazie ai pochi che hanno qualità, che valgono, che rendono, non grazie a voi che siete tanti e scemi. La forza della ragione (Oriana Fallaci)

 “L'Italia tenuta al guinzaglio da un sistema di potere composto da caste, lobbies, mafie e massonerie: un'Italia che deve subire e deve tacere.

La “Politica” deve essere legislazione o amministrazione nell’eterogenea rappresentanza d’interessi, invece è meretricio o mendicio, mentre le “Istituzioni” devono meritarlo il rispetto, non pretenderlo. Il rapporto tra cittadini e il rapporto tra cittadini e Stato è regolato dalla forza della legge. Quando non vi è cogenza di legge, vige la legge del più forte e il debole soccombe. Allora uno “Stato di Diritto” degrada in anarchia. In questo caso è palese la responsabilità politica ed istituzionale per incapacità o per collusione. Così come è palese la responsabilità dei media per omertà e dei cittadini per codardia o emulazione."

TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo. Vittorio Alfieri (1790).

"Quando si cerca di far progredire la conoscenza e l'intelligenza umana si incontra sempre la resistenza dei contemporanei, simile a un fardello che bisogna trascinare e che grava pesantemente al suolo, ribelle ad ogni sforzo. Ci si deve consolare allora con la certezza che, se i pregiudizi sono contro di noi, abbiamo con noi la Verità, la quale, dopo essersi unita al suo alleato, il Tempo, è pienamente certa della sua vittoria, se non proprio oggi, sicuramente domani."(Arthur Schopenhauer)

Il pregio di essere un autodidatta è quello che nessuno gli inculcherà forzosamente della merda ideologica nel suo cervello. Il difetto di essere un autodidatta è quello di smerdarsi da solo.

Noi siamo quello che altri hanno voluto che diventassimo con la discultura e la disinformazione. Ci si deve chiedere: perchè a scuola ci hanno fatto credere con i libri di testo che Garibaldi era un eroe ed i piemontesi dei salvatori; perché i media coltivano il luogo comune di un sud Italia cafone ed ignorante; perché la prima cosa che insegnano a scuola è la canzone “bella ciao”? Per poi scoprire da adulti e solo tramite il web: che il Sud Italia è stato depredato a causa proprio di Garibaldi a vantaggio dei Piemontesi; che solo i turisti che scendono a frotte nel meridione d’Italia scoprono quanto ci sia tanto da conoscere ed apprezzare, oltre che da amare; che “Bella ciao” è solo l’inno di una parte della politica italiana che in nome di una ideologia prima tradì l’Italia e poi, con l’aiuto degli americani, vinse la guerra civile infierendo sui vinti, sottomettendoli, con le sue leggi, ad un regime illiberale e clericale.

Ad Avetrana, il paese di Sarah Scazzi, non sono omertosi, sempre che non si tratti di poteri forti. Ma qualcuno certamente vigliacco e codardo lo è. Sapendo che io ho le palle per denunciare le illegalità, questi deficienti usano il mio nome ed appongono falsamente la mia firma in calce a degli esposti che colpiscono i poveri cristi rei di abusi edilizi o commerciali. I cretini, che poi fanno carriera politica, non sanno che i destinatari dei miei strali sono magistrati, avvocati, forze dell’ordine, e comunque pubblici ufficiali o esercenti un pubblico servizio. Che poi queste denunce finiscono nell’oblio perché “cane non mangia cane” e per farmi passare per mitomane o pazzo o calunniatore o diffamatore, è un’altra cosa. Però da parte di questi coglioni prendersela con i poveri cristi per poi far addossare la colpa a me ed essere oggetto di ritorsioni ingiustificate è da veri vigliacchi. D'altronde un paese di coglioni sarà sempre governato, amministrato, giudicato da coglioni.

È molto meglio osare cose straordinarie, vincere gloriosi trionfi, anche se screziati dall'insuccesso, piuttosto che schierarsi tra quei poveri di spirito che non provano grandi gioie né grandi dolori, perché vivono nel grigio e indistinto crepuscolo che non conosce né vittorie né sconfitte. (...) Non è il critico che conta, né l'individuo che indica come l'uomo forte inciampi, o come avrebbe potuto compiere meglio un'azione. L'onore spetta all'uomo che realmente sta nell'arena, il cui viso è segnato dalla polvere, dal sudore, dal sangue; che lotta con coraggio; che sbaglia ripetutamente, perchè non c'è tentativo senza errori e manchevolezze; che lotta effettivamente per raggiungere l'obiettivo; che conosce il grande entusiasmo, la grande dedizione, che si spende per una giusta causa; che nella migliore delle ipotesi conosce alla fine il trionfo delle grandi conquiste e che, nella peggiore delle ipotesi, se fallisce, almeno cade sapendo di aver osato abbastanza. Dunque il suo posto non sarà mai accanto a quelle anime timide che non conoscono né la vittoria, né la sconfitta. Franklin Delano Roosevelt

Cari signori, io ho iniziato a destare le coscienze 20 anni prima di Beppe Grillo e nulla è successo. Io non cercavo gli onesti, ma le vittime del sistema, per creare una rivoluzione culturale…ma un popolo di “coglioni” sarà sempre governato ed amministrato da “coglioni”.

"Il popolo cornuto era e cornuto resta: la differenza è che il fascismo appendeva una bandiera sola alle corna del popolo e la democrazia lascia che ognuno se l'appenda da sé, del colore che gli piace, alle proprie corna... Siamo al discorso di prima: non ci sono soltanto certi uomini a nascere cornuti, ci sono anche popoli interi; cornuti dall'antichità, una generazione appresso all'altra...- Io non mi sento cornuto - disse il giovane - e nemmeno io. Ma noi, caro mio, camminiamo sulle corna degli altri: come se ballassimo..." Leonardo Sciascia dal libro "Il giorno della civetta". 

Un chierico medievale si imbatté in un groviglio di serpi su cui spiccava un ramarro che già da solo sarebbe bastato a spaventarlo. Tuttavia, confrontata a quelle serpeggianti creature, la bestiola gli parve graziosa ed esclamò: «Beati monoculi in terra caecorum», nella terra dei ciechi anche l’orbo è re. 

Noi siamo quello che altri hanno voluto che diventassimo. Quando esprimiamo giudizi gratuiti, cattivi ed illogici lo facciamo con la nostra bocca ma inconsapevolmente per volontà di altri. Lo facciamo in virtù di quanto ricevuto: dall’educazione familiare, dall’istruzione di regime, dall’indottrinamento politico e religioso, dall’influenza mediatica. Niente è farina del nostro sacco. Se ci basassimo solo sulle nostre esperienze staremmo solo zitti, sapendo che nessuno sarebbe capace e disposto ad ascoltarci.

In una Italia dove nulla è come sembra, chi giudica chi è onesto e chi no?

Lo hanno fatto i comunisti, i dipietristi, i leghisti, i pentastellati. Lor signori si son dimostrati peggio degli altri e comunque servitori dei magistrati. E se poi son questi magistrati a decidere chi è onesto e chi no, allora se tutti stanno dalla parte della ragione, io mi metto dalla parte del torto.

Ognuno di noi, anziché migliorarsi, si giova delle disgrazie altrui. Non pensando che a cercar l’uomo onesto con il lanternino si perde la ragione. Ma anche a cercarlo con la lanterna di Diogene si perde la retta via. Diogene di Sinope (in greco antico Διογένης Dioghénes) detto il Cinico o il Socrate pazzo (Sinope, 412 a.C. circa – Corinto, 10 giugno 323 a.C.) è stato un filosofo greco antico. Considerato uno dei fondatori della scuola cinica insieme al suo maestro Antistene, secondo l'antico storico Diogene Laerzio, perì nel medesimo giorno in cui Alessandro Magno spirò a Babilonia. «[Alessandro Magno] si fece appresso a Diogene, andandosi a mettere tra lui e il sole. "Io sono Alessandro, il gran re", disse. E a sua volta Diogene: "Ed io sono Diogene, il cane". Alessandro rimase stupito e chiese perché si dicesse cane. Diogene gli rispose: "Faccio le feste a chi mi dà qualcosa, abbaio contro chi non dà niente e mordo i ribaldi."» (Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, Vita di Diogene il Cinico, VI 60). Diogene aveva scelto di comportarsi, dunque, come "critico" pubblico: la sua missione era quella di dimostrare ai Greci che la civiltà è regressiva e di dimostrare con l'esempio che la saggezza e la felicità appartengono all'uomo che è indipendente dalla società. Diogene si fece beffe non solo della famiglia e dell'ordine politico e sociale, ma anche delle idee sulla proprietà e sulla buona reputazione. Una volta uscì con una lanterna di giorno. Questi non indossava una tunica. Portava come solo vestito un barile ed aveva in mano una lanterna. "Diogene! - esclamo Socrate - con quale nonsenso tenterai di ingannarci oggi? Sei sempre alla ricerca, con questa lanterna, di un uomo onesto? Non hai ancora notato tutti quei buchi nel tuo barile?". Diogene rispose: "Non esiste una verità oggettiva sul senso della vita". A chi gli chiedeva il senso della lanterna lui rispondeva: "cerco l'uomo!". “... (Diogene) voleva significare appunto questo: cerco l’uomo che vive secondo la sua più autentica natura, cerco l’uomo che, aldilà di tutte le esteriorità, le convenzioni o le regole imposte dalla società e aldilà dello stesso capriccio della sorte e della fortuna, ritrova la sua genuina natura, vive conformemente a essa e così è felice."

PRESENTAZIONE DELL’AUTORE.

John Keating: Qualunque cosa si dica in giro, parole e idee possono cambiare il mondo. Sono salito sulla cattedra per ricordare a me stesso che dobbiamo sempre guardare le cose da angolazioni diverse. E il mondo appare diverso da quassù. Non vi ho convinti? Venite a vedere voi stessi. Coraggio! È proprio quando credete di sapere qualcosa che dovete guardarla da un'altra prospettiva. Carpe diem. Cogliete l'attimo, ragazzi... Rendete straordinaria la vostra vita!

Gerard Pitts: Cogli la rosa quando è il momento, che il tempo, lo sai, vola e lo stesso fiore che sboccia oggi, domani appassirà. John Keating: Non leggiamo e scriviamo poesie perché è carino: noi leggiamo e scriviamo poesie perché siamo membri della razza umana; e la razza umana è piena di passione. Medicina, legge, economia, ingegneria sono nobili professioni, necessarie al nostro sostentamento; ma la poesia, la bellezza, il romanticismo, l'amore, sono queste le cose che ci tengono in vita. Dal film L'attimo fuggente (Dead Poets Society), film del 1989 diretto da Peter Weir e con protagonista Robin Williams.

Studiare non significa sapere, volere non significa potere. Ai problemi non si è capaci di trovare una soluzione che accontenti tutti, perché una soluzione per tutti non esiste. Alla fine nessuno è innocente, perché in questa società individualista, violenta e superficiale tutti sono colpevoli. Io ho preso la mia decisione mentre la totalità di voi non sa prenderne alcuna (anche nelle cose più semplici). Come potreste capire cosa è veramente importante nella vita? Non saprete mai se avete preso la decisione giusta perché non vi siete fidati di voi stessi. Accusate il sistema, ma il sistema è freddo inesorabile matematico, solo chi è deciso a raggiungere la riva la raggiungerà. Vi auguro tutto il meglio per la vostra vita. “Class Enemy”, di Rok Bicek film del 2013. 

Dr. Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico, giurista, blogger, youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie, destinatario delle denunce presentate dai magistrati per tacitarlo e ricevente da tutta Italia di centinaia di migliaia di richieste di aiuto o di denunce di malefatte delle istituzioni. Ignorato dai media servi del potere.

Come far buon viso a cattivo gioco ed aspettare che dal fiume appaia il corpo del tuo nemico. "Subisci e taci" ti intima il Sistema. Non sanno, loro, che la vendetta è un piatto che si gusta freddo. E non si può perdonare...

Un padre regala al figlio un sacchetto di chiodi. “Tieni figliolo, ecco un sacchetto di chiodi. Piantane uno nello steccato Ogni volta che che perdi la pazienza e litighi con qualcuno perchè credi di aver subito un'ingiustizia” gli dice. Il primo giorno il figlio piantò ben 37 chiodi ma nelle settimane successive imparò a controllarsi e il numero di chiodi cominciò piano piano a diminuire. Aveva infatti scoperto che era molto più facile controllarsi che piantare chiodi e così arrivò un giorno in cui non ne piantò nemmeno uno. Andò quindi dal padre e gli disse che per quel giorno non aveva litigato con nessuno, pur essendo stato vittima d'ingiustizie e di soprusi, e non aveva piantato alcun chiodo. Il padre allora gli disse: “Benissimo figliolo, ora leva un chiodo dallo steccato per ogni giorno in cui non hai perso la pazienza e litigato con qualcuno”. Il figlio ascoltò e tornò dal padre dopo qualche giorno, comunicandogli che aveva tolto tutti i chiodi dallo steccato e che non aveva mai più perso la pazienza. Il padre lo portò quindi davanti allo steccato e guardandolo gli disse: “Figliolo, ti sei comportato davvero bene. Bravo. Ma li vedi tutti quei buchi? Lo steccato non potrà più tornare come era prima. Quando litighi con qualcuno, o quando questi ha usato violenza fisica o psicologica nei tuoi confronti, rimane una ferita come questi buchi nello steccato. Tu puoi piantare un coltello in un uomo e poi levarlo, e lo stesso può fare questi con te, ma rimarrà sempre una ferita. E non importa quante volte ti scuserai, o lui lo farà con te, la ferita sarà sempre lì. Una ferita verbale è come il chiodo nello steccato e fa male quanto una ferita fisica. Lo steccato non sarà mai più come prima. Quando dici le cose in preda alla rabbia, o quando altri ti fanno del male, si lasciano delle ferite come queste: come i buchi nello steccato. Possono essere molto profonde. Alcune si rimarginano in fretta, altre invece, potrebbero non rimarginare mai, per quanto si possa esserne dispiaciuti e si abbia chiesto scusa". 

Io non reagisco, ma mi si permetta di raccontare l'accaduto. Voglio far conoscere la verità sui chiodi piantati nelle nostre carni.

La mia esperienza e la mia competenza mi portano a pormi delle domande sulle vicende della vita presente e passata e sul perché del ripetersi di eventi provati essere dannosi all’umanità, ossia i corsi e i ricorsi storici. Gianbattista Vico, il noto filosofo napoletano vissuto fra il XVII e XVIII secolo elaborò una teoria, appunto dei corsi e ricorsi storici. Egli era convinto che la storia fosse caratterizzata dal continuo e incessante ripetersi di tre cicli distinti: l’età primitiva e divina, l’età poetica ed eroica, l’età civile e veramente umana. Il continuo ripetersi di questi cicli non avveniva per caso ma era predeterminato e regolamentato, se così si può dire, dalla provvidenza. Questa formulazione di pensiero è comunemente nota come “teoria dei corsi e dei ricorsi storici”. In parole povere, tanto per non essere troppo criptici, il Vico sosteneva che alcuni accadimenti si ripetevano con le medesime modalità, anche a distanza di tanto tempo; e ciò avveniva non per puro caso ma in base ad un preciso disegno stilato della divina provvidenza.” Io sono convinto, invece, che l’umanità dimentica e tende a sbagliare indotta dalla stupidità e dall’egoismo di soddisfare in ogni modo totalmente i propri bisogni in tempi e spazi con risorse limitate. Trovare il perché delle discrepanze dell’ovvio raccontato. Alle mie domando non mi do io stesso delle risposte. Le risposte le raccolgo da chi sento essere migliore di me e comunque tra coloro contrapposti con le loro idee sullo stesso tema da cui estrapolare il sunto significativo. Tutti coloro che scrivono, raccontano il fatto secondo il loro modo di vedere e lo ergono a verità. Ergo: stesso fatto, tanti scrittori, quindi, tanti fatti diversi. La mia unicità e peculiarità, con la credibilità e l’ostracismo che ne discende, sta nel raccontare quel fatto in un’unica sede e riportando i vari punti di vista. In questo modo svelo le mistificazioni e lascio solo al lettore l’arbitrio di trarne la verità da quei dati.

Voglio conoscere gli effetti, sì, ma anche le cause degli accadimenti: il post e l’ante. La prospettiva e la retrospettiva con varie angolazioni. Affrontare le tre dimensioni spaziali e la quarta dimensione temporale.

Si può competere con l’intelligenza, mai con l’idiozia. L’intelligenza ascolta, comprende e pur non condividendo rispetta. L’idiozia si dimena nell’Ego, pretende ragione non ascoltando le ragioni altrui e non guarda oltre la sua convinzione dettata dall’ignoranza. L’idiozia non conosce rispetto, se non pretenderlo per se stessa.

Quando fai qualcosa hai tutti contro: quelli che volevano fare la stessa cosa, senza riuscirci, impediti da viltà, incapacità, ignavia; quelli che volevano fare il contrario; e quelli, ossia la stragrande maggioranza, che non volevano fare niente.

Certe persone non sono importanti, siamo noi che, sbagliando, gli diamo importanza. E poi ci sono quelle persone che non servono ad un cazzo, non fanno un cazzo e si credono sto cazzo.

Correggi un sapiente ed esso diventerà più colto. Correggi un ignorante ed esso diventerà un tuo acerrimo nemico.

Molti non ti odiano perché gli hai fatto del male, ma perché sei migliore di loro.

Più stupido di chi ti giudica senza sapere nulla di te è colui il quale ti giudica per quello che gli altri dicono di te. Perché le grandi menti parlano di idee; le menti medie parlano di fatti; le infime menti parlano solo male delle persone.

E’ importante stare a posto con la propria coscienza, che è molto più importante della propria reputazione. La tua coscienza sei tu, la reputazione è ciò che gli altri pensano di te e quello che gli altri pensano di te è un problema loro.

Le bugie sono create dagli invidiosi, ripetute dai cretini e credute dagli idioti, perché un grammo di comportamento esemplare, vale un quintale di parole. Le menti mediocri condannano sempre ciò che non riescono a capire.

E se la strada è in salita, è solo perché sei destinato ad attivare in alto.

Ci sono persone per indole nate per lavorare e/o combattere. Da loro ci si aspetta tanto ed ai risultati non corrispondono elogi. Ci sono persone nate per oziare. Da loro non ci si aspetta niente. Se fanno poco sono sommersi di complimenti. Guai ad aspettare le lodi del mondo. Il mondo è un cattivo pagatore e quando paga lo fa sempre con l’ingratitudine.

Il ciclo vitale biologico della natura afferma che si nasce, si cresce, ci si riproduce, si invecchia e si muore e l’evoluzione fa vincere i migliori. Solo a noi umani è dato dare un senso alla propria vita.

Ergo. Ai miei figli ho insegnato:

Le ideologie, le confessioni, le massonerie vi vogliono ignoranti;

Le mafie, le lobbies e le caste vi vogliono assoggettati;

Le banche vi vogliono falliti;

La burocrazia vi vuole sottomessi;

La giustizia vi vuole prigionieri;

Siete nati originali…non morite fotocopia.

Siate liberi. Studiare, ma non fermarsi alla cultura omologata. La conoscenza è l'arma migliore per vincere. 

Antonio Giangrande, orgoglioso di essere diverso.

Se si è omologati (uguali) o conformati (simili) e si sta sempre dietro alla massa, non si sarà mai primi nella vita, perché ci sarà sempre il più furbo o il più fortunato a precederti.

In un mondo caposotto (sottosopra od alla rovescia) gli ultimi diventano i primi ed i primi sono gli ultimi. L’Italia è un Paese caposotto. Io, in questo mondo alla rovescia, sono l’ultimo e non subisco tacendo, per questo sono ignorato o perseguitato. I nostri destini in mano ai primi di un mondo sottosopra. Che cazzo di vita è?

Si nasce senza volerlo. Si muore senza volerlo. Si vive una vita di prese per il culo.

Dove si sentono alti anche i nani e dove anche i marescialli si sentono generali, non conta quanti passi fai e quali scarpe indossi, ma conta quante tracce lasci del tuo percorso.

Il difetto degli intelligenti è che sono spinti a cercare le risposte ai loro dubbi. Il pregio degli ignoranti è che non hanno dubbi e qualora li avessero sono convinti di avere già le risposte.

Un popolo di “coglioni” sarà sempre governato ed amministrato da “coglioni”.

Un chierico medievale si imbatté in un groviglio di serpi su cui spiccava un ramarro che già da solo sarebbe bastato a spaventarlo. Tuttavia, confrontata a quelle serpeggianti creature, la bestiola gli parve graziosa ed esclamò: «Beati monoculi in terra caecorum», nella terra dei ciechi anche l’orbo è re. 

Il ciclo vitale, in biologia, è l'intervallo tra il susseguirsi di generazioni di una specie. L'esistenza di ogni organismo si svolge secondo una sequenza ciclica di stadi ed eventi biologici, caratterizzata in base alla specie di appartenenza. Queste sequenze costituiscono i cosiddetti Cicli Biologici. Ogni essere vivente segue un ciclo vitale biologico composto dai seguenti stadi: nascita, crescita, riproduzione, senescenza e morte. Per quanto possa essere breve o corta la vita, nessun essere vivente preso singolarmente è immortale. Ma la sua specie diventa immortale attraverso la riproduzione e l'evoluzione. Gli esseri viventi si evolvono nel corso del tempo per potersi meglio adattare alla natura che li circonda. Attraverso la riproduzione le generazioni trasmettono i propri geni a quelle future. Durante questo passaggio le nuove generazioni possono assumere caratteristiche nuove o perderne alcune. Le differenze si traducono in vantaggi o in handicap per chi le possiede, agendo direttamente sul processo evolutivo tramite la selezione naturale degli individui. Le nuove caratteristiche che agevolano l'adattamento all'ambiente offrono all'individuo maggiori probabilità di sopravvivenza e, quindi, di riproduzione. E' innaturale non riprodursi. Senza riproduzione non vi è proseguimento ed evoluzione della specie. Senza riproduzione il ciclo vitale biologico cessa. Ciò ci rende mortali. Parlare in termini scientifici dell'eterosessualità e del parto, quindi di stati naturali, fa di me un omofobo ed un contrabortista, quindi un non-comunista? Cercare di informare i simili contro la deriva involutiva, fa di me un mitomane o pazzo? 

Noi siamo quello che altri hanno voluto che diventassimo. Quando esprimiamo giudizi gratuiti, cattivi ed illogici lo facciamo con la nostra bocca ma inconsapevolmente per volontà di altri. Lo facciamo in virtù di quanto ricevuto: dall’educazione familiare, dall’istruzione di regime, dall’indottrinamento politico e religioso, dall’influenza mediatica. Niente è farina del nostro sacco. Se ci basassimo solo sulle nostre esperienze staremmo solo zitti, sapendo che nessuno sarebbe capace e disposto ad ascoltarci.

E’ comodo definirsi scrittori da parte di chi non ha arte né parte. I letterati, che non siano poeti, cioè scrittori stringati, si dividono in narratori e saggisti. E’ facile scrivere “C’era una volta….” e parlare di cazzate con nomi di fantasia. In questo modo il successo è assicurato e non hai rompiballe che si sentono diffamati e che ti querelano e che, spesso, sono gli stessi che ti condannano. Meno facile è essere saggisti e scrivere “C’è adesso….” e parlare di cose reali con nomi e cognomi. Impossibile poi è essere saggisti e scrivere delle malefatte dei magistrati e del Potere in generale, che per logica ti perseguitano per farti cessare di scrivere. Devastante è farlo senza essere di sinistra. Quando si parla di veri scrittori ci si ricordi di Dante Alighieri e della fine che fece il primo saggista mondiale.

Da sempre diffido di chi, vestito da lupo, è pecora genuflessa alla magistratura. I saccenti giustizialisti dei 5 stelle che provino a proporre la figura del difensore civico giudiziario con poteri di magistrato, senza essere uno di loro, per poter metter le mani nelle carte dei fascicoli e poterle sparigliare. Io da anni mi batto inascoltato per questo. I signori dei 5 stelle non si degnano nemmeno di rispondere ai messaggi degli esperti: tanto san tutto loro. A sbraitare son bravi, ma a proporre leggi sensate, mi sa che non son capaci. Parlan solo di soldi, soldi, soldi ed onestà, certificata dai loro magistrati, e mai parlano di libertà ed opportunità senza concorsi ed esami pubblici truccati.

Ad ogni azione umana nefasta si trova sempre una giustificazione...lo si fa per le piante...lo si fa per gli animali...lo si fa per le persone! Ma, alla fine, rimane solo un'azione nefasta che fa male al prossimo...e, spesso, il prossimo siamo noi. A parte il partito preso, noi siamo tutti responsabili delle azioni nefaste di uno, quando gli permettiamo di farle.

Parlare nei miei libri del caso singolo del semplice cittadino significa incorrere nell’accusa di mitomania, pazzia o calunnia, oltre che nel disinteresse. Invece parlo di loro, delle istituzioni che delinquono impunite. Parlo della vera mafia. Cosa posso dire di più di quello che ho scritto e che altri non dicono? Credo che quanto divulgato possa essere di grande soddisfazione per le vittime, non potendo avere altro che quella in questa Italia con italiani di merda a cui interessa solo di loro stessi e se ne fottono degli altri.

Alle sentenze irrevocabili di proscioglimento del Tribunale di Taranto a carico del dr Antonio Giangrande, già di competenza della dr.ssa Rita Romano, giudice di Taranto poi ricusata perché denunciata, si aggiunge il verbale di udienza dell’11 dicembre 2015 della causa n. 987/09 (1832/07 RGNR) del Tribunale di Potenza, competente su fatti attinenti i magistrati di Taranto, con il quale si dispone la perfezione della fattispecie estintiva del processo per remissione della querela nei confronti del dr Antonio Giangrande da parte del dr. Alessio Coccioli, già Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Taranto, poi trasferito alla Direzione Distrettuale Antimafia di Lecce. Remissione della querela volontaria, libera e non condizionata da alcun atto risarcitorio.

Il Dr Antonio Giangrande era inputato per il reato previsto e punito dall’art. 595 3° comma c.p. “perchè inviando una missiva a sua firma alla testata giornalistica La Gazzetta del Sud Africa e pubblicata sui siti internet lagazzettadelsudafrica.net, malagiustizia.eu, e associazionecontrotuttelemafie.org, offendeva l’onore ed il decoro del dr. Alessio Coccioli, Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Taranto, riportando in detto su scritto la seguente frase: “…il PM Alessio Coccioli, inopportunamente delegando i carabinieri di Manduria, quali PG, ha reso lecito tale modus operandi (non rilasciare attestato di ricezione da parte dell’Ufficio Protocollo del Comune di Manduria ndr), motivandolo dal fatto che non è dannoso per il denunciante. Invece in denuncia si è fatto notare che tale usanza di recepimento degli atti, prettamente manduriana, può nascondere alterazioni procedurali in ambito concorsuale e certamente abusi a danno dei cittadini. Lo stesso PM Alessio Coccioli, inopportunamente delegando i carabinieri di Manduria, quali PG, per la colleganza con il comandante dei Vigili Urbani di Manduria, ha ritenuto le propalazioni del Giangrande, circa il concorso per Comandante dei Vigili Urbani, ritenuto truccato (perché il medesimo aveva partecipato e vinto in un concorso da egli stesso indetto e regolato in qualità di comandante pro tempore e dirigente dell’ufficio del personale), sono frutto di sue convinzioni non supportate da riscontri di natura obbiettiva e facendo conseguire tali riferimenti, al predetto dr. Coccioli, ad altre notazioni, contenute nello stesso scritto, nelle quali si denunciavano insabbiamenti, o poche richieste di archiviazioni strumentali attribuite ai magistrati della Procura della Repubblica di Taranto”.

Il Processo di Potenza, come i processi tenuti a Taranto, sono attinenti a reati di opinione. Lo stesso dr. Alessio Coccioli, una volta trasferito a Lecce, ha ritenuto che le opinioni espresse dal Dr Antonio Giangrande riguardo la Giustizia a Taranto non potessero continuare ad essere perseguite. 

Ultimo atto. Esame di Avvocato 2015. A Lecce uno su quattro ce l’ha fatta. Sono partiti in 1.108: la prova scritta è stata passata da 275 praticanti. Preso atto.....

All'attenzione dell'avv. Francesco De Jaco. Illustre avv. Francesco De Jaco, in qualità di Presidente della Commissione di Esame di Avvocato 2014-2015, chi le scrive è il dr Antonio Giangrande. E’ quel signore, attempato per i suoi 52 anni e ormai fuori luogo in mezzo ai giovani candidati, che in sede di esame le chiese, inopinatamente ed invano, Tutela. Tutela, non raccomandazione. Così come nel 2002 fu fatto inutilmente con l’avv. Luigi Rella, presidente di commissione e degli avvocati di Lecce. Tutela perché quel signore il suo futuro lo ha sprecato nel suo passato. Ostinatamente nel voler diventare avvocato ha perso le migliori occasioni che la vita possa dare. Aspettava come tutti che una abilitazione, alla mediocrità come è l’esame forense truccato, potesse, prima o poi, premiare anche lui. Pecori e porci sì, lui no! Quel signore ha aspettato ben 17 anni per, finalmente, dire basta. Gridare allo scandalo per un esame di Stato irregolare non si può. Gridare al complotto contro la persona…e chi gli crede. Eppure a Lecce c’è qualcuno che dice: “quello lì, l’avvocato non lo deve fare”. Qualcuno che da 17 anni, infastidito dal mio legittimo operato anche contro i magistrati, ha i tentacoli tanto lunghi da arrivare ovunque per potermi nuocere. Chi afferma ciò è colui il quale dimostra con i fatti nei suoi libri, ciò che, agli ignoranti o a chi è in mala fede, pare frutto di mitomania o pazzia. Guardi, la sua presidenza, in sede di scritto, è stata la migliore tra le 17 da me conosciute. Purtroppo, però, in quel di Brescia quel che si temeva si è confermato. Brescia, dove, addirittura, l’ex Ministro Mariastella Gelmini chiese scampo, rifugiandosi a Reggio Calabria per poter diventare avvocato. Il mio risultato delle prove fa sì che chiuda la fase della mia vita di aspirazione forense in bruttezza. 18, 18, 20. Mai risultato fu più nefasto e, credo, immeritato e punitivo. Sicuro, però, che tale giudizio non è solo farina del sacco della Commissione di esame di Brescia. Lo zampino di qualche leccese c’è! Avvocato… o magistrato… o entrambi…: chissà? Non la tedio oltre. Ho tentato di trovare Tutela, non l’ho trovata. Forse chiedevo troppo. Marcire in carcere da innocente o pagare fio in termini professionali, credo che convenga la seconda ipotesi. Questo è quel che pago nel mettermi contro i poteri forti istituzionali, che io chiamo mafiosi. Avvocato, grazie per il tempo che mi ha dedicato. Le tolgo il disturbo e, nel caso l’importasse, non si meravigli, se, in occasione di incontri pubblici, se e quando ci saranno, la priverò del mio saluto. Con ossequi.

Avetrana lì 26 giugno 2015. Dr Antonio Giangrande, scrittore per necessità.

La “mediocrazia” ci ha travolti, così i mediocri hanno preso il potere, scrive Angelo Mincuzzi il 19 giugno 2016 su L’urlo del “Il Sole 24ore”. Una «rivoluzione anestetizzante» si è compiuta silenziosamente sotto i nostri occhi ma noi non ce ne siamo quasi accorti: la “mediocrazia” ci ha travolti. I mediocri sono entrati nella stanza dei bottoni e ci spingono a essere come loro, un po’ come gli alieni del film di Don Siegel “L’invasione degli ultracorpi”. Ricordate? “Mediocrazia” è il titolo dell’ultimo libro del filosofo canadese Alain Deneault, docente di scienze politiche all’università di Montreal. Il lavoro (“La Mediocratie”, Lux Editeur) non è stato ancora tradotto in italiano ma meriterebbe di esserlo se non altro per il dibattito che ha saputo suscitare in Canada e in Francia. Deneault ha il pregio di dire le cose chiaramente: «Non c’è stata nessuna presa della Bastiglia – scrive all’inizio del libro -, niente di comparabile all’incendio del Reichstag e l’incrociatore Aurora non ha ancora sparato nessun colpo di cannone. Tuttavia, l’assalto è stato già lanciato ed è stato coronato dal successo: i mediocri hanno preso il potere». Già, a ben vedere di esempi sotto i nostri occhi ne abbiamo ogni giorno. Ma perché i mediocri hanno preso il potere? Come ci sono riusciti? Insomma, come siamo arrivati a questo punto? Quella che Deneault chiama la «rivoluzione anestetizzante» è l’atteggiamento che ci conduce a posizionarci sempre al centro, anzi all’«estremo centro» dice il filosofo canadese. Mai disturbare e soprattutto mai far nulla che possa mettere in discussione l’ordine economico e sociale. Tutto deve essere standardizzato. La “media” è diventata la norma, la “mediocrità” è stata eletta a modello. Essere mediocri, spiega Deneault, non vuol dire essere incompetenti. Anzi, è vero il contrario. Il sistema incoraggia l’ascesa di individui mediamente competenti a discapito dei supercompetenti e degli incompetenti. Questi ultimi per ovvi motivi (sono inefficienti), i primi perché rischiano di mettere in discussione il sistema e le sue convenzioni. Ma comunque, il mediocre deve essere un esperto. Deve avere una competenza utile ma che non rimetta in discussione i fondamenti ideologici del sistema. Lo spirito critico deve essere limitato e ristretto all’interno di specifici confini perché se così non fosse potrebbe rappresentare un pericolo. Il mediocre, insomma, spiega il filosofo canadese, deve «giocare il gioco». Ma cosa significa? Giocare il gioco vuol dire accettare i comportamenti informali, piccoli compromessi che servono a raggiungere obiettivi di breve termine, significa sottomettersi a regole sottaciute, spesso chiudendo gli occhi. Giocare il gioco, racconta Deneault, vuol dire acconsentire a non citare un determinato nome in un rapporto, a essere generici su uno specifico aspetto, a non menzionarne altri. Si tratta, in definitiva, di attuare dei comportamenti che non sono obbligatori ma che marcano un rapporto di lealtà verso qualcuno o verso una rete o una specifica cordata. È in questo modo che si saldano le relazioni informali, che si fornisce la prova di essere “affidabili”, di collocarsi sempre su quella linea mediana che non genera rischi destabilizzanti. «Piegarsi in maniera ossequiosa a delle regole stabilite al solo fine di un posizionamento sullo scacchiere sociale» è l’obiettivo del mediocre. Verrebbe da dire che la caratteristica principale della mediocrità sia il conformismo, un po’ come per il piccolo borghese Marcello Clerici, protagonista del romanzo di Alberto Moravia, “Il conformista”. Comportamenti che servono a sottolineare l’appartenenza a un contesto che lascia ai più forti un grande potere decisionale. Alla fine dei conti, si tratta di atteggiamenti che tendono a generare istituzioni corrotte. E la corruzione arriva al suo culmine quando gli individui che la praticano non si accorgono più di esserlo. All’origine della mediocrità c’è – secondo Deneault (nella foto qui sopra) – la morte stessa della politica, sostituita dalla “governance”. Un successo costruito da Margaret Thatcher negli anni 80 e sviluppato via via negli anni successivi fino a oggi. In un sistema caratterizzato dalla governance – sostiene l’autore del libro – l’azione politica è ridotta alla gestione, a ciò che nei manuali di management viene chiamato “problem solving”. Cioé alla ricerca di una soluzione immediata a un problema immediato, cosa che esclude alla base qualsiasi riflessione di lungo termine fondata su principi e su una visione politica discussa e condivisa pubblicamente. In un regime di governance siamo ridotti a piccoli osservatori obbedienti, incatenati a una identica visione del mondo con un’unica prospettiva, quella del liberismo. La governance è in definitiva – sostiene Deneault – una forma di gestione neoliberale dello stato, caratterizzata dalla deregolamentazione, dalle privatizzazioni dei servizi pubblici e dall’adattamento delle istituzioni ai bisogni delle imprese. Dalla politica siamo scivolati verso un sistema (quello della governance) che tendiamo a confondere con la democrazia. Anche la terminologia cambia: i pazienti di un ospedale non si chiamano più pazienti, i lettori di una biblioteca non sono più lettori. Tutti diventato “clienti”, tutti sono consumatori. E dunque non c’è da stupirsi se il centro domina il pensiero politico. Le differenze tra i candidati a una carica elettiva tendono a scomparire, anche se all’apparenza si cerca di differenziarle. Anche la semantica viene piegata alla mediocrità: misure equilibrate, giuste misure, compromesso. È quello che Denault definisce con un equilibrismo grammaticale «l’estremo centro». Un tempo, noi italiani eravamo abituati alle “convergenze parallele”. Questa volta, però, l’estremo centro non corrisponde al punto mediano sull’asse destra-sinistra ma coincide con la scomparsa di quell’asse a vantaggio di un unico approccio e di un’unica logica. La mediocrità rende mediocri, spiega Denault. Una ragione di più per interrompere questo circolo perverso. Non è facile, ammette il filosofo canadese. E cita Robert Musil, autore de “L’uomo senza qualità”: «Se dal di dentro la stupidità non assomigliasse tanto al talento, al punto da poter essere scambiata con esso, se dall’esterno non potesse apparire come progresso, genio, speranza o miglioramento, nessuno vorrebbe essere stupido e la stupidità non esisterebbe». Senza scomodare Musil, viene in mente il racconto di fantascienza di Philip Klass, “Null-P”, pubblicato nel 1951 con lo pseudonimo di William Tenn. In un mondo distrutto dai conflitti nucleari, un individuo i cui parametri corrispondono esattamente alla media della popolazione, George Abnego, viene accolto come un profeta: è il perfetto uomo medio. Abnego viene eletto presidente degli Stati Uniti e dopo di lui i suoi discendenti, che diventano i leader del mondo intero. Con il passare del tempo gli uomini diventano sempre più standardizzati. L’homo abnegus, dal nome di George Abnego, sostituisce l’homo sapiens. L’umanità regredisce tecnologicamente finché, dopo un quarto di milione di anni, gli uomini finiscono per essere addomesticati da una specie evoluta di cani che li impiegano nel loro sport preferito: il recupero di bastoni e oggetti. Nascono gli uomini da riporto. Fantascienza, certo. Ma per evitare un futuro di cui faremmo volentieri a meno, Deneault indica una strada che parte dai piccoli passi quotidiani: resistere alle piccole tentazioni e dire no. Non occuperò quella funzione, non accetterò quella promozione, rifiuterò quel gesto di riconoscenza per non farmi lentamente avvelenare. Resistere per uscire dalla mediocrità non è certo semplice. Ma forse vale la pena di tentare.

TERREMOTO E STORIA.

I terremoti più gravi in Italia, scrive “La Gazzetta del Mezzogiorno” il 25 agosto 2016. Dal terremoto di Messina e Reggio, fino a quello dell’Emilia del 2012, passando per il sisma che ha distrutto l’Aquila nel 2009, ecco gli eventi sismici più gravi avvenuti in Italia a partire dal 1908.

- 28 dicembre 1908: un terremoto di magnitudo 7,2 rade al suolo Reggio Calabria e Messina e tutti i villaggi nell’area, causando quasi 100.000 morti. Si tratta della più grave sciagura naturale in Italia per numero di vittime e per intensità sismica.

- 13 gennaio 1915: un sisma di magnitudo 6,8 distrugge Avezzano e tutto il territorio della Marsica. I morti sono circa 30.000.

- 26 aprile 1917: Umbria e Toscana sono colpite da un terremoto di magnitudo 5,8. Distrutte Monterchi, Citerna e Sansepolcro. Danni a tutti i centri urbani dell’alta valle del Tevere. Tra i 30 e 40 i morti.

- 7 settembre 1920: Sisma di magnitudo 6,5 in Garfagnana e Lunigiana, in Toscana, con epicentro a Fivizzano. 300 i morti.

- 23 luglio 1930: terremoto di magnitudo 6,7 in Irpinia, in Campania: 1.425 morti.

- 15 gennaio 1968: Nella Valle del Belice, in Sicilia, vengono rasi al suolo da un terremoto di magnitudo 6,1 Gibellina, Poggioreale, Salaparuta in provincia di Trapani, e Montevago in provincia di Agrigento. Le vittime accertate sono 231.

- 6 febbraio 1971: nel Lazio la cittadina di Tuscania viene semidistrutta da un terremoto di magnitudo 4,5. 31 i morti. - 6 maggio 1976: alle 21,00 un terremoto di magnitudo 6,1 nel Friuli provoca circa 1.000 vittime. La zona più colpita è quella a nord di Udine. Ulteriori scosse l’11 e 15 settembre.

- 19 settembre 1979: un terremoto di magnitudo 5,9 colpisce la Valnerina, provocando gravi danni a Norcia, Cascia e le aree limitrofe, tra Umbria e Marche. Danni a Rieti ma anche a Roma, dove subiscono lesioni il Colosseo, l’Arco di Costantino e la colonna Antonina. Cinque i morti.

- 23 novembre 1980: alle 19,38 l’Irpinia viene sconvolta per 90 secondi da un terremoto di magnitudo 6,5. Colpita un’area di 17 mila km quadrati tra Campania e Basilicata. I morti sono 2.914.

- 7 e 11 maggio 1984: Sisma di magnitudo 5,2 in Molise, Lazio e Campania, con epicentro a San Donato Val di Comino. 7 i morti.

- 13 dicembre 1990: Sisma di magnitudo 5,1 a Santa Lucia nella Sicilia sud-orientale. Gravi danni ad Augusta e Carlentini e nella Val di Noto. 16 le vittime.

- 26 settembre 1997: Un terremoto di magnitudo 5,6, seguito da altre forti scosse nei giorni successivi colpisce di nuovo l'Umbria e le Marche: danneggiate Assisi, Colfiorito, Verchiano, Foligno, Sellano, Nocera Umbra, Camerino. 11 i morti.

- 31 ottobre-2 novembre 2002. Terremoto di magnitudo 5,4 in Molise e Puglia. A San Giuliano di Puglia crollata una scuola dove muoiono 27 bambini. In tutto i morti sono 30.

- 6 aprile 2009: Alle 3,32 L’Aquila e le zone circostanti sono colpite da un sisma di magnitudo 6,3. La scossa principale è seguita da decine di repliche di assestamento. 309 morti e 23 mila edifici distrutti.

- 20 maggio 2012: Alle 4.04 un sisma di magnitudo 5,9 colpisce per venti secondi le province di Modena e Ferrara, provocando la morte di sette persone. La scossa viene avvertita in tutto il Nord e parte del Centro Italia. Il sisma, che era stato preceduto da due forti scosse nel gennaio precedente, si ripete il 29 maggio con una magnitudo 5,8 e il 3 giugno con una nuova forte scossa da 5,1. In tutto sono sette i terremoti con magnitudo superiore a 5 e provocano complessivamente 27 morti e danni ingenti in tutta l’area.

- 24 agosto 2016: È di 296 morti il bilancio del sisma di magnitudo 6 che alle 3,36 della notte ha scosso il centro Italia, devastando una serie di centri tra Lazio, Umbria e Marche. La prima violentissima scossa ha colpito Amatrice, Accumoli (Rieti) e Arquata del Tronto (Ascoli Piceno); una seconda di magnitudo 5.4 è stata registrata alle 4,33 con epicentro tra Norcia (Perugia) e Castelsantangelo sul Nera (Macerata). Le scosse sono state avvertite anche a molti chilometri di distanza, fino a Roma e Napoli. Una devastazione «peggiore di quella dell’Aquila, mai vista una cosa così», è stata la reazione dei soccorritori. Tra le vittime ci sono molti bambini.

- 26-30 ottobre 2016. Terremoto in centro Italia. Nessun morto.

- 18 gennaio 2017. Tre violente scosse di terremoto nel centro Italia. Epicentro nella zona di Amatrice.

26-30 ottobre 2016. Terremoto in centro Italia. Momenti di panico sugli spalti dell’Adriatico di Pescara. Dopo mezzora dal fischio iniziale a gara tra i padroni di casa e l’Atalanta è stata interrotta un minuto per una scossa di terremoto, con alcuni spettatori che si sono alzati e hanno lasciato lo stadio. Alle 19:11 la prima scossa di magnitudo 5.4 con epicentro a Castelsantangelo e Visso. Poi un’altra forte scossa di 5.9 tra Perugia e Macerata con epicentro a Ussita. Durante il secondo tempo i tifosi della Curva Nord hanno abbandonato per protesta la parte superiore centrale del settore contro la decisione di far proseguire la gara nonostante il terremoto.

Terremoto, la terra trema ancora. Sindaco di Ussita: "Intero paese zona rossa". Obbligo per gli abitanti di lasciare le abitazioni. Rinaldi: "Andate via per almeno due mesi". Nelle aree colpite scuole chiuse fino al 31 ottobre. Martina: "Contributi raddoppiati per allevatori". Arrestati due "sciacalli" a Ussita, scrivono Piera Matteucci e Corrado Zunino il 28 ottobre 2016 su “La Repubblica”. È stata una notte difficile per le popolazioni del Centro Italia colpite dal sisma di due giorni fa. Oltre che con il freddo, che inizia a farsi sentire, gli sfollati, circa quattromila della provincia di Macerata, sistemati in strutture provvisorie, palazzetti dello sport e qualche tenda, hanno dovuto fare i conti con un centinaio di scosse di terremoto, la più forte di magnitudo 3.5 alle 4,13, vicino Ussita. E cresce la paura, che dal terremoto del 24 agosto non è mai sparita. Ussita, tutto il paese è zona rossa.  Marco Rinaldi, sindaco di Ussita, epicentro della scossa, ha deciso, insieme alla Protezione civile, di dichiarare l'intero paese, abitato da 400 persone, zona rossa. Una decisione senza precedenti, non adottata neanche per Amatrice, devastata dal sisma della scorsa estate. Come Ussita, zona rossa diventano anche le 15 frazioni, tra cui Frontignano, che fanno parte del comune. I vigili del fuoco andranno casa per casa, nelle abitazioni rimaste agibili e, quindi, ancora abitate, per avvertire la popolazione sull'obbligo di lasciare gli edifici. Infatti, anche se i palazzi non hanno subito danni strutturali, le microscosse (repliche del sisma principale o di assestamento), stanno causando cedimenti nelle parti non portanti. Per le 17 il primo cittadino ha indetto un'assemblea per radunare gli sfollati ospitati nei due campeggi a un chilometro dal paese, dove ora si trovano 200 persone e nei quali, dopo l'entrata in vigore dell'ordinanza, si sistemeranno in 350: a loro verrà comunicata la notizia che Ussita chiude per almeno per due mesi. Tutti gli abitanti sono invitati a spostarsi altrove, preferibilmente negli alberghi sulla costa. Alcuni gruppi sono già stati trasferiti negli alberghi della costa, come gli sfollati di Visso. Oggi saranno spostati anche altri terremotati. Non si può affrontare l'inverno nelle tende, ha ripetuto ieri anche il premier Renzi in visita a Camerino, uno dei centri più colpiti. Il problema però è che in tutta l'area del sisma ci sono tantissimi edifici inagibili e non sarà facile trovare una sistemazione adeguata e di lunga durata per così tante persone. Chiuse fino al 31 ottobre numerose scuole, per verifiche e sopralluoghi. Raddoppiati aiuti per allevatori. Contributi raddoppiati per gli allevatori. Ad annunciare la misura è il ministro delle politiche agricole Maurizio Martina, illustrando una decisione nell'ambito delle nuove misure d'intervento per la zootecnia nazionale: "Abbiamo stabilito il raddoppio degli aiuti per gli allevatori colpiti dal sisma, con un plafond dedicato oltre a quanto stabilito già con il decreto terremoto. La zootecnia è un pezzo fondamentale dell'identità di questo territorio, da qui dobbiamo ripartire nonostante la paura delle ultime ore". Per le aziende dei comuni terremotati, che allevano circa 22mila bovini, in sostanza la decisione si tradurrà in un raddoppio del contributo concesso per ogni capo di bestiame posseduto al 31 luglio 2016, in modo che il calcolo non danneggi chi ha perso gli animali durante il sisma. Questo aiuto, si sottolinea al ministero delle Politiche agricole, è aggiuntivo rispetto a quanto previsto dal decreto terremoto che ha stanziato 221 milioni di euro per un piano di rilancio delle attività agricole e agroalimentari, oltre alla previsione del rimborso fino al 100% dei danni subiti anche dagli agricoltori.

La rabbia del sindaco di Caldarola: "Qui non s'è visto nessuno".  Rabbia e polemiche nelle parole di Luca Giuseppetti, sindaco-farmacista di Caldarola, un borgo di 1.800 abitanti vicino alle zone epicentro del sisma. "Ho cento sfollati ricoverati in un capannone privato, il Municipio inagibile, la scuola e tutte le chiese chiuse, ma qui non s'è visto nessuno: due tecnici della Protezione civile che sono andati via subito, e a levare le macerie ci devo pensare io...". Il primo cittadino ce l'ha con le istituzioni: "Per loro sembra che Caldarola non esista: chiamo i vigili del fuoco di Macerata, ma il centralino è sempre occupato. Se poi rispondono, non hanno una gru da mandare. Per gli sfollati ci siamo dovuti organizzare con brande e lettini, ma la situazione delle case peggiora di giorno in giorno con le nuove scosse. Nella mia non riesco neppure ad aprire la porta, porto gli stessi pantaloni e le scarpe di tre giorni fa, e sono fortunato perché mia moglie ha una casetta in campagna: ci siamo trasferiti lì in otto". Quello che Giuseppetti contesta è la presunta "disattenzione verso i centri più piccoli".

Federalberghi: "A disposizione 1.600 posti letto". Ha superao quota 1.500, ma il numero dei posti letto messi a disposizione dalle strutture alberghiere della costa cambia di ora in ora. "La disponibilità che abbiamo raccolto per accogliere gli sfollati nelle strutture alberghiere è di circa 1.600 posti letto. È un numero in continua evoluzione, perché stiamo verificando, d'accordo con la Protezione civile, la disponibilità delle strutture e invitiamo poi a comunicarla direttamente tramite una mail dedicata della Protezione civile nazionale", ha detto il direttore di Federalberghi Marche, Massimiliano Polacco. Questi posti letto vanno ad aggiungersi, specifica Polacco, "a un elenco di 190 strutture disponibili che era stato stilato dalla Regione Marche dopo il terremoto di agosto e che abbiamo girato alla Protezione civile che sta procedendo autonomamente nel contattarle".

Montanari: "Arte si poteva salvare". "I danni al patrimonio culturale sono gravissimi. E se si fosse intervenuti, come si doveva, dopo il sisma di agosto, molti dei monumenti lesionati allora e crollati oggi si sarebbero salvati". La denuncia arriva dallo storico Tomaso Montanari, che cita i casi di Sant'Eutizio di Piedivalle vicino a Preci e San Salvatore in Campi di Norcia "entrambe danneggiate ad agosto. Potevano forse essere salvate se si fossero consolidate", dice. Mentre chiama in causa il ministro di Beni Culturali e Turismo: "Franceschini deve smetterla con la propaganda sui caschi blu della cultura e deve urgentemente dare risorse a quel poco che resta del sistema della tutela. Stiamo perdendo un pezzo del nostro volto". Sant'Eutizio e San Salvatore in Campi, insiste lo storico, "potevano forse essere salvati. È impossibile non chiederselo. E ora le rovine giacciono in terra e nessun personale tecnico del Mibact sta intervenendo". È invece decisivo intervenire nelle prime ore, conclude, "come tutta la storia dei terremoti italiani insegna. E non c'è alcuna incompatibilità con l'assistenza alle persone. Si possono, si devono fare in parallelo e subito".

Presidente emerito della Commissione Grandi Rischi: "Aperta faglia rimasta silente dopo Amatrice". "Sulla base delle migliaia di scosse registrate a partire dal 24 agosto era possibile ipotizzare che si verificassero nuovi terremoti. Quelle scosse hanno attivato faglie attigue, una in particolare, che era stata silente durante il sisma di Amatrice, e' come si fosse improvvisamente svegliata". Ad affermalo è Giuseppe Zamberletti, fondatore della Protezione Civile, e presidente emerito della Commissione Grandi Rischi che è riunita oggi per fare il punto sul nuovo sisma nell'Italia centrale. "Nel disastro di questi giorni - dice Zamberletti- conservo la piccola soddisfazione di vedere che la macchina dei soccorsi, attraverso il sistema della protezione civile da noi inventato dopo i terremoti del Friuli e dell'Irpinia, funziona in maniera eccezionale. Lo dimostra anche il fatto che il Parlamento europeo, un anno fa, lo abbia individuato come modello di riferimento per la Protezione civile europea".

Più di 700 scosse dal 26 ottobre. Sono state quasi 700 le scosse finora registrate dalla rete sismica dell'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv) nella zona fra Perugia e Macerata. Dopo quella delle 19.22 di ieri, non sono state rilevate altre scosse di magnitudo superiore a 4,0. Considerando il legame fra il terremoto del 26 ottobre e quello nel Reatino del 24 agosto, è stata calcolata a 17.800 la somma complessiva delle repliche dei due terremoti, ha detto il sismologo Massimo Cocco, dell'Ingv. Nuovi danni alla chiesa di S. Agostino di Amatrice. Sono ripresi stamani da parte dei vigili del fuoco i lavori di consolidamento della facciata della chiesa di S. Agostino di Amatrice, già gravemente lesionata dal sisma del 24 agosto scorso. La facciata della chiesa, che negli ultimi due mesi è stata interessata da diversi interventi di puntellamento, ha subito ulteriori danni. Sarà necessario un nuovo progetto, riferiscono i vigili del fuoco sul loro account Twitter, per scongiurare ulteriori crolli. Ascoli, richieste a vigili del fuoco 100 verifiche. Anche se le scosse del 26 ottobre non hanno causato particolari danni ad Ascoli, sono più di 100 le richieste di verifiche statiche arrivate ai vigili del fuoco da cittadini che vogliono essere rassicurati sulla tenuta delle loro abitazioni. E visto che lo sciame sismico non si ferma, le telefonate al Comando provinciale del pompieri aumentano di giorno in giorno, soprattutto dalla zona di Amandola, al confine con la provincia di Macerata. Arrestati due sciacalli. A Ussita sono stati arrestati due "sciacalli" di origine romena e moldava a Ussita. La Polizia di Macerata e il Reparto Mobile di Padova, durante un controllo, ha fermato i due giovani, di 24 e 26 anni, senza documenti, che si aggiravano per le vie deserte del paese. Uno dei due, con precedenti penali anche per reati contro il patrimonio, aveva all'interno dell'auto cacciaviti, pinzi e altri arnesi. Inoltre i due avevano in tasca due ricetrasmittenti perfettamente funzionanti e sintonizzate sullo stesso canale. I due stranieri sono stati denunciati per il reato di possesso ingiustificato di arnesi per lo scasso e per il reato di inosservanza dei provvedimenti dell'Autorità per essere entrati in una zona interdetta. Nei loro confronti è stato emesso un foglio di via con obbligo di presentazione all'Autorità di pubblica sicurezza del Comune di provenienza e divieto di fare ritorno per tre anni. Sopralluoghi in dieci scuole di Roma, aule chiuse. Sono una decina finora le scuole di Roma controllate dai vigili del fuoco dopo le scosse di terremoto avvertite nei giorni scorsi nella Capitale. Gli interventi sono stati effettuati in seguito a richieste da parte dei presidi. I pompieri non hanno chiuso scuole, ma hanno interdetto, a scopo precauzionale, l'accesso ad alcune aule. Sono in corso verifiche per accertare se le cause delle lesioni siano legate al sisma o siano precedenti. Proprio per affrontare il problema della sicurezza degli edifici e delle scuole di Roma, a Roma il Campidoglio creerà un'apposita 'direzione sulla sicurezza urbana' all'interno del dipartimento Sviluppo Infrastrutture e Manutenzione Urbana (Simu), un pool di esperti e tecnici, dagli ingegneri geotecnici ai geologici.

30 ottobre 2016. Terremoto, a Roma torna la paura: gente in strada, metro A e B chiuse. Danni a San Paolo e San Lorenzo. Nuova scossa, molto forte, avvertita anche nella capitale dove le persone sono scese in strada: duecento interventi dei vigili del fuoco. Verifiche al Colosseo, ferme le visite al Quirinale. Chiusa la Salaria al km 112. Sui social testimonianza di terrore, scrive Carlotta Di Leo su “Il Corriere della Sera il 30 ottobre 2016. La scossa, violentissima, delle 7:40 (magnitudo 6.5) è stata avvertita distintamente anche a Roma. Paura nella Capitale: gente in strada, metro A e B chiuse per «verifiche tecniche», crepe nei palazzi, un ascensore crollato e la Salaria chiusa al chilometro 112. Si segnalano danni alle basiliche di San Paolo e San Lorenzo Fuori alla Mura dove sono caduti calcinacci e stucchi. Migliaia le telefonate arrivate ai vigili del fuoco soprattutto dai quartieri a est e sudest (Tuscolano, Prati, Nomentano e La Rustica): oltre duecento i sopralluoghi dei pompieri. La sindaca Raggi è in Campidoglio per seguire la situazione, in costante contatto con la Protezione Civile. I danni più gravi sono quelli alla Basilica di San Paolo che è stata chiusa per effettuare le verifiche. Si segnala crepe, cornicioni e stucchi caduti, anche il distacco di uno dei supporti che tiene un grosso candelabro che rischia di cadere per una grossa crepa nel soffitto. Sul posto vigili del fuoco e polizia. Nella Basilica di San Lorenzo invece, il parroco ha lanciato l'allarme per i calcinacci caduti dalle navate. Chiuse le linee Metro A e B per «verifiche tecniche» dopo la scossa di terremoto, per lo stesso motivo forti rallentamenti sulle altre linee. Solo in tarda mattinata sono tornate regolari la linea C e le altre linee Roma-Lido, Termini-Centocelle e Roma—Viterbo. Verifiche sono in corso sul Colosseo e sull'intera area archeologica di Roma in seguito al terremoto che questa mattina ha colpito il centro Italia. Al momento non si riscontrano conseguenze. Disposta, in via precauzionale, la sospensione delle visite al Palazzo del Quirinale e di rinviare il concerto previsto per oggi alla Cappella Paolina per consentire i necessari controlli di sicurezza sulle strutture. Controlli e verifiche anche in Vaticana: le squadre di vigili del fuoco vaticane hanno effettuato sopralluoghi anche nella Basilica di San Pietro e tutto è risultato a posto. Altre verifiche sono in corso nelle basiliche romane di competenza dalla Santa Sede, in particolare a Santa Maria Maggiore. San Pietro, comunque, è rimasta regolarmente aperta al pubblico. Segnalate diverse crepe: in via Ulderisi da Gubbio si è aperta una grossa crepa verticale che ha praticamente «scollato» il palazzo da quello accanto. Luceverde Roma segnala a Portuense, in via Bartolomeo Cristofori, la caduta di un ascensore: sono in atto accertamenti sulla stabilità dell'edificio. La polizia municipale ha controllato il cavalcavia di via Chierchia, a Ostia, nel quadrante sud di Roma a causa di una crepa che si è aperta in seguito alla forte scossa di terremoto; la strada comunque è risultata agibile. La polizia ha chiuso via Salaria al km 112 per chi viene da Roma, non percorrere via Salaria. La terra ha tremato per diversi secondi: molte persone sono uscite fuori casa in diverse zone della città. «È stata più forte di quella di qualche giorno fa, più forte anche di quella dell'Aquila» dicono in molti. Su Twitter, tante le testimonianze di paura: «Sono a Roma e ora ho sentito per la prima volta un #Terremoto. Dio mio sto tremando dalla paura! Sono in mezzo alla strada e non so cosa fare» scrive Roberto Facchinetti sul social. La fortissima scossa di terremoto ha causato nuovi crolli e lesioni anche nei territori colpiti dal sisma del 24 agosto, Amatrice, Accumoli e in tutte le frazioni. Alcune zone sono momentaneamente senza corrente. In corso sopralluoghi per valutare l'entità dei nuovi danni: sono parzialmente crollate la Torre civica e la chiesa di Sant'Agostino. «Ci sono stati dei crolli» conferma il sindaco di Amatrice Pirozzi. «Crolli anche ad Amatrice. Sono in contatto con Protezione civile e sindaci del nostro territorio» scrive il governatore della Regione Lazio, Nicola Zingaretti. Sono in corso verifiche anche a Rieti per valutare eventuali danni provocati dal violento terremoto delle 7.41, che ha fatto riversare gente in strada. Il sindaco Simone Pietrangeli ha convocato una riunione urgente con il Prefetto Valter Crudo.

Terremoto, scossa più violenta dal 1980. «Quanta energia deve ancora uscire? Impossibile saperlo». Le divergenze iniziali dei dati, tra sistemi di rilevazione, derivano dal fatto che un terremoto genera onde acustiche che viaggiano nella crosta terrestre a diverse velocità. Alessandro Amato, dell’Ingv: «La sequenza è imprevedibile», scrive Giovanni Caprara il 30 ottobre 2016 su “Il Corriere della Sera”. La terra in Umbria sembra non smetta mai di tremare, raggiungendo ora un nuovo livello inquietante. Alle 7.40 una nuova scossa di terremoto è stata registrata con intensità di 6,5 della Scala Richter, secondo l’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia. Il sito dell’USGS, il servizio geologico americano — dopo aver inizialmente parlato di una scossa di grado 7,1 della scala Richter, riporta in seguito un dato analogo a quello degli studiosi italiani — 6,6. Le elaborazioni con i diversi sensori distribuiti nel territorio sono evidentemente ancora in corso per definire il giusto grado della scala. Più forte del terremoto in Irpinia. La scossa di terremoto nel centro Italia registrata questa mattina alle 7.40 è una delle più forti dell’ultimo secolo in Italia, sicuramente quella con la magnitudo maggiore dal 1980, anno del terremoto in Irpinia, a oggi, surclassando persino il sisma dell’Aquila del 2009. Il terremoto dell’Aquila aveva raggiunto i 5.9 della Scala Richter. Un terremoto genera delle onde acustiche che viaggiano negli strati della crosta terrestre a diverse velocità a seconda delle caratteristiche geologiche che incontrano. Queste attraversano il pianeta e dunque nei primi momenti il dato può essere diverso. Incerta anche la profondità: si va da 10 chilometri dell’Ingv a 1,5 chilometri dell’USGS. «Stiamo precisando la faglia all’origine della nuova scossa — dice Alessandro Amato dell’Ingv — ma l’ipocentro, cioè il punto più profondo di origine, si colloca tra Amatrice e l’ultimo terremoto più a nord. Purtroppo non è possibile dire quanta energia debba ancora liberarsi dal sottosuolo tanto da riuscire a generare scosse così forti. La sequenza è imprevedibile». L’area interessata è dunque sempre la stessa e la terra continua a tremare perché le faglie si influenzano fra di loro. Il terremoto più violento mai registrato è avvenuto in Cile il 22 agosto 1960 arrivando a 9.5 della Scala Richter.

Alle 7,40 la terra ha tremato ancora con violenza. Il capo della Protezione civile: "Nessuna vittima, decina di feriti, uno grave". Norcia, collegamenti difficili, crollata la Cattedrale di San Benedetto. Rinaldi, sindaco di Ussita: "Dormivo in macchina, ho visto l'inferno". Sospeso il servizio metro a Roma. Scossa più forte in Italia dal 1980, più forte di quella all'Aquila, scrive il 30 ottobre 2016 “La Repubblica”. Una nuova fortissima scossa di terremoto è stata avvertita questa mattina alle 7,40 in tutto il Centro Italia. Secondo i primi dati si tratta di un sisma di magnitudo 6,5 e profondità 10 km con epicentro tra Marche e Umbria, nella zona già duramente colpita dagli eventi del 24 agosto e di questa settimana. Alle 9,45, il capo della Protezione civile fa un primo punto sul nuovo sisma: "Al momento non risultano vittime, ma ci sono decine di feriti, almeno uno grave".  Ancora crolli e danneggiamenti nel cuore dell'Italia, è venuta giù anche la chiesa di San Benedetto di Norcia. Sospeso il servizio metro a Roma. Scossa più forte in Italia dal 1980, più forte di quella all'Aquila. Il terremoto è stato avvertito distintamente in tutto il centro Italia, con gente in strada a Roma. Le località prossime all'epicentro, spiega la Protezione civile, sono nuovamente Castelsantangelo, Norcia e Preci. Ma il terremoto è stato sentito dal Nord al Sud d'Italia, e anche in Austria. Crolli a Preci. Diversi i crolli nella zona di Preci dove il sindaco Pietro Bellini sta verificando le condizioni della popolazione. "La mattina la gente torna nelle abitazioni per prendere le cose che gli servono. Stiamo verificando che nessuno sia stato colpiti". Bellini ha parlato di "crolli, anche di chiese, nelle frazioni e negli altri centri minori di Preci". "Drammatica situazione a Norcia". Sono "notizie drammatiche" quelle che stanno giungendo da Norcia alla presidente della Regione Catiuscia Marini. La presidente sta raggiungendo il centro di Protezione civile di Foligno per seguire la situazione. I vigili del fuoco parlano di un quadro ancora non chiaro, ma di "nuvole di polvere" che si sono viste alzarsi a Norcia, Cascia e Preci. Oltre ad incontrare posti di blocco in diverse delle possibili strade che portano a Norcia e nelle frazioni vicine, le testimonianze di chi le sta percorrendo in questo momento raccontano di crepe e massi in vari punti. I mezzi di soccorso sono stati dirottati su piccole strade rurali. Tre estratti vivi dalle macerie a Tolentino. Tre persone sono state estratte vive dalle macerie a Tolentino, dove si sono avuti diversi crolli a seguito dell'ultima scossa. Lo si apprende da fondi della Protezione civile. Non vengono segnalate al momento vittime.

LA CRONACA IN DIRETTA MINUTO PER MINUTO IN DIRETTA.

10:17 - 30 Ott. Massi sulla Salaria ad Accumoli, strada chiusa. È momentaneamente interrotto il traffico lungo la Salaria all'altezza di Accumoli, dove alcuni massi sono caduti sulla carreggiata provocando crepe e lesioni. Sono in corso verifiche da parte del personale di Anas. Il traffico è consentito ai soli mezzi di soccorso. Piera Matteucci

10:16 - 30 Ott. Danni alla chiesa di San Giuseppe a Jesi. Danni alla chiesa di san Giuseppe a Jesi (Ancona), dopo la scossa di terremoto di magnitudo 6.5, con lesioni al tetto, che in parte ha ceduto, e crepe nella zona dell'altare. L'edificio è stato transennato e interdetto l'accesso, la messa si sta celebrando nel teatrino parrocchiale adiacente. Fortunatamente al momento del crollo non c'erano persone all'interno della chiesa. In città sono in corso sopralluoghi, non si registrano al momento altri danni. Scuole chiuse domani. Piera Matteucci

10:15 - 30 Ott. Crolli a Fermo, chiuse due chiese. A Fermo dopo la scossa di terremoto più forte di oggi si sono avuti crolli di intonaci e cornicioni, e di un tetto nel vicolo Marziale. Le chiese di Sant'Agostino e Santa Caterina sono state chiuse. Piera Matteucci

10:14 - 30 Ott. Sei feriti estratti da macerie a Norcia da vigili del fuoco. Le squadre dei vigili del fuoco hanno recuperato 6 feriti dalle macerie a Norcia. E' quanto si legge sul profilo Twitter ufficiale. Piera Matteucci.

10:12 - 30 Ott. Due ore dopo scossa Norcia altre 20 sopra magnitudo 3. Altre 20 scosse di magnitudo superiore a 3 sono state registrate nelle due ore successive a quella delle 7,41 di magnitudo 6.5 che ha abbattuto la basilica di San Benedetto a Norcia. L'Ingv registra, fra queste, nove scosse di magnitudo compresa fra 4 e 4,6. Piera Matteucci

10:11 - 30 Ott. Crepe in basilica San Paolo a Roma, chiusa. Crepe e cornicioni caduti nella basilica di San Paolo a Roma in seguito al terremoto avvertito stamattina. Secondo quanto si è appreso, la basilica è stata chiusa per effettuare le verifiche. Segnalato anche il distacco di uno dei supporti che tiene un grosso candelabro. Sul posto vigili del fuoco e polizia. Piera Matteucci

10:09 - 30 Ott. Controlli in San Pietro e Vaticano, tutto ok. Controlli e verifiche anche in Vaticano dopo la forte scossa di questa mattina. Le squadre di vigili del fuoco vaticane hanno effettuato sopralluoghi anche nella Basilica di San Pietro e tutto è risultato a posto. Altre verifiche sono in corso nelle basiliche romane di competenza dalla Santa Sede, in particolare a Santa Maria Maggiore. San Pietro, comunque, è rimasta regolarmente aperta al pubblico. Piera Matteucci

Messe in salvo due persone ad Amatrice. Due persone sono state salvate subito dopo la forte scossa di terremoto a Poggio Vitellino una frazione di Amatrice. Secondo quanto riferiscono i soccorritori, crolli di massi ci sono stati sulla Salaria, mentre è in corso una verifica nella frazione di Casali di Ussita dove sono stati segnalati crolli importanti e dove erano presenti ancora degli abitanti. E ad Amatrice è crollata la chiesa di Sant'Agostino. Su Twitter il governatore del Lazio Nicola Zingaretti scrive: "In contatto con Protezione Civile e sindaci del nostro territorio. Ci sono crolli ad Amatrice e Accumoli". "Si è aperta la terra". Drammatico il racconto del sindaco di Castelsantangelo sul Nera, Mauro Falcucci: "Io sono a Fano, dove vivo, ma mi dicono che ci sono stati crolli, che è un disastro! Si è aperta la terra, c'è fumo, un disastro. Spero che i testoni che erano rimasti a Santangelo si siano spostati nella notte". "Vedo colonne di fumo, è crollato tutto". Il sindaco di Ussita, Marco Rinaldi: "È crollato tutto, vedo colonne di fumo, è un disastro, un disastro. Dormivo in auto, ho visto l'inferno." "Spero non ci sia nessuno sotto le macerie". "Ho molti crolli nelle frazioni, speriamo che non ci sia nessuno sotto le macerie", ha detto Sante Stangoni, sindaco di Acquasanta Terme. "Il centro era stato già evacuato, spero che il lavoro fatto in questi giorni abbia salvato delle vite umane". "Sono relativamente tranquillo, perché spero che il lavoro fatto in questi giorni sia stato sufficiente per salvare vite umane: il centro è stato evacuato, gli edifici dei quartieri più a rischio dichiarati inagibili, ma ho 47 frazioni, casolari sparsi, finché non ho riscontri qualche timore ce l'ho". Così il sindaco di Camerino Gianluca Pasqui, che parla di nuovi crolli in città, dopo quelli causati dal sisma del 26 ottobre. Terremoto Centro Italia. Il sindaco di Accumoli: " Tutto crollato, i ponti sono sollevati di 20 centimetri". Ospedale di Cascia in corso di evacuazione: E' in corso in questi momenti l'evacuazione dell'ospedale di Cascia, centro situato a una decina di chilometri da Norcia.

Terremoto, nuova scossa di magnitudo 6.5 nel centro Italia: epicentro nella zona di Norcia. Il sisma si è verificato a dieci chilometri di profondità alle 7.40. Avvertito anche a Roma dove è stata chiusa la metropolitana. Il capo della protezione civile delle Marche ha dichiarato: "E' stata una scossa molto forte. Ci segnalano crolli a Muccia, Tolentino, in tutto l’entroterra Maceratese, stiamo cercando di capire se ci sono persone sotto le macerie", scrive "Il Fatto Quotidiano" il 30 ottobre 2016. Un terremoto di magnitudo 6,5 è stato registrato alle 7.40 nella zona compresa fra Perugia e Macerata, precisamente tra Norcia, Preci e Castel Sant’Angelo sul Nera. Il sisma è stato a 10 chilometri di profondità. La magnitudo è la prima stima fornita dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia. La scossa è stata avvertita distintamente anche a Roma (dove è stata chiusa la metropolitana per effettuare verifiche), ma anche nel Nord Italia e nel Meridione. Si tratta della scossa più forte registrata in centroItalia, anche di quella che il 24 agosto scorso ha distrutto Amatrice e Accumuli. Altre due scosse sono avvenute a distanza di pochi minuti da quella delle 7,40. La prima, di magnitudo 4,6, è stata registrata dalla rete sismica dell’Ingv alle 7,44, e la seconda, di magnitudo 4,1, è avvenuta alle 8,00. La gente è scesa in strada nelle Marche, nelle zone terremotate, ma anche ad Ancona, dopo l’ultima violentissima scossa. Al momento non è possibile avere una stima di eventuali nuovi danni, ma ci sono notizie di crolli un po’ ovunque nei paesi colpiti dal nuovo fenomeno tellurico. A Norcia, in pieno centro, alcune suore corrono verso un luogo sicuro e vengono aiutate dai vigili del fuoco a scappare dall’edificio dove si trovavano. Nella centralissima piazza dedicata a San Benedetto da Norcia, patrono d’Europa, ci sono nuove crepe a terra e si teme per la caduta del campanile. La Basilica di San Benedetto e la cattedrale di Santa Maria argentea sono crollate: sono rimaste in piedi parte delle facciate e delle strutture. Secondo quanto appreso dall’Ansa, sono “notizie drammatiche” quelle che stanno giungendo da Norcia alla presidente della Regione Catiuscia Marini. “E’ stata una scossa molto forte. Ci segnalano crolli a Muccia, Tolentino, in tutto l’entroterra Maceratese, stiamo cercando di capire se ci sono persone sotto le macerie” ha detto il capo della Protezione civile delle Marche Cesare Spuri. “La scossa – ha aggiunto – è stata molto forte anche ad Ancona”. “Io sono a Fano, dove vivo, ma mi dicono che ci sono stati crolli, che è un disastro! Si è aperta la terra, c’è fumo, un disastro”. Sono queste le parole di Mauro Falcucci, sindaco di Castelsantangelo sul Nera, centro abitato già devastato dal sisma del 26 ottobre. “E’ venuto tutto giù, ormai non ci stanno più i paesi” ha detto invece il primo cittadino di Arquata del Tronto Aleandro Petrucci dopo l’ultima scossa. “Per fortuna che erano zone rosse – ha aggiunto aggiunge – La poca gente che è rimasta è scesa in strada, si sta abbracciando. Adesso stiamo andando in giro per le frazioni per vedere quello che è successo”. ORA PER ORA:

09.09 – Salaria bloccata. Massi sulla strada. La Salaria è bloccata all’altezza di Trisungo, per la caduta di massi che ostruiscono la carreggiata e a causa di un cavalcavia pericolante. Lo si apprende da fonti della Protezione civile delle Marche.

09.14 – Scossa avvertita anche in Austria. Il terremoto è stato nettamente avvertito in vaste zone dell’Austria. L’istituto geofisico di Vienna (Zamg) ha ricevuto numerose segnalazioni dalla Carinzia, dalla Stiria e dal Salisburghese. Ai piani alti dei condomini si muovevano i lampadari, alcune persone sono state addirittura svegliata dalla scossa.

09.15 – Precipita ascensore in palazzo a Roma. Un ascensore è precipitato in un palazzo di via Bartolomeo Cristofori, in zona Marconi a Roma, dopo la scossa di terremoto. Sul posto vigili del fuoco e polizia municipale. Sono in corso verifiche dei pompieri per accertare le cause dell’incidente. Dalle prime informazioni sembrerebbe che fosse vuoto.

09.22 – Verifiche su Colosseo e area archeologica a Roma. Verifiche sono in corso sul Colosseo e sull’intera area archeologica di Roma in seguito al terremoto che questa mattina ha colpito il centro Italia. Al momento non si riscontrano conseguenze.

09.24 – Tre persone estratte vive dalle macerie a Tolentino. Tre persone sono state estratte vive dalle macerie a Tolentino, dove si sono avuti diversi crolli a seguito dell’ultima scossa. Lo si apprende da fondi della Protezione civile. Non vengono segnalate al momento vittime.

09.25 – Al momento nessuna vittima. Al momento non risultano vittime del terremoto di oggi. Lo si apprende dai primi controlli dei carabinieri e degli altri soccorritori.

09.26 – Renzi cancella i suoi appuntamenti pubblici. Dopo le nuove scosse di questa mattina, il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha deciso di cancellare gli appuntamenti pubblici che aveva in agenda oggi. Lo si apprende da fonti di Palazzo Chigi. Renzi avrebbe dovuto partecipare al Congresso nazionale di oncologia e poi al programma L’intervista di Maria Latella.

09.31 – Scossa più forte dal 1980. La scossa di terremoto nel centro Italia registrata questa mattina alle 7.40 è una delle più forti dell’ultimo secolo in Italia, sicuramente quella con la magnitudo maggiore dal 1980, anno del terremoto in Irpinia, a oggi, surclassando persino il sisma dell’Aquila del 2009. Per ritrovare una magnitudo di 6.5, registrata oggi dall’Ingv, bisogna andare per l’appunto al 1980, quando una scossa di identica magnitudo devastò i comuni tra il Vulture e l’Irpinia causando oltre 2.900 vittime.

09.32 – Presidente Regione Lazio: in corso verifiche su strade ed edifici. Sono in corso verifiche su edifici, strade e infrastrutture nei Comuni dell’area coinvolta” dal terremoto di questa mattina. Lo scrive su Twitter il presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti.

09.34 – Nessun crollo a Rieti. Cade la torre civica ad Amatrice. Per il momento non ci sono segnalazione di crolli a Rieti. E’ quanto ha spiegato il sindaco Simone Petrangeli. E’ invece crollata, secondo quanto conferma la protezione civile, la torre civica di Amatrice.

09.35 – Il Cnr non esclude altra forte scossa. Purtroppo non siamo in grado di prevedere quando e come tale sequenza sismica andrà a scemare, né possiamo in linea teorica escludere altri terremoti forti come e più di quelli avvenuti fino ad oggi in aree adiacenti a quelle colpite in questi mesi”. A sottolinearlo in una nota è il Cnr, Istituto di Geologia Ambientale e Geoingegneria in seguito alla scossa di terremoto che ha colpito nuovamente il Centro Italia. Se da una parte questa sequenza “è fortemente preoccupante”, sottolinea ancora il Cnr – Igag, dall’altro lato “la propagazione laterale fa sì che si verifichino una serie di terremoti forti ma non fortissimi”. Molto peggio sarebbe se tutti questi segmenti della faglia (Amatrice, Visso, Norcia) “si fossero mossi tutti insieme generando un terremoto di magnitudo almeno 7.0”.

09.39 – Crollata basilica di San Benedetto a Norcia. Crollata la basilica di San Benedetto nella piazza principale di Norcia. Rimaste solo alcune mura della facciata. 

09.41 – Curcio: “Al momento non risultano vittime”. Al momento ci sono diversi feriti, ma non abbiamo notizie di vittime. Lo ha detto il capo della Protezione civile, Fabrizio Curcio.

09.43 – Sindaco Norcia: stiamo verificando se ci sono persone sotto le macerie. Stiamo verificando se ci sono persone sotto le macerie e stiamo mettendo in salvo la gente in strada”. Lo afferma all’Adnkronos il sindaco di Norcia, Nicola Alemanno.

09.45 – Feriti trasportati con gli elicotteri. “I feriti vengono portati via con gli elicotteri per ovviare i problemi di viabilità”. Lo ha detto il capo del Dipartimento della Protezione civile Fabrizio Curcio.

09.46 – Consigliere Ancona: pazienti portati fuori dall’ospedale. “I pazienti dell’Inrca sono stati portati fuori dalla struttura nonostante il freddo pungente perché sono presenti crepe diffuse in molti reparti dell’ospedale”. Lo afferma il consigliere comunale di Ancona Daniele Berardinelli (Fi), che ha diffuso anche una foto. “Ricordo – aggiunge – che gli ospedali dovrebbero essere, insieme agli altri edifici strategici come il Comune, tra i luoghi più sicuri in caso di eventi sismici. La nostra città, nonostante gli appelli costanti, non garantisce la sicurezza necessaria per i cittadini. Oltre agli ospedali, anche le scuole necessitano di interventi strutturali in grado di garantire tranquillità ai genitori che affidano a quegli edifici il loro bene più prezioso, i loro figli”.

09.47 – Curcio: “Una decina di feriti di lieve entità, uno è più grave”.

09.50 – Crepe in reparto nell’ospedale di Ascoli e Fermo. I vigili del fuoco di Ascoli Piceno riferiscono che ci sono crepe nel reparto di Chirurgia dell’ospedale di Ascoli Piceno, e qualche danno anche nell’ospedale di Fermo.

09.53 – Curcio: “Viabilità fortemente compromessa in tutta Italia. Ci sono problemi di viabilità dappertutto. La viabilità è fortemente compromessa, per gli aiuti bisogna muoversi attraverso i canali istituzionali per non intasare le strade”. Lo ha detto il Capo della Protezione civile Fabrizio Curcio nel corso di un punto stampa. 

09.54 – Curcio: “Siamo in grado di gestire emergenza”. “Siamo in grado di gestire questa cosa, le squadre di soccorritori stanno arrivando, il sistema è in grado di reggere”. Lo ha detto il capo della Protezione civile Fabrizio Curcio, invitando a non mettere in atto iniziative non concordate. “Per ora – ha aggiunto Curcio – la priorità sono le persone”.

09.55 – Vigili del fuoco salvano donna da una casa crollata ad Ascoli. Una donna rimasta intrappolata nel crollo della sua abitazione, nella frazione di Pianaccerro di Ascoli Piceno, è stata tratta in salvo da una squadra dei vigili del fuoco. Fortunatamente non è ferita.

09.56 – Esercito mobilitato nei comuni più colpiti dal terremoto. L’Esercito è mobilitato nei Comuni più colpiti dal terremoto per fornire assistenza alla popolazione e per un monitoraggio della situazione, anche del sistema idrografico. Nell’area di Visso, ad esempio, si stanno controllando eventuali movimenti franosi in prossimità dei corsi d’acqua con il rischio di allagamenti.

09.57 – In corso evacuazione ospedale di Cascia. È in corso in questi momenti l’evacuazione dell’ospedale di Cascia, centro situato a una decina di chilometri da Norcia.

09.59 – Atac: Metro C regolare. Il traffico della metro C di Roma è tornato “regolare” dopo le verifiche tecniche in seguito alla scossa di terremoto delle 7.40 che ha colpito il centro Italia. Lo riferisce l’Atac. Anche la linea Termini-Centocelle è tornata “regolare” come è tornata “regolare” anche la tratta urbana della linea Roma-Viterbo. 

10.00 – Schulz: “Solidarietà all’Italia”. “Solidarietà all’Italia ancora una volta colpita dal forte terremoto. Molto tristi le immagini di distruzione e eredità perduta. Grazie ai soccorritori”. Lo scrive su Twitter il presidente del Parlamento europeo Martin Schulz. 

10.02 – Roma, crepe nella basilica di San Paolo: chiusa – Crepe e cornicioni caduti nella basilica di San Paolo, a Roma. Secondo quanto si è appreso, la basilica è stata chiusa per effettuare le verifiche. Segnalato anche il distacco di uno dei supporti che tiene un grosso candelabro. Sul posto vigili del fuoco e polizia.

10.03 - Crolli a L’Aquila nella zona rossa – “Nella zona rossa c’è stato un crollo di una casa già gravemente lesionata, che doveva essere demolita”. Lo dice il sindaco de L’Aquila, Massimo Cialente che racconta anche di “qualche calcinaccio, sempre nella zona rossa e sempre da edifici già danneggiati dal terremoto”.

Terremoto, paura e gente per strada a Roma. Raggi: "Lunedì scuole chiuse per verifiche". Panico nella Capitale dopo la scossa delle 7:40 che ha sconvolto il centro Italia. Metro chiuse per ore e poi riaperte. Chiuso un tratto della Tangenziale, palazzo Senatorio, il Quirinale, la Galleria Pasa e il ponte di Ariccia, scrivono Rory Cappelli e Lorenzo D'Albergo il 30 ottobre 2016 su “la Repubblica”. Tanta paura anche nella Capitale per la forte scossa di terremoto che stamani alle 7:40 ha sconvolto il centro Italia. Molta gente per strada, anche in pigiama, sia in centro che nelle periferie. Numerose le chiamate ai vigili del Fuoco. Un ascensore, per fortuna vuoto, si è disallineato in un palazzo di via Bartolomeo Cristofori, in zona Marconi. Sul posto vigili del Fuoco e polizia municipale, che hanno accertato le cause dell'incidente. I vigili urbani sono intervenuti anche in via Caravaggio per un edificio che presenta lesioni. Dalle 7.40 alle 14.15 circa sono stati effettuati su tutto il territorio di Roma e Provincia 120 interventi di cui 90 per verifica statica e 30 di soccorso ordinario. Scuole chiuse. "Scuole chiuse domani" annuncia intanto la sindaca Virginia Raggi in un post su Facebook. Precisando che "l'amministrazione intende chiudere le scuole domani in via cautelativa in modo tale che i tecnici e i responsabili della sicurezza possano andare ad effettuare tutte le verifiche per vedere e valutare se il terremoto ha comportato lesioni o comunque danni gravi". Trasporti e viabilità. Nel corso della giornata è stato chiuso un tratto della tangenziale, da scalo di San Lorenzo a viale Castrense in direzione San Giovanni per verifiche tecniche sulla strada. È stata momentaneamente chiusa anche via Flaminia, da via Fracassini a via Canini per la caduta di cornicioni. Riaperte poco dopo le 14 metro A e metro B dopo le per verifiche tecniche. La metro C già nel primo pomeriggio era tornata regolare, così come la Roma-Lido e la Roma-Viterbo. Sulla tratta extra urbana della linea Roma-Viterbo, il treno 1700 era stato cancellato da Catalano a Viterbo; il treno 1701 era stato cancellato da Riano a Montebello. Riaperto al traffico dopo una serie di controlli il cavalcavia di via Chierchia, a Ostia. Chiuso il ponte di Ariccia. A Tor Pignattara, sono state chiuse al traffico via Gabrio Serbelloni tra via Ciro da Urbino e via Muzio Oddi per verifiche alla stabilità. In serata è stato poi riaperto ponte Vittorio, chiuso in mattinata per consentire alcune verifiche tecniche. Sul ponte è ripresa regolarmente la circolazione dei bus. Chiusa anche la Galleria Pasa, il traforo Principe Amedeo di Savoia-Aosta che sottopassa il Gianicolo fuori dal Vaticano, tra porta Cavalleggeri e porta Santo Spirito, e il ponte omonimo. Chiusa Sant'Ivo alla Sapienza. Lesioni sulla cupola del Borromini, dopo un sopralluogo la Soprintendenza ha deciso di chiudere la chiesa di Sant'Ivo alla Sapienza. Piccoli crolli nella basilica di San Paolo. La chiesa è stata chiusa per effettuare verifiche e poi riaperta. Verifiche anche nella basilica di San Lorenzo per frammenti di calcinacci caduti dalla navata e ancora verifiche sull'intera area archeologica e sul Colosseo, però ha regolarmente aperto al pubblico. Clodia: inquilini rientrati dopo sgombero. Due palazzi di circonvallazione Clodia, nella zona nord-ovest di Roma, sono stati evacuati a scopo precauzionale per una evidente crepa tra due palazzine. Sul posto erano intervenuti carabinieri, vigili del Fuoco e polizia municipale, che poi hanno fatto rientrare gli inquilini dopo le verifiche. Caduti cornicioni da un palazzo di via Merulana, in centro, e di via del Vignola, dove sono intervenuti i carabinieri per verifiche danni a un edificio privato. Altro intervento in piazzale della Radio 7 per verifica stabile, in via Flaminia per caduta cornicione. Sospese visite Quirinale e Palazzo Senatorio. L'ufficio stampa della Presidenza della Repubblica, inoltre, ha comunicato che è stata disposta, in via precauzionale, la sospensione delle visite al Palazzo del Quirinale. È stata anche transennata una parte della scalinata che da via della Dataria porta a piazza del Quirinale a causa dello spostamento di una parte di un gradino. Un'altra scalinata, quella che da via di San Vitale conduce a via Nazionale e lambisce il Palazzo delle Esposizioni, è stata transennata per verifiche. È stato inoltre deciso di rinviare il concerto che era previsto alla Cappella Paolina per consentire i necessari controlli di sicurezza sulle strutture. Sospese anche le visite a Palazzo Senatorio: la sindaca Virginia Raggi è scesa in piazza del Campidoglio per informare personalmente i cittadini e i turisti che aspettavano di entrare. Le testimonianze. Anche nel quartiere Trieste è tremato tutto. Sono caduti libri, si sono rotte cornici, i letti hanno ballato, gli alberi si sono scossi come in mezzo a una tempesta tropicale. In un attimo l'intero quartiere si è riverso per strada, erano quasi le otto di domenica e in piazza Verbano sembrava mezzogiorno. Anzi: così tanta gente insieme non si era mai vista. Il parco Virgiliano era pieno di famiglie e bambini. Laura era ancora in pigiama. Era scesa con il figlio di cinque anni e il marito, tutti in pigiama. Un bambino stava seduto sconsolato e assonnato su una panchina. Era senza scarpe. "Stavamo facendo colazione quando è partito il primo botto" ha raccontato Giovanna. "Ci siamo messi sotto i muri portanti accanto alla porta, come ci hanno spiegato. È stato terribile. Adesso aspettiamo la seconda. Su non ci torniamo". "Parlare e condividere". Marta Nardone, architetto, era in strada con il marito Stefano e il figlio: "Non sapevo cosa fare: la prima cosa che mi è venuta è stata aprire la porta, spalancarla. Poi ho preso il bimbo in braccio e mi sono resa conto che non sarebbe servito: ho sentito le urla della gente nel palazzo e mi sono spaventata ancora di più. Ci siamo messi sotto un muro portante perché ci siamo resi conto che non potevamo scendere né dalle scale né con l'ascensore. Potevamo soltanto aspettare. Quando siamo arrivati in strada c'era tutto il quartiere. Per fortuna è una bella giornata. E per ora non torniamo: incontriamo tante persone e ne parliamo con tutti, perché forse sentirsi uniti e condividere, in questi momenti è l'unica cosa che fa sentire meglio".

Un secolo di terremoti. Da Messina ad Amatrice, scrive Franco Insardà il 29 ago 2016 su “Il Dubbio”. Gli eventi sismici più gravi, che hanno sconvolto il nostro paese dal 1908 al 2016. Paesi distrutti, facce tese, occhi persi nel vuoto e richieste di aiuto. Poi gli appelli, i soccorsi e dopo un po' le polemiche. La storia si ripete drammaticamente a ogni terremoto che, purtroppo, da secoli sconvolge la nostra penisola. Dal Friuli alla Sicilia. Improvvisamente i nomi di piccoli paesini come Gibellina, Montevago, Gemona, Conza della Campania, Lioni, Balvano, Massa Martana, San Giuliano di Puglia, Mirandola, Medolla, diventano drammaticamente famosi e familiari agli italiani e all'estero. Oggi tocca ad Amatrice, Accumoli, Arquata e Pescara del Tronto. Passata, poi, la prima onda emotiva si comincia ad analizzare l'intensità della scossa, il luogo dell'epicentro, le zone colpite e poi la pietosa conta dei morti, dei feriti, dei dispersi dei senzatetto. Si fanno i confronti con quello che è successo nelle altre zone, con i finanziamenti stanziati e a che punto è la ricostruzione. E se il terremoto del Friuli, così come quello dell'Umbria e delle Marche, viene ricordato come esempio di efficienza e serietà nell'utilizzo dei fondi per la ricostruzione la stessa cosa non si può dire della Valle del Belice, dell'Irpinia e di San Giuliano di Puglia. Dal 1908 a oggi la lista degli eventi sismici è lunghissima, così come quella dei paesi distrutti e il numero delle vittime è da brividi.

Quel 28 dicembre 1908 una scossa di magnitudo 7,2 della scala Richter fece tremare per 37 secondi l'area dello Stretto di Sicilia. Le scosse e il successivo maremoto rasero al suolo Messina, Reggio e i paesi vicini. Centomila le vittime, 80mila nella sola Messina, su 140mila abitanti.

13 gennaio 1915. Un terremoto di magnitudo 7 sconvolse la valle del Fucino, distruggendo Avezzano e molti paesi della Marsica, del Lazio e della Campania. Il bilancio fu pauroso 32.160 vittime, su circa 120mila residenti. 9000 solo ad Avezzano su una popolazione complessiva di 11mila abitanti.

24 novembre 1918. Furono cento i morti a Giarre, in provincia di Catania.

29 giugno 1919. Colpita l'area del Mugello con una scossa di intensità 6,2. Circa cento le vittime.

7 dicembre 1920. Una scossa di magnitudo 6,5 con epicentro a Fivizzano, provocò danni nell'area della Garfagnana e oltre 300 morti.

23 luglio 1930. Terremoto notturno nella zona del Vulture. Morirono 1404 persone nelle province di Avellino e Potenza.

30 ottobre 1930. Le Marche, e soprattutto Senigallia, furono interessate da una scossa di 5,9 con 18 vittime.

26 settembre 1933. Grazie a una serie di scosse precedenti le popolazione abruzzesi della Majella furono avvertite e la scossa più forte (5,7 della scala Richter) provocò solo 12 morti.

18 ottobre 1936. L'altopiano del Cansiglio tra le province di Belluno, Treviso e Pordenone furono interessate da una scossa di 5,9 con 19 vittime.

13 giugno 1948. La zona interessata fu quella dell'Alta valle del Tevere con una serie di scosse. Morì per fortuna solo una donna.

21 agosto 1962. Una serie di scosse, con epicentro tra Montecalvo e Savignano Irpino di 6,2, fecero 17 vittime, ma ad Ariano Irpino l'80% degli edifici furono danneggiati.

15 gennaio 1968. Gibellina, Salaparuta e l'intera Valle del Belice furono interessati da un terremoto di 6,4 di magnitudo. 370 i morti, un migliaio i feriti e circa 70mila i senza tetto.

6 febbraio 1971. Il centro di Tuscania fu parzialmente distrutto: 31 morti.

6 maggio 1976. Alle 21.06 un terremoto di intensità 6,4 sconvolse il Friuli. Il sisma fu avvertito nell'Italia settentrionale e centrale, in Slovenia e Austria. Le vittime furono 989 e 75mila le case danneggiate. Per la prima volta venne organizzata la Protezione civile e in cinque anni la zona fu ricostruita.

19 settembre 1979. Fu la Val Nerina a essere colpita da una scossa di 5,9 di magnitudo, con epicentro a Norcia. I danni più gravi li subirono gli edifici più antichi. Decine i feriti e cinque i morti.

23 novembre 1980. In Irpinia e in Basilicata si registrò il più grave terremoto dopo la Seconda guerra mondiale. Alle 19,34 una scossa di magnitudo 6,9 di circa 90 secondi provocò 2914 morti, 8848 feriti e 280mila sfollati. Dei 679 comuni delle otto province interessate, 508 furono danneggiate. In 36 comuni della fascia epicentrale circa 20mila alloggi andarono distrutti o divennero irrecuperabili. I soccorsi in alcuni casi arrivarono dopo cinque giorni. Dal 7 aprile 1989. Oscar Luigi Scalfaro guidò la Commissione parlamentare d'inchiesta della ricostruzione.

13 dicembre 1990. Un sisma al largo di Augusta, nel golfo di Noto, colpì la provincia di Siracusa, Catania e Ragusa provocò 12 vittime e altre cinque persone morirono d'infarto nei paesi vicini. Gli abitanti protestarono perché si sentirono abbandonati.

15 ottobre 1996. La provincia di Reggio Emilia fu interessata da una scossa di magnitudo 5,1: due morti e cento feriti.

26 settembre 1997. Il terremoto colpì Umbria e Marche, anticipato da uno sciame sismico, che ebbe inizio il 5 maggio con una scossa di intensità 3,7 e si concluse il 28 giugno 1998. Il 26 settembre una prima scossa fece crollare una casa di due anziani che morirono. La mattina dopo alle 11,40 morirono 9 persone, quattro delle quali sepolte dal crollo delle volte della basilica di San Francesco ad Assisi.

17 luglio 2001 Un sisma di magnitudo 5,2 colpì Merano e interessò la provincia di Bolzano. Due persone furono uccise da una frana e una donna morì d'infarto. Pochi i danni grazie alla solidità degli edifici, molti dei quali in cemento armato.

31 ottobre 2002. San Giuliano di Puglia (Campobasso) rimarrà nella memoria di tutti per il crollo della scuola, dove morirono 27 bambini e una maestra in seguito a una scossa di magnitudo 5,6. In paese ci furono altre due vittime. Sette persone furono indagate e sei, dopo tre gradi di giudici, furono condannate.

6 aprile 2009. Una scossa di intensità 5,8 alle 3.32 provocò vittime e danni a L'Aquila e in molti paesi della provincia. Onna fu quasi rasa al suolo e la Casa dello studente de L'Aquila crollò uccidendo otto ragazzi. In tutto i morti furono 308, i feriti 1600 e 65mila gli sfollati.

29 maggio 2012. La zona compresa fra Mirandola, Medolla e San Felice sul Panaro in Emilia fu interessata da una scossa di magnitudo 5,8. Il 31 maggio 2012 una nuova scossa di magnitudo 4,0 fu colpita la zona della Bassa reggiana e dell'Oltrepò mantovano. I due eventi sismici principali causarono 27 vittime (22 nei crolli, tre per infarto e due per le ferite riportate).

Terremoto: da Pantelleria al Friuli, la memoria corta del sottosuolo. L'analisi.  Percorrendo la dorsale appenninica non c'è area che non sia a rischio sismico tra vulcani silenti, piattaforme che si incontrano e l'incubo di un ipotetico "big one", scrive Paolo Rumiz il 31 ottobre 2016 su “La Repubblica”. Non so quanto ci vorrà perché noi si prenda seriamente atto di appartenere a un Paese sismico. Eppure basta un'occhiata. Soprattutto in Appennino, nei giorni chiari o nelle notti di luna, capita di sentirla respirare, la dea degli Abissi. Succede quando ti si apre a perdita d'occhio una processione inconfondibile di alture arcigne, inquiete e irregolari. Alture simili al mare quando il vento cambia direzione. E' lì che si intuisce di appartenere a un Paese speciale, dove la lettura di superficie non basta, e si ha bisogno di sapere cosa c'è sotto. Anche senza conoscere la sequenza delle catastrofi, ci si accorge che lì si cela la chiave di tutto. Forse l'anima stessa dell'Italia. Qualcosa che parte dal profondo. Proviamo a sorvolarla, la schiena del Paese, dalle porte dell'Africa alla fine della Alpi. C'è Pantelleria, che fuma e sfiata dalle fessure, relitto contorto di un cratere esploso come l'isola di Santorini, nel quale poco più di un secolo fa il mare ribollì e sputò luminarie come di fuochi artificiali, per vomitare un'escrescenza incendiaria vista fino in Tunisia. La Sicilia, segnata di cicatrici, con Persefone che ti dà il benvenuto dalle rovine ciclopiche di Selinunte, i templi greci squassati dai terremoti davanti a un mare blu cobalto. Il Belice, con i branchi di cani che, decenni dopo il disastro, popolano i paesi abbandonati dagli umani, forse per dirti che il peggio deve ancora venire, verso Ragusa, dove le meraviglie del barocco siciliano nascono dal sisma che nel 1693 - in una notte di pioggia, folgori e maremoti - fece cinquantamila morti nell'isola sud-orientale. E da lì continui, di monte in monte, come sulla cresta di un drago, verso il cono fumante dell'Etna, con gli sterminati campi di lava coperti di pistacchio, con la vista che si apre sull'intero Sud dall'orlo della voragine di fuoco che per millenni ha indicato alle navi la rotta degli Stretti. Poi ancora, verso Taormina, storte rocce rossastre emerse da profondità spaventose, baricentro di un gorgo di forze plutoniche che, ruotando, spingono il Tirreno a espandersi, mentre lo Jonio si accartoccia e l'Adriatico spinge a Nordovest con tutta la Puglia e la Dalmazia e la pianura Padana verso la cordigliera alpina. E avanti ancora, verso Messina, dove lo tsunami d'inizio Novecento fu tale da spingere le barche sui tetti delle case crollate. Calabria, regione di cui nessuno parla ma che resta la capitale sismica d'Italia, con un pedigree da far paura e un territorio segnato da una teoria infinita di abbandoni, crolli e smottamenti. Dall'alto dell'Aspromonte, un'altra pazzesca visione totale. Scilla, dove nel 1783 (anno segnati da cinque terremoti), crollò la montagna costiera per una fascia di oltre due chilometri. Al largo, le lingue infernali di Stromboli e Vulcano. Dall'altra parte, verso Nicastro e su tutta la costa grecanica, l'epopea dei paesi di montagna abbandonati e ricostruiti sul mare, con lo stesso nome. Visto da lassù, nemmeno il profondo del Tirreno dà segni di tregua, con le topografia sconosciuta dei grandi vulcani sottomarini, uno dei quali - il Marsilli - grande come due volte l'Etna, dà allarmanti segni di risveglio dopo millenni di letargo. E si continua, senza tregua, come sulla gobba di un leviatano, fino alla Lucania, con il grandioso massiccio del Pollino, le cui fondamenta sembrano annunciare terremoti ma dove, inspiegabilmente, i sismografi tacciono, e nemmeno i sismologi sanno se tutto questo sia sintomo di una tregua duratura o di un possibile, catastrofico "big one" come quelli californiani. E ormai siamo al femore dello Stivale, con la cosiddetta Fossa Bradanica, linea sismica sulla quale la piattaforma eurasiatica si scontra nientemeno che con quella africana, la Grande Madre dei terremoti che galoppa verso Nordovest e ha generato il sisma in Irpinia degli anni Ottanta, poi quello dell'Aquila e ora quello tra Marche e Umbria. Non è una mappa, è un percorso di guerra, lungo tutta la dorsale appenninica, fino in Liguria. C'è il Vesuvio, naturalmente, primo di una serie di crateri che, sfiorando Roma, arrivano fino in Toscana a fil di Tirreno. Ma il Vesuvio è niente rispetto al calderone dei Campi Flegrei, fumante porta dell'Averno per gli antichi, che 400 secoli fa esplose generando una nube che cambiò il clima mondiale. La bestia è ancora viva: l'ultimo dei vulcani flegrei si è aperto solo cinquecento anni fa, senza parlare della vicina Ischia, che negli ultimi tremila anni si è alzata di settecento metri a furia di terremoti, mentre l'isola di Procida si è staccata dalla terraferma per un impressionante abbassamento dei fondali davanti a Pozzuoli. E non è finita, perché l'ultimo terremoto in Emilia ci ha appena ricordato che la pianura non significa silenzio sismico. Abbiamo imparato che le faglie vanno semplicemente in immersione sotto il mare ghiaioso della Padania e continuano imperterrite verso settentrione. Rimini, Ferrara, Reggio, Bologna, Brescia, in anni diversi, hanno ballato esattamente come Avellino, Norcia, l'Aquila e Amatrice. Per non parlare di ciò che abbiamo alle frontiere del Nordest, con la lezione tremenda del Friuli 1976, i sismi ripetuti in Carinzia e in Slovenia. Nella quale rimane a rischio la centrale atomica di Krsko, a soli 150 chilometri da Trieste. Davvero non serve che siano gli scienziati a dirci che l'Italia è un paese che balla. Ci basta un colpo d'occhio.

Nel ’900 un terremoto ogni 3 anni. La schiena fragile del Paese. Dal 1315 gli Appennini sono stati scossi da 148 eventi sismici superiori a 5,5 della scala Richter. E dalla prima casa antisismica di Pirro Ligorio (1570) si discute di regole, scrive Gian Antonio Stella il 26 agosto 2016 su "Il Corriere della Sera". «La città è stata cancellata di un soffio dalla superficie terrestre. Non esistono rovine; non esiste che un immenso strato di polvere, da cui sbucano strani, esilissimi, quasi trasparenti spettri di mura. Cancellate le case, cancellate le chiese, cancellate le piazze, cancellate le vie. Avezzano non è che un cimitero su cui mani pietose già incominciano a piantare croci». Era il 16 gennaio del 1915. E Umberto Fracchia, sceso nella notte dal treno che lo aveva portato nella cittadina della Marsica epicentro di un terremoto devastante e così vicina all’Aquila e ad Amatrice, aveva la mano che tremava mentre scriveva il suo reportage per «L’Idea Nazionale»: «Non un palmo di terra fu risparmiato: nessuno riuscì a trovar salvezza nella fuga. Quelli che erano in casa ebbero tetti e mura addosso; quelli che erano per le vie furono schiacciati tra il doppio crollo degli edifici che avevano ai due lati. La città era costruita di fango; è ritornata fango». È passato un secolo, da allora. E gli Appennini non hanno mai smesso di dare spaventosi scossoni. La storica Emanuela Guidoboni, che con Gianluca Valensise e altri studiosi ha raccolto in vari libri come «L’Italia dei disastri, dati e riflessioni sull’impatto degli eventi naturali 1861-2013» la memoria storica delle nostre calamità naturali (aggravate da superficialità, incuria, sciatteria amministrativa e legislativa) ha fatto i conti. Da far accapponare la pelle. La fragile spina dorsale del nostro Paese, dal 1315 quando un sisma appena un po’ meno grave di quello del 2009 devastò l’area dell’Aquila, ha fatto segnare (come spiega la mappa elaborata dal ricercatore Umberto Fracassi) 148 terremoti superiori a 5,5 gradi della scala Richter. E quasi tutti superiori all’VIII° grado di «intensità epicentrale». Per capirci: di uno scossone non basta sapere la magnitudo. Occorre anche conoscere la quantità di danni che ha prodotto. Un calcolo complicatissimo che si può riassumere così: con l’ottavo grado di intensità epicentrale crolla o diventa inabitabile il 25% degli edifici, con il nono la metà, con il decimo l’intero patrimonio immobiliare. L’undicesimo è l’apocalisse. Come a Messina nel 1908. In pratica, da quando la scienza ha potuto studiare più approfonditamente le attività sismiche e più ancora da quando sono state conservate precise memorie storiche dei disastri, la catena che, come scrisse Arrigo Benedetti, «si stacca dal colle di Cadibona, arriva in Calabria, si immerge e riaffiora in Sicilia», ha dato 19 pesantissimi strattoni nel 1600, 33 nel 1700, 29 nel 1800, 30 nel 1900 e già sei, con il cataclisma del 23 agosto scorso, in questo primo scorcio del secolo. In pratica, gli Appennini cantati da Dante Alighieri come monti di grande fascino ma impervi («Noi divenimmo intanto a piè del monte; quivi trovammo la roccia sì erta, che indarno vi sarien le gambe pronte») sono stati squassati da improvvisi e terrificanti sussulti, mediamente, una volta ogni tre anni. La catena che scende dal Nord fino all’estremo Sud offre panorami di grandissima bellezza. E prima di Francesco Guccini, che lì «tra i castagni» ha vissuto gli anni più intensi della vita coltivando un amore sconfinato («La mia è una montagna in cui la cima più alta arriva sui 2100 metri, dove non c’è roccia, dove i boschi di castagno e faggio coprono tutto fino a duemila metri») hanno affascinato molti viaggiatori. Come Wolfgang Goethe. «Gli Appennini sono per me un pezzo meraviglioso del creato», scrisse nel suo «Viaggio in Italia». Spiegando che «se la struttura di questi monti non fosse troppo scoscesa, troppo elevata sul livello del mare e così stranamente intricata; se avesse potuto permettere al flusso e riflusso di esercitare in epoche remote la loro azione più a lungo, di formare delle pianure più vaste e quindi inondarle, questa sarebbe stata una delle contrade più amene nel più splendido clima, un po’ più elevata che il resto del Paese. Ma così è un bizzarro groviglio di pareti montuose a ridosso l’una dell’altra; spesso non si può nemmeno distinguere in quale direzione scorra l’acqua. Se le valli fossero meglio colmate e le pianure più regolari e più irrigue, si potrebbe paragonare questa regione alla Boemia; con la differenza che qui le montagne hanno un carattere sotto ogni aspetto diverso. (…) I castagni prosperano egregiamente; il frumento è bellissimo e le messi ormai verdeggianti. Lungo le vie sorgono querce sempre verdi dalle foglie minute; e intorno alle chiese e alle cappelle agili cipressi». Montagne stupende, montagne inquiete. Maledette troppe volte, giù per i secoli, dai nonni dei nostri nonni. Costretti a ricostruire ciò che era stato raso al suolo. Eppure già dal 1570, quando Pirro Ligorio presentò la prima casa «antisismica» dopo il terremoto di Ferrara, i governanti più accorti avrebbero dovuto sapere che il rischio andava affrontato con regole precise. Tant’è che nel 1783 la Commissione Accademica napoletana denunciava che la popolazione calabrese, pur «avvezza alle scosse di tremuoti», non capiva che occorreva «pensare ad un modo onde formare le case in guisa che le parti avessero la massima coesione e il minimo peso» mentre «qui si vedeva precisamente il contrario…». Passarono, le borboniche «Normative Pignatelli» che puntavano a mettere ordine nel caos. Ma solo per qualche anno. E quando Pio IX chiese nel 1859 ai suoi ingegneri di predisporre un nuovo piano edilizio per Norcia, prostrata da un sisma, ci fu un braccio di ferro fra le autorità e il Comune. Recalcitrante a rispettare le regole perché vincolavano troppo i proprietari. Si è detto e ridetto anche in questi giorni: occorre una svolta, bisogna adeguare le leggi a una realtà difficile, è necessario intervenire con la prevenzione prima che le catastrofi avvengano… Giusto. Sono passati però 107 anni da quell’aprile 1909 in cui Vittorio Emanuele III firmò il primo decreto con alcune prescrizioni per le aree a rischio sismico o idrogeologico. Vietava di «costruire edifici su terreni paludosi, franosi, o atti a scoscendere, e sul confine fra terreni di natura od andamento diverso, o sopra un suolo a forte pendio, salvo quando si tratti di roccia compatta». Concedeva qualche deroga ma mai a edifici «destinati ad uso di alberghi, scuole, ospedali, caserme, carceri e simili». Ordinava che i lavori dovessero «eseguirsi secondo le migliori regole d’arte, con buoni materiali e con accurata mano d’opera» e proibiva «la muratura a sacco e quella con ciottoli»… Puro buon senso. Eppure un secolo dopo, davanti alle macerie di Pescara del Tronto, Accumoli, Amatrice e le sue contrade, siamo ancora a chiederci: possibile? Possibile che per decenni si siano continuate a costruire case destinate a crollare rovinosamente, magari sotto pesantissimi tetti in cemento armato, al primo dei numerosi terremoti? Il guaio è, spiega Emanuela Guidoboni, che già allora «non furono previste sanzioni. Dal 1909 ebbe sì inizio la classificazione sismica del territorio italiano, ma questa classificazione si faceva solo “dopo”. A disastro avvenuto». Peggio: per decenni «si è proceduto a macchia di leopardo, con vicende alterne e clamorose retromarce. Vari comuni classificati a rischio (come Rimini dopo il terremoto del 1916) chiesero infatti negli anni ‘40 e nel dopoguerra di essere de-classificati. E sapete con che scusa? Far crescere il turismo!» A farla corta: sì, forse sono necessarie nuove regole per contenere i danni di questi Appennini stupendi ma collerici. Più importante ancora, però, è farle poi rispettare. Gian Antonio Stella.

IL BELICE ED I TERREMOTI NELL’ERA MODERNA.

La Sicilia ricorda il dramma del Belice. 50 anni dopo il terremoto. Una serie di iniziative in vista del 50esimo anniversario del terremoto di magnitudo momento 6.4 che colpì la Sicilia occidentale la notte tra il 14 e il 15 gennaio 1968 causando oltre 300 morti e centomila sfollati. 50 anni fa il terremoto del Belice, un museo per non dimenticare 50 anni fa il terremoto nella valle del Belice in Sicilia, scrive Rai News il 12 gennaio 2018. Uno dei grandi traumi della Sicilia, il terribile terremoto che la notte tra il 14 e il 15 gennaio del 1968 seminò morte e distruzione tra i paesi della Valle del Belice, viene commemorato con una serie di eventi che andranno avanti per tutto il 2018. Il momento più significativo sarà la cerimonia che si svolgerà domenica 14 gennaio, alla presenza del Capo dello Stato Sergio Mattarella e di tutti i sindaci del Belice, nell'auditorium "Giacomo Leggio" di Partanna. Durante la cerimonia Mattarella consegnerà targhe in ricordo di personalità simbolo che hanno perso la vita nell'aiuto alle popolazioni terremotate.

Ma accanto al momento istituzionale sono numerose le iniziative promosse dal Coordinamento dei sindaci per mantenere viva la memoria e contribuire al recupero di identità e patrimonio culturale della comunità locale. Come il MuDiA, uno dei Poli espositivi della Diocesi di Agrigento che ha inaugurato il 5 gennaio a Sambuca di Sicilia un Museo d'Arte sacra nella seicentesca Chiesa del Purgatorio, restaurata dopo i danni provocati cinquant'anni fa dal terremoto. E sempre a Sambuca di Sicilia la Chiesa Madre, costruita nel 1420 sulle rovine del castello arabo, potrà finalmente riaprire i battenti nelle prossime settimane in seguito a un primo stralcio di lavori che renderanno finalmente fruibile e aperto al culto il monumento.

La tragedia del terremoto rivivrà anche attraverso numerose mostre fotografiche, la prima delle quali sarà inaugurata il 12 gennaio a Chiusa Sclafani, ed ad alcuni spettacoli teatrali. In particolare una performance di Alessandro Preziosi, che si esibirà la sera di Sabato 13 gennaio sul palcoscenico del Teatro Comunale di Sambuca, un piccolo gioiello architettonico costruito nel 1848 e che si è miracolosamente salvato dalla furia del sisma. L'attore, accompagnato musicista Lello Analfino, leggerà testi di Leonardo Sciascia, Danilo Dolci, Don Antonio Riboldi, Giovanni Paolo II, Ludovico Corrao e Vincenzo Consolo, ma anche l'appello di solidarietà che Ernesto Treccani, Renato Guttuso, Bruno Cagli e altri firmarono per le piagate popolazioni che da quel gelido gennaio furono costrette a vivere in tende e in container di fortuna, per molti anni. Sul palcoscenico del teatro di Sambuca la sera successiva, domenica 14 gennaio, anche Enrico Lo Verso con una riduzione di "Uno, nessuno e centomila" di Luigi Pirandello.

Ma il ricordo del sisma attraverserà tutti i paesi colpiti, da Salaparuta a Santa Margherita di Belice, da Gibellina a Montevago dove il 14 gennaio sarà celebrata una Messa in suffragio delle vittime dal cardinale di Agrigento, Mons. Francesco Montenegro e dai vescovi di Monreale e Mazara del Vallo, Michele Pennisi e Domenico Mogavero. In programma, sempre nella stessa giornata, anche la proiezione di un cortometraggio di Domenico Occhipinti.

Il 27 gennaio le celebrazioni si spostano a Palermo, a Palazzo Sant'Elia, con una mostra dal titolo "1968-2018 Paura Sismica", organizzata dalla Fondazione Orestiadi Gibellina, che sarà visitabile fino al 13 marzo. A Maggio il 101° Giro d'Italia di ciclismo farà tappa a Santa Ninfa, per rendere omaggio a quei territori. E, infine, ad ottobre, la Valle del Belice, farà parte della manifestazione "Le vie dei Tesori", che rende fruibili i luoghi d'arte più prestigiosi della Sicilia.   Belice: una ferita ancora aperta dopo mezzo secolo La prima scossa fu avvertita alle 13:28 del 14 gennaio. Poi ne arrivò una seconda e più tardi una terza. Tra spavento e agitazione tanta gente si riversò sulle strade e molti decisero di passare la notte all'aperto o in rifugi di fortuna. Fu per questo che sotto le case abbattute e sbriciolate si contarono "solo" 300 morti quando la terra tornò a tremare, e stavolta con una violenza devastante, alle 2:33 e alle 3:01 del 15 gennaio. Le vittime potevano essere di più di fronte alla terrificante ondata di scosse che in un baleno cancellò interi paesi della Valle del Belice. Epicentro del terremoto era l'area tra Gibellina, Poggioreale, Salaparuta e Montevago. Ma le scosse furono avvertite fino a Palermo.

Cinquant'anni fa il Belice subì una ferita profonda che ancora oggi non si è completamente rimarginata. La percezione dei danni non fu immediata. Le vecchie strade ritardarono gli interventi. E comunque il terremoto mise in luce subito le carenze di un Paese che non era preparato per l'emergenza ma neanche per gestire la ricostruzione, se è vero che per 40 anni migliaia di persone sono sopravvissute nelle baracche di legno o di lamiera e di eternit. Agli occhi dei cronisti e delle squadre di intervento cinquant'anni fa si stagliarono immagini terrificanti: cadaveri estratti dalle macerie e allineati in luoghi improvvisati, feriti che aspettavano i soccorsi, strade piene di detriti, monumenti perduti e opere d'arte irrimediabilmente sfregiate. Le lacerazioni dei tessuti urbani dei paesi erano aggravate dal fatto che le case del Belice erano di tufo e di impasto con le canne. E per questo si polverizzarono quando le scosse si fecero più forti.

Oltre centomila sfollati vagavano tra strutture di accoglienza precarie e molti vennero sopraffatti o da malattie respiratorie, che provocarono altre vittime, o dalla disperazione. Una condizione che li spinse verso l'emigrazione da una terra che aveva già mandato molti giovani all'estero e nelle fabbriche del Nord. La prima risposta dello Stato fu quella di incoraggiare le partenze. Ai terremotati furono offerti biglietti ferroviari gratis e passaporti rilasciati a vista. Chi restava nelle baracche viveva in condizioni degradanti.   Leonardo Sciascia, in un reportage per L'Ora, paragonò le baraccopoli ai "più efferati e abietti campi di concentramento". La protesta esplose subito ponendo non solo la questione della pronta ricostruzione, che invece imboccò il calvario dei tempi lunghi, ma soprattutto quella della rinascita. Le popolazioni dei 21 paesi colpiti si mobilitarono con manifestazioni e marce di protesta guidate dagli amministratori, dal sindaco di Santa Ninfa, Vito Bellafiore, dal parroco don Antonio Riboldi, da Danilo Dolci. Dal marzo 1968 furono approvate più di venti leggi ma, nonostante il fervore politico, i finanziamenti arrivarono con il lumicino. Si calcola che da cinquant'anni a questa parte siano stati investiti meno di 13mila miliardi di vecchie lire e servono altri 300 milioni di euro circa per finanziare gli ultimi interventi. Pochi i progetti dei privati ancora giacenti negli uffici comunali, il resto riguarda opere di urbanizzazione.   I ritardi sono in parte dovuti a quella che Danilo Dolci definì la "burocrazia che uccide il futuro" ma soprattutto alla discussa gestione dei piani di ricostruzione. Interi paesi come Gibellina, Poggioreale e Salaparuta vennero ricostruiti in altri posti. Antiche culture vennero cancellate, il tessuto sociale fu radicalmente mutato, la vita civile di migliaia di persone venne sconvolta. Cambiò anche il paesaggio del Belice: da un lato le "new town" con le grandi piazze e le lunghe strade, dall'altro le tracce di ruderi che restano ancora in piedi negli antichi abitati. Simbolico è il caso di Poggioreale: tutto l'assetto del paese è rimasto al suo posto e il tempo sembra essersi fermato nella città fantasma svuotata dagli abitanti. A Gibellina invece, su impulso di Ludovico Corrao, si è costruita una "città d'arte" con il Cretto di Burri, un sudario di calce bianca che ricopre le macerie del vecchio abitato, e un circuito di eventi e testimonianze che ruotano attorno alle Orestiadi.   Il segno distintivo della ricostruzione ritardata è dato in primo luogo dalla progettazione, più attenta alla sperimentazione che alla concretezza, e dallo spreco di risorse per opere imponenti ma inutili. Un caso emblematico di spreco è dato dall'Asse del Belice, una grande strada che attraversa la Valle e si ferma in aperta campagna.   Questo comunque è il passato. Il Belice che troverà il presidente Sergio Mattarella domenica 14, giorno del ricordo e delle cerimonie, è quello di un territorio che si è rimesso in piedi. "Lo ha fatto da solo e con le proprie forze", dice con orgoglio Nicola Catania presidente del comitato dei sindaci. Il sogno della rinascita, sostiene, è a portata di mano. Le attività produttive sono state rilanciate, l'agricoltura è stata modernizzata. Sono stati promossi i beni culturali e aperti nuovi musei come luoghi della memoria civile.   Il Belice chiede solo di chiudere con poche risorse la pagina del terremoto. Vuole cancellare le ultime ferite e invoca condizioni di sviluppo per quella che il sindaco Catania definisce una "concorrenza leale" con il sistema Italia.

50 anni fa il Belice: l’inferno e poi la lotta di Danilo Dolci, scrive Carola Susani il 14 gennaio 2018 su "Il Dubbio". Nella notte tra il 14 e il 15 gennaio del 1968 un violento terremoto devasta la regione del Belice nella Sicilia occidentale, un’area compresa tra le province di Palermo, Trapani e Agrigento. Cinquanta anni fa, in Sicilia occidentale, nella valle del fiume Belìce, a Gibellina e Salaparuta, Montevago, Poggioreale, Partanna e in molti altri paesi a ora di pranzo si avvertì la prima scossa. Sesto grado della scala Mercalli. Tremarono tavoli, lampadari, scale; erano paesi antichi, e ci furono i primi crolli. Presto ne arrivò una seconda più forte. C’è chi lasciò le vecchie case, le tavole ancora imbandite. Era un inverno molto freddo quello del 1968, in Sicilia c’era la neve; molti decisero lo stesso di passare la notte in macchina. C’erano file e file di macchine per ogni tornante che portava ai paesi. C’è chi si trasferì nelle case di campagna costruite di recente. Altri ancora che avevano muri senza lesioni, cornicioni intatti, la sera scelsero di rientrare sperando che le scosse che avevano interrotto il pranzo non annunciassero nessuna catastrofe. Attorno a mezzanotte, ci fu un avvertimento, una scossa del quinto grado. Molti ancora scesero per via. Fra le due e mezza e le tre, le scosse dell’ottavo e nono grado della scala Mercalli rasero al suolo paesi interi, sradicarono alberi, aprirono crepe nelle strade. Chi si era rifugiato in campagna sentì le mura tremare, uscì al freddo, nella notte tersa vide sparire di colpo ogni luce nei paesi. Poi la terra tremò ancora. Nei giorni successivi la tv e i quotidiani locali e nazionali raccontarono i 300 morti, le città distrutte, le storie singolari dei salvati. Sfogliando le pagine dei quotidiani e delle riviste dell’epoca si nota un’insistenza, coppole, coppole e scialli, come se di fronte agli occhi dei fotografi si fosse scoperchiato un mondo contadino immobile da secoli. Foto di padri e madonne, bambini sdentati in frotte. Rappresentazioni di un dolore che veniva alla luce, che pareva emergere da un mondo immobile inaspettato, rimosso, nell’Italia del boom. Da subito tutta Italia, l’Europa, il mondo reagirono, si scatenò la solidarietà, e ci mise un bel pezzo a finire. In realtà la valle del Belìce, con le sue coppole e gli scialli, tutto era all’epoca tranne che immobile. L’anno prima era stata attraversata dalla Marcia per la Sicilia Occidentale, per la Pace e per un Nuovo Mondo. L’aveva promossa il Centro Studi per la Piena occupazione di Danilo Dolci, poeta e attivista nonviolento che ha segnato la storia di questo paese. Accanto a lui, a Lorenzo Barbera, a Paola Buzzola, suoi collaboratori, sfilavano braccianti, famiglie a piedi e sulle Ape, ragazzi e ragazze, poeti, intellettuali, pittori, c’era Buttitta, c’era Levi, c’era Treccani, marciava persino Vo Van Ai, poeta e intellettuale vietnamita, che si batté contro gli Usa in Vietnam e dopo la sconfitta degli Stati uniti continuò a combattere per la democrazia nel suo paese. C’era Peppino Impastato, giovanissimo. Era una marcia lunga, lenta che attraversava una Sicilia in parte ancora granaria, in parte piena di vigne. La marcia teneva insieme mondi diversi, il mondo della nonviolenza, il mondo cattolico (almeno in parte), il mondo comunista; ma era la nonviolenza di Dolci che guidava. Così, per capire cosa successe dopo il terremoto, come mai la Sicilia occidentale terremotata divenne un crocevia, fu per un momento capace di proporre una cultura e persino un modello di sviluppo, fu meta di architetti, studenti, sociologi, attivisti, mi tocca fare qualche passo indietro, andare a vedere cosa c’era dietro quella marcia. La Sicilia non è mai stata immobile, semmai teatro di conflitti, in molta sua parte ostinatamente, tragicamente eroica: nella memoria di molte famiglie negli anni Sessanta c’era ancora la lotta per la terra che aveva lasciato morti sul terreno e che aveva avuto come esito un po’ risibile la riforma agraria con le sue casette tutte uguali sparse nella campagna e spesso presto abbandonate. Nel 1952 Danilo Dolci era sceso alla stazione di Trappeto, si era disteso sul letto di un bambino morto di fame, Benedetto Barretta, aveva raccolto attorno a sé gente di buona volontà. Dolci era stato capace di lavorare a fianco con chi già si impegnava, la Camera del lavoro, la sezione del Pci di Partinico, che in quegli anni fioriva di giovani. Nel 1958 era nato a Partinico il Centro studi e iniziative per la Piena Occupazione. A partire dalle prime iniziative soprattutto simboliche di Dolci e del suo gruppo, lo sciopero alla rovescia dei disoccupati impegnati a rimettere in sesto una trazzera nel 1954 che portò all’arresto di Danilo e al processo (se ne può leggere nel volume edito da Sellerio. Processo all’art. 4 con la postfazione di Pasquale Beneduce), il Centro studi aveva messo in piedi una struttura solida, di comitati cittadini, comitati intercomunali, formatori. Erano nate per l’impegno del Centro studi cooperative e cantine sociali, erano stati fatti partire i lavori per la Diga sul fiume Jato. Facendo base a Roccamena, un comune del Belìce interno, Lorenzo Barbera aveva suscitato l’impegno attivo di studenti, contadini. Insieme avevano prodotto una grande inchiesta individuando i problemi dell’area, dalla viabilità, a rimboschimento, dalle esigenze idriche ai patti agrari. Paola Buzzola aveva ragionato con le donne sulla scuola. Come funzionasse questo impegno di presa in carico dei problemi, questa “pianificazione dal basso” è raccontato ne La diga di Roccamena di Lorenzo Barbera edito da Laterza nel 1964 e ripubblicato nel 2016 dai Quaderni del Battello con la prefazione di Goffredo Fofi. Quando arrivò il terremoto il lavoro era nel pieno del suo sviluppo. Il mio legame con questa storia data da allora. I miei genitori, architetti in Veneto, decisero di lasciare un’attività professionale avviata e di trasferirsi nella valle. Quando giungemmo, nel settembre del 1969, erano successe molte cose: su pressione popolare era stata varata, il 5 marzo 1968, una Legge per la ricostruzione e lo sviluppo ma la legge giaceva inapplicata, la popolazione terremotata abitava negli insediamenti di baracche dove aveva ricreato una vita comunitaria intensa, ma era una vita precaria e incerta, le baracche erano umide e fredde, si scoperchiavano per il vento. Fra Danilo e Lorenzo c’era stata una frattura. Il Giudizio popolare di Roccamena ne era stata la causa (sulla vicenda e sulla storia che racconto è appena andato in onda su RaiStoria un documentario di Matteo Berdini, Il sisma dei poveri cristi). Gli impegni del governo e delle istituzioni regionali erano stati disattesi. La legge giaceva inapplicata. La gente raccolta nei comitati ricordava anche gli impegni disattesi in precedenza, sullo sviluppo, le dighe, il sistema viario. Così nacque il cosiddetto comitato dei Cento, che poi proprio cento non erano, e si impegnò a individuare le responsabilità, dei ministri, del presidente della regione e così via. Lorenzo Barbera aveva partecipato e sostenuto il loro lavoro. Ne uccide più la burocrazia che il terremoto, recitava la scritta su una casa diroccata. E i Cento facevano lo sforzo di sciogliere la burocrazia in facce e teste, attribuire la responsabilità dell’emigrazione, della disoccupazione, della miseria. A novembre del 1968 nella piazza di Roccamena avvenne il Giudizio: i ministri, il presidente della regione e così via, vennero invitati a discolparsi. E i ministri arrivarono, riconobbero la legittimità della piazza. Vennero condannati a pene simboliche, per esempio: vivere un mese nelle tendopoli ministro e famiglia procurandosi il pane guidando camion. Non era previsto che le pene fossero applicate. Dolci rifiutò il Giudizio popolare, lo inquietava il tribunale del popolo, temeva le assemblee come entità incontrollabili, a rischio di derive aggressive, al limite violente, oggi si direbbe populiste; Danilo preferiva il lavoro in piccoli gruppi responsabili, azioni controllate come parole di una frase. Chiese a Lorenzo, a Paola, agli altri collaboratori, di disconoscere il Giudizio popolare. Lorenzo e gli altri sentivano di non poterlo fare, consideravamo l’impegno che con la popolazione più importante, e avevano poi un’idea diversa, arendtiana della politica. Lorenzo Barbera la sintetizza così: da cosa nasce cosa e poi mette radici. Così da uno che era nacquero due Centri studi, Lorenzo e i suoi fecero base a Partanna, nella baracca Martin Luther King donata dai sostenitori olandesi. Gli anni successivi furono anni di grandi battaglie, l’obiettivo era sempre l’applicazione della legge e del controllo dal basso sulla sua applicazione. Attorno a Lorenzo e Paola, ai vecchi collaboratori di Dolci, si erano raccolti architetti, intellettuali, attivisti, ragazzi di Partanna – c’erano nonviolenti, comunisti, anarchici – che animavano le assemblee. Il governo continuava a non applicare la legge così durante un’assemblea popolare venne fuori l’idea che il governo fosse fuori legge, e la conseguenza che ne derivava: a un governo fuori legge non si pagano le tasse. Era una forma di pressione: la popolazione della valle del Belìce smise di pagare bolli e bollette, le bollette, raccolte, venivano mandate ai ministeri, i ministeri le rimandavano ai comuni, i comuni le rimandavano agli utenti, che di nuovo le raccoglievano e le rimandavano indietro. Un circolo potenzialmente infinito. Ai terremotati fu concesso di non pagare tasse e utenze. Poteva essere considerata una vittoria, ma il Centro studi l’avvertì come una sconfitta: la legge per la ricostruzione e lo sviluppo rimaneva inapplicata. Si alzò il tiro. Lorenzo racconta che un ragazzo ebbe l’intuizione: a uno stato fuorilegge non è giusto fare il servizio militare. Partì così la battaglia più dura, quella antileva, che vide coinvolti i diciottenni maschi di tutta la valle e i loro genitori, ragazzi (come Vito Accardo) incarcerati e il sostegno naturale delle associazioni antileva per il servizio civile. Si chiedeva che i ragazzi non facessero il servizio militare ma un servizio civile per la ricostruzione e lo sviluppo. Nei propositi del Centro studi anche quello era uno strumento di pressione; quando i ragazzi dei paesi terremotati furono esentati dalla leva, alla baracca Martin Luther King non si festeggiò, l’arma per far pressione era stata rotta. Eppure quel risultato fu un tassello importante della lotta per il servizio civile. Da cosa nasce cosa e poi mette radici, magari in tutt’altro posto (nei Ministri dal cielo di Lorenzo Barbera, ripubblicato da Due punti nel 2011 con interventi di Alessandro La Grassa e Goffredo Fofi potete leggere vivacissime testimonianze su queste vicende). Già nel 1972 il Centro studi si sciolse, chi era legato al Pci si sottrasse (erano tempi di compromesso storico), gli altri si ricoverarono chi in una chi nell’altra formazione dell’estrema sinistra. La storia del Centro studi potrebbe sembrare semplicemente una sconfitta. La ricostruzione nelle forme estenuanti e opache in cui poi avvenne non tenne conto dell’idea di pianificazione e di controllo attivo dal basso che i comitati popolari e il Centro studi avevano messo a punto. Eppure, passando per l’Irpinia e il suo terremoto, dove Lorenzo Barbera pure intervenne usando quegli strumenti, la pianificazione e il controllo dal basso in quella precisa forma sono state studiate, messe a confronto con altre esperienze simili, elaborate nei progetti di sviluppo dell’Unione europea, ripensate, riconosciute come strumenti imprescindibili per affrontare le crisi e i cambiamenti.

Francesco Vitale su un servizio del Tg2 Rai del 12 gennaio 2018 e domenica 6 novembre 2016 su "Il Fatto Quotidiano": Sono nato in Sicilia e per questo ho una insana abitudine al terremoto. Fin da quando avevo cinque anni (Belice1968) faccio i conti con questa malefica espressione della Natura e forse per questo nonne ho mai avuto timore. Nonostante fossi piccolissimo, ricordo benissimo, come se fosse avvenuto ieri, tutte le fasi concitate dell’abbandono della casa di famiglia a Palermo in quella tragica notte tra il14 e il 15 gennaio 1968 in pigiama e smarrito, mano nella mano con mia sorella e mia madre mentre mio padre raccoglieva in fretta e furia poche e disordinate cose che all’alba provocheranno l’ira della mamma. Da allora sono stato per lavoro su diversi terremoti e sono stato colto, come tanti colleghi, delle scosse (anche toste) successive a quelle che avevano già devastato tutto. E non ho mai avuto paura. Dolore tanto come (ma è solo uno degli esempi) per la strage dei bambini di San Giuliano di Puglia rimasti uccisi dal crollo della loro scuola di “carta velina” dopo la prima scossa, ma paura mai.

Belice, 50 anni dopo: storia di Cudduredda, la bambina diventata un simbolo. Eleonora Di Girolamo, morta a sei anni, fu l'icona della tragedia, scrive Francesco Nuccio il 14 gennaio 2018 su "La Repubblica”. "Ricordo ancora i suoi occhi, quello sguardo perso nel vuoto...". La voce di Leonarda Fontana, 88 anni, si incrina per la commozione mentre a stento tenta di trattenere le lacrime. Al collo ha appeso un medaglione con la foto della figlioletta, Eleonora Di Girolamo, per tutti "Cudduredda", il nome di un dolcetto siciliano a forma di cuore con il quale a Gibellina era conosciuta quella bimba di sei anni dagli occhioni neri che diventò il simbolo stesso del terremoto del Belice. Quasi un'icona della tragedia che cinquant'anni fa sconvolse la Sicilia occidentale, seminando morte e distruzione. Le immagini sgranate della Rai girate da una troupe di Sergio Zavoli ripresero Cudduredda mentre veniva estratta ancora viva dalle macerie la mattina del 17 gennaio 1968, tre giorni dopo il sisma. A sentire un flebile lamento fu un giovane vigile del fuoco di Reggio Emilia, Ivo Soncini, che cominciò a scavare con le mani fino ad afferrare quelle della bimba. Un miracolo, scrissero i giornali dell'epoca, destinato però a svanire come quando ci si risveglia bruscamente da un sogno. Due giorni dopo la piccola morì nell'ospedale Villa Sofia di Palermo, forse a causa di una polmonite, tra le braccia della madre. Una foto di Nicola Scafidi ritrae la donna, chinata sul corpo della figlioletta, con il capo coperto dal velo. Quasi una Madonna siciliana inconsolabile che portava però già in grembo il 'miracolo' di una nuova vita. Qualche mese dopo, quando già la famiglia abitava in una baracca, nacque un'altra bimba che fu chiamata proprio come la sorella scomparsa. "E' come se l'avessi conosciuta, il suo ricordo è stata una presenza costante per me e per i miei familiari" dice Eleonora, che oggi ha tre figli, mentre sfoglia i temi e i dettati di prima elementare della sorella conservati in casa come una reliquia. "Questo è l'ultimo porta la data dell'11 gennaio, tre giorni prima di quella domenica". Poi solo pagine bianche. Accanto ad Eleonora c'è il fratello maggiore Nicola, che allora aveva 14 anni. La notte del terremoto era in ospedale a Marsala, insieme ai genitori, per sottoporsi ad un intervento chirurgico. Il padre Salvatore, che faceva il contadino, dopo le prime scosse tornò in fretta e furia a Gibellina in treno ma in paese non trovò nessuno. Cudduredda e l'altro fratello, Francesco, che aveva 12 anni, si erano rifugiati con altri familiari in una casa di campagna dove pensavano di essere al sicuro. Quando il papà li raggiunse si abbracciarono, sembrava tutto finito. E invece alle 3:01 la terra tremò ancora con un boato cupo che squassò il silenzio e fece crollare il casolare mentre l'abitazione in paese, per un tragico scherzo del destino, rimase in piedi. Francesco udì i lamenti della sorella; riuscì a liberarsi dai detriti e cominciò a vagare come un fantasma chiedendo aiuto. Il padre, che aveva una gamba fratturata, fu trasportato in ospedale dai soccorritori. Cudduredda, strappata alla morte dopo 60 ore da un angelo con la divisa di vigile del fuoco, sopravvisse solo due giorni. La famiglia Di Girolamo fu segnata per sempre da quella tragedia. La piccola Eleonora trascorse la sua infanzia nelle baracche, insieme ai fratelli e ai genitori. Papà Salvatore, morto nel 2004, non riusciva a darsi pace per quella figlia che gli era stata tolta in un modo così tragico e beffardo. Così come Mamma Leonarda che cinquanta anni dopo continua ad accarezzare il medaglione con la foto della sua Cudduredda. "Come posso dimenticare?", continua a ripetere tra le lacrime.

50 anni dal terremoto del Belice, scrive Enzo Boschi l'11 Gennaio 2018 su "Il Foglietto". Nella notte fra il 14 e 15 gennaio del 1968, la Valle del Belice fu colpita da una sequenza di forti terremoti. La prima forte scossa ci fu alle ore 13:28 del 14 gennaio, con gravi danni a Montevago, Gibellina, Salaparuta e Poggioreale, una seconda alle 14:15; nelle stesse località ci fu un'altra scossa molto forte, che fu sentita fino a Palermo, Trapani e Sciacca. Due ore e mezza più tardi, alle 16:48, ci fu una terza scossa, che causò danni gravi a Gibellina, Menfi, Montevago, Partanna, Poggioreale, Salaparuta, Salemi, Santa Margherita di Belice e Santa Ninfa. Nella notte, alle 02:33 del 15 gennaio, una scossa molto violenta causò gravissimi danni e si sentì fino a Pantelleria. Ma la scossa più forte si verificò poco dopo, alle ore 3:01, quella che causò gli effetti più gravi. A questa ne seguirono molte altre minori. L’evento fece molto scalpore. Nessuno sapeva che quella zona potesse provocare terremoti fino a magnitudo elevate. A memoria d’uomo e per un’assoluta mancanza di dati storici si era convinti che la zona fosse tranquilla. Si pensava che la sismicità siciliana si concentrasse tutta nella parte orientale, naturale continuazione della fortissima sismicità calabrese. Nel 1693 vi si era verificato il terremoto detto della Val di Noto, di magnitudo sicuramente superiore a 7, che rase al suolo quasi tutto, e nel 1908 ci fu il notissimo terremoto di Messina che provocò un devastante maremoto e che ebbe grande risonanza internazionale. In realtà, pochi in Italia si dedicavano allo studio sistematico della Sismologia nel 1968. Bisognerà aspettare i terremoti del Friuli, 1976, e dell’Irpinia, 1980, perché si cominciasse a studiare in maniera organizzata la distribuzione e le caratteristiche fisiche dei nostri terremoti. Il terremoto è una frattura che si propaga con una velocità di qualche chilometro al secondo nella crosta terrestre. La crosta è lo strato sottile, con uno spessore più o meno fra i 5 e i 30 km, che contiene tutta la Terra. Le rocce che compongono la crosta sono fragili. Il termine "fragile" è da intendersi in senso tecnico: è fragile ciò che si può fratturare. L’opposto di “duttile" che è un mezzo che si può modificare, che può anche fluire, ma che non si può fratturare. Una zona della crosta terrestre viene sottoposta ad azioni molto energiche da forze interne al Pianeta. Viene deformata. Il processo di deformazione può durare decenni, secoli, addirittura millenni ma ad un certo momento le rocce si romperanno e alla frattura sarà associata la produzione di onde meccaniche: le onde sismiche, che, andando a sollecitare le fondamenta di edifici mal costruiti, ne provocano un rapidissimo crollo. Troppe immagini di crolli sono nella nostra mente per terremoti, anche non particolarmente violenti, che si verificano sistematicamente nel nostro Paese. Dal 1600 ad oggi, in Italia si sono verificati 200 terremoti di magnitudo pari o superiore a 5.5. In media, uno ogni due anni. La magnitudo 5.5 è quella a cui si cominciano ad avere vittime e danni importanti. Di questi 200 terremoti, 69 sono di magnitudo pari o superiore a 6.0: si ha una scossa 6.0 mediamente ogni sei anni. 30 hanno magnitudo 6.5 o superiore e si verificano ogni 14 anni. Dal 1600 ad oggi, quindi ogni 50 anni circa, abbiamo avuto 8 terremoti con magnitudo 7.0 e oltre. Quando si verificò in Belice, non esisteva una conoscenza organizzata della sismicità italiana: una zona veniva classificata sismica solo dopo che era stata colpita da un terremoto. A partire dal terremoto irpino del 1980, si comincia a pensare ad una mappa ufficiale della sismicità italiana. Molti furono i tentativi ma solo nel 2006 la Mappa di Pericolosità Sismica ebbe una veste formale, con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale. Fu redatta, su richiesta della allora Commissione Grandi Rischi, per adempiere a una norma finalmente emanata dallo Stato. Fu elaborata principalmente dall'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia. Venne anche coinvolta il più possibile la comunità scientifica esterna all'Ingv. L’elaborazione venne monitorata costantemente da un panel internazionale di ricercatori, che ne rilasciò un giudizio finale molto lusinghiero. Divenne riferimento dello Stato con l’Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri 3519/2006 e costituì la base per la attuale normativa sismica con il consenso formale della comunità degli ingegneri sismici. La Mappa è il punto di partenza per la determinazione del rischio sismico di qualunque edificio o agglomerato di edifici, in qualunque luogo si trovino. È, quindi, il passo fondamentale verso una seria prevenzione per la messa in sicurezza del nostro patrimonio edile che richiede anche altri passaggi tecnici, amministrativi e, soprattutto, politici. Spesso si sente parlare di previsione dei terremoti. La cosa non è sensata perché i fenomeni geofisici che caratterizzano il verificarsi di un terremoto sono caratterizzati da una grande complessità e sono inaccessibili, all'interno della Terra, all’osservazione diretta. La previsione dello svolgimento di un processo fisico non può che essere il risultato dell'inserimento di dati di osservazione in un modello consistente. Questi dati rappresentano i valori numerici delle grandezze fisiche che compaiono nella teoria, comprese le condizioni iniziali del sistema studiato. Quando un sistema fisico è governato da leggi non lineari, come avviene in Sismologia, una piccola imprecisione nelle condizioni iniziali può alterare completamente l'evoluzione del sistema: è questo il caso della meccanica delle fratture applicata allo studio dei terremoti. Tale comportamento, chiamato caotico, preclude la possibilità di previsioni deterministiche: sono possibili solo previsioni di tipo probabilistico. Allora non resta che fare come hanno fatto la California, il Giappone, la Turchia, il Cile, la Nuova Zelanda ... che hanno prodotto e stanno producendo un'edilizia che salvaguarda la vita e i beni. Solo l'Italia, fra i Paesi sviluppati, nulla sta facendo per difendersi dai terremoti. Anzi è sempre più forte l'impressione che la bassa qualità costruttiva sia voluta per poter ricostruire più spesso e così avere benefici economici più frequenti. Concludendo, dal terremoto del Belice di cinquant’anni fa le nostre conoscenze sismologiche hanno avuto uno sviluppo impressionante ma il rischio sismico a cui siamo sottoposti è rimasto lo stesso. Anzi è peggiorato perché si è continuato a costruire molto e in modo dissennato.

Addendum. Alla fine dell’anno passato è stata rinnovata la Commissione Grandi Rischi. Il professor Gabriele Scarascia Mugnozza è stato nominato Presidente. Aveva ricoperto la carica di Vice Presidente della Commissione dal 2013 al 2017, quando si dimise per protestare contro una delle incongrue esternazioni del suo predecessore particolarmente grave. Quella delle dighe di Campotosto in Abruzzo equiparate alla tragedia del Vajont, che provocò tanta ilarità ma anche molta preoccupazione in tutti coloro che hanno a cuore le sorti della Protezione Civile. Scarascia Mugnozza è ordinario di Geologia Applicata presso La Sapienza di Roma. Alla Sapienza è anche Prorettore per i rapporti con il territorio e per l’ambiente. I suoi interessi scientifici vertono nel campo dei rischi geologici. Principalmente si interessa alla pericolosità idrogeologica e alla pericolosità sismica. Su tali argomenti ha pubblicato su riviste Internazionali numerosi importanti lavori. Scarascia Mugnozza è ancora giovane, è molto equilibrato, rigoroso e competente. Saprà affrontare con serenità, decisione ed efficacia il delicato incarico che gli è stato affidato. Al nuovo Presidente della Grandi Rischi giungano le congratulazioni e gli auguri di tutto Il Foglietto della Ricerca e miei personali.

Dal Belice ad Amatrice sprechi e corruzione restano i protagonisti del post-sisma. Il terremoto in Sicilia ha inaugurato decenni di sprechi e malapolitica. E creato un modello d’affari marcio che dall'Isola si è esteso alle altre aree colpite dai terremoti, dall’Irpinia all’Abruzzo. Fino agli ultimi in Centro Italia, scrive Piero Melati il 15 gennaio 2018 su “L’Espresso”. Si chiama Valle del Belìce, con l’accento sulla i. Dalla notte del terremoto del 1968, per un refuso, diventò per tutti gli italiani Valle del Bélice, con l’accento sulla e. Questa terra martoriata perdette anche il suo nome, sotto le macerie del più doloroso dei primati: fu il teatro del primo grande sisma del dopoguerra. Oggi, a mezzo secolo di distanza, e almeno sette maxi-catastrofi naturali dopo, la Valle del Belìce sa di contare un altro record: ha tenuto a battesimo il sistema nazionale di corruzione basato sull’emergenza, quello del “terremoto infinito”. La terra trema. Tutto comincia da lì. Quando nel 1948 Luchino Visconti traspose al cinema “I Malavoglia” di Giovanni Verga, gli italiani applaudirono un capolavoro del neorealismo. Ma quando, all’indomani della notte tra il 14 e il 15 gennaio del ’68, immagini tanto simili a quel film irruppero in tutte le case, grazie alla tv in bianco e nero, fu uno choc collettivo. La Sicilia di Verga, trasformata in immagini da Visconti, e ora documentata nei telegiornali da Sergio Zavoli, non era dunque solo fiction. Una scossa di magnitudo 6,4 aveva mostrato la carne e il sangue di Gibellina, Salaparuta, Montevago, Poggioreale, Santa Ninfa, Santa Margherita Belìce, mietendo circa 400 vittime in tre province (Trapani, Agrigento, Palermo), distruggendo sei paesi, con oltre mille feriti e tra 70 e 90 mila sfollati. Uno degli inviati del quotidiano palermitano L’Ora, Bruno Carbone, partito a bordo di una jeep, riuscì in quelle ore a raggiungere Montevago, un centro di tremila abitanti raso al suolo. Venne circondato da una muraglia di profughi che invocava cibo e coperte. «I bambini muoiono per strada», gli urlavano. Più tardi, tra le macerie della scuola, il cronista trovò i disegni e i temi dei ragazzi, che nel corso di una lezione avevano descritto il proprio paese. Il servizio che ne trasse (“Com’era bella Montevago nella fantasia dei suoi scolari”) fece il giro del mondo. Ora la tragedia aveva un volto e un nome, quello dei figli di Montevago, il paese che non c’è più. «Un clima da anno Mille», lo definì Leonardo Sciascia. Lo scrittore scrisse a caldo: «Dodici ore dopo la sciagura, a Santa Margherita Belìce, non era arrivata né una tenda, né una pagnotta, né una coperta... per quelli lì, a Santa Margherita, a Montevago, a Gibellina, a Salemi; quelli che vivono nelle case di gesso e ci muoiono; quelli cui restano soltanto gli occhi per piangere la diaspora dei figli, pulviscolo umano disperso nel vento dell’emigrazione; quelli che ancora faticano con l’aratro a chiodo e con muli; quelli che non hanno né scuole, né ospedali, né ospizi, né strade... la Sicilia è stanca, muore ogni giorno, anche senza l’aiuto delle calamità naturali».

Una profezia, una delle tante, dello scrittore inascoltato. Infatti, placatasi la terra, non fu più la natura ostile ad affilare la falce, ma la mano dell’uomo. «La burocrazia uccide più del terremoto», dovette dire un altro scrittore, Danilo Dolci. Erano appena sorte le prime baraccopoli. Nel 1973, a sette anni dalle scosse, le baracche ospitavano 48 mila persone. Tre anni dopo ne imprigionavano ancora 47 mila. Le ultime baracche sono state smontate solo nel 2006. Nel ’95 è stato calcolato che in 27 anni erano stati spesi almeno sei miliardi di euro. L’ultimo intervento per il Belìce era nella legge finanziaria del 2013. Nacque così l’affare del terremoto, che ci avrebbe accompagnato fino ad oggi. Con costi non soltanto economici. Nel 1970 un pugno di intellettuali (Sciascia, Guttuso, Zavattini, Caruso, Treccani, Cagli, Zavoli, Levi, Damiani, Corrao) insieme ai sindaci della Valle firmarono un appello che descrisse la situazione: «Ad altro non si pensò che alla costruzione delle baracche. Gli effetti non sono dissimili da una vera e propria soluzione finale. Annientamento psicologico, morale e fisico che i lager nazisti più direttamente e sbrigativamente esplicavano». Dovranno passare altri dodici anni, e altri tremila morti e 80 mila sfollati, perché un presidente della Repubblica, Sandro Pertini, visitando i luoghi di un’altra catastrofe, quella dell’Irpinia, con i sepolti vivi ancora sotto le pietre, si ricordasse della sua precedente visita in Sicilia e di quel parroco di Santa Ninfa che gli aveva chiesto: «Perché viviamo ancora nelle baracche e non ci sono state mai date le case promesse?». Pertini nell’occasione tuonò: «Mi chiedo: dove è andato a finire quel denaro? Chi è che ha speculato su questa disgrazia del Belìce? E se vi è qualcuno che ha speculato, io chiedo: costui è in carcere, come dovrebbe essere? Perché l’infamia maggiore è speculare sulle disgrazie altrui». Le crude cifre ci dicono che, nel XX secolo in Italia, le vittime di terremoto sono state centomila. La mappa dei grandi sismi più recenti conta 31 morti in Tuscania (Lazio) nel ’71, mille in Friuli nel ’76, quasi tremila in Irpinia nell’80, sette in Molise nell’84, sedici a Santa Lucia (Sicilia) nel ’90, undici in Umbria e Marche nel ’97, trenta in Puglia e Molise nel 2002, 309 a L’Aquila nel 2009, 27 in Emilia nel 2012, 299 nel 2016 ad Accumuli e Amatrice. Eppure la situazione è persino peggiorata, da quel primo assalto alla diligenza nel Belìce e dopo il grido di Pertini, se è vero che in due distinte occasioni (sisma aquilano del 2009 e di Amatrice nel 2016) due imprenditori impegnati nei lavori di ricostruzione, intercettati nel corso delle loro conversazioni, hanno addirittura esultato per le catastrofi, euforici grazie alle prospettive che gli si erano aperte. Anche qui, bastino le cifre, quella della Commissione ambiente del Senato: quattromila i morti, nei sette grandi sismi italiani seguiti al Belìce. Ben 121,6 miliardi di euro la spesa autorizzata (stima parziale, che non calcola gli imponenti costi indiretti). Sarà anche vero, come disse Pertini in Irpinia, che non c’è infamia peggiore di speculare sulle altrui disgrazie. Ma è altrettanto vero che se le “disgrazie altrui” nessuno le conosce, sarà difficile fermare i demoni che se ne vogliono nutrire. Anni dopo il terremoto del Belìce, Leonardo Sciascia accettò di scrivere la prefazione al “Quaderno di Montevago” che raccoglieva i lavori degli alunni ritrovati sotto le macerie della scuola. E annotava: «Nessuno fuori dalla Sicilia sapeva dell’esistenza di un paese chiamato Montevago, al confine tra la provincia di Agrigento e quella di Trapani. Paradossalmente il paese cominciò ad esistere nel momento in cui, sotto la zampata di una belva immane, finiva di esistere». Ma questo non vale forse per quasi tutti i luoghi italiani colpiti dalla “zampata di una belva immane” negli ultimi decenni? E non vale ancor di più per il disinteresse che ne segue dopo, immancabilmente, quando le popolazioni ferite si trovano sottoposte a incredibili vessazioni? Per la verità, c’è stata di recente una variante tecnologica dell’infamia, rispetto a mezzo secolo fa. La scrittrice Loredana Lipperini, alla vigilia dello scorso Natale, ha diffuso sui social una notizia di agenzia che denunciava la nascita di una rete di account fake legati alle iniziative post-terremoto nel rietino. Questa rete aveva lo scopo di twittare a migliaia di persone (grazie a un programma automatico) la gioia dei cittadini per l’avvenuta consegna di una casa. Consegna, inutile dire, mai avvenuta e solo virtuale. Misterioso l’account di partenza. Il sospetto è che sia legato a qualche ditta impegnata nella ricostruzione. La circostanza fa riflettere. Dopo il 1968 lo sdegno per le baraccopoli siciliane provocò (almeno) una mobilitazione nazionale. Paolo Mieli scrisse allora che nel sisma siciliano era affondata la vecchia Italia con i suoi difetti. Se invece oggi, dopo un sisma, si riuscisse persino a truccare la realtà del dopo, grazie a un bombardamento di fake news, chi se ne avvantaggerebbe? Una volta alla Camera il ministro dell’Interno Virginio Rognoni, nel riferire sull’ennesima interpellanza a proposito del Belìce, disse: «Nelle zone colpite dal sistema». Si interruppe e immediatamente si corresse: «Volevo dire dal sisma». Leonardo Sciascia commentò: «Andava meglio, in ordine alla verità, il lapsus. Ne uccide più il sistema che il sisma. Ma quale sistema? Credo lo si possa definire con brevità e precisione: il sistema della corruzione».

TERREMOTO: CORSI E RICORSI STORICI.

I Borbone? 200 anni fa sconfissero i terremoti, scrive il 30/08/2016 Flaminia Camilletti su “Il Giornale”. Sono passati 7 giorni dalla notte tra il 23 e il 24 Agosto, notte in cui la terra ha tremato così forte da far implodere e scomparire due paesi ricchi di storia e tradizioni come Amatrice ed Arquata del Tronto, portandosi via 292 vite umane e una decina di persone scomparse. I danni agli edifici e i morti non sono confinati nei paesi sopracitati, ma si diffondono in tutta la zona di confine tra Umbria, Marche e Lazio, tre regioni diverse e numerosi comuni diversi, sintomo che se qualcosa è andato storto è da ricondurre ad un sistema Italia che in questo momento così com’è, non funziona. Neanche il tempo di levare le macerie e di salutare i propri cari, che già si scoprono decine di casi di mala-gestione edilizia. Addirittura i pm sospettano che i documenti che dichiaravano che le strutture fossero a norma, siano stati falsificati. I casi più noti: la scuola Capranica e l’hotel Roma di Amatrice indicati entrambi come punto di accoglienza del piano di protezione civile, e invece venuti giù. E poi il campanile di Accumoli, come la Torre Civica e la caserma dei carabinieri. Parallelamente alle inchieste, il tema principale del dibattito verte sulla ricostruzione: è possibile rendere antisismici dei centri storici così antichi, senza snaturarne l’identità ed il patrimonio architettonico? Molti esperti e opinionisti rimandano all’esempio certamente virtuoso del Giappone, ma qualcuno, in Italia, rende noto che anche la nostra storia vanta modelli di ingegneria antisismica di livello, messa in atto già due secoli fa. Uno studio condotto dal Cnr-Ivalsa (Istituto per la valorizzazione del legno e delle specie arboree del Consiglio Nazionale delle Ricerche) di San Michele all’Adige (Trento) in collaborazione con l’Università della Calabria ha dimostrato che le tecniche antisismiche usate 200 anni fa dai Borbone sono ancora attuali e che integrate con tecnologie moderne, potrebbero essere usate per mettere in sicurezza il patrimonio edilizio esistente. Dopo il terremoto del 1783, che distrusse gran parte della Calabria meridionale e fece circa 30.000 vittime fu emanata una normativa estremamente di avanguardia per l’epoca. L’efficacia di queste disposizioni è stata confermata dalla resistenza che ebbero i palazzi costruiti con queste regole nei terremoti del 1905 e del 1908 che colpirono la Calabria. Il Cnr ha chiarito che gli edifici costruiti con queste regole subirono danni non significativi, con limitate porzioni di muratura collassate e nessun crollo totale. Ulteriore conferma è stata data anche dal test antisismico condotto su una parete del palazzo del Vescovo di Mileto (Vibo Valentia), ricostruita fedelmente in laboratorio. “L’invenzione” è dell’ingegnere La Vega che con abilità di sintesi unisce le più avanzate teorie antisismiche dell’Illuminismo e una diffusa e antica tradizione costruttiva lignea presente in Calabria. Il sistema borbonico è caratterizzato infatti dalla presenza di telai di legno.” “Le tecniche – continua Nicola Ruggieri (l’architetto che ha prodotto lo studio) – si basavano sull’idea che la rete di legno, in caso di scossa, potesse intervenire a sostegno della muratura. Adesso quelle tecniche potrebbero ispirare sistemi antisismici per mettere in sicurezza il patrimonio edilizio esistente «magari – ha rilevato l’esperto – sostituendo il legno con alluminio e acciaio, per i quali l’industria è più preparata”.

La “casa baraccata”: il primo regolamento antisismico d’Europa è dei Borbone, scrive il 25 agosto 2016 Claudia Ausilio su “Vesuvio on line”. Il territorio italiano e soprattutto quello dei paesi a ridosso della dorsale appenninica sono tra i più esposti al mondo ad attività sismica e da secoli hanno dovuto fare i conti con i terremoti e i danni da esso causati. Pochi sanno che le prime case antisismiche furono fatte costruire dai Borbone che redassero il primo regolamento antisismico d’Europa. Tutto iniziò dopo il 5 febbraio del 1783, una data terribile per la Calabria e per il sud intero. Uno degli eventi più tragici della storia e un terremoto di un magnitudo elevatissimo, tra i più alti che l’Europa abbia mai visto. Le zone colpite furono quelle di Reggio Calabria, Vibo Valentia e Catanzaro che videro la morte di 30.000 persone. Il governo borbonico subito si mise all’opera per la ricostruzione emanando un regolamento antisismico, il primo della storia. Questo prevedeva la costruzione di una muratura rinforzata da un telaio di elementi lignei “inventata” dall’ingegnere Francesco La Vega, definita poi nel corso dell’Ottocento “casa baraccata”. Questo sistema si basava sugli ultimi studi dell’ingegneria settecentesca e su una tecnica costruttiva antica già in uso in Calabria. Ma l’ingegnere spagnolo come ideò questa tecnica antisismica? In realtà non si trattava di niente di nuovo, ci avevano già pensato gli antichi romani. Agli inizi del XVIII secolo Carlo III di Borbone decise di avviare un’intensa campagna di scavo ad Ercolano e successivamente a Pompei e Stabia. Le attività di recupero e lo studio dei reperti archeologici furono dirette dal 14 marzo 1780 proprio da Francesco La Vega. Durante queste operazioni l’ingegnere ebbe modo di osservare, proprio nelle città vesuviane, il cosiddetto Opus Craticium (opera a graticcio) cioè pareti intelaiate da elementi lignei. Grazie all’impiego di questa soluzione, le costruzioni successive al 1738, tra le quali anche il Palazzo del Vescovo di Mileto (Vv), riuscirono a resistere anche ai terremoti più devastanti, come quelli che colpirono la Calabria nel 1905 e nel 1908 con magnitudo 6.9 e 6 della scala Richter. Così come le abitazioni turche (Hımış) costruite con la tecnica dell’intelaiatura lignea hanno sfidato il sisma del 1999.

ISCHIA. TERREMOTO, POLEMICHE E LA SINDROME DEGLI ABUSI EDILIZI.

Sciacallaggio mediatico. Il terremoto? Colpa dell’abusivismo.

È così che l’Italia ipocrita si assolve.

In tutte le parti d’Italia da sempre si vede dalle immagini che le costruzioni crollate a causa delle scosse telluriche erano tenute su con gli sputi: pietra su pietra. Ma quando si tratta del terremoto nel Sud Italia scatta la polemica per gli abusi edilizi.

TERREMOTO ISCHIA. Burocrazia e abusivismo, le ambiguità che provocano tragedie. Un terremoto ha causato morti e feriti a Ischia. Inevitabile qualche riflessione su una scossa lieve che causa tanti danni in un territorio a rischio, scrive Alfonso Ruffo il 23 agosto 2017 su "Il Sussudiario". Di fronte ai morti (due), ai feriti (39) e agli sfollati (2.600) non c'è nulla di più antipatico che fare la predica. Eppure nel caso del terremoto a Ischia, località Casamicciola, le ragioni ci sarebbero tutte per distribuire rimproveri a destra e manca. Come giustificare altrimenti che un movimento della terra classificato di quarto grado sulla scala Mercalli, e dunque lieve, possa aver combinato il disastro al quale abbiamo dovuto assistere? Che quello fosse un territorio a rischio era risaputo. E infatti tutte le cronache riportano il ricordo del famoso e famigerato sisma del 1883 che rase letteralmente al suolo il piccolo comune isolano inghiottendo tra i tanti anche i parenti di Benedetto Croce e Giustino Fortunato in persona, che tanto aveva tuonato contro lo sfasciume urbanistico del Mezzogiorno e pertanto pure della ridente, fino a prova contraria, località balneare. Altrettanto risaputo era che la qualità delle costruzioni, senza generalizzare ma di certo in gran parte, non fosse delle migliori. Non è la prima volta infatti che di fronte a un evento della natura - la scorsa volta si trattò di un'alluvione - qualche abitazione è destinata a crollare e più di una vita a spegnersi. Conseguenza della fretta e dell'approssimazione che derivano dalla necessità di costruire di nascosto perché senza permesso. Tempi accelerati per l'abusivismo, manufatti scadenti, caratteristiche geologiche dei luoghi sono elementi sufficienti a far ritenere un miracolo che le cose nel tempo non siano andate peggio: per il disappunto dei buontemponi che hanno avuto lo stomaco di scrivere in rete, in disprezzo dei napoletani. Speravamo nel Vesuvio, ma va bene anche così. Il danno e la beffa per un popolo che ha fatto dell'arte di arrangiarsi un codice di vita. Non a caso proprio in Campania il governatore De Luca sta combattendo con il ministro Delrio per difendere la propria legge che distingue tra abusi di speculazione e abusi di necessità nel tentativo di salvare questi ultimi dalle ruspe che il governo avrebbe intenzione di azionare per radere al suolo quello che non andava edificato. Questa sciagura sarà ora un ostacolo ulteriore al raggiungimento di una, semmai, possibile intesa. Il fatto è che l'eccesso di vincoli e burocrazia - di cui tutti sono oggi consapevoli, ma che nessuno riesce davvero a contrastare - è un propellente formidabile e fornisce anche un alibi culturale per chi, già allergico di suo al rispetto delle regole, decide di passare all'azione senza sottostare alle forche caudine di un'amministrazione vissuta come occhiuta nemica e avida divoratrice di risorse. Chiedere una licenza, in questi casi, è tempo perso. E allora al di là dei risvolti di cronaca che nella loro logica e sequenza si somigliano un po' tutti -compreso l'eroismo di chi scava nelle macerie e salva vite o l'altruismo dei medici in vacanza che apprestano volontariamente le prime cure - bisognerebbe fare finalmente di necessità virtù e uscire dall'ambiguità di un rapporto così fragile tra la norma e il suo rispetto, il bisogno e l'azzardo, che basta uno starnuto a provocare una tragedia.

Sisma, la rabbia dei residenti additati come abusivi. Ad Ischia ci sono 600 case abusive con ordine definitivo di abbattimento e 27 mila pratiche di condono presentate in occasione di tre sanatorie nazionali. Una situazione, fotografata da Legambiente, che ha aumentato gli effetti della scossa di magnitudo 4.0 sull’isola, insieme alla particolare struttura morfologica del territorio. Ma gli ischitani reagiscono con rabbia ad accuse che, dicono, fanno ricadere la colpa solo su di loro. “Noi siamo dei cittadini sempre martoriati, sempre additati, e ci dicono abusivi, ma noi siamo nati qui, i nostri nonni ci hanno lasciato la casa abbiamo fatto cuci e scuci come dice lo Stato perché altrimenti non puoi costruire e allora? Fortunatamente non ci è caduta addosso la casa”, dice una signora. “Fate in modo che cittadino abbia la possibilità di costruire facendo le cose per bene non additandoci”. “Se voi non ci date delle regole e volete che noi facciamo i figli, questi figli da una parte devono andare ad abitare – aggiunge una concittadina – tu mi dai la residenza in Comune? E allora tu accetti questa cosa, non puoi venire a dire a me che sono io sempre l’abusivo. Non ci dare la luce, non ci allacciare niente e noi non costruiamo la casa. Siamo abusivi leciti, da parte di Comune e Stato”.

Carlo Conti, polemica sui social dopo il sisma di Ischia. Subito dopo il sisma di Ischia, Conti ha commentato così la notizia su Instagram. Ma le sue parole hanno scatenato gli utenti, scrive Luca Romano, Martedì 22/08/2017, su "Il Giornale". Un post, poi gli attacchi sui social. Non è stata una serata facile quella di ieri per Carlo Conti. Subito dopo il sisma di Ischia, il conduttore Rai ha commentato così la notizia su Instagram: "C'è stata una scossa piccola di terremoto a Ischia. Tutto bene, c'è un mio amico, la situazione è tranquilla". In realtà la situazione a Ischia era non proprio "tranquilla" e così i follower di Conti non hanno perso tempo e lo hanno messo nel mirino. "Alcune volte sarebbe meglio tacere piuttosto che scrivere tanto per far vedere di essere presenti, soprattutto quando si è personaggi definiti 'vip'", si legge in un commento. E ancora: "Ci sono morti, feriti, case crollate. Non c'è nulla di tranquillo". Ma c'è anche chi difende il conduttore: "Rilassatevi, evidentemente quando ha scritto non si era ancora a conoscenza dei danni". Dopo gli attacchi Conti ha deciso di rispondere agli utenti: "Voi che attaccate sempre! Senza sapere la situazione d'Ischia, isola dove ho una abitazione! Ecco il commento del sindaco che smentisce tutte le false notizie che stanno portando solo panico sull'isola". Conti a questo punto posta le parole del primo cittadino: "In queste ore l'isola è vittima di una forma di sciacallaggio mediatico è importante sottolineare che gli immobili che sono crollati nel comune di Casamicciola sono di vecchia fattura ed è solo ed esclusivamente per questo che si sono registrati danni ingenti. Sull'intera isola i trasporti pubblici non si sono mai interrotti, le strutture turistico-ricettive e gli esercizi pubblici sono tutti aperti e a disposizione degli ospiti che possono continuare in tranquillità la loro vacanza". Ma queste parole non bastano a placare i commenti de follower contro Conti che alla fine molla la presa sotto i colpi degli "haters" del web. 

Fra distruzione e letteratura. La tragica bellezza di Ischia. Auden, Ibsen, Pasolini e Capote hanno cantato l'isola che li ha ospitati. Il sisma del 1883 colpì Benedetto Croce, scrive Giancristiano Desiderio, Mercoledì 23/08/2017, su "Il Giornale". «O tell me the truth about love», cantava il poeta inglese Wystan Hugh Auden sull'isola d'Ischia negli anni Cinquanta e la sua più nota poesia, La verità, vi prego, sull'amore, ben si presta alla parafrasi: la verità, vi prego, su Ischia. Perché il nome dell'isola cara alla bellissima Lucrezia d'Alagno è legata più di ogni altro scoglio dell'arcipelago delle isole Flegree all'amore e all'amore per la letteratura. Giovanni Boccaccio, che s'intendeva dell'uno e dell'altra, fa raccontare a Pampinea, nella quinta giornata del Decamerone, una storia ricavata dalla leggenda di Fiorio e Biancifiore e così inizia: «Ischia è un'isola assai vicina di Napoli, nella quale fu già tra l'altre una giovinetta bella e lieta molto, il cui nome fu Restituta». In fondo, il fascino dell'isola, che non è piccola come Capri, né grande come l'immensa Sicilia, è nella sua misteriosa concentrata varietà fatta di acqua salata e acqua termale ricercata da Garibaldi e Cavour, di storia e natura che uno scrittore come Giovanni Comisso rapito a Forio descriveva così: «Quando ci si volse dall'altra parte, su dal mare in tumulto, si vide definita e chiara tutta la costa dell'Italia, da Miseno fino al Circeo, con le cime dei monti bianche di neve al sole. Era la stessa visione che aveva avuto Enea e anche Ulisse e si decise di fermarci». La verità, vi prego, su Ischia. Certo, non si può sbarcare a Ischia un giorno e andar via. Chi ci va ci resta. Una volta Raffaele La Capria, legatissimo a Capri, ha raccontato che Truman Capote mentre scendeva dal vaporetto inciampò, cadde e ruppe l'orologio. Un chiaro presagio: l'isola non era fatta per la fretta e la furia delle cose e Capote, che vi rimase quattro lunghi mesi nel 1949, scriveva Summer Crossing attratto dall'isola, dal vino e dai pescatori: «Che posto strano, e stranamente incantato è questo. È un'isola al largo della costa di Napoli, molto primitiva, abitata per la maggior parte da viticultori e da pescatori di capre, da W.H. Auden e dalla famiglia Mussolini». Non era quella la Ischia di oggi, era un'altra isola ma Truman Capote se la passava bene senz'altro sul tetto della pensione con l'odore meridionale del glicine e le foglie di limone: «L'avevo decorato con delle lanterne giapponesi, ed erano venute circa cinquanta persone, compresi tutti i più bei pescatori dell'isola. Se la spassavano tutti. Tutti, cioè eccetto Wystan che non ballava con nessuno, e non parlava con nessuno e se ne stava seduto in un angolo da solo, con la faccia tetra». La verità, vi prego, su Ischia. Sulla spiaggia di Casamicciola ancora oggi si aggira un fantasma: Henrik Ibsen. Solo e pensoso, attratto e respinto dal mare, il Grande Norvegese era chiamato proprio così dai pescatori nell'Ottocento: il fantasma. Il suo eroe errabondo Peer Gynt prese corpo e anima ad Ischia e in fondo la capanna di Solvejg è nei castagneti di Casamicciola e la nordica e fredda Norvegia è la meridionale e calda Ischia. A star dietro a tutti i letterati che hanno messo piede sull'isola e, incantati, ne hanno scritto si rischia di scrivere una storia universale della letteratura. Lo si può capire Nietzsche che tra Sorrento e Ischia avrebbe voluto fondare un «piccolo convento laico» come scrisse Guy de Pourtalès in Nietzsche in Italia. E si può capire Alfonso V d'Aragona quando, innamorato dell'isola e ancor di più della sua bella Lucrezia, viveva e godeva nei boschi d'Ischia. Quegli stessi boschi sorgenti dal mare dal quale anche l'altra sera è venuto il boato sordo che annunciava il terremoto. Avvenne così la sera del 28 luglio 1883 - «rombo cupo e prolungato, e nell'attimo stesso l'edifizio si sgretolò» - quando il giovinetto Benedetto Croce, che l'amore di Alfonso e Lucrezia avrebbe poi raccontato, che soggiornava sulla collina di Casamicciola nella pensione Villa Verde perse la madre, il padre e la sorellina e rimase una notte e un giorno sepolto fino al collo: «Vidi in un baleno mio padre levarsi in piedi, e mia sorella gettarsi nelle braccia di mia madre - scrisse nelle Memorie della mia vita - ; io istintivamente sbalzai sulla terrazza, che mi si aprì sotto i piedi, e perdetti ogni coscienza. Rinvenni a notte alta, e mi trovai sepolto fino al collo e sul mio capo scintillavano le stelle...». Il giorno dopo Benedetto fu estratto da due soldati e sulla sua salvezza è nata coi nostri tristi giorni anche una polemica tra Roberto Saviano e Marta Herling, nipote di Croce: secondo l'autore di Gomorra il giovinetto si salvò perché seguì il consiglio del padre che morente gli avrebbe detto «offri centomila lire a chi ti salva». Una leggenda infondata e del tutto vana perché l'importanza di quella notte non è nei soldi ma nella filosofia. Quel «tremuoto» di Casamicciola cambiò la vita del diciassettenne Croce e lo stesso pensiero filosofico, la verità, che, in fondo, è sempre venuta al mondo nel tentativo di superare provvisoriamente il «tremore» della Terra. La verità, vi prego, su Ischia.

Ischia, il terremoto del 1883 ed il racconto di Benedetto Croce. Il racconto del filosofo scampato a 17 anni alla catastrofe: «I miei anni più dolorosi», scrive Antonio Castaldo il 22 agosto 2017 su "Il Corriere della Sera". «È successa una Casamicciola», si dice ancora a Napoli per indicare un grosso disastro. Un modo anche scherzoso per parlare di un «guaio capitato» che dopo i fatti della serata di lunedì 21 agosto assume tutt’altra connotazione. Non è la prima volta che la terra trema e scuote fino alle fondamenta il borgo di mare sulla costa settentrionale dell’isola. Il 28 luglio del 1883 un sisma molto più devastante distrusse quasi completamente quello che all’epoca era un villaggio di pescatori e di villeggianti. In quel caso la magnitudo fu di 5,8 gradi, ci furono ben 2.313 morti, anche nei comuni di Lacco Ameno e Forio. Tra le vittime anche il padre, la madre e la sorella di Benedetto Croce. Il grande filosofo napoletano, allora 17enne, si salvò ma con gravi ferite che segnarono il suo corpo e la sua psiche in modo indelebile. Per tutta la vita, come ricordò la figlia Lidia, rivisse quei momenti: «Aveva appena conseguito la licenza liceale ed era in vacanza presso con la famiglia quando la terra tremò. Mio padre si salvò e fu estratto dalle macerie dopo due notti riportando la frattura di una gamba e di un braccio». Era stato lo stesso Croce a lasciare un resoconto di quelle drammatiche giornate. Raccontò il momento esatto della scossa. Si trovava nel soggiorno della Villa Verde, dove la famiglia del proprietario terriero Pasquale Croce risiedeva per le vacanze. Il terremoto fece sprofondare il padre ingoiato dalle macerie, Benedetto Croce vide la sorella sbalzata verso il soffitto, quindi raggiunse la madre che si era rifugiata sul balcone, e da lì entrambi precipitarono: «Rinvenni a notte alta - scrisse poi il filosofo nel Contributo alla critica di me stesso del 1915 - e mi trovai sepolto fino al collo, e sul mio capo scintillavano le stelle, e vedevo intorno il terriccio giallo, e non riuscivo a raccapezzarmi su ciò ch’era accaduto, e mi pareva di sognare. Compresi dopo un poco, e restai calmo, come accade nelle grandi disgrazie. Chiamai al soccorso per me e per mio padre, di cui ascoltavo la voce poco lontano; malgrado ogni sforzo, non riuscii da me solo a districarmi. Verso la mattina (ma più tardi), fui cavato fuori, se ben ricordo, da due soldati e steso su una barella all’aperto. Lo stordimento della sventura domestica che mi aveva colpito, lo stato morboso del mio organismo che non pativa di alcuna malattia determinata e sembrava patir di tutte, la mancanza di chiarezza su me stesso e sulla via da percorrere, gl’incerti concetti sui fini e sul significato del vivere, e le altre congiunte ansie giovanili, mi toglievano ogni lietezza di speranza e m’inchinavano a considerarmi avvizzito prima di fiorire, vecchio prima che giovane. Quegli anni furono i miei più dolorosi e cupi: i soli nei quali assai volte la sera, posando la testa sul guanciale, abbia fortemente bramato di non svegliarmi al mattino, e mi siano sorti persino pensieri di suicidio».

Cronache dal terremoto, una scia dal 1883 fino a oggi. Casamicciola. Ora come allora, il cuore del sisma era intorno a piazza Maio, colpì un pugno di strade. Gli ischitani adesso vogliono divincolarsi da un racconto che dice: ve la siete cercata, scrive Andrea Fabozzi il 24.08.2017 su "Il Manifesto". «Il secondo disastro di Casamicciola» è il titolo di un giornale del 1883. Anche allora il disastro c’era già stato. Il terremoto aveva colpito il 4 marzo 1881, accompagnato da un rombo assordante, all’una e quindici minuti del pomeriggio. 126 morti, 249 case crollate, vittime e danni concentrati in un fazzoletto di strade: piazza Maio, il Purgatorio, Montecito, Maddalena, La Rita. Gli stessi nomi, gli stessi luoghi dove si contano i danni adesso, anno 2017. Gli stessi del resto già bersagliati nel 1828, allora i morti furono 30. Nel 1883 fu vera strage, 2.300 morti e la distruzione estesa alla parte più bassa di Casamicciola. Ma il cuore del terremoto era ancora una volta lì, intorno a piazza Maio, dove c’era la cattedrale della Maddalena. Distrutta, assieme all’altra chiesa, quella dell’Assunta nella più bassa piazza Bagni. Ragione per cui quando si trattò di ricostruire la parrocchia della Maddalena fu costruita a metà strada. Tirata su prima della fine dell’Ottocento, non ha subito alcun danno dall’ultima scossa. La vediamo intatta, neanche una crepa. Le vecchie carte con il progetto dell’ingegnere Giovanni Gambara svelano il segreto: fondamenta profonde e uno scheletro di legno elastico. Dell’altra chiesa completamente distrutta nel 1883 resta solo qualche pietra in piazza Maio. Ricostruita anche questa, la piccola chiesa del Purgatorio dà il nome alla zona e la sua madonna ieri ha fatto un giro in Apecar verso la marina. L’hanno messa in salvo dopo che la facciata è collassata sul sagrato e su una delle due vittime di questo terremoto. Di questo nuovo disastro annunciato.

«Dite come stanno realmente le cose – ha quasi gridato ai giornalisti ieri, per il secondo giorno, il sindaco di Ischia porto, Enzo Ferrandino – Ischia non è un’isola terremotata e la nostra non è una comunità di abusivi, state facendo più danni del terremoto». La preoccupazione, lo si capisce, è per la stagione turistica. Ed è vero che a distanza di cento metri dalle poche strade devastate dal terremoto, vacanze e affari vanno avanti come al solito. L’estate non sta finendo. Ma c’è di più, c’è l’urgenza degli ischitani di divincolarsi da un racconto che dice: ve la siete cercata. E magari meritata. Il sindaco, tutti i sindaci dell’isola, trovano facilmente alleati nei politici campani che hanno scoperto il vantaggio elettorale degli abusivisti «di necessità» quando Di Maio non era neanche nato. E nel «governatore» De Luca, che dà la colpa di tutto «agli ambientalisti». Eppure nemmeno la polemica con i giornalisti è inedita. Scrive nel 1883 il medico Andrea Giuochi, assiduo frequentatore dell’isola, casa distrutta dal terremoto: «Abbiamo il diritto di rivolgere una parola di rimprovero a quella parte della stampa che si mostrò troppo crudele verso gli abitanti, ritenendoli responsabili delle funeste conseguenze, mentre secondo essi avanti il disastro furono avvertiti segni non dubbi di una prossima catastrofe».

Il terremoto del 28 luglio 1883 arrivò alle 21.30, mezz’ora prima di quello di lunedì scorso. Allora era un sabato. «S’ode improvviso un rombo cupo e profondo, un boato orribile e tremendo o come una specie di mina che esplodendo sotto i piedi volesse sprofondare e inabissare la terra. In soli tredici secondi ebbe termine l’opera istantanea di distruzione». A parte la durata, allora molto più lunga, potrebbe essere la cronaca dell’ultima scossa e non la ricostruzione di De Andreis del 1883. Il racconto coincide. «Ho sentito un boato impressionante, lungo, come un tuono sotto la terra, poi la strada ha cominciato ad alzarsi come se ci fosse qualcosa che volesse uscire», raccontava ieri Angela, con altre due amiche è al porto di Casamicciola aspettando di partire. In quella serata di 134 anni fa Enrico Petito, uno dei più celebri Pulcinella dell’Ottocento, stava entrando in scena in piazza Bagni. Pare proprio con una parodia di chi ha paura del terremoto, a voler credere al racconto di Carlo Del Balzo – autore che però risulta aver romanzato parecchio. Fatto sta che il teatrino tirato su nella piazza, tutto in legno, fu una delle poche cose che restarono in piedi dopo la scossa. Assieme alle baracche costruite nel 1881 per ospitare gli sfollati, ancora oggi non del tutto scomparse dalla zona bassa del Perrone. Sono di legno anche queste.

Nel 1883 furono registrate sei scosse di assestamento durante la giornata successiva al disastro. Alla sera un improvviso temporale estivo contribuì a rallentare i soccorsi. I cadaveri erano ancora nelle strade quando arrivò a Casamicciola in visita il re Umberto I, era il 2 agosto. Tanti furono seppelliti sul posto, sotto la calce. Ieri splendeva il sole quando la ministra della difesa Pinotti è salita al secondo piano dell’ospedale Rizzoli per regalare una medaglia a Ciro, l’undicenne uscito per ultimo dalle macerie della sua palazzina, al Purgatorio. Tra cinque giorni il Consiglio dei ministri decreterà lo stato di emergenza per Ischia, la regione Campania ieri ha stanziato 2,5 milioni e l’Anci ha avviato una raccolta di fondi. Nel 1883 in diverse città italiane nacquero delle associazioni di solidarietà con Ischia che per raccogliere contributi diedero alle stampe racconti e poesie ispirate al terremoto. La biblioteca antoniana di Ischia ne conserva una bella raccolta. C’è anche un racconto di Giuseppe Verga che descrive l’isola dal mare.

A Casamicciola, lì dove c’era villa Verde che nel 1883 ospitava la famiglia Croce, c’è oggi l’hotel Coralba, tre stelle. Non ha subito danni. Sulla facciata una targa del 1954 ricorda la sventura di don Benedetto, allora diciassettenne, sopravvissuto al crollo nel quale morirono padre, madre e una sorella. Risalire all’intensità del terremoto di 134 anni fa non è semplice. Il vulcanologo Giuseppe Mastrolorenzo spiega che sulla base dei danni si può calcolare un’intensità superiore al quinto grado. Ma le stime comunemente accettate sono assai più basse, girano attorno al quarto grado. Lo stesso del terremoto di lunedì scorso. Giuseppe Luongo, vulcanologo e storico dei terremoti, ha scritto che per quanto la stima possa apparire troppo bassa è la superficialità degli eventi a spiegare la vastità dei danni. Anche il terremoto di lunedì è stato un terremoto superficiale. Una scossa più leggera, ma nella stessa zona, c’era stata anche alla fine dello scorso agosto. Qualche danno, nessuna vittima. Una vittima l’aveva fatta l’alluvione, portandosi via nel novembre del 2009 una ragazza di 15 anni. E sempre a Casamicciola, in piazza Bagni, nello stesso luogo di un’altra tragica inondazione del 1910. Le previsioni qui a Ischia si possono fare in biblioteca. Oggi nelle strade che scendono dalla montagna e otto anni fa si gonfiarono di fango – via Nizzola, via Ombrasco – non ci sono solo le tante costruzioni che c’erano allora, incastrate una nell’altra come un Tetris urbanistico, ma anche le macerie dei muretti a secco venuti giù per il terremoto e qualche grosso masso di tufo che ostruisce il passaggio. Tra poco arriveranno le piogge.

La cronaca più efficace del terremoto del 1883 è probabilmente quella di Ernesto Dantone, scritta a ridosso dei fatti. Con un’introduzione: «Non erano davvero mancati gli avvertimenti. Il più recente, il più terribile di tutti era stato il terremoto del 1881… si sapeva dunque che il mostro di fuoco rinchiuso nelle viscere dell’isola era desto e minaccioso: eppure non solo non si provvide prima, ma neppure si provvide dopo».

Ischia, The Day After, scrive Giuseppe Magaldi su "Ischia Blog" il 23 agosto 2017. Dopo una notte insonne o quasi, per molti, passata sotto una coperta di stelle, la popolazione ischitana, turisti compresi, si è svegliata e subito incollata ai televisori e ai social. Il ritratto fornito dai media è di gran lunga differente dalla realtà. Sull’isola d’Ischia la scossa sismica del 21 Agosto 2017 ha causato danni seri ad un numero di abitazioni limitatissimo dislocate per la stragrande maggioranza nel solo comune di Casamicciola Terme. Non vi è dubbio che chi ha perso la casa e gli affetti vive una tragedia infinita ed a tutti loro va un pensiero di solidarietà. Ma per fortuna è una piccolissima porzione di popolazione isolana. Ovvio che se si inquadrano o si fotografano le stesse macerie da angolazioni diverse, si ha l’impressione di una devastazione di dimensioni epocali, cosa che per fortuna non è stata. Questo non ha nulla a che vedere con le operazioni di recupero (ben riuscite) dei tre bambini vivi da sotto le macerie o con il recupero delle due salme. Un nugolo di feriti prontamente medicati e in pochi casi ricoverati in terra ferma perché in gravi condizioni completa il bilancio. Tutto grazie all’intervento massiccio dei soccorritori sia locali che giunti sul posto dal continente notte tempo. La spettacolarizzazione delle operazioni di soccorso e la loro enfasi non è giustificata anche perché per fortuna il sisma registrato è ben poca roba rispetto ai disastri degli scorsi anni, dove, è vero, ci furono soccorsi massivi ma spesso sottodimensionati rispetto alla dimensione della catastrofe ed in ritardo. Nel caso ischitano forse lo Stato ha voluto mostrare la sua efficienza nello spegnere un fuocherello con un fiume in piena… le immagini dei primi soccorritori che sbarcavano ad Ischia Porto mostravano vari automezzi dei pompieri e varie auto della Polizia di Stato, con al seguito volontari generosi (a tutti va il grazie e la riconoscenza dell’intera popolazione), ma forse se questa solerzia nell’intervento e queste competenze di prim’ordine si applicassero nella prevenzione i bilanci di fenomeni naturali come i terremoti risulterebbero meno pesanti e meno da prima pagina. Poi è stata montata la polemica sull’abusivismo, tutto grasso che cola per i giornalisti superficiali ed a caccia della notizia bomba. Non ci si nasconde dietro un dito, molte abitazioni a Ischia risultano essere abusive (guarda un po’ non sono quelle crollate con il sisma), ma nessuno si chiede il perché. L’abusivismo è diffuso sull’isola verde grazie al mal governo sia centrale che locale degli ultimi sessanta anni: centrale perché il legislatore ha spesso legiferato in maniera carente e poi concesso i condoni edilizi, condoni che sono una vera e propria istigazione a delinquere (fai… fai… poi si condona…); locale perché la mancanza di piani regolatori e di zone ad espansione urbanistica ha fatto comodo alle varie amministrazioni per ottenere una moneta di scambio elettorale ed un cravattino da tirare al momento giusto quando l’elettore “tirava la testa fuori dal sacco” paventando sequestri e abbattimenti. Il tutto con la quasi assenza di edilizia popolare (e che le regaliamo le case?) abituando il cittadino a chiedere il piacere per ciò che gli spetta e per ciò che non gli spetta.

Per ultimo ma non meno importante è il fattore terrore instillato nei turisti di ogni dove che avevano prenotato la vacanza ad Ischia o che volevano farla. Ischia è un’isola vulcanica con un rischio sismico al pari di tante altre località turistiche. Rischio non così alto visto che negli ultimi 130 anni sono stai due i terremoti con vittime e danni 1883 e 2017. Le strutture alberghiere e le case dell’isola d’Ischia hanno dimostrato di essere sicure e di superare indenni una scossa di magnitudo 4,0 quale altra prova si deve esibire? Ma è più facile parlare e prevedere catastrofi anziché rassicurare ed essere razionali. Per non dimenticare: 1881 terremoto a Casamicciola Terme, in quel caso il luminare chiamato ad esprimersi minimizzò sull’accaduto rassicurando tutti, tanto che le case lesionate (quasi la totalità delle abitazioni di Casamicciola) non furono in molti casi ristrutturate; 28 luglio 1883 nuovo terremoto di magnitudo modesta provocò oltre 2300 morti. La storia dovrebbe insegnare.

Ischia: le notizie esagerate sul terremoto distolgono l'opinione pubblica, scrive G.B.F. il 23 Agosto 2017 su "A Sud". Terremoto ad Ischia. Diciamolo pure che i media italiani stanno esagerando e che a qualcuno fa comodo creare polemiche che distolgono l'attenzione dell'opinione pubblica. Ischia non è sprofondata. Ad Ischia non è crollato tutto. Non si capisce perché ma i media italiani stanno esagerando alla grande per parlare di questo terremoto che ha provocato due morti, 40 feriti e 2.600 sfollati oltre a numerosi danni tra case piuttosto vecchie. A parlare è la popolazione di Ischia che se la prende con i giornalisti. Non è vero che è tutto crollato come non è vero che una parte dell'isola sia sprofondata. Troppi film catastrofici in tv, probabilmente. La fervida fantasia o la smodata ricerca della notizia han fatto sì di trasformare un evento come il terremoto in una sorta di mega catastrofe. E, guarda caso (trattandosi di Meridione), subito è scoppiata la polemica contro le case abusive, le concessioni e le autorizzazioni facili. Una bella polemica esagerata che distoglie l'attenzione dell'opinione pubblica dalle mancanze dello Stato a L'Aquila, di Amatrice e delle aree limitrofe. In Italia fa notizia solo l'ultimo fatto avvenuto. Più se ne parla e meno la gente si ricorda di ciò che era accaduto prima. A parte che, il buonsenso e il buongusto, avrebbero dovuto far slittare le polemiche a qualche tempo dopo, sembrerebbe che - trattandosi di Sud - sia necessario trovare subito un colpevole. E se dei colpevoli ci sono, non sono di certo tutti gli abitanti dell'isola, della Campania o dell'intero Sud. Vogliamo forse negare che casi di cattiva pubblica amministrazione siano piuttosto diffusi nel nostro Paese? Vogliamo forse negare che la maggior parte dei media nazionali hanno le sedi da Roma in su? E allora se quando si parla di Meridione si deve parlare sempre male perché fa "politicamente" bene ai media, io me ne tiro fuori cercando di ristabilire un po' di verità. Perché cose che non funzionano bene, al Nord, ce ne sono a bizzeffe solo che non se ne parla quasi mai perché fa più comodo addossare il problema al Sud non appena se ne presenta l'occasione. Del resto la Storia d'Italia, fin dai tempi dell'Unità, è piena di soprusi ai danni della gente del Sud. Solo chi non ha studiato (e non ha capito cosa studiava non lo sa). Prima delle polemiche, personalmente credo sia necessario pensare ai feriti e ai 2.600 sfollati. La stagione fredda è alle porte e bisogna fare in fretta. Ultima nota su quegli imbecilli che sui social network, siti che raccolgono la feccia dell'umanità e la mettono alla pari con persone normali, sperano e auspicano un'eruzione distruttiva del Vesuvio: siete da ricovero. Così come quelle persone del Sud che, invece, di dimostrare solidarietà puntano il dito contro "l'abusivismo" (così, in generale stile analfabeta funzionale), fregandosene delle persone in difficoltà. Dovreste vergognarvi.

Terremoto Ischia. Lite tra il sindaco e il conduttore de La Vita in Diretta: "questo è sciacallaggio!". Terremoto Ischia, il sindaco Ferrandino infuriato nel collegamento a La Vita in Diretta sbotta contro Paolo Poggio: "Questo è sciacallaggio mediatico", scrive il 22 agosto 2'17 Anna Montesano su "Il Sussidiario". Inevitabile che in tv e sui media sia il terremoto a Ischia il tema di cui discutere. Anche nell'odierno appuntamento con La vita in diretta su raiUno, i conduttori Benedetta Rinaldi e Paolo Poggio si sono dedicati all'analisi della situazione attuale sull'isola campana con esperti in studio e il sindaco Ferrandino in collegamento. I toni si sono però infuocati in breve, quando si è iniziato a parlare di migliaia di abitazioni abusive e Ferrandino ha accusato i media di sciacallaggio, cosa che ha portato un battibecco anche col conduttore del programma. D'altronde non sono le prime accuse del sindaco del comune di Ischia. Enzo Ferrandino, attraverso Facebook ci ha aggiornato sulla situazione attuale dell'isola: "Nel comune di Ischia la situazione si è normalizzata. Il sisma di ieri sera non ha causato danni a cose e/o persone. Come Amministrazione Comunale siamo vicini alle famiglie delle vittime e ci stringiamo ai cittadini che hanno avuto forti danni”. Il sindaco ha inoltre affermato che Ischia è vittima di un attacco mediatico ingiustificato. Il classico sciacallaggio. Per rassicurare i turisti ha inoltre aggiunto che: "Sull’intera isola i trasporti pubblici non si sono mai interrotti, le strutture turistico-ricettive e gli esercizi pubblici sono tutti aperti e a disposizione degli ospiti che possono continuare in tranquillità la loro vacanza". Per chiudere ha ringraziato i Vigili del fuoco, la Protezione Civile, le Forze dell’ordine e il personale medico e paramedico dell’Ospedale per la straordinaria opera di assistenza alla popolazione. “Il Vostro è terrorismo mediatico. Le vostre penne e le vostre telecamere rischiano di produrre un danno maggiore del terremoto. State presentando Ischia come un’isola di sfollati, ma nel comune di Ischia non ci sono sfollati, né edifici lesionati. Le case crollate neo erano abusive, ma vetuste”, afferma il sindaco. “Inaudito confondere l’informazione con il terrorismo mediatico - replica Paolo Poggio – anzitutto perché il terremoto ha causato delle vittime e poi anche in considerazione del sincero sentimento di dolore con cui l’intero paese ha vissuto la drammatica vicenda. Le nostre telecamere restano a disposizione delle Istituzioni isolane per ascoltarne le esigenze e diffonderne i messaggi, ma se lei insiste in un tale atteggiamento, è, evidentemente, che abbiamo sbagliato nella scelta dell’interlocutore”.

Lite col sindaco per il terremoto: Timperi lascia lo studio. Il conduttore di Uno Mattina ha lasciato lo studio durante l'intervista al primo cittadino per poi tornare e togliergli la linea, scrive Vincenzo Sbrizzi su "Napoli Today" il 24 agosto 2017. Un vero e proprio litigio con il sindaco di Ischia ha costretto Tiberio Timperi a lasciare lo studio di Uno Mattina. Il conduttore ha lasciato gli studi Rai nel corso della diretta durante un'intervista al primo cittadino ischitano. Spazientito dai modi del sindaco, il giornalista ha lasciato lo studio e la conduzione del programma. «Vabbé, non mi fa parlare? Faccia lei» ha detto al primo cittadino, diventato un fiume in piena, ed ha lasciato lo studio. Dopo è tornato sui suoi passi ma l'atmosfera in studio era tutt'altro che tranquilla ed ha chiesto alla regia di togliere l'audio all'ospite. Sono diverse ore che infiamma la polemica tra i cittadini dell'isola verde e i media nazionali, rei di aver ingigantito la situazione dopo il terremoto di lunedì sera. Un altro nervo scoperto è quello dell'abusivismo edilizio sull'isola su cui proprio il primo cittadino stava dibattendo al momento del litigio. Una polemica che non sembra essere destinata a placarsi a breve e di cui stanno spesso pagando le spese i giornalisti inviati sull'isola.  

"Basta sciacallaggio su Ischia, ci state rovinando". La rabbia del sindaco contro il conduttore Rai, scrive il 24 agosto 2017 "Tiscali". Mattina tra il conduttore Tiberio Timperi e il sindaco di Ischia Vincenzo Ferrandino, chiamato in collegamento a rispondere sulla situazione dopo il terremoto che ha colpito l'isola il 21 agosto. Il primo cittadino ha difeso il comune dalle accuse di abusivismo edilizio, sostenendo come la stampa italiana stia travisando i fatti offrendo informazioni sbagliate al pubblico. "Siamo 60mila operatori economici seri che con dignità stanno cercando di portare avanti un'economia che è un fiore all'occhiello dell'Italia intera e non è giusto che si travisino i fatti - ha detto il primo cittadino - Si parla di 4mila pratiche di condono nel comune di Ischia, è vero, ma non sono 4mila case abusive. Sono pratiche inerenti balconi, finestre, tettoie, perché abbiamo una normativa giustamente stringente da un punto di vista paesaggistico, per cui a volte delle piccole modifiche sulle facciate dei fabbricate devono essere condonate, allorquando realizzate senza i parametri". A quel punto, Timperi ha cercato di prendere la parola, ma inutilmente: Ferrandino ha continuato a parlare, tanto che il conduttore ha sbottato e ha lasciato lo studio con un "Prego, faccia lei. Arrivederci". Tornato dopo alcuni secondi, ha fatto togliere l'audio a Ferrandino chiedendogli di rispettare l'operato della stampa. "La invitiamo a rispettare il nostro lavoro, lei è da due mesi che è lì quindi non è colpevole - ha detto Timperi prima di abbandonare lo studio per protesta - Ha ereditato la situazione. Noi non siamo tecnici, ma abbiamo fatto parlare la protezione civile. Facciamo semplicemente informazione".

Ischia, il sindaco contro la Rai: “Ci fate più male del terremoto, siamo indignati!”, scrive Vesuvio Live il 23 agosto 2017. Dopo tre giorni di polemiche e veleni sul terremoto e l’abusivismo edilizio, il sindaco di Ischia, Enzo Ferrandino se la prende con i giornalisti, in particolare con la troupe della Rai. Il primo cittadino interviene al termine di un servizio di Uno Mattina dedicato proprio agli abusi commessi sull’isola verde e connessi al sisma e a voce grossa dice: “State raccontando cose non vere, le telecamere stanno facendo più danni del sisma, un gruppo di persone ci sta manipolando”. “Sono indignato a nome di tutti gli ischitani”, ha concluso Ferrandino chiedendo ai giornalisti di Rai Uno “di venire sul posto per guardare davvero e dal vivo, in prima persona come stanno le cose”.

Terremoto Ischia: a Casamicciola: "via i giornalisti sciacalli". "Via giornalisti sciacalli". E' quanto hanno urlato alcune persone a Casamicciola all'indirizzo dei cronisti giunti per raccontare quanto successo dopo il sisma di lunedì, scrive Antonella Petris il 23 agosto 2017 su "Meteo Web". “Via giornalisti sciacalli”. E’ quanto hanno urlato alcune persone a Casamicciola all’indirizzo dei cronisti giunti per raccontare quanto successo dopo il sisma di lunedì. A parere di chi contestava i giornalisti avrebbero fatto indebiti riferimenti all’abusivismo edilizio.

A Ischia, negli uffici comunali allestiti nell'ex bar Capriccio (nella zona del porto), un uomo inveisce contro i giornalisti. La protesta si trasforma in pochi secondi in una rivolta contro gli operatori dell'informazione presenti sul posto, per le notizie sull'abusivismo. Nella stanza accanto agli uffici è stata allestita infatti una sala stampa. Tra le urla emerge la rabbia per le conseguenze sul turismo nel post terremoto, scrive repubblica tv il 23 agosto 2017.

Il terremoto? Colpa dell’abusivismo. È così che l’Italia ipocrita si assolve, scrive Gioacchino Rossello mercoledì 23 agosto 2017 su " Il Secolo d’Italia". Insomma, la colpa del terremoto è l’abusivismo. Meno male che c’è stato, perciò, questo sisma a Casamicciola così che siamo tutti consapevoli del problema: eliminiamo l’abusivismo e scompariranno i terremoti. L’Italia è magnifica anche per questo. Si trova sempre un colpevole per qualunque evento. Cosicchè, mentre un gruppo di Vigili del Fuoco (gli unici davvero e sempre encomiabili) scavava per salvare quei tre ragazzini sepolti dalle macerie cadute loro addosso da un paio di piani evidentemente costruiti a risparmio, tutto il resto del Paese si accapigliava su chi è più o meno abusivo e su di chi è più o meno la colpa. Certo, la Chiesa di Santa Maria del Suffragio un cui cornicione ha travolto la signora Lina che pure portava tra le mani una Bibbia non si può dire abusiva. È del XVII secolo, ma pare che fosse recente il manufatto crollato. Il cornicione, appunto. Dal che se ne dovrebbe evincere che non l’abusivismo o la vetustà, ma la scadente qualità dei manufatti provoca, in caso di terremoto, danni e morti. Per cui l’obbligo, per tutti, dovrebbe essere di restaurare e costruire con norme antisismiche. Lo dicono, ma chi lo fa? In questa nostra Italia si può sempre soprassedere alla realtà, soprattutto se non ha risvolti clamorosi. Più facile e pure più redditizio ululare contro l’abusivismo tout court, perciò. Fa più trendy, è più in linea. E poi, alla fin fine se lo dicono tutti vorrà pur dire che è vero. Perciò sarà facile credere che sanare l’abusivismo farà sparire i terremoti. Qualcuno che ci crede lo si troverà sempre. Più di qualcuno. Che magari creda che abusiva era la Messina del 1908, spazzata letteralmente via; abusivo il Belice e l’Irpinia e il Friuli fino all’Emilia e poi l’Abruzzo e Amatrice. Ci vuol poco. Tutti i giornali, tutte le tv, tutta la fuffa via internet e il risultato è servito: il terremoto si batte eliminando l’abusivismo. Fino alla prossima scossa. Che non si sa dove e quando ci sarà. Ma che spazzerà via anche quest’ennesima ipocrisia.

[L'intervista] “Smettetela, le case crollate erano vecchie ma non abusive". La rivolta di Ischia dopo il sisma. Parla Benedetto Valentino, organizzatore del Premio Ischia: "Le case crollate? Sono di fine Ottocento, non c'entrano nulla con l'abusivismo. Non alla criminalizzazione dell'isola", scrive Antonio Menna il 23 agosto 2017 su "Tiscali notizie". “L'abusivismo e le mancate demolizioni non c'entrano nulla con i danni del terremoto. Le case crollate sono di fine Ottocento. Evitiamo strumentalizzazioni”. A parlare è Benedetto Valentino, giornalista storico di Ischia, organizzatore da decenni del Premio internazionale di giornalismo intitolato proprio all'isola verde. Risponde con gentilezza alle domande mentre è al bar con alcuni amici. “Prendiamo un caffé e siamo sereni. Non c'è un clima da fine del mondo, qui – racconta -. Una buona parte dell'isola non ha subito danni e sta vivendo la sua giornata senza agitazione. Naturalmente, c'è paura, c'è apprensione. Il pensiero fisso sulle vittime, sugli sfollati. Ma c'è anche grande lucidità e nessun allarmismo”.

I numeri, però, sull'abusivismo a Ischia sono drammatici.

«Non voglio minimizzare. Nessuno di noi dice che non ci sono stati abusi. Ma prima di stabilire una correlazione così diretta tra i danni di ieri sera e il fenomeno abusivismo bisogna vedere quali sono le case che hanno subito danni e per quali motivi».

Ce lo dica lei.

Una delle vittime è una signora anziana colpita dal crollo di una chiesa. Si tratta della chiesetta di Santa Maria dei suffragi, detta del Purgatorio. E' un edificio costruito nel 1695. Poi crollato nel famoso terremoto del 1883 e ricostruita con le stesse pietre, nello stesso posto. Lo stesso vale per molte delle case crollate. Alcune di esse erano già venute giù con il sisma di fine Ottocento e poi rifatte lì, con gli stessi materiali. Non c'entrano molto con i condoni, l'abusivismo e le demolizioni».

Ma ricostruire nello stesso posto di un crollo, con le stesse pietre e senza rispetto di alcuna normativa non è rischioso?

«Questo è un discorso vero ma è un altro tema. Certamente è mancata una politica seria di programmazione sul territorio. Con leggi urbanistiche vetuste, nessuna pianificazione. Evidentemente, in questo contesto, si costruisce male, senza criterio. Lo fanno i palazzinari, gli speculatori, e lo hanno fatto anche i piccoli contadini che si sono fatti la casa sul loro terreno»

Hanno quale responsabilità anche loro?

«La responsabilità individuale esiste e ciascuno prende le sue. Ma il tema va affrontato nelle sue linee generali. Possiamo prendercela sempre con gli ultimi? Esiste un clima generale da cui non possiamo prescindere»

L'abusivismo a Ischia, però, c'è. E le demolizioni mancate mettono a rischio le persone.

«Nessuno lo nega. Il tema c'è a Ischia come altrove. L'abusivismo è un fenomeno complesso. Ci sono responsabilità pubbliche e sottovalutazioni individuali. Ma, in questa fase, con il terremoto di ieri sera, non c'è una correlazione diretta ed è giusto farlo notare»

Un piccolo terremoto con grandi danni. Non è uno scandalo?

«Bisogna conoscere il territorio per capire. L'Osservatorio Vesuviano ha condotto studi chiarissimi su questo. Cito solo quello di Carlino ma ce ne sono altri. Vanno studiati i terremoti storici. Casamicciola ha già vissuto un sisma simile. Quella è un'area con particolarità geologiche. Ha un sottosuolo che amplifica i fenomeni»

E poi c'è la cattiva edilizia.

«C'è anche un patrimonio abitativo vetusto, diffuso sul territorio, che ne ha risentito anche a causa delle caratteristiche morfologiche della zona. Ripeto, non neghiamo gli abusi e le situazioni di fatto. Ma la cosa va analizzata con equilibrio. Evitiamo lo scaricabarile sui più deboli»

Com'è il clima, adesso, a Ischia?

«L'isola, per buona parte e per fortuna, non ha registrato danni. I problemi sono circoscritti e definiti. Ma la paura c'è. E' questo oggi il sentimento più forte. I terremoti sono imprevedibili e questo proietta sempre, per istinto, il timore che ti arrivi addosso all'improvviso. Ma c'è anche molto ragionamento, molta solidarietà e fermezza. La popolazione sta reagendo in maniera equilibrata»

Allarmismo mediatico, quindi?

«La notizia c'è, ci sono i crolli. Ci sono le vittime, gli sfollati e c'è una parte emotiva forte. Ma evitiamo sia di generare un clima di esasperazione sia di fare pericolose generalizzazioni. Ischia uguale abusivismo, non è così. Vanno capiti i fenomeni storici e scientifici. Non aggiungiamo danno al danno, per favore. Ok».

E ora gli isolani si ribellano alle critiche: «Costretti agli illeciti dalla burocrazia». Gli abitanti accusano: imposti vincoli che impediscono pure di restaurare, scrive Massimo Malpica, Giovedì 24/08/2017, su "Il Giornale". La mano della natura contro la mano dell'uomo. E il braccio di ferro, comunque impari, si trasforma in una piccola rivolta quando gli abitanti di Casamicciola e Lacco Ameno se la prendono con i media che avrebbero sposato l'equazione che lega i danni provocati dal terremoto agli abusi edilizi che incontestabilmente sono una delle piaghe dell'isola, che «vanta» 33mila richieste di condono ancora in attesa di essere evase, più o meno due ogni tre abitanti. A incendiare gli animi nel centro di coordinamento dei soccorsi, nella marina di Casamicciola, ieri mattina, il confronto tra alcuni cronisti e i sindaci di Lacco Ameno e della stessa Casamicciola, Giacomo Pascale e Giovan Battista Castagna. I due primi cittadini criticavano l'associazione tra abusivismo edilizio e bilancio del sisma, quando un gruppetto di residenti presenti ha cominciato a inveire contro i giornalisti lamentando il danno per il turismo seguito al terremoto. Che, comunque, non ha molta attinenza con il tema del «peso» dell'edilizia selvaggia. Ma certo qui, vista la situazione dei condoni e la presenza di 600 abitazioni sotto la spada di Damocle di un ordine di demolizione, il partito del cemento raccoglie facili proseliti. Per strappare il condono ci sono percorsi ormai codificati, con soldi da pagare e avvocati specializzati per questo. Dopo lustri di inerzia della Regione Campania, nel 1995 il governo provvide a varare un piano urbanistico per l'Isola, sostanzialmente aggiungendo solo vincoli e divieti, col paradosso di incentivare gli abusi invece di contenerli, perché un territorio che vive di turismo non poteva e non voleva restare immobile sul fronte immobiliare. Il tema, però, torna attuale quasi solo dopo ogni disastro, che sia una frana, un allagamento o appunto un terremoto. E spacca subito il fronte tra chi vive qui e gli altri, che siano ambientalisti, giornalisti o politici. La crescita selvaggia ha certo generato mostri. E, va detto, anche i tentativi di arginarla hanno spesso provocato più danni che benefici. Come ricordavano ieri i sindaci e i residenti, per esempio, è complicato ristrutturare un edificio, quasi impossibile adeguarlo sismicamente, soprattutto se d'epoca. Colpa dei vincoli, che rendono il parere della soprintendenza una sorta di spiaggia dove invece di prendere il sole si fanno arenare le domande. E il risultato è un disastro, perché non potendo demolire e ricostruire - e spesso nemmeno ottenere il nulla osta per spostare una finestra - va di moda il fai da te con dribbling dei lacci burocratici. Così le case vengono «ristrutturate» a pezzetti, un pilastro alla volta, un ambiente dopo l'altro. Con evidenti limiti di qualità costruttiva e tenuta. Che magari non saranno collegati al tragico bilancio del sisma di lunedì, ma rendono questo gioiello del Mediterraneo una triste capitale dell'abusivismo.

Il dolore di Casamicciola (che difendeva l'abusivismo). Nel 2010 insulti e sassaiole contro la polizia per impedire che le ruspe abbattessero gli edifici fuorilegge, scrive Lodovica Bulian, Mercoledì 23/08/2017, su "Il Giornale". C'è la prevenzione del giorno dopo. Ci sono le accuse dei geologi e il muro di gomma dei sindaci. C'è il mea culpa dell'abusivismo e la sua negazione nel day after di Ischia e di un comune, Casamicciola, che trema e piange le due vittime restituite da una notte trascorsa a scavare. Eppure questo paese ferito è lo stesso che pochi anni fa fu teatro di una violenta guerriglia urbana scatenata da residenti scesi in piazza come black block per fermare le ruspe e salvare gli abusi edilizi. E per impedire con le sassate agli agenti di polizia giunti in tenuta antisommossa, di abbattere una delle 600 case dichiarate fuori legge da sentenze passate in giudicato. Sono trascorsi sette anni da quegli scontri e 599 abitazioni sono ancora lì. Scheletri di ciò che resta di una battaglia persa dallo Stato davanti alle barricate degli abitanti. I poliziotti spediti sull'isola il 28 gennaio del 2010 su mandato della Procura di Napoli per far rispettare le esecuzioni, finirono in ospedale con una prognosi da due a sei giorni per i colpi incassati da un esercito di trecento abitanti inferociti. Determinati a sbarrare con ogni mezzo l'accesso a una villetta da 60 metri quadrati che la magistratura aveva stabilito di demolire perché fuori legge. Pedane di legno, scaldabagni, massi e roghi incendiari, tra cui quello di una roulotte, bottiglie contro i poliziotti. Il manto stradale cosparso di nafta. Finì tutto dopo 24 ore di scontri e nove persone denunciate per resistenza a pubblico ufficiale. Le cariche della polizia ebbero la meglio sulla villetta, che rimase la prima e l'ultima a finire sotto la ruspa. Oggi al procuratore aggiunto di allora, Aldo De Chiara, non resta che constatare che a quegli edifici illegittimi si sono aggiunte pure «molte delle costruzioni che non avrebbero mai dovuto esistere», ha detto al Corriere. La sua non è che una voce nel coro di accuse che si leva contro «l'impunità» della piaga che da decenni regna nell'isola: «Ischia è da sempre simbolo di abusivismo edilizio, di cementificazione disordinata», denuncia Legambiente. Su 60mila abitanti, «sono 600 le case abusive colpite da ordine definitivo di abbattimento e 27 mila le pratiche di condono presentate negli ultimi 30 anni in occasione delle tre leggi nazionali sulle sanatorie edilizie». I sei sindaci isolani non accettano di finire sulla graticola delle responsabilità. In una nota congiunta «deplorano le notizie false relative a presunti danni e crolli in tutta l'isola e alle inesistenti connessioni tra l'evento sismico e i fenomeni legati all'abusivismo edilizio». Ribattono che le macerie «hanno interessato per lo più strutture antiche, tra le quali finanche una chiesa già distrutta dal terremoto del 1883 e poi riedificata». Eppure l'allarme di geologi e urbanisti in queste ore è chiaro: l'abusivismo, per Sandro Simoncini, docente della Sapienza, non è affatto questione marginale come sostenuto dagli amministratori: «Al netto delle peculiarità geologiche di quel territorio, che rendono il sottosuolo particolarmente fragile, non si può non rimarcare come si sia costruito anche là dove leggi e buon senso non lo avrebbero permesso e, in molti casi, lo si è fatto utilizzando materiali e tecniche di scarsa qualità». Sotto accusa, dal coordinatore dei Verdi Angelo Bonelli, c'è anche la legge regionale approvata a giugno dal consiglio regionale della Campania governata dal Vincenzo De Luca: «Dovrebbe avere l'onestà intellettuale di ritirarla». Nella regione, dati Legambiente, in dieci anni sono sorte 60mila case abusive: «Non abusi di necessità, ma soggetti organizzati che hanno tirato su interi quartieri».

Quando nel 2010 a Casamicciola si difendevano le costruzioni abusive. Clamoroso episodio sette anni fa quando in via Montecito, nel comune ischitano, centinaia di persone si scontrarono con la polizia che doveva demolire una casa abusiva. Lanci di pietre e bottiglie. A nulla valsero gli appelli a rispettare la legalità, scrive Katia Riccardi il 22 agosto 2017 su "La Repubblica". L'isola di Ischia paga oggi - colpita da un terremoto di magnitudo 4 che non avrebbe dovuto far crollare nulla -  il conto dei suoi errori, quelli di un territorio disseminato di abusi e segnato da inchieste giudiziarie di cemento. Con case su case incastrate, dai rilievi fino al mare. Più abitazioni, più turismo, una terra che in questi giorni di fine agosto era in overbooking. E che sette anni fa lanciava pietre per difendere abusi. È Casamicciola oggi la località più fragile, la più colpita. Avrebbe dovuto ricordare, nel 1883 le scosse del decimo grado della scala Mercalli, uccisero 2.313 persone. Eppure alla fine di gennaio del 2010, in via Montecito circa 300 manifestanti alzarono barricate e lanciarono pietre contro 150 poliziotti e alcune decine di carabinieri sbarcati da Napoli che avevano l'ordine di demolire una villetta abusiva a Casamicciola Terme. Una sentenza passata in giudicato, sospesa per qualche giorno dopo manifestazioni pacifiche di protesta che piano piano urlarono più forte. Un "muro umano" davanti all'accesso della casa da abbattere, un picchetto fisso, perfino una veglia di preghiera. Infine gli scontri e poi, comunque, le ruspe. L'isola è soggetta a vincolo paesaggistico e ambientale ed è spesso teatro di frane e smottamenti che in alcuni casi fanno anche vittime. Ci sono tantissimi edifici che rischiano di essere abbattuti, non solo giganti di cemento ma anche comuni abitazioni. Quella notte del 2010 finì con nove dimostranti arrestati, sei agenti feriti, un vicequestore colpito alla testa da una bastonata. "I poliziotti erano stati disposti in linea orizzontale, un posizionamento per far capire ai manifestanti che dovevano sgomberare, dovevano consentire che le operazioni iniziassero e per lanciare un segnale a chi aveva posto di traverso un automezzo. Nel giorno dell'azione che ci condusse allo sgombero, sul posto erano dislocati oltre centoventi uomini compresi quelli del commissariato di Ischia" ha raccontato al processo l'agente Luigi Peluso, allora dirigente che coordinava le operazioni. "Quei manifestanti - continua Peluso - erano là col solo intento di impedire un'attività di polizia. Occupando l'intera area stradale per diverso tempo. Io comunque ribadisco che non ho visto chi abbia lanciato gli oggetti. Ma quelli identificati erano tra i più attivi nel manifestare, nell'impedire il lavoro delle forze dell'ordine". I fatti risalgono a oltre sette anni fa e tra non molto si giungerà al traguardo dei sette anni e mezzo che ne sancisce la prescrizione, salvo che non vi siano rinvii per degli impegni presi dal collegio difensivo o per l’impossibilità di uno o più dei nove imputati, accusati di resistenza e minaccia a pubblico ufficiale nonché lesioni aggravate. Solo quell'anno nell'isola di Ischia sarebbero dovute essere abbattute 600 abitazioni. Secondo le stime di Legambiente, "da Ischia provengono la maggior parte delle richieste di condono edilizio (27mila in 30 anni) dovute ad anni in cui le amministrazioni locali hanno lasciato fare". Nel 2010 a nulla valsero neanche gli appelli della diocesi di Ischia contro l'abusivismo: "Ischitani fermatevi, in nome di Dio evitiamo l'illegalità" chiedeva don Gaetano Pugliese. "I 600 abbattimenti previsti rappresentano un disastro anche ambientale ed economico, mentre c'è chi soffre perché non trova casa e non riesce a mettere su famiglia. L'emergenza isola d'Ischia va portata all'attenzione del governo italiano e delle massime cariche istituzionali. Ma ciascuno di noi deve fare la sua parte. Non è possibile scaricare su poche persone la responsabilità di tirarci fuori dal tunnel e continuare a costruire illegalmente. Ogni bene personale che danneggia il bene comune è un male che, prima o poi, si paga, materialmente e in vari altri modi: la vita insegna". Ma stavolta la scossa è stata lieve in confronto a quella di fine Ottocento. E "i danni provocati sono assolutamente inaccettabili, data l'intensità del sisma" incalza il segretario generale della Filca-Cisl Nazionale, Franco Turri, "le vittime di questo terremoto sono il tragico e doloroso risultato della mancata cultura della prevenzione, più volte annunciata e mai attuata. La prevenzione e un'edilizia di qualità avrebbero evitato una nuova strage e danni ingenti". E oggi che i turisti scappano dalle macerie e dalla paura, l'appello dell'Abbac, associazione dei B&B e affittacamere della Campania, suona disperato: "Siamo disponibili a fornire soggiorni in alloggi e B&B a Napoli nell'intero comprensorio che non sono state coinvolte dalle scosse telluriche - dice Agostino Ingenito -, garantiamo agevolazioni e sconti in accordo con i nostri soci gestori disponibili per evitare l'abbandono anche della Campania". "Ricordo - continua Ingenito invitando i turisti a spostarsi senza tornare indietro - che molte strutture ricettive alberghiere non sono più agibili e l'isola in questi giorni era in overbooking. La Regione provveda ad emanare gli atti amministrativi necessari per decretare lo stato di calamità o altra formula adoperata nel caso di emergenza e in accordo con gli armatori operanti nel golfo di Napoli proceda a garantire passaggi gratuiti per favorire il decorso dei turisti verso la terraferma".

E poi c’è il solito Tozzi…Terremoto a Ischia: perché è stato così devastante. L'incredulità dei geologi "Uccisi da una piccola scossa". Mario Tozzi, ricercatore del Cnr: «In Italia manca la cultura della prevenzione. Eppure basterebbe poco», scrive Francesco Curridori, Mercoledì 23/08/2017, su "Il Giornale". «Vi prego, piantiamola di chiamarlo terremoto forte, questo è debole/medio-basso. Di forte non c'è proprio nulla». Mario Tozzi, geologo e ricercatore del Cnr, non ha dubbi: un sisma di magnitudo 4.0 come quello che ha colpito Ischia non avrebbe dovuto provocare tutti questi danni. Invece, purtroppo, il bilancio parla di due morti, decine di feriti e tre bambini salvati per miracolo dalle macerie. Secondo Tozzi «ignoranza, malaffare e scarsa memoria» sono le cause che stanno alla base di costruzioni eseguite male e della manutenzione inadeguata. L'intensità, stavolta, non è un fattore determinante. «Il terremoto del 1883 sì che è stato forte, questo non lo è», ricorda il geologo che non si sbilancia sugli sviluppi futuri che potrebbe avere questo sisma. Al momento, infatti, non è possibile sapere se e quante scosse di assestamento potranno esserci nei prossimi giorni. Tutto «dipende dall'attività della camera magmatica». «I terremoti è impossibile prevederli ma è bene tenere l'attenzione alta», spiega Tozzi parlando dell'eventualità che il Vesuvio si risvegli: «Non capisco perché pensiamo al vulcano come a un elemento dormiente, continua a manifestare la sua attività e bisogna tenerla sotto controllo». «Se il Vesuvio facesse un'eruzione come quella del 79 dopo Cristo, cioè quella di Pompei ed Ercolano, avremmo un esodo più che un'evacuazione perché nessuno torna indietro da una cosa del genere», ammonisce il ricercatore del Cnr. Se, viceversa, ci fosse un'eruzione come quella del 1531, allora avremmo uno scenario meno catastrofico ma in entrambi i casi «ci sarebbe il tempo per organizzare dei piani di evacuazione anti-esodo», anche se non sempre ci sono delle avvisaglie dell'arrivo di un terremoto. «Normalmente tutti gli sciami sismici, per il 90%, finiscono senza dare un terremoto forte. Non è una regola che ci sia un avvertimento prima», chiarisce Tozzi. Quali siano le aree più a rischio, però, si sa da tempo: «C'è tutto l'arco appenninico dalla Garfagnana fino allo Stretto di Messina. Poi tutta l'Irpinia, l'Aspromonte, la Calabria e la zona di Catania, forse quella più a rischio, e infine l'area della Pianura padana come abbiamo visto nel 2012». In sintesi, tutta Italia è un territorio sismico, eccetto, forse, la Capitale. «È vero che tutti i laghi attorno a Roma sono vulcani la cui attività è tarda, cioè non sono spenti ma precisa Tozzi - le loro ultime attività importanti sono state migliaia di anni fa e perciò non destano preoccupazioni». La Capitale rischia solo di incorrere nel risentimento dei terremoti dell'Appennino anche se «in questo caso conta più la resistenza del patrimonio costruttivo». Per mettere in sicurezza le zone più a rischio basterebbe fare la giusta prevenzione. Che, però, ha un costo. Ma, a volte, la mancanza di soldi è solo una giustificazione che non ha motivo di esistere: «È possibile fare prevenzione anche con poco. Non c'è mica bisogno di ricostruire da capo dice Tozzi -. Bisogna fare piccoli interventi e monitorare gli edifici pubblici: scuole, ospedali, sedi governative, amministrative e comunali». Ma non è sufficiente. Anche i privati devono fare la loro parte e non sono sempre necessari interventi costosi. «Per evitare i morti in quella casa di Ischia, forse, bastava infilarci delle chiavi e dei tiranti che tenessero i solai solidali con le mura», spiega il geologo che, in fondo al tunnel, vede una speranza. «Amatrice e Ischia ci dicono che ci siamo mossi male, mentre Norcia viene ripopolata perché si è ricostruito bene». Tozzi, infine, rivolge un invito anche ai sindaci dei Comuni a rischio: «Sarebbe un bel segnale se, insieme alla ricostruzione, pretendessero la demolizione degli immobili abusivi in territori a rischio. Ma credo che non la vedrò».

La morfologia dei terreni vulcanici amplifica la magnitudo. L'intervista a un vulcanologo dell'Università di Pisa, scrive il 22 agosto 2017 Nadia Francalacci su Panorama. “Quando si parla dell’Isola di Ischia e di fenomeni sismici, si fa riferimento sempre a eventi particolari in quanto si tratta di una formazione di origine vulcanica e come tale ha dei terreni che amplificano moltissimo la magnitudo”. A fare il punto sul terremoto che ha colpito ieri sera l’isola al largo delle coste partenopee, è il geologo Mauro Rosi, professore ordinario di Vulcanologia presso l’Università di Pisa. “Gli effetti del sisma in terra vulcanica sono decisamente maggiori rispetto ad un terremoto di pari magnitudo in terra appenninica- prosegue il professor Rosi -  e questo per due ordini di motivi. Il primo è la morfologia del terreno vulcanico che, per natura, amplifica enormemente ogni movimento del sottosuolo rispetto ad un terreno di tipo roccioso o a quelli di origine alluvionale. Il secondo aspetto è la presenza in queste aree di fattori concorrenti, ovvero, il calore e fluidi, come il magma, nel sottosuolo”. Il professor Rosi, che per anni è stato anche Direttore generale, con la mansione di Direttore dell'Ufficio Rischio sismico e Vulcanico, del Dipartimento Nazionale di Protezione Civile, conosce perfettamente l’area campana dei Campi Flegrei e dell’isola di Ischia. “Nei terremoti tettonici che avvengono, ad esempio, in zone appenniniche, si cominciano a rilevare dei danni importanti a partire da un magnitudo 4.6, questo è, infatti, il livello minimo indicato- continua- diverso invece per i terremoti di tipo vulcanico dove una magnitudo di 4.0, come si è potuto vedere, ha degli effetti già importanti sulle strutture senza considerare, ovviamente, quelle che possono essere le fragilità ‘proprie’ dei singoli edifici”. Il professore è cauto a parlare di faglia tirrenica.  “Questo terremoto che sembra essere di origine tettonica, potrebbe essersi originato nella faglia Nord- Sud che si trova ad ovest dell’isola che non sembrerebbe essere legata a quella tirrenica. Bisogna ancora attendere dati e rilievi esatti. Ma nell’area interessata dal sisma di ieri sera vi è un complesso “sistema vulcanico” proprio di Ischia, un sistema in grado di originare terremoti di natura diversa in conseguenza allo spostamento di gas o di magma”. “Questi terremoti sono classificati come “a bassa frequenza” perché hanno oscillazioni lente, rispetto a quelle di origine tettonica, ovvero attorno al secondo- spiega Rosi – ma sempre a causa della morfologia del terreno, e alla presenza importante di sorgenti termali, risultano essere più devastanti negli effetti”. Il professore, inoltre, esclude che vi possano essere collegamenti con i movimenti sismici registrati negli scorsi mesi nei Campi Flegrei. E le scosse di assestamento? “Dipende dall’origine del terremoto, conclude il professore, c’è da augurarsi, calcolando la non prevedibilità dell’evento sismico, che avvenga come nel terremoto di fine secolo scorso che fece registrare una forte scossa iniziale e poi una lieve attività di assestamento”.    

Terremoto a Ischia: il "rebus" della magnitudo. Alla base delle difficoltà nel rilevare la corretta intensità del sisma c'è la sua origine vulcanica, più superficiale di quella tettonica, scrive il 22 agosto 2017 Panorama. I primi calcoli automatici del sisma che ha colpito ieri Ischia segnalavano una magnitudo 3.6: un valore che non tornava con le prime testimonianze, che parlavano di un terremoto "fortissimo", e le macerie sotto le quali sono rimaste uccisa due persone e ferite altre 39. Successivamente il calcolo è stato rivisto, con un valore di 4.0, grazie ai dati registrati dalla rete sismica dell'Osservatorio Vesuviano dell'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv). Come è accaduto? Qualcuno, forse, ha temuto un altro errore del sistema, come quello che il 15 giugno scorso aveva associato la magnitudo 5.1 di un terremoto nelle Filippine al sisma di magnitudo 1.6 registrato a Pieve Torina (Macerata). Niente del genere, questa volta. Non c'è stato in realtà alcun errore, ma solo la grande difficoltà di dover calcolare la magnitudo di un terremoto che appartiene a uno dei tipi più rari e anomali: quelli che avvengono sotto i vulcani. Non sono certamente studiati come lo sono quelli tettonici che scuotono continuamente la penisola e può accadere, come nel caso di Ischia, che i primi sismografi a registrare l'evento siano distanti alcuni chilometri. Sulla base di queste prime rilevazioni viene di solito calcolata la magnitudo locale (ML), che nel caso dei terremoti tettonici, come quelli che avvengono lungo l'Appennino, è un valore molto affidabile. Quando il terremoto avviene sotto un vulcano, però, la situazione è molto diversa. Per questo dopo il primo calcolo di 3.6, sono stati utilizzati i dati della rete sismica dell'Osservatorio Vesuviano per ricalcolare la magnitudo sulla base della durata dell'evento, ottenendo il valore di 4.0. Un valore ancora provvisorio in quanto quello definitivo, relativo alla "magnitudo momento", viene calcolato dai ricercatori e si basa sulla stima del momento sismico, ossia su una durata più ampia del sismogramma, fino a 30 minuti. I nuovi dati della rete sismica dell'Osservatorio Vesuviano hanno inoltre permesso di ricalcolare la profondità dell'evento, correggendo a cinque chilometri il valore iniziale di dieci. E' stata un'ulteriore conferma di quanto si sa finora dei terremoti vulcanici. "Una caratteristica comune a tutti è di essere molto più superficiali, al punto da superare molto difficilmente la profondità di cinque chilometri", ha osservato il sismologo Gianluca Valensise, dell'Ingv. "Questo - ha proseguito - accade perché al di sotto di cinque chilometri la crosta diventa troppo calda per generare una rottura". Il fatto che i terremoti che avvengono sotto i vulcani siano superficiali spiega anche perché si risentano maggiormente.

Sisma a Ischia, 2 morti e polemiche. Case vecchie o abusivismo? Italia ostaggio del solito tormentone, scrive Andrea Zambrano il 23-08-2017 su "La nuova Bussola Quotidiana”. Nell’estate delle granite (il caldo), le granate (gli attentati terroristici) non potevano non mancare i calcinacci del terremoto. Prendiamo a prestito il successo di Francesco Gabbani perché, purtroppo, raccontare i terremoti in Italia è diventato ormai un tormentone. Non avevamo ancora finito di fare il punto sul devastante crollo di Amatrice di un anno fa esatto quando ecco che a Ischia la terra ha tremato. Così, puntuale, assieme alla macchina dei soccorsi è partita la macchina della speculazione politica. Alla fine il bilancio è di due morti, una madre di sei figli residente nell’isola e una turista bresciana, 39 feriti e più di 2000 sfollati. Il più coinvolto il comune di Casamicciola. Poteva andare peggio, si dice. Ma peggio di così non è una consolazione. L’unica cosa certa è la magnitudo del sisma di lunedì sera: 4.0. troppo poco per poter fare crolli e morti. Troppo poco per evacuare ospedali e alberghi. Si racconta che nel corso del sisma di 6.3 che toccò la Bassa emiliana nel 1996 e che fece parecchi danni, alcuni dirigenti giapponesi di una multinazionale impegnati in una visita in uno stabilimento chimico si stupirono di fronte al fuggi fuggi dei dipendenti terrorizzati. Perché a loro non sembrava nemmeno una scossa di terremoto, tanto erano abituati alla terra ballare sotto i loro piedi. Così rimasero al loro posto mentre tutti scappavano. Eppure quei giapponesi non sapevano che l’Italia è il Paese dove basta un crollo per trasformare una scossa in una tragedia. Colpa delle costruzioni fragili, si dice perché non è il terremoto a fare danni, ma le cattive costruzioni. Infatti anche questa volta è partito puntuale il balletto sulle responsabilità. Sotto accusa l’abusivismo che nell’isola è cresciuto negli ultimi 50 anni vorticosamente con un turismo di massa a fronte di un’isola modeste dimensioni. Case costruite a ridosso sul mare senza rispettare i vincoli paesaggistici e soprattutto condoni. Tanti condoni per terrazze, sottotetti e pareti allargate. La denuncia l’ha fatta la Protezione Civile, che ha notato come un sisma di 4.0 non possa fare morti: “Molte costruzioni sono realizzate con materiali scadenti che non corrispondono alla normativa vigente, per questo alcuni palazzi sono crollati o rimasti danneggiati”, ha detto il neo capo della Protezione Civile Angelo Borrelli al suo esordio alla guida dell’agenzia del Governo alludendo alla costruzione di case con materiali scadenti. Spalleggiato dal presidente del Consiglio nazionale dei Geologi Francesco Peduto: "È francamente allucinante che un terremoto di tale magnitudo possa provocare danni e vittime nel nostro Paese. Che si conferma estremamente vulnerabile. Quello che lascia più interdetti è la mancanza di atti concreti per la prevenzione”. E qui entra in gioco la politica, proprio quando pochi giorni fa il Governo e la Regione Campania avevano avviato un braccio di ferro per una legge regionale che avrebbe concesso criteri più generosi alle abitazioni abusive da condonare in una terra, che conta 67mila case da demolire. Anche un ex magistrato napoletano, Aldo De Chiara ha sottolineato ciò che da anni denuncia: che a Ischia l’abusivismo avrebbe potuto creare dei disastri anche con un terremoto di modesta entità. E’ puntualmente successo, ma difficilmente si potrà ascrivere il giudice in pensione tra le Cassandre. «Al momento non so bene cosa sia crollato. Mi dicono una chiesa e varie abitazioni. Non so a che epoca risalgono e mi voglio augurare che anche la chiesa non sia abusiva», è lui stesso a mettere le mani avanti. Intanto però la palla della lotta all’abusivismo è stata lanciata. Ognuno ha ottenuto il suo quarto d’ora di celebrità, da Legambiente al Governo che per bocca del ministro Delrio ha ribadito la necessità della prevenzione. Insomma: ad ogni terremoto c’è un colpevole da ricercare. Ad Amatrice il dibattito e le polemiche si erano concentrate sulla previsione. Posto però che un terremoto non si può prevedere, bisogna passare a puntare il dito sulla mancanza di prevenzione. E qui casca l’asino. Certo, che le abitazioni siano crollate non c’è dubbio. Ma di quali abitazioni stiamo parlando? I crolli circoscritti alla zona colpita, hanno interessato per lo più strutture antiche tra le quali una chiesa già distrutta dal terremoto del 1883 e poi riedificata. E’ la chiesa crollata nel sisma in cui rimase illeso il giovane Benedetto Croce. Dunque, una prevenzione-previsione c’è ed è attendibile: la storia. Ogni geologo che si rispetti non si stancherà mai di ripeterlo: l’unico modo per prevenire i terremoti è quello di studiarne la storia. Se c’è stato un sisma, tranquilli che questo si ripeterà. Ma non sappiamo quando. Ecco il punto. Nel frattempo bisogna attrezzarsi garantendo alle strutture la miglior tenuta agli edifici. Però i sindaci sono forse gli unici a caldo a testimoniare la tipologia delle abitazioni crollate. Non alberghi sulla costa, ma case nei centri cittadini – dicono -, sufficientemente vecchie per essere obsolete dal punto di vista strutturale, ma non per questo abusive. Perché ci può essere una costruzione abusiva che resta in piedi e un’altra, perfettamente in regola con le leggi dell’epoca in cui è stata fatta, che si sbriciola come cartapesta. E i materiali scadenti con i quali sono state costruite alcune case poi crollate, cui allude la Protezione Civile potrebbero essere non frutto di illeciti urbanistici o di costruzione, ma semplicemente manufatti antichi che non hanno retto in assenza di manutenzione e pertanto sono oggi giudicati scadenti. L’inchiesta sarà lunga e sarà volta ad accertare se le abitazioni crollate fossero davvero costruite con cemento impoverito. Ma dalle prime verifiche sembra che a crollare siano state le abitazioni, come accade spesso, costruite nei secoli scorsi e che non hanno mai avuto interventi di manutenzione straordinaria delle travi o delle fondazioni. Si può incolpare una scarsa cultura italica nel prevenire e nel non essere riusciti in tempo, per indisponibilità o incuria, a prepararsi al big one, ma non che si sia speculato con mafie e piani regolatori ad hoc. Perché quello è un altro problema, non necessariamente protagonista nei terremoti.  

Terremoto in Centro Italia un anno dopo: cosa non ha funzionato, scrive il 22 ed il 23 agosto 2017 Tele Ischia. “E’ assurdo strumentalizzare, come sta accadendo da più parti, tragedie come quella che hanno colpito Ischia a fini politici. In questo momento le istituzioni dovrebbero dimostrare unità e fare fronte comune per risolvere con solerzia la situazione di emergenza che attanaglia l’isola e la sua popolazione”. Così, in una nota, il senatore Ciro Falanga del gruppo Ala-Scelta Civica. “In particolare – aggiunge – destano stupore le dichiarazioni del dottor De Chiara, magistrato che si è prestato a un’operazione politica di sciacallaggio. De Chiara chiarisca se la chiesa crollata a Casamicciola era abusiva e, insieme a Bonelli e altri, dia uno sguardo alle notizie relative al terremoto del 1883 in cui persero la vita i genitori di Benedetto Croce, in un epoca in cui non esisteva l’abusivismo. Sono quindi lieto che i sindaci dei comuni ischitani abbiano tentato immediatamente di stroncare le polemiche relative a un presunto legame tra i danni causati dal sisma e gli abusi edilizi”. “Ad ogni modo, sono d’accordo con il ministro Delrio nel sostenere che i manufatti abusivi debbano essere demoliti, ma sono tanto più vicino alla posizione del titolare del dicastero delle Infrastrutture e dei Trasporti che si è detto favorevole all’individuazione di criteri atti a stabilire delle priorità negli abbattimenti. È precisamente questo lo scopo del Ddl a mia prima firma che attende il via libera definitivo alla Camera”, conclude Falanga. 

“L’abusivismo non c’entra niente in questo terremoto, i giornalisti che lo dicono sono dei disgraziati. Non nego che ci sia abusivismo, come in tutta Italia”, ma “definirci capitale dell’abusivismo è un affronto al popolo di Casamicciola. Quelle venute giù son case vecchie di cent’anni”. Così il sindaco di Casamicciola, Giovan Battista Castagna. “A Casamicciola ci sono sicuramente case condonate. E allora? Condonate significa messe in regola, il proprietario ha ammesso di aver costruito qualcosa in difformità e ha pagato una sanzione, come previsto dalla legge. Vogliamo criminalizzarli per questo?”, dice Castagna. “Noi siamo zona sismica quindi tutte le nuove case e gli interventi sulle case esistenti sono a norma”, o almeno “dovrebbero essere fatti a norma”, prosegue il sindaco. “Se qualcuno non lo fa, e ci sarà pure, sbaglia. Ma da qui a gettare la croce addosso su Casamicciola, ce ne corre”.

Ischia: De Luca, abusivismo non c'entra. Sono venute giù una casa vecchia e cornicioni secolo scorso, scrive l'Ansa il 22 agosto 2017. "In Italia siamo abituati ad avere due facce delle tragedie, quella drammatica, dei feriti, dei morti, delle attività economiche messe in crisi, e un'altra faccia che è quella dello sciacallismo, delle strumentalizzazioni, della confusione tra questioni che non c'entrano niente con il terremoto. È crollata un'abitazione vecchia e sono crollati dei cornicioni di un immobile costruito nel secolo scorso. Nessuna connessione tra questi fatti e l'abusivismo". Così il presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca, stasera sui luoghi del terremoto.

“Non ho mai parlato di sanatoria o di condono. Io sostengo che si deve uscire dalla situazione di impasse attuale con scelte secche. Quel che va abbattuto, si abbatta. Quel che si deve salvare, si salvi. Però si deve prendere una decisione. Io voglio uscire da questo ambientalismo parolaio, perché a furia di fare finto ambientalismo, in questi 25 anni gli immobili sono rimasti lì e gli sversamenti sono finiti nei terreni. Ma si sono tutti ripuliti la coscienza con grandi chiacchiere”. Così il governatore della Campania, Vincenzo De Luca. “La nostra legge sostiene che bisogna distinguere. Ci sono quattro casistiche che non si possono ammettere: se si è costruito in zone di vincolo idrogeologico, se c’è un vincolo assoluto di inedificabilità, se hanno costruito imprese colluse con la camorra, se il proprietario ha altre proprietà, allora bisogna abbattere”, spiega De Luca. “Con queste demolizioni, già un 30 o 40% delle case abusive verrebbe demolito. Il resto, a discrezione dei Consigli comunali, può essere requisito e destinato a edilizia sociale”. Ad Ischia, dove c’è un vincolo di inedificabilità, secondo questa legge si dovrebbe demolire. “Se c’è un vincolo assoluto, bisogna abbattere. Così come – prosegue De Luca – non possiamo mica ammettere che ci sia una casa costruita su un soffione. È buonsenso. Ma il resto deve venire alla luce. Non è possibile che, siccome sono abusivi, non possono collegarsi alla fogna e così versano dove capita. Non è possibile che non paghino gli oneri della Bucalossi”. “La nostra non è una collettività di abusivi. Ora basta”. Lo ha detto il sindaco di Ischia (Napoli), Enzo Ferrandino, che ha lanciato un appello alla stampa: “Dite come realmente stanno le cose”. “L’Isola d’Ischia non è un’isola terremotata – ha proseguito – una diversa rappresentazione della vicenda sta arrecando più danni del terremoto”.

Il sindaco di Procida continua a manifestare la suo grande solidarietà al popolo ischitano e fotografa con grande obiettività il dopo terremoto. Ecco una sua dichiarazione.

“Avevamo detto che saremmo stati vicini agli ischitani secondo le loro necessità.  Per i soccorsi, la Protezione Civile ha dimostrato ancora una volta che è capace ed insostituibile.  Per la comunicazione, occorre aiutare a far capire che al momento l’isola d’Ischia è un luogo sicuro allo stesso livello del resto d’Italia.  Non sono stati decisi piani di evacuazione che altrimenti avrebbero dovuto riguardare anche i residenti! Dico questo perché addirittura a Procida chiamano turisti allarmati chiedendo informazioni sul terremoto. E Procida è un’isola piatta che mai nella sua storia ha subito particolari danni dai movimenti della terra! La scossa di ieri non ha avuto da noi alcuna conseguenza, come è stato per la grandissima parte del territorio di Ischia. Per questo abbiamo l’obbligo di rassicurare i residenti e gli ospiti che non c’è alcuna ragione per considerare le nostre isole a rischio più di quanto non lo siano altri comuni d’Italia. Ischia è viva e Ischia continua ad essere una terra eccezionale”.

Sindaci di Ischia: non c'è correlazione tra i crolli e l'abusivismo, scrive il 22 Agosto 2017 "La Gazzetta del Mezzogiorno". I sei sindaci dei comuni dell’isola di Ischia, in una nota congiunta, «deplorano le notizie false relative a presunti danni e crolli in tutta l'isola e alle inesistenti connessioni tra l’evento sismico e i fenomeni legati all’abusivismo edilizio, rilevando che i crolli circoscritti alla zona colpita, hanno interessato per lo più strutture antiche e risalenti tra le quali finanche una chiesa già distrutta dal terremoto del 1883 e poi riedificata». I sei sindaci dell’isola di Ischia, in una nota congiunta, «esprimono vivo cordoglio e vicinanza alle famiglie delle vittime del terremoto che ha colpito la zona nord-occidentale dell’isola e in particolare il comune di Casamicciola terme». Ringraziano inoltre «i soccorritori, i Vigili del fuoco, la Protezione civile e le forze dell’ordine per la straordinaria opera di assistenza alla popolazione». Invitano infine «la popolazione residente e gli ospiti dell’isola a stringersi ai soccorritori non facendo mancare il sostegno della vicinanza e della solidarietà».

Terremoto, l’urbanista: “chi parla oggi di abusivismo a Ischia strumentalizza”, scrive "L'Adnkronos il 22 Agosto 2017. Oliviero, Casamicciola è storicamente la zona di Ischia più vulnerabile ai terremoti. “La zona di Casamicciola è storicamente la più vulnerabile ai terremoti a Ischia. Lo dicono i dati storici. Parlare di abusivismo edilizio in questi casi vuol dire strumentalizzare la vicenda”. Così Antonio Oliviero, architetto urbanista che sta redigendo il piano urbanistico di Forio, uno dei comuni di Ischia, commenta con Labitalia il terremoto che ha colpito ieri sera l’isola. Secondo Oliviero “l’abusivismo edilizio va contrastato seriamente: esiste sull’isola, in Campania e nel resto d’Italia, ma parlarne adesso non credo che sia corretto, è banalizzare la vicenda”. Per l’esperto “il territorio va gestito con interventi nel tempo e non aspettando le calamità, come avviene in Italia. Qui da noi al dibattito dopo i crolli e le tragedie non seguono mai interventi concreti con investimenti di risorse”.

L’ITALIA DEGLI ABUSI EDILIZI PER NECESSITA’.

L'Italia dei condoni. Mansarde, villette e seminterrati. Regione che vai, sanatoria che trovi. La motivazione è sempre la stessa: "Contenere il consumo del suolo”. In realtà spesso è la formula usata dalla politica per aggirare le norme e aggiustare gli abusi edilizi, scrive Sergio Rizzo il 31 luglio 2017 su "La Repubblica". La foglia di fico è sempre la stessa, e quando la mettono si aspettano persino l'applauso: "Contenere il consumo del suolo". C'è scritto questo nella sanatoria delle mansarde, che la Regione Lazio sta prorogando da otto anni a questa parte, e c'è scritto questo pure nella sanatoria delle cantine, fresca di pubblicazione sul bollettino ufficiale della Regione Abruzzo. Avete capito bene: le cantine. Chi non sottoscriverebbe una legge regionale sul "Contenimento del consumo del suolo attraverso il recupero dei vani e locali del patrimonio edilizio esistente"? Leggendo il titolo si potrebbe immaginare un provvedimento per favorire il riuso degli immobili abbandonati, spesso così belli da lasciare senza fiato, dei quali l'Italia è piena. Prima però di aver scorso il testo, scoprendo che delimita invece quel recupero ai "vani e locali seminterrati " da destinare "a uso residenziale, direzionale, commerciale o artigianale ". Ma non religioso: sia chiaro. Perché la sanatoria delle cantine decretata dalla Regione Abruzzo esclude invece espressamente, all'articolo 3, la possibilità di cambiare la destinazione d'uso dei seminterrati "per la trasformazione in luoghi di culto". Insomma, fateci tutto, anche un bed & breakfast (non è forse attività residenziale?). Tranne che una moschea. Certo, per ottenere questo curioso condono (termine che di sicuro i proponenti rigetteranno sdegnati) bisognerà pagare gli "oneri concessori". Se però l'intervento riguarda la prima casa è previsto uno sconto del 30 per cento. Va pure da sé che i locali debbano avere determinate caratteristiche. Per farci abitare gli esseri umani sono necessari impianti di "aero-illuminazione" (testuale nella legge) e l'altezza dei locali non può essere inferiore a due metri e quaranta. Ma a trovarle, cantine così alte... Niente paura. Anche in questo caso la legge della Regione Abruzzo offre una elegante scappatoia. Eccola: "Ai fini del raggiungimento dell'altezza minima è consentito effettuare la rimozione di eventuali controsoffittature, l'abbassamento del pavimento o l'innalzamento del solaio sovrastante ". Il vostro scantinato tocca a malapena uno e novanta? Niente paura: scavate un altro mezzo metro o alzate il solaio di cinquanta centimetri. Sempre rispettando "le norme antisismiche ", però. Dopo quello che è successo in Abruzzo, è il minimo. Già... Ma colpisce che nemmeno il terremoto sia stato capace di frenare lo stillicidio delle sanatorie. Anzi. Qualche mese fa c'è stato chi ha rivelato che i contributi pubblici per il sisma non avrebbero discriminato le case abusive. Suscitando la reazione risentita delle strutture commissariali, anche se nessuna smentita ha potuto cambiare la realtà dei fatti: per ottenere i denari statali è sufficiente autocertificare che l'abitazione andata distrutta non era interamente abusiva. E poi presentare domanda di sanatoria. La prova, se ce ne fosse ancora il bisogno, che abusivismo e condoni se ne infischiano anche delle scosse telluriche del settimo grado. Il vecchio caro condono edilizio ha così pian piano cambiato pelle. Sbarrata la strada in Parlamento, si è aperto la via nelle pieghe delle leggi regionali assumendo le forme più subdole e creative. Non soltanto per i sottotetti, come nel Lazio e in Lombardia (Regione che ha deliberato anch'essa il salvataggio delle mansarde), o per le cantine, come in Abruzzo. Emblematico è il caso della Campania, dove il Consiglio regionale ha appena sfornato una legge per l'adozione di "linee guida per supportare gli enti locali che intendono azionare misure alternative alla demolizione degli immobili abusivi". Tradotto dal burocratese, sono le direttive alle quali si devono attenere i Comuni per evitare di buttare giù le costruzioni illegali. Per esempio, si deve valutare "il prevalente interesse pubblico rispetto alla demolizione". Come pure tenere debitamente conto dei "criteri per la valutazione del non contrasto dell'opera con rilevanti interessi urbanistici, ambientali o di rispetto dell'assetto idrogeologico ". E che dire dei "criteri di determinazione del requisito soggettivo di 'occupante per necessità"? Ecco dunque gli abusivi per bisogno, quella figura mitica capace di spazzare via ogni tabù ambientale con relativo senso di colpa. In Campania sono il corpo elettorale fra i più consistenti e la tentazione di grattargli la pancia, tipica di certa destra, ha ormai fatto breccia anche presso certa sinistra. I Verdi hanno adesso chiesto al governo di Paolo Gentiloni di impugnare la legge votata dalla Regione governata dal suo compagno di partito Vincenzo De Luca e di stroncare insieme anche la sanatoria delle cantine che ha fatto breccia nel cuore dell'Abruzzo presieduto da un altro dem: Luciano D'Alfonso. Arduo prevedere con quali speranze di successo. Probabilmente non più di quante ne abbiano gli oppositori di una recentissima leggina della Regione Sardegna, ora governata dal centrosinistra di Francesco Pigliaru, per bloccare la possibile invasione delle coste dell'isola con bungalow e casette di legno. Nel provvedimento sul turismo è spuntata infatti la possibilità per i camping isolani di piazzare costruzioni mobili (ma nella versione iniziale erano ammesse anche nella versione non amovibile) al fine di "soddisfare esigenze di carattere turistico". Le quali, precisa il disegno di legge, "non costituiscono attività rilevante ai fini urbanistici ed edilizi". Sono quindi case vere e proprie, ma è come se non lo fossero. Bisogna ricordare che questa non è una novità assoluta. Anche in precedenza le leggi regionali consentivano di impiantare strutture del genere nei camping. Ma all'inizio non si poteva superare il 25 per cento della capacità ricettiva di un campeggio. Poi si è saliti al 40. E ora al 45. Arrivare al 100, di questo passo, sarà uno scherzo...

E' facile parlare di lotta all'abusivismo edilizio da parte di chi l'abitazione ce l'ha, per eredità, per censo o per occupazione/assegnazione di una casa di edilizia popolare a spese della collettività. Ma chi tutela chi la casa non ce l'ha per colpa di amministratori negligenti ed incompetenti, che mai predispongono i piani urbanistici generali o i servizi urbanistici primari?

Questa deriva comunista-giustizialista fa diventare reato anche un sacrosanto diritto di avere un tetto sulla testa.

Diritto all'abitazione. Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. «Ogni individuo ha diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia, con particolare riguardo (...) all'abitazione.» (Articolo 25 della Dichiarazione universale dei diritti umani).

Il diritto all'abitazione (conosciuto anche come "diritto alla casa" oppure "diritto all'alloggio") è il diritto economico, sociale e culturale ad un adeguato alloggio e riparo. È presente in molte costituzioni nazionali, nella Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo e nella Convenzione internazionale sui diritti economici, sociali e culturali art. 31, uno dei primi documenti a farne menzione esplicita, nel Trattato di Lisbona art. 34.3.

Il diritto all'abitazione viene riconosciuto in una serie di trattati internazionali sui diritti umani:

L'articolo 25 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo e l'articolo 11 della Convenzione internazionale sui diritti economici, sociali e culturali (ICESCR) riconoscono il diritto alla casa come parte del diritto ad un adeguato standard di vita. Nel diritto internazionale dei diritti umani, il diritto all'abitazione è considerato un diritto indipendente; infatti il Commento Generale n.4/1991 sullo "adeguato alloggio" approvato dal Comitato delle Nazioni Unite sui diritti economici, sociali e culturali fornisce un'interpretazione autorevole in termini legali e ai sensi del diritto internazionale.

I Principi di Yogyakarta sull'applicazione del diritto internazionale dei diritti umani in materia di orientamento sessuale ed identità di genere afferma che "ognuno ha il diritto ad un alloggio adeguato, compresa la protezione dallo sfratto, senza discriminazioni e che gli Stati membri devono prendere tutte le necessarie misure legislative, amministrative e di altro tipo per garantire la sicurezza del possesso e per l'accesso a prezzi convenienti per case abitabili, accessibili, culturalmente appropriate e sicure, comprese i ripari ed altri alloggi di emergenza, senza discriminazioni derivanti dall'orientamento sessuale, identità di genere o dallo status materiale o familiare;

adottare tutti i provvedimenti legislativi, amministrativi e altre misure per vietare l'esecuzione di sfratti che non siano conformi agli obblighi internazionali sui diritti umani e garantire che i rimedi legali idonei siano adeguati, efficaci e disponibili per colui che ritenga che il diritto alla protezione contro gli sfratti forzati è stato violato o è sotto la minaccia di violazione, compreso il diritto di reinsediamento, che include il diritto ad una alternativa di migliore o uguale qualità e ad un alloggio adeguato, senza discriminazioni.

Il diritto alla casa è altresì sancito anche dall'articolo 28 della Convenzione ONU per i diritti delle persone con disabilità, dall'articolo 16 della Carta sociale europea (articolo 31 della Carta sociale europea riveduta) e nella Carta africana dei diritti dell'uomo e dei popoli. Secondo il Comitato delle Nazioni Unite sui diritti economici, sociali e culturali, gli aspetti del diritto alla casa includono: la sicurezza legale del possesso; la disponibilità di servizi, materiali, strutture e infrastrutture; l'accessibilità; l'abitabilità; l'adeguatezza della posizione e della culturale. Come obiettivo politico, il diritto alla casa è stato dichiarato nel celebre discorso del 1944 di Franklin Delano Roosevelt sul Second Bill of Rights, ed è sostenuto da varie associazioni di cittadini. La disciplina francese e tedesca della locazione abitativa costruiscono dagli anni '80 un modello di locazione a tempo indeterminato con recesso del locatore solo per giusta causa, in cui il diritto all'abitazione è trattato come un diritto soggettivo perfetto, essendo il locatario destinato a essere maggiormente tutelato quale parte contrattuale debole rispetto al locatore. La Corte europea dei diritti dell'uomo ha considerato che la perdita dell'abitazione costituisce una violazione al diritto al rispetto del (la libertà di) domicilio (Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea art. 7) e che qualsiasi persona che rischi di esserne vittima avrebbe diritto, in linea di principio, a poter far esaminare la proporzionalità di tale misura (v. sentenze Corte EDU, McCann c. Regno Unito, n. 19009/04, § 50, CEDU 2998, e Rousk c. Svezia, n. 27183/04, § 137).

Nella Costituzione italiana il diritto all'abitazione è richiamato all'art. 47 e in ripetute sentenze della Consulta:

<<è doveroso da parte della collettività intera impedire che delle persone possano rimanere prive di abitazione>> (n. 49/1987);

<<Il diritto all'abitazione rientra infatti, fra i requisiti essenziali caratterizzanti la socialità cui si conforma lo Stato democratico voluto dalla Costituzione>> (Corte cost., sent. n. 217 del 1988.);

<<il diritto a una abitazione dignitosa rientra, innegabilmente, fra i diritti fondamentali della persona>> (Corte cost. sent. n. 119 del 24 marzo 1999);

<<Creare le condizioni minime di uno Stato sociale, concorrere a garantire al maggior numero di cittadini possibile un fondamentale diritto sociale, quale quello all'abitazione, contribuire a che la vita di ogni persona rifletta ogni giorno e sotto ogni aspetto l'immagine universale della dignità umana, sono compiti cui lo Stato non può abdicare in nessun caso>> (Corte cost. sent. n. 217 del 25 febbraio 1988);

<<indubbiamente l'abitazione costituisce, per la sua fondamentale importanza nella vita dell'individuo, un bene primario che deve essere adeguatamente e concretamente tutelato dalla legge>> (sentenza n. 252 del 1983)

Con sentenze 310/03 e 155/04 il blocco degli sfratti è dichiarato giustificato solo in quanto di carattere transitorio e per <<esigenze di approntamento delle misure atte ad incrementare la disponibilità di edilizia abitativa per i meno abbienti in situazioni di particolari difficoltà>>, senza che esso possa tradursi in una eccessiva compressione dei diritti del proprietario, interamente onerato dei costi relativi alla soddisfazione di tale diritto.

DDL Falanga, fine dei giochi a settembre diventa legge! La gradualità che “salva” le case stabilmente abitate. Scrive Gaetano Di Meglio il 2 agosto 2017 su "Il Dispari Quotidiano”. Con la dichiarazione di irricevibilità degli emendamenti proposti in Commissione Giustizia della Camera dei Deputati, si è conclusa oggi l’ultima tappa dell’iter legislativo del Disegno di legge “Disposizioni in materia di criteri di priorità per l’esecuzione di procedure di demolizione di manufatti abusivi”, prima del suo approdo nell’Aula di Montecitorio previsto per i primi di settembre. Lo annuncia l’onorevole Carlo Sarro (FI), componente dell’organismo parlamentare, che ha ricevuto dalla Commissione Giustizia il mandato di Relatore d’Aula unitamente all’onorevole Marco di Lello (Correlatore). “Con la calendarizzazione a settembre del provvedimento – spiega l’esponente di Forza Italia -, si chiude definitivamente l’iter di approvazione del disegno di legge e, quindi, si potrà finalmente fare riferimento a criteri oggettivi e preventivi per stabilire l’ordine di priorità nell’esecuzione delle demolizioni”. “Dunque – conclude l’onorevole Sarro -, non più arbìtri ma riferimenti oggettivi e certi”. Per quanti credono nella bontà della legge voluta dal senatore azzurro Ciro Falanga sì ad un passo dal traguardo. Ora che la Commissione Bilancio e la Commissione Giustizia della Camera hanno dato il via libera alla calendarizzazione in aula del testo la strada si fa tutta in discesa.

Insieme con il senatore Falanga e l’onorevole Carlo Sarro, da sempre, l’avvocato Bruno Molinaro è uno di quelli che ci hanno messo la faccia e si sono esposti, in maniera chiara, anche davanti alle posizioni della Procura, dei Verdi e di quanti, senza considerare l’aspetto umano legato alla tragedia dell’abusivismo edilizio, riescono solo a restare fermi, come cani legati, ad abbaiare, rabbiosi, contro ogni iniziativa che sappia contemperare anche l’aspetto umano di molte RESA. Non c’è solo la camorra, non c’è solo la speculazione. Ma tra tanta camorra e tanta speculazione c’è anche una fetta di umanità e di necessità che merita di essere tutelata. «Apprendo con soddisfazione – ci ha detto l’avvocato Molinaro – che anche la VII Commissione della Camera dei Deputati ha confermato la piena legittimità costituzionale del DDL FALANGA, soprattutto alla luce del fatto che il principio di obbligatorietà dell’azione penale non ne risulta minimamente intaccato, vieppiù se si considera che trattasi non già di sanare abusi edilizi ma di eseguire piuttosto, sia pure secondo modalità predefinite, sentenze di condanna passate in cosa giudicata e che, in ogni caso, allorquando il DDL elegge a criterio di priorità (“di regola”) quello della demolizione dei fabbricati in corso di costruzione, non fa altro che rafforzare la volontà del legislatore di evitare che gli illeciti accertati vengano portati a conseguenze ulteriori. Da notare che il parere appena licenziato si segnala anche per l’esplicita ammissione secondo cui la norma in questione “riduce l’insorgenza di eventuale contenzioso e di incidenti di esecuzione”. Molti ricorderanno – evidenzia Molinaro – che qualche tempo fa il Procuratore Generale di Napoli Luigi Riello, in una intervista al quotidiano La Stampa, aveva invece affermato che la “legge”, per oggettive difficoltà interpretative ed applicative, finisce per determinare un vertiginoso aumento del contenzioso, con gli avvocati chiamati a fare il loro mestiere, e nuovi carichi di lavoro per i magistrati. Personalmente sono sempre stato convinto del contrario perché un avvocato serio ed intellettualmente onesto non ha alcun interesse a consigliare al proprio cliente di proporre un incidente di esecuzione per opporsi alla demolizione di un fabbricato allo stato grezzo. E di fabbricati grezzi, scheletri ed ecomostri incompleti il territorio italiano, purtroppo, soprattutto nella fascia costiera, è pieno. Dunque, con il DDL Falanga, una volta approvato, si fa giustizia di queste brutture, si aiuta l’ambiente e si riduce il numero delle cause. Il DDL Falanga, inoltre, contrariamente a quanto sostenuto da qualche parlamentare sprovveduto, non vanifica affatto, né ridimensiona in qualche modo gli effetti dell’ottima proposta di legge volta all’azzeramento del consumo del suolo entro il 2050, già approvata alla Camera. Quest’ultima, infatti, prevede, a grandi linee, incentivi alla rigenerazione urbana ed il riuso degli edifici sfitti e delle aree dismesse, occupandosi, altresì, della riqualificazione energetica e della demolizione e ricostruzione degli edifici energivori. Si tratta, quindi, di una “legge” che va ad incidere sul patrimonio edilizio esistente ma – beninteso – solo su quello legittimo, non anche su quello abusivo, oggetto, peraltro, di sentenze irrevocabili. D’altronde, non potrebbe essere altrimenti, in quanto il patrimonio edilizio abusivo non può nemmeno formare oggetto di interventi di manutenzione, dovendo essere demolito. Rigenerazione, riuso e riqualificazione sono, per forza di cose, termini assolutamente incompatibili – conclude l’avvocato ischitano – con la gestione delle opere abusive la cui unica sorte è soltanto quella di essere eliminate prima o poi».

All’articolo 1 del decreto legislativo 20 febbraio 2006, n. 106, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al comma 6, dopo la lettera c) è aggiunta la seguente: « c-bis) i criteri per l’esecuzione degli ordini di demolizione delle opere abusive disposti ai sensi dell’articolo 31, comma 9, del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, e degli ordini di rimessione in pristino dello stato dei luoghi disposti ai sensi dell’articolo 181, comma 2, del codice di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, nell’ambito dei quali è data adeguata considerazione:

1) agli immobili di rilevante impatto ambientale o costruiti su area demaniale o in zona soggetta a vincolo ambientale e paesaggistico o a vincolo sismico o a vincolo idrogeologico o a vincolo archeologico o storico-artistico;

2) agli immobili che per qualunque motivo costituiscono un pericolo per la pubblica e privata incolumità, nell’ambito del necessario coordinamento con le autorità amministrative preposte;

3) agli immobili che sono nella disponibilità di soggetti condannati per i reati di cui all’articolo 416-bis del codice penale o per i delitti aggravati ai sensi dell’articolo 7 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, o di soggetti ai quali sono state applicate misure di prevenzione ai sensi della legge 31 maggio 1965, n. 575, e del codice di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 »; b) dopo il comma 6 è inserito il seguente: « 6-bis. Nell’ambito di ciascuna tipologia di cui alla lettera c-bis) del comma 6, determinata con provvedimento del titolare dell’ufficio requirente, tenendo conto dei criteri di cui alla medesima lettera e delle specificità del territorio di competenza, la priorità è attribuita, di regola, agli immobili in corso di costruzione o comunque non ultimati alla data della sentenza di condanna di primo grado e agli immobili non stabilmente abitati».

De Luca: “Salvo l’abusivismo di necessità”, scrive il 6 giugno 2015 "Il Dispari Quotidiano". Ai microfoni di Radio24 dopo le anticipazioni al “Dispari”: «Una sanatoria per le case non a rischio». De Luca, come ci ha abituato da sempre, non le manda certo a dire. “Non vendo fumo e al di là delle chiacchiere da salotto noi siamo già qui a lavorare” ha commentato deciso, in queste ore, al giornalista di Radio24 che lo ha intervistato sui grandi temi della sua campagna elettorale. E così Vincenzo De Luca, che è in attesa della proclamazione ufficiale per insediarsi come governatore della Regione Campania, ha le idee ben chiare anche per quanto riguarda l’abusivismo, con una sanatoria che investirebbe tutti meno tre categorie di abuso ben precise. Pratico come sempre, dichiara – come aveva peraltro anticipato in un’intervista al Dispari – che è materialmente impossibile abbattere tutto ciò che è stato giudicato abusivo. “Se potessimo abbattere tutto lo avremmo già fatto – ha aggiunto ai microfoni di Radio24 – noi viviamo di ipocrisia, abbiamo in Campania credo la legislazione vincolistica più stringente del mondo, tremila leggi. Con il risultato che abbiamo il tasso più alto di abusivismo. 80.000 alloggi abusivi. Lei mi sa dire chi è in grado di demolire 80.000 alloggi? Faccio solo un esempio, avete le cave dove portare il materiale di risulta?”. Ed ecco la soluzione firmata De Luca: “Bisogna fare una cosa di grande buon senso. Nella mia ipotesi escludo la possibilità di sanatoria per tre categorie: primo abusivismo in luoghi di vincolo assoluto, se hai costruito sotto Ravello o Sorrento devi essere demolito; impossibilità di sanatoria per chi ha costruito in zone con pericolo per la pubblica incolumità, se costruisci sul greto del fiume devi essere demolito e non puoi essere sanato se avevi già un alloggio di proprietà e hai fatto l’abuso. Per il resto si approvano leggi per consentire, nell’ambito di piani di recupero, di mettere ordine e far pagare il dovuto a chi ha fatto abusivismo di necessità.” Un progetto lineare che non è da considerarsi come un condono. Ma come sanatoria “per quelli che non rientrano nelle tre categorie. Poi se c’è un povero cristo che in una zona interna della Campania senza danneggiare il paesaggio ha fatto un abuso siccome non abbiamo alternative, verrà applicata una legge – continua De Luca – a me non piace la sanatoria, ma mi confronto con la realtà: è materialmente impossibile demolire 80.000 alloggi. Se c’è qualcuno che ha una idea in proposito io sono il primo a mettermi avanti e non dietro per metterla in atto.”

"In Sicilia abusivismo di necessità". E Mannino attacca Cancelleri, scrive Salvo Cataldo Mercoledì 9 Agosto 2017 su "Live Sicilia". Giancarlo Cancelleri distingue tra "l'abusivismo che non è tollerabile" e "l'abusivismo di necessità", e la deputata alla Camera Claudia Mannino, grillina della prima ora ma autosospesa dal gruppo parlamentare M5s per via dell'inchiesta sulle presunte firme false di Palermo, va all'attacco del candidato governatore pentastellato: "Sono davvero sorpresa nel prendere atto che il M5S abbia cambiato posizione sull'abusivismo edilizio, allineandosi al pensiero di vari sostenitori di una categoria di comodo, talvolta inesistente, che essi definiscono 'abusivismo di necessità'", sono le parole che la deputata scrive sul suo profilo Facebook. Parole che arrivano all'indomani del collegamento televisivo della trasmissione 'In Onda', su La7, nel corso della quale Cancelleri aveva affrontato il tema dell'abusivismo edilizio. "Dobbiamo distinguere tra due canali: il primo è un abusivismo che non è tollerabile e che ha invaso le nostre coste, che è a meno di 150 metri dal mare e che insiste in zone di inedificabilità assoluta - afferma -. Poi c'è un abusivismo di necessità, perché in questa regione non sono mai stati fatti i piani casa, perchè L'Istituto autonomo case popolari non ha dato la casa a chi ne aveva bisogno e allora - aggiunge Cancelleri - chi non aveva soldi ma aveva un po' di arte la casa se l'è fatta". Secondo Cancelleri "i territori non sono tutti uguali. A Bagheria - prosegue - abbiamo fatto un regolamento comunale che non butta giù le case della povera gente che però non insistono nei 150 metri o nelle zone di vincolo e inedificabilità assoluta". E infine aggiunge: "Davanti a una ordinanza di demolizione della magistratura saremo i primi a portarla a termine". Parole che accendono la risposta di Mannino, componente della commissione sulle condizioni di sicurezza e sullo stato di degrado delle città e delle loro periferie. "Parlare di abusi di necessità significa non affrontare un cancro che devasta quotidianamente la Sicilia e tante altre regioni d'Italia. Non è solo una questione di legalità e rispetto dell'ambiente ma anche di sicurezza. Non lamentiamoci poi quando dopo qualche precipitazione le case vengono giù". Secondo Mannino "gli argomenti di Cancelleri sono gli stessi di chi tenta di far passare l'ipotesi dell'ennesima sanatoria e del governatore campano De Luca". La deputata palermitana poi chiede ironicamente: "Se dovesse essere eletto anche Cancelleri assisteremo ad un regno abusivo delle due Sicilie?". Critiche anche sulla frase delle ordinanze di demolizione: "La Regione non se ne occupa, le emettono magistratura e comuni, e non eseguirle costituisce reato. Il modello Bagheria? Non esiste, c'è una legge e va rispettata....sempre che non si pensi ad una nuova sanatoria regionale". E infine l'affondo contro Cancelleri: "Schierarsi improvvisamente dalla parte degli abusivi, dopo anni di lotte spesi per contrastare questo grave problema, è un voltafaccia inaspettato, che ha sapore di opportunismo elettorale.

Di Maio: "Se l’abusivismo è colpa della politica la casa resta un diritto". Il leader M5S. La linea dalla Sicilia: "Si abbatta quando lo ordina il giudice, ma non si voltino le spalle a chi paga l'assenza di pianificazione", scrive Annalisa Cuzzocrea il 13 agosto 2017 su "La Repubblica". "Se un giudice dice che un immobile va abbattuto, si fa. Ma non possiamo voltare le spalle a chi ha una casa abusiva perché la politica non ha fatto il suo dovere". Luigi Di Maio spiega così le parole del candidato governatore M5S in Sicilia Giancarlo Cancelleri sugli "abusivi di necessità ". "La prima casa è un diritto, con noi al governo non si potrà pignorare", dice il vicepresidente della Camera. Che è ancora sull'isola, nonostante il tour con Cancelleri e Alessandro Di Battista sia sospeso per qualche giorno. Il tempo di passare ferragosto in famiglia e ricaricare i pulmini elettrici.

Con l'abusivismo edilizio bisogna essere intransigenti o no?

"La polemica sulle parole di Cancelleri è incomprensibile. Ciò che la magistratura dice di abbattere, si butta giù. Ma Giancarlo ha anche detto che non puoi voltare le spalle a quei cittadini che oggi si ritrovano con una casa abusiva a causa di una politica che per anni non ha fatto il suo dovere, cioè piano casa e piani di zona. Sia chiaro, la casa è un diritto e se andremo al governo introdurremmo anche l'impignorabilità della prima casa, da parte dello Stato e delle banche. Uno Stato democratico deve garantire i diritti primari dei suoi cittadini".

Il banale giornalismo dell’ambientalismo. Riflessione di Giuseppe Mazzella su Teleischia il 7 agosto 2017. Roberto Della Seta è un giornalista, saggista e politico italiano di 58 anni che è nato e vive a Roma.E’ stato presidente di Legambiente, membro dell’assemblea costituente del PD, senatore del PD nel 2008 e non ricandidato nel 2013, ha fondato un movimento ecologista che si chiama Green Italia. Ha un blog dove dichiara che ha una laurea in storia contemporanea. Ha scritto un articolo su “ Repubblica” domenica 6 agosto 2017 dal titolo “ Il condono declassato” in cui esprime la sua contrarietà alla cosiddetta “ Legge Falanga”, già approvata al Senato ed ora al voto finale alla Camera.“ La norma è apparentemente banale, fissa una gerarchia di priorità per gli interventi di demolizione degli immobili abusivi: per primi vanno abbattuti quelli in costruzione, poi gli edifici realizzati in aree demaniali o in zone di pregio paesaggistico o a rischio idrogeologico dopo ancora quelli in uso a mafiosi e camorristi” spiega Della Seta che afferma anche che “ per la prima volta in una legge dello Stato verrebbe istituzionalizzato il principio dell’ abusivismo “ di necessità”.“ Ora, chiunque conosca un poco la storia dell’ abusivismo edilizio in Italia – continua il giornalista, saggista e politico –sa bene che proprio l’ abusivismo “ di necessità” è stato il pretesto con cui si sono giustificate le grandi sanatorie e con cui centinaia di amministratori hanno colpevolmente, spesso dolosamente chiuso gli occhi davanti al fenomeno”. De Seta ritiene che “abusivismo “di necessità e “abusivismo speculativo” sono il più delle volte indistinguibili” e per dimostrarlo cita il caso dell’isola d’ Ischia dove “le case abusive sono sorte come i funghi per poi affittarle a 1000 o 2000 euro a settimana”. De Seta esprime anche la sua contrarietà ai “condoni edilizi” ricordando che in Italia ce ne sono stati tre di cui gli ultimi nel 1994 e nel 2003 firmati da Berlusconi. Ancora. De Seta critica il PD che vuole votare la “Legge Falanga” e chiede un “ripensamento” poiché sostiene che “la logica delle grandi intese è nemica dell’interesse generale”. Francamente ritengo questo giornalismo “banale” dell’ambientalismo italiano capace solo di dire NO a tutto ed incapace di dire “SI MA…” e cioè di mettere in esecuzione una seria e realistica Pianificazione Territoriale. De Seta – da laureato in storica contemporanea – dovrebbe conoscere la storia della “ mancata “ pianificazione territoriale proprio nell’ isola d’ Ischia, esempio paradigmatico di un lunghissimo periodo – circa 70 anni – in cui le classi politiche di tutti i colori della prima e della seconda Repubblica sono state incapaci di mettere in esecuzione una REALISTICA Pianificazione Territoriale con una altrettanto REALISTICA Programmazione Economica perché l’ isola d’ Ischia non ha mai avuto un Piano Regolatore Generale in esecuzione ed ha avuto un Piano Paesistico solo nel 1942 “ inapplicato” per 28 anni e cioè fino al 1970 mentre ha avuto un Ente di Diritto Pubblico nel 1952 con durata ventennale preposto alla “ Valorizzazione” con una incentivazione finanziaria dello Stato attraverso la Cassa per il Mezzogiorno affinchè si costruissero alberghi, terme, case vacanze, attività commerciali per permettere lo sviluppo economico dell’ isola. De Seta troverà la storia di uno sviluppo edilizio ed economico senza programmazione dal 1949 al 2012 nel mio libretto “Ischia, la pianificazione mancata (OSIS-2012). La mancanza di una SERIA Pianificazione Territoriale quella che avrebbe dovuto dire “SI MA…” e cioè costruire per lo sviluppo ma difendere l’ambiente e conciliare le due cose apparentemente inconciliabili – ma è questo è il compito della Politica – ha favorito l’ “abusivismo” perché era la strada obbligata in assenza di norme per l’ edificazione sia per chi voleva “ speculare” sia per chi voleva costruire una casa per se stesso o per i propri figli. Per avere un nuovo Piano Paesistico Urbanistico Territoriale che è strumento di tutela “ passiva” del territorio e non “ attiva” come dicono gli urbanisti bisogna aspettare il 1995 quando un Ministro “ tecnico” di un Governo “ tecnico” ( il Ministro dei Beni Culturali Paolucci del Governo Dini) approva con decreto e su dati obsoleti un Piano che si limita a vietare ogni modifica del territorio “ ingessando” uno sviluppo economico che per definizione non può essere “ ingessato” in una “ economia aperta” come dicono gli economisti. Il Ministro Paolucci lo fece esercitando i poteri “surrogatori” del Governo nei confronti della Regione Campania “inadempiente” per 11 anni ai sensi della “Legge Galasso” del 1984. In un anno i sei Comuni dell’isola avrebbero dovuto approntare un piano di “dettaglio” per le due leggi di condono edilizio del 1984 e del 1994 che hanno prodotto oltre 20mila pratiche di condono che NON è mai stato né fatto né approvato. Se oggi la Soprintendenza ai Beni Ambientali “approva” una “domanda di sanatoria” per i due condoni edilizi lo fa in modo del tutto “discrezionale”. Il condono del 2003 – per decisione del consiglio regionale della Campania – non si applica all’isola d’ Ischia considerata nella sua interezza di 46Km2 area di particolare interesse ambientale. Al dottor De Seta consiglio di leggere e studiare con attenzione il capitolo decimo della monumentale monografia sul terremoto di Casamicciola nell’ isola d’ Ischia del 28 luglio 1883 ( 1999- Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato) dal titolo “ la ricostruzione tra cronaca e storia” curato dall’arch. prof.ssa Ilia Delizia dove in dettaglio scrupoloso potrà conoscere la storia dei piani regolatori dei cinque Comuni colpiti dal 1884 al 1891, il ruolo dell’ ufficio distaccato del Genio Civile, il lavoro della commissione edilizia dell’ isola d’ Ischia soppressa il 26 aprile 1891. Bisogna vivere una realtà per poter capire un sistema economico e sociale, studiarne le contraddizioni e chiedere ma ottenere norme di civiltà praticabili in un quadro di un Diritto Certo e non sottoposto alla “discrezionalità” dei poteri pubblici. Da almeno 30 anni le popolazioni dell’isola – siamo circa 63 mila residenti – vivono in una “incertezza” del diritto che finisce per favorire la “speculazione edilizia” – fra l’altro praticamente estinta in questi ultimi 10 anni a causa di una visibile recessione economica – e punire proprio l’ “abusivismo di necessità” che invece si distingue, a mio parere, chiaramente dall’ “ abusivismo di rapina” praticato soprattutto negli anni ‘ 70 del ‘ 900. Se si spara nel mucchio si finisce di colpire l’innocente. 

Che cosa hanno in comune Ischia e Roma, scrive Roberto Arditti il 26 agosto 2017 su "Formiche.net". Sono o non sono la stessa cosa le vicende dello sgombero del palazzo abusivamente occupato a Roma e del terremoto a Ischia che colpisce e uccide anche a causa dell’abusivismo edilizio?

Purtroppo sono esattamente la stessa cosa, anche se è doloroso ammetterlo. Certo, lo sgombero ci porta alla complessa vicenda dei flussi migratori, mentre il terremoto, lasciati da parte gli aspetti imprevedibili, attiene alla gestione del territorio e di come costruiamo case e edifici pubblici.

In comune c’è però il modo tutto italiano di fare, autorizzare, condonare. Un modo dove le scartoffie sono tutto e i fatti seguono raramente alle parole vergate su carta bollata.

Prendiamo lo sgombero attuato a Roma, atto sacrosanto anche se maldestramente gestito. Punto primo quell’immobile è rimasto illegalmente occupato per quattro anni, un tempo scandaloso. Punto secondo a Roma sono oltre cento gli edifici in analoghe condizioni. Punto terzo abbiamo visto un palleggio scandaloso di responsabilità tra forze dell’ordine, comune e regione. Con il risultato che oggi il ministro Minniti ci informa che ha disposto (comprensibilmente) un stop agli sgomberi in attesa di definirne meglio i metodi.

Andiamo a Ischia. Sull’isola (divisa in sei comuni, ripeto sei comuni diversi) giacciono negli uffici oltre 20.000 domande di condono per ogni tipo di intervento sugli edifici. Questa è la Caporetto nazionale della gestione degli immobili, perché significa alzare la braccia di fronte al mostro che finisce per creare, quello secondo cui ognuno fa quel che vuole, poi si vedrà in sede di sanatoria. Per finire poi al paradosso più grave, che è quello delle demolizioni. Già perché pochi sanno come funziona, anche se è semplicissimo (in teoria). La demolizione viene disposta dall’autorità giudiziaria ma eseguita dal comune. Il quale spesso non vuole e qualche volta non può per mancanza di fondi. Con il risultato che nulla accade e la decisione resta valida solo sulla carta. Proprio come sulla carta sono gran parte delle attività amministrative in materia di sgomberi.

Ecco che il cerchio si chiude. È la Repubblica della carte bollate ipocrite e inconcludenti quella che andrebbe rasa al suolo. Sarebbe uno sgombero da Oscar.

Abusivi buoni e cattivi. Non tutti gli abusivi sono evidentemente uguali: quelli ischitani, quelli dei piani rialzati, sono da condannare senza processo, quelli africani che occupano un palazzo al centro di Roma sono da tollerare, scrive Nicola Porro, Sabato 26/08/2017, su "Il Giornale". Non tutti gli abusivi sono evidentemente uguali: quelli ischitani, quelli dei piani rialzati, sono da condannare senza processo, quelli africani che occupano un palazzo al centro di Roma sono da tollerare. Eppure entrambe le categorie sono illegali. Ed entrambe le categorie hanno a che fare con la casa e il suo diritto di proprietà. Ma come negli anni '70 un'infelice legislazione ha stabilito che nei rapporti di lavoro c'è una parte debole (il lavoratore) che gode di una presunzione di innocenza in un'eventuale controversia, così l'«occupante abusivo» di uno stabile gode di una protezione superiore al legittimo proprietario dello stesso. Se poi l'occupante è un centro sociale (ultimo il caso scandaloso di Bologna e del sindaco Merola) o un emigrante, la posizione debole si rafforza. Dicevamo che al centro di tutto vi è il diritto di proprietà. Gli abusivi ischitani lo hanno interpretato in senso estensivo e contro una legge di ordine pubblico. Costruiscono dove non devono o ampliano senza permesso. Ci si trova, i giuristi sofisticati ci perdoneranno, nel campo del diritto amministrativo-pubblico. Gli occupanti africani dello stabile a Roma violano invece una norma fondante del diritto privato: e cioè la tutela della proprietà. Per un liberale il diritto privato è alla base della nostra convivenza civile. Per farlo rispettare abbiamo inventato lo Stato, i tribunali, e abbiamo concesso loro il monopolio della violenza. Se potessimo fare una classifica degli orrori illiberali, verrebbe decisamente prima il furto della proprietà (ciò che banalmente succede quando un immobile viene occupato) rispetto all'utilizzo contro le norme pubblicistiche della stessa (l'apertura di una finestra, l'innalzamento di un piano). Non si capisce dunque come sia possibile tutta questa comprensione per i poveri cittadini sgomberati (il discorso non vale solo per gli eritrei di piazza Indipendenza) e l'implacabile pugno di ferro per gli abusivi ischitani e non solo. Non prendiamo le parti né dei primi né dei secondi. Ma cerchiamo semplicemente di dire che per un liberale la differenza tra il sindaco Merola che concede locali pubblici ad un centro sociale dopo averli sgomberati da un altro edificio, e il sindaco che non procede alle demolizioni, non esiste. Anzi Merola commette un delitto ancor maggiore.

Ps. Vivi complimenti al prefetto di Roma che ha rivendicato lo sgombero senza nulla cedere al piagnisteo collettivo.

Ischia, dalla magnitudo all'epicentro: i dati sbagliati sul terremoto, scrive il 26 agosto 2017 "Skytg24". La relazione dell'Ingv alla Commissione grandi rischi rivede la localizzazione del sisma: non in mare, ma a 1 km a sud ovest da Casamicciola Terme (dove ci sono stati i danni maggiori e le vittime) e a circa 2 km di profondità.

Confermata la forza, già salita da 3.6 a 4. Prima la magnitudo, poi l’epicentro e la profondità. Il terremoto di Ischia, che ha provocato due vittime, decine di feriti e diversi crolli, è anche il sisma degli errori degli scienziati. I dati sulla scossa del 21 agosto, infatti, sono stati rivisti dagli esperti a giorni di distanza: dopo la magnitudo corretta, l’epicentro è passato dal mare a Casamicciola e la profondità è diminuita.

Rivisti epicentro e profondità. Nella relazione presentata dall’Ingv alla Commissione grandi rischi, l’epicentro del terremoto non è più in mare e a 10 chilometri di profondità, ma è a 1 chilometro a sud ovest da Casamicciola Terme e a circa 2 chilometri di profondità. In pratica, nella zona in cui si sono registrati i danni maggiori e le vittime. “Il forte danneggiamento rilevato nella zona alta di Casamicciola con intensità macrosismica VIII, oltre alla scarsa resilienza del costruito, è dunque imputabile sia alla superficialità dell’evento, che all’amplificazione locale dei terreni”, ha spiegato l’Ingv. A poche ore dal sisma, l’istituto aveva rivisto anche la magnitudo: era passata da un iniziale 3.6 a 4.

La spiegazione dell’Ingv. Per giustificare i dati rivisti, l’Ingv ha spiegato che, “per poter essere localizzati con precisione, i terremoti in zone vulcaniche richiedono modelli di velocità specifici dell’area. Tali modelli sono disponibili e ben verificati per l’area vesuviana e quella etnea, ma non per l’Isola d’Ischia perché, per essere messi a punto e calibrati, deve essere utilizzata la sismicità locale stessa. Dal 1999 a Ischia vi sono stati in media meno di 5 terremoti l’anno, insufficienti per elaborare un modello di velocità di riferimento affidabile”. I primi risultati, quindi, “erano approssimativi” e sono stati corretti dopo analisi più approfondite.

Polemiche sui dati sbagliati. Le polemiche sui dati sbagliati, però, non si fermano. Soprattutto perché fin da subito alcuni scienziati hanno messo in dubbio i numeri, ma ci sono voluti giorni perché gli errori venissero riconosciuti e corretti. “Il terremoto è necessariamente più superficiale”, aveva detto a Sky TG24 a ridosso del sisma Giuseppe Luongo, professore emerito di Vulcanologia all’università Napoli. In un’intervista al Mattino, l’ex presidente dell’Ingv Enzo Boschi attacca: “È inammissibile sbagliare così la magnitudo, la direzione del sisma, l'epicentro, e soprattutto la profondità focale del sisma con un margine di errore così ampio. Inconcepibile, senza precedenti”. “Se si fosse detto da subito che l'epicentro del terremoto era circoscritto a una piccola porzione di Casamicciola, proprio com'era intuibile soltanto guardando la tv, migliaia di turisti non avrebbero lasciato Ischia in preda al panico”, ha aggiunto Boschi. Concetto ripreso ai microfoni di Sky TG24 anche da Francesco Emilio Borrelli, consigliere regionale dei Verdi in Campania. Oltre a chiedere le dimissioni dei vertici dell’Osservatorio Vesuviano, Borrelli ha sottolineato come la “comunità ischitana sia stata massacrata perché un piccolo terremoto di basso magnitudo ha fatto cadere le case”, mentre i nuovi dati hanno mostrato che “le case sono cadute perché è come se fosse esplosa una bomba lì in mezzo”.

Verifiche sull’abusivismo. Nonostante i nuovi dati, comunque, continua il lavoro della magistratura per accertare se le responsabilità dei crolli siano non solo delle scosse ma anche dell’abusivismo edilizio, di lavori non a norma, di materiali scadenti utilizzati. Sull’isola d’Ischia, come spiega un’inchiesta di Sky TG24 sugli abusi edilizi, ci sono complessivamente 28mila richieste di condoni edilizi.

Terremoto di Ischia, magnitudo giusta solo dopo 4 giorni, scrive Mariagiovanna Capone, Sabato 26 Agosto 2017, su "Il Messaggero". Quattro giorni per ottenere la rilevazione del terremoto di Ischia. Quattro giorni di dati ballerini, di vulcanologi e sismologi allibiti da valori incongruenti rispetto a quello che la storia sismica del luogo insegnava. Ma come è andata davvero?

LA MAGNITUDO. Venti minuti dopo la scossa delle 20.57 di lunedì scorso, avremo magnitudo locale (Ml) 3.6, profondità ipocentrale 10 chilometri, epicentro a mare, al largo di Forio nel settore Ovest come dirà l’Istituto nazionale di Geofisica e Vulcanologia, basando il dato sull’elaborazione di 197 stazioni della rete nazionale. Poco dopo la mezzanotte dall’Osservatorio Vesuviano, sede napoletana dell’Ingv, arrivano i dati rielaborati con magnitudo durata (Md) 4.0, ipocentro a 5 chilometri di profondità e un epicentro sempre a mare ma stavolta a circa 3 chilometri dalla costa Nord. La comunità scientifica immediatamente reagisce storcendo il naso perché vada per la magnitudo, essendo misurata con parametri differenti poiché una e Ml e un’altra Md, ma le differenze tra epicentro ed ipocentro appaiono troppo diverse tra loro e il dubbio si insinua anche tra illustri scienziati come Enzo Boschi, ex presidente Ingv fin da quando si chiamava ancora Ing, e Giuseppe Luongo, ex direttore dell’Ov. Un dubbio che all’indomani diventa conferma poiché negli uffici di via Diocleziano che ospitano i ricercatori dell’Osservatorio Vesuviano, chi ha studiato la sismicità dell’isola di Ischia trova i dati troppo discordanti rispetto a quelli storici e rielabora personalmente i valori dell’evento di martedì. Risultato? Magnitudo 4.0, epicentro a poche centinaia di metri dalla via Borbonica a Casamicciola alta, e profondità di circa 2 chilometri. Anche altri colleghi fanno la stessa rielaborazione usando altri modelli e il risultato è praticamente identico. Il tam tam negli ambienti di ricerca è immediato ma resta circoscritto. Da mercoledì mattina, quindi, sono in molti a sapere dell’effettiva rilevazione del sisma ischitano, e seppure comunicandolo a chi di dovere, hanno visto il dato invariato. Cambierà quattro giorni dopo appunto, ufficializzando ieri pomeriggio una magnitudo durata di 4.0, una profondità ipocentrale di 1 chilometro 730 metri e un epicentro su via Santa Barbara, nella parte alta di piazza Bagni. È chiaro che qualcosa non ha funzionato. Cosa è avvenuto, dunque? Un errore molto semplice e non affatto strano: nei minuti immediatamente successivi alla scossa chi era di turno all’Ov ha usato un modello di velocità 3D dei Campi Flegrei che tocca solo marginalmente Ischia. Il dato finale quindi ha completamente spostato il posizionamento, trascinandolo verso la costa flegrea. Per l’elaborazione avvenuta nella mattinata di mercoledì e ufficializzata soltanto ieri, invece, si è usato un modello di velocità «1D». Nel software usato dall’Osservatorio Vesuviano, chiamato NonLinLoc, sono stati immessi cioè dei riferimenti e delle formule diverse, valide proprio per Ischia, poiché ogni luogo ha caratteristiche differenti in superficie e nel sottosuolo, per intenderci, e a maggior ragione in aree vulcaniche. Rilievi ottenibili nel giro di minuti, al massimo ore, ma di certo non in quattro giorni come si vuole far credere.

I DATI. Ufficialmente, invece, Ingv e Ov lo hanno divulgato soltanto ieri. «Compito di un istituto di ricerca è di fornire una prima elaborazione per permettere alla macchina della Protezione Civile di mettersi in moto e inviare i soccorsi» spiega la direttrice dell’Ov Francesca Bianco. «Poi si studia il fenomeno, anche con differenti approcci, rielaborando i dati con differenti algoritmi, modelli di velocità, e così via. Non ci siamo infatti fermati e oggi (ieri, ndr) abbiamo ottenuto un dato che riteniamo più valido. Non perché fosse sbagliato quello precedente, ma perché i modelli usati erano diversi. Non lo abbiamo localizzato, che so, a Stromboli, sempre a Ischia era. Mi chiedo, che scienziati saremmo se ci fermassimo alla prima elaborazione? È aggiungo altro che continuiamo a considerarlo preliminare perché le elaborazioni proseguono». La comunità scientifica ha tirato un sospiro di sollievo alla vista dei dati corretti e pubblicati ieri pomeriggio. «Pare che si siano convinti 4 giorni dopo. Adesso è ufficiale finalmente» esulta Giuseppe De Natale, ex direttore dell’Ov. «Molti mi hanno chiesto - continua - se sia possibile che un modello di velocità non appropriato possa causare uno spostamento dell’epicentro di vari chilometri, in un’area come Ischia e con stazioni sismiche localizzate entro pochi chilometri una dall’altra. Da sismologo, rispondo che in teoria è possibile, ma solo se il modello di velocità errato, completamente campato in aria. Quindi, in un contesto ragionevolmente equilibrato, da sismologo risponderei senz’altro: è impossibile. Ciò che invece sarebbe possibile, ma è cosa diversa, è che, senza utilizzare le stazioni sismiche vicine per la localizzazione, si fossero usate solo stazioni molto lontane (rete nazionale). Ma non sarebbe comprensibile, perché almeno tre stazioni di Ischia funzionavano bene, ed indicano chiaramente l’epicentro sotto Casamicciola, a circa 2 chilometri di profondità».

Il terremoto di Ischia ha fatto sprofondare il terreno di 4 centimetri. I satelliti italiani ed europei hanno mostrato con chiarezza la deformazione del suolo. L'epicentro del sisma non era in mare come annunciato in un primo momento, ma molto vicino al centro di Casamicciola. Piccolo sciame sismico registrato anche sull'Etna, scrive Elena Dusi, il 26 agosto 2017 su "La Repubblica". Il terremoto di Ischia ha fatto abbassare il suolo di 4 centimetri a Casamicciola. Le immagini dallo spazio mostrano lo sprofondamento di una porzione del versante nord del vulcano Epomeo. Il movimento della terra durante la scossa del 21 agosto è stato registrato dai satelliti europei Sentinel-1 e italiani Cosmo-SkyMed, che sono passati sopra all’isola prima e dopo il sisma. I dati acquisiti dall’Agenzia Spaziale Italiana (che gestisce la flotta Cosmo-SkyMed insieme alla Difesa) sono stati elaborati dall’Istituto per il rilevamento elettromagnetico dell’ambiente del Cnr e forniti alla Protezione Civile. E’ proprio sotto il versante sprofondato che la scossa probabilmente ha avuto origine. L’istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv) ha ricalcolato la posizione, che è stata aggiornata anche nelle mappe dell’Usgs, il servizio geologico americano. Il nuovo ipocentro si trova un chilometro a sud-ovest di Casamicciola e a 1,7 chilometri di profondità. Le stime della magnitudo si sono assestate su tre valori. La magnitudo Richter è stata 3.6. Si tratta del metodo di calcolo più rapido, che viene usato immediatamente dopo ogni scossa nella sala sismica dell’Ingv a Roma e ha sempre un'incertezza di 0,2 gradi. L’Osservatorio Vesuviano di Napoli (una sezione dell’Ingv) ha calcolato anche la magnitudo durata, che tiene conto di quanto tempo i sismografi hanno oscillato, ed è stata 4.0. L’Usgs infine, che utilizza una propria rete di stazioni sismiche installate in tutto il mondo ed è in genere meno precisa rispetto alle reti locali per le piccole scosse, ha pubblicato un valore di 4.2 di magnitudo di onde di volume (un terzo metodo di calcolo). A seconda del tipo di rocce e della loro temperatura infatti le onde sismiche si propagano a velocità diverse (tre chilometri sotto all’Epomeo si raggiungono i 400 gradi e la terra è già simile a cioccolato fuso). I segnali dei sismogrammi vanno dunque interpretati sulla base delle variazioni delle caratteristiche della crosta. Quel che sappiamo da tempo è che il monte Epomeo sta lentamente abbassandosi, soprattutto sul versante sud. La scossa di lunedì sera potrebbe essere la risposta all’accumulo delle tensioni sotterranee causate da questi spostamenti di lungo periodo. Purtroppo però due delle quattro stazioni sismiche installate sull’isola non sono riuscite a trasmettere le loro registrazioni alla rete nazionale a causa del black out elettrico. L’Ingv, in una nota di venerdì sera, ha spiegato che “per essere localizzati con precisione, i terremoti in zone vulcaniche richiedono modelli di velocità delle onde sismiche specifici dell’area. Tali modelli sono ben verificati per l’area vesuviana e quella etnea, ma non per l’isola di Ischia. Per metterli a punto e calibrarli, infatti, bisogna sfruttare la sismicità locale del passato. Dal 1999 a Ischia ci sono stati in media meno di 5 terremoti all’anno e tutti di magnitudo inferiore a 2.5, insufficienti per elaborare un modello di velocità affidabile”. La scossa di lunedì sera, proprio perché poco profonda, vicinissima al centro abitato e in parte amplificata da un terreno leggero e franoso, è stata comunque molto violenta. Ha scosso il suolo a una velocità di quasi 18 centimetri al secondo, con un'accelerazione pari a 0,28 volte la gravità. Sull'Etna intanto la notte di venerdì si è verificato un piccolo sciame di una quindicina di scosse. La più intensa ha raggiunto una magnitudo Richter 3.3. La zona interessata è stata quella del versante sud (Santa Maria di Licodia, Ragalna, Pedara), su una faglia ben nota ai ricercatori. Gli abitanti dei paesi sono usciti in strada dallo spavento. I tremori indicano probabilmente dei movimenti di magma nel sottosuolo. Il fenomeno è considerato normale, visto che l'Etna è il secondo vulcano più attivo del mondo, dopo il Kilauea alle Hawaii.

«Errori di calcolo inammissibili e assenza di trasparenza. È evidente che da qualche tempo nell'istituto qualcosa non funziona più a dovere». La sentenza del sismologo Enzo Boschi, ventotto anni di carriera all'Ingv di cui dodici anni alla presidenza, è lapidaria, scrive il 26 agosto 2017 "Il Mattino.

Lei è stato il primo, poco dopo il sisma, a dire che la magnitudo e l'ipocentro erano stati sottostimati. E lo ha fatto sulla base delle semplici immagini televisive. Perché invece chi aveva a disposizione dati e strumenti ha fatto valutazioni errate?

«Chi ha un minimo di competenza sulla sismicità dell'isola, sa bene che lì si sono verificati in passato terremoti poco profondi a breve distanza da Casamicciola. Evidentemente, chi quella notte nell'istituto si è occupato delle rilevazioni, non era in possesso di nozioni e competenza sufficiente. È solo una questione di stupidità e ignoranza».

L'Ingv ha imputato gli errori al fatto che le valutazioni di terremoti che avvengono in zone vulcaniche sono più complesse e più soggette ad errori.

«Si tratta di operazioni di calcolo semplicissime, con un margine di errore quantificabile nello 0,2 di magnitudo. Per le valutazioni di terremoti in aree vulcaniche sono a disposizione modelli internazionali che funzionano benissimo. Basta applicarli, e saperli leggere correttamente. Ma lei comprende che danno è stato fatto all'Isola?».

Ce lo spieghi.

«Se si fosse detto da subito che l'epicentro del terremoto era circoscritto a una piccola porzione di Casamicciola, proprio com'era intuibile soltanto guardando la tv, migliaia di turisti non avrebbero lasciato Ischia in preda al panico».

Ipotizza quindi che qualcuno chiederà i danni?

«È già accaduto in passato. Una class action contro chi ha diffuso dati errati, con conseguenti danni d'immagine al territorio interessato».

Perché tanti errori?

«Già il 15 giugno scorso avvenne un fatto incredibile, quando l'istituto associò la magnitudo 5.1 di un terremoto nelle Filippine al sisma di magnitudo 1.6 registrato a Pieve Torina, vicino Macerata. Probabilmente c'è qualcosa che non va nella nuova gestione».

Problemi di risorse?

«I fondi ci sono, circa 50 milioni all'anno, di cui 15 dalla Protezione civile. Credo si tratti piuttosto di problemi di organizzazione interni. Ad agosto ci sono le ferie: la pratica sarà finita nelle mani di qualcuno che forse non aveva l'esperienza sufficiente per gestirla. È inammissibile sbagliare così la magnitudo, la direzione del sisma, l'epicentro, e soprattutto la profondità focale del sisma con un margine di errore così ampio. Da un ipocentro stimato a 10 km di profondità siamo passati a uno di 1,75. Inconcepibile, senza precedenti».

Mai successo niente di simile, nei dodici anni che ha guidato l'Istituto?

«Qualche errore fu commesso, ma mai nulla di simile. E quando si verificò ne rendemmo immediatamente conto. Chiedemmo scusa, nella più totale trasparenza».

Dice che c'è stato anche un cortocircuito comunicativo?

«Suppongo che si siano voluti tenere gli errori sottotraccia, onde evitare di dovere licenziare i responsabili del pasticcio. Ma era meglio dire: scusate, abbiamo sbagliato. La trasparenza è la maniera migliore per preservare la credibilità scientifica».

La doppia articolazione Ingv-Osservatorio vesuviano può avere provocato un cortocircuito nel coordinamento?

«È plausibile, ma non ne ho contezza. So per certo che nel corso della mia presidenza è sempre filato tutto liscio».

TERREMOTO DI ISCHIA E SISMICITA' INDOTTA: ALCUNE CONSIDERAZIONI. Scrive Albina Colella sabato 26 agosto 2017. Terremoto di Ischia del 21 agosto 2017: mentre sui media si accendeva la polemica sulle rilevazioni iniziali di INGV secondo alcuni sbagliate, con stime della profondità focale e dell'epicentro del sisma riviste in maniera sostanziale, e con comunicazioni di magnitudo diverse, non si può fare a meno di pensare se il problema della sismicità indotta/innescata c'entri qualcosa in questa vicenda o meno. Il motivo? La fattibilità dell'Impianto Pilota Geotermico "Serrara Fontana" a Ischia, che potrebbe essere compromessa da una valutazione poco favorevole delle condizioni geologiche del sottosuolo. Nel 2015 la società Ischia GeoTermia s.r.l. ha infatti avviato le pratiche autorizzative per la realizzazione di un impianto per la produzione di energia elettrica sfruttando fluidi geotermici: esso prevede la realizzazione di una centrale di produzione elettrica, di due pozzi di produzione e di un pozzo di reiniezione di tale fluido, con una profondità verticale dei pozzi dal piano campagna di circa 1.300 m. L'impianto ricade nell'area del permesso di ricerca "Ischia Forio" in cui è compreso anche il territorio di Casamicciola Terme, dove si sono verificati i maggiori danni del terremoto suddetto. Di sismicità indotta in Italia si è sempre parlato poco, tranne recentemente: l'argomento è sempre stato scomodo, contestato, quasi tabù. Il motivo è che essa può a volte porre serie limitazioni alle attività industriali di sfruttamento delle risorge energetiche del sottosuolo, come quelle geotermiche e petrolifere, dove ci sono grandi interessi economici in gioco. Cosa è la sismicità indotta? E' una sismicità generata da attività umane e non da processi naturali legati alla deformazione tettonica della crosta terrestre. Come avviene? Alcune attività antropiche alterano l'equilibrio meccanico del sottosuolo modificandone lo stato di sforzo e possono portare alla rottura delle rocce o causare movimenti lungo faglie preesistenti, con lo sviluppo di terremoti in genere di bassa magnitudo. In territori ad alta pericolosità sismica c'è il rischio tuttavia che, lì dove nel sottosuolo sono presenti faglie sismogenetiche e condizioni favorevoli, la sismicità indotta inneschi, anticipandoli, terremoti naturali di origine tettonica con elevati valori di magnitudo. Quali sono le attività antropiche che possono causare sismicità indotta? Le più importanti sono: 1) reiniezione di fluidi nel sottosuolo, 2) sfruttamento dell'energia geotermica, in cui la sismicità è indotta da iniezioni ed estrazioni di fluidi per il trasporto del calore, 3) estrazione di idrocarburi, 4) stoccaggio di gas, 5) variazioni di carico nei bacini idrici, 6) attività mineraria, 7) costruzione di strutture massicce, ecc. In Italia ci sono casi acclarati di sismicità indotta? In un rapporto del 2014 l'ISPRA ha documentato/ipotizzato 16 casi di sismi indotti da attività antropica a partire dal 1960, ma il problema per alcuni di questi è discusso. Il pubblico dibattito tra esperti che è seguito al sisma del 21 agosto 2017 ha delineato uno scenario geologico molto meno tranquillizzante rispetto a quello iniziale. Se infatti in una intervista a Quark dell'aprile 2017 la direttrice dell’Osservatorio Vesuviano (INGV) Francesca Bianco aveva dichiarato che “la sismicità a Ischia era estremamente rara”, il Prof. Franco Ortolani ha invece recentemente ricordato i vari eventi sismici ischitani (circa 14) a partire dal 1228 fino a quello devastante del 1883, che avrebbe provocato circa 2000 vittime. Se le valutazioni iniziali dell'INGV ponevano la profondità focale del sisma a oltre 10 km e l'epicentro ad alcuni chilometri in mare a nord di Ischia, quelle attuali le pongono a poco meno di 2 km di profondità e a 1 km a SO di Casamicciola Terme. Ciò rafforza l'ipotesi che la struttura sismogenetica dell’evento del 21 agosto 2017 sia ubicata proprio nel sottosuolo delle zone alte di Lacco Ameno e Casamicciola alle pendici del Monte Epomeo e non ad alcuni chilometri di distanza dalla costa in mare a nord dell’isola. Se la società Ischia GeoTermia s.r.l. nello Studio di Impatto Ambientale dichiara che nell'area del previsto impianto (vicina a Casamicciola) sono assenti strutture tettoniche sismogenetiche, secondo il Prof. Ortolani invece gli effetti al suolo del sisma del 2017 sono correlabili con quelli dell’evento del 1883 causato da una faglia sismogenetica ubicata a circa 2 km di profondità nel sottosuolo di Casamicciola e Lacco Ameno. E' dunque ovvio che tale nuovo scenario è molto meno favorevole alla realizzazione dell'impianto geotermico, in quanto la sua attività di estrazione e reiniezione di fluidi in prossimità di una faglia sismogenetica potrebbe causare non solo sismicità indotta di bassa magnitudo ma anche sismicità innescata con i relativi danni alle strutture e alle persone. Sarebbe interessante conoscere, come dichiara il Prof. Boschi, cosa è successo nelle sale di sorveglianza dell'INGV di Roma e di Napoli la sera del 21 agosto e soprattutto chi ha materialmente fatto e comunicato le prime valutazioni, e se è vero quel che si dice, e cioè che la rete sismica nell'isola di Ischia durante il sisma funzionava molto parzialmente.

"Terremoto ad Ischia magnitudo 4.0. Ischia docet?" Scrive il Coordinamento associazioni Orvietano, Tuscia e Lago di Bolsena aderente alla Rete Nazionale "No Geotermia Elettrica Speculativa e Inquinante", venerdì 25 agosto 2017. Nessuno ha detto che nell'Isola è prevista una centrale geotermica a Serrara Fontana secondo il piano Berlusconi-Scajola (e che il Governo di centrosinistra non ha modificato). Saggiamente la Regione Campania a giugno scorso ha bocciato tale impianto per la prevedibile sismicità indotta (e si appresta a bocciarne, per gli stessi motivi un altro identico previsto ai Campi Flegrei), mentre dopo il terremoto di Castel Giorgio del 30.05.2016 di magnitudo 4.1 la Regione Umbria - che pure è stata tra le regioni ampiamente colpite dal terremoto appenninico di un anno fa - ancora non si decide a bocciare l’impianto geotermico previsto a Castel Giorgio, ma anzi recentemente ha autorizzato altre ricerche geotermiche sulla Piana dell'Alfina! La motivazione di fondo della bocciatura dell’impianto geotermico di Serrara Fontana, uno dei sei comuni dell’isola di Ischia, sta nella sismicità indotta e danni rilevanti al turismo. Dice infatti la decisione della Regione Campania (Decreto Dirigenziale n. 15 del 16/06/2017 in allegato geo.1669): “Il modello geologico-geotermico e sismo-tettonico presentato dal proponente, anche a seguito delle indagini magnetotelluriche effettuate, è inadeguato e non consente di escludere con ragionevole certezza il verificarsi di sismicità indotta/innescabile connessa all’esercizio dell’impianto, con particolare riferimento alle fasi di estrazione e re-immissione dei fluidi geotermici….Ed ancora: “In base ai dati presentati dal Proponente, l’avvertibilità e i potenziali effetti del terremoto indotto considerato dal progetto (M=2,5) sono da ritenere non del tutto trascurabili. Lo stesso Proponente evidenzia che i terremoti sarebbero avvertibili già per una magnitudo di 1,5 se con ipocentro entro 1 km di profondità. Gli effetti della percezione dei terremoti da parte della popolazione non sono stati adeguatamente considerati, come pure non sono stati considerati i potenziali impatti sull’economia turistica dell’isola, aspetti che allo stato attuale non sembrano essere stati approfonditi adeguatamente”. Ed inoltre: In tale siffatto contesto ambientale, antropico e socio economico il proponente non solo non ha adeguatamente indagato gli stress introdotti dall’attività geotermica (sismicità indotta/innescabile) e i possibili effetti negativi sul sistema delle acque minerali e termali, al fine di escluderli con ragionevole certezza, ma inoltre non ha previsto nessuna garanzia economica in caso di danni a beni e persone derivanti dall’esercizio dell’impianto, ritenendo quindi implicitamente che tutte le esternalità negative debbano essere assunte, nel caso, dalla collettività a fronte di un “interesse pubblico” finalizzato alla produzione di soli 5 MW …”. Continua così il Decreto Dirigenziale: “Allo scarso rilievo strategico dell’impianto, in termini di contributo all’energia da FER producibile in Campania, si associa, invece, un elevatissimo rischio antropico che impatta negativamente sul rischio ambientale, già alto nell’Isola d’Ischia, con conseguenze negative anche sul contesto socio economico, determinato dagli impatti che, in assenza di adeguate indagini e caratterizzazioni come nel caso di specie e considerato il contesto di riferimento, produce in termini di sismicità indotta/innescabile, impatti sul sistema delle acque minerali e termali, impatto paesaggistico, rischio idrogeologico nonché sul rischio vulcanico. Per concludere così: “…Per tutto quanto rappresentato si ritiene che l’impianto, nel contesto ambientale, antropico e socio economico che caratterizza l’Isola d’Ischia, determina rilevanti impatti negativi, in termini di sismicità indotta/innescabile e conseguenti danni a beni e persone, non mitigabili di alcun modo, nonché, conseguentemente, anche al sistema socio economico fondato sul turismo”. Le stesse motivazioni indotte dalla Regione Campania per “bocciare” Serrara Fontana e cioè: sismicità, assenza di garanzia economica in caso di danni a beni e persone derivanti dall’esercizio dell’impianto, scarso rilievo strategico dell’impianto (produzione di soli 5 MW!), impatti negativi sul sistema socioeconomico fondato sul turismo, potrebbero valere anche per “bocciare” il previsto impianto di Castel Giorgio ( e di Torre Alfina), come richiedono tutti i sindaci dell’area ed anche il Consiglio Regionale dell’Umbria. Peraltro il terremoto del 30 maggio del 2016 ha avuto proprio l’epicentro nella aree individuate da ITW-LKW per gli impianti pilota di Castel Giorgio e di Torre Alfina. Questa ennesima posizione della Giunta regionale Campania è un ulteriore dimostrazione che “bocciare “gli impianti pericolosi si può, tutelando i cittadini: se la Regione Umbria, anche dopo tale sollecitazione, non lo farà ai cittadini non rimarrà che punire alle prossime elezioni politiche e regionali il Partito della Presidente (che ha la responsabilità della gestione della regione Umbria), nonostante che a livello locale e regionale il PD hanno preso posizione contro le centrali geotermiche nella piana dell’Alfina. Quanto è successo ad Amatrice e ora a Ischia mostra la gravità della situazione sismica del nostro Paese: non tenerne conto è puramente criminale. Il nostro paese è sismico di per sé: vanno perciò eliminate le cause “antropiche” non essenziali come la produzione di 5 MW di energia elettrica (su un totale di 130.000 MW nazionali)! Riportiamo alcune dichiarazioni a caldo – apparse sul Corriere della Sera del 23.08.2017 (da cui è derivata la immagine di Ischia sopra riportata) - del prof. Doglioni, presidente dell’INGV:” La ferita di Amatrice può ripetersi anche in altre parti d’Italia. La penisola si dilata di 3-4 millimetri l’anno, che ogni qualche secolo determinano movimenti di qualche metro. Potrà capitare di nuovo. Il fenomeno è lo stesso: a chiazze, il terreno sprofonda” e alla domanda di quanto ci vuole a mettere in sicurezza l’Italia Doglioni risponde così:” Non basterebbero cinquant’anni per come siamo messi. I terremoti si dimenticano presto, è naturale eliminare un dolore. Questo aiuta la ricostruzione, ma non la prevenzione, perché induce atteggiamenti fatalisti e a non far nulla. Gli italiani metteranno in sicurezza le case solo quando avranno paura”. E i cittadini che debbono fare? Contare solo i danni ed i morti? La presidente della Regione Marini e l’assessore Cecchini ci rispondano finalmente!

Ischia, traghetti a pagamento: scoppia il caos sul web, scrive il 22/08/2017 "Adnkronos.com". "E' uno schifo, i biglietti per i traghetti per lasciare Ischia erano a pagamento". Divampa la polemica sul web dopo il terremoto che ha scosso Ischia. A far discutere, in particolare su Facebook, la partenza precipitosa di centinaia di turisti dall'isola, con traghetti presi d'assalto e biglietti, a quanto pare, regolarmente venduti in una situazione di panico. "Vergogna ad Ischia. Stanotte la gente, a migliaia, nel panico più totale, è stata costretta a pagare prima il biglietto e poi ci si poteva imbarcare dopo ore ed ore di attesa alle biglietterie. Molte persone hanno fatto a botte per accaparrarsi un biglietto. Quello che andava fatto, era invadere le navi e buttare a mare chiunque si permetteva di chiedere il titolo di viaggio. E' uno schifo. Spero che ci siano avvocati pronti ad intervenire per fare causa alle compagnie di navigazione, al comune di Ischia, allo stato italiano. In una situazione di altissimo stato di emergenza, questa cosa è imperdonabile", si legge in un post pubblicato da Gaetano Di Vaio, che spiega: "Mia nipote è ancora ad Ischia con il marito e i due bambini piccoli. Mi ha riferito tutto lei". "Ora bisogna agire. Oltre alla restituzione dei soldi dei biglietti, vanno chiesti i danni alle compagnie di navigazione e alle istituzioni che non sono intervenute", dice ancora. Le affermazioni innescano un dibattito acceso. Molti utenti condividono la posizione critica nei confronti delle compagnie. Altri, però, non concordano. "Perché la compagnia non doveva farsi pagare il biglietto? Tra l'altro il ticket va fatto un ogni caso per ordine pubblico...immaginate cosa sarebbe accaduto se fosse stato possibile prendere la nave senza biglietto...", fa notare qualcuno. "Ma perché avreste dovuto salire a bordo tutti gratuitamente???", domanda un'altra persona. "Il problema sono i 18 euro di una nave che offre un servizio ??? Tu e chi ti sostiene siete fuori di testa. Questo è il modo per creare altra tensione in un momento molto delicato". Contattata via email e telefonicamente, la compagnia chiamata in causa direttamente dal post pubblicato su Facebook si limita a far sapere che "siamo tutti al lavoro per l'emergenza". Un'altra compagnia, la Snav, dalla propria pagina Facebook "informa l'utenza che, di concerto con l’Assessorato ai Trasporti della Regione Campania e la Prefettura di Napoli, ha immediatamente rinforzato la linea veloce Casamicciola – Napoli con proprie unità aventi trasportabilità di circa 700 passeggeri. E' stata data disposizione di monitorare il flusso alle biglietterie di Casamicciola, che al momento è regolare, rinforzando o raddoppiando le corse nel momento in cui ci fosse reale richiesta di maggiore trasportabilità". "La SNAV è fortemente solidale con la popolazione di Ischia ed è pronta a soddisfare tutte le richieste di assistenza all’isola come sempre avvenuto in caso di necessità", si legge nel messaggio firmato dal Comandante Raffaele Aiello, amministratore delegato della società. Dopo il sisma, anche Alilauro -si legge su Facebook- "ha prontamente allertato i propri uomini affinché nell'immediato si fossero resi disponibili a salpare dai porti di Ischia e Forio verso la terraferma. La celerità degli interventi istituzionali ha sino a questo momento garantito che le operazioni di soccorso procedessero nel migliore dei modi. L'Alilauro a sostegno della popolazione terremotata garantirà la mobilità di quanti lo chiederanno effettuando partenze verso la terraferma ogni 30 minuti. Alla Regione Campania e alle Istituzioni Locali e' stata resa nota la disponibilità del personale tutto a collaborare alla grave emergenza sismica che ha colpito l'isola Verde". Anche Medmar, con un post, nelle ore immediatamente successiva al sisma ha disposto "corse straordinarie per la terraferma dall'isola d'Ischia" da Casamicciola e da Ischia, entrambe per Pozzuoli.

Terremoto Ischia, i furbetti della paura: «fuggiti» senza pagare il conto, scrivono Ciro Cenatiempo e Massimo Zivelli il 24 agosto 2017 su “Il Mattino”. Ischia. La scossa di terremoto e la paura. Per molti villeggianti l’occasione è stata colta al volo. Una buona scusa per scappare senza saldare il fitto della casa delle vacanze, in alcuni casi anche quello pendente presso alberghi e pensioncine. È accaduto anche questo l’altra notte a Ischia, quando nelle ore successive all’evento sismico che ha interessato l’isola, interi eserciti di villeggianti si sono riversati in maniera caotica sui porti di Ischia e Casamicciola con l’intento di partire in tutta fretta alla volta della terraferma e quindi sottrarsi al terremoto e ai suoi effetti. Con le forze dell’ordine completamente impegnate nei soccorsi e nello sgombero dalle aree maggiormente colpite, e contando anche sull’immancabile clima di confusione generale, per tanti l’esodo anticipato di qualche giorno ha fornito l’alibi perfetto per abbandonare senza pagare le case prese in fitto per le vacanze di agosto. O quanto meno, senza completare il pagamento, dopo aver versato solo la caparra all’arrivo. Parecchi i casi che si sono verificati, anche se la notizia è venuta fuori solo adesso, con i riflettori che gradatamente si vanno spegnendo sui fatti principali della drammatica notte di lunedì, mentre arriva il tempo delle valutazioni e dei bilanci. Soprattutto di quanto è costato e quanto peserà in negativo nelle prossime settimane sul bilancio della più importante realtà turistica campana. È venuta fuori ieri, questo storia dei «furbetti» della paura, quando alcuni proprietari di case delle vacanze e anche qualche piccolo albergatore si sono presentati al commissariato. «L’altra notte si sono pure presi a botte sulle banchine pur di trovare un posto sulle navi, e adesso sappiamo perché. Non era il panico per nuove scosse di terremoto, quanto piuttosto la paura di non riuscire a scappare in tempo senza aver pagato il conto» raccontano non senza ironia al commissariato di Ischia, dove qualcuno dei creditori beffati alla fine si è rivolto. La vicenda dei fitti non pagati fa il paio con quella relativa alla pretesa, avanzata sempre l’altra notte dai tanti in fuga dall’isola, di non pagare il biglietto del traghetto, perchè «evacuati dal terremoto». La prima furbizia è andata bene. Ma dopo il lauto pranzo gratis, i soliti furbi almeno il caffè sono stati costretti a pagarlo. Le compagnie marittime infatti si sono fatte pagare regolarmente la trasferta e al massimo hanno convertito senza costi di transazione i biglietti prenotati per fine agosto, anticipandoli alla data dell’altra notte. Non è certo la prima volta che villeggianti o clienti d’albergo in vacanza a Ischia, si dileguano prima di aver saldato il conto della vacanza. È sicuramente però la prima volta che i furbetti della vacanza hanno trovato nel terremoto un complice che ne ha avallato la fuga. «Ci dobbiamo tenere la beffa - è il commento amaro di un locatario - perchè con soggetti del genere anche tentando di far valere il nostro diritto per vie legali, ci sarebbe poco o addirittura niente da recuperare. Quanto accaduto serve da lezione a tutti, in futuro bisognerà riscuotere tutto il fitto con largo anticipo». D’altronde, cofre alla mano, non c’è dubbio che il sisma ha assestato un colpo pesante all’economia dell’isola. Che di turismo vive, e poco più. «Il buco nell’indotto si aggira intorno ai quattrocentomila euro». Secca, lapidaria la considerazione di Ermando Mennella, presidente di Federalberghi delle isole di Ischia e Procida. «La quantificazione – aggiunge – non si regge su basi scientifiche, è ovvio, ma su una serie di fattori comunque chiari. Sono cinquemila le persone che hanno lasciato le strutture alberghiere prima della conclusione della vacanza, in seguito alla paura generata dalla scossa. E altrettante sono andate via dalle seconde case, dalle abitazioni di proprietà o da quelle prese in affitto per questo periodo. Poi bisogna aggiungere un migliaio di pendolari della nuotata che non stanno più affollando traghetti e aliscafi secondo lo schema classico del mordi e fuggi». C’è un altro aspetto da non sottovalutare in prospettiva di medio e lungo termine e riguarda 1.200 i posti letto non disponibili, per un periodo imprecisato, negli alberghi di Casamicciola e Lacco Ameno. «Sono una quindicina in tutto, gli hotel che hanno chiuso per mancanza di prenotazioni o perché, dopo essere stati evacuati, devono essere sottoposti alle necessarie verifiche di agibilità, o a lavori di ristrutturazione. In tale ottica non si possono fare previsioni sui trend di settembre». Sull’altro fronte, quello delle attività commerciali, lo scenario non è catastrofico.

I PASTICCI OLTRE LE POLEMICHE.

Ritardi, pasticci e dimissioni. Tra "casette" non abitabili, norme kafkiane sulle macerie, scuole sempre chiuse, tutti i motivi del flop post-sisma, scrive il 15 agosto 2017 Laura Della Pasqua su Panorama. «Ci hanno assicurato che le casette saranno pronte al massimo entro ottobre. Vogliamo riaprire la scuola a settembre». Il sindaco di Visso, Giuliano Pazzaglini, non sa più come rassicurare il suo migliaio di concittadini. Ultime parole famose, tuttavia: quasi di sicuro le scuole non riapriranno dato che i cantieri per adeguare le strutture - una novantina, con interventi importanti - sono quasi tutti fermi. È passato un anno dal sisma che ha devastato il Centro Italia e dalle promesse di Matteo Renzi che si aggirava con la felpa «Amatrice» per le città colpite, ripetendo: «Le casette entro Natale». Dopo la scossa dell’ottobre scorso, la più distruttiva, il termine allunga di sei mesi: «In primavera tutti avranno un tetto». Ma a febbraio si capisce che si tratta del solito spot politico. Anche il Commissario per la ricostruzione, Vasco Errani, in un incontro a porte chiuse con i sindaci rivelato da Panorama, ammette che l’operazione per i moduli abitativi è stata un fallimento. Da quell’episodio cominciano le difficoltà per il capo della Protezione civile, Fabrizio Curcio, dimessosi martedì scorso 8 agosto. E proprio la Protezione civile che ha fissato per la fine dello scorso aprile la conclusione dei sopralluoghi sui danni, è smentita dai fatti. Paolo Gentiloni, rispetto a Matteo Renzi, ha mutato solo i messaggi: dalle promesse si passa ai rimpalli sui ritardi. Errani in una intervista sottolinea che «leggi e soldi ci sono, ora vanno fatti progetti». Come dire: il governo la sua parte l’ha fatta ma se tutto marcia a rilento è colpa dei sindaci che non individuano le aree per le casette, delle Regioni che non fanno le urbanizzazioni e dei professionisti che non presentano i progetti di ricostruzione. Le leggi infatti, quelle, non mancano. In una bulimia normativa, il governo ha varato ben quattro decreti e il Commissario per la ricostruzione 35. Insomma, la situazione resta congelata. Ci sono da eseguire circa 20 mila verifiche sui danni. Le «casette» sono ancora un sogno per gran parte dei paesi. Su 3827 Sae, le Soluzioni abitative di emergenza richieste da 51 comuni, ne sono state consegnate circa 534. In alcuni comuni delle Marche i prefabbricati arriveranno addirittura a ottobre. Nella maggior parte, però, solo il prossimo anno. Tant’è che il governo, prendendo atto di questa débâcle, ha dovuto prolungare lo «stato di emergenza» al 28 febbraio 2018 in modo da garantire il contributo per una sistemazione autonoma a quanti sono ancora in affitto. Intanto, si registrano anche i primi problemi nei moduli già consegnati. Succede per esempio nelle 25 casette di Amatrice del cosiddetto Campo zero. Qui i residenti già lamentano infiltrazioni d’acqua dal pavimento, problemi nelle fognature più vari altri malfunzionamenti. L’altro grave problema è che procede a rilento lo sgombero delle macerie. Finora ne sono state rimosse meno del dieci per cento. E la vera ricostruzione non può iniziare: un solo cantiere aperto nelle Marche, 50 interventi leggeri avviati in Umbria, nessuno «pesante». Anche qui il governo ha fatto slittare di cinque mesi, al 31 dicembre prossimo, la scadenza per presentare i progetti e le relative richieste di contributi per la ricostruzione. Se si chiede conto dei ritardi alle istituzioni la risposta è sempre la stessa: è stato un terremoto straordinario (come ce ne fossero di ordinari) e l’area è vasta. Comuni e Regioni, dal canto loro, accusano l’iperburocratizzazione.

Ecco davvero cosa e perché non ha funzionato.

Le macerie? Come spazzatura. Sì, i detriti sono stati considerati alla stregua dei rifiuti solidi urbani. Ciò significa che per la rimozione sono state coinvolte le imprese che abitualmente si occupano della spazzatura. Se poi viene trovato dell’amianto, tutto si blocca in attesa della ditta specializzata. Lo stesso vale se ci sono resti con valore artistico e storico. Allora bisogna avvertire la Soprintendenza. È stata adottata una procedura ordinaria per una situazione straordinaria. Se le macerie sono in un’area privata, occorre il consenso del proprietario per portarle via. Trovarlo non è sempre semplice, perché può anche essere all’estero o può accadere che la proprietà sia divisa tra più persone. L’autorizzazione è inoltre necessaria per le demolizioni. Nonostante internet il Comune deve ancora usare la raccomandata per informare il cittadino. Di Pec, la comunicazione via mail certificata, nemmeno a parlarne. Per la Confartigianato imprese di Macerata sarà necessario gestire questo smaltimento almeno per i prossimi 6-8 anni.

Sopralluoghi al rallentatore. Il 22 febbraio scorso la Protezione civile assicurato, anche in polemica con le stime di Panorama, che entro due mesi si ultimeranno le verifiche sui danni del sisma. Risultato: a oggi ne mancano circa 20 mila. Non potrebbe essere altrimenti, visto il tortuoso percorso normativo, disseminato di improvvisi cambiamenti. Come quello delle schede di rilevazione sugli effetti del terremoto; prima il meccanismo complesso delle Aedes (che indicano l’entità del danno in base a una classifica), poi quello più semplice delle Fast (che dicono solo se un edificio è agibile o no). Queste ultime, però, non sono valide per ottenere i contributi pubblici alla ricostruzione. E quindi bisogna comunque passare per le Aedes, istruendo così una doppia ispezione. Naturalmente a monte di tutto questo c’è il lavoro preparatorio a carico del Comune, che deve compilare un fascicolo per ciascun immobile con le caratteristiche e i dati catastali, indicando eventuali condoni edilizi...

Nuove tecnologie sì, ma in tilt. Internet, mail, comunicazioni via Pec, piattaforme informatiche: anche con questo sisma sono state tutte battuti dalla burocrazia. Per avvisare i proprietari di un immobile che occorre eseguire una demolizione, il Comune deve comunque mandare una raccomandata cartacea. Il sistema informatico «Mude», su cui gli ingegneri e i geometri caricano i progetti per trasmetterli all’ufficio ricostruzione, è rimasto inattivo per mesi. Eppure non è una novità, dal momento che è stato usato per il terremoto dell’Emilia del 2012. Il blocco ha costretto i professionisti a sobbarcarsi un doppio lavoro: i progetti trasmessi via Pec non sono entrati in automatico sul Mude, una volta attivato. Gli ingegneri hanno quindi dovuto rispedire tutte le pratiche. Poi c’è «Erikus» il software per condividere le informazioni sui sopralluoghi tra più enti: è andato avanti tra mille difficoltà perché richiede personale esperto e tempestività nelle comunicazioni. Gran parte delle amministrazioni locali hanno un organico ridotto all’osso, impreparato ad affrontare l’emergenza.

La casetta e il suo labirinto. Si fa presto a dire casette. Innanzitutto un sindaco deve decidere quanti prefabbricati richiedere. Poi deve individuare le aree dove posizionarle. L’operazione non è facile perché il primo cittadino deve vedersela con i vincoli ambientali se si trova in un parco nazionale e, più in generale, con i rischi idrogeologici. La parola quindi passa alla Regione per il giudizio di idoneità. Ma la pratica torna poi al Comune che deve occuparsi dell’esproprio. Va convocato il proprietario e occorre preparare un fascicolo per ogni fabbricato. Quando anche questi adempimenti sono stati espletati, la Regione consegna le aree al Consorzio (Cns) responsabile della fornitura dei prefabbricati, che deve preparare il «layout», cioè il progetto. Questo va all’approvazione di Comune e Regione. Dopodiché la ditta prepara il progetto definitivo che rifà lo stesso percorso di autorizzazioni. E non è finita. Prima di montare le casette, bisogna effettuare i lavori di urbanizzazione, cioè portare gli allacci delle utenze. E di questo se ne deve occupare la Regione che indice le gare per individuare le imprese. Se poi nell’area ci sono anche centri commerciali o spazi sociali dedicati a bambini e anziani, occorrono ulteriori specifiche autorizzazioni. Franz Kafka non avrebbe saputo fare di meglio.

Fuori dalle aule. Tra un mese comincia l’anno scolastico, ma la maggior parte delle strutture per l’insegnamento nell’area del sisma è inagibile o distrutta. Eppure i fondi per il recupero ci sono: molti provengono da donazioni di enti e imprese private e da quegli italiani che hanno aderito alle campagne di solidarietà e che ora vorrebbero sapere come sono stati spesi i loro contributi benefici. A costoro bisognerà spiegare come mai il piano straordinario per la riapertura delle scuole a settembre, varato nel gennaio scorso dal Commissario Errani, è utopistico e come mai non è stata trovata una soluzione in tempo utile. Le gare per ristrutturare una novantina di edifici scolastici sono andate quasi tutte deserte, nonostante la cifra stanziata fosse ragguardevole: 230 milioni di euro. A scoraggiare le imprese sarebbero state le regole stringenti che prevedevano la presentazione del progetto insieme all’offerta economica e tempi ravvicinati. Così sono passati sette mesi per capire che il meccanismo era da cambiare: il 31 luglio, infine, il Commissario ha presentato un’ordinanza che modifica la sua precedente di gennaio. Il progetto esecutivo ora va presentato solo dall’impresa che si è aggiudicata i lavori e il contratto definitivo di appalto sarà firmato dopo l’approvazione delle Conferenze permanenti. Le Marche avevano previsto 38 interventi, per un costo di 139 milioni di euro, l’Umbria 22 (31 milioni), l’Abruzzo 15 (24 milioni), il Lazio 12 (35 milioni). Ma siamo fuori tempo massimo. Già si sta pensando a un piano B, ovvero all’ipotesi di sistemare le aule in tensostrutture temporanee, potenziando il sistema di navette e scuola-bus per trasportare gli studenti dai luoghi dove ora risiedono. Ma c’è anche un altro problema. Ammesso che si riesca nell’impresa di rendere agibile qualche edificio scolastico tra settembre e ottobre, intorno ad essi ci sarà un deserto di macerie. Senza le casette, i ragazzi saranno comunque costretti a faticosi pendolarismi da alberghi e appartamenti provvisori, dove sono sistemati da un anno.

Freni da «sindrome dell'abuso». Nonostante l’emergenza molti vincoli urbanistici - anche assurdi, durante una situazione di emergenza - rimangono. Le zone del «cratere» fanno parte di due parchi nazionali, dei Monti Sibillini e dei Monti della Laga. Significa che ogni intervento, sia la messa in sicurezza dell’argine di un fiume a rischio di esondazione come l’installazione di roulotte o case mobili, è soggetto a regole ferree. Le aree sono sottoposte anche a normative europee di tutela ambientale. Nessuna deroga anche al Testo unico sull’edilizia. Non è consentito dunque mantenere su terreni di proprietà privata una casetta comprata di tasca propria per più di tre mesi. Pena, l’incorrere nel reato di abuso edilizio.

Ricostruzione ad ostacoli. Anche la presentazione dei progetti per la ricostruzione vera e propria è sottoposta a passaggi macchinosi. Il professionista deve appunto inoltrare all’Ufficio tecnico della ricostruzione 15 gruppi di certificati, ognuno dei quali include altri documenti. Finita l’istruttoria, il progetto viene trasmesso al Comune che deve verificare che il progetto di ricostruzione rispetti il piano urbanistico. Ma qui, senza tenere in alcun conto l’emergenza, la pratica viene messa in coda alle altre che non riguardano specificamente il terremoto. Non c’è infatti una norma che dia priorità alla ricostruzione post-sisma. Numerosi progettisti si sono lamentati, ma non c’è stato niente da fare. Gli impiegati si attengono a quanto previsto. Negli uffici le schede dei sopralluoghi si stanno accumulando, anche perché numerose sono sbagliate, e dovrebbero essere rimandate indietro al tecnico per correzioni e integrazioni. Tutto ciò crea ulteriore blocco della ricostruzione.

Stalle: chi le ha viste? Dopo un anno risulta pronta solo una stalla su tre. Su 247 richieste ne sono arrivate, e ne funzionano, appena 82. Anche in questo caso, inadempienze e ritardi. L’appalto per realizzarle affidato dapprima alla ditta veneta Lmv è stato deludente. Come riferisce la Coldiretti, l’impresa avrebbe dovuto consegnare entro il 9 gennaio scorso 69 stalle mobili. A quella data, ne risultavano completate due. Preso atto della situazione, a febbraio la Regione Marche ha risolto il contratto con la Lmv e ha dato l’incarico alla Frimat. A marzo per accelerare i tempi è stato coinvolto, su proposta di Coldiretti, il Consorzio di Bonifica. A Castelsantangelo sul Nera la prima stalla si è vista a luglio. Dopo undici mesi.

Nel caos delle scadenze. Succede nella richiesta dei contributi pubblici per la ricostruzione leggera. Alcune date sono state aggiornate addirittura quando il termine era stato superato. Si è creato così il caos. La domanda andava presentata, insieme alla ormai famigerata scheda Aedes con la descrizione dell’entità dei danni, entro il 31 luglio 2017. Ma a quella data mancavano ancora numerosi sopralluoghi. Ecco che il governo ha deciso di posticipare la scadenza al 31 dicembre. La procedura però resta uguale, lunga e complessa. Dopo che l’ispezione ha certificato la non agibilità della casa, il Comune deve emanare una ordinanza di sgombero. Poi occorre un controllo più approfondito, riportato sulla scheda Aedes che va inviata via posta elettronica certificata alla Protezione civile per l’esame. L’ufficio ricostruzione avvia un’istruttoria per capire se gli interventi di «ricostruzione leggera» sono compatibili con il livello di danno in che misura il proprietario ha diritto al contributo. Un iter, ha spiegato un ingegnere a Panorama, richiede almeno un mese. Il percorso è fitto di insidie, perché l’amministrazione può richiedere documenti aggiuntivi. Il professionista deve attendere che la verifica sia ultimata per presentare il progetto. Ecco perché l’originale scadenza di luglio è saltata. Sono stati superati anche i termini per definire le aree più colpite dal sisma - che è il primo passo per avviare la procedura di ricostruzione. L’ordinanza del 23 maggio di Vasco Errani dava alle Regioni un mese per concludere l’operazione. Nulla invece è stato fatto.

Se una modifica scaccia l'altra. Una metà delle 35 ordinanze del Commissario per la ricostruzione Errani contengono modifiche alle precedenti. Come quelle che riguardano le delocalizzazioni di attività imprenditoriali. Le aziende agricole, la maggioranza in queste aree, erano state escluse. Sono poi state incluse, ma a termini scaduti per presentare la richiesta di spostamento delle attività. È stata necessaria quindi un’altra ordinanza che ha fissato la data ultima al 31 maggio. Modificate più volte anche le misure per la riparazione e il ripristino degli immobili a uso produttivo. Un altro atto di Errani ha cambiato all’improvviso i contratti per i professionisti impegnati nei progetti di ricostruzione, creando ulteriore e defatigante confusione.

TERREMOTO. SULLA PELLE DEI DISGRAZIATI.

Le scarpe nuove per i terremotati? Vanno ai migranti. Scandalo in Abruzzo. Dopo averle abbandonate in un magazzino, 5mila paia di scarpe "Vans" raccolte da CasaPound finiranno alle associazioni che si occupano di accoglienza, scrive Giuseppe De Lorenzo, Mercoledì 01/02/2017, su "Il Giornale". Oltre 5mila scarpe di marca destinate ai terremotati sono state donate alle associazioni che si occupano di accoglienza. Ovvero ai migranti. È l'ultima, assurda puntata di una storia di sprechi e mancati controlli, burocrazia e negligenze, che ha finito col penalizzare gli sfollati del sisma dell'Aquila del 2009. Privandoli di scarpe, giacche e pantaloni che ora verranno indossati dagli immigrati. Facciamo un passo indietro e torniamo a quei drammatici momenti della primavera del 2009, quando una scossa di magnitudo 6.3 piegò il capoluogo abruzzese. Nel pieno dell'emergenza, il 5 agosto CasaPound riceve dall'azienda di abbigliamento statunitense «Vf International Sagl» un'ingente donazione destinata ai terremotati. Si trattava di 5.493 paia di calzature della «Vans», un vero e proprio tesoro in una situazione in cui un paio di scarpe avrebbero potuto fare davvero la differenza. CasaPound le affida all'amministrazione del Comune di Poggio Picenze che, in attesa di poterle distribuire, le stipa nel bocciodromo del paese. Per qualche motivo, però, nessuno si occupa di consegnarle agli sfollati e così inizia un tour di spostamenti infinito: a gennaio 2011 le calzature vengono portate in un magazzino comunale a l'Aquila e nel 2012 approdano nell'Autoparco Comunale. Un viavai ingiustificato con l'unica conseguenza di far cadere nel dimenticatoio quei doni dal valore complessivo di 39.175 euro. E infatti, col tempo, il magazzino si riempie di sampietrini e materiale elettorale, nascondendo le scarpe sotto la sporcizia. Solo nel febbraio dell'anno scorso gli agenti del Nipaf della Forestale si accorgono, casualmente, degli scatoloni colmi di beni intonsi e mai utilizzati. L'assurdo ritrovamento fa scattare le indagini coordinate dal pm Roberta D'Avolio. Nessuno però si assume la responsabilità di tanto spreco e nel fascicolo non ci sono indagati. Così, nel frattempo, i mesi passano e l'attenzione mediatica sollevata dal consigliere di circoscrizione Francesco De Santis pian piano si spegne. Fino a quando, pochi giorni fa - nel bel mezzo dell'emergenza neve che ha investito l'Abruzzo -, le autorità decidono di liberare le «Vans» dal blocco burocratico che le aveva imprigionate e di donarle ai bisognosi. Una nota positiva, direte. Certo, ma con una sorpresa. Alcune scarpe, infatti, sono state destinate ad associazioni impegnate nell'emergenza del recente sisma del Centro Italia, ma la maggior parte sono finite alle associazioni che gestiscono l'accoglienza. E andranno così a rivestire i richiedenti asilo ospitati nei centri profughi dispersi in tutto l'Abruzzo. La decisione di «preferire i migranti agli italiani» ha irritato (e non poco) i vertici abruzzesi di CasaPound che quelle scarpe si era impegnata a raccogliere: «Siamo sconcertati - scrive in una nota il responsabile abruzzese, Simone Laurenzi -. La volontà degli italiani di aiutare i propri compatrioti è stata tradita ancora una volta dalle istituzioni».

I 28 milioni donati con gli sms ai terremotati non sono ancora arrivati a destinazione, scrive il 19/01/2017 Ilario Lombardo su "La Stampa”. Nel giorno in cui la terra è tornata a tremare con forza nelle zone dell’Italia centrale, già fiaccate da uno sciame infinito, si viene a scoprire che i 28 milioni di euro donati dagli italiani per i terremotati di Marche, Lazio e Abruzzo sono ancora fermi nel conto aperto presso la Tesoreria Centrale dello Stato. Il Movimento 5 Stelle ha chiesto conto al governo di questi soldi raccolti attraverso sms e bonifici bancari durante il question time alla Camera, in un botta e risposta tra la deputata Laura Castelli e il neo-ministro dei Rapporti con il Parlamento Anna Finocchiaro. E così veniamo a sapere che, per una logica che appare puramente burocratica, i soldi ci sono ma non si possono toccare: il «protocollo d’intesa per l’attivazione e la diffusione dei numeri solidali», firmato con le società di telefonia che raccolgono gli sms solidali, e disponibile sul sito della Protezione civile, prevede un percorso preciso che sembra non tener conto del freddo, della neve, delle esigenze del territorio, dei bisogni della popolazione, del terrore delle nuove scosse. Come ricorda Finocchiaro in aula, prima si deve predisporre un’analisi dei danni nelle singole regioni e poi si sottopone a un comitato di garanti, che deve verificare il rispetto delle norme nell’utilizzo dei fondi. Alla fine, i soldi dovrebbero arrivare. «Una procedura incredibilmente lenta che stride rispetto all’emergenza - spiega Castelli – il paradosso è che la solidarietà resta ostaggio della burocrazia». In effetti, la particolare conformazione montuosa del territorio, la prevedibilità della stagione rigida dalla quale non si scappa, avrebbe dovuto rendere la macchina della solidarietà più flessibile per mettere a disposizione i 19 milioni di euro raccolti (in due tranche, al 30 novembre 2016) via sms tramite il numero 45500, e i quasi 8 milioni arrivati con bonifico bancario al 10 gennaio 2017. Il primo terremoto, di questa lunga serie che ha sconvolto il cuore del Paese, è del 24 agosto. Se si tiene conto solo di questo evento, quello più indietro nel tempo, e delle prime donazioni via cellulare chiuse il 9 ottobre, si contano 15 milioni fermi da oltre tre mesi. E tre mesi valgono come tre anni per chi non ha una casa e vede la neve sommergere le macerie senza che dia l’illusione di dimenticare. Per dire, altre forme di raccolta fondi, promosse da aziende private, hanno già prodotto risultati concreti e visibili. Il 29 gennaio, salvo proroghe, si chiuderà la terza donazione tramite sms, che, partita il 31 dicembre, ha già fruttato oltre un milione di euro. Sono 2 euro per ogni messaggio. Servono per ricostruire case, scuole, per salvare allevamenti e colture. L’importante è farli arrivare presto a chi sono destinati.

Quando, dove e perché si usano i soldi degli sms solidali. Secondo un accordo siglato con le società di telefonia, la raccolta si chiuderà a meno di proroghe il 29 gennaio: 28 milioni di euro raccolti finora, scrive Monica Rubino il 19 gennaio 2017 su "La Repubblica". La polemica è montata sui social ma il caso è stato sollevato dai 5stelle che, dopo il nuovo sisma che ha scosso il Centro Italia flagellato dalla neve, hanno accusato il governo di aver messo in naftalina i fondi per i terremotati raccolti dalla Protezione civile con gli sms solidali invece di utilizzarli subito per fronteggiare l'emergenza. Ma come funziona veramente il meccanismo delle collette di solidarietà per le popolazioni colpite dal terremoto? Quando e come si possono usare quei soldi? Ecco le risposte della Protezione civile.

Dove vanno a finire i soldi raccolti con gli sms? Le donazioni raccolte tramite il numero solidale 45500, nonché i versamenti sul conto corrente bancario attivato dal Dipartimento della protezione civile, confluiscono nella contabilità speciale intestata al commissario straordinario aperta presso la Tesoreria dello Stato.

A che cosa servono? Le somme servono a finanziare gli interventi di ricostruzione nei territori. Quindi è esclusa ogni utilizzazione per scopi emergenziali. Alla fine della raccolta viene nominato un Comitato di garanti, che ha il compito di valutare e finanziare i progetti presentati dalle Regioni in accordo con i Comuni interessati. Del progetto viene seguito anche tutto l'iter della realizzazione. Ad esempio in Emilia, dopo il terremoto del 2012, i fondi solidali sono stati usati per ricostruire scuole e palestre.

Quando si possono usare? Secondo un accordo siglato con le società di telefonia, che raccolgono gli sms solidali e versano i proventi senza alcun ricarico sul conto corrente della Protezione civile, la raccolta si chiuderà a meno di proroghe il 29 gennaio. Fino a che non si sa con esattezza quanti soldi siano stati raccolti (finora la cifra si aggira attorno ai 28 milioni di euro) non si può decidere quali progetti finanziare. Gli operatori che hanno aderito all'iniziativa senza scopo di lucro sono Tim, Vodafone, Wind, 3, Postemobile, Coopvoce, Infostrada, Fastweb, Tiscali, Twt, Cloud Italia e Uno Communication. 

Terremoto Amatrice, il sindaco Pirozzi: soldi per la ricostruzione del terremoto? La gestione degli sms è stata scandalosa, scrive il 24 settembre 2017 "Il Corriere TV". Terremoto di Amatrice, le parole del primo cittadino di Amatrice ospite ad Atreju 2017 sui soldi donati per la ricostruzione via sms. Sergio Pirozzi sindaco di Amatrice ad Atreju, la festa di Fratelli d’Italia, attacca: nemmeno un euro dei 33 milioni che gli italiani hanno donato attraverso sms da 2 euro l’uno o attraverso bonifici di solidarietà è finito a beneficio delle popolazioni terremotate di Amatrice, Accumoli, Arquata o Pescara del Tronto e degli altri comuni terremotati il 24 agosto 2016. Quanto agli sms Pirozzi rivela che quei fondi sono utilizzati per tutt’altro scopo, e che inizialmente perfino destinati a fare una pista ciclabile nelle Marche in un paese non compreso nelle zone devastate dal sisma. «Io comunque ho avuto la fortuna”, ci spiega dopo Pirozzi, “di avere tanta solidarietà diretta da parte degli italiani. Però con la gestione di quelle donazioni degli sms si sta dando un messaggio profondamente sbagliato. Perché io penso che tante persone in quelle giornate e quelle settimane intendevano dare un aiuto diretto a quelle persone e a quei paesi che vedevano devastati. Il fatto di non indirizzarli là è devastante, perché poi la gente non crede più a nulla. La destinazione di quei fondi è stata decisa da una commissione di saggi che tanto saggi non sono. Io credo che dopo averli usati così bisogna chiedere scusa agli italiani...»

Lo scandalo degli sms solidali: neanche un euro ad Amatrice. La denuncia del sindaco Pirozzi: "Dal governo norme inutili". I 33 milioni raccolti destinati ad altre opere, scrive Anna Maria Greco, Domenica 24/09/2017, su "Il Giornale". La denuncia del sindaco di Amatrice scuote la festa di Atreju 2017. «Nemmeno un euro - dice Sergio Pirozzi- dei 33 milioni che gli italiani hanno donato attraverso sms da 2 euro l'uno o attraverso bonifici di solidarietà è finito a beneficio delle popolazioni terremotate di Amatrice, Accumoli, Arquata o Pescara del Tronto e degli altri comuni terremotati il 24 agosto 2016». Parla di fondi utilizzati per tutt'altro scopo, di gestione scandalosa delle offerte via sms, perfino di denaro inizialmente destinato a fare una pista ciclabile nelle Marche, in un paese non compreso nelle zone devastate dal sisma. Se la ciclovia è stata bloccata dopo le proteste, sono rimasti 7 eliporti notturni, una grotta nelle terme e, nel Lazio, alcune scuole in comuni che non rientrano nel cratere. «La destinazione di quei fondi - afferma Pirozzi - è stata decisa da una commissione di saggi che tanto saggi non sono. Io credo che dopo averli usati così bisogna chiedere scusa agli italiani». E il sindaco spiega che la grande solidarietà degli italiani per le popolazioni colpite dal sisma si è scontrata con decisioni amministrative che provocano nei donatori rabbia e sfiducia nelle istituzioni. Perché il «giallo» degli sms si aggiunge al calvario imposto ai comuni disastrati con i provvedimenti del governo sulla ricostruzione, «fatti male e inutili, perché ispirati dai vari clientes di riferimento». Per Pirozzi, con la gestione delle donazioni degli sms «si sta dando un messaggio profondamente sbagliato. Perché penso che tante persone in quelle giornate e quelle settimane intendevano dare un aiuto diretto a persone e paesi che vedevano devastati. Il fatto di non indirizzarli là è devastante, perché poi la gente non crede più a nulla». Per la vicenda delle Marche la polemica è scoppiata a luglio, anche con interrogazioni parlamentari, quando nell'elenco dei primi progetti di ricostruzione finanziati con un piano di 17,5 milioni di euro degli sms solidali si è scoperto che l'Ufficio ricostruzione di Macerata aveva inserito 5,5 milioni per costruire il primo tratto di una pista ciclabile tra Civitanova Marche e Sarnano. Una scelta troppo «turistica», per i comitati terremotati, ma difesa da Regione e sindaci interessati nel nome del turismo come opportunità di ripartenza. Non era il solo intervento contestato: 1,5 milioni per 7 elisuperfici attrezzate per voli notturni; 5 milioni per ammodernamento Valdaso tratto Comunanza - Ponte Maglio e 3 milioni per il recupero della grotta sudatoria di Acquasanta Terme, chiusa da 20 anni e non danneggiata dal sisma. «Insomma di 17,5 milioni di euro, 15 andrebbero per opere che non riguardano i terremotati», attaccava uno dei coordinatori dei comitati dei terremotati, Francesco Pastorella. Chiedeva al comitato dei garanti di non approvare le proposte della regione Marche, che avrebbe utilizzato il 70 se non l'80% delle donazioni per opere «che non c'entrano nulla con il dramma del terremoto, mentre la regione Umbria destina il 90% dei fondi degli sms solidali al sociale e alle popolazioni colpite». Ad agosto, altra denuncia per quasi 4 milioni di euro degli sms che sarebbero stati assegnati dalla Regione Lazio alle scuole di comuni fuori dal cratere. Ad esempio, alla scuola di Poggio Bustone circa 2 milioni e 700 mila euro, a quella di Collevecchio oltre un milione, a quella di Rivodutri 192 mila euro. Anche in questo caso a protestare è stato il Coordinamento del Comitato Terremoto Centro Italia, pure con una petizione online. «Troppe scelte scellerate - dice Pirozzi al Giornale- che provocano disaffezione nella gente. Per la pista ciclabile ci hanno messo una toppa, ma è una cosa grave. Le scuole laziali? Ce ne sono alcune in comuni, come Collevecchio, che non hanno avuto danni e sono fuori dal cratere. E dire che il cratere è stato allargato già a cani e porci. L'edilizia scolastica non si fa con le donazioni per i terremotati. Questo comitato dei saggi doveva garantire e invece...».

Terremoto Centro Italia, dei soldi donati nemmeno un euro per i comuni colpiti, scrive il 24 settembre 2017 tgcom24. Erano stati raccolti più di 33 milioni di euro con gli sms dopo il terremoto che nellʼagosto 2016 ha sconvolto Marche e Lazio. La Procura ha aperto unʼinchiesta. Grazie alla solidarietà degli italiani più di 33 milioni di euro erano stati raccolti con gli sms l'indomani del terremoto che il 24 agosto 2016 ha fatto crollare diversi comuni del Centro Italia. Nemmeno un euro di questi soldi sono giunti nelle casse del comuni colpiti. A dirlo è Sergio Pirozzi, sindaco di Amatrice, dal palco di Atreju, la festa di Fratelli d'Italia. La Procura ha aperto un'indagine - lo riporta Il Fatto Quotidiano - e il pubblico ministero di Rieti sentirà nei prossimi giorni Pirozzi sulle donazioni mai arrivate. “Io penso che tutte le persone che hanno versato due euro con gli sms l’abbiano fatto per Amatrice, per Norcia, per Arquata…per tutti quei comuni che il 24 agosto hanno subito il dramma”. Sono le parole che il sindaco di Amatrice pronuncia ad Atreju. E continua: “Hanno deciso di non dare nulla non rispettando la volontà popolare. E questo è devastante perché poi la gente non crede più a nulla”. Addirittura -  sempre a detta di Pirozzi - quella che lui chiama “una commissione di saggi che tanto saggi non sono” aveva deciso di destinare parte di quei soldi per una pista ciclabile a Civitanova, comune non colpito da sisma. Il primo cittadino di Amatrice ringrazia gli italiani per i soldi donati perchè lui "ha sentito tanta solidarietà", ma conferma che purtroppo "i fondi degli sms non sono giunti". Secondo Il Fatto Quotidiano nei prossimi giorni Pirozzi sarà convocato dai magistrati che apriranno un fascicolo contro ignoti e avvieranno indagini specifiche sugli sms solidali. La Procura di Rieti, infatti, avrebbe avviato un'indagine per verificare la correttezza o meno della raccolta e dell'assegnazione dei fondi attraverso i messaggi da 2 euro che molti hanno inviato subito dopo il terremoto.

I soldi degli sms terremoto «mai finiti ad Amatrice». Il sindaco Pirozzi ritorna a polemizzare sui 33 milioni di euro raccolti con gli sms di solidarietà per i terremotati del 24 agosto 2016 non sono “mai arrivati alle popolazioni colpite dal sisma". Vediamo come stanno davvero le cose, scrive Alessandro D'Amato, domenica 24 settembre 2017 su "Nextquotidiano". I33 milioni di euro raccolti con gli sms di solidarietà per i terremotati del 24 agosto 2016 non sono “mai arrivati alle popolazioni colpite dal sisma”. A dirlo è il sindaco di Amatrice Luca Pirozzi alla festa di Atreju aggiungendo che quei fondi sono stati destinati ad altri interventi “estranei alle aree pertinenti”, addirittura per “una pista ciclabile in un paese delle Marche non colpito dalle scosse”. Il Fatto, in un articolo di Davide Vecchi, dice che il sindaco di Amatrice sarà convocato nei prossimi giorni dai magistrati della procura di Rieti guidata da Giuseppe Saieva, che aprirà un fascicolo contro ignoti e avvierà indagini specifiche sugli sms solidali. Eppure l’attacco di Pirozzi alla festa della Meloni ricalca una polemica già vissuta: sulla gestione dell’emergenza non hanno alcun peso i fondi raccolti con gli SMS solidali, che saranno invece destinati alla ricostruzione. Più di qualcuno, ad esempio il MoVimento 5 Stelle, ha chiesto che venissero spesi subito paventando il rischio che quei soldi fossero in qualche modo ostaggio delle banche, ma non è così. Semplicemente saranno utilizzati per altri progetti che partiranno quando cesserà la fase di emergenza e si potrà procedere a pensare come ricostruire i paesi distrutti e le abitazioni danneggiate (ad oggi anche i confini dell’area del Cratere, ad esempio, devono ancora essere stabiliti in modo definitivo). Per le emergenze invece lo Stato attinge al Fondo Emergenze del Ministero dell’Economia e quelli stanziati a partire dalla dichiarazione dello stato di emergenza (25 agosto 2016) che ammontano a 50 milioni di euro per il sisma del 24 agosto, 80 milioni per gli eventi sismici di ottobre ai quali il governo ha aggiunto ulteriori 30 milionidestinati a far fronte esclusivamente ai primi urgenti interventi di soccorso legati alla fase di emergenza. Lo stanziamento andrà a valere sulle disponibilità del Fondo per le Emergenze Nazionali. Il 1 dicembre l’Unione Europea ha sbloccato 30 milioni del Fondo di Solidarietà. C’è poi la storia della pista ciclabile, di cui si è parlato a luglio e il cui progetto è stato successivamente ritirato dalla Regione Marche. La Protezione Civile ha sempre specificato il denaro raccolto serve per la ricostruzione e il sostegno alle popolazioni colpite ma non per l’emergenza. Ma parte dei fondi destinati alla Regione Marche verranno spesi non per la ricostruzione ma la costruzione di una pista ciclabile il cui tracciato non interessa solo le aree del cratere. L’assessore regionale Angelo Sciapichetti ha illustrato nel luglio scorso all’assemblea dei sindaci i setti interventi che saranno finanziati con i soldi degli sms solidali. Tra tutti spiccava il progetto – del valore di 5 milioni e 450 mila euro – per la realizzazione del “primo stralcio” di una pista ciclabile che collega Civitanova Marche a Sarnano. Altri interventi riguardano la ricostruzione della scuola media ed elementare di Pieve Torina e l’adeguamento sismico di quella di quella a Montegallo. Inoltre è prevista la realizzazione di 7 elisuperfici attrezzate per il volo notturno e il recupero della grotta sudatoria ad Acquasanta Terme. Secondo Sciapichetti la Regione ha deciso di investire sul turismo, per poter aiutare uno dei settori trainanti dell’economia regionale. Il motivo è che i finanziamenti per le scuole (15 milioni di euro) ci sono e che sono in arrivo 60 milioni di euro che saranno investiti per la prima tranche della ricostruzione delle opere pubbliche. C’è però da rilevare che Franco Ceregioli il sindaco di Sarnano (che è uno dei comuni del cratere) era all’epoca d’accordo con la decisione della Regione. Secondo il primo cittadino di Sarnano dal momento che la ricostruzione verrà fatta con risorse pubbliche (ad esempio la scuola materna di Sarnano è stata ricostruita con i fondi raccolti dalla Regione Friuli Venezia Giulia) la decisione di utilizzare i fondi degli sms solidali per finanziare iniziative di rilancio economico del territorio offriva “possibilità uniche” per i sette comuni attraversati dalla pista ciclabile. Secondo Ceregioli la realizzazione della pista ciclabile e il rilancio del turismo sarebbero stati una forma di sostegno alle popolazioni colpite che avrebbero consentito di non far morire il territorio. Si poteva fare altro? Sicuramente sì, ma anche quell’altro probabilmente non sarebbe stato condiviso da tutti. Rimane però la questione dell’immagine: davvero non si poteva evitare di far credere agli italiani che la Regione sta usando “in modo sbagliato” i fondi delle donazioni?

Terremoto in Centro Italia: perché i fondi per l’emergenza non sono il vero problema. Si sta facendo abbastanza per fronteggiare l'emergenza in Centro Italia? Quanti soldi ha stanziato il Governo da quanto è stato dichiarato lo stato d'emergenza? Che fine hanno fatto gli elicotteri della Forestale e i soccorsi sono arrivati in ritardo all'hotel Rigopiano? Scrive Giovanni Drogo venerdì 20 gennaio 2017 su "Next Quotidiano". Le tre scosse di terremoto della mattina del 18 gennaio hanno per la terza volta fatto scattare l’emergenza in Centro Italia. A rendere difficile la vita di terremotati e sfollati e a rallentare la macchina dei soccorsi non è stato però il sisma ma un evento meteorologico ampiamente previsto la cui portata però è stata – colpevolmente accusano alcuni – sottovalutata dalle autorità e dalla Protezione Civile. Come è possibile che la Protezione Civile, che già si trova ad operare in emergenza da ottobre (e in alcune aree da agosto) non sia riuscita a far fronte in maniera tempestiva alla situazione? Il primo equivoco da chiarire riguarda il denaro raccolto in questi mesi con le sottoscrizioni volontarie da parte dei cittadini italiani: sulla gestione dell’emergenza di questi giorni non hanno alcun peso i fondi raccolti con gli SMS solidali, che saranno invece destinati alla ricostruzione. Più di qualcuno, ad esempio il MoVimento 5 Stelle, in questi giorni ha chiesto che venissero spesi subito paventando il rischio che quei soldi fossero in qualche modo ostaggio delle banche, ma non è così. Semplicemente saranno utilizzati per altri progetti che partiranno quando cesserà la fase di emergenza e si potrà procedere a pensare come ricostruire i paesi distrutti e le abitazioni danneggiate (ad oggi anche i confini dell’area del Cratere, ad esempio, devono ancora essere stabiliti in modo definitivo). Quei circa 28 milioni di euro raccolti dalla Protezione Civile sono al sicuro, e se proprio non volete donare tramite telefono cellulare ci sono altre raccolte fondi: Un aiuto subito è quella lanciata da Corriere della Sera e La 7. Anche in questo caso il denaro raccolto (ad oggi siamo a 1.432.852 euro) verrà utilizzato per finanziare progetti di ricostruzione: ad Amatrice verrà realizzata una mensa scolastica e cittadina e un villaggio del cibo, progettati dall’architetto Stefano Boeri, ad Arquata del Tronto invece è stata realizzata e consegnata alla cittadinanza il 29 Novembre 2016 una scuola. Per le emergenze invece lo Stato attinge al Fondo Emergenze del Ministero dell’Economia e quelli stanziati a partire dalla dichiarazione dello stato di emergenza (25 agosto 2016) che ammontano a 50 milioni di euro per il sisma del 24 agosto, 80 milioni per gli eventi sismici di ottobre ai quali oggi il governo ha aggiunto ulteriori 30 milioni destinati a far fronte esclusivamente ai primi urgenti interventi di soccorso legati alla fase di emergenza. Lo stanziamento andrà a valere sulle disponibilità del Fondo per le Emergenze Nazionali. Il 1 dicembre l’Unione Europea ha sbloccato 30 milioni del Fondo di Solidarietà. 

Nella Legge di bilancio 2017 il Governo ha previsto inoltre: 6,1 miliardi di euro (100 milioni di euro per l’anno 2017 e 200 milioni di euro annui dall’anno 2018 all’anno 2047) per la concessione del credito d’imposta maturato in relazione all’accesso ai finanziamenti agevolati, di durata venticinquennale, per la ricostruzione privata (di cui all’art. 5 del D.L. 189/2016); 1 miliardo di euro (200 milioni di euro per l’anno 2017, 300 milioni di euro per l’anno 2018, 350 milioni di euro per l’anno 2019 e 150 milioni di euro per l’anno 2020) per la concessione dei contributi per la ricostruzione pubblica (di cui all’art. 14 del D.L. 189/2016).

La Protezione Civile si occupa al momento dell’assistenza agli sfollati, in totale sono 10.098 così ripartite: 6.569 nelle Marche, 1.976 in Umbria, 547 nel Lazio e 1.006 in Abruzzo. Si tratta di dati in evoluzione perché l’ultimo aggiornamento risale al 16 gennaio (quindi due giorni prima dell’ultimo terremoto): In particolare, sono oltre 8.200 le persone ospitate in alberghi e strutture ricettive, di cui quasi 3.200 sul proprio territorio e oltre 5mila lungo la costa adriatica e sul lago Trasimeno. Sono oltre settecento gli alloggiati nei moduli e negli appartamenti realizzati in occasione di terremoti del passato, in Umbria, nelle Marche e in Abruzzo, mentre circa 450 sono coloro che trovano accoglienza nel proprio comune in container, moduli abitativi prefabbricati rurali emergenziali e camper allestiti in questi mesi dalla Protezione Civile. Sono, infine, circa meno di settecento gli assistiti in palazzetti, centri polivalenti e strutture allestite ad hoc nel proprio comune.

Degli oltre 6.500 assistiti nella Regione Marche, quasi 2.000 sono in strutture ricettive sul territorio e circa 3.800 negli alberghi della costa adriatica. In Umbria, invece, sono ospitati nelle strutture ricettive sul territorio in oltre 500, mentre poco più di 900 sono alloggiati negli alberghi individuati in altre aree nella stessa regione e sul lago Trasimeno. Per quanto riguarda i cittadini del Lazio assistiti direttamente, poco più di 300 hanno trovato alloggio negli alberghi della costa adriatica e oltre 200 presso gli alloggi del piano CASE e MAP messi a disposizione in Abruzzo. Nella Regione Abruzzo, infine, gli assistiti sono circa mille: oltre 200 presso gli alloggi del piano C.A.S.E. e MAP sul territorio, e quasi 800 in strutture ricettive distribuite sul territorio.

Questo calcolo non tiene conto dei SAE, le cosiddette “casette”, destinate a chi non ha voluto (o non ha potuto perché molti sono allevatori che non possono abbandonare le proprie stalle e i propri animali) abbandonare le zone colpite dai terremoti: i primi moduli sarebbero dovuti arrivare in questi giorni ma la sistemazione di tutti coloro che ne hanno fatto richiesta è ben lontana da essere completata. In definitiva i soldi ci sono, il problema è far arrivare i contributi a chi ne ha bisogno e questo – come faceva notare il MoVimento 5 Stelle – non sempre è avvenuto in maniera tempestiva. Secondo il M5S diversi milioni di euro non sono ancora stati spesi: I fondi destinati allo svolgimento dell’anno scolastico 2016/2017 al Miur (5 milioni) e quelli destinati al programma infrastutture ambientali per l’anno 2016 (3 milioni) non sono ancora stati spesi.

I fondi destinati all’indennità per lavoratori dipendenti (124,5 milioni) e lavoratori autonomi (134,8 milioni) per il solo 2016 sono fermi per via della predisposizione della convenzione con il Ministero del Lavoro e Politiche Sociali.

I fondi destinati alle assunzioni a tempo determinato nei comuni per il 2016 (1,8 milioni) non sono ancora arrivati al Ministero dell’Interno.

I fondi destinati al parco mezzi del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco per il 2016 (5 milioni) sono fermi al Ministero dell’Interno.

Come si può vedere dall’elenco si tratta di denari non immediatamente utili per fronteggiare le fasi attuali dell’emergenza e che avrebbero dovuto essere utilizzati per interventi strutturali, difficili in una situazione in cui molte infrastrutture devono essere ricostruite da zero oppure per le assunzioni di personale o per l’erogazione di indennità. Ma probabilmente sono i fondi destinati al parco mezzi dei VVFF che forse avrebbero potuto rendere più semplici gli interventi di soccorso agli sfollati.

I ritardi nei soccorsi all’Hotel Rigopiano e i problemi della gestione ordinaria dell’emergenza. Riguardo alla tempestività degli interventi in questi giorni si è molto parlato: già nella settimana precedente al sisma era stato diramato l’allerta arancione in Abruzzo, allerta confermato anche nella giornata del 16 gennaio. Si tratta di uno stato di emergenza imminente per fronteggiare il quale la Protezione Civile prevede che venga attivata la sala operativa regionale e che le Prefetture attivino le strutture periferiche. Emblema dei problemi organizzativi la situazione paradossale vissuta dal Sindaco di Ussita che si è visto arrivare (con due giorni di ritardo) la turbina per aprire la strada senza catene da neve. La Protezione Civile infatti aveva inviato il mezzo sprovvisto dei dispositivi per procedere sul terreno fortemente innevato e ghiacciato e così le operazioni di sgombero si sono dovute interrompere fino a che non è stato recuperato un paio di catene da neve (in teoria ne servirebbero due paia). Qualcosa senza dubbio non ha funzionato a dovere perché è impensabile che un mezzo che deve operare su strade ghiacciate venga bloccato per la mancanza di catene. Si tratta di un problema che va al di là della situazione eccezionale e dell’emergenza terremoto in sé. Anche Enel e Terna sono sotto accusa per i ritardi nel ripristino della fornitura di energia elettrica alle abitazioni: sono decine di migliaia le persone (alcune delle quali isolate) che sono senza corrente elettrica a causa delle forti nevicate.

L’allerta e le criticità oggi in Abruzzo e nelle Marche. Per i bollettini consultare il sito regionale. Diversa invece è la questione, che ha scatenato molte polemiche, degli elicotteri del Corpo Forestale rimasti a terra dopo che la Forestale è stata assorbita dall’Arma dei Carabinieri. Il Conapo, sindacato dei vigili del fuoco, attacca, parlando di situazione “gravissima”, con un “patrimonio di esperienza e professionalità” tenuto inutilizzato, “mentre l’Italia è in piena emergenza e piange, altro che riforma dello Stato, il ministro Madia dovrebbe riflettere”. Fonti degli ex sindacati del Cfs sostengono che gli elicotteri del Corpo erano abilitati all’uso civile e la riconversione all’uso militare – richiesta con il transito ai Carabinieri – sarebbe oltremodo complessa oltre che costosa. Da parte sua l’Arma precisa che la base Ciuffelli, acquisita dall’1 gennaio, non è chiusa, ma gli elicotteri del Cfs, di base a Rieti e Pescara, comunque non volano. Questo perchè gli NH500, efficienti, “non sono nelle condizioni di operare nelle zone innevate nelle condizioni climatiche attuali, mentre dei tre AB 412 trasferiti all’Arma uno è operativo al Nord Italia e gli altri due sono inefficienti da mesi, in attesa di interventi straordinari di manutenzione, così come i tre A 109”. I parlamentari M5S Patrizia Terzoni, Massimiliano Bernini ed Elena Fattori, con un’interrogazione, chiedono “l’immediato sblocco di quegli elicotteri della forestale, che sono perfettamente attrezzati per atterrare sulla neve e portare soccorso in situazioni critiche come quella nella quale si trova l’area colpita da terremoto e maltempo, difficilmente raggiungibili coi mezzi terrestri”. Il Fatto Quotidiano riporta le accuse di Antonio Di Lizia, ex pilota della Forestale: L’ex base degli elicotteri del Corpo forestale dello Stato presso l’aeroporto Ciuffelli, è chiusa, tre elicotteri sono rinserrati negli hangar. Fermi, inutili. La ragione? Motivi burocratici, ci confermano operatori da noi interpellati, legati al passaggio del Corpo ai carabinieri. Si tratta di personale altamente specializzato, elicotteristi abituati a operare in zone di montagna e a volare di notte anche in condizioni difficili. In più, aggiungono gli operatori, sull’uso della base ci sarebbe un braccio di ferro tra Corpo dei Vigili del Fuoco e Arma dei Carabinieri.

Brutta situazione, confermata su Notizie.Tiscali da Antonio Di Lizia, ex pilota della Forestale ora nei Vigili del Fuoco: “I nostri elicotteri sono tutti fermi, non possono essere utilizzati perché ci sono delle lentezze burocratiche che ci hanno impedito di andare in volo”. Forse, quegli elicotteri avrebbero potuto tentare di raggiungere l’Hotel Rigopiano, forse potrebbero essere utili per portare mangime e acqua agli allevamenti allo sbando. Forse…La realtà è che sono fermi. “Non ci sta uccidendo la neve, non il terremoto, ma la burocrazia”, è l’accusa lanciata da Gianluca Pasqua, sindaco di Camerino, un uomo mite che in questi mesi di emergenza non ha mai fatto polemiche, “ma tutto ha un limite”. Che senso ha tenere, in un’area soggetta a forti nevicate, elicotteri non idonei ad operare nelle zone innevate? Di chi è la responsabilità nell’aver acquistato mezzi che non possono essere sempre utilizzati?

La ricostruzione dell’emergenza all’Hotel Rigopiano di Farindola (Corriere della Sera, 20 gennaio 2017). È invece ancora da accertare se e perché i soccorsi all’hotel Rigopiano, colpito da una slavina che l’ha completamente sommerso, siano partiti in ritardo. Il ritardo nei soccorsi sarebbe stato determinato da una sottovalutazione della gravità della situazione causa di una catena di comando farraginosa che, tra la prima segnalazione al 118 del disastro, le 17.40, e l’invio della colonna di soccorso, poco dopo le 19.30, ha perso quasi due ore. Questa ricostruzione è stata in parte contestata dalla prefettura di Pescara, che sostiene che i soccorsi sono partiti nei tempi compatibili con una strada bloccata dalla neve. Secondo alcune versioni la macchina dei soccorsi si sarebbe mossa, alle 18,50 secondo altre (la richiesta di aiuto era delle 18). E qui bisognerà comprendere perché gli elicotteri ci abbiano messo molte ore a mettersi in volo. Scrive il Messaggero che “quelli della Forestale-ormai confluita nei carabinieri erano in manutenzione. Quelli dei carabinieri sono partiti più tardi. Infine, ieri il sindacato Conapo ha denunciato: «Assurdo che i Vigili del Fuoco ancor oggi nel 2017 non si siano dotati delle strumentazioni e del numero di piloti necessari per far volare di notte. E parliamo di quegli elicotteri che già il 24 agosto 2016 hanno dovuto attendere la luce per trasportare i Vigili del Fuoco nelle zone terremotate. Quegli stessi elicotteri che anche questa mattina, non prima dell’alba, hanno trasportato i soccorritori all’hotel Rigopiano». Nella ricostruzione di Repubblica, a firma di Marco Mensurati, si parla anche di spazzaneve che finiscono il gasolio e ulteriori ritardi. Se le ipotesi venissero confermate saremmo di fronte a problemi e ritardi causati dalla mancanza di mezzi e da una macchina dei soccorsi che non è in grado di muoversi tempestivamente nelle emergenze.

"Solita mangiatoia delle coop rosse". I comitati dei terremotati: «Finanziati appalti che non ci riguardano», scrive Elena Barlozzari, Lunedì 25/09/2017, su "Il Giornale". Quei soldi dovevano servire «a supportare la ricostruzione dei territori colpiti e non a finanziare la mangiatoia degli appalti». Parla così Francesco Pastorella, marchigiano di adozione e coordinatore del network «Comitati Centro Italia», il primo ad aver denunciato che, solo nelle Marche, «l'86 per cento delle donazioni rischiava d'esser speso, dietro indicazione della Regione Marche, in opere che con i terremotati non hanno nulla a che vedere». La scoperta risale allo scorso 28 giugno. Pastorella ed una manciata dei «suoi» sono al cospetto del «gotha» della ricostruzione marchigiana: l'ingegner Cesare Spuri, responsabile dell'ufficio per la ricostruzione nelle Marche, Angelo Sciapichetti, assessore regionale alla protezione civile, e David Piccinini, capo dipartimento della protezione civile regionale. Pastorella esordisce, subito, con una domanda diretta: «Abbiamo saputo che avete incontrato la commissione dei garanti che gestisce i soldi degli sms solidali, ci dite come intendete utilizzarli?». Non crede alle sue orecchie quando scopre che «l'input politico è stato molto chiaro, le Marche hanno scelto». E lo hanno fatto per conto loro, infischiandosene delle finalità solidali, l'obiettivo prosegue a chiare lettere Spuri è: «Dare valore aggiunto al turismo». I passaggi di questa conversazione sono stati meticolosamente trascritti dallo stessi Pastorella che, ora, ha deciso di tirarli fuori. Nasce così la folle idea di tradire la fiducia degli italiani e usare il paniere delle donazioni per costruire una pista ciclabile. «Invece di pensare al futuro del turismo tuona Pastorella perché non pensate nell'immediato a chi si trova nei guai e non gli date una mano anziché fare piste ciclabili?». Ed uno di quelli che è dalla parte dei comitati gli fa eco: «Questi sono soldi destinati ai terremotati, gente che ha perso casa e non ha più futuro, gli italiani li hanno donati per loro. Come ve lo devo dire, mi devo dar fuoco?». La ciclovia, spiega oggi Pastorella, «Siamo riusciti a boicottala ma non abbiamo potuto far nulla per fermare l'ammodernamento della Valdaso». Che dire, invece, del recupero da 3 milioni della grotta sudatoria di Aquasanta Terme? Ai terremotati verrà dato in omaggio un carnet di ingressi? Per non parlare della costruzione di «due nuovi centri commerciali dove verranno delocalizzati i vecchi negozi». Per chi ha perso l'attività sarà una boccata d'ossigeno «ma per il ripristino del commercio esistono già dei fondi ad hoc, perché usare quelli degli sms?». Così facendo, infatti, si levano risorse a chi non ne ha. «Avrebbero dovuto effettuare dei versamenti diretti agli artigiani». Ma un'idea simile «cozzerebbe con la cattiva abitudine di destinare risorse agli habitué degli appalti». Questo spiegherebbe perché «si è preferito finanziare opere inevitabilmente assegnate a grosse società a scapito delle piccole imprese locali». Insomma, il sisma del 1997 sembra non averci insegnato nulla: «All'epoca vennero concesse commesse a cooperative e grosse aziende del sud che hanno subappaltato alle imprese locali strozzandole e generando un abbassamento della qualità del lavoro». Un giochetto che conoscono bene in Centro Italia, soprattutto quelli che vivono nelle «casette». «La commessa è stata assegnata alla solita coop rossa, sono costate 2 mila euro circa al metro quadro e già ci piove dentro».

Quanti sospetti ad Amatrice: "Sono spariti anche altri soldi". Viaggio tra i terremotati alle prese con macerie e spese: "Mai visti neppure i 980mila euro donati dai giapponesi", scrive Massimo Malpica, Lunedì 25/09/2017, su "Il Giornale". «Meglio se non parlo, guardi. Ma tanto gli occhi ce li ha pure lei, no?». Anna fuma una sigaretta sulla veranda della casetta di legno che occupa col marito da giugno. Ha sempre vissuto qui, ad Amatrice, «poi quella notte ci siamo ritrovati senza più una casa. Abbiamo dormito in macchina, poi in tenda, poi in una casa a Poggio Castellano, poi c'è stata l'altra scossa e abbiamo ricominciato: auto, tenda, e ora almeno ci hanno dato questa casetta. Dove sono i milioni degli sms? E che, devo saperlo io?». La nuova polemica lanciata dal sindaco, Sergio Pirozzi, sul destino dei 33 milioni di euro raccolti con gli sms solidali all'indomani del sisma che ha piegato Amatrice, Arquata, Accumoli e gli altri comuni del cratere è solo una goccia in un mare di sconforto per i tanti che aspettano ancora che le parole e le promesse arrivate in elicottero insieme ai vertici dello Stato alla fine di agosto dello scorso anno si trasformino in qualcosa di concreto. Restano una città in macerie e le storie di chi, tra queste rovine, vuole continuare a svegliarsi ogni giorno, perché è casa. «Mai andata via in 61 anni, sono amatriciana», spiega Carmen Bizzoni, che indossa la felpa rossa con la scritta blu «Amatrice». «Qui - spiega - avevo due case, ora inagibili, da abbattere. Adesso io e mio marito viviamo a Rieti, mia madre sta qui in una casetta, mio padre nel frattempo è morto, mio fratello vive in una baracca». Una diaspora familiare come danno collaterale del sisma. «Lavoravo all'Alberghiero. Ci hanno trasferito a Rieti assicurandoci che per il successivo anno scolastico, quello appena cominciato, saremmo già tornati qui. Non è successo. Abito ancora a Rieti e mi faccio 90 chilometri almeno due volte a settimana per venire a trovare mia madre». E gli sms non sembrano il primo problema. «Io - sbuffa la donna - sono dipendente della regione Lazio. Eravamo in 13 a lavorare all'Alberghiero, tutti trasferiti d'imperio e senza un centesimo di incentivo, altro che aiuti. Abbiamo chiesto almeno ci fosse un anticipo sulla liquidazione, soldi nostri, e ci hanno risposto picche. E anzi, per un cavillo burocratico, prendiamo 200 euro in meno al mese in busta paga. Pensa che mi stupisca la sparizione dei soldi degli sms? Anzi, posso aggiungere un nuovo giallo? Nell'autunno scorso un gruppo di ristoratori giapponesi che erano stati mesi prima ospiti dell'Alberghiero per imparare l'amatriciana sono tornati qui, consegnando alla regione Lazio 980mila euro che avevano raccolto per la ricostruzione dell'Alberghiero. Dove saranno?». E dove saranno i soldi che servono per i lavori di restauro delle cosiddette «case B», quelle inagibili ma riparabili? Se lo chiede Roberto, affacciandosi sulle macerie che ancora ricoprono quello che un tempo era il centro storico di «uno dei borghi più belli d'Italia», come si ostinano a ribadire i cartelli all'ingresso del paese. «Casa mia è lesionata. Ma i fondi per ristrutturare non ci sono. Però io alla casetta non ho diritto. Per restare qui mi sono dovuto costruire di tasca mia una casa prefabbricata di 18 metri quadrati, e sono in tanti nelle mie condizioni. Sono passati tredici mesi, ma così come si fa a far rinascere un paese raso al suolo?». Non c'è ombra di ottimismo nemmeno nelle parole di Jessica Gabrielli, barista nell'unico caffè aperto nel centro della cittadina, a pochi passi da quel che resta della chiesa di Sant'Agostino. «Certe polemiche nemmeno le seguo più», attacca scuotendo la testa, a proposito della denuncia di Pirozzi. «In questa storia non salvo nessuno, tutti, dal sindaco ai vertici dello Stato, hanno responsabilità. Io avevo una casa e un bar lungo il corso, non esistono più, e nessuno mi ha dato un singolo euro finora. Meno male che dicevano che si sarebbe dovuto ripartire dai giovani». Come lei, che almeno ora ha avuto una casetta. «Ci si sta meglio che in camper, certo. Ma tra i miei vicini io vedo gente che in 25 anni ad Amatrice non ho mai visto, come mai gliel'hanno data? E mio padre, che ha due case inagibili, invece non ne ha diritto. Ma di che cosa stiamo parlando?».

Il business marcio della ricostruzione: lavori mai fatti, casette fantasma e sfruttamento. Un'indagine della Procura di Napoli punta il dito sui lavori post sisma in due comuni. Si sospetta l'esistenza di un'associazione a delinquere messa in piedi dalle aziende, con ricorso a documenti falsi e caporalato, scrivono Cristiana Mastronicola ed Elena Testi il 12 ottobre 2017 su "L'Espresso". Ventiquattro agosto 2016, ore 3.36. Una scossa di magnitudo 6 colpisce il centro Italia. Oltre trecento comuni vengono sconvolti dal terremoto, interi paesi rasi al suolo. Solo tre mesi dopo la stessa terra torna a tremare, ancora più forte, mettendo in ginocchio definitivamente quella parte di Italia già ferita. Questa volta la devastazione arriva con una magnitudo di 6.5, paragonabile solo a quella del 1980. La stessa che devastò l'Irpinia. È il 30 ottobre. Le immagini della basilica di San Benedetto di Norcia completamente distrutta fanno il giro del mondo. L'Umbria si piega ancora di fronte alla forza devastante e imprevedibile della terra. Cascia diventa una città fantasma, con oltre l'80 per cento delle abitazioni inagibili. La macchina dell’emergenza, già in moto dal sisma di fine estate, accelera le operazioni. Vasco Errani viene nominato commissario alla ricostruzione e disegna un piano di riabilitazione delle aree colpite promuovendo il programma Sae, Soluzioni di emergenza abitative. È passato un anno. Un anno di rimpalli di responsabilità e sporadiche inaugurazioni in pompa magna di edifici restituiti alla popolazione. La stessa che dovrà affrontare un nuovo inverno al gelo. Il perché forse lo spiegherà la Procura di Napoli che ha aperto in questi giorni un'indagine sulle famose "casette" e non soltanto per i ritardi che hanno caratterizzato l'iter. Le indagini dei NAS parlano di «inquietanti indizi» relativi all’esistenza di una associazione a delinquere messa in piedi dalle aziende appaltatrici che stando agli atti della Procura avrebbero subappaltato i lavori ad aziende con a capo prestanomi: tutti pregiudicati campani. «I titolari delle imprese edili - come si legge - avrebbero emesso fatture per opere e lavori mai realizzati». Si parla di frodi in pubbliche forniture perché le fatture cui la Procura fa riferimento sono quelle legate agli interventi di emergenza della Protezione civile avviati proprio per il sisma dell’agosto dello scorso anno. Come, appunto, la realizzazione delle famose SAE. Le indagini scoperchiano il vaso di pandora delle “casette”. Il sistema è semplice e da tempo collaudato in Italia: società importanti dell’imprenditoria del settore delle costruzioni avrebbero fatto “sistematicamente” ricorso aa aziende subappaltatrici che si sarebbero prese anche la premura di falsificare documenti. Ma non soltanto. Si allunga sulla vicenda l’ombra densa del caporalato. Operai sottopagati, sfruttati e lasciati senza cibo per ore. Stipati in furgoni, raggiungevano i cantieri e lavoravano giornate intere per una manciata di euro, in condizioni lontanissime da qualsivoglia norma di sicurezza sul lavoro. «Esposti a gravi situazioni di pericolo per la loro incolumità», si legge nelle carte. Ma gli illeciti non finiscono. Gli indagati avrebbero anche fatto ricorso a false certificazioni mediche e professionali che attestavano il possesso dei requisiti previsti dalle norme in materia di sicurezza. Certificazioni rilasciate secondo gli inquirenti da scuole di formazione e studi professionali compiacenti. Una sfilza di reati quelli contestati dalla Procura di Napoli alle società coinvolte che contrasta aspramente con la prevenzione messa in campo dopo il terremoto e regolata dalla norma sulle infiltrazioni della criminalità organizzata negli interventi di ricostruzione (art. 30 del decreto legge n. 189/2016). Il caso di Cascia e Preci - l’unico, per il momento - fa sorgere qualche dubbio sull’effettiva efficienza delle white list, gli elenchi in cui compaiono gli operatori economici interessati agli interventi di ricostruzione pubblica o privata dei quali è stata accertata l’assoluta estraneità ad ogni connivenza col malaffare. Basta cliccare nei siti delle prefetture per vedere quali aziende siano idonee o meno. Qualcuna decide pure di esporre l'attestato di white list in bella vista nella home page del proprio sito perché, si sa, nell'Italia degli scandali è sempre bene apparire candidi. Ed eccolo qui l'elenco delle aziende immacolate finite nel mirino degli inquirenti: Cogeco7; Seprim dell'Ing Santini Giuseppe sas; Giacchini srl; Minicucci Cairo srl; Marinelli Costruzioni srl; Europa Service snc di Novaco Sabino e Pacilio Vincenzo; Termo Tecnica di Narcisio Antonio; R.C. Costruzioni srl. Ma intanto proprio ieri sono finalmente iniziati i lavori per montare le “casette” che ospiteranno gli sfollati. Già promesse a luglio, le 96 Soluzioni abitative di emergenza stanziate per il piccolo comune umbro e assegnate alla piccola frazione di Padule dovrebbero essere montate proprio in questi giorni. Il vicesindaco Gino Emili fa sapere che altre sei dovrebbero arrivare a breve. Nel frattempo, nelle frazioni di Avendita e Colle di Avendita, maggiormente colpite dal sisma, sono in corso gli ultimi collaudi per far sì che gli assegnatari possano finalmente metterci piede dentro. Un notizia che arriva agli inizi di un'indagine che promette di aprire tanti, troppi, nuovi scenari oscuri.

«Noi, sopravvissuti al sisma di Amatrice, vi raccontiamo cosa è successo nell'ultimo anno». A dodici mesi dal terremoto che ha sconvolto il centro Italia, siamo tornati a intervistare le stesse persone che avevamo incontrato dopo il disastro. Per scoprire dai loro racconti cosa è stato fatto. E come cambia la vita, scrive Federica Bianchi il 23 agosto 2017. Specchiarsi in quei volti. I volti del 24 agosto 2016. I volti del terremoto. La tragedia che ha colpito i territori di quattro regioni e devastato i comuni di Amatrice, Accumoli, Pescara e Arquata del Tronto. E farlo un anno dopo tornando a incontrare gli uomini e le donne che avevamo ritratto allora. Simboli di un dolore che ha spezzato il cuore dell’Italia. Vittime di un mostro invisibile che non hai mai davvero dato loro tregua, tornando ad accanirsi il 30 ottobre, il 18 gennaio e, in forma minore, anche qualche giorno fa. Complicando e allungando ancora i tempi dell’opera di ricostruzione.

Gara di solidarietà. Ritrovare Giuseppe, il maggiore dei tre fratelli Milano, proprietari della Thermomilano, una società di impianti idraulici, a un anno di distanza vuol dire imbattersi in difficoltà spicciole, ma anche in uno straordinario intreccio di storie di solidarietà. Lui e la moglie Elisabetta, proprietaria del ristorante La Conca, che sta riaprendo nell’“area food” tanto voluta dal sindaco Sergio Pirozzi, sono oggi ospiti di un’elegante coppia di pensionati di Modena, che all’ombra di una frazione di Amatrice ha trovato il suo buon ritiro. Dopo anni passati a viaggiare, Talal Kaadana, siriano emigrato in Italia una vita fa ed ex direttore commerciale della Marazzi per Africa e Medio Oriente, aveva progettato di passare gli ultimi anni in semi solitudine tra alberi centenari, libri, musica e qualche bottiglia di ottimo vino, ospitando d’estate gli amici di sempre, con cui condividere lunghe chiacchierate. Poi l’imprevisto. Con il terremoto lui e la moglie modenese si sono resi conto che la loro è una delle poche case antisismiche di Amatrice. E che l’appartamento per gli ospiti ben si prestava ad accogliere nuovi conoscenti come i Milano e i loro anziani genitori. «Adesso la casa è un porto di mare», sospira tra il divertito e lo stanco Maria Gabriella Longoni. Modena e Amatrice, due città tanto diverse quanto le loro genti, l’idraulico e il manager, unite da una tragedia che crea inaspettate geometrie. E inaspettato è stato anche il regalo di Ignazio Catalano, il vigile del fuoco che si è commosso davanti alla bicicletta del nipote di Giuseppe distrutta dalla scossa del 30 ottobre, breve e violenta. E che, a qualche giorno dalla fine del suo turno di lavoro, tornato a casa, ne ha spedita al ragazzo una nuova di zecca. O quello di un gruppo di vigili del fuoco di Verbania, che ai Milano hanno addirittura regalato un container-magazzino, dopo avere racimolato i soldi spogliandosi per un calendario fatto in casa. E ancora, quello ricevuto da Elisabetta, a cui alcuni clienti di San Sepolcro hanno portato non solo medicinali veterinari per l’azienda agricola di famiglia, ma anche una scatola piena di soldi, tutti versati dai loro amici durante una camminata per Amatrice.

Burocrazia cieca. Festine Dinushi, una cinquantenne albanese che, tra un lavoro da badante e un altro da donna di fatica, ha cresciuto le figlie a Grisciano, vicino Accumoli, non ha mai smesso di piangere. L’avevamo incontrata in un tendone blu della Protezione civile mentre faceva colazione a caffè e biscotti con la figlia minore Daniela, studentessa liceale con gravi disturbi del metabolismo. Era intontita dal dramma, quasi non potesse appartenerle. A distanza di un anno, insieme con la casa, il terremoto le ha portato via anche l’anima. E quell’isola di felicità che aveva trovato tra gli Appennini del reatino. «Mi hanno distrutto tutto», spiega mentre guarda ancora una volta quel cumulo di sassi che chiamava casa. Dopo la seconda scossa, quella terribile del 30 ottobre, la casa è diventata pericolante ed era necessario abbatterla insieme alle due vicine. «Doveva avvenire un venerdì mattina e noi ci eravamo organizzati per arrivare con il pullman da San Benedetto del Tronto», dove la famiglia è alloggiata in albergo dall’estate scorsa in attesa dell’abitazione provvisoria. «E invece hanno abbattuto la mia casa il giovedì pomeriggio, senza avvertirci e così abbiamo perso tutte le nostre cose, che avevamo radunato in cantina. Ci avevo provato nelle settimane precedenti ad andarle a recuperare, ma i vigili mi dicevano di aspettare il mio turno». Un turno che non è mai arrivato. «Non siamo bravi a fare male e subiamo il male», sussurra con un filo di voce. «Non ho nemmeno fatto in tempo a prendere il lampadario bianco con il bordo azzurro». Il sindaco di Accumoli, Stefano Petrucci, spiega che è un problema dei Vigili del Fuoco. Il coordinatore del Centro operativo intercomunale (Coi) di Amatrice e Accumoli, Fabrizio Cola, dice che tutto è andato secondo quanto previsto dall’ordinanza. Certo, l’abbattimento della particella dei signori Dinushi sarebbe dovuta avvenire il venerdì, ma avendo finito di demolire le unità circostanti in anticipo, i vigili hanno aggredito l’edificio il giovedì pomeriggio. Niente di grave per la macchina degli aiuti. Un vero dramma per chi sotto quelle macerie aveva tutte le proprie cose. «Quando sono arrivata il venerdì mattina ho visto la busta delle camicie che avevo preparato sotto la ruspa. Mi dispiace tanto». Gli occhi sono rossi sulla maglietta da lavoro. «Ho avuto tre disgrazie nella vita: l’emigrazione, le malattie delle mie figlie e il terremoto. Ma io sono una sola».

Forzati del mare. Giovanni Adduci, la moglie e il figlio Federico hanno un enorme sorriso stampato sul volto quando si accomodano sulla veranda dell’hotel Parco a San Benedetto del Tronto in un caldo pomeriggio estivo. I bagnanti in costume tornano dalla spiaggia affollata di uomini e di ombrelloni, ordinatamente disposti su dodici file. Adduci senior si tocca il ventre voluminoso. «Lo so, sono ingrassato ma come devo fare? Qui ci danno ogni ben di Dio e non si può mica buttare nulla», esclama mentre afferra una bruschetta dal piatto dell’aperitivo. Non tutti, non sempre nelle campagne di Accumoli mangiavano tre portate più volte al giorno, racconta Federico: «E ora invece c’è chi si lamenta della sistemazione in albergo, ma poi mette i soldi della pensione da parte perché è tutto pagato, vitto e alloggio. Nessuna bolletta. Perché lamentarsi?» Gli Adduci vorrebbero restarci fino all’inverno a San Benedetto, nonostante il sindaco dica che a fine agosto alla maggior parte della popolazione sarà assegnata una casa temporanea nel paese dove abitava. Ma loro, a differenza di altri, non hanno fretta di tornare a Villanova. Nessuno ha un lavoro che lo attende. Nemmeno Federico, che un’occupazione la cerca anche, ma non è disperato per il fatto di non trovarla. Il pensiero di tutti è superare il trauma della morte di Rosella, la figlia ventenne che lavorava in un negozio di Amatrice e che quella sera in cui il destino le si è accanito contro era ospitata a casa di un’amica lungo il corso principale. Lei non c’è più e il momento in cui ne parla è l’unico in cui gli occhi della madre luccicano mentre tira fuori un santino con la foto della giovane ragazza dalle méches rosa. Ma qui è lontana dai luoghi del trauma, dalle macerie di pietra. «Non li ho mai portati al mare i miei figli. Una volta volevo, ma la pediatra mi disse “Non abiti in montagna? La montagna è meglio del mare. Vai più in alto, non in basso”». Nessuno in famiglia sa nuotare. «Una volta a nove anni andai a fare fieno in calzoncini corti», ricorda lui: «La sera fu un dramma. Le gambe erano rosse e facevano un male incredibile. Ho giurato che non avrei mai più indossato i calzoncini corti. E non l’ho più fatto. Ma con i pantaloni lunghi in acqua non ci posso mica andare». Pini e sale hanno comunque fatto tornare il colore sulle guance di Giovanni, lo stesso che avevamo incontrato accanto all’obitorio di Amatrice quando ancora le sorti della figlia erano incerte. Di quell’incontro nella sua memoria non rimane nulla. Avvolto come era in un impermeabile blu, resistente alla pioggia ma non al dolore.

Business macerie. Seduto su una panchina sul lato opposto della strada rispetto all’hotel Bruna a Martinsicuro, un paesino poco a sud di San Benedetto del Tronto, Giuseppe Di Girolamo, detto Beppe, è l’icona dell’attesa. Attende che gli venga data una casa. Attende di tornare a lavorare. Attende che si sblocchi la pratica per la ricostruzione (provvisoria) del suo bar. Niente funziona come vorrebbe. Ad Accumoli il sindaco ha scelto di non distribuire una parte delle donazioni ricevute sotto forma di contributo per il mancato reddito a tutti i commercianti, come invece ha fatto Pirozzi ad Amatrice. Ci devono pensare direttamente i privati donatori. Ma la cosa non è semplice. Se la Confederazione nazionale dell’Artigianato ha ricostruito il bar chiavi in mano a un altro operatore di Grisciano, la Confcommercio ha solo offerto i soldi per la costruzione delle mura di legno del bar di Di Girolamo, senza però mettere a disposizione un tecnico per le pratiche burocratiche, richiesta del certificato di stabilità presso il Genio civile inclusa. Di Girolamo ha sì assunto un suo tecnico, Tonino Priori, ma questi, fino al giorno del nostro arrivo, era lontano dal riuscire a sbrigare in fretta le pratiche per riaprire l’attività. Eppure rimettere in moto i vecchi esercizi non è certo una questione di denaro. I soldi sono arrivati in abbondanza in questo territorio piccolo e fragile. Ma la burocrazia italiana non è famosa per essere semplice e in tempi di emergenza le inefficienze a cui ci siamo ipocritamente abituati pesano più del normale. E poi ci sono le invidie di paese e i tentativi di incassare più soldi del dovuto, magari ingigantendo con i tecnici della Regione la vera entità delle perdite subite, ad esempio negli arredi della propria attività, nella speranza che con quattro soldi in più si possa ripartire meglio. Sempre che non si sia costretti a certificare ogni euro di spesa futura. Un gioco del cane e della volpe che finisce però con allungare i tempi del disagio per tutti.

All’Aquila è meglio. Occorre scendere a valle per andare a trovare Elena Serafini, la signora settantenne che piangeva senza sosta il giorno dopo il terremoto del 24 agosto nel giardino della casa di un vicino, a pochi metri dalle crepe devastanti del suo appartamento, frutto dei risparmi di una vita. A valle verso l’Aquila e verso la sua ampia spianata, dove nel 2009 il governo Berlusconi, dando un calcio a ogni regolamento che garantisse l’assenza di corruzione, diede in pochi mesi un tetto a 70mila persone. Le famose “casette”. Alcune - molte sono oggi in rovina - stanno godendo di una seconda vita: qui, a Pagliari di Sassa, dopo avere rifiutato una stanza di albergo sulla costa adriatica, hanno scelto di vivere alcuni abitanti di Amatrice. Cambio di città e di prospettiva. In attesa delle casette vere, le loro. Ma l’attesa, si sa, può riservare sorprese. «Quando Berlusconi consegnò queste casette io vidi in televisione la gente che ci entrava e rimasi incantata, condividendo le loro emozioni come se me lo sentissi che ci sarei venuta pure io», racconta Elena: «D’inverno la casa è caldissima. La rimpiangerò. E poi nei dintorni non manca nulla. I supermercati sono riforniti di qualsiasi cosa. Da qui Amatrice sembra un paesetto. E senza i romani che portano soldi e vita, è proprio vero che morirà». Serafini è un fiume in piena. Come l’anno scorso. Ma questa volta le acque non sono più nere. «Una coppia di Amatrice si è trasferita con il bambino autistico, che ora va in una scuola dove gli insegnanti sono gentili e preparati. Il bimbo ha cominciato a parlare. Sta molto meglio. Loro indietro non ci vogliono più tornare». Sopra e accanto alla stufa nera nell’angolo del saloncino i ninnoli a lei così cari sono tornati a vivere: la foto del matrimonio, quando era una diciassettenne dal volto tondo, un trullo in ceramica, un vecchio orologio da tavolo, un cestino di limoni bianco e giallo, qualche angioletto, una matrioska, lo scudetto della Roma. «Molti si sono rotti per sempre, ma conosco una signora di qui che forse alcuni li può riparare».

Agricoltori fortunati. All’allevatore Antonio Filodei di Arquata del Tronto la casetta temporanea è appena arrivata, completa di cucina, televisore, ferro da stiro e persino di phon per i capelli. Unico problema: le dimensioni. In base alle norme, una famiglia di quattro persone con due figli di sesso diverso dovrebbe vedersi assegnare una casetta di 80 metri quadrati, non di sessanta, più adatta a una coppia con un figlio solo o con due dello stesso sesso. «Lo dice lei che è colpa dell’invidia», si sfoga la moglie Tiziana. Il problema è che a Pescara del Tronto, nella disgrazia, i più fortunati di tutti sono stati proprio gli allevatori: hanno ricevuto in donazione stalle e fieno per gli animali, veicoli da lavoro, soldi liquidi. E perfino bestie nuove. Ma Antonio non è contento. Scende dal trattore in quel campo che, dall’altra parte della Salaria, si affaccia ogni giorno sulla valanga di macerie in cui si è trasformato il paese. «Prima di avere la casetta stavamo ad Ascoli Piceno in affitto, con i soldi del contributo regionale», racconta. I figli erano entusiasti, aveva detto la moglie sull’uscio di casa. «Un disastro», dice Antonio. Lui sta per riaprire la macelleria che gestisce con la moglie all’interno di uno dei container che faranno da centro commerciale di Pescara del Tronto. Lì sulle sponde del fiume, vicino a dove presto aprirà i battenti un nuovo stabilimento della Tod’s «Quando c’è stata quell’orribile nevicata di gennaio la zona è rimasta isolata per una settimana e le mie capre sono morte di sete e di fame. Le ho dovute portare a braccia giù a valle». Adesso le capre e le pecore è riuscito a recuperarle grazie a una donazione. Rimane, però, l’indignazione. «È mai possibile che all’Aquila in tre mesi abbiano risolto il problema e qui riusciamo ad entrare solo un anno dopo?».

La verità su Peppina. Intervento del deputato Sergio Pizzolante del 09 Ottobre 2017. Vedo tanta ipocrisia e tanta cattiva informazione. La storia di Peppina è il paradigma, l'esempio archetipo, della deriva dei poteri e della cultura democratica in Italia. Leggo pagine di indignazione verso la politica, ma qui la politica non ha colpe specifiche ma generali.  Cioè, non ha potere di intervento e la sua colpa (gravissima) è nel non aver potere. Non nel non esercitarlo. Un sindaco di un Comune vicino a quello di Bettina ha autorizzato tre case mobili in un campeggio per l'emergenza terremoto. Risultato, inchiesta della Procura, dimissioni del sindaco, fine. Un albergo è stato sepolto dalla neve dalla slavina, prima di andare a salvare i sopravvissuti, già la Procura apriva l'inchiesta e le telecamere erano quasi sul luogo a cercare i colpevoli, per non aver previsto la catastrofe. Le colpe, i colpevoli.  Vengono prima del soccorso. Questo appassiona gli italiani. Nel terremoto in Abruzzo gli scienziati vennero incriminati per non aver previsto il terremoto!  Il terremoto non si può prevedere. I sindaci vogliono avere mille autorizzazioni prima di scegliere i luoghi per le casette. Non arrivano, perché chi deve autorizzare aspetta altre autorizzazioni, che non arrivano, naturalmente.  Le macerie non vengono sgomberate perché (nessuno lo dice) ci sono le inchieste delle Procure, i sequestri, le competenze sulle opere, ma anche sulle pietre, della Sovrintenza. Siccome questa vicenda assurda di Peppina riguarda una vecchietta di 95 anni, tutti si emozionano e si appassionano. Ma se un sindaco avesse autorizzato la casetta e ci fosse stata lì, proprio in quel luogo, una scossa, tutti avrebbero partecipato al massacro dell'uomo e della politica. Ci sarebbe voluto un po' di buon senso.  Il Pm, il sindaco, il Sovrintendente, il direttore del giornale e del telegiornale, dovevano andare a portare un pensiero a Peppina. Un regalino, una carezza.  Ma questa non è più l'Italia del buonsenso e tanto meno del pensiero. Sergio Pizzolante, Deputato vice presidente gruppo Area Popolare (ncd-udc) presso Camera dei Deputati

Se la giustizia mostra il volto più feroce, scrive Stefano Sepe Martedì 10 ottobre 2017 su “L’Eco di Bergamo". La legge come insulto all’etica civile e come segno di totale mancanza di buon senso. Una vicenda dalla quale trasuda, oltre alla disumanità di fondo, l’immagine di un Paese sbilenco, nel quale le ragioni si mutano in torti e sembra prevalere la logica di un potere sordo e cieco. Sordo all’ascolto dei bisogni, cieco nel prendere decisioni che si riflettono pesantemente sull’esistenza delle persone. Peppina Fattori (95 anni) si vedrà demolito un piccolo chalet di legno – costruito a spese della famiglia su un terreno di loro proprietà – nel quale abitava dopo che il terremoto di un anno fa l’aveva costretta a lasciare la sua casa, dichiarata inagibile. Dopo una vicenda che ha del paradossale, è arrivata la sentenza: lo chalet deve essere demolito perché manca l’autorizzazione paesaggistica. Se non ci fosse da piangere, verrebbe da ridere, dice un vecchio proverbio. Nel mentre gran parte degli abitanti delle zone colpite dal terremoto del Maceratese ancora non riesce a rientrare nelle case, la giustizia, veloce, ferrea, implacabile raggiunge e snida una vecchietta che non ha chiesto un’autorizzazione prevista dalla legge di tutela del paesaggio. Quello stesso paesaggio nel quale, da un anno, campeggiano le macerie. Di fronte a una vicenda del genere cosa si può dire? Certo, esiste l’esigenza di tutela del bene paesistico e paesaggistico. E a garantire tale tutela vi sono leggi apposite, meritorie nelle finalità per le quali sono state varate. Ma esistono anche altri beni da salvaguardare. Nel caso presente il diritto a vedere tutelata la dignità umana e le condizioni di vita di una persona molto anziana. Quella casetta è stata costruita per sottrarre un’anziana a condizioni di enorme precarietà, violando una norma di tutela del paesaggio. Ma quella violazione andava commisurata all’esigenza di tutelare concretamente un bene primario. Il vero nodo sono i «diritti negati». La Procura della Repubblica e il Tribunale del riesame hanno preso una decisione palesemente ingiusta. Un provvedimento con il quale la giustizia ha mostrato il suo volto più tetro e feroce: una giustizia che sa essere implacabile principalmente contro i deboli, contro coloro che, per ragioni diverse, non sono attrezzati a difendersi adeguatamente e le cui ragioni non trovano ascolto adeguato. Si sarà, ci deve essere, qualcuno – all’interno della stessa magistratura – che si prenda la responsabilità di cancellare una decisione che non soltanto è contraria al senso comune, ma è anche uno schiaffo ai principi più elementari di equità sociale. Se ciò non dovesse accadere, a uscirne ammaccata non sarà soltanto la reputazione dei magistrati, bensì la credibilità della giustizia. Ci troviamo, infatti, di fronte a un caso eclatante di legalità illegale, di arbitrio legale da parte di un potere pubblico. Da molti anni si discute dell’intrinseca «politicità» dell’attività giudiziaria, derivante dal fatto che il magistrato è chiamato a giudicare, valutando – sempre nel rispetto della legge – le implicazioni sociali, civili, morali della sua decisione. Se ciò è vero, i magistrati avrebbero dovuto valutare lo stato di bisogno della signora alla quale è stato imposto lo sfratto e la demolizione della casetta. Oggi i suoi parenti sono costretti a invocare un diritto «naturale», a ricorrere a qualche autorità superiore di uno Stato patrigno. Anzi, di uno Stato nemico, lontano dalle persone, incapace di ragionare in termini di buon senso. Forse un Solone del diritto spiegherà alla vecchietta, ai suoi parenti affranti, a noi tutti, che «esiste una norma». E – ironia della sorte – non c’è nemmeno la possibilità di sperare che ci sia un giudice a Berlino, perché è stato proprio un giudice a volere questo obbrobrio civile. Stefano Sepe

La 95enne sfrattata due volte: dal sisma e ora dai magistrati. La casa di legno va abbattuta, manca un certificato, scrive Stefano Vladovich, Lunedì 25/09/2017, su "Il Giornale". Sfrattata a 95 anni. Respinta la richiesta di una sospensiva per nonna Giuseppina. All'anziana di San Martino di Fiastra, Macerata, i magistrati hanno negato la possibilità di restare nel paese dove ha vissuto tutta una vita. Entro la metà di dicembre, i giudici sono categorici, la casetta di legno donata dalle figlie in attesa di una sistemazione definitiva, verrà abbattuta dalle ruspe. Eccola la storia che nessuno avrebbe voluto ascoltare fra le centinaia di contraddizioni e scandali del post terremoto. Il governo non le ha ancora assegnato una casa vera e propria a distanza di un anno dal terribile sisma che ha devastato l'Italia centrale e Giuseppina Fattori, classe 1922, ha cercato di arrangiarsi pur di non lasciare la terra in cui ha vissuto 70 anni. Prima in un container poi in un prefabbricato di legno. Abusiva per necessità, mai come in questo caso la definizione corrisponde al vero, in mancanza dell'autorizzazione «paesaggistica» e in zona sismica. Tant'è. Lei, però, non ne vuol sapere di andarsene e attende solo il ricorso al Tar contro la decisione degli inquirenti. «Da qui io non mi muovo!» giura. Una storia come tante altre nei paesi colpiti dal terremoto dell'agosto e dell'ottobre 2016, tanto che si pensa addirittura a una sanatoria per tutte le casette abusive, circa 300, tirate su per affrontare l'inverno. Soprattutto in assenza delle abitazioni promesse e ancora da realizzare. Pronta a sfidare le istituzioni pur di restare davanti le macerie della sua abitazione, nonna Giuseppina. Nonostante i carabinieri forestali già la scorsa settimana le abbiano notificato il decreto ingiuntivo, la vecchina non molla. Ed è diventata il simbolo di una popolazione lacerata dagli eventi naturali quanto dall'assurda burocrazia. A raccontare la storia la figlia Gabriella, farmacista. «Nell'agosto scorso - spiega la donna -, dopo averla ospitata a turno per 7 mesi abbiamo capito che il suo desiderio era di tornare a San Martino». L'idea è quella di costruire una nuova abitazione su un terreno edificabile di loro proprietà ma, visti i tempi biblici per le concessioni, i familiari della 95enne decidono di piazzare una semplice casa di legno. Rispettando tutte le norme, sottolineano: nulla osta geologico, corretta distanza dalla sede stradale, autorizzazione della Comunità Montana. Ma nonostante ciò, in mancanza dell'autorizzazione paesaggistica, arriva lo sfratto.

Casette per i terremotati: 18 e piene di bla bla bla. Mentre la gente dell'Italia centrale crepa guardando una casa che nessuno gli sistema, la malapolitica impera e il populismo ne detta l'agenda, scrive Giorgio Mulè il 3 marzo 2017 su Panorama. Dovremmo vivere il tempo della palingenesi della politica, e cioè un tempo del rinnovamento. Un’esigenza di rinascita legata principalmente alla necessità di depotenziare la disaffezione verso il Palazzo e con alcune derivate specifiche per ogni schieramento riassumibili così: nel centrosinistra Matteo Renzi sa di dover riparare al disastro del referendum e alla caduta della sua leadership; i 5Stelle, alla luce dell’avvilente gestione del Campidoglio, sono coscienti della crisi scatenata dall’accusa di incapacità di governare; il centrodestra non può sfuggire all’obbligo di tornare a essere un fronte unito e coeso se vuole riproporsi come forza di governo. Ad oggi, quel che manca in assoluto è la capacità di adempiere al primo compito che ci si aspetta dalla politica: scrivere un’agenda e rispondere così al compito principale richiesto a chiunque aspiri a guidare il Paese: qual è la visione dell’Italia? Invece, è il populismo a dettare l’agenda con la rincorsa spasmodica a inseguire l’avversario sul terreno del consenso immediato. Valga per tutti il mistificazionismo dei vitalizi, che rappresenta certamente un’odiosa stortura del sistema ma che non dovrebbe essere collocata in cima ai pensieri di partiti e movimenti. E invece il dibattito è tutto concentrato lì con uno scambio interminabile di accuse sterili, di battute ottime per i social network e i programmi televisivi. Se invece l’agenda fosse quella del Paese reale, tanto per restare ai fatti della stretta attualità, pensate che dopo quasi due lustri non si sarebbe approvata la legge sul fine vita? O che il provvedimento su concorrenza e liberalizzazioni starebbe ancora a galleggiare, non a caso, dentro un minestrone chiamato "decreto milleproroghe"? O che altri correttivi sulla giustizia (ragionevole durata dei processi, intercettazioni, diffamazione) non riuscirebbero a vedere la luce? Non è "colpa" del bicameralismo se per approvare una legge sono necessari in media almeno sette mesi: la responsabilità è in capo solo e soltanto alla malapolitica. E nulla c’entra il bicameralismo se il terremoto, con la tragedia della gestione dell’emergenza e della ricostruzione, non viene issato dagli schieramenti come vessillo della capacità di dare risposte concrete al Paese. Ma vi rendete conto che dopo sei mesi sono state consegnate agli sfollati soltanto 18 casette di legno? Che allevatori, artigiani e cittadini senza più un tetto sono ancora abbandonati al loro destino? Quale iniziativa concreta si è vista dopo che Panorama ha fatto ascoltare l’ammissione unilaterale della sconfitta da parte di Vasco Errani, commissario straordinario del governo per la ricostruzione? Nessuna, il vuoto pneumatico. L’incapacità della politica è rinchiusa tutta in quelle 18 casette di legno perché nessuno ha saputo tagliare le unghie alla burocrazia e nessuno ha pensato di predisporre una reale corsia di emergenza per rimettere in moto le regioni colpite dal sisma. Nell’agenda attuale trovate invece formulette semantiche vuote: al reddito di cittadinanza si oppone il lavoro di cittadinanza. Oppure alla palingenesi si preferisce il palindromo: al Pd si contrappone il Dp. Fino al prossimo insulto sui vitalizi. Mentre la gente dell’Italia centrale crepa, proprio così crepa, mentre guarda una casa che nessuno gli rimette in piedi. 

Amatrice, il villaggio donato agli sfollati rimasto nei container. Posti letto per quattrocento persone. Il piano appoggiato dalla Croce Rossa. Ma tutto si è arenato. L'ira del sindaco. Dietro lo stop i dubbi della Protezione civile, anche se ufficialmente nessuno ha detto no. Alla fine la società che si era offerta di realizzare il campo ha deciso di rivolgersi altrove, scrive Fabio Tonacci il 5 marzo 2017 su “La Repubblica”. La più grossa donazione ai comuni terremotati del Centro Italia non s'ha da fare. E non si capisce perché. Si tratta di un intero campo di moduli abitativi che potrebbe ospitare 400 persone: 14 palazzine per un totale di 5mila metri quadrati di camere con bagno e riscaldamento, spazi comuni, cucine. Un piccolo villaggio smontabile e multiuso, dunque. Che sarebbe stato utilissimo durante l'ultima emergenza maltempo, quando chi aveva finalmente trovato il coraggio di rientrare nelle propria casa piombò di nuovo nella paura per i terremoti del 18 gennaio e finì a dormire nelle tende della Protezione civile, sotto un metro di neve. Eppure, la pratica della donazione finora più consistente (il campo vale un milione di euro) si è persa nel labirinto della burocrazia. "Io m'arrendo... ma che devo fare?", ringhia Sergio Pirozzi, il primo cittadino di Amatrice. Da due mesi insegue quei moduli, senza successo. E ora non sa nemmeno più con chi si deve arrabbiare. Il "campo dono" non è nuovo. È stato fabbricato otto anni fa e utilizzato prima in Somalia e poi, più di recente, nei cantieri della metropolitana di Milano. Da tre anni giace impacchettato in 37 container da quaranta piedi all'Interporto di Livorno. E da qui che bisogna cominciare a raccontare questa storia. Da Livorno, dove ha sede la Ciano International, un'azienda che si occupa del catering nelle basi della Nato e delle Nazioni Unite. A inizio anno i dirigenti della Ciano si rivolgono a Maurizio Scelli, ex deputato di Forza Italia ed ex capo della Croce Rossa italiana: vogliono donare quei container ad Amatrice, sostengono che siano conservati molto bene. Scelli, con il quale hanno collaborato già in Iraq, li mette in contatto con Pirozzi. "Ero entusiasta della proposta", ricorda il sindaco. "La mia idea era di farne due centri di Protezione civile nei comuni vicini ad Amatrice: a Posta e a Cittareale. Due aree attrezzate al servizio dell'Alta Valle del Velino, che potevano ospitare i volontari e, alla bisogna, gli sfollati". Siamo a metà gennaio, e tutto lascia presupporre che la donazione andrà a buon fine. Un'azienda con una certa reputazione internazionale regala un intero campo smontabile ai terremotati. Si offre pure di montarlo gratuitamente nel cratere. Con l'intercessione di Scelli, la Croce Rossa mette a disposizione i tir per trasportarlo da Livorno nel Lazio. E ci sono i sindaci di Posta e Cittareale che hanno trovato sia i terreni dove installarlo, sia chi getterà il cemento dove saranno piazzati. Ancora Pirozzi: "A quel punto decido di coinvolgere la Protezione civile nazionale, che mi rimanda a quella del Lazio. Da lì in avanti, le cose sono diventate confuse". Il primo a esprimere dubbi pare essere in realtà un dirigente della Protezione civile Toscana, tanto che l'ingegnere della Ciano Andrea Chiesa scrive un messaggio a Scelli: "La tipologia della nostra donazione (non essendo moduli abitativi pronti alla consegna) non rientra nei loro interessi visto che hanno acquistato e che stanno continuando ad acquistare moduli abitativi nuovi". Da Amatrice, però, insistono per averli. Allora da Roma, intorno a metà febbraio, sempre la Protezione civile manda a Livorno due funzionari per verificarne lo stato di conservazione. "Li ho portati all'Interporto e ho fatto vedere loro il materiale", dice l'ingegner Chiesa. "Mi hanno detto che avrebbero scritto una relazione per i loro superiori entro un paio di giorni. Da allora non li ho più sentiti". Da Amatrice lo staff del sindaco si agita e sollecita più volte la Protezione civile del Lazio per il trasferimento. Oggi no, domani no, dopodomani forse. Nell'attesa, si diffonde la convinzione che non vogliano il campo perché non è nuovo. Che esista, cioè, una precisa disposizione che vieti, nonostante l'emergenza, l'acquisizione di materiale usato. "Assolutamente falso", dichiara a Repubblica Carmelo Tulumello, direttore dell'Agenzia regionale di Protezione civile del Lazio. "La verità è che quel campo è una struttura mastodontica che richiede cementificazione e opere di urbanizzazione. Non c'era la garanzia dello stato in cui si trova, perché durante l'ispezione i moduli erano visibili soltanto in parte. E poi chi li avrebbe smaltiti 37 container navali?". Il punto è che non si riesce a capire chi abbia materialmente fermato l'operazione. Perché da una parte Tulumello sostiene di non avere posto alcun veto, e di aver fatto "solo delle osservazioni ai Comuni su cui ricadeva l'onere della gestione del campo". Dall'altra Pirozzi e gli altri sindaci aspettavano un via libera, che non è arrivato. Nessuno ha detto formalmente no, ma nessuno si è preso la responsabilità di accettare la donazione. L'epilogo è di pochi giorni fa: la Ciano sta cercando qualcun altro cui potrebbe servire un campo abitabile da 5mila metri quadrati e 400 posti.

RIGOPIANO: L’INEFFICIENZA E L’INCAPACIATA’ DELLE ISTITUZIONI.

Dio non è abruzzese. Dopo il terremoto e la tragedia all'hotel Rigopiano, lo schianto dell'elisoccorso. Dio, perché tante piaghe sull'Abruzzo? Scrive Tony Damascelli, Mercoledì 25/01/2017, su "Il Giornale". Dal libro del profeta Isaia: «Ricordatevi i fatti del tempo antico, perché io sono Dio e non ce n'è altri. Sono Dio, nulla è uguale a me. Io dal principio annunzio la fine e, molto prima, quanto non è stato ancora compiuto; io che dico: Il mio progetto resta valido, io compirò ogni mia volontà! Io chiamo dall'oriente l'uccello da preda, da una terra lontana l'uomo dei miei progetti. Così ho parlato e così avverrà; l'ho progettato, così farò». Il progetto, dunque. Ma quale progetto? Dove è Dio in Abruzzo? Non si hanno notizie da quelle parti della presenza del Creatore perché ormai tutto è distrutto, esistenze e dimore, natura e oggetti, il Creato formato dal nulla, nulla è tornato a essere. Il terremoto di Montereale, la valanga di Rigopiano, l'elicottero precipitato nella nebbia di Campo Felice, il tempo malvagio, il buio del lutto e dell'assenza di elettricità, il freddo, il gelo, il silenzio della morte e quello del mattino disperato, quando la luce fa capire che non è stato un incubo ma è vero tutto, maledettamente vero, tragicamente effettivo come il passare dei secondi, dei minuti, di ore che sembrano ormai inutili da vivere. Non nominare il nome di Dio invano, secondo comandamento. Ma non è invano che oso nominarlo, è proprio perché il pontefice di Roma ha detto che Dio è vicino all'Abruzzo. In che senso è vicino? A chi è vicino? Quando lo è stato? Durante il tempo imprevisto e terribile dei terremoti, che sono stati e sono ancora mille e più di mille? Quando la montagna di neve si è staccata per correre giù, sconvolgendo e travolgendo tutto quello che avrebbe incontrato lungo il pendio? Quando l'aria umida si è fatta nebbia fitta così ingannando l'elicotterista, precipitando nel vuoto. Nelle preghiere di chi chiede a che ora tutto questo sarà finito? Nelle candele accese, presenze di calore e di fede, fragile memoria per chi è scomparso? Nei volti dei disgraziati, sfigurati dallo strazio, dal dolore eterno? Uomini e donne che hanno perduto figli, madri, mogli, mariti e, insieme, la grazia, la benevolenza di Dio, perché questa è davvero la disgrazia, l'assenza di quell'atto di amore divino. La colpa è degli uomini, d'accordo, la responsabilità è degli atti delinquenziali, di chi costruisce abusivamente sulle macerie, di chi sfrutta la miseria altrui, di chi commette reati e, maledetto lui, trova la via d'uscita a differenza di quelle povere vite sotto la slavina dell'albergo o ancora altrove, sepolte prigioniere della neve mortale. Dove era, ancora, Dio, sull'autostrada verso Verona, sopra, di fianco, dentro quell'autobus magiaro che ha bruciato i corpi dei ragazzi in gita? Prevedo la risposta, la ascolterò ma è la stessa che viene ripetuta quando un fatto luttuoso colpisce e cancella in modo feroce, ingiusto anche, un'esistenza. Poi rileggo la Bibbia e il passo di Isaia (46:9) e chiedo perché «io compirò ogni mia volontà». La volontà di cancellare la vita di un infante o quella di un uomo di grandi speranze? No, non credo, non penso, lo escludo. Allora diventa un esercizio impossibile, un muro da scalare ogni minuto, con il vento cattivo che soffia contro. È il destino, è un Dio anonimo, che nessuno conosce, l'alibi per proseguire.

GLI ANGELI DI RIGOPIANO TRADITI DAL CAMBIO TURNO: BUCCI E DE CAROLIS NON DOVEVANO ESSERE SUL VELIVOLO, scrive Mercoledì 25 Gennaio 2017, Stefano Dascoli su "Leggo". Walter Bucci e Davide De Carolis, abruzzesi di L'Aquila e Teramo, su quell'elicottero non dovevano esserci ieri mattina: due cambi turno hanno disegnato un destino tragico. Ettore Palanca, romano, aveva scelto Campo Felice per trascorrere il suo giorno di riposo: il suo infortunio sulla neve ha innescato il drammatico schianto dell'elisoccorso del 118 dell'Aquila. Sono tre delle sei storie di questa assurda vicenda, di un velivolo che si alza come tante volte, atterra sulle piste da sci, soccorre un ferito, ma al momento del decollo percorre pochi chilometri e si schianta. Tra le vittime c'è, appunto, il romano Ettore Palanca, 50 anni, sposato con Roberta, un figlio piccolo. Il suo è un destino doppiamente sfortunato. Si è infortunato mentre sciava, riportando la frattura di tibia e perone. Una volta visitato, la centrale del 118 dell'Aquila ha optato per l'intervento dell'elicottero. Quell'elicottero che avrebbe dovuto soccorrerlo e che invece si è trasformato nella sua tomba. Ettore lavorava come maitre al ristorante L'Uliveto del Rome Cavalieri, l'albergo a cinque stelle di Monte Mario. La moglie è una sua collega, al front desk. Uno strazio nello strazio: ha saputo della morte del marito mentre era al lavoro. Capelli brizzolati, tifoso della Juventus, era attaccato alla famiglia e appassionato di sport: Ettore amava la corsa, che lo aveva portato a partecipare alla Roma-Ostia, e il calciotto. Ma soprattutto amava la montagna. «Proprio l'altro giorno mi ha detto che sarebbe andato perché amava sciare, mentre non gli piaceva molto il mare. Era un tipo allegro, salutava sempre tutti» ha ricordato ieri un suo collega. L'Abruzzo, ovviamente, ha pagato il prezzo più alto. Tra le sei vittime c'è Walter Bucci, una sorta di eroe della montagna: centinaia di interventi alle spalle, una disponibilità e una passione che non hanno mai conosciuto confini. Un dato, su tutti: era stato tra i primi ad arrivare a Rigopiano, una volta appresa la notizia della valanga che ha spazzato via l'hotel. Lì era rimasto ulteriormente, per giorni, come medico del 118. Rianimatore, 57 anni, sposato e con due figlie, ieri non doveva essere su quel volo: fatale è stato un cambio turno. Stessa sorte per Davide De Carolis, il 39enne teramano, sposato e con una figlia piccola, che a 13 anni era già nel Cai e a 21 gestiva un rifugio sul Gran Sasso. Anche la sua è stata una vita tutta dedicata alla montagna: gestiva un ristorante nella sua Santo Stefano di Sessanio che, sebbene sepolta dalla neve, non ha esitato ad abbandonare nei giorni scorsi per andare a scavare a Rigopiano. A Roma aveva trascorso la sua infanzia Giuseppe Serpetti, 58 anni, aquilano. Un omone buono cresciuto con la passione del soccorso in elicottero, coltivata fin da giovanissimo. Lascia la moglie Lucia e due figli piccoli, di 7 e 8 anni. Alla guida dell'elicottero c'era Gianmarco Zavoli, 47 anni, di San Giuliano a Mare (Rimini), dove viveva. Pilotava l'Agusta modello Aw139. Era un appassionato ciclista, iscritto alla Cicli Matteoni. Nel tempo libero partecipava a escursioni su strada con il team amatoriale. Mario Matrella, 42 anni, di Foggia, tecnico di volo, era l'esperto del verricello. Viveva a Putignano, in provincia di Bari. Lascia la moglie e quattro figli. Dipendente della Inaer Aviation spa, ma con un passato da tecnico dell'Alidaunia, faceva parte anche del soccorso alpino.

STRAGE HOTEL RIGOPIANO: DOPO UNA SETTIMANA E’ FINITA, scrive il 26 Gennaio 2017 "Prima Da Noi". La parola fine arriva ad una settimana esatta dalla valanga che ha travolto tutto: attorno alle 23 di ieri i vigili del fuoco tirano fuori da quel groviglio di macerie, neve, tronchi d'albero e detriti i corpi degli ultimi due dispersi. Quel che resta dell'hotel Rigopiano, a questo punto, è ormai solo un monumento all'orrore sotto il Corno Grande del Gran Sasso d'Italia. Che fosse questo, il finale, lo si era capito ormai da un paio di giorni e mercoledì se ne è avuta la certezza: nei discorsi ufficiali, nelle dichiarazioni ai tg, non c'erano neanche più quelle parole formali che servivano a lasciare aperta comunque una seppur minima speranza. E l'unico obiettivo rimasto a chi stava scavando senza sosta da giorni, era quello di trovare prima possibile tutti i corpi sepolti sotto la neve e le macerie. Per chiudere finalmente la macabra conta delle vittime, restituire i corpi alle famiglie e abbandonare prima possibile quella montagna piena di dolore. La svolta è arrivata lunedì notte e da allora, in 48 ore, i vigili del fuoco hanno tirato fuori da quel che resta dell'hotel 18 vittime; 9 le hanno estratte martedì e 9 mercoledì. Queste ultime sono sei donne e tre uomini: i loro corpi, come la maggior parte di quelli usciti da quell'inferno poche ore prima, erano incastrati tra pilastri, pezzi di cemento, neve e tronchi. Ed erano tutti in un unico ambiente: quello dove, prima che sul Rigopiano si abbattessero centinaia di tonnellate di neve, era il bar. I vigili del fuoco, in quella zona, c'erano arrivati due giorni fa. Erano entrati passando dalle cucine e lì avevano avuto già un brutto presentimento: alcuni di quegli ambienti erano rimasti miracolosamente intatti, ma non c'era nessuno. «Speravamo di trovare qualcuno ancora vivo - hanno ripetuto fino a ieri - anche se sapevamo bene che stavano per lasciare l'albergo e dunque erano tutti radunati da un'altra parte. Però magari qualcuno era tornato indietro, o si era attardato per qualche motivo in cucina. E se fosse stato così si sarebbe forse salvato». Concluse le verifiche nelle cucine, gli Usar, gli specialisti delle ricerche tra le macerie, sono passati al bar. Un'ampia zona tra la sala del camino, dove c'erano alcuni dei sopravvissuti, e l'area ricreativa, dove sono stati estratti vivi i tre bambini. Ma lì dentro la situazione era molto peggio: un unico groviglio di macerie e neve. E di corpi. Qualcun altro, invece, lo hanno recuperato nella zona dove erano le camere: quattro piani venuti giù completamente e schiacciati uno sull' altro. E gli ultimi due, un uomo e una donna, li hanno trovati sempre lì: nella zona tra il bar e la hall. Dove tutti gli ospiti e i dipendenti dell'albergo attendevano l'arrivo dello spazzaneve che avrebbe dovuto portarli via. Ma il mezzo non si è mai visto e al suo posto è arrivata la valanga maledetta. Alla fine di una giornata lunghissima, i morti sono quindi 29, quindici uomini e quattordici donne. Sommati agli 11 sopravvissuti, fanno tutte e quaranta le persone che mercoledì pomeriggio si trovavano nel Rigopiano. Non c'è più nessuno da cercare. Almeno non c'è più nessuno di ufficiale da rintracciare. Per questo le ricerche sono state sospese ieri notte, anche se è probabile che riprenderanno in mattinata per bonificare l'intera area ed escludere con certezza che non vi siano altre persone che non erano finite in nessun elenco. Delle 29 vittime, 20 sono state identificate: si tratta di 9 donne e 11 uomini: Rosa Barbara Nobilio e suo marito Piero di Pietro, Nadia Acconciamessa e il marito Sebastiano di Carlo, l'estetista dell'hotel Linda Salzetta, Paola Tommasini, Ilaria De Biase, Luana Biferi, Jessica Tinari, Sara Angelozzi, Marinella Colangeli, il maitre dell'hotel Alessandro Giancaterino, il cameriere Gabriele D'Angelo, Stefano Feniello, Marco Vagnarelli, l'amministratore dell'hotel Roberto Del Rosso, il receptionist Alessandro Riccetti, il rifugiato senegalese Faye Dame, Claudio Baldini, Emanuele Bonifazi. Gli ultimi 9 corpi da identificare sono all'obitorio dell'ospedale di Pescara, dove i parenti attendono di poterseli riportare finalmente a casa. Per i duecento uomini che hanno scavato per giorni, dopo aver capito che non ci sarebbe stato più nessuno vivo, ritrovarli tutti era l'unico obiettivo. E ci sono riusciti. E' finito lo strazio di una macabra e luttuosa contabilità, non finirà tanto presto, invece, lo stillicidio delle ricostruzioni di eventuali responsabilità che sembrano annidarsi ovunque. Uno stillicidio di omissioni e sviste che tutte insieme hanno creato la valanga che è venuta giù. Marco Tanda, il pilota 25enne della Ryanair originario di Gagliole (Macerata) e la fidanzata Jessica Tinari, di Lanciano, sono fra le vittime della slavina di Rigopiano. Il corpo di Marco è stato riconosciuto ieri sera dal fratello Gianluca: «ora che Marco non c'è più - le sue uniche parole - è il momento del silenzio». I due fidanzati sono stati ritrovati senza vita nella sala tv dell'albergo distrutto. Tanda era cresciuto a Castelraimondo, ma si era poi trasferito a Roma con la famiglia.

HOTEL RIGOPIANO. SOPRAVVISSUTI E VITTIME: TUTTI I NOMI. E' finita. Undici sopravvissuti, 29 morti, zero dispersi.

Tra la notte di mercoledì 25 gennaio e giovedì 26 la tragica contabilità della strage all'hotel Rigopiano è terminata. L'ultimo disperso è stato trovato. Cadavere, come tutti gli altri da sabato mattina in poi. Sono quindi 29 le vittime in quel resort travolto da una slavina mercoledi' di una settimana fa. Non ci sono più dispersi da cercare, le ultime speranze - già molto, molto ridotte - sono cadute intorno a mezzanotte, quando la prefettura di Pescara ha dato notizia del recupero del corpo di un uomo e di una donna. Degli ultimi corpi che mancavano all'appello. Un comunicato, due righe per dire appunto 29 vittime e 0 dispersi.

I SUPERSTITI SONO 11

I superstiti recuperati in macchina, all’esterno dell’hotel:

Il cuoco Giampiero Parete (che ha lanciato l’allarme) e il manutentore dell’hotel Fabio Salzetta.

I superstiti recuperati vivi sotto le macerie:

Adriana Vranceanu, 37 anni, (moglie di Parete) e il figlio Gianfilippo sono stati i primi ad essere stati estratti il 20 gennaio, venerdì mattina, e sono arrivati all’ospedale di Pescara nel primo pomeriggio.

Nella serata del 20 gennaio sono arrivati altri tre bambini: Ludovica Parete (che si è ricongiunta così ai suoi parenti già in salvo), Edoardo Di Carlo, 9 anni di Loreto e Samuel Di Michelangelo, 7 anni.

Sabato mattina, 21 gennaio, poco prima delle 6, in ospedale a Pescara sono arrivati Francesca Bronzi 25 anni di Montesilvano e i fidanzati di Giulianova Vincenzo Forti di 25 anni e Giorgia Galassi di 22 anni.

Alle 10.30 è arrivato in ospedale anche Giampaolo Matrone di 33 anni di Roma. I soccorritori lo hanno trovato grazie alla strumentazione della Scientifica che ha segnalato la presenza del suo cellulare.

LE VITTIME SONO 29

Mercoledì 25 gennaio, poco prima della mezzanotte, si sono spente definitivamente tutte le speranze di ritrovare qualcuno ancora in vita e sono stati recuperati tutti i 29 corpi dei dispersi. 

Il primo ad essere stato trovato è stato Alessandro Giancaterino, 42 anni, meitre dell’hotel Rigopiano. Lascia la moglie Erika e un bimbo di 9 anni.

Seconda vittima identificata Gabriele D’Angelo, 30 anni, cameriere del resort e volontario della Croce Rossa.

Deceduti anche Nadia Acconciamessa, e Sebastiano Di Carlo, genitori del piccolo Edoardo, ricoverato in ospedale da venerdì sera. I due gestivano due pizzerie, una Loreto Aprutino e l'altra a Penne, aperta da poco. Oltre al piccolo Edoardo, che era in vacanza con loro, lasciano altri due figli, uno di 16 anni e l'altro di 20 al quale sarà affidato il sopravvissuto. 

Non ce l'ha fatta nemmeno Barbara Nobilio, di 51 anni, anche lei di Loreto Aprutino.

Identificati martedì 24 gennaio anche il marito Piero Di Pietro, 53 anni, dirigente di Tua, l'azienda unica di trasporto regionale abruzzese. I due coniugi erano partiti per questa breve vacanza insieme ai loro amici Di Carlo. 

Lunedì 23 gennaio era stata invece estratta dalle macerie, senza vita, Linda Salzetta, 31 anni di Penne che lavorava al centro benessere dell'hotel. Per il prossimo 7 maggio erano in programma le sue nozze. Linda era la sorella di Fabio, il manutentore che insieme a Parete ha dato l'allarme. «Ci mancava solo il terremoto, spero di tornare a casa ma non so come. Non ci libereranno», il suo ultimo sms ad un’amica. 

Identificato dopo un lungo strazio per la famiglia anche Stefano Feniello, 28 anni, della provincia di Salerno, fidanzato di Francesca Bronzi (salvata). Nei giorni scorsi i familiari per quasi 24 ore avevano atteso l’arrivo del ragazzo in ospedale perchè la prefettura, per errore gli aveva annunciato che era stato trovato in vita.

Senza vita sono stati ritrovati anche Paola Tomassini, 44 anni, e Marco Vanarielli. I due avevano terminato la loro vacanza e stavano per far ritorno nelle Marche, dove vivevano. Vagnarelli era un dipendente dell'Ariston, mentre la compagna, originaria di Montalto Marche, lavora per la società Autogrill.

«Non ci posso credere, noi rimaniamo quassù per sempre», aveva detto lei la mattina del 18 gennaio, in un video che la ritrae immersa nella neve a poche ore dalla valanga che ricoprirà l'hotel Rigopiano. Il loro ultimo segnale è stato un accesso su Whatsapp alle 16.35 di mercoledì. Poco dopo, la valanga che ha travolto tutto e tutti.

L’ultimo corpo identificato nella giornata di martedì è stato quello del proprietario dell'hotel Roberto Del Rosso. Il suo ultimo messaggio alla moglie era stato inviato il giorno della tragedia, due minuti prima delle 17. L’uomo aveva raccontato che non si era quasi accorto delle forti scosse di terremoto della mattina perché impegnato a spazzare la neve.

La giornata più drammatiche sono state sicuramente quelle di martedì 24 di mercoledì 25 gennaio. Le macerie dell'hotel hanno continuato a restituire in rapida successione solo cadaveri. I soccorritori hanno estratto l'ultimo corpo, il 29° poco prima della mezzanotte. 

Dunque non ce l'ha fatta Valentina Cicioni, 32 anni, moglie di Matrone, ancora in ospedale dopo un intervento al braccio. La donna era di Mentana, infermiera al blocco operatorio del policlinico 'Gemelli' di Roma. Su Facebook aveva pubblicato poche ore prima della tragedia le immagini del resort innevato.

Tra le vittime anche Tobia Foresta, 60 anni, dipendente della direzione provinciale dell’Agenzia delle Entrate di Pescara e sua moglie Bianca Iudicone, 50 anni, ClaudioBaldini e la moglie Sara Angelozzi di Atri.

Nell'hotel c'erano anche Domenico Di Michelangelo, 40 anni, di Chieti e Marina Serraiocco, 36 anni di Popoli. Loro sono i genitori di Samuel, il bimbo tratto in salvo nella sala da biliardo insieme ad altri due bambini. Nei giorni scorsi il sindaco di Osimo, che aveva citato fonti di polizia e della famiglia, i due adulti si sarebbero salvati ma i loro nomi non sono mai comparsi nella lista diffusa dalla Prefettura.

Recuperati anche Marco Tanda, 25 anni, di Macerata, pilota di Ryanair e la fidanzata Jessica Tinari, 24 anni, di Vasto. E poi ancora i coniugi Luciano Caporale, 54 anni, Castel Frentano e Silvana Angelucci, 46 anni, entrambi parrucchieri di Castel Frentano. 

Sepolti dalla valanga anche Emanuele Bonifazi, 31 anni, di Pioraco, e il portiere della struttura Alessandro Riccetti, 33 anni, di Terni, l’estetista dell’hotel Cecilia Martella, la responsabile del centro estetico Marinella Colangeli, Ilaria Di Biase, 22 anni, era da tre anni impegnata nell’attività di cuoca e aveva vinto la selezione per prestare servizio in hotel, Luana Biferi dello staff e calciatrice dell'Acqua e  Sapone, di Bisenti che poco prima della tragedia aveva scritto su facebook agli amici «Sono bloccata a Rigopiano con tre metri di neve... e il terremoto». 

Il 22 gennaio una coppia di turisti tornata a casa prima della tragedia ha segnalato la probabile presenza all’interno dell’hotel di un extracomunitario che non figura in nessuna lista. Parlavano di Faye Dame, impiegato tuttofare arrivato dal Senegal con la voglia di crearsi una nuova vita.

Rigopiano, da Giorgia Galassi e Stefano Feniello, storie di chi torna e di chi non ce l'ha fatta. Il 28enne originario di Salerno è l'unico, tra le due coppie intrappolate nella stanza dell'hotel, ad essere morto, scrive L'"Ansa" il 25 gennaio 2017. Speranze, illusioni, gioia, rabbia. La vicenda di Rigopiano ha incrociato destini diversi per storie simili. Tanto da scatenare analogie e confronti. Nel ventre della montagna di neve che ha mangiato il Rigopiano c'erano anche due coppie di fidanzati, intrappolati a pochi metri di distanza: Giorgia Galassi e Vincenzo Forti, Francesca Bronzi e Stefano Feniello. Tra loro l'unico a non essere sopravvissuto è Stefano Feniello, 28enne originario di Valva (Salerno). Già prima che il corpo privo di vita venisse estratto dalle macerie, suo padre Alessio gridava la sua disperazione: "Quelli che sono morti sono stati uccisi, quelli che ancora non si trovano sono stati sequestrati contro il loro volere. Avevano le valigie pronte e volevano rientrare". E intanto aspettava notizie del figlio. Proprio lui, a cui venerdì sera, forse a causa di un errore nelle comunicazioni, le autorità, tra cui il Prefetto, avevano detto che Stefano era vivo e faceva parte di un gruppo di cinque persone in arrivo in ospedale. "A sentire il nome di mio figlio sono caduto faccia a terra - racconta - il giorno dopo ho penato fino al pomeriggio e ho atteso che qualcuno mi venisse a dire guardate abbiamo sbagliato". Poi la rabbia nel giorno dell'identificazione del corpo del figlio: "È una settimana che sono qui in ospedale". A non darsi pace era anche Francesca Bronzi, la 25enne di Pescara. La sua vita è cambiata mentre beveva un tè col fidanzato Stefano. Lo sconforto aveva di nuovo preso il sopravvento, dopo la gioia esplosa quando erano stati comunicati i nomi di cinque persone estratte dai resti dell'hotel, tra cui quello di Stefano. Un errore di comunicazione, forse, all'origine dell'informazione errata. Era la prima vacanza insieme per Stefano e Francesca. Lui aveva compiuto 28 anni martedì e lei, per il compleanno, gli aveva regalato due giorni di relax nella storica struttura di Rigopiano. Subito dopo la notizia della valanga, i due papà si erano messi in marcia per cercare di raggiungere il luogo del disastro. "E' una tragedia, ho mia figlia lì sotto - aveva detto Gaetano Bronzi con le lacrime agli occhi - era andata a fare una giornata con il ragazzo, c'è suo padre qui accanto a me. Volevano passare un week end, ma sono rimasti su". "Non erano mai venuti qui - aveva detto papà Alessio - Ma la speranza c'è ancora e noi aspettiamo. Non ce ne andremo". E ora le due famiglie criticano i metodi di comunicazione e le poche informazioni. Parlano di "mancanza di organizzazione", i Bronzi. "Nessuno ci fa sapere niente, apprendiamo informazioni solo dai giornalisti. Nessuno si degna di dirci nulla", ripetevano i Feniello. E non potevano fare altro che attendere. Tra muri di neve in quella stessa stanza d'albergo, immobili, al buio, senza poter comunicare con gli altri e senza udire alcun suono o rumore, neanche quelli dei soccorritori. Vincenzo era insieme alla fidanzata, Giorgia Galassi, 22 anni, per passare qualche giorno all'insegna del relax. Entrambi sono stati recuperati e ora sono in buone condizioni. Ora tutto è affidato a testimonianze, acquisizioni, documenti, autopsie. E se in quell'albergo a stabilire la sorte di Stefano è stata la roulette del caso, lo decideranno i magistrati.

Hotel Rigopiano, Francesca Bronzi scopre in diretta a Porta a Porta che il suo fidanzato è morto, scrive “Libero Quotidiano” il 26 gennaio 2017. Il lutto e una beffa tremenda. La tragedia dell'Hotel Rigopiano arriva nello studio di Porta a Porta, dove c'è Francesca Bronzi, che intervistata parla del suo fidanzato, Stefano Feniello, e della speranza di ritrovarlo vivo. Ma la speranza si spegne nel corso della diretta di martedì sera: arriva la conferma che uno dei corpi recuperati in serata è proprio di Stefano, riconosciuto grazie a un tatuaggio.

Bufera a Porta a Porta: Francesca parla del fidanzato disperso, ma lui è già morto. Bruno Vespa segue la tragedia di Rigopiano ma con una puntata registrata. Quando va in onda su Rai1 l'intervista alla sopravvissuta Francesca Bronzi, che spera di ritrovare ancora vivo il fidanzato, arriva la conferma: Stefano Feniello è tra le vittime, scrive Chiara Cecchini il 25 gennaio 2017 su "Today". Era l'ottobre 2010. Davanti a milioni di telespettatori la madre di Sarah Scazzi fu informata in diretta che sua figlia non era scomparsa, come si temeva e in fondo ancora si sperava in quel momento, ma era stata uccisa e del suo omicidio si era autoaccusato lo zio Michele Misseri. Successe a "Chi l'ha visto?", la tv-verità per eccellenza. Il bello e l'osceno della diretta, la necessità di fare informazione e servizio pubblico (mentre i concorrenti mandavano in onda puntate registrate su altri temi) ma anche il dilemma etico e il buonsenso di chiudere in tempo il collegamento, di allontanare le telecamere, di non riprendere il viso impietrito di Concetta Serrano. Sul Corriere della Sera Aldo Grasso difese la scelta di Federica Sciarelli. "Con le telecamere ormai accese 24 ore su 24, in una società organizzata attorno ai media, nella piena consapevolezza che ormai gli strumenti multimediali rappresentano il nuovo ambiente in cui viviamo, è inutile chiedersi se questo strazio collettivo in diretta andasse fermato o no. Da tempo viviamo nel post-Vermicino", scrisse il critico di via Solferino, cercando di contestualizzare un episodio che aveva aggiunto una nuova pagina alla lunga e atroce storia della spettacolarizzazione del dolore in tv. Sono passati sette anni. Altri milioni di telespettatori seguono con il cuore in gola i tremendi aggiornamenti dall'hotel Rigopiano, che ormai continua a restituire solo morti. Bruno Vespa e il suo Porta a Porta sono "sul pezzo", ma con una puntata registrata. Nessun collegamento fiume dai luoghi della tragedia modello Vermicino, niente "telecamere ormai accese 24 ore su 24", solo l'intervista a Francesca Bronzi, una dei sopravvissuti alla tragedia del resort distrutto dalla slavina. La giovane, estratta viva e trasportata all'ospedale di Pescara, racconta quelle 50 ore passate nel buio e al freddo, stringendo la mano del fidanzato Stefano Feniello. Al momento della registrazione della puntata, Feniello era ancora nella lista dei dispersi. Mentre il racconto di Francesca, e la sua speranza di poter riabbracciare il suo Stefano, si diffonde su Rai1 arriva la tragica conferma: il ragazzo è morto, suo padre lo ha riconosciuto ufficialmente da alcuni tatuaggi. Aveva un senso quell'intervista, in quel momento, in quel contesto, "nella piena consapevolezza che ormai gli strumenti multimediali rappresentano il nuovo ambiente in cui viviamo"? Tra gli "strumenti multimediali" citati da Grasso ormai c'è anche Twitter e proprio sul social network si è sfogata la rabbia di chi ha assistito all'ennesimo scollamento tra realtà e informazione. "#francesca scusa per come sei stata USATA da #vespasciacallo credimi non siamo tutti così!..non tutti gli #abruzzesi sono così #portaaporta", tuona un utente.

Morte di Stefano Feniello all’hotel Rigopiano, lo straziante racconto della fidanzata, scrive Angela Bonora su "Info Cilento" il 25 gennaio 2017. La giovane Francesca Bronzi, durante un noto programma Rai, racconta la sua testimonianza della valanga all’Hotel Rigopiano. Lei e il suo fidanzato Stefano Feniello avevano deciso di passare una notte fuori per festeggiare in modo romantico il compleanno di lui. A Stefano, originario di Valva provincia di Salerno, questo compleanno però gli è costato la morte. È stato il padre infatti, a riconoscere il suo corpo attraverso un tatuaggio. Francesca durante l’intervista a “Porta a Porta”, racconta che tutti gli ospiti dell’Hotel Rigopiano erano terrorizzati per aver avvertito circa 5 scosse fino a quel momento. Erano stati più volte rassicurati dal personale della struttura sulla stabilità dell’albergo, ma nonostante questo erano tutti in attesa che arrivasse uno spalaneve per liberare la strada. Francesca continua dicendo che prima del boato, lei era di fronte al suo fidanzato davanti al caminetto, quando hanno avvertito un forte rimbombo ed un urto che ha fatto spostare lei di alcuni metri in avanti, da quel momento riusciva a vedere solo il braccio di Stefano attraverso la torcia del cellulare. Durante le 50 ore passate sotto le macerie Francesca dichiara “ero al buio, in uno spazio piccolissimo, senza acqua né cibo, sono stata sempre rannicchiata con le ginocchia al petto”, per fortuna accanto a lei c’era un’altra coppia di fidanzati Vincenzo Forti e Giorgia Galasso, che le passano della neve per potersi dissetare. I giovani, appena hanno sentito dei rumori provenire dalla superficie, hanno gridato aiuto molte volte fino a quando i vigili del fuoco li hanno salvati. La giovane Francesca con le lacrime agli occhi, dopo aver raccontato l’orribile tragedia che l’ha divisa per sempre dal suo amore, conclude rivolgendo un ringraziamento ai suoi soccorritori, in particolare ad alcuni di loro.

Gossip Barbara D'Urso criticata in tv da Giorgia Galassi dell'hotel Rigopiano, scrive il 25 gennaio 2017 Domenico Mungiguerra, Esperto di Tv e Gossip su "it.blastingnews.com". Giorgia Galassai, sopravvissuta alla tragedia dell'Hotel Rigopiano attacca Barbara D'Urso in tv. Colpo di scena durante la diretta tv di oggi 25 gennaio di #Pomeriggio 5, la trasmissione di #Barbara D'Urso che in questi giorni sta continuando a tenere alta l'attenzione sulla tragedia dell'Hotel Rigopiano: diverse le vittime che sono state estratte morte dalla struttura così come diversi sono state anche le persone che miracolosamente sono state estratte vive dall'Hotel. Ebbene durante la diretta di oggi di Pomeriggio 5 la D'Urso ha avuto la possibilità di intervistare la coppia di sopravvissuti di questa tragedia: parliamo di Giorgia Galassi e del suo fidanzato Vincenzo Forti, i quali al termine della conferenza stampa ufficiale che hanno fatto per parlare alla stampa di quanto è accaduto in quelle ore in cui sono stati sommersi sotto la neve all'interno dell'albergo, hanno concesso un'intervista alla conduttrice del talk show di Canale 5. Ebbene le gossip news rivelano che nel momento in cui Giorgia Galassi si è collegata in diretta con Barbara D'Urso ha subito mosso una critica alla conduttrice di Pomeriggio 5 per una lettera che lei avrebbe letto nel corso dei giorni scorsi, presentandola al pubblico da casa come una missiva scritta da Vincenzo Forti, fidanzato della Galassi. Ebbene la donna ha precisato che quella lettera non è stata scritta dal suo compagno e quindi quanto letto dalla D'Urso non era vero. A quel punto, però, ecco che la padrona di casa di Pomeriggio 5 ha preso la parola e si è difesa dalle accuse e dalle critiche di Giorgia Galassi, affermando che in realtà lei si è solo limitata a leggere quanto riportato in questi giorni sui vari quotidiani, tra cui Corriere della Sera e La Repubblica. A quel punto la reazione della sopravvissuta dell'#hotel Rigopiano è cambiata e ha precisato che non sapendo questo particolare, muoveva la sua crtica contro chi ha riportato queste false notizie, affermando di non avere nulla contro la D'Urso e ringraziandola per la possibilità che le è stata data di fare chiarezza in diretta tv.

Rigopiano, trovati due corpi nel caminetto trascinati della valanga. Le persone recuperate, tutte senza vita, sono salite a 29 e all'interno dell'albergo non dovrebbe esserci più nessuno, scrive Marta Proietti, Giovedì 26/01/2017, su "Il Giornale". Il bilancio delle vittime dell'hotel Rigopiano è salito a 29 e quasi sicuramente all'interno della struttura non c'è più nessuno. Nella straziante ricerca, i vigili del fuoco hanno trovato due persone dentro il caminetto, con le mani davanti al volto probabilmente per proteggersi dai crolli del soffitto. Dalle prime ricostruzioni sembra sia stata la forza della valanga a spingerli dentro a quella che è diventata la loro tomba. Al momento non è ancora possibile identificarli perché i volti sono totalmente sfigurati.

La mappa dell'hotel-cimitero: uno per uno, dov'erano i morti, scrive il 27 gennaio 2017 “Libero Quotidiano”. Una mappa agghiacciante e allo stesso tempo commovente. E' quella che pubblica oggi il quotidiano Il Messaggero sulle vittime dell'hotel Rigopiano. Una per una, nome per nome con tanto di numerino, il quotidiano romano mostra dove sono state trovate le vittime della slavina dello scorso 28 gennaio. Stanza per stanza: si scopre così che ben 13 di loro erano distribuite tra la reception la hall, dov'erano in attesa dello spazzaneve che avrebbe dovuto arrivare per aprirgli la strada verso la fuga e la salvezza, ma che non è mai arrivato lassù. Dieci erano nella zona bar, una tra quella e la sala biliardo. Una al bancone del bar e tree in cucina, al lavoro. Nessuno al ristorante. Nelle camere stavano in pochi. E quelli si sono salvati, perchè stavano più in alto, nella parte di hotel colpita solo in parte dalla massa di neve. Tutti quelli che invece erano giù in attesa di partire sono invece morti.

Rigopiano, alcune vittime trovate con il cellulare in mano altre con il volto coperto dal gomito. Le operazioni per il recupero dei corpi all'hotel Rigopiano sono ormai concluse. Ora, i soccorritori raccontano dettagli agghiaccianti su come sono state trovate quelle 29 persone prive di vita, scrive Serena Pizzi, Venerdì 27/01/2017, su "Il Giornale". La tragedia dell'hotel Rigopiano è una di quelle tragedie che si farà fatica a dimenticare, due giorni dopo dal recupero di tutti i corpi rimasti sepolti sotto la slavina che ha travolto il resort, emergono particolari terribili di quella morte arrivata all'improvviso. I soccorritori hanno raccontato alla stampa scene che rimarranno impresse nella memoria per la loro drammaticità e allo stesso tempo per la loro quotidianità. Sì perché gli ospiti dell'hotel Rigopiano, che mercoledì 18 gennaio hanno perso la vita sotto cumuli di macerie e neve, stavano trascorrendo un normale mercoledì pomeriggio. "Gli angeli" che hanno salvato 11 persone, ma che non hanno potuto fare nulla per altre 29, hanno confessato di aver trovato nella tomba glaciale dell'hotel Rigopiano corpi totalmente schiacciati dalle macerie e dal peso della valanga. Nella cucina, invece, - si legge su il Messaggero - c’erano le due cuoche ancora intente nella preparazione dei cibi. La slavina le ha colte all'improvviso e allo stesso modo la morte se le è portate via. Anche l’addetto al ricevimento si trovava sul posto di lavoro, nella reception della struttura. Il giovane, probabilmente si occupava anche del bar, collocato nella stessa stanza, perché aveva ancora in mano il braccio della macchina del caffè quando è stato trovato. Gli ospiti, invece, erano radunati nella hall del resort. Alcuni di loro erano seduti accanto al camino che in quel momento ardeva. Quel camino che tanto era amato perchè riscaldava, probabilmente, è costato la vita a quelli che gli sono finiti contro. Altri ancora sono stati trovati dai soccorritori con in mano il cellulare. Forse stavano aspettando il segnale per mandare un messaggio per rassicurare i parenti o forse per inviare messaggi di aiuto. Tanti forse e nessuna risposta. La furia della slavina non ha risparmiato nessuno. Alcuni corpi sono stati trovati fra le ante delle porte. Poi, c’è stato anche chi è morto con il volto coperto dal gomito per ripararsi dai crolli. Un'immagine terribile. Quasi tutte le vittime indossavano un abbigliamento sportivo da montagna. Altre, invece, sono state estratte senza indumenti. Tra le macerie sono emersi molti effetti personali di uomini e donne rimasti sepolti e dei sopravvissuti. C’era una bambola, un accendino, dei fogli, brandelli di borse, materassi, scarpe, valige, giochi, tanti giochi. Tutti testimoni di vite vissute e spezzate. Ora, le operazioni di recupero delle vittime si sono concluse. La "zona rossa" sarà presidiata ancora per qualche giorno, per consentire di concludere la seconda fase, cioè quella dello smontaggio di tutte le attrezzature utilizzate dai soccorritori. "Le operazioni di soccorso all’hotel Rigopiano sono state tra le più complesse che abbiamo mai gestito - ha dichiarato il direttore centrale delle emergenze dei Vigili del fuoco, Giuseppe Romano - un crollo di un edificio di 4 piani sotto una valanga in uno scenario di terremoto, con l’impossibilità di arrivare sia via terra che via aria e con le comunicazioni difficili".

Il racconto dei superstiti a Rigopiano: "Salvi mangiando neve". Giorgio e Vincenzo prigionieri per 58 ore della neve al Rigopiano: "Quando sono arrivati i soccorsi abbiamo urlato", scrive Claudio Cartaldo, Giovedì 26/01/2017, su "Il Giornale". Il tavolino, la tazza di tè, la tranquillità di una vacanza particolare. Sì, c'era tanta neve. Ma quando cadono i fiocchi pensi solo a qualcosa di bello, forse romantico. Non ad una tragedia. Giorgia Galassi e Vincenzo Forti invece hanno vissuto la tragedia della valanga che ha travolto l'hotel Rigopiano. Erano lì sotto. A lottare tra la vita e la morte. In attesa che qualcuno, come poi successo, li salvasse. Di fronte ai microfoni dei giornalisti, Giorgia e Vincenzo hanno ripercorso quelle drammatiche ore. "Quando la batteria del telefonino si è scaricata siamo piombati in un buio profondissimo, ermetico - dice Vincenzo - Non si vedeva più nulla e ci si poteva orientare solamente con la voce". Grazie a quella flebile luce i due fidanzati sono riusciti a capire dove si trovassero e a vedere la parete di ghiaccio che sarebbe diventata la loro fonte di acqua necessaria per sopravvivere. Con loro c'era anche Francesca Bronzi, la fidanzata di Stefano Feniello morto intrappolato sotto le macerie. "Il terremoto di quella mattina si era sentito molto forte e aveva terrorizzato gran parte degli ospiti. Piangevo di paura", ammette Giorgia. La sua mano è sorretta da quella di Vincenzo: "Quelli dell’albergo — dice il ragazzo, riportato da Repubblica — ci ripetevano che non c’era pericolo. Poi ci hanno invitato ad aspettare nella sala grande, accanto al camino, il posto più sicuro della struttura. Eravamo seduti su un divanetto a bere un tè. Che ci potesse essere un rischio valanghe? Nessuno ne ha parlato, non ci abbiamo pensato. Abbiamo sentito un boato tremendo, abbiamo pensato a un sisma, ma in un baleno ci siamo trovati sotto la neve". Sotto quella coltre di detriti, neve e alberi la più grande sofferenza, dicono i superstiti, era la sete. "Per fortuna che abbiamo trovato subito la parete di ghiaccio e neve - racconta Giorgia - Ogni volta che ne staccavo un pezzo — racconta Giorgia — ne passavo la metà a Francesca: soffrivamo maledettamente la sete". Ma dicono di non aver mai avuto paura di non farcela: "Sapevamo che qualcuno sarebbe arrivato, prima o poi". E infatti li hanno tirati fuori. Un miracolo. Quando hanno capito che li avevano individuati hanno "urlato come dei matti". "Un pompiere toscano che ci ha aiutati e sorretti - ricorda Giorgia - e parlato con noi per tutto il tempo. 'State tranquilli, ci ha detto subito, noi non ce ne andremo mai di qui, se non insieme a voi'. Non me lo dimenticherò mai". Sulla morte di Stefano Feniello perdurano alcune polemiche. Il padre nei giorni scorsi ha denunciato la poca chiarezza con cui sono state date le comunicazioni ai familiari su dispersi, morti e sopravvissuti. Ma soprattutto Francesca, la fidanzata di Stefano, continua a dire che lui era lì accanto a lei. Che ha visto la sua mano con l'orologio che gli aveva regalato. Eppure, Giorgia e Vincenzo dicono che lì con loro il ragazzo non era presente. Ma solo Francesca. "Probabile che si tratti di una sorta di piccola allucinazione", spiegano dall’ospedale di Pescara Repubblica. Un modo per riempire il vuoto dell'assenza di Stefano. Quel fidanzato che ora purtroppo nessuno le riporterà indietro.

Rigopiano, i superstiti: “Così siamo sopravvissuti”, scrive Maddalena Carlino su "L'Unità TV" il 22 gennaio 2017. Le storie di chi è riuscito a sopravvivere si mescolano a quelle di chi non ce l’ha fatta. Undici sopravvissuti, cinque corpi senza vita recuperati e 24 dispersi segnalati: è questo il bilancio attuale della tragedia dell’hotel Rigopiano. Le storie di chi è riuscito a sopravvivere si mescolano a quelle di chi non ce l’ha fatta. Dolore e sollievo si uniscono così nel dramma dell’Hotel Rigopiano. Drammatiche le testimonianze di chi è rimasto imprigionato per 58 ore sotto i ghiacci: “La paura, il buio, la fame. Ci siamo salvati succhiando neve”, racconta Giorgia Galassi, la donna giuliese scampata insieme al fidanzato Vincenzo Forti dopo due giorni di prigionia sotto le macerie de Rigopiano di Farindola. “Il momento peggiore – racconta Giorgia – è stato il secondo giorno lì sotto. Eravamo chiusi in una scatola, senza la cognizione del tempo. Non sentivamo rumori da fuori. Continuavamo a dissetarci succhiando ghiaccio, ma non mangiavamo, e le forze e le speranze cominciavano a venire meno”. Poi quei rumori che non erano più solo scricchiolii del ghiaccio, le voci. “Allora abbiamo cominciato a bussare sul soffitto a più non posso. Loro ci hanno chiamati. Io subito ho urlato “sono Giorgia e sono viva”. Ed è stata la cosa più bella che abbia mai detto”. “E’ stata una bomba, mi sono ritrovato i pilastri addosso. Ero seduto sul divano e i pilastri sono scivolati in avanti tagliandolo in due. Ci siamo salvati per questo”. Così invece Vincenzo Forti ha raccontato all’amico Luigi Valiante, l’esperienza della valanga. Con l’amico pescatore che è andato a trovarlo ha ripercorso tutti i momenti della tragedia: “Io sono rimasto senza scarpe. Indossavo i leggings che mi aveva prestato la mia fidanzata. In un attimo ci siamo ritrovati in tre in un metro quadrato. Ci siamo abbracciati, nutrendoci di neve”. Poco distante Forti sentivano anche le voci di un altro ragazzo e dei bambini, con i quali non è stato possibile comunicare. “La paura è stata tanta e abbiamo pregato”, ha detto il sopravvissuto. Triste e drammatico il destino che unisce Edoardo e Samuel, anche se per il secondo c’è ancora la speranza che possa riabbracciare entrambi i genitori. Otto e sette anni, i due bambini sono ora al caldo e coccolati dopo la tragedia che li ha travolti il 18 gennaio quando l’immensa valanga ha spazzato via l’hotel di Farindola, dove erano in vacanza con le loro famiglie. Sono riusciti a venire fuori da quell’inferno di neve. Tratti in salvo dai soccorritori, sono stati portati all’ospedale di Pescara. Fisicamente stanno bene. La loro tempra è forte. Hanno superato anche una leggera ipotermia ma, dicono i medici che li tengono sotto osservazione “psicologicamente sono provati”. I due bimbi in ospedale attendono le loro mamme e i loro papà. Solo nel tardo pomeriggio di sabato la notizia che nessuno avrebbe voluto sentire. Viene riconosciuta la terza vittima: è la mamma di Edoardo, Nadia Acconciamessa, 48 anni, moglie di Sebastiano Di Carlo. Lei dipendente della Asl di Pescara, lui titolare di una pizzeria a Loreto Aprutino (Pescara). Di Sebastiano nessuna notizia, fino a stasera: è lui una delle vittime recuperate nelle ultime ore. Nessuna informazione, invece, sui genitori di Samuel Di Michelangelo, il piccolo della famiglia del poliziotto, Domenico, 41 anni, di Chieti, e Marina Serraiocco, che vivono a Osimo (Ancona). Risultano ancora tra i dispersi. Nella notte sono poi state estratte vive altre quattro persone, due uomini – Giampaolo Matrone (lievemente ferito) e Vincenzo Forti – e due donne, Francesca Bronzi e Giorgia Galassi. “Abbiamo altri segnali da sotto la neve e le macerie – ha detto il funzionario dei vigili del fuoco Alberto Maiolo – stiamo verificando. Potrebbero essere persone vive, ma anche le strutture dell’albergo che si muovono sotto il peso della neve”. “Le tenevo la mano, poi nulla” riferisce Giampaolo Matrone uno degli 11 sopravvissuti. Ha raccontato con parole strazianti ai soccorritori di come ha dovuto lasciare la moglie lì. “Le stringevo la mano e le parlavo per tenerla sveglia perché volevo che rimanesse sempre vigile. La chiamavo, poi a un certo punto non l’ho sentita più e ho capito che mi stava lasciando”. Vicino a lui, Matrone ha raccontato di un’altra donna che non dava segnali di vita. Parla anche il manutentore, Fabio Salzetta: chiamavo ma nessuno ha risposto “Ho cercato di chiamare qualcuno fino a quando ha fatto buio. Ma nessuno rispondeva. Poi ha continuato a nevicare, è venuto giù un altro mezzo metro di neve. Era troppo rischioso rimanere là”. Fabio Salzetta, il manutentore dell’hotel Rigopiano, racconta per la prima volta quei momenti maledetti. “Erano tutti raggruppati nella speranza di andarsene ma non avevamo paura, nessuno si immaginava che potesse succedere una cosa cosi'”. Ma cosa ricordi? “Neve, neve e basta”. Nella serata di venerdì, la prefettura di Pescara aveva fornito un elenco di cinque nomi, indicandoli come quelli che si trovavano sotto le macerie, erano stati individuati e dovevano essere estratti vivi: oltre a Matrone, Bronzi, Forti e Galassi anche Stefano Feniello, del quale al momento non ci sono notizie. Il bilancio ufficiale delle vittime è salito a cinque: ai primi due corpi recuperati, quello del maitre dell’hotel Alessandro Giancaterino e del cameriere Gabriele D’Angelo, si sono aggiunti quelli estratti nella notte dai soccorritori: Nadia Acconciamessa e Sebastiano Di Carlo, genitori del piccolo Edoardo, che si è salvato e Barbara Nobilio, 51 anni, di Loreto Aprutino (Pescara), che era in vacanza con il marito, di cui non si hanno ancora notizie. All’appello, infine, secondo quanto reso noto dalla prefettura di Pescara mancherebbero 23 persone, tutte disperse.

Estratta viva dall'hotel di Rigopiano, Giorgia viene insultata su Facebook. Giorgia Galassi è stata estratta viva dalle macerie dopo 58 ore insieme al fidanzato Vincenzo Forti. Entrambi sono in buone condizioni, scrive Marta Proietti, Mercoledì 25/01/2017, su "Il Giornale". È una dei sopravvissuti alla tragedia dell'hotel Rigopiano e ha voluto condividere su Facebook la sua gioia e gratitudine. Ma il popolo del web, invece di essere felice per lei, ha deciso di riempirla di insulti. "Giorgia Galassi si sente rinata". Inizia così il post della studentessa di Giulianova che ha fatto infuriare gli utenti. La ragazza è stata estratta viva dalle macerie dell'hotel Rigopiano dopo 58 ore sotto la slavina insieme al fidanzato Vincenzo Forti e condotta all'ospedale di Pescara in condizioni di salute buone. Ha continuato Giorgia: "Volevo ringraziare tutte le persone che si sono preoccupate per me in questi giorni e che mi sono state vicine col pensiero. Grazie a tutti". E un cuoricino rosso. Gli internauti hanno accusato Giorgia di mostrare poca empatia verso i suoi compagni di vacanza di cui ancora non si conoscono le sorti. "Ma un minimo di sensibilità per chi è ancora là sotto non le passa per il cervello e per il cuore?" commenta uno degli iscritti a Facebook sotto il post della studentessa di scienze dalla comunicazione. Mentre invece un altro non ha preso bene neanche i ringraziamenti della ragazza: "Non ringraziare le persone che ti sono state vicine con il pensiero, ma ringrazia Dio e i soccorritori", le suggerisce. Fortunatamente molte altre persone hanno preso le difese di Giorgia. "Se questa ragazza ha già trovato la forza, almeno apparente, di andare avanti e vivere la sua vita normalmente, tanto di cappello!" commenta una donna, mentre un'altra spiega: "E come sempre tutti bravi a parlare, criticare e giudicare quando non si è dentro una situazione".

Rigopiano, dalla neve recuperate tutte le vittime: sono 29. Gentiloni: "Sui soccorsi fatto tutto il possibile". Recuperati tutti corpi, tra loro anche l'amministratore dell'albergo Roberto Del Rosso e il receptionist Alessandro Riccetti.  11 le persone tratte in salvo. Il premier difende la macchina dei soccorsi. In un colloquio col nostro giornale, la funzionaria che disse: "La valanga sull'albergo inventata da imbecilli" risponde alle accuse. Procura: "Nei risultati delle prime sei autopsie, molti morti per schiacciamento, altri per varie concause: schiacciamento, asfissia, ipotermia. Nessuno deceduto per solo assideramento", scrive il 25 gennaio 2017 "La Repubblica". E' il bilancio finale: 29 vittime, 11 sopravvissuti. Non c'è più nessuno da salvare all'hotel di Rigopiano è un immenso cantiere che di ora in ora ha fatto emergere nuove vittime.  Nella notte sono stati recuperati i corpi di tre uomini e questa mattina i vigili del fuoco hanno estratto all'interno della struttura crollata due donne e un altro uomo senza vita, non ancora identificati.  Nel pomeriggio, poi, il cadavere di un'altra donna e, in serata, gli ultimi. Sono 11 le persone salvate. Tra le vittime recuperate c'è anche l'amministratore del Gran Sasso Resort Roberto Del Rosso. "Viveva praticamente lì, non lo abbandonava mai" dicevano a Contrada Mirri, l'avamposto più vicino all'hotel. Fino a sei, sette anni fa era in società con i fratelli. Poi si era ricomprato tutto e aveva ristrutturato il resort con la piscina, la spa, il centro benessere. Ed è stato trovato anche il corpo del suo collaboratore, Alessandro Riccetti, 33 anni, il receptionist ternano dell'albergo. Nelle ore precedenti erano stati identificati anche i corpi di Paola Tomassini, Marco Vagnarelli, Piero Di Pietro e Stefano Feniello, quest'ultimo erroneamente inserito in una prima lista di persone salvate. E mentre il premier Gentiloni, in audizione al Senato, difende la macchina dei soccorsi, con "una capacità di reazione del sistema all'altezza di un grande paese", anche la Procura oggi 'assolve' i soccorsi dalle accuse di eventuali ritardi: "Dalle autopsie su sei vittime risulta che nessuno di loro è morto solo per assideramento. Molti hanno perso la vita subito per schiacciamento". La pm: "Autopsie per sei vittime, nessuno morto per solo ipotermia". "Abbiamo i risultati delle prime sei autopsie: molti morti per schiacciamento, altri per varie concause concorrenti: schiacciamento, asfissia, ipotermia. Nessuno, a quanto ci risulta, morto per solo assideramento", così riferisce nel punto pomeridiano con la stampa il procuratore aggiunto di Pescara, Cristina Tedeschini. Dunque, aggiunge la pm, in questi primi sei casi eventuali ritardi nei soccorsi non sarebbero stati causa diretta di morte. "Ma altre sei autopsie sono in programma, e comunque le eseguiremo su ogni vittima", aggiunge Tedeschini. La pensa diversamente il legale di parte della famiglia di una delle vittime, Gabriele D'Angelo: "Sul mio assistito non ci sono segni di traumi, né di asfissia come emorragie congiuntivali - spiega Domenico Angelucci, medico di parte della famiglia D'Angelo, "secondo noi è morto per assideramento e se fosse stato soccorso entro due ore probabilmente poteva essere salvato". In un palatenda gremito da centinaia di persone si sono svolti a Loreto Aprutino, in provincia di Pescara, i funerali religiosi di Sebastiano Di Carlo, 49 anni, e Nadia Acconciamessa, 47 anni. In prima fila il figlio della coppia, Edoardo, di 8 anni, scampato alla sciagura e fino a ieri ricoverato all'ospedale di Pescara. Accanto a lui i parenti, tra cui il fratello Riccardo poco più che ventenne, al quale il bambino dovrebbe venire ora affidato. C'é anche l'altro fratello, Piergiovanni, sedicenne. Tra le due bare di legno marrone una foto dei Di Carlo abbracciati e sorridenti. E Loreto Aprutino, poche migliaia di abitanti, piange da ieri quattro vittime, dopo il riconoscimento del corpo di Piero Di Pietro, che si va ad aggiungere tra le vittime alla moglie Barbara Nobilio. Le due coppie erano amiche ed erano andate assieme in vacanza all'albergo sul Gran Sasso. Gentiloni al Senato "Soccorritori esemplari, no capri espiatori": "Siamo orgogliosi dei soccorritori. All'inizio le azioni sono state ritardate in modo drammatico per l'impossibilità di usare elicotteri, per il rischio di altre slavine e per le condizioni della viabilità. E avete visto in che modo l'albergo è stato poi raggiunto alle 4,30 del mattino. Da allora, è stato messo in atto ogni sforzo possibile umano, organizzativo e tecnico per raggiungere l'albergo, per trovare i dispersi e cercare di salvare vite umane. Abbiamo mostrato una capacità di reazione del sistema all'altezza di un grande paese. Nella nostra memoria rimarranno impresse le immagini dei lutti che ci hanno colpito ma anche le immagini dei soccorritori, cittadini italiani esemplari, due di loro hanno perso la vita". Così il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni riferendo in aula al Senato sulla situazione di emergenza in Centro italia e sulla slavina dell'hotel Rigopiano. "Ci sono stati ritardi, malfunzionamenti, responsabilità? Saranno le inchieste a chiarire questo punto. La verità serve a fare meglio, ma non ad avvelenare i pozzi. Non condivido la voglia di capri espiatori e giustizieri". E ancora: "A Rigopiano c'è stata una coincidenza micidiale che non si ricorda a memoria d'uomo, con le scosse di terremoto e una nevicata di dimensioni eccezionali". Dighe, 40 in tutta l'area del sisma ma no a voci incontrollate: "Abbiamo lavorato con il ministero delle Infrastrutture per la verifica della tenuta delle 40 dighe nella zona interessate dal sisma, dighe che vengono verificate di prassi ogni volta che si verifica una scossa di magnitudo superiore a quattro. E che quindi sono state ripetutamente verificate negli ultimi mesi. Evitiamo il diffondersi di voci incontrollate su rischi esagerati". "Black out di energia, cause da verificare": "Nel momento di picco della crisi, il 19 gennaio, le utenze non allacciate hanno raggiunto il numero considerevole di 177mila, oggi ne sono rimaste solo alcune centinaia nel Teramano. E' giusto, da parte del governo, verificare quanto abbiano inciso le circostanze eccezionali o quanto ciò abbia messo in luce problemi più generali di manutenzione", dice Gentiloni. La protesta del senatore-sindaco "Basta! Ditemi quanto tempo ho a disposizione per parlare, altrimenti sfascio tutto e me ne vado! Come si fa a parlare con questa lucetta che ti lampeggia davanti!". Così sbotta in aula il senatore marchigiano di Fi, Remigio Ceroni, sindaco di Rapagnano, comune della provincia di Fermo colpito dalle scosse, "apprezziamo i toni di Gentiloni" dice Ceroni "ma noi sindaci vogliamo essere consultati". Intanto, in un colloquio con Repubblica, risponde alle polemiche la funzionaria della prefettura che aveva ignorato l'allarme sulla valanga, la telefonata disperata di Quintino Marcella, definendola una "bufala" inventata da imbecilli. "Ci saranno modi e tempi per chiarire tutto. L'importante è avere la coscienza a posto, e io ce l'ho".

HOTEL RIGOPIANO, LA TRAGEDIA MINUTO PER MINUTO. I punti fermi di quella giornata maledetta, scrive il 24 Gennaio 2017 Alessandra Lotti su "Prima da Noi".

HOTEL RIGOPIANO, 6° GIORNO SPERANZE DIETRO UN MURO. 15 MORTI, 11 SALVI, 14 DISPERSI. Ore lunghissime, passate dai sopravvissuti ad aspettare aiuto, vissute con fatica e lavoro da parte dei soccorritori impegnati a fronteggiare condizioni meteo estreme, trascorse via via con maggiore apprensione da parte di chi aspettava notizie. E' la giornata che ha portato alla tragedia dell'hotel Rigopiano, iniziata con un altro dramma, un nuovo sciame sismico che per la quarta volta dal 24 agosto ha squassato l'Italia centrale.

ORE 5.00 – Esonda il fiume Pescara, segnale evidente di quella ondata di maltempo che ha colpito in modo particolare l'Abruzzo pescarese, con nevicate anche a bassa quota e pioggia che ha appesantito la neve caduta in abbondanza nelle ore precedenti.

18 GENNAIO 2017

ORE 9.00 – L’hotel Rigopiano scrive sulla propria pagina Facebook un post "Causa maltempo le linee telefoniche sono fuori servizio! Vi invitiamo a contattaci all'indirizzo info@hotelrigopiano.it".

ORE 10.25 - Prima scossa di terremoto, di magnitudo 5.3, con epicentro nell'aquilano. Scattano i soccorsi in tutto il centro Italia ma ci si accorge subito che il problema maggiore non sono i nuovi crolli, ma le condizioni meteo.

ORE 11-14 – Seconda forte scossa con epicentro, ancora una volta nell’aquilano. Magnitudo 5.4. La neve alta in molte zone, compreso il versante adriatico del Gran Sasso, impedisce di operare agli uomini della protezione civile, mentre continua a nevicare.

ORE 11.27 – Terza forte scossa. Magnitudo 5.3. Altro problema la mancanza di corrente, che disturba anche le comunicazioni.

ORE 13.00 – Alcuni clienti, tra i quali Stefano Feniello, chiamano a casa per informare i parenti che hanno già caricato le auto e pagato il conto perché torneranno a casa. Aspettano il passaggio dello spazzaneve. Sono tutti radunati nella hall.

ORE 13.30 – E’ questa l’ora precisa in cui il presidente della Provincia di Pescara, Antonio Di Marco, sostiene di aver scritto al Governo Gentiloni per ottenere nuovi mezzi spazzaneve.

ORE 13.57 – I clienti pranzano e il direttore dell’hotel Rigopiano, Bruno Di Tommaso che si trova a Pescara, invia una email alla polizia provinciale (che poi la inoltrerà al presidente della Provincia alle 15.44) nella quale si chiede l’intervento dello spazzaneve perché «la situazione è diventata preoccupante». In quel momento in contrada Rigopiano c’erano 2 metri di neve, i telefoni fuori uso, e i clienti «terrorizzati per le scosse» come scrive Di Tommaso sono disposti a trascorrere la notte in macchina. A quest’ora con le pale e il loro mezzo lo staff dell’hotel era riusciti a pulire il viale d'accesso, dal cancello fino alla Ss42.

ORE 14 - La sorella del proprietario Roberto Del Rosso incontra il presidente della Provincia, Antonio Di Marco, e viene rassicurata sul fatto che entro sera sarebbe andata una turbina a liberare la strada.

ORE 14.33 – Quarta forte scossa. Magnitudo 5.1.

ORE 15.00 - L'arrivo dello spazzaneve viene posticipato alle 19.00. I clienti si agitano. Stefano Feniello chiama alla mamma arrabbiato e racconta, come riferito dal padre: «non riusciamo a tornare a casa perché quei pezzi di merda che dovevano pulire non si sono degnati di arrivare».

ORE 15.44 - La Polizia Provinciale di Pescara inoltra alla Provincia l’email di aiuto firmata da Di Tommaso quasi 2 ore prima. Il presidente Di Marco la leggerà comunque il giorno seguente ritenendola superata perché dopo l’invio del direttore lui aveva avuto un colloquio diretto con la sorella del titolare.

ORE 17.08 - Parte la prima chiamata di Giampiero Parete dall'Hotel Rigopiano: viene agganciata da un operatore del 118 di Chieti, che chiede a Parete di attendere in linea, ma la linea cade immediatamente.

TRA LE 17.08 E LE 18.20 - Parete riesce a contattare il 113 e lancia l'allarme: in questo stesso arco di tempo Di Tommaso viene contattato per sapere se è vero che si è verificata una valanga. Ma lui non sa niente perché si trovava a Pescara.

ORE 17.40 - «E' caduto, è caduto l'albergo», è l'appello disperato di Giampiero Parete al telefonino con Quintino Marcella, suo datore di lavoro.

ORE 18.00 - Inizia ad arrivare l'allarme alle centrali operative: «C'è un hotel completamente isolato in una frazione di Penne». Marcella ha difficoltà a farsi credere, in particolare dalla prefettura di Pescara che due ore prima aveva ascoltato il direttore dell'albergo non riscontrando problemi.

ORE 19.00 - Le avanguardie dei soccorritori arrivano in contrada Cupoli a 11 km da Rigopiano. Ma la neve raggiunge già i due metri e i telefoni non prendono.

ORE 22.00 – La colonna dei mezzi imbocca l'ultimo tratto di strada: mancano 9 km all'hotel ma la salita si ferma.

ORE 23.00 - Ultimo contatto della notte di Giampiero Parete con Quintino Marcella. Lo richiama la mattina, una volta raggiunto dai soccorritori e messo sull'elicottero.

19 GENNAIO 2017

ORE 0.00 - Quattro uomini del soccorso alpino e della Guardia di Finanza partono con gli sci con le pelli di foca per raggiungere sotto la bufera di neve Rigopiano.

ORE 4.00 - Dopo avere letteralmente scalato muri di neve arrivano all'hotel e si rendono conto della situazione. Ma, intanto, salvano i due superstiti Fabio Salzetta e Giampiero Parete.

ORE 6.30 – E’ l'alba quando arrivano i primi elicotteri che portano a valle i due uomini: inizia la faticosa ricerca dei dispersi.

ORE 9.30 – Viene estratto il corpo della prima vittima. E’ Alessandro Giancaterino, dipendente dell’hotel.

ORE 12.00 - La colonna dei mezzi dei soccorsi arriva a poche centinaia di metri dall'albergo. Dopo 20 ore, facendo l'ultimo tratto a piedi, raggiungono il luogo del disastro.

ORE 15.00 – I primi soccorritori arrivati ritornano verso valle dopo aver ricevuto il cambio: «Non c'è più niente».

Hotel Rigopiano: chi sono le vittime e i dispersi della slavina. È salito a 15 il bilancio dei morti: 9 uomini e 6 donne. 14 le persone di cui non si hanno notizie. Compreso un giovane senegalese, scrive Ilaria Molinari il 24 gennaio 2017 su Panorama. Sono 6 giorni che la tragedia dell'Hotel Rigopiano, resort a 4 stelle di Farindola in provincia di Pescara sommerso sotto una slavina, tiene con il fiato sospeso l'intera Italia. Il lavoro instancabile dei Vigili del Fuoco e del Soccorso Alpino ha consentito finora di estrarre vive 9 persone (oltre alle 2 scampate alla slavina) e tre cuccioli di cane figli delle due mascotte della struttura, ma restano ancora 14 dispersi, tra turisti e personale. C'erano 40 persone nell'hotel Rigopiano quando la valanga, nel pomeriggio di mercoledì, ha investito la struttura: 28 ospiti, di cui 4 bambini, e 12 dipendenti, compreso il titolare Roberto Del Rosso e il rifugiato senegalese Faye Dane. E la tragedia c'è. È la tragedia del piccolo Edoardo, vivo, ma che ha perso sotto la neve i genitori Nadia e Sebastiano. È la tragedia di Gabriele e Alessandro, cameriere e capo dei camerieri dell'Hotel, morti nel luogo a cui dedicavano la maggior parte della loro giornata. È la tragedia di tutte le famiglie che ancora non sanno se i loro cari sono vivi o meno.

Le vittime. Sono 15 i corpi estratti senza vita dalla neve, 9 uomini e sei donne: quelli di Nadia Acconciamessa e di Sebastiano Di Carlo, madre e padre del piccolo Edoardo tratto in salvo, quello di Barbara Nobilio, 51 anni, di Loreto Aprutino (Pescara) in vacanza con il marito di cui non si hanno tracce. A queste tre vittime si aggiungono Gabriele D'Angelo, cameriere dell'hotel e Alessandro Giancaterino, capo dei camerieri e del bar dell'albergo. D'Angelo, volontario della locale Croce rossa, era conosciuto da diversi soccorritori presenti nel centro di coordinamento allestito al Palazzetto dello Sport di Penne.  Infine, 5 uomini e tre donne estratte morte il 23 e il 24 gennaio e ancora non identificate insieme al corpo di Linda Salzetta, l'estetista del Rigopiano e sorella di Fabio, il tuttofare dell'hotel. Linda "si doveva sposare il 5 maggio". Lo ha detto una parente della giovane dopo il funerale a Farindola di Alessandro Giancaterino, dello stesso paese di Linda. "Per guadagnarsi un pezzo di pane, guarda che fine che ha fatto", ha commentato la parente della ragazza morta.

I dispersi. Ancora 14 i dispersi tra cui il titolare della struttura Roberto Del Rosso. Tra loro ci sono Marco Vagnarelli e Paola Tomassini di Castignano (Ascoli Piceno) che si trovavano nella località abruzzese per una vacanza di due giorni e stavano per ripartire alla volta del Piceno. Vagnarelli è un dipendente dell'Ariston, mentre la compagna, originaria di Montalto Marche, lavora per la società Autogrill. Nessuna notizia anche di Stefano Feniello indicato come una delle persone che avevano dato segni di vita sotto le macerie, di Domenico Di Michelangelo, 41enne poliziotto, e dalla moglie Marina Serraiocco, entrambi di Osimo in vacanza con il figlio Samuel estratto vivo. Non si hanno notizie poi di Emanuele Bonifazi, 31 anni, di Pioraco, dipendente dell'hotel, e Marco Tanda, 25 anni, residente a Macerata. Era con la fidanzata abruzzese Jessica Tinari, anche lei dispersa. Tra i dispersi c'è anche un altro cittadino umbro: è Alessandro Riccetti, 33 anni, di Terni. Risulta dispersa anche una coppia di Castel Frentano (Chieti). Si tratta di Luciano Caporale, 54 anni, e la moglie, Silvana Angelucci, 46 anni, entrambi di professione parrucchieri. La coppia era giunta in hotel domenica pomeriggio per ripartire martedì sera ma, a seguito del peggioramento delle condizioni meteorologiche, ha deciso di trattenersi fino a mercoledì. I figli della coppia, unitamente ad altri famigliari, sono già in viaggio verso Penne al centro di coordinamento per avere notizie certe sulla sorte degli scomparsi.  All'appello manca anche un giovane senegalese, Faye Dame, che aveva da poco rinnovato il suo permesso di soggiorno presso gli uffici della Questura di Torino dove risulta residente. L'uomo, 42 anni, aveva ottenuto il rinnovo del permesso esibendo il contratto di lavoro con l'albergo. Incensurato, agli uffici della Questura risulta regolare in Italia dal 2009. 

Le testimonianze. "Sono salvo perchè ero andato a prendere una cosa in automobile" ha riferito ai medici Giampiero Parete, 38 anni, che ieri ha lanciato l'allarme per la valanga che ha travolto l'hotel. La moglie e i due figli di Parete sono sotto le macerie dell'albergo. "È arrivata la valanga - ha detto ancora ai sanitari il 38enne, ricoverato in Rianimazione - sono stato sommerso dalla neve, ma sono riuscito a uscire. L'auto non è stata sepolta e quindi ho atteso lì l'arrivo dei soccorsi". L'uomo residente a Montesilvano (Pescara), è cosciente ed è assistito dal personale della Rianimazione dell'ospedale di Pescara e dagli psicologi della Asl. È arrivato in stato di ipotermia, ma il quadro clinico non è preoccupante. È stato lui ieri a lanciare l'allarme al suo datore di lavoro. Poi la lunga attesa dell'arrivo dei soccorsi, insieme all'altro superstite. "Giampiero e tutti gli altri ospiti dell'albergo avevano pagato ed avevano raggiunto la hall, pronti per ripartire non appena sarebbe arrivato lo spazzaneve" ha raccontato poi Quintino Marcella, ristoratore. Gli avevano detto che sarebbe arrivato alle 15, ma l'arrivo è stato posticipato alle 19. Avevano preparato già le valigie, tutti i clienti volevano andare via". Così Quintino Marcella, ristoratore e datore di lavoro di Giampiero Parete, superstite della valanga sull'hotel Rigopiano. E' proprio al ristoratore che Parete ha lanciato l'allarme dopo la valanga.

I giornali stranieri. La tragedia segna l'apertura dei più importanti siti web di informazione del mondo: dalla Cnn alla Nbc News, dalla Bbc ad Al Jazeera, dal Telegraph al Guardian, da El Pais alla Vanguardia. I titoli rispecchiano l'ansia dei soccorritori: "Molti dispersi", scrive la Bbc, "si temono molti morti dopo che una valanga ha sepolto un hotel in seguito ad una scossa di terremoto", riferisce la Cnn. Con un taglio poco più basso la notizia è riportata anche dal Washington Post, che a sua volta titola su "decine di dispersi", così come il New York Times, il Wall Street Journal e Le Monde, mentre Le Figaro titola con "numerosi morti". La tragedia è riportata in homepage anche su Times of India, Russia Today, il Japan Times.

Rigopiano: allarme ignorato, spazzaneve in ritardo, mezzi senza gasolio, elicotteri fermi, le 4 falle dei soccorsi. Le istituzioni respingono però le accuse: situazione eccezionale, scrive Michael Pontrelli su Tiscali News il 19 gennaio 2017. La Procura di Pescara ha aperto una indagine per omicidio colposo sulla vicenda della valanga che ha travolto l’hotel Rigopiano a Farindola sul Gran Sasso. Le cose da chiarire sono tante in particolar modo sulla tempestività dei soccorsi. Secondo le prime ricostruzioni uno dei superstiti, Giampiero Parete, avrebbe raccontato che tutti i clienti erano pronti a lasciare l’hotel già dal primo pomeriggio perché in un primo momento era stato detto loro che lo spazzaneve sarebbe arrivato alle 15. L’arrivo è stato successivamente posticipato alle 19. Quattro ore di ritardo fatali dato che la prima notizia sull’avvenuta tragedia è stata data da Parete tramite sms ad un amico, Quintino Marcella, alle 17.40. Perché l’invio dello spazzaneve è stato ritardato? Seconda area grigia riguarda poi la tempestività della messa in moto della macchina dei soccorsi. "Quando ho dato l’allarme all’inizio non volevano credermi, la dirigente della prefettura di Pescara per due volte mi ha risposto che non era successo nulla" ha raccontato Quintino Marcella (come testimoniato dall'audio video di sopra). La partenza della carovana dei soccorsi è avvenuta intorno alle ore 20 come documentato dalla diretta dell'emittente televisiva locale Il Centro. Dal momento dell'invio dell’sms di allarme di Giampiero Parete a Quintino Marcella alla messa in moto dei soccorsi sono trascorse perciò oltre 2 ore. Si poteva fare più in fretta? I primi soccorritori sono giunti all’Hotel poco prima delle 4 e mezzo del mattino. Sulle operazioni hanno inciso le terribili condizioni meteorologiche. I mezzi di soccorso, comprese le ambulanze, diretti all'hotel Rigopiano sono rimasti bloccati a circa 9 chilometri dall'albergo. La neve caduta, almeno due metri, ha impedito loro di proseguire. I soccorritori hanno dovuto marciare per ore nella neve. Durante le operazioni non sono però mancati gli imprevisti. La prima colonna di soccorsi è rimasta bloccata per mancanza di gasolio e ha potuto riprendere grazie alla taniche di carburante trasportate a piedi dagli uomini della Protezione Civile. Questo rallentamento era evitabile? Secondo quanto appreso dall'Ansa l'ex base operativa degli elicotteri del Corpo Forestale dello Stato di Rieti, presso l'aeroporto Ciuffelli, nonostante l'emergenza risulta chiusa con ben tre elicotteri fermi. Il blocco, che si protrae da giorni, sarebbe dovuto al passaggio, dopo la riforma Madia, di uomini e mezzi della Forestale ai Carabinieri e ai Vigili del Fuoco. Durante l'emergenza sisma del 24 agosto la base e il suo personale avevano garantito l'operatività con decine di interventi di soccorso nelle zone terremotate, anche a supporto delle squadre del Soccorso Alpino. Sarebbe stato possibile superare gli impedimenti burocratici e far volare gli elicotteri? Altro aspetto poco chiaro che sarà sicuramente approfondito dalla magistratura riguarda l'allerta valanghe emesso giorni fa dal Meteomont, cioè il servizio nazionale prevenzione neve e valanghe, che indicava livello 4, il massimo è 5, di pericolo nella zona del Gran Sasso. Il rischio emesso è stato rispettato o valutato? C'erano le condizioni per far emettere dagli enti locali le ordinanze di evacuazione nelle zone a rischio? Gli uomini delle istituzioni hanno respinto qualsiasi accusa. “In azione uomini valorosi che hanno lavorato in condizioni al limite” ha affermato il numero uno della Protezione Civile Fabrizio Curcio. “Situazione eccezionale” gli ha fatto eco il ministro dei Trasporti Graziano Delrio. Per il premier Gentiloni si è creata una "tenaglia senza precedenti" tra terremoto e maltempo e “di fronte a questa morsa tutte le istituzione dello Stato si sono mobilitate". Ma il fronte istituzionale non è compatto. La presidente della Camera, Laura Boldrini ha definito “intollerabili le inefficienze e i ritardi sugli aiuti”. Anche l’ex capo della Protezione Civile Guido Bertolaso ha utilizzato parole dure riferendosi all’emergenza maltempo che imperversa nelle zone terremotate parlando di “Stato assente” e di "punto più basso" per la macchina dei soccorsi. Gli uomini che ieri hanno marciato tra muri di neve e un vento gelido per arrivare il prima possibile all'hotel Rigopiano sono degli eroi. Questo va detto senza se e senza ma. Purtroppo però l'eroismo dei singoli non basta se chi guida la macchina dei soccorsi non è efficiente al 100%. Sarà compito della magistratura fare chiarezza su quanto accaduto e dare una risposta ai dubbi che purtroppo rimangono nonostante le rassicurazioni dei vertici istituzionali. 

Soccorsi in ritardo. La scoperta imbarazzante: la verità sulla turbina rotta, scrive il 22 gennaio 2017 “Libero Quotidiano”. Sarà l'inchiesta della procura di Pescara a chiarire se la tragedia dell'hoterl Rigopiano poteva essere evitata e chi non ha fatto fino in fondo il proprio dovere. Nel giorno dei primi interrogatori e del sopralluogo dei magistrati sull'area del disastro, il procuratore Cristina Tedeschini concentra l'attenzione su chi aveva il compito di disporre l'evacuazione dell'albergo, dopo che era stata diramata l'allerta meteo, e chi poi doveva liberare le vie d'accesso. Nel mirino ci sono le comunicazioni partite dall'hotel nelle ore precedenti la slavina di mercoledì scorso, oltre che quelle partite dalla provincia verso Palazzo Chigi. Tra le attrezzatture a disposizione della provincia di Pescara è noto che ci fosse una sola turbina del 1988, oltre che un Unimog, un camioncino in grado di tagliare l'erba d'estate e spalare la neve d'inverno, nelle disponibilità dell'ente pescarese dal 2000. Questo mezzo però si è rotto lo scorso 7 gennaio e da allora nessuno avrebbe autorizzato la spesa, variabile tra i 10 mila e i 25 mila euro, per poterlo riparare, nonostante la neve fosse cominciata a cadere copiosa. Uno dei dettagli che i magistrati dovranno chiarire è il motivo per cui dopo le richieste d'aiuto siano passate diverse ore prima che i mezzi di soccorso si muovessero. L'allarme del cuoco di Rigopiano è partito alle 17.40, raccolto dal suo datore di lavoro, Quintino Marcello che a sua volta ha chiamato la Prefettura. Alle 18, quando ormai l'emergenza è conclamata, l'Anas riceve la richiesta di una turbina idonea, l'unica funzionante in zona, visto che quella della provincia è inutilizzabile. Quel mezzo però doveva fare gasolio e svolgere tutta una serie di adempimenti tecnici, quindi è arrivato sulla strada provinciale solo alle 19.30. Ha dovuto superare 28 km ostruiti da neve, detriti, rami sechi per raggiungere la destinazione 12 ore dopo.

L'inchiesta: una turbina rotta da 12 giorni e l'altra ferma nel parcheggio. I primi testimoni rivelano: nessun mezzo a Rigopiano e uno lasciato spento a Penne. L'ansia dei clienti dopo le scosse, la mail del direttore: "Sono terrorizzati, vogliono stare fuori", scrive il 22 gennaio 2017 “La Repubblica”. Nel giorno della valanga sull’Hotel Rigopiano, una turbina della Provincia di Pescara avrebbe dovuto ripulire la neve proprio nella zona del resort di Farindola. Ma è stato impossibile: quella turbina è rotta dal 6 gennaio scorso ed è ferma in un’officina. Un’altra turbina sarebbe stata pronta a intervenire già dal primo pomeriggio dello stesso mercoledì ma è rimasta ferma a Penne in attesa di ordini che non sono mai arrivati. Sembra una favola e, invece, lo hanno raccontato i primi testimoni chiamati dai carabinieri del Nucleo investigativo e dai forestali. L’inchiesta, per omicidio colposo plurimo e disastro colposo, punta dritta alla strada bloccata da un muro di neve. Quel muro che ha rallentato la corsa dei soccorsi. Turbina rotta e strada bloccata: la procura va a caccia dei responsabili. E presto potrebbero partire i primi avvisi di garanzia. Quello che è successo dopo le scosse di terremoto della mattina e prima della slavina (intorno alle 17) è scritto nella mail spedita dall’amministratore dell’albergo Bruno Di Tommaso alla Provincia, alla Prefettura, alla polizia provinciale e al Comune di Farindola intorno alle 13. La mail, sequestrata dagli investigatori, racconta la paura dei clienti: «I clienti sono terrorizzati dalle scosse sismiche e hanno deciso di restare all’aperto. Abbiamo cercato di fare il possibile per tranquillizzarli ma, non potendo ripartire a causa delle strade bloccate, sono disposti a trascorrere la notte in macchina. Con le pale e il nostro mezzo siamo riusciti a pulire il viale d’accesso, dal cancello fino alla ss 42». E poi, «chiediamo di predisporre un intervento al riguardo». I racconti dei testimoni dicono che la Provincia ha due turbine: una a Passo Lanciano e l’altra a Rigopiano. Ma la turbina di Farindola è rotta dal 6 gennaio scorso e la Provincia non avrebbe i soldi per aggiustarla: una cifra compresa tra 10 e 25 mila euro. E, dal 6 fino al 18 gennaio, giorno della tragedia, nessuno ha pensato di sostituire quel mezzo con un altro e lasciando scoperta la zona di Farindola. Nonostante l’allerta meteo della Protezione civile sulle forti nevicate in arrivo; nonostante l’allerta valanghe che a partire da lunedì scorso segnala un pericolo sempre crescente; nonostante le scosse di terremoto del 18 gennaio che a Farindola si sono sentite forti. Dodici giorni di niente, poi, la tragedia. Eppure, proprio nella mattinata di mercoledì, un’altra turbina, dell’Anas, ha spalato neve anche nell’area vestina, lungo la strada statale 81 a Penne che è di competenza dell’Anas. Poi, in attesa di indicazioni dalla Prefettura di Pescara, nel primo pomeriggio, la turbina è rimasta ferma nel parcheggio della casa cantoniera di Penne. Impossibile non notarla e così hanno riferito i testimoni agli inquirenti. Se fosse stata avvertita, la turbina dell’Anas avrebbe potuto pulire in tempo anche la strada per Rigopiano? Forse sì: secondo l’Anas, nella stessa giornata, la turbina ha lavorato anche a Guardiagrele, Bucchianico, Fara Filiorum Petri, Pianella e, infine, a Penne. Farindola dista da Penne 20 chilometri. Ieri mattina, il procuratore capo Cristina Tedeschini e il pm Andrea Papalia sono andati sul luogo della tragedia, accompagnati dal comandante del Nucleo investigativo dei carabinieri Massimiliano Di Pietro e dal tenente colonnello dei carabinieri forestali Annamaria Angelozzi. Una visita per studiare di persona l’albergo distrutto dalla slavina. «È una ferita grande per l’Abruzzo, questi sono morti nostri». Poi, la Tedeschini ha parlato del rischio valanghe e del conseguente disastro colposo: «Le valanghe sono cicliche: prima o poi ritornano. Ci sono luoghi dove le valanghe sono elemento costituente. Ecco perché bisogna capire cosa sia stato fatto al di là del semplice censimento del rischio, ossia: chi censisce i rischi e come li gestisce. Il solo censimento di un luogo a rischio valanga potrebbe non bastare». Il pm Papalia ha conferito al medico legale Ildo Polidoro l’incarico delle autopsie. 

Terremoto Centro Italia, sindaci del Teramano: “Lasciati soli, senza elettricità. Gli spazzaneve? Abbiamo dovuto noleggiarli”. Tanti Comuni abruzzesi sono senza energia elettrica e con i cittadini bloccati dalla neve alta 3 metri. "Impreparazione imbarazzante nel coordinare i lavori. La nevicata era prevista, mica come il terremoto", dice il primo cittadino di Valle Castellana. A Prati di Tivo un assessore ha accolto tutti gli abitanti del paese nel suo hotel. La turbina che dovrebbe liberarli è ferma a Pietracamela. Antonio Paride Ciotti, che amministra Villa Santa Lucia: "Case a rischio slavina", scrive Valerio Valentini il 21 gennaio 2017 "Il Fatto Quotidiano". “Rigopiano è senz’altro la tragedia peggiore. Ma non è sola”. Tra le poche cose che Giuseppe Del Papa, il sindaco di Cellino Attanasio, riesce a dire, prima che la comunicazione s’interrompa, c’è questa. La linea è molto disturbata: c’è tempo solo per comunicare le informazioni più importanti. Ed evidentemente, per il primo cittadino di questo piccolo Comune del Teramano, rivendicare l’attenzione dei media è una priorità: “Non possiamo permettere che un solo evento, per quanto impressionante, oscuri la sofferenza di altre migliaia di persone”.

Non c’è solo Rigopiano. Parlando con i cittadini e gli amministratori di tanti Comuni abruzzesi arroccati tutt’intorno al massiccio del Gran Sasso, sui versanti aquilano e teramano, ce lo si sente ripetere decine di volte. “Raccontate anche i nostri drammi”. Storie di paesi e frazioni isolate, di strade sommerse dalla neve, di attese e di rabbia per aiuti che sembrano non giungere mai, o che quando finalmente arrivano si presentano sotto la forma di mezzi vecchi e inadeguati, ruspe che non servono o turbine che s’inceppano dopo pochi minuti di lavoro. Drammi che piccoli lo sono soltanto se si fa riferimento alla dimensione dei paesini che li vivono; storie periferiche solo perché i nomi di certi Comuni – Cermignano, Pietracamela, Capitignano – suonano così strani, quasi esotici. Ma l’emergenza che queste comunità stanno affrontando è reale: terremoto e maltempo hanno condannato all’isolamento e al buio, per giorni, un numero impensabile di cittadini dell’entroterra abruzzese. E se nel nord della provincia dell’Aquila, nei pressi dell’epicentro delle scosse del 18 gennaio, la situazione va lentamente migliorando, alle pendici dei Monti della Laga, ai confini con le Marche, e un po’ dovunque nella Val Vomano le testimonianze che si raccolgono sono preoccupanti. “L’emergenza è grave, e le forze in campo per risolverla insufficienti”, ammette chi è impegnato in queste ore nella sala operativa allestita dalla Prefettura di Teramo. “Inutile girarci intorno. Se si evita di fare polemica, è solo per calcoli politici: molti sindaci, e magari anche qualche alto dirigente della Provincia, non se la sentono di sparare contro il proprio stesso partito”.

Valle Castellana. L’intero paese isolato con una bimba malata. Il sindaco: “Ieri ho sbroccato con la Protezione civile, ma non è servito” – Era già stato duramente colpito dai terremoti del 24 agosto e del 20 ottobre scorsi, questo Comune teramano di meno di mille abitanti a una manciata di chilometri dal confine marchigiano. “Ma la tragedia, stavolta, è anche peggiore”, dice al telefono un residente di Valle Castellana, prima che la telefonata s’interrompa. Da lunedì 16 gennaio, gli abitanti del paese sono tagliati fuori dal mondo, privi di energia elettrica e bloccati da cumuli di neve alti fino a 3 metri, nelle frazioni più montagnose. Come Pietralata, dove una bimba soffre da giorni, pare, di febbre altissima. Pare, perché le notizie sono frammentate: riuscire a parlare con chi si trova lì è praticamente impossibile. A risponde subito, al telefono, è invece il sindaco, Vincenzo Esposito, che è a Teramo per richiedere l’intervento dell’Esercito e della Protezione civile. Ed è furioso: “Ieri ho sbroccato durante una riunione qui alla sala operativa. C’è una impreparazione imbarazzante nel coordinare i lavori. Le attese sono enormi, e la nevicata era abbondantemente prevista: mica come il terremoto”. Il tutto aumenta la frustrazione. “Ricevo telefonate dei miei concittadini che mi rivolgono preghiere, lacrime, insulti. Non ce la faccio più”. Solo nella serata di venerdì, tramite un elicottero dell’esercito, sono stati portati i primi medicinali ai residenti di Pietralta e Valle Castellana. Ma per aprire una via d’accesso, e di fuga, ci servirà ancora tempo. I tecnici dell’Enel parlano di lavori che procedono a rilento anche per il rischio continuo di slavine e valanghe. Da Trento sono arrivate delle turbine: ma sulla strada da Ascoli a Valle Castellana hanno subìto dei guasti e sono state costrette a fermarsi.

Prati di Tivo. L’assessore accoglie tutti nel suo albergo: “Siamo 23, tra cui un cardiopatico. Siamo salvi, ma c’è il rischio di slavine” – Mirko De Luca è l’assessore al Turismo di Pietracamela, borgo montano di 271 abitanti: il comune più piccolo della provincia di Teramo. Ma Mirko De Luca è anche il gestore di un hotel che si trova nella frazione di Prati di Tivo, a due passi dagli impianti sciistici. È in questo hotel che De Luca ha accolto tutti gli abitanti del paese: “Con il nostro gatto delle nevi siamo andati a recuperare casa per casa, residence per residence, tutte le 23 persone che ora stanno qui da noi. Da più di 5 giorni, con 4 metri di neve e le minime che sfiorano i meno 10. Per fortuna siamo riusciti a far partire il generatore elettrico del mio albergo, e ora attendiamo i soccorsi”. Che però tardano ad arrivare. “Venerdì mattina siamo stati raggiunti da un elicottero dei Vigili del Fuoco: ne sono scesi 4 pompieri per verificare quale fosse la nostra condizione. Ci sarebbe poi una turbina, che però è ferma a Pietracamela e, ci dicono, dovrà lavorare almeno per 20 ore, salvo imprevisti, per venirci a liberare”. Prima del tardo pomeriggio di sabato, dunque, inutile sperare. “Tra noi c’è anche un cardiopatico: non accusa gravi problemi, per ora, ma comunque non stiamo tranquilli. E poi c’è l’altro rischio”. Quale? “Quello delle slavine. Nelle scorse ore se ne è già staccata una molto grande, che fortunatamente non ha investito il centro abitato. Ma altre potrebbero verificarsene. La situazione è molto difficile”.

Isola del Gran Sasso, dove l’isolamento è totale. “Un anziano è morto sotto un capannone. Strutture d’emergenza allertare in ritardo” – Se negli altri Comuni sommersi dalla neve un contatto, benché a fatica, lo riesce a stabilire, con Isola del Gran Sasso – 5mila abitanti e il santuario di San Gabriele come centro di gravità – non sembra proprio possibile. Neppure per la stessa Prefettura di Teramo. “Il sindaco? Neanche noi riusciamo a comunicarci in modo stabile. Sono saltati i ponti radio. Non funzionano né i fissi né i mobili”. Soltanto nella mattinata di sabato una residente, che a Isola gestisce un ristorante, riesce a rispondere via WahtsApp: “La situazione è drastica. Un uomo anziano è morto sotto un capannone. Intere frazioni sono del tutto isolate. Le linee telefoniche sono saltate. Vediamo arrivare solo adesso i primi soccorsi, grazie all’Esercito”. Dopo 6 giorni dall’inizio dell’emergenza. Come se lo spiegano, a Isola del Gran Sasso, questo ritardo? “Le nevicate sono state oggettivamente straordinarie. Ma qui erano previste. Le strutture dei soccorsi sono state allertare in ritardo”. Il cellulare del primo cittadino Roberto De Marco, nel frattempo, continua a risultare irraggiungibile. Ma tutto ciò non vale solo per i giornalisti. Roberto è un universitario nato e cresciuto a Isola che ora studia a Bologna: “E’ da giorni che va avanti così. Provo ad avere notizie dei miei famigliari, ma non riesco a parlarci a telefono”. La ricerca di amici e parenti corre allora su Facebook, su pagine collettive dove si chiede conto di una cugina, di una amica invalida, di una zia ultranovantenne, dove s’invoca l’intervento di un medico. Si organizzano perfino delle staffette: “Per favore, ogni due ore qualcuno si rechi nella stazione dei Carabinieri a riportare ciò che ci diciamo online, perché lì sono senza telefono e senza internet”.

Cellino Attansaio e Cermignano. “Siamo abbandonati a noi stessi. Proviamo a sbrigarcela da soli” – Quando scopre che a contattarlo è un sito web, il sindaco di Cermignano non trattiene un urlo di sollievo: “Finalmente! Ma allora esiste qualcuno che s’interessa di noi!”. È un sollievo amaro, però, quello di Santino Di Valerio, che subito si corrompe in protesta: “Siamo stati abbandonati da tutti. C’è un’incapacità a tutti i livelli: non capiscono il dramma che stiamo vivendo. Gli aiuti arrivano in ritardo, e calati dall’alto. Il risultato è che l’emergenza viene gestita da persone che qui non hanno mai messo piede”. Cermignano è un Comune di circa 1.700 abitanti a metà strada tra Teramo e Atri. L’isolamento in cui si trova da domenica notte è lo stesso che patisce, pochi chilometri più a est, Cellino Attanasio. Il primo cittadino, Giuseppe Del Papa, al telefono sfoga una rabbia che è quasi desolazione: “Ma che Italia è questa? Non sappiamo più nemmeno affrontare una nevicata a gennaio che, per quanto straordinaria, era comunque ampiamente prevista? Riceviamo aiuti col contagocce, senza un minimo di coordinamento e per giunta attraverso macchinari obsoleti”. A Cellino una turbina è arrivata, infatti, ma si è rotta dopo pochi minuti di attività. “Era vecchissima”, sentenzia Del Papa, che prosegue: “Ci sentiamo lasciati soli. Alla fine abbiamo provveduto in proprio: abbiamo noleggiato da ditte private dei mezzi spalaneve. Ma aprire così le vie nel centro storico sarà difficilissimo. E nel frattempo, da ormai quasi una settimana, restiamo senza energia elettrica”. Chi può, da questi paesi scappa, nell’attesa che si superi la crisi. Come Cesare, che venerdì mattina è riuscito a raggiungere la Statale e ha portato i suoi genitori sulla costa: “Ma io sono fortunato, perché abito vicino alla strada principale. Chi sta nelle frazioni interne, è condannato a restare”.

Villa Santa Lucia, a pochi chilometri da Farindola. “Una slavina minaccia il centro abitato” – “Magari la valanga non investirà le case: ma preferisco lanciare un allarme di troppo piuttosto che correre il rischio di dover contare i morti”. Antonio Paride Ciotti, sindaco di Villa Santa Lucia, risponde così quando gli si chiede se davvero il suo Comune possa essere travolto dalla slavina staccatasi da Monte Cappucciata. E del resto Rigopiano è a pochi chilometri di distanza, impossibile non fare paragoni. Anche se qui siamo in provincia dell’Aquila, non lontani dalla Rocca di Calascio, set di molti film e pubblicità. “Per il momento la slavina è a distanza dalle case. Ma per precauzione ha chiesto una verifica alle forze dell’ordine. Monitoriamo l’evolversi della situazione”. Gli abitanti di Villa Santa Lucia, poco più di cento, da giovedì hanno ritrovato anche la corrente elettrica, grazie a dei gruppi elettrogeni. Una delle strade che porta a paese è ormai sgombra: “Si va verso il meglio, speriamo”.

Capitignano e Campotosto: “Non più isolati, ma le scosse non si fermano. Situazione difficilissima” – Sull’altro versante del massiccio del Gran Sasso c’è l’epicentro del terremoto del 18 gennaio. Montereale è rimasto bloccato per quasi 2 giorni, la strada che saliva dall’Aquila era bloccata all’altezza di Arischia. Ancor più grave, però la situazione a Campotosto, Comune di 540 abitanti sparsi nelle varie frazioni tutt’intorno all’omonimo lago: a 1.400 metri d’altitudine. La vicesindaco Gaetana D’Alessio mercoledì aveva protestato: “Sentiamo scosse in continuazione, ma siamo impossibilitati a uscire: siamo bloccati dentro casa, come i topi”. Due giorni dopo appare più serena. Quando risponde al telefono sono le 18 di venerdì: la strada Provinciale da Aringo ormai è percorribile, la Statale 80 quasi. Solo la via verso la frazione di Mascioni rimane in parte non accessibile. Roberto, che lì ha la sua seconda casa, è arrivato dall’Aquila per recuperare alcune cose all’interno: “Non mi è stato permesso. Ma spero che tutto si sblocchi entro il fine settimana”. D’Alessio precisa: “I ritardi sono stati tanti e gravi. Ma c’è da dire che l’emergenza era davvero estesa. La cosa più pesante da sopportare, ora, è il prolungarsi dello sciame sismico. La situazione, pure dal punto di vista psicologico, è difficilissima”.

Anche a Capitignano, nel fondovalle tra Campotosto e Montereale, è ormai la paura il nemico peggiore. Le vie d’accesso al paese sono state aperte, agli sfollati sono stati assegnati degli alloggi nei progetti C.A.S.E. dell’Aquila: quelli costruiti dopo il terremoto del 2009, e ora in parte vuoti. “Il disagio c’è, ma è sempre meglio che restare in un palazzetto dello sport ammassati tutti insieme”, confessano i residenti. Luigi, uno di loro, mentre è in fila per fare richiesta di un alloggio, precisa: “Per le perizie e i controlli alle strutture ci sarà tempo. Ora pensiamo a smaltire il ricordo di quello che abbiamo vissuto pochi giorni fa: sentire le mura della propria casa tremare sotto i colpi del terremoto e sapere di non poter scappare perché fuori dal portone ci sono cumuli di neve, non è bello. Ma tutto si supera”.

Rigopiano, la rabbia del papà di Stefano: ​"Se è morto faccio una strage". Dopo la disgrazia dell'hotel di Rigopiano, la rabbia dei familiari per le mancate comunicazioni e le lamentele per la gestione dell'emergenza, scrive Claudio Cartaldo, Martedì 24/01/2017, su "Il Giornale". Non si dà pace Alessio Feniello, il papà di Stefano, 28enne ancora disperso sotto la valanga dell'hotel di Rigopiano. Già ieri, dopo aver parlato con Francesca Bronzi, la fidanzata di suo figlio, aveva esternato tutta la sua rabbia per la gestione dell'emergenza. "I morti sono stati uccisi", ha urlato ai microfoni dei giornalisti, mettendo in stato di accusa chi non era riuscito a salvare i morti e i dispersi. La fidanzata di suo figlio, infatti, gli ha spiegato di essere stata a fianco del ragazzo per molto tempo e di averlo illuminato con una torcia del cellulare finché ha retto la batteria. A far scattare la rabbia di Alessio Feniello è stato un errore della Protezione Civile nel comunicare l'elenco dei superstiti. Stefano sarebbe finito nella lista dei miracolati per errore, quando invece ancora lottava tra la vita e la morte sotto la coltre di neve. Alessio ora parla di "arroganza e prepotenza" delle Istituzioni. "È arrivato il prefetto, insieme al presidente della Regione Abruzzo e del Questore, che con arroganza ci ha detto: 'È vero solo ciò che vi diciamo noi, tutto il resto sono cazzate", racconta. Il prefetto ha fatto i nomi dei superstiti, inserendo anche quello di Stefano. Ma il giorno successivo, all'arrivo delle ambulanze, nessuna di queste trasportava Stefano. Perché in realtà non era tra i superstiti. "Hanno agito con arroganza e senza umanità verso un padre che ha il figlio sotto le macerie", urla il papà. Poi aggiunge: "Mi aspettavo che qualcuno mi dicesse che si era trattato di un errore". Da tre giorni i familiari dei dispersi e dei defunti attendono comunicazioni ufficiali. Vorrebbero sapere se i loro cari sono vivi, se ci sono speranze o se tutto è ormai perduto. "Quelli che sono morti sono stati uccisi e quelli che ancora non trovano sono stati sequestrati contro la propria volontà, perché volevano ripartire e avevano già fatto le valigie. Li hanno messi tutti nella sala camino come carne da macello - incalza - la responsabilità è delle autorità", aveva detto ieri il papà di Stefano. Ma ora, come riporta il Messaggero, affonda: "Se mio figlio è morto faccio una strage".

Strage Hotel Rigopiano, il papà di Stefano: «andrò avanti all’infinito per avere giustizia». «A chi devo dire grazie Al presidente di regione? Al prefetto? Al direttore dell’hotel?», scrive il 26 Gennaio 2017 "Prima da Noi". Identificato anche Stefano Feniello, il giovane inserito nella lista dei vivi. Il dramma doppio dei Feniello: «mio figlio sotto le macerie, nessuno è sceso a recuperarlo». «Perché nessuno si è attivato per tempo e li ha liberati? Perché lassù non c’era il figlio del prefetto, non c’era il figlio di un magistrato, non c’era il figlio del senatore. C’era solo la povera gente che si faceva una vacanza con i risparmi guadagnati con i sacrifici». Alessio Feniello, papà di Stefano, tra le vittime già estratte da quello che resta dell’hotel Rigopiano, è tornato nuovamente a gridare la sua rabbia per quello che è accaduto a Farindola. Dopo la tragica beffa dei giorni scorsi, quando la prefettura gli ha annunciato per errore che il figlio era vivo, adesso chiede con tutta la voce che ha in corpo che venga fuori la verità. E ha fatto una promessa: «andrò avanti all’infinito, mi venderò tutte le proprietà che ho se serve. Non voglio soldi, voglio solo giustizia, voglio che in Italia non accada più quello che è successo lì sopra». Secondo Feniello le responsabilità sono molteplici, non solo da parte delle istituzioni ma anche dei gestori dell’hotel perché «un 4 stelle deve avere un gatto delle nevi, deve avere un trattore, anche quello dei contadini. Non esiste che si fa ridurre quella strada in quello stato. Se l’Abruzzo non è in grado di gestire questa situazione deve chiudere gli alberghi». Papà Feniello è stremato. Ormai da una settimana vive nell’ospedale di Pescara. Così anche ieri quando il corpo di suo figlio è stato trasportato a Chieti per l’autopsia. Le sale del nosocomio di Pescara sono infatti impraticabile perché in ristrutturazione e quindi è stato necessario il trasferimento. La mamma non affronta le tv ma ieri ha voluto incontrare i vigili del fuoco perché ha voluto sapere come sono andate veramente le cose, se il suo Stefano ha sofferto. «Ho al polso l’orologio di mio figlio e il suo braccialetto. Al collo ho la sua catenina. Questo è tutto quello che mi è rimasto di lui. Chi devo ringraziare? Grazie a Bruno, il direttore dell'hotel? Grazie al presidente della Regione? Grazie al prefetto?» Feniello vuole verità e giustizia e si domanda chi dovesse intervenire prima della tragedia a recuperare quelle persone lassù in montagna: «chi sono i responsabili? Chi deve evitare che accada questo nel 2017? Di chi è la responsabilità? Non dovevano farli salire. Mio figlio prima di partire ha mandato una mail all'hotel che gli ha risposto di non preoccuparsi perchè garantivano il servizio. Al cantante del Volo, Gianluca Ginoble, invece, lo stesso giorno l'hotel ha mandato un messaggio in cui si diceva di non andare. E' una vergogna. Il sindaco ha chiuso le scuole per la neve, ma non ha chiuso l'hotel. Perche'?». Alessio Feniello poi ha parlato di «un prefetto che mi viene ad annunciare la sera che tra i cinque nomi dei superstiti c'è anche quello di mio figlio e che fino alla sera del giorno dopo non ha avuto la dignità e il coraggio di venirmi a dire 'ci siamo sbagliati'. Gli ho chiesto informazioni e mi ha risposto con arroganza, mi ha liquidato come uno straccio. Che persone sono queste? A chi paghiamo lo stipendio? A delle persone disumane». Feniello se la prende anche con il sindaco di Farindola che ha incontrato la mattina del 19 gennaio quando è arrivato a 50 metri dall’hotel insieme alla carovana dei soccorsi: «mi ha detto ‘siamo abituati a questa cosa. In caso di emergenza mandiamo i viveri su’. Ma quali viveri… si doveva preoccupare di liberare quelle persone. Ora qualcuno dovrà pagare, non voglio soldi, voglio solo giustizia».

L'ira dei parenti in lacrime «Morti? Ce li hanno uccisi» I pm: «Ritardi da valutare». A Rigopiano estratto il corpo della settima vittima La Procura indaga per omicidio e disastro colposo, scrive Stefano Zurlo, Martedì 24/01/2017, su "Il Giornale". Ora la cronaca lascia il posto all'inchiesta. E al corredo di polemiche che la tragedia si porta puntualmente dietro, come tutti i disastri italiani. Certo, si scava ancora fra le rovine del Rigopiano ma la fiammella è quasi spenta. E la contabilità del dolore si muove appena: dopo il ritrovamento vicino alla zona cucina di una donna, i morti ufficiali non sono più 6 ma 7 e di conseguenza calano i dispersi, termine sempre più logoro, scesi a 22. Undici i sopravvissuti. Dunque, in primo piano c'è l'indagine, alimentata a sua volta da retroscena, rivelazioni, persino dagli sfoghi dei parenti delle vittime. Alessio Feniello, il papà di Stefano che per qualche ora era stato dato per vivo e invece è svanito nelle viscere dell'hotel, è durissimo: «Quelli che sono morti sono stati uccisi. Sì, li hanno sequestrati contro il loro volere perché volevano rientrare. Li hanno sequestrati. Avevano le valigie pronte. Li hanno riuniti tutti vicino al caminetto come carne da macello». Gli ospiti, questo ormai è assodato, attendevano con ansia l'arrivo dello spazzaneve che avrebbe dovuto liberare la strada. Tutti, dopo le ripetute scosse, volevano andarsene al più presto ma, fra ritardi e difficoltà, il mezzo tanto atteso non è mai arrivato. O meglio, è stato anticipato dall'immane valanga che nel pomeriggio di mercoledì si è abbattuta sulla struttura, travolgendola. E ora il padre attende una parola definitiva sul destino del figlio. La fidanzata di Stefano, Francesca Bronzi, si è salvata e dall'ospedale di Pescara sembra cancellare anche quell'ultimo dubbio: «Con la luce del telefonino, finché la batteria ha retto, ho illuminato il braccio di Stefano. Si lamentava, lo chiamavo ma non rispondeva. Poi non l'ho sentito neanche più lamentarsi». Comprensibile che il genitore, illuso per qualche ora dalle autorità su un probabile lieto fine, erutti tutta la tensione accumulata. E si chieda come mai l'hotel non sia stato «liberato» in tempo dall'assedio del ghiaccio. Anche la mail spedita alle 7 del mattino dal direttore dell'albergo Bruno Di Tommaso a un nugolo di autorità accende gli animi con la sottolineatura di una «situazione preoccupante» e la richiesta di un «intervento urgente». La procura, che procede per omicidio colposo plurimo e disastro colposo, valuta tutti gli elementi ma frena nel tirare conclusioni che sarebbero premature. In particolare sul versante delle comunicazioni e dell'avvio delle ricerche nella serata di mercoledì: «Ci sono state inefficienze e interferenze - spiega il procuratore aggiunto Cristina Tedeschini - sono però da valutare gli effetti di eventuali ritardi». Il riferimento è alle telefonate fatte a ripetizione da Quintino Marcella al 118 senza però essere creduto. «Che ci sia stata - aggiunge Tedeschini - una serie di disfunzioni e magari di ritardi da parte della sala operativa nel recepire l'importanza di una segnalazione da parte di un soggetto non istituzionale è un fatto registrato. Che questo possa aver avuto una qualunque conseguenza causale sull'efficacia dell'azione di soccorso, è da vedere». Si studia il dossier senza clamori. Senza teoremi. E si aprono nuovi capitoli. Secondo la denuncia di Forum H2O Abruzzo l'hotel è stato realizzato su accumuli di detriti e precedenti valanghe. Insomma, sarebbe marchiato da un peccato originale gravissimo. D'altra parte, in un clima che a posteriori pare di incoscienza collettiva, si scopre che la mappa del rischio valanghe, prevista dalla legge del 1992, non è stata completata. Vale per l'Abruzzo come per molte altre Regioni. Ora, solo ora, tutti i nodi vengono al pettine.

Rigopiano, l’email con l’Sos ignorata dell’hotel: “I clienti sono terrorizzati, intervenite”. Il 18 gennaio, dopo le forte scosse di terremoto e poche ore prima della terribile valanga, Bruno Di Tommaso, amministratore unico e direttore dell'hotel Rigopiano, aveva inviato una mail al Prefetto di Pescara, alla polizia provinciale, al presidente della provincia ed al sindaco di Farindola, con cui si richiedeva assistenza immediata ed un intervento urgente, scrive Andrea Antinori il 23 gennaio 2017 su "Bergamo News". Il 18 gennaio, dopo le forte scosse di terremoto e poche ore prima della terribile valanga, Bruno Di Tommaso, amministratore unico e direttore dell‘hotel Rigopiano, aveva inviato una mail al Prefetto di Pescara, alla polizia provinciale, al presidente della provincia ed al sindaco di Farindola, con cui si richiedeva assistenza immediata ed un intervento urgente. “La situazione è diventata preoccupante” si legge, ed ancora: “Abbiamo cercato di fare il possibile per tranquillizzare i clienti, ma, non potendo ripartire a causa delle strade bloccate, sono disposti a trascorrere la notte in macchina. Con le pale e il nostro mezzo siamo riusciti a pulire il viale d’accesso, dal cancello fino all ss 42”. E inoltre “chiediamo di predisporre un intervento al riguardo”. Il presidente della Provincia Di Marco ha letto l’email dell’hotel Rigopiano il giorno successivo, giovedì 19 Gennaio. “Nessuno l’ha sottovalutata – dice Di Marco – io alle 14 avevo incontrato la sorella del proprietario ed avevo dato loro rassicurazioni che entro la serata sarebbe arrivata una turbina a liberare le strade. Ai fini dell’emergenza avevo già spedito una lettera al Governo nella quale chiedevo aiuto e mezzi per liberare anche quelle zone. Per me è una mail ininfluente: non ci siamo mai fermati”. La Provincia di Pescara, tuttavia, sapeva che Rigopiano era isolata, che gli spazzaneve non sarebbero potuti arrivare all’hotel e che per raggiungerlo sarebbe servita una turbina già la mattina del 18 Gennaio, grazie alle segnalazioni da parte degli operatori degli spazzaneve, intenti a pulire già alle 3 di notte e che, bloccati dalla troppa neve, si erano dovuti fermare ad un bivio che porta all’albergo. A quel punto è scattata la ricerca di una turbina, rintracciata alle 13 nell’Aquilano, ma alla quale sarebbero occorse ore per giungere nel Pescarese. A tal proposito, Di Marco afferma: “La turbina dell’Anas di Penne, che ha poi materialmente liberato la strada per Rigopiano nella notte, nel pomeriggio non era ferma ma stava ripulendo la ss 81.” Queste informazioni sono entrate nel fascisolo dell’inchiesta condotta dalla Procura di Pescara per disastro ed omicidio colposo plurimo. Intanto a Rigopiano continua incessantemente la corsa contro il tempo delle operazioni di ricerca, nonostante la nebbia e la pioggia che indurisce la neve. Il conto dei dispersi, nonostante l’accertamento della sesta vittima (si tratta di un uomo), è rimasto fermo a ventitrè: si è aggiunto, infatti, Faye Dame, senegalese regolare di 30 anni che lavorava nell’hotel.

Rigopiano, la prima drammatica telefonata del superstite al 118: “L’hotel non c’è più”. Giampiero Parete, il cuoco sopravvissuto alla tragedia del Rigopiano perché al momento della valanga si trovava fuori dall’hotel, è stato il primo a lanciare l’allarme. Al telefono ha detto che c’era stata una valanga, ma i soccorsi sono partiti solo ore dopo, scrive il 26 gennaio 2017 Susanna Picone su "Fanpage". La prima volta che Giampiero Parete, il cuoco sopravvissuto alla valanga sull’Hotel Rigopiano perché al momento del dramma si trovava fuori dalla struttura, è riuscito a mettersi in contatto con il 118 erano le 17.08 del 18 gennaio. Ma solo circa due ore dopo, alle 19.01, la macchina dei soccorsi ha capito che nella località abruzzese era successo qualcosa di grave. Lo si evince dai tabulati telefonici e dalle testimonianza rese agli inquirenti. A quell’ora, infatti, Parete riesce a parlare per la seconda volta con il 118. Nella prima di quelle drammatiche telefonate si sente Parete tentare di spiegare quanto appena accaduto a Farindola. La telefonata, agganciata dal 118 di Chieti, viene subito girata ai colleghi di Pescara. “Cosa è successo all’Hotel Rigopiano?”, chiede l’operatrice del 118 al superstite, che risponde: “C’è stata una bufera, l’hotel non c’è più, non c’è più niente. Ci sono dei dispersi, c’è stata una grossa valanga”, tenta di spiegare Parete che comunica di trovarsi insieme a un'altra persona. “È crollato l’hotel?”, chiede il 118, “è crollato tutto”, risponde il cuoco. “Per quello che può tenga il telefono libero”, si sente rispondere dal 118. Dopo la prima telefonata la Prefettura parte con le verifiche e cerca di ricontattare il cuoco ma non ci riesce, e a quel punto chiama al numero fisso dell'albergo che ovviamente non risponde perché sotto la valanga. Si cerca di allertare l'elicottero della Guardia Costiera, che però non può volare a causa del maltempo. Alle 17.40 la Prefettura riesce a contattare il direttore dell'albergo Bruno Di Tommaso che “depista” la sala operativa spiegando di aver “chattato mo' con l'albergo”, e che non gli risultava nulla di grave. Però il contatto risale almeno a un’ora prima ed è questo secondo gli inquirenti che dà vita al primo grave “equivoco” della vicenda. La sala operativa si convince che si tratta di un falso allarme. Alle 18.03 Parete riesce a mettersi in contatto con il suo amico Marcella il quale continua a chiamare 112 e 113. Ma anche questa seconda segnalazione viene considerata un falso allarme. Quando l’uomo alle 18.20 richiama gli viene risposto che è già stato tutto verificato. Poi arriva la telefonata di Parete alle 19.01. Giampiero Parete è stato poi salvato dai soccorritori arrivati con gli sci all’alba del 19 gennaio insieme all’altro superstite che come lui era fuori dall’albergo al momento della slavina, Fabio Salzetta. Il cuoco era in vacanza insieme alla moglie Adriana e i due figli Gianfilippo, di 8 anni, e Ludovica, 6 anni. Dopo oltre 40 ore di attesa l’uomo ha potuto riabbracciare tutti i suoi cari, che risultano tra gli undici sopravvissuti dell’hotel. Ventinove, invece, le vittime del dramma.

"Slavina? Inventata da imbecilli" Così è stato ignorato l'allarme. La telefonata tra Marcella e l'operatrice: "Questa storia gira da stamattina, non è successo nulla". Poi una serie di equivoci, scrive Franco Grilli, martedì 24/01/2017, su "Il Giornale". Non sono bastate quelle parole chiare al telefono che davano l'allarme per mettere in moto immediatamente la macchina dei soccorsi. Emerge adesso la trascrizione della telefonata tra il ristoratore, Quintino Marcella che per primo ha chiamato l'operatrice della Protezione Civile. Ecco la chiamata al 112. La telefonata chiave è quella di mercoledì 18 gennaio alle 18:20. "Sono Marcella di cognome, Quintino di nome", esordisce il ristoratore che aveva ricevuto un messaggio vocale da un amico che si trovava a Rigopiano.

Marcella: "Mi sente?"

Funzionaria: "Sì che la sento".

M: "Sono Marcella di cognome, Quintino di nome. Il mio cuoco mi ha contattato su WhatsApp cinque minuti fa, l'albergo di Rigopiano è crollato, non c'è più niente... Lui sta lì con la moglie, i bimbi piccoli... intervenite, andate lassù".

F: "Questa storia gira da stamattina. I vigili del fuoco hanno fatto le verifiche a Rigopiano, è crollata la stalla di Martinelli".

M: "No, no! Il mio cuoco mi ha contattato su WhatsApp 5 minuti fa, ha i bimbi là sotto... sta piangendo, è in macchina... lui è uno serio, per favore".

F: "Senta, non ce l'ha il suo numero? Mi lasci il numero di telefono (...). Ma è da stamattina che circola questa storia, ci risulta che solo la stalla è crollata. Che le devo dire?".

In questo scambio di frasi si consuma l'equivoco fatale: nella mattinata una scossa aveva fatto crollare il tetto di una stalla di un allevatore nei pressi di Farindola. L'operatrice quando sente la parola Rigopiano, come sottolinea Repubblica, pensa immediatamente alla stalla ed esclude l'ipotesi che ci sia qualche problema all'hotel. Così da questo momento in poi Marcella prova a far ragionare l'operatrice:

F: "Come si chiama quel cuoco?".

M: "Giampiero Pareti. È quello della pizzeria, è il figlio di Gino...".

F: "Sì, lo conosco benissimo il figlio di Gino, conosco lui, conosco la mamma. È da stamattina che gira 'sta cosa. Il 118 mi conferma che hanno parlato col direttore due ore fa, mi confermano che non è crollato niente, stanno tutti bene".

M: "Ma come è possibile?".

F: "La mamma dell'imbecille è sempre incinta. Il telefonino... si vede che gliel'hanno preso...".

M: "Ma col numero suo?".

F: "Sì".

A questo punto entra in campo un altro equivoco. Il direttore dell'hotel Di Tommaso era stato contattato dal centralino del Css per informarsi sulla situazione. Marcella aveva chiamato anche il 118 prima di chiamare il Css. Ma Di Tommaso quando viene contattato non è a Farindoli ma a Pescare e non può sapere cosa sia successo all'hotel. E così la funzionaria non crede alle parole di Marcella:

F: "Due ore fa, le confermo, al 118 hanno parlato con l'hotel. Non le dico una bugia! Ma se fosse crollato tutto, pensa che che rimarremmo qua?"

M: "Si metta in contatto col direttore...".

F: "Non so se si rende conto della situazione... Abbiamo gente in strada, gente con la dialisi, anziani. E io per lei... Provi lei a mettersi in contatto con il direttore. Non è scortesia. Arrivederci".

Il resto della storia è noto. Da lì a qualche ora la scoperta del disastro.

Hotel Rigopiano, la telefonata che frenò i soccorsi. L'amministratore alla prefettura dopo la slavina: "Li ho sentiti ora: è tutto a posto". Ma lui si trova altrove, scrive il 2 febbraio 2017 "Quotidiano.net". "L'albergo crollato? No è tutto a posto". Così l'amministratore dell'Hotel Rigopiano, Bruno Di Tommaso, risponde alla prefettura di Pescara che intende verificare le prime notizie arrivate al 118. La telefonata risale alle 17.40 di mercoledì 18 gennaio, quando la slavina ha già travolto la struttura. Di Tommaso in quel momento si trova altrove ma spiega alle autorità di avere da poco avuto contatti con il personale e assicura che nel resort la situazione, compatibilmente con l'enorme nevicata, è sotto controllo. Ecco la trascrizione dell'audio che viene diffuso oggi da alcune testate online. 

Funzionario prefettura: «Oh Bruno ciao, senti fammiti chiedere una cosa, tu fai il direttore su a Rigopiano?».

Di Tommaso: «Sono l'amministratore».

Funzionario: «Sai com'è la situazione su?».

Di Tommaso: «Tragica. Sto rientrando a casa in questo momento».

Funzionario: «La strada è chiusa?».

Di Tommaso: «Certo che è chiusa... ma pure Farindola».

Funzionario: «Io sto alla sala operativa della prefettura: ma tu riesci a parlare con qualcuno su?».

Di Tommaso: «No, solo whatsapp».

Funzionario: «Allora vedi un pochettino, perchè abbiamo ricevuto... aspetta un attimo che ti faccio parlare direttamente col direttore... abbiamo ricevuto una telefonata un pò strana, volevamo accertarci un attimino... Dottor Lupi dove sta? Aspetta che ti passo direttamente il dirigente, il responsabile».

Lupi: «Pronto? Sono il dottor Lupi... sono stato spesso ospite da voi, ultimamente proprio quando è successo il secondo terremoto e ho visto che la struttura è in cemento armato. Adesso abbiamo avuto una telefonata di una persona che diceva che all'hotel Rigopiano c'erano feriti per crolli, etc. Abbiamo una telefonata registrata alla nostra centrale operativa...»

Di Tommaso: «Ma no...chi l'ha fatta...»

Lupi: «...attenzione, questa telefonata registrata al nostro sistema 118... non risponde poi più.. a noi il numero ci appare sempre benchè ci si metta trucco, trucchetto, 'anonimò eccetera... Tu hai notizia?»

Di Tommaso: «Ma certo che ho notizia, no no..»

Lupi: «quindi tutto a posto...»

Di Tommaso: «cioè tutto a posto nel senso che...».

Lupi: «Benissimo, mi fa grande piacere. Tra poco a metà febbraio sarò di nuovo vostro ospite. Che devo dire? L'importante è che è sicuro che non ci sia niente».

Di Tommaso: «No.. Io sono stato fino a mò in collegamento tramite whatsapp...».

Lupi: «perfettissimo...» .

Di Tommaso: «...noi abbiamo una parabola per cui il segnale Internet è garantito, io riesco a comunicare con whatsapp. Tutto qua, insomma».

Lupi: «Perfetto…direttore mi dà un gran sollievo... Noi dobbiamo sempre accertarci, con l'aiuto qui del nostro amico comune. Va benissimo, grazie grazie».

Di Tommaso: «Niente, grazie, arrivederci».

L'allarme era arrivato al centralino di emergenza mezz'ora prima con la telefonata di Giampiero Parete, il cuoco scampato alla tragedia. Le parole di Di Tommaso tranquillizzano le autorità, che riterranno inattendibile anche l'sos successivo, quello lanciato da Quintino Marcella (documentato da un altro audio). 

Intanto prosegue l'inchiesta sulla tragedia, che al momento non vede nessun nome sul registro degli indagati. Gli esperti che hanno partecipato ai primi sopralluoghi raccontano che la valanga sarebbe stata causata dal distacco di uno strato di neve di quasi 3 metri, accumulatosi sopra un altro strato di neve particolarmente compatto che avrebbe fatto da piano di scorrimento. Un fatto re che aggiunto alla pendenza accentuata, avrebbe prodotto l'effetto slavina del 18 gennaio. 

Charlie adesso rincara la dose e pubblica la rabbia degli italiani. Dopo le polemiche per la vignetta di Charlie Hebdo sulla valanga di Rigopiano vengono pubblicati i messaggi pieni di rabbia degli italiani, scrive Luca Romano, Sabato 4/02/2017, su "Il Giornale". Dopo le polemiche per la vignetta di Charlie Hebdo sulla valanga di Rigopiano con la morte in tenuta da sci, diversi vignettisti di casa nostra hanno risposto con altrettanti disegni per sottolineare quel pugno allo stomaco ricevuto dalla Francia. Ma c'è anche chi sul web ha commentato e non poco il gesto di Charlie. Pareri, commenti ed opinioni forti cariche di rabbia per quella vignetta poco opportuna con 29 morti sotto la neve. E Charlie ha abbandonato l'autocritica per riaprire il duello con l'Italia pubblicando proprio quei commenti a caldo apparsi in Italia sul web dopo la vignetta. E linkiesta.it ne ha selezionati alcuni: "Questa provocazione - scrive la "Dottoressa Myriam Ambrosini" - è uno schiaffo all’italianità. Peccato che mentre NOI esportavamo la cultura nel mondo, VOI, francesi, portavate ancora i copricapi con le corna e le pelli delle bestie per coprirvi il corpo”. E ancora: "Senza bidet, culi sporchi. Razza bastarda. Ladri di opere d’arte e di territori. Falsi vincitori della guerra, leccaculo degli Alleati. Vi auguro di morire”. C'è chi la butta ancora sul calcio: “Il gol di Materazzi a Berlino nel 2006 vi fa ancora male al culo? Massa di merde". Un duello che non accenna a spegnersi...

Charlie Hebdo risponde (di nuovo) agli italiani, scrive Federico Iarlori il 3 Febbraio 2017 su “L’Inkiesta”. C’era da aspettarselo. Dopo la risposta alle polemiche sulle (audaci) vignette pubblicate da Charlie all’epoca del terremoto di Amatrice, anche questa volta il settimanale satirico francese non è rimasto a guardare. Nuovo polverone - a causa dell’ormai famoso disegno (anch’esso audace) con la morte sugli sci -, nuova reazione pubblicata sul numero in edicola questa settimana. Anche in questo caso, la redazione di Charlie ha dimostrato di sapere come si colpisce nel vivo l’orgoglio del nemico, lasciando perdere - come era avvenuto nell’editoriale di Gérard Biard - le argomentazioni politico-amministrative e le insinuazioni su eventuali infiltrazioni mafiose, e decidendo semplicemente di tradurre alcuni dei terribili commenti ricevuti da altrettanti “lettori” italiani. Ed eccoci ancora una volta ridicolizzati davanti ai francesi. E’ stata una mossa di una finezza spietata e crudelissima, quella di recuperare dei commenti scritti a caldo, sull’onda dell’indignazione, e di sbatterli sul giornale due settimane dopo la polemica. Per me, lettore italiano (e abruzzese), è stato un bel pugno nello stomaco. Lo ammetto. Ma c’è anche un lato positivo in questa bomba ad effetto ritardato: la possibilità di analizzare a freddo l’articolo e di rendersi conto che in Italia ci vuole davvero poco per trasformare un dibattito sui limiti della satira (e/o sulla qualità editoriale e la valenza ideologica di un prodotto come Charlie) in una partita di calcio tra due nazioni, Italia e Francia, che - diciamocelo chiaramente - non perdono occasione di massacrarsi a vicenda. “[...] questa provocazione [...] - scrive la "Dottoressa Myriam Ambrosini" (notare come abbiano riportato anche il "titolo" della persona che ha scritto il commento) - è uno schiaffo all’italianità. Peccato che mentre NOI esportavamo la cultura nel mondo, VOI, francesi, portavate ancora i copricapi con le corna e le pelli delle bestie per coprirvi il corpo”. Pincopallino Jack rincara la dose: “Senza bidet, culi sporchi. Razza bastarda. Ladri di opere d’arte e di territori. Falsi vincitori della guerra, leccaculo degli Alleati. Vi auguro di morire”. Mentre il commento di Davide Rivolta ci riporta esattamente al punto di cui sopra: “Il gol di Materazzi a Berlino nel 2006 vi fa ancora male al culo? Massa di merde". Insomma, è giusto indignarsi per la satira di cattivo gusto, ma perché continuiamo a confondere Charlie con i francesi?

Hotel Rigopiano, la telefonista che non ha creduto all'allarme: "Ho la coscienza pulita, del resto non me ne frega niente", scrive il 25 gennaio 2017 “Libero Quotidiano”. Suo malgrado, è una delle protagoniste della tragedia dell'Hotel Rigopiano. Lei è la donna che ha ricevuto la telefonata che segnalava che la struttura fosse stata travolta bollandola come una bufala. La donna è stata individuata dagli investigatori: si tratterebbe di una dirigente del Ccs, il Centro di coordinamento dei soccorsi. A lei il 118 ha girato la famigerata telefonata da Quintino Marcello, amico di Giampiero Parete, lo chef superstite della tragedia. Come è noto, con toni sprezzanti, non ha voluto credere a quanto denunciato. E ora, quella donna, è stata interrogata, ascoltata dagli investigatori che stanno valutando la sua posizione. E quello che la signora ha detto, forse, fa ancor più rabbia che quella maledetta telefonata. "L'importante è essere a posto con la coscienza - ha spiegato secondo quanto trapelato da fonti investigative, indiscrezioni di stampa e dalla diretta interessata -. E io lo sono. Questo è quello che mi preme. Del resto non me ne frega niente". Dritta per la sua strada, insomma. Nessun pentimento e, soprattutto, la "coscienza pulita". E ancora, a verbale ha spiegato che "mercoledì ero appena rientrata in ufficio da una malattia. Prima è scoppiata l'emergenza della neve, poi quella del terremoto. C'era bisogno di gente nell'unità di crisi e io avevo dato la mia disponibilità. Il mio compito era rispondere alle chiamate che arrivavano dall'esterno". E ancora, prosegue la signora sulla hotel travolto a cui non ha creduto, sostenendo che si trattasse di una stalla: "La storia della stalla me l'ha ricordata, mentre ero al telefono, chi era con me nella sala operativa. Eravamo in tanti, non c'ero solo io". Un riferimento molto, troppo vago con il quale, in una qualche misura, la donna sembra tentare di scaricare le responsabilità. "Piuttosto che parlare coi giornalisti - ha aggiunto - preferirei parlarne col Padre Eterno. Comunque ci saranno modi e tempi per chiarire tutto. L'importante - ha ribadito - è essere a posto con la coscienza. Del resto, delle polemiche, non me ne frega nulla".

Rigopiano, la funzionaria: "Ho ignorato l’allarme? L’importante è avere la coscienza a posto". Il colloquio. La donna che non credette al primo Sos: "Chiarirò, basta polemiche", scrive Fabio Tonacci il 25 gennaio 2017 su "La Repubblica". La giornata più amara è cominciata con una telefonata all'ora di pranzo. "Era la questura, sono stata convocata", dice la funzionaria della prefettura di Pescara che ha confuso la slavina sull'hotel Rigopiano con il crollo di una stalla di pecore lì vicino. Si affaccia alla porta dell'ufficio del suo capo, comunica che deve essere sentita come testimone informata dei fatti, si infila la giacca nera pesante, prende la borsa, inforca gli occhiali neri. "Sì, sono io quella della telefonata...". Pallida in volto, evidentemente agitata, si avvia a spiegare alla polizia perché ha liquidato come bufala l'allarme di Quintino Marcella. Nei successivi 200 metri, tanta è la distanza tra prefettura e questura, la signora parla a malapena. Cerca di sfuggire alle domande, prova ad opporre un "assolutamente no" quando le si chiede di spiegare come sia potuto accadere un equivoco di tali proporzioni. "Piuttosto preferirei parlarne col Padreterno...", sbotta. Salvo poi riportare il discorso su un terreno più laico: "Ci saranno modi e tempi per chiarire tutto. L'importante è avere la coscienza a posto, e io ce l'ho. Tutto il resto, le polemiche di questi giorni, non m'interessa". Ecco. Un intero stato d'animo in una frase. Ne seguono altre, alla spicciolata. Perché è evidente che non ci sta a passare come il capro espiatorio di una gestione sicuramente discutibile delle comunicazioni tra chi, in quel giorno di neve, valanghe e terremoti, stava cercando di segnalare una disgrazia e chi doveva garantire i soccorsi in modo tempestivo. "Mercoledì ero appena rientrata in ufficio da una malattia. Prima è scoppiata l'emergenza neve, poi quella del sisma. C'era bisogno di gente nell'unità di crisi (il cosiddetto Ccs, Centro coordinamento soccorsi che si attiva quella mattina stessa al piano terra della Prefettura, ndr) e ho dato la mia disponibilità". Nella sala operativa la mettono a una scrivania, in una delle tre stanzette che in quelle ore sono una sorta di suk dell'emergenza. Gente che entra, gente che esce, il telefono che non smette di squillare, richieste d'intervento su urgenze reali e segnalazioni fasulle. "Il mio compito era rispondere alle chiamate dall'esterno", racconta. Quella delle 18.20 di Quintino Marcella però non era come le altre. È vero che il direttore dell'hotel, un'ora prima, vi aveva detto che non era successo niente a Rigopiano, ma come avete fatto poi a confondere la valanga col crollo della stalla? "Non devo dare spiegazioni a lei... Nella sala operativa eravamo in tanti, non c'ero solo io". Agli investigatori, più tardi, spiegherà: "La storia della stalla me l'ha ricordata, mentre ero al telefono, qualcuno più alto in grado che era con me". La persona in questione sarebbe una dirigente di area con incarichi al vertice della prefettura. Anche lei finita al Ccs per dare una mano alla macchina dei soccorsi in quella giornata convulsa. Si sente in colpa per quello che è successo? La funzionaria, che in prefettura si occupa del settore economico e contabile, accelera ulteriormente il passo verso la questura. "Senta, ho da fare... Arrivederci". Al momento non è indagata. È vero che alle 17.30, dal Ccs, chiamarono il direttore Bruno Di Tommaso per verificare la primissima segnalazione del superstite Giampiero Parete, che al 113 aveva parlato espressamente di una valanga, del crollo dell'hotel, e di dispersi. Ed è vero pure che Di Tommaso, che trovandosi a Pescara ignorava cosa fosse realmente successo, tranquillizzò gli operatori. In ogni caso rimarrà il tono, di quella conversazione tra Marcella e la funzionaria della prefettura. Assai fuori luogo.

Ida De Cesaris: “Telefonata su hotel Rigopiano? Eravamo in tanti, coscienza pulita…”, scrive la Redazione di "Blitz Quotidiano" il 25 gennaio 2017. “Non sono io il capro espiatorio che cercate non sono io ad aver preso quella telefonata, basta ascoltare la registrazione per averne conferma. A quel tavolo eravamo in tanti, noi della prefettura, i radioamatori, i rappresentanti delle forze dell’ordine e del soccorso pubblico”. Così il viceprefetto Ida De Cesaris, ricostruisce in un’intervista al Messaggero la mancata reazione dopo l’allarme di Quintino Marcella sull’hotel Rigopiano. Nel mirino dei mezzi di informazione è finita soprattutto una funzionaria della Prefettura che non avrebbe creduto alla telefonata, tanto da confonderla per una bufala o uno scherzo. L’equivoco era nato dal fatto che pochi minuti prima era stata segnalato un allarme per una possibile valanga su una stalla. “Per tutta la giornata sono entrata e uscita dalla stanza del prefetto, dove vertici e riunioni operative si susseguivano a getto continuo – afferma De Cesaris – A un certo punto ho chiesto di deviarmi sul cellulare di servizio soltanto le telefonate dei sindaci. Non ho valutato personalmente altre richieste di soccorso perché l’esperienza mi dice che in situazioni di tale gravità, specialmente nelle comunità più piccole il primo terminale delle popolazioni sono i sindaci”. “Nessuna superficialità nella gestione di un’emergenza estremamente complessa”, rivendica. Le procedure seguite sono state corrette? “C’è un’inchiesta in corso. Di certo – risponde – non tocca ai giornali distribuire patenti di colpevolezza”.

Rigopiano, falla nei soccorsi: "Quella chiamata ricevuta per errore". Un volontario della Protezione civile ha ricevuto "per errore" la chiamata di aiuto dal Rigopiano. E ha fatto partire i soccorsi, scrive Claudio Cartaldo, Giovedì 26/01/2017, su "Il Giornale". Che qualcosa non abbia funzionato nella catena dell'emergenza a Rigopiano è chiaro. I soccorsi non sono partiti immediatamente dopo la chiamata, allarmata, di Quintino Marcella, il capo di Giancarlo Parete, lo chef ospite dell'hotel tratto in salvo insieme alla sua famiglia. Nei giorni scorsi si è parlato della funzionaria che ha bollato come "bufala" la notizia della valanga caduta sull'albergo. Ora emerge anche la spiegazione di come si siano attivate, in ritardo, le procedure per il salvataggio dei superstiti. A spiegarlo è Massimo D'Alessio, volontario della protezione civile che ha ricevuto la chiamata di Quintino Marcella. "Avevo appena finito il turno - racconta alla Stampa - mi avevano mandato alla golena nord del fiume Pescara per monitorarne l'esondazione. Proprio per questo motivo ero passato in questura e avevo dato il cellulare. Ma non dovevo essere io a ricevere quella telefonata, è stato un errore...". La telefonata arriva "alle 18.57" e solo in quel momento scattano i soccorsi. Grazie alla rapidità di pensiero di D'Alessio. E pensare che alcune ore prima in Prefettura era stata bollata come menzogna "inventata da imbecilli". "La questura aveva il mio numero per le esondazioni - continua D'Alessio - È una procedura standard: al 113 lascia il proprio numero chi si trova più vicino all'emergenza. Solo che nel mio caso l'emergenza era il fiume, non una valanga in montagna a chilometri di distanza. È stato bravo Quintino a insistere". Quando riceve la chiamata di Quintino lo sente agitato ed "esasperato". "Gli ho detto 'aspetta un attimo, calmati, così non capisco' - racconta il volontario - Gli chiedo il nome e il cognome e cerco di tranquillizzarlo. Gli spiego che avevo necessità di avvisare almeno chi avevo intorno, non potevo certo dirgli che partivo subito io per il Rigopiano. Metto giù e chiamo il mio capo dei Volontari senza frontiere, Angelo Ferri che si attiva immediatamente, mentre io chiamo la prefettura". D'Alessio è stato sentito in questura come testimone. La procura vuole capire perché si sia atteso tanto prima di inviare i soccorsi al Rigopiano. Solo grazie a D'Alessio si è risvegliata la macchina. "Noi della Protezione civile non diciamo mai forse, non credo o cose così. Noi partiamo, subito".

Soltanto gli uomini. La tragedia e le macchine impotenti, scrive Marina Corradi venerdì 20 gennaio 2017 su "Avvenire”. l primo allarme, lanciato con un sms da un sopravvissuto. I telefoni che nell’albergo di Farindola suonano a lungo, ostinatamente muti. Ci sono più di trenta persone lassù, sotto al Gran Sasso, ma nessuno risponde. I soccorsi partono che è ormai buio. La strada è sepolta da oltre tre metri di neve, è travolta da massi, e da alberi con le radici per aria. Non ce la fanno le grosse jeep dell’Esercito, non ce la fanno nemmeno gli spazzaneve. Una colonna di mezzi di soccorso si blocca tra due muraglie di neve, i fari accesi, i lampeggianti che illuminano a intermittenza di un bagliore azzurrino la montagna ghiacciata. (E intanto, lassù, forse qualcuno è vivo, qualcuno prega, forse qualcuno aspetta). È allora che le squadre del soccorso alpino della Guardia di Finanza si mettono in marcia. C’è un video, sul web. È notte fonda ormai e attorno c’è tempesta. Si sente bene l’ululato torvo del vento fra le montagne, come una voce cattiva. Si vede bene la neve che cade, rabbiosa, a mulinelli; si immagina quasi come quei fiocchi, sulle guance degli uomini, brucino. Le jeep affondano, gli spazzaneve sono inerti, e adesso è l’ora degli uomini. Semplicemente dei piedi, delle gambe di uomini abituati alla montagna. I cingoli dei mezzi sono incrostati di ghiaccio, i motori potenti di centinaia di cavalli non muovono le ruote impantanate, l’energia elettrica è caduta. Ma le gambe degli uomini vanno invece, procedono tenacemente in questa notte d’inferno, dove il terremoto e un’onda di gelo artica si sono dati un maledetto convegno. Il cellulare di un collega inquadra i soccorritori, hanno una torcia sulla fronte e procedono a capo chino. La neve dura scricchiola sotto gli sci. Vanno di buona lena. Non c’è dubbio, almeno loro arriveranno. (I possenti motori dei mezzi di soccorso che girano in folle, il loro rombo impotente, nella notte). Quelle gambe, quelle facce in marcia sopra a tre metri di neve fanno pensare. Come anche le immagini di certi salvataggi di questi giorni, in contrade sperdute colpite dal sisma e dalla tempesta. Posti irraggiungibili perfino per le turbine degli elicotteri. Ma qualcuno dei soccorritori si è inerpicato fin lassù: le foto raccontano l’istante in cui con delicatezza sorreggono vecchi smarriti, avvolti in coperte, e tenendoli dolcemente per mano li tirano fuori dalle loro case. Le mani, ecco, quelle mani tese, dentro ai grossi guanti. Soltanto gli uomini restano, quando i motori e le tecnologie più potenti si fermano. Arrivano, certo, a fatica, con sforzi di cui non si sarebbero creduti capaci, con rabbia, in una drammatica sfida. Magari, a momenti, si teme che non ci sia più nulla da fare. (È inutile, è inutile, sibila quel vento cattivo). Eppure si va, per una testarda speranza. Chi è a casa, magari, stenta a capire. Magari si scandalizza che tante ore ci siano volute per raggiungere l’hotel sommerso dalla slavina. Chi è a casa forse arriva a polemizzare coi tempi della Protezione civile. Ma bisogna capire che cosa è un terremoto con sopra tre metri di neve, in zone impervie e disabitate o quasi. Quando i telefoni non funzionano, i motori tacciono, i cingoli si fermano, e i mezzi di soccorso si accodano, fermi, arresi. Solo pensando a questo si può capire la ostinazione di quegli uomini con gli sci ai piedi, cocciuti, nella notte. E, nei paesini feriti, lo scavare coi badili, e il prendere in braccio i vecchi intrappolati nelle cascine. Le gambe, le braccia, le mani: in una notte d’inferno restano solo gli uomini, infine. Che vanno avanti, e si affannano a rimuovere rovine. I cani non sentono più nulla, e non si muovono. Ma, forse, là sotto, protetto da una trave, qualcuno ancora respira? Quelle mani, quelle voci spezzate dalla fatica, che non si arrendono. È nei giorni d’inferno, che si riconoscono gli uomini.

L’Hotel Rigopiano costruito sui detriti della valanga del 1936. Aperta una nuova indagine sui lavori di ampliamento. Le ultime modifiche del Rigopiano avevano superato indenni l’esame della magistratura, scrive Marco Imarisio il 23 gennaio 2017 su "Il Corriere della Sera". Carta canta. Per almeno due volte. Nel 1991 la Regione Abruzzo decide di dotarsi di una mappa che segnala eventuali criticità sul proprio territorio. Si tratta di un debutto, reso necessario dalle alluvioni e dallo sciame sismico del biennio precedente. La carta ufficiale mostra come l’hotel Rigopiano sia al centro di un’area con colate detritiche, dette conoidi. A farla breve, un lembo di terreno rialzato rispetto alla superficie intorno per via dell’accumulo di materiale caduto dall’alto. Nel dicembre del 2007 quel documento diventa una specie di Vangelo ambientale, perché viene adottato tale e quale com’era dalla Giunta che sulla base delle sue segnalazioni approva il nuovo Piano di assetto idrogeologico. Con il senno di poi si può fare di tutto, ma è vero che quelli riportati sopra non sono giudizi, ma semplici dati rilevati dai documenti ufficiali presenti sul sito della Regione. Sono stati resi pubblici dal Forum H2O, filiazione diretta dei comitati per l’acqua pubblica. Attivisti, ingegneri e operatori ambientali militanti. I due puntini rossi che indicano il Rigopiano, ponendolo all’interno di una zona che gli esperti della Regione hanno considerato a elevato rischio di «anche precipitazione ambientale» sono il punto di partenza che ha portato la Procura di Pescara ad acquisire la loro denuncia. «L’elemento conoscitivo non è stato trasformato in un vincolo che avrebbe obbligato a non costruire o a farlo seguendo direttive che avrebbero fatto impennare i costi». Da qui in poi ogni elemento diventa opinione, quindi confutabile. Come quella di Augusto De Sanctis, presidente del Forum, convinto che non sia stata sciatteria, ma una pura questione di soldi. L’hotel Rigopiano era una struttura preesistente, in una zona dove nel 1936 si era verificata una valanga di portata paragonabile a quella che mercoledì scorso ha fatto strage. A quel tempo, nella valle sorgeva solo un rifugio. Secondo il Forum H2O questo non è importante, perché i tempi di ritorno di questi fenomeni estremi sono molto lunghi. Come per le piene dei fiumi, possono avere una ciclicità plurisecolare, raggiungendo aree che ai non addetti ai lavori sembravano tranquille. «È per questo» aggiunge De Sanctis «che esistono le carte del rischio, basate sugli eventi già noti ma soprattutto sulle caratteristiche specifiche del terreno in questione». L’accusa esplicita è questa: l’ultima ristrutturazione, avvenuta tra il 2007 e il 2008, «ha ampliato le capacità ricettive della struttura e quindi il rischio intrinseco», quando invece c’erano tutti gli elementi per accorgersi dei problemi. Almeno una parte di colpa nel disastro sarebbe quindi da attribuire a quegli ultimi lavori, autorizzati da una delibera del comune di Farindola il 30 settembre 2008 che divenne oggetto di una inchiesta e di un processo per corruzione e abuso di ufficio, chiusi nell’aprile del 2016 con l’assoluzione «perché il fatto non sussiste» di tutti gli imputati. Sindaco, assessore e consiglieri comunali. I reati erano prescritti da tempo. «Ma la completezza dell’istruttoria impone il vaglio delle risultanze dibattimentali» scrissero i giudici nelle motivazioni della sentenza. La Del Rosso srl, titolare dell’hotel, aveva preso possesso di alcuni terreni limitrofi dei quali era proprietario il Comune, e li aveva utilizzati per espandere la ristrutturazione in corso. I magistrati ipotizzarono uno scambio di denaro in cambio della sanatoria, che si rivelò inesistente. La valutazione dei giudici su quei lavori differisce non poco da quelle di Forum H2O. «Non soltanto non emerge alcun profilo di illegittimità nella delibera adottata, ma non può ravvisarsi neppure un esercizio dei pubblici poteri non improntato a imparzialità e buon andamento. Infatti, l’occupazione abusiva, che riguardava una porzione di terreno piuttosto esigua (1.700 metri quadrati), tenuto conto della collocazione geografica, un’area di montagna totalmente disabitata e destinata a pascolo, fu sanata e stabilito per la sua occupazione un canone ritenuto congruo». Non è un precedente da poco. Le ultime modifiche del Rigopiano hanno superato indenni il verdetto dell’aula. Quelle meno recenti risalgono alla notte dei tempi. La nuova inchiesta della Procura su come e perché l’hotel Rigopiano sia stato costruito in un’area dove sono presenti colate di detriti, rischia di avere un valore esclusivamente storico.

"A quelli gli abbiamo dato pure il cu...". L'inchiesta dimenticata dietro l'hotel, scrive il 24 gennaio 2017 “Libero Quotidiano”. La tragedia dell'hotel Rigopiano ha riportato a galla le vicende controverse legate agli ultimi anni della struttura di Farindola. Lo scorso novembre il Tribunale di Pescara ha assolto i cinque imputati - ex amministratori comunali e gli ex titolari dell'albergo - coinvolti nell'inchiesta sui presunti abusi avvenuti dopo gli ampliamenti del 2007. Oggi gli atti di quell'indagine, riporta il Tempo, sono stati acquisiti al fascicolo del procuratore capo Cristina Tedeschini e del sostituto procuratore Andrea Papalia che indagano per omicidio plurimo colposo e disastro colposo. L'inchiesta del pm Varone si basava sull'accusa che l'amministrazione comunale dell'epoca, guidata da una maggioranza del Partito democratico, era "piegata" alle richieste degli imprenditori, in quel caso i cugini Del Rosso, eredi della struttura alberghiera. In un'intercettazione, per esempio, gli inquirenti avevano raccolto uno sfogo emblematico: "C'hanno manipolato come gli pare e piace, qualsiasi cosa gli serviva, pronto, pronto, pronto (...) Gli è stato dato pure il culo a livello di amministrazione, ogni richiesta esaudita e... alla fine ecco il risultato!". Nel mirino degli inquirenti era finita per esempio la delibera che sanava l'ultimo ampliamento della struttura, approvata in cambio di "promessa di versamento di denaro destinato verosimilmente a finanziamento di un partito politico", oltre che "assunzioni preferenziali per propri protetti" nella società dei Del Rosso. L'unico che ha votato contro la suddetta delibera è stato un consigliere di minoranza che ha ricordato ai carabinieri come il giorno del consiglio comunale aveva ribadito la sua contrarietà: "La ditta Del Rosso, senza nessuna preventiva autorizzazione, aveva occupato abusivamente una parte del terreno". In quella seduta poi c'era un'altra situazione imbarazzante e riguardava altri membri del Consiglio: "C'erano delle incompatibilità che riguardavano alcuni consiglieri, i cui parenti all'epoca lavoravano presso l'Hotel Rigopiano: la figlia di... la nipote di..., la moglie di... e tutti e tre hanno votato favorevolmente". Dopo quella delibera, secondo la procura ci sarebbero state altre concessioni sospette e intercettazioni in cui c'erano amministratori che esortavano altri ad accelerare i tempi e a convincere anche l'opposizione perché i Del Rosso non subissero ritardi. L'assoluzione finale da parte dei giudici è stata piena con sentenza passata in giudicato, con la linea della difesa sposata in pieno: "L'ampliamento oggetto dell'indagine riguarda un terreno su cui non è stata costruita nessuna depandance dell'hotel - ha detto l'avvocato di Paolo Del Rosso, Romito Liborio - e comunque non è stato interessato dalla slavina". 

"Occhio, ci arrestano tutti quanti...". Horror: chi ha la coscienza sporca, scrive “Libero Quotidiano” il 25 gennaio 2017. Il clima tra i consiglieri di maggioranza del Comune di Farindola non appariva proprio disteso anche il giorno dopo l'approvazione della arcinota delibera che aveva permesso ai titolari dell'Hotel Rigopiano, i cugini Del Rosso, di occupare un'area di 3500 mq per 10 anni davanti alla struttura. Una situazione verificatasi nel 2007 e sanata il 30 settembre 2008 con un voto a maggioranza del Consiglio Comunale. Secondo l'accusa della procura, con quel voto favorevole dei consiglieri era arrivato in cambio di una "promessa di un versamento di denaro destinato verosimilmente a finanziamento di partito politico" e di "assunzioni preferenziali per propri protetti" nella struttura alberghiera. I cinque imputati, ricorda il Tempo, sono stati assolti dall'accusa di corruzione, con sentenza passata in giudicato. Dopo il disastro dopo la slavina che ha distrutto l'hotel Rigopiano, la Procura di Pescara ha aperto una nuova indagine, contro ignoti, per omicidio plurimo colposo e disastro colposo. In quei fascicoli, i procuratori Cristina Tedeschini e Andrea Papalia hanno voluto aggiungere anche gli atti del processo sull'ampliamento sospetto dell'hotel. In quelle carte, gli inquirenti avevano riportato le intercettazioni che hanno coinvolto alcuni politici locali, in particolare un ex assessore che, il giorno dopo l'approvazione della delibera - ha chiamato un ex consigliere del Pd, entrambi imputati e assolti nel processo. In quella telefonata, l'ex assessore chiedeva spiegazioni sulla telefonata della sera precedente: "Ti volevano prendere in giro - gli è stato risposto - e dirti che…te n'eri andato per consumare le ultime sere... a casa, visto che a breve mo' ci arrestano tutti quanti". Apparentemente parole dette in leggerezza, anche se i carabinieri di Penne non la pensavano così. Nell'informativa dei militari quelle dichiarazioni: "dimostrano in maniera emblematica quanto già emerso dall'attività investigativa, ovvero che la maggioranza dell'amministrazione comunale farindolese ha approvato la delibera favorevole ai Del Rosso con coscienza e volontà, sapendo perfettamente di violare leggi e regolamenti". Pochi giorni dopo, un'altra telefonata tra due politici farindolesi aveva insospettito i carabinieri: "A loro non succede niente - dice al telefono un consigliere - semmai succede a noi, ai consiglieri che hanno votato... ma a loro proprio no (i Del Rosso, ndr). Dovrebbero semmai apprezzare che questi consiglieri hanno votato... ulteriormente".

PARLA L'INGEGNERE DINO PIGNATELLI, CHE HA REDATTO IL PIANO PER IL MONTE TERMINILLO: ''AREA HOTEL NON DOVEVA ESSERE EDIFICABILE''. ''IN ABRUZZO NON ESISTE CARTA VALANGHE, LA TRAGEDIA DI RIGOPIANO ERA EVITABILE''. Scrive il 20 gennaio 2017 Marco Signori su "Abruzzo web”. "La Regione Abruzzo non ha mai adottato una Carta delle valanghe, che avrebbe ad esempio potuto scongiurare il dramma dell'hotel Rigopiano di Farindola". L'ingegnere Dino Pignatelli, esperto di impianti a fune ed esperto abilitato di valanghe con una formazione anche in Svizzera, non ha dubbi: "Anche da un'osservazione superficiale del posto si capisce che non è immune dal rischio valanghe, è sicuramente una zona esposta a valanghe, che poi negli ultimi anni non ce ne siano state non significa nulla". Mentre i soccorritori scavano ancora, nella speranza di trovare qualche sopravvissuto tra la trentina di persone che dovrebbero essere sepolte da neve e macerie, Pignatelli spiega ad AbruzzoWeb che "non c'è un serio Piano regionale valanghe, che si trasforma nella Carta che deve essere adottata dai Piani regolatori fatti dai Comuni". "Sul monte Terminillo abbiamo fatto esattamente questo, un paio d'anni fa: mappa del rischio che stabilisce le zone pericolose", racconta. "C'è tutto un sistema attraverso il quale si studiano le valanghe - spiega - Abbiamo metodologie di calcolo molto raffinate, riusciamo ad individuare con una certa precisione sia l'entità, sia l'altezza della neve accumulata, la pressione che esercita su quello che incontra e la velocità che raggiunge la neve". "Lo studio delle valanghe è oggi assolutamente puntuale e precisa nelle determinazioni", aggiunge, spiegando come "ci riferiamo alla normativa svizzera che è la più aggiornata". Tra le soluzioni che si possono adottare per difendersi, ci sono le protezioni attive e quelle passive. "Le prime vengono messe a monte - dice Pignatelli - ed impediscono la formazione di una valanga. Le seconde più a valle e sono dei deviatori, ma si tratta di opere importanti anche perché per deviare quella massa servono infrastrutture di un certo impatto". All'hotel Rigopiano di Farindola, insomma, interventi di questo tipo magari non sarebbero stati possibili, ma semmai ci fosse stata una Carta regionale delle valanghe, ragiona Pignatelli, "il Comune di Farindola avrebbe sicuramente messo quell'area tra quelle non edificabili". E la Carta delle valanghe "è sovraordinata rispetto al Piano regolatore, che deve recepirla altrimenti l'applicazione viene imposta per legge". Certo, un intervento edilizio preesistente "a livello urbanistico può essere sanato, ma possono essere imposte precauzioni e fatto un progetto per queste", come Pignatelli ha ad esempio fatto a Campo Staffi, nel comune di Filettino (Frosinone), dove "c'era un impianto che non si poteva aprire perché era stato denunciato un pericolo valanghe che in effetti c'era, e grazie a degli interventi ha potuto riaprire". Pignatelli non esclude poi che il distacco possa essere stato scatenato dalle forti scosse di terremoto registrate mercoledì mattina in Alta Valle Aterno, visto che "anche il passaggio di un aereo può produrre una valanga, quindi un elemento di trazione anomalo può senza dubbio esserci stato". "È strano che siano passate alcune ore ma anche questa è una cosa possibile", aggiunge. Non ha aiutato, nel ridurre l'impatto sull'albergo, neppure il bosco: "È troppo a valle, può aver prodotto il ritardo nell'arrivo della valanga, ma la massa di neve è un insieme compatto che tende a spingere". L'attenzione torna dunque ora sulla Carta delle valanghe che si attende dalla Regione Abruzzo: "È stato pubblicato un bando un paio d'anni fa per la sua redazione, ma è stata assegnata al massimo ribasso senza tener conto delle esperienze e dell'importanza di utilizzare metodologie di calcolo innovative", è l'amara considerazione dell'ingegnere.

"Rischio valanga su Rigopiano". Ma i lavori all’hotel partirono lo stesso. Gli allarmi degli esperti dal ‘99 fino al 2005. Poi smisero di riunirsi e scattò l’ampliamento, scrive Fabio Tonacci il 28 gennaio 2017 su "La Repubblica". Si afferra finalmente una certezza, nella storia dell'Hotel Rigopiano e della valanga che lo ha seppellito. Quel resort di lusso, vanto e serbatoio occupazionale per i cittadini di Farindola, è stato costruito su un versante montano conosciuto per essere "soggetto a slavine". Collegato da una viabilità provinciale che, d'inverno, rimaneva più chiusa che aperta. Oggetto di un report della guida alpina Pasquale Iannetti che nel 1999, dopo un sopralluogo, scriveva: "In merito alla possibilità di caduta di masse nevose, slavine o valanghe nell'area di Rigopiano, non vi è dubbio che sia il piazzale antistante il rifugio Acerbo che la strada provinciale che porta a Vado di Sole possano essere interessate da caduta di masse nevose o valanghe". Già, proprio il rifugio Acerbo. Quello che si trova a poche decine di metri dal resort e che è stato solo sfiorato dalle tonnellate di neve venute giù il 18 gennaio. A rileggerli ora i verbali della Commissione valanghe del comune di Farindola, istituita nel 1999 e per qualche strano mistero sciolta nel 2005 quando invece sarebbe servita di più, si incontrano molte inconsapevoli Cassandre. Ecco cosa scriveva Iannetti, appena nominato consulente della neonata commissione: "La zona (parla di Rigopiano, rifugio Acerbo e la provinciale 31, ndr) deve essere tenuta sotto stretto controllo". Era il 18 marzo 1999. "Vero è che si ha memoria di un fenomeno rilevante risalente al 1959, ciò non deve essere considerato un fatto che non si possa ripetere". E poi, quasi che l'istinto gli volesse suggerire qualcosa che allora nessuno immaginava, la guida alpina Pasquale Iannetti chiudeva così il suo primo verbale: "Con questi dati la Commissione valanghe potrà fornire indicazioni certe affinché per il futuro si possa garantire la sicurezza delle infrastrutture alberghiere, delle strade e dei parcheggi di Rigopiano". Nelle carte della Commissione (acquisite dalla procura di Pescara che indaga per disastro colposo e omicidio colposo plurimo) il nome del resort Rigopiano non appare mai. Né può esserci, visto che il vecchio alberghetto estivo viene comprato, ristrutturato e ampliato tra il 2006 e il 2007. Esattamente quando il Comune ritenne con decisione incomprensibile di disfarsi dello "strumento" Commissione. Eppure non erano pochi gli elementi già raccolti, che dovevano mettere in guardia sia chi voleva costruire, sia chi doveva autorizzare l'ampliamento. Verbale del 11 marzo 1999: "La montagna di Farindola risulta soggetta a valanghe, pertanto al fine di garantire la pubblica e privata incolumità la Provincia di Pescara ha ritenuto di chiudere la strada d'accesso alla località Vado Sole da Rigopiano". Verbale del 12 marzo 1999, anticipato ieri dal quotidiano il Tempo: "Si è ritenuto opportuno di tenere sotto controllo la zona di Valle Bruciata, piazzale di sosta Rigopiano in prossimità del bivio di accesso per Castelli e Fonte della Canaluccia mediante controlli quotidiani a vista nelle ore più calde, se si notassero distacchi e principi di scivolamento si potrà prendere tempestivamente precauzioni a garanzia di eventuali calamità". Verbale del 4 marzo 2003: "La Provincia ha ritenuto di non provvedere allo sgombero della neve tra Vado Sole a Rigopiano in modo da non consentire il transito, per garantire l'incolumità pubblica e privata ". Vado Sole, Castelli, Valle Bruciata. Tutte località che si trovano più o meno nei pressi del piccolo casolare isolato non ancora divenuto resort 4 stelle. Ancora nel febbraio 2003 la commissione sottopone il caso della provinciale a valle di Rigopiano alla Scuola di Montagna abruzzese. "Il rischio valanghe su entrambi i versanti risulta di livello 4, con condizione di pericolo forte, per cui sono da aspettarsi valanghe spontanee di medie dimensione anche singole grandi", si legge nella relazione finale. In Commissione, dunque, è noto a tutti che le vie d'accesso al sito dell'albergo e località ad esso molto vicine possono rappresentare un grave pericolo per l'incolumità delle persone in certi periodi dell'anno. L'ultimo verbale, datato 24 febbraio 2005, offre uno spunto di riflessione in più. Quel giorno presiede il sindaco Massimiliano Giancaterino, che il 18 gennaio scorso nella catastrofe ha perso un fratello. "La volontà politica del Comune di Farindola è quella di tenere sgombera dalla neve la provinciale fino alla località Fonte Vetica, al fine di non precludere le attività legate al turismo invernale nella zona". Fonte Vetica ospita un rifugio e si trova sul versante opposto. Ha con l'hotel Rigopiano un paio di similarità: è difficile da raggiungere quando nevica forte; stimola l'indotto. Dall'inverno del 2005 in poi, della Commissione valanghe di Farindola si perde ogni traccia. I carabinieri forestali che stanno indagando per conto della procura non hanno trovato ulteriori verbali in Comune. Per dieci anni di fila la Prefettura di Pescara ha ribadito ai sindaci la necessità di ricostituirla, ogni volta che ha dovuto trasmettere un bollettino Meteomont di rischio 4 (su scala 5). Lo fa ancora il 10 marzo 2015, con una lettera firmata dalla vice prefetto Ida De Cesaris: "Si prega di valutare l'eventuale attivazione della Commissione, prevista dalla legge regionale del 1992". Ma la Commissione non è più risorta.

Gran Sasso: il massiccio “magico” tra tragedie ed esperimenti nucleari. Il Gran Sasso non solo è il massiccio più alto degli Appennini continentali, ma è anche la montagna che ospita il traforo a doppia canna più lungo d'Europa, scrive Filomena Fotia il 20 gennaio 2017 su "Meteo Web". Il Gran Sasso non solo è il massiccio più alto degli Appennini continentali, ma è anche la montagna che ospita nelle sue viscere il traforo a doppia canna più lungo d’Europa e i laboratori di ricerca sotterranei più grandi del mondo. Oltre diecimila metri di lunghezza collegano Assergi a Colledara, e permettono un collegamento veloce tra Lazio e Abruzzo. Per scavare il primo tunnel negli anni ’60 ci sono voluti centinaia di uomini, macchinari e tonnellate di esplosivo per un costo di oltre 1700 miliardi di lire. Nella realizzazione dell’opera – ricorda Maria Elena Ribezzo per LaPresse – persero la vita 11 operai. Il massiccio abruzzese è costituito per lo più da calcare permeato da enormi falde di acqua – salvo la parte verso Teramo che è costituito da rocce marnose impermeabili -. Il 15 settembre 1970, durante gli scavi, per un errore di calcolo l’escavatrice bucò l’enorme serbatoio sotterraneo di acqua. Un getto di acqua e fango dalla pressione enorme di 60 atmosfere travolse ogni cosa. La parte bassa della città di Assergi fu allagata, costringendo a una evacuazione, e il corso di molte sorgenti fu compromesso. Il livello della falda acquifera si abbassò di 600 metri e la portata delle sorgenti del Rio Arno e del Chiarino fu quasi dimezzata.  I due versanti sono paesaggisticamente opposti: quello aquilano scosceso, ma prevalentemente erboso, e quello teramano, a maggior dislivello, più aspro e roccioso. Le operazioni di disboscamento intensivo, per restituire terreno alla pastorizia per nuovi pascoli, iniziarono già tra il 16esimo e il 17esimo secolo, sconvolgendo pesantemente il paesaggio. Tanto è vero, che più volte si dovette vietare alle popolazioni del luogo di insistere nel taglio degli alberi. Questo, nei secoli, ha portato a tantissime frane. Recentemente, il 22 agosto 2006 nella parete Nord-Est (il paretone) del Corno Grande, si è verificata una frana di grandi dimensioni: da 20mila a 30mila metri quadrati di roccia si sono distaccati dal quarto pilastro. Il 23 agosto scorso, dopo il primo terremoto che ha colpito Amatrice, Accumoli, Arquata del Tronto e altri paesi dell’Appennino Centrale è franato un pezzo del Corno Piccolo. Gli scienziati dell’Istituto Nazionale di Fisica pensarono di affiancare al traforo il Laboratorio di ricerca di Fisica Nucleare, creando i più grandi laboratori sotterranei del mondo. L’intuizione venne al professore Antonino Zichichi: i 1.400 m di roccia che sovrastano i Laboratori costituiscono infatti una copertura tale da ridurre il flusso dei raggi cosmici di un fattore un milione; inoltre, il flusso di neutroni è migliaia di volte inferiore rispetto alla superficie grazie alla minima percentuale di uranio e torio nella roccia dolomitica della montagna. Situati L’Aquila e Teramo, a circa 120 chilometri da Roma, sono utilizzati come struttura a livello mondiale da scienziati provenienti da 22 paesi diversi. Al momento ci sono circa 750 persone impegnate in circa 15 esperimenti in diverse fasi di realizzazione.

Gran Sasso: tutti gli incidenti della storia. Dal XVI secolo alla tragedia dell'hotel Rigopiano. Le sciagure all'ombra della montagna, dovute al clima, alla guerra, all'uomo, scrive il 20 gennaio 2017 Edoardo Frittoli su Panorama.  

Nell'inverno 1569 una grande valanga si staccò dalle pendici sopra il passo della Portella. Fu il primo incidente sul Gran Sasso riportato dalle cronache di Francesco De Marchi, ingegnere ed alpinista (fu il primo a compiere la scalata della cima più alta della catena appenninica). Le vittime dell'incidente furono 18, travolte dalla massa nevosa in seguito alle precipitazioni eccezionali di quell'inverno.

È rimasta impressa nella memoria locale la tragedia di Fonte Vetica, sotto il Monte Bolza. Era il 13 ottobre 1919 quando il pastore Pupo Nunzio di Roio fu colto da una improvvisa bufera di neve che anticipò un rigido inverno. Con il pastore morirono i suoi due figli piccoli e la moglie che aveva disperatamente cercato di raggiungerli e che non aveva retto al dolore. Nella tormenta persero la vita anche 5.000 pecore tra gli alpeggi del Gran Sasso.

Dieci anni dopo, nel 1929, fu la volta di due studenti alpinisti rimasti bloccati dalle avverse condizioni meteorologiche. Mario Cambi ed Emilio Cichetti rimasero isolati all'interno del rifugio Garibaldi, senza che i soccorritori potessero raggiungerlo. Cicchetti morì nel tentativo di raggiungere il paese di Pietracamela quando era a meno di 3 km dall'abitato. Nel 1942 la famosa guida ampezzana Ignazio di Bona fu travolto dalla valanga nel tentativo di soccorrere alcuni sciatori rimasti bloccati nella neve.

Venne la guerra ed il Gran Sasso fu teatro della liberazione di Benito Mussolini da parte dei parà tedeschi di Otto Skorzeny. Durante l'azione nota come "Operazione Quercia" furono uccisi il carabiniere Giovanni Natali e la guardia forestale Pasqualino Vitocco, oltre a diversi feriti tedeschi causati dallo schianto di uno degli alianti atterrati a Campo Imperatore.

Passano pochi giorni dalla liberazione di Mussolini quando le pendici del Gran Sasso echeggiano il rombo assordante dei B-25 dell'Usaaf. Il loro obiettivo sono gli snodi ferroviari de L'Aquila. Dalle pance dei bombardieri piovono le bombe che generano una tragedia nella tragedia. I convogli colpiti dagli ordigni trasportavano prigionieri alleati e italiani, tra cui alcune tra le famiglie deportate dal ghetto di Roma. Muoiono oltre 200 persone.

Il 15 settembre 1970, durante gli scavi per la costruzione del traforo del Gran Sasso, la "talpa" scavatrice provocò la foratura di un serbatoio sotterraneo naturale d'acqua. La pressione altissima provoca l'allagamento di parte dell'abitato di Assergi. 

Il 16 agosto 2002 un altro incidente generato dall'opera dell'uomo: dai Laboratori dell'INFN nelle viscere del Gran Sasso fuoriescono da un recipiente 50 litri di trimetilbenzene causando l'inquinamento della falda acquifera a valle del massiccio.

Tragedia Rigopiano, il pm: «Prefettura e Regione? Non ci sono condotte penalmente rilevanti». Lacchetta: «non sono un omicida», scrive il 28 Aprile 2017 "Prima Da Noi". Se tra gli indagati non compaiono persone fisiche, dipendenti o rappresentanti della Prefettura o della Regione Abruzzo, la spiegazione è che allo stato delle indagini non abbiamo individuato condotte di singole persone fisiche che sembrano penalmente rilevanti in relazione alle ipotesi di reato di cui oggi parliamo, cioè omicidio colposo e lesioni colpose». Lo ha detto il procuratore aggiunto della Repubblica di Pescara, Cristina Tedeschini, a proposito dell'inchiesta relativa alla tragedia dell'Hotel Rigopiano in cui il 18 gennaio scorso hanno perso la vita 29 persone. Nella vicenda sono indagate sei persone tra cui il presidente della Provincia di Pescara, Antonio Di Marco, il sindaco di Farindola, Ilario Lacchetta, e Bruno Di Tommaso, gestore dell'albergo e amministratore e legale responsabile della società "Gran Sasso Resort & SPA". Gli indagati sono accusati di omicidio e lesioni colpose e di rimozione od omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro. Alcuni parenti delle vittime hanno contestato nelle ultime ore come non ci siano indagati tra Regione e Prefettura. «La società civile discute», ha detto ancora il magistrato, «confronta le sue idee, ha i suoi dolori e i suoi problemi, ci sono bambini orfani e ci dispiace, perché questo è un disastro, ma noi facciamo il nostro lavoro, stiamo zitti e dobbiamo parlare solo con gli atti giudiziari».

NO PRECESSO AD ENTI. «La procura - ha aggiunto - non fa il processo agli enti, ma fa le indagini sui comportamenti di persone fisiche. Quando si chiede dove sono la Regione o la Prefettura, sono questioni che chiamano in causa riflessioni diverse dalle nostre. I piani di valutazione sono tanti e il mio piano di valutazione e' quello del penale, io non faccio responsabilità civile, non faccio responsabilità disciplinari e soprattutto non faccio responsabilità politica». In particolare, relativamente al comportamento della Prefettura, ha detto: «La mia indagine non mi ha portato lì. La mia indagine, che verte sulla ricostruzione dei fatti, sul capire chi doveva fare che cosa, chi stava dove e chi sapeva cosa, oggi mi porta su quelle sei persone fisiche».

«VOGLIAMO I NOMI PIU’ PESANTI». «Il sindaco Ilario Lacchetta e il direttore del resort di Rigopiano Bruno Di Tommaso sono pesci piccoli. Vogliamo prendercela con loro? Ok, va bene, ma non sono quelli che hanno causato il disastro. Non può essere Lacchetta il capro espiatorio. Nella lista mancano i nomi più pesanti come il presidente della Regione Luciano D'Alfonso e il prefetto Francesco Provolo. Mancano quelli che riteniamo i principali responsabili. Hanno abbandonato il territorio e l'hotel», ha detto al Messaggero Gianluca Tanda, fratello di una delle vittime della tragedia dell'hotel Rigopiano e portavoce del comitato vittime. «L'albergo andava evacuato», sottolinea. «Ora mi aspetto che, chi ha causato tutto questo, liberi la poltrona. Non lo dico alla luce degli avvisi di garanzia, ma per l'incompetenza dimostrata». Parla di incompetenza anche Simona Di Carlo, familiare di altre due vittime, intervistata da Repubblica. «Maggiore è l'incompetenza a ricoprire il tuo ruolo, maggiori i rischi che puoi procurare alle persone. Ed è ciò che è accaduto», dice. «La procura ha individuato molto bene la strada, sì. E ora spero allarghi la lista». Sentito dalla Stampa invece Giampiero Parete, il primo a lanciare l'allarme dopo la slavina. «Chi ha sbagliato deve pagare, comunque non sarò io ad emettere la sentenza al posto dei giudici», dice.

C’E’ UN ALTRO FILONE. Intanto la procura lavora anche su un altro filone dell'inchiesta, quello relativo al crollo, che riguarda l'iter autorizzativo e la realizzazione della struttura. «Questo filone di indagine si colloca in un tempo diverso rispetto ai decessi e andrà a cercare i nomi di persone lontane nel tempo - spiega il magistrato Tedeschini- Il crollo è avvenuto adesso e occorrerà andare a ricercare condotte colpose di chi, insieme naturalmente a una valanga, ha concorso a cagionare il crollo di un edificio, ovvero di chi ha preso le decisioni di realizzare quella struttura, del progettista, del geologo che forse doveva fare un esame del terreno».

LACCHETTA: «NON MI SENTO OMICIDA». «Non mi sento un omicida. Le accuse pesano sulla coscienza e proprio per questo sto lavorando con i miei legali perché voglio dimostrare la mia innocenza», commenta intanto il sindaco di Farindola, Ilario Lacchetta, indagato. «Rifarei tutto quello che ho fatto. In piena emergenza ho gestito la situazione con tutte le mie forze e anche di più. Se avessi avuto la sfera di cristallo non staremmo qui a parlarne» ha aggiunto il sindaco, a margine di un convegno sulla sicurezza sul lavoro organizzato a Farindola da Confindustria Chieti-Pescara, ricordando che tutta la zona era coperta da metri di neve e che «c'erano persone, anziani, bambini e disabili bloccati in casa», mentre «l'albergo non era un'emergenza specifica, ma rientrava nell'emergenza complessiva». «Il fatto di essere indagato - ha proseguito - ha il valore procedurale di un atto dovuto per il ruolo che ricopro. È anche una garanzia per me che mi consentirà di dimostrare la mia innocenza. È giusto che gli inquirenti facciano le dovute indagini e che emerga la verità su questa tragedia. Mi aspettavo da mesi l'avviso di garanzia e ora è arrivato. Penso di aver fatto tutto quello che potevo fare - ha concluso - e insieme con i miei legali ricostruirò tutto il mio operato».

«LA VALANGA ERA PREVEDIBILE». «Sulla prevedibilità dell'evento valanghe sembrano confluire tante fonti di prova», ha detto ancora Tedeschini. «Se oggi fossimo arrivati alla conclusione che la valanga non era prevedibile - aggiunge Tedeschini - l'inchiesta l'avremmo chiusa, perchè l'evento imprevedibile, in base al codice, interrompe ogni nesso causale e a quel punto qualunque sciocchezza fosse stata commessa, sul piano penale sarebbe andata in archivio».

Rigopiano, il sopravvissuto affronta la funzionaria che non diede l’allarme: «Io disabile per colpa sua». Giampaolo Matrone contro chi non diede l’allarme, scrive Virginia Piccolillo il 19 ottobre 2017 su "Il Corriere della Sera". «Sono Matrone Giampaolo. Non vittima di Rigopiano. Forse vittima per colpa sua. Lei è la signora che ha risposto al telefono. E che non ha dato subito l’allarme. E ha detto che aveva cose più importanti da seguire. Ed ecco la mia situazione. Ho una mano fuori uso. Lei sta continuando a lavorare qui. A prendere lo stipendio. Io invece ho una figlia e per colpa sua non lavoro più». Sono drammatiche le immagini del blitz, di Giampaolo Matrone, compiuto giovedì mattina nella prefettura di Pescara. Alla funzionaria che non ha valutato da subito la gravità dell’appello lanciato da Quintino Marcella, dando priorità ad altre emergenze, Matrone, senza gridare, ma con determinazione, ha portato di persona la protesta dei familiari delle vittime dell’Hotel che chiedono subito l’individuazione di «colpevoli». La funzionaria ha provato a dire qualcosa: «Allora...». Ma di fronte all’incalzare delle accuse di Matrone la donna è corsa via piangendo. «Non sono venuto con la pistola. Volevo solo che mi allacciasse le scarpe. Non posso farlo più», ha spiegato Matrone. E poi ha commentato: «Sono contento perché per la prima volta, dopo tutte le nostre lacrime, ho visto uno dei responsabili versare qualche lacrima».

Il dolore e la rabbia dopo Rigopiano, scrive Maria Teresa Camarda su "Live Sicilia" il 20 ottobre 2017. Il blitz di uno dei sopravvissuti dalla dipendente della Prefettura di Pescara che non avrebbe lanciato l'allarme in tempo. "Se fossero arrivati dieci ore prima io non avrei perso un braccio e una gamba". C'è tutta la disperazione di un sopravvissuto della tragedia dell'Hotel Rigopiano nelle parole di Giampaolo Matrone, rimasto sepolto sotto le macerie dell'albergo, con la moglie morta accanto. Oggi, rimasto senza lavoro, vedovo e con una figlia piccola da accudire, cerca giustizia e nelle lungaggini dei processi italiani, va a cercarla dove gli sembra più facile trovarla. Alla Prefettura di Pescara, dove lavora la donna che, stando alle indagini, ricevuta la telefonata di allarma dall'hotel avrebbe tardato a mandare i soccorsi, dando priorità a qualcos'altro. "Lei è la signora che ha risposto al telefono. E che non ha dato subito l’allarme. E ha detto che aveva cose più importanti da seguire. Ed ecco la mia situazione. Ho una mano fuori uso. Lei sta continuando a lavorare qui. A prendere lo stipendio. Io invece ho una figlia e per colpa sua non lavoro più", la incalza Matrone durante il "blitz" nella sua stanza, accompagnato da un amico con la telecamera. La funzionaria ha provato a dire qualcosa, Ma di fronte all’incalzare delle accuse di Matrone la donna è corsa via piangendo. "Non sono venuto con la pistola. Volevo solo che mi allacciasse le scarpe. Non posso farlo più".

Rigopiano: Matrone in Prefettura: «chiedetemi scusa, io invalido e mia moglie morta». Sit in dei parenti delle vittime in Procura, scrive il 19 Ottobre 2017 "Prima Da Noi". «Non è colpa mia», ed è scappata sotto shock. E' la reazione della funzionaria della prefettura di Pescara, che il 18 gennaio scorso non credette alle prime richieste d'aiuto arrivate via telefono dal cuoco Quintino Marcella per segnalare la tragedia avvenuta a Rigopiano, al blitz compiuto stamani in prefettura dal superstite Giampaolo Matrone, dai familiari delle vittime Gianluca Tanda e Marco Foresta. «Le ho fatto vedere in che condizioni e' la mia mano e le ho detto che mi ha rovinato la vita, visto che mia figlia non ha più la mamma - ha detto Matrone ai cronisti -. Sono contento perchè per la prima volta, dopo tutte le nostre lacrime, ho visto uno dei responsabili versare qualche lacrima».  «Sarà impossibile fare pace con le istituzioni, perché sappiamo tutti che non è stata colpa della natura, ma di un errore umano, a partire dalla centralinista che ha risposto alle prime richieste di aiuto per arrivare a chi governa questa regione e questo Paese», ha detto Gianluca Tanda, del "Comitato vittime di Rigopiano", nel corso della manifestazione davanti alla Procura di Pescara, per chiedere «risposte» e «giustizia», a nove mesi dalla tragedia che li ha colpiti. Molti i familiari delle vittime che indossano magliette bianche con le scritte "29 angeli" e "Hotel Rigopiano". Esposti inoltre diversi striscioni, tra i quali uno che recita: "I nostri angeli meritano giustizia. Noi la chiediamo per loro". «Qui si giustificano con i tagli - ha proseguito Tanda -. Ma se non hai i soldi chiudi la strada e fai andare via le persone dall'albergo».  Tanda ha detto che il «comitato si aspetta risposte, visto che la situazione è la stessa di nove mesi fa e non ci sono stati rapporti con le istituzioni». «Ci aspettiamo che qualcuno ci dica a che punto siamo su questa vicenda. L'ultimo rapporto che abbiamo avuto con le autorità risale al giorno in cui ci hanno riconsegnato le salme dei nostri familiari», ha detto invece Marco Foresta, un altro dei familiari. Nel frattempo i legali hanno incontrato il procuratore capo della Repubblica di Pescara Massimiliano Serpi, e il sostituto procuratore Andrea Papalia, per fare il punto della situazione sullo stato delle indagini. Foresta, che nella tragedia ha perso entrambi i genitori, ha sottolineato che «è importante per tutti noi arrivare alla ricostruzione della verità. Quello che ci fa arrabbiare è che nessuna autorità ci abbia chiesto come stiamo e se abbiamo dei problemi. Dopo nove mesi abbiamo le stesse incertezze di quei giorni». «I nostri legali - ha aggiunto - sono entrati a parlare con i procuratori. Non sappiamo cosa verrà detto e se verrà detto qualcosa, visto che ci sono le indagini in corso. Al momento non abbiamo speranza». Nella vicenda sono indagati il sindaco di Farindola Ilario Lacchetta, il tecnico comunale Enrico Colangeli, il presidente della Provincia di Pescara Antonio Di Marco, Bruno Di Tommaso, gestore dell'albergo e amministratore e legale responsabile della società "Gran Sasso Resort & SPA", Paolo D'Incecco e Mauro Di Blasio, rispettivamente dirigente e responsabile del servizio di viabilità della Provincia di Pescara. Le ipotesi di reato sono omicidio e lesioni colpose e rimozione od omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro. 

Rigopiano, protestò per la gestione emergenza: superstite invalido segnalato dal prefetto alla Procura. Lui: “Atto vile”. Giampaolo Matrone è sopravvissuto alla tragedia in Abruzzo in cui persero la vita 29 persone, tra le quali la moglie. E' stato segnalato dopo la sua incursione in prefettura lo scorso gennaio: voleva chiedere spiegazioni alla funzionaria che ricevette la prima chiamata d'allarme e la snobbò, scrive "Il Fatto Quotidiano" il 2 novembre 2017. Giampaolo Matrone è un superstite della tragedia dell’hotel Rigopiano. Nell’incidente ha perso la moglie ed è rimasto invalido, non muove più la mano destra e cammina a fatica. Adesso il prefetto di Pescara, Francesco Provolo, lo ha segnalato alla Procura. “Un atto vile, rido per non piangere”. Il prefetto contesta a Matrone di “aver destabilizzato l’ambiente e i funzionari” della prefettura quando il 18 gennaio Matrone si presentò al palazzo prefettizio per chiedere chiarimenti alla funzionaria che prese la telefonata di Quintino Marcella, il primo a lanciare l’allarme. “È successa una cosa molto grave, dovete mandare un elicottero”. Ma non era stato creduto. La macchina dei soccorsi si attivò soltanto due ore e mezza più tardi. Un cortocircuito che Matrone ha denunciato dopo aver ricevuto la nota del prefetto: “Ci si aspetterebbe che l’istituzione che rappresenta lo Stato nel territorio spieghi il proprio operato ai cittadini, mentre qui si arriva al punto che chi chiede spiegazioni rischia di essere segnalato alla magistratura”. La lettera, secondo il sopravvissuto, somiglia più che a una segnalazione a un “invito ai magistrati ad aprire un procedimento per l’accaduto, sarebbe qualcosa di davvero clamoroso”. Una scelta che è motivata soltanto dalla “paura delle indagini”. “Se hanno assunto questa iniziativa – continua Matrone – significa che hanno paura delle indagini. I regolamenti individuano nel prefetto il cardine della struttura di comando in caso di calamità naturale. A lui spetterebbe anche l’attuazione del Piano d’intervento della protezione civile, documento che a quanto pare fantasma in prefettura. Più che adoperarsi per sterili iniziative contro la mia persona – conclude Matrone – Gli consiglierei di dimostrare la sua non imputabilità oggettiva sotto questo ed altri aspetti”.

Rigopiano, prima di lasciare il prefetto Provolo denuncia Matrone per l’incursione. Probabile l’apertura di un fascicolo per violenza privata, scrive il 2 Novembre 2017 "Prima Da Noi". Tecnicamente una lettera (non un esposto) indirizzata al procuratore della repubblica di Pescara, Massimiliano Serpi, per informarlo sull’accaduto. E l’accaduto è l’incursione di Giampaolo Matrone nell’ufficio della funzionaria della Prefettura che il 17 gennaio 2017 rispose alla richiesta di aiuto di Quintino Marcella ma non credette all’uomo sottovalutando le informazioni fornite. I soccorsi, anche per questa ragione, partirono in ritardo. Matrone così alcuni giorni fa, munito di cellulare, ha filmato l’incontro con la funzionaria che è scappata poi in lacrime. Il prefetto Francesco Provolo ha preso carta e penna ed inviato una lettera al procuratore probabilmente con la speranza che un fascicolo a carico del superstite della strage di Rigopiano venga aperto (altrimenti avrebbe utilizzato altre forme…). Tra le cose scritte nella lettera anche la notizia che un provvedimento disciplinare sia stato già avviato a carico della donna. Il prefetto parla di in gesto inaccettabile non solo per i modi e il contenuto, ma anche per la diffusione mediatica che se n’è poi data attraverso il sito del Centro. Un video durato una manciata di minuti e riproposto da altri siti e tg nazionali. «È lei la signora che ha risposto al telefono, e che ha lasciato correre e che non ha dato l’allarme, perché aveva cose più importanti da seguire invece dell’albergo che era crollato? Le persone morte non si sarebbero salvate, ma se i soccorsi fossero arrivati prima, io non avrei perso l’uso della gamba e della mano», le ha rinfacciato Matrone. Sarà forse uno degli ultimi atti del prefetto Provolo a Pescara in quanto per lui è già stato deciso il trasferimento a Roma, all’ufficio centrale ispettivo del dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile con le funzioni di direttore dell’ufficio centrale. Insomma una promozione importante ed una scalata nella gerarchia nell’ambito proprio del «soccorso pubblico e della difesa civile» cioè il campo in cui la prefettura è pesantemente sotto assedio per la vicenda di Rigopiano e per vari aspetti che riguardano la prevenzione ed i soccorsi successivi. Una notizia che arriva quando la procura non ha ancora terminato le indagini per omicidio colposo e a meno di un anno dai fatti. «Un atto vile», ha commentato Giampaolo Matrone la nota che il Prefetto, «anche perché, a prescindere dalle responsabilità che saranno accertate, ci si aspetterebbe che l'istituzione che rappresenta lo Stato nel territorio spieghi il proprio operato ai cittadini, mentre qui si arriva al punto che chi le domanda, queste spiegazioni, rischia di essere segnalato alla magistratura.  Ci rido sopra, per non piangere – spiega Matrone – Secondo il prefetto avrei destabilizzato l'ambiente e i funzionari, che sono stressati per quanto successo. E io? Sono rimasto sepolto per oltre sessanta ore sotto le macerie, ho perso mia moglie, sono rimasto invalido: non posso più usare la mano destra e cammino a fatica. E sono nove mesi che mi batto per le vittime, per avere giustizia, tra mille ostacoli, come questo. Io no, non sono stressato.  Più che adoperarsi per sterili iniziative contro la mia persona, gli consiglierei di dimostrare la sua non imputabilità oggettiva sotto questo ed altri aspetti. Solo inutili allarmismi e interventi che lasciano l'amaro in bocca al pensare che, se si fosse agito con coscienza e carattere quel 17 gennaio 2017, anziché adesso, forse ci sarebbero stati 29 morti in meno, un invalido in meno e tantissime coscienze pulite. Invece, purtroppo, ci si veste anche di prepotenza e di saccenza, ed è questo, forse, che mi spinge a non arrendermi, né ora né mai». «Il nostro assistito non ha commesso alcun reato, non ha aggredito nessuno e non è stato in alcun modo offensivo nei confronti della funzionaria della Prefettura», spiega Ermes Trovò, Presidente di Studio 3A, la società specializzata nella valutazione delle responsabilità in ogni tipologia di sinistro, «le ha solo chiesto spiegazioni sul modo in cui ha gestito la vicenda, spiegazioni che riteniamo siano dovute ad una persona che ha pagato un prezzo così alto nella tragedia ma anche a tutta l'opinione pubblica: quel giorno a chiedere conto con lui c'era tutta l'Italia, ha agito come avrebbe fatto qualsiasi cittadino italiano. Ci auguriamo si sia trattato solo di un malinteso, perché crediamo che il Prefetto e i suoi funzionari abbiano altre cose a cui pensare su Rigopiano e vogliamo sperare che non mirino all'apertura di un fascicolo penale nei confronti di Giampaolo Matrone: dopo tutto quello che ha patito, sarebbe veramente il colmo».  Ora per le modalità e le contingenze la procura potrebbe aprire un nuovo fascicolo a carico di Matrone per reati che potrebbero essere quello di violenza privata, diffamazione o altro che si riterrà opportuno. La cosa comunque rimarrebbe del tutto distinta dall’altra indagine principale sul disastro anche se l’iniziativa del prefetto non mancherà di scatenare reazioni a catena e forse si trasformerà in un pericoloso boomerang.

Inchiesta Rigopiano, «superficialità e omissioni»: tutte le risposte che mancano sulla prefettura. L’errore del prefetto Provolo fu negato dal viceministro Bubbico che parlò di fraintendimento dei familiari, scrive l'8 Maggio 2017 "Prima Da Noi". «La circostanza che il Prefetto di Pescara non figuri tra gli indagati per la morte di quelle 29 persone può solo significare che il dottor Provolo, a differenza di tutti gli altri, abbia agito in maniera impeccabile, attivandosi con ogni mezzo e ponendo in essere ogni attività necessaria per evitare quanto accaduto. Poiché questa difesa non ritiene che ciò sia avvenuto, è evidente che le indagini sull’operato del Prefetto di Pescara non siano state approfondite o, in alternativa, che le determinazioni della Procura in ordine alla sua iscrizione nel registro degli indagati vadano riviste». Si conclude così una delle memorie a firma dell’avvocato Camillo Graziano, legale della famiglia Feniello, che in questi mesi ha depositato diverse sollecitazione su vari aspetti della tragedia per richiedere accertamenti su quanto fatto prima, durante e dopo la valanga che il 18 gennaio 2017 ha spazzato l’hotel Rigopiano con 40 persone rimaste in ostaggio a causa della neve abbondante e della strada bloccata. L’avvocato Graziano ha chiesto risposte ad una serie di domande dopo aver elencato nel dettaglio tutti gli obblighi di protezione civile che le normative pongono in capo al prefetto in caso di calamità o emergenze. Dunque secondo la procura quali delle tre opzioni è quella giusta?

La procura ritiene dopo gli accertamenti effettuati che il prefetto si è comportato in maniera impeccabile ed ha assolto a tutti gli obblighi;

Le indagini non sono state particolarmente approfondite al riguardo e dunque servono approfondimenti;

Le valutazioni effettuate dalla procura in prima battuta comunque vanno riviste.

La sensazione è che qualcosa non torni nonostante le parole chiare, perentorie e quasi scolpite nella pietra, dal procuratore Cristina Tedeschini che ha lasciato il suo incarico per la procura di Pesaro poco dopo l’annuncio dei nomi degli indagati. Nel primo incontro con la stampa il 25 gennaio Tedeschini non parlò del ruolo della prefettura nella tragedia. Il 28 aprile dopo le domande di Alessio Feniello sul perchè tra gli indagati non vi fossero prefetto e presidente della Regione, Tedeschini ha detto che non c’erano elementi a riguardo. Il 3 maggio ancora ha confermato che i soccorsi furono tempestivi ribadendo che non ci sono allo stato elementi utili per inquadrare altri indagati. Alle critiche o alle voci di particolare «timidezza» verso qualcuno Tedeschini ha smentito categoricamente. Rimane per ora sospeso nel vuoto lo strano episodio della doppia acquisizione di atti in prefettura, la prima della quale ebbe esito negativo circa la ricerca del piano di protezione civile della prefettura perchè un vice prefetto disse agli uomini della Squadra Mobile che quel documento non esisteva. Documento che spuntò solo in seguito. La cosa certa è che le indagini proseguono per cui allo stato si può parlare solo di un risultato parziale che con buona probabilità non sarà quello definitivo. Anche perchè alle domande della famiglia Feniello bisogna dare risposte:

quale piano di emergenza era stato predisposto dal Prefetto?

Quali comunicazioni sono state effettuate agli organi regionali e nazionali in ordine al piano di emergenza?

Ed alla luce del necessario coordinamento con la Provincia, era noto al Prefetto che quest’ultimo ente era sprovvisto della turbina, da giorni parcheggiata in officina?

E se era noto, cosa è stato fatto dal Prefetto per sopperire a tale carenza?

Quali comunicazioni sono state effettuate rispetto alla dotazione di mezzi adeguati per la pulizia delle strade delle zone montane?

Il 18 gennaio, poco prima delle 8,00, la Provincia riceveva la richiesta di intervento per la pulizia della strada provinciale che conduceva a Rigopiano. Nell’ottica di un coordinamento tra Provincia e Prefettura, quali sono stati gli interventi effettuati dal Prefetto, previsti dalla legge, a fronte di tale comunicazione?

C’è poi l’altra parte della tragedia, una tragedia aggiuntiva riservata esclusivamente alla famiglia Feniello e causata da «superficialità e dalla incapacità delle autorità», perchè «Stefano è stato ucciso due volte: dalla valanga prima, e dall'incompetenza dopo». Le accuse riguardano l’annuncio dato dal prefetto che il ragazzo fosse vivo e venne incluso nella lista di chi stava per essere recuperato. Il 20 gennaio 2017, venerdì, cominciarono ad arrivare notizie circa il ritrovamento di persone in vita, ma nessuno diede notizie precise ai familiari mentre filtrarono sui giornali (non senza qualche svarione e qualche strigliata da parte del prefetto).

Alle ore 20 del 20 gennaio il prefetto Francesco Provolo ai familiari disse: «siamo riusciti a farli parlare e a farci dire i loro nomi...loro stessi hanno parlato con i soccorritori e hanno detto mi chiamo Tizio, Caio e Sempronio...vi leggiamo i nomi di queste persone che stanno per essere aiutate a uscire». E poi aggiunse: «tutte le notizie che vi vengono date sono per suggestionarvi, non sono vere. Tutte le altre cose cortesemente io vi prego di non credere, vengo io con il Presidente della Regione e il Questore per dirvi la sacrosanta verità. Noi non abbiamo niente da nascondere». Poi fece leggere ad una funzionaria di nome Tiziana la lista:

1) Matrone Giampaolo,

2) Feniello Stefano, 

3) Bronzi Francesca, 

4) Giorgia Galassi, 

5) Edoardo Di Carlo.

Alle 21,40 il Prefetto, incontrò la stampa e disse di aver comunicato ai familiari il ritrovamento di 4 (non più 5!) persone vive. Incalzato circa l'identità di queste persone, il Prefetto incaricò nuovamente la funzionaria della Protezione Civile di leggere i nomi alla stampa, andando subito via. I nomi letti tuttavia erano di nuovo 5.

1) Vincenzo Forti, 

2) Edoardo Di Carlo, 

3) Giorgia Galassi, 

4) Bronzi Francesca, 

5) Matrone Giampaolo.

Il calvario per la famiglia Feniello era solo all’inizio ed i dubbi aumentarono in fretta. Il papà Alessio travolto dall’angoscia condita a dubbi che nessuno sciolse. La mattina del 21 Feniello incrociò nuovamente il prefetto Provolo che viene definito come «scostante» e dice: «mi ricordo di lei, ho già parlato ieri sera, se ho novità ve le vengo a dire!». A quel punto Alessio diede in escandescenza ed i suoi video fecero il giro d’Italia. Sempre la stessa mattina la mamma di Stefano Feniello all’ospedale incrociò anche il sottosegretario alla giustizia Federica Chiavaroli che aveva già conosciuto un giorno prima al palazzetto di Penne. Chiavaroli rassicurò: «non si preoccupi signora, perché suo figlio si trova in un luogo difficile da raggiungere, ma viene comunque nutrito e riscaldato».

«Queste parole, pronunciate da un'alta carica dello Stato, tranquillizzavano l'esponente e i propri familiari, ma in realtà allungavano un'agonia che si sarebbe prolungata fino al 24 gennaio, giorno in cui veniva comunicato che il corpo di Stefano era stato recuperato privo di vita», scrive l’avvocato Graziano nella sua memoria alla Procura. La famiglia chiede chiarezza sull’accaduto, cosa che potrebbe essere certificata ora dal rapporto dei vigili del fuoco sui soccorsi dal quale si potrebbe capire se Stefano Feniello fosse vivo all’arrivo dei soccorritori, come prosumibilmente emergerebbe dalle testimonianze, era già morto. Andrebbero spiegate dunque le ragioni di un errore che -seppure spiacevole- poteva accadere in quei momenti ed il perchè una volta scoperto (secondo alcune testimonianze dopo pochi minuti) nessuno abbia avvertito il dovere morale di rettificare le informazioni date facendo seguire 4 mesi di silenzi.

In quei giorni pieni di tensione e dolore si registrarono veri e propri “strappi” e proteste da parte dei parenti piombati nell’angoscia e senza assistenza. Il governo inviò anche il viceministro Bubbico che spiegò «la grande professionalità dei soccorritori», e assicurò che ai familiari venivano date «informazioni precise», che però c’erano «difetti di comunicazione» e per questo offrì la possibilità alla stampa di inviare una mail per avere informazioni ufficiali. Dopo l’offerta del vice ministro però non seguirono le comunicazioni promesse nè da parte della segreteria di Bubbico nè mai dalla prefettura di Pescara che in quei giorni -almeno a questo quotidiano- non inviò più i comunicati ufficiali. Bubbico spiegò pure che l’incontro con i familiari era «aperto» ricevendo sonore smentite dai giornalisti. La tesi del rappresentante del governo però fu che non erano mai state date notizie sbagliate, che il fraintendimento era dovuto allo «stato di ansia e al dolore dei familiari che andavano compresi», eludendo o non rispondendo alle sollecitazioni di altri giornalisti che richiedevano maggiori dettagli e precisioni sul caso Feniello. Era il 21 gennaio ed oggi quella del vice ministro Bubbico appare come la prima difesa d’ufficio del prefetto Provolo. Nei giorni immediatamente successivi alla tragedia l’interessamento del governo, attraverso Bubbico, è proseguito e non sono mancati contatti e telefonate con le istituzioni locali e colloqui anche con la procura di Pescara.

Hotel Rigopiano. Buco nero prefettura: il mistero del documento non consegnato. Dopo il dolore, misteri e veleni avvolgono l’inchiesta: la paura dei familiari è che i veri responsabili non pagheranno, scrive il 3 Maggio 2017 "Prima Da Noi". «Mi spiace ma questo documento non posso darvelo perchè non esiste». E’ stata più o meno questa la risposta che uno dei dirigenti della prefettura di Pescara ha dato agli uomini della polizia giudiziaria della procura di Pescara che era andata nella sede di Piazza Italia a reperire alcuni documenti ritenuti fondamentali per l’indagine sulla strage dell’hotel Rigopiano. Gli investigatori cercavano documentazione relativa al piano di protezione civile della prefettura, un documento che non solo dovrebbe esistere in ogni prefettura (ma anche ente pubblico territoriale come Comune, Provincia e Regione) ma che dovrebbe essere anche di volta in volta aggiornato. Si tratta di un documento che serve in caso di calamità (anche la caduta di valanghe) e detta linee guida per i soccorsi ed il coordinamento degli enti coinvolti. Si tratta di un documento così importante che la cosa più incredibile che si possa solo ipotizzare è che non esista e che, dunque, non sia mai stato applicato.  Impossibile. Eppure qualcosa di strano sembra essere accaduto alcune settimane fa.

Omicidio hotel Rigopiano: nessuno è Stato. C'è un problema: a chi la procura contesterà reati di omicidio e disastro? La tragedia che ha spezzato 29 vite innocenti è riesplosa dopo che la procura di Pescara, dopo tre mesi, (comunque in anticipo rispetto a quanto si era ipotizzato precedentemente) ha notificato 6 avvisi di garanzia per i reati gravissimi di omicidio colposo e lesioni gravissime giunti tra gli altri al sindaco di Farindola e al presidente della Provincia di Pescara. Ufficialmente si tratta di un primo filone di indagine che il procuratore Cristina Tedeschini (con il collega Andrea Papalia) ha ritenuto di chiudere come ultimo atto da espletare da procuratore facente funzione prima di lasciare Pescara. Forse non è un caso che Alessio Feniello, padre di Stefano - vittima di un “errore di comunicazione” proprio della prefettura - aveva firmato una denuncia alcuni giorni dopo la sciagura chiedendo alla procura di verificare se e come fossero stati attuati i piani di emergenza in materia di protezione civile, piani che anche la prefettura doveva attuare.

Identificato anche Stefano Feniello, il giovane inserito nella lista dei vivi. Sindaco di Valva, «svanisce la speranza di un miracolo». Forse non è un caso che uno scritto anonimo si focalizzi proprio su quella visita della polizia alla ricerca di documenti, e parli di veleni, alimenti dietrologie o presunte linee morbide verso i residenti della prefettura.

HOTEL RIGOPIANO, LA TRAGEDIA MINUTO PER MINUTO. I punti fermi di quella giornata maledetta. Il clima intorno all’indagine si sta surriscaldando e questo alimenta malumori, incomprensioni, dietrologie, complotti e teoremi. Ieri per esempio gli avvocati del sindaco di Farindola Ilario Lacchetta ed il tecnico comunale Enrico Colangeli hanno attaccato frontalmente la procura per aver interrogato gli indagati senza avvocati (presumendo però che lo fossero già a quel tempo…) accusando gli inquirenti di una grave violazione dei diritti costituzionali. E forse anche episodi come quello che stiamo focalizzando contribuiscono a confondere le idee.

LE CARTE NON CI SONO. Quando gli investigatori della Squadra Mobile vanno in prefettura -tra la fine di gennaio e l’inizio di febbraio- cercano il piano di protezione civile della prefettura, tecnicamente sono impegnati in una acquisizione di atti e non una perquisizione, ed è qui che un vice prefetto risponde alla richiesta che quell’atto non esiste, non c’è, non si riesce a trovare, dunque, non può consegnarlo. Eppure secondo la denuncia di Feniello almeno tre leggi pongono obblighi precisi in materia: la legge 225 del 1992, la legge 112 del 1998, la 100 del 2012 che ha riformato il sistema di protezione civile. Nelle norme vengono riportati gli obblighi precisi in capo al prefetto  il quale «predispone il piano per fronteggiare l'emergenza su tutto il territorio della provincia e ne cura l'attuazione», «assume, coordinandosi con il presidente della giunta regionale, la direzione unitaria dei servizi di emergenza da attivare a livello provinciale, coordinandoli con gli interventi dei sindaci dei comuni interessati» «adotta tutti i provvedimenti necessari ad assicurare i primi soccorsi» «vigila sull'attuazione, da parte delle strutture provinciali di protezione civile, dei servizi urgenti, anche di natura tecnica». Ma gli adempimenti previsti sono molteplici e per certi versi stratificati nel tempo.

LE CARTE SPUNTANO FUORI. Proprio per questo l’inesistenza degli atti richiesti relativi proprio al piano di protezione civile della prefettura (da attuare anche prima e dopo l’emergenza di Rigopiano) evidentemente non convince qualcuno tra investigatori dei carabinieri-forestali e procura perchè la cosa è a dir poco anomala. E’ per questo che c’è bisogno di una seconda visita in prefettura da parte dei carabinieri-forestali e diverse ore di tempo per ricercare negli archivi il piano di protezione civile datato 1993, tanto vecchio da essere stato perso di vista anche perchè non sarebbe mai stato nè aggiornato, nè adeguato e, vista l’amnesia, nemmeno applicato. Una vicenda che getta l’ennesima ombra su un’altra parte delle istituzioni, in questo caso la prefettura, che ha avuto l’onere e la responsabilità di coordinare tutti gli interventi di soccorso dopo la tragedia e che, secondo le norme, ha diversi obblighi anche nelle fasi precedenti la dichiarazione di emergenza. E’ allora possibile che vi sia stata una negligenza tale da parte di un ente per così tanti anni da non essere stata ravvisata da nessuno? Quello che però è certo è che questa vicenda è accaduta diverse settimane prima della notifica degli avvisi di garanzia e l’episodio -di certo non trascurabile- dovrebbe pur essere riscontrabile nei vari rapporti delle forze di polizia giudiziaria. Se così è, allora, risulta difficile comprendere il perchè tra gli indagati non vi siano anche esponenti della prefettura (proprio come aveva chiesto Feniello dopo 10 minuti dal lancio Ansa che annunciava gli avvisi di garanzia). Se è così si capisce da dove nascono le ipotesi “complottistiche” dell’anonimo estensore anche perchè le parole del procuratore Cristina Tedeschini sono state molto chiaramente (proprio per rispondere indirettamente a Feniello) «Prefettura e Regione? Non ci sono condotte penalmente rilevanti». Anzi ha precisato: «Se tra gli indagati non compaiono persone fisiche, dipendenti o rappresentanti della Prefettura o della Regione Abruzzo, la spiegazione è che allo stato delle indagini non abbiamo individuato condotte di singole persone fisiche che sembrano penalmente rilevanti in relazione alle ipotesi di reato di cui oggi parliamo, cioè omicidio colposo e lesioni colpose».

LE INDAGINI PROSEGUONO: SI DELINEANO I CONTORNI. Le indagini, però, non sono terminate ed è probabile che si stiano compiendo ancora tutta una serie di verifiche anche sui precisi obblighi del piano del 1993 per cercare di escludere l’ennesima valanga di omissioni colossali da parte di un ente pubblico. Inoltre si attendono i risultati dei periti che costituiscono forse oltre il 70% di tutto il lavoro investigativo il cui peso specifico è enorme e in grado di orientare le indagini e indicare responsabilità o dissolverle. Si attendono le perizie dell’anatomopatologo che spieghi come e quando le vittime sono morte con certezza anche se nei giorni scorsi si sono registrate già dichiarazioni ufficiali circa la morte improvvisa quasi per tutti. Oggi sappiamo che una delle vittime è rimasta in vita per almeno 40 ore, poi il suo cellulare si è spento definitivamente ma non abbiamo prove di quanto tempo ancora la donna abbia potuto resistere prima di essere ritrovata cadavere. E ci sarebbe almeno un’altra persona che potrebbe essere rimasta viva per ore: gli investigatori lo avrebbero sospettato, scandagliando il telefono recuperato e a confermarlo ci sarebbe anche il risultato autoptico. Si attendono gli esiti dei periti tecnici sulle eventuali difformità o irregolarità procedurali autorizzative dell’albergo spazzato via dalla valanga. Gli accertamenti tecnici sarebbero ancora in corso così come i periti impegnati sul fronte della prevedibilità della valanga, delle autorizzazioni alla struttura alberghiera. Su questo versante è già emerso, per esempio, che uno degli indagati Enrico Colangeli, risulta essere il dirigente che ha rilasciato il permesso di costruire all’Hotel Rigopiano, che è stato membro attivo almeno dal 1999 della commissione comunale valanghe di Farindola non più convocata dal 2005 e che sia anche redattore del piano di emergenza comunale dove non compare da nessuna parte alcun rischio valanghe. Una stranezza che andrà chiarita se è vero che il piano provinciale fino al 2015 prevedeva un rischio specifico di valanghe proprio a Rigopiano.

Rigopiano e rischio valanghe, le carte dimenticate che inchiodano il Comune di Farindola. Nel 1996 il sindaco De Vico voleva un nuovo Prg perchè quello vigente del 1987 era troppo vecchio. Ma..., scrive l'11 Settembre 2017 "Prima Da Noi". Una valanga si abbatte sull’hotel Rigopiano e ammazza 29 persone. «Evento naturale e imprevedibile» si dirà subito. Ma anche per molto tempo ancora la tesi sarà sostenuta per tentare di neutralizzare qualche responsabilità. La verità che emerge dalle carte è un’altra e racconta una storia molto diversa fatta di inerzia (chissà se colposa o dolosa) e di scelte amministrative incomprensibili le quali sembrano concorrere affinchè la tragedia del 18 gennaio 2017 si compia. La prima nota dolente è che queste carte sono tutte ben custodite negli archivi del Comune di Farindola, magari troppo impolverate, almeno fino a quando non sono arrivati i carabinieri forestali a sequestrarle per portarle in procura a Pescara. Carte che raccontano come nel 1996 la maggioranza guidata dal sindaco Antonio De Vico -l’uomo forte di Farindola per essere stato più volte primo cittadino e aver ricoperto vari incarichi politici per oltre 25 anni- decide che l’allora Piano regolatore non era più utile e doveva essere cambiato. Il Consiglio comunale vota la delibera il 5 luglio 1996 spiegando che il prg vigente, cioè quello del 1987 «non è più rispondente alle esigenze del territorio». Il punto è che il Piano regolatore oggi vigente a Farindola è quello del... 1987. In pratica venti anni non sono bastati per terminare quella procedura avviata nel 1996 spendendo anche molti soldi a fronte di un bel nulla. La giunta De Vico, infatti, incarica tecnici che devono tra le altre cose predisporre le varie relazioni preparatorie. L’avvocato Camillo Graziano che assiste la famiglia di Stefano Feniello, morto nella tragedia, in questi mesi ha lavorato molto svolgendo approfondite indagini difensive e passando ore negli archivi, facendo scoperte interessanti che saranno valutate anche dalla procura di Pescara e dagli investigatori dei carabinieri forestali che si avviano a chiudere formalmente l’inchiesta. In uno degli ultimi esposti (ne ha presentati una decina) l’avvocato Graziano deposita la delibera del 5 luglio 1996 con la quale il Consiglio comunale di Farindola votava di affidare ad un professionista l'incarico per la redazione del Piano Regolatore Generale: spesa preventivata di 60 milioni di lire oltre contributo integrativo ed IVA e veniva approvato uno schema di convenzione. Con delibera n. 324 del 4.9.1996 la Giunta Municipale del Comune di Farindola affidava l'incarico alla progettazione del P.R.G. all'Ingegner Marcello Romanelli. Con missiva del 31.12.1996 indirizzata al Sindaco del Comune di Farindola, con oggetto: “redazione progetto di P.R.G. - Reperimento documentazione di base”, il tecnico incaricato chiedeva l'autorizzazione ad affrontare spese per 16.400.000 lire IVA inclusa; buona parte di tali somme sarebbero state destinate alle «indagini geologiche, idrogeologiche e relativa relazione geologica», come si legge al punto 5 della missiva. Autorizzazione concessa con deliberazione della Giunta approvata lo stesso 31.12.1996. Il tecnico Romanellli con una missiva protocollata l'1.12.2001, chiedeva la liquidazione del rimborso per le spese sostenute per l’incarico svolto. Con determinazione n. 87 del 17.4.2002, il Responsabile del servizio tecnico, geometra Enrico Colangeli, determinava il rimborso per complessivi 3.615,20 euro in favore del tecnico Romanelli. Colangeli è indagato nell’inchiesta per omicidio colposo - insieme all’attuale sindaco Ilario Lacchetta-  che di fatto autorizza il pagamento per la redazione di una relazione geologica all’interno della quale si spiega come anche la zona di Rigopiano sia a rischio valanghe. Infatti dalla relazione geologica redatta dal geologo Angelo Iezzi realizzata e consegnata entro la fine del 2001 si evince chiaramente analizzando con attenzione una delle mappe allegate dove si indicano come a rischio i pendii delle montagne che sovrastano l’hotel. L’avvocato della famiglia Feniello sulla scorta della documentazione reperita ha chiesto alla procura di verificare e capire se per caso queste carte non avessero dovuto avere un ruolo nel 2006 quando la società Del Rosso chiese il permesso di ristrutturare. La tesi dell’avvocato è: se il rischio valanghe in quella zona viene individuata in maniera certa, ufficiale e professionale, se il documento viene protocollato al Comune, se questo documento serve per redigere uno strumento urbanistico, forse non si poteva autorizzare la ristrutturazione e l’ampliamento della struttura esistente perchè il rischio valanghe era certificato. Invece nulla e fu come quelle carte non fossero esistite anche se quella documentazione in realtà fu trasmessa dallo stesso geometra Enrico Colangeli all’Ufficio del Genio Civile della Regione Abruzzo, e per conoscenza al Sindaco, in data 11.11.2013 e il 25.5.2014 a seguito di richiesta di integrazione documentale. Era infatti il Suap della Regione che autorizzò l’ampliamento ed il centro benessere con una procedura che di fatto quasi non investì il Comune.

TROPPE INCONGRUENZE AMMINISTRATIVE. Alla luce delle nuove scoperte ci sarebbero allora troppe incongruenze -secondo la tesi dell’avvocato Graziano- tutte correlate ai fatti finiti nell’inchiesta, incongruenze che chiede di chiarire e accertare con le indagini (altre incongruenze erano già emerse e segnalate in un esposto del Forum H20). Una di questa per esempio è capire perchè nel 1996 si potè avviare un iter per aggiornare un prg ormai vecchio e dopo 20 anni non si è ancora riusciti a farlo. Perchè questo ritardo, perchè gli amministratori hanno abbandonato l’idea? Le relazioni tecniche vennero inoltre consegnate dopo quasi 5 anni dall’incarico nonostante la convenzione stabilisse tempi perentori diversi. Di chi è la responsabilità di questi ritardi e chi non ha preteso il rispetto dei tempi e perchè? «Secondo i tempi previsti in convenzione, nell'anno 2006 il nuovo P.R.G. avrebbe già dovuto essere operativo», scrive nell’esposto l’avvocato Graziano, «e, alla luce di quanto doverosamente contenuto in esso, quel progetto non sarebbe mai stato approvato, proprio perché la struttura insisteva in una zona a rischio valanghe». Tra le altre cose la convenzione stabiliva anche uno stretto rapporto continuativo con il tecnico per il supporto alle scelte di piano con riunioni operative. «Ci si chiede se, nel procedimento di autorizzazione alla realizzazione del progetto di ristrutturazione dell'Hotel Rigopiano, avvenuto nel 2007, l'Ing. Romanelli sia stato coinvolto, e soprattutto perché non si sia tenuto conto delle indicazioni contenute negli elaborati fino a quel momento raccolti, e doverosamente depositati, come imposto dalla Convenzione.  Va ricordato che nel 1999 era stata istituita a Farindola la Commissione Valanghe di cui faceva parte anche il Sig. Pasquale Iannetti; lo stesso Iannetti, che già nel 1999 aveva segnalato la pericolosità della zona di Rigopiano ed il pericolo slavine, risulta essere stato incaricato, tra il 2004 ed il 2005, di effettuare uno studio del territorio dall'allora sindaco Giancaterino». Uno studio redatto e consegnato ma pagato solo dopo una ingiunzione autorizzata dal giudice di Pace. Insomma le carte indicano che il Comune fosse bene a conoscenza del rischio valanghe, poi totalmente sparito dal 2006 fino a dopo la tragedia e riemerso solo faticosamente, scardinando un clima di solidarietà silenziosa e forte resistenza.

LE DOMANDE DELL’EX SINDACO GIANCATERINO. «Quell’albergo era già lì, non è stato costruito durante il mio mandato... che cosa avremmo dovuto fare, spostarlo? Si doveva farlo brillare? Il sindaco e la giunta sono chiamati ad adottare solo atti di indirizzo politico. Se il pericolo di valanga c’era, ci dovevano essere degli organi, magari sovraordinati al Comune e al sindaco, che avrebbero dovuto dire molto prima della istruttoria dell’ammodernamento dell’hotel che l’albergo lì non va bene, deve chiudere, perchè c’è questo rischio… siccome la vita umana è sacra non può essere immolata sull’altare dello sviluppo economico e dei posti di lavoro». Queste le parole a caldo a Servizio Pubblico dell’ex sindaco Massimiliano Giancaterino che ha perso un fratello sotto le macerie dell’Hotel Rigopiano ed oggi le sue parole evidenziano ancor di più le incredibili lacune e amnesie. Piccola precisazione: l’albergo Rigopiano è stato aperto dal 1974 al 1990 dunque «l’ente sovraordinato» invocato dall’ex sindaco (che non parla delle competenze e responsabilità comunali) sarebbe dovuto intervenire in quel periodo ma non lo ha fatto per una ragione semplicissima: quell’albergo di montagna, piccolo poi ampliato, rimaneva aperto da aprile a ottobre quando notoriamente la neve è scarsissima così come il pericolo di valanghe. E’ nel 2006, con le richieste di ristrutturazione e poi della variante per costruire il centro benessere, che iniziano i pasticci amministrativi e le sviste. Se così stanno le cose allora il vero punto di snodo delle responsabilità per omicidio colposo plurimo potrebbero ricercarsi nelle dinamiche intervenute “a latere” della autorizzazione della spa. E’, infatti, la spa costruita nel 2007 che costituisce la principale ragione e attrattiva per la struttura ricettiva. E’ questa che viene pubblicizzata ovunque, è questa che garantisce gli introiti maggiori e spinge i turisti alla permanenza in un luogo privo di infrastrutture turistiche o piste da sci. E’ la spa che teneva in piedi il bilancio d’impresa ma solo perchè l’hotel poteva rimanere aperto tutto l’anno a differenza del vecchio albergo…E’ per la Spa che Del Rosso decide di investire e tentare di guadagnare con l’impresa. E’ per la accogliente spa che gli ultimi 29 ospiti del Rigopiano decisero di fare la loro ultima tragica vacanza. E se proprio la spa si scoprirà non poteva essere costruita sapremo che certe condotte «sgradevoli ma non penalmente rilevanti» possono persino ammazzare qualche volta. Ha ragione da vendere l’ex sindaco: «la vita umana è sacra e non può essere immolata sull’altare dello sviluppo economico e dei posti di lavoro».

Rigopiano. Il dirigente: «Quattro dita di polvere sui documenti della carta valanghe». Carte abbandonate dentro uno scatolone. Ascoltato Carlo Giovani che ora rischia di essere indagato, scrive il 5 Luglio 2017 "Prima Da Noi". Carlo Giovani, dirigente Regionale ascoltato oggi in procura a Pescara, ha riferito come la Carta Storica delle Valanghe, al suo arrivo in Protezione Civile nel 2013, giacesse «'in uno scatolone', insieme a tutta la documentazione sulle valanghe in Abruzzo, 'con quattro dita di polvere sopra». Dopo queste frasi la sua audizione è stata interrotta. Carlo Giovani, all'epoca dei fatti responsabile dell'Ufficio Rischio Neve e Valanghe della Regione Abruzzo, questa mattina è comparso in Procura a Pescara, nell'ambito dell'inchiesta sul disastro dell'Hotel Rigopiano di Farindola, su richiesta dei legali Cristiana Valentini, Massimo Manieri e Goffredo Tatozzi, difensori del sindaco di Farindola Ilario Lacchetta, del tecnico comunale Enrico Colangeli e del Comune di Farindola. L'interruzione è avvenuta su segnalazione dei tre legali, in quanto a loro giudizio sarebbero emersi «precisi indizi di reità a carico del funzionario, per i reati di concorso in disastro e omicidio colposo plurimo. A questo punto - rimarcano gli avvocati - Giovani è passibile d'indagine e potrà essere ascoltato solo alla presenza del difensore». In questo caso Giovani da testimone passerebbe a rivestire il ruolo di indagato e per questo per essere ascoltato sarebbe necessario l’avvocato di fiducia. Sul punto tuttavia il pm Andrea Papalia, titolare delle indagini, si è riservato di compiere le proprie valutazioni e dunque al momento Giovani non risulta ancora iscritto nel registro degli indagati. Per i difensori del sindaco e del Comune di Farindola, invece, si tratterebbe di un atto dovuto. La Carta Storica delle Valanghe è propedeutica alla realizzazione della Carta di Localizzazione dei Pericoli da valanga (Clpv), che secondo la Regione Abruzzo era tenuta a realizzare sulla base della legge 170 del marzo 2014 e che a loro giudizio «se fosse stata realizzata, avrebbe evitato il disastro costato la vita a 29 persone». In tal senso Giovani questa mattina avrebbe inoltre confermato di avere ricevuto l'ordine di giunta, nel 2014, per redigere la Clpv, che poi non sarebbe stata realizzata per mancanza di soldi e che con l'arrivo della nuova giunta regionale sarebbe finita nel dimenticato. Elementi che inducono Valentini, Manieri e Tatozzi a ritenere che Giovani «consapevole dell'importanza della Carta, non possa non essere indagato». La difesa di Lacchetta e del Comune di Farindola contesta anche il rigetto dell'istanza di accesso alle intercettazioni telefoniche realizzate dalla Procura dell'Aquila e inviate a quella di Pescara per competenza, nelle quali è «possibile ascoltare soggetti Regionali, intercettati immediatamente dopo il disastro di Rigopiano, che parlano in merito al disastro e alla posizione regionale». A giudizio degli avvocati il rigetto della Procura, «è non solo contra legem, ma anche gravemente lesivo del diritto alla prova, e per di più costituisce un vero ostacolo al diritto all'accertamento della verità, degli indagati come delle vittime, nell'ambito dell'indagine difensiva».

Rigopiano: risate un'ora prima della valanga. Un dipendente Anas: "Se dobbiamo liberare la spa, facciamo pure il bagno", scrive ANSA il 29 novembre 2017. "E insomma, mica deve arrivare a Rigopiano? Perché se dobbiamo liberare la spa, al limite ci andiamo a fare pure il bagno". Queste le parole pronunciate al telefono dal dipendente dell'Anas, Carmine Ricca, alle 15.35 del 18 gennaio 2017, poco più di un'ora prima che una valanga travolgesse l'Hotel Rigopiano di Farindola. Ricca è a colloquio con il responsabile del settore viabilità della Provincia, Paolo D'Incecco, che ride della battuta del suo interlocutore. Anche Ricca, si legge nell'informativa della Squadra Mobile di Pescara inviata alla Procura di Pescara, ride e aggiunge: "Cioè, ho capito che dobbiamo arrivare fin lì, però insomma è una bella tirata, lo sai meglio di me". I due stanno parlando della possibilità di distaccare una turbina, che ritengono stia operando nel circondario di Penne e incidentalmente fanno dei riferimenti alla situazione dell'Hotel Rigopiano. D'Incecco chiede: "quanto tempo... oggi pomeriggio non si può fare niente?". Ricca risponde che "mò, penso... oggi... la Madonna che c'è qua... eh... mo' penso no". D'Incecco a quel punto chiede se se ne parli per la mattina seguente e il dipendente dell'Anas conferma che "sì, almeno domattina, anche perchè quello con la turbina fino a mò ha faticato...". In Abruzzo la Carta valanghe ancora non c'è - Ci vorranno 3 anni per avere la Carta Valanghe della Regione Abruzzo. La mappa, che se fosse esistita avrebbe probabilmente evitato i 29 morti di Rigopiano, verrà realizzata dal professor Roberto Nevini, geologo dell'università di Siena, che ha vinto l'appalto della Regione Abruzzo. Nevini è il riferimento dell'Aineva, associazione interregionale neve e valanghe, che mette insieme il Nord e il centro Italia, e si occupa espressamente di mappe del rischio in montagna. La base dell'appalto è stato assegnato ai primi di novembre, era di oltre un milione di euro e dovrà mappare oltre 4 mila chilometri quadrati. Nelle informative dei carabinieri Forestali sulla tragedia di Rigopiano si parla espressamente della ''consapevolezza del rischio'' da parte dei funzionari regionali. Già nel 2012, si legge, il direttore dei lavori pubblici Pierluigi Caputi aveva ''acquisito la cognizione dell'esistenza del rischio valanghe e della necessità di procedere alla redazione della Carta di localizzazione del pericolo come prevenzione del rischio''. Anche i successivi dirigenti regionali sono a conoscenza dei rischi, tanto che nel 2014 la Giunta Chiodi approvava ''il catasto storico delle valanghe e ordinava di realizzare la carta di localizzazione del pericolo''. ''In realtà il dirigente regionale Carlo Giovani sembra aver paventato al nuovo governo regionale insediatosi dopo le elezioni del maggio 2014 la necessità della realizzazione della CLPV su tutto il territorio regionale e la contestuale richiesta di fondi''. A rafforzare questa consapevolezza viene ricostruito quanto accaduto nelle forti nevicate del 2012 e che ''negli ultimi 20 anni sono stati oltre 20 i decessi dovuti a travolti da valanghe''. Ma ''la Regione Abruzzo oltre a non stanziare e programmare i fondi necessari per la CLPV ha lasciato l'Ufficio Rischi incendio boschivi e valanghe praticamente senza personale'', si legge, tanto che ''la mancanza di personale ha avuto un riflesso negativo sulla vicenda di Rigopiano''. Carenze segnalate al punto che ''i disservizi dovuti alla mancanza di personale presso l'ufficio si appalesa proprio nei giorni 17-18 gennaio 2017 quando a causa del maltempo un dirigente non può raggiungere il posto di lavoro e non può divulgare alla stampa il pericolo valanghe 4''. Dopo la tragedia i tempi si accelerano e si arriva all'appalto andato in porto a novembre.

Rigopiano, le frasi shock prima della tragedia: "Non devono rompere con l'albergo". La conversazione tra due indagati dimostra l'incapacità della Prefettura di gestire l'emergenza neve. Gli aiuti venivano distribuiti con un'ottica clientelare. Nella tragedia morirono 29 persone, scrive il 25 novembre 2017 "La Repubblica". "E poi c'è il direttore dell'hotel Rigopiano. Chiede una turbina per far ripartire gli ospiti bloccati dalla nevicata". È il 18 gennaio 2017, sono le 9.30 del mattino e l'Abruzzo è in ginocchio per le forti nevicate. Il funzionario della Provincia di Pescara Mauro Di Blasio è al telefono con il suo capo, Paolo D'Incecco, dirigente del servizio viabilità. Prima di concludere il mini briefing telefonico D'Incecco aggiunge che, tra le tante richieste, "poi" c'è pure quella del direttore di Rigopiano. Di Blasio però lo liquida subito: "Quello dell'albergo non deve rompere il c... Digli che deve stare calmo". È questa l'intercettazione shock, secondo quanto rivela un articolo de Il Messaggero, che racconta un retroscena inedito e mette in luce l'incapacità con cui, al tempo, fu gestita l'emergenza neve.

L'AIUTO CLIENTELARE. D'Incecco e Di Blasio, indagati dalla prima ora, sono tra le 23 persone per cui la Procura di Pescara ha chiesto il rinvio a giudizio. Una decisione maturata grazie a questa intercettazione e ad altre conversazioni che il gip ha ritenuto centrali. D'Incecco non lo poteva sapere, ma aveva il telefono sotto controllo per un'indagine della Procura aquilana legata agli appalti della Regione Abruzzo. La squadra mobile ha così potuto ascoltare in tempo reale la serie di decisioni prese per la gestione degli aiuti. Scelte improvvisate, dovute all'impreparazione tecnica della Provincia e alla mancanza di mezzi spazzaneve, in gran parte fermi per guasti. Ma anche per il fermo rifiuto di fare ricorso ad altri enti. In realtà c'è di più. Dai nastri acquisiti è stato possibile dimostrare che i pochi aiuti disponibili venivano gestiti in modo clientelare. A dettare la priorità degli interventi erano la politica e i favoritismi: "Il Presidente vuole la riapertura della strada per Passolanciano", si legge in uno stralcio di conversazione riportata da Il Messaggero.

· LE ALTRE CHIAMATE DELLA TRAGEDIA. Il nuovo nastro si aggiunge a quelli già noti, con cui la Procura sta cercando di ricostruire quanto accaduto dopo il terremoto di grado 5 che ha causato la slavina sotto cui sono rimasti sepolti gli ospiti e i lavoratori del Rigopiano. Rigopiano, la telefonata tra il ristoratore e la Prefettura: "La mamma degli imbecilli è sempre incinta". Tra queste c'è l'appello inascoltato di Quintino Marcella: alle 18:03 il ristoratore aveva chiamato l'Unità di Crisi dopo aver ricevuto l'allarme di un superstite, il cuoco Giampiero Parete. La funzionaria della Prefettura che aveva risposto al telefono però non gli crede e risponde che "la madre degli imbecilli è sempre incinta". Questo rifiuto contribuì a ritardare l'invio dei soccorsi all'hotel di circa un'ora e mezza. Poi c'è anche la chiamata che contribuì a smontare l'allarme. Dopo la prima allerta lanciata dal superstite Giampiero Parete alle 17.10 (il cuoco aveva chiamato il 118), il Centro di coordinamento soccorsi della Prefettura contatta il direttore dell'hotel Bruno Di Tommaso (intorno alle 17.40) per verificare la segnalazione. Lui però, che in quel momento si trova a Pescara, non sa della valanga, è concentrato sulle difficoltà del terremoto e sull'isolamento per neve del Rigopiano. Smentisce qualsiasi crollo. A causa di questa chiamata, viene ritenuto inattendibile l'allarme successivo di Quintino Marcella, il ristoratore di Silvi Marina al quale nel frattempo ha chiesto aiuto lo stesso Parete con una telefonata WhatsApp.

L'INCHIESTA. Omicidio e lesioni colpose le imputazioni principali per i 23 indagati, tra cui figurano anche il sindaco di Farindola Ilario Lacchetta e il presidente della Provincia Antonio Di Marco. Secondo i carabinieri forestali di Pescara che hanno condotto le indagini, la Prefettura si attivò troppo tardi nell'aprire il Centro coordinamento soccorsi e l'Unità di crisi. Lo fece solo dopo le 12 di quel 18 gennaio, il giorno stesso della valanga. A quel punto però non era più in grado di gestire le emergenze che si stavano accumulando, come ad esempio la rottura della turbina sgombraneve. E solo alle 18.28, quasi un'ora dopo che una montagna di neve aveva spazzato via l'hotel a Rigopiano, chiese l'intervento del personale e delle attrezzature dell'esercito per lo sgombero delle strade nei paesi montani del Pescarese.

Tragedia Rigopiano, lʼaccusa: "Soccorrevano solo i raccomandati", scrive Tgcom24 il 27 novembre 2017. Intercettazioni tra politici e soccorsi: "Quello dellʼalbergo non deve rompere". Nuove intercettazioni shock sulla tragedia di Rigopiano del gennaio scorso. Nell'informativa del Nucleo operativo ecologico dei Carabinieri che, insieme agli atti dell'inchiesta, sarà a disposizione delle difese dei 23 indagati per disastro colposo, omicidio colposo plurimo, lesioni personali e altro, vi sono le telefonate tra la segreteria del presidente della Regione Abruzzo Luciano D' Alfonso dove si chiede che sia aperta subito la strada per Abbateggio, dove si spinge per avere uno spazzaneve per la strada di Passolancianno, mentre "Quello dell'albergo (di Rigopiano) non deve rompere il c..". Una sorta di soccorsi a richiesta per "raccomandati", riporta il Messaggero, a scapito di chia aveva davvero bisogno e viveva una drammatica emergenza. Non sono diverse nel tenore le pressioni arrivate fin dalle prime ore di quella mattina dalla segreteria del governatore. Su questa sorta di manuale Cencelli della protezione civile, che non ha tenuto conto degli ostaggi di Rigopiano, ma neanche di tanti anziani dializzati bloccati in vari centro dell'Abruzzo interno, i carabinieri hanno costruito buona parte delle contestazioni rivolte al filone provinciale del 23 indagati per la strage di Rigopiano: 29 morti tra gli ospiti e i lavoratori del resort di lusso alle pendici del Gran Sasso, 9 feriti con gravissime lesioni permanenti, due soli scampati al crollo della struttura investita dalla valanga. Più in generale, il capitolo delle telefonate della vergogna, quella della funzionaria della prefettura che snobba le richieste di soccorso rimbalzate dal cuoco Quintino Marcella, quella del responsabile del 118 Vincenzino Lupi, che induce in errore il direttore dell'hotel Bruno Di Tommaso, disegna un quadro di totale disorganizzazione della macchina dei soccorsi nelle ore cruciali che precedono e seguono di poco la valanga staccatasi dal Monte Siella intorno alle cinque del pomeriggio.

Rigopiano, le intercettazioni nella notte della tragedia: "Gente sta morendo non vi rendete conto". Intercettati dipendente Anas e funzionario della Provincia: "Se dobbiamo liberare la Spa al limite ci andiamo pure a fare il bagno", scrive il 28 novembre 2017 "la Repubblica". Le intercettazioni di Rigopiano, il presidente della Provincia Di Marco: "Basta compitini, c'è gente che può morire". "La gente sta morendo e voi non vi rendete conto". Questa, come scrive l'Ansa, una delle intercettazioni contenute nell' informativa del nucleo ecologico dei Carabinieri di Pescara, rientrata nelle carte dell'inchiesta dell'hotel Rigopiano, dove il 18 gennaio scorso sono morte 29 persone sotto la valanga che ha travolto la struttura nel comune di Farindola, in provincia di Pescara. A parlare è il consigliere regionale di Forza Italia, Lorenzo Sospiri, parlando con Claudio Ruffini, a quell' epoca segretario del presidente della Regione, Luciano D'Alfonso. Ruffini e D'Alfonso non sono indagati per Rigopiano, ma solo citati in queste conversazioni raccolte nell'ambito un'altra inchiesta sugli appalti della Regione. Dello stesso tenore della frase di Sospiri, quella di Giuseppina Manente, ufficio stampa della Provincia di Teramo, territorio in piena emergenza in quei giorni. "Qui conteremo i morti per carenza di soccorsi, forse non vi state rendendo conto", scrive in un sms inviato alle 21,45 a Ruffini, delegato da D'Alfonso per seguire tutte le operazioni. Ruolo evidenziato nero su bianco nell'informativa: "Deve essere rimarcato che il presidente Luciano D'Alfonso aveva delegato Claudio Ruffini alla gestione dei mezzi spazzaneve e delle cosiddette 'turbine'". L'informativa, ricostruisce le conversazioni avvenute a livello di dirigenza regionale nelle giornate del 17 e 18 gennaio, fino alle prime ore del 19 gennaio. La data di stesura della relazione è del 7 febbraio, 20 giorni dopo la tragedia. Il sindaco di Farindola, Ilario Lacchetta, alle 15,01 del 18 gennaio chiama Ruffini "che non risponde e né richiamerà", rileva l'informativa che nelle considerazioni finali rileva: "Nessun commento è necessario ad evidenziare ulteriormente come Ruffini non abbia né risposto né richiamato il sindaco di Farindola quando questi aveva tentato di contattarlo ben prima della terribile nota slavina". Intanto, sempre nello stesso fascicolo si trovano le trascrizioni della telefonata, un'ora prima della tragedia, fra un operaio dell'Anas e il responsabile del settore viabilità della Provincia dove si legge una battuta che dà il senso della sottovalutazione della situazione. "E insomma - dice il dipendente dell'Anas - mica deve arrivare a Rigopiano? Perchè se dobbiamo liberare la Spa, al limite ci andiamo a fare pure il bagno". Con l'interlocutore che ride alla battuta.

Hotel Rigopiano: tutte le conversazioni shock. Le trascrizioni delle telefonate che hanno provocato il letale ritardo nei soccorsi al resort crollato in Abruzzo. 29 le vittime, 23 gli indagati, scrive il 29 novembre 2017 Matteo Politanò su Panorama. Continua l'inchiesta sul crollo dell'hotel Rigopiano, il resort spazzato via da una valanga che ha portato alla morte 29 persone. Per la tragedia sono stati iscritti a vario titolo nel registro degli indagati in 23 e l'indagine degli inquirenti parte dalle telefonate che hanno ritardato i soccorsi, un fattore determinante per l'escalation del dramma.

La telefonata al servizio viabilità. Ore 9.30 del 18 gennaio 2017 - La trascrizione della telefonata tra Il funzionario della Provincia di Pescara Mauro Di Blasio e il suo capo, Paolo D'Incecco, dirigente del servizio viabilità. Si discute sull'opportunità di far arrivare una turbina all'hotel per pulire l'unica via d'accesso.

MDB: "E poi c'è il direttore dell'hotel Rigopiano. Chiede una turbina per far ripartire gli ospiti bloccati dalla nevicata".

PD: " "Quello dell'albergo non deve rompere il cazzo. Digli che deve stare calmo".

La turbina per Rigopiano.

Ore 15,35 del 18 gennaio 2017 - Poco più di un'ora prima che una valanga travolgesse l'hotel i​l dipendente dell'Anas, Carmine Ricca, è al telefono con il responsabile del settore viabilità della Provincia, Paolo D'Incecco. I due parlano della possibilità di distaccare una turbina facendo riferimenti alla situazione dell'hotel Rigopiano.

CR: "E insomma, mica deve arrivare a Rigopiano? Perché se dobbiamo liberare la spa, al limite ci andiamo a fare pure il bagno".

PD: risata.

CR: "Cioè, ho capito che dobbiamo arrivare fin lì, però insomma è una bella tirata, lo sai meglio di me".

PD: "Quanto tempo... oggi pomeriggio non si può fare niente?

CR: "Mò, penso... oggi... la Madonna che c'è qua... eh... mo' penso no".

PD: "Ne parliamo per domattina?"

CR: "Sì, almeno domattina, anche perchè quello con la turbina fino a mò ha faticato...".

La telefonata al direttore dell'hotel.

Ore 17.40 del 18 gennaio 2017 - La telefonata tra il Centro di coordinamento soccorsi della Prefettura e il direttore dell'hotel Bruno Di Tommaso per verificare la segnalazione.

Funzionario: "Oh Bruno ciao, senti fammiti chiedere una cosa, tu fai il direttore su a Rigopiano?".

Di Tommaso: "Sono l'amministratore".

Funzionario: "Sai com'è la situazione su?".

Di Tommaso: "Tragica. Sto rientrando a casa in questo momento".

Funzionario: "La strada è chiusa?".

Di Tommaso: "Certo che è chiusa... ma pure Farindola".

Funzionario: "Io sto alla sala operativa della prefettura: ma tu riesci a parlare con qualcuno su?"

Di Tommaso: "No, solo whatsapp".

Funzionario: "Allora vedi un pochettino, perché abbiamo ricevuto... aspetta un attimo che ti faccio parlaredirettamente col direttore... abbiamo ricevuto una telefonata un pò strana, volevamo accertarci un attimino... Dottor Lupi dove sta? Aspetta che ti passo direttamente il dirigente, il responsabile".

Lupi: "Pronto? Sono il dottor Lupi... sono stato spesso ospite da voi, ultimamente proprio quando è successo il secondo terremoto e ho visto che la struttura è in cemento armato. Adesso abbiamo avuto una telefonata di una persona che diceva che all'hotel Rigopiano c'erano feriti per crolli, etc. Abbiamo una telefonata registrata alla nostra centrale operativa..."

Di Tommaso: "Ma no... chi l'ha fatta..."

Lupi: "...attenzione, questa telefonata registrata al nostro sistema 118... non risponde poi più.. a noi il numero ci appare sempre benché ci si metta trucco, trucchetto, 'anonimo' eccetera... Tu hai notizia?"

Di Tommaso: "Ma certo che ho notizia, no no.."Lupi: "Quindi tutto a posto..."

Di Tommaso: "cioè tutto a posto nel senso che...".

Lupi: "Benissimo, mi fa grande piacere. Tra poco a metà febbraio sarò di nuovo vostro ospite. Che devo dire? L'importante è che è sicuro che non ci sia niente".

Di Tommaso: "No.. Io sono stato fino a mò in collegamento tramite whatsapp..."

Lupi: "perfettissimo..."

Di Tommaso: "...noi abbiamo una parabola per cui il segnale Internet è garantito, io riesco a comunicare con whatsapp. Tutto qua, insomma".

Lupi: "Perfetto.. direttore mi dà un gran sollievo.. Noi dobbiamo sempre accertarci, con l'aiuto qui del nostro amico comune. Va benissimo, grazie grazie".

Di Tommaso: "Niente, grazie, arrivederci".

La telefonata all'unità di crisi.

Ore 18.03 del 18 gennaio 2017 - La trascrizione della tristemente famosa telefonata avvenuta tra Quintino Marcella, il ristoratore che aveva ricevuto l'allarme dal superstite Giampiero Parete, e la funzionaria della Prefettura che lavorava all'Unità di Crisi. Dopo tre interminabili minuti di attesa e passaggi telefonici Marcella non viene creduto.

Polizia: "Polizia buonasera".

QM: "Buonasera cinque minuti fa ho ricevuto un messaggio tramite Whatsapp da un mio cuoco, a Farindola, l'hotel Rigopiano dice che è crollato, ci sono i bambini in mezzo alla strada, c'è la neve, non si esce e non si passa, sono bloccati lì tutti".

Polizia: "Ma chi è che è crollato?"

QM: "L'hotel Rigopiano, sopra Farindola, molto molto grave".

Polizia: "Chi riusciamo a contattare?"

QM: "Non si riesce a contattare nessuno, lui è riuscito a malapena, in mezzo alla neve, la fonte è accreditata al cento per cento".

Polizia: "Un attimo in linea che le passo l'Unità di Crisi, rimanga in linea".

Operatore: "Mi dica".

QM: "Il mio cuoco, che è andato all'hotel Rigopiano con la famiglia per due giorni, adesso cinque minuti fa è riuscito a contattarmi per dirmi che l'hotel è crollato. Lì stanno senza niente..."

Operatore: "Un attimo che le passo, un attimo, un attimo..."

QM: "Pronto? Il mio cuoco mi ha chiamato cinque minuti fa tramite Whatsapp mi ha detto che l'hotel Rigopiano è crollato".

Funzionaria Prefettura: "Allora guardi, questa storia va avanti da stamattina. I vigili del fuoco hanno fatto le verifiche e non c'è nessun crollo all'hotel Rigopiano. I carabinieri si sono attivati, è crollata la stalla delle tegole di Martinelli, ma non Rigopiano".

QM: "Ma il cuoco mi ha mandato un messaggio cinque minuti fa, piangendo... È una persona seria. Io le lascio il mio cellulare. Tenga presente che è una persona che non scherza..."

FP: "Senta, noi abbiamo fatto tutte le verifiche dal caso. E ci risulta che è crollata solo la stalla, che le devo dire? Noi è da stamattina che siamo tutti qui, in sala operativa. Il 118 mi conferma che hanno parlato con il direttore dell'hotel Rigopiano due ore fa ed è tutto a posto. Non è crollato nulla e stanno tutti bene... Io non so che dirle".

QM: "Eh, neanche io..."

FP: "Putroppo la mamma degli imbecilli è sempre incinta, sarà qualcuno che si diverte, che avrà preso il numero non so come...Però le garantisco che da stamattina sono state fatte tutte le verifiche e me lo conferma il 118 che hanno parlato con il direttore dell'hotel. Fosse crollato secondo lei rimanevamo qua?"

QM: "Mi faccia mettere in contatto con il direttore allora..."

FP: "A chi? Ma lei lo sa qui come siamo messi? Gente intossicata, gente che non può uscire con la dialisi da casa... No, no, provi lei a mettersi in contatto con l'hotel..."

QM: "Non ci riesco..."

FP: "Ci riesce, ci riesce... C'è riuscito il 118 con un telefono normale non ci riesce lei? Sia gentile... Ora mi scusi ma la devo lasciare perché ci sono delle situazioni veramente gravi..."

L'sms alla Regione.

Ore 21,45 del 18 gennaio 2017 - ​Giuseppina Manente, ufficio stampa della Provincia di Teramo, territorio in piena emergenza in quei giorni scrive un sms a Claudio Ruffini, a quell' epoca segretario del presidente della Regione, Luciano D'Alfonso. 

Giuseppina Manente: "Qui conteremo i morti x carenza di soccorsi, forse non vi state rendendo conto".

Rigopiano e il prefetto che si contraddice sugli interventi eseguiti. Sale la tensione sull’inchiesta per la strage di Rigopiano e per i ritardi e le omissioni nei soccorsi. Emerge il caos che ci fu in Regione: «Qui la gente muore e voi non lo capite», scrive Virginia Piccolillo, inviata a Pescara, il 27 novembre 2017 su "Il Corriere della Sera". Un indagato, Paolo D’Incecco, ricoverato per un malore. Un fascicolo aperto dalla Procura di Campobasso sulla fuga di notizie. Sale la tensione sull’inchiesta per la strage di Rigopiano, nel giorno in cui gli atti di indagine vengono consegnati alle difese dei 23 indagati e ai legali delle 29 vittime. Migliaia di pagine da cui emergono nuovi particolari sul caos della gestione dell’emergenza, ma anche su omissioni e bugie.

Le false versioni. «Evidenti contraddizioni nella ricostruzione dei fatti», a posteriori, secondo i carabinieri forestali emergono anche nella versione del prefetto Francesco Provolo e del suo staff. Gli investigatori fanno riferimento a una riunione specifica, cui prendono parte vertici dei Vigili del fuoco, comandanti provinciali dell’Arma e della Guardia di Finanza. È il 24 gennaio, sei giorni dopo la valanga. «Il prefetto Provolo — annotano i carabinieri forestali — secondo quanto riportato a sua firma, iniziava la riunione elencando tutte le operazioni effettuate dalla Prefettura di Pescara già dal 16: ovvero l’apertura della sala operativa e l’insediamento del centro di coordinamento dei soccorsi e la convocazione del comitato operativo viabilità». Ma, fanno notare, è una «circostanza già smentita nelle evidenze investigative». Anche il suo staff dice cose incongruenti. La viceprefetto, Ida De Cesaris, all’inizio nega alla squadra mobile «che sia mai esistito un piano neve». Parlerà anche di una «turbina dirottata da Villa Celiera a Rigopiano». «È accertato — annotano i carabinieri forestali — che l’unica turbina inviata a Rigopiano è quella Anas di Penne, allertata solo dopo le 19.30».

La sorella del generale. A smentire la versione del prefetto è una testimone che ha un cognome ben noto alle cronache di questi giorni: Silvia Conti, comandante della polizia stradale di Pescara nonché sorella dell’ex generale della Forestale, morto suicida due settimane fa. «Non ho ricevuto alcuna convocazione per il comitato di viabilità presso la prefettura di Pescara», dirà agli inquirenti, smentendo il prefetto. Nelle carte si fa un riferimento anche al generale Conti che in una delle tre lettere scritte prima di morire (una mai rinvenuta) accennava a un senso di colpa per Rigopiano. In realtà si dice che «il suo parere risulta rilasciato correttamente». Dagli atti appare evidente come la turbina che avrebbe dovuto sgombrare la via di fuga dall’Hotel sia stata mandata altrove. Nella informativa del Noe si sottolinea «come sia emerso con forza un “esubero” di mezzi in attività ad Atri il giorno 17», rispetto ad altri centri come Rigopiano. Ce n’è «uno messo a disposizione da Strada dei Parchi “rimandato indietro”».

Il caos in Regione. Chiaro anche il quadro di caos alla Regione Abruzzo. Il presidente Luciano D’Alfonso, scrive il Noe, prima di convocare il Comitato operativo regionale, delega Claudio Ruffini. Intercettato nell’ambito di un altro procedimento lui smista le turbine, spesso minacciando chi obietta. «Dobbiamo fare un tavolo sennò qua ci scappa il morto», lo avverte Liberatore della Protezione civile Abruzzo. Alle 16.10, quando Ruffini ancora temporeggia a inviare uno spazzaneve sulla zona di Rigopiano, il consigliere regionale Lorenzo Sospiri chiude dicendo: «La gente sta morendo e voi non vi rendete conto».

Rigopiano, i periti della Procura: «L'hotel andava evacuato», scrive Mercoledì 29 Novembre 2017 “Il Messaggero". Per salvare le vite umane era necessario evacuare l'hotel due giorni prima della tragedia. Lo scrivono i periti della Procura di Pescara: «Tale evacuazione avrebbe dovuto avvenire già dal primo pomeriggio del 16 quando sia i bollettini meteorologici e il relativo avviso di condizioni meteorologiche avverse sia il bollettino valanghe emesso dal Servizio Meteomont avevano confermato lo scenario di precipitazioni nevose intense e di possibile attività valanghiva». La valanga avrebbe comunque distrutto l'hotel, ma «la sospensione temporanea dell'esercizio dell'Hotel Rigopiano e la tempestiva evacuazione delle persone» avrebbe permesso di salvarli prima «ben prima che i quantitativi di neve al suolo rendessero ingestibile la percorribilità della strada provinciale». La zona dove era costruito l'Hotel Rigopiano era un'area soggetta a valanghe. È quanto emerge ancora dalla relazione dei periti della procura di Pescara che indaga su quanto avvenuto a Farindola il 18 gennaio 2017. Con 29 vittime, quella dell'Hotel Rigopiano è la più grave tragedia causata da una valanga avvenuta in Italia dal 1916. Secondo i periti inoltre la causa della slavina non furono le scosse di terremoto registrate quella mattina. «Si può concludere, con una ragionevole certezza, che le scosse sismiche non hanno giocato un ruolo causale diretto per il distacco della valanga, la quale viceversa è stata innescata per carico gravitativo». «L'evento del 18 gennaio - aggiungono - può essere considerato relativamente eccezionale per la sua entità e magnitudo ma certamente e oggettivamente prevedibile sulla base di analisi, anche routinarie, in materia di geologia, geomorfologia, nivologia, climatologia e ingegneria della montagna», concludono i periti. Uno di loro, Igor Chiambretti, al Tgr Abruzzo la scorsa settimana aveva anticipato come si potesse «evitare la perdita delle vite umane. Il danno all'edificio era non evitabile, anche se l'edificio era costruito secondo buoni criteri, ma le pressioni di impatto erano tali che avrebbero distrutto anche un bunker in cemento armato». «Il bacino valanghivo al termine del quale era ubicato l'Hotel Rigopiano dimostra di avere tutte le caratteristiche morfologiche, morfometriche, vegetazionali e nivologiche per poter essere catalogato quale un sito valanghivo soggetto a fenomeni di magnitudo anche elevata con tempi di ritorno estremamente variabili (indicativamente da 3 a 12 anni per gli eventi di media magnitudo e da 36 a 72 anni per gli eventi di magnitudo estrema)», si legge nel documento, redatto da Bernardino Chiaia, Igor Chiambretti e Barbara Frigo, che confermano quanto già emerso nel gennaio scorso a seguito dell'inchiesta svolta dal Forum H2O, che aveva per primo denunciato come l'hotel fosse stato costruito sui detriti conoidi delle valanghe. «L'analisi morfometrica sin qui svolta e la comparazione di diverse riprese aeree fotografiche (che coprono il periodo tra il 1945 e l'attuale) consentono di confermare la presenza di due conoidi miste i cui agenti morfogenetici e deposizionali sono ascrivibili, con sicurezza, ai processi gravitativi di versante (colate detritiche, valanghe, processi eluvio- colluviali e frane di crollo) - proseguono i periti - Si rileva altresì un'assoluta negligenza da parte dei soggetti preposti nel fatto di non aver considerato l'area in oggetto come area valanghivo, nonostante le notevoli storiche emergenti, anche in assenza di studi specifici commissionati. Ciò ha comportato l'omissione della messa in atto di procedure di protezione e/o di opere di difesa». Dalla lettura delle carte aeree quindi si comprende come «particolare il vallone che insiste sulla località di Rigopiano, mostri evidenti e numerose tracce di attività valanghiva avvenuta nel corso dell'inverno 1944-1945. Buona parte del bosco risulta rimosso lungo il percorso della valanga e la conoide è pressoché priva di alberi salvo alcune piante isolate - concludono i periti - Sono ben visibili, nelle valli limitrofe, numerose tracce penetranti (corridoi di deforestazione di colore grigio chiaro) causate dallo scorrimento di valanghe nella fascia occupata dalle faggete».

Le carte false di Rigopiano: l'ultimo abuso dell'hotel che non c'è più. L'albergo nel quale sono morte 29 persone non poteva essere costruito. Ma, secondo gli inquirenti, fu presentato un progetto con foto contraffatte, scrive Fabio Tonacci su "La Repubblica" il 29 novembre 2017. Quell'hotel quattro stelle con piscina all'aperto divenuto la tomba di 29 persone non doveva essere costruito lì, sotto a un canalone lungo cui già nel 1954 vennero giù tonnellate e tonnellate di neve. Soprattutto, non doveva essere un hotel quattro stelle con piscina all'aperto. Non poteva perché c'erano vincoli ambientali e relazioni geologiche che avrebbero dovuto bloccare anche solo l'idea di un ampliamento del vecchio rifugio. 

La tragedia di Rigopiano poteva essere evitata? Le situazioni di grande rischio furono ignorate o non comprese proprio da chi ufficialmente ne ha il compito, scrive Enzo Boschi il 28 novembre 2017 su "Agi". Il 18 gennaio scorso verso le 17:00, l'ora precisa non è nota, una valanga di neve e detriti di grandissime proporzioni si distaccò da una linea di cresta del monte Siella, parte del massiccio del Gran Sasso, e raggiunse l'Hotel Rigopiano attraverso un canalone. La valanga travolse l'albergo, sfondandone le pareti e spostandolo di una decina di metri, per poi precipitare ancora più a valle provocando ventinove vittime. Se ne riparla i questi giorni perché ventitré persone sono state raggiunte da avvisi di garanzia per vari possibili reati legati a quella terribile tragedia. Secondo i PM furono ignorati allarmi, si verificarono ritardi negli interventi e furono commessi abusi nella costruzione dell’albergo. Evidentemente ritengono che la tragedia avrebbe potuto essere evitata. Opinione che condividiamo anche se non abbiamo certo intenzione di esprimere giudizi di sorta sull’operato della Magistratura. Quello stesso giorno cinque scosse di terremoto, quattro delle quali superiori a magnitudo 5, interessarono una zona non molto lontana fra Campotosto, Montereale e Capitignano in Centro Italia. Più precisamente si verificarono scosse di magnitudo 5.3 alle 10:25. 5.4 alle 11:14. 5.3 alle 11:25. 5.1 alle 14:33. 4.3 alle 16:16. Nei principali mezzi di informazione venne subito affermato che la valanga non era stata provocata da terremoti. Questo perché, secondo gli esperti interpellati, le scosse si erano verificate alcune ore prima della valanga, anche se non era dato conoscere con precisione quando questa si fosse verificata. Secondo loro terremoti di quella magnitudo non potevano aver innescato valanghe a chilometri di distanza dall’epicentro. Non furono però forniti argomenti a sostegno di affermazioni tanto nette. Anche un geologo torinese, insieme a due ingegneri del Politecnico di Torino, incaricato dalla Procura di studiare il caso escluse immediatamente la correlazione valanga-terremoti. Anche in questo caso non è dato conoscere su quali basi si è arrivati tanto rapidamente a una conclusione così decisa. Su SkyNews una decina di giorni dopo, il 27 febbraio alle ore 10:20, il presidente dell'INGV dichiarò: “Quel giorno ci furono quattro scosse di magnitudo superiore anche a 5. Ci furono; però nell’intervallo di tempo in cui è caduta la valanga, non risultano scosse importanti. Cioè (la valanga, ndr) è caduta sicuramente dopo le 16:30, quando le grandi scosse erano già avvenute. Non possiamo fare una correlazione diretta tra la sismicità e la valanga. La valanga sarebbe caduta comunque. Può darsi che la sismicità di fondo abbia contribuito, ma sarebbe in ogni modo caduta proprio per il peso stesso della neve". Nel 2010 un gruppo di ricercatori dell’università giapponese di Nagoya aveva pubblicato uno studio sul Journal of Glaciology mettendo in relazione i database sismologici di tutto il mondo con tutte le valanghe verificatesi nel periodo compreso tra il 1899 e il 2010. Identificarono valanghe connesse con sismi per valori vari della magnitudo e della distanza dall’epicentro. Da quello studio emerge che terremoti anche non particolarmente violenti e abbastanza distanti sono in grado di innescare valanghe disastrose. In altre parole la distanza dall'epicentro non risulta essere un ostacolo per la generazione di un evento catastrofico come quello che ha distrutto l'albergo di Rigopiano. Questo sulla base di dati sperimentali. Si tenga conto che, nel caso di Rigopiano, la distanza fra gli epicentri e il luogo del distacco della valanga non è molto elevato. Le dichiarazioni degli esperti sono solo loro opinioni. Opinioni rispettabili come tutte le opinioni ma non provenienti da osservazioni scientifiche verificabili e certamente non da esperti di Sismologia moderna. Non risulta inoltre che la zona origine della valanga fosse dotata di sensori tali da permettere una valutazione quantitativa della sollecitazione sismica subita. Non vi è dubbio alcuno che le perturbazioni delle quattro scosse di magnitudo superiore a 5 siano arrivate, forti e chiare, alla massa di neve che poi è precipitata rovinosamente a valle. E senz'altro è arrivata anche la perturbazione della scossa di magnitudo 4.3 delle 16:16, scossa, questa, stranamente ignorata dagli esperti. Si tenga presente che non c'è alcuna ragione fisica che imponga una relazione istantanea fra terremoto e valanga. Il distacco della massa di neve è la conseguenza di un processo cumulativo di più fattori, fra i quali l'attività sismica ha senz’altro avuto un ruolo non trascurabile per la grande energia che i terremoti mettono un gioco. Sorprendono quindi il modo assertivo e la sollecitudine con cui la causa sismologica della catastrofe è stata scartata senza mostrare alcuna giustificazione scientifica. In quel terribile periodo di terremoti e grandi nevicate, il Presidente della Commissione Grandi Rischi non ascoltò mai la sezione che si occupa dei rischi meteo-idrologico, idraulico e di frana, come lo stesso coordinatore di quella sezione ebbe a dichiarare nonostante, una settimana prima del disastro, fosse stato diramato un serissimo allarme meteo: era prevista con certezza neve fra i 2 e i 4 metri! Anche se risultassero responsabilità gravi per coloro che hanno ricevuto l’avviso di garanzia, non va assolutamente dimenticato che le situazioni di grande rischio furono prima di tutto ignorate o non comprese proprio da coloro che hanno ufficialmente il compito e, in linea di principio, le competenze necessarie per individuare e valutare i rischi.

Rigopiano, Filippo Facci brutale il 29 Novembre 2017 su "Libero Quotidiano”. Spazza via le balle sulla strage: "Ecco chi sono i veri sciacalli". Si riparla della valanga di Rigopiano - che il 18 gennaio uccise 29 persone rimaste isolate in un hotel in provincia di Pescara - e i quotidiani ora tirano fuori alcune intercettazioni che fanno parte di un'altra inchiesta, ma che tendono a ricostruire la medesima falsa sceneggiatura che a suo tempo fu propinata agli italiani: che i clienti dell'hotel non furono salvati per inefficienza e sciatteria delle autorità, il tutto con un contorno di sottovalutazione e sfottò telefonici. Non è vero, anzi, è sicuramente falso - posto che c'è un processo da fare - e però ieri c' erano titoli come "Allarmi ignorati, battute e risate" e "Rigopiano, risate un'ora prima: c' è la spa? Facciamo il bagno". Posto che di difendere funzionari e dipendenti dell'Anas non ce ne frega niente, in sostanza la stampa continua con un canovaccio genericamente colpevolista e dimentica che i giorni successivi alla tragedia permisero di capire com' era andata davvero. Ma qualcuno non l'ha capito ancora oggi. Ci fu confusione, certo, prima della tragedia ci furono le battute che facciamo tutti quando tutto è ancora normale: ma vanno ricordate un paio di cose, visto che le scrissero in pochi e confusamente. Anzitutto: nel dire che la tragedia era "imprevedibile" non c'era niente di male, visto che in quella località in cui non cadevano valanghe da almeno 50 anni. Imprevedibili, soprattutto, furono quattro scosse di terremoto in quattro ore e vento a 90 all'ora e una valanga pazzesca: eppure dissero che la tragedia era "prevedibile" e che bastava guardare il meteo, dimenticando che i primi a non farlo furono il proprietario dell'hotel e gli ospiti coi loro bambini.

PRIORITÀ AI MALATI. Molti poi parlano come se la scelta di tenere l'hotel in coda ai soccorsi fosse stata una dimenticanza: quando invece fu una scelta. La prefettura diede infatti la "priorità" alla statale 81, dove c' erano residenti anziani, malati e disabili. Posto che gli spazzaneve disponibili erano quelli che erano (che poi ne servissero altri è un altro discorso: ma di fatto non c' erano) dovreste semmai chiedervi che scandalo sarebbe esploso, nel caos mediatico, se questi pochi mezzi fossero stati mandati prima dai turisti di un hotel isolato (qualcuno li avrebbe chiamati Vip) e solo dopo dai residenti anziani e malati. Le polemiche avrebbero fatto rotolare un'altra valanga. Ci furono delle legittime proteste sulle "turbine", ossia gli spazzaneve impiegati altrove, o rotti, o senza gasolio: ma, anche se presenti in massa e allertati con la massima tempestività, non sarebbero serviti a nulla, perché la valanga di Rigopiano li avrebbe anticipati. Nessuno, ancor oggi, si prende la briga di spiegarlo. Se ne dubitate, andate a prendere il quotidiano Il Centro dell'8 marzo 2015 (due anni prima della tragedia) e apprendete che all' Hotel Rigopiano in quei giorni si era presentata una situazione simile a quella che ha preceduto la valanga del gennaio scorso: due metri di neve, emergenza, strada impraticabile e niente rifornimenti. La differenza è che l'allarme, nel 2015, fu recepito immediatamente (senza tre ore di ritardo, tutte le accuse sono riconducibili a queste tre ore) e che le turbine furono spedite subito: ma poi per arrivare all' hotel impiegarono un'intera giornata nonostante i metri di neve fossero solo due, e non tre come nel 2017, quando peraltro c' erano anche altri impedimenti legati al terremoto e al vento. Insomma: nessuna turbina al mondo - neppure se spedita immediatamente, dopo tempestivo allarme - avrebbe potuto giungere in tempo per permettere un'evacuazione prima della famosa valanga.

ACCUSE INFONDATE. Basta rileggere la cronaca di allora. E questo semmai potrebbe riaccendere la questione della "prevedibilità", ma in senso inverso: imprevedibile, nel gennaio scorso, è stato il terremoto, ma il problema della neve e della strada impraticabile non poteva essere una sorpresa per nessuno, tantomeno per la proprietà dell' hotel che, tuttavia, si è presa la responsabilità di tenere aperta una struttura a ricorrente rischio di isolamento, o, ancora, la responsabilità di non invitare gli ospiti della struttura ad andarsene sinché erano in tempo. Poi, con tre metri di neve, non sarebbe cambiato nulla neppure se la turbina spazzaneve più vicina (un Fresia F90 ST che si trovava a una ventina di chilometri dall' albergo) avesse lasciato il percorso tra Penne e Guardiagrele per dirigersi immediatamente in direzione Farindola, e quindi al resort. Non avrebbe fatto in tempo. Viene meno, in sostanza, parte delle accuse che si attorcigliarono a suo tempo e che ancor oggi riecheggiano dalle intercettazioni: infatti, a meno di ipotizzare che le turbine potessero indirizzarsi verso Rigopiano (tralasciando gli altri comuni) ancor prima che fossero sollecitate dall' hotel, e ancor prima del terremoto, nessun mezzo avrebbe mai fatto in tempo a liberare la strada prima della valanga. Anche perché nella mattinata di mercoledì, quando il direttore dell'hotel inviava una mail alle autorità per sollecitare aiuto, e quando mancavano una decina di ore alla valanga, la neve era alta due metri che entro il pomeriggio sarebbero diventati tre. Ergo: anche senza ipotizzare l'imprevedibile, ossia le scosse e la valanga, l'ipotesi che il resort Rigopiano restasse ancora una volta isolato era probabilmente contemplata in primis dai proprietari e in secundis dalle autorità. Era già successo. C' è un'inchiesta, dicevamo, ma si dimentica che riguarda in primo luogo l'idoneità dell'albergo e il suo luogo di costruzione, oltre a un presunto ritardo dei soccorsi. L' Hotel di Rigopiano sorgeva in una zona a rischio, ma l'ultima valanga ipotizzata - perché non è neanche certo - risalirebbe al 1936. Si poteva non costruirci, ma parliamo di un Paese - l'Italia - che è a rischio idrogeologico nell' 88,3% dei comuni, senza contare le zone telluriche, vulcaniche e soggette a valanghe. Basti che la zona dell'Hotel Rigopiano non era neppure stata inserita come "a rischio" dal Piano di assetto idrogeologico. Dovremmo non costruire in tutto il Paese, insomma. Filippo Facci

Rigopiano, 7 indagati per depistaggio, anche l'ex prefetto. L'accusa è frode in processo penale. Tra le accuse che vengono mosse quella di aver occultato il brogliaccio delle segnalazioni del giorno 18 gennaio 2017, scrive il 28 dicembre 2018 "La Repubblica". Nuovo fascicolo di indagine sulla tragedia dell'Hotel Rigopiano: la Procura di Pescara ha notificato 7 avvisi di garanzia per il reato di frode in processo penale e depistaggio a carico del personale della Prefettura di Pescara, compreso l'ex prefetto. Le accuse che vengono mosse sono quelle di aver occultato il brogliaccio delle segnalazioni del giorno 18 gennaio 2017 alla Squadra Mobile di Pescara per nascondere la chiamata di soccorso fatta alle 11.38 dal cameriere Gabriele D'Angelo al centro coordinamento soccorsi. L'indagine è guidata dal Procuratore Capo della Repubblica di Pescara Massimiliano Serpi e del Sostituto Procuratore Andrea Papalia, con i Carabinieri Forestali di Pescara guidati dal tenente colonnello Annamaria Angelozzi. Tra gli indagati l'ex prefetto Francesco Provolo e i due viceprefetti distaccati Salvatore Angieri e Sergio Mazzia. Con loro i dirigenti Ida De Cesaris, Giancarlo Verzella, Giulia Pontrandolfo e Daniela Acquaviva. Salvatore Angieri oggi è l'attuale vicario del Prefetto di Macerata, mentre Mazzia è il vicario del Prefetto di Crotone. Gli investigatori del Gruppo Carabinieri di Pescara stavano indagando su tale vicenda già da un anno dopo l'acquisizione di un'inedita conversazione avvenuta tra un carabiniere della sala operativa di Pescara e la funzionaria della prefettura Daniela Acquaviva, balzata a suo tempo alle cronache per la telefonata nella quale proferiva la frase "la mamma degli imbecilli è sempre incinta", in cui dice al carabiniere che l'intervento su Rigopiano era stato fatto in mattinata riferendosi proprio alla telefonata pervenuta da Gabriele D'Angelo. E' ipotizzabile che D'Angelo abbia chiesto l'evacuazione della struttura dopo le scosse di terremoto che avevano interessato la zona.  A mettere gli investigatori sulla traccia giusta c'è, agli atti della prima indagine, quella che ha portato ai 25 indagati, una telefonata tra i carabinieri e la Prefettura delle ore 18.09 del 18 gennaio 2017, quindi almeno un'ora e venti dopo la valanga. Il carabiniere di servizio riferisce di aver ricevuto una telefonata di Quintino Marcella: Quintino è il proprietario del ristorante di Silvi dove lavorava Giampiero Parete, scampato alla tragedia con la famiglia: il ristoratore dichiarava ai carabinieri che Parete gli aveva riferito della valanga. "Ho preso una telefonata adesso da un signore - dice il carabiniere - di un certo Quintino. Marcella. Questo qua mi ha detto che un cuoco di sua conoscenza che sta all'Hotel Rigopiano...", al che la dirigente Acquaviva lo ferma per dirgli che "l'Hotel Rigopiano è già stato fatto questa mattina. C'erano dei problemi. Sono stati raggiunti e sta tutto apposto". L'operatore del 112 di Pescara a quel punto chiede cosa sia stato fatto, perché a lui Marcella avrebbe detto che "è crollato l'Hotel". "Eh, sì questa mattina", è la risposta della Acquaviva, e il carabiniere all'oscuro di tutto ribatte "Ah, ma sto' deficiente mi ha fatto spaventare. Mi ha detto: guardi mi ha detto è crollato l'Hotel Rigopiano e che ci sono delle persone dentro". La funzionaria della Prefettura lo tranquillizza chiarendogli: "Ma no l'intervento sull'Hotel Rigopiano l'hanno fatto questa mattina". Ma di che intervento si tratta? Si tratta di un controllo evidentemente. Lo scambio di battute tra Prefettura e Carabinieri di fatto termina con un ambientale registrato nella telefonata nella quale la Acquaviva si rivolge ad una terza persona che si trova con lei e le chiede: "...scusa l'Hotel Rigopiano è stato fatto questa mattina l'intervento no? ...ai Carabinieri ha telefonato uno dicendo è crollato l'Hotel Rigopiano con dentro la gente ma... una voce maschile in ambientale dice: ma che stiamo scherzando. Donna: ma non è vero. Una voce maschile in ambientale dice: è uscito fuori che era uno scherzo...". L'operatore del 112 a quel punto tira un sospiro di sollievo "Ah addirittura è uscito fuori che era uno scherzo" si sente sempre nell'ambientale della telefonata. Altre voci di sottofondo della sala operativa della Prefettura dicono "Ho parlato pure io con un uno di Rigopiano... dice che siccome ci sono problemi con le linee telefoniche... scusa contattate là. Eh no io credo sia tutta una montatura". L'indagine parte proprio da qui: da questa telefonata di D'Angelo, che risulta aver chiamato la Prefettura, non c'è traccia in nessun brogliaccio, eppure è stata ricevuta.

Rigopiano, indagine per depistaggio: 7 sotto accusa. “Nascosero brogliacci delle richieste di soccorso dall’hotel”. La procura di Pescara guidata da Massimiliano Serpi sospetta che l'ex prefetto Francesco Provolo e altri funzionari della prefettura abbiano occultato il brogliaccio delle segnalazioni del giorno della tragedia alla squadra mobile di Pescara per nascondere la chiamata fatta dal cameriere Gabriele D'Angelo che richiedeva l'evacuazione della struttura diverse ore prime della valanga, scriv e"Il Fatto Quotidiano" il 28 dicembre 2018. Frode in processo penale e depistaggio. Con queste accuse 7 persone sono indagate in un nuovo filone d’inchiesta sulla tragedia dell’hotel Rigopiano, seppellito da una valanga il 18 gennaio 2017. La procura di Pescara guidata da Massimiliano Serpi sospetta che l’ex prefetto Francesco Provolo e altri funzionari della prefettura di Pescara abbiano occultato il brogliaccio delle segnalazioni del giorno della tragedia alla squadra mobile di Pescara per nascondere la chiamata fatta dal cameriere Gabriele D’Angelo – una delle 29 vittime – poche ore prima della valanga per chiedere aiuto al Posto di coordinamento avanzato di Penne. Una telefonata di cui avevano dato conto il TgR Abruzzo e Ilfattoquotidiano.it lo scorso 6 novembre (nell’immagine in evidenza il brogliaccio). “Gabriele D’Angelo, Rigopiano, evacuazione”, era appuntato nell’elenco. L’inchiesta, coordinata dal sostituto procuratore Andrea Papaliae affidata ai carabinieri forestali di Pescara guidati dal tenente colonnello Annamaria Angelozzi, vede tra gli indagati, oltre a Provolo, anche i due viceprefetti distaccati Salvatore Angieri eSergio Mazzia. Sotto accusa anche i dirigenti Ida De Cesaris, Giancarlo Verzella, Giulia Pontrandolfo e Daniela Acquaviva. Oggi Angieri è il vicario del prefetto di Macerata, mentre Mazzia è il vicario del prefetto di Crotone. Gli investigatori stavano indagando su tale vicenda già da un anno dopo l’acquisizione di un inedita conversazione avvenuta tra un carabiniere della sala operativa di Pescara e la funzionaria della prefettura Daniela Acquaviva, balzata a suo tempo alle cronache per la telefonata nella quale proferiva la frase “la mamma degli imbecilli è sempre incinta”, in cui dice al carabiniere che l’intervento su Rigopiano era stato fatto in mattinata riferendosi proprio alla telefonata pervenuta da Gabriele D’Angelo. Secondo l’ipotesi degli inquirenti, D’Angelo avrebbe chiesto l’evacuazione della struttura dopo le scosse di terremoto che avevano interessato la zona. A mettere gli investigatori sulla traccia giusta c’è agli atti della prima indagine – quella chiusa nelle scorse settimane con 25 indagati – una telefonata tra i carabinieri e la Prefettura delle ore 18.09 del 18 gennaio 2017, quindi almeno un’ora e venti dopo la valanga. Il carabiniere di servizio riferisce di aver ricevuto una telefonata di Quintino Marcella, il proprietario del ristorante di Silvi dove lavorava Giampiero Parete, scampato alla tragedia con la famiglia: il ristoratore dichiarava ai carabinieri che Parete gli aveva riferito della valanga. “Ho preso una telefonata adesso da un signore – dice il carabiniere – di un certo Marcella Quintino. Questo qua mi ha detto che un cuoco di sua conoscenza che sta all’hotel Rigopiano…”, al che la dirigente Acquaviva lo ferma per dirgli che “l’hotel Rigopiano è già stato fatto questa mattina. C’erano dei problemi. Sono stati raggiunti e sta tutto apposto”. L’operatore del 112 di Pescara a quel punto chiede cosa sia stato fatto, perché a lui Marcella avrebbe detto che “è crollato l’hotel”. “Eh, sì questa mattina”, è la risposta della Acquaviva, e il carabiniere all’oscuro di tutto ribatte: “Ah, ma sto deficiente mi ha fatto spaventare. Mi ha detto guardi mi ha detto è crollato l’hotel Rigopiano e che ci sono delle persone dentro”. La funzionaria della prefettura lo tranquillizza chiarendo: “Ma no l’intervento sull’hotel Rigopiano l’hanno fatto questa mattina”. Ma di che intervento si tratta? Si tratta di un controllo evidentemente. Lo scambio di battute tra prefettura e carabinieri di fatto termina con un ambientale registrato nella telefonata nella quale la Acquaviva si rivolge ad una terza persona che si trova con lei e le chiede: “…scusa l’hotel Rigopiano è stato fatto questa mattina l’intervento no? …ai carabinieri ha telefonato uno dicendo è crollato l’hotel Rigopiano con dentro la gente ma…”. Una voce maschile in ambientale dice: “Ma che stiamo scherzando”. Donna: “Ma non è vero”. Una voce maschile in ambientale aggiunge: “È uscito fuori che era uno scherzo…”. L’operatore del 112 a quel punto tira un sospiro di sollievo: “Ah addirittura è uscito fuori che era uno scherzo”, si sente sempre nell’ambientale della telefonata. Altre voci di sottofondo della sala operativa della prefettura dicono: “Ho parlato pure io con un uno di Rigopiano… dice che siccome ci sono problemi con le linee telefoniche… scusa contattate là. Eh no io credo sia tutta una montatura”. L’indagine parte proprio da qui: di questa telefonata di D’Angelo, che risulta aver chiamato la prefettura, non c’è traccia in nessun brogliaccio, eppure è stata ricevuta. E c’è quell’appunto: “Evacuazione”.

Rigopiano, bimba orfana scrive lettera a Babbo Natale: "Portala alla mia mamma, che mi manca tanto". Gaia Matrone ha 7 anni e il 18 gennaio 2017 perse la madre Valentina, una delle 29 vittime della tragedia dell'Hotel Rigopiano, scrive Franco Grilli, Venerdì 28/12/2018, su "Il Giornale". Non è la classica e solita letterina a Babbo Natale. Gaia Matrone, 7 anni, ha perso la mamma Valentina nella tragedia di Rigopiano, il 18 gennaio 2017. Suo papà Giampaolo, invece, si salvò miracolosamente dopo 62 ore da sepolto vivo nel resort. La piccola ha scritto una lettera a Babbo Natale, nella quale la bambina più che chiedere giocattoli, chiede un grosso favore a Santa Claus: "Desidero tanto che porti questa lettera alla mia mamma, perché incontri gli angeli e quindi può recapitarla anche a lei. Cara mamma mi manchi tanto, ti voglio bene con tutto il mio cuore, ti penso sempre e so che sei la stella più luminosa che c'è in tutto il cielo. C'è una sorpresa per te, con affetto ti voglio bene". Allegate alla missiva, rivela il papà, due foto, per farle capire che stiamo bene. L'uomo, dunque, si sfoga in un video di YouMedia-FanPage: "La vita non è facile, devo inghiottire spesso bocconi amari per la tristezza di mia figlia, il suo vivere di ricordi della mamma che oggi possono essere solo delle foto o dei momenti passati assieme noi tre. Gaia dice sempre che a Gesù serviva una dottoressa e ha chiamato Valentina, che era un'infermiera". E ancora: "Ma è giusto che nella letterina a Babbo Natale la prima preoccupazione di una bambina di 7 anni, che dovrebbe ricevere dei regali, sia stata quella di chiedergli se poteva recapitare queste parole alla mamma?", si chiede Giampaolo Matrone, che oltre a Babbo Natale, la lettera vorrebbe consegnarla anche ad altri destinatari, ovvero tutti coloro per i quali la Procura di Pescara ha chiesto il rinvio a giudizio, ma anche altri le cui posizioni per ora sono state archiviate dall'inchiesta."Nè io, nè tutti gli altri parenti e congiunti delle vittime riusciamo ad accettare quello che è successo quel giorno, figuriamoci i bambini: non ci dimentichiamo che Rigopiano ha lasciato anche tanti orfani di uno o di tutti e due i genitori e Gaia è una di loro. La Procura e i giudici non devono prendere sotto gamba la situazione. Ci impieghino pure tutto il tempo necessario, ma almeno tra qualche anno avremo la pena certa e la giustizia certa, sia per le persone che non ci sono più, per i nostri cari, sia per noi che siamo rimasti in vita, sia per i bambini, perché se li sono scordati tutti: gli orfani di Rigopiano sono stati dimenticati".

L'ultima lettera del generale suicida: "La mia colpa per le vittime di Rigopiano". L'ultimo, drammatico messaggio di Guido Conti, ex alto ufficiale del Corpo forestale, che aveva firmato alcune delle autorizzazioni per il centro benessere dell'albergo abruzzese distrutto da una valanga la notte del 18 gennaio scorso. Gli investigatori alla ricerca della terza missiva spedita prima di uccidersi sulla strada verso il Monte Morrone, scrive il 18 novembre 2017 "La Repubblica". Si è ucciso con un colpo alla tempia destra esploso con una pistola calibro 9 a poca distanza dall'auto con cui era arrivato alle pendici del monte Morrone. E' stato anche il primo esame medico a confermare che l'ex generale dei carabinieri forestali Guido Conti, trovato morto ieri a Sulmona, si è suicidato con un solo colpo di pistola. Ulteriori conferme sono giunte dai tanti particolari raccolti dagli investigatori, i carabinieri dell'Aquila, sia sul luogo della tragedia che dalle testimonianze rese da familiari e amici. Tra gli altri, la decisione di oscurare il profilo social, già da ieri, era parso un chiaro segnale premonitore. Ma a rendere ancora più tragica la fine dell'ufficiale, andato in congedo dopo il passaggio del Corpo forestale all'Arma dei carabinieri, è una delle lettere lasciate ai familiari, nella quale Conti racconta di non aver mai superato il dolore e il senso di angoscia per le vittime della tragedia di Rigopiano. Nella lettera, indirizzata "alla mia famiglia" e il cui contenuto è stato anticipato dall'AdnKronos, Guido Conti scrive tra l'altro: "Da quando è accaduta la tragedia di Rigopiano la mia vita è cambiata. Quelle vittime mi pesano come un macigno. Perché tra i tanti atti, ci sono anche prescrizioni a mia firma". Conti entra poi nel merito, specificando: "Non per l'albergo, di cui non so nulla, ma per l'edificazione del centro benessere, dove solo poi appresi non esserci state vittime. Ma ciò non leniva il mio dolore. Pur sapendo e realizzando che il mio scritto era ininfluente ai fini della pratica autorizzativa mi sono sempre posto la domanda: Potevo fare di più?". Conti conclude la lettera con espressioni di grandissimo affetto per la famiglia. Guido Conti era andato in pensione dal corpo forestale ed era andato a lavorare in Basilicata per la Total, multinazionale del petrolio che ha un impianto in Val d'Agri. A quanto si è appreso, Conti si è licenziato nei giorni scorsi e ieri mattina è uscito verso le 9,30 dalla sua casa di via Battisti, a Sulmona, dicendo alla moglie che sarebbe rientrato a pranzo. Salito sulla Smart utilizzata dalle figlie, si è fermato in una tabaccheria in via De Nino, dove ha acquistato tre fogli e buste da lettera e un francobollo, per poi risalire in macchina e fermarsi in qualche luogo dove ha scritto i suoi ultimi messaggi. Al momento sono state trovate due lettere: una indirizzata alla famiglia e una alla sorella. Mancherebbe la terza lettera, quasi certamente affrancata e spedita a un destinatario al momento sconosciuto. Conti poi è risalito in auto, dirigendosi sulla strada verso il Morrone. Una scelta anche questa non casuale. Da sempre il generale amava fare lunghe passeggiate lungo la provinciale che da Sulmona sale verso Pacentro, chiusa da due anni e mezzo, in seguito a una frana del marzo 2015. Percorsi cinque tornanti, Conti ha parcheggiato l'auto in una piazzola che costeggia la provinciale è sceso e si è ucciso con la sua pistola. Il caso ha voluto che a trovarlo siano stati due forestali, che avevano lavorato con lui a Sulmona. Subito è scattato il protocollo previsto in questi casi: l'area è stata circoscritta e sul posto sono intervenuti i carabinieri e poco dopo il sostituto procuratore Aura Scarsella. I rilievi sono continuati fino all'alba di venerdì mattina. L'auto è stata posta sotto sequestro, così come la pistola e le lettere indirizzate ai familiari. Un anno fa, sul suo profilo Facebook, Conti aveva pubblicato una lettera aperta indirizzata all'ex premier Matteo Renzi, in cui il generale difendeva il Corpo forestale contro l'accorpamento nell'Arma deciso dal governo. Un intervento contro "lo scioglimento di una istituzione benemerita bisecolare e carica solo di dignità, abnegazione ed efficienza", rispetto al quale - scriveva Conti - "mio Padre (pure lui un forestale, ndr) è morto due volte. E insieme a lui decine di migliaia di uomini che nella nostra Missione, perché tale è lo spirito che ci anima, hanno creduto e credono. E questo non posso permetterlo. Senza battermi fino in fondo".

Tragedia di Rigopiano: la valutazione del forestale suicida era corretta, scrive il 27.11.2017 "La Regione". I consulenti tecnici della Procura di Pescara hanno valutato che ''il parere sul vincolo idrogeologico risulta correttamente rilasciato poiché l'esiguo movimento di terreno per la sistemazione del manufatto non poteva determinare nessun movimento franoso e in ogni caso tale parere non era mirato ad affrontare le specifiche tematiche di geomorfologia globale dell'area nel contesto complessivo''. È quanto si legge nelle carte dell'indagine sulla tragedia di Rigopiano del 18 gennaio scorso dove sono morte 29 persone. Il passaggio riguarda il parere favorevole emesso dall'ex generale dei carabinieri forestali Guido Conti, suicidatosi il 17 novembre scorso. All'epoca del fatti, nel marzo del 2007, Conti guidava il comando provinciale della Forestale. In una lettera lasciata prima di uccidersi, Conti aveva parlato di Rigopiano come di un suo cruccio. Il progetto di realizzazione del centro benessere dell'hotel riguardava ''esigua movimentazione di terreno, da cui non poteva derivare nessuna frana''. Nell'informativa si prende in esame anche la relazione del geologo Luciano Sbaraglia inserita nel progetto di ristrutturazione dell'hotel: secondo quanto evidenziato ''Sbaraglia era consapevole che l'hotel Rigopiano sorgeva in un'area montana in forte pendenza. Nonostante ciò nella sua relazione non ha affrontato le tematiche geomorfologiche e non ha effettuato una valutazione della stabilità del pendio sovrastante l'hotel e conseguentemente nessuna valutazione sull'esistenza del rischio valanga''. 

Suicidio Guido Conti, la famiglia: «Rigopiano non c’entra». «Correlazioni prive di fondamento aggiungono dolore a dolore», scrive il 19 Novembre 2017 "Prima da Noi". «Apprendiamo con immenso dolore come la morte del nostro congiunto sia stata messa in relazione alla tragedia di Rigopiano. Stupisce che questa correlazione sia stata da taluno ipotizzata in assenza di qualsiasi collegamento diretto e indiretto tra l'attività svolta da Guido e le vittime di Rigopiano. Tutto ciò aggiunge dolore al dolore». E' quanto riferisce all'Ansa un familiare dell'ex generale dei carabinieri forestali, Guido Conti, che si è suicidato nelle campagne di Pacentro venerdì scorso. Conti si e' suicidato con un colpo di pistola e i diversi indizi non lascerebbero dubbi su questa ipotesi, secondo gli investigatori. Al termine dell'esame peritale, dal quale non sono emersi altri segni di violenza, la salma è stata riconsegnata ai familiari per l'allestimento della camera ardente che da domenica mattina è stata aperta nell'aula d'udienza al piano terra del Tribunale peligno. Prima del gesto estremo Conti ha lasciato una lettera alla famiglia e un'altra ad una sorella. Mancherebbe una terza missiva che sarebbe stata spedita non si sa a quale destinatario, poco prima che salisse su una Smart di una delle due figlie per dirigersi verso le pendici del Monte Morrone (luogo a lui molto caro) per premere su quel grilletto. Secondo le poche informazioni trapelate la morte risalirebbe ad un breve arco di tempo intorno alle 19. Un fatto non irrilevante perchè amplia di molto il periodo di tempo trascorso tra l’uscita di casa intorno alle 10, la fermata dal tabaccaio per comprare fogli e francobollo e il momento della morte. Che cosa ha fatto l’ex generale in tutto quel tempo? Ha incontrato altre persone? Ha parlato con altre persone? Un periodo molto lungo da sostenere per una persona che già dalla mattina aveva deciso. Molto risalto è stato dato nella giornata di domenica dai media alle parole di Conti riferite alla tragedia di Rigopiano avvenuta lo scorso 18 gennaio. Una tragedia enorme che ha portato alla morte di 29 persone tra turisti e dipendenti dell’hotel. L’inchiesta è in corso ed è attesa una svolta con la conclusione. In una delle due lettere ai familiari l'ex investigatore protagonista del processo sulla mega discarica di Bussi sul Tirino, aveva infatti scritto che «da quando è accaduta la tragedia di Rigopiano la mia vita è cambiata. Quelle vittime mi pesano come un macigno. Perchè tra i tanti atti ci sono anche prescrizioni a mia firma. Non per l'albergo, di cui non so nulla, me per l'edificazione del centro benessere». L'autorizzazione si riferisce all'ok per la piscina (dove non c’è stato alcun morto) e al rischio frana dell'impianto. Nella lettera Conti prosegue chiedendosi «Potevo fare di più? Nel senso potevo scavare e prestare maggiore attenzione in indagini per mettere intoppi o ostacolare quella pratica? Probabilmente no ma avrei potuto creare problemi, fastidi. Vivo con il cruccio», conclude. «Rigopiano è stato uno dei motivi che mi hanno convinto a lasciare il mio lavoro o a tentare di fare altro o a disinteressarmi di tutto questo», ha spiegato Conti. E poi uno dei passaggi probabilmente più tragici: «non vivo, vegeto, facendo finta d'essere vivo». «La pubblicazione del contenuto delle lettere, tuttora sconosciuto a noi familiari, ci lascia profondamente amareggiati e aggiunge dolore al dramma che ci ha colpito», afferma il parente di Conti. Le lettere sono state sequestrate ma diffuse in gran parte dalla agenzia AdnKronos. Tutta l’attenzione mediatica si è concentrata su questo aspetto che ha assunto una apparente rilevanza ma forse esistono altre ragioni e motivazioni che hanno concorso o contribuito a prendere l’estrema decisione. Una tra le tante anche la “perdita di identità” con il passaggio forzoso ai carabinieri dalla Forestale, il corpo che lui e tutti gli altri avevano scelto. Poi anche la rottura prematura e improvvisa dei rapporti con la Total, un gradino che doveva contribuire ad una ascesa e alla risoluzione di molti problemi e conflitti anche interiori che invece è crollato appena poggiato il piede.

DE SANCTIS: «CONTI NESSUNA RESPONSABILITA’ SU RIGOPIANO». Augusto De Sanctis, esponente del Forum dell’Acqua con le sue inchieste e denunce ha sollevato diverse questioni sulla tragedia di Rigopiano, e racconta una degli ultimi colloqui con Conti. Lo stesso De Sanctis spiega che «il parere era sui lavori di realizzazione del Centro benessere dell'Hotel su terreni gravati dal Vincolo Idrogeologico. Il parere a sua firma era del 23/03/2007 e rientrava tra i tanti pareri da ottenere per la variante al Piano Regolatore di Farindola per permettere la realizzazione della SPA. La ristrutturazione dell'albergo aveva seguito un diverso procedimento amministrativo». «Nella tarda primavera, qualche mese dopo il deposito degli esposti da parte nostra, durante un incontro a Popoli su varie questioni ambientali, Guido mi chiese che ne pensavo. Intanto precisai in maniera piuttosto diretta, per far capire il nostro approccio, che, come d'altro lato avrebbe fatto lui, su ogni atto non eravamo andati a vedere la firma ma il contenuto, senza sconti per nessuno». «Gli dissi, in maniera netta, che», ha scritto ancora De Sanctis, «a nostro avviso, quel parere, a cui Guido probabilmente fa riferimento nella sua ultima lettera, come diversi altri, non c'entrava nulla con la tragedia nè direttamente nè indirettamente. Si trattava di un parere sul Regio Decreto 3267 del 1923 (sì, il vincolo idrogeologico si fonda su una norma di 90 anni fa!). Addirittura veniva rilasciato su un prestampato con le possibili prescrizioni da barrare. Non vi era neanche l'opzione del diniego. Su 4 possibili prescrizioni per condurre correttamente i lavori Guido ne aveva barrate 4. Altri magari si sarebbero accontentati nell'analisi di quel documento, fermandosi lì. Noi invece no. Precisai che con la nostra squadra che avevamo messo su per vagliare gli atti del Rigopiano, con tutti i nostri limiti e per dare il nostro contributo civico di conoscenza, avevamo scandagliato minuziosamente il Regio Decreto per cercare qualsiasi possibile riferimento, diretto o indiretto, alla relazione tra quanto accaduto e quel parere e alla possibilità, magari, di diniego.  Ebbene, la parola "valanga" compare una volta sola in tutto il lunghissimo decreto composto di 186 articoli ed esclusivamente per i boschi che possono contribuire ad evitare l'innesco della valanga. Quindi, al massimo per interventi e progetti fatti in cima alla montagna come tagli boschivi al limite superiore del bosco. Non era questo il caso visto che l'intervento oggetto del parere, come sappiamo, era localizzato a valle. Per intenderci, qualsiasi cosa avesse potuto scrivere nel parere non poteva certo evitare la discesa della valanga perchè si stava parlando di lavori attorno all'albergo. Solo su quello poteva esprimersi». «L'incontro finì lì». Conclude De Sanctis, «Poi Guido tornò brevemente sull'argomento qualche mese dopo nella tarda estate quando mi volle annunciare in un incontro a Pescara la sua decisione di lasciare l'Arma per l'impegno lavorativo con il privato. Mi sembrava molto convinto della sua scelta, illustrandomi i vari aspetti che lo avevano portato alla decisione. Mi limitai ad esporre i miei dubbi sul contesto difficile dove sarebbe andato a lavorare come quello lucano. Sul Rigopiano fui ancora più netto della volta precedente dicendogli brevemente che eravamo rimasti a quanto detto in quell'incontro e che a mio avviso non vi era alcunchè da aggiungere e di lasciare stare».

Suicidio Conti, c’è anche una inchiesta per fuga di notizie sulle lettere. Ipotesi della procura di Sulmona: «rivelazione di segreto d’ufficio», scrive il 28 Novembre 2017 "Prima Da Noi". La procura della Repubblica di Sulmona ha aperto un procedimento penale nei confronti di ignoti per il reato di rivelazione segreto di ufficio in relazione alla divulgazione su organi di stampa il 19 novembre 2017 di parte del contenuto del manoscritto rinvenuto dai Carabinieri nell'autovettura dell'ex generale Guido Conti, divulgazione avvenuta prima della consegna di copia della lettera ai familiari ed alla Procura.

Conti si è suicidato il 17 novembre con un colpo di pistola. La sera del 18 novembre l’agenzia di stampa nazionale AdnKronos pubblica ampi stralci delle lettere: «da quando è accaduta la tragedia di Rigopiano la mia vita è cambiata. Quelle vittime mi pesano come un macigno. Perché tra i tanti atti, ci sono anche prescrizioni a mia firma. Non per l'albergo - insisteva - di cui non so nulla, ma per l'edificazione del centro benessere, dove solo poi appresi non esserci state vittime. Ma ciò non leniva il mio dolore. Pur sapendo e realizzando che il mio scritto era ininfluente ai fini della pratica autorizzativa mi sono sempre posto la domanda: potevo fare di più?».  Sia i familiari che la Procura di Pescara hanno negato alcun coinvolgimento di Conti con la tragedia dei 29 morti per la valanga: non era e non sarebbe mai stato indagato come hanno anche confermato i consulenti tecnici della Procura di Pescara che hanno valutato come «il parere sul vincolo idrogeologico risulta correttamente rilasciato poichè l'esiguo movimento di terreno per la sistemazione del manufatto non poteva determinare nessun movimento franoso e in ogni caso tale parere non era mirato ad affrontare le specifiche tematiche di geomorfologia globale dell'area nel contesto complessivo». E' quanto si legge nelle carte dell'indagine sulla tragedia di Rigopiano del 18 gennaio scorso dove sono morte 29 persone. Il passaggio riguarda il parere favorevole emesso dall'ex generale dei carabinieri forestali Guido Conti, suicidatosi il 17 novembre scorso. All'epoca dei fatti, nel marzo del 2007, Conti guidava il comando provinciale della Forestale di Pescara. In una lettera lasciata prima di uccidersi, Conti aveva parlato di Rigopiano come di un suo cruccio, poi confermato da altri testimoni. Il progetto di realizzazione del centro benessere dell'hotel riguardava «esigua movimentazione di terreno, da cui non poteva derivare nessuna frana».

Valanga hotel Rigopiano, l’avv. Reboa sul suicidio del generale Conti: “Siamo sicuri che sulla lettera c’era veramente la sua calligrafia?” Dubbi animano l'avvocato Romolo Reboa, legale di alcune delle famiglie della tragedia di Rigopiano, scrive Filomena Fotia il 28 novembre 2017 su Meteo Web. Dubbi animano l’avvocato Romolo Reboa, legale di alcune delle famiglie della tragedia di Rigopiano, intervenuto a Radio Cusano Campus, durante la trasmissione “Legge o Giustizia”: “Mi domando perché chi ha fatto certi tipi di domande, come quella fatta all’amministratore del resort, non sia compreso nella lista riguardante le persone colpite da avviso di garanzia ed ho qualche perplessità rispetto alla morte dell’ex generale Conti (morto suicida il 17 Novembre), mi sembra strano in certi aspetti: siamo sicuri, ad esempio, che sulla lettera che è stata trovata e che parlava di Rigopiano c’era veramente la sua calligrafia?“. Sono ventinove le persone che persero la vita durante quell’incredibile tragedia: il procuratore capo di Pescara Massimiliano Serpi e il sostituto Andrea Papalia hanno emesso invece 23 avvisi di garanzia ampliando di parecchio la platea degli indagati, al fine di accertare le responsabilità relative al resort travolto lo scorso 18 Gennaio. Di chi sono le responsabilità? “Parliamo di incapacità del sistema dei soccorsi, soprattutto nel ricoprire i ruoli che avevano le persone che sono al centro della vicenda. Così capiamo come si può morire in Italia. Siamo di fronte all’accettazione pedissequa del rischio cosciente, con l’attesa che non succeda nulla: siamo davanti ad una totale deresponsabilizzazione. Non è mai colpa di nessuno: il pubblico oggi è il posto dove si va a prendere uno stipendio anziché per lavorare. E’ innegabile: si muore di fenomeni sociali”.

Petrolgate in Basilicata, cosa c'è dietro due strani suicidi. L'ex generale Conti e il tecnico Griffa si tolsero la vita. Le loro storie sono legate alle vicende dei giacimenti lucani di Tempa Rossa ed Eni. Tra inquinamento, preoccupazioni e vecchie inchieste. La ricostruzione, scrive Alessandro Da Rold e Luca Rinaldi su "Lettera 43" il 22 novembre 2017. Non c’è pace per il petrolio in Basilicata. Dopo le inchieste degli ultimi anni e l’ombra di un inquinamento senza controllo, ora sono due suicidi a turbare le notti della Val D’Agri. Succedono cose strane. Le procure di Potenza e Sulmona stanno vagliando ogni pista per fare luce su queste morti.

UNA MORTE FINITA SUI GIORNALI. La prima è quella dell’ex generale della Forestale Guido Conti - finito sui giornali perché dopo il suicidio avrebbe lasciato delle lettere per la tragedia di Rigopiano quando era comandante provinciale e aveva fatto autorizzazioni. L’altra morte è invece quella dell’ex responsabile del Centro oli di Viggiano Gianluca Griffa. Il primo è stato ingaggiato dalla Total, proprietaria dello stabilimento Tempa Rossa di Corleto Perticara, come “direttore esecutivo ambiente e sostenibilità”. L’azienda il giorno della sua assunzione in comunicato aveva sottolineato come la scelta fosse stata presa «per assicurare che le attività continuino a essere svolte nel pieno rispetto della legge e in modo tale da coniugare industria, ambiente e sicurezza».

UN RUOLO DI CUI ERA ENTUSIASTA. Un incarico di cui Conti all’inizio era entusiasta. Una decisione dettata dalla volontà di «dimostrare che si può produrre e dare ricchezza diffusa, e tutelare migliaia di posti di lavoro di italiani, rispettando le leggi. Tutte. In primis quelle ambientali». Dopo 15 giorni però arrivarono le dimissioni. Poi il suicidio. L'agenzia AdnKronos ha pubblicato le lettere sulla tragedia di Rigopiano, ma la famiglia ha smentito. La procura di Sulmona ha intenzione di vederci chiaro. Al momento pare meno convinta di altri nel ricondurre la morte dell’ex generale al senso di rimorso per la tragedia di Rigopiano citata nelle lettere lasciate a moglie e figlie. Non a caso sono stati ascoltati amministratore delegato e staff di Total.

QUELL'INQUIETANTE TELEFONATA. È notizia del 21 novembre l’acquisizione di una telefonata anonima acquisita dagli investigatori e ricevuta dal giornale online abruzzese Primadanoi.it. Poco prima delle 15 di venerdì 17 novembre una voce probabilmente artefatta segnalava le dimissioni di Conti da Total. La redazione di Primadanoi.it ha parlato all’Ansa di una voce «presumibilmente maschile e dall’accento meridionale, forse siciliano».

PAREVA «DISTRUTTO E CAMBIATO». La morte dell’ex generale, stando a una prima ricognizione, sarebbe avvenuta tra le 16 e le 17 di venerdì, dunque la telefonata sarebbe arrivata un’ora prima del suicidio. Il caso è dunque tutt’altro che chiuso anche perché la moglie di Conti al quotidiano Il Tempo ha confidato come di ritorno da Potenza avesse trovato l’ex generale «distrutto» e «cambiato». Sotto la lente dei magistrati di Potenza c’è poi un altro suicidio, un memoriale e le indagini su Eni che riguardano gli sversamenti di idrocarburi al Centro oli di Viggiano, il Cova. Nei giorni in cui il processo per il “Petrolgate” lucano era ai nastri di partenza a fare rumore fu una lettera depositata agli atti dell’inchiesta dei pm Francesco Basentini e Laura Triassi dell’ex responsabile dell’impianto, morto suicida nel 2013.

UNA FORTE DEPRESSIONE. Gianluca Griffa aveva 38 anni quando si tolse la vita nei boschi della sua città di origine, Montà d'Alba, provincia di Cuneo. Ingegnere energetico, era responsabile del Cova. Il suo corpo fu ritrovato da un abitante della zona l'8 agosto del 2013 e secondo quanto accertato dai carabinieri l’uomo si tolse la vita a causa di una forte depressione. Dal 25 luglio non si avevano più sue notizie. Tre giorni prima aveva avuto un incontro con i suoi superiori di Eni a Milano.

TANTI PROBLEMI TECNICI. Prima di sparire Griffa ha però scritto un memoriale ora finito al vaglio dei magistrati di Potenza che sono arrivati al suo nome scorrendo l'elenco dei dirigenti Eni da interrogare nell'ambito dell'inchiesta sullo smaltimento dei rifiuti del Cova. Alla notizia del suicidio dell'ingegnere i pm hanno deciso di andare oltre raccogliendo la missiva in cui lo stesso metteva in fila problemi tecnici nei processi di trattamento del petrolio estratto in Val d’Agri, alcuni dei quali sono emersi nel corso degli anni successivi. Nella lettera inviata ai carabinieri di Viggiano e agli ispettori di polizia mineraria (Unmig) del ministero dello Sviluppo economico e riportata da Quotidiano del Sud, Griffa tratteggiava con preoccupazione le modalità di gestione del petrolio e i problemi dei serbatoi del centro oli. Il primo problema riguardava la reiniezione delle sostanze pericolose nel corso del processo di trattamento del petrolio. Una preoccupazione poi rilevata dalla magistratura tre anni dopo e che ha portato alla sospensione del lavoro del pozzo di Costa Molina 2 nel comune di Montemurro.

PETROLIO DISPERSO NEL TERRENO. In seconda battuta si legge di come l’ingegnere avesse individuato delle perdite nel fondo dei serbatoi, descrivendo quanto visto con dovizia di particolari e misure dei fori rilevati. Un particolare emerso con forza a inizio 2017 quando la stessa Eni ha ammesso che 400 tonnellate di petrolio sono state disperse nei terreni adiacenti il Cova. Scoperta casuale, ma che lo stesso Griffa nel suo memoriale scrisse di aver riportato ai suoi superiori.

INADEMPIENZE E RITARDI DI ENI. Del resto nella diffida con cui la Regione Basilicata stoppava le attività del Cova nell'aprile del 2017 si rilevano criticità sui serbatoi di stoccaggio già dal 2009. Senza mezzi termini l’ente regionale scrisse che lo stop si era reso necessario «a fronte di inadempienze e ritardi da parte di Eni rispetto alle prescrizioni regionali». Griffa si rimproverava di non essere riuscito a portare dalla sua parte i suoi superiori e che se le irregolarità fossero emerse all’esterno la colpa sarebbe ricaduta su di lui. Per tutta risposta al 38enne fu prospettata una «missione all’estero». Griffa si rimproverava nella lettera di non essere riuscito a portare dalla sua parte i suoi superiori e che in ogni caso se le irregolarità fossero emerse all’esterno la colpa sarebbe ricaduta su di lui in quanto responsabile dell’impianto.

PERSE TONNELLATE DI GREGGIO? Tuttavia tutti i tentativi di rallentare la portata dell’impianto per tamponare le possibili ricadute, a quanto ha scritto l’ingegnere nel memoriale, sono finiti nel vuoto e la storia è quella che emerge ad anni di distanza con le inchieste e le perdite di carburante. Il Radicale Maurizio Bolognetti, che da sempre chiede trasparenza sulle attività del cane a sei zampe in Basilicata, dice che «l'Eni farebbe bene a controllare con attenzione i 136 chilometri di condotta che portano il greggio dal Cova di Viggiano alle raffinerie Eni di Taranto. Non vorrei dover scoprire negli anni a venire che si son persi lungo il tragitto qualche tonnellata di greggio».

TROVATI DIFETTI PER CORROSIONE. Il commento è riferito a uno studio dell’allora Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro (le cui competenze oggi sono passate all’Inail) che ha rilevato come nel 2006 «da una ispezione effettuata sull’oleodotto Monte Alpi-Taranto», fossero state trovate anomalie «dovute a difetti per corrosione identificati come mancanza di metallo della superficie della condotta». L’Eni interpellata dall’Ansa ha definito quella di Griffa una vicenda drammatica e ha sottolineato che «nel centro oli sono sempre stati effettuati i necessari controlli e le verifiche ispettive già prima del 2012. Tutti gli interventi, non solo quelli sui serbatoi, sono stati gestiti sulla base delle evidenze tecniche e operative emerse nel corso degli anni. La documentazione degli interventi è stata da tempo presentata a tutti gli organi interessati, con i quali Eni collabora come sempre in maniera piena. Eni ha sempre condotto le proprie attività alla luce del sole, operando con totale trasparenza, e condividendo tutte le informazioni sulle attività, regolarmente autorizzate, in Val d’Agri».

IN 47 SUL BANCO DEGLI IMPUTATI. La società è poi passata al contrattacco anche in sede giudiziaria e ha fatto ricorso al Tar sulla decisione per lo stop al pozzo Costa Molina 2. La decisione del tribunale amministrativo regionale è attesa in questi giorni. Intanto il 6 novembre 2017 è iniziato a Potenza il processo per il “Petrolgate” lucano che vede sul banco degli imputati 47 persone tra responsabili del distretto meridionale Eni, ex vertici dell’Agenzia per la protezione ambientale della Basilicata (Arpab), politici, imprenditori locali e altri dipendenti della compagnia petrolifera. Tra le accuse mosse dalla procura c’è anche il traffico e lo smaltimento illecito di rifiuti ed Eni si ritrova tra le 10 società rinviate a giudizio. Il procedimento riunisce due dei tre filoni che componevano l’inchiesta coordinata dai pm Francesco Basentini e Laura Triassi, cioè le indagini sullo smaltimento degli scarti di produzione del Centro oli dell’Eni e i lavori per la realizzazione del Centro oli della Total, a Corleto Perticara, in particolare per presunti scambi tra assunzioni e autorizzazioni da parte della precedente amministrazione comunale.

GUIDI E L'EX COMPAGNO. Il terzo filone sul “Petrolgate” è stato invece archiviato dalla procura di Roma a cui era passato il fascicolo per competenza. Si tratta dell’inchiesta riguardante il porto di Augusta e che aveva coinvolto anche l’ex compagno dell’allora ministro dello Sviluppo economico Federica Guidi, Gianluca Gemelli.

TERREMOTO ED IMPREPARAZIONE.

Ogni 4 anni in Italia un terremoto con vittime, scrive Jacopo Granzotto, Mercoledì 02/11/2016 su “Il Giornale”. Quel rumore sordo, terrificante che accompagna le scosse lo abbiamo sentito e lo sentiremo ancora. Noi italiani possiamo dire con certezza che tornerà. É dal 1905 che il nostro paese è afflitto da una sequenza continua di terremoti. Talmente elevata, che tra un sisma e l'altro (stiamo parlando solo di quelli in cui si registrano vittime) non passano più di quattro anni. Proprio così. L'intervallo, ad esempio, tra quello, tremendo, del 23 novembre 1980 in Irpinia (2735 morti) e il successivo, del 24 aprile 1984 di Molise, Lazio e Campania (7). Come detto, stiamo parlando di eventi dove si registra almeno un decesso. Perché quelli senza troppi danni sono di numero incalcolabile, in media 5, 6 al giorno. In effetti la cifra potrebbe spaventare: ogni anno in Italia si registrano, infatti, dai 1700 ai 2500 terremoti di magnitudo pari o superiore a 2.5 gradi sulla scala Richter. La stragrande maggioranza di questi terremoti non viene neanche avvertita dalla popolazione oppure non provoca danni. Alcuni, però, sono devastanti, come quelli di Abruzzo, Emilia Romagna o Lazio-Umbria e Marche, solo per citare i più recenti. La cifra non è, comunque, da trascurare, visto che il National Earthquake Information Center del servizio geologico americano registra ogni anno dai 12.000 ai 14.000 terremoti in tutto il mondo. Di questi, circa 60 sono classificati come fenomeni in grado di provocare danni importanti o vittime, mentre una ventina supera magnitudo 7.0. Tornando in Italia, le analisi storiche degli esperti in materia hanno rilevato che in ogni secolo ci sono stati più di 100 terremoti di magnitudo compresa tra 5 e 6 gradi, mentre sono stati registrati dai 5 ai 10 fenomeni sismici di magnitudo superiore ai 6 gradi. Ma la risposta definitiva al perché ci sono così tanti terremoti qui in Italia risiede nella nostra specifica conformazione. Siamo situati al margine di convergenza tra due grandi placche, quella africana e quella euroasiatica. Il movimento tra queste due placche provoca un accumulo di energia e deformazione che, ogni tanto, vengono rilasciate sotto forma di terremoto, anche se non necessariamente in modo violento. Evidentemente non c'è solo l'Isis nei nostri incubi.

Terremoto, perché l'Italia non è mai preparata. Abbiamo leggi avanzate sulla pianificazione e la gestione dell'emergenza. Ma i piani spesso non vengono redatti o diventano documenti illeggibili, in burocratese e non condivisi con la popolazione. Ora serve un radicale cambio di mentalità, scrive Mattia Bertin il 31 ottobre 2016 su "L'Espresso". Norcia, comune colpito dal sisma. Sono passati due mesi dal primo sisma che ha colpito il Centro Italia. La Protezione Civile ha agito bene e in fretta, valutando l’agibilità o meno delle case con una precisione che ha permesso di non aver nemmeno un morto a fronte delle nuove scosse. Siamo bravi nella gestione dell’emergenza, da tutto il mondo riconoscono la nostra rapidità e precisione dopo l’intervento. Il nostro limite è il prima. Se la capacità di messa in sicurezza è stata così alta, nemmeno in questo caso abbiamo saputo agire in prospettiva, pianificando il futuro. Le voci che si susseguivano nelle interviste delle prime ore mostravano uno scenario di paesi al buio, con la popolazione costretta a passare la notte in macchina, in attesa, senza prospettiva. Un territorio perduto nel timore di non riconoscere più la propria fisicità, divenuta d’un tratto ostile. Non è tempo di polemiche, non lo è mai dopo un disastro, non lo deve essere. E giudicare non è parte del mestiere di chi scrive. Ma è certamente tempo di farsi delle domande e di trarre delle lezioni dall’esperienza. La prima domanda è: com’è possibile che in due mesi da un terremoto, in un’area a rischio, non si sia valutata la solidità delle grandi strutture comunali, come scuole o palestre, per riconoscere uno spazio al coperto dove accogliere i cittadini la notte in caso di nuova emergenza? La seconda domanda è: cosa sarebbe successo se, anziché nella piovosa ma calda notte del 26 ottobre, la prima scossa di questa nuova serie fosse arrivata in una fredda e nevosa notte di inizio gennaio? La scossa di terremoto 6.5 con epicentro tra Norcia e Preci ha quasi raso al suolo il borgo di Castelluccio di Norcia. Chi scrive conosce molti dei comuni colpiti per averne valutato i piani d’emergenza: Valtopina, Preci, Vallo di Nera, Campello sul Clitunno, piccoli e medi borghi umbri. Ho seguito l’evolvere del terremoto confrontando quanto avveniva con i dati a mia disposizione, occasione rara per chi si occupa di riduzione del rischio di disastro. Era evidente d’un tratto il perché la luce elettrica mancasse così a lungo, perché la gente doveva prepararsi ad una notte in macchina, o ancora perché c’era la sensazione di un caos tenuto assieme solo dalla notevole presenza di uomini e mezzi della Protezione Civile e dei Vigili del Fuoco: perché, nonostante le esperienze recenti, e nonostante l’alto rischio, la percezione degli abitanti e degli amministratori non era quella che deve avere un’area così esposta. Non erano preparati. I sindaci non avevano piani da seguire o collaboratori esperti nei diversi settori su cui prendere le decisioni necessarie. I corpi di intervento locali non avevano partecipato ai processi di pianificazione, e quindi agivano secondo le direttive dei propri superiori, per un fortuito e irripetibile caso presenti nell’area per il sisma precedente. La popolazione non aveva a disposizione indicazioni sui comportamenti più opportuni, sulle vie di fuga sicure, su luoghi caldi e sicuri in cui ripararsi. E tutti hanno scoperto di vivere in un luogo diverso, ora spaventoso, irriconoscibile. Beninteso, non stiamo affatto parlando di comuni in cui la pianificazione dell’emergenza è particolarmente scarsa rispetto al panorama italiano. Al tempo decisi di fare la tesi di dottorato sui piani d’emergenza comunali dell’Umbria proprio per gli investimenti di questa Regione nella gestione delle catastrofi, nella speranza di trovare almeno lì strumenti capaci di rispondere adeguatamente al rischio. Il risultato fu deludente: mostrava un’Italia impreparata al disastro anche nelle zone più in pericolo, incapace di comprendere come organizzare la propria sicurezza, come prepararsi di fronte al rischio. Nessuno è responsabile, ma tutti ora siamo chiamati ad agire. Se non è tempo di fare processi a nessuno, è ora però di comprendere come mettere il territorio italiano in condizione di conoscere i propri rischi e di sapersi difendere. Spesso non siamo consapevoli dei rischi reali di un territorio, abituati a considerare il pericolo collettivo come un elemento da libro di storia. Ci siamo abituati a considerare le nostre città come luoghi sicuri, pericolosi al massimo socialmente, e abbiamo relegato i disastri a un ruolo di invasione aliena. La vera questione della sicurezza, in un Paese così a rischio sismico e idrogeologico come l’Italia, è quella della difesa delle vite, del patrimonio e del costruito dalla normale evoluzione del nostro sistema naturale. Poche regioni italiane non sono state colpite da terremoti violenti negli ultimi due secoli, eppure ogni volta pare sia la prima. Così i piani d’emergenza spesso non vengono realizzati, o vengono sviluppati come raccolte di dati illeggibili e non operativi. I comuni, oberati di altri compiti, demandano a studi privati la realizzazione del più prezioso strumento per la loro sopravvivenza, che si limitano, quando lavorano bene, a raccogliere tutti i dati richiesti per legge, senza un vero pensiero sul territorio, sulle sue debolezze e sulle sue potenzialità. I comuni finiscono così per pensarsi in un ambiente sicuro, scommettendo su una roulette russa che, in questo caso, in assenza di un terremoto pochi mesi fa, chissà quante vittime avrebbe potuto fare. L’effetto è quello di questi giorni: sindaci che devono prendere iniziativa da zero, coordinandosi con il cuore e la disponibilità assoluta dei volontari, ma senza la serenità che deriva solo da una preparazione e da una dimestichezza con il rischio. In questa occasione abbiamo vissuto un avvertimento che, per una volta, si è concluso senza vittime, prendiamo questa occasione come il momento per cambiare strada. Non è un problema da Parlamento o da Governo: abbiamo leggi avanzatissime sulla pianificazione e sulla gestione dell’emergenza. È una questione di mentalità locale, di consapevolezza della reale forma del nostro ambiente. Ci sono Paesi, come il Cile o il Giappone, che hanno vinto questa scommessa, sviluppando altissime competenze amministrative e sociali nella riduzione del rischio, è una strada percorribile e non particolarmente costosa, ma impone un cambio di mentalità radicale nell’approccio alle emergenze. Dobbiamo imparare a costruire i piani d’emergenza come piani politici nel senso più alto del termine, ovvero capaci di guidare una società verso un futuro sicuro e positivo. Dobbiamo imparare a considerare il rischio, i grandi rischi, come un elemento inevitabile delle nostre città, a sentirci coinvolti come cittadini nella gestione del rischio, a partecipare alla costruzione dei piani, ed a chiedere ai nostri sindaci come intendono prepararci ad un possibile evento. Dobbiamo tornare, anche in questo campo, a vivere come parte di un ecosistema naturale più vasto e più imprevedibile di quello che abbiamo supposto negli ultimi cinquant’anni.

*Mattia Bertin è dottore di Ricerca in Governo e Progettazione del Territorio al Politecnico di Milano, con esperienza nella gestione di disastri sul campo con la Protezione Civile. Si occupa di pianificazione dell’emergenza e collabora con la Provincia di Vicenza e diversi comuni in Italia nella realizzazione di piani partecipati.

Mario Tozzi sul terremoto: "Italia come il Medio Oriente. Una scossa di magnitudo 6 non dovrebbe provocare questi disastri". Intervista di Laura Eduati del 24/08/2016 su "Huffingtonpost.it". "Ormai abbiamo osservato che ogni 4 o 5 anni c'è un sisma che colpisce la dorsale appenninica. Eppure gli amministratori non fanno prevenzione. Il risultato è che l'Italia è arretrata come il Medio Oriente: in un paese avanzato una scossa di magnitudo 6 non provoca crolli e vittime". Mario Tozzi, geologo e noto divulgatore scientifico in tv, non usa giri di parole contro la politica che a sette anni dal tragico terremoto dell'Aquila non ha fatto quasi nulla per prevenire il disastro di questo 24 agosto 2016. La terra ha nuovamente tremato violentemente devastando i paesi vicini all'epicentro: Amatrice, Accumoli, Arquata e Pescara del Tronto. "Le zone dalla Garfagnana a Messina, e cioè la dorsale appenninica, sono tutte sismiche e appartengono alla stessa regione geologica. L'Italia è un territorio geologicamente giovane e perciò subisce queste scosse strutturali di assestamento. Non stiamo dicendo che i terremoti sono prevedibili", puntualizza Tozzi, "perché sappiamo che è una sciocchezza. Ma stupisce che in una zona sismica non si faccia quasi nulla per impedire che una scossa di magnitudo 6 possa addirittura far crollare un ospedale come è accaduto ad Amatrice". Non esiste alcun alibi, continua il geologo: "Non veniteci a dire che i paesini del centro Italia sono antichi e perciò crollano più facilmente. Gli antichi sapevano costruire bene e basta pensare che a Santo Stefano di Sessanio, vicino l'Aquila, era crollata soltanto la torre perché restaurata con cemento armato, mentre a Cerreto Sannita nel Beneventano quasi tutto era rimasto intatto dopo il terremoto dell'Irpinia: non fu un caso, era stato costruito bene". Dunque "siccome ormai è chiaro che dobbiamo avere a che fare con i terremoti dovremmo costruire e fare una manutenzione antisismica di tutti gli edifici pubblici e privati, i soldi devono essere impiegati in questo modo: è la priorità", sottolinea ancora Tozzi, ricordando che "in Giappone e in California con una scossa simile a quella di Amatrice c'è soltanto un po' di spavento ma non crolla nulla". Mancati investimenti, fatalismo: il terremoto per Tozzi è soltanto una delle cause delle decine di morti di questa notte. "Facciamo sempre i soliti discorsi ma vediamo che non cambia nulla. Siamo il paese europeo con numero record di frane e alluvioni, siamo territorio sismico eppure per chi ci governa quando qualcosa succede è sempre una fatalità: bisognerebbe smetterla di pensare in questo modo e cominciare a ripensare seriamente al territorio".

TERREMOTO E PREVISIONE.

Un sacco di scienziati e complottisti sono andati a letto ieri senza sapere di aver previsto il terremoto che ha devastato il Centro Italia questa notte. Oggi, con malcelata soddisfazione, ci comunicano che avevano ragione. Come sempre. Scrive Giovanni Drogo mercoledì 24 agosto 2016 su "Next Quotidiano”. Precisi come degli orologi svizzeri questa mattina sono arrivati quelli che leggono – a posteriori – i dati che indicano chiaramente che la notte passata ci sarebbe stato un forte terremoto. Dal momento che non è possibile prevedere il giorno, l’ora o il momento esatto di una scossa (e la relativa magnitudo) si tratta, nella migliore delle ipotesi, di cattiva informazioni (nella peggiore di mistificazioni pure e semplici). Spiega infatti l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia che non è possibile fornire previsioni precise utili ad avvertire per tempo la popolazione. Modelli teorici imprecisi non danno previsioni precise. Esistono dei segnali, chiamati precursori sismici, che consentono di poter formulare previsioni approssimative riguardo intervalli di tempo, di spazio e di magnitudo entro i quali si può verificare con maggiore probabilità della media un evento sismico. Ma non è detto che poi l’evento si verifichi davvero o che sia dell’intensità “prevista”. Sono state invece compilate delle mappe di pericolosità sismica che indicano quelle aree dove a maggiore rischio (e la zona colpita stanotte è purtroppo una di quelle). Utilizzando queste mappe è possibile adottare misure preventive (ad esempio costruire edifici antisismici o mettendo in sicurezza quelli esistenti) per limitare i danni di un eventuale terremoto. Tutto qui? Purtroppo al momento sì, perché i modelli teorici non consentono di essere più precisi. I terremoti non si prevedono, ma è invece possibile – anzi doveroso tenuto conto della situazione geologica italiana – fare prevenzione. Eppure c’è chi già questa mattina sottolineava come avesse già previsto la scossa. Spiegando di aver individuato una ventina di giorni fa un’anomalia che oggi dimostra come al tempo aveva previsto un terremoto. Ovviamente senza localizzarlo, senza indicare l’orario o la magnitudo. Il che come previsione non risulta essere sufficientemente precisa da poter sostenere di avere in mano una prova chiara del rapporto causa-effetto. Tenendo conto che si sapeva già che la zona colpita risulta essere ad alto rischio sismico non si tratta di previsioni accettabili, soprattutto perché – caso comune a molte altre previsioni – vengono fatte dopo l’evento. Che sulla catena appenninica si possano verificare scosse di questo tipo è cosa quindi nota, quello che manca di sapere (e che fa la differenza) è il momento preciso. E questo purtroppo non è possibile determinarlo in base alle conoscenze scientifiche attuali. Vogliamo parlare di quello “scienziato” che crede che i terremoti siano causati da perturbazioni cosmiche e che la causa vada ricercata nel Sole (la soluzione sarebbe spegnerlo). Un momento, forse potrebbe essere il fracking la causa! Ma ecco che, quando la scienza non ci dà certezze, arrivano direttamente quelli che credono nella magia. La grande fiera della cospirazione e della geoingegneria. Come già accadde in occasione del sisma del 2012 in Emilia Romagna c’è chi crede che sia possibile prevedere un terremoto guardando la conformazione delle nuvole. Si tratta di tecniche degne degli antichi romani? Nulla di tutto questo perché c’è chi ci spiega che le nuvole “orientate” in quel modo non sono naturali ma vengono create grazie a esperimenti sul campo elettromagnetico, del tipo di quelli svolti dal famigerato HAARP. Peccato che Terra Real Time, noto sito di complottisti, indicasse come epicentro del fenomeno la Calabria e non il Centro Italia. Cose che capitano quando si devono tenere sotto controllo le macchinazioni del NWO. Curiosamente sul sito le “onde scalari” che hanno provocato lo “tsunami elettromagnetico” venivano ritenute pericolose soprattutto per i portatori di Pacemaker. Il loro scopo? Modificare il clima. Nessun accenno ai terremoti in questa curiosa previsione. Ma naturalmente il NWO non vuole che si sappia che nemmeno Terra Real Time ha previsto un terremoto. Sarebbe bastato leggere il – breve – testo del comunicato per accorgersene ma dal momento che si parla di tsunami e che il termine è associato ai terremoti, ecco servita la previsione. In mancanza del nostro esperto di fuffa preferito (Rosario Marcianò è momentaneamente assente da Facebook) non ci resta che consolarci con le spiegazioni di Gianni Lannes che sul suo sito evoca scenari militari: C’entra forse qualcosa il programma segreto di aerosolchemioterapia bellica che la NATO – previo indottrinamento degli esperti civili – manda in onda dal 2002, a base di irrorazioni aeree di alluminio e bario che rendono l’aria maggiormente elettronconduttiva, in modo da consentire alle onde elf di colpire le faglie sismiche attive? Scie belliche e sciami sismici: un distruttivo connubio militare. […] I terremoti possono essere provocati anche dall’uomo con vari mezzi e sistemi, soprattutto in aree notoriamente a rischio sismico che spesso mascherano la reale dinamica dell’evento tellurico: esplosioni convenzionali e nucleari, iniezioni elettromagnetiche nella crosta terrestre, riscaldamenti ionosferici, ricerca ed estrazione di idrocarburi. Un terremoto indotto presenta distintamente un ipocentro superficiale.

C'è una "Cassandra" che aveva previsto tutto: "L'allineamento dei pianeti scatenerà l'inferno". Stefano Calandra aveva avvisato su giorno e luogo della scossa. Ma il caso non c'entra, scrive Emanuela Fontana, Venerdì 28/10/2016 su "Il Giornale". La speranza in un mondo nuovo dove si possono prevedere i terremoti questa volta è da decifrare nelle cifre minime delle congiunzioni più silenziose, in una scienza più affine al popolo maya che agli umani del terzo millennio. AQ2, Azimut, rotazione dei pianeti, quella rivoluzione dell'«altre stelle» che per Dante era prerogativa dell'amore, e che secondo una nuova teoria potrebbe anticipare i terremoti. Teoria allo studio anche in Grecia, e ora al centro di un dibattito sui social network in Italia che si sta alimentando come un falò dalla sera del 26 ottobre. Tutto è partito dal signor Stefano Calandra, un cognome che evoca la Cassandra di Troia. Nella vita fa il consulente per bed and breakfast, e da qualche mese pubblica una serie di grafici in cui segnala gli allineamenti dei pianeti e i possibili movimenti delle faglie terrestri. Il post più sconcertante lo ha scritto il 25 ottobre, preceduto da una segnalazione del 18: «26/10 sera-notte. L'affollamento di coincidenze di pianeti in linea a 0 gradi di scarto, ben 10 come numero di eventi, essendo una situazione mai vista..., fa pensare ad un potenziale rischio sismico molto alto, quasi massimo, da quel 24/8 del terremoto di Amatrice in poi». Veniva indicata un'area generica, quella «Mediterranea», e una fascia oraria più delicata per il 26, dalle 17.30 alla mezzanotte. Le scosse sono avvenute come scritto il 26 ottobre, a distanza di due ore, con potenza in incremento e nella fascia oraria segnalata. Per la giornata del 27, ossia ieri, Calandra indicava rischio sismico fino alle 10,30 del mattino, e poi di nuovo alle 17.30, con picco alle 22. Il 28 ottobre, oggi, un «allineamento perfetto dei pianeti», a decrescere in serata. Le coincidenze del cielo vicine allo zero in occasione del terremoto di Amatrice, si aggiunge, furono cinque, ora il doppio. Le principali: Giove-Luna Terra, Saturno-Venere-Terra, Mercurio-Sole-Terra. Siamo nel campo delle supposizioni ancora primordiali, del tutto artigianali, e lo stesso Calandra, gli va riconosciuto, lo ammette con una naturale o costruita - umiltà: «Queste previsioni scrive - costituiscono solo delle ipotesi pseudoscientifiche, derivanti da un modello teorico troppo giovane per essere comprovato al 100%». Aggiunge quindi che questo modello acerbo deve essere integrato con le mappe sismiche dell'Ingv e con gli studi sull'aumento di gas radon nel sottosuolo per rendere più circoscritta l'area della segnalazione. Sui social è un ininterrotto fiume di commenti, da «cialtrone» a molti «grazie» su una pagina che ha avuto un'impennata di contatti in una notte insonne: da 700 a 4500. Ci stanno lavorando studiosi anche in Grecia: su 109 grandi terremoti analizzati dal 2004, 102 sarebbero avvenuti in occasione di un allineamento di almeno tre pianeti. Il problema è che manca la prova inversa: quanti falsi allarmi ci sarebbero con questo sistema?

L’uomo che prevede i terremoti. Ecco come fa e le polemiche…, scrive Antonio Amorosi, Mercoledì 30 maggio 2012 su “Affari Italiani”. Il disastro che sta colpendo l’Emilia Romagna e tutti noi era forse evitabile con costruzioni antisismiche ma sarebbe stato possibile fare anche di più. La sentinella dei terremoti sarebbe il Radon un gas radioattivo prodotto dalla disintegrazione spontanea di alcuni metalli. Gli studi sul rapporto tra Radon e terremoti avvengono dagli anni ’60 e la comunità scientifica si interroga sul tema senza essere arrivata a una prova definitiva. Ora quello che sostiene Giampaolo Giuliani, tecnico ricercatore dei Laboratori del Gran Sasso e asceso alle cronache prima del terremoto dell’Aquila, è che combinando le anomale fuoriuscite di Radon con uno sciame sismico in atto, si può prevedere i terremoti in arrivo e capire dove. Lo stesso sciame con fuoriuscita che era visibile adesso in Emilia. Con questa tecnica sarebbe possibile individuare l’epicentro e prevedere con precisione l’avvicinarsi del sisma. Le valutazioni di Giuliani potrebbero anche non essere catalogabili dalla comunità degli addetti ai lavori come scientifiche ma i suoi allarmi sembrano aver fatto centro più di una volta. Intanto nessuno lo ascolta e dà seguito alle sue ricerche.

Cosa ha fatto stanotte Giuliani?

«Ho lavorato. Da stanotte abbiamo impiantato un nuovo rivelatore in Abruzzo, tre stazioni osservative che prevedono le anomalie ad 80-120 km per macchina. Intrecciandole arriviamo a una visione fino a 200 km di distanza. Le anomalie rilevate stanotte davano un responso calmo con piccole scosse di assestamento. Ma riusciamo a vedere solo con 6-24 ore di anticipo».

Cosa ha visto in questi giorni prima del terremoto?

«Abbiamo visto una forte anomalia in arrivo ma non potevano verificare dove. Le nostre macchine sono troppo distanti. Se fossimo su tutto il territorio riusciremmo a vedere con precisione il punto dell’epicentro. La nostra è una ricerca autofinanziata che ha dato ottimi risultati sul campo. Più di questo non riusciamo a fare».

Il presidente di Ingv (Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia) Stefano Cresta ha sostenuto di recente in tv che le sue tecniche non sono scientifiche e che se lei avesse previsto il terremoto dell’Aquila si sarebbe dovuto spostare dal suo abitato e non lo ha fatto! Dove sta la verità Giuliani?

«Il terremoto non potevo fermarlo con le mani! Sono una campana fuori dal coro. Trovano facile delegittimarmi. Non si sa ma la notte prima del terremoto dell’Aquila ho salvato più di 350 persone. Quando ho parlato dell’evento sono stato raggiunto da un avviso di garanzia per procurato allarme. Avevano “montato” una storia falsa cioè che avessi predetto il terremoto a Sulmona ma è falso…falso! Mi hanno minacciato di non avvertire la popolazione per l’arrivo del terremoto …se lo avessi fatto...»

Cosa fa la sua macchina?

«Rivela la variazione di Radon che fuoriesce dal terreno e i suoi prodotti di decadimenti. Questa avviene quando c’è un movimento sospetto nel terreno».

Che rapporto ha il Radon con i terremoti?

«I terremoti avvengono sottoterra. Le rocce sottoposte a stress emettono Radon. La crosta terrestre poggia sul mantello, il mantello contiene uranio, radon, borio…tutti elementi dell’energia termodinamica rilasciata dal mantello. Possiamo vedere se la concentrazione di Radon aumenta e siamo in grado di trigonometrare ed identificare l’epicentro. Quando l’attività è lontana vediamo le anomalie ma danno un segnale più sfocato ed è impossibile fissare il luogo. Se c’è in corso uno sciame sismico incrociamo questo col radon rilasciato nel terreno e capiamo dove avviene il terremoto ma sul nostro raggio d’azione limitato».

Ci sono sperimentazioni in altri Paesi?

«I normali radometri con i quali si misura il radon verifica anche altri elementi che producono le sue particelle di rilascio. Non è un segnale pulito ma noi proviamo a vederlo con questa macchina che ho costruito. In Russia, Turchia, Cina c’è un attenzione al Radon associato al rilevamento del terremoto. Lo fanno in modo diverso dal mio ma sono attenti. Noi, lo dico per chiarezza, riusciamo a vedere solo 6-24 ore prima dell’avvenimento ma l’energia di un terremoto può accumularsi in brevissimo tempo e rilasciare la scossa».

Cosa bisogna attendere adesso?

«Bisogna fare attenzione. Nell’eventualità di altre anomali con i nostri piccoli mezzi proveremo a farlo sapere se le vediamo».

Terremoto, Giuliani: "Si poteva prevedere. Lo sciame? Osservato da 20 giorni". Intervista di Lorenzo Lamperti a Giampaolo Giuliani, Mercoledì, 24 agosto 2016 su "Affari Italiani”. "Il terremoto in Centro Italia? Si poteva prevedere". Lo afferma in un'intervista ad Affaritaliani.it Giampaolo Giuliani, ex tecnico dell'Istituto di Fisica dello Spazio Interplanetario e ora presidente dell'omonima fondazione permanente di ricerca sperimentale sui precursori sismici. 

Giampaolo Giuliani, si poteva prevedere quanto è successo questa notte?

«Sì, si poteva prevedere. C'era una situazione con uno sciame sismico in atto che andava avanti da tempo nel Centro Italia. Sull'Appennino centrale si verificavano scosse giornaliere, anche se strumentali, di un certo interesse».

In che modo può affermare che l'evento fosse prevedibile?

«Noi come Fondazione Giuliani portiamo avanti una ricerca sperimentale sulle variazioni del gas radon che vengono analizzate dai nostri sensori. I nostri grafici rivelano, quando l'incremento supera un certo limite, la possibilità di un forte rilascio. Questo è accaduto anche in occasione del terremoto dell'Aquila sette anni fa. Abbiamo stazioni in questo momento su diversi territori del pianeta. Siamo appena tornati dalla faglia di Sant'Andrea dove abbiamo installato tre stazioni su una direttrice di 700 chilometri tra Palm Springs e San Francisco. Poi abbiamo altre quattro stazioni in funzione a Taiwan e tre ne abbiamo in Abruzzo. Questa notte ne funzionavano due»

E come mai non si è riusciti a prevenire?

«La mia ricerca sperimentale suscita sempre molte polemiche. Ed eravamo in ritardo sui tempi. C'era la speranza che l'evento si verificasse in mezzo alle montagne producendo danni molto minori rispetto a quanto poi effettivamente successo».

Collabora con le istituzioni italiane?

«Il nostro lavoro è molto più apprezzato all'estero. Abbiamo diverse collaborazioni negli Stati Uniti, in Cina, dove prestano molta più attenzione e fede alla risposta di questa ricerca. Siamo appena tornati dagli Stati Uniti e ora mi stavo preparando perché ho una richiesta del governo dell'Ecuador per andare a montare lì cinque stazioni».

Non ha un dialogo con il nostro governo?

«Qui in Italia per questo tipo di ricerca sperimentale e all'avanguardia c'è molta ignoranza. Siamo molto indietro. Nemmeno ti danno la soddisfazione di provare, saggiare, sperimentare, mettere a disposizione mezzi e strumenti per fare qualcosa di nuovo e innovativo. Questa ricerca me la pago da solo con la fondazione e qualche donazione privata per portare avanti il nostro lavoro».

Qual è l'innovazione portata dalla sua ricerca? 

«La strumentazione che ho inventato io misura la propagazione del radon che fuoriesce dal sottosuolo. Ci sono diversi sensori posizionati a una certa distanza tra di loro. Misura la velocità di propagazione, e la variazione di concentrazione, di radon. Quando si verifica un picco sia in incremento sia in decremento che supera la media mobile è un segnale di anomalia che può far scattare l'allerta»

Sulla sua pagina Facebook lo scorso 10 agosto aveva pubblicato un grafico riguardo delle anomalie sismiche. Riguardavano lo sciame sismico che ha portato al terremoto di questa notte?

«Sì, riguardava proprio l'incremento dello sciame che stavamo monitorando. In quel periodo ero in California e controllando le stazioni in Italia mi sono reso conto della presenza di un'anomalia che nei giorni successivi aveva dato vita a quattro eventi sismici nella zona»

E' prevedibile che lo sciame sismico continuerà nelle prossime ore e nei prossimi giorni?

«Certamente. Dopo un evento come quello di questa notte avremo sicuramente uno sciame con una serie di eventi la cui intensità andrà piano piano a diminuire fintanto che non si sarà scaricata completamente tutta l'energia rilasciata. Avremo bisogno ancora di 24 o 48 ore per poter dire che effettivamente l'evento di questa notte è stato quello con la maggiore intensità. Sicuramente l'impressione che abbiamo dall'analisi dei dati e da come si sta comportando lo sciame sembra che tutto debba andare pian piano a finire. Calcoli però che uno sciame dopo un forte evento come questo può durare anche per qualche mese»

Il sismologo Giuliani: "Così prevedo i terremoti. Ecco dove può colpire il sisma ora", scrive “Libero Quotidiano” l'1 novembre 2016. Il sismologo Giampaolo Giuliani è famoso per essere "quello che prevede i terremoti". Per gli esperti ufficiali è poco più di un ciarlatano, ma lui al Tempo ribadisce la sua verità: "Non mi ascoltano perché il terremoto è un business". Le sue parole hanno spesso provocato polemiche. Da ultime le affermazioni su quello devastante di Norcia. Impronosticabile per tutti, non per lui: "Quello che viviamo in realtà è già accaduto, nel 1703. È storia: anche lì Amatrice, Accumoli, L'Aquila. Fu uno dei terremoti più significativi della nostra storia e l'evoluzione di oggi potrebbe ripercorrere quella di allora. Le repliche durarono più di due anni, e si ebbero reazioni anche in Toscana, Emilia, nella zona di Venezia. Poi tutto si concluse con un forte terremoto a Sulmona. Attenzione. Non voglio dire che ci sarà anche stavolta un terremoto a Sulmona, ma non possiamo non considerare quanto è successo". "Niente panico", ribadisce il sismologo, ma "co-no-scen-za". Le prime polemiche con la sismologia ufficiale sono sorte nel 2004, "quando io presentai la mia ricerca sperimentale e fu tacciata da criminale. Non si poteva dire che i terremoti si potessero prevedere. A chi facevo male? Il terremoto è un fenomeno che produce Pil, e dunque c'è sempre stata un'ostilità verso di me affinché il terremoto rimanesse un fenomeno non prevedibile". Il segreto secondo Giuliani sta negli strumenti che utilizza solo lui: "Sono sedici anni che studio il radon e ho informazioni su questo elemento, radioattivo, che il mondo accademico nazionale non ha, perché utilizzo uno strumento costruito da me. Io l'ho messo a disposizione di tutti, nel 2004, dal Cnr alla Protezione Civile e nessuno l'ha voluto vedere". Contestato in Italia, lavora all'estero: "Sono appena rientrato dagli Usa, presto andrò in Siberia. Ho messo quattro macchine a rilevare in Cina e sto trattando con il governo dell'Ecuador per andare a controllare la faglia di Nazca. Ma che mi importa di starmi a giustificare con gli italiani? Tra l'altro, io le mie ricerche me le sono sempre pagate da solo, non ho mai chiesto aiuti a nessuno. Avevo solo chiesto un paio di ricercatori per analizzare i miei 16 anni di dati che hanno un'importanza scientifica incredibile". Concessi? "Assolutamente no".

Poi c'è chi, il solito giornalista, che vede lucciole per lanterne. “Dobbiamo aspettare le prossime 24-48 ore, per capire. Potrebbe infatti verificarsi la scossa principale, fino a 7.5 gradi. Oppure potremmo registrare il decrescere di intensità con scosse intorno ai 6 gradi e poi via via a scemare”. Questa dichiarazione-shock sul quotidiano online Leggo del tecnico aquilano Giampaolo Giuliani, che da anni asserisce di poter prevedere i terremoti con un suo metodo, ha sconvolto la rete a poche ore dal sisma di magnitudo 6.5 delle 7.40 di domenica, scrive il 31 ottobre 2016 “Abruzzo Web”. La notizia ha fatto il giro delle reti sociali suscitando le “solite” reazioni dicotomiche tra contestatori e fan di Giuliani: gli uni hanno denunciato l’irresponsabilità di sbilanciarsi in un modo così netto, gli altri hanno ringraziato per averli messi in guardia. Ad aumentare la confusione, il fatto che nell’articolo Giuliani sia stato definito “sismologo” e “professore”: non è né l’uno né l’altro né, a onor del vero, ha mai millantato di essere una figura diversa da quello che è, un tecnico studioso dei sismi. Alla fine la situazione si è surriscaldata: più tardi lo stesso tecnico ha citato alcuni titoli come uno attribuito a Libero “Sismologo terrorizza l’Italia prevedendo una scossa disastrosa”. E dato che già una volta Giuliani è stato denunciato per procurato allarme (inchiesta archiviata) e altre volte ha rischiato nuove denunce, in breve tempo sono arrivate due precisazioni sulla propria pagina Facebook. “Non ho assolutamente dichiarato alla giornalista che ci sarebbe stata una scossa di magnitudo 7.5 entro 48 ore - ha chiarito - La domanda è stata: Dopo questa scossa quanto ci vorrà per sapere se è la scossa più forte?. Risposta: Beh 24-48ore. Domanda: E quella faglia, quanto può rilasciare?. Risposta: Tra il 6.5/7.5. E la giornalista decide di scrivere che Giuliani avrebbe dichiarato che si verificherà un evento entro 48 ore catastrofico”. Nel secondo, Giuliani ha aggiunto di aver “parlato con la giornalista Lorena Loiacono, la quale non voleva nel modo più assoluto creare allarmismo. In realtà, il titolo di testa è stato ripreso da altri media i quali hanno approfittato dell’occasione per portare disagio nella comunicazione”. Tra quelli che hanno deprecato l’articolo c’è stato l’assessore comunale dell’Aquila alla Ricostruzione Pietro Di Stefano, che si è soffermato su un passaggio particolare. “Hai capito tu che consiglio? Non dormite negli edifici danneggiati. Cavolo! - è sbottato sempre su Facebook - Non sono entrato nel merito delle dichiarazioni sul sisma tanto ormai ne ne scrivono di tutti i colori e razze”. E a una fan che gli diceva “Per piacere lasciate stare Giampaolo”, Di Stefano ha risposto: “Per carità, chi te lo tocca”.

IL TERREMOTO E L'INFORMAZIONE.

Sisma, per tappare i buchi la Rai ruba il video a Sky. Anzaldi pizzica ancora una volta Rai News: "Ruba le immagini di Sky Tg24 dai luoghi del terremoto". E pubblica i video a confronto, scrive Angelo Scarano, Domenica 30/10/2016, su "Il Giornale".  Dopo le figuracce dei giorni passati, la Rai finisce nuovamente nel mirino. Oggi dopo la scossa delle 7:40, che ha fatto tremare tutto il Centro Italia, Rai News e le reti della tivù pubblica hanno dato ampie informazioni sul sisma. Non solo. Sono anche arrivate in tempo reale le immagini delle zone colpite (guarda il video). Peccato che, guardando meglio, il deputato piddì Michele Anzaldi si sia accorto che fossero le immagini di Sky Tg24. "Sarebbe opportuno che la Rai spiegasse immediatamente con un comunicato - tuona Anzaldi - o altrimenti ce lo faremo spiegare tra qualche giorno in Commissione di Vigilanza". Dopo essere arrivati in ritardo sul sisma dello scorso 26 ottobre e sull'incidente del cavalcavia crollato sulla superstrada Milano-Lecco, questa mattina Rai News ha trasmesso le immagini in diretta da Norcia del concorrente Sky Tg24. Come fa notare anche Dagospia, in studio era persino presente il direttore Antonio Di Bella (guarda il video). "Le spacciava come immagini Rai - si legge sul sito diretto da Roberto D'Agostino - salvo rientrare improvvisamente in studio come si vede dal video quando veniva inquadrata la giornalista di sky Pina Esposito, la prima a trasmettere stamane da Norcia". Il primo ad accorgersi dello scippo è stato appunto Anzaldi che pensava che la telecamera della Rai e quella di Sky fossero vicine (guarda il video). E così, spinto dalla curiosità e da qualche dubbio, ha chiamato l'emittente di Rupert Murdoch per chiedere in quanti fossero posizionati davanti alla Cattedrale di Norcia. Risposta: "Il nostro operatore era solo''. ''Quindi lei mi sta dicendo che la Rai si è appropriata delle vostre immagini senza neanche citarvi?", ha insistito il deputato dem. "Io le ribadisco ufficialmente quanto detto prima - hanno fatto sapere da Sky - sul luogo in quel momento era presente solo Sky". E - giustamente - Dagospia si chiede perché mai, "nonostante i 1500 giornalisti e le nutrite sedi regionali, il servizio pubblico anche stavolta lo stava facendo Sky Tg24 con 150 cronisti".

Il terremoto e l'informazione: il coraggio del rigore. Basta con la falsa par condicio: non ci interessano tutte le opinioni, ci interessano le opinioni di chi sa di che cosa parla. Altrimenti, davvero, basta un click: ma stavolta per spegnere questo frastuono assordante di falsità, scrive Roberto Saviano il 30 agosto 2016 su “La Repubblica”. Ora che abbiamo capito che sul web, insieme alla stragrande maggioranza di normalissimi navigatori, ci sono anche "hater" e "webeti", odiatori e creduloni, possiamo iniziare a fare il nostro lavoro. Possiamo recuperare una regola aurea, poco cinica, quindi se volete poco in linea con i tempi, ma che io credo debba essere il nostro punto di partenza e il nostro fine: avere rispetto per il lettore, per il telespettatore, per il cittadino. E ora che abbiamo tutti riscoperto la correttezza sui social, quella netiquette che sembrava ormai naufragata e irrecuperabile, cerchiamo anche di applicarla dove veramente serve e dove può fare la differenza: la televisione, la carta stampata, i siti di informazione e il nostro modo di conoscere e interpretare il mondo. I social, si sa, mostrano sempre reazioni schizofreniche quando commentano un avvenimento, perché non hanno un'anima sola. Sui social c'è chi la pensa esattamente come me e chi la pensa nel modo opposto. Sui social c'è chi legge e basta e chi non legge e commenta. C'è chi ha un atteggiamento conciliatorio e chi cerca lo scontro. Non è detto che sui social chi è combattivo e alza i toni lo faccia anche nella vita relazionale, come è vero che ciascuno di noi cambia tono, argomenti, comportamento a seconda della situazione in cui si trova, del contesto, degli interlocutori. E i social, con la loro empatia, la loro rabbia, il loro livore, la loro delicatezza e la loro violenza, si sono confrontati con le conseguenze del terremoto. Ma come? Raccogliendo e rilanciando di tutto e di più, com'è nella natura di questa "rete" senza rete: anche tante accuse, offese, notizie non provate. Ma si può dire, forse, che tutto ciò che è venuto prepotentemente fuori sui social dopo il terremoto possa essere letto, quasi fosse una cartina di tornasole, come il conto presentato all'informazione italiana, cioè al modo in cui ha trattato i suoi utenti, oltre che agli utenti stessi, che hanno abdicato alla loro funzione di controllo. Sì, la realtà che il terremoto nel centro Italia ha portato alla luce è amara e tragica, e lo è ancora di più perché dopo la strage dell'Aquila (riesce qualcuno di voi ancora a chiamarlo semplicemente terremoto?) tutti sapevamo quali fossero i rischi, le probabilità che la strage si ripetesse, e nessuno, o quasi, ha fatto nulla. Certo, abbiamo avvertito i nostri lettori, spettatori e navigatori sui rischi della ricostruzione, abbiamo detto che si sarebbe dovuto mettere a norma gli edifici, almeno quelli pubblici, nei territori a rischio. Ma, poi, chi è andato davvero a controllare fino in fondo? Quanti di noi lo hanno fatto? Certo, un terremoto non si può prevedere: ma i danni si possono e si devono arginare, si possono prevedere i suoi effetti. E l'informazione ha avuto una progressione da manuale: il "rispettoso silenzio" - e sacrosanto - la netiquette, mentre ancora si estraevano i corpi dalle macerie, hanno lasciato il posto ai j'accuse soliti, sempre uguali. Alle interviste agli esperti, alle omelie dai pulpiti. E nel momento della caccia alle streghe non c'è nessuno che sappia riconoscere la strega che alberga in se stesso. Ora tutti si affannano a dire che dopo L'Aquila (quindi dal 2009) i soldi c'erano ma che sono stati spesi male. Ma questo lo sapevamo già: lo immaginavamo. E lo sapevamo perché sapevamo che non c'è stato alcun serio controllo, sapevamo che i controllori hanno rapporti con i controllati, e che spesso hanno un tornaconto per cui quindi si chiude un occhio, e a volte due. Domanda: perché è dunque successo tutto questo? Che cosa non ha funzionato? Quali meccanismi sono scattati, o meglio non sono scattati, nel nostro sistema di difesa, che nel nostro caso si chiama anche sistema di informazione? Intanto, le vittime di oggi forse sono anche vittime della crisi, perché solo in pochi hanno ammesso che la messa in sicurezza di Norcia è avvenuta in un'altra epoca. Ma continuando ad analizzare il rapporto tra social e informazione, è evidente che non possiamo affidare la correttezza della seconda ai primi: sarebbe come voler arginare il mare, in mare. È ovvio che in un Paese come l'Italia tutto deve ripartire necessariamente dall'autorevolezza dei media. Ora che abbiamo evidenziato il webetismo ("webete", termine coniato da Enrico Mentana) facciamo dunque un passo avanti, e smettiamo di dare voce (non è censura, non lo è affatto) ai disinformatori di professione, a chi non ha alcun talento se non quello di andare in televisione, fare polemica, alzare quel tanto che basta la curva degli ascolti facendo danni che spesso sono irreparabili. La televisione è un opinion maker importantissimo, imprescindibile nel nostro Paese: si assumano allora le reti pubbliche e private la responsabilità di dare voce a chi parla perché sa, a chi dà informazioni verificate e verificabili. E si smetta di dare credito a chi diffonde leggende metropolitane (Giorgia Meloni che invita alla donazione del jackpot del Superenalotto per ricostruire Amatrice), a chi semina odio (Matteo Salvini sui migranti e i loro falsi soggiorni in hotel a cinque stelle). Mentre seppelliamo i morti di Amatrice, sta per iniziare una nuova stagione televisiva, un nuovo anno per l'informazione e l'intrattenimento. Il mio invito, che è spero anche la pretesa di chi mi legge, si chiama rigore: rigore nell'intrattenimento e rigore nell'informazione. Certo, anche nell'intrattenimento: perché leggerezza e evasione sono cose legittime, ma il rigore e la correttezza devono esserne sempre la cifra. Il mio invito, e la pretesa di chi ci legge, è quello di chiudere la porta alle leggende metropolitane in tv (vaccini che causano autismo, scie chimiche, Club Bilderberg), a quei discorsi infiniti, a ore e ore di parole che dette con leggerezza fanno danni incalcolabili. Il mio invito, e la pretesa di chi ci legge, è la richiesta di una informazione che davvero "serva": servizio privato e pubblico vero, orientato a un dibattito pubblico oltre i dettami di questo storytelling forzatamente positivo, da strapaese, e che tollera anche la fandonia, la falsa notizia, quella che fa più scalpore - e magari più click. Se crollano interi paesi, è anche (sottolineo anche: stiamo parlando di un terremoto) perché nonostante i fondi stanziati i lavori non sono stati mai fatti, e non sono stati fatti a dovere, nel silenzio di chi avrebbe dovuto controllare (e raccontare). Basta con la falsa par condicio: non ci interessano tutte le opinioni, ci interessano le opinioni di chi sa di che cosa parla. Altrimenti, davvero, basta un click: ma stavolta per spegnere questo frastuono assordante di falsità.  

TERREMOTO E SATIRA.

«Terremoto all’italiana», è un caso la vignetta di Charlie Hebdo. Nel numero in edicola satira sulla tragedia di Amatrice: lasagne e pasta per illustrare il dolore per le 300 vittime. La rete si indigna: «Io non sono Charlie». L’ambasciata: «Non ci rappresenta». Poi la precisazione: «Italiani, a costruire le vostre case è la mafia», scrive Antonella De Gregorio il 2 settembre 2016 su "Il Corriere della Sera". Oggi nessuno «è Charlie Hebdo». La solidarietà dopo gli attentati che hanno colpito il giornale nel gennaio del 2015 si squaglia sui social, lasciando spazio all’indignazione più viscerale. Scatenata dalla vignetta che il settimanale in edicola dedica al terremoto in Italia. Nell’immagine, intitolata «Séisme à l’italienne» («Terremoto all’italiana») le vittime del terremoto che ha sconvolto il nostro Paese vengono paragonate a tre piatti tipici della nostra cultura: «Penne all’arrabbiata», illustrato con un uomo sporco di sangue; «Penne gratinate», con una superstite coperta di polvere; mentre le lasagne sono strati di pasta alternati ai corpi rimasti sotto alle macerie. La vignetta firmata dal vignettista Felix è pubblicata nell’ultima pagina del numero in edicola della rivista satirica, che ha in copertina una vignetta sul burkini: il «sacco di patate che unisce la sinistra». In fondo al giornale, nella pagina tradizionalmente intitolata «le altre possibili copertine», la sciagura in Italia viene affrontata con freddure tipo: «Circa 300 morti in un terremoto in Italia. Ancora non si sa che il sisma abbia gridato “Allah Akbar” prima di colpire». La polemica è esplosa. E a poco sono valse le scuse ufficiali della diplomazia d’Oltralpe. «Il disegno pubblicato da Charlie Hebdo non rappresenta assolutamente la posizione della Francia» si legge in una nota dell’ambasciata francese a Roma, che sottolinea che il terremoto del 24 agosto è «un’immensa tragedia» e rinnova le condoglianze alle autorità e al popolo italiano, al quale «ha offerto il suo aiuto». Su Twitter, tantissimi quelli che giudicano la vignetta «sconvolgente», «indecente», e chiedono rispetto per le vittime. C’è chi pubblica l’immagine a fianco della scritta «Io non sono Charlie». Chi commenta: «Hebdo oggi ha toppato alla grande», e «Cosa ci sia da ridere su questa vignetta poi ce lo spiegate». Ma anche chi difende la scelta («Siamo tutti Charlie finché Charlie non sfotte noi») e commenta: «Se non tocca alla pancia non è satira. È solo un disegno insignificante». Trovando, magari, più scandalosi «le interviste sceme, lo show morboso del dolore andato in scena in questi giorni». Si riapre insomma il dibattito sui confini dell’ironia. Rispetto, cattivo gusto, libertà di esprimersi, censura: ognuno in rete dice la sua. «Le vignette di #CharlieHebdo servono proprio a far indignare chi viene “colpito”. Lo fanno per lavoro, non lo scordiamo», sottolinea un utente di Twitter. Mentre un’interpretazione taccia di «analfabetismo funzionale» tutti coloro che non han capitole intenzioni degli autori della vignetta: «Edifici costruiti con la sabbia (“penne gratinées”) che quando crollano si riducono e ti riducono a strati di lasagna. Ecco i sismi all’italiana - scrive Pasquale Videtta - in cui nemmeno le scuole anti-sismiche sono tali. L’analfabetismo funzionale è quella cosa che ti fa scambiare la vignetta di Charlie Hebdo per una derisione delle vittime del terremoto e non per una denuncia politica e sociale». Spiegazione «esegetica» che sono gli stessi giornalisti della rivista francese a confermare, con un colpo a sorpresa, a poche ore dal polverone mediatico. Nel pomeriggio, dopo la valanga di contestazioni, sulla pagina Facebook ufficiale, Charlie Hebdo pubblica una vignetta «di precisazione» firmata «Coco». Vi compare una persona insanguinata sotto le macerie, come nel disegno contestato, che si rivolge al lettore: «Italiani...non è Charlie Hebdo che costruisce le vostre case, è la mafia!». «È una vignetta in cui non trovo niente da ridere», ha commentato il Commissario per la ricostruzione post terremoto Vasco Errani. «Io sto vivendo questa situazione con la popolazione - ha sottolineato - e sono certo che i cittadini che stanno vivendo questa tragedia non trovino niente da dire e da ridere come me. La vignetta aumenta la sofferenza di queste persone». Sconforto dal sindaco di Amatrice, Sergio Pirozzi: «Ma come si fa a fare della satira sui morti? La satira è satira quando fa ridere e qui mi sembra che non ci sia proprio nulla da ridere, visto che è pieno di morti». Certo Charlie Hebdo non è il primo pensiero del primo cittadino del comune sconvolto dal sisma. E per un po’ Pirozzi si è disinteressato alla questione. Ma poi, davanti ai giornalisti che lo incalzavano, è sbottato: «La satira è una cosa bella, ben venga l’ironia. Ma come si fa... qui c’è soltanto del cattivo gusto». Con lui si esprime anche la politica: «Vignetta lugubre, disumana, indegna, da rispedire al mittente», scrive in una nota la deputata Pd Vanna Iori. Giorgia Meloni, presidente di Fratelli d’Italia, sul suo account Facebook liquida la vicenda così: «Non fa ridere, non è sagace, non c’è neppure del “sarcasmo nero”. È solo brutta. Si vede che l’ha fatta un cretino. Mi spiace non siano riusciti più a trovare vignettisti capaci». E Michele Anzaldi (Pd), chiede scuse ufficiali: «Ci aspettiamo che la Francia, a partire dalle sue istituzioni — dichiara — prenda le distanze da una vignetta che rinnova il dolore nelle tante famiglie italiane che hanno subito il grave lutto del terremoto». Scuse che l’ambasciatore francese si è affrettato a trasmettere.

#JeSuis Charlie sempre. Anche se non ci piace. Chi stabilisce i confini della decenza quando si parla di satira? Perché non possiamo gridare alla censura nonostante i contenuti oltraggiosi o che ci paiono una porcheria, scrive Pierluigi Battista il 2 settembre 2016 su "Il Corriere della Sera". #JeSuisCharlie anche se «Charlie Hebdo» pubblica vignette volgari e oltraggiose. Perché la libertà d’espressione è anche diritto alla volgarità. Naturalmente deve esistere una reciprocità di diritti: se la satira vuole vedere riconosciuto quello dell’irriverenza assoluta e offensiva, deve anche riconoscere il diritto altrui a criticare le schifezze che si pubblicano in nome della satira. Se noi volessimo rispettare solo la libertà di ciò che ci aggrada, non ci vorrebbe un grande sforzo. Lo sforzo è riconoscere la libertà di dire e disegnare e rappresentare cose opposte a quelle che pensiamo e che consideriamo giuste, buone, persino sacre. Dicono: ma non si oltrepassino i confini della decenza. Ma chi stabilisce questi confini? La censura è per definizione il campo dell’arbitrio, della discrezionalità, della prepotenza di chi pretende di incarnare il Giusto e il Buono. E allora, dobbiamo accettare passivamente le volgarità sui nostri morti sepolti dal terremoto? Certo che no, nessuna passività. Possiamo dire attivamente che si tratta di una porcheria. Oppure possiamo avvalerci di quell’altra fondamentale libertà che sarebbe da stolti dimenticare, e cioè la libertà di non comprare un vignettificio che non ci piace. Non vuoi «Charlie Hebdo»? Non andare in edicola a comprarlo. Questa è la libertà, a meno che uno non sia costretto a pagare cose che non vuole vedere, come avviene con il canone Rai. Quando c’è la sfida dei fanatici jihadisti che vogliono toglierci ogni libertà, bisogna essere rigorosi nel difendere ogni libertà. Compresa quella che non ci piace. Perciò #JesuisCharlie, anche se stavolta sono stati dei veri farabutti.

Charlie Hebdo, perché li critico. «Non si calpestano così 300 morti», scrive Giannelli il 2 settembre 2016 su "Il Corriere della Sera". La vignetta pubblicata in ultima pagina dal settimanale satirico francese Charlie Hebdoa firma Felix non mi è piaciuta. Mi perdonerà il collega vignettista ma, a mio parere, se pur sia ben consapevole che la satira è trasgressione assoluta, tragedie come quelle del terremoto che ha colpito il Centro Italia è obiettivamente difficile che possano giustificare spunti satirici di questa specie. È trasparente il messaggio che la vignetta vuole dare: una condanna degli italiani spaghettari. Ma per insistere su questo consueto stereotipo, mi sembra sia stato di cattivo gusto calpestare trecento morti. E che la critica non sia altro che una riaffermazione dei consueti stereotipi sul nostro Paese, lo dimostra la seconda vignetta, pubblicata nel pomeriggio sull’account Facebook del settimanale, nella quale il disegnatore Coco Charlie Hebdo ha chiamato in causa la mafia. Niente di nuovo quindi rispetto alla copertina di tanti anni orsono del settimanale tedesco Der Spiegel che raffigurava l’Italia come un piatto di spaghetti con una rivoltella sopra. È vero che una vignetta è solo uno scherzo, una irrisione e trovo quindi sproporzionato e ridicolo che si parli di severa condanna e di giusta indignazione, con l’ambasciata transalpina in Italia a puntualizzare che «non rappresenta assolutamente la posizione della Francia». Ci deve essere però anche libertà di critica perfino nei confronti della satira e da vignettista ammetto che non sempre si possono avere idee felici; è fatale. Nel caso specifico, avrei trovato più giusto che la prima vignetta fosse firmata Infelix.

Satira sul terremoto, Pennac: "Disegno idiota, ma difendo ancora la libertà di Charlie Hebdo". L'intervista. La bocciatura dello scrittore: "Non mi piace chi gioca con la morte degli altri", scrive Francesca De Benedetti su "La Repubblica" il 03 settembre 2016. Una "connerie", uno scivolone in piena regola: così Daniel Pennac, lo scrittore francese, commenta la vignetta di Charlie Hebdo sul terremoto in Italia. Lui, l'autore della saga dei Malaussène e di altre opere di successo, è abituato a giocare con ogni sfumatura del linguaggio. Ma stavolta per commentare la satira dei suoi connazionali sul sisma non usa mezzi termini, anzi si concede un paio di parole forti. Poi però conclude: "Anche oggi, "Je suis Charlie". Una vignetta idiota non può togliere forza a quel messaggio, che non va messo in discussione".

Pasta e sangue, poi la mafia: è la chiave con cui Charlie "legge" il terremoto in Italia. Cosa ne pensa?

"La vignetta sulle vittime del terremoto è stronzissima e basta. Non è divertente, non fa ridere nessuno se non chi l'ha concepita, quasi non merita il nostro sdegno".

La satira non giustifica il ricorso agli stereotipi e le provocazioni violente?

"Vede, io penso che neppure la satira dovrebbe calpestare una cosa importante: l'empatia. Penso alle vittime delle scosse, penso alle sofferenze di quelle terre, e non posso non concludere che quelle vignette mancano di rispetto a quel dolore, a quelle storie. Non mi piace chi gioca con la morte degli altri. Penso al fatto che proprio oggi avrei dovuto essere in un paesino umbro per un'iniziativa culturale; Castello di Postignano si trova non lontano dai borghi distrutti, la gente è andata via per paura di nuove scosse. Abbiamo sospeso l'evento, perché la prima cosa da mostrare, di fronte a tragedie come questa, è l'umanità, la solidarietà".

Fa bene l'ambasciata di Francia a prendere le distanze dalle vignette? Hanno ragione gli italiani indignati?

"Se lo chiede a me, le dico di sì, perché non gradisco né quella vignetta né in generale un certo humour sulla morte. Va detto che con Charlie tutto ciò non è una novità. Non è una novità un certo stile, che già altre volte mi ha suscitato una sensazione di disagio, anche se non detesto il giornale in sé e non amo le condanne definitive".

Qualcuno è arrivato a dire: "Je ne suis pas Charlie", "Non sto più con Charlie".

"L'espressione "Je suis Charlie" è diventata il simbolo dell'opposizione radicale e senza mezzi termini all'assassinio di giornalisti e disegnatori. Una vignetta, per quanto idiota, non giustifica affatto la messa in discussione di questo principio. Con la stessa chiarezza con cui dico che quel disegno non mi piace, sono pronto anche ad affermare senza mezzi termini: "Io resto Charlie". A ognuno le sue responsabilità morali: chi offende i morti ha le sue, e noi abbiamo le nostre. È nostro dovere ribadire ogni giorno che nulla autorizza l'uccisione di chi fa satira e che niente può giustificare un massacro come quello dei giornalisti e disegnatori di Charlie. Non possiamo esserne complici: ecco perché io - anche oggi - sono Charlie".

La vignetta di Charlie Hebdo non mi piace, ma difendo la libertà di espressione. Siamo una civiltà superiore. Nessuno ucciderà chi sta dietro a quel disegno, scrive Camillo Langone, Sabato 03/09/2016, su "Il Giornale". Quelli di Charlie Hebdo vogliono proprio mettere alla prova il famoso detto di Voltaire: «Non sono d'accordo con quello che dici ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo». L'affermazione del filosofo suona un po' troppo roboante (e infatti pare che il testo originale, prima di diventare una formula, fosse più trattenuto), però il concetto non può non essere condiviso da chiunque ami la libertà. Io per Charlie Hebdo non sono disposto a morire, è inutile che faccia il gradasso, ma a correre qualche piccolo rischio sì. Quando nel gennaio dell'anno scorso la redazione del settimanale satirico francese venne sterminata dai coranisti a colpi di fucile mitragliatore AK-47 scrissi che i caduti andavano considerati martiri della libertà di espressione. Ne sono ancora convinto. E proprio perché ieri ho preso le parti dei vignettisti contro gli islamisti e gli islamofili oggi posso tranquillamente dirmi in disaccordo con le vignette sul terremoto di Amatrice e di Arquata. Ammetto di essere poco spiritoso e sarà per questo che poco ho apprezzato la vignetta intitolata «Sisma all'italiana» apparsa sul settimanale: a sinistra un uomo insanguinato sotto la scritta «Penne al pomodoro», al centro una signora bruciacchiata o impolverata o chissà (nella mia vita ho visto vignette disegnate meglio) sotto la scritta «Penne gratinate», e infine, a destra, quattro morti schiacciati fra strati di macerie e dunque posti sotto la scritta «Lasagne». Qualcuno ha riso? De gustibus. Non che il dettaglio abbia soverchia importanza, ma la grossolanità satirica stavolta si abbina alla grossolanità gastronomica: non ci vuole una laurea all'università Slow Food di Pollenzo per sapere che Amatrice con le penne c'entra poco e con le lasagne nulla e che il famoso sugo che dal paese appenninico prende il nome condisce di norma i bucatini. Meglio dirlo piano, non vorrei offrire spunti a uno dei loro vignettisti senza scrupoli, settimana prossima non vorrei vedere stampato un piatto di bucatini con un macabro ragù a base di terremotati macinati, e poi magari ritrovarmi qui a discettare sul fatto che il sugo all'amatriciana non è propriamente un ragù. Me la vorrei risparmiare una simile disquisizione e mi sarei voluto risparmiare anche la presente su penne e lasagne non filologiche, non tipiche, eppure qualcosa di buono da questo sgradevole episodio vorrei ricavarlo. Ex malo bonum, dicevano gli antichi. Dall'ultima vignettaccia di Charlie Hebdo traggo la dimostrazione della nostra appartenenza a una civiltà superiore perché nessun terremotato italiano entrerà nella redazione parigina sparando all'impazzata e gridando «Amatrice è grande». Ci sono state e ci saranno reazioni critiche, e ci mancherebbe, ci sono state e ci saranno manifestazioni di sdegno, legittime pure queste, ancor più se provenienti da persone che nella tragedia hanno perso famigliari, amici, case. Ma niente di più. Gli italiani sono dunque un popolo voltairiano? Non voglio esagerare, non li direi così filosofici, ma senz'altro non sono capaci di meditare vendette collettive (durante la Seconda guerra mondiale vennero invasi dai tedeschi e bombardati dagli americani, eppure nel Bel Paese i turisti provenienti dalla Germania e dagli Usa sono sempre stati accolti benissimo). Semplicemente, stavolta, non sono Charlie.

Ma la vignetta non è piaciuta neppure a un maestro della satira come Sergio Staino che, in un’intervista all’Ansa, ha commentato: “Penso che sia una vignetta in linea con la storia di Charlie Hebdo. Non è la prima volta che, per una scelta provocatoria, decidono di andare contro tutto e tutti in momenti di grande dolore”. Per Staino il giornale “ha voluto legare il vecchio stereotipo del paese dei maccheroni alla tragedia, ma il risultato è di basso livello. Neanche un ubriaco o il pazzo di quartiere farebbe una cosa simile, che senso ha? Prendo le distanze da un intervento creativo che non ha alcun senso, almeno per come intendo io la satira”.

Mentana definitivo sulla vignetta-vergogna: "Basta dire che...". Così chiude la bocca a tutti, scrive “Libero Quotidiano" il 2 settembre 2016. La satira piace a tutti, almeno finché non si è il soggetto preso di mira. Eppure sembra ieri che mezzo mondo occidentale agitava la scritta #Jesuischarlie, poco dopo gli attentati islamici del gennaio 2015 contro la rivista satirica francese. Stavolta quella stessa rivista ha colpito gli italiani, in particolare le vittime del terremoto in centro Italia raffigurati come una lasagna fatta di corpi e macerie. Contro l'indignazione ad orologeria di tanti che sul web hanno insultato i vignettisti francesi si è scagliato Enrico Mentana che sulla sua pagina Facebook ha scritto: "Scusate, ma Charlie Hebdo è questo! Quando dicevate 'Je suis Charlie' solidarizzavate con chi ha sempre fatto simili vignette, dissacrando tutto e tutti. Le vignette su Maometto anzi facevano alla gran parte degli islamici lo stesso effetto che ha suscitato in tutti noi questa sul terremoto. Fu Wolinski, una delle vittime dell'attacco terrorista del gennaio 2015, a far capire ai colleghi italiani quarant'anni fa che la satira poteva essere brutta sporca e cattiva. Vogliamo rompere le relazioni con la Francia dopo aver marciato in loro difesa? Basta più laicamente dire che una vignetta ci fa schifo".

La reazione. Libero Quotidiano del 3 settembre 2016: "Ci viene voglia di sparargli. Il Tempo pubblica un disegno. La vignetta satirica che sfotte i morti del terremoto del Centro Italia pubblicata dal settimanale satirico Charlie Hebdo ha sollevato moltissime polemiche e reazioni. Libero in edicola oggi lancia una provocazione: "Viene voglia anche a noi di sparargli" titola in prima pagina sopra la foto con la disgustosa vignetta. Il Tempo, pubblica a sua volta una vignetta che fa riferimento alle tante vittime del terrorismo che titola "Tartare à la parisienne". Due titoli forti per rispondere a una vignetta che definire di cattivo gusto è davvero poco. 

Charlie Hebdo e la satira senza limiti. Eccessi e pessimo gusto come regola. Il settimanale satirico francese ha origine come foglio libertario negli anni Settanta. Da rivista di nicchia, dopo l’attentato del gennaio 2015 è diventata nota globalmente, scrive Stefano Montefiori, corrispondente da Parigi, il 2 settembre 2016 su "Il Corriere della Sera". «Charlie Hebdo» torna a fare parlare di sé anche fuori dalla Francia, come spesso gli accade dopo la notorietà planetaria acquistata suo malgrado con i 12 morti del 7 gennaio 2015. Stavolta l’indignazione riguarda una vignetta sul terremoto in Italia, pubblicata a pagina 16, l’ultima, dedicata come sempre alle «copertine alle quali siete sfuggiti», cioè ai disegni che sono stati valutati per la prima pagina ma poi scartati. Nell’ultimo numero, la caricatura principale è dedicata al giornalista Edwy Plenel, alla ministra Najat Vallaud Belkacem e all’ecologista Cécile Duflot a braccetto sulla spiaggia sotto la scritta «Burkini - il sacco da patate che unisce la sinistra». Il titolo è «Sisma all’italiana», sotto ci sono tre versioni macabro-culinarie degli effetti del terremoto: penne al pomodoro, penne gratinate e lasagne, giocando su sangue/salsa. La vignetta ha provocato reazioni indignate su Twitter, molti hanno fatto sapere di «non essere più Charlie», ricordando l’ondata di emozione e solidarietà che avvolse la redazione dopo l’attentato, quando milioni di persone proclamavano lo slogan «Je Suis Charlie». La derisione verso tutto e tutti, anche le tragedie, è sempre stata una caratteristica di Charlie Hebdo. Accanto alla vignetta sul terremoto, ce n’è una sui migranti a Calais che ormai hanno superato quota 10 mila: una lunghissima fila di persone davanti alla toilette, la scritta «le forze dell’ordine sono travolte» e tre mosche che dicono «anche noi!». Poi, due vignette sul surfista attaccato dagli squali alla Reunion. All’interno, a pagina 2, un grande disegno sul rientro a scuola, con un esibizionista che apre l’impermeabile davanti ai bambini e un agente della sicurezza che controlla lo zaino di un allievo: «droga, cianuro, siringhe, alcol… niente cintura di esplosivo, potete andare». Lo scorso gennaio, il direttore Riss (che ha preso il posto di Charb rimasto ucciso nell’attentato) ha disegnato la figura riversa sulla sabbia di Aylan Kurdi, il bambino siriano di tre anni morto a Bodrum, in Turchia, mentre cercava con il padre e il fratello di raggiungere l’Europa. «Che cosa sarebbe diventato il piccolo Aylan se fosse cresciuto?» si chiede il vignettista. La risposta: «Un palpatore di sederi in Germania». Il riferimento è ai fatti del 31 dicembre di Colonia, dove decine di donne sono state molestate da gruppi di stranieri. La zia Tima Kurdi, che vive in Canada, protestò: «Speravo che le persone rispettassero il nostro dolore. È stata una grande perdita per noi. Cerchiamo di dimenticare e di guardare avanti. Ma ferirci un’altra volta è ingiusto». Pochi mesi prima, a settembre 2015, il giornale aveva pubblicato altre due vignette su Aylan. Non si contano i disegni su preti, suore, islamici, atei, omosessuali, eterosessuali, politici, celebrità varie, persone comuni. Charlie Hebdo non si è mai posto limiti. A settembre 2015 Luz, altro sopravvissuto del massacro del 7 gennaio, aveva preso le difese di Riss con una specie di editoriale a fumetti intitolato «il disegno satirico spiegato agli idioti»: «Fai parte dei milioni di “nuovi lettori” che hanno scoperto Charlie e il suo umorismo dopo gli attentati di gennaio. Non avremmo mai immaginato che ti saresti interessato al nostro lavoro». In effetti, Charlie Hebdo non è un pensoso, pacato e autorevole settimanale di approfondimento dal quale pretendere senso di responsabilità o eleganza, ma un foglio libertario fondato negli anni Settanta, che ha fatto dell’eccesso e del pessimo gusto uno dei suoi tratti costanti. Per questo aveva un pubblico di nicchia ma è diventato suo malgrado – c’è voluto l’attentato islamista - una testata nota in tutto il mondo, scrutata e commentata da lettori e osservatori che prima mai si sarebbero sognati di andare in edicola a comprarne una copia. Lo slogan «Je Suis Charlie» non ha mai voluto dire adesione incondizionata all’umorismo surreale di Charlie Hebdo, ma una scelta di campo dalla parte della libertà di espressione e contro i terroristi. Liberi i disegnatori di Charlie Hebdo di dissacrare tutto e tutti, liberi i lettori di non amare le loro vignette e non comprare il giornale.

Ma quale satira? Questa è merda! Scrive Emanuele Ricucci su “Il Giornale” il 2 settembre 2016. Adesso: quanti di voi sono Charlie? Quanti di voi si sentono Charlie? Neanche il dramma colpisce la redazione della testata francese di satira. Non la ferma, non la frena, in un vomitoso impeto infantile, frutto di una comunicazione adolescente, pretenziosa, mai cresciuta, impulsiva. Così, dopo essersi chiesti se il terremoto, prima di colpire “abbia urlato Allau Akbar”, ecco comparire nell’edizione del 31 agosto di Charlie Hebdo, nella sezione “Le altre possibili copertine”, la vignetta, “sisma all’italiana”: un ferito insanguinato con la didascalia “Penne al pomodoro”, un’altra con quella “Penne gratinate”, i corpi sepolti con la scritta “Lasagne”, così come riporta, fra gli altri, Il Messaggero. Ah, che belle risate. E che riflessione arguta. Ma quale satira? Questa è merda. Pura, purissima merda chic, partorita dalla mente del democraticissimo progresso secondo cui non ci sono vincoli, nella comunicazione, né tabù e la moralità, il buon senso, il buon gusto, ci stanno stretti, come antichi orpelli ormai in disuso. Cosa voleva comunicare Charlie Hebdo? Forse voleva solo incarnare il motto di un altro paladino delle Belle Menti, Dario Fò, un proletario col culo degli altri: “Prima regola: nella satira non ci sono regole”, fintanto che, ovviamente, non colpisce gli agitatori del politicamente corretto. Cosa è satira nel grande mondo liberale e libertino, poco libero? E cos’è oltraggio? Ma non è con i francesi che dobbiamo prendercela – vicini, solidali: amico mio, connazionale, prova ora a sentirti un pochino CHARLIE HEBDO, se ne hai il coraggio. Nota di servizio: Ah, scusate. Date ragione a Charlie, andateci un pochino forzatamente contro corrente. Giusto un po’ coattamente come il giocatore di flipper di Carlo Verdone in Troppo forte; in fondo noi, poveri, non abbiamo colto la sottigliezza alla base della vignetta di Charlie Hebdo, di come le vittime siano cibo per speculatori e un sisma sia appetitoso, oppure di come c’abbiano sparato la verità in faccia sulle case fatte di merda (e dalla mafia), con la sabbia di mare anziché con i ciottoli di fiume, nella seconda vignetta. La moralina d’oltralpe, esposta anche male, male, è un po’ troppo. Scusate la nostra pressappochezza nazionalista nel vedere una mano troppo pesante irridere con troppa facilità chi stava dormendo ed è morto sfracellato, perdonate il nostro sdegno nel vedere cotanta filosofia espressa in tratti di matita. Lasciateci essere dei vermiciattoli (o dei giornalai imperfetti) della non comprensione e siate Charlie, siate un po’ quel che caspita vi pare. A chi verrebbe in mente di irridere i migranti che si abbandonano alle acque del Mediterraneo? Mi perdoneranno gli intellettuali, mi perdonerà chi si è rotto la favetta della polemica o chi glissa elegantemente: et voilà. Perdoneranno l’impeto del povero umile.

I fantasmi del politically correct, scrive Luigi Iannone il 3 settembre 2016 su “Il Giornale”. Alcune anticipazioni de L’ubbidiente democratico, il mio nuovo libro in uscita il 12 settembre. << (…) incantatori di serpenti, teologi del buonismo e della correttezza politica sono la stragrande maggioranza e condizionano la formazione delle coscienze. Da parte loro c’è un’ossessione continua perché, in genere, il politicamente corretto si compone di fantasmi che si agitano al solo proferire delle ovvietà: provate, provate a dire che Cécile Kyenge è stata fatta ministro per il colore della sua pelle; che le quote rosa (e, in subordine, le donne capolista) sono una stupidaggine, oltre che una forma di razzismo al contrario; che al Ministero delle Pari opportunità ci va sempre una donna per fare la foglia di fico; che Rosario Crocetta fece una campagna elettorale costruita anche sul fatto che in una terra ‘arcaica’ come la Sicilia si presentava a Governatore un omosessuale, mentre delle proposte programmatiche si sapeva poco o nulla; provate a dire che i milioni gettati via per liberare ostaggi italiani in Paesi a rischio potrebbero servire per il nostro welfare e coloro i quali (o le quali) girano in zone di guerra come novelli San Francesco e pudiche Santa Chiara, potrebbero qualche volta passare anche dalle mie parti, nella zona bassa dello Stivale. Troverebbero in tante zone del Sud gli stessi problemi e tanto, ma proprio tanto, da fare per poveri e diseredati. Provate a dire io non sono Charlie Hebdo, perché per quanto rispetti la satira e mi risultino ripugnanti le azioni terroristiche e bestiali le loro idee, faccio fatica ad essere blasfemo contro qualunque Dio. Provate a dire queste e tante altre banali verità, e vi subisseranno di ingiurie. Verrete subito cacciati dal consesso civile e additati nella migliore delle ipotesi come degli intolleranti. Ma provate a dirle voi. A me manca il coraggio e non le dirò>>.

E se la satira è nostrana?

“Scusate, avevo solo chiesto una amatriciana”, dice una figura nera con la falce in mano, ovvero la morte. Questo recita la vignetta in prima pagina, oggi, venerdì 26 agosto, su Il Fatto Quotidiano. Il vignettista Mario Natangelo cerca così di ironizzare sulla tragedia del terremoto di Amatrice, nel centro Italia. Sinceramente non se ne vedeva la necessità.

La morte e l'amatriciana: la vignetta che Travaglio doveva evitare, scrive il 25 agosto 2016 “Libero Quotidiano”. "Scusate, avevo solo chiesto una amatriciana", dice una figura nera con la falce in mano, ovvero la morte. Questo recita la vignetta in prima pagina, oggi, su Il Fatto Quotidiano. Il vignettista Mario Natangelo cerca così di ironizzare sulla tragedia del terremoto di Amatrice, nel centro Italia. Sinceramente non se ne vedeva la necessità. La freddura di oggi, il direttore Marco Travaglio la poteva tranquillamente evitare.  

Terremoto e vignette: il Comune di Amatrice querela Charlie Hebdo «Macabro vilipendio alle vittime». Il municipio ha deciso di sporgere la denuncia dopo le vignette offensive pubblicate dal settimanale satirico parigino e che avevano provocato un’ondata di indignazione, scrive Alessandro Fulloni il 12 settembre 2016 su "Il Corriere della Sera". Charlie Hebdo e il terremoto, atto secondo. E stavolta il palcoscenico potrebbe essere quello di un’aula giudiziaria. Il comune di Amatrice ha depositato lunedì mattina, presso la procura del tribunale di Rieti, una denuncia-querela per diffamazione aggravata relativa alla vicenda delle vignette pubblicate dal settimanale satirico parigino. «Un macabro vilipendio» si legge sull’atto presentato dall’avvocato Mario Cicchetti, in qualità di legale dello stesso Comune colpito dal sisma del 24 agosto. Per l’avvocato, il periodico aveva raffigurato le vittime del sisma «in modo tale da somigliare a degli stereotipati piatti della tradizione culinaria italiana», mentre una seconda vignetta «aveva attribuito la colpa della devastazione del centro Italia alla mafia». «Si tratta di un macabro, insensato e inconcepibile vilipendio delle vittime di un evento naturale - spiega l’avvocato Mario Cicchetti -. La critica, anche nelle forme della satira, è un diritto inviolabile sia in Italia che in Francia, ma non tutto può essere “satira” e in questo caso le due vignette offendono la memoria di tutte le vittime del sisma, le persone che sono sopravvissute e la città di Amatrice». Ad avviso dello stesso legale «appare assolutamente configurabile la diffamazione aggravata e non si può ritenere in alcun modo sussistente l’esimente del diritto di critica nella forma della satira». Il caso era esploso il 2 settembre. In una vignetta - a firma Felix - intitolata «Séisme à l’italienne» («Terremoto all’italiana») le vittime del terremoto che ha azzerato Amatrice e i centri vicini il 24 agosto erano state paragonate a tre piatti tipici della nostra cultura: «Penne all’arrabbiata», illustrato con un uomo sporco di sangue; «Penne gratinate», con una superstite coperta di polvere; mentre le lasagne sono strati di pasta alternati ai corpi rimasti sotto alle macerie. Dalla Francia all’Italia, la vignetta è rimbalzata portandosi appresso una valanga di polemiche. E soprattutto indignazione eruttata ovunque. Anche da tantissimi che all’indomani del sanguinoso attentato terroristico che nel gennaio 2015 aveva falciato la redazione dello storico settimanale satirico non avevano esitato a rilanciare l’hashtag #jesuicharlie. Rabbia bipartisan, da destra a sinistra, da appassionati da satira e non. E persino da collaboratori di punta dello stesso Charlie Hebdo come Robert McLiam Wilson che ha scritto di «aggressione offensiva», scelta «indifendibile». Charlie Hebdo, dopo che l’indignazione montava sempre di più dall’Italia tanto che l’ambasciata francese aveva preso le distanze dalla vignetta, sul account ufficiale Facebook ha pubblicato un’altra vignetta. Dal tenore del chiarimento, stavolta a firma Coco, una delle firme più illustri. «Italiani - era il messaggio diretto - non è Charlie Hebdo che ha costruito le vostre case, ma la mafia». Una puntualizzazione che certo non è servita a placare gli animi. E ora il secondo round in tribunale.

Terremoto, Comune di Amatrice querela Charlie Hebdo. La denuncia per diffamazione aggravata depositata alla Procura del tribunale di Rieti. Il sindaco Pirozzi: "Azione giusta, li quereleremo anche in Francia", scrive "La Repubblica" il 12 settembre 2016. Il Comune di Amatrice ha depositato questa mattina, presso la Procura del tribunale di Rieti, una denuncia-querela per diffamazione aggravata relativa alla vicenda delle vignette pubblicate dal periodico francese Charlie Hebdo. L'atto è stato presentato dall'avvocato Mario Cicchetti, in qualità di legale dello stesso Comune colpito dal sisma del 24 agosto. Il caso. Il periodico francese, nella prima vignetta dedicata al terremoto nel Centro Italia, secondo quanto espongono nella querela i legali del Comune di Amatrice, aveva raffigurato le vittime del sisma "in modo tale da somigliare a degli stereotipati piatti della tradizione culinaria italiana", mentre una seconda vignetta "aveva attribuito la colpa della devastazione del centro Italia alla mafia". "Si tratta di un macabro, insensato e inconcepibile vilipendio delle vittime di un evento naturale - spiega l'avvocato Mario Cicchetti -. La critica, anche nelle forme della satira, è un diritto inviolabile sia in Italia che in Francia, ma non tutto può essere satira e in questo caso le due vignette offendono la memoria di tutte le vittime del sisma, le persone che sono sopravvissute e la città di Amatrice". Per il legale si configura la diffamazione aggravata e non si può sostenere che le vignette rispondano "al diritto di critica nella forma della satira".  In merito alla competenza territoriale, l'avvocato Cicchetti evidenzia "come il reato si sia, senza dubbio, consumato sul territorio italiano in quanto la condotta diffamatoria, per quanto intrapresa con la pubblicazione della vignette in Francia, si è perfezionata in Italia attraverso la loro percezione e diffusione sia sui media tradizionali sia sui social network". Con la denuncia-querela si chiede che il Procuratore della Repubblica di Rieti disponga le indagini al fine di accertare se nella vicenda della pubblicazione delle vignette siano configurabili ipotesi di reato a carico degli autori, Felix e Coco, e dei direttori responsabili della testata. Favorevoli. Non è mancata la reazione del sindaco di Amatrice Sergio Pirozzi: "Charlie Hebdo per me è un Ciclostilato: era giusto che si pigliasse una querela e stiamo operando affinchè si possa querelarli anche in Francia". Sulla stessa linea si schiera il presidente della Regione Lazio, Luca Zingaretti: "A mio giudizio Pirozzi ha fatto bene perché c'è stato un elemento di indignazione e, se una comunità così colpita si sente ferita, è giusto che questo abbia anche un risvolto molto concreto come quello di una querela. I diritti sono sempre due, c'è il diritto di espressione, ma anche il diritto ad essere tutelato nella propria dignità. E farlo attraverso la legge mi sembra la maniera più giusta e corretta". Contrari. "Non è necessario passare alle azioni giuridiche, bisognerebbe satirizzarci su - ha invece commentato Mario Cardinali, direttore della storica rivista umoristica Il Vernacoliere -: sarà interessante seguire gli sviluppi della vicenda perché con la satira siamo sempre nel campo del divenire e questo episodio potrebbe fare scuola". Per Cardinali la vignetta "era dedicata alla situazione italiana, all’italianità più che alle vittime e il senso era fate tutto al sugo, anche i morti. È ben diverso dal significato che aveva la vignetta di Der Spiegel nel 1997, con una pistola che faceva da condimento a un piatto di spaghetti. In questo caso mi sembra che ci fosse un po' di spocchia razzista, che restava comunque nel campo della satira". Anche Roberto Saviano ha commentato la vicenda dal suo profilo Facebook: "La prima vignetta di Charlie Hebdo ha dato fastidio soprattutto perché, in maniera macabra, ha veicolato un messaggio semplice: quando si costruisce male o quando non ci sono piani di emergenza in zone ad alto rischio, quello che non mettiamo nel conto, ma che può succedere, è la tragedia. Questa prima vignetta ha colpito al cuore chi nel terremoto ha perso molto, ha perso tutto. Però, quella prima macabra vignetta, non l'ho letta come una manifestazione di superiorità o di razzismo, o come la volontà di fare del male, ma come la constatazione di un dato di fatto: a fare danni non è stata la natura, ma gli abusi edilizi". Ma, spiega lo scrittore, mentre la prima illustrazione poteva anche essere letta in questa chiave, la seconda vignetta poteva essere evitata "perché scomposta, perché la satira non deve giustificare se stessa. L'avrei evitata perché estremamente superficiale. Se per mafia si intende malcostume e irregolarità, ci può anche stare. Ma le mafie sono qualcosa di più specifico e dettagliato. Sono organizzazioni criminali che agiscono per perseguire il profitto e lo fanno con metodologie e strumenti noti e che possono essere ricondotti solo a loro. Ecco perché a Charlie Hebdo direi: Attenzione! Se tutto è mafia nulla più è mafia. Ciò premesso, la satira non deve far ridere, ma riflettere. La querela che il Comune di Amatrice ha presentato contro Charlie Hebdo per le due vignette è una reazione al dolore, ma forse non è il modo giusto per ripartire".

Satira e terremoto dopo Fiorello e Charlie Hebdo, scrive il 9.9.16 Francesco Menichella su GQItalia. “Ogni forma di comicità nasce dalla cattiveria, anche le battute sui cornuti” dice Claudio Zucca direttore dell’Accademia del comico. Dopo tante chiacchiere, le parole di un esperto. L’Accademia del Comico è una scuola di comicità che in Italia ha sette sedi, Torino, Milano, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Palermo e il suo attuale direttore, Claudio Zucca sta organizzando una serie di iniziative di beneficienza il cui ricavato sarà interamente devoluto a favore dei terremotati del Centro Italia. “Siamo a metà fra il lodo Fiorello e il lodo Charlie Hebdo,” spiega Claudio Zucca. “Dalle parole di Fiorello si è creato un clima di sospetto e un’opinione negativa sugli spettacoli di beneficienza mentre la vignetta di Charlie Hebdo ha generato una palpabile insofferenza nell’associare le parole comicità e terremoto”.

Quale fra i terremoti degli ultimi 40 anni ti ha scosso di più?

«Vai subito fuori tema per portarmi immediatamente nel cuore della discussione. Questa è la domanda del sondaggio lanciato da Libero Quotidiano. Credo non si siano neppure resi conto di ciò che hanno scritto. Qui sta la differenza tra l’essere comici e il rendersi ridicoli. Ricordo che la battuta più bieca che girava tra i ragazzini dopo il terremoto del Belice era chiedere a un terremotato se era rimasto scosso. Al contrario la vignetta di Charlie Hebdo ha voluto squarciarci la pancia perché così deve fare la comicità. Può piacere o non piacere ma loro l’hanno fatto intenzionalmente».

Terremoto all’italiana: penne al sugo di pomodoro, penne gratinate e lasagne. La vignetta di Charlie Hebdo ti ha indignato?

«Ogni forma di comicità nasce dalla cattiveria. Anche fare le battute sui cornuti è cattivo. Poi è chiaro che la vignetta delle lasagne di Charlie Hebdo è feroce. Infatti hanno dovuto spiegarla meglio e alcuni autori italiani hanno pure risposto: “Francesi non siete più nostri amici, avete dimenticato la besciamella.”»

All’ironia si risponde con l’ironia?

«Al sarcasmo si risponde con sarcasmo e alla satira con la satira. Non si fa una guerra santa su una vignetta pensando di essere seri. Andare ad attaccare con i moschetti il pupazzo ti fa fare la figura dello scemo.

Non credi che si sia voluto ridere sulle disgrazie altrui?

«Ci hanno sbattuto in faccia quello che in realtà pensiamo di noi stessi. Abbiamo speso miliardi di euro stanziati dopo i vari terremoti in un paese dove da sempre si dice che dobbiamo convivere con questo genere di eventi ma alla fine ci facciamo trovare impreparati. In qualunque bar si criticano le opere di ricostruzione e prevenzione in cui si usano sabbia o polistirolo, però se ce lo dicono gli altri non ci piace».

È stato giusto pubblicare una vignetta così velenosa?

«Sì. Umorismo, comicità e satira devono essere libere e hanno la licenza di toccare il ventre molle della gente».

Per colpire la mafia tutto è lecito?

«Farla così magari no, però sposo quanto ha detto Pennac, non sono d’accordo ma io continuo a dire Je Suis Charlie. Tutti possono fare un errore, la vignetta è velenosa, sarcasmo puro, e sarcasmo deriva dal greco sarkazein, squarciare le carni, fare del male».

A proposito di terremoto, l’11 settembre a Milano hai organizzato “Ridiamo un sorriso”, una maratona comica per raccogliere fondi a favore dei terremotati. Cosa ne penserà Fiorello?

«Se si vuole fare un’iniziativa di beneficienza bisogna per forza pubblicizzarla. C’è necessità di richiamare pubblico. Puoi permetterti di fare donazioni quando sei milionario e quindi puoi farlo di tasca tua».

Cos’è la comicità?

«Per restare in tema ti rispondo che è anche generare polemica e fastidio, se necessario. La sua forza è fare parlare. Ogni polemica aiuta a tenere viva una discussione ed è anche un modo di affrontare la questione. Quindi ben venga».

L’informazione tende a fagocitare e poi dimenticare ciò di cui si occupa, mentre il comico che riesce a dare fastidio fa riaccendere i riflettori?

«Questo è il mestiere del comico da sempre. La comicità si è evoluta in modi diversi nelle varie nazioni. Oggi sempre di più si parla di stand up comedy e cabaret ma il lavoro del comico puro è quello di dare fastidio. Il commediante dell’arte si vendeva al migliore offerente ma se era bravo dava fastidio. Il giullare rischiava la testa ogni volta che affrontava argomenti riguardanti la famiglia reale».

Oggi il comico ha perso la capacità di dare fastidio?

«Il comico ha il compito di recuperare qualcosa che le persone hanno perso, tirare fuori ciò che non va bene. La risata è un modo diverso per leggere la realtà e anche per affrontarla».

C’è risata e risata?

«Tutti i comici fanno lo stesso mestiere, cabarettisti e stand up comedian. Qualcuno è più cattivo, qualcuno si nasconde dietro la protezione della battuta più generale e qualcuno va più filato perché sa che la satira non deve avere limiti».

Nella serata di beneficenza dell’11 settembre ci sarà piena libertà di espressione?

«Totale libertà di espressione. Tra i 54 comici uno ha annunciato che porterà sul palco un pezzo cattivo sul terremoto. Se il pubblico dovesse alzarsi e andarsene, saprà di avere esagerato e deciderà lui se aggiustare il tiro».

Cos’è un comico per l’Accademia del Comico?

«La difficoltà e la scelta è essere laici. Non partiamo dal cos’è la comicità. Se insegno ad alcune persone a fare i giocolieri con venti palle alla fine avrò venti bravi giocolieri, ma tutti uguali. Si deve partire dalla persona perché da ognuno verrà fuori una comicità diversa. Ognuno ha in sé il proprio comico, cattivo, tagliente, bonario. Tutti hanno diritto di residenza nel paradiso della comicità. Ciò che va insegnato è la comicità».

Oltre alla raccolta di denaro che altro valore ha una maratona comica di beneficenza?

«In questo momento oltre a dovere alzare la mano in favore di chi sta male dobbiamo imparare a guardare la luna e non il dito. Va ricordato che noi esseri umani tante armi non ce le abbiamo. Per sopravvivere e affrontare le cose la comicità è fondamentale».

Riunire più di 50 comici per nove ore è un gran risultato?

«Una delle cose belle che ho sentito tra i comici contattati è stato il desiderio di partecipare perché l’importanza della solidarietà attiva, la voglia di palco e soprattutto di vedere gli altri. Una volta tanto invece di leggere i commenti degli altri c’è l’occasione di confrontarsi dal vivo».

Quanto è importante il pubblico?

«La comicità non è mai sopra, mai sotto, ma sempre di lato. Totò faceva ridere il pubblico con la a, con la e o con la i, perché non era meglio o peggio ma di fianco al pubblico. Il comico è essere la persona vicino a te che fa il commento che ti strappa una risata. Il comico vede la realtà e ti racconta com’è. Perché noi l’abbiamo dimenticata. Siamo troppo indaffarati, preoccupati e non ce ne rendiamo conto. Il comico ti porta oltre a vedere di nuovo il mondo».

Il comico deve squarciare il velo e a volte deve fare del male. Per questo c’è tanta voglia di stand up?

«I grandi stand upper come Gaber, Andreasi, l’ultimo Walter Chiari, facevano cabaret negli anni ’70, durante gli anni di piombo e facevano ridere. Il Male, i cui vari fondatori hanno difeso Charlie Hebdo, nasceva in un momento storico difficile e sapeva colpire duro, dalla presa in giro a Moro a Tognazzi capo delle BR con Vianello che non si sarebbe immaginato che proprio lui fosse il grande vecchio».

L’Accademia del comico cresce in tutta Italia in un’epoca in cui c’è un’apparente crisi della comicità. Come te lo spieghi?

«C’è crisi della comicità a livello televisivo. Siamo orfani dei grandi totem, Zelig in testa. Non c’è crisi della comicità perchè una volta che il media più forte inizia a perdere pezzi si sviluppano gli altri. Il web in testa. Internet è una prateria aperta dove crescono i nuovi comici. Inoltre c’è una richiesta enorme del live. Di recente sono stato a Ostia Lido, uno spazio in cui c’erano 3000 persone di 70 anni di media, dove hanno portato uno stand up comedian come Saverio Raimondo, eppure la gente era lì a vederlo con il piacere di intervenire».

Si è persa la necessità del comico da tormentone che ogni settimana parla in tv per 3 minuti?

«I comici richiedono insieme al pubblico un palco, un luogo vivo e un rapporto immediato e diretto. Formare un comico televisivo è facile per un bravo autore, molto più difficile preparare un comico ad affrontare ogni tipo di palco. Per cui la necessità di scuola è grande. Oltre a chi parte da zero, per divertimento, arricchimento personale, ci sono i comici che vogliono tenersi aggiornati».

Comici si nasce, ma solo chi studia lo resta nel tempo?

«Avere un metodo ti permette di cambiare. Il giovane Agnelli all’inizio dello scorso secolo ha iniziato a fare macchine di un certo tipo che poi sono cambiate. Se hai un metodo affronti la realtà man mano che le cose cambiano. Se ti affidi esclusivamente a madre natura fai bene ma il periodo di grazia dura poco».

La differenza tra cabarettista e stand up comedian è solo una convenzione?

«L’ideale per me è creare comici ed eliminare le etichette. Non esiste un muro tra stand up comedian e cabarettista, il comico è uno che si prende la responsabilità di salire sul palco a fare ridere il pubblico».

Se tu non fossi Claudio Zucca chi vorresti essere?

«Un giorno Leo Ortolani, un altro chiunque scriva una battuta che avrei voluto scrivere io».

Ti capita spesso?

«L’altro giorno un collega Dado Tedeschi ha pubblicato una battuta su Facebook e il mio unico commento è stato: “l’avrei voluta pensare io”, non è il mio stile di comicità ma era quasi geniale: “Ho trovato il modo per tenere a distanza quelli che ti vendono il giornale di “lotta comunista” dire “no, grazie, non ho bambini da incartare.” Dobbiamo tornare alla domanda di fondo: faccio ridere o non faccio ridere. Ridono con me o me la sto raccontando. Guai a ignorare il pubblico, se hai un messaggio scrivi un telegramma e non salire sul palco»

TERREMOTO E SPETTACOLARIZZAZIONE.

Cinismo e retorica creano caccia alle streghe, scrive Piero Sansonetti il 29 ago 2016 su "Il Dubbio". Le conseguenze più gravi del terremoto si potevano evitare. Se ci sono responsabilità personali vanno accertate, e invece è già iniziato il linciaggio. Il riflesso condizionato, si sa, è ingovernabile. Difronte a una tragedia grande come quella di Amatrice, per esempio, giornalisti e Pm (non tutti, ma molti) riescono a mantenere la calma per un paio di giorni, e a far bene il proprio lavoro, e a raccontare - gli uni - e a indagare con serietà e discrezione - gli altri. Poi al terzo giorno si rompono gli argini e la necessità impellente di prendere i colpevoli e linciarli subito subito, prevale su tutto. E così alcuni magistrati non riescono a trattenere la propria pulsione a dichiarare, anche se ovviamente non sono in grado ancora di sapere niente di quello che è successo, e delle cause. E i giornalisti iniziano ad eseguire le sentenze, da loro stessi emesse, e a scrivere tutto ciò che sentono dire in giro, nei vicoli, nei bar. C’è un importante giornale nazionale che l’altro giorno informava - in prima pagina - i suoi lettori, che le pareti della scuola di Amatrice erano di polistirolo. Naturalmente è molto probabile che per il crollo della scuola esistano delle responsabilità soggettive e personali, oltre alle responsabilità politiche delle istituzioni. Ma è altrettanto probabile che ancora nessuno sia in grado di conoscere queste responsabilità. Ed è molto, molto probabile che il polistirolo sia stato usato per motivi di isolamento termico o acustico, e che non c’entri proprio niente col crollo. Però scrivere che le mura erano di polistirolo fa effetto, porta qualche lettore in più. Si fa. Così come fa effetto usare l’espressione: “in odor di mafia”. Che non vuol dire assolutamente niente, ma muove molte emozioni. E spesso quello “in odor di mafia” non è nemmeno la persona di cui si sta parlando, ma un suo lontano parente. Ormai “essere parente” - per la stampa italiana - è diventato uno tra i reati più frequenti.  Il Fatto, per esempio, l’altro giorno indicava al pubblico sospetto (e al pubblico ludibrio) un tale gravato di due colpe evidenti e certe: essere siciliano e - soprattutto - essere “imparentato” con una parlamentare del Pd. E poi, ovviamente, ci sono gli sciacalli. La storia che raccontiamo nell’articolo di Simona Musco in prima pagina è esemplare. La caccia allo sciacallo è un “cult” dell’informazione, da noi. Come una volta era la caccia all’untore, della quale vi abbiamo parlato molto, in questo agosto, ripubblicando la Colonna Infame di Manzoni. E’ del tutto evidente, a chiunque, che le conseguenze tragicissime, con trecento morti, del terremoto di Amatrice, sono in gran parte dovute alla mancanza di prevenzione. Lo abbiamo scritto il primo giorno. Il titolo del nostro giornale era: «Si poteva evitare?». Tutti gli esperti rispondono di si. Che esistono ormai le possibilità tecniche non solo per costruire con criteri antisismici tutte le nuove abitazioni, ma anche per mettere, almeno in parte, in sicurezza, le costruzioni più antiche. E tutti gli esperti ci dicono anche che l’Italia è la nazione più a rischio sismico d’Europa, e dunque la necessità di mettere al sicuro i nostri paesi e le nostre città è impellente. E invece, da diversi anni, si fa troppo poco. Esistono le mappe delle zone a rischio e persino i censimenti dei singoli edifici a rischio. Esiste anche una stima su quanto costa una azione di ristrutturazione generale. Però la politica resta immobile e un po’ indifferente. Eppure tutti sanno che sono altissime le probabilità che nei prossimi vent’anni ci siano in Italia almeno tre o quattro terremoti gravi come quello di Amatrice. Perché non concentrare su una gigantesca operazione antisismica tutte le risorse che è possibile stanziare sulle opere pubbliche? Rinunciando, almeno per un decennio, a ogni altra iniziativa. Concentrando una quantità molto grande di risorse su questa impresa, e mettendo in moto anche un meccanismo probabilmente importante di mobilitazione economica e dunque di sviluppo? Questa è la domanda che va rivolta alla politica. Alla magistratura invece va chiesto di accertare con serietà e certezza se ci sono responsabilità precise e personali per i crolli provocati dal terremoto, e, se ci sono, di chi esattamente sono. Ma questo lavoro va svolto con discrezione, serietà, prendendosi i tempi necessari, senza creare mostri e senza lavorare suoi sospetti e basta, e senza - soprattutto - cercare pubblicità e interagire con la stampa e i suoi clamori. Magari anche rinunciando alle iniziative bislacche che qualche anno fa portarono all’incriminazione (e persino alla condanna in primo grado) di un bel gruppetto di valorosi scienziati accusati di non aver previsto il terremoto dell’Aquila. Quegli scienziati poi furono assolti pienamente, dal momento che non ci vuole una grande scienza per sapere che i terremoti non sono prevedibili da nessuno e tantomeno è prevedibile la loro intensità. Ma furono assolti quando ormai la loro reputazione e le loro carriere erano state già distrutte. Poi, certo, è inevitabile, esiste dei pezzi del giornalismo e della magistratura italiana che vivono di retorica e cinismo, e non sono molto interessati alle certezze e alla verità: retorica e cinismo molto spesso si alleano e quando si alleano creano disastri. Il meccanismo tradizionale della caccia alle streghe è sempre stato quello: retorica e cinismo che si esaltano a vicenda.

Terremoto tra polemiche e apparenza al tempo del dolore 2.0. Tutte le opinioni che abbiamo letto in questi giorni ci inducono a riflettere e la verità è che ci attende una battaglia lunga e faticosa, scrive Francesca Contino il 26 agosto 2016 su "Irpinia 24". Avellino ­ Guardo mia nonna e ho la percezione che tutto intorno abbia assunto dei connotati stonati. La osservo guardare i TG, in preda a una frenesia, con la necessità di cambiare canale e non certo per disinteresse, ma perché delle immagini sono troppo crude e sanno di una tragedia, che lei, come tanti, ha vissuto sulla sua pelle nel 1980. La vedo mentre sembra disegnare con lo sguardo un terrore nascosto, a tratti inenarrabile. Quando le chiedo di raccontarmi di quel 23 Novembre, le parole si accavallano e poi d’improvviso si spezzano, come se si rinnovasse un dolore troppo grande anche da rispolverare. Riemergono con più facilità i ricordi della solidarietà, dello stare insieme delle famiglie, del buon cuore dei commercianti locali che donavano i loro prodotti, di quelli che ospitavano la gente del paese nelle loro stalle. Avverto il calore di quell’atmosfera, dove ogni contrasto si annienta e poi il freddo di quell’inverno, che nelle sue parole, è ancora più rigido di quello che probabilmente fu. Erano tempi diversi certo. Oggi apprendiamo molte più notizie, corredate di immagini e video istantanei che niente lasciano all’immaginazione. E ce ne serviamo, perché, talvolta, in questa società dormiente, un fotogramma scuote una coscienza meglio di un racconto. Lo abbiamo fatto con le morti sui barconi, con gli attentati terroristici e adesso con il terremoto di Amatrice. Diamo letture differenti, eppure nella selezione delle immagini ricadiamo in una volontà ambigua di spettacolarizzazione, che diventa una vera e propria operazione di marketing, assuefatti alla forma più che al contenuto. E’ un errore che abbiamo commesso, anche se alcuni di noi con ingenuità, con l’intento di arrivare ai lettori in maniera più profonda. Noto con tristezza, come la tradizione italiana si stia riducendo a un talk­ reality ­show, dove il phatos sovrasta la professionalità, con schiere di giornalisti che pongono domande al limite del tollerabile, anche per chi è fuori da certi drammi. Ma non è un problema di categoria, semmai la categoria determina nello specifico la tipologia di alcune involuzioni. Siamo circondati o addirittura siamo gli stereotipi che condanniamo. Dagli sms per donare 2 euro, con tanto di prova fotografica allegata sui social, alle rivalse razziste, travestite da patriottismo di quelli che “la menano” sugli immigrati negli alberghi. Tristezza a palate. Non solo per la violenza di certi pensieri che in rete vengono espressi, quanto per l’insensibilità di chi ha bisogno di spostare sempre l’asse della discussione, di chi si improvvisa costantemente esperto di politica nazionale e internazionale. Dal montepremi del superenalotto che non si può destinare ai terremotati, all’Italexit perché “l’Europa e l’America non soffrono o non aiutano abbastanza”. E così via, fino alla ricerca spasmodica del colpevole, che però è tale, per parte degli utenti guinness di presenze sul web, solo quando si apre la stagione della caccia, solo quando qualcosa è andato storto. E’ la società del dolore 2.0. Le case, le scuole, gli ospedali, tutto crolla. Si comincia ad avere paura, a chiedersi come hanno ricostruito. Lecito, giusto, comprensibile, purché non si lotti solo oggi o per qualche giorno, ma quotidianamente. La buona edilizia, del resto, è una battaglia di legalità e di civiltà. Noi in Irpinia lo sappiamo bene, ma non tutti hanno imparato la lezione. Per citare mia nonna: “C’è chi non aveva nulla e ora ha la villa col giardino e chi è ancora in attesa di una casa”. Ovviamente, per esaurire il cerchio dell’opinabilità, non mancano i commenti alla foto del premier Renzi con un vigile del fuoco, alle prese con le operazioni di salvataggio. “Attento non manterrà le promesse”, “E’ una scenetta costruita a regola d’arte”, “Non ha neanche un’unghia di Pertini”. Ecco, anche la scrivente, risaputamente antirenziana, ha difficoltà a comprendere l’accanimento a priori in questi giorni tremendi, che risucchia tutto e tutti nella spirale del tutto fa brodo. E’ evidente che non siamo in presenza dello spessore morale dell’ex Presidente della Repubblica, Sandro Pertini. Assodato ciò, lasciate le tastiere e riempite i seggi, perché la rivoluzione si fa col voto pulito. Le fondamenta morali, quanto quelle dei palazzi, reggeranno solo quando non si faranno più gare a ribasso. E anche se in Irpinia non mancano i recidivi, noi non arrendiamoci, avendo sempre a mente il monito pertiniano: “Il miglior modo di onorare i morti è pensare ai vivi”. Francesca Contino.

Facciamo parlare una testimone di un lontano disastro. Io la botta non la ricordo, scrive Cristina Cucciniello su "L’Espresso” il 25 agosto 2016. Avevo un anno, non ricordo il momento della scossa di terremoto, nel tardo pomeriggio del 23 novembre 1980. Era domenica, passate le sette; mio padre ricorda la tranquillità del dopo-campionato davanti alla tv: a quell'epoca, le partite di serie A venivano trasmesse in chiaro e - come ora - subito dopo partiva la tiritera dei commenti. Se torno indietro con la memoria, ho la vaga immagine di mia madre che mi appoggia sul sedile posteriore della nostra automobile. E poi Dario (un volontario, amico dei miei) che mi porta a cavalluccio sulle spalle, nei capannoni della Caritas vicino alla nostra ex-casa. Arrivarono da tutto il mondo tanti di quei giocattoli, per noi bambini sopravvissuti al terremoto, che io ancora ricordo il mio stupore per la quantità; allora i miei erano due ventenni non particolarmente benestanti, in una città rasa al suolo, che davano una mano a smistare gli aiuti umanitari: così tanti peluche, in un colpo solo, non li avevo mai visti. A un anno non capisci la tragedia e capita pure l'impossibile, l'assurda gioia di avere in regalo un peluche enorme. I cazzi amari arrivano dopo, molto dopo. Il dolore, la rabbia sorda, arriva dopo. Anche per gli adulti, intendiamoci: nei primi momenti c'è la disperazione, lo stupore, la disgrazia della perdita dei propri cari e dei propri averi. Ma la rabbia arriva a mente fredda, ti accompagna nel corso degli anni, non va mai via. Non gliela voglio augurare, ma sarà così anche per la popolazione di Amatrice ed è stato così anche per gli aquilani. Io, dopo 36 anni, sono ancora incazzata. Perché la tragedia che ci ha colpito non è consistita solo nei 90 secondi della scossa, ma negli anni successivi: lo scempio del mio territorio, la violenza del ricostruire interi paesi a valle, rispetto agli insediamenti originari, la colata di cemento che ha preso il posto dei materiali tradizionali, l'improvvida decisione di voler profittare della ricostruzione per imporci una industrializzazione forzata che non era e non è nelle corde di un'area collinare e montana, priva di adeguate vie di collegamento. Ne discutevo giorni fa con un amico per metà irpino: chi ha in corpo una goccia di sangue irpino, chi è lupo almeno in parte, davanti a quel cemento soffre. Avellino oggi è una città di bruttezza devastante. Non ha filo logico, non ha congruenza, non ha eleganza. Alterna costruzioni finto ottocentesche a obbrobri ricoperti da vetro e marmo. Strade pavimentate a lastroni lasciano il posto a piazze cementificate. E "buchi", palazzi ancora non ricostruiti, perfino nel corso principale. Ed ecomostri, volgari ville a colori sgargianti che punteggiano le colline intorno alla città - ne vedo una dalla casa dei miei defunti nonni, un pugno nell'occhio fucsia in mezzo al verde. Questa bruttezza mi perseguita, fin da bambina: a 14 anni sono entrata, per la prima volta, in una scuola di mattoni, dopo aver frequentato elementari e medie in orridi cubi di lastroni prefabbricati, che - peraltro - nascondevano fibre di vetroresina e tracce di amianto; a 11 anni sono entrata in una casa "vera", dopo 8 anni in una casetta di legno. A 18 ho lasciato una città per la quale - tuttora - non provo nulla, se non rabbia: solo qui a Roma posso alzare gli occhi e venire sommersa dalla bellezza. Roma, perfino nei suoi angoli più beceri e volgari, toglie il fiato. Roma ha una sua logica, ha una pianta circolare, che - come una cipolla - mostra l'espansione della città nei secoli, con stili architettonici diversi. Ma, ad Avellino, io non ho una storia da osservare, non ho un quartiere del quale posso dire di essere parte: a Pianodardine, subito accanto al Rione Ferrovia, dove mio padre è nato e dove faceva il bagno nel fiume, oggi si susseguono capannoni industriali in parte abbandonati e si muore per mesotelioma e leucemia (vi dice niente il nome Isochimica? Uno dei molti, preziosi regali che una classe politica scellerata ha voluto fare alla nostra comunità). Per provare un minimo di senso di appartenenza, devo andare sui monti, in mezzo ai nostri boschi. Solo nel verde posso vedere la bellezza dell'Irpinia. Perché racconto questa storia? Perché sia di monito, perché aiuti a comprendere che non sarà solo in queste ore che le comunità di abitanti delle zone colpite dal terremoto del 24 agosto 2016 avranno bisogno di supporto, solidarietà, attenzione. Vivranno anni in cui dovranno combattere per preservare quel poco di storia e legami col territorio che il sisma ha lasciato in piedi. Vivranno la tentazione di andar via (come ho fatto io). Vedranno l'arrivo di chi vorrà speculare sul dramma: da noi è accaduto, è storia. Dite di no: è quel che sento di dire a quelle persone. Dite di no quando qualcuno arriverà e vi proporrà "dai, giacché ci siamo costruiamo qui la mega-fabbrica e la mega-tangenziale". Dite di no, quando vi proporranno le new town. Dite di no, quando arriveranno sciacalli pronti ad usufruire degli aiuti statali alla ricostruzione per impiantare stabilimenti in mezzo al verde dell'Appennino: da noi è accaduto, fate che non accada anche alla vostra terra.  

LA LEZIONE DI L'AQUILA. L'avvertimento del terremotato di Libero: "Attenti, ecco chi sono i veri sciacalli", scrive Miska Ruggeri il 25 agosto 2016 su “Libero Quotidiano”. Dalle 3.32, ora del terremoto dell'Aquila il 6 aprile 2009, alle 3.36, ora del sisma di Amatrice. In mezzo le 3.33, per il folklore cristiano «l'ora del diavolo», in contrapposizione alle tre del pomeriggio, quando, almeno così vuole una tradizione, Gesù, la seconda persona della Trinità, morì sulla croce (a 33 anni; e da qualche parte si legge anche che era venerdì 3 aprile del 33 d.C.). Coincidenze e superstizioni. Ma in molti nel cuore della scorsa notte, svegliati dalla terra che si muove - i lampadari che iniziano a dondolare, i mobili che si spostano, l'intonaco che cade - riversandosi in strada terrorizzati, ci hanno pensato. Nel capoluogo abruzzese i (pochi) residenti del centro storico e i turisti alloggiati in alberghi e bed and breakfast sono stati invitati a uscire all' aperto e le manifestazioni della Perdonanza celestiniana sono state annullate (si manterrà probabilmente solo l'apertura della Porta Santa a Collemaggio e il corteo della Bolla, eventi clou previsti per domenica prossima). Qui, del resto, nessuno ha dimenticato la tragedia di sette anni fa e a parecchi abitanti è sembrato di rivivere l'incubo. Tanto che ore dopo in giro, nonostante la giornata di sole e relativo caldo, non si vede gente a passeggio, chi gira a piedi lo fa con gli occhi sbarrati come uno zombie, i negozi sono vuoti e il traffico inesistente, anche in viale Croce Rossa tra Piazza d' Armi e lo stadio. Ora il pensiero va ai conterranei di Amatrice (dal 1265 al 1861 parte del giustizierato d' Abruzzo e della provincia Abruzzo Ultra II, con capoluogo L' Aquila; e fino al 1927 provincia dell'Aquila) e dei paesi vicini, ai numerosi morti e ai sopravvissuti. Che avranno davanti anni e anni molto duri. Perché l'emergenza sarà gestita ancora una volta benissimo (in Italia in questo siamo all' avanguardia nel mondo e sono già a disposizione degli sfollati 250 appartamenti antisismici del Progetto C.a.s.e.); Protezione civile, Vigili del Fuoco e volontari faranno miracoli con abnegazione e spirito di sacrificio, lavorando 24 ore su 24. Ma poi, inevitabilmente, arriveranno i mostri della burocrazia, gli sciacalli pronti a rovistare tra le macerie degli edifici (per rubare non solo effetti personali e preziosi, ma con il passare dei mesi persino le mattonelle dei bagni), le cricche, le false promesse dei politici («Non lasceremo solo nessuno», ha dichiarato a caldo il premier Renzi: figuriamoci, passata l' emozione del momento, l' agenda del governo sarà riempita da mille altre priorità), le lotte intestine per spartirsi i soldi, le imprese edili che vincono l' appalto e poi falliscono all' improvviso lasciando i lavori a metà, le infiltrazioni della camorra, le inchieste giudiziarie e i ricorsi al Tar, l' esodo della popolazione, il frantumarsi del tessuto sociale, le dipendenze da alcool e psicofarmaci, gli euro buttati via per i puntellamenti di palazzi comunque destinati a essere abbattuti... Tutte cose che, purtroppo, all' Aquila conosciamo bene. I miei genitori sono ancora fuori casa (l'apertura della pratica per il progetto di ricostruzione sarà esaminata, se tutto andrà secondo programma e non è scontato, nel 2017; poi passeranno altri due anni, di «tempi tecnici», per la messa in opera del primo chiodo), in regime di «autonoma sistemazione» dopo mesi passati in un albergo sulla costa adriatica. E io, pur vivendo a Milano, mi ricordo bene, avendole raccontate su questo giornale, le assurdità post sisma. Il Comune chiuso per il lungo ponte tra il 25 aprile e il 1° maggio 2009, l'ufficio Ricostruzione aperto due ore il martedì mattina e altre due ore il giovedì pomeriggio, le dimissioni mille volte annunciate e poi ritirate dal sindaco, la pantomima dei soldi stanziati o meno («Dateci fondi», «Ve li abbiamo già dati», «Non è vero»). Stavolta sarà diverso, diranno. Speriamo. Miska Ruggeri

TERREMOTO E BUFALE.

La bufala della magnitudo falsata per non pagare i danni ai cittadini. La leggenda ha origine nella riforma della Protezione civile varata nel 2012 da Monti. E si arricchisce di bizzarria quando lega l'entità dei rimborsi alla magnitudo, scrive Angelo Scarano, Domenica 30/10/2016, su "Il Giornale". "Abbassano la magnitudo per non pagare i rimborsi". È da agosto scorso che ha ripreso a circolare sui social questa affermazione. Che, poi, è una vera e propria "bufala". Immediatamente dopo la scossa del 24 agosto con epicentro ad Accumoli, si era diffusa la notizia che la magnitudo fosse di 6.2. Dopo pochi minuti arrivò il dato ufficiale dell'Ingv che fissò invece la magnitudo a 6.0. La bufala allora riprese vigore e tornò a circolare sui social: "Il governo ha imposto a Ingv di abbassare la magnitudo per evitare il rimborso dei danni da parte dello Stato che la legge prevede solo per sismi superiori a 6.1". Ebbene, nella realtà non esiste né la soglia né un limite all'intervento statale. L'articolo che prevedeva l'esclusione dell'intervento dello Stato era nel testo del decreto 59 del 2012 di riforma della Protezione civile, non è mai diventato legge. Nella trappola oggi è caduta una senatrice del Movimento 5 Stelle, Enza Blundo, immediatamente smentita sui social da presidenti di Regioni terremotate che, dati alla mano, hanno dimostrato i rimborsi integrali. La leggenda ha origine nella riforma della Protezione civile varata nel 2012 dal governo di Mario Monti. Il decreto prevedeva "l'esclusione, anche parziale, dell'intervento statale per i danni subiti da fabbricati". Se fosse stata trasformata in legge anche questa norma, che era nell'articolo 2 del decreto, i cittadini avrebbero dovuto ricorrere alle assicurazioni, con procedure fissate da un successivo regolamento. In sede di conversione in legge, in parlamento, l'articolo in questione, il 2, è stato soppresso. Quindi, non esiste nessun limite ai rimborsi da parte dello Stato. La bufala si arricchisce di bizzarria quando lega l'entità dei rimborsi al valore della magnitudo del sisma. I rimborsi vengono calcolati sui danni effettivi, registrati semmai dalla scala Mercalli. E il motivo è evidente: un terremoto nel deserto può anche essere di magnitudo 9, ma non fa nessun danno. Il sisma del 26 ottobre ha avuto una magnitudo di 5,9 e ha causato crolli e distruzione. Due giorni prima, in mezzo al Tirreno, c'era stata una scossa di 5,7 Richter, naturalmente senza nessun danno.

Terremoto, tornano le bufale online. Ecco le notizie a cui non credere. Alle nuove, forti scosse in Centro Italia anche questa volta è seguito il diffondersi di notizie false e mistificazioni in rete. Dal falso annuncio di Virginia Raggi al caldo anomalo, scrive Fabio Grandinetti il 27 ottobre 2016 su “L’Espresso”. Dopo le scosse, a fare danni in occasione di eventi sismici è la disinformazione. Che sia frutto di ingenuità o di puri atti di sciacallaggio, il diffondersi di notizie false e fantasiosa dietrologie sui social network è ormai un evento ricorrente in questi casi.  A poche ore dalle scosse che ieri sera hanno colpito diversi comuni tra l'Umbria e le Marche, è ripartita puntualmente la danza delle bufale. Alcune, ormai, fanno parte della tradizione. Altre sono nuove di zecca:

Terremoto, Governo ladro.

Il magnitudo da 6.2 la TV lo ha subito cambiato in 5.9, semplicemente perché sopra il 6.0 i danni li paga lo stato. FATE SCHIFO!

Come in occasione del sisma dell'Aquila e, più recentemente, per il centro Italia, l'idea di complotto del governo, spalleggiato dai media, torna di moda. In realtà il risarcimento dei danni non si calcola in base alla magnitudo (scala Richter), bensì sull'intensità e i danni prodotti (scala Mercalli). Due dati profondamente diversi, seppur spesso collegati, che richiedono tempi di calcolo differenti. I complottisti fanno riferimento al decreto legge n. 59 del 15 maggio 2012, con cui il governo Monti escludeva «l’intervento statale, anche parziale, per i danni subiti da fabbricati». Una direttiva eliminata pochi mesi dopo con la legge n. 100 del 12 luglio 2012.

Scuole chiuse a Roma. Probabilmente il sindaco di Roma Virginia Raggi non si aspettava di diventare bersaglio del web anche in questa occasione: È la stessa Raggi a denunciare prontamente su Twitter la diffusione della falsa notizia. Ma a scanso di equivoci, bastava contare i caratteri: 267, molti di più rispetto ai 140 consentiti.

L'allarme su Whatsapp. Altra comunicazione di servizio, altra bufala. «Fate le borse e uscite perché sono previste forti scosse per le prossime ore», avvertiva un messaggio audio su Whatsapp attribuito alla Protezione Civile che ha iniziato a circolare ieri sera. Un annuncio falso, tanto quanto la possibilità di prevedere l'intensità di futuri eventi sismici.

"Strano questo caldo". Per finire con le credenze popolari e “l'aria di terremoto”: Il caldo afoso di questi giorni era troppo strano, il cielo grigio e vento caldo...non so se è collegato, ma fa pensare..#Terremoto.

A smentire una correlazione tra le scosse e il clima è direttamente l'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, che nelle faq (frequented asked question) afferma: «I terremoti avvengono all'interno del pianeta. I venti, le precipitazioni e la temperatura riguardano soltanto la superficie terrestre. I terremoti si verificano a prescindere dalle condizioni atmosferiche, in tutte le zone climatiche, in tutte le stagioni dell'anno e a qualsiasi ora della giornata». Ma per molti la nonna ha comunque ragione.

Il terremoto, i complotti e le bufale nel Paese che rifiuta la ragione. Una senatrice 5 Stelle accusa il governo di truccare la magnitudo. Un consigliere regionale se la prende con i petrolieri. Un noto giornalista attacca il Papa. Così il disastro di Norcia, per fortuna senza vittime, fa riemergere troppi pregiudizi antiscientifici, scrive Mauro Munafò il 31 ottobre 2016 su “L’espresso”. "Guarda io sono ignorante di queste cose. Ma l'hai sentita questa storia che hanno abbassato (sic.) il terremoto per non pagare i danni?". Nel bar di un quartiere della zona sud di Roma sono passate poche ore dalla scossa che ha devastato Norcia, Castelluccio, Precie molti altri paesi tra Marche e Umbria e svegliato l'intera Capitale nella paura. Il ragazzo alla cassa parla con i clienti della domenica con quella familiarità e confidenza che gli eventi come questo alimentano tra le persone. "Hanno abbassato il terremoto sì. Prima era sopra i 7 e ora è 6 e mezzo, così l'assicurazione non deve pagare". Si riferisce alla magnitudo del sisma, in un primo momento indicata dal rilevamento di un istituto statunitense con un valore di 7.1 e poi ricalcolata dall'Ingv fino al valore definitivo di 6.5. Tanti avventori annuiscono sconsolati, commentano indignati contro politici e governo. Solo uno replica che si tratta di una storia falsa, che spunta fuori dopo ogni sisma. Nessuna delle persone che ascolta sembra convinta. Di più, si percepisce un certo fastidio per questa smentita. La bufala del governo che modifica i dati sui terremoti per non affrontare le spese della ricostruzione parte da un decreto del 2012 mai diventato legge. Negli ultimi anni è stata confutata decine di volte in rete, in tv, sui giornali, in radio. Ma niente da fare: quando la terra trema, torna fuori. Questa volta a rimetterla in giro ha contribuito una testimonial d'eccezione: la senatrice del Movimento 5 Stelle Enza Blundo. Sul suo profilo Facebook l'onorevole ha scritto quanto segue: "Il Tg1 apre dichiarando una scossa di 7.1 e poi la declassa a 6.1! Ancora menzogne per interessi economici del governo. Anche il terremoto dell'Aquila fu "addomesticato" a 5.8. Il tutto per non risarcire i danneggiati al 100 per cento". Poi ha corretto il tiro, prendendosela con una misteriosa "finzione mediatica" e infine ha chiesto scusa. Ci si sposta più a sud, in Puglia, per trovare le parole di Mario Conca, consigliere regionale del Movimento 5 Stelle, che attraverso Facebook chiede a chi lo segue cosa ne pensa della teoria che gli avrebbe esposto un conoscente ottantenne secondo cui il sisma sarebbe colpa "delle trivellazioni, del fracking e dell'airgun nel Mediterraneo che stanno indebolendo la massa che blocca la faglia accelerando l'avvicinamento dell'Italia all'ex Jugoslavia provocando forti terremoti", e conclude " le sacche vuote di gas e petrolio alimentano questo processo, i petrolieri vanno fermati!". Ancora una volta teorie smentite decine di volte, contrabbandate sui social network da persone che rivestono incarichi istituzionali e incapaci di trattenersi da esternazioni tanto discutibili. Dalla pseudoscienza al misticismo il passo è breve. Si arriva così al giornalista tv Antonio Socci che se la prende con papa Francesco che mentre "il terremoto devasta la terra di San Benedetto cuore dell'Europa Cristiana rende omaggio a Lutero che ha distrutto la cristianità", mentre a giudizio del giornalista, "dovrebbe consacrare l'Italia mettendola sotto il patrocinio della Madonna". Nella pagina Facebook di Socci, che per scelta della Rai è anche direttore della scuola di giornalismo RadioTelevisivo di Perugia, decine di utenti si lanciano così alla ricerca di segni divini che mettano in collegamento il sisma con le mosse di Bergoglio. Ragionamenti che ricordano le recenti affermazioni del viceministro israeliano Ayoub Kara secondo cui il sisma era una punizione per la posizione dell'Italia sulla votazione Unesco. Il pensiero antiscientifico nelle sue diverse forme non è quindi confinato in una nicchia, ma è anzi legittimato da esponenti istituzionali, intellettuali e vip che contribuiscono a diffonderlo. E trova terreno fertile in una popolazione arrabbiata e sfiduciata da anni di crisi, con scarsi anticorpi culturali. Secondo l'ultimo rapporto Piaac dell'Ocse, gli italiani tra i 16 e i 65 anni si collocano all'ultimo posto su 24 paesi occidentali quando si parla di "competenze alfabetiche", la capacità cioè di "comprendere, valutare, usare ed essere impegnati nella lettura di testi scritti al fine di partecipare alla vita sociale e sviluppare conoscenza". E quanto possa essere dannoso lo si scopre ogni volta che la terra trema.

Tutte le bufale sul terremoto. È l'ora delle panzane social. Dalla magnitudo truccata alla prevedibilità dei terremoti fino al solito carillon di fotografie fuori contesto e al jackpot del SuperEnalotto: il peggio sui sul web a poche ore dalla tragedia, scrive Simone Cosimi il 26 agosto 2016 su "La Repubblica". BUFALE E TRUFFE popolano puntuali i social network in queste ore di dolore e di emergenza per il terremoto che ha colpito il Centro Italia. Come sempre accade in occasione di fatti simili. D'altronde gli sciacalli non si muovono solo fra le macerie reali ma saltano con agilità anche fra quelle virtuali. Diffondendo notizie inventate di sana pianta, rilanciando bufale, proponendo soluzioni impraticabili, sfruttando l'onda emotiva per rinforzare tesi insostenibili. Sempre facendo leva su quei 268 morti e sulle centinaia di feriti. Alcune sono, se possibile in un contesto tanto delicato, di scarsa pericolosità, come il fraintendimento sull'hotel Mario di Cesenatico, che in molti hanno ritenuto fosse della cantante Fiorella Mannoia. La quale aveva solo copiato e incollato sul suo profilo l'appello (reale) di un albergatore, così come ha fatto in altri casi. Altre posseggono invece una carica esplosiva che vale la pena disinnescare senza indugio. Su tutte, quella del presunto taroccamento della magnitudo del sisma (da 6.2 a 6.0) per evitare che lo Stato debba accollarsi i costi della ricostruzione. La responsabilità sarebbe di una presunta legge voluta dall'allora governo presieduto da Mario Monti che fisserebbe la soglia del rimborso a 6.1 gradi. Nulla di più inventato. La bufala, circolata già in passato, si aggancia a un articolo del decreto-legge n.59 del 15 maggio 2012 poi convertito nella legge n.100 del 12 luglio 2012, quello di riordino della Protezione civile. Quell'articolo, che prevedeva l'assicurazione privata per i rischi derivanti da calamità naturali, fu soppresso al momento della conversione. Nessun limite risulta da nessuna parte del testo (approvato pochi giorni prima del terremoto che colpì l'Emilia-Romagna) e in ogni caso i risarcimenti vengono calcolati sulla base di un'altra scala, la Mercalli-Cancani-Sieberg, che valuta l'intensità del sisma in termini di danni prodotti sul territorio e non in base alla magnitudo della scala Richter. Sono nozioni che s'insegnano in terza elementare. Un'altra bufala è quella del jackpot del SuperEnalotto da destinare alla ricostruzione. L'hanno lanciata alcuni politici, contribuendo così alla confusione: su tutti Antonio Boccuzzi del Pd e Giorgia Meloni di Fratelli d'Italia. Innescando anche numerose petizioni su Change.org e Firmiamo.it e il coinvolgimento di star come Fiorello. Peccato che la Sisal sia una società privata che gestisce il concorso su concessione statale. Al massimo si potrebbe lavorare sulla tassazione collegata (o spingere Sisal a una donazione indipendente) ma certo è impossibile sottrarre quel montepremi maturato nel corso dei mesi in virtù delle puntate dei giocatori, che scommettendo firmano di fatto un contratto con la società in base al quale questa si impegna a redistribuirlo in caso di vittoria. Di sciacallaggi digitali se ne stanno vedendo molti. Da personaggi di dubbia notorietà che non riescono a contare fino a 10 prima di scrivere ad altri che utilizzano la tragedia come pretesto da servizio fotografico fino, appunto, alle amarissime panzane. Come quella sui rifugiati e sul loro "pocket money" (che alcuni, come a Gioiosa ionica, hanno perfino deciso di donare): non si tratta certo dei 30 euro al giorno (spesso soglia massima), che servono alla totalità delle spese per la loro ospitalità, ma di 2,5. Affitto del locale, costi di gestione, pulizia, vitto: c'è tutto, in quella quota giornaliera da 30 euro versata dallo Stato in base a bandi locali dei comuni su indicazione ministeriale attingendo a fondi in buona parte europei a ciò dedicati e non destinabili altrove. In queste ore si sono poi registrate bufale sulle reti idriche danneggiate e sull'acqua non potabile, smentite dalle aziende che se ne occupano, su presunti rischi di tsunami elettromagnetici e sugli ormai tristemente noti terremoti artificiali, oltre che su un altro motivo ricorrente delle situazioni post-sisma: la loro prevedibilità e periodicità, visto che secondo molti stregoni "avverrebbero di notte e col caldo". Una tesi che non ha alcun fondamento scientifico né nel primo caso né nel secondo: basta sfogliare il drammatico catalogo dei terremoti degli ultimi mille anni per coglierne l'assoluta casualità. Nullo anche il collegamento con la meteorologia. Si possono al contrario elaborare mappe di rischio, studiare le serie storiche, determinare aree e zone in maggiore pericolo. Ma di modelli attendibili di previsione non c'è purtroppo alcuna possibilità di stilarne. E la comunità scientifica internazionale è spesso tornata sul punto. Quando ce ne sono - e in questo caso non ce ne sono state - neanche le avvisaglie, i cosiddetti "foreshock", fanno fede e non possono che essere collegati con nesso causale solo a posteriori. Intorno a queste grandi bufale sui social network se ne sviluppano a decine, che ruotano sostanzialmente intorno alla mistificazione di immagini di altri eventi, alla fantasiosa variazione sulla solidarietà giunta dal mondo (è il caso dei 10mila uomini della protezione civile russa in marcia verso il nostro Paese) o a varie tipologie di fondamentalismo. È per esempio accaduto con la foto di un bimbo estratto dalle macerie 22 ore dopo il sisma, in realtà presa dal terremoto di Katmandu del 25 aprile 2015. Oppure altre immagini, come quelle di una chiesa in Emilia risalente al sisma di quattro anni fa. Anche sui social network è fondamentale fare riferimento alle fonti tecniche, che (su Twitter INGVterremoti, CNgeologi, Palazzo Chigi, CroceRossa) e alzare al massimo l'asticella su ciò che circola sulle nostre bacheche.

TERREMOTO E SOCCORSI.

Terremoto, polemiche sui ritardi soccorsi. La Protezione civile: nessun ritardo, scrive Mercoledì 24 Agosto 2016 "Il Messaggero". «La macchina dei soccorsi si è attivata subito, pur aver scontato ritardi dovuti al fatto di dover arrivare in una zona di montagna, con la viabilità sconvolta: raggiungere ogni singola frazione è difficile ma il sistema si è orma completamente dispiegato». Lo ha detto a Uno Mattina Carlo Rosa, responsabile Protezione Civile del Lazio, respingendo le accuse di ritardi nei soccorsi. E' stato in particolare il sindaco di Accumoli ad accusare ritardi nei soccorsi, sottolineando che la prima squadra dei pompieri è arrivata alle 7.40, oltre tre ore dopo la prima scossa. I soccorritori hanno incontrato diverse difficoltà per raggiungere Accumuli, uno dei comuni in provincia di Rieti più colpiti dal terremoto che ha interessato la zona a cavallo tra Lazio, Marche e Abruzzo. Diverse strade sono infatti interessate dai crolli e questo non consentiva ai mezzi di soccorso di raggiungere il paese. Rabbia e sconcerto tra gli abitanti di Illica, una frazione a pochi chilometri da Accumoli (Rieti). «Vogliamo i militari, stiamo aspettando, noi paghiamo», ha denunciato Alessandra Cappellanti, residente ad Illica, «c'è una caserma ad Ascoli, una Rieti, una all'Aquila e non si è visto un militare, fate schifo!». La disperazione anche nelle parole di Domenico Bordo, un altro abitante del villaggio, «sono sotto le macerie, non ci è ancora andato nessuno, ci vogliono i mezzi». Secondo un primo bilancio nella frazione di Illica, ci sarebbero almeno altri 3 morti e 4 dispersi.

Scrive Mercoledì 24 Agosto 2016 "New Notizie". Dopo il terribile sisma che ha coinvolto il centro Italia ed ha distrutto diversi paesi in provincia di Rieti ed Ascoli Piceno, facendo finora più di venti vittime, arrivano le polemiche per i soccorsi. Secondo molte persone, che tenevano aggiornato il Paese in diretta sui social, i soccorsi sono arrivati troppo in ritardo rispetto alle prime chiamate. Il sindaco di Amatrice, Pirozzi, ha sostenuto che la macchina dei soccorsi è ritardata. “Ho chiamato i soccorsi alle 4 ma ancora non abbiamo visto nessuno, è scandaloso” ha sostenuto il primo cittadino. La giornalista Sabrina Fantauzzi ha invece denunciato ritardi nel soccorso ad Illica. Su Facebook la donna ha scritto: “Illica, il paese della nostra infanzia, non c’è più. La scossa terribile alle 3 e 40. I sopravvissuti tutti in un campo all’aperto. Eravamo circa 300 persone, tutti romani, in villeggiatura. Siamo rimasti in 30. Ancora nessuno è venuto a soccorrerci”. Sul suo post la donna scrive: “Il 113 non risponde, non risponde nessuno”. Poco dopo la Fantauzzi pubblica un altro post: “A Illica, vicino ad Accumoli (altro paese gravemente colpito dal terremoto, ndr), sono arrivate solo due ambulanze, ci sono 4 soccorritori, prendono feriti ma non stanno intervenendo sulle case distrutte con dentro gente morente”.

Di seguito si riporta l’opinione di Vittorio Feltri che non fa mancare le solite sue scivolature razziste e giustizialiste.

Vittorio Feltri il 28 agosto 2016 su “Libero Quotidiano”: vi spiego perchè ci servirebbe un Bertolaso. Il più efficiente è stato il ladro napoletano. Bisognerebbe metterlo a lavorare a Palazzo Chigi, ramo interventi d' urgenza. Appena sentita la scossa, accertato qual era la località più disastrata, si è attrezzato e ha organizzato la sua operazione di pronto intervento. Da sotto il Vesuvio si è mosso verso Amatrice ed è arrivato prima delle «colonne mobili» della Protezione civile. E dire che partiva da più lontano. Il brigante partenopeo ha comprato da cittadino perbene il biglietto del treno per Roma, mica da prendersi una multa, poi dalla Capitale si è arrangiato con mezzi propri. Così nel primo pomeriggio è stato sventuratamente (per lui) bloccato mentre già se ne stava andando dalle rovine dove aveva scavato alacremente per riempire di bottino la valigia. Se lo avessero linciato, troveremmo articoli pensosi sul diritto a un giusto processo anche per gli sciacalli, non il mio però. Bisogna che qualcuno sia cattivo davanti ai morti. Non faccio fatica ad assumermi il compito. In questi giorni è tutto un sacrosanto commuoversi, e dappertutto in televisione e sui quotidiani sta prevalendo il politicamente corretto: guai a chi scompiglia con un sassolino il laghetto delle lacrime collettive. Ieri siamo stati criticati nel programma In Onda di La7 perché abbiamo detto che oggi prevale nelle autorità dello Stato, Boldrini in testa, il pensiero di come fare bella figura con i morti, visto che tra i sopravvissuti non sono affatto popolari, poiché con i loro elicotteri e le visite di cortesia hanno rotto non solo i gazebo. E qui, al diavolo se mi danno del renziano, concordo con Marco Travaglio nel non associare al gruppazzo unto dei propagandisti Matteo Renzi, il quale è corso a vedere, ha detto poche cose oneste e senza trombe al seguito. Ma adesso non gliene risparmieremo una. Faccia subito un esame di coscienza, alla sua e a quella dei suoi uomini, e non a quella di Caino Monti e Adamo Berlusconi. Gli facilitiamo il compito. Infatti anche se nessuno lo ha fatto notare, tranne il nostro Franco Bechis, la Protezione civile è rimasta imbambolata e ha sottovalutato l'entità della devastazione. Il testimone della lentezza e della disorganizzazione è proprio il ladro terrone. Il sindaco di Napoli, Gigi De Magistris, ha annunciato che si costituirà parte civile contro il concittadino reprobo che danneggia la reputazione della città partenopea. Dovrebbero denunciarlo per diffamazione la Protezione Civile e il ministro dell'Interno: perché con la sua rapidità ha dimostrato che in Italia si può essere svelti. Solo a rubare però. Mi rendo conto che butterà male per Libero. Questi sono i giorni della solidarietà. D' accordo. Ma per mettere mano al portafogli ne basta appunto una, con l'altra qualche pugno sul tavolo mi sento in obbligo di tirarlo. E sfido ad accusarmi di immoralità o cinismo. Fu Enrico Berlinguer, il campione della questione morale (la morale degli altri: infatti incassava ancora l'oro di Mosca), a rompere con la Democrazia cristiana e a far andare in crisi il governo Forlani dopo il sisma in Irpinia, dove si distinse tra i tuoni del terremoto la voce accusatoria di Sandro Pertini. Il Capo dello Stato fece a pezzi tutto lo Stato, salvo, con oculata scelta, se stesso, come fosse uno appena sceso dal cielo agitando le alucce scandalizzate. Il Corriere della Sera gli prestò un altoparlante formidabile, inveendo a ragione contro i ritardi dei soccorsi e la disorganizzazione. Oggi né sul Corriere né altrove si osa dire un beh, in compenso si odono belati complimentosi. Forse perché le comunicazioni per conto della Protezione civile le fa la spigliata Titti Postiglione, che ha il merito indiscutibile di essere sorella del vicedirettore del Corriere, il valente Venanzio? Il familismo conta sempre in Italia. C' è però soprattutto un'altra ragione, ritengo: e sta in quello che abbiamo denunciato prendendoci la ridicola accusa di razzismo. La macchina del soccorso urgente in Italia ha il tom tom a destinazione prioritaria se non unica: le coste della Libia, dove spediamo navi, elicotteri in quantità e con lodevole velocità. Non fa niente se questa presunta certezza spinge migliaia di persone a partire su gommoni sfasciati e predisposti al naufragio, ma è un fatto. Per cui i radar del Pronto soccorso, che è il ramo specifico della Protezione civile, sono tutti puntati verso i barconi e il mare e non verso le nostre terre ballerine. Lo ha denunciato dalla Sierra Leone il disgraziatissimo Guido Bertolaso, il quale ha notato da laggiù, dove si sta dedicando a un ospedale, la discrepanza di trattamento tra migranti africani e terremotati indigeni (nel senso di italiani). Il poveretto è stato subito zittito a male parole. Bertolaso, basta parlare con chi l'ha osservato al lavoro, è un fenomeno nell' organizzare i soccorsi degli altri, ma non di se stesso, per cui si è trovato impiccato per essere stato oggetto di alcuni delicati massaggi durante il giusto riposo del guerriero. Ora ce ne vorrebbe uno così. Anzi, avrebbe dovuto essercene uno così. Poi si faccia fare tutti i massaggi brasiliani e thailandesi che desidera, offro io. Invece... Invece hanno dormito, eccome, se lo hanno fatto. Sono rimasti in bambola. Non dico i volontari, quelli sono arrivati di corsa, e pure in troppi. Ma quelli pagati, i capi, avevano la testa altrove o erano in ferie. O sono più bravi a comunicare lestamente che a recarsi sul posto prontamente. Su youtube si può riascoltare la telefonata del sindaco di Amatrice, Sergio Pirozzi, a Radio 24. C' è già stata la seconda scossa. Le prime luci dell'alba mostrano la sciagura immane. Le sue parole sono: «Guardi, servono unità speciali che tirino fuori le persone da sotto le macerie. La nostra emergenza è che dobbiamo fare in modo tirar fuori da sotto le macerie la gente». Lo ripete tre o quattro volte. Il giornalista gli chiede se ci sono dei morti. Pirozzi è stupitissimo della domanda. Com' è possibile che dopo tanto tempo non si abbia nessuna contezza della gravità dell'accaduto: «Il paese non c' è più». Ripete: «Bisogna cercare di far venire nelle nostre zone delle unità speciali. Anche elicotteri, abbiamo attrezzato i campi. Stiamo cercando di far venire i pompieri...». Finalmente il conduttore capisce: «Lanciamo l'appello». Risposta: «Grazie, grazie, grazie, Dio vi benedica». Stupito il cronista chiede: «Ha ricevuto telefonate da Palazzo Chigi?». Risposta: «No no no. Da Palazzo Chigi e dalla Protezione civile no. Dalla Regione, ho parlato con la prefettura di Rieti». Continua: «Spero che riusciate a darci una mano. Case non ce ne stanno più e la gente sta sotto». La prima colonna mobile della Protezione civile del Lazio si è mossa - secondo comunicato ufficiale - alle 9 e 40, quando lo sciacallo vesuviano era già per strada da tre ore e passa (la prima scossa è stata alla 3 e 36). Se fosse stato vicino alla battigia di Tripoli, in mezzora arrivava un incrociatore con elicotteri. Noi non diciamo prima gli italiani poi i profughi. Ma almeno par condicio. Ridateci Bertolaso. Vittorio Feltri

Terremoto, le due facce del volontariato. Il dramma delle popolazioni investite dal sisma ha mobilitato persone e comunità di tutta Italia. Che hanno assistito a questi eventi non solo da spettatori, scrive Ilvo Diamanti il 29 agosto 2016 su “La Repubblica”. L'altra faccia del terremoto, della tragedia che ha devastato alcune zone dell'Italia centrale, è il ritorno del volontariato. Che ha partecipato, attivamente, ai soccorsi. E continuerà anche domani e dopo. Nelle aree colpite, in modo tanto violento e doloroso. Ma anche intorno. E per "intorno" intendo l'intero Paese. Perché il dramma delle popolazioni investite dal sisma ha mobilitato persone e comunità di tutta Italia. Che hanno "assistito" a questi eventi non solo da "spettatori". Di uno spettacolo doloroso riprodotto su tutti i media, ad ogni orario. Gli italiani, infatti, in gran parte, si sono sentiti coinvolti - e sconvolti - dal dramma di Accumoli, Amatrice, Pescara del Tronto. E degli altri paesi situati nell'epicentro del terremoto. Al crocevia fra Marche, Lazio e Umbria. Così, in breve, si è diffusa e allargata la partecipazione solidale dei cittadini di tutta Italia. Al punto da costringere i coordinatori dei soccorsi a frenare questa spinta generosa. Cercando, quantomeno, di regolare la qualità e la quantità dei contributi, in direzione delle domande "locali". Per evitare l'eccesso di "doni" e di "beni" - già eccedenti. Questa premessa permette di comprendere la complessità di quella realtà che, nel discorso quotidiano, è riassunta con un solo termine. Una sola parola. Volontariato. Pronunciato, spesso, senza precisazioni. Dato per scontato. Mentre si tratta di un fenomeno distinto e molteplice. Che, nel tempo, ha cambiato immagine e significato. Il volontariato. È un modello di azione, individuale e sociale, orientato allo svolgimento di "attività gratuite a beneficio di altri o della comunità". Per citare la prima indagine sul settore condotta dall'Istat (nel 2014). La quale stima, il numero di volontari, in Italia intorno a 6 milioni e mezzo di persone. Cioè, circa il 12,6% della popolazione. In parte (4 milioni) coinvolti in associazioni e in gruppi, gli altri (2 milioni e mezzo) impegnati in forme e sedi non organizzate. Ma, se spostiamo l'attenzione anche su coloro che operano in questa direzione anche in modo più occasionale, allora le misure si allargano sensibilmente. Il Rapporto 2015 su "Gli italiani e lo Stato", curato da Demos per Repubblica, infatti, rileva come, nell'ultimo anno, quasi 4 persone su 10 abbiano preso parte ad attività di volontariato sociale. Che si producono e si riproducono in base a necessità e ad emergenze. Locali e nazionali. Come in questa occasione. Il "volontariato", infatti, è utile. Alla società e allo Stato. Ai destinatari della sua azione e alle persone che lo praticano. Il volontariato "organizzato", d'altronde, ha progressivamente surrogato l'azione degli enti locali e dello Stato. Si è, quindi, istituzionalizzato. In molti casi, è divenuto "impresa". Sistema di imprese, che risponde a problemi ed emergenze. Di lunga durata oppure insorgenti. Il disagio giovanile, le povertà vecchie e nuove. Negli ultimi anni, in misura crescente: gli immigrati. E di recente: i rifugiati. Fra le conseguenze di questa tendenza c'è la "normalizzazione della volontà". Che rischia di venir piegata e di ripiegarsi in senso prevalentemente "utilitario". Divenendo una risorsa da spendere sul mercato del lavoro e dei servizi. Il "volontario", a sua volta, rischia di divenire un professionista. Una figura professionale. E, non a caso, sono molti i "volontari di professione", che operano in "imprese sociali". Il principale rischio di questa tendenza - sottolineato da tempo - richiama, anzitutto, la dipendenza del volontariato e, di conseguenza, dei volontari "di professione" da logiche prevalentemente istituzionali. E dunque politiche. Visto che questo volontariato e questi volontari dipendono, in misura determinante, da finanziamenti e contributi "pubblici". Locali, regionali e nazionali. Talora, com'è noto, sono perfino divenuti canali di auto-finanziamento. Per soggetti e interessi politici e impolitici, non sempre leciti e trasparenti. Bisogna, dunque, diffidare del "volontariato"? Sicuramente no. Perché il volontariato è, comunque, un fenomeno ampio e articolato. In parte organizzato, in parte no. Espresso e praticato, in molti casi, su base individuale. Un modo per tradurre concretamente la solidarietà. Un'altra parola poco definita e molto usata. Perfino abusata. Ma che riassume un fondamento della società. Perché senza "relazioni di reciprocità", dunque, di solidarietà, la società stessa non esiste. Così, il volontariato organizzato fornisce riferimento e continuità al volontariato individuale. Al sentimento diffuso di altruismo che anche in questa occasione si è manifestato. Il volontariato organizzato offre visibilità - e dunque sostegno - al grande popolo del "volontariato involontario". Che fa solidarietà fuori dalle organizzazioni, dalle associazioni. Dalle istituzioni e dalle imprese.

L’Italia… paese di furbi, scrive Armida Tondo il 7 febbraio 2012 su “Italnews”. Noi italiani non cambieremo mai, siamo pronti a sparare a zero su tutti, spesso senza conoscere i fatti! L’ultima polemica, nata a causa del maltempo di questi giorni, è nata sull’intervento dell’Esercito nelle zone più colpite. Ma andiamo ai fatti. Tutto nasce dai sindaci alle prese con l’emergenza neve, chiedono e ottengono l’aiuto dei militari dell’Esercito, fin qui nessun problema! Però i nostri amministratori scoprono che gli uomini dell’Esercito hanno un costo. E allora, qual è il problema? Se non vado errata, chi vuole mi potrà smentire, la protezione civile, le associazione di volontariato, hanno contributi statali e non solo, ogni singola sezione comunale ha contributi regionali, provinciali e comunali, o sbaglio? Tornando al caso scoppiato stamattina, insomma gli amministratori scoprono che la presenza degli uomini e mezzi dell’Esercito ha un costo, dieci spalatori, soldati con una pala in mano, costano al giorno 700 euro. A far scoppiare il caso è il Presidente della Provincia di Pesaro Urbino, Matteo Ricci, che ha dichiarato: “Non voglio fare polemiche, in un momento così drammatico le istituzioni devono collaborare e non polemizzare, ma non mi sembra giusto che lo Stato faccia pagare i Comuni in un frangente simile, quando raggiungere o non raggiungere un’abitazione, un borgo sepolto dalla neve è spesso questione di vita o di morte per anziani, malati, bambini. I Comuni e le Province sono già strozzati dal Patto di stabilità, stanno spendendo milioni di euro, che non hanno, per mettere in campo spazzaneve, pale meccaniche, servizi di prima necessità, e devono pagarsi pure l’Esercito…”. E chi dovrebbe pagare? Oppure i soldati non hanno un costo? Vorrei fare alcune riflessioni. Premesso che ritengo giusto che chi lavora venga pagato, analizziamo la situazione. Sono certa che i Vigili del Fuoco, il personale dell’Enel, il personale della Protezione Civile, chiunque sia impegnato in questi giorni nei luoghi più colpiti dal maltempo venga retribuito. Allora mi chiedo: perché i soldati no? Forse sarebbe opportuno spiegare ai nostri lettori che ogni movimento della protezione civile, così come altre associazioni di volontariato, usufruisce di un contributo o “rimborso spese” che, senza entrare nel merito di come viene calcolato, in ogni caso è comunque denaro! Cari presidenti di regioni e sindaci perché non dite quanto vi costa, anzi, scusate, quanto ci costa a noi contribuenti, avere un “volontario” della protezione civile davanti alle scuole ogni mattina? O quanto ci costano i loro mezzi di trasporto? E vogliamo parlare di volontari che pur avendo un posto di lavoro, svolgono il volontariato con un contributo mensile che spesso si avvicina ad uno stipendio… allora prima di sparare sul costo dell’Esercito, andiamo a vedere i costi dei volontari! Ancora una volta riaffiora la mentalità retrograda e faziosa di qualche decennio fa, quando si pensava che il soldato fosse a costo “zero”, tanto dalla mattina alla sera bighellona in caserma. Oggi le Forze Armate sono fatte di volontari professionisti, basta leggere le cronache relative alle missioni fuori area, e, pertanto, come per tutti i professionisti, la loro opera ha un costo. I mezzi non si muovono senza gasolio, gli equipaggiamenti hanno un costo e si usurano, i soldati mangiano come tutti gli esseri umani…e allora, perché è scandaloso pagarli? Forse il dott.  Ricci intendeva che a pagarli fosse lo Stato. Ma dov’è la differenza? O forse per Ricci esiste ancora “pantalone”? Armida Tondo

MA I VOLONTARI A PAGAMENTO SONO VOLONTARI? Si chiede Michela Scavo il 26 luglio 2012. Il volontariato è un’attività libera e gratuita svolta per ragioni private e personali, che possono essere di solidarietà, di assistenza sociale e sanitaria, di giustizia sociale, di altruismo o di qualsiasi altra natura. Può essere rivolto a persone in difficoltà, alla tutela della natura e degli animali, alla conservazione del patrimonio artistico e culturale. Nasce dalla spontanea volontà dei cittadini di fronte a problemi non risolti, o non affrontati, o mal gestiti dallo Stato e dal mercato. Per questo motivo il volontariato si inserisce nel “terzo settore” insieme ad altre organizzazioni che non rispondono alle logiche del profitto o del diritto pubblico. Il volontariato può essere prestato individualmente in modo più o meno episodico, o all’interno di una organizzazione strutturata che può garantire la formazione dei volontari, il loro coordinamento e la continuità dei servizi. Questa è la definizione di Volontariato che possiamo trovare su Wikipedia. A Palazzago ultimamente il tema “Volontari” è molto in voga. Pare ci siano volontari per ogni cosa: per il volantinaggio, per l’assistenza allo spazio compiti, quelli delle varie associazioni, quelli tanto ricercati per ripulire scuole e via dicendo. Ma ci sono volontari e volontari. Ci sono quelli veri e ci sono quelli con il rimborso spese da 5,16 euro all’ora. Premesso che poco mi importa se dei cittadini vengono pagati miseramente per svolgere attività sul territorio, ma perché continuiamo a chiamarli VOLONTARI? Non sarebbe più giusto definirli collaboratori sottopagati? Già, non si può perché non sono sotto pagati, percepiscono un rimborso spese. Allora la mia domanda è, se vengono rimborsate delle spese dove possiamo trovare la documentazione, per ogni singolo presunto volontario, che certifica queste spese? E se di rimborso spese si tratta per quale motivo pare che ci siano dei volontari a rimborso che attendono da tempo i soldi che gli spettano? Poi non stupiamoci se ci sono associazioni di volontari da 1800 euro l’anno e associazioni da 26mila euro l’anno. I volontari vanno pure spesati giusto? E non mi si venga a dire che senza il rimborso nessuno farebbe il volontario a titolo gratuito, lo dimostrano tante associazioni sul territorio e alcuni gruppi di recente formazione che il volontariato vero a Palazzago può esistere tranquillamente. A questo punto sono proprio curiosa di capire perché nessuno dei nostri amministratori, di fronte allo sdegno di alcuni per i contributi alla Pro Loco non abbia menzionato la questione. Forse perché nonostante la vagonata di soldi predisposta anche quest’anno sono in arretrato con i rimborsi spese? O forse perché se non si decidono a tirare fuori le quattro palanche che devono rischiano di trovarsi senza volontari sugli scuolabus a settembre? Come è possibile che nella convenzione con la Pro Loco non si accenni alla retribuzione di tali finti volontari? Forse perché in realtà non si tratta di volontari ma di cittadini sottopagati praticamente al servizio del comune, che camuffa dei compensi con il rimborso spese? Non sono proprio sicura che sia una cosa fatta a regola d’arte ma c’è una commissione che si occupa delle associazioni, qualcuno sicuramente saprà darci una risposta. Michela Scavo

Fai il volontario e chiedi un rimborso? Prima paga la tassa. I soccorritori che chiedono il rimborso della giornata di lavoro devono allegare due marche da bollo da 16 euro, scrive Franco Grilli, Domenica 06/07/2014, su "Il Giornale". Ci può essere una pretesa più assurda di quella di far pagare una tassa a chi presta il proprio tempo per opere di volontariato? Temiamo proprio di no, eppure, a quanto pare, si è verificato anche questo. Con un'interrogazione urgente il parlamentare bellunese Roger De Menech (Pd) ha chiesto al governo di fare piena luce su quanto gli è stato segnalato dal responsabile del Soccorso alpino, Fabio Bistrot. "Voglio proprio sapere - dice il parlamentare - chi è il geniale burocrate che pretende 32 euro da ciascun volontario ogni volta che fa un intervento di soccorso e, di conseguenza, chiede il rimborso della giornata di lavoro persa. Di certo non ha mai fatto il volontario". L'importo, a quanto si apprende, corrisponde a due marche da bollo da 16 euro ciascuna da apporre a ciascuna richiesta di rimborso presentata dai volontari. "E’ incredibile che qualcuno voglia spremere soldi dai volontari", afferma sdegnato De Menech. "Se a farlo è addirittura lo Stato, aggredisce la dignità dei volontari e mina il principio di sussidiarietà. Questo increscioso episodio conferma l’urgenza non solo di riformare la pubblica amministrazione ma anche di quanto sia necessario e indispensabile il ricambio di personale all’interno della burocrazia italiana. L’attuale burocrazia è ostile ai cittadini e ai contribuenti, e interpreta il proprio ruolo non al servizio degli italiani ma come potere da usare contro i nostri concittadini". Nell’interrogazione che ha presentato De Menech chiede ai ministeri interessati cosa intendano fare per "superare un’interpretazione giuridica che avvilisce la dignità stessa dei soccorritori, considerato peraltro il ruolo fondamentale da essi svolto nella stagione estiva, sia sull’arco alpino che su quello appenninico, volto a garantire la presenza dello Stato in tali ambienti e a fornire quel supporto di sicurezza, prevenzione e soccorso alle migliaia di turisti, italiani e stranieri, che decidono di trascorre le proprie vacanze in tali luoghi". Con il rischio evidente che, l'assurda tassa, possa scoraggiare i generosi volontari dal continuare a prestare la loro opera. I volontari della protezione civile, se nella vita sono lavoratori dipendenti, in caso di soccorso durante il terremoto o altre calamità naturali, hanno diritto alla retribuzione. Sono pagati dal datore di lavoro con il normale stipendio e hanno diritto la conservazione del posto di lavoro. L’azienda a sua volta può chiedere il rimborso all’Inps. Ma è necessario effettuare alcuni adempimenti. Ai volontari lavoratori autonomi spetta invece una indennità. Vediamo tutte le informazioni.

Diritti dei lavoratori, scrive Antonio Barbato il 30 agosto 2016. Gli eventi sismici che hanno colpito l’Italia negli ultimi anni hanno evidenziato il ruolo chiave in Italia dei Volontari della protezione civile, dei Vigili del Fuoco e degli appartenenti alle forze armate e di polizia. Le attività di protezione civile sono fondamentali in Italia, soprattutto per far fronte alle emergenze. L’attività dei volontari è disciplinata dalla legge italiana soprattutto in termini di diritti dei lavoratori. Il volontario che nella vita è lavoratore dipendente del settore privato o pubblico ha diritto alla conservazione del posto di lavoro e allo stipendio. Il volontario che nella vita è lavoratore autonomo ha diritto ad un indennità. Quando coloro che svolgono attività di volontariato sono impegnati in operazioni di soccorso per calamità naturali o catastrofi o per attività di addestramento e simulazione, pianificate dall'Agenzia Nazionale per la Protezione civile o dalle altre strutture istituzionali, hanno diritto al mantenimento del posto di lavoro, sia pubblico che privato e hanno diritto inoltre al mantenimento del trattamento economico e previdenziale da parte del datore di lavoro e alla copertura assicurativa secondo le modalità previste dalla legge. Quindi alla domanda “i volontari di protezione civile sono pagati?” la risposta è che il volontariato della protezione civile è un servizio gratuito reso dal volontario ma spetta loro lo stipendio, se sono lavoratori dipendenti. E spetta una indennità se sono lavoratori autonomi. Vediamo perché. Il legislatore ha provveduto a tutelare i volontari lavoratori che, in caso di impiego nelle attività di Protezione civile a seguito della dichiarazione dell’esistenza di eccezionale calamità o avversità atmosferica, catastrofi o altri eventi che, per intensità ed estensione, debbono essere fronteggiati con mezzi e poteri “straordinari" (dall'attivazione dei primi soccorsi alla popolazione e degli interventi urgenti necessari a fronteggiare l'emergenza, fino all'attuazione degli interventi necessari per favorire il ritorno alle normali condizioni di vita nelle aree colpite da eventi calamitosi). In tali casi, nonché a seguito dell’impiego in attività di pianificazione, soccorso, simulazione, emergenza e formazione teorico-pratica, anche svolte all’estero, hanno diritto al mantenimento del posto di lavoro, al trattamento economico e previdenziale da parte del datore di lavoro pubblico o privato, nonché alla copertura assicurativa.

Diritti dei volontari di protezione civile. I volontari che partecipano all’opera di soccorso (effettivamente prestato) hanno diritto:

al mantenimento del posto di lavoro pubblico o privato;

al mantenimento del trattamento economico e previdenziale da parte del datore di lavoro pubblico o privato;

alla copertura assicurativa secondo le modalità previste dall’articolo della legge 11 agosto 1991, n. 266, e successivi decreti ministeriali di attuazione.

Ai sensi dell’art. 9 del D.P.R. 8 febbraio 2001, n. 194, l’obbligo del datore di lavoro è quello di permettere l'impiego del volontario per un periodo non superiore a 30 giorni consecutivi e fino a 90 giorni nell'anno. Per le attività di simulazione i limiti si riducono a 10 giorni consecutivi e 30 nell'anno, e per emergenza nazionale i termini sono rispettivamente di 60 e 180 giorni.

Quindi si viene dichiarato lo stato di emergenza nazionale, i limiti possono essere elevati fino a 60 giorni continuativi (e fino a 180 giorni nell’anno). I limiti restano tali per tutta la durata dell’emergenza nazionale e per i casi di effettiva necessità.

Il diritto allo stipendio. Nei periodi di assenza del Volontario del servizio civile, il datore di lavoro deve mantenere il posto di lavoro e la copertura assicurativa (Inail) e gli deve corrispondere il normale trattamento economico e previdenziale (quindi stipendio e versamento dei relativi contributi all’Inps). Nello specifico per ogni giornata di assenza tutelata e retribuita spetta la retribuzione globale di fatto giornaliera, ossia tutti quegli elementi della retribuzione che vengono corrisposti normalmente e in forma continuativa (si pensi allo stipendio base, al superminimo, all’indennità di contingenza, agli scatti di anzianità, ecc.). Per quanto riguarda la tassazione in busta paga, non cambia nulla, nel senso che il dipendente volontario della protezione civile riceve il normale stipendio assoggettato alla ritenute fiscali, quindi all’Irpef al netto delle detrazioni fiscali per lavoro dipendente, familiari a carico, ecc.

Il datore di lavoro ha diritto al rimborso Inps. Il datore di lavoro può poi richiedere rimborso delle somme versate al lavoratore impegnato come volontario. La richiesta va inoltrata all’Inps. I contributi previdenziali versati durante l’assenza del lavoratore non sono però rimborsabili. Al fondo per la retribuzione civile spetta quindi l'onere finale della retribuzione erogata dal datore di lavoro al Volontario di Protezione civile, mentre al datore di lavoro rimane il compito di avanzare richiesta di rimborso all'Autorità della Protezione Civile competente nei due anni successivi al termine dell'intervento, dell'esercitazione o dell'attività di formazione. Nella richiesta vanno indicate in maniera analitica la qualifica professionale del dipendente, la retribuzione oraria o giornaliera spettante, le giornate di assenza dal lavoro, l'evento cui si riferisce il rimborso e le modalità di accreditamento del medesimo.

La documentazione da presentare al datore di lavoro. Prima di tutto il lavoratore che è impegnato come Volontario della Protezione civile ha un obbligo comunicativo, che è quello di informare quanto prima il datore di lavoro della sua partecipazione alle operazioni di soccorso. Al termine delle operazioni stesse, il lavoratore, compatibilmente con le esigenze del soccorso, deve consegnare la dichiarazione del sindaco (o di un suo delegato) dalla quale risulti l'impiego come volontario nelle operazioni di soccorso. La distribuzione dell’orario di lavoro dei volontari di protezione civile. I lavoratori appartenenti ad organizzazione di volontariato hanno diritto, compatibilmente con le esigenze organizzative aziendali, di fruire di un regime di orario di lavoro concordato nell’ambito di una distribuzione flessibile degli orari (art. 17 L. 266/91). Tale disciplina non si applica a che svolge attività di volontariato in modo occasionale, ma solo a chi l’esercita nell’ambito delle associazioni di volontariato. Le predette disposizioni si applicano anche nel caso in cui le attività interessate si svolgono all’estero, purché preventivamente autorizzate dall’Agenzia. Detto regime è esteso anche agli appartenenti alla Croce Rossa Italiana, ai volontari che svolgono attività di assistenza sociale ed igienico / sanitaria, ai volontari lavoratori autonomi e ai volontari singoli iscritti nei “Ruolini” delle Prefetture, qualora espressamente impiegati in occasione di calamità naturali.

Quali sono le associazioni di volontariato. Sono considerate associazioni di volontariato di protezione civile quelle associazioni che siano costituite liberalmente e prevalentemente da volontari, riconosciute e non, e che non abbiano fini di lucro anche indiretto e che svolgono o promuovono attività di previsione e soccorso in vista od in occasione di calamità naturali, catastrofi o altri eventi similari, nonché di formazione nella suddetta materia. Presso l’Agenzia per la protezione civile è istituto l’elenco nazionale dell’Agenzia di protezione civile. Le organizzazioni di volontariato, iscritte nei registri regionali previsti dall’articolo 6 della legge 11 agosto 1991, n. 266, nonché in elenchi o albi di protezione civile previsti specificamente a livello regionale, possono chiedere, per il tramite della regione o provincia autonoma presso la quale sono registrate, l’iscrizione in questo registro al fine di una più ampia partecipazione alle attività di protezione civile.

Volontari di protezione civile lavoratori autonomi: spetta un rimborso giornaliero fino 103,29 euro. Ai volontari impiegati in attività di protezione civile che siano lavoratori autonomi e che ne fanno richiesta, è corrisposto il rimborso per il mancato guadagno giornaliero fino a 103,29 euro al giorno. A chi esercita attività di volontariato all'interno di un'associazione ed in modo non occasionale, il datore di lavoro deve, compatibilmente con le esigenze aziendali, dare diritto ad un orario di lavoro flessibile. Più precisamente, ai volontari lavoratori autonomi appartenenti alle organizzazioni di volontariato e legittimamente impiegati in attività di protezione civile, che ne fanno richiesta, è corrisposto il rimborso per il mancato guadagno giornaliero calcolato sulla base della dichiarazione dei redditi (modello UNICO) presentata l'anno precedente a quello in cui è stata prestata l'opera di volontariato, nel limite di Euro 103,29 giornalieri lordi. La misura effettiva dell’indennità, volta a compensare il mancato reddito, è stabilita ogni anno con D.M. lavoro: dato che, per il 2016, la retribuzione media mensile spettante ai lavoratori dipendenti del settore industria è pari a euro 2.127,39, su questa base va calcolata l'indennità spettante per il mancato reddito relativo ai giorni in cui i lavoratori autonomi si sono astenuti dal lavoro. Tale importo deve essere diviso per 22 o per 26, a seconda che la specifica attività di lavoro autonomo sia svolta rispettivamente in 5 o 6 giorni per settimana (Ministero del lavoro, decreto 9 marzo 2016). Lavoratori autonomi: adempimenti per la richiesta del rimborso. I volontari che siano lavoratori autonomi, al fine di percepire l'indennità prevista dal comma 3 dell'art. 1 della legge 18 febbraio 1992, n. 162, per il periodo di astensione dal lavoro, debbono farne richiesta all'ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione competente per territorio. La domanda deve essere inoltrata, a pena di decadenza, entro la fine del mese successivo a quello in cui il volontario ha effettuato l'operazione di soccorso o l'esercitazione. Alla domanda, che deve contenere le generalità del volontario che ha effettuato l'operazione di soccorso o l'esercitazione, deve essere allegata l'attestazione del sindaco, o dei sindaci dei comuni territorialmente competenti, o di loro delegati, comprovante l'avvenuto impiego nelle predette attività e i relativi tempi di durata, nonché la personale dichiarazione dell'interessato di corrispondente astensione dal lavoro, resa ai sensi dell'art. 4 della legge 4 gennaio 1968, n. 15.4. L'ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione, una volta determinato l'ammontare dell'indennità spettante al volontario, sulla base dell'importo fissato annualmente con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale procede quindi al pagamento dell'indennità all'avente diritto. Ai fini della determinazione dell'indennità compensativa del mancato reddito relativo ai giorni in cui i lavoratori autonomi si sono astenuti dal lavoro per l'espletamento delle attività di soccorso o di esercitazione, non si tiene conto dei giorni festivi in cui le medesime hanno avuto luogo, fatta eccezione per quelle categorie di lavoratori autonomi la cui attività lavorativa si esplica anche o prevalentemente nei giorni festivi.

Rimborso Inps: adempimenti del datore di lavoro. Come abbiamo detto, il datore di lavoro è obbligato ad erogare al lavoratore impegnato in operazioni di soccorso come Volontario della Protezione Civile la normale retribuzione, salvo poi poter far richiesta di rimborso. A tal fine va presentata apposita domanda all’Inps, a pena di decadenza, entro la fine del mese successivo a quello dell'operazione. Quante giornate e ore sono rimborsabili? Sono rimborsabili le giornate e le ore di effettiva astensione dal lavoro del volontario di Protezione civile. Sono da escludersi le ore di lavoro prestate nella giornata prima dell'astensione o comunque effettuate dopo l'operazione di soccorso, nonché le giornate, di riposo settimanale, festivo, di ferie, del sabato in caso di "settimana corta", eccetera. L’Inps rimborsa solo per i lavoratori dipendenti iscritti presso le proprie gestioni. La domanda va presentata online e deve contenere:

le generalità del lavoratore;

l'importo della retribuzione corrisposta;

l'attestazione del sindaco, o dei sindaci dei Comuni territorialmente competenti, o di loro delegati, comprovante l'avvenuto impiego nelle predette attività e i relativi tempi di durata;

una dichiarazione del datore di lavoro indicante la corrispondente astensione dal lavoro;

la dichiarazione del lavoratore attestante l'appartenenza al CNSAS.

Come diventare volontario della protezione civile. In molti vorrebbero diventare Volontario della protezione civile: vediamo quali sono i requisiti richiesti. Molti si chiedono come entrare nella protezione civile. Riportiamo le disposizioni della Protezione civile. Per poter svolgere attività di protezione civile come volontario a supporto delle istituzioni che coordinano gli interventi, è necessario essere iscritti ad una delle organizzazioni di volontariato di protezione civile inserite negli elenchi Territoriali o nell'elenco Centrale. Gli elenchi territoriali sono consultabili presso la Regione o la Provincia autonoma nella quale si intende svolgere – in prevalenza – l'attività di protezione civile e su questo sito, nella sezione volontariato. L’elenco Centrale, composto da poche organizzazioni nazionali di coordinamento, è consultabile sempre su questo sito nella pagina elenco centrale delle Organizzazioni di volontariato. Chi desidera diventare volontario di protezione civile può, al momento dell'iscrizione presso un'organizzazione di volontariato di protezione civile, valutare una serie di elementi che caratterizzeranno la propria attività nel settore scelto:

ambito territoriale di evento (nazionale, regionale, comunale ecc.);

ambito dimensionale dell'evento (tipo a), tipo b), tipo c) in base all'articolo 2 della legge n. 225 del 1992);

eventuale specializzazione operativa dell'organizzazione (sub, cinofili, aib);

livello di partecipazione con le attività istituzionali;

disponibilità richiesta;

vicinanza della sede alla propria abitazione.

I regolamenti delle varie associazioni possono prevedere adempimenti o limitazioni particolari (es. visita medica per lo svolgimento di mansioni particolari o requisito della maggiore età ai fini dell'iscrizione). Per un approfondimento sul ruolo del volontariato all'interno del Servizio Nazionale di protezione civile è possibile visitare la sezione volontariato. Un'altra possibilità di partecipazione è offerta (solo per alcune fasce di età) dal servizio civile; per avere informazioni su quest'ultimo, occorre consultare l'indirizzo serviziocivile.gov.it.

E per quanto riguarda i volontari dei vigili del fuoco? Per quanto riguarda l'iscrizione nel ruolo dei Vigili del Fuoco Volontari, allo stato attuale le iscrizioni del personale volontario sono sospese, fino al 2014 ho sentito dire, ma di questo non ho conferma. Quello che so di preciso è che la Legge n. 183 del 2011 (che sarebbe poi la Legge di stabilità relativa al 2012) ha disposto, tra le altre cose, l'applicazione di un tetto massimo di nuovi reclutamenti volontari. Di conseguenza tutti i Comandi che hanno già in archivio un numero di domande superiore a quello previsto dalla normativa, non possono nè istruire nuove pratiche, nè accettare ulteriori domande di iscrizione. Quindi, non ti resta che andare al tuo Comando Provinciale e chiedere se puoi almeno presentare la domanda. Per quanto riguarda le retribuzioni, bisogna intanto fare una distinzione fra Vigile Volontario vero e proprio e Vigile Volontario Discontinuo, che sono due figure diverse. Il vigile volontario vero e proprio, quello che fa servizio nei distaccamenti di personale volontario per intenderci, non percepisce uno stipendio ma prende comunque qualcosa, anche se poco. Praticamente, i vigili del fuoco volontari ricevono un compenso in base alle ore di intervento realmente prestate, nonchè per ogni ora di addestramento obbligatorio, che si effettua presso un Comando o comunque una sede con Vigili Permanenti. Quindi, alla fine prendi un tot ad intervento: se fai 12 ore di servizio ma in quelle 12 ore non succede niente, non guadagni niente. Se fai 4 ore di intervento, prendi per 4 volte il compenso orario, che si aggira intorno ai 6 euro l'ora (o almeno era così fino all'anno scorso, comunque il compenso non arriva a 7 euro l'ora). Poi c'è il Vigile Discontinuo: se sei iscritto nei ruoli dei Vigili Volontari come Discontinuo, quando c'è necessità vieni chiamato in servizio per un periodo che può essere di 20 giorni ma anche di 40 e anche, in certi casi, 100, se c'è necessità e se hai la disponibilità per farlo... Comunque sia, i richiami sono sempre di 20 giorni, quindi anche se fai 60 giorni di lavoro sono tre diversi contratti a termine. Come Vigile Discontinuo prendi uno stipendio vero e proprio, per 20 giorni prendi più o meno 1100 €, questo perchè prendi lo stipendio calcolato sui giorni lavorati, ai quali si aggiungono il rateo di tredicesima e la quota t.f.r (essendo un contratto a termine). Inoltre ti pagano eventuali straordinari e reperibilità, che sei libero di dare o non dare. 

E poi chiamali, se vuoi, volontari (con contratto pubblico): I volontari della Croce Rossa.

Niente post terremoto per i soccorritori: pagati per non fare nulla, rimangono a casa. Con le scosse del 24 agosto pensavano di essere più utili in centro Italia che in Lombardia. Ma non sono partiti. Sono gli effetti della privatizzazione della Cri: esuberi e stipendi tagliati per alcuni addetti, mentre altri non escono più in ambulanza. E per coprire i buchi di bilancio si cerca di vendere il patrimonio immobiliare, scrive Michele Sasso e Monica Soldano il 31 agosto 2016 su “L’Espresso”. Dalla Lombardia alle zone colpite dal terremoto. Per non stare con le mani in mano, per usare sul campo la propria esperienza di soccorritore. Nei giorni del post-sisma che ha devastato Amatrice, Accumoli e Arquata del Tronto per gli uomini della Croce rossa del comitato lombardo non c’è però nessuna missione: «Non c’è bisogno di voi» è la risposta arrivata dal presidente nazionale Francesco Rocca. I dipendenti che si sono fatti avanti sono tra i 200 lavoratori che dopo la privatizzazione del 2014 hanno deciso di mantenere il contratto pubblico. Da anni timbrano ma fanno poco. Le dieci ambulanze non escono dai garage. Sono autisti e barellieri ma non fanno più la loro professione. In quanto dipendenti pubblici, non possono fare servizi in convenzione (come, ad esempio, le ambulanze per il 118 o il trasporto di malati fuori dall’emergenza) perché esclusi dalla legge. E poi nel 2015 un altro passo verso il paradosso. «Da inizio anno non lavoriamo più sulle ambulanze e giriamo a piedi per Milano svolgendo un servizio di pochissima utilità, equipaggiati con uno zainetto pieno di garze e cerotti», ha raccontato al Fatto quotidiano Mirco Jurinovic, soccorritore e dirigente sindacale di Usb. Costano 4 milioni di euro all’anno ma non vengono utilizzati. È il risvolto kafkiano della privatizzazione. Ci sono voluti due anni per provare finalmente a trasformarsi in una struttura efficiente, indossando il vestito nuovo dell’associazione privata. Gli effetti non sono quelli sperati. Ecco come buttare al vento la passione di 150mila volontari, quasi tremila dipendenti tra personale civile, infermieri e dipendenti del Corpo, e impoverire il servizio d’emergenza in molte Regioni. Il piano di riorganizzazione pensato dall’ex premier Monti ha provocato evidenti cortocircuiti: esuberi e stipendi tagliati per una fetta di addetti, mentre altri vengono pagati per non fare nulla. Oltre al tentativo di svendita dell’immenso patrimonio di quasi 1.500 palazzi e terreni, il frutto di 150 anni di donazioni di chi pensava di fare del bene. Nella fase di transizione è intervenuto con due proroghe anche il ministro della Salute Beatrice Lorenzin che ha messo sul piatto della finanziaria oltre 300 milioni di euro. Fondi necessari a pagare i debiti e tenere in piedi l’esercito di barellieri e operatori del primo soccorso. Emilia De Biasi, presidente Pd della commissione Sanità al Senato è tranchant: «La Croce rossa italiana è ancora un carrozzone con un patrimonio di sedi e competenze svilito. La riforma è un’urgenza: ci vuole trasparenza per tutta la gestione, e invece il ministero della Salute continua a prendere tempo». Nel 2012 si decide di dire basta alla crocerossina di Stato. Privatizzando le organizzazioni provinciali, quindi sciogliendo gli apparati centrali che non hanno mai conosciuto la spending review e «bruciato» un miliardo di euro negli ultimi dieci anni. E qui viene a galla il primo problema, la ricollocazione del personale: ancora adesso ci sono circa 2mila persone da piazzare. Il decreto firmato nel settembre 2015 dal ministro della pubblica amministrazione Marianna Madia prevedeva esclusivamente il traghettamento verso i ministeri, o istituti come Inps o Inail. Un non sense riparato con la finanziaria, che allarga la possibilità anche al servizio sanitario nazionale, per gran parte degli interessati una collocazione naturale. «Temiamo che il ministero non riesca a gestire il ricollocamento - denuncia Nicoletta Grieco della Cgil - finora c’è stata una gestione scomposta e nessun coordinamento con le Regioni ed Asl locali. Mancano otto mesi alla fine dell’anno e il rischio è la mobilità, seguito dal baratro del licenziamento». In tanti hanno preferito non abbandonare l’uniforme e sono passati ai nuovi comitati. Con un salto all’indietro: lo status di associazione privata prevede contratti targati Anpas (Associazione nazionale pubbliche assistenze) con stipendi mensili decisamente inferiori, da 1.600 a 1.100 euro. Epicentro della cura dimagrante il Lazio, dove sono concentrati oltre 1200 dipendenti, su un totale nazionale di 2788 addetti. Disorganizzazione e casi-limite come quello di D.M., operatrice precaria che per 25 anni ha lavorato al Centro di educazione motoria (Cem) di Roma. Nel 2011 decide di fare causa per ottenere il tanto agognato contratto a tempo indeterminato e il Tribunale dopo due anni le dà ragione. «Con il nuovo corso mi è stato imposto di non mettere più piede al Cem. Spostata al comitato metropolitano, ho seguito l’emergenza freddo: un campo di tende per dare assistenza ai senzatetto. Il piano è durato dal 15 gennaio al 21 marzo e da allora ogni giorno timbro per non fare nulla». Mentre al centro per la cura di pazienti con gravi disabilità diventato di eccellenza grazie ai quattrini del leggendario canzoniere Mario Riva il personale è stato dimezzato e l’assistenza ridotta ai minimi termini. La privatizzazione avrebbe dovuto portare efficienza e risanamento economico. Nel primo anno - il 2014 - il «disavanzo di cassa è perdurante, posizione debitoria è preoccupante e pesante ricorso all’anticipazione bancaria», ha sottolineato la Corte dei conti. Così per coprire i buchi di bilancio la soluzione è drastica, vendere i gioielli di famiglia: 1.045 fabbricati e 413 terreni. Un’impresa non facile. L’ultimo tentativo risale al maggio 2014, quando 19 lotti tra palazzi e appartamenti vengono messi all’asta: da La Spezia a Schio, fino a Casale Monferrato e Pavia. Finisce all’incanto anche la storica sede sul lungomare di Jesolo, Venezia, e presto la stessa sorte toccherà al palazzetto ottocentesco del quartier generale di Roma. In Laguna il prezzo precipita: da 42 milioni è sceso a 34. Sull’eccessivo ribasso la deputata grillina Arianna Spessotto ha presentato un’interrogazione parlamentare. La risposta del ministero della Salute è arrivata il 17 marzo scorso. Per il sottosegretario Vincenzo De Vito “nessuna svendita”: il ribasso di un quinto del valore è regolare, dopo che le prime due sedute sono andate deserte. Dopo c’è stato un nuovo sconto sul valore dell’immobile ma ancora nessun acquirente. Eppure, a Jesolo, partiti e sindacati non si danno pace perché vedono il rischio di smobilitare i servizi, con 50 dipendenti a spasso. E il via libera alla speculazione. «Quel palazzetto sul mare, con 18mila metri quadrati di spiaggia, ha dei vincoli ben precisi», attacca Salvatore Esposito di Sel. E anche per la Sovrintendenza dei beni culturali si tratta di un edificio di interesse storico, in cui non si possono rimuovere gli affreschi né alterare la struttura delle stanze. Per il conte Ottavio Frova, la donazione del 1928 si vincolava alla cura della “fanciullezza trevigiana”. Nel tempo è prima diventata una colonia per i malati di tubercolosi. Oggi è anche un centro per i rifugiati. Fabio Bellettato, ex capo della Cri Veneto, sul tema aveva lanciato un appello al presidente nazionale Francesco Rocca. Era in disaccordo sulla vendita del patrimonio immobiliare come unica possibilità di risanamento. La richiesta di Bellettato è rimasta inascoltata, mentre lui si è dimesso. Mancanza di democrazia, centralizzazione del potere e interesse solo per le missioni all’estero: sono le critiche mosse dai comitati periferici verso Francesco Rocca, avvocato che gestisce l’ente sinonimo di solidarietà ed aiuto come un padrone assoluto. Un esempio? Quando nel 2011 la funzionaria Anna Montanile ha denunciato alla trasmissione tv “Report” le incongruenze della gestione delle sedi è stata trasferita all’archivio storico. A fare ricerche sulle bandiere. Oggi mentre la Cri è alle prese con un serrato piano di risanamento, Rocca è spesso all’estero per missioni che fanno bene alla sua immagine di numero due della federazione internazionale: Iran, Siria, progetti post terremoto di Haiti ed emergenza profughi. «Non ho rimborsi né indennità, mi viene pagato solo l’albergo quando sono in missione», precisa Rocca a “l’Espresso”: «Da presidente non prendo stipendio, sono totalmente volontario. Purtroppo veniamo da trent’anni di assoluto abbandono. Abbiamo bisogno di dipendenti, ma non in quel numero e con quello spreco». Il presidente-volontario è stato per più di quattro anni commissario straordinario, voluto da Berlusconi (con un budget annuale di 320mila euro), da maggio 2015 è direttore dell’Idi di Roma, l’ospedale dermatologico più grande d’Europa. Di proprietà della Congregazione dei Figli dell’Immacolata Concezione è al centro di una storiaccia brutta di bancarotta fraudolenta, fatture false e un passivo patrimoniale di 845 milioni di euro.

Ambulanze, il business delle onlus. E il soccorritore lavora in nero, scrive Massimiliano Coccia il 19/05/2014 su “Il Tempo”. La Regione non indice bandi ma si affida unicamente a gettoni a chiamata. Gli operatori del 118 sfrecciano nel traffico a sirene spiegate. Sono i primi ad essere colpevolizzati in caso di ritardi nei soccorsi, sono gli ultimi ad abbandonare il mezzo a fine turno. Ma in tantissimi casi per stare su quelle autoambulanze non hanno un regolare contratto di lavoro. Colpa della crisi e dei tagli alla sanità. Ma, secondo molti, anche della situazione venutasi a creare in seguito ad alcune delibere regionali (271/2011 e 325/2011) che favoriscono nei servizi di trasporto extraospedaliero di emergenza le onlus rispetto agli operatori privati. Queste delibere, che violano il diritto europeo in materia (causa C113/13 della Regione Liguria), creano un sistema, che se confermato, lede in maniera forte ai principi di concorrenza tra privati e di tutela sia dei lavoratori che degli assistiti. Inoltre, essendo le «onlus» enti associativi senza finalità di lucro, non dovrebbero percepire lo stesso rimborso da parte di Ares che spetta ai privati e dovrebbero basarsi solamente sul lavoro volontario. Invece, come ci racconta G.A. (iniziali di fantasia), operatore del 118 dal 2008, molti di loro svolgono un lavoro dipendente a tutti gli effetti, stando sui mezzi 5 giorni su 7 senza assicurazione e senza contratto.

Come sei entrato a lavorare nel mondo del trasporto extraospedaliero?

«Nel servizio di ambulanze in convenzione o a chiamata "spot" per il servizio pubblico del 118 Lazio, ci sono entrato nel 2008, dopo aver perso l'ennesimo lavoro. Il mio contratto scade tra 15 giorni, dopo aver lavorato per molti mesi in nero, come lavorano molti che vengono chiamati per sopperire alle carenze dell'Ares 118».

E come venivi pagato in nero?

«Il gioco è semplice. Viene fatto firmare un foglio per il cui il volontario dichiara di prestare la sua opera senza fini di lucro, ma di fatto entra nel mondo perverso del lavoro in nero. Tutti percepiscono un "rimborso spese" che va dai 50 euro al giorno per 12 ore fino ai 70/80 euro per gli infermieri. Qualsiasi volontario avrebbe diritto ad un rimborso spese giornaliero che comprende il viaggio, il pranzo ed eventualmente un caffè al bar, solo che gli "pseudo volontari" come me, dovevano rientrare la sera a casa e procurarsi almeno 60 euro di scontrini o ricevute, altrimenti la mia giornata lavorativa andava persa. Ci sono "pseudo volontari" che fanno 25 turni al mese, secondo il fisco, come possono mantenere una famiglia solo con i rimborsi spesa?».

Ci spieghi il meccanismo di finanziamento di una "onlus" che si occupa di trasporto ospedaliero?

«L'Ares 118, per sopperire alla carenza di personale, incarica sia le "onlus" e sia le ditte di ambulanze private riconoscendo alle prime un rimborso di circa 450 euro per 12 ore e ai privati di circa 500 euro per 12 ore, con la differenza che i privati hanno i dipendenti in regola. Pagando persone a nero o sottopagandole si avrà una scarsa qualità del personale e del servizio. Vale la pena ricordare che in questo lavoro la parola d'ordine dovrebbe essere professionalità. Più volte in ambulanza ho lavorato con un infermiere neanche iscritto all'IPAVSI».

Quali rischi corri ogni giorno salendo su un mezzo di fatto privo di ogni assistenza previdenziale e assicurativa?

«I rischi in questo lavoro sono molteplici dati proprio dalla peculiarità del servizio, in particolare quelli infettivo ed epidemiologico. E la tutela assicurativa è inesistente. Anni fa ebbi un infortunio in servizio che fu refertato dal pronto soccorso del Pertini e l'unica preoccupazione della finta associazione di volontariato per cui prestavo servizio fu quella di farmi riferire che stavo svolgendo il turno da volontario».

Possiamo parlare di un sistema pianificato a tavolino per incassare i contributi pubblici sulla sanità e per fare cassa sulla previdenza lavorativa?

«Non so se sia pianificato o meno, ma trovo assurdo che la Regione non indica un bando per affidare la gestione di questi servizi e vada avanti con lo spot o il gettone a chiamata».

La questione del risparmio non riguarda solo voi operatori, anche il parco vetture è vetusto e non conforme alle direttive regionali. Quanti sono i mezzi non a norma nella Regione Lazio?

«C'è una delibera della Regione Lazio che vieta la circolazione dei mezzi di soccorso che abbiano maturato più di cinque anni di immatricolazione e servizio, ma in realtà vedo in giro ambulanze da museo con la totale indifferenza di tutti, in primis dalla centrale 118 che dovrebbe immediatamente bloccare quei mezzi».

Avete cercato di esporre il caso alla magistratura e alle forze dell'ordine?

«Io e altri colleghi abbiamo fatto denunce ed esposti ma non hanno portato a nulla. Ci hanno detto che la giustizia farà il suo corso, ma nel frattempo i primi a rischiare per questi disservizi sono i cittadini trasportati in situazioni critiche su mezzi vetusti e con personale sottopagato e non qualificato. A volte mi chiedo dove vadano a finire tutti i soldi che si mettono a bilancio per la sanità». 

TERREMOTO, RAZZISMO E SCIACALLAGGIO.

«Eravamo lì per aiutare, ci hanno trattato da sciacalli», scrive Simona Musco il 29 ago 2016 su “Il Dubbio”. I giornali nazionali li hanno sbattuti in prima pagina con accuse infamanti e senza lo straccio di una prova. «Volevamo solo dare una mano a quelle persone disperate, ora, invece, ci additano come sciacalli, solo perché veniamo da Platì: ma è tutto un equivoco». Rocco Grillo e Pasquale Trimboli ci avevano provato. Erano saliti su una Suzuki Vitara, 48 ore dopo quel terremoto che ha squarciato il centro Italia, pensando di «fare del bene». Ma da Amatrice, simbolo del sisma, sono tornati giù con l'accusa peggiore: quella di voler approfittare della tragedia per riempirsi le tasche. La loro versione, fino ad ora, era un rigo nei giornali nazionali, che parlano di loro come «malviventi» - i due hanno precedenti per furto - che si aggiravano «tra le rovine di una casa diroccata» con «fare sospetto». Di passare per avvoltoi, però, non ne hanno voglia. E raccontano quel viaggio, durato meno di 24 ore. «Ci siamo ritrovati al bar con degli amici, a parlare di tutta quella gente disperata che avevamo visto in tv - racconta Trimboli, bracciante agricolo di 36 anni -. Dovevamo partire tutti insieme, ma non abbiamo trovato un furgone. Così abbiamo pensato di raccogliere viveri, coperte e vestiti in giro per il paese e di partire con la mia auto. Ma visto che avevano bloccato l'invio dei beni, abbiamo pensato di partire per dare una mano e basta». Prima di mettersi in viaggio, alle sei del pomeriggio del 26 agosto, i due passano dalla caserma dei carabinieri di Platì, paesino di poco meno di 4mila anime, arroccato sull'Aspromonte, per tutti simbolo di una 'ndrangheta prepotente e sanguinaria, ma che ha fatto vedere il suo volto migliore in più di un'occasione. «In caserma ci hanno detto che stavamo facendo una cosa bella - spiega Grillo, 38 anni, anche lui bracciante -. Siamo passati per capire se fosse il caso di andare e ci hanno detto che il volontariato è libero». I due arrivano ad Amatrice alle 3.30, nel cuore della notte. Incontrano la polizia, chiedono dove andare per dare una mano e vengono indirizzati alla tendopoli. «Lontano, dunque, dalle case», sottolineano. I due passano da una divisa all'altra, cercando qualcosa da poter fare, fino a quando un uomo della protezione civile, alle 6.30, dà loro dei guanti e li mette a pulire i bagni. «Era pur sempre un lavoro da fare», dice Trimboli. Poi vengono spediti a raccogliere la spazzatura dentro le tende. «Da soli abbiamo raccolto circa trenta sacchi», spiega Grillo. I due si fermano per la colazione e dopo aver preso un caffè in mensa tornano alla tendopoli, dove incontrano il presidente Sergio Mattarella e il capo della protezione civile Fabrizio Curcio. «Gli abbiamo detto che venivamo dalla Calabria - raccontano -. Ci ha dato la mano e ci ha fatto i complimenti». Sono le dieci quando i due decidono di spostarsi di qualche metro, all'ombra, vicino alla loro auto, per fumare una sigaretta. «In quel momento - spiega Trimboli - è arrivato un ragazzo del posto, in macchina, e ci ha chiesto chi fossimo e il tesserino. Noi però non lo avevamo. Abbiamo spiegato che eravamo volontari ma una signora, arrivata poco dopo, ha iniziato a inveire contro di noi. Ci gridava: "dovete andare via, bastardi, infami". Abbiamo provato a spiegare che eravamo lì per dare una mano ma ha continuato a urlare». È in quel momento che arriva una ventina di uomini delle forze dell'ordine. Che avviano la procedura di rito: la consegna dei documenti, la perquisizione dell'auto, domande sul come e il perché si trovano lì. «I carabinieri hanno controllato l'auto ma non c'era nulla», spiega Trimboli, parole confermate dal verbale firmato dai due. Che per farsi credere mostrano i guanti e indicano chi li ha messi a lavorare. E pure lui, sostengono, prova a dire come sono andati i fatti. «Ha spiegato che eravamo andati a registrarci ma era tutto bloccato - racconta Grillo -. Ce n'erano tantissimi come noi lì, non registrati ma che davano una mano». I carabinieri vogliono sapere perché partire da Platì per un viaggio così lungo. Loro insistono: «per noi era un onore poter aiutare qualcuno - sottolinea Trimboli -. Ho lasciato tre bimbi piccoli a casa, solo per dare una mano. Non per sentirmi dire che sono uno sciacallo». I due invitano i carabinieri a contattare la stazione di Platì ma i loro precedenti bastano e avanzano: furto. Fatti troppo specifici per lasciar correre. «È vero, ho sbagliato anni fa ma ho pagato i conti con la giustizia, sono su una strada buona. A Platì abbiamo sempre dato una mano quando c'è stato bisogno», conclude Trimboli. A loro carico, ora, c'è solo un procedimento amministrativo presso la Questura di Rieti per il foglio di via, spiega il loro legale, Domenico Amante. «Il problema è che ora, per tutti, sono due sciacalli. Ma loro volevano solo aiutare».

E poi ci sono gli sciacalli mediatici. Dapprima i media avevano diffuso le sue generalità e pareva fosse un pregiudicato napoletano. Ma invece non è così. Si tratta infatti di un nomade di etnia Rom arrivato appositamente da Napoli in Treno, scrive “La Voce del Trentino” il 26 agosto 2016.

Arrestato sciacallo ad Amatrice: è un pluripregiudicato napoletano, scrive “Il Mattino di Napoli” il 25-08-2016. I carabinieri del comando provinciale di Rieti, nell'ambito dei servizi messi in atto al fine di reprimere il fenomeno dello sciacallaggio a seguito del forte sisma, hanno tratto in arresto un pluripregiudicato napoletano, Massimiliano Musella, 41 anni, residente al Rione Alto. Una delle pattuglie poste in campo e composta dal comandante della stazione di Leonessa e da un militare dipendente dello stesso reparto, coadiuvati da militari del 7° rgt laives, nel pomeriggio odierno, nella frazione «Retrosi» del comune di Amatrice, hanno colto all'improvviso l'uomo che tentava di forzare con un cacciavite, la serratura di un'abitazione colpita dal sisma e disabitata. I militari lo hanno sorpreso alle spalle e l'uomo, vistosi braccato, ha tentato di divincolarsi ingaggiando con i militari, una violenta colluttazione, ferendo con il cacciavite, uno dei militari. I carabinieri al termine della breve colluttazione sono riusciti a immobilizzarlo e ad ammanettarlo. Dopo averlo disarmato, lo hanno accuratamente perquisito rinvenendo nella tasca dei pantaloni, un biglietto ferroviario datato 24 agosto 2016 tratta Napoli-Roma, confermando la tesi che il pregiudicato, era giunto sul luogo del sisma, prima in treno e poi in pullman, con l'intento di far razzie all'interno delle abitazioni colpite dall'evento tellurico. L'uomo, gravato da numerosi precedenti penali per detenzione a fini di spaccio di sostanze stupefacenti, ricettazione e porto abusivo di armi è stato tratto in arresto con l'accusa di rapina impropria e lesioni personali e tradotto presso la casa circondariale di Rieti a disposizione dell'autorità giudiziaria locale. I militari, ricorsi alle cure mediche da parte dei sanitari presenti nel campo allestito per le vittime del sisma, sono stati giudicati guaribili in 6 giorni.

Il racconto degli angeli di Amatrice: «Così abbiamo arrestato lo sciacallo», continua Ebe Pierini su “Il Mattino di Napoli” il 26-08-2016. Lì dove non possono arrivare con le auto perché ci sono solo macerie loro arrivano a piedi. Sono stati i primi a giungere sul luogo del sisma ed ora sono 400 i carabinieri che pattugliano il territorio di Amatrice ed Accumuli, 24 ore su 24, per impedire che gli sciacalli entrino nelle case abbandonate per rubare. Com'è successo giovedì quando a finire in manette è stato il 41enne napoletano Massimiliano Musella. «Mentre transitavamo in auto per la frazione di Retrosi, vicino Amatrice, io e il mio collega, l’appuntato scelto Gianni Reali, abbiamo notato un uomo che armeggiava con un cacciavite nei pressi del portone di legno di un’abitazione – racconta il maresciallo Mauro Margarito, comandante della stazione di Leonessa – Siamo scesi dal mezzo. Io indossavo la pettorina dei carabinieri. Abbiamo intimato l’alt e lui è fuggito. Lo abbiamo rincorso e raggiunto e, mentre tentavamo di immobilizzarlo, ci ha offerto resistenza. Ne è nata una colluttazione. Siamo finiti tutti e tre a terra. Il caso ha voluto che in quell’istante passasse una pattuglia di colleghi del 7° reggimento Laives che ci ha aiutati ad ammanettarlo». «L’uomo è stato poi condotto presso il carcere di Rieti con l’accusa di rapina impropria e lesioni – aggiunge il capitano Emanuela Cervellera, comandante della compagnia di Città Ducale, dipendente dal comando provinciale di Rieti, che ha la competenza sulla zone di Amatrice ed Accumuli – Il maresciallo ha infatti riportato una distorsione dell’avambraccio sinistro, mentre l’appuntato scelto una ferita da taglio all’indice della mano destra e una contusione al gomito». «L’uomo ci ha minacciato dicendo che ci avrebbe denunciati perché quello che avevamo visto non corrispondeva al vero – racconta ancora il maresciallo Margarito – Ad insospettirci è stato anche il fatto che indossasse una pettorina con scritto security e che con sè avesse un grosso sasso oltre a un borsone. In tasca aveva un verbale di accertamento di violazione di 38 euro effettuato sul treno da Napoli a Roma in quanto non aveva pagato il biglietto, datato 24 agosto, il giorno del sisma. In un primo momento si è giustificato dicendo che era un soccorritore, ma ho comandato la stazione di Amatrice per due anni e mezzo e conosco tutta la gente del posto. Se fosse stato di lì lo avrei riconosciuto. Tra l’altro la mattina era stato già notato mentre cercava di oltrepassare i varchi di accesso alla città dicendo di essere un volontario». «La prevenzione dei furti fa già parte dei nostri compiti quotidiani – assicura il capitano Cervellera - Tranquillizzare la gente rappresenta un aiuto psicologico. Hanno lasciato tutte le loro cose all’improvviso ed è nostro compito farle loro ritrovare».

Terremoto, lo sciacallo arrestato ad Amatrice aveva annunciato l'impresa su Facebook: “Vado lì”, affonda il colpo Stella Cervasio nel suo articolo del 27 agosto 2016 su "La Repubblica". L'aveva scritto sul suo profilo Facebook il 24 agosto alle 18.48: "Vado lì". Dopo si è capito che intendeva nei paesi del centro Italia colpiti dal terremoto. M.M., 41 anni, di Chiaiano, ha preso un treno Napoli-Roma, è sceso alla stazione Tiburtina ed è salito su una corriera che l'ha portato ad Amatrice, quel nome di paese che aveva sentito in tv, spazzato via dal terremoto. Nella frazione di Retrosi i carabinieri l'hanno trovato ad armeggiare con un cacciavite al lucchetto di una porta di una delle case evacuate dopo il sisma. Si è girato e ha colpito i due uomini dell'Arma, che hanno un referto ospedaliero di cinque e sei giorni. "Che lavoro fa? Nessuno ", dicono al Comando provinciale di Rieti, dove peraltro sono presi da ben altri impegni, in queste ore. L'arresto di M.M., che è accusato di rapina impropria, lesioni e resistenza, è stato eseguito dai carabinieri di Città Ducale e deve ancora essere convalidato dal gip. L'uomo intanto è rinchiuso nel carcere di Rieti. Sul suo profilo Facebook, dove annunciava la partenza per i paesi terremotati, sono piovuti gli improperi di ogni genere, anche sotto le foto di statue di santi che aveva postato in precedenza, e le accuse di aver fatto vergognare i cittadini napoletani per aver battuto il peggiore dei record: è stato il primo (e finora per fortuna l'unico) sciacallo del dopoterremoto del Lazio. E purtroppo è targato Napoli, anche se il sindaco de Magistris, per segnare immediatamente la distanza della città da quest'azione, ha annunciato la costituzione di parte civile contro il responsabile. M.M è stato arrestato in precedenza una volta per droga e due volte per furto, quindi non è nuovo a questo tipo di lavori. Ma, pur vivendo ai Camaldoli, nel dominio del clan Polverino, non ne fa parte. M.M. ama piuttosto montare sui treni e fare bravate. Lo avevano visto anche l'anno scorso, alla prima udienza del processo contro Bossetti, accusato dell'omicidio di Yara Gambirasio. Era arrivato con il gruppo innocentista che sui social ha anche diversi sottogruppi per la verità con non numerosissimi iscritti. Reggeva uno striscione che sosteneva che il carpentiere di Mapello, poi condannato all'ergastolo, fosse innocente. Sui giornali l'avevano descritto come "l'autista molto abbronzato, arrivato da Napoli ". E sarebbe andato anche a più di una udienza del processo. Secondo quanto i giornali di Bergamo scrissero, all'epoca avrebbe anche dichiarato davanti alle telecamere: "Un'accusa ingiusta e totalmente infondata - sostiene Massimiliano M.M, il napoletano che ieri mattina è arrivato in via Borfuro appositamente per seguire la prima udienza - non è lui il colpevole. Gli autori del delitto sono ancora in circolazione. Purtroppo le indagini non state condotte in modo adeguato".

Il video dello sciacallo: un falso grossolano, scrive Ugo Maria Tassinari il 26 agosto 2016. Un video supporta da stamattina una campagna virale sullo sciacallo napoletano a partire dalla notizia di stampa attivata da “Il Mattino” (proprio contro un suo concittadino). Un’onda di indignazione tale che il sindaco De Magistris ha annunciato la volontà di costituirsi parte civile. Peccato che il video non c’entri niente. A trascinare il fermato, infatti, sono poliziotti. E, a finale, arriva pure la smentita della Questura di Rieti, che racconta la reale dinamica. La polizia ha scongiurato il linciaggio di un innocente. Ecco la nota Agi: Roma – E’ polemica sullo sciacallaggio nelle aree devastate dal sisma: dopo una serie di denunce di individui sospetti sorpresi a rovistare tra le macerie, rilanciate anche dai media, la Questura di Rieti in un comunicato ha definite “prive di ogni fondamento” queste notizie. “I servizi di vigilanza, specificamente finalizzati al contrasto di possibili episodi di sciacallaggio, sono stati infatti attuati sin dai primi istanti con personale delle forze dell’ordine, e poi rafforzati nelle ore serali e notturne con l’arrivo dei reparti organici”, ha assicurato la Questura. Allo stato, “sentite anche le altre forze di polizia, non risulta alcun episodio di illegittima introduzione di persone nelle abitazioni evacuate, tantomeno di furti perpetrati”. Sono stati eseguiti controlli su persone sospette o “semplicemente presenti all’interno di aree interdette o in procinto di entrarvi”, ma tutte le verifiche, conclude la Questura, “hanno avuto esito negativo e le persone sono state indirizzate ai competenti organismi di Protezione civile o semplicemente allontanate”. Tra gli episodi segnalati c’era quello di un uomo identificato ad Amatrice perchè sorpreso con un trolley e sospettato di aver sottratto oggetti da alcune abitazioni. L’uomo ha rischiato il linciaggio da parte della folla, ma l’arrivo dei poliziotti ha evitato l’aggressione. Sempre ad Amatrice tre persone sono state fermate perché sorprese a rovistare nelle case abbandonate. Segnalazioni sono arrivate anche nell’ascolano nel comune di Arquata, in particolare nella frazione di Pescara del Tronto spazzata via dal terremoto. Secondo i soccorritori, si sono verificati casi già nel corso della prima notte del sisma. I carabinieri hanno intensificato i controlli in tutta l’area.

La versione corretta pubblicata dai media non ti aspetti.

Fermato un presunto sciacallo: rischia il linciaggio degli abitanti di Amatrice. Un presunto sciacallo è stato fermato dalla polizia ad Amatrice, scrive Giuseppe De Lorenzo, Giovedì 25/08/2016, su "Il Giornale". Un presunto sciacallo è stato fermato dalla polizia ad Amatrice. Siamo nella zona alta vicino al giardino dove alcuni degli sfollati del terremoto cercano riparo dal sole. Un gruppo di abitanti del luogo ha notato un uomo di Napoli con una valigia piena e l'ha bloccato. Alla richiesta di far vedere cosa c'era dentro la borsa, il napoletano si è rifiutato. A quel punto sono intervenute le forze dell'ordine. Il video che IlGiornale.it ha realizzato in esclusiva mostra il momento del fermo. L'uomo grida aiuto dicendo "vi sbagliate, vi sbagliate". Le forze di polizia lo portano allora in un angolo al riparo dalla furia della folla che vorrebbe linciarlo. "Ma come si fa a rubare nelle case distrutte - dice molto alterato un ragazzo - entrano e si portano via tutto. Perché gli edifici non crollano quando ci sono queste persone dentro invece della gente perbene?". Alla conclusione di lunghe perquisizioni e accertamenti, i poliziotti in borghese ci fanno sapere che il presunto sciacallo "non è stato arrestato". Non sono stati trovati elementi certi per accusarlo. "Questa persona - aggiunge un ispettore della Digos - non ha commesso alcun reato a quanto pare". Ma è stato comunque allontanato dalla città: "Qui non serve", conclude l'ispettore. Il dubbio che fosse un delinquente rimane. Questa la ricostruzione dei fatti. Il presunto sciacallo sarebbe stato visto la prima volta da un ragazzo a pochi passi da un'abitazione dove si scavava tra le macerie. Avrebbe detto di dover riportare il caschetto protettivo ad un amico che stava lavorando all'interno della casa distrutta. Si sarebbe quindi spacciato per volontario. "Gli ho detto di darlo a me - racconta un ragazzo che era nei paraggi - ma insisteva per portarlo personalmente". Poco dopo l'episodio che ha scatenato il fermo. L'uomo, come detto, è stato notato con una valigia da alcuni cittadini di Amatrice e poi bloccato dalla Digos. "Diceva di essere un ingegnere", racconta il signore che l'ha intimato ad aprire la borsa. "Ma come? - fa eco un altro ragazzo - prima dice di essere un volontario e poi un ingegnere?". Durante il fermo avrebbe anche sostenuto di essere di Amatrice. Ma tutti gli abitanti assicurano di non conoscerlo. "Qui siamo tutti vicini - dice un signore - ci conosciamo bene". Il presunto sciacallo per provare a fornire un alibi avrebbe fatto il nome di un cittadino del luogo. Le forze dell'ordine lo hanno cercato per permettergli di fare un riconoscimento. Si trattava di un carabiniere. Il quale, appurato di non conoscerlo, ha avuto uno scatto d'ira. A raccontarlo è lo stesso militare. La polizia ci fa sapere che il sospettato non è un volontario registrato. Per questo motivo è stato allontanato dalla città. "Ci aspettiamo - conclude l'ispettore - di doverne allontanare altri". L'allerta sciacalli è altissima.

«Dagli allo sciacallo!». Gli untori di Amatrice, scrive Paolo Persichetti il 6 set 2016 su "Il Dubbio". Il caso dei rumeni Ion C. e Letizia A, fermati con il nipote di 7 anni con l'infamante accusa di sciacallaggio denunciato dall'avvocato Luca Conti, presidente dell'ordine di Rieti. Amatrice Oltre a provocare vittime e distruzione i terremoti sembrano suscitare il malsano bisogno di capri espiatori. Tra le pieghe del dolore e dello strazio di chi ha perso figli, genitori, parenti o amici e ha visto la propria esistenza sbriciolarsi sotto il crollo della propria casa, perdendo tutto ma forze più di ogni altra cosa le tracce della propria memoria, ciò che compone l'io di ogni persona, ci sono anche delle vittime "collaterali". L'allarme sciacalli ne ha provocate diverse in questi giorni. Alimentata dai media con storie costruite a tavolino fin dalle prime ore successive al sisma, la paura dello sciacallo si è insinuata subdolamente, complice anche l'atteggiamento di alcune forze di polizia che invece di infondere sicurezza e tranquillità nella popolazione scossa dalla tragedia hanno moltiplicato paure, diffuso dicerie come quella del falso prete che si aggira tra le frazioni colpite nascondendo sotto l'abito talare gli ori e gli argenti sottratti dalle case danneggiate. Abbiamo tutti letto la storia del pregiudicato napoletano che avrebbe preso il treno fino a Roma per poi recarsi ad Amatrice ed essere qui scoperto, non si capisce come e dove. Una vicenda confezionata ad arte al punto che lo stesso sindaco di Napoli aveva dichiarato che il comune partenopeo si sarebbe portato parte civile contro l'uomo arrestato. Peccato però che nessuno fosse finito in manette. A sole 24 ore di distanza dal terremoto un quotidiano del Nord titolava "Maledetti sciacalli, stanno già rubando tutto", narrando di tre arresti, tra cui ovviamente l'immancabile «nomade», avvenuti tra le rovine di Pescara del Tronto, tanto che la Questura di Rieti è dovuta intervenire con un comunicato nel quale si riferiva che «allo stato non risulta alcun episodio di illegittima introduzione di persone nelle abitazioni evacuate, tantomeno di furti perpetrati». Sono stati eseguiti - proseguiva il testo - controlli su persone sospette o «semplicemente presenti all'interno di aree interdette o in procinto di entrarvi», ma tutte le verifiche «hanno avuto esito negativo e le persone sono state indirizzate ai competenti organismi di Protezione civile o semplicemente allontanate». Ovviamente il comunicato è servito solo a quei pochi che lo hanno letto, non poteva certo arginare una psicosi da trauma se poi sul terreno c'è chi sobilla il sospetto, attrezza campi che sembrano ghetti, infantilizza le persone. La ricerca del capro espiatorio diventa allora un espediente rassicurante, una tecnica di governo del territorio che compatta le comunità disorientate verso un nemico esterno. Una ong francese ha rischiato di tornare indietro con il suo carico di preziose tende se non fosse stato per il buon senso di alcuni militari. L'esercito, oltre ai Vigili del fuoco sempre fedeli al loro motto ubi dolor ibi vigiles, ha dimostrato sul terreno di essere il corpo con la mentalità meno militare di tutti. Non stupisce dunque se due volontari di Platì, arrivati ad Amatrice con i propri mezzi e tanta solidarietà - come hanno raccontato al Dubbio - abbiano pagato il prezzo di questa fobia: accusati di esser dei potenziali sciacalli dopo le grida di una donna anziana che non li conosceva, nonostante lavorassero all'interno del campo messo in piedi dalla protezione civile, sono stati allontanati da Amatrice con il foglio di via. Chi scrive ha assistito ad un episodio grottesco: l'inseguimento da parte di sei motociclisti dei carabinieri di un furgone, avvistato nei pressi della frazione di Preta, che poi si è rivelato trasportare una salma. Non hanno avuto la stessa fortuna dei volontari di Platì i due cittadini romeni di etnia Rom fermati nella tarda mattinata del 29 agosto con l'infamante accusa di essere degli sciacalli. In un comunicato dei carabinieri si legge che una pattuglia del nucleo radiomobile di Roma avrebbe «sorpreso nella frazione di Preta del comune di Amatrice, un uomo ed una donna rispettivamente di 44 e 45 anni, che a bordo di un'autovettura Wolkswagen Passat con targa tedesca, avevano perpetrato poco prima, alcuni furti nelle abitazioni distrutte dal terremoto». Dopo un'accurata perquisizione «venivano rinvenuti svariati capi di abbigliamento, alcuni oggetti domestici, la somma contante di oltre 300 euro, una pistola giocattolo sprovvista del prescritto "tappo rosso" ed alcuni arnesi da scasso. I soggetti, entrambi di nazionalità rumena e gravati da numerosi precedenti penali per reati contro il patrimonio, sono stati tratti in arresto con l'accusa di furto aggravato e trattenuti nelle camere di sicurezza dell'arma, in attesa della relativa convalida da parte dell'autorità giudiziaria». La versione dei fatti fornita dai carabinieri ha sollevato tuttavia alcuni dubbi, intanto perché il fermo di Ion C. e Letizia A., che a bordo della loro macchina trasportavano anche il nipotino di 7 anni, non è avvenuto nella frazione di Preta ma lungo la strada regionale 577 del lago di Campotosto, in uno slargo molto ampio nei pressi del bivio per Retrosi. Dunque in un luogo lontano da centri abitati. La scena è stata vista da chi scrive, insieme ad altre due persone, che dalla frazione di Capricchia, immediatamente sotto Preta, scendevano in macchina verso Amatrice. La Passat era ferma con il portellone posteriore alzato e gli stracci contenuti all'interno gettati a terra. L'uomo e la donna erano accanto al carabiniere che controllava i documenti. L'autorità giudiziaria dopo aver confermato il fermo ha disposto la scarcerazione, sottoponendoli alla misura cautelare del divieto di entrare nelle province terremotate. Nel corso del rito per direttissima, ha spiegato l'avvocato Luca Conti, presidente dell'ordine degli avvocati di Rieti che ha assunto la difesa dei due romeni, è emersa l'inconsistenza dei capi di accusa (furto di biancheria e capi di abbigliamento). Gli arnesi da scasso si sono rivelati nient'altro che il kit di soccorso presente in ogni autovettura e i precedenti sono risultati inesistenti: la donna è sconosciuta ai servizi di polizia mentre l'uomo aveva solo una vecchia denuncia per possesso di arma impropria. Niente reati specifici come furti o rapine. I due non parlano italiano, la donna è analfabeta. Nel corso della udienza la coppia, con molte difficoltà espressive nonostante la presenza dell'interprete, ha dichiarato di essere ignara del terremoto. In macchina avevano tutto il necessario per dormire: un piccolo materasso, dei cuscini, coperte, biancheria varia e vestiti, alcuni piatti, bicchieri, posate, e i giocattoli del nipotino (tra cui la pistola di plastica), materiale privo di valore. Salta agli occhi l'assenza di preziosi, gioielli, argenteria, materiale tecnologico? L'uomo possedeva appena 305 euro, il minimo indispensabile per affrontare un viaggio. A Preta, come nella altre frazioni circostanti, nessuno ha lamentato furti. La coppia dopo essere stata scarcerata non ha più ritrovato il nipotino, affidato ai servizi sociali di Rieti che nel frattempo lo avevano trasferito a quelli di Roma. Il terremoto può contare così un altro disperso. L'avvocato Conti ha sollecitato l'ambasciata romena affinché il bimbo venisse restituito ai nonni, mentre il consiglio dell'ordine di Rieti ha promosso una raccolta di fondi i cui proventi verranno destinati ad opere di ricostruzione di edifici di interesse pubblico nei territori colpiti dal sisma (conto corrente denominato "In aiuto delle popolazioni colpite dal sisma" Iban: IT37O0306914601100000005558).

TERREMOTO. SCIACALLAGGIO ED OMERTA’.

C'è nessuno? Viaggio tra i dimenticati del terremoto. Nei giorni in cui l'Italia è in ginocchio per il maltempo Panorama è tornata sui luoghi del sisma del 2016, scrive Carmelo Caruso il 5 novembre 2018 su "Panorama". Visitando il Centro Italia a due anni dal terremoto si potrebbe raccontare della tenacia di Amatrice, di Norcia e Camerino. Si potrebbe testimoniare che a due anni dal sisma sono arrivate tutte le casette. Si potrebbe dire che la ricostruzione è partita. Si potrebbe, ma sarebbe mentire. Mi sono fermato a Montegallo, Montemonaco, Capodacqua, Piedilama, Trisungo, Castelluccio, Castro, Pistrino, Uscerno, Ussita, Visso, Accumoli, Illica e ho trovato solo uomini anziani che non chiedono più quando verrà ricostruita la loro casa ma solo quando sarà messo in sicurezza il cimitero. A Posta, in provincia di Rieti, la prima a dirmelo è Sabrina, una donna che lavora in un bar tabacchi, che ha perso la sua abitazione e che da due anni percepisce il Cas, un contributo di autonoma sistemazione: "La verità? Forse era meglio se ci avessero tenuti tutti insieme anziché dividerci e girarci questi soldi. È stato un modo per farci tacere e allontanare da queste montagne e da queste rovine". Incontrando molti terremotati quasi nessuno parla di ricostruzione ma solo di indennizzo. Subito dopo la catastrofe e dopo i primi mesi passati nelle tende, nei camper e in albergo, lo Stato ha offerto loro la possibilità di scegliere tra le casette e il contributo. 400 euro per chi era solo, 500 euro per la coppia, 800 euro per una famiglia di quattro, 900 euro per marito, moglie e tre figli. Sono tantissimi quelli che lo hanno accettato. Il denaro li ha messi uno contro l'altro. Chi ha preferito la casetta si sente tradito da chi ha scelto il Cas. Chi ha scelto il Cas si è dimenticato di chi vive nelle casette. Chi da due anni lo percepisce non teme più un'altra scossa ma la fine dell'erogazione, la modifica che è stata annunciata pochi mesi fa dal capo della Protezione Civile. Da gennaio 2019, il contributo non dovrebbe più seguire come criterio il nucleo familiare ma trasformarsi in un rimborso del contratto di affitto che, in molti casi, è inferiore alla cifra del contributo. "E prova a spiegarmi come si fa a tornare in una casetta quando hai provato a ricominciare in un'altra casa e ripartire da un'altra parte. E, sia chiaro, si poteva ripartire solo da un'altra parte non certo da qui. Guarda un po' tu..." dice sempre Sabrina che indica i luoghi del cratere e gli incroci dove sarà inevitabile fermarsi. Mi avvicino infatti ad Arquata del Tronto. A due anni dal sisma il centro storico è sequestrato dall'Esercito che vigila e allontana gli sciacalli. Provo così a capire dove si è spostata Arquata e mi dirigo verso le casette dove la geografia si è mescolata, le vie saltate e i vicini cambiati. Grazie ad Annamaria Parisse, una donna gagliarda di 72 anni, riesco a ricostruire la mappa di questi paesi. Oggi una parte di Arquata è stata trasferita nel campo Borgo 1, mentre i residenti di Trisungo sono stati spostati dove una volta c'era Capodacqua mentre chi abitava a Capodacqua è stato trasferito a Borgo 2. Nella casetta di Anna, 40 metri quadrati, e dove lei da un paio di mesi vive sola, faccio la conoscenza del genero Dario, un giovane bancario che oggi è venuto a trovarla. Mi assicura che ha provato in tutti i modi a convincerla di andarsene e seguirlo. Non ci è riuscito. "Per un paio di mesi è venuta ad abitare a casa nostra. Per non impazzire aveva deciso pure di costruirsi un orto. Diceva che almeno così le sembrava di stare a casa. Ma rimaneva sempre un'altra casa. Alla fine ha preferito tornare". Ci troviamo così a chiacchierare in questo piccolo campo dove lo Stato ha dislocato 16 casette e dove è rimasto un solo bar, anche questo ospitato in un container. "E però, non pensare che gli abitanti fossero migliaia. Parliamo di frazioni e anche Arquata prima del sisma non arrivava che a mille abitanti. Erano paesi destinati a spopolarsi e il terremoto non ha che accelerato l'esodo" rivela ancora Dario che ha un metodo tutto suo per stabilire a che punto sia la demolizione. "Guarda. Il giallo misura lo stato dei lavori. Finora vedi le ruspe. Quando arriveranno le gru vorrà dire che sarà partita la ricostruzione, ma di gru, e può accorgertene tu stesso, non ce n'è. La nostra fortuna, ed è macabro dirlo, è essere ancora gli ultimi terremotati. Ci teniamo stretto questo titolo. Un altro terremoto ci cancellerebbe due volte". Percorro queste strade e come Dario anche io vengo accecato dal giallo che è il colore dell'interruzione, del guasto, il giallo dei cantieri, dei semafori, dei caschi, delle benne. Mai avrei creduto che la ruspa potesse essere benedetta come lo è da queste parti, mai avrei creduto alla speranza che è in grado di evocare un escavatore. Mi lascio alle spalle Arquata e Pretare, altra frazione sempre di Arquata, dove il 98 per cento degli edifici è rimasta inagibile ma non ancora demolita. Le case sono imbragate, puntellate, insaccate. Sono scomparsi pure i cani che di solito nelle montagne alitano vita e calore. Neanche sul Monte Vettore fino a Montemonaco e poi a Montegallo trovo forme umane, ma solo la croce di una farmacia con la sua porta ormai squassata ed esplosa. Devo scendere a fondo valle per imbattermi nelle casette e quindi riconoscere umanità. Qui incontro Federico Rossi e Nicoletta Scopa, una simpaticissima coppia di Bologna che 6 ore prima del terremoto ha deciso di trasferirsi a Montegallo e aprire il proprio negozio. Confezionano sacchetti di lavanda personalizzati che riescono a spedire anche in Germania e Giappone. Lavorano in un container che gli ha donato la Regione Emilia Romagna, "e forse non ci crederai ma a volte ci diciamo: al mondo chi è più felice di noi?". Si bastano e progettano pure di aumentare la produzione, confidano a raccoglierne 600 kg l'anno. "È ovvio, ci prendono per pazzi" dice sorridendo Federico che è stato in precedenza responsabile commerciale di Aruba e poi il fondatore del sito "Sibillini Web" prima di rifugiarsi tra questi boschi. Li saluto convinto che un giorno la ricostruzione la faranno con la loro buona volontà e il loro contagioso buonumore. "Puoi scommetterci, la finiremo noi". Non la finiranno invece a Uscerno dove su 80 abitanti ne sono rimasti solo 25. Non la potranno vedere nella frazione di Corbara dove non è rimasto più nessuno così come a Forca, Castro. La contabilità demografica la tiene il macellaio Mario Migliarelli che proprio a Uscerno, da agosto, ha riaperto l'attività ma solo perché, per il momento, lo Stato ha sospeso i pagamenti delle tasse, "subito dopo, chiuderò e me ne andrò pure io". Proseguo dunque verso la bellissima Castelluccio che non riconosco perché transennata ma che intravedo, paese presepe, altissimo, che sovrasta i campi seminati a lenticchie. Anche qui mi si presentano dinanzi i visi sbarbati dei militari che con cortesia mi ordinano di parcheggiare l'auto. In due anni, militari e sopravvissuti sono diventati una comunità di destino che si fa coraggio a vicenda. "E ormai ci scambiamo pure i libri" dice Andrea Corona, una ragazza romana di 22 anni con un paio di occhialoni che la fanno tenera e dotta. Ogni estate, da quando ha smesso di studiare, è venuta a lavorare in un bar di Castelluccio. È tornata anche adesso e aiuta il proprietario de Le campagnole, piccolo alimentari oggi ospitato in un piccolo capanno di plastica. Andrea è sicuramente una donna inquieta ma dice che Castelluccio riesce a placarla. "Sono stata in India, a Parigi. Ho viaggiato. Alla fine mi sono rifugiata qui con il mio compagno". Che fai la sera? "Adesso mi rileggo I dolori del giovane Werther e un libro sui vichinghi". Guardi la tv? "Riesco a prendere solo due canali". Credi davvero che un giorno ricostruiranno Castelluccio? "E che importa? Io continuerò a tornarci". Così come Federico e Nicoletta anche Andrea, come si capisce, ha trovato la sua stabilità nel terremoto. Nessuno sa dirmi se esiste un paese dove realmente sia cominciata la ricostruzione ma tutti mi indirizzano a Norcia, il paese che ha dato i natali a San Benedetto e che i terremotati quindi invidiano perché forse guardata con più indulgenza non si sa se da parte dello Stato ma sicuramente dal cielo. A guidare il Comune c'è un tostissimo uomo di centrodestra, Nicola Alemanno, che è riuscito a far partire la ricostruzione leggera, a impedire la fuga dei suoi residenti. "Ma se mi chiede a che punto sia la ricostruzione pesante sono costretto a risponderle che siamo allo zero virgola". Anche lui vive oggi in una casetta. Ha chiesto che fosse l'ultimo a riceverla. Non ama molto comparire sui quotidiani ma è finito sotto i riflettori per aver ricevuto due avvisi di garanzia da parte della procura di Spoleto. Lo hanno accusato di abuso edilizio. Con i fondi raccolti dal Corriere della Sera ha pensato di far allestire una struttura mobile per permettere ai suoi cittadini di ritrovarsi e svolgere attività ricreative. "L'abuso starebbe nell'aver posizionato la struttura mobile su una base di calcestruzzo. È chiaro che se non ci fossero state le fondamenta di calcestruzzo rischiava di crollare la struttura mobile". Alemanno dice che il terremoto ha spazzato via gli edifici ma ha costruito un labirinto di norme. Le ha misurate. La mole arriva a 102 cm. 67 ordinanze, 4 decreti legge e nel frattempo si sono avvicendati tre presidenti del Consiglio e tre commissari. "Senza contare che è un terremoto che ha interessato 4 regioni ognuna con una legislazione diversa in materia". A Norcia i progetti per ricostruire sono stati presentati. Sono meno di mille. Un discreto numero. Prima ancora di depositare un progetto di ricostruzione bisogna attendere che a essere completata sia l'indagine di microzonizzazione sismica da parte della Protezione Civile. Alemanno indica il percorso: "A quel punto il progetto viene inoltrato all'ufficio speciale di ricostruzione. Parte un'istruttoria, si interloquisce con il professionista che il progetto lo ha stilato. Si chiedono quasi sempre integrazioni. Se positiva la pratica viene spedita all'ufficio urbanistico, poi a quello paesaggistico del comune che è chiamato a esprimersi. Viene girata alla Soprintendenza che naturalmente può bocciare tutto. Tutta la norma parte dalla convinzione che il cittadino non voglia ricostruire ma aggirare la legge, ingannare. Mi creda, l'Europa è lontana da Roma ma Roma è lontanissima da Norcia". Finora il meglio è stato fatto dai privati. A Norcia, l'imprenditore umanista Brunello Cucinelli ha finanziato la ricostruzione della torre campanaria con due milioni e mezzo. Ad Arquata, Diego Della Valle ha costruito un laboratorio per dare lavoro a cento dipendenti. "So benissimo che molti hanno accettato il Cas e hanno scelto di lasciare questi luoghi. Non c'è dubbio che sia una resa. In un paese colpito dal terremoto si rimane soltanto se si è capaci di conservare il lavoro e le scuole. Anziché parlare di reddito di cittadinanza qui avremmo bisogno di discutere del dilazionamento delle imposte, anziché dichiarare guerra all'Europa, avremmo bisogno di fare riconoscere dall'Europa quest'area come depressa". Ci salutiamo e decido di ripartire in direzione di Visso e Ussita dove le casette sono state scoperchiate per infiltrazioni e umidità. Me lo dice con franchezza, appena arrivo, il direttore tecnico dei lavori del Consorzio Arcale che ha costruito più di 1600 di cui 46 solo a Visso. Si chiama Gianmarco La Muraglia ed è fiorentino. Spiega che la fretta li ha costretti a lavorare nonostante avessero chiesto all'ufficio ricostruzione una sospensione a causa del meteo. Trasportate con la pioggia e montate ad agosto, le casette si sono ammuffite a ottobre. "E adesso ci tocca ripararle e giustamente con la massima celerità". A farmi sentire l'odoraccio di muffa è Francesca Susini, una donna di 86 anni che insieme al marito è sopravvissuta al terremoto e che per un anno ha girato le Marche. "Sono stata una settimana in auto, 6 mesi al lido di Fermo in albergo, poi a Belforte. In roulotte, 4 mesi a Camerino. Ora sono nella casetta ma come può notare è "fracica", anche se non mi lamento". Al contrario di quanto si possa credere chi è rimasto in questi Comuni non ce l'ha con lo Stato. Dialogo infatti con gente rassegnata ma serena che spera solo di ritrovarsi, almeno un giorno, chi con i mariti e chi con le mogli. Me ne convinco a Ussita, in quella che era la piazza centrale, dopo aver parlato con la signora Carla che con i capelli spettinati passeggia da sola. È vedova di un ufficiale e dice di essere rimasta per questa sola ragione. "E non creda che sia l'unica" mi conferma a Pieve Torina un carabiniere. Mi chiede di scrivere di Muccia, altro paese che ha il 95 per cento di case inagibili ma che la stampa ha, secondo lui, completamente ignorato a differenza di Andrea Bocelli a cui si deve il finanziamento della scuola. Anche nel terremoto c'è sempre un terremotato più terremotato degli altri. Così come aveva fatto il macellaio, anche questo carabiniere mi aggiorna sull'emigrazione interna e rivela che gli abitanti di Muccia hanno traslocato sulla costa: Civitanova Marche, Porto Sant'Elpidio, Porto Recanati. Non resta a questo punto che arrivare ad Amatrice. Ebbene, non avrei mai creduto ma è proprio dove la morte ha fatto più flagello che ho ascoltato la dolcissima melodia dei martelli pneumatici, lo strisciare dei cingolati, il rombo dei camion che trasportano i calcinacci. Ad Amatrice, la demolizione verrà completata a fine anno ma nelle 536 casette sento parlare, per la prima volta, delle 113 chiese che un giorno sicuramente verranno ricostruite e che Emma Moriconi, addetta stampa del Comune, mi confida si va a rivedere la notte, quando non riesce a dormire. Si sveglia, apre il pc e con Google Maps passeggia per la vecchia Amatrice: "Aspetta, ti faccio vedere". Fa passeggiare così anche me nel tempo e nella storia e mi racconta di quanto era magnifica la Chiesa di San Francesco, della miracolosa conservazione della reliquia di Santa Maria di Filetta. Insieme a Martina e Sergio ogni fine settimana, Emma conduce il Tg più terremotato ma prezioso d'Italia. È il Tgr Amatrice e va in onda sulla pagina Facebook di Radio Amatrice e su YouTube. Ogni settimana, Emma va in giro per le 69 frazioni e racconta lo stato della ricostruzione. Per questo tg specialissimo ha vinto perfino il "Premiolino", il premio più ambito da noi giornalisti. Anche oggi va a registrare. Mi accompagna quindi a vedere la Torre Campanaria, mi mostra le case non ancora demolite, l'area dove vengono separati gli scarti. Ci sono ancora delle bollette telefoniche, una copia del Corriere dello Sport del 2003, una collezione di schede telefoniche. "Ma la dimensione rimane biblica" ammette il sindaco Filippo Palombini. Dopo la candidatura in regione dell'ex sindaco Sergio Pirozzi, Palombini è stato nominato sindaco e in passato ha ricoperto la carica di assessore all'urbanistica. Con un comunicato ha fatto sapere agli organi dello Stato, che ad Amatrice venivano a fare passerella, che non li avrebbe più ricevuti. Racconta che tutti gli davano pacche sulle spalle e che gli hanno promesso qualsiasi cosa ma che poi, a rimanere e a rispondere ai cittadini, rimaneva lui, "insomma a fare la figura del fesso. Ho detto basta. Adesso qualsiasi rappresentante dello Stato se desidera venire ad Amatrice deve sottoporsi a un'assemblea pubblica". In pratica, una specie di streaming. È venuto più qualcuno? "Non è venuto più nessuno". La scuola ad Amatrice è stata ricostruita grazie a un finanziamento della Ferrari. I ristoranti sono stati spostati nell'area del gusto progettata da Stefano Boeri, in legno e piena di luce e sempre grazie a donazioni private. "Ma se mi chiede cosa è stato fatto dallo Stato, le dovrò rispondere anche io, come il sindaco di Norcia, poco. Niente. E non creda che a mancare sia il denaro. Per Amatrice ne è stato destinato tantissimo. Peccato che sia impossibile spenderlo". Ogni qual volta Palombini ha provato a lamentarsene, gli uffici dello Stato hanno risposto senza mai entrare nel merito. "Sa cosa fanno? Mi destinano altri soldi. Una montagna di soldi. Sono arrivato al punto di dire: vi prego smettetela, datemi la possibilità di spendere il denaro precedente". Palombini spiega che dopo due anni non riesce a spenderli perché il suo comune non è un centro di committenza e che gli enti attuatori sono elefanti. Pure lui è dell'opinione che se non si è veloci non servirà ricostruire il Centro Italia ma bensì ripopolare. Eppure me ne vado da Amatrice sicuro, cosi come mi assicura Emma, ("vedrai la ricostruiremo più piccola così riusciremo a vedere quanto sono belle le montagne"), che ce la faranno al contrario di Illica, una frazione di Accumoli. Sosto e mi riparo per qualche ora da Davide Carusi proprietario del bed&breakfast Lago secco crollato il giorno del sisma. È zona rossa e tuttavia riesco a camminarci. "Anche i militari se ne sono andati". L'ufficio della ricostruzione gli ha assicurato che presto potrà ricominciare. Gli hanno perfino assegnato delle case mobili da usare come camere. Manca la luce, manca l'acqua. Chi gliele ha consegnate gli ha intimato di non aprirle in quanto zona sottoposta a divieto. "Dici che me le hanno date perché sono rompicoglioni? Per farmi stare zitto?". Lo penso ma non glielo dico. Ogni sera Carusi se le guarda e ripete sempre: "Bellissime, le casette sono bellissime".

Terremoto Col volto coperto davanti alle telecamere. I terremotati a Striscia: “Non vogliono che ci lamentiamo”, scrive Massimo Falcioni su La Nuova Riviera il 31 ottobre 2018. Andrà in onda stasera il servizio di Jimmy Ghione realizzato ad Arquata del Tronto. L’inviato si è recato nel paese piceno distrutto dal sisma dell’agosto 2016 dopo la segnalazione di diverse sparizioni da parte di alcuni cittadini. Trattasi di ricordi e oggetti di valore rimasti nelle case abbandonate dopo il violento terremoto. “Hanno portato via parte delle macerie e tutti i beni che avevamo dentro casa non li troviamo più”, denunciano i residenti. “È sparito tutto. Chi ha avuto la casa completamente distrutta pensava di poter comunque ritrovare dei valori sotto le macerie”. Nel filmato parte delle interviste rimarranno “anonime”, dato che qualche cittadino ha deciso di non apparire con il proprio volto. “Non possiamo dire le cose che non vanno, lo Stato e le amministrazioni non vogliono che diciamo queste cose perché altrimenti ci potrebbero essere delle ripercussioni. Questa è una piccola comunità, dove ci si conosce tutti e metterci la faccia significa avere delle ritorsioni personali e anche vendette”. L’appuntamento è per le 20.45 su Canale 5.

Scrive Striscia la notizia il 31 ottobre 2018: furti tra le macerie di Arquata. Jimmy Ghione è ad Arquata del Tronto (Ascoli Piceno), cittadina colpita dal terremoto del 2016. Diversi cittadini segnalano la scomparsa di oggetti di valore e ricordi dalle case abbandonate a causa del sisma: «Hanno portato via parte delle macerie e tutti i beni che avevamo dentro casa non li troviamo più». E ancora: «È sparito tutto. Chi ha avuto la casa completamente distrutta pensava di poter comunque ritrovare dei valori (catenine, oro, gioielli e oggetti di famiglia) sotto le macerie». Purtroppo però, «niente è stato restituito». Inoltre, raccontano che «una persona preposta alla rimozione delle macerie è stata trovata con le mani nel sacco, in casa aveva oggetti di valore proveniente dal cratere (sismico)». Ma non è tutto, i cittadini hanno deciso di denunciare la situazione che stanno vivendo con il volto coperto: «Non possiamo dire le cose che non vanno – sostengono -. Lo Stato e le amministrazioni non vogliono che diciamo queste cose perché altrimenti ci potrebbero essere delle ripercussioni». E precisano: «Questa è una piccola comunità, dove ci si conosce tutti e metterci la faccia significa avere delle ritorsioni personali». O, come sottolineano, «anche vendette».

Jimmy Ghione raccoglie le testimonianze dei cittadini di Arquata del Tronto: furti dalle macerie, scrive il 31 ottobre 2018 "ilprofumodelladolcevita.com". Jimmy Ghione raccoglie le testimonianze degli sfollati di Arquata del Tronto, che dopo il terremoto del 2016, hanno dovuto lasciare tutti i propri beni sotto le macerie. Purtroppo, come accade spesso, il fenomeno dello sciacallaggio ha colpito anche la piccola comunità. I cittadini denunciano il furto di preziosi dalle macerie, dicono, ad opera di chi avrebbe dovuto tutelarle. Nel servizio di Striscia la Notizia che andrà in onda questa sera (31 ottobre), Jimmy Ghione è ad Arquata del Tronto (Ascoli Piceno), cittadina colpita dal terremoto del 2016. Diversi cittadini segnalano la scomparsa di oggetti di valore e ricordi dalle case abbandonate a causa del sisma: «Hanno portato via parte delle macerie e tutti i beni che avevamo dentro casa non li troviamo più». E ancora: «È sparito tutto. Chi ha avuto la casa completamente distrutta pensava di poter comunque ritrovare dei valori (catenine, oro, gioielli e oggetti di famiglia) sotto le macerie». Purtroppo però, «niente è stato restituito». Inoltre, raccontano che «una persona preposta alla rimozione delle macerie è stata trovata con le mani nel sacco, in casa aveva oggetti di valore proveniente dal cratere (sismico)». Ma non è tutto, i cittadini hanno deciso di denunciare la situazione che stanno vivendo con il volto coperto: «Non possiamo dire le cose che non vanno – sostengono -. Lo Stato e le amministrazioni non vogliono che diciamo queste cose perché altrimenti ci potrebbero essere delle ripercussioni». E precisano: «Questa è una piccola comunità, dove ci si conosce tutti e metterci la faccia significa avere delle ritorsioni personali». O, come sottolineano, «anche vendette».

Sciacalli del terremoto senza limiti, arriva anche Striscia la Notizia, scrive Picchio News l'1/11/2018. Gli atti di sciacallaggio ai danni dei terremotati sono iniziati purtroppo fin da subito e con diverse varianti, dalle finte raccolte, alla sottrazione di beni destinati agli sfollati, fino ai classici furti negli edifici abbandonati. Sembra però che in questi giorni, a due anni dalle violenti scosse dell'ottobre 2016, ci sia addirittura recrudescenza del fenomeno. E' di ieri la scoperta nel quartiere Corneto a Macerata, nel palazzone abbandonato di via Cincinelli, di effrazioni ai danni di una dozzina di appartamenti, con gli sciacalli che si sono introdotti all'interno, portando via quel poco che era rimasto, non di particolare valore economico per fortuna. Nella serata di ieri anche Striscia la Notizia si è occupata dello stesso vile fenomeno, con l'inviato Jimmy Ghione ad Arquata del Tronto, a raccogliere le testimonianze di diversi cittadini che hanno segnalato la scomparsa di oggetti di valore e ricordi dalle case abbandonate a causa del sisma. "Hanno portato via parte delle macerie - racconta un testimone con il viso coperto e la voce camuffata - e tutti i beni che avevamo dentro casa non li troviamo più". E ancora: "È sparito tutto. Chi ha avuto la casa completamente distrutta pensava di poter comunque ritrovare dei valori (catenine, oro, gioielli e oggetti di famiglia) sotto le macerie", purtroppo però, "niente è stato restituito". Sembra addirittura che un addetto alla rimozione delle macerie sia stato preso con le mani nel sacco, e gli abbiano trovato a casa oggetti di valore provenienti dal cratere (sismico)". La cosa più triste di questa vicenda è che oltre ai danni subìti, questi cittadini che denunciano devono farlo senza farsi riconoscere, perché dicono che "Lo Stato e le amministrazioni non vogliono che diciamo queste cose perché altrimenti ci potrebbero essere delle ripercussioni". E precisano: "Questa è una piccola comunità, dove ci si conosce tutti e metterci la faccia significa avere delle ritorsioni personali se non addirittura delle vere e proprie vendette".

Striscia la Notizia ad Arquata del Tronto. Sciacallaggio dopo il terremoto: “se parliamo subiremo ritorsioni”. Striscia la Notizia ad Arquata del Tronto: Jimmy Ghione raccoglie le testimonianze dei cittadini vittime del terremoto e di episodi di sciacallaggio. “Se parliamo ci saranno ritorsioni”, scrive il 31.10.2018 Emanuela Longo su "Il Sussidiario". Jimmy Ghione, inviato storico di Striscia la Notizia, ha raccolto le segnalazioni di alcuni cittadini di Arquata del Tronto, in provincia di Ascoli Piceno. Dopo essere stati già vittime del terremoto nel 2016, ora denunciano un altro fatto ulteriormente increscioso, ovvero la scomparsa di oggetti di valore e ricordi dalle loro case. In tanti, infatti, dopo il terribile sisma sono stati costretti ad abbandonare le proprie abitazioni. Tuttavia, si sono accorti della mancanza di oggetti a loro cari e per questo hanno deciso di interpellare il Tg satirico di Antonio Ricci che stasera trasmetterà il servizio di Ghione. “Hanno portato via parte delle macerie e tutti i beni che avevamo dentro casa non li troviamo più”, ha denunciato uno dei cittadini di Arquata del Tronto. Ma questa non è stata la sola segnalazione di sciacallaggio raccolta dall’inviato di Striscia la Notizia: “È sparito tutto. Chi ha avuto la casa completamente distrutta pensava di poter comunque ritrovare dei valori (catenine, oro, gioielli e oggetti di famiglia) sotto le macerie”, ha aggiunto un altro testimone di questi spregevoli atti di sciacallaggio.

STRISCIA LA NOTIZIA: AD ARQUATA DEL TRONTO I CITTADINI HANNO PAURA. Al momento nessuno dei cittadini che ha denunciato a Striscia la Notizia atti di sciacallaggio nelle abitazioni abbandonate ad Arquata del Tronto, in seguito al terremoto del 2016, ha ricevuto nulla indietro. “Niente è stato restituito”, ha commentato in tanti a Jimmy Ghione. In altre circostanze, hanno raccontato addirittura di quanto fatto da parte di una persona preposta alla rimozione delle macerie e trovata con le “mani nel sacco”, ovvero con oggetti di valore provenienti dal cratere sismico nella sua abitazione. Nonostante le segnalazioni e le denunce a Striscia la Notizia, i cittadini hanno paura e per questo hanno deciso di rivolgersi a Ghione con il volto coperto. “Non possiamo dire le cose che non vanno. Lo Stato e le amministrazioni non vogliono che diciamo queste cose perché altrimenti ci potrebbero essere delle ripercussioni”, hanno spiegato. Una situazione davvero incredibile, se confermata, precisata da ulteriori dichiarazioni: “Questa è una piccola comunità, dove ci si conosce tutti e metterci la faccia significa avere delle ritorsioni personali”. Gli stessi cittadini temono anche possibili vendette ai loro danni.

Striscia la Notizia ad Arquata per i furti nelle case: “Non possiamo dire che le cose non vanno”, scrive Leonardo Delle Noci l'1 novembre 2018 su Piceno oggi. I cittadini che hanno parlato con Jimmy Ghione avevano tutti il volto coperto e la voce modificata: “Lo Stato e le amministrazioni non vogliono che diciamo queste cose”. Jimmy Ghione è stato in questi giorni ad Arquata del Tronto cittadina colpita dal terremoto del 2016 per conto di Striscia la Notizia, noto programma Mediaset in onda su Canale 5. Diversi cittadini hanno segnalato la scomparsa di oggetti di valore e ricordi dalle case abbandonate a causa del sisma: “Hanno portato via parte delle macerie e tutti i beni che avevamo dentro casa non li troviamo più – afferma un cittadino nel servizio televisivo – È sparito tutto. Chi ha avuto la casa completamente distrutta pensava di poter comunque ritrovare dei valori (catenine, oro, gioielli e oggetti di famiglia) sotto le macerie. Purtroppo però, niente è stato restituito”. Un altro cittadino ha raccontato la vicenda del dipendente della Picenambiente, addetto alla rimozione delle macerie, che custodiva nella sua abitazione oggetti presi dalle abitazioni lesionate: “E’ stato trovato con le mani nel sacco, in casa aveva oggetti di valore proveniente dalle case terremotate”. Poco tempo fala Regione ha tolto la revoca a Picenambiente per la gestione delle macerie nel Piceno per presunte violazioni degli obblighi contrattuali (numero inadeguato di operai, indebita sottrazione di materiale pubblico e di “strani” viaggi dei camion). I cittadini che hanno parlato con Jimmy Ghione avevano tutti il volto coperto e la voce modificata: “Non possiamo dire le cose che non vanno – sostengono nel filmato diramato da Mediaset – Lo Stato e le amministrazioni non vogliono che diciamo queste cose perché altrimenti ci potrebbero essere delle ripercussioni. Questa è una piccola comunità, dove ci si conosce tutti e metterci la faccia significa avere delle ritorsioni personali, anche vendette”.

TERREMOTO, IMBECILLITA’ E SOLIDARIETA’.

Fracking e magnitudo falsata, tutto il peggio del dopo terremoto. Dopo ogni scossa, sindaci e sismologi improvvisati, onorevoli e vip danno vita a un balletto di dichiarazioni imbarazzanti. Abbiamo raccolto le peggiori per voi, dal sisma dell'Aquila a quello di Norcia, scrive Wil Nonleggerlo il 31 ottobre 2016 su “L’Espresso”. Strumentalizzazioni politiche ai limiti dello sciacallaggio. Una forsennata ricerca dei “colpevoli”, spesso sfociata in sparate razziste e bufale conclamate. Persino battutine. È lo spettacolo inscenato dalla nostra classe dirigente dopo ogni terremoto – o peggio, già durante i primi scossoni. Sindaci, onorevoli, presidenti del Consiglio, ma pure giornalisti, artisti e sismologi dell'ultimo minuto. Un fiume di dichiarazioni imbarazzanti che scorre da L'Aquila a Norcia, ineluttabile come la scoperta di cemento annacquato, e raccolto in questa antologia.

- La bufala della magnitudo falsata. «Il Tg1 apre dichiarando una scossa di 7.1 e poi la declassa a 6.1, ancora menzogne per interessi economici di governo!!! Anche il terremoto che ha distrutto L'Aquila fu "addomesticato" a 5.8... IL TUTTO PER NON RISARCIRE I DANNEGGIATI AL 100%». (Enza Blundo, senatrice M5s, su Facebook. Poi modificherà il post - 30 ottobre 2016)

- Sciacallaggio referendario. «A Roma due forti scosse di terremoto in due ore. Il Senato ha retto benissimo. Reggerà anche alla deforma di Renzi. #IoVotoNo». (Andrea Cioffi, senatore M5s, subito dopo le prime scosse di terremoto in Centro Italia. Tweet poi cancellato - 25 ottobre 2016)

- Prima gli italiani. «Terremoto, migliaia di italiani senza casa e senza lavoro. L'Italia smetta di mandare altri miliardi in Europa e di spenderne ancora per accogliere e mantenere clandestini, ogni euro sia destinato ai terremotati. Prima gli italiani». (Matteo Salvini, Lega Nord, su Facebook - 30 ottobre 2016)

- L'amico ottantenne. «Fermare le trivellazioni, il fracking e l'airgun nel mediterraneo perché stanno indebolendo la massa che blocca la faglia accelerando l'avvicinamento dell'Italia all'ex Jugoslavia provocando forti terremoti. Le sacche vuote di gas e petrolio alimentano questo processo, i petrolieri vanno fermati! Vi sembra verosimile questo ragionamento che mi faceva un conoscente ottantenne?». (Mario Conca, consigliere regionale M5s in Puglia, testuale su Facebook - 30 ottobre 2016)

- Le colpe del Papa. «TERREMOTI DEVASTANTI. IL PAPA INVECE DI ANDARE A OMAGGIARE LUTERO CONSACRI L'ITALIA SOTTO IL PATROCINIO DELLA MADONNA». (Tweet di Antonio Socci: scrive su Libero ed è direttore della Scuola superiore di giornalismo radiotelevisivo di Perugia - 30 ottobre 2016)

- È stato Renzi. «Non è il terremoto, è il Bomba che ne spara una dietro l'altra...». (Luciano Bucci, vicesindaco di Montevarchi (giunta di centrodestra), su Facebook - 25 ottobre 2016)

- Terra t'abbiamo violentata. «Terra mia è superfluo chiedertelo. Ma perché tremi? Se solo ti avessimo violentata di meno tu non ti ribelleresti così. Tu sei la nostra casa»...«(...) Qualcuno vuole negare che ci sia dietro la mano dell'uomo?». (Il cantante Marco Carta su Facebook - 25 ottobre 2016)

- I "ciabattanti". «Altro che accogliere i ciabattanti che sbarcano ogni giorno a Lampedusa. Quelli di Amatrice sono i nostri fratelli a cui portare rispetto. (...) È in corso una pulizia etnica, un tentativo di omicidio dei popoli europei a vantaggio dei clandestini. Mancano solo i gulag». (Matteo Salvini dal palco di Pontida - 18 settembre 2016)

- Differenze. «I clandestini trattati meglio degli sfollati!». (Paolo Arrigoni, senatore leghista, su Facebook - 4 settembre 2016)

- Il terremoto fa Pil. Bruno Vespa: «Il Friuli era povero, e con il terremoto è diventato ricco, un esempio meraviglioso. Incontrai un industriale davanti alle macerie della sua fabbrica, era felice. Scusi, perché è felice?, chiesi. "Perché adesso la rifaccio più bella". Ecco, l'ottimismo... Tra l'altro questa sarebbe una bella botta di ripresa dell'economia, pensi l'edilizia cosa potrebbe fare». Interviene il ministro Graziano Delrio: «Beh, adesso l'Aquila è il più grande cantiere d'Europa, e anche l'Emilia è un grandissimo cantiere in crescita. Farà Pil». (Porta a Porta - 25 agosto 2016)

- Ah, questi extra...«Ovvio che bisogna subito tirare fuori le persone dalle macerie, ma in contemporanea vanno piantate tendopoli nella zona colpita sperando che non le abbiano usate tutte per gli extracomunitari». (Guido Bertolaso, intervistato da Il Tempo - 25 agosto 2016)

- Il peccato delle unioni gay. «La tragedia del terremoto ci interroghi sui NOSTRI PECCATI e sull'ABOMINIO delle #UNIONICIVILI!». (Militia Christisu Twitter, cinguettio poi eliminato - 24 agosto 2016)

- Selfie. «Emergenza terremoto, prime immagini inviate da @SColaiuta, andato a portare aiuto». (Stefania Pezzopane, senatrice Pd: in allegato il selfie del fidanzato circondato da macerie - 24 agosto 2016)

- Se sei d'accordo condividi. «Il jackpot del Superenalotto alle popolazioni colpite dal terremoto! Se sei d'accordo condividi». (Federico d'Incà, onorevole M5s, su Facebook - 25 agosto 2015)

- Finti profughi. «Il governo trovi gli alloggi per i terremotati come ha fatto per i finti profughi». (Tony Iwobi, responsabile federale Dipartimento Sicurezza e Immigrazione della Lega Nord - 25 agosto 2015)

- Questione di karma. «Ma è stata inventata ad Amatrice la famosa amatriciana? Sì? E vabbè ma allora è il karma...». Poi la spiegazione: «Non sono stata io a scrivere, era già successo giorni prima che fossero entrati nel mio profilo»...«davvero pensate che avrei potuto essere così stupida?». (L'animalista Daniela Martani, ex hostess di Alitalia e concorrente del Gf, già candidata con i Verdi al Comune di Roma, su Facebook - 24 agosto 2016)

- Cattiva amministrazione. «230 morti solo ad Amatrice e questo significa che è il comune peggio amministrato per aver determinato persistenza di una edilizia mortale». (Carlo Taormina, avvocato ed ex parlamentare di Forza Italia, su Twitter - 5 agosto 2016)

- Tassare al top chi ospita "presunti profughi". «Aliquote Tasi e Imu al massimo per chi ospita presunti profughi in case o strutture di sua proprietà. Il gettito così prodotto lo destineremo a un fondo a disposizione dei terremotati». (Fabio Bergamini, sindaco leghista di Bondeno, comune ferrarese terremotato - 1 settembre 2015)

- Cosa vuoi, 7 miliardi di persone che camminano... il nucleare poi! «(...) La terra è anche popolata da 7 miliardi di persone che si muovono e questa potrebbe essere un'altra causa. Poi molti siti riportano notizie di esperimenti nucleari, chissà se c'è un fondo di verità... io credo che sia possibile. Parlano anche di una base di esperimenti oltre 1000 metri sotto l'Aquila». (Il cantante Povia, su Facebook, rispondendo ad un fan che gli chiedeva informazioni sulle reali cause dei terremoti - 21 gennaio 2014)

- Beppe Grillo ci si gioca le palle: gas!. «Io credo che il terremoto che ha colpito l'Emilia sia in parte anche colpa dei buchi che hanno fatto per cercare il gas a cinque mila metri. Mi ci gioco le palle». (Beppe Grillo, comizio a Sestri Levante - 22 maggio 2013)

- Ci sono pure dei poveri terremotati. «Crozza dice che il più povero della nostra lista possiede la Kamchatka? È pateticamente disinformato, la sua è una buffonata, noi in lista abbiamo anche terremotati poveri». (Mario Monti, durante "Zeta" su La7 - 27 gennaio 2013)

- Silvio il "Santo". «Dopo il terremoto ho fatto un miracolo, quando vado in Abruzzo mi trattano come un Santo». (Silvio Berlusconi, intervistato da Corriere.tv - 5 gennaio 2013)

- A chi sta peggio. «Uno scandalo che si diano gli ultimi soldi rimasti ai terremotati di Ferrara e Mantova, che hanno registrato danni neppure lontanamente assimilabili a quelli subiti dai comuni della Bassa Modenese». (Carlo Giovanardi, da senatore Pdl - 31 luglio 2012)

- E vabbè, diamo i soldi a 'sti terremotati. «Fra due mesi noi del Pdl siamo senza soldi! Non è cosa di buon senso, c'hanno tolto le risorse nell'anno in corso! I soldi andranno ai terremotati? E vabbè, diamo i soldi ai terremotati, ed io contemporaneamente devo mandare a casa entro la fine dell’anno la metà di quelli che ho assunto». (Maurizio Bianconi, da onorevole e tesoriere Pdl - 18 luglio 2012)

- Rivoluzioni. «Questa è una rivoluzione copernicana: si potranno prevedere i terremoti». (Domenico Scilipoti, da onorevole Pt, durante il convegno "Verso una rivoluzione energetica non inquinante", 4 luglio 2012)

- Se fosse successo al Sud. «Se il terremoto emiliano fosse avvenuto a sud sarebbero ancora lì a piagnucolare. È ormai acclarato che ci sono due diverse Italie, e noi con questa Italia di merda non vogliamo convivere». (Mario Borghezio, eurodeputato Lega Nord, dopo il terremoto emiliano - 31 maggio 2012)

- È la Padania che si stacca. «Terremoto nel Nord Italia... Ci scusiamo per i disagi, ma la Padania si sta staccando (la prossima volta faremo più piano)». (Stefano Venturi, segretario della Lega Nord a Rovato, su Facebook. Il dirigente poi si dimetterà - 20 maggio 2012)

- Abruzzo peso morto. «Questa parte del Paese non cambia mai, l'Abruzzo è un peso morto per noi, come tutto il Sud. Questo è sano realismo padano». (Mario Borghezio, intervistato da Klaus Davi - 10 gennaio 2011)

- E le donnine? «E le donnine dove sono? Non le vedo, vorrà dire che la prossima volta ve le porto io». (Il premier Silvio Berlusconi in visita al cantiere di Bazzano, rivolgendosi agli operai - 25 giugno 2009)

- Come in campeggio. Gli sfollati «hanno tutto quello di cui hanno bisogno. Hanno medicine, hanno pasti caldi... Naturalmente è una sistemazione provvisoria, dovrebbero consideralo come un fine settimana in campeggio». (Il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, in un'intervista alla televisione tedesca N-Tv - 9 aprile 2009)

Caso Parente, Sallusti: "Il mio amico precipitato nell'abisso della stupidità". Parente sui social: "Il crollo delle chiese però è divertente". Scoppia la polemica. Sallusti: "È precipitato negli abissi della stupidità", scrive Franco Grilli, Domenica 30/10/2016, su "Il Giornale".  Bufera sullo scrittore e collaboratore del Giornale Massimiliano Parente. Al centro delle polemiche un post su Facebook (poi cancellato) che recita così: "Il crollo delle chiese però è divertente". E sotto al commento l'immagine di una basilica devastata dal terremoto di oggi. Lo sdegno per quanto scritto dallo scrittore è stato unanime. "Con le chiese crolla anche un pezzo di noi - ha commentato su Twitter il direttore del Giornale, Alessandro Sallusti - il mio amico Massimiliano Parente è addirittura precipitato negli abissi della stupidità". Alle 7.41 di stamani la terra ha tremato per diversi secondi: l’epicentro della nuova scossa è stato individuato in Umbria nella zona di Norcia, Castel Sant'Angelo e Preci, ad una profondità di circa 10 chilometri. A stretto giro è arrivato il post di Parente che ha scatenato un putiferio sui social network. L'autore di "Il più grande artista del mondo dopo Adolf Hitler" e "L'inumano" ha, infatti, pubblicato l'immagine di una chiesa completamente distrutta dal terremoto e l'ha accompagnata dal commento: "Il crollo delle chiese però è divertente". Da Twitter a Facebook si è subito levato uno sdegno unanime. Molti utenti hanno invitato a boicottare lo scrittore con un mailbombing all'indirizzo della Mondadori che edita i suoi romanzi. Qualche ora più tardi, mentre infuriavano le proteste sui social network, Parente ha rincarato la dose gettando altra benzina sul fuoco. "Cristiani - ha scritto - non offendete il vostro dio parlando male dei terremoti". Poi ancora: "Anziché mandarmi messaggi di morte prendetevi i profughi in casa". E infine: "Chiedo scusa a tutti i cristiani che se la sono presa con me e non con Dio che nella Bibbia manda catastrofi molto peggiori". Quindi, ha cancellato il primo post che ha fatto scatenare le polemiche. "Con le chiese crolla anche un pezzo di noi - ha commentato Sallusti su Twitter - il mio amico Massimiliano Parente è addirittura precipitato negli abissi della stupidità".

Clamorosa gaffe della Iena Giarrusso: "È il terremoto o il quarto gol del Porto". Un post che voleva essere ironico e che è immediatamente suonato stonato. Dino Giarruso a poche ore dal sisma ironizza sulla sconfitta della Roma e sul terremoto che ha colpito il Centro Italia, scrive Rachele Nenzi, Mercoledì 24/08/2016, su "Il Giornale". Il terremoto ha colpito da poche ore il Centro Italia quando l'inviato de Le Iene Dino Giarruso pubblica su Facebook un post di poco gusto. Parole che hanno letteralmente fatto infuriare e indignare il web. Nel luoghi colpiti dal sisma si scava ancora, decine di morti e di dispersi. Ma qualcuno fa dell'ironia. E quel qualcuno è un volto del programma televisivo Le Iene. Sul suo profilo personale, Dino Giarruso pubblica un post "ironico" a poche ore dalla tragedia. Su Facebook si legge: "Ma è stata una scossa di terremoto, o il quarto gol del Porto", facendo riferimento alla partita di calcio valida per le qualificazione alla Champions League 2016 tra Roma e Porto, terminata 3 a 0 per i portoghesi. (Clicca qui per vedere il post della iena). Da subito sono piovute critiche e insulti, che hanno spinto il giornalista a cancellare il commento, scusandosi successivamente con un altro post in cui scrive: "Sono a Catania, e stanotte proprio prima di andare a dormire parlavo al telefono con una persona -persona che stava a Roma- che mi ha detto d'aver sentito una scossa di terremoto. Per questo ho fatto una battuta qui su Facebook (ironizzavo sulla sconfitta della Roma) e ho staccato il telefono per dormire. Naturalmente non immaginavo nemmeno vagamente ci fosse stata una tragedia. Quindi chiedo umilmente scusa a chiunque si sia potuto sentire offeso dalle mie parole, inconsapevoli vi assicuro. Ho cancellato quella battuta come è giusto che facessi."

Antonio Socci, dopo il terremoto attacco devastante al Papa: "Ecco cosa devi fare, ma tanto tu...", scrive “Libero Quotidiano” il 30 ottobre 2016". Invece di andare a rendere omaggio a Lutero, il Papa dovrebbe consacrare l'Italia mettendola sotto il patrocinio della Madonna". È il drammatico appello di Antonio Socci pochi minuti dopo il nuovo, devastante terremoto di magnitudo 6.5 che alle 7.40 ha colpito l'Italia centrale, tra Marche e Umbria. "La terra di San Benedetto e di San Francesco cuore dell'Europa cristiana", ricorda il cattolico Socci, che polemizza con Francesco: "Invece di andare a rendere omaggio a Lutero, che ha distrutto la cristianità", spiega su Facebook, dovrebbe fare qualcosa di cristiano. "Insieme bisogna pregare, pregare, pregare. Ma lui non crede a queste cose cattoliche...".

Israele, viceministro shock: "Terremoto punizione per astensione Italia su risoluzione Unesco". Bufera per le parole del numero 2 della Cooperazione, Ayooub Kara, in Italia nei giorni del sisma. Il nostro Paese si era astenuto alla votazione su Gerusalemme, una decisione criticata anche dall'Unione delle comunità ebraiche italiane. Le scuse di Israele, scrive il 28 ottobre 2016 su “La Repubblica”. Il Terremoto? Una punizione divina all'Italia per essersi astenuta alla votazione dell'Unesco sulla Città Vecchia di Gerusalemme che, a giudizio di Israele e delle comunità ebraiche del mondo, ha negato i legami millenari di Israele con l'ebraismo. È bufera sulle parole del viceministro della Cooperazione regionale di Israele, Ayooub Kara (del Likud, il partito del premier Benyamin Netanyahu) in missione in questi giorni in Vaticano proprio sulla vicenda delle votazioni all'Unesco, e in Italia quando le Marche e l'Umbria sono state colpite dalle nuove devastanti scosse. L'ambasciata israeliana a Roma ha preso le distanze: "Le parole attribuite al vice ministro Kara non rappresentano assolutamente la posizione dello Stato di Israele e del ministero degli Esteri. Ci sarà un controllo sulla vicenda. Israele ha massima considerazione delle sue importanti e amichevoli relazioni con l'Italia ed è vicino al governo e al popolo italiano per i tragici terremoti". Alla vigilia della visita del presidente della Repubblica Sergio Mattarella nella regione, tra Italia e Israele rischia così di riaccendersi una polemica che sembrava ormai chiusa. "Fossero confermate le parole che riferisce il sito israeliano Ynet su quanto detto dal vice ministro israeliano - afferma dalla maggioranza Emanuele Fiano del Pd - Netanyahu dovrebbe chiedere le sue dimissioni immediate per indegnità e chiedere scusa agli italiani tutti. Se vere, sono parole vergognose e inaccettabili". "Il vice ministro Kara dimostra quali danni possa fare al suo paese un fanatico che parla come un fondamentalista di opposto segno religioso", è invece la condanna di Fabrizio Cicchitto (Ncd), presidente della Commissione Esteri della Camera, che definisce "demenziali e inqualificabili" le dichiarazioni dell'esponente di governo israeliano. "Il governo israeliano si scusi con l'italia per le scemenze dette oggi da un suo rappresentante. Se un uomo di governo pensa che un terremoto sia una punizione di dio, si faccia visitare da uno bravo", commenta Arturo Scotto, capogruppo di Sinistra italiana. Le scuse di Israele. "Condanniamo le parole del viceministro Ayoub Kara. Sono inappropriate e non dovevano essere pronunciate. Il viceministro si è scusato per questo e ci associamo a queste scuse". Lo ha detto il giorno dopo, il portavoce del ministero degli affari esteri israeliano Emmanuel Nahshon, durante lo shabbat. Il premier Benyamin Netanyahu affronterà l'argomento direttamente con Kara al più presto possibile. L'astensione dell'Italia all'Unesco era stata attaccata con forza dall'Unione delle Comunità ebraiche italiane (Ucei) e criticata in seguito dallo stesso premier Matteo Renzi, che l'aveva definita "allucinante", portando il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni ad annunciare un cambio di indirizzo italiano nelle prossime votazioni. Prima delle parole di stasera, pace era stata fatta con Netanyahu, che anzi aveva lodato la reazione italiana e di Renzi in particolare. Kara ha raccontato di aver avvertito proprio mentre si trovava in Vaticano la scossa che ha messo in ginocchio per la seconda volta l'Italia centrale. "Passare attraverso un terremoto non è stata la più piacevole delle esperienze, ma - ha detto Kara secondo quanto riferito dal sito Ynet - abbiamo avuto fiducia che la Santa Sede ci avrebbe tenuto al riparo. Sono certo che il terremoto - ha affermato - sia avvenuto a causa della decisione Unesco, che il Papa ha fortemente disapprovato". Per Kara, Francesco "ha anche detto che la Terrasanta è legata alla Nazione di Israele". Druso israeliano, politico di lungo corso, ritenuto un 'falco', Kara non è nuovo ad uscite controverse. Quando Ariel Sharon decise di abbandonare Gaza e di far uscire gli israeliani dalla Striscia abbandonando gli insediamenti, Kara sostenne che non dovevano essere impiegati soldati di origine drusa perché erano contrari al disimpegno. Stessa opposizione la dimostrò contro il ritiro di Israele dal Libano. Nemico giurato dell'Iran e sostenitore di un attacco militare da parte di Israele contro Teheran, Kara ha detto più volte che Israele non può fare la pace con i palestinesi perché "non c'è nessuno con cui fare la pace".

Il delirio del sito islamista: "Il sisma punizione di Allah". "Sì all'Islam in Italia" è seguito da 43mila persone: "Un segno per convertire i peccatori". E fioccano le adesioni, scrive Paolo Bracalini, Venerdì 26/08/2016, su "Il Giornale".  Non c'è solo la spiegazione scientifica dei sismologi e dei geologi, c'è anche l'interpretazione islamica sulle vere ragioni del terremoto che ha devastato il centro Italia. La teoria arriva da un sito di musulmani residenti in Italia, «Sì all'Islam in Italia», che conta più di 43mila seguaci su Facebook. «Indubbiamente i terremoti che stanno accadendo in questi giorni sono tra i segni che Allah usa per spaventare i Suoi servi - si legge -. I terremoti e tutte le altre cose che accadono e che provocano danni e ferite alle persone sono a causa dello Shirk (l'idolatria, la falsa fede, ndr) e dei peccati, come Allah dice: Qualunque sventura vi colpisca, sarà conseguenza di quello che avranno fatto le vostre mani». La distruzione causata dal sisma non è casuale, né un evento solamente naturale, dietro ci sono la volontà di Allah e le colpe dei peccatori infedeli. Il post viene condiviso da centinaia di persone: Ibrahim residente a Milano, Mohammed che vive a Parma, Hamza che invece lavora a Padenghe sul Garda, Mehdi di Bergamo e molti altri. Il terremoto come punizione di Allah del resto trova riscontri in diverse sure del Corano, citate dal sito islamista a conforto della propria spiegazione. Una (Al-A'rf, 96) dice: «Se gli abitanti di queste città avessero creduto e avessero avuto timor di Allah, avremmo diffuso su di loro le benedizioni dal cielo e dalla terra. Invece tacciarono di menzogna e li colpimmo per ciò che avevano fatto». Un'altra ancora (Al-Ankabt, 40): «Ognuno colpimmo per il suo peccato: contro alcuni mandammo ciclone, altri furono trafitti dal Grido, altri facemmo inghiottire dalla terra e altri annegammo. Allah non fece loro torto: furono essi a far torto a loro stessi». Il concetto è chiaro anche se non viene detto in modo esplicito dal sito: chi è morto sotto le macerie si era macchiato di un grave peccato, non credere in Allah, e quindi se l'è cercata. Il sito «Sì all'Islam in Italia» cita a riprova un commentatore coranico del XIV secolo: «A volte Allah dà alla terra il permesso di respirare, il che avviene quando accadono forti terremoti; questo fa si che le persone si sentano spaventate, così si pentono, abbandonano i peccati, pregano Allah e provano rammarico per i loro peccati». La soluzione per evitare le catastrofi come quella che ha raso al suolo Amatrice e altri paesi del centro Italia, più che costruire abitazioni antisismiche, è la conversione all'islam: «Quello che devono fare i Musulmani e gli altri che sono responsabili e sani di mente, è di pentirsi ad Allah, aderire fermamente alla Sua Religione ed evitare tutto ciò che Egli ha proibito, in modo che possano essere indenni e raggiungere la salvezza da tutti i mali di questo mondo e dell'Altro: è così che Allah allontanerà da loro ogni male, e li benedirà con ogni bene». Nei commenti alla pagina Facebook, oltre ai ringraziamenti ad Allah «che ci fa vedere questi segni», c'è chi fa notare che tra i morti ci potrebbe essere anche qualche italiano di fede musulmana. Risposta degli amministratori (ignoti) del sito islamista: «L'articolo parla in generale. Si riferisce ai musulmani e ai non musulmani». Il sito (che come immagine profilo ha una cartina dove il nome «Israele» è barrato e al suo posto compare «Palestina») avvisa anche che «la Moschea di Rieti ha offerto immediata accoglienza e supporto logistico ai terremotati», mentre «Islamic Relief Italia sta già operando in coordinamento con la Protezione Civile, per far affluire prontamente i primi soccorsi». La spiegazione religiosa al terremoto non è peraltro prerogativa islamica. Anche «Militia Christi» si avventura in un'interpretazione altrettanto sconcertante, con un tweet («La tragedia del terremoto ci interroghi sui nostri peccati e sull'abominio delle unioni civili») poi cancellato e goffamente smentito. Mentre il post sul terremoto come castigo di Allah resta lì, senza che Facebook (inflessibile sui contenuti politicamente scorretti) intervenga.

Ed a proposito di Islam. Sul terremoto che ha straziato l'Italia prende la parola anche il presentatore Claudio Lippi. E' indignato, e le sue parole vengono riportate da Lettera43 (mentre il suo profilo Twitter risulta non accessibile). Lippi si riferisce alla diversità di trattamento tra i terremotati italiani delle zone di Rieti e gli immigrati: "Mettiamo 50 immigrati a Capalbio e i terremotati in una palestra? Non ho parole". 

Terremotati in tendopoli, immigrati in hotel: perché gli italiani s'infuriano, scrive di Fabio Rubini il 26 agosto 2016 su “Libero Quotidiano”. Prima le lacrime e l'incredulità di fronte alle immagini che rimbalzavano dalle tv ai social e viceversa. Poi, piano piano, tra politici e la gente comune s'è fatto strada un dubbio: ma se ai clandestini lo Stato riserva alberghi con wi-fi e tv al plasma, perché ai terremotati italiani dovrebbero toccare tende e unità abitative di lamiera? È stato un attimo, la rete anche questa volta, è stata veicolo imbattibile e inarrestabile e così il tam tam è partito. Corroborato anche dalle notizie come quella apparsa sul sito dell'Huffington Post, secondo cui: «I terremotati dovranno stare nelle tende almeno fino alla fine di settembre, poi si vedrà». Qualcuno, come il direttore del Tg di La7 Enrico Mentana, non l'ha presa bene e ha polemizzato su quelli che facevano polemica: «è evidente che non gli interessa né degli uni né degli altri. Vogliono solo contribuire a loro modo, versando bile», scatenando un dibattito sulla sua pagina Facebook tra quelli che erano d'accordo con lui e quelli che, più o meno velatamente, lo accusavano di non stare dalla parte degli italiani. A rinfocolare le polemiche ci ha pensato anche l'ex capo della Protezione Civile, Guido Bertolaso, che con una lettera inviata al Tempo spiega: «Conosco bene quella gente, nessuno vorrà andarsene lontano dai loro paesi, vanno trattati come cittadini di serie A con priorità assoluta» quindi «vanno piantate tendopoli nella zona colpita sperando che non le abbiano usate tutte per gli extracomunitari». Poi c'è il parroco di Boissano (Savona), don Cesare Donati, che in disaccordo con Bertolaso spiega: «Adesso è il momento, vista la tragedia del terremoto, di mettere gli sfollati nelle strutture e i migranti sotto le tende», raccogliendo anche il placet del leader della Lega Matteo Salvini: «Questo parroco non ha per niente torto». Il picco, però, è stato raggiunto a Milano. Il governatore della Lombardia, Roberto Maroni, rilascia una dichiarazione per mettere a disposizione il campo base di Expo sia «per ospitare in questi primi giorni i terremotati» sia «per inviare i moduli abitativi nelle zone terremotate». E annuncia che «l'assessore Bordonali è già in contatto con la protezione civile» ben contenta dell'aiuto ricevuto. Tanto più che quel campo andrebbe comunque dismesso, per restituire l'area al vicino comune di Rho. Quindi la Regione e la società Expo Spa potrebbero in un sol colpo aiutare i terremotati e velocizzare lo smantellamento del Campo Base. Sulla vicenda, però, è entrato a gamba tesa il neo sindaco di Milano, il piddino Beppe Sala, ancora scottato dal «no» che lo stesso Maroni aveva posto alla sua richiesta di trasformare il Campo base di Expo in un campo profughi. Così, pensando di interpretare il pensiero del governatore come un dietrofront «opportunistico», lo ha accusato a testa bassa: «Questo terremoto è un dramma da non strumentalizzare - sbotta il sindaco -. La proposta di Maroni di utilizzare il campo base o i suoi moduli per gli sfollati del terribile terremoto sembra una delle tante dichiarazioni politiche che la Regione non ci fa mai mancare. Questa volta tentando anche una strumentalizzazione su una tragedia come quella che ha colpito il centro Italia». Un commento border line, come subito dopo gli fa notare lo stesso Maroni: «Sono sorpreso dalle dichiarazioni del sindaco Sala. In un momento così drammatico dobbiamo lasciare da parte le polemiche e fare ogni sforzo per aiutare chi è stato colpito dal terremoto - ribadisce Maroni -. Questo è il senso della mia proposta di mettere a disposizione il campo base Expo. Proposta che, per altro, è stata condivisa dalla Protezione civile nazionale. Intendo quindi procedere rapidamente in questa direzione per portare aiuto concreto a chi ha subito questa immane tragedia». Con buona pace di Sala e del Pd. Fabio Rubini.

Vittorio Feltri il 27 agosto 2016 su “Libero Quotidiano”, la verità amara sul terremoto: "Perché pensano ai morti, ignorano i vivi". Di solito succede questo: le grandi tragedie nazionali mobilitano i mezzi di comunicazione, che per qualche giorno non fanno altro che parlarne in tutte le salse fino alla saturazione. Le maratone televisive, che riprendono da ogni angolazione i danni provocati dal terremoto, durano meno di una settimana, sempre le stesse, i soliti cumuli di pietre, mani nude che scavano, cadaveri, gente disperata, lacrime. D'altronde che altro potrebbero fare i giornalisti se non raccontare ciò che hanno sotto gli occhi? Ma la ripetitività a lungo andare spegne le emozioni che si tramutano in noia. Tra un po' i riflettori si trasferiranno dall’Umbria, dalle Marche e dal Lazio in altri luoghi e anche l'ultima sciagura sarà archiviata, salvo tornare a bomba quando si scoprirà che qualche malfattore, approfittando del dolore altrui, avrà trovato il modo di arricchirsi: appalti, stecche, prezzi gonfiati. C'è una regola che non muta mai: le disgrazie sono occasioni d'oro per chi non ha scrupoli. L'esperienza ci ha istruiti. Cosicché alla fine di settembre saranno pochi, oltre ai terremotati, a ricordarsi del flagello che ha martoriato il Centro Italia. Compariranno qua e là notizie riguardanti la ricostruzione, che tarderà a cominciare, il recupero dei capitali necessari a finanziare le opere, le beghe tra le imprese che cercheranno di accaparrarsi gli appalti. Nulla di appassionante. E le nostre coscienze si quieteranno. Ecco quanto è sempre successo e succederà ancora. Le brutte abitudini sono le più resistenti. Personalmente, in veste di cronista ho seguito parecchie calamità: il sisma che distrusse il Friuli nel 1976, quello che sbriciolò l'Irpinia nel 1980, quello di Perugia e dintorni nel 1997 e, assai recente, quello che ha violentato l'Emilia. L'indomani di ogni catastrofe si è assistito alle medesime immancabili scene e si sono uditi i medesimi discorsi improntati a buone intenzioni, a prescindere dal colore del governo in carica: faremo, brigheremo, ci impegneremo affinché le prossime scosse non ci colgano impreparati. Parole, parole, soltanto parole. Esportiamo in vari Paesi le nostre tecnologie da applicarsi agli edifici al fine di renderli sicuri, ma non le applichiamo in Patria. Siamo bravi nella cura di ogni territorio tranne quello che calpestiamo. Perché? Si possono avanzare soltanto ipotesi: non siamo capaci di organizzarci, abbiamo una classe politica scucita e perennemente in polemica con se stessa. Risultato, anziché fare, discutiamo. Si pensi che non abbiamo ancora un piano per le zone attualmente disastrate. Le istituzioni, la Boldrini in testa, si dannano per ottenere esequie collettive per le vittime. Sono più preoccupate dei morti che dei vivi. Spendono molti quattrini per i profughi e lesinano aiuti per i nostri connazionali bisognosi. Insomma, questa è la situazione e non promette niente di buono. C'è il timore che i terremotati siano costretti a stare in tenda mesi, mentre gli extracomunitari si crogioleranno in belle camere d'albergo, ben pasciuti, nutriti e riveriti. L'accoglienza e la solidarietà sono solo per individui di importazione. Vittorio Feltri.

LO STATO CRIMINALE. Lo sfregio dello Stato ai terremotati. Profughi e sfollati: chi riceve di più, scrive Roberta Catania, il 27 agosto 2016 su “Libero Quotidiano”. Ci sono oltre 5mila immigrati che dormono in hotel o in confortevoli appartamenti nel raggio di 150 chilometri dalle cittadine distrutte dal terremoto del 23 agosto scorso, mentre 2.500 sfollati italiani abitano nelle tende messe in piedi nei campi vicini alle macerie di Amatrice, Accumoli e Pescara del Tronto, tra l'alto Lazio e le Marche. Nessuno di questi 5mila stranieri vive in quei casermoni conosciuti con i nomi di Cie o Cara, dove comunque vengono ospitati migliaia di clandestini. Questi numeri si riferiscono esclusivamente al progetto Sprar (Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati), un programma finanziato dal Ministero dell'Interno tramite il Fondo Nazionale per le Politiche e i Servizi dell'Asilo e che prevede l'accoglienza e la tutela dei richiedenti asilo, dei rifugiati e dei migranti che sono soggetti ad altre forme di protezione. In questi casi, le 2.545 strutture messe a disposizione in tutta Italia sono di tre tipologie: l'82% sono appartamenti, poi ci sono alberghi (12%) e infine le comunità di alloggio, per lo più destinate ai minori, appena il 6%. Dati riferiti al 2015 e attuali fino all' aprile scorso, quando il Viminale ha diffuso l'ultimo report. Così, mentre gli immigrati, divisi in base all' età, alle parentele e ad altre necessità, hanno cucine, un bagno normale e il riscaldamento d' inverno, i 2.500 sfollati che dormono nelle tende provano ad arrangiarsi. Per ora lo fanno e va bene così, anche perché la maggior parte vuole rimanere vicino a quello che gli è rimasto della loro casa e nessuno, a così pochi giorni dai crolli, dormirebbe in una struttura dove, al primo scricchiolio, sarebbe assalito per il terrore di sentire di nuovo le macerie crollargli addosso. Ma tra qualche settimana, quando arriveranno le prime piogge e poi la neve, anche i più legati al territorio inizieranno a sognare un letto caldo, una cucina dove sia possibile preparare una minestra calda e un bagno dove lavarsi senza soffrire temperature glaciali. Qualcuno, già ora, ammette di temere l'arrivo del freddo. Alessandro, 67 anni, sfollato da Amatrice insieme alla moglie e al cagnolino, oggi vive in una tenda al campo di Sant' Angelo. Raggiunto dalle telecamere, l'uomo ha spiegato di avere «non avere paura di rimanere nella tenda per troppo tempo», ma di aver «paura dell'inverno, che», ha sottolineato, «è qui alle porte». Nessuno ha ancora pensato, invece, a ciò che sarà nei prossimi anni. Giustamente questi sono i giorni del lutto per chi ha perso i propri cari e dello choc per chi è sopravvissuto guardando la morte in faccia. Eppure, quasi come un amaro presagio, quattro giorni prima del terremoto tra Amatrice e Pescara del Tronto, un uomo sopravvissuto nove anni fa al sisma dell'Aquila, ha fatto i conti con la dura realtà delle istituzioni, che spente le telecamere ridimensionano anche il sostegno morale e - soprattutto - economico. Quello sfollato dell'aprile 2009, il 18 agosto scorso era salito su un cornicione al secondo piano di una palazzina del progetto Case di Cese di Preturo, in provincia dell'Aquila, minacciando di gettarsi a causa delle maxi bollette che stanno arrivando in questi giorni agli inquilini degli alloggi costruiti per gli sfollati dopo il terremoto e per la chiusura dell'acqua calda da parte del Comune nei confronti dei morosi. L' unico riuscito a far desistere l'uomo è stato il sindaco, Massimo Cialente, che evidentemente ha promesso uno sconto o la rateizzazione. Fatto sta che le collette e le donazioni a un certo punto finiscono e queste persone si trovano a far il conto con le spese di tutti i giorni, senza avere più un'attività o i risparmi di una vita. Il premier Matteo Renzi non ha tardato a stanziare i primi soldi per aiutare i terremotati: 50 milioni di euro sono già stati destinati ad Amatrice e le altre località colpite dal sisma di martedì notte. Però per i 5.845 immigrati ospitati negli alberghi e negli appartamenti del progetto Sprar tra le Marche, il Lazio, l'Umbria e l'Abruzzo, intorno cioè ai luoghi sbriciolati dalla scossa, sono stati spesi quasi 75 milioni solo nel 2015. A voler fare i conti in difetto, si tratta di 204.575 euro al giorno, senza cioè considerare che gestire i minori costa di più. E l'anno scorso, per le 21.613 persone ospitate in tutta Italia nel progetto Sprar il conto è stato salato: 276 milioni e 106mila euro. Troppo in confronto a quei 50 milioni. Roberta Catania

TERREMOTO E SOCIAL NETWORK.

"Tende no! Alberghi per gli sfollati", il tweet di Rita Pavone infiamma il web, scrive "L'Adnkronos.com" il 26/08/2016. "Tende no! Se ospitiamo in albergo coloro che accogliamo quotidianamente, a maggior ragione lo si faccia per i nostri connazionali terremotati". Con un tweet Rita Pavone scatena la polemica sul web parlando dell'assistenza agli sfollati, dopo il sisma. "Una volta che sono nelle tendopoli o nei containers, si rischia di veder passare anni prima che diano a questa gente una casa" aggiunge. Ma la 'Gian Burrasca' della canzone italiana, 71 anni appena compiuti, non si ferma: "Di cose ne ho viste. Si sono salvati solo in Friuli perché la gente del posto si è tirata su le maniche e ha fatto da sé". Per poi addolcirsi un po' per lasciarsi andare all'amarezza di chi come un po' tutti si sente impotente di fronte a questa tragedia. "In momenti come questi, le parole sono inutili - twitta con l'hashtag #terremoto -. Che il Signore ascolti le nostre preghiere".

Rita Pavone, sottoposta ad un linciaggio morale su Twitter, minaccia di lasciare il social, scrive Manuela Valletti il 31 agosto 2016. Twitter non perdona: lo ha capito Rita Pavone, sommersa da feroci commenti per aver preso le parti dei terremotati. Rita Pavone dà battaglia sui social per i terremotati. #Rita Pavone si è arrabbiata moltissimo per la reazione negativa che ha suscitato un suo post su Twitter: preoccupata per la sorte dei terremotati rimasti senza casa, ha scritto sul social questa frase:"Tende no! Se ospitiamo in albergo coloro che accogliamo quotidianamente, a maggior ragione lo si faccia per i terremotati". Non l'avesse mai fatto! È stata tacciata di razzismo, di fascismo, di essere una fomentatrice delle masse e via di questo passo. La cantante ha tentato di spiegare con pacatezza il suo pensiero, dicendo che i terremotati nei containers ci rimangono per anni, e che di esempi di questo genere ne abbiamo avuti in tutti i terremoti fino ad ora verificatisi in Italia, ad esclusione di quello del Friuli, dove la gente del luogo non ha aspettato la politica, ma si è tirata su le maniche e ha ricostruito. Non c'è stato nulla da fare: le polemiche non si sono placate, e Rita era addirittura intenzionata a chiudere il suo account. Convinta di non essere né razzista né fascista, la Pavone è migrata su #facebookdove, senza demordere, ha provato a raccontare che cosa le era accaduto su Twitter, chiedendo ai suoi nuovi interlocutori se, secondo loro, aveva detto qualcosa di poco opportuno o di offensivo. Si è sfogata affermando che voleva solo difendere i suoi connazionali perché, anche se ora vive in Svizzera, si sente sempre italiana e poi ha tutti i diritti di dire la sua opinione, visto che in Italia paga regolarmente le tasse. Insomma, su Facebook Rita si è tolta qualche sassolino dalle scarpe e ha tacciato i frequentatori di Twitter di intolleranza, visto che non le hanno permesso di argomentare le sue ragioni e l'hanno anche apostrofata in modo offensivo, dicendole che era "solo una cantante" e quindi non all'altezza di intervenire in un dibattito così importante. Da Facebook è inaspettatamente arrivato un sostegno totale e uno sprone a non mollare. Per questo motivo Rita, anche se amareggiata, ha deciso di rimanere su Twitter. Diversi fans le hanno scritto che Twitter è molto snob e che lì, più che su altri social, vige il pensiero unico, quello dei cantanti "guru" che quando esprimono un concetto diventa vangelo. La Pavone, rinfrancata dall'affetto e dal sostegno dei suoi ammiratori, ha deciso di andare avanti con il dibattito per battere la meschinità di certe persone: ha ripreso il portatile e si è detta pronta a dare battaglia, anche se il campo questa volta non è "Ballando con le Stelle", ma il quotidiano di tanta gente che merita anche il suo aiuto. 

Direttamente dalla pagina Facebook ufficiale di Rita Pavone: Ieri ho scoperto che i social sono molto poco...social. Ho bloccato così tanta gente che neppure l’ascensore rotto di un grattacielo…E sapete da cosa è nato il tutto? Da questo mio semplice twitter: “Tende no! Se ospitiamo in albergo coloro che accogliamo quotidianamente, a maggior ragione lo si faccia per i nostri connazionali terremotati”. Ho detto qualcosa di poco opportuno? Ho detto qualcosa di blasfemo? Ho detto qualcosa di offensivo? Beh… Eppure qui si è scatenato l’inferno…! Mi sono beccata di tutto: da fascista, a schifosa razzista, a fomentatrice di razzismo… Un delirio! Parrebbe un paradosso visto che difendevo i MIEI di connazionali – dico MIEI perché, per chi non lo sapesse, io ho un doppio passaporto, Svizzero e Italiano, ed essendo di origini italiane, cosa di cui vado fiera! è ovvio che ci tenga molto alla mia gente e al mio Paese, dove, tra l’altro, voto pure. Inoltre, pur abitando da quasi 50 anni in Svizzera, pago regolarmente anche in Italia fior di tasse: il 30% alla Fonte! Quindi, vedete, ho tutte le carte in regola per poter dire il mio pensiero senza venire azzannata da idioti somari. Sapete perché ho scritto quel tw? Perché in casi di cataclismi, si parla sempre di tendopoli o di containers che dovrebbero servire SOLO ed esclusivamente per l’emergenza. Ma poi una volta che il momento emotivo è passato, che non si contano più i morti, che non si fanno più servizi televisivi sui superstiti e che quindi del terremoto non se ne parla più, ecco che le tendopoli e i containers rimangono ma delle case da ricostruire neanche l’ombra. Così come le donazioni che vengono fatte dalla gente e di cui poi non si sa più nulla…Ho lavorato anni addietro nel Belice, e lì c’è gente che, 48 anni dopo (48 sic) vive ancora nei containers in attesa di una casa. Alla faccia dello stato di emergenza! Stessa cosa vale per l’Aquila…Cosa hanno ricostruito sino ad oggi? Niente! E sarà così, statene pur certi, anche negli anni a venire…Si sono salvati solo i terremotati dell’Emilia Romagna e del Friuli, poiché la loro gente si è tirata su le maniche e hanno ricostruito tutto da soli. Se aspettavano che lo facesse lo Stato…campa cavallo che l’erba cresce…. E’ vero che la gente teme gli sciacalli, i quali, una volta presi con le mani nel sacco dovrebbero essere buttati in una cella e gettata via la chiave per sempre ! e quindi preferirebbero non abbandonare mai le proprie case per non vedersi derubare del tutto, ma basterebbe una buona e stretta sorveglianza e questa povera gente non si vedrebbe costretta a stare all’addiaccio di notte ma potrebbe riposare in un comodo letto come fanno coloro che ospitiamo e che NON sono tutti in fuga da paesi in guerra, come ci vogliono far credere, ma, la maggior parte di loro, vengono da noi per trovare una situazione economica più favorevole. E in questo io non ci trovo assolutamente nulla di male. Detto ciò, sentirsi però poi dare dell’idiota e del “canta che è meglio”, che ho la … “pappa” nel cervello ecc.ecc, credo non faccia piacere a nessuno. O addirittura leggere “Si vergogni! Qui vengono fuori le sue vere origini …” come se io provenissi da una famiglia di ladri. Delle mie origini, gente, io vado fiera! Sono figlia di un operaio della Fiat, gran lavoratore, e di una casalinga…Sono la terza di 4 figli, e a 12 anni già lavoravo. In nero !!! A questi poveri schizzati, drogati nel cervello e fusi nell’anima, ho risposto: “Lavatevi la bocca, gentaglia. E quando avrete fatto quello che ho fatto io, per me stessa e da sola, solo allora forse potrete parlare!” Adesso avrete capito perché avevo deciso di chiudere il mio tw. Ma voi, Amici miei, con il vostro affetto e con i vostri bellissimi messaggi, mi avete indicato che non bisogna mai gettare la spugna. Soprattutto davanti alle meschinità e alla malvagità di certe persone. Allora ho rimesso i piedi per terra e mi sono rialzata, e adesso, credetemi, sono più combattiva che mai. GRAZIE !!

Rita Pavone, la zanzara: dal buonismo alla responsabilità, scrive Edoardo Varini su “L’Inkiesta” il 31 Agosto 2016. Desta scalpore il tweet di Rita Pavone sull'ospitare anche i terremotati – come gli immigrati – negli alberghi. Testualmente: «Tende no! Se ospitiamo in albergo coloro che accogliamo quotidianamente, a maggior ragione lo si faccia per i nostri connazionali terremotati». Il ragionamento non fa una grinza. Ma il problema è che ad essere terremotate, prima ancora delle aree colpite dal sisma, sono le teste dei nostri governanti e di tutti coloro che credono sia ancora una cosa up to date, emancipata, che "fa figo" ostentare la convinzione che gli uomini di colore sono alla nostra stregua. Che se solo lo devi ostentare, perdonatemi, è perché non lo pensi. È perché hai la coscienza sporca. Una frase di una tale lucidità non l'ha detta un accademico, un politico, un giornalista di fama, no, l'ha detta Rita Pavone, "Rita la zanzara", come dal titolo del film che la vede protagonista e che echeggia una testata studentesca del milanese Liceo Parini, sequestrata per oscenità pochi mesi prima dell'uscita del film. Tra i collaboratori del giornale da 50 lire a copia vi erano futuri giornalisti quali Walter Tobagi e Vittorio Zucconi, gente che sin da giovane con l'informazione ci sapeva fare. I soli che non lo compravano, il giornale, erano quelli di "Gioventù studentesca": da immaginarselo, la futura "Comunione e liberazione". Il testo incriminato era un'inchiesta sulla sessualità giovanile, dove si leggevano frasi per l'epoca intollerabilmente eversive quali: «Se potessi usare gli anticoncezionali non mi porrei limiti nei rapporti prematrimoniali», detto da una studentessa. Figuriamoci! Non è la prima volta che il nome di Rita Pavone si accosta a un capovolgimento del modo di pensare: allora, dal moralismo al Sessantotto. Oggi dal buonismo alla responsabilità.

Commentare le notizie senza leggerle, quando Facebook è lo specchio dell’Italia di oggi. Cosa succede quando un gesto di disperazione (non) è di un lavoratore italiano, scrive Emanuele Capone il 29/07/2016 su "La Stampa". Ripubblichiamo l’articolo comparso su Il Secolo XIX che ricostruisce la vicenda dei commenti all’articolo pubblicato il 28 luglio sull’edizione online. Ieri mattina abbiamo pubblicato sulla pagina Facebook del Secolo XIX la notizia dell’uomo di 38 anni che ha cercato di darsi fuoco a Sarzana (foto) dopo avere perso casa e lavoro, ma senza specificare che si tratta di un cittadino marocchino. Abbiamo scritto semplicemente che «un uomo di 38 anni, sfrattato e senza lavoro, tenta di darsi fuoco davanti alla moglie e ai figli». Il primo commento è arrivato 4 minuti dopo la pubblicazione del post: «Diamo lavoro agli altri...», con tanto di “mi piace” di un’altra persona che evidentemente ha la medesima opinione; poi, un diluvio: «(con gli, ndr) immigrati non lo fanno», «aiutiamo gli italiani come il signore», o anche, in rapida sequenza, «per lui non esistono sussidi, alberghi e pranzi pagati, vero?» e «aiutiamo gli altri, noi carne da macello», «come mai non gli hanno dato un albergo a tre stelle come ai (suoi, ndr) fratelli migratori?», e i vari «ma noi... pensiamo a ‘sti maledetti immagrati (così nel testo, ndr)» e «invece agli immigrati... » o il più articolato «ma perché, perché... basta andare a Brindisi, imbarcarsi per l’Albania e fare ritorno a Brindisi il giorno dopo... vestito male... e il gioco è fatto!». È solo quasi 4 ore dopo la condivisione del post che qualcuno legge la notizia e si accorge che il 38enne è in effetti un cittadino straniero, e lo fa notare agli altri: «24 commenti e nessuno ha letto l’articolo, viste le risposte!». Proprio così: sino a quel punto, evidentemente, moltissimi avevano commentato basandosi solo sul titolo, senza nemmeno sapere su che cosa stavano esprimendo la loro opinione. Da quel momento, il tenore degli interventi cambia, c’è chi fa notare a molti dei primi commentatori che «guardate che è marocchino» e comunque il post perde rapidamente d’interesse: il 38enne non è italiano e quindi, come fa notare qualche irriducibile, «non avremo perso nulla...». Quel che è accaduto ieri dimostra innanzi tutto qual è il rapporto degli italiani (di una parte, almeno) con i cittadini stranieri: nessuna sorpresa qui, purtroppo. E nemmeno sorprende quel che è diventato il rapporto degli (stessi?) italiani con l’informazione: se prima si sfogliava velocemente il giornale al bar, si spiavano i titoli dalla spalla del vicino in autobus, adesso il bancone del bar è diventato il News Feed di Facebook e i titoli si scorrono ancora più velocemente, perché tempo da perdere per leggere non ce n’è. Per commentare quello che non si è letto, invece, sembra essercene in abbondanza. Ed è anche per questo, per la mancanza di attenzione di chi legge, che da tempo il rapporto dei siti d’informazione con commenti e commentatori è parecchio travagliato. E nell’ultimo anno non è migliorato: «Spegniamo i commenti per un po’», aveva annunciato The Verge a luglio 2015, più o meno nello stesso periodo in cui la Bbc si chiedeva se «è iniziata la fine dei commenti online». In realtà, almeno per il momento, i commenti sopravvivono, ma sempre più siti decidono di passare la “patata bollente” (di chi insulta, offende, minaccia di morte, si esprime in modo razzista e così via) a Facebook: sotto gli articoli non si può più commentare e si è “costretti” a farlo sui social network, dove chi scrive è identificabile con un nome e un cognome e soprattutto dove la responsabilità legale diventa personale (perché anche i giornali devono tutelarsi): se offendi, vieni chiamato tu a rispondere , non chi gestisce il sito. Pensateci, se siete fra le oltre 60mila persone che ieri si sono viste passare davanti su Facebook la notizia dell’uomo (sì, un marocchino) che ha cercato di darsi fuoco a Sarzana e avete lasciato un commento basandovi solo sul titolo. Se a scuola vi hanno insegnato a leggere, prima che a scrivere, un motivo ci sarà. Abbiamo scelto di non pubblicare qui i nomi dei commentatori, ma il post è pubblico: se siete curiosi, potete trovare gli autori sulla nostra pagina su Facebook.

Filippo Facci censurato. Vittorio Feltri su “Libero Quotidiano il 31 luglio 2016, la furia e lo sdegno: "Il popolo di fessi e cretini". I social network talvolta possono essere divertenti, ma sono quasi sempre dannosi. Amplificano i luoghi comuni, danno voce a chi di norma non ne ha e ciò ha un valore democratico almeno apparente. Non serve combatterli e chiederne l’abolizione. Chi non ha niente da dire di solito è molto ciarliero e si esprime con veemenza verbale nella speranza - vana - di farsi sentire e di avere udienza. La maggioranza dei fruitori dei social è costituita da gente isterica che si sfoga insultando chiunque abbia un ruolo più o meno importante, politici, uomini e donne sotto i riflettori, insomma i cosiddetti vip. I luoghi di incontro telematico sono la versione moderna e ingigantita del bar commercio, dove ciascuno dice la prima scemata che gli viene in testa, raramente verificando l’attendibilità delle proprie sparate. Su Twitter e su Facebook dominano il turpiloquio, l’invettiva e l’ingiuria. Persone anonime si divertono un mondo ad avere accesso alla piazza web che consente loro di sparacchiare giudizi anche temerari, comunque incauti, di sicuro poco ponderati. I social permettono a tutti di porsi in evidenza, anzi di illudersi di contare qualcosa e di orientare l’opinione pubblica. Però sul piano pratico non so fino a che punto le idee della folla che usa internet per farsi notare incidano sulle decisioni di chi ha in mano le leve del potere. Poco, suppongo. Anche perché l’uso del computer in Italia è ancora limitato alle persone giovani che hanno dimestichezza con le tecnologie avanzate. Osservando quanto avviene sui social si ha poi la sensazione che essi siano un moltiplicatore di banalità atte ad incrementare il conformismo. Chi esce dagli schemi più diffusi del pensiero unico, quello di moda, si trova a dover combattere con una massa di disinformati che però, essendo assai folta, si ritiene forte e invincibile. L’esempio più eclatante lo si è avuto in questi giorni. Il nostro ottimo inviato Filippo Facci, per aver scritto articoli documentati e vigorosi contro le violenze islamiste, è stato confinato all’indice da Facebook, escluso dalla community quale elemento indesiderabile. In altri termini, censurato, bocciato quale disturbatore intollerabile di coloro che sono al servizio della divulgazione convenzionale. Facci, giornalista eminente di Libero, come tutti può piacere o no, ma è indubbio che sia un uomo di rara intelligenza e capace di interpretare i fatti della vita in modo originale. Sull’islam egli ha scritto pagine che è da fessi sottovalutare in quanto offrono spunti di riflessione profonda. Ebbene, poiché le sue tesi non rientrano nel calderone delle insulsaggini correnti, i guardiani di Facebook le hanno disinvoltamente oscurate, quasi si trattasse di bestemmie. Ormai siamo a questo punto. Chi non sta con i musulmani, assassini o no, in Italia è sgradito, considerato un reietto, un fascista, peggio, un essere indegno di ospitalità. Fossi in Facci, mi vanterei di essere respinto dai cretini. Libero è suo e lo sarà sempre. Vittorio Feltri

E poi la pietra tombale...

«I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli», scrive “La Stampa” il 10 giugno 2015. Attacca internet Umberto Eco nel breve incontro con i giornalisti nell’Aula Magna della Cavallerizza Reale a Torino, dopo aver ricevuto dal rettore Gianmaria Ajani la laurea honoris causa in “Comunicazione e Cultura dei media” perché «ha arricchito la cultura italiana e internazionale nei campi della filosofia, dell’analisi della società contemporanea e della letteratura, ha rinnovato profondamente lo studio della comunicazione e della semiotica». È lo stesso ateneo in cui nel 1954 si era laureato in Filosofia: «la seconda volta nella stessa università, pare sia legittimo, anche se avrei preferito una laurea in fisica nucleare o in matematica», scherza Eco. La sua lectio magistralis, dopo la laudatio di Ugo Volli, è dedicata alla sindrome del complotto, uno dei temi a lui più cari, presente anche nel suo ultimo libro `Numero zero´. In platea il sindaco di Torino, Piero Fassino e il rettore dell’Università di Bologna, Ivano Dionigi. Quando finisce di parlare scrosciano gli applausi. Eco sorride: «non c’è più religione, neanche una standing ovation». La risposta è immediata: tutti in piedi studenti, professori, autorità. «La tv aveva promosso lo scemo del villaggio rispetto al quale lo spettatore si sentiva superiore. Il dramma di Internet è che ha promosso lo scemo del villaggio a portatore di verità», osserva Eco che invita i giornali «a filtrare con un’equipe di specialisti le informazioni di internet perché nessuno è in grado di capire oggi se un sito sia attendibile o meno». «I giornali dovrebbero dedicare almeno due pagine all’analisi critica dei siti, così come i professori dovrebbero insegnare ai ragazzi a utilizzare i siti per fare i temi. Saper copiare è una virtù ma bisogna paragonare le informazioni per capire se sono attendibili o meno». 

TERREMOTO E BENEFICENZA.

"Non darò nemmeno un euro per i terremotati: ci pensi lo Stato". Lino Ricchiuti, il leader del Popolo delle Partite Iva, si oppone all'Italia in cui "la beneficienza fa da pretesto" per non prevenire i disastri dei terremotati, scrive Giuseppe De Lorenzo, Martedì 30/08/2016, su "Il Giornale". In molti in Italia si sono mossi per fare qualcosa per gli sfollati del terremoto che ha colpito sei giorni fa il Centro Italia. Tantissimi hanno donato 2 euro per i terremotati attraverso il numero messo a disposizione dalla Protezione Civile. Molti, ma non Lino Ricchiuti, il leader del Popolo delle Partite Iva. Persona molto ascoltata da quelle persone vessate dal fisco e spesso minacciate da Equitalia. "Non do una lira per i terremotati". Una posizione scomoda e controcorrente. Che può essere apprezzata oppure no, ma comunque deve essere ascoltata. "Scusate - ha scritto - ma io non darò neanche un centesimo di euro a favore di chi raccoglie fondi per le popolazioni terremotate. So che la mia suona come una bestemmia. E che di solito si sbandiera il contrario, senza il pudore che la carità richiede. Ma io ho deciso. Non telefonerò a nessun numero che mi sottrarrà due euro dal mio conto telefonico, non manderò nessun sms". Lino Ricchiuti va a ruota libera. Non lo hanno "impressionato" le immagini del disastro, "i palinsesti stravolti" e "il pianto in diretta" di Renzi. "Non do un euro - dice - E credo che questo sia il più grande gesto di civiltà, che in questo momento, da italiano, io possa fare". "Ecco perché non faccio beneficienza per il sisma". Il motivo? L'Italia ha già i soldi per far fronte alle emergenze. Ai terremotati ci dovrebbe pensare lo Stato con le tasse che tanti italiani pagano ogni giorno. Ogni giorno. Ogni mese. Ogni anno. "Non do un euro - continua Ricchiuti - perché è la beneficenza che rovina questo Paese, lo stereotipo dell’italiano generoso, del popolo pasticcione che ne combina di cotte e di crude, e poi però sa farsi perdonare tutto con questi slanci nei momenti delle tragedie". Stanco di un'Italia in cui "la beneficienza fa da pretesto" per non pensarci prima. Un Paese in cui è sempre meglio curare che prevenire, perché in fondo la beneficienza smuove i cuori di tutti. "Soffriamo (e offriamo) una compassione autentica. Ma non ci siamo mossi di un centimetro". Uno Stato che incassa oltre il 50% di quello che produce un suo cittadino, non merita altri soldi. "Non do una lira, perché pago già le tasse. E sono tante. E in queste tasse ci sono già dentro i soldi per la ricostruzione, per gli aiuti, per la protezione civile. Che vengono sempre spesi per fare altro". "Avrei potuto scucirlo qualche centesimo - ammette Ricchiuti - (...) ma io non sto con voi politici", perché "voi siete per una solidarietà che copra le amnesie di una giustizia che non c’è. Io non lo do, l’euro. Perché mi sono ricordato che mio padre, che ha lavorato per 40 anni in campagna, prende di pensione in un anno meno di quanto un qualsiasi parlamentare guadagna in un mese. E allora perché io devo uscire questo euro?". Il ragionamento, seppur emotivo, ha una sua logica. Certo: forse le raccolte fondi per un terremoto simile le avrebbero fatte anche nella efficientissima Germania. Però lì non è sempre un'emergenza. "Voglio solo uno Stato efficiente, dove non comandino i furbi. E siccome so già che così non sarà, penso anche che il terremoto è il gratta e vinci di chi fa politica". Un fondo di verità c'è: l'Irpinia e L'Aquila insegnano. "Ci sono migliaia di sprechi di risorse in questo paese ogni giorno - conclude Ricchiuti-. Se solo volesse davvero, lo Stato saprebbe come risparmiare per aiutare gli sfollati". E quindi "io non do una lira", ma "il più grande aiuto possibile: la mia rabbia, il mio sdegno. Perché rivendico in questi giorni difficili il mio diritto di italiano di avere una casa sicura".

Filippo Facci su “Libero Quotidiano” del 31 agosto 2016: perché non si dovrebbe dare un euro in beneficenza ai terremotati. Mandare al diavolo questo clima solidaristico e dichiarare solennemente che non metterò un euro per il terremoto, sostenere che nessuno in effetti dovrebbe metterlo perché lo Stato ha tutti i fondi e le risorse per affrontare queste cose, non cedere al ricatto emotivo di un Paese culturalmente imperniato sull’emergenza anziché sull’organizzazione, votato al volontariato anziché al dovere professionale e civico, fondato sulla beneficenza, sul numerino da chiamare, l’sms da mandare, su giornali e telegiornali e cantanti e personalità che mostrano immagini della catastrofe con sovraimpressi gli estremi per restare arruolati al circo della fratellanza improvvisata: sì, la tentazione c’è, la voglia di chiamarsi fuori è forte. 

Fiorello posta un video su Facebook pubblicato da “Corriere Tv” il 29 agosto 2016 per parlare della sua diffidenza nei confronti dei concerti organizzati per beneficenza: «meglio fare in privato», dice. «Ieri lutto nazionale, seguire i funerali è stata una cosa drammatica, genitori che piangono i figli, quando si sopravvive ai propri figli, me lo diceva mio padre - dice Fiorello - ...la macchina della solidarietà è partita alla grande, e occhio attenzione, sono stato già invitato ad almeno quattro manifestazioni per raccogliere fondi. Occhio a queste manifestazioni che facciamo noi del mondo dello spettacolo. Perché se per organizzare le cose devi spendere soldi, non devolvi tutto tranne le spese, allora non lo fai. O fanno tutti beneficienza o non vale la pena. Occhio a chi organizza questi spettacoli. Visto che ho ricevuto questi inviti - continua Fiorello - io mi fiderei di più se lo spettacolo fosse organizzato da una onlus o da una organizzazione affidabile, altrimenti la storia insegna...mi piacerebbe avere nome e cognomi. Spettacoli che si faranno pro terremoto bisogna stare attenti. Troppa gente dietro, troppi organizzatori, mi fanno paura. È meglio fare ognuno a modo suo, io preferisco fare la beneficienza privata, dai i soldi direttamente e il gioco è finito».

TERREMOTO E TRUFFE.

EMILIA I FURBETTI DEL TERREMOTO, servizio di Valentina Di Virgilio andato in onda il 23/12/2017 suk TG1 Rai. Nuova inchiesta della Guardia di finanza, questa volta in Emilia. 50 gli indagati. Secondo l'accusa, avevano le case già lesionate prima del sisma del 2012, ma hanno chiesto lo stesso i contributi.

Ferrara, 50 indagati per i fondi per la ricostruzione post-terremoto. Le indagini delle Fiamme gialle: 10 milioni non dovuti. Irregolare una domanda su 3, immobili già inagibili prima delle scosse. Palma Costi: "Filo conduttore correttezza e legalità", scrive il 23 dicembre 2017 "La Repubblica". La Guardia di Finanza di Ferrara ha denunciato una società che aveva chiesto un contributo indebito di quasi 2 milioni di euro per ristrutturare un immobile. "Si tratta - scrivono le Fiamme gialle - dell'ultimo caso di una sistematica azione di controllo che ha visto l'esecuzione di oltre 100 ispezioni nei confronti sia di imprese che di persone fisiche nella provincia di Ferrara", che avevano inoltrato domanda per ottenere contributi per la ricostruzione o la riqualificazione degli stabili danneggiati dal sisma del 2012. "Oltre il 30% delle istanze controllate sono risultate irregolari". I contributi illecitamente richiesti ammontano a circa 10 milioni, di cui 3 già erogati, mentre i restanti 7 sono stati oggetto di revoca. Cinquanta le persone indagate a vario titolo per truffa ai danni dello Stato e falsità ideologica: la Finanza ha appurato come gli immobili fossero già inagibili prima delle due scosse del maggio 2012. Gli stabili risultavano infatti a quella data già in condizioni strutturali precarie oppure non erano idonei a ospitare attività produttive. La Finanza si è rivolta alla Corte dei Conti per la contestazione e il recupero dei danni erariali. “Lo abbiamo sempre detto: la ricostruzione dell’Emilia colpita dal sisma del 2012 ha come filo conduttore la correttezza e la legalità. E l’operazione condotta dalla Guardia di Finanza è la riprova che le Istituzioni e gli organi dello Stato preposti ai controlli mantengono un livello di attenzione altissimo”, commenta l'assessore regionale alla ricostruzione Palma Costi. "Il sistema dei controlli sta continuando, anche a cantieri chiusi, e continuerà anche dopo l’ultima pratica completata. Abbiamo sempre detto che ai nostri cittadini /imprenditori non deve essere dato un euro di meno, ma neanche uno di più. Quello che sta accadendo dimostra che stiamo facendo sul serio".

Truffa da 10 milioni di euro per avere i fondi post-sisma: 50 "furbetti" nei guai. Inchiesta della Guardia di Finanza di Ferrara. Gli indagati chiedevano contributi per edifici lesionati prima del sisma del maggio 2012, scrive il 23 dicembre 2017 "La Nuova Ferrara”. Truffe per 10 milioni di euro scoperte dalla Guardia di Finanza di Ferrara contro 50 furbetti del dopo terremoto ora indagati a vario titolo per truffa ai danni dello Stato e falsità ideologica per aver chiesto, e in parte ottenuto, i contributi per la ricostruzione del dopo sisma del 2012. Nei giorni scorsi, infatti, ultimo di questi atti di indagine, la Compagnia delle Fiamme Gialle di Ferrara ha denunciato una società che opera nel settore delle locazione immobiliari di beni propri, per aver falsamente dichiarato un immobile lesionato dal terremoto per il quale era stato richiesto un contributo indebito circa 2 milioni di euro. Si tratta dell’ultimo caso di una azione di controllo condotto con una autonoma azione investigativa da parte della Guardia di Finanza (e non sulla base dei numerosi esposti alla procura di vari comitati nella zona del Centese, sottolineano gli inquirenti), che aveva portato a eseguire oltre 100 ispezioni nei confronti di imprese e cittadini della provincia di Ferrara, che avevano avanzato richieste per ottenere dalla Regione Emilia-Romagna contributi per la ricostruzione e riqualificazione degli immobili danneggiati a seguito del terremoto del maggio 2012. Nelle 100 ispezioni, oltre il 30% dei soggetti controllati sono risultati irregolari. I contributi illecitamente richiesti ammontano complessivamente a circa 10 milioni di euro, dei quali 3 già erogati, mentre per altri 7 milioni è scattato lo stop e sono stati oggetto di revoca. Le persone indagate a vario titolo per truffa ai danni dello Stato e falsità ideologica sono state 50 e ora sono in corso le valutazioni giudiziarie di procura e Guardia di finanza in merito alle loro posizioni. Le verifiche effettuate rientrano fra le attività delle Fiamme Gialle in materia di controllo della spesa pubblica, finalizzate – spiega la nota della Finanza di Ferrara - “a contrastare fenomeni di malversazione, indebita richiesta e percezione, truffa e truffa aggravata in danno dei bilanci pubblici”. In particolare, i casi sui quali sono in corso indagini da tempo, hanno permesso di accertare che gli immobili di proprietà sia di imprese che di cittadini controllati erano già inagibili prima delle scosse del sisma del 20 e 29 maggio 2012. Dall’esame della documentazione istruttoria acquisita presso la Regione Emilia-Romagna e gli altri Uffici pubblici e gli enti preposti all’attività di controllo e al rilascio di autorizzazioni e di pareri, è stato riscontrato – sottolinea la nota - che i soggetti beneficiari avevano falsamente attestato i requisiti per poter usufruire del finanziamento. Diversi i casi scoperti. In parte gli immobili, risultavano già in precarie condizioni strutturali prima del terremoto. E per quanto riguarda le aziende, gli immobili non erano idonei a ospitare attività produttive già prima degli eventi sismici. A seguito delle comunicazioni inviate dalle Fiamme Gialle ferraresi alle varie autorità giudiziarie, procura e tribunale, sui contributi già incassati (3 milioni) sono pendenti e sono stati proposti i sequestri “per equivalente” (stessa cifra) e in parte sono già stati eseguiti su beni immobili, autovetture e conti correnti nella disponibilità dei 50 indagati, mentre i fondi illecitamente richiesti ma non ancora erogati sono stati bloccati. Sugli aspetti contabili è aperta una tranche parallela, poiché la Corte dei Conti è stata attivata per la contestazione e il recupero dei danni erariali conseguiti dai beneficiari indagati. Ultimo e non ultimo, la nota della Finanza sottolinea che l'attività di controllo e le indagini hanno avuto questo esito grazie alla concreta collaborazione e con il supporto della Regione Emilia Romagna e dei comuni interessati del Basso Ferrarese. Ricordando che pur apprezzando la copiosa mole di contributi, segnalazioni ed esposti di Comitati e cittadini attivi tra il Centese e Bondenese, le verifiche e le indagini sono state attivate di iniziativa e in modo autonomo dagli inquirenti.

Terremoto Centro Italia, indagini in tre regioni: “I furbetti del contributo hanno rubato 900mila euro”. Tra Lazio, Marche e Umbria, sono 273 i denunciati dalla Guardia di Finanza per aver spostato la residenza proprio nelle zone terremotate, facendo figurare come prima casa abitazioni usate solo per vacanza, scrive Valeria Pacelli il 30 novembre 2017 su "Il Fatto Quotidiano". Non solo Rieti. Adesso i cosiddetti “furbetti” del centro Italia – ossia coloro che hanno approfittato dei contributi per ristrutturare case situate nelle zone terremotate senza averne diritto – potrebbe finire indagati anche in altre Regioni colpite in passato da terremoti. Tra Lazio, Marche e Umbria, sono 273 i denunciati dalla Guardia di Finanza per aver spostato la residenza proprio nelle zone terremotate, facendo figurare come prima casa abitazioni usate solo per vacanza. 166 persone sono state denunciate a Rieti, nel Lazio; 39 tra Marche e Abruzzo e altri 58 a Spoleto (Umbria). In totale, per le tre Regioni, secondo gli accertamenti svolti dai Nuclei speciali della Guardia di finanza, l’ammontare della truffa è di circa 900mila euro. Intanto a Rieti accelerano le indagini della procura. È di ieri la notizia dei circa 200 indagati con l’ipotesi di truffa e falso proprio nell’ambito dell’inchiesta riguardante l’erogazione del contributo di autonoma sistemazione (Cas) nei comuni del cratere sismico reatino, dove le richieste per questi finanziamenti sono state 2025. Secondo l’accusa, gli indagati, dichiarando il falso, hanno ottenuto e incassato indebitamente il contributo che varia tra i 400 e i 1.100 euro al mese. Nella prima fase dell’inchiesta della procura reatina, erano stati denunciati 110 ‘furbetti’ che avevano dichiarato di risiedere abitualmente ad Amatrice e nelle sue frazioni. A questi se ne sono aggiunti altri 94, scovati tra Leonessa (40), Cittareale (4) e Accumoli (50).  Le indagini sono partite dall’analisi delle utenze: gli investigatori hanno così scoperto che i consumi si concentravano in poche settimane, quasi sempre nei periodi estivi. “L’ho ripetuto per settimane. Per mesi. L’avevo detto durante le dirette di Radio Amatrice, avevo avvisato tutti, avevo predicato di fare attenzione, di non richiedere – autocertificando la dimora abituale, come prevede la legge – il Contributo di autonoma sistemazione (Cas) qualora non se ne fosse avuto diritto” fa sapere in una nota il sindaco di Amatrice, Sergio Pirozzi – “Chi non mi ha ascoltato e chi non mi ha voluto ascoltare, ne paga ora le conseguenze. Se i pubblici ministeri sono potuti giungere a queste conclusioni è anche perché l’Amministrazione comunale ha facilitato in tutti i modi il loro lavoro, provvedendo a segnalare alla magistratura tutti i casi di autocertificazioni ‘dubbie’. Abbiamo fatto una scelta di campo. Abbiamo deciso di porci dalla parte dello Stato, da parte di quelle Istituzioni che non urlano ma si fanno sentire, che comunicano con la popolazione ma che considerano il principio di legalità un bene supremo”.

Terremoto, 120 indagati per truffa: residenze spostate da Roma ad Amatrice per incassare i contributi. Più che «furbetti», veri e propri sciacalli. Che avrebbero approfittato del terremoto per incamerare aiuti - somme mensili che potevano arrivare anche a 900 euro erogati dalla protezione civile. L’indagine della procura di Rieti per truffa e falso, scrive Alessandro Fulloni il 26 settembre 2017 su "Il Corriere della Sera". Più che «furbetti», veri e propri sciacalli. Che avrebbero approfittato del terremoto per incamerare aiuti - somme mensili che potevano arrivare anche a 900 euro erogate dalla Protezione civile - non dovuti. Come? Semplicemente cambiando la residenza: nella maggioranza dei casi da Roma alle località devastate dalle scosse del sisma che nel 2016 hanno flagellato il Centro Italia. In primis i nuovi domicili sono spuntati ad Amatrice e Accumoli. La notizia viene riportata dal Messaggero nell’edizione di martedì. Insomma: in tanti avrebbero approfittato della tragedia per lucrarci sopra. Sono circa 120 le persone che rischiano il processo: tutte raggiunte da avvisi di garanzia in cui si ipotizzano i reati di truffa e falso.

I controlli sono stati effettuati dalla Procura della Repubblica di Rieti su altrettante erogazioni del Contributo di Autonoma Sistemazione (Cas), nei confronti di beneficiari che, secondo le ipotesi dei magistrati, non avevano né i requisiti né il diritto di percepire l’indennità economica a sostegno dei residenti nei Comuni devastati dal sisma È quanto si apprende in merito all’indagine, che la Procura reatina ha condotto sulle erogazioni dei contributi Cas (e non sulle assegnazioni delle soluzioni abitative d’emergenza, conosciute come «Sae»), la cui imminente chiusura è stata anticipata dal Procuratore capo Giuseppe Saieva. Le indagini dei magistrati si erano da subito concentrate su un incremento dei cambi di residenza nei Comuni di Amatrice e Accumoli, considerati da subito «sospetti».

Cambi operati da cittadini residenti in altri territori (prevalentemente nella Capitale) i quali, secondo l’ipotesi degli investigatori, avrebbero tentato di spostare la residenza nei due Municipi devastati dal sisma proprio per poter percepire i contributi economici stanziati dallo Stato in sostegno delle popolazioni residenti. La Procura ha vagliato le tante domande di accesso al sostegno economico - da un minimo di 400 euro al mese, per i nuclei familiari composti da una sola persona, a un massimo di 900 per le famiglie numerose - anche con il supporto dei sindaci dei comuni interessati, riscontrando centinaia di anomalie. Nomi per i quali, ora, potrebbe scattare l’accusa di truffa e falso da parte della Procura di Rieti.

Nei giorni scorsi il sindaco di Amatrice Sergio Pirozzi aveva detto che sulle donazioni attraverso sms con il numero solidale 45500 alle popolazioni terremotate in questo anno trascorso è «stata tradita la volontà dei cittadini». Dal palco di Atreju - l’appuntamento politico di Fratelli d’Italia - il primo cittadino aveva sostenuto che quegli oltre 33 milioni raccolti «non sono mai arrivati alle popolazioni colpite dal sisma», denunciando tra l’altro che che alcuni di quei fondi sono stati destinati - o sarebbero stati destinati - ad interventi «estranei alle aree pertinenti», come ad esempio «una pista ciclabile in un paese delle Marche non colpito dalle scosse». Prima di sentire come persona informata dei fatti il sindaco di Amatrice, il procuratore di Rieti ipotizza che l’inchiesta sugli sms solidali per la ricostruzione dal terremoto finirà in «una grande bolla di sapone». «Abbiamo aperto un fascicolo modello 45 - dice Saieva -, nell’ambito del quale possiamo fare qualche ricerca di notizia criminis se c’è, senno’ si manda direttamente in archivio». L’ipotesi è che notizie di reato non ce ne siano. Il procuratore ha fatto anche il punto sulle indagini sul terremoto: due i filoni giunti agli avvisi di conclusione indagini che preludono alla richiesta di rinvio a giudizio, per il crollo del campanile di Accumoli che sterminò marito moglie e due figli piccoli e per la caduta di due edifici di case popolari in piazza Sagnotti ad Amatrice. Per tutti «abbiamo individuato responsabilità costruttive e di scelta dei materiali», dice Saieva. Su una terza palazzina Ater è in corso la chiusura indagini. E poi, infine, l’indagine sui contributi non dovuti.

Terremoto Amatrice: residenze false per ottenere i 900 euro di contributi, 120 romani indagati, scrive Blitz Quotidiano" il 26 settembre 2017. Terremoto Amatrice: residenze false per ottenere i 900 euro di contributi, 120 romani indagati. La procura di Rieti ha sottoposto a indagine 120 persone che pur abitando a Roma hanno incassato i contributi per trovare una sistemazione alternativa alla casa distrutta o danneggiata ad Amatrice e ad Accumoli dal terremoto dell’anno scorso. Avrebbero cioè incassato i soldi (fino a 900 euro al mese) che la Protezione Civile ha destinato ai cosiddetti Cas (contributo di autonoma sistemazione) pur non avendone diritto e anzi affrettandosi a cambiare residenza o dichiarare il falso e cioè che quella distrutta era la loro abitazione principale. Insomma, magari da anni, ma i giorni del terremoto facevano parte di quel numero di villeggianti che ogni estate moltiplica le presenze sul territorio. In effetti calcoli dicevano 2500 sfollati di cui 2mila non residenti. Ora rischiano il processo anche se qualcuno ha già restituito i soldi nel tentativo estremo di evitarlo. In base all’ordinanza della protezione civile del settembre 2016, spetta ai sindaci dei comuni colpiti l’erogazione delle somme destinate alle famiglie vittime del sisma. I nuclei familiari composti da una persona percepiscono 400 euro, quelli composti da due, ne ottengono 500, 700 spettano alle famiglie composte da tre persone, 800 euro ai nuclei di quattro e 900 euro quelli composti da cinque o più unità. È possibile, però, disporre di ulteriori 200 euro mensili, anche in aggiunta al limite massimo, in caso di soggetti con handicap o con un’invalidità invalidità non inferiore al 67 per cento. Oppure in presenza di anziani o persone con più di 65 anni. La somma aggiuntiva di 200 euro prevista per la persona ultra sessantacinquenne è cumulabile con ulteriori 200 euro nel caso in cui la stessa persona sia anche invalida. (Valentina Errante, Il Messaggero)

Terremoto, un affare chiamato sisma: come evitare donazioni ai furbi. Lucrare sulle tragedie - Attenti alle associazioni che chiedono soldi senza indicare come verranno spesi, scrive Barbara Cataldi il 26 agosto 2016 su “Il Fatto Quotidiano". Pannolini, spazzolini, assorbenti, ma anche piatti di carta, sapone, scarpe: ieri beni di ogni genere sono stati raccolti in circoscrizioni e parrocchie. Mentre la terra tremava e le vittime venivano estratte dalle macerie, gli italiani si lanciavano in una commovente gara di solidarietà. Ma è stato inutile: Fabrizio Curcio, il capo della Protezione Civile ha stoppato i più generosi. “Non inviate cibo e indumenti, non abbiamo carenze, il modo migliore di aiutare è l’sms solidale al 45500“. Alla popolazione colpita servono solo soldi per la ricostruzione. Però si moltiplicano le reti di solidarietà per la raccolta fondi. Solo nella prima giornata la Croce Rossa ha raccolto 170mila euro (causale “sisma centro Italia” (Iban IT40F0623003204000030 631681). Ma le donazioni più numerose stanno arrivando attraverso il 45500 della Protezione Civile: due euro inviando ogni sms o chiamando da rete fissa. Anche Poste Italiane, in collaborazione con Cri, ha istituito un conto corrente ad hoc (causale “Poste Italiane con Croce Rossa Italiana – Sisma del 24 agosto 2016”, Iban IT38R0760 10300000 0000900050). Non sempre, però, le iniziative che vengono pubblicizzate, soprattutto su Facebook o whatsapp con passaparola tra amici e conoscenti, brillano per trasparenza. Spesso non si comprende chi tenga le fila dell’organizzazione promotrice o a cosa davvero servano i soldi raccolti. Il rischio di incorrere in un’associazione che utilizza il disastro per farsi pubblicità, o addirittura in chi mette in piedi una vera e propria truffa, è concreto. In passato c’è stato chi dopo il sisma in Emilia del 2012 ha intascato indebitamente 120.000 euro per il sostentamento fuori casa, mentre non si è mai mosso dalla sua abitazione inagibile di Crevalcore, chi dopo il terremoto dell’Aquila del 2009 ha percepito più di 700.000 euro grazie a false dichiarazioni di danni mai subiti, o chi a Monza nel 2013 ha distribuito volantini per la raccolta fondi per le vittime dell’alluvione in Sardegna utilizzando il simbolo Cri, ma mettendo il proprio nome e numero di telefono. “Associazioni di solidarietà come la nostra, non devono raccogliere fondi – spiega Costas Moschochoritis, direttore di Intersos – a questo pensano le istituzioni. Noi dobbiamo offrire il nostro contributo per aiutare le persone colpite dal dramma, con servizi complementari, come il sostegno psicologico”. Da oggi gli psicologi volontari di Intersos saranno presenti nelle zone devastate dal sisma per aiutare bambini e anziani ospitati nel campo di Accumoli. Se si dà uno sguardo ai profili Facebook di tante associazioni, sorge il dubbio che il terremoto sia diventato un’occasione per promuovere il proprio marchio e raccogliere fondi per il proprio sostentamento, senza dare garanzie o spiegazioni su come i soldi verranno spesi. Action Aid, associazione internazionale per le adozioni a distanza, ha lanciato sui social il suo spot: “Emergenza terremoto Centro Italia. Non c’è tempo da perdere abbiamo bisogno del tuo aiuto adesso. Dona ora”. Ma per fare che? E così anche per Cesvi (cooperazione allo sviluppo dei Paesi più poveri). Sulla sua homepage c’è una foto di una donna tra le macerie. Si parla di un primo intervento per la distribuzione di beni di prima necessità. “Abbiamo bisogno dell’aiuto di tutti, DONA ADESSO”. Ma sul campo non c’è già la Protezione Civile? Inoltre il territorio colpito dal sisma è scarsamente abitato, nelle tendopoli c’è un numero di persone relativamente piccolo. Con i soldi delle donazioni, allora, cosa ci faranno? Ci piacerebbe saperlo prima di mettere mano al portafoglio. Save the children ha istituito un Fondo emergenza per l’allestimento di uno spazio a misura di bambino, che aiuti i più piccoli ad affrontare il trauma subito con l’aiuto di educatori esperti. Se si compila il form si scopre l’entità della donazione: 30 euro. Servirà solo per uno spazio di sostegno psicologico, che gli operatori di Intersos hanno messo in piedi gratuitamente? “Ad Amatrice abbiamo istituito uno spazio per ospitare i bambini – spiega Giusy De Loiro di Save the children – e aiutarli con un laboratorio di favole e disegni a superare il trauma. Le donazioni ci servono per pagare materiali e i professionisti che lavorano per noi”. “Abbiamo chiesto al ministero dall’Interno di gestire in modo centralizzato le campagne di solidarietà e le raccolte fondi – afferma Carlo Rienzi, del Codacons – Ciò per evitare gli errori del passato: quando i milioni di euro versati dagli italiani per alluvioni e terremoti sono rimasti inutilizzati”. Per evitare inganni è bene dare il proprio contributo sempre attraverso associazioni o enti che si conoscono; se chi promuove l’iniziativa non è un’istituzione dello Stato, è meglio donare solo quando è chiaro il progetto su cui i nostri soldi verranno investiti, in modo da poter verificare la sua realizzazione. Meglio fare la donazione solo dopo aver verificato l’esistenza dell’associazione e attenzione alle mail con richiesta d’aiuto, il link potrebbe essere stato creato per carpire i nostri dati.

ATTENZIONE ALLE TRUFFE SU DONAZIONI FANTASMA. Scrive il 25 Agosto 2016 Dominella Trunfio. C’è una mobilitazione generale nelle ultime ore perché davanti alle tragedie, il popolo italiano si stringe sotto la parola solidarietà. Chiunque nel proprio piccolo cerca di contribuire ad alleviare le sofferenze dei terremotati attraverso donazioni di sangue, indumenti, alimenti e denaro. E la speranza è sempre quella che effettivamente tutto vada a finire nelle mani giuste, ovvero di chi è rimasto senza famiglia, senza casa e senza certezze. I social network sono invasi da appelli e da eventi che parlano di centri di raccolta di beni di prima necessità. Tutte iniziative lodevoli, ma anche in questo caso la parola d’ordine è occhio allo sciacallaggio, per cui il consiglio è sempre quello di fare donazioni tramite enti che riteniamo attendibili come Comuni, Protezione Civile e associazioni fidate che hanno aperto conti iban dedicati all’emergenza terremoto, mai quindi a singole persone che si spacciano per persone di cuore. Lo scetticismo che spesso abbiamo nel donare, è dovuto principalmente a fatti di cronaca negativi che ci hanno fatto perdere un po' di fiducia. All’indomani del terremoto in Abruzzo, chi non ricorda lo scandalo dei 5 milioni di euro di donazioni che non sono mai arrivati nelle tasche dei terremotati? Lì, la questione era complessa e i soldi gestiti tramite sms, che sarebbero dovuti servire per la ricostruzione dell’Aquila, sono finiti alle banche, grazie al cosiddetto "metodo Bertolaso". Il paradosso era stato proprio il fatto che quei soldi destinati ai terremotati erano stati gestiti come qualsiasi fondo, per cui la condizione stessa di "terremotato" non andava a soddisfare i criteri di solvibilità. Insomma, senza aprire un dibattito economico, la sostanza è che le vittime del terremoto non avevano potuto accedere a quei fondi che erano stati donati proprio a loro, perché già destinati a un consorzio finanziario di Padova, l’Etimos con un fondo di garanzia bloccato per 9 anni, trasferito poi alla Regione Abruzzo. Migliore sorte non era toccata poi ai terremotati dell’Emilia Romagna, anche qui non si può dimenticare la lunga battaglia dei sindaci emiliani che davanti alle telecamere gridavano di non "aver visto un euro per la ricostruzione post terremoto". Dove erano (e sono) finiti i 15 milioni di euro che generosamente gli italiani e non solo avevano donato in beneficenza? Franco Gabrielli, capo della Protezione Civile, prova a dare una spiegazione attraverso le pagine del Corriere: «Purtroppo l’iter non si può comprimere più di tanto, se si vuole assicurare trasparenza. Innanzitutto una precisazione sulla cifra, i 15 milioni non sono versamenti ma promesse di versamento. La differenza è sottile ma decisiva. Nel senso che i vari gestori (Tim, Vodafone, Wind eccetera) prima di versare alla Tesoreria dello Stato l’importo corrispondente agli sms, devono effettivamente incassare la cifra. Io posso anche inviare un messaggio ma se poi per qualche ragione non lo pago, il gestore non versa».

TERREMOTO E BUROCRAZIA.

Terremoto, lo Stato punisce i sindaci più previdenti. Meno fondi ai Comuni che si erano assicurati. E non potranno decidere come usare il ricavato delle polizze, scrive Giuseppe Marino, Giovedì 11/01/2018, su "Il Giornale". Altri ostacoli di Stato sul percorso della ricostruzione post sisma. Non bastano i tempi biblici per i lavori, le procure che marcano a uomo i sindaci, la burocrazia che rallenta pure la rimozione delle macerie, l'appalto preventivo per le casette e gli undici passaggi amministrativi imposti a chi vorrebbe solo un tetto sulla testa. Ora arriva anche la punizione per chi è stato troppo previdente. La nuova commissaria del governo, Paola De Micheli, ha firmato un'ordinanza, la numero 43 del 15 dicembre scorso che, disciplinando l'erogazione degli aiuti pubblici per la ricostruzione, prevede un inedito «scippo» ai danni dei Comuni che si sono assicurati contro il terremoto. In sostanza, l'ordinanza dice che chi ha riscosso una polizza per i danni provocati dal terremoto, riceverà un contributo dallo Stato decurtato di un importo pari al risarcimento riscosso dall'assicurazione. Una decisione che si rifà alla legge sugli aiuti al terremoto, ma che ha un senso se applicata ai privati, molto meno se riferita a un ente pubblico. Tant'è che la trentina di sindaci che dopo il terremoto dell'Aquila si era premunita di assicurare i propri edifici, sono in rivolta e si preparano a ricorrere al Tar. Nel caso di un privato infatti, lo Stato non ha l'obbligo di finanziare la ricostruzione della casa, ma dopo ogni terremoto alla fine i governi hanno deciso di intervenire in aiuto di chi ha perso il tetto. Ed è normale che se io posseggo una casa e l'ho assicurata, me la ricostruisca usando i soldi della polizza e non quelli pubblici. Per i Comuni è diverso: non assicurano un solo bene ma stipulano una polizza «a ombrello», destinata a coprire qualunque bene pubblico comunale risulti danneggiato. Un'assicurazione di questo tipo si rivela preziosa per pagare eventuali beni danneggiati che lo Stato non rifonde perché considerati non essenziali, ad esempio un impianto sportivo, e soprattutto dà al sindaco la certezza di ricevere i soldi in tempi brevi, senza le lungaggini delle casse pubbliche. «Tutto per risparmiare un centinaio di milioni, con la solita mentalità centralista -protesta il sindaco di Ascoli Guido Castelli- Noi abbiamo pagato una polizza di oltre 100mila euro l'anno e incassato quasi sei milioni di euro e ora lo Stato non solo ci decurta i fondi e non ci rimborsa i premi pagati, ma vuole anche decidere come spendiamo il ricavato della polizza, punendo chi è stato previdente». Il paradosso è che dopo aver inserito nella manovra sgravi per chi si assicura contro il pericolo sisma (il 19% del premio è detraibile ed è stata eliminata una tassa che gravava sulle assicurazioni) questa mossa potrebbe costituire un potente freno. Quale sindaco si assicurerà, sapendo che poi i fondi finiranno nel calderone pubblico e il premio annuale pagato da chi è stato previdente non sarà in nessun modo ricompensato? Da anni si parla di favorire o addirittura rendere obbligatoria l'assicurazione anti sismica. Ci aveva pensato Monti nel 2012 e lo aveva auspicato il ministro Graziano Delrio dopo il disastro di Amatrice, di fatti se ne sono visti pochi. E ora addirittura è arrivata una decisione che rema nel senso opposto. Il risultato è che in Italia solo una casa su 50 è assicurata contro le catastrofi naturali, e le polizze specifiche anti terremoto, dati dell'Ania, sono ancora meno: solo 188mila su quasi 9 milioni di polizze danni sugli immobili. Del resto, da un sondaggio dell'Ania, l'associazione che rappresenta le compagnie, nelle regioni a rischio sismico oltre il 50 per cento dei cittadini è convinto che sia un obbligo di legge che lo Stato risarcisca i danni da sisma. Invece è una decisione politica rinnovata di volta in volta. Almeno finora.

Ha ricostruito Norcia e lo ha fatto alla svelta. Indagato il sindaco. Solidarietà bipartisan dei "colleghi" al primo cittadino del paese terremotato: "Dimettiamoci", scrive Giuseppe Marino, Lunedì 08/01/2018, su "Il Giornale". «Nei prossimi giorni chiederò di essere ascoltato dai magistrati nei quali ripongo la mia totale fiducia». Il sindaco Nicola Alemanno è chiaramente rammaricato ma recita la frase prevista dalla prassi istituzionale. Ma tanti altri primi cittadini di tutti i colori politici e di tutta l'Italia, dopo la notizia che il collega di Norcia è indagato, sembrano decisamente meno fiduciosi nelle toghe. E usano toni forti: molti sono insorti al grido di «allora dimettiamoci tutti». Perché tanta frustrazione? Accade che ad Ancarano, frazione di Norcia spianata dal terremoto, il sindaco Alemanno stia facendo realizzare una struttura polifunzionale che serva da punto di aggregazione per gli abitanti che sono stati alloggiati in alloggi di fortuna. «La magistratura ha spiegato lo stesso Alemanno- mi contesta che la struttura sarebbe dovuta essere autorizzata con procedura ordinaria in quanto non avrebbe le caratteristiche delle strutture emergenziali». Chiunque abbia frequentato il teatro di una delle catastrofi naturali che hanno colpito duramente il Centro Italia, sa bene che tra le emergenze c'è evitare lo spopolamento, soprattutto dei paesi più piccoli. Per farlo non basta ridare un tetto a chi l'ha perso. Bisogna anche rimuovere le macerie, fornire i servizi che non ci sono più e creare un ambiente minimamente accogliente per chi, coraggiosamente, decide di restare in un paese che non c'è più. E sono tutte emergenze, come è pacifico per qualunque decente amministratore locale. Ma evidentemente non per tutti i procuratori di questa Repubblica dei paradossi. Ecco perché dopo l'annuncio di Alemanno, dagli enti locali si è levato un coro unanime e bipartisan. A partire dalla presidente della Regione Umbria Catiuscia Marini, che pure milita su un fronte politico opposto a quello del primo cittadino indagato: «Sono davvero esterrefatta. Sono 16 mesi che i sindaci, i funzionari comunali e regionali, tanti dipendenti pubblici stanno gestendo quest'anno difficile di fase emergenziale. Ci sono state oltre 70.000 scosse sismiche in questi mesi, di cui ben sette superiore al quinto grado di magnitudo e ben 1000 tra quarto e quinto». Eppure l'opera della discordia parrebbe avere una genesi modello, senza nemmeno l'uso di denaro pubblico. Il centro infatti, è stato realizzato in collaborazione con la Pro Loco locale, il cui presidente risulta anche lui indagato, e grazie al finanziamento solidale di un'azienda del Nord Italia. «La vicenda di Ancarano sembra una beffa - incalza la presidente Marini- sinceramente se l'avviso di garanzia è per l'autorizzazione ambientale nella gestione dell'emergenza sismica allora ci dimettiamo tutti da amministratori pubblici». Parole simile a quelle di tanti altri amministratori, anche di zone non terremotate, come il sindaco di Bari e presidente Anci Antonio Decaro. Catiuscia Polidori, deputata azzurra, avvisa: «C'è un rischio grande: il blocco di tutte le iniziative simili avviate nel cratere. Non si può premiare chi non fa». Qualcuno lo spieghi alla Procura di Spoleto.

Norcia, sequestrato il centro polivalente. Boeri: «Gigantesco equivoco». Indagati il sindaco Nicola Alemanno e l’architetto: secondo la procura di Spoleto, l’opera «viola la normativa che ne prevede la temporaneità», scrive il 13 marzo 2018 "Il Corriere della Sera". Posto sotto sequestro il centro polivalente di Norcia progettato dall’architetto Stefano Boeri e realizzato in seguito al terremoto che il 24 agosto 2016 ha colpito l’Umbria e il centro Italia. Il sindaco Nicola Alemanno e lo stesso Boeri - che era direttore dei lavori - sono indagati per violazione della normativa edilizia. A rendere nota la vicenda è il sindaco Alemanno dopo avere ricevuto un avviso di garanzia relativo al provvedimento. La procura di Spoleto contesta che l’opera sia stata realizzata in violazione alla normativa che ne prevede la temporaneità. Il centro «Norcia 4.0» - secondo gli investigatori - avrebbe invece carattere definitivo. «È un gigantesco equivoco - ha commentato l’archistar - sono senza parole». Ad autorizzare il sequestro il giudice per le indagini preliminari Francesco Salerno, ad eseguirlo nel primo pomeriggio di martedì sono poi stati i carabinieri di Norcia. L’indagine della procura nasce a causa della violazione al Testo unico dell’edilizia, complesso di norme intorno a cui gli inquirenti hanno incardinato anche le contestazioni dell’inchiesta sul cantiere di Casa Ancarano, piccola frazione di Norcia, dove era in corso di costruzione un altro centro polivalente. La struttura di legno e vetro di 450 metri quadrati, inaugurata nel giugno del 2017 - realizzata grazie alla raccolta fondi del Corriere della Sera e de La7 «Un aiuto subito» - è diventata il Centro operativo comunale, ma anche uno spazio a disposizione delle associazioni e per iniziative varie. «Sono sereno e tranquillo. Credo che si tratti di un gigantesco equivoco», Stefano Boeri, che si dice «senza parole», commenta così l’avviso di garanzia ricevuto da lui e dal sindaco di Norcia. «Non so come si faccia a dire che non è temporaneo. È smontabile e rimontabile completamente, impianti inclusi». E l’archistar aggiunge: «Mi spiace, veramente, per la popolazione che ha vissuto una vicenda drammatica e si vede privata dell’unico luogo di aggregazione sicuro. Abbiamo lavorato con il cuore in totale volontariato - e conclude - Come si fa a dire che non è temporaneo. È un esempio di temporaneità. Allora anche tutte le casette non sono temporanee...». La commissaria per la ricostruzione nelle zone terremotate Paola De Micheli ritiene importante «esprimere a nome del governo la fiducia nei confronti di coloro che operano e che hanno lavorato alla ricostruzione» e rileva che «è utile ricordarne anzitutto la natura temporanea e non precaria, nonché il ruolo fondamentale per l’accoglienza, nell’immediata fase post-sisma». De Micheli sottolinea anche che, «nella totale fiducia verso l’operato della magistratura», ci si augura «che questa vicenda possa chiarirsi quanto prima - vista anche la recente proroga dello stato di emergenza da parte del Consiglio dei ministri - nell’esclusivo interesse delle comunità che hanno in particolare la necessità di tornare a vivere in condizioni di normalità». Secondo quanto emerge dal provvedimento emesso da Stefano Salerno, gip di Spoleto, e in base al quale è stato applicato il sequestro della struttura, è «chiaramente insussistente» l’applicabilità relativa al centro polivalente di Norcia «della disciplina straordinaria fissata con provvedimento del capo Dipartimento della Protezione civile nel quadro degli interventi conseguenti agli eventi sismici del 2016». Il giudice ha ritenuto che l’inapplicabilità della disciplina in deroga «sembra emergere inequivocabilmente dalla natura dell’opera». Che già in fase di progettazione, è scritto nel decreto di sequestro, «veniva indicata come “struttura permanente polivalente in legno a uso sociale”, contrariamente a quanto previsto nella disciplina legale della procedura amministrativa seguita, la cui applicazione è limitata a opere temporanee». Secondo il gip, poi, «l’abuso edilizio commesso è destinato ad avere un’incidenza negativa sulle diverse matrici ambientali ed un impatto su una zona oggetto di particolare tutela».

Sequestrata la solidarietà di Corriere e La7. Sigilli al centro polivalente di Norcia. Assurda la motivazione: non è temporaneo, scrive Giuseppe Marino, Mercoledì 14/03/2018, su "Il Giornale". Ci risiamo. La magistratura umbra impone un altro colpo alla ricostruzione di Norcia. Stavolta la mannaia della magistratura si è abbattuta sul centro polivalente 4.0 di Norcia. Si tratta di una struttura progettata dall'archistar Stefano Boeri e realizzata grazie alla raccolta fondi organizzata da Corriere della Sera e TgLa7. La Procura di Spoleto ha ordinato il sequestro dell'edificio in cemento e vetro che era già in funzione e aveva ospitato diverse iniziative nella cittadina umbra devastata dalla sequenza di terremoti che hanno tormentato il Centro Italia dall'agosto 2016 fino all'inizio del 2017. Sono passati appena due mesi da quando a finire sotto sequestro è stata un'altra struttura a servizio della comunità di Norcia, la cosiddetta Casa Ancarano. E anche stavolta non mancheranno le polemiche. Anche perché le due inchieste si muovono lungo un unico filo rosso: gli inquirenti contestano la non temporaneità dell'edificio. Questione di cavilli ma non neutrali: perché se le strutture fossero permanenti avrebbero dovuto seguire iter autorizzativi più lunghi. Forse così si sarebbe evitato l'interessamento della Procura, ma Norcia, che dopo le ultime scosse si è ritrovata ridotta a cumuli di macerie e senza luoghi di aggregazione, avrebbe dovuto aspettare molto più a lungo per servizi necessari a evitare la fuga dei cittadini dal paese. Il busillis risiede anche nei materiali usati per la costruzione. Per i magistrati, la presenza di parti in cemento fa a pugni con la natura temporanea. Alla luce di questa premessa, si capisce meglio la frase con cui Paola De Micheli, la commissaria di governo per l'emergenza terremoto, ha espresso «a nome del Governo la fiducia nei confronti di coloro che lavorano alla ricostruzione in emergenza all'indomani del sisma che ha colpito l'Italia Centrale». «È utile -specifica la sottosegretaria De Micheli - ricordarne anzitutto la natura temporanea e non precaria della struttura». Ed ecco l'inghippo, quasi un gioco di parole tra «precario», come sarebbe ad esempio una struttura in legno, e «temporaneo». Un intreccio che, nel mosaico bizantino delle norme italiane, fornisce sponde all'azione di una procura che a quanto pare vuole assumere un ruolo da protagonista. A farne le spese innanzitutto la comunità di Norcia. Ma anche le persone che si sono ritrovate con un avviso di garanzia. Il secondo per il sindaco di Norcia Nicola Alemanno, dopo il precedente sequestro, e il primo per l'architetto di fama internazionale Stefano Boeri.

Norcia, dopo l'avviso di garanzia il sindaco Alemanno minaccia di dare le dimissioni. Dopo il colpo duro della magistratura il sindaco d Norcia minaccia di dare le dimissioni. E sul centro polivalente 4.0 sbotta: "Il sequestro colpisce l'intera comunità", scrive Aurora Vigne, Mercoledì 14/03/2018, su "Il Giornale". Minaccia di dare le dimissioni ora il sindaco di Norcia, Nicola Alemanno, dopo aver ricevuto ieri un altro avviso di garanzia per sospetti di abusi edilizi. "Mi sto chiedendo se sia bene che io me ne vada e venga qualcuno che sappia fare meglio di noi il durissimo lavoro che ci aspetta. Mi aspetto che la Protezione civile nazionale ci dica cosa dobbiamo fare", ha detto il sindaco. "Sto valutando possibilità di rimettere mie dimissioni, deciderò nelle prossime ore - ha aggiunto - preferisco essere fautore del futuro della mia comunità piuttosto che stare fermo con le mani in mano. Stiamo tentando di ricostruire non soltanto gli edifici ma una comunità, che ha bisogno di tantissime cose, in primis di un luogo di incontro". Coinvolto nell'inchiesta anche l'architetto Stefano Boeri che ha progettato il centro polivalente 4.0, ora sotto messo sotto sequestro dai carabinieri. La struttura era stata realizzata grazie alla raccolta fondi organizzata da Corriere della Sera e TgLa7 ed è finita nel mirino degli inquirenti per una motivazione assurda: la non temporaneità. Stessa cosa è successa al cantiere del centro polivalente di Ancarano, frazione di Norcia, sequestrato a gennaio. Inoltre, la procura contesta la costruzione del centro in assenza delle autorizzazioni necessarie per una zona sottoposta a tutela paesaggistica, perchè all'interno del Parco dei monti Sibillini. A rimetterci dopo l'ultimo colpo duro della magistratura saranno ancora una volta i cittadini di Norcia. "La comunità è disorientata. La cosa meno comprensibile è il sequestro preventivo di un'opera completata, che utilizziamo da un anno - ha affermato sempre questa mattina il sindaco di Norcia, Nicola Alemanno. L'avviso di garanzia, infatti, colpisce il sindaco, ma il sequestro "colpisce l'intera comunità" e ora i cittadini non potranno utilizzare una struttura costruita per l'emergenza, "ora che siamo ancora nel pieno dell'emergenza", conclude Alemanno.

Il sindaco di Norcia, dopo il sequestro del centro polivalente: “Sto valutando le dimissioni”. Nicola Alemanno è indagato con l’archistar Stefano Boeri: in seguito all’emergenza sisma la struttura sarebbe stata costruita in un’area sottoposta a tutela paesaggistica, scrive il 13/03/2018 "La Stampa". «La nostra comunità è scossa da questo nuovo provvedimento, a questo punto mi chiedo cosa fare. Devo chiudere le nuove scuole? Devo buttare fuori la gente dalle casette? Devo dire ai ristoratori che i ristoranti provvisori non si possono aprire? Tutte queste strutture sono realizzate con la stessa tipologia con cui è stato costruito il centro Boeri sequestrato»: il sindaco di Norcia, Nicola Alemanno, è scoraggiato dopo la notizia del sequestro del centro polivalente di Norcia e dell’iscrizione nel registro degli indagati dell’architetto Stefano Boeri. «Qualcuno ci deve dire come ci dobbiamo comportare - ha chiesto Alemanno - perché ci troviamo in mezzo a una diatriba tra due pezzi dello Stato, la magistratura e il Dipartimento nazionale di protezione civile che ha emanato le ordinanze a cui noi ci siamo attenuti per costruire le strutture che hanno permesso ai nostri territori di tornare a vivere». Secondo Alemanno in discussione ci sarà «anche il deltaplano di Castelluccio e la galleria commerciale che stiamo costruendo nella zona industriale per accogliere la delocalizzazione delle attività commerciali». «Se il principio che la magistratura applica è questo - ha sostenuto -, qui si paralizza tutto». Il sindaco ha ribadito «rispetto e fiducia verso la giustizia e i magistrati». «Ma non potete metterci - ha concluso - in questa situazione di assoluta incertezza». «Mi sto chiedendo se sia bene che io me ne vada e venga qualcuno che sappia fare meglio di noi il durissimo lavoro che ci aspetta. Mi aspetto che la Protezione civile nazionale ci dica cosa dobbiamo fare». Lo ha annunciato il sindaco di Norcia. L’architetto Stefano Boeri è stato coinvolto come direttore dei lavori nell’indagine che ha portato al sequestro del centro. A lui e al sindaco Alemanno viene constatata la violazione della normativa edilizia per la realizzazione del centro «in assenza del necessario permesso a costruire e dell’autorizzazione paesaggistica». Il sequestro preventivo è stato disposto dal gip di Spoleto su richiesta della procura. Nel provvedimento si sostiene che il centro polivalente è stato costruito in un’area sottoposta a tutela paesaggistica in quanto all’interno del Parco dei monti Sibillini e sito d’interesse comunitario. Viene poi contestato, come per la struttura di Ancarano, la deroga alla normativa per la gestione dell’emergenza post terremoto. In particolare in quanto la struttura è ritenuta definitiva e non provvisoria. «Sono sereno e tranquillo. Credo che si tratti di un gigantesco equivoco»: così l’archistar Stefano Boeri, che si dice «senza parole», commenta l’avviso di garanzia ricevuto da lui e dal sindaco di Norcia Nicola Alemanno per il centro polivalente della cittadina umbra, costruito dopo il terremoto ed ora sequestrato. «Non so come si faccia a dire che non è temporaneo - ha detto all’ANSA - È smontabile e rimontabile completamente, impianti inclusi».  

Norcia, dopo il sequestro l'ira di Mentana: "Vergogna". Sequestrato il centro polivalente costruito da Boeri con le donazioni di La 7 e Corriere. L'ira di Enrico Mentana: "Chiederemo i danni", scrive Claudio Cartaldo, Mercoledì 14/03/2018, su "Il Giornale". La procura di Spoleto ha messo i sigilli e sequestrato il centro polifunzionale di Norcia, l'opera costruita a "tambur battente" dopo il sisma del Centro Italia, realizzato dall'archistar Stefano Boeri grazie (anche) ai fondi raccolti da La7 e Corriere della Sera. L'accusa è che si tratti di una struttura permanente e non temporanea. Enrico Mentana, il direttore del Tg di La7, la definisce una accusa "risibile" e durante il tg delle 20 di ieri sera si è scagliato contro la decisione della procura di sequestrare l'immobile. "Ne va della nostra reputazione e anche dei vostri soldi", ha detto Mentana in diretta (guarda il video). "Quelle che vedete sono le immagini che documentano come il centro polifunzionale si tratti assolutamente di un'opera costruita in modo da essere smontabile in qualsiasi momento". Mentana rivendica la regolarità della costruzione, messa in piedi rapidamente "su indicazione del Commissario del terremoto, della Protezione civile e del Comune di Norcia gratuitamente, con l'aiuto di tante entità e gratuitamente dall'architetto che lo ha progettato". Il direttore era visibilmente indispettito. "Era un modo per aiutare in gran velocità una popolazione che non aveva un tetto dove andare in caso di nuove scosse". Poi l'affondo contro la procura: "Ora la domanda è una: se dovesse succedere qualcosa, i cittadini che si trovassero in difficoltà andranno a casa del pm di Spoleto? Dei magistrati inquirenti?". E ancora: "Questa struttura è stata usata dalla protezione civile e non per usi impropri. Ed è una vergogna che ci si trovi a dover dire che se tutto finirà in nulla saremo noi a dover ricorrere alla magistratura per veder risarcita moralmente il danno reputazionale che tutti noi e tutti voi state subendo da questa iniziativa improvvida della magistratura inquirente di Spoleto".

Legno e vetro per centro Boeri a Norcia. Sede Consiglio comunale ma anche eventi e stagione teatrale, scrive "Ansa" il 14 marzo 2018. Il centro polivalente "Norcia 4.0", posto sotto sequestro dal gip di Spoleto su richiesta della procura, è stato realizzato nella primavera di un anno fa su progetto dell'architetto Stefano Boeri grazie ai fondi raccolti dalla campagna "Un aiuto subito" portata avanti dal Corriere della Sera e TgLa7 per i territori colpiti dal sisma del 2016. Il centro occupa una superficie di circa 450 mq, sorge a poca distanza dall'area delle marcite e dal centro storico della città ed è realizzato prevalentemente in legno e vetro. Inaugurato a giugno 2017 è sede provvisoria del Consiglio comunale oltre che luogo per convegni, incontri, spettacoli teatrali e musicali. E' stato sede del commissario straordinario alla ricostruzione post sisma che ha visto in carica prima Vasco Errani e poi l'attuale Paola De Micheli. Il complesso ha ospitato a più riprese eventi cui hanno partecipato le massime autorità istituzionali e militari. Da pochi giorni era stato individuato anche come sede per la stagione teatrale.

Sigilli alla cultura. Un’altra vergognosa ferita per Norcia, scrive il 14/03/2018 Emanuele Beluffi su “Il Giornale”. Costruisci a tempo di record un centro polifunzionale bellissimo (vedi il rendering qui a fiano). Lo fai (gratis) per dotare la popolazione di Norcia di uno spazio collettivo in cui vivere, in attesa che vengano ricostruiti gli edifici danneggiati dal terremoto. Lo fai per permettere, in piena emergenza sisma, aicittadini e al consiglio comunale di Norcia, di riunirsi, di lavorare, di vivere. Lo fai a titolo gratuito e realizzi un’opera di 450 metri quadrati, anche grazie al contributo della Filiera del Legno Friulana e di tanti altri sponsor nobili e generosi. E poi interviene la magistratura italiana, capace di inchiodarti al codicillo che per la fretta magari non hai rispettato: la Procura di Spoleto, che ha appena sequestrato il centro polifunzionale costruito a titolo gratuito dall’architetto Stefano Boeri, neo Presidente della Fondazione Triennale di Milano, perché, nella fretta dell’emergenza, insieme al sindaco di Norcia Nicola Alemanno forse si è dimenticato di chiedere “il necessario permesso e l’autorizzazione paesaggistica” all’ufficio di chissà dove. Risultato: per la solita ragione dell’ “atto dovuto” - ci mancherebbe! - la Procura notifica un avviso di garanzia a Alemanno e a Boeri. “Come avete osato??! La vostra opera è un’opera definitiva e non provvisoria!, quindi non risponde alla normativa per la gestione dell’emergenza post terremoto!”. Sequestro con effetto immediato! Sia Boeri che Alemanno affermano tuttavia che si tratta “di un gigantesco equivoco”: «Questo è quello che è stato fatto. Che ci fosse l’emergenza mi pare indiscutibile, che sia una struttura temporanea mi pare indiscutibile. Non capisco dove stia la questione», ha dichiarato Boeri. Un danno economico e culturale: il sequestro forzoso del centro ha comportato lo stop immediato di tutte le attività. Come dichiara Pina Perla, assessore ai servizi sociali e culturali e affari generali del Comune di Norcia, «abbiamo dovuto interrompere immediatamente tutte le attività già in essere del nostro centro polifunzionale, che era utilizzato non solo per gestire le sedute del Consiglio Comunale e per favorire le relazioni interpersonali all’interno di una comunità fortemente danneggiata dal sisma, ma anche per mantenere in vita l’indotto sia culturale che commerciale. Erano attivi il teatro e il centro commerciale e ora abbiamo dovuto interrompere sia le attività culturali già avviate che quelle commerciali, un danno economico non indifferente». L’impressione è che certa magistratura così intempestiva nei reati edilizi si mostri invece celere nei casi di edifici costruiti in piena emergenza con la solidarietà di anime generose. Speriamo che la vicenda si chiarisca per tempo, anche se non dobbiamo dimenticare che siamo in Italia, dove “non si muove foglia che la Procura non voglia”.

Norcia, la procura al contrattacco sul sequestro del Centro polivalente di Boeri. Il procuratore di Spoleto Cannevale difende il suo operato: "Ingiustificato fare di noi dei capri espiatori, reagiremo contro le minacce a noi e alle nostre famiglie". Intanto il sindaco Alemanno medita le dimissioni e la popolazione si scaglia contro i magistrati, scrive Fabio Tonacci il 14 marzo 2018 su "La Repubblica". Parla la procura di Spoleto. Con una lunga nota, il procuratore capo Alessandro Cannevale difende il lavoro del suo ufficio, che ha chiesto e ottenuto il sequestro del Centro polivalente antisismico di Norcia, progettato dall'architetto milanese Stefano Boeri e realizzato con i soldi delle donazioni. Un provvedimento che ha scatenato non solo polemiche in città ma anche, stando a quanto riferisce il procuratore, vere minacce. “Individuare nei magistrati della procura di Spoleto il capro espiatorio da additare agli abitanti di Norcia come bersaglio per risentimenti e timori è ingiustificato, anche prescindendo dalla definitiva valutazione sulla fondatezza dell'accusa, che spetterà al giudice”, scrive Cannevale. E aggiunge: “Poiché abbiamo assistito all'uso di organi di informazione per diffondere invettive basate su dati di fatto parziali e quindi falsi, animate da interesse personale, comprensive di esplicite intimidazioni e spinte al punto da invitare gli abitanti di Norcia a recarsi – per scopi imprecisati – a casa dei magistrati in caso di nuovo sisma, faremo il possibile per tutelare la nostra reputazione e la tranquillità delle nostre famiglie”. La vicenda ruota attorno alla realizzazione del Centro polivalente, noto anche col nome “Padiglione delle esposizioni”, stabilita con un'ordinanza del 4 marzo 2017 emessa dal sindaco di Norcia Nicola Alemanno, indagato insieme al direttore dei lavori Boeri per violazione delle norme sull'edilizia. Secondo l'accusa, manca un titolo abilitativo valido e sono stati violati i vincoli paesaggistici del Parco naturale dei Monti Sibillini e dei siti Natura 2000. Nella richiesta di sequestro, convalidata dal gip Francesco Salerno, è riportato anche il carteggio tra il sindaco e la Soprintendenza riferito agli scavi preliminari, e quello tra il sindaco e la Regione Umbria, dai quali sembrano emergere perplessità dei due enti sull'iniziativa del sindaco, che oggi, in seguito all'avviso di garanzia ha annunciato: "Medito di lasciare la guida del comune di Norcia". Nel comunicato, il procuratore Cannevale specifica: “Né in seguito agli eventi sismici del 2016 né in seguito ai precedenti terremoti, la normativa di emergenza ha mai neppure lontanamente ipotizzato che ai sindaci, alla protezione civile o ad altre autorità fosse consentito autorizzare nuove costruzioni derogando in via generale e incondizionata alle norme urbanistiche ordinarie. Il sequestro della struttura non può provocare pregiudizi o ritardi all'opera di ricostruzione, né all'assistenza alle popolazioni in caso di futuri terremoti”. In punta di diritto, le argomentazioni reggono. Ma per la popolazione di Norcia vedere i sigilli a uno dei primi simboli della rinascita, è difficilmente accettabile. “È una vergogna, se non ci ha ucciso il terremoto lo farà la burocrazia - dichiarano all'agenzia Ansa le titolari di un'edicola - è l'unico spazio che abbiamo a disposizione, anche per le attività dei nostri figli, non è giusto chiuderlo”. Lo stesso pensa anche Salvatore Felici, titolare di una famosa norcineria: “Ci stanno procurando un disagio molto grande”.

Terremoto, Nori come portavoce dei terremotati: "La magistratura frena la ricostruzione", scrive "Picchio News" il 14/03/2018. ''Credo che la magistratura ce la stia mettendo tutta per frenare la ricostruzione del centro Italia colpito dal terremoto dell'agosto e dell'ottobre 2016. Mettere i sigilli ad una struttura smontabile, tra l'altro una piccola perla di architettura, e iscrivere nel registro degli indagati il sindaco e l'architetto Boeri significa pura miopia con evidenti cavilli giuridici senza senso''. Lo ha detto la portavoce dei terremotati di Visso, Ussita e Castelsantangelo sul Nera, Maria Teresa Nori che esprime solidarietà al sindaco e ai cittadini di Norcia. ''Da questi presupposti - ha evidenziato la Nori - nasce il germoglio della paura da parte degli amministratori locali che per fare un'opera, per ripristinare un territorio, per dare vita alla comunità dovranno stare sul filo del rasoio per fare il loro dovere nei riguardi della cittadinanza. E' una assurdità tutta italiana. I nostri territori con questi presupposti - conclude - rinasceranno tra 30 anni ma sarà troppo tardi perché ci sarà uno spopolamento epocale''. 

Dopo il terremoto la ricostruzione impossibile, nel mirino chiunque decida. Come a Norcia, scrive il 10/01/2018 Guido Castelli, Sindaco di Ascoli Piceno e Presidente dell'Ifel, su "Huffingtonpost.it". Spendere sta diventando più complicato che trovare le risorse. È un problema che complica la vita agli amministratori pubblici, ma che rischia di deprimere la vita e la vitalità dei cittadini delle nostre comunità. Sia nelle attività ordinarie, sia in quelle emergenziali. Penso ai quasi 30 milioni di euro recuperati in bilancio dal mio Comune, Ascoli Piceno: scuole, strade, ponti, poste ciclabili e nuovi impianti sportivi; progetti pronti, alcune gare sono partite, altre partiranno. Ora comincia la sfida più difficile: quella contro la burocrazia e i cavilli che ingessano i Comuni e il Paese. Il presidente della Corte Costituzionale in occasione dell'inaugurazione dell'anno accademico 2016/17 dell'Università di Urbino ha ricordato che "il paesaggio giuridico non è più lineare ed è diventato confuso e complicato"; il diritto codificato ha perduto in semplicità, chiarezza, coerenza sistematica, lasciando vuoti sconcertanti che il legislatore non può colmare. Tra quei vuoti si inserisce l'interprete giudiziale il quale formula valutazioni che diventano norme. Ciò in un contesto in cui sindaci e funzionari si trovano a galleggiare in un mare di rischiose incertezze. Mi viene da pensare a questo proposito alle vicissitudini di tanti miei colleghi sindaci che hanno la sventura di dover affrontare crisi e ricostruzioni ben più drammatiche della mia. Già molti di loro già sono stati raggiunti da avvisi di garanzia derivanti dall'applicazione di quella micidiale mistura giuridica chiamata "abuso di ufficio": fattispecie penale idonea a trasformare in crimine quello che molto banalmente può essere un errore amministrativo. L'ultimo è il caso di Norcia. L'amico sindaco Nicola Alemanno si è visto indagato per aver avviato la costruzione di un centro polifunzionale (luogo di aggregazione che diventa anche dormitorio in situazioni di emergenza) con troppa celerità, essendo ritenuta l'opera priva dei requisiti emergenziali che consentono di accelerare decisioni e assegnazioni di opere pubbliche. Non vorrei entrare nella valutazione del caso – che cosa c'è di più tipicamente emergenziale se non organizzare luoghi di aggregazione funzionale persino alla trasformazione in ricovero notturno? – ma vorrei puntare l'attenzione sul metodo. Alemanno ha pacatamente chiarito il problema: "Stiamo costruendo una struttura pubblica con finalità pubbliche, ma con soldi privati (già, si tratta di una donazione!). Qual è il reato? C'è un problema di interpretazione della norma? Bene, chiariamolo, perché dobbiamo farne altre di opere così, e abbiamo bisogno di capire al più presto che cosa possiamo e non possiamo fare. Questo clima non aiuta gli uffici dell'amministrazione comunale a svolgere con serenità l'enorme mole di lavoro a cui siamo quotidianamente chiamati". I pubblici appalti richiedono chiarezza e semplicità applicativa. In questo senso l'esordio del nuovo codice degli appalti non è stato particolarmente brillante. Il Consiglio di Stato ha rilasciato, nell'arco di meno di 18 mesi, una ventina di parere tra codice, correttivo, atti attuativi, e la nuova macchina normativa "si trova ancora ai box" per quanto concerne alcuni degli istituti più innovativi che il Legislatore aveva pensato di proporre. In un simile quadro l'incertezza delle regole non fa che aggravare la condizione operativa in cui si viene a trovare il decisore politico e il suo staff amministrativo che, nel caso delle catastrofi naturali e dei successivi obblighi di ricostruzione, si trova a vivere un vero e proprio incubo. In Italia infatti a ciascun evento calamitoso segue un diluvio di norme concepito ad hoc. Nel caso degli eventi sismici 2016-2017 sono stati approvati decine di provvedimenti, tra decreti, leggi, ordinanze, circolari e "grida manzoniane". Nessuno si è peritato di realizzare un testo unico di questa alluvione regolatoria che rischia di travolgere tutto e di inibire ogni serio proposito di ricostruire correttamente ed efficacemente. E in questo quadro così sconsolante sarà sempre più frequente che i sindaci del cratere, nello smistare la posta, si vedono riempire la scrivania di cartoline verdi della Procura. Oltre al danno del terremoto, la beffa di essere esposti al pubblico ludibrio. Come recentemente è accaduto nella Città di San Benedetto.

Visso, la ricostruzione ostaggio della burocrazia, scrive il 6 gennaio 2018 "L’Occidentale”. Basta poco per capire qual è la vera situazione del cosiddetto cratere delle zone terremotate, ma, come abbiamo già a scritto, la grande stampa e i tg non danno che notizie sporadiche, appena accennate e soprattutto addolcite. A dimostrarci come si fa un'inchiesta ormai sono giovani come Tommaso Longobardi, dalla sua seguitissima pagina Fb. Il 22 e 23 dicembre scorso, insieme ad altri che animano realtà online ("Oltre la linea" e "Figli di Putin") è andato a Visso, Castelsantangelo sul Nera, Amatrice e dintorni, fotografando, intervistando, filmando e documentando come ancora vivono tante, troppe persone a più di un anno di distanza dal terremoto. Interessante la semplice, ma drammaticamente efficace intervista al sindaco di Visso, Giuliano Pazzaglini, che riportiamo:

"Qual è la situazione di Visso a più di un anno dal sisma?

A 16 mesi dal sisma la situazione è tutt’altro che rosea. Sono state gestite male sia l’emergenza che la ricostruzione. Una ricostruzione inesistente ma quanto meno messa su carta, in un modo che secondo me farà sì che si realizzerà quello che si è realizzato per la costruzione delle casette: ritardi, burocrazia e insoddisfazione generale. Dopo il terremoto dell’Aquila è stata riformata la Protezione Civile e io sintetizzo che da allora La Protezione Civile non può più fare la Protezione Civile. Per capirci: nel 2009 la Protezione Civile è andata all’Aquila e ha fatto le casette. Oggi prima di poter iniziare i lavori servono 9 passaggi: si è creata una mole di burocrazia enorme. In più una scelta scellerata di non far gestire queste fasi ai comuni ha fatto sì che si siano sommate in capo a soggetti che non erano attrezzati per dare certe risposte, per cui passaggi che potevano richiedere 2 giorni ne hanno richiesti 30. Lo dico per esperienza diretta. Ecco perché a 14 mesi dagli eventi di fine ottobre ancora ci sono pochissime casette, nelle Marche la media è il 30%. Prima o poi le consegneranno. Ricordo che ad ottobre l’anno scorso (2016, ndr) ad Arquata Renzi disse che sarebbero state pronte in sei mesi. Senza sarcasmo, solo con una certa dose di pragmatismo io obiettai che sarei stato contento se le avessimo avute in dodici mesi, perché significava che le avremmo avute per l’inizio della scuola, il mio primo obiettivo. In realtà purtroppo non è andata nemmeno così, ho riaperto la scuola con solo 41 bambini perché, non avendo le casette disponibili la maggior parte dei genitori non sono potuti rientrare.

Che tipo di invito farebbe al governo?

Impariamo dagli errori, quello di non attribuire la competenza a chi è sul fronte tutti i giorni, e soprattutto serve una legge speciale. Tutti sanno che uno dei problemi più grandi in Italia è la burocrazia. Per fare un capanno per gli attrezzi in giardino con gli strumenti ordinari ci vogliono due anni, e anziché semplificare si è scelto di complicare tutto con 45 ordinanze del Commissario, del Capo Dipartimento della Protezione Civile, decreti legge, leggi di conversione. La richiesta che farei è una legge speciale che semplifichi anziché lasciarci nella baraonda costituita dall’attuale normativa.

Dove trova la forza per andare avanti, visto che lei è rappresentante di quelle istituzioni che avrebbero dovuto garantirle supporto, nell’emergenza e nel post-emergenza?

La differenza rispetto alle altre istituzioni è che io sono rappresentante del governo perché sindaco ma sono anche terremotato. Anche io sono rimasto senza casa e senza lavoro, nessuno meglio di me si rende conto di quello che serve. Sarebbe da irresponsabili abbandonarli e abbandonarci ora. Tutto quello che faccio per loro lo faccio per me, per mia moglie, le mie figlie, il futuro di tutta la nostra comunità. Io vivo sulla mia pelle i problemi miei e di tutti gli altri".

Ricostruzione dopo il terremoto, via libera solo a 3 progetti su 40mila. Marche, la macchina burocratica blocca i piani della rinascita. Procedure troppo complesse e cittadini in difficoltà, scrive Chiara Gabrielli il 5 gennaio 2018 su "Il Resto del Carlino". Nelle Marche devastate dal terremoto, la ricostruzione non riesce a partire. A raccontarlo sono i numeri dei progetti presentati dai cittadini e di quelli approvati dall’ufficio speciale regionale: una manciata, sia per le case sia per le attività produttive, rispetto al numero previsto in totale. Secondo i rilevamenti effettuati con le schede Fast e Aedes, sul territorio regionale sono circa 50.000 gli edifici inagibili, di cui circa l’80% con danni gravi. Di questi 40.000 gravi, a quasi un anno e mezzo dal sisma di agosto 2016 e a un anno e due mesi dal terremoto di ottobre 2016, sono solo otto i progetti per danni gravi approvati (di cui cinque relativi ad attività produttive e tre relativi ad abitazioni). Di questi otto, per un solo progetto c’è il decreto liquidazione.  Nel dettaglio, per danni gravi di abitazioni tre i progetti approvati su appena 49 presentati. Per i danni lievi ad abitazioni approvate 184 pratiche su 1.291 presentate, su un totale che, si prevede, alla fine sarà di circa 10.000 edifici con danni lievi. Per le delocalizzazioni di attività produttive sono 992 quelle presentate e 79 quelle approvate, per la ricostruzione di attività produttive invece appena 5 approvati su 63 presentati. All’ufficio ricostruzione lavorano a pieno ritmo, ma per mesi e mesi gli addetti hanno dovuto imparare a districarsi dal complesso di norme e ordinanze, e lavorare per semplificarle e renderle più accessibili. I dati, però, raccontano anche della grande difficoltà dei cittadini nel preparare e consegnare i progetti. «La macchina è in rodaggio – sottolinea Cesare Spuri, direttore ufficio speciale ricostruzione Marche -. L’anno appena concluso è stato contrassegnato da un impegno costante per semplificare. Ci sono voluti diversi mesi infatti solo per produrre le semplificazioni sia per le opere pubbliche che per l’edilizia privata, per avere istruttorie più rapide e dettagli normativi più condivisi e di più facile lettura. Mesi impiegati a studiare come si poteva velocizzare la macchina, cosa che contiamo possa avvenire d’ora in poi, ci aspettiamo numeri molto maggiori per il 2018. Abbiamo ragionato con le altre regioni colpite dal terremoto e con il commissario straordinario per la ricostruzione, per produrre numeri importanti». Però i dati relativi a pratiche presentate e approvate testimoniano quanto sia complicato ingranare nel presentare e liquidare pratiche: il processo procede lento e faticosamente. Perché ci sono così tante difficoltà nel presentare i progetti? «I motivi sono molteplici – fa notare Spuri -. I cittadini hanno impiegato ovviamente parecchio tempo per capire come fare per presentare la domanda, poi meccanismo e argomento sono molto complessi, ora si sta lavorando per snellire. Qui all’ufficio ricostruzione siamo in 100 a lavorare, e nei prossimi mesi potremo assumere altri 50 dipendenti». Il progetto viene caricato dal cittadino sulla piattaforma informatica Mude, poi l’addetto dell’ufficio ricostruzione lo scarica e procede con l’istruttoria. Da quel momento, il tecnico che aveva seguito quel progetto ha 30 giorni per rispondere. Avuto riscontro positivo, e se la documentazione è completa, l’ufficio ricostruzione emette il decreto, poi liquida i soldi e finalmente il cantiere può partire. Ci sono paesi e frazioni che non potranno rinascere dov’erano, a causa dei rischi idrogeologici che gli studi stanno rilevando: paesi che dovranno essere spostati altrove. È il caso ad esempio di Pescara del Tronto (in provincia di Ascoli Piceno). «Nessuno può presentare un progetto finché non conosce esattamente la nuova configurazione del paese o della frazione, e questo è ulteriore motivo di lentezza nella presentazione delle pratiche». Castelsantangelo sul Nera (Macerata) è finora l’unico paese la cui perimetrazione è approvata in via definitiva, a buon punto l’ok anche per Visso, Arquata e Montegallo. La storia della ricostruzione, ancora agli albori a oltre un anno e mezzo dal sisma, sarà storia lunghissima: si prevedono due anni per completare le pratiche relative ai danni lievi, e circa il doppio per la ricostruzione pesante. E i sopralluoghi per valutare le inagibilità non sono terminati: ne mancano 360, tutti nell’Ascolano in paesi fuori del cratere.

Un Paese fragile ed esposto con una folle burocrazia. Una cifra enorme è stata spesa dallo Stato per le ricostruzioni post sisma. Ma secondo gli esperti sono almeno 12 milioni gli immobili ad alto rischio, scrive Antonio Signorini, Venerdì 26/08/2016, su "Il Giornale". Roma I terremoti hanno segnato l'Italia. Colpa della posizione geografica, al confine tra la zolla africana e quella euroasiatica, spiegano gli esperti. La frequenza è di un sisma distruttivo ogni cinque anni. Cento all'anno di quelli innocui, percepibili dalla popolazione. Ma la storia del nostro Paese è funestata anche dalle ricostruzioni. Processi lunghi, complicati e frutto di scelte opache. Alle difficoltà di tipo fisico di un post terremoto, ad esempio il recupero e la ricostruire centri storici semidistrutti e la sostituzione di vecchie case con nuovi edifici antisismici, si sommano gli effetti delle caratteristiche della nostra politica e della burocrazia. Ricostruzioni dai tempi biblici, continui rifinanziamenti e spese che aumentano di anno in anno senza controllo e senza che le popolazioni colpite ne traggano beneficio. Mali antichi, riassumibili in due cifre contenute in un rapporto del Consiglio nazionale degli ingegneri. Dal 1968 a oggi i terremoti sono costati 121 miliardi e 608 milioni di euro. Attenzione, è spesa pubblica, non gli effetti sul Pil che si sono fatti sentire su famiglie e imprese, che sono un'altra storia. Soldi stanziati dal 1968 a oggi, attraverso un numero incredibile di leggi e decreti, emanati anche a distanza di 40 anni dal terremoto di cui si occupano. Sono 137 in tutto. La stima, a costi attualizzati, è precisissima. Il terremoto più oneroso è stato quello dell'Irpinia del 1980. In tutto 52 miliardi stanziati da 33 diverse leggi, che impiegheranno somme fino al 2023. L'ultima legge sul terremoto campano varata è del 2008, 28 anni dopo la tragedia. Ancora più longevo il terremoto del Belice. Prima legge varata nel 1968, anno della tragedia, ultimo provvedimento nel 2007. La spesa complessiva è di 9 miliardi e 179 milioni e avrà effetti fino al 2018. Il sisma che ha distrutto L'Aquila del 2009 è costato 13,7 miliardi, quello dell'Emilia del 2012, 13,3. Quello del Friuli del 1976, 18,5 miliardi, ma ha impegnato solo 9 leggi e gli effetti finanziari si sono fermati nel 2006. Le ricostruzioni dei terremoti, senza contare le altre calamità naturali, rappresentano una voce importante della spesa pubblica che ha più volte fatto sollevare la questione se ne debba occupare lo Stato oppure, visto che le case sono beni privati, non sia meglio percorrere la strada delle polizze assicurative obbligatorie. Soluzione che finirebbe per fare aumentare le spese che devono affrontare i proprietari di immobili e metterebbe nei guai anche le compagnie assicurative. L'alternativa è quella di un piano generale di messa in sicurezza degli edifici che si trovano nelle aree a rischio. Le più pericolose sono quelle costruite prima del 1974, che sono il 50% del totale. Sempre secondo il Consiglio degli ingegneri, servirebbero circa 93 miliardi per mettere in sicurezza 12 milioni di immobili che si trovano in zone ad alto rischio terremoti. Meno di quanto ha speso lo Stato per ricostruire.

Colpa di un funzionario distratto: così Amatrice ha perso i contributi per salvare le case, scrive “Libero Quotidiano” il 26 agosto 2016. La burocrazia, un funzionario distratto, una legge sbagliata e addio contributi anti-terremoto. Spunta un sinistro retroscena sul sisma di Amatrice e sulle macerie. Secondo La Repubblica un dirigente distratto, che si dimentica di inviare in tempo l'elenco dei (pochi) che hanno deciso di mettere in sicurezza la casa ha determinato la perdita di due milioni di euro che sarebbero serviti per consolidare le abitazioni fragili. Invece sono arrivati solo duecento mila euro. L'inchiesta per disastro colposo aperta dal procuratore capo di Rieti Giuseppe Saieva dovrà accertare le responsabilità. Di sicuro la burocrazia ha giocato un ruolo letale. Subito dopo il terremoto dell'Aquila, i comuni di Amatrice e Accumoli furono classificati "categoria 1", cioè massimo rischio sismico. L'allora governo Berlusconi stanziò quasi un miliardo da utilizzare entro il 2016 per le zone rosse: i soldi sono gestiti dalla Protezione civile, l'assegnazione ai comuni passa attraverso una graduatoria regionale. Questi soldi servivano ai privati cittadini per sistemare le loro case e renderle più sicure. Lo Stato garantisce da 100 a 200 euro al metro quadrato, per piccoli interventi di consolidamento. Interventi che magari non salvano una casa ma le vite sì. In estate, la popolazione di Amatrice supera le 15mila persone, per l'ufficio anagrafe i residenti effettivi non sono più di 2.750. Quindi quasi tutte le abitazioni private sono seconde case. Ad Amatrice - secondo La Repubblica - è accaduto che un dirigente poco solerte abbia spedito a Roma le richieste dei suoi cittadini quando ormai erano scaduti i tempi di consegna, facendo perdere così ogni diritto ai finanziamenti a chi (meno di dieci persone) che aveva fatto domanda. Un caso emblematico di come fosse stata presa seriamente l'opportunità del consolidamento antisismico. Ma c' è un altro motivo per cui fino ad oggi dei 10 milioni assegnati al Lazio ne sono stati spesi appena tre. La Regione Lazio ha inserito tra i requisiti per accedere ai fondi, la "residenza", e non la semplice proprietà della casa come invece prevede l'ordinanza della Protezione civile. Risultato: su 1342 domande presentate per il 2013-2014 alla regione, ne sono state accolte soltanto 191. Undici ad Amatrice per un totale di 124.700 euro, e sette appena ad Accumoli per 86.400. Diciotto piccoli interventi sull' ordine dei 10-15 mila euro per diciotto case. Poco. Troppo poco. 

Vittorio Feltri il 26 agosto 2016 su “Libero Quotidiano” contro lo Stato criminale: "Chi ha i morti sulla coscienza". Abbiamo svolto una breve ricognizione nei gangli della burocrazia e della politica e siamo riusciti con rapidità a scoprire leggi formalmente complete che disciplinano la materia edilizia antisismica. Non la facciamo tanto lunga per evitare di annoiarvi e arriviamo subito al nocciolo della questione: quelle leggi, approvate negli anni Ottanta (quindi in ritardo rispetto alla necessità), sono quasi sempre state ignorate, e si è bellamente costruito dovunque lungo la dorsale appenninica senza adottare le precauzioni fissate nero su bianco, come se queste non fossero mai state vergate. Cosicché la stragrande maggioranza degli edifici eretti negli ultimi decenni non è in grado di resistere alle scosse telluriche. Tanto è vero che in occasione di terremoti molte case cadono come foglie morte provocando stragi di umani, schiacciati dalle macerie. Non solo. Stando alle opinioni degli esperti, anche gli stabili vecchi o addirittura vetusti, con una spesa relativamente bassa, potrebbero essere messi in sicurezza, così come buon senso suggerirebbe in un Paese ad alto rischio sismico. Meglio prevenire una ferita che leccarsela. In sostanza, se le norme sopra citate fossero state tradotte in pratica avremmo addirittura risparmiato e, soprattutto, salvato migliaia di vite. Se poi si tiene conto dei miliardi investiti in varie ricostruzioni l'indomani di ogni catastrofe naturale, non è difficile capire che se quei capitali fossero stati utilizzati per rinforzare in senso antisismico palazzi e palazzine, oggi non saremmo qui a disperarci per quanto accaduto nelle Marche, in Umbria e nel Lazio, trascurando i tragici precedenti dell'Aquila, dell'Emilia eccetera. Era preferibile sborsare per proteggersi che non per finanziarsi le esequie. Ciò che sorprende e amareggia è un fatto: il primo a non rispettare le leggi dello Stato è lo Stato stesso. Il quale possiede una miriade di stabili non in regola con le disposizioni che ha solennemente emanato: scuole, Poste, tribunali, enti di ogni specie. La cosa è incredibile solo per chi non conosca lo stile della pubblica amministrazione, che da lustri non versa neppure i contributi per i propri dipendenti, salvo pensionarli ricorrendo al denaro della fiscalità generale. Una ingiustizia raccapricciante. Figuriamoci se uno Stato furbetto e cialtrone quanto quello che abbiamo descritto si preoccupa di controllare che i cittadini edifichino secondo i criteri da esso stesso studiati, varati e violati. Se poi la gente muore sotto il proprio tetto, pazienza, si parla di fatalità, di furia degli elementi e altre simili stupidaggini. La verità è una e basta: il nostro Stato è criminale e pretende correttezza dai “sudditi”. Il cattivo esempio viene sempre dall'alto. Vittorio Feltri

Terremoti e norme, palude di regole e regolette. Sette anni dopo il sisma dell’Aquila, i cittadini ancora faticano a districarsi nella cervellotica poltiglia burocratica. Per ricostruire Amatrice, sarebbe meglio non ripetere gli stessi errori, scrive Gian Antonio Stella il 30 agosto 2016 su "Il Corriere della Sera". I ceppi dell’umanità tormentata sono fatti di carta bollata», spiegò Franz Kafka nelle sue Conversazioni con Gustav Janouch. Lo ricordino, quanti stanno per mettere mano alle norme che guideranno la rimozione delle macerie, la ricostruzione e il ritorno alla vita di Amatrice e gli altri paesi annientati dal terremoto. Lo ricordino perché i cittadini aquilani sono ancora oggi, sette anni dopo il sisma, impantanati in una poltiglia di regole e regolette così cervellotiche da rendere difficile la posa di un solo mattone senza l’aiuto non solo di un geometra ma di una équipe di azzeccagarbugli. Ricordate il dossier di Gianfranco Ruggeri, l’ingegnere esasperato dalle demenze burocratiche che bloccavano i cantieri? Nei primi quattro anni dopo la scossa del 6 aprile 2009 erano piovuti sull’Aquila «5 leggi speciali, 21 Direttive del Commissario Vicario, 25 Atti delle Strutture di Gestione dell’Emergenza, 51 Atti della Struttura Tecnica di Missione, 62 dispositivi della Protezione civile, 73 Ordinanze della Presidenza del Consiglio dei Ministri, 152 Decreti del Commissario Delegato e 720 ordinanze del Comune». «Confesso però», ammise, «che nel casino qualche ordinanza municipale potrebbe essermi sfuggita». Totale: 1.109 lacci e lacciuoli. Aggiunte successive? Non si sa: «Mi sono stufato di contarle». Ma non si tratta solo di numeri esorbitanti. Il problema è quel che c’è dentro. La «scheda parametrica» varata dall’Ufficio speciale per la ricostruzione dell’Aquila per accelerare i lavori si auto-loda come «caratterizzata da norme innovative volte allo snellimento delle procedure» e garantisce «tempi rapidi di istruttoria». Bene: la sola «Scheda Progetto - Parte Prima» è corredata da un «Manuale istruzioni» con un indice di 114 capitoli per un totale di 258 pagine. Pagine che nel manuale per la «Scheda progetto parte prima aggiornato al Decreto n.4» salgono a 271. Auguri. Un esempio di semplificazione? «Il Coefficiente topografico di amplificazione sismica St, per configurazioni superficiali semplici, è determinato in base alla seguente classificazione prevista da NTC 2008, 3.2.2. Categorie di sottosuolo e condizioni topografiche “Le su esposte categorie topografiche si riferiscono a configurazioni geometriche prevalentemente bidimensionali, creste o dorsali allungate, e devono essere considerate nella definizione dell’azione sismica se di altezza maggiore di 30 m.”»...Un altro? «Ai sensi dell’art. 4 comma 8 del DPCM 4 febbraio 2013 il contributo deve ridurre la vulnerabilità e raggiungere un livello di sicurezza pari ad almeno il 60% di quello corrispondente ad una struttura adeguata ai sensi delle NTC2008 e successive modificazioni e integrazioni, fatta eccezione per gli edifici con vincolo diretto di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004 n. 42 Parte II…». Aveva ragione, tre secoli fa, l’abate Ludovico Muratori: «Quante più parole si adopera in distendere una legge, tanto più scura essa può diventare». Parole d’oro. Tanto da far sorgere il sospetto che proprio quella slavina di Leggi speciali, Direttive del Commissario Vicario, Atti delle Strutture di Gestione dell’Emergenza e così via sia stata accolta a suo tempo non con preoccupazione ma con giubilo da chi dietro le rovine vedeva l’occasione per fare affari. Come l’imprenditore che la notte del terremoto del 2009 «rideva nel letto» o l’assessore aquilano che in un’intercettazione (volgarotta, scusate) diceva: «Abbiamo avuto il culo del terremoto e con tutte ‘ste opere che ci stanno farsele scappà mo’ è da fessi…». Perché sempre lì si torna: nella fanghiglia creata da un diluvio di regole, ammoniscono le cronache di questi anni, il cittadino perbene impossibilitato a destreggiarsi senza violare questa o quella norma affoga, tanto più dopo che la sua vita è già stata devastata da un trauma spaventoso quale il terremoto. Al contrario, in quella fanghiglia, il faccendiere con le amicizie giuste e magari un retroterra mafioso sguazza come nell’oro. Oro alla portata degli imprenditori più spregiudicati. Al punto che nel caos generale, come denunciarono Don Luigi Ciotti e Libera, ci fu chi riuscì a piazzare all’Aquila perfino una quantità così esagerata di Wc chimici (34 milioni di euro!) che nelle tendopoli ogni sfollato avrebbe potuto produrre «fino a un quintale al giorno di pipì e di popò». Molto più di un elefante adulto. Anche ad Amatrice, in parallelo a una consolante efficienza e ad una straordinaria generosità dimostrate da tutti gli uomini dello Stato arrivati in soccorso alle popolazioni colpite, non è che la burocrazia sia ancora riuscita a cambiar passo. La prima ordinanza 388 della Presidenza del Consiglio, prima di arrivare al nocciolo, conteneva 7 «visto» e «vista», 1 «considerato», 1 «ritenuto», 1 «rilevato», 1 «ravvisata», 1 «atteso», 1 «acquisite»… Nella seconda i «visto» sono saliti a 9 più 1 «ritenuto», 1 «sentito», 1 «acquisite». Vecchi vizi. Per carità, amen. Non si può chiedere ai burosauri di cambiare di colpo in piena emergenza. Ma le regole per consentire ai cittadini rimasti senza casa di tornare a progettare il loro futuro devono essere radicalmente diverse da quelle elaborate in questi anni per altri sfollati. Devono essere chiare, severe nel pretendere il rispetto delle norme antisismiche, attente a evitare gli abusi del passato. Guai, però, se fossero così astruse da intimidire. E da aggiungere nuovi tormenti a questa nostra umanità tormentata.

TERREMOTO COME VOLANO DELL'ECONOMIA.

La puntata di Porta a Porta andata in onda il 25 agosto 2016 dal titolo “Il cuore dell’Italia con loro Speciale Porta a Porta” che ha approfondito il disastro del terremoto del centro Italia, si è detta una grande verità, però sta facendo infuriare molti italioti benpensanti.

Bruno Vespa: “Questa sarebbe una bella botta di ripresa per l’economia perché pensi l’edilizia che cosa non potrebbe fare”; 

Graziano Del Rio: “Adesso L’Aquila è il più grande cantiere d’Europa e anche l’Emilia è un grandissimo cantiere in crescita, farà PIL”; Bruno Vespa: “Darà lavoro ad un sacco di gente”. «Il Friuli era povero e col terremoto è diventato ricco». «Io incontrai un industriale davanti alle macerie della sua fabbrica. Era felice. Dico "ma scusi, le è crollata la fabbrica…". "Ma adesso la rifaccio più bella". Ecco, l’ottimismo, questo ci serve. Sarebbe una bella botta di ripresa per l’economia». 

Catastrofi naturali e salute. Fatalismo e prevenzione. La demagogia degli scienziati e la sicurezza impossibile. Prevenzione. Costi e burocrazia: la protezione irrealizzabile. Inchiesta del Dr. Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico, giurista, blogger, youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie. Nelle tv salottiere e sui giornali gli “Esperti” si cimentano a dare le loro opinioni. "Ormai abbiamo osservato che ogni 4 o 5 anni c'è un sisma che colpisce la dorsale appenninica. Eppure gli amministratori non fanno prevenzione. Il risultato è che l'Italia è arretrata come il Medio Oriente: in un paese avanzato una scossa di magnitudo 6 non provoca crolli e vittime". Mario Tozzi, geologo e noto divulgatore scientifico in tv, non usa giri di parole contro la politica che a sette anni dal tragico terremoto dell'Aquila non ha fatto quasi nulla per prevenire il disastro di questo 24 agosto 2016 ad Amatrice e dintorni.

Scrive Maurizio Ribechini il 25 agosto 2016: “Un interessante studio su questo circa un anno e mezzo fa è stato effettuato dal "Consiglio Nazionale degli Ingegneri", il quale con una precisa valutazione dei costi economici, ha calcolato che, fino al novembre 2014, ammontavano a più di 120 miliardi di euro gli stanziamenti dello Stato per i terremoti verificatisi in Italia negli ultimi 50 anni: da quello siciliano del Belice nel 1968, all’ultimo del maggio 2012 in Emilia Romagna, passando per quello del Friuli del 1976, quello dell'Irpinia del 1980, il primo avvenuto in Umbria e Marche del 1997, quello del Molise del 2002 e quello dell'Aquila nel 2009. Per una spesa media annua di circa 2,5 miliardi di euro. Cifre ancora più elevate sono quelle che fornivano, ormai quattro anni fa (quindi senza considerare i costi del sisma del 2012 in Emilia) Silvio Casucci e Paolo Liberatore nel saggio dal titolo "Una valutazione economica dei danni causati dai disastri naturali", dove hanno stimato un costo di ben 147 miliardi di euro, per una spesa media annua di 3,6 miliardi. Tale stima arrivava da un dossier sul rischio sismico redatto dal Dipartimento della Protezione Civile che recitava "i terremoti che hanno colpito la Penisola hanno causato danni economici valutati per gli ultimi quaranta anni in circa 135 miliardi di euro (a prezzi 2005), che sono stati impiegati per il ripristino e la ricostruzione post-evento. A ciò si devono aggiungere le conseguenze non traducibili in valore economico sul patrimonio storico, artistico, monumentale".  Attualizzando tale valore al 2012, si otteneva un totale complessivo pari a circa 147 miliardi. Ma appunto tale cifra non considerava i costi della ricostruzione in Emilia. Se vogliamo contare anche questi, possiamo prendere dei dati ufficiali diffusi dalla Regione Emilia Romagna nel maggio 2015, che parlavano di 1 miliardo e 770 mila euro di contributi concessi. Ecco pertanto che la somma complessiva dei costi per i terremoti lievita a circa 149 miliardi complessivi. Ma quanto sarebbe costato mettere in sicurezza il territorio? L’ex capo della Protezione Civile, Guido Bertolaso, nei mesi scorsi aveva dichiarato che per mettere in sicurezza tutto il nostro paese occorrerebbero tra i 20 e i 25 miliardi di euro. Mentre proprio ieri, l’ex ministro dell’Ambiente Corrado Clini ha dichiarato: "Nel 2012 presentai un piano da 40 miliardi per la prevenzione, oltre all'assicurazione obbligatoria per il rischio sismico. Non se ne fece nulla, ma quegli interventi sono la grande opera di cui abbiamo bisogno". Numerose altre stime tecniche ed economiche parlano tutte di cifre che oscillano appunto fra i 25 e i 40 miliardi di euro. Ovvero fra circa 1/3 e 1/4 di quanto abbiamo speso in 50 anni per ricostruire dopo i terremoti.”

Detto questo gli esperti omettono di dire che il costo della prevenzione va quasi tutto a carico del privato, salvo quella minima parte a carico del pubblico, secondo la sua pertinenza, mentre la ricostruzione, con tutte le sue deficienze, è tutta a carico del pubblico. Bene. Si dimenticano i cosiddetti esperti che i cittadini italiani non sono come i profughi, ospitati negli alberghi a 5 stelle e con vitto gratis. I cittadini italiani hanno bisogno di un tetto sulla testa, anche abusivo e prevedibilmente pericolante. Abusivo, stante l’incapacità degli amministratori locali di prevedere un Piano Urbanistico Generale. I soldi son pochi e non ci sono per lussi, burocrati e prevenzione. L'alternativa al tetto insicuro sono le arcate dei ponti. Spesso i cittadini italiani, se non ci fossero i morti a corredo, sarebbero contenti dei terremoti, in quanto gioverebbero della ricostruzione delle loro vecchie case. Lo stesso vale per le alluvioni ed altri eventi naturali.

Ed ancora in tema di prevenzione non bisogna dimenticare poi gli esperti sanitari che ci propinano consigli sulla prevenzione delle malattie, specie tumori ed infarti. Impossibile da seguire. E non stiamo parlando delle vecchie ed annose liste di attesa o dell'impedimento al ricorso del pronto soccorso ormai solo aperto ai casi pre-morte.

Il 21 gennaio 2016 è entrato in vigore il cosiddetto “decreto Lorenzin” sull’appropriatezza delle prescrizioni approvato il 9 dicembre 2015. Il decreto che porterà alla stretta sulle prescrizioni di visite mediche ed esami a rischio di inappropriatezza ed il giro di vite riguarderà oltre 200 prestazioni di specialistica ambulatoriale, scrive Rai News. E' stato infatti pubblicato in Gazzetta ufficiale il 20 gennaio il decreto "Condizioni di erogabilità e indicazioni di appropriatezza prescrittiva delle prestazioni di assistenza ambulatoriale erogabili nell'ambito del Servizio sanitario nazionale". Si tratta di prestazioni di Odontoiatria, Genetica, Radiologia diagnostica, Esami di laboratorio, Dermatologia allergologica, Medicina nucleare. Il decreto Enti locali da cui scaturisce il DM appropriatezza, prevede che le 203 prestazioni se prescritte AL DI FUORI DELLE CONDIZIONI DI EROGABILITA' contemplate dal DM saranno poste A TOTALE CARICO DEL PAZIENTE. Esempio. "Ai fini dell’applicazione delle condizioni di erogabilità nella prescrizione delle prestazioni di radiologia diagnostica di cui al presente decreto, per la definizione del «sospetto oncologico» di cui all’allegato 1, note n. 32, 34, 36, 38 e 40 devono essere considerati i seguenti fattori: 1) anamnesi positiva per tumori; 2) perdita di peso; 3) assenza di miglioramento con la terapia dopo 4-6 settimane; 4) età sopra 50 e sotto 18 anni; 5) dolore ingravescente, continuo anche a riposo e con persistenza notturna.  Altro esempio. L'esame del colesterolo totale: le condizioni di erogabilità dell'esame a carico del Ssn prevedono che sia da eseguire come screening in tutti i soggetti di età superiore a 40 anni e nei soggetti con fattori di rischio cardiovascolare o familiarità per dislipidemia o eventi cardiovascolari precoci. Ma in assenza di valori elevati, modifiche dello stile di vita o interventi terapeutici, si precisa, l'esame è da ripete a distanza di 5 anni. Per quanto riguarda poi le condizioni di erogabilità delle prestazioni odontoiatriche, si valuteranno le condizioni di "vulnerabilità sanitaria" (condizioni sanitarie che rendono indispensabili le cure odontoiatriche) o di "vulnerabilità sociale" (ovvero di svantaggio sociale ed economico). Anche per l'erogazione delle dentiere sono previsti gli stessi criteri. Secondo Costantino Troise, segretario del maggiore dei sindacati dei medici dirigenti, l'Anaao-Assomed, "da oggi, per sapere come curare, i medici dovranno leggere la gazzetta ufficiale e non più i testi scientifici".

E dulcis in fundo ci sono gli esperti dei sinistri stradali. Quelli che dicono è sempre colpa dell'insobrietà, della disattenzione e della velocità dell’autista. Questi signori probabilmente non conoscono le cause dei sinistri:

riconducibili al conduttore (inabilità alla guida permanente o temporanea);

riconducibili al mezzo (malfunzionamento delle componenti tecniche per tutti i veicoli o bloccaggio del motore per le moto);

riconducibili alla strada (sconnessione o ostacoli improvvisi o non segnalati);

riconducibili ad eventi atmosferici che limitano visibilità o aderenza.

In conclusione la prevenzione spesso e volentieri è impossibile attuarla per l’imprevedibilità degli eventi, ma ancor di più per i costi e per la burocrazia esosa ed assillante ed è inutile che in tv gli esperti ce la menano sulla prevenzione: la realtà la impedisce.

TERREMOTO ED ADEGUAMENTO ANTI SISMICO.

L'Italia dei terremoti, l'ingegnere: "Case antisismiche necessarie, le spese non sono il problema". Francesco Sylos Labini: "Ricostruire sullo stesso posto dal punto di vista ingegneristico potrebbe essere una follia, ma si può fare perché la decollocazione non funziona. Le norme tecniche per le costruzioni sono obbligatoria dal 2009, e sono ottime", scrive Katia Riccardi il 26 agosto 2016 su "La Repubblica". A guardarla bene, la mappa sismica dell'Italia dell'Istituto nazionale di Geofisica e Vulcanologia (ordinanza Pcm del 28 aprile 2006 n.3519, All.1b), resta impressa come una foto dai colori troppo accesi. Il viola al centro come un'arteria a rischio, i bordi più chiari, arancioni, gialli, verdi. L'Italia è un Paese ad alto rischio. Altissimo in alcune zone, in altre medio, solo una minuscola porzione si salva dai terremoti. Siamo capaci di guardare lontano da qui, in California o in Giappone, invece anche lo stivale scalcia spesso, una volta ogni 4-5 anni una catastrofe distrugge tutto, eppure, riesce ancora a sorprenderci. L'Abruzzo è la regione storicamente più colpita dai terremoti: L'Aquila 1786, la Marsica e Avezzano 1904, Messina 1908, 1915 di nuovo la Marsica e Avezzano. Nel 1919 il terremoto al Mugello, 1930 l'Irpinia, la prima volta in questo secolo, poi ce ne fu un altro. Nel 1933 la Maiella, 1943 Marche e Abruzzo, 1958 L'Aquila, 1963 secondo terremoto in Irpinia, 1968 il Belice, 1976 il Friuli con mille morti e nel 1980 di nuovo l'Irpinia, la provincia di Salerno e un pezzo della Basilicata. Poi tre giorni fa, il 24 agosto. E se le case normali crollano con scosse di intensità 5-6 della scala Richter, solo negli ultimi 16 anni in Italia ci sono stati oltre 110 terremoti di varia intensità, da 4 fino a quel 6,3 che ha raso al suolo L'Aquila nel 2009. Le case non costruite a norma, collassano. I muri mal collegati ai solai cadono lateralmente, i solai precipitano nel vuoto e schiacciano tutto. La scossa da sottoterra muove le fondamenta, i piani bassi oscillano e fanno traballare quelli superiori. Ma è la seconda scossa, che arriva in senso inverso, a spezzare l'edificio come ossa sul ghiaccio. Ci vogliono gomma, legno, un certo tipo di acciaio più plastico per ammorbidire una costruzione e consentirle di ballare. Ci vogliono colonne, pilastri di cemento armato piazzati in punti specifici. Il risultato dipende sia dalle caratteristiche della casa che dai tipi di intervento. Che vanno dal rafforzamento della struttura, per esempio con gabbie in cemento armato, all'applicazione di isolatori, dissipatori e smorzatori, ad altre ancora. E questo costa, fino al 10, al 20 per cento in più del costo base. C'è una differenza importante tra prevedibilità di un terremoto e la sua inevitabilità. Prevedere consente di scappare, forse di non morire, ma ricostruire resta comunque inevitabile. Ripartire dalle briciole è certo più oneroso che aggiustare. "Costruire una casa antisismica costa di meno che aggiustarne una, un edificio esistente deve mantenere le sue origini storiche", spiega l'ingegnere Francesco Sylos Labini, professore all'università la Sapienza di Roma, progettista dell'intervento di recupero del Palazzo del governo a L'Aquila. "Il Friuli dopo il sisma è stato ricostruito dov'era e com'era, con materiali nuovi, ma le piazze, le strade sono invariati. Anche nel centro Italia si può fare, certo, contrasterebbe contro tutti i criteri di ingegneria, e ricostruire nello stesso posto dal punto di vista ingegneristico potrebbe essere considerata una follia. Nello stesso tempo, gli italiani sono legati ai loro paesi, è difficile delocalizzarli, le New Town non sono state un esperimento riuscito. E ricostruire si può", dice. Aggiungendo che, tutto sommato, la spesa non è poi così sconvolgente. Insomma non è la scusa. "Ora va fatta l'analisi degli edifici, alcuni, quelli storici, sono rimasti in piedi, ma l'attenzione è su quelli che sono crollati, ci sono interi pezzi di paesi spariti. Un tempo si costruiva bene, bisogna analizzare perché. E dare i numeri è difficile. Diciamo che dai 100 ai 300 euro a metro quadrato è una valutazione plausibile. La struttura è il costo minore, perché è povera di materiali, quello che pesa sul totale sono pavimenti, finestre, impianti. E si deve pagare comunque. Lo scopo è ricostruire un edificio che non uccida, con scale e le strutture che restino in piedi. Per semplicità diciamo che se un edificio costa 100, la struttura 30-35, il resto è costo fisso" continua Sylos Labini, "che si possa costruire e consolidare, che si possano fare le cose bene, come a Norcia, è un dato di fatto". Arquata del Tronto è a pezzi, Norcia, poco distante, ha qualche ammaccatura ma è restata in piedi. "Dopo il terremoto del 1979 è stata messa in atto una ristrutturazione di Norcia e di tutte le frazioni, non è stato semplice, ci sono voluti anni, ma abbiamo voluto ricostruire tutto rispettando le norme antisismiche", racconta l'assessore del Comune di Norcia, Giuseppina Perla. "Dopo le scosse di ieri, le lesioni e i crolli più importanti li abbiamo avuti solo negli edifici vecchi non ristrutturati. Certo, questo non vuol dire che le case costruite con criteri antisismici non abbiano subito lesioni, ma sono lesioni contenute, che hanno salvato tante vite umane". Le case nuove devono essere costruite, per legge, secondo norme anti sismiche, gli edifici vecchi possono essere adeguati. Ma l'intervento è carico dei proprietari. In California e in Giappone lo Stato offre incentivi fiscali, ma lì buttano giù tutto e ricostruiscono. Riparano assi di legno, sostituiscono pezzi. Noi abbiamo case in pietra, patrimoni culturali, rocche, castelli, chiese, campanili. In alcuni casi viviamo in equilibrio su angoli di montagne. Sporgiamo in bilico. Costruiamo case una sopra l'altra, conviviamo con monumenti e conserviamo medioevo. Anche in città abbiamo palazzi in muratura, che se scossi diventano briciole in pochi secondi. L'Italia dal 2013 prevede il rimborso del 65% delle spese in 10 anni. Eppure ci vorrebbero 36 miliardi affinché il 70 per cento dei nostri 32 milioni di edifici ancora non adeguato al rischio, lo diventi. Che si adegui. La Protezione civile definisce normativa antisismica "l'insieme dei criteri per costruire una struttura in modo da ridurre la sua tendenza a subire un danno, in seguito a un evento sismico. "Dire che la normativa di ricostruzione e adeguamento sia stata disattesa è troppo generico - continua l'ingegnere - perché il non aver rispettato regole coinvolge singole responsabilità. Le norme ci sono, e sono ottime norme, in linea con l'Europa. L'attenzione o meno non è stata un'evasione di massa alla ricostruzione". Dal 1908, anno del devastante terremoto di Messina e Reggio Calabria, fino al 1974, in Italia i comuni sono stati classificati come sismici e sottoposti a norme restrittive per le costruzioni. Il 63, 8 per cento dei nostri edifici sono stati costruiti prima che entrasse in vigore, nel 1971, una più efficace normativa antisismica. Dopo il terremoto del 2002 in Puglia e Molise viene emanata l'ordinanza del presidente del consiglio dei ministri n.3274 del 2003, che riclassifica l'intero territorio nazionale in quattro zone a diversa pericolosità, eliminando le zone non classificate. Da quel momento nessuna area del nostro Paese può ritenersi non interessata al problema sismico. Il problema non sono i costi, ma i tempi. "Io di terremoti ne ho visti tanti", spiega Sylos Labini. "La cosa che mi ha sempre turbato erano le tendopoli, ora ci sono i mezzi e la tecnologia per diminuire i tempi e rifare rapidamente un tetto di una casa, è necessario stabilizzare le persone, anche psicologicamente, la normativa ha fatto passi enormi, e per ora la prevenzione è l'unico mezzo che abbiamo e che dobbiamo attuare. La burocrazia frena i tempi, all'Aquila ha rallentato tutto, ma c'è bisogno di un controllo per quanto possibile, che le cose non sfuggano in queste maglie capillari". Che le persone capiscano l'importanza di una ricostruzione sensata". I ministri delle Infrastrutture e dell'Interno insieme al Capo Dipartimento della Protezione civile emanano il 14 gennaio 2008 il decreto ministeriale che approva le nuove norme tecniche per le costruzioni. L'applicazione diventa obbligatoria dal 1 luglio 2009, come previsto dalla legge n.77 del 24 giugno 2009. Oltre la legge, che dovrebbe obbligare un intervento, restano le pietre a terra, per non dimenticare, per non trovare scuse. E per rimettere in piedi case in grado di ballare, non tombe.

Le cittadelle fanno risparmiare il 50% L'esperto: costruire ex novo costa meno. I casi Messina e San Francisco. Il sindaco Pirozzi: si deve radere al suolo, scrive Giuseppe Marino, Sabato 27/08/2016, su "Il Giornale". Ricostruire dov'era e com'era. Un mantra che torna dopo ogni terremoto. Ma il sindaco di Amatrice, Sergio Pirozzi, va controcorrente: «Amatrice è da radere al suolo completamente», ammette dopo aver partecipato a riunioni con i vertici di vigili del fuoco e Protezione civile. Il sindaco forse non lo sa, ma ha sfidato le ire dei venerabili maestri dei beni culturali. Dopo il sisma del 2012 un assessore provinciale di Mantova ventilò l'ipotesi di mettere in moto la ruspa sui ruderi delle chiese e Salvatore Settis, ex direttore della Normale di Pisa e archeologo con fama mediatica, lo paragonò ad Attila. Sta di fatto che il dibattito è aperto e che il restauro può essere costosissimo. Per L'Aquila ad esempio, si sono spesi 12 miliardi in 7 anni, e c'è ancora tanto da fare. Si va verso una Nuova Amatrice, magari costruita altrove? Pirozzi è pronto a demolire, ma non a spostare: «A parte la chiesa romanica di San Francesco, tutto il resto non c'è più. Vorremmo però ricostruire Amatrice nello stesso posto, magari con la stessa forma e con la stessa estetica». Per Gian Michele Calvi, direttore del Centro di ricerca in ingegneria sismica e sismologia dello Iuss di Pavia che ebbe un ruolo di primo piano nella costruzione delle «new town» dell'Aquila, «costruire da zero costa molto meno, indicativamente una stima del 50% di risparmio non la trovo azzardata». Calvi cita come principale caso di spostamento di centri abitati e ricostruzione i villaggi coinvolti nel devastante sisma di Messina del 1908. «E nel 1906 a San Francisco - spiega - scelsero invece di far costruire rapidamente a privati new town affittate a un prezzo salato mentre si ricostruiva e poi ricomprate dalla mano pubblica e demolite, per spingere la popolazione a tornare al suo posto». Ci sono naturalmente anche esempi di restauro: «Sant'Angelo dei Lombardi in Irpinia e Gemona in Friuli sono i più citati - ricorda l'ingegnere - ma il primo fu lungo e costosissimo, il secondo fu frutto di una scelta drastica: si decise di privilegiare la ricostruzione delle attività produttive sulle residenze. Ad Amatrice il restauro è fuori luogo, ma si può anche scegliere di ricostruire nello stesso posto. Ma replicare tecniche ed estetica del passato è un'idea figlia di decenni bui dell'architettura in Italia. Costruire ex novo e bene si può». Nella scelta del luogo pesa anche un altro fattore praticamente dimenticato, con esiti disastrosi: i cosiddetti «effetti di sito», cioè caratteristiche del terreno che sono in grado di accelerare l'onda sismica o attenuarla. «Le norme tecniche recenti - dice Raffaele Nardone, consigliere nazionale dell'Ordine dei geologi - richiedono l'analisi geologica del sito, ma ammettono che eccezioni. Che in Italia sono diventate la regola. Ad Accumoli ad esempio non si è tenuto conto del rischio rappresentato dal terreno che è franato all'ingresso del paese, lambendo alcuni edifici. E la natura del terreno potrebbe aver influito anche nel crollo ad Amatrice. Non sempre è necessario spostare le case altrove, ma è indispensabile conoscere la natura del terreno. Magari investendo di più nella sicurezza della casa e meno nella bellezza, se bisogna scegliere».

Ristrutturazioni anti sismiche? Lo Stato penalizza i poveri. Le norme sulle detrazioni Irpef per gli adeguamenti anti-sismici hanno molte falle. Meno sgravi a chi è in difficoltà economiche, scrive Giuseppe De Lorenzo, Sabato 27/08/2016, su "Il Giornale". Dopo il terremoto che ha abbattuto Amatrice, Accumoli e Pescara del Tronto ci si chiede: lo Stato incentiva i cittadini ad adeguare le loro case alle nuove norme anti-sismiche? La risposta è semplice: sì, ma solo i ricchi. Chi guadagna 1.000 euro al mese, invece, si deve accontentare delle briciole. Vi sembra strano? Lo è. Anzi: è una follia. Cerchiamo di capire meglio. Sul sito dell'Agenzia delle Entrate è disponibile un documento che spiega nel dettaglio quali sono gli sgravi fiscali che il governo ha istituito nella speranza di far diventare a prova di terremoto gli edifici antiche. Le detrazioni per le ristrutturazioni anti-sismiche. In sintesi funziona così: il privato cittadino paga di tasca sua i lavori. Poi lo Stato concede uno sconto sulle tasse (Irpef) pari al 50% dell'importo speso (se fatto a partire da giugno 2012). Ovviamente c'è un tetto massimo, pari a 96mila euro. Bene. Nel caso in cui la casa sia costruita in una zona considerata "ad alta pericolosità" sismica, la detrazione sale fino al 65%. Ma c'è da affrettarsi, perché l'offerta scade il 31 dicembre 2016. Dall'anno prossimo potremo sperare di ottenere solo il 36% con un tetto massimo di 48mila euro. Son tempi di vacche magre: anche per proteggerci dal terremoto. Una volta ristrutturata la casa, comunque, al cittadino la detrazione non viene "regalata" in unica soluzione, ma in 10 comode rate annuali di pari importo. Ma c'è l'inghippo: "Ciascun contribuente - si legge - ha diritto a detrarre annualmente la quota spettante nei limiti dell'Irpef dovuta per l'anno in questione. Non è ammesso il rimborso di somme eccedenti l'imposta". In sostanza lo sconto non può essere superiore alle tasse da versare e quindi meno Irpef paghi e minori sgravi puoi ottenere. In questo modo le persone in difficoltà economica hanno uno sconto Irpef inferiore. E così non sono incentivate ad adeguare gli edifici alle norme sismiche, col rischio di morirci dentro. Il pensionato prende meno sgravi del Vip. Facciamo un esempio. Il signor Mario ha una pensione pari a 12.000 euro all'anno. Pochi: parliamo di 1.000 euro al mese. Con il lavoro di una vita mette da parte un bel gruzzoletto e un giorno decide di spendere 50mila euro per rendere la casa anti-sismica. A quel punto chiede la detrazione di 32.500 euro (il 65% di 50mila) che divisi in 10 anni significano 3.250 euro all'anno di quote detraibili. Ma visto che di Irpef (lorda) Mario deve pagare solo 2.760 euro (inferiori ai 3.250 euro di sgravio fiscale), perderà la differenza di 490 euro. E non può nemmeno chiedere un rimborso o farli diventare una diminuzione di imposta nell'anno successivo. Cornuto e mazziato. Quei 5mila euro a Mario avrebbero fatto sicuramente comodo. Se lo Stato fosse stato più generoso, forse, la casa l'avrebbe ristrutturata. Ma così sa di beffa: meno guadagni e maggiore sarà l'ingiustizia. Al contrario, chi è ha un reddito alto (e quindi paga più Irpef) s'intascherà per intero la detrazione. Se non basta, ecco la seconda anomalia: lo sgravio fiscale "extra" per le zone sismiche vale solo per la prima casa. Ma ad Amatrice, Accumuli e via dicendo, molti degli edifici erano abitazioni per le vacanze. Che quindi non avrebbero potuto ottenere la detrazione.

Adeguamento sismico, quanto costa l'edilizia che può salvare la vita. Si va da 100 a 300 euro a metro quadro. Per un palazzo di medie dimensioni si tratterebbe di una spesa di circa mezzo milione. Una cifra vicina a quelle spesso impiegate per interventi di altro tipo. Le detrazioni fiscali ci sono, ma parziali e spalmate nel tempo. E così i lavori per la messa in sicurezza sono una rarità, scrive Paolo Fantauzzi il 25 agosto 2016 su "L'Espresso". L'Italia ha una delle legislazioni più all'avanguardia, in tema di normativa antisismica. Il problema è che interessa solo le nuove costruzioni. E in un Paese dove l'edilizia storica di vario tipo rappresenta l'80-90 per cento, è come dire che - se i lavori sono eseguiti come si deve - solo una piccolissima fetta di edifici è davvero al sicuro. Oltre il 40 per cento del territorio italiano è a rischio sismico elevato e il 60 per cento degli edifici è stato costruito prima del 1974, quanto sono entrate in vigore le prime norme antisismiche. Almeno un terzo degli immobili andrebbe adeguato. Sulla base di questi parametri nel 2013 l'Oice, l'associazione delle organizzazioni di ingegneria, architettura e consulenza tecnico-economica, stimava che il mercato per questo tipo di interventi valesse 36 miliardi. Perché pure se l'adeguamento costa salato, può salvare la vita. Ma di che cifre parliamo? “Con una spesa compresa fra 100 e 300 euro a metro quadro è possibile mettere al sicuro un edificio” spiega Camillo Nuti, a lungo docente di Tecnica delle costruzioni in zona sismica alla facoltà di Ingegneria di Roma Tre e attualmente ordinario di Progettazione strutturale ad Architettura: “Vuol dire 30 mila euro per appartamento di dimensioni medio-grandi e 200-600 mila euro per un classico condominio di quattro piani. Non poco ma si tratta di cifre che spesso, a pensarci, nel complesso vengono spese per una serie di interventi di tanti alti tipi ma assai meno importanti. Bisogna mettersi in testa che non ha senso rifare la cucina se poi le strutture della casa sono a rischio”. Il campionario dei lavori che si possono effettuare è lungo: isolatori o cuscinetti antisismici da disporre alla base degli edifici, l’utilizzo della fibra di carbonio attorno ai pilastri che riduce notevolmente il rischio di fratture, la disposizione di controventi dissipativi tra un piano e l'altro per ammortizzare le scosse, rinforzi tramite l’installazione di catene o il risarcimento delle murature. L’ultimo ritrovato, ancora allo studio, sono particolari pannelli in legno che coprono le tamponature all'interno e che sono in grado di fare da dissipatori. “È la dimostrazione che abbiamo un grande patrimonio di conoscenze e che le tecnologie esistono. Tutto sta a favorirne l’impiego” sintetizza Nuti. Ma ecco sorgere il problema economico. Chi effettua lavori di adeguamento sismico in zone a elevata pericolosità può recuperare il 65 per cento della spesa, ma in dieci anni. Proprio come previsto per gli interventi per il risparmio energetico. Il problema così è che, trattandosi di somme ingenti, in pochi vi ricorrono. Anche perché si tratta di un investimento sul futuro che non dà ritorni immediati in bolletta, né estetici, come nel caso di una ristrutturazione. Così, se la proposta di ricorrere ai margini di flessibilità concessi dalla Ue potrebbe essere una soluzione, si potrebbe pensare anche a un’altra strada: una detrazione immediata o quanto meno in un arco di tempo assai più ristretto rispetto a quello attuale. E le mancate entrate potrebbero essere compensate dal gettito Iva derivante dagli incentivi e dalle tasse pagate da imprese e progettisti. Con un mercato dei lavori stimato in 36 miliardi, solo l’imposta sul valore aggiunto potrebbe portarne sette nelle casse dell’erario. A meno che non si voglia pensare che la vita di una persona, dal punto di vista fiscale, valga quanto una caldaia a condensazione.

Come rendere antisismica la tua vecchia abitazione. Un sismologo ha ristrutturato la sua casa, costruita sessanta anni fa, rendendola sicura. Ecco come e con quali costi, scrive il 25 agosto 2016 Nadia Francalacci su Panorama. Il terremoto che devastato l'Italia centrale, distruggendo completamente interi paesi e estinguendo quasi intere comunità, ha riportato al centro del dibattito la necessità di adeguare le abitazioni agli eventi sismici. L'Italia, purtroppo, come viene ribadito in queste ore dall'Ingv, è un Paese che per sua natura è altamente a rischio eventi sismici. E la storia sia recente che passata ce lo ha ricordato. Dunque, si può trasformare le vecchie case in edifici antisismici? Lo si può fare e anche prezzi contenuti. Non occorre demolire e ricostruire ma solamente apportare piccole modifiche strutturali tali da rendere l’edificio “dinamico” alle scosse sismiche. Con questo articolo scritto a seguito del sisma che colpì l'Emilia Romagna nel 2012, Panorama.it, si era già occupato dell'argomento. Ecco che cosa ci suggerì l'esperto contattato. E i suoi suggerimenti sono sempre attuali. Paolo Frediani, sismologo e direttore dell’Osservatorio Sismico Apuano, dodici anni fa,  ha ristrutturato la propria abitazione, una struttura costruita negli anni Cinquanta,  rendendola “resistente” al terremoto con un investimento di "soli" 48 milioni di lire che grazie alle detrazioni, sono diventati poco più di 20 milioni. In sostanza,10-13 mila euro circa.

Geometra Paolo Benvenuti, lei ha progettato e seguito la ristrutturazione dell’abitazione del sismologo Paolo Frediani. Com'è riuscito a trasformare la vecchia villetta in un’abitazione che non uccide?

«I cedimenti strutturali che si verificano durante un sisma sono dovuti in gran parte all'enorme quantità di peso che la struttura “portante” dell'edificio deve sopportare. In particolare, mi riferisco al tetto. Durante un evento sismico tutti questi carichi passano da una situazione “statica” ad una “dinamica” in modo repentino ed è questo che ne favorisce il crollo. La problematica principale della villetta del sismologo Frediani costruita circa sessanta anni fa, era quella innanzitutto di legare le quattro pareti costruite in epoche diverse e con materiali differenti.  Quindi, per rendere l’edificio dinamico, capace di assorbire il sisma, abbiamo dovuto costruire un cordolo all’altezza del solaio e lo abbiamo fissato alla muratura verticale, ovvero alle pareti, con tondini di acciaio e collante chimico. Poi abbiamo realizzato ex novo una struttura in acciaio per la copertura. Questo ha permesso di alleggerire il tetto».

Ma nel dettaglio quali sono state le fasi principali della ristrutturazione antisismica?

«Volendo mantenere nel locale sottotetto, un vano fruibile, si è pensato di modificare la struttura come da classica capanna con le falde a pendenza diversa, ad una copertura mista a capanna e a padiglione, questo ultimo fatto dovuto anche ad esigenze urbanistiche. Per realizzare il progetto occorreva un materiale leggero, maneggevole, coibentante e facilmente sagomabile proprio considerando la forma della copertura. L'abbinamento che abbiamo scelto è stato tra acciaio e pannelli autoportanti ardesiati. In questo modo si è evitato di aggiungere le tegole che sono pesanti e durante il sisma diventano pericolose. Le travi, invece, sono state collegate tramite idonee piastre di distribuzione ad un cordolo in calcestruzzo armato in modo da scaricare il peso di tutta la struttura sulla sottostante muratura.  E’ fondamentale sottolineare che durante tutta la durata del cantiere, non è stato demolito il solaio e questo ha permesso a coloro che vi abitavano di non lasciare mai la villetta».

Con questo metodo di quanto è riuscito ad alleggerire il tetto?

«Di circa due terzi. In sostanza, con il metodo classico, il solaio in laterocemento e calcestruzzo avrebbe avuto un peso medio per metro quadrato di circa 290 chilogrammi mentre con il metodo antisismico abbiamo ridotto il peso a 100 kg per metro quadrato».

Oggi, quanto può costare un intervento come quello appena descritto?

«Calcolando una superficie di circa 90-100 metri quadrati, realizzare una ristrutturazione antisismica, può costare da 20 e 30 mila euro circa».

Ed è possibile intervenire con altrettanta facilità anche negli appartamenti? E con che costi?

«Negli appartamenti è più impegnativo anche perché il progettista deve necessariamente verificare e analizzare tutta la struttura portante dell’edificio e poi intervenire eventualmente sulla singola unità. Ma ad esempio l’istallazione di una catena che serve per collegare ovvero tenere unite, le due facciate opposte di un palazzo il costo può variare dagli 800 ai 1.200 euro a seconda della dimensione. Anche questo è un intervento antisismico, certamente minimo, ma pur sempre funzionale».  

TERREMOTO E LOBBY.

Il Fascicolo del fabbricato: Ecco poi, come la lobby degli ingegneri specula e tira acqua al suo mulino per creare burocrazia ed a loro ulteriore lavoro.

Terremoto: norme permissive, poche risorse e niente mappatura. “In zone a rischio l’80% dei fabbricati crollerebbe”. Alessandro Martelli, ingegnere sismico, e presidente del Glis: "L'enorme patrimonio edilizio del Paese, che è vecchio, non è in grado di sostenere questi sismi. La normativa però non impone né l’adeguamento né il miglioramento sismico e i finanziamenti che il governo dovrebbe stanziare arrivano con il contagocce". In più non esiste una vera mappa dei fabbricati (almeno quelli pubblici) più vulnerabili, scrive di Melania Carnevali il 25 agosto 2016 su "Il Fatto Quotidiano". “L’80% dei fabbricati nelle zone ad alto rischio non reggerebbe un terremoto come quello della scorsa notte (leggi). Crollerebbero tutti”. Incluso scuole, ospedali, caserme, prefetture, ossia i luoghi considerati strategici in caso di emergenza, come un terremoto. A dirlo è Alessandro Martelli, ingegnere sismico, presidente del Glis (istituito dall’associazione nazionale italiana di ingegneria sismica), docente a cui nei primi anni Duemila venne tolta la cattedra ad architettura all’università di Ferrara in Costruzioni in zona sismica: “Dissero che era inutile nella regione”, racconta ailfattoquotidiano.it. Poco dopo ci fu il terremoto in Emilia. L’80% è la percentuale di costruzioni storiche in Italia, realizzate prima del 1981, anno in cui – dopo il sisma che devastò Irpinia – venne introdotto l’obbligo del rispetto di specifiche norme antisismiche per le costruzioni. Da allora la normativa viene aggiornata sisma dopo sisma, strage dopo strage, alzando di volta in volta l’asticella di sicurezza. E – salvo lavori non eseguiti come da progetto – le nuove costruzioni risultano sicure. “Il problema grave di questo territorio – spiega a ilfattoquotidiano.it Martelli – è l’enorme patrimonio edilizio del Paese, che è vecchio e non è in grado di sostenere questi terremoti”. Secondo il sismologo Massimo Cocco, dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv), ben il 50% delle scuole è stato costruito prima del 1981. La normativa però non impone né l’adeguamento sismico, né il miglioramento sismico, se non nel caso di lavori che interessino le parti strutturali. E questo riguarda sia i privati sia il pubblico. I Comuni e le Regioni sono obbligati solo – da una legge introdotta nel 2002 dopo il terremoto in Molise, dove crollò una scuola, e operativa solo dal 2012 – a uno studio di vulnerabilità dei palazzi di loro proprietà. Ossia a verificare se sono sicuri o meno. Punto. Poi, di fatto, possono rimanere come sono: sicuri o no. Perché? I finanziamenti: nel Paese più insicuro d’Europa dal punto di vista sismico (insieme a Grecia e Turchia), si contano con il contagocce. “Il governo dovrebbe stanziare ogni anno una somma nella sua Finanziaria per arrivare alla sicurezza nel giro di un decennio – commenta Martelli, ingegnere sismico – E invece ogni anno dicono che non ci sono soldi, aggravando la situazione. Poi, quando ci sono terremoti di questo tipo, si spende tre volte tanto di quello che si saprebbe dovuto spendere. In Giappone, un sisma del genere, non avrebbe fatto notizia perché hanno investito molto nell’edilizia”. Ma il punto poi è anche un altro e, se possibile, peggiore: una vera mappa dei fabbricati (almeno quelli pubblici) a rischio non esiste. Quanti ospedali o quante scuole rischiano di crollare in Italia? Quante prefetture rischiano di non poter svolgere la loro funzione in caso di emergenza? Non si sa. Da anni il Consiglio nazionale dei Geologi si sgola per chiedere un “fascicolo del fabbricato”, ma la politica ha sempre risposto picche. “Noi lo definiamo ‘libretto pediatrico’ – spiega Domenico Angelone, consigliere nazionale dei geologi – perché conterrebbe tutte le informazioni del fabbricato: dalla nascita agli ultimi interventi, incluso la collocazione. Un fabbricato spesso può essere infatti considerato a norma dal punto di vista sismico, ma magari è situato su una frana. A noi mancano tutte queste informazioni. Ci sono costruzioni di cui non sappiamo proprio nulla”. L’unico dato certo, fornito dai geologi, è che in Italia circa 24 milioni di persone vivono in zone ad elevato rischio sismico: è la cosiddetta zona 1 (le zone sono 4), quella che prende parte dell’Appennino, dal sud dell’Umbria fino alla Calabria e una parte di Sicilia. Ma la prevenzione, secondo i geologi, è pari a zero. “Da anni diciamo che in Italia siamo ben lontani da una cultura di prevenzione – spiega il presidente del Consiglio nazionale dei Geologi, Francesco Peduto – Innanzitutto sarebbe necessaria una normativa più confacente alla situazione del territorio italiano: oltre al fascicolo del fabbricato chiediamo un piano del governo per mettere in sicurezza tutti gli edifici pubblici. Inoltre, affinché cresca la coscienza civica dei cittadini nell’ambito della prevenzione sismica, bisognerebbe cominciare a fare anche una seria opera di educazione scolastica che renda la popolazione più cosciente dei rischi che pervadono il territorio che abitano. Non dimentichiamo – continua il presidente dei geologi – che, secondo alcuni studi, una percentuale tra il 20 e il 50% dei decessi, in questi casi, è causata da comportamenti sbagliati dei cittadini durante l’evento sismico”. Prevedere un terremoto, secondo i geologi, è impossibile. “Sappiamo che l’Italia è un territorio a rischio – spiega Peduto – ma non è possibile sapere in anticipo dove verrà e di che intensità”. Quello che rimane quindi è la prevenzione. “Che, in Italia – chiosa il geologo -, è proprio ciò che manca”.

E dopo la lobby degli ingegneri ecco le pretese della confedilizia.

Terremoto, ingegneri: "La messa in sicurezza delle case italiane costa 93 miliardi. Il 50% non adeguate per un sisma", scrive "L'Huffington Post" di ANSA il 25/08/2016. "Per la messa in sicurezza del patrimonio abitativo degli italiani da eventi sismici medi" il costo complessivo è "pari a circa 93 miliardi di euro". E' uno dei dati forniti dal Consiglio nazionale degli ingegneri (su elaborazione del suo Centro studi), a seguito degli eventi tragici nell'Italia centrale. Il complesso delle abitazioni residenziali, recita il dossier, "si presenta particolarmente vetusto e, per questa ragione, potenzialmente bisognoso" di interventi: circa "15 milioni di case (più del 50% del totale) sono state costruite, infatti, prima del 1974, in completa assenza di una qualsivoglia normativa antisismica". E, inoltre, almeno "4 milioni di immobili sono stati edificati prima del 1920 e altri 2,7 milioni prima del 1945". Secondo i professionisti, la quota di immobili da recuperare, sulla base dell'esame dei danni registrati alle abitazioni de L'Aquila e delle condizioni del patrimonio abitativo raccolte dalle indagini censuarie, "è pari a circa il 40% delle abitazioni del Paese, indipendentemente dal livello di rischio sismico". Politiche di incentivazione, soprattutto fiscale, degli interventi per la tutela del patrimonio immobiliare e per la prevenzione dei danni da calamità. E' questa, secondo Confedilizia, la strada da seguire alla luce del terremoto nel centro Italia. Secondo l'associazione, "quel che certamente non serve - e che, anzi, porta danni - è ipotizzare obblighi generalizzati di intervento o di redazione di improbabili certificati ovvero riesumare proposte bocciate dalla storia: come quella di un obbligo assicurativo, contrastata anche dall'Antitrust, o quella del fascicolo del fabbricato, libretto cartaceo dichiarato illegittimo dai giudici di ogni ordine e grado e avversato anche dal Governo Renzi, che ha tempo fa impugnato una legge regionale in tal senso". Quanto al post-terremoto, il Governo in carica, con un provvedimento previsto dall'ultima legge di stabilità e attuato con una delibera pubblicata in Gazzetta Ufficiale proprio venti giorni fa, ricorda Confedilizia, "ha varato un sistema di gestione delle calamità naturali che permette a cittadini e imprenditori danneggiati di ottenere considerevoli aiuti per la riparazione o ricostruzione delle case e per il ripristino delle attività produttive. Confidiamo che le relative risorse siano incrementate, a beneficio delle popolazioni colpite dal sisma che ha colpito Lazio e Marche".

TERREMOTO E SPRECHI.

I fondi per la ricostruzione spartiti in “consulenze d’oro”. Così dal ’97 i partiti hanno gestito i soldi pubblici del dopo-terremoto. 790 professionisti. Ingegneri, geometri, architetti e geologi che hanno avuto consulenze nella ricostruzione, scrive Paolo Festuccia il 31/08/2016 su "La Stampa". La caccia agli appalti è cominciata. La sta facendo la Guardia di Finanza su delega della procura di Rieti. Obiettivo: accertare quali ditte, quali tecnici e con quali criteri sono stati concessi soldi pubblici per la ricostruzione post sisma del 1997. A cominciare dai lavori svolti nei Comuni di Accumoli ed Amatrice dove le opere rifatte e realizzate per il miglioramento sismico sono crollate nuovamente.  Ma Amatrice e Accumoli, in questa storia di crolli e ricostruzioni, rappresentano solo una piccola parte del fiume di denaro pubblico che con il sisma umbro-marchigiano sono piovuti sull’intera provincia di Rieti. Non solo, il reatino ha beneficiato anche di un’altra cospicua iniezione di denaro pubblico anche per lo sciame sismico del 2001. Risultato: tra il primo stralcio e il secondo i soldi pubblici spesi per riedificare gli immobili lesionati, chiese, scuola e abitazioni private sono stati 61 milioni e 625 mila euro. A questi si devono aggiungere altri 5 milioni (sempre di euro) e il totale arriva a 66 milioni di opere finanziate. Una vera manna per costruttori, professionisti, ingegneri e architetti. A vigilare sulla doppia ricostruzione, soprattutto nella prima fase dell’emergenza, in tempi diversi e in base alle alternanze di governo alla Regione Lazio, si sono avvicendati tre sub commissari: il primo l’ex presidente della Provincia di Rieti Giosuè Calabrese (Ppi all’epoca), il secondo con l’avvento della giunta Storace, l’ex assessore regionale (reatino) di Alleanza nazionale al Turismo e alla Cultura Luigi Ciaramelletti. Infine nel 2005 l’allora presidente della provincia, oggi parlamentare del Pd, Fabio Melilli, quando già molto ormai era stato assegnato.  Calabrese ha affidato lavori e incarichi per oltre 30 milioni, Ciaramelletti per poco meno. Sotto il loro scettro si sono alternati oltre 790 professionisti della zona: geometri, ingegneri, architetti, geologi. Tanti anche per «dividersi» consulenze minori e appalti di lieve entità. Ma molti, come elencato nel piano di attuazione del programma stralcio, hanno lavorato su diversi fronti contemporaneamente, e quindi a piccole dosi «hanno portato a casa cifre interessanti», afferma una fonte ben informata. In molti casi nella lista ci sono pure ex sindaci, ex consiglieri comunali di vari Comuni, figli di: alcuni tra questi sono passati da un municipio all’altro. Del resto i Comuni beneficiati dalla manna pubblica (tra il primo e il secondo stralcio) sono stati 49 su 72 e molti professionisti sono stati chiamati come progettisti in un luogo e come collaudatori in un altro. Per ogni lavoro «sono stati impiegati tre professionisti… E va da sé che anche nelle opere minori questo ha in un certo senso - riprende la fonte - abbassato anche il valore di prestazione d’opera circa la qualità del rifacimento». Un’accusa pesante, dunque. Non solo, se si osservano i documenti balza subito agli occhi come i 33 milioni di euro stanziati siano stati frazionati in interventi, (soprattutto tra Amatrice e Accumoli dove si è verificato il sisma e i palazzi sono crollati nuovamente), con importi non oltre i 150 mila euro, cifra entro la quale appalti e incarichi, all’epoca, potevano essere affidati a trattativa privata. Chi conosce quegli atti, insomma, assicura che la pioggia finanziaria è scesa sui Comuni «mettendo d’accordo tutti: sia la destra che la sinistra, sia i liberi professionisti di destra che quelli di sinistra». Da Amatrice a Fiamignano, passando per Cittaducale e Rieti. Stime alla mano, l’incidenza delle consulenze progettuali ha pesato sull’opera per il 40 per cento dei lavori (Iva compresa). Insomma, su 125 mila euro stanziati 45 mila sono andati ai tecnici e solo 75 mila al rifacimento dei lavori. Se il nodo si affronta da questa prospettiva, allora, è probabile che gli inquirenti nel sequestrare le carte degli appalti affidati vogliano anche accertare se le imprese si siano limitate solo al rifacimento della parti crollate, oppure abbiano anche provveduto al miglioramento sismico così come previsto nel capitolato. Non quindi all’adeguamento ma almeno al miglioramento. «Un fatto è chiaro - riprende la fonte - da tutta questa vicenda si evince che dare lavori a tre progettisti significa poi tagliare i costi sui lavori effettivi».  Tanto per citare un esempio, tra Amatrice e Accumoli, dove quasi tutto ciò che è stato rifatto è inagibile, crollato o fortemente compromesso dal terremoto del 24 agosto scorso, su un importo vicino ai tre milioni di euro stanziati tra integrazioni e fine lavori sono stati ben 72 i tecnici incaricati con l’aggiunta di geologi e collaudatori. Se il tariffario indica il 40% per la progettazione, questo significa che su 3 milioni circa un milione 200 mila euro è finito nelle consulenze mentre il restante milione e 800 mila euro in cemento armato e ferro. Che spalmato su 21 immobili fortemente danneggiati fa una media di poco più di 85 mila euro. Dentro questa cifra ci dev’essere il guadagno per impresa e operai.  

Terremoto: costruiscono, ricostruiscono, consulenti…stessa casta, scrive Riccardo Galli su “Blitz Quotidiano” il 31 agosto 2016.  Terremoto, quelli che costruiscono prima del terremoto (male molto male) sono quasi sempre gli stessi che nel dopo terremoto riparano e ricostruiscono (finora ancora male). E sono gli stessi, proprio gli stessi che intercettano i fondi per la ricostruzione e li trasformano in buona parte in consulenze. Un’altra casta, fatta di geometri e asri, consiglieri comunali e ingegneri, avvocati, commercialisti, imprenditori, notai, perfino parroci. “Non sono i terremoti ad uccidere, ma i palazzi che crollano”, diceva e continua a dire Giuseppe Zamberletti, papà della nostra Protezione Civile, trovando una forse inaspettata eco nelle parole dal Vescovo di Rieti durante i solenni funerali di ieri. Ma di terremoto, e soprattutto di ricostruzione, si vive anche. Al punto che intorno all’emergenza vive e prolifera una vera e propria piccola casta. Una casta fatta di ditte e professionisti che costruiscono (male) e ricostruiscono dopo i crolli, dando tra la prima e la seconda cosa consulenze sui lavori da fare. Sempre le stesse persone. “Capita dunque che lavorino sempre gli stessi professionisti del sisma – scrive Sergio Rizzo sul Corriere della Sera -. Tanto più nei piccoli centri: quando si tratta di tirare su un muretto o una palazzina, ci pensa il geometra autoctono. E ci pensa pure se quel muretto o la palazzina crolla causa movimento tellurico imprevisto. Figuriamoci se poi il tecnico ha le mani in pasta nell’amministrazione comunale. Niente di illegittimo, ovvio. Ma qualche domanda è giusto farsela. Il fatto è che soprattutto nei piccoli centri la commistione fra la politica e certe figure professionali risulta inevitabile. Quello che un tempo in una comunità rappresentavano il farmacista e il notaio, ora è in molto casi il geometra. Meglio se con un incarico politico. Ha raccontato Mariano Maugeri sul Sole 24 ore che ad Amatrice il vicesindaco Gianluca Carloni è un geometra che continua a lavorare nello studio tecnico con il fratello Ivo, un ingegnere che ha costruito mezza Amatrice e negli anni 90 aveva ristrutturato la caserma dei carabinieri di Accumoli, fortemente danneggiata dal sisma’”. Se tutto sia legittimo e legale ora, almeno nel caso dei comuni e dei lavori effettuati sugli immobili venuti giù col terremoto del 24 agosto, lo stabiliranno le inchieste e, come hanno ricordato i Finanzieri incaricati delle indagini dalla procura di Rieti: “Ora andremo a vedere perché sono sempre le stesse ditte ad effettuare i lavori, certo è strano, forse qualche dipendente pubblico non ha fatto benissimo il suo lavoro”. Il dis tra legale e illegale è in questi casi però sottilissimo e, in verità, per raccontare questo mondo che di terremoto e soprattutto emergenza vive, nemmeno rilevante. Perché come racconta Paolo Festuccia su La Stampa il 31 agosto 2016 parlando della ricostruzione post sisma del ’97: “Da Amatrice a Fiamignano, passando per Cittaducale e Rieti. Stime alla mano, l’incidenza delle consulenze progettuali ha pesato sull’opera per il 40 per cento dei lavori (Iva compresa). Insomma, su 125 mila euro stanziati 45 mila sono andati ai tecnici e solo 75 mila al rifacimento dei lavori. Se il nodo si affronta da questa prospettiva, allora, è probabile che gli inquirenti nel sequestrare le carte degli appalti affidati vogliano anche accertare se le imprese si siano limitate solo al rifacimento della parti crollate, oppure abbiano anche provveduto al miglioramento sismico così come previsto nel capitolato. Non quindi all’adeguamento ma almeno al miglioramento. (…) Tanto per citare un esempio, tra Amatrice e Accumoli, dove quasi tutto ciò che è stato rifatto è inagibile, crollato o fortemente compromesso dal terremoto del 24 agosto scorso, su un importo vicino ai tre milioni di euro stanziati tra integrazioni e fine lavori sono stati ben 72 i tecnici incaricati con l’aggiunta di geologi e collaudatori. Se il tariffario indica il 40% per la progettazione, questo significa che su 3 milioni circa un milione 200 mila euro è finito nelle consulenze mentre il restante milione e 800 mila euro in cemento armato e ferro. Che spalmato su 21 immobili fortemente danneggiati fa una media di poco più di 85 mila euro. Dentro questa cifra ci dev’essere il guadagno per impresa e operai”. Si tratta, specie nelle piccole realtà e in un Paese dove le occasioni per i progettisti non sono all’ordine del giorno, anche di guerre fra poveri. Non è, o almeno non sempre, una rete votata al malaffare ma uno spaccato di quell’Italia che vive e sopravvive grazie al denaro pubblico, che considera questo alla stregua di un diritto e ha una capacità di prevenire tendente allo zero. Una casta che non gode di quell’aura negativa che circonda, ad esempio e purtroppo molte volte a ragione, i politici. E’, al contrario, una casta di cui la gente si fida: si ricorre sempre alle stesse ditte e agli stessi professionisti certo perché i lavori non vengono affidati attraverso gare d’appalto, ma anche perché il geometra fratello del sindaco, cugino della ditta che ha ristrutturato casa rappresenta una sorta di garanzia. Come dicono a Napoli: “però sparti ricchezza e addiventa puvertà”, e se sui fondi messi in campo per ogni ricostruzione quasi la metà finisce in consulenza, è conseguenziale che i lavori dovranno essere fatti al risparmio. Tanto ci sarò sempre tempo per rifarli, forse meglio, al prossimo crollo.

TERREMOTO E MONOPOLIO.

Terremoto, i «professionisti» della ricostruzione. Lavorano sempre gli stessi, tirano su muretti e palazzine e li riparano se crollano. Il meccanismo che ha portato tanti affari in poche mani ha rallentato il dopo sisma, scrive Sergio Rizzo il 30 agosto 2016 su "Il Corriere della Sera". C’era la fila, davanti alla porta di Pasqualino Fazio. Perché fratello del sindaco, Mariano Fazio? Oppure in quanto fratello di Antonio Fazio, altissimo dirigente della Banca d’Italia? Macché. Semplicemente perché era l’ingegnere di Alvito, paese di tremila abitanti in Ciociaria. I paesani lo conoscevano e si fidavano di lui. Non che l’essere fratello del sindaco e del futuro governatore della banca centrale rappresentasse un handicap, intendiamoci: il cognome Fazio ad Alvito è sempre stato una garanzia. E Pasqualino era gettonatissimo. Suo il progetto delle case popolari, prima del terremoto. Suoi anche i progetti per gli edifici pubblici, dopo il terremoto: il municipio del fratello e il convento di San Nicola. E le abitazioni private di quelli in fila davanti alla sua porta, lesionate dal terremoto. Perché nella dorsale appenninica perennemente martoriata da sisma ci fu una scossa anche ad Alvito, nel 1984. Che si portò via un bel po’ di calcinacci restituendoli poi con gli interessi: 10 miliardi di lire per la ricostruzione. Per come hanno sempre funzionato le cose in questo Paese è normale che andasse così. E così è sempre andata anche dopo. È il sistema. Il privato che ha la casa danneggiata con i contributi statali fa quel che vuole. Dà l’incarico a chi preferisce: non ha l’obbligo di fare una gara. C’è chi la considera un’anomalia. Ma di fronte alle obiezioni i governi di turno hanno sempre deciso che quei soldi pubblici vadano considerati come quattrini privati a tutti gli effetti. Fra chi intercettato definisce il disastro «una botta di culo» (L’Aquila), chi ride nel letto di notte mentre una intera città si sbriciola (ancora l’Aquila) e chi spera «in una botta forte» perché «in un minuto ne fa di danni e crea lavoro» (Mantova), capita dunque che lavorino sempre gli stessi professionisti del sisma. Tanto più nei piccoli centri: quando si tratta di tirare su un muretto o una palazzina, ci pensa il geometra autoctono. E ci pensa pure se quel muretto o la palazzina crolla causa movimento tellurico imprevisto. Figuriamoci se poi il tecnico ha le mani in pasta nell’amministrazione comunale. Niente di illegittimo, ovvio. Ma qualche domanda è giusto farsela. Il fatto è che soprattutto nei piccoli centri la commistione fra la politica e certe figure professionali risulta inevitabile. Quello che un tempo in una comunità rappresentavano il farmacista e il notaio, ora è in molto casi il geometra. Meglio se con un incarico politico. Ha raccontato Mariano Maugeri sul «Sole 24 ore» che ad Amatrice «il vicesindaco Gianluca Carloni è un geometra che continua a lavorare nello studio tecnico con il fratello Ivo, un ingegnere che ha costruito mezza Amatrice e negli anni 90 aveva ristrutturato la caserma dei carabinieri di Accumoli, fortemente danneggiata dal sisma». Intrecci all’ordine del giorno, nell’Italia dei campanili. Quando c’è di mezzo un terremoto, però, le cose si vedono sotto una luce leggermente diversa. All’Aquila le pratiche per la ricostruzione private erano finite in pochi studi professionali. Il più noto, quello dell’ex autorevole presidente del locale ordine degli architetti, Gianlorenzo Conti, peraltro prematuramente scomparso poco tempo fa. Perché questa concentrazione di incarichi, che allora preoccupò non poco il responsabile della struttura di missione Gaetano Fontana? Forse l’idea che affidare l’incarico a uno studio locale conosciuto e ben introdotto con l’amministrazione potesse costituire una sorta di corsia preferenziale per i finanziamenti. Poco importa se l’ingegnere o il geometra è magari il responsabile del disastro. Di sicuro, questo meccanismo che ha portato tanti affari in pochissime mani ha finito per rallentare la ricostruzione. Aumentando i costi: quando all’Aquila si è passati dalle pratiche singole agli aggregati il fabbisogno finanziario si è ridotto di oltre il 20 per cento. Senza dire che in un Paese così carente di occasioni per i progettisti anche le catastrofi possono scatenare guerre fra poveri. Il 4 settembre 2012, tre mesi dopo il terremoto emiliano, l’ex presidente dell’ordine nazionale degli architetti Leopoldo Freyrie fece approvare un codice etico per i professionisti volontari iscritti al suo albo, che prevede dure sanzioni per chi sfrutti economicamente questa sua posizione. Era successo che all’Aquila qualche architetto che aveva verificato «volontariamente» le lesioni di un edificio, fosse tornato alla carica con il proprietario proponendosi per pro-gettare la ristrutturazione. Il terremoto abruzzese è stato un formidabile banco di prova per i professionisti delle catastrofi: progettisti e imprese. Si andò avanti fin da subito con le procedure straordinarie della Protezione civile, e le scelte erano puramente discrezionali. Venne poi deciso di far lavorare prevalentemente le ditte locali, il che ha ristretto ancor più l’area dei partecipanti. La cosa non mancò di avere pesanti ripercussioni. Ci fu uno scontro interno all’Ance fra la struttura centrale e l’associazione territoriale delle imprese abruzzesi, che avrebbe voluto norme per limitare la partecipazione di concorrenti provenienti da altre Regioni. Per non parlare delle infiltrazioni della ‘ndrangheta, registrate anche per i lavori del dopo terremoto nell’Emilia-Romagna. Ma questa è decisamente un’altra storia, rispetto al groviglio di fortissimi interessi locali. Certe imprese che hanno lavorato in Abruzzo sono le stesse già comparse nella ricostruzione del terremoto dell’Umbria e delle Marche. Con significative diramazioni nella provincia di Rieti, perché fin lì è arrivato il cratere del sisma abruzzese: quindi i relativi fondi. E se lo schema resterà questo anche dopo Amatrice, il gioco è destinato a continuare. Nell’ambiente dei costruttori qualcuno ha già cominciato a far girare l’idea che si debbano precostituire liste di imprese pronte a lavorare nel reatino. Dove le ditte iscritte all’associazione dei costruttori non sono che una ventina. Idea, per fortuna, prontamente messa da parte. Almeno per il momento. C’è solo da augurarsi che tutto ciò serva ora d’insegnamento…

La ricostruzione in Abruzzo: a un ingegnere 428 incarichi da privati. I dati sul giro d’affari innescato dal terremoto del 6 aprile 2009 oggi online: il terremoto è costato 6,7 miliardi, 180 milioni il conto degli alberghi per ospitare gli sfollati, scrive Sergio Rizzo il 18 dicembre 2016 su "Il Corriere della Sera". L’orso Yoghi, come affettuosamente era chiamato dagli studenti Antonello Salvatori, dev’essere il più bravo di tutti. Diversamente non si capisce come abbia potuto collezionare 428 incarichi da privati per la ricostruzione. Parliamo di lavori per 254,6 milioni. E considerando che l’onorario per ingegneri e architetti, terremoto o no, è sempre il 10% dell’importo, fa 25 milioni di parcelle. Senza dubbio il migliore, questo professore di Scienza delle costruzioni all’università dell’Aquila: con tutto il lavoro che ha, è stato scelto anche per fare l’esame dei danni del sisma in centro Italia. Nemmeno fosse Superman. Va detto che neppure qualche suo collega si può lamentare. Sapete quanti incarichi hanno avuto i primi sei professionisti impegnati nella ricostruzione privata del terremoto in Abruzzo? Tenetevi forte: 1.685. In media, 280 ciascuno. Il che dice tutto su ciò che un sisma del genere può mettere in moto. I numeri completi (e per molti versi inediti) del colossale giro d’affari innescato dalla catastrofe del 6 aprile 2009 sono pubblicati da oggi sul sito opendataricostruzione.gssi.it. È un progetto di ricerca del Gran Sasso Science Institute e dell’ateneo dell’Aquila in collaborazione con il Comune, gli uffici speciali per la ricostruzione e ActionAid. L’iniziativa coordinata da Roberto Aloisio è destinata a fare luce su una delle vicende più discutibili degli ultimi decenni, almeno per com’è stata gestita inizialmente. E nasce da un accordo fra la struttura di missione del governo per il terremoto, affidata a Giampiero Marchesi, e il Gssi, un istituto post universitario autonomo nato dopo il sisma, guidato da Eugenio Coccia. Il tutto sostenuto dal tifo di Fabrizio Barca, il ministro per la Coesione territoriale di Mario Monti, che nel 2012 ha fatto materialmente decollare la ricostruzione abruzzese. «Follow the money»... «Segui il denaro» dice «Gola profonda» al giornalista del Washington Post Bob Woodward nel film di Alan J. Pakula Tutti gli uomini del presidente. E solo il percorso tracciato dai soldi poteva consentire di svelare questo scenario. Il terremoto abruzzese è costato finora 6 miliardi 769 milioni 380.326 euro. Sono i quattrini fisicamente usciti dalle casse pubbliche (compresi 27 milioncini di donazioni private) a fronte di finanziamenti concessi per 8 miliardi 365 milioni 376.662 euro. Il bello è che il 9,4%, ossia 628,3 milioni, se ne sono andati solo per le demolizioni e i famosi puntellamenti che venivano affittati per 25 euro a snodo. Somma non troppo distante da quella impegnata per il controverso progetto delle new town: 810,3 milioni per 4.449 appartamenti, al costo medio unitario di 182 mila euro, più di 2.700 euro al metro quadrato per alloggi di qualità modesta non solo dal punto di vista architettonico. Difficile, poi, non restare sorpresi davanti al conto degli alberghi per ospitare gli sfollati: 180,8 milioni. La sola emergenza ha assorbito 2 miliardi 35 milioni 548.566 euro, il 30% di quanto materialmente investito soprattutto grazie alla ricostruzione privata. Partita in concreto soltanto nel 2012 grazie al cambiamento di strategia imposto da Barca, che in due mesi ha assunto 300 giovani per gli uffici speciali dove si è cominciato a lavorare pancia a terra. Fatto sta che questa voce ha assorbito a oggi 4 miliardi 397 milioni 311.280 euro, contro finanziamenti concessi per 5 miliardi 155 milioni 778.606. E qui si apre il tema dei professionisti. Ci hanno lavorato in 1.807, di cui 562 aquilani: il 31,1% di tutti quanti, ma così abili da accaparrarsi lavori per il 63,2% dell’importo totale. Le imprese, poi: 3.348, di cui oltre metà (1.764) abruzzesi. Una di esse, la Nicola Cingolo & Figlio di Teramo, ha gestito 46 interventi per 154,5 milioni. Seguono il Consorzio Di Vincenzo & Strever di San Giovanni Teatino (Chieti) con 116,9 milioni di lavori e il Consorzio Collemaggio costruttori dell’Aquila con 50,3 milioni per 186 progetti. Quanto a numero, tuttavia, nessuno batte la Sima costruzioni: 250 appalti, per 32,3 milioni. Ma fra il ritmo della ricostruzione privata e quella degli edifici pubblici resta un abisso. Per quest’ultima sono stati finora erogati appena 346,5 milioni a fronte di stanziamenti per un miliardo 184 milioni 149.490 euro. Un rapporto del 29,2%, contro l’85,3 della ricostruzione privata. Anche perché dei 999 interventi previsti ne sono stati conclusi solo 323, 252 sono in fase di progetto e 75 di sola «programmazione». Il motivo? I soliti problemi della burocrazia...

IL TERREMOTO, GLI SGRAVI FISCALI ED I FONDI EUROPEI.

Lo Stato prima ti aiuta e poi rivuole i soldi: l'assurda storia dei 760 milioni "da restituire". Sgravi fiscali, sostegni, benefici garantiti attraverso norme sanzionate perché anti-concorrenza da Bruxelles. Così burocrazie e promesse inefficienti diventano un boomerang. E a pagare, restano solo le aziende. Come sta accadendo all'Aquila, scrive Francesca Sironi il 10 luglio 2018 su "L'Espresso". Aprile 2018: migliaia di aquilani protestano in piazza contro una situazione paradossale, drammatica per l’economia locale. L’Agenzia delle entrate ha appena inviato 350 cartelle per chiedere il rimborso di circa 100 milioni di euro. Sono aiuti concessi dopo il terremoto ma bocciati in seguito dalla Ue. Rabbia, sconcerto. Le decisioni sugli aiuti di Stato considerati illegali dall’Antitrust europea possono essere infatti solo granelli di sabbia, ma logorano gli ingranaggi già usurati dei rapporti Italia-Europa. E rischiano di diventare sassi, con un governo che minaccia Bruxelles la mattina e ne invoca le risorse al pomeriggio. Sono dossier tecnici dove la burocrazia diventa però politica e i nodi della relazione fra Roma e l’Unione prendono il peso dei problemi concreti, non solo dei discorsi da balcone. Come L’Espresso può raccontare, dal 2014 al 2017 lo Stato ha dovuto pretendere dalle imprese la restituzione di oltre 760 milioni di euro: sovvenzioni garantite da provvedimenti statali o regionali poi considerate illegali dalla Ue perché avrebbero distorto la concorrenza. E quindi richieste indietro. I soldi resi restano in Italia, non vengono “spediti” a Bruxelles. E gli aiuti messi in mora sono una minima parte di quelli su cui la Commissione viene chiamata a dare un parere: negli ultimi tre mesi, su 28 decisioni che riguardavano l’Italia, ad esempio, in un solo caso è stata avviata un’indagine. Ugualmente, quando si bloccano, queste rotelle fanno emergere, con concretezza, uno dei possibili conflitti di potere fra giunte nazionali e amministrazione europea. Diventando allora grimaldello facile per le polemiche sulla sovranità in un clima di anti-europeismo esasperato. Così è accaduto anche a proposito della vicenda abruzzese su cui il nuovo governo sarà chiamato a intervenire molto presto. Per capire cos’è successo all’Aquila bisogna partire dal novembre del 2011. Quando un emendamento alla legge di stabilità - varata al fotofinish dall’ultimo governo Berlusconi, ore prima di cadere - prevede che tutti i residenti nell’area del sisma, indistintamente, possano pagare a rate le tasse sospese. E soprattutto ne debbano solo il 40 per cento. L’emendamento è fortemente voluto dall’allora presidente della Regione Gianni Chiodi e viene firmato dal sottosegretario Gianni Letta. «Siamo andati oltre le più rosee previsioni. Questa è la dimostrazione che il lavoro e le competenze portano a risultato concreti», dichiara in quei giorni al quotidiano “il Centro” lo stesso Chiodi: «Nelle Marche e in Umbria la sospensione è stata riconosciuta solo agli imprenditori che hanno avuto immobili danneggiati. Noi, invece, l’abbiamo ottenuta per tutti, indistintamente». Ed è proprio lì che cade la competenza, e che il risultato si trasforma in farsa per i posteri. Quella forma di sostegno voluta da Chiodi e Gianni Letta infatti non solo non viene notificata in tempo, come vogliono le regole, a Strasburgo. Ma è appunto distribuita a pioggia, in contrasto con alcune norme europee. Parte così un ricorso. E nell’agosto del 2015 la Commissaria Ue alla Concorrenza Margrethe Vestager condanna l’Italia, stabilendo che si trattava di aiuti illegali di cui bisogna pretendere la restituzione, almeno da chi ha avuto più di 200mila euro di benefici. Le aziende aquilane, spiega, possono certificare i danni avuti dal terremoto. E su quelli non dovranno nulla. Ma chi non aveva produzioni nella zona o non ha subito perdite col sisma, deve restituire lo sgravio fiscale ricevuto. Per L’Aquila è un macigno. Sul quale il governo – allora guidato da Matteo Renzi – rimane in stand by, rischiando di aggiungere altra sabbia agli ingranaggi, accumulando ritardo. Nel novembre del 2017 finalmente il premier Paolo Gentiloni nomina Margherita Maria Calabrò, direttore dell’Agenzia delle entrate in Abruzzo, responsabile delle restituzioni. E l’agenzia, dopo una prima ricognizione, inizia a mandare le famose cartelle. Dove però concede soltanto 30 giorni di tempo per certificare i danni e quindi restituire il resto. Trenta giorni. Dopo anni di ruggine burocratica. «Chi se lo dimentica quel momento», racconta A., un imprenditore che preferisce non essere citato per nome perché «abbiamo già difficoltà con le banche, se mi espongo, chi mi finanzia più?».

A. il giorno del terremoto del 2009 era a casa, «con un piede fuori per le scosse». Illesi, lui e la famiglia sono stati mandati per sette mesi a Alba Adriatica. «Per tutto il tempo ho tenuto aperta l’azienda», racconta: «Lavoravamo in prefabbricati bollenti perché lo stabile era inagibile. Cercavo di tenere unita, a fatica, la squadra. Dovevo pagare ogni materiale coi soldi in mano perché non mi faceva credito nessuno». Ora gli affari hanno ripreso. I dipendenti sono passati da 12 a 25, le prospettive sono leggermente più rosee. Ma ad aprile arriva il fulmine della decisione europea. Nel suo caso, le Entrate gli contestano 600 mila euro. Significa per lui mettere a rischio ogni investimento sull’impresa. «Quelle cartelle hanno scatenato il terrore», racconta: «Certo, io potrò certificare in parte i danni del terremoto. Ma sono passati più di nove anni da allora. Le dichiarazioni che faremo avranno conseguenze penali. E le perizie non sono semplici». Soprattutto perché non erano mai state chieste prima, la legge non lo prevedeva.

Gli imprenditori si organizzano. Nasce un gruppo WhatsApp, 278 numeri, molta rabbia per quel «terremoto fiscale». Parte un ricorso collettivo al Tar. Nel frattempo, la protesta risveglia la politica. Che grida: «Non permetteremo all’Unione europea di uccidere L’Aquila», come dichiara ad esempio Giorgia Meloni in una conferenza stampa: «È vergognosa un’Europa così, sorda, cieca, muta, cattiva». «Mai più servi di questa Unione Europea! Prima gli italiani», le fa eco l’attuale ministro dell’Interno Matteo Salvini. A pagare restano solo le imprese, però, e non la politica. Non i funzionari e i politici che hanno creato il pasticcio, diventato ora emblema stropicciato del conflitto di sovranità fra Roma e Ue. Dopo la protesta, è intervenuto di nuovo Paolo Gentiloni, che ha concesso, per decreto, più tempo: 120 giorni, anziché la tagliola dei trenta prevista all’inizio. Per gli imprenditori aquilani è stato un respiro, ma non una risposta al problema, che resta. E che a luglio ripresenterà così il conto al nuovo governo. Non sarà l’unica scadenza. A luglio finiranno infatti anche i soldi per l’Ilva: non sarà più possibile pagare stipendi, materiali, servizi, avevano denunciato fonti aziendali al Sole24Ore. Nella complicata partita che riguarda il futuro del complesso siderurgico e dei suoi 13mila lavoratori, fra la vendita bloccata con ArcelorMittal e le conseguenze dei dazi di Trump, c’è un altro piccolo ingranaggio storto. La decisione dell’Europa sulle garanzie di Stato relative ai prestiti all’Ilva in amministrazione straordinaria. Bruxelles ha dichiarato illegali 84 milioni di euro di aiuti. «La Commissione continua a essere in contatto con le autorità italiane per la restituzione dei contributi dati all’Ilva», commenta il portavoce della commissaria Vestager all’Espresso. In una conferenza stampa di alcune settimane fa la stessa commissaria ha parlato invece di un altro caso: l’indagine aperta il 23 aprile sul prestito ponte da 900 milioni di euro per Alitalia. «È una procedura ancora aperta», ha spiegato Vestager, volendo poi aggiungere: «Per quanto riguarda la futura proprietà, noi siamo neutrali. Una società può essere pubblica o privata, non ci riguarda. Quello di cui ci occupiamo è la concorrenza. […] Verifichiamo cioè se un’azienda fiorisce perché offre servizi migliori delle altre e non perché i cittadini ne stanno pagando il conto». Pubblica o privata, dice, non cambia, a mezzi pari. Guardando i dati della presidenza del Consiglio dei ministri, le cose stanno migliorando: le richieste di recupero sono passate dalle 22 del 2014 alle 10 di adesso, di cui alcune in via di chiusura. All’indice si ritrovano, oltre alle vicende raccontate fin qui, alcuni sostegni a imprese di trasporto in Campania e in Sardegna; benefici relativi all’area di Chioggia per un’alluvione ancora degli anni ’90, su cui Roma e Bruxelles controversano da tempo; e misure per l’occupazione dell’epoca Tremonti. Il merito del minor conflitto è di alcune nuove procedure comunitarie, introdotte a partire dal 2015 e sistematizzate dall’ex governo. Dovrebbero impedire, attraverso pre-validazioni, notifiche elettroniche e altro, il ripetersi di quanto accaduto all’Aquila. L’obbligo di esserne certi resta però alle imprese. La prassi europea prevede infatti che sia dovere delle aziende informarsi se Strasburgo ha già dato l’ok a un aiuto prima di beneficiarne. Non possono fidarsi solo di chi lo garantisce, che sia la Regione o lo Stato. E questo è il piano tecnico. Resta quello politico. E non riguarda solo l’Italia. Parigi, ad esempio, è sotto osservazione dalla Commissione Ue per il salvataggio di Sncf, la compagnia ferroviaria statale. Non solo dovrà recuperare 642 milioni di euro di un vecchio aiuto. Ma ora è alle prese con il tentativo di cancellare il debito miliardario della compagnia nazionale. Vestager vigila. La rivista “Politico”, il 28 maggio, si chiedeva se la potente Francia di Macron finirà per godere di un trattamento diverso rispetto alla Grecia. Che per non essere sanzionata su una manovra simile dovette accettare una radicale riforma di privatizzazioni. Verrà imposta anche a Parigi? I ferrovieri francesi sono pronti alle proteste, così come stanno già facendo i portuali belgi, per difendere i regimi fiscali agevolati dei loro porti. In Germania, la batosta della Commissione più recente riguarda l’esenzione alle spese di rete dei maggiori consumatori di energia. Sanzionate come vantaggi ingiusti. In Lussemburgo, non è stato recuperato ancora alcun centesimo dei 250 milioni di euro contestati ad Amazon dalla stessa commissaria. Mentre il 15 maggio 2018 il ministro delle Finanze irlandese ha confermato che Apple ha pagato la prima tranche dei 13 miliardi di euro di agevolazioni bollate come illegali da Vestager, su cui il governo sta facendo ricorso. Difficile, forse, in quel caso, picchiare i pugni da Roma per difendere il #primagliirlandesi contro la Ue.

Fondi europei, il grande spreco: così rischiamo di pagare il prezzo di scandali ed errori. La Ue ha destinato 43 miliardi di euro all’Italia tra l 214 e il 2020. Ma finora ne abbiamo usati solo poco più del 2 per cento. Di cui buona parte in consulenze. E sul passato e sul futuro degli aiuti pesano tagli e inchieste, scriveva Francesca Sironi l'11 dicembre 2017 su "L'Espresso". Giovani, integrazione, inquinamento, povertà. Ogni problema irrisolto diventa occasione per invocare un “Piano Marshall”, una regia di aiuti come quella con cui gli Stati Uniti finanziarono la ricostruzione nel Dopoguerra. A essere chiamata in causa oggi è Bruxelles. Ma l’Europa di fondi sull’Italia ne ha puntati. E tanti. Per il periodo 2014-2020 la commissione ha assegnato a Roma quasi 43 miliardi di euro: un volume di aiuti secondo solo a quello della Polonia. Aggiungendo il co-finanziamento statale, si arriva a 73 miliardi di fondi per lo sviluppo in sette anni. Sono cifre da Piano Marshall, appunto. Ma senza nessuna ricostruzione in vista. Anche perché l’Italia è riuscita a liquidare solo il 2,4 per cento della cifra e a impegnarne il 32 per cento. La programmazione precedente, avviata nel 2007, si è definitivamente chiusa quest’anno. Grazie a uno sforzo titanico, avvenuto rimodulando molti dei desiderata iniziali, l’Italia è riuscita negli ultimi tre anni a far quadrare, più o meno, i conti. Metropolitane, restauri, centri d’accoglienza: la Ue ha pagato. Più o meno, però. Nelle conclusioni definitive si parla infatti dell’evaporazione definitiva di circa duecento milioni di euro. Persi. E restano ancora in bilico i contributi per la Ricerca, dove è in discussione un ulteriore rosso da quasi un miliardo. Ma se il passato pesa, è sul futuro che il Paese è in forse: con gli Stati forti dell’Unione sempre più insofferenti agli sprechi, i commissari stanno mettendo in discussione l’attuale modello di aiuti. Sul tavolo ci sono i tagli che saranno necessari dopo la Brexit e l’impatto non sempre cristallino delle sovvenzioni su alcune delle regioni più sussidiate, come quelle del Sud. Il banchetto potrebbe insomma concludersi mentre noi siamo ancora all’antipasto. Ora i funzionari italiani, terminati i bilanci, spazzati i cocci, stanno riprendendo in mano le calcolatrici per verificare l’andamento del new deal. E a correre, per adesso, c’è soprattutto un carico di contratti e consulenze.

PANTANO ALPINO. Il 31 marzo il cielo è nuvoloso sopra Bolzano. Nel palazzo comunale intitolato a una famiglia nobiliare della Carinzia si tiene un convegno, con traduzione simultanea in tedesco. Titolo: "Integrazione o disintegrazione? Nuove sfide per le regioni in Europa". Il Tirolo vuole difendere la propria identità. Lo stesso giorno, Roma certifica a Bruxelles la fine dei contributi per il periodo 2007-2013. Ciò che è dato è dato; il resto è perso. E Bolzano ha risultati sorprendenti. In negativo. Le cifre riguardano il “Fondo sociale europeo”, i contributi destinati a sostenere l’occupazione. La provincia autonoma aveva previsto corsi e tirocini per 51 milioni di euro. Il prospetto finale segnala che ne sono stati utilizzati 36. Quindici in meno. Ma non basta. «Dentro ce ne sono altri 12 che rischiano di andare in fumo», spiega un dirigente sudtirolese. Il buco arriverebbe così a 27 milioni di euro. Possibile nella terra delle eccellenze ordinarie quanto i gerani ai balconi? La risposta sta negli atti di una commissione d’inchiesta istituita dopo la visita di alcuni tecnici europei, terminata allora con osservazioni durissime sulla gestione delle risorse, tali da bloccarle. L’ultimo manager chiamato a gestire il fardello, Claudio Spadon, riassumeva così: non si era capito che i fondi non andavano distribuiti a pioggia. La relazione finale dei consiglieri affronta la questione per perifrasi, definendo «pragmatico» e «fluido» lo stile con cui erano stati amministrati i contributi dalla responsabile Barbara Repetto (Pd), sostituita dopo il 2008 da un alternarsi di manager che avrebbero dimostrato una guida «spesso più rigorosa, più complicata, a volte rigida e timorosa rispetto alle regole, che ha rallentato le procedure e probabilmente allentato gli importanti contatti con le autorità europee». Insomma, secondo la relazione la questione sarebbe riassumibile in un bivio obbligato: essere «fluidi» e spendere, o rispettare le regole e finire nel pantano.

BUON GOVERNO? Il bivio porta a un termine adorato dalle burocrazie pubbliche e private europee: “governance”. «Consolidare la governance» è l’obiettivo pass-partout, la priorità centrale. Tanto che Roma ci ha investito in questa stagione un intero “Piano operativo nazionale” (Pon). Con un budget da ben 827 milioni di euro. Gli eurocommissari hanno richiamato l’Italia più volte: gli aiuti non possono rimanere incagliati negli uffici, insistono. Devono portare sviluppo reale. Ecco allora il “Pon governance”. In teoria, il piano dovrebbe servire ad aumentare la capacità degli amministratori pubblici nell’affrontare appalti e progetti. In pratica, a 17 anni dall’introduzione dei rubinetti europei, sembra tradursi ancora in affidamenti esterni, consulenze, contratti di collaborazione. In spendere per capire come spendere. È il paradosso che si legge almeno in un esposto presentato al Nucleo speciale anticorruzione della Guardia di finanza e alla procura della Corte dei conti dai Cobas dell’Agenzia per la coesione, l’ente creato nel 2013 dal governo Letta proprio per rendere più produttivo l’uso delle risorse europee. Non bastandole evidentemente i 200 dipendenti che ha in dote, l’Agenzia ha già firmato oltre 100 contratti di collaborazione: 140, nella denuncia; 114, secondo quanto ha dichiarato a settembre lo stesso ministro della Coesione, Claudio De Vincenti, rispondendo a un’interrogazione parlamentare sulla vicenda. Si tratta di «esperti altamente specializzati», ha spiegato il politico. Che prenderanno dai 30 agli 85 mila euro all’anno - provenienti proprio da quel Pon Governance - per sette anni: un unicum, viene segnalato, per un’istituzione pubblica, giustificato dai vertici con la durata della programmazione europea (settennale, appunto). L’impressione che la semplificazione diventi burocrazia sotto forma di nuovi contratti aumenta. L’ente guidato da Maria Ludovica Agrò nel frattempo ha avviato attività per 48 milioni di euro su quel Piano di supporto al buon governo. E in questi mesi ha appaltato altri «servizi professionali», a Kpmg (per 879 mila euro) e di «informazione e comunicazione», a Fpa srl (per 141 mila euro.

RICERCA AL MACERO. All’esterno cerca aiuto anche il ministero dell’Istruzione. Per governare i nuovi flussi di denaro Ue ha ingaggiato infatti 34 esperti, che insieme a un protocollo d’intesa con la Guardia di finanza dovrebbero impedire il ripetersi dei guai. La distribuzione dei finanziamenti europei per la Ricerca è stato infatti uno dei capitoli più pulp della scorsa programmazione, con dossier anonimi, ispezioni della Ragioneria di Stato, indagini ancora in corso in diverse procure. A oggi, fra archiviazioni e procedimenti in itinere, l’unica responsabilità accertata dalla Corte dei conti è stata a carico di Fabrizio Cobis, dirigente tutt’ora al ministero (in altro ufficio), condannato a risarcire 500 mila euro per le fasi di un appalto lievitato da 26 a 47 milioni di euro. A preoccupare i vertici è soprattutto il confronto con la commissione Ue per la sorte dei 729 milioni di euro di contributi (972 se si comprende il co-finanziamento nazionale) sospesi per via delle irregolarità trasversali riscontrate nella distribuzione dei premi. Sui fondi per l’innovazione si era scatenata infatti una corsa all’oro, lasciata senza argine per la fretta di spendere il budget prima della scadenza. Le antologie d’inchiesta raccontano di aziende di Modena, Padova e Milano che aprivano uffici fantasma attivi per un pomeriggio o dagli indirizzi inesistenti, necessari unicamente a dimostrare la presenza nelle regioni del Sud (dove erano destinati gli aiuti); di comitati di valutazione in cui sedevano gli stessi professori che beneficiavano degli aiuti; di banche che certificavano la solidità di società in fallimento la mattina dopo. Il pool di investigatori del “Nucleo speciale spesa pubblica e repressione frodi comunitarie” della Guardia di finanza ha sommato sprechi e irregolarità per 578 milioni di euro. Che ora toccherà al ministero recuperare, per evitare che sia lo Stato a dover rimborsare il bottino alla Ue.

POTERI TERRENI. Molti di quei progetti erano perfetti, formalmente. Approvati per questo senza indugi di burocrazia in burocrazia. Una delle missioni dei finanzieri guidati dal generale Rosario Massino è allora capire cosa accade dopo. Cosa resta sul territorio di quegli aiuti. Quando hanno controllato ad esempio le sovvenzioni date ai pescatori in crisi ne hanno individuati quattro in regola su 200. Avevano ricevuto tutti 40 mila euro per trovare entro due anni un nuovo impiego. Continuavano invece a pescare, ma in nero. Anziché risolvere il problema, l’aiuto comunitario l’aveva insomma aggravato. E che il danno complessivo sia una goccia (due milioni e 900 mila euro) nella marea dei fondi Ue, rispetto allo sforzo necessario a intercettarlo, è un problema costante per i cacciatori di frodi. Solo setacciare gli aiuti per l’agricoltura, ad esempio (un capitolo che varrà 10 miliardi di euro da qui al 2020), significa scrutinare centinaia di migliaia di pagamenti. Nell’ultima operazione, su 500 mila posizioni analizzate, 35 mila sono risultate irregolari. Il mercato dei titoli per le sovvenzioni agricole ha d’altronde zone d’ombra molto estese. Sotto cui le mafie riposano benissimo. Non solo in Sicilia. L’attenzione degli inquirenti si sta concentrando su altre regioni: Puglia, Calabria. E il Nord. Un’indagine dei Carabinieri e della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria ha seguito l’aratro delle ’ndrine dalle terre calabresi al Lazio, alla Toscana, alla Liguria. Dal momento che basta dimostrare la proprietà per ricevere gli aiuti, la faccenda è piuttosto semplice. E anche nella Bassa la voglia di approfittarne cresce: da inizio anno i Carabinieri di Parma hanno denunciato 12 persone. Ma se gli appetiti aumentano, con loro anche gli strumenti di controllo. Il 12 ottobre è stato approvato il regolamento che istituisce “l’Eppo”, la procura europea. Sarà un organismo centrale che potrà indagare e perseguire penalmente chi viola gli interessi finanziari dell’Unione. Quindi anche i truffatori, in tutti i Paesi al di fuori di Danimarca, Irlanda, Malta, Olanda, Polonia, Svezia, Ungheria (e ovviamente Regno Unito). Ci sono voluti 20 anni di proposte e quattro di negoziati. E sarà operativa soltanto nel 2021. Ma intanto, esiste.

TERREMOTO E FONDI PER LA RICOSTRUZIONE.

Terremoto: primo, non mentire, scrive Livio Caputo l’1 novembre 2016 su “Il Giornale”. Capisco la opportunità di rassicurare in queste ore le vittime del sisma, ma è da irresponsabili promettere – come fanno tutti i giorni il premier Renzi, il commissario Errani e altri politici, che tutto sarà ricostruito e tutto tornerà come prima. Questo, lo sappiamo tutti, è praticamente impossibile, sia dal punto di vista tecnico, sia da quello finanziario, sia da quello temporale. Quando si guarda dall’alto all’ammasso di macerie cui sono ridotti Amatrice, Arquata del Tronto e le decine di altri borghi appenninici distrutti dal terremoto, è impossibile perfino immaginare come possano rinascere identici a prima. Come si resuscitano centri storici formati attraversi i secoli con case che spesso risalivano a due-trecento anni fa, come di può rifare identica la cattedrale di Norcia, come si può ricostruire l’atmosfera unica che caratterizzava quei luoghi? E’ fattibile, certo, con un lavoro che peraltro richiederebbe anni, rimuovere le montagne di pietre e costruire, con la stessa planimetria di prima, i Paesi, ma ricorrendo a palazzine antisismiche di cemento armato che ne trasformerebbero completamente il carattere. Si potrebbe, cioè, con il tempo (molto, molto tempo, gli altri terremoti insegnano) edificare una nuova Amatrice, una nuova Arquata e perfino una similcattedrale di San Benedetto, ma sarebbero “new town”, cittadine nuove come quella costruita alla periferia dell’Aquila e oggi semiabbandonata, in cui i vecchi abitanti – ammesso che quando tutto sarà pronto siano ancora di questo mondo – avrebbero pochissima voglia di andare ad abitare. Sarebbe un mondo diverso, in un certo senso addirittura alieno per gli anziani nati nei luoghi distrutti e che adesso vengono sistemati controvoglia negli alberghi lungo la costa adriatica o sul lago Trasimeno. Comunque, l’opera richiede risorse di cui, anche infischiandocene delle regole europee, non disponiamo. Quanto al progetto di mettere in sicurezza i 6 milioni di edifici che sorgono nelle zone ad alto rischio, è pure utopie, come quella di fare traslocare i 700.000 che verrebbero sepolti da una nuove, per fortuna ipotetica, eruzione del Vesuvio. I non molti soldi disponibili vanno impiegati anzitutto per garantire a coloro che non possono, per la loro attività, trasferirsi altrove, condizioni di vita accettabili e fare in modo che gli allevamenti di bestiame non vadano a ramengo e le poche PMI presenti sul territorio possano continuare nelle loro attività, per ristabilire le comunicazioni oggi gravemente compromesse da frane, cedimento di ponti e di strade. Insomma, per evitare che un’intera fetta della penisola, tra le più belle, sia condannata a morte. Se il governo riuscirà a far questo, potremo già dirci soddisfatti: ma non deve illudere la gente che tutto – comprese le chiese, i palazzi, i santuari, le antiche mura che costituivano il fascino di questo territorio – possa tornare come prima. Qualcuno obbietta che i polacchi, dopo la guerra, ricostruirono minuziosamente i centro storico di Varsavia, tanto che ora, 50 anni più tardi, sembra quasi antico, o che i tedeschi hanno cercato con successo di resuscitare la vecchia Dresda rasa al suolo dalle bombe. Lo stesso Friuli – si dice – ha fatto un lavoro simile. Ma le condizioni sono diverse, i tempi diversi, perfino il territorio da ricostruire più difficile e più vasto. Perciò, aiutiamo nei limiti del possibile le popolazioni colpite, facciamo magari in modo che ogni regione “adotti” un gruppo di borghi e contribuisca a salvare il salvabile, ma diciamo la verità a quegli anziani nati, cresciuti e vissuti lì che non vogliono farsi “deportare”: le loro case ridotte in polvere non le rivedranno mai più.

L'affare terremoto: morti, politica e banche, scrive Andrea Spartaco Martedì 06/01/2015 su "Basilicata 24". Storia di disastri finanziari e strani intrecci che portano alla Basilicata. Nel giugno 2006, appena un anno dopo il mandato elettorale, la giunta regionale lucana presieduta da Vito De Filippo (Pd) firmò due contratti di interest rate swap (Irs, ndr) con Dexia Crediop spa e Ubs Warburg. Bisognava finanziare opere e interventi nelle zone colpite dal terremoto del '98. Una cosa decisa velocemente. Del resto con Crediop il contratto di mutuo ventennale era già stato firmato sei anni prima da un'altra giunta Pd, quella del predecessore Filippo Bubbico. Si tratta d'un volume complessivo di circa mezzo miliardo di euro di contratti di emissione, acquisto, vendita e trasferimento di strumenti finanziari siglati al di fuori della Direttiva europea in materia di Appalti Pubblici di Servizi, sebbene a copertura di soldi pubblici. In Basilicata però, la storia del rapporto tra terremoti, fondi pubblici, Regione e banche, comincia prima. Ed è molto interessante.

Banche e morti. Nel periodo successivo al sisma dell'80 una rilevante massa di soldi (10mila miliardi di lire, ndr), disse la Commissione che s'occupò del terremoto, transitò attraverso istituti di credito di Campania e Basilicata. Soldi di terzi in amministrazione presso le banche locali in cui si contabilizzavano i fondi pubblici erogati per la ricostruzione, che partiti da 160 miliardi (mld, ndr) di lire nell'83, nell'87 erano lievitati a 800. “I ritardi in alcuni Comuni dell'opera di ricostruzione – scrisse – hanno procurato un ulteriore vantaggio agli istituti di credito delle zone, rappresentato dalle giacenze presso gli stessi di notevoli somme accreditate ex legge 219/81 e non ancora utilizzate”. Cosa restava di quei novanta secondi che colpirono tra Campania e Basilicata provocando 2.914 morti? Che alcune banche, ribadì la Commissione, avevano tratto da tale “tristissimo evento un rilevante tornaconto, realizzando in pochi anni incrementi di portata assolutamente eccezionale”. Le amministrazioni pubbliche avevano lasciato che ciò accadesse mentre la gente aspettava in containers (e aspetta ancora) che la propria abitazione venisse riparata o ricostruita. Tra '80 e '84 su un totale di 3.400mld spesi, 921mld erano i soldi trasferiti ai comuni. La Commissione puntualizzò il ruolo distorto avuto spesso da sindaci e banche locali nella gestione, e l'assenza di controllo pubblico. Nel luglio '90 il presidente Antonio Boccia (Pd) dichiarò che per la 219/81 la Regione non aveva avuto, e non aveva, “nessuna competenza in materia di insediamenti industriali”. Ma quanti soldi s'erano tenuti le banche per quel loro “rilevante tornaconto”? A settembre '90 ammontavano a 907mld.

Cosche, politica e appalti. Per la Guardia di Finanza il terremoto del '80 “costituì l’occasione per risolvere i problemi sia di reinvestimento sia di riciclaggio, ma anche della ricerca di nuovi spazi territoriali ed economici d’azione e dell’appoggio o della contiguità con pezzi delle istituzioni e in particolar modo con la politica”. A soli tre anni dal terremoto a Potenza i sindacati lanciavano un allarme, sollecitando l'applicazione della legge antimafia per le irregolarità nei pubblici appalti. L'allora vicepresidente del Consiglio Regionale Mario Lettieri affermò che c'erano processi assai preoccupanti “legati agli appalti pubblici e alla ricostruzione”. C'era una criminalità economica che scaturiva da “un intreccio tra affari e politica per cui gli appalti di opere pubbliche, gli incarichi di progettazione e le agevolazioni per gli investimenti industriali, stimolavano gli appetiti di cosche e gruppi locali e no protetti dai partiti di governo”. Nell '84 a Balvano, definita vicenda esemplare dalla Commissione terremoto per l'evidente disprezzo dei piani naturali nei lavori di infrastrutturazione, e i problemi di carattere idrogeologico provocati, per l'area industriale era stato fatto un progetto di partenza costato circa 33mld di lire, cifra nella quale “stranamente” non erano compresi 5,8mld per i costi dell'impianto di depurazione per le acque nere e per quelle industriali, né i costi per l'impianto di potabilizzazione, sollevamento e diramazione dell'acqua verso l'area industriale (passati da 3 a 6mld per difficoltà tecniche, ndr), né circa 8mld del movimento terra quota parte finita in discarica a costi esorbitanti e fuori da ogni regola di mercato si disse. Si parlò di 60mld spesi per una zona priva dei requisiti minimali per ospitare siti industriali, e di modifiche risultanti solo da spinte di progettisti, imprese e controllori “a scopo evidente di lucro”.

Soldi e coma profondo. Certo nel settembre del '98, pochi giorni dopo il nuovo terremoto, il Procuratore di Potenza Gelsomino Cornetta raccontò in una Commissione parlamentare “il problema” delle immense aree industriali create dopo il terremoto del '80. “Abbiamo indagato – dichiarò – e alle nostre modestissime forze è stato riconosciuto di aver fatto tutto ciò che era possibile, tant'è che il ministero competente ha recuperato parecchie centinaia di miliardi”. Si trattava d'un patrimonio aziendale costituito in gran parte da imprese che erano "scatole vuote", e che avrebbe creato “un problema di abbattimento e di eliminazione di rifiuti di natura industriale”. Quello stesso '98 una determina dirigenziale del Dipartimento programmazione economica regionale assegnava ancora al Comune di Balvano mille milioni di lire per infrastrutturazione della zona P.I.P (legge 64/86, ndr). Nonostante lo sforzo economico nel 2012 in un Consiglio regionale si presentò, per l'area di Balvano, una interrogazione all'allora assessore alle attività produttive Marcello Pittella. Lì, soldi del terremoto o meno, i disoccupati aumentavano, le opere infrastrutturali non erano finite, e la situazione della zona industriale era di “coma profondo”.

Meno male che c'è il sisma. "Per fortuna" dopo il sisma dell'80 arrivò quello del '98. Così non dovemmo solo ridare soldi al ministero, perché lo Stato ne portò altri. A occuparsi del mutuo firmato nel 2000 dalla Regione per gestire i 42mld di lire statali annui per ricostruire, fu appunto Crediop, capofila di un pool composto da Banco di Napoli, Banca Mediterranea, Banca Opere pubbliche e delle infrastrutture (Opi, ndr), Monte dei Paschi, e Banca di Roma (BdR, ndr). La partner lucana del pool, Banca Mediterranea, che proprio nel 2000 si fuse con BdR, era nata nel '92 da una precedente fusione tra Banca di Pescopagano e Brindisi (Bpb, ndr) e Banca di Lucania (Bdl, ndr) con uno spropositato aumento di capitale, da 4,5mld a ben 130. Eppure nel '91 l'Organo di vigilanza (OdV, ndr) aveva definito critica la situazione patrimoniale della Bpb accertando che “il controllo della Banca di fatto dal Presidente del Consiglio di amministrazione”, poi presidente di Mediterranea (con sede pure a Pescopagano, ndr), aveva favorito l'ingresso di gruppi a lui vicini come i Casillo, il cui fondatore Gennaro, ricorda Rocco Sciarrone in “Mafie vecchie mafie nuove”, era legato tramite il nipote Vincenzo ai boss Raffaele Cutolo e Carmine Alfieri. Vincenzo che, con Alvaro Giardili, scrive Nicola Tranfaglia in “Cirillo, Ligato e Lima”, fu il tramite per gli affari post-terremoto '80 del pidduista Francesco Pazienza. Giardili e Pazienza che s'incontravano con Antonio Gava (Dc, ndr), e Alphonse Bove, boss italo-americano legato al Sismi e “procacciatore d'affari per la ricostruzione”.

Il sistema terremoto. Del resto il presidente di Bpb fu definito nell'88 dalla stampa nazionale "uomo-chiave" d'un certo sistema di potere politico-finanziario che vedeva coinvolti il ministro Emilio Colombo e il sottosegretario Angelo Sanza. Lucani entrambi. All'epoca un uomo di fiducia del presidente disse a un notaio azionista di minoranza della Bpb "zitto sulla banca se non vuoi guai". Il motivo stava nella sua curiosità di volerci veder chiaro sui rapporti tra il presidente di Bpb e una delle imprese del terremoto. C'erano poi guarda caso quei rapporti tra direttore generale di Bpb e un'impresa di consulenza finanziaria che sempre guarda caso teneva i libri contabili dell'impresa con cui il presidente avrebbe avuto rapporti. Tre anni prima la Guardia di Finanza aveva spedito una bella documentazione a una procura lucana. Veniva fuori che i responsabili dell'impresa con cui il presidente avrebbe avuto rapporti, assieme ai responsabili di altre quattro imprese del medesimo "giro" erano stati denunciati dal Nucleo di Polizia Tributaria per emissione di fatture false e associazione per delinquere. Nell '86 il titolare di una impresa aveva denunciato d'esser stato costretto a "sfornare centinaia di fatture false" nei confronti di tali società perché aveva bisogno di lavorare. Dell'impresa con cui il presidente Bpb avrebbe avuto relazioni la Gdf aveva sottolineato che nel prendere gli appalti violava la legge antimafia. Certo in quel 1986 Banca d'Italia lo mandò un ispettore, ma l'anno dopo ricevette un incarico "ben retribuito" dalla banca ispezionata. Emblematico per capire l'andazzo di quegli anni è la condanna, in veste di direttore d'una banchettina che di quel fiume di soldi del terremoto aveva beneficiato, del presidente di Confindustria di Potenza a 3 mesi di reclusione per appropriazione indebita. Aveva lasciato un buco di 50mld di lire.

A che servono le banche? Il presidente della Bpb intanto, fedelissimo Dc, secondo l'OdV avrebbe pure favorito altri gruppi “coinvolti in oscure vicende post-terremoto” 1980 come Pafi, Baricentro e quell'Icla spa che ebbe in concessione 616mld di lire. Il parlamentare Enrico Iandelli in un'interrogazione parlò d'operazioni societarie e finanziarie come l'aumento di capitale della Bdl “sottoscritto in gran parte da compiacenti persone assai vicine” al presidente, la fusione con Bdl e il successivo aumento di capitale della Mediterranea “senza che la Banca d'Italia intervenisse come suo dovere, e supportata talora da anomale decisioni giudiziarie”. Comunque nel '94 pure Banca d'Italia non potè astenersi dal valutare in 508mld le perdite previste su crediti alla clientela. Tra le perdite c'erano pure 73,7mld per l’ammortamento della posizione del Gruppo Casillo. Banca d'Italia accertò “diffuse irregolarità” e pure che “possessori di significative quote del capitale della banca erano beneficiari di rilevanti finanziamenti erogati dall'azienda”. I rinvii ai problemi economici del Mezzogiorno usati come scusa dal presidente di Mediterranea (prima di Bpb, ndr), ricorda la memoria difensiva presentata contro BdR/Capitalia spa nel 2005 dagli azionisti di minoranza della Mediterranea dopo il suo crack, non avrebbero dovuto essere condivisi dall’azionista di controllo BdR (anch'essa dentro il pool Crediop quando la Regione firmò nel 2000 il mutuo per il terremoto del '98, ndr), ma Generoso Puzio, rappresentante BdR, era pure titolare del 50,03% delle azioni di Mediterranea. 

Pareggiare i conti a Roma lasciando buchi altrove. In quello stesso 2000 BdR aveva rappresentato ai sindacati che stavano determinando il valore di stima delle attività di compendio di Mediterranea, non ancora incorporata, da conferire nella Mediterranea Servizi 2000 spa, società costituita immediatamente dopo la stipula nel 2000 dell’atto di fusione tra il presidente di Capitalia Cesare Geronzi e Leonardo Di Brina della controllata-incorporata Mediterranea, presto rinominata Nuova Banca Mediterranea. Per il pool di avvocati che rappresentò gli azionisti di minoranza della Mediterranea, BdR già nell'esercizio finanziario del '98 “preconizzava nel suo bilancio quello che un anno dopo sarebbe stato il valore di concambio fissato per la fusione”. Dall’attuazione di quel progetto di vendita di Mediterranea, scrivono, “Banca di Roma ha conseguito un corrispettivo di 284mln di euro, una plusvalenza di circa 202mln, utile a sanare, portandolo in attivo, il bilancio 2001”. La costruzione della nuova holding BdR/Capitalia avvenne proprio dopo la vendita di Nuova Banca Mediterranea per 284mln alla Popolare di Bari, altra consorella del circuito delle banche cooperative a responsabilità limitata che avevano fatto affari col precedente terremoto del 1980 (tipo la Banca Popolare dell'Irpinia, ndr), come se Mediterranea Servizi 2000 sin dall'inizio fosse stata destinata a una operazione da cui attendere un “lucroso corrispettivo e una cospicua plusvalenza”. Certo senza vendita, specificarono gli avvocati, il bilancio della BdR si sarebbe chiuso con una perdita di 120mln di euro. 

Public finance? Crediop, capofila del mutuo firmato nel 2000, diventò società per azioni nel '90, iniziando un tour di quote societarie per banche che si concluse con l'acquisizione da parte della franco-belga Dexia Crédit Local de France, del Crédit Communal de Belgique, e dalla Banque Internationale à Luxembourg, e la partecipazione del circuito delle popolari con Banca popolare di Milano, Banco popolare, e via Em.Ro Popolare Società Finanziaria di Partecipazioni spa, della Banca popolare dell'Emilia-Romagna. Ancora nel 2009, stando alla Guida agli operatori al project financing, Dexia risultava il secondo operatore in Italia per volume complessivo di finanziamenti concessi, e primo a finanziare opere pubbliche. Quando finisce indagata nel 2010 dalla Procura di Bari per bond ventennali da 870mln di euro sottoscritti dalla Regione Puglia per ristrutturare il debito della sanità, Dexia in Basilicata ha in mano la rinegoziazione di sette mutui contratti dall'85 all'89 per circa 23,5mln di euro con scadenza nel 2019, e via Crediop (anche se non esiste più) e sempre con scadenza 2019, un altro mutuo da 10.329.137 di euro in cui capofila è la Banca popolare di Bari. E ancora, 18mln sempre via Crediop con capofila Banca infrastrutture innovazione e sviluppo (Biis, ndr) con scadenza 2020 per “finanziamento spese di investimento esercizio finanziario 2000”. E ancora circa 31mln di euro per investimenti nel settore trasporti con scadenza 2018. E ovviamente è capofila come istituto mutuante per quei fondi del terremoto del '98 con scadenza 2019, per 358.479.577 euro in cui compare anche la Banca Opi che nel novembre 2007 firmava a Milano proprio con Biis un piano per creare un polo unico nell'ambito della public finance, deliberando dal 1 gennaio 2008 la scissione per incorporazione del ramo aziendale di Opi a favore della Biis.

L'indebitamento perverso. Intrecci bancari o meno a fine giugno 2011 il gruppo Dexia era a rischio di smantellamento e i governi francese e belga, co-azionisti, si impegnarono a “fornire la loro garanzia ai finanziamenti”. Pochi mesi dopo la Commissione europea diede via libera con riserva alla nazionalizzazione di Dexia Bank Belgium, precisando che l'operazione costata quattro miliardi di euro era stata necessaria per la stabilità del sistema finanziario, ma che al momento non era in grado di valutare se fosse stata in linea con le norme Ue sugli aiuti pubblici. Due anni dopo Dexia, che aveva già beneficiato tra 2008-2009 di “sostanziali sostegni”, finisce assieme a Ubs in un'altra storia di contratti tossici di cui Angelo Canale, Procuratore regionale della Corte dei conti Toscana, aveva delineato gli effetti perversi sull'indebitamento del Comune di Firenze. Si scoprirono costi non documentati né dalle banche né dagli advisor, spesso le banche medesime, di cui il Comune s'era avvalso per le consulenze. Già nel 2008 il giornalista Nicola Piccenna aveva provato a spiegare in modo informale a diverse Procure che una banca come Dexia non poteva reggere, e fatto presente che di 12mld di euro di crediti solo 300mln erano garantiti, c'erano invece 12mld di debiti.

Storie di consuetudine. Guarda caso anche in Basilicata Dexia e Ubs, per la Corte dei conti, sul mutuo per i fondi del terremoto '98 avevano “svolto sia attività di consulenti finanziari dell’ente sia quella, successiva, di firmatari del contratto in derivati”. I contratti con Dexia e Ubs erano stati inoltre stipulati in inglese, “criticità di non poco rilievo” per la Corte dei conti lucana, e oltre a “diminuire la trasparenza del regolamento negoziale” la pubblica amministrazione si trova oggi ad applicare regole diverse da quelle dell’ordinamento interno. In una nota del novembre 2008 la Regione dichiarò d'essere in possesso delle traduzioni dei documenti, d'aver preso visione del contenuto degli stessi prima della loro sottoscrizione e aver richiesto un “parere” all'Ufficio legale dell'Ente sia riguardo alla tutela che la sottoscrizione di tale schema poteva garantire, sia alla interpretazione di alcuni istituti contenuti nell'accordo (legge e giurisdizione competente, ndr). Non si specificava l’esito della richiesta. Nel “Prospetto delle clausole specifiche” accettate dalla Regione Basilicata, continua la Corte, c'è scritto che “sarà regolato e interpretato in conformità alle leggi in vigore in Inghilterra” e che i contraenti sono obbligati “a sottomettersi alla giurisdizione dei tribunali del Regno Unito”, rinunciando “a qualsiasi eccezione di incompetenza per territorio in qualsiasi data, e per qualsiasi Procedimento aperto presso uno di tali tribunali”.

Beata vigilanza. Abbiamo dunque ricostruito il tessuto socio-economico talmente bene in Basilicata dopo due terremoti che la Regione non solo può permettersi di firmare a nome di tutti i cittadini debiti rinunciando alla giurisdizione italiana, ma disinteressarsi del precedente contratto, il debito residuo di 211,820mln di euro verso il pool di banche attaccate a Crediop (ancora in essere, ndr), e collocarsi in una “singolare” posizione contrattuale con gli Istituti firmatari dell’operazione in derivati. “Uno degli stessi, Dexia Crediop – scrive la Corte – è lo stesso istituto firmatario, sia pure in qualità di capogruppo e mandatario di una Associazione Temporanea di Imprese (in cui figuravano Banca Mediterranea e BdR appena fuse, ndr), dell’originario contratto di mutuo, e quindi viene a trovarsi sia pure in parte, nella posizione di creditore e debitore”. Si fa notare che nella relazione sull'esercizio finanziario 2013, la Regione non ha fornito “evidenza contabile” dell'ammontare ipotetico che deve incassare (se positivo) o pagare (se negativo) per uscire dal mutuo, specificando che verrebbe contabilizzato nel bilancio dell'Ente “solo” se fosse deliberata la chiusura del contratto. Valore che, sottolinea la Corte, tra 2007 e 2013 è costantemente negativo. La Regione ha dunque già sborsato parecchi milioni di euro. La Corte ricorda la natura “fortemente aleatoria” di tali contratti per le finanze di un’amministrazione pubblica, e insiste sul fatto che la Regione non ha indicato le “unità previsionali di base” e i “capitoli di spesa” sui quali ricade la gestione del mutuo. Fatti “pregiudizievoli degli equilibri dell’esercizio in corso e di quelli futuri”. Ma nel 2006 quando si firmavano swat per il terremoto del '98, una legge assegnava ancora un contributo quindicennale di 3,5mln di euro a decorrere dal 2007 per la prosecuzione nei territori colpiti dal terremoto '80-'81, e due anni dopo in un rapporto della Sezione di controllo della Corte dei conti sulla gestione dei fondi per il terremoto del '80, in relazione a quel rifinanziamento s'affermò che per “le opere in corso e da completare” il Dipartimento di protezione civile aveva inviato una nota nella quale aveva fatto presente che le Regioni interessate curavano “in toto” gli adempimenti relativi all’utilizzazione dei fondi, ma che al Dipartimento non era stato assegnato alcun potere di indirizzo, vigilanza, e controllo. Un fatto “grave” aver trascurato “semplici compiti di vigilanza”.

Quello che "sapevano tutti". Nel settembre 2007 il pm Annunziata Cazzetta, su procedimento penale aperto nel 2003 nei confronti della Banca popolare del Materano (Bpm, ndr), inviava al giudice Angelo Onorati la richiesta di rinvio a giudizio di 35 persone, tra cui funzionari della stessa e imprenditori locali, accusati di una serie di reati bancari. Una storia che si chiude anni dopo con l'assoluzione degli indagati e la fusione di Bpm con la Banca popolare del mezzogiorno. Tra gli indagati c'è Guido Leoni, all'epoca amministratore delegato della Bper, vicepresidente dell'Istituti banche popolari italiane, e consigliere di amministrazione di Em.Ro popolare, Banca popolare di Crotone, e infine Dexia Crediop. A Milano invece, sempre in quel 2007, viene aperto un fascicolo nei confronti dalla Banca Italease. Nelle intercettazioni autorizzate nel procedimento penale sull'aggregazione Banca popolare di Milano-Bper, il gip Cesare Tacconi sottolinea una telefonata tra Leoni (quello a cui nel 2004 Giovanni Conforti della scalata occulta Unipol diceva al telefono che “gli immobiliaristi sono inaffidabili e ricattano”, ndr), e Sergio Iotti (vicedirettore, ndr). “Pare ci siano buchi paurosi” dice Leoni a Iotti, “c'è un buco pauroso... lo sapevano tutti che vendevano questi derivati”. L'anno dopo Claudio Calza, consigliere del cda del Banco popolare del Materano, della Bper, e ovviamente pure della Dexia, è arrestato, nell'ambito dell'indagine sui derivati di Banca Italease, per associazione a delinquere finalizzata all'appropriazione indebita. Questa storia finanziaria finisce che nonostante chi vendeva questi derivati sapeva i “buchi paurosi” che creavano (e chi li firmava? sapeva?), in Basilicata fino al dicembre 2019, per i derivati dell'ultimo terremoto la Regione deve sborsare a Dexia 11.250.000euro l'anno. Quali benefici ne abbiano tratto i terremotati lo sanno solo loro. 

TERREMOTO E RESIDENZE.

Terremoto Amatrice, boom di richieste residenza. Fondi ricostruzione fanno gola, scrive il 4 settembre 2016 Spartaco Ferretti su “Blitz Quotidiano”. Ci sono gli sciacalli che cercano di intrufolarsi nelle case inagibili dopo il terremoto per rubare quello che è rimasto intatto. Poi ci sono gli sciacalli che cercano di mettere le mani anche sui giocattoli mandati per beneficenza ai bambini. E ancora ci sono gli imbucati, sciacalli di serie B, che cercano di scroccare pasti alle mense riservate a chi nel terremoto ha perso cari e casa. E infine ci sono i furbetti del terremoto. Quelli che cercano, se non di guadagnarci, almeno di non rimetterci. Funziona così: se ti crolla la casa ed è la tua prima e unica casa, quella fino a dove ieri vivevi, Stato come è normale ti aiuta per primo. Se poi avanza qualcosa si dà qualche incentivo anche a chi la casa la aveva ma non era la prima, era un di più, una seconda casa per le vacanze. Non sono e non possono essere loro, per forza di cose, i primi a essere aiutati. E così, racconta Il Messaggero, ad Accumoli, Amatrice e negli altri luoghi squassati dal terremoto, dopo il 24 agosto è successo qualcosa di strano: tante, troppe, persone, hanno chiesto la residenza in uno dei comuni distrutti. Facile capire che qualcosa non torni. Prima, quando casa ce l’avevi agibile, ad Amatrice non vivevi. Ora che la casa è inagibile o crollata, dichiari e chiedi di viverci. Il perché è presto spiegato da Valentina Errante per Il Messaggero: il procuratore Giuseppe Saieva, numero uno della procura di Rieti, ha aperto un altro fascicolo che questa volta non riguarda gli sciacalli responsabili di furti nelle case distrutte, quanto piuttosto quelli che sperano di lucrare sui contributi statali destinati a chi abbia subito danni dal terremoto del 24 agosto scorso. Ossia chi, dopo il sisma, ha chiesto il trasferimento di residenza, da Roma ai centri colpiti. All’attenzione della magistratura, che ha aperto un altro fascicolo, sono finite le anomale richieste di cambio di residenza, inoltrate il 31 agosto nei centri temporanei aperti, in sostituzione degli uffici dichiarati inagibili, per accogliere le istanze dei cittadini. Secondo i sospetti dei pm, le richieste sarebbero arrivate proprio al fine di ottenere contributi per la ricostruzione degli immobili, previsti, secondo la legge, solo per le prime case. Alcuni episodi, già confermati, riguardano il trasferimento da Roma ad Accumoli. Ma adesso gli accertamenti riguarderanno anche le altre amministrazioni. Alla polizia giudiziaria spetterà anche la verifica delle pratiche presentate da quanti hanno sostenuto di essere residenti da tempo e di avere soltanto tardato nella regolarizzazione con l’ufficio Anagrafe. L’ipotesi è che sia in atto una forma di speculazione per ottenere i contributi che saranno stanziati per la ricostruzione. Nei casi ritenuti sospetti, chi ha inoltrato la domanda, ha indicato come indirizzo case distrutte, strade oramai inesistenti e quartieri ridotti in macerie.

Terremoto: non solo sciacalli, si indaga su furbetti di residenza, scrive il 5 settembre 2016 Alberto Battaglia su "Wallstreetitalia.com". La Procura di Rieti ha aperto un fascicolo sulle richieste di residenza sospette che sono giunte al Comune di Amatrice nei giorni successivi al terremoto che ha devastato la città. Un volume di domande poco chiaro che potrebbe nascondere il tentativo di accaparrarsi una fetta dei contributi pubblici che saranno affidati ai residenti del paese per la ricostruzione degli immobili. Il sindaco di Amatrice, Sergio Pirozzi, non teme che i “furbetti della residenza”, così battezzati dai media, possano farla franca: “Gli uffici dell’anagrafe hanno avuto disposizione di informare i carabinieri e i vigili ogni volta che arrivano richieste di questo tipo”, ha detto. Alcuni “furbi” sono già stati individuati in un altro dei centri terremotati, Accumoli. Non è detto che dietro a ciascuna richiesta di residenza si celi un proposito fraudolento: la polizia giudiziaria avrà, appunto, il compito di discernere le domande di coloro che semplicemente si erano attardati a regolarizzare presso l’Anagrafe una residenza in atto già da tempo, da quanti si trovino in posizioni più dubbie. E’ il caso di coloro che reclamano una residenza presso immobili o strade ormai completamente distrutte dal sisma.

Furbetti ad Amatrice: è corsa alla residenza per avere i fondi statali, scrive il 4 settembre 2016 Adriano Scianca su "Intelligonews.it". Perché uno dovrebbe, proprio adesso che il paese, di fatto, non esiste più, affrettarsi per prendere la residenza ad Amatrice o ad Accumoli? Semplice: per godere dei fondi stanziati dallo Stato per il terremoto. È su questo terribile sospetto che sta indagando la procura di Rieti. Il procuratore Giuseppe Saieva ha aperto un altro fascicolo che sugli “amatriciani dell'ultim'ora”, quelli che sperano di lucrare sui contributi statali destinati a chi abbia subito danni dal terremoto del 24 agosto scorso. La procura ha chiesto ieri il sequestro di tutti i registri anagrafici dei comuni interessati dal terremoto, materiale che si aggiunge alla documentazione acquisita dai Carabinieri negli uffici della Provincia di Rieti e in quelli regionali del Genio civile sugli immobili che avevano subito migliorie antisismiche e sono crollati dopo le scosse. All'attenzione della magistratura, che ha aperto un altro fascicolo, sono finite le anomale richieste di cambio di residenza, inoltrate il 31 agosto nei centri temporanei aperti, in sostituzione degli uffici dichiarati inagibili, per accogliere le istanze dei cittadini. Secondo i sospetti dei pm, le richieste sarebbero arrivate proprio al fine di ottenere contributi per la ricostruzione degli immobili, previsti, secondo la legge, solo per le prime case. Alcuni episodi, già confermati, riguardano il trasferimento da Roma ad Accumoli. Ma adesso gli accertamenti riguarderanno anche le altre amministrazioni. Alla polizia giudiziaria spetterà anche la verifica delle pratiche presentate da quanti hanno sostenuto di essere residenti da tempo e di avere soltanto tardato nella regolarizzazione con l'ufficio Anagrafe. L'ipotesi è che sia in atto una forma di speculazione per ottenere i contributi che saranno stanziati per la ricostruzione. Nei casi ritenuti sospetti, chi ha inoltrato la domanda, ha indicato come indirizzo case distrutte, strade oramai inesistenti e quartieri ridotti in macerie.

TERREMOTO: ANTE E POST DI ILLEGALITA'.

Terremoto, il videoracconto di Gatti: il rischio ad Amatrice era scritto, ma è stato ignorato. Il documento del Comune, obbligatorio per legge, prevede con precisione le conseguenze catastrofiche provocate dal sisma del 24 agosto. Descrive anche la zona dell'hotel Roma come un'area ad alta instabilità geologica. E indica lo stesso hotel, ora crollato, al primo posto tra i luoghi dove ospitare eventuali sfollati, scrive Fabrizio Gatti il 26 agosto 2016 su “L’Espresso”. Il piano di protezione civile del Comune di Amatrice già prevedeva la distruzione del paese e i potenziali rischi per la popolazione: «Soprattutto nei piccoli borghi e anche nel capoluogo, caratterizzati da vie strette senza slarghi». È tutto scritto a pagina 18 del documento che per legge ogni amministrazione municipale deve predisporre. Si sapeva cioè dei pericoli. E come si è visto con il terremoto del 24 agosto, non si è fatto nulla per evitarli. «Si deve rilevare altresì che l'edilizia abitativa e non del territorio comunale è per lo più risalente all'Ottocento e ristrutturata con vari interventi risalenti al Novecento», è scritto nel piano di Amatrice tra non pochi errori di sintassi che abbiamo corretto: «Gli interventi in cemento armato e la sua diffusione sono sicuramente riconducibili agli interventi realizzati dopo il 1960, pertanto il rischio sismico è alto e lo testimoniano i danni riportati dall'edilizia pubblica e privata causati dal sisma del 1979 e da ultimo del 2009 che interessò la città dell'Aquila. Senza dubbio la tipologia costruttiva (muratura portante in pietrame locale) influenza in maniera determinante la vulnerabilità degli edifici esistenti con potenziali rischi per la popolazione». Il Comune di Amatrice ha il suo piano di protezione civile. Il documento, obbligatorio per legge, prevede con precisione le conseguenze catastrofiche provocate dal terremoto del 24 agosto. Descrive anche la zona dell'hotel Roma come un'area ad alta instabilità geologica. E indica lo stesso hotel, ora crollato, al primo posto tra i luoghi dove ospitare eventuali sfollati. Nemmeno le strade sono sufficienti in caso di calamità: «Nelle frazioni spesso la viabilità di accesso e di esodo è garantita da una unica strada. Va pertanto opportunamente monitorata la viabilità in caso di eventi calamitosi». Il piano indica tra l'altro la zona dell'hotel Roma tra quelle a maggiore instabilità idrogeologica: «Le caratteristiche dei terreni alluvionali sabbiosi limosi depositatesi su formazioni più consolidate li rendono infatti generalmente instabili. Si segnala tuttavia la necessità, da parte dell'amministrazione comunale, di porre particolare attenzione nell'approvazione di progetti pubblici e privati, subordinando gli stessi agli esiti di una relazione geotecnica e geologica che garantisca la funzionalità del complesso opere-terreni per il mantenimento della sua stabilità». I geologi sanno bene che nei terreni alluvionali le onde sismiche amplificano i loro effetti sulle costruzioni sovrastanti. Il sito del Comune distrutto dal terremoto del 24 agosto pubblica il piano di protezione civile del Comune di Amatrice. Con i rischi, le misure di emergenza, gli indirizzi, le vie, i punti di raccolta per gli abitanti di Amatrice. Quindi per i residenti di Accumoli è un piano completamente inutile. Un caso di copia-incolla? Arquata del Tronto ha invece un piano di protezione civile, ma introvabile sui canali istituzionali sia del Comune sia del dipartimento nazionale della Protezione civile. Come edificio strategico per il paese il piano di Amatrice indica il municipio di corso Umberto 70, che però non ha retto alle scosse evidentemente per scarsa resistenza antisismica. Come luogo dove riparare eventuali sfollati, al primo posto è invece indicato proprio l'hotel Roma, nella zona segnalata poche pagine prima tra le aree più instabili: lo stesso piano di protezione civile, insomma, non tiene conto di quanto prescrive. Anche il Comune di Accumoli, dove la caduta del campanile ha ucciso un'intera famiglia, ha il suo piano di protezione civile. E lo pubblica sul suo sito Internet istituzionale. Però il documento è copiato integralmente da quello di Amatrice, comprese l'intestazione, le vie, le piazze, i nomi dei referenti, le caratteristiche del territorio. Un errore oppure un maldestro copia-incolla. Nel piano obbligatorio per legge, Accumoli è citata soltanto due volte come paese confinante di Amatrice. Quindi è uno strumento accessibile ai cittadini, ma completamente inutilizzabile. Il piano di protezione civile di Arquata del Tronto resta invece un mistero. Il sito del dipartimento nazionale della Protezione civile include il Comune tra quelli che hanno rispettato la legge. Ma non c'è modo di raggiungere il piano. E cercando sulla pagina del Comune non si trova. Non deve stupire, purtroppo. Gran parte dei sindaci italiani sono nella stessa situazione. E in Calabria, regione esposta a terremoti molto più potenti del sisma del 24 agosto, un terzo delle amministrazioni comunali è del tutto privo di un piano di protezione civile. E generalmente i paesi e le città che lo hanno adottato non lo rendono pubblico e facilmente accessibile ai cittadini. Nel frattempo, nell'importante periodo di pace tra un terremoto e l'altro, proprio nelle province più lacunose raramente le agenzie di protezione civile regionali e il dipartimento nazionale hanno esercitato i loro poteri-doveri di controllo per spingere i sindaci a rispettare la legge. 

Terremoto, lo scandalo-fondi: i soldi c'erano ma non furono spesi. Ad Amatrice ed Accumuli i 4 milioni di euro messi a disposizione negli ultimi due anni per la messa a norma degli edifici privati non sono mai stati spesi, scrive Ivan Francese, Giovedì 25/08/2016, su "Il Giornale". Un terremoto giudiziario originato dal terremoto vero: è questa la prospettiva che si apre nell'ambito dell'inchiesta per disastro colposo che sarà aperta dal procuratore di Rieti dopo il sisma che nella notte fra martedì e mercoledì ha devastato Amatrice, Accumuli e Pescara del Tronto, al confine fra Lazio, Umbria e Marche. Un'inchiesta che con ogni probabilità parlerà di fondi pubblici stanziati per la messa a norma degli edifici, pubblici e privati, e mai spesi. Come è successo ad Amatrice, la città-simbolo che piange oltre duecento morti e che presto chiederà verità e giustizia. Non c'è solo la scuola "Romolo Capranica", restaurata nel 2012 e crollata come un castello di sabbia. C'è anche l'ospedale, per il cui restauro erano pronti due milioni di euro che non sono stati mai spesi. C'è il municipio, crollato anch'esso, per cui erano stati messi a disposizione fondi provinciali poi dirottati altrove. Tanti casi che lasciano sgomenti, altrettante domande a cui bisognerà trovare una risposta. E purtroppo il conto dei danni, in termini umani e materiali, non si ferma solamente agli edifici pubblici. Dopo il terremoto dell'Aquila del 2009, racconta Repubblica, la Protezione Civile ha messo a disposizione 965 milioni di euro per la messa a norma degli edifici privati secondo le direttive antisismiche. Fondi che prevedevano contributi statali dai cento ai duecento euro al metro quadro per la ristrutturazione degli immobili dei centri storici, generalmente quelli più a rischio. Eppure moltissimi di quei fondi non sono stati nemmeno richiesti, a causa dei bizantinismi della burocrazia, che imponevano ad esempio la gestione regionale dei fondi, ma tramite sportelli organizzati dai Comuni. Fra Amatrice ed Accumuli, dove il rischio sismico era pure altissimo (e tutti lo sapevano), non è stato speso nemmeno un euro dei quattro milioni stanziati fra 2014 e 2015. Una circostanza che grida vendetta.

Ricostruzione, soccorsi, polemiche. La maledizione del post-terremoto. Dalla catastrofe di Messina nel 1908 a quelle del dopoguerra, il susseguirsi di errori e ritardi ha caratterizzato quasi ogni sisma che ha colpito il Paese. Al punto da imporsi come un vero e proprio genere della letteratura e della pubblicistica italiana, scrive Dino Messina il 28 agosto 2016 su "Il Corriere della Sera”. Appena passata l’onda devastatrice del terremoto, si pensa al dopo. Le esperienze possono servire per non ripetere gli errori e per rendersi conto dei passi compiuti. La storia del dopo terremoto è diventata un vero e proprio genere della letteratura e della pubblicistica italiana, soprattutto da quando la stampa liberale ha assunto un ruolo centrale di stimolo e denuncia.

Basilicata, 1857. In questo senso è emblematica la vicenda del terremoto della Basilicata che nel 1857 distrusse i paesi della Val d’Agri e colpì severamente quelli della Valle di Diano. Lo Stato unitario non era ancora nato. E ai nostalgici del Regno delle Due Sicilie (ce ne sono ancora!) vanno ricordati i ritardi nei soccorsi più elementari dopo il sisma che il 16 dicembre 1857 provocò oltre diecimila morti (fonti ufficiali dello Stato borbonico) e secondo altri studi fece invece 19 mila vittime. Un fotogiornalista francese, Alphonse Bernard, arrivò nei luoghi del disastro ben prima dei soccorritori e dell’esercito e documentò la distruzione in fotoreportage i cui introiti furono in parte destinati alla popolazione decimata dalla catastrofe. Un pubblicista come Teofile Roller sulla stampa britannica denunciò che nel febbraio 1858, oltre due mesi dopo il sisma sotto le macerie di alcuni paesi come Montemurro non erano ancora stati disseppelliti i cadaveri.

Messina 1908. Il terremoto del 1857 era stato classificato come il terzo più grave della storia, ma quello del 28 dicembre 1908 che colpì Messina e fece 80 mila morti su una popolazione di 172 mila abitanti fu una vera ecatombe (foto sotto). Il tragico evento ebbe testimoni illustri come Giovani Pascoli e lo storico Gaetano Salvemini, che in quella giornata perse la moglie e cinque figli. Presidente del Consiglio era Giovanni Giolitti, ci furono ritardi ma non certo paragonabili a quelli borbonici. I primi importanti soccorsi arrivarono tuttavia dai marinai delle navi russe e inglesi oltre che dal personale della Marina italiana. In quella grave calamità ci fu un concorso di aiuti internazionale. Villaggi di baracche vennero donati dal re di Prussia Guglielmo II e dal presidente degli Stati Uniti, Theodore Roosevelt. Quando nel gennaio 1975 nella zona ci fu un altro non rilevante sisma l’inviato del Corriere della sera Antonio Padellaro documentò che ancora esistevano cinque quartieri di baracche risalenti al terremoto del 1908 in cui vivevano circa 25 mila persone. Nel 2002 un reportage di Alessandro Trocino rilevò che la popolazione nelle baracche del terremoto era scesa a 3.500 abitanti, ma che c’erano generazioni di famiglie per niente disposte a mollare la baracca del 1908, anzi la tramandavano di padre in figlio perché abitare lì dava il diritto di avere una abitazione nuova. Il più lungo post terremoto della storia.

Marsica 1915. Le ruberie compiute dopo il terremoto della Marsica del 13 gennaio 1915 furono denunciate dal giovane Ignazio Silone, che all’epoca ancora si chiamava Secondino Tranquilli, in articoli scritti per l’Avanti!. Anche ad Avezzano, che fu il centro più colpito dal sisma che precedette di pochi mesi la nostra entrata nella Grande Guerra, vennero costruite delle baracche. I cronisti che andarono sul posto per il terremoto del 1983 scoprirono che alcune di quelle casupole erano ancora occupate, da locali o da turisti romani che avevano trovato una sistemazione per le vacanze invernali e non erano affatto disposti a lasciarle. Così alcune delle roulotte per il terremoto del 1983 vennero piazzate accanto alle baracche superstiti del 1915.

Vulture 1930. Si parla poco del terremoto del Vulture del luglio 1930 (foto sotto), che provocò 1.404 morti e che coinvolse 50 comuni in cinque province della Basilicata, della Puglia e della Campania. Il regime fascista non perse occasione per trasformare la tragedia in un’occasione di propaganda, sicché si vantò di aver costruito in pochi anni 3.746 case e di aver riparato 5.190 abitazioni. Il coordinamento della ricostruzione e dei soccorsi venne affidato ad Araldo di Crollalanza.

Belice 1968. Nel secondo dopoguerra il terremoto del Belice del 14 gennaio 1968, che causò 300 morti e 80 mila senzatetto, rimane come un simbolo negativo non soltanto per il ritardo nei soccorsi ma per una politica di ricostruzione sbagliata. Secondo la vasta letteratura di quel terremoto, sul posto arrivarono prima i cronisti dei soccorritori. La prima casa venne ricostruita nel 1977, nove anni dopo la tragedia! Sbagliata fu anche la scelta di ricostruire Gibellina (foto sotto), il centro maggiormente danneggiato, a 18 chilometri dal sito storico. La chiesa di quel nuovo paese crollò nel 1994 e il lago progettato per il recupero delle acque piovane rimase a lungo non funzionante. È stato calcolato che questa mancata ricostruzione sia costata allo Stato italiano non meno di sette miliardi di euro.

Friuli 1976. Un modello del tutto diverso venne riproposto per la ricostruzione dei paesi del Friuli devastati dal terremoto del 6 maggio 1976 (foto sotto), che provocò 989 vittime. Tra i paesi più colpiti, Osoppo, Gemona, Trasaglio, Buja, Maiano, Colloredo, Spilinbergo, Forgaria, Venzone. Un appello lanciato nell’agosto 1977 dagli abitanti di quest’ultimo centro riassume la filosofia del modello Friuli: «Respingiamo una ricostruzione standardizzata che certamente ci renderebbe estranei nella nostra stessa patria». I friulani sconfissero così l’Orcolat, l’Orco, come in lingua locale chiamano il terremoto, con una ricostruzione che teneva conto delle esigenze della popolazione, partiva dal basso, a differenza di quel che era avvenuto in Belice dove erano stati calati megaprogetti dall’alto. I paesi vennero ricostruiti pietra su pietra secondo una scala di priorità riassunta bene dal vescovo Alfredo Battisti: «Prima le fabbriche, poi le case, poi le chiese». Nel 1983, sette anni dopo il terremoto, l’80 per cento della ricostruzione era stata ultimata.

Irpinia e Basilicata 1980. Il terremoto più grave nella seconda metà del Novecento, per numero di vittime ed estensione dell’area danneggiata, rimane quello dell’Irpinia e della Basilicata, che il 23 novembre 1980 provocò quasi tremila morti, poco meno di novemila feriti e 280 mila senza tetto. Tutto l’Italia si mobilitò in una gara di solidarietà. Chi scrive, allora giovane cronista, arrivò a Balvano, in provincia di Potenza (foto sotto), la sera del 24 novembre, in tempo per vedere i 77 sacchi che contenevano i corpi dei fedeli uccisi dal crollo della chiesa. Così assistette al dramma di un padre, un vecchio medico, a Sant’Angelo dei Lombardi, in provincia di Avellino, che aveva ingaggiato delle ruspe per far scavare sotto le macerie dell’ospedale dove giacevano i corpi dei due figli. Partirono diverse denunce per gli edifici nuovi che erano crollati perché i tecnici avevano ignorato le norme antisismiche. Numeri irrisori in confronto alle 382 persone arrestate per le vicende legate alla ricostruzione. Una ricostruzione che è costata ai contribuenti italiani più di 60 mila miliardi di lire. Una voragine provocata da contributi distribuiti a pioggia: gli aiuti invece di essere concentrati nei paesi seriamente danneggiati vennero esteri a 687 Comuni. Scandalosa anche la lievitazione di costi di alcune opere che talvolta superò il mille per cento. Una commissione d’inchiesta parlamentare denunciò inoltre che erano state consapevolmente finanziate imprese fallimentari.

Umbria e Marche 1997. Un veloce ritorno alla normalità ha caratterizzato la ricostruzione nel dopo terremoto che il 26 settembre 1997 fece undici morti e 32 mila senza tetto nell’Umbria (foto sotto, Assisi) e nelle Marche. La ricostruzione certosina della Basilica di San Francesco d’Assisi è lì a dimostrarlo. Un piccolo sisma, quello del 31 ottobre 2002 in Molise, causò una grande tragedia: il crollo di una scuola a San Giuliano che uccise 27 bambini e una maestra. Un processo dimostrò che quell’edificio era stato costruito in spregio alle più elementari norme di sicurezza.

L’Aquila 2009 ed Emilia 2012. Il sisma di questi giorni nel Centro Italia è stato definito un terremoto gemello di quello che il 6 aprile 2009 provocò all’Aquila (foto sotto) e nei comuni vicini 309 morti e 60 mila sfollati. Anche in questo caso si sono dimostrate fallimentari la filosofia e la pratica delle New Town. Il business della ricostruzione ha attirato personaggi senza scrupoli sia all’Aquila, dove qualcuno rideva per i soldi che avrebbe fatto con la catastrofe, sia in Emilia, sconvolta dal terremoto del 20 e 29 magio 2012. La rapida ricostruzione di questo cruciale territorio è stata inquinata dalla presenza di cosche di ‘ndrangheta calabresi infiltratesi al Nord.

Terremoto, crollate Torre civica e chiese dichiarate a norma. Terremoto, lo scandalo dei fondi antisisma deviati.  Dai ponti non ristrutturati perché la Provincia aveva finito i suoi soldi agli stanziamenti deviati per altri scopi. Ecco come si sprecano le risorse destinate a evitare stragi, scrivono Dario Del Porto e Fabio Tonacci il 30 agosto 2016 su “La Repubblica”. Due terremoti, quello dell'Umbria nel 1997 e quello dell'Aquila nel 2009, hanno fatto piovere sul territorio della provincia di Rieti 84 milioni di euro di fondi per la ricostruzione. Negli anni se ne sono aggiunti altri, di milioni. Della Regione, dello Stato, della Chiesa. Sette giorni fa, però, un altro sisma ha sollevato una verità che era sotto gli occhi di tutti: parte di quel denaro non è stato ancora speso, o è stato speso male, o, ancora, non è stato utilizzato per rendere gli edifici sicuri. E le rovine di Amatrice e Accumoli sono lì a testimoniarlo. Sei ponti in cerca di autore. Prendiamo i ponti. Due fondamentali vie di accesso ad Amatrice, la strada provinciale 20 e la statale 260, sono interrotte dal 24 agosto perché si sono danneggiati i ponti "Rosa" e quello di "Tre Occhi". Che ne è dei 611.000 euro che la Regione ha erogato nel 2014 "per interventi di mitigazione del rischio sismico" di sei ponti tra cui il "Rosa"? Rimasti nel cassetto. La provincia di Rieti non ha più un soldo in bilancio, e non riesce a trovare i 175mila euro della sua quota parte dell'intervento progettato. Dunque non può utilizzare i 611mila della Regione perché non ha i suoi 175mila da spendere. Il presidente della giunta Giuseppe Rinaldi, temendo di perdere i fondi, è stato costretto a inviare una lettera alla direzione regionale, nella quale spiega che "l'amministrazione intende confermare il proprio impegno al cofinanziamento", ma che per farlo dovrà "alienare immobili". Insomma, per aggiustare un ponte coi fondi del terremoto la provincia di Rieti si deve vendere un palazzo. Il campanile killer. Dopo il sisma del 1997, il Genio civile individuò sul territorio reatino 300 interventi di ricostruzione e miglioramento sismico per un totale di 79 milioni di euro messi a disposizione dallo Stato. Tra Accumoli e Amatrice c'erano 11 immobili e 10 chiese da sistemare. Prendiamone una diventata tragicamente famosa: il complesso parrocchiale San Pietro e Lorenzo ad Accumoli. È la chiesa con accanto un campanile costruito sopra il tetto di una casa: la notte del 24 agosto, quella torre campanaria di sassi, crollando, ha ucciso la famiglia Tuccio che abitava lì sotto, padre, madre e due bambini. Una grossa fetta dei fondi per gli edifici religiosi è stata gestita direttamente dalla Curia di Rieti, attraverso un ufficio tecnico creato ad hoc presso la diocesi, che ha predisposto le gare di affidamento. Il geometra che ha seguito tutte le pratiche si chiama Mario Buzzi, e adesso è in pensione. "Per il campanile non c'è stato mai alcun finanziamento specifico né alcun lavoro di ristrutturazione", spiega a Repubblica. Aggiungendo: "Non è vero che sono stati dirottati soldi per il miglioramento sismico dal campanile alla chiesa". La chiesa di Accumoli. E però nella lista delle opere finanziate del post-sisma 97 il nome della chiesa di San Pietro e Lorenzo, c'è. "Intervento sul complesso parrocchiale da 116mila euro". Si tratta del rifacimento del tetto di 200 mq della chiesa accanto al campanile, la cui gara d'appalto è stata vinta nel 2008 dalla Steta di Stefano Cricchi, uno dei figli di Carlo Cricchi, l'imprenditore reatino che si è aggiudicato commesse anche a L'Aquila. Per i lavori in Abruzzo, l'altro figlio, architetto, è sotto inchiesta per tangenti. "Chiariremo tutto, la nostra azienda non c'entra". Oggi Cricchi senior, cavaliere del lavoro, ha di che lamentarsi: "Noi non abbiamo fatto niente su quel campanile". Seduto al tavolo nel salotto della sua ditta, mostra disegni e capitolati. "Ci arrivano minacce di morte su Facebook e via mail perché tutti ormai credono che siamo stati noi a ristrutturarlo, ma non è vero". L'appalto per "riparazione e miglioramento sismico" della chiesa valeva 75mila euro (il resto, 41 mila euro, era per la progettazione). Steta lo vince con un ribasso del 16 per cento, dunque 59mila euro. Nel capitolato si scopre una cifra sorprendente: "Per il miglioramento antisismico c'erano appena 509 euro", spiega Cricchi. "Il progetto imponeva di inserire nella muratura 33 euro di ferro, praticamente una sola barra, e di fare alcuni fori da riempire non con il cemento, ma con la calce". Il grande equivoco. Eccolo il grande equivoco della ricostruzione dopo ogni disastro. La confusione tra il "miglioramento sismico" (piccoli interventi che non modificano sostanzialmente la stabilità dell'immobile) e l'"adeguamento", molto più costoso. Quasi tutto ciò che è stato fatto coi fondi dei terremoti, per forza maggiore scarsi e non sufficienti a coprire ogni spesa possibile, è miglioramento: i 200mila euro investiti nella scuola Capranica, in parte crollata; i 250mila euro messi nella Chiesa Santa Maria Liberatrice, inagibile; i 400mila del Teatro all'inizio del corso principale di Amatrice, distrutto; i 90mila della Torre Civica di Accumoli, lesionata; i 260mila euro della Chiesa di Sant'Angelo, venuta giù due settimane dopo l'inaugurazione. Fabio Melilli, deputato del Pd, è stato dal 2006 al 2010 il sub-commissario di Rieti per il terremoto dell'Umbria: "Quando mi sono insediato, era stato ultimato appena il 20 per cento dei lavori, nonostante fossero passati quasi dieci anni dal sisma". La normativa era fatta male: lo stesso progetto doveva superare due volte lo stesso esame. "Per dare il via alla gara di appalto - ricorda Melilli - servivano le autorizzazioni del Genio civile, del comune, della Soprintendenza. Una volta avute, il progetto andava in commissione dove c'erano gli stessi rappresentanti del Genio civile, del Comune, della Soprintendenza. Si perdeva un sacco di tempo". Tant'è che dei 5 milioni arrivati dopo L'Aquila, ne sono stati spesi appena tre. Il denaro immaginario. Una coperta quasi sempre corta. Si tira da una parte, ci si scopre dall'altra. Per il consolidamento del municipio di Amatrice c'erano 800mila euro, ma l'amministrazione guidata da Sergio Pirozzi ha deciso di spostarli sull'istituto alberghiero. Questo è rimasto in piedi, il municipio è franato. Coperta corta, che a volte si sfalda nelle mani di chi la vorrebbe usare. L'ospedale "Francesco Grifoni" da sette anni attendeva un intervento "urgente" di messa in sicurezza. I soldi, 2,2 milioni di euro, vengono pescati dal fondo per l'edilizia scolastica. Si è fatta anche la gara di appalto, vinta dal Consorzio cooperative costruzioni. Ma quel denaro, hanno scoperto i dirigenti della Asl di Rieti quando tutta la procedura era ormai avviata, esisteva solo sulla carta. Il fondo statale, per il Lazio, si era prosciugato.

Le carte riservate sui lavori eseguiti nei paesi del sisma e i certificati di chi ha fatto i collaudi su edifici pubblici. Gli «ancoraggi» dichiarati e mai fatti, scrivono Ilaria Sacchettoni e Fiorenza Sarzanini il 29 agosto 2016 su “Il Corriere della Sera”. C’è un documento riservato che dimostra le irregolarità compiute nella ristrutturazione degli edifici pubblici di Amatrice e Accumoli dopo il sisma del 1997 dell’Umbria. È la relazione dell’ente attuatore su 21 appalti assegnati per la messa a norma degli stabili. E svela nei dettagli anche alcuni casi clamorosi, come quello della Torre Civica di Accumoli, manufatto del XII secolo che è il più antico del paese, gravemente danneggiato dalla scossa della notte del 24 agosto scorso. E quello della caserma dei carabinieri, crollata per il terremoto. Ma anche le procedure seguite per numerose chiese e complessi parrocchiali. Si tratta di 2 milioni e 300 mila euro, soldi pubblici che si aggiungono agli altri 4 milioni spesi dopo il 2009. Il dossier elenca i soldi stanziati, gli interventi effettuati, il nome dei progettisti, le ditte incaricate. Indica anche l’effettuazione dei collaudi per la convalida di quanto era stato fatto. Interventi per una spesa ingente, che evidentemente non erano stati svolti adeguatamente, visto che alcuni edifici sono stati distrutti dal sisma di sei giorni fa e altri risultano gravemente lesionati. E questo avvalora il sospetto dei magistrati: alcuni certificati sono stati falsificati. Atti che riguardano le strutture pubbliche, ma pure le abitazioni private. Ai Vigili del fuoco sono già arrivate numerose segnalazioni di cittadini che raccontano di aver acquistato la casa con la certificazione dell’avvenuto «ancoraggio» proprio per scongiurare il pericolo di crolli. E invece, dopo la scossa che ha devastato interi paesi, si è scoperto che nulla del genere era mai stato fatto. Controlli saranno effettuati anche dai magistrati di Ascoli che indagano sui crolli avvenuti ad Arquata e Pescara del Tronto. In particolare bisognerà verificare come mai alcuni edifici di Arquata — l’ufficio postale, la scuola, il Comune e la caserma dei carabinieri — dovranno essere demoliti perché dichiarati inagibili nonostante dovessero essere perfettamente a norma. Caso esemplare è quello della Torre Civica di Accumoli, edificio storico conosciuto anche a livello internazionale. Lo stanziamento iniziale di 100 mila euro viene ridotto a poco più di 90 mila. L’impresa individuata è la «Giuseppe Franceschini». Responsabile del procedimento è l’architetto Cappelloni. È l’esperto che segue altri progetti, compreso quello del complesso parrocchiale in cui è inserita la chiesa di San Francesco, dove il campanile è crollato e ha travolto un’intera famiglia. Vengono effettuati due collaudi: uno l’11 ottobre del 2012, l’altro il 28 maggio 2013. Non vengono evidenziati problemi e la verifica concede il via libera. Ma qualcosa evidentemente non ha funzionato: le scosse di sei giorni fa non hanno lasciato scampo e la Torre risulta gravemente lesionata. L’edificio è venuto giù. Storia analoga è quella della caserma dei carabinieri di Accumoli. Dopo il terremoto dell’Umbria si decide di effettuare lavori di ristrutturazione e vengono stanziati 150 mila euro. La ditta prescelta è la «Impretekna». Responsabile del provvedimento è il geometra Granato che risulta aver seguito ben nove progetti. Anche in questo caso i lavori sono classificati come «ultimati e collaudati». Sembra che sia tutto regolare, almeno a leggere le carte. E invece la sede dei carabinieri ha subito danni gravissimi. Sono i documenti ufficiali a dimostrare che la chiesa di Accumoli e il campanile erano stati inseriti in un «sistema» ben più ampio che prevedeva la ristrutturazione dell’intero complesso parrocchiale. Spesa prevista: 125 mila euro che scendono a 116 mila. L’appalto se lo aggiudica la «Ste.Pa» che evidentemente poi concede alcuni subappalti. Alla fine arriva il collaudo e la pratica si chiude. Nessuno immagina che in realtà i soldi stanziati per il campanile siano stati utilizzati per la chiesa. E soprattutto che non sia stato effettuato alcun adeguamento antisismico, ma semplici migliorie che nulla garantiscono. La notte del 24, dopo la prima fortissima scossa, il campanile si sbriciola e uccide quattro persone. Viene giù anche la chiesa di San Michele Arcangelo di Bagnolo, frazione di Amatrice. A disposizione erano stati messi 100 mila euro. Ente attuatore in questo caso era la Curia vescovile di Rieti che aveva indicato anche gli esperti responsabili dei lavori. E adesso saranno proprio gli ingegneri e gli architetti incaricati di occuparsi del controllo delle attività a dover chiarire ai magistrati che cosa sia accaduto tra il 2004, quando si decide di mettere a norma gli edifici, e il 2013 quando risultano effettuati gli ultimi collaudi. Nei prossimi giorni i magistrati coordinati dal procuratore di Rieti Giuseppe Saieva — i pubblici ministeri Cristina Cambi, Lorenzo Francia, Raffaella Gammarota e Rocco Marvotti — acquisiranno la documentazione su tutti gli stabili crollati. La decisione è quella di aprire un fascicolo su ogni edificio in modo da poterne ricostruire la storia ed effettuare le eventuali contestazioni a chi ha seguito le ristrutturazioni. Per questo verranno interrogati gli architetti e gli ingegneri indicati nella relazione sui lavori decisi dopo il sisma dell’Umbria. Saranno loro a dover chiarire come mai si decise di effettuare — nella maggior parte dei casi — soltanto delle «migliorie», chi diede le indicazioni sugli interventi e soprattutto che cosa fu scritto nelle relazioni finali per ottenere il via libera dei collaudatori. Questi ultimi dovranno invece chiarire che tipo di controlli furono svolti, consegnando anche la documentazione relativa a ogni progetto seguito. L’attività dei pubblici ministeri in questa prima fase dell’inchiesta si muove su un doppio binario: da una parte gli edifici pubblici e dall’altra le abitazioni private. In questo secondo caso l’attenzione si concentra soprattutto sui cosiddetti «ancoraggi». Nei giorni successivi al terremoto sono arrivate numerose segnalazioni di persone che hanno raccontato di aver comprato il proprio immobile e di aver ricevuto — al momento dell’acquisto — la certificazione sulla messa in sicurezza rispetto al rischio sismico. Quando i palazzi sono crollati è apparso evidente come non fosse stato effettuato alcun intervento mirato. Per questo bisognerà confrontare gli atti di compravendita con quelli registrati nei Comuni. Partendo naturalmente dagli edifici crollati che hanno provocato morti e feriti.

Al setaccio incarichi e consulenze sui fondi del dopo terremoto 1997. Gli inquirenti vogliono capire come sono stati spesi tre milioni di euro. Indagini sui collaudi che mancano e sui lavori che non sono stati ultimati, scrive Paolo Festuccia il 30/08/2016 su “La Stampa”. Quasi tre milioni di euro. Per la precisione 2 milioni 995 mila euro. A tanto ammontano i finanziamenti che sono piovuti su Accumoli e Amatrice per i danni subiti dal sisma del 1997. A questi si deve aggiungere il finanziamento - ma fuori dal sisma dell’Aquila - che la Regione Lazio elargì al comune di Amatrice al fine di migliore la sicurezza della scuola «Romolo Capranica» e di altre strutture presenti sul territorio. Intorno a questo fiume di denaro, nelle prossime ore, si concentrerà l’attenzione della Procura di Rieti. L’obiettivo, è quello di accertare come siano stati elargiti i contributi pubblici, e soprattutto come sono stati conferiti gli incarichi a una quarantina di professionisti tra ingegneri, architetti e geometri. È questo il dubbio che anima l’iniziativa degli inquirenti. Un interrogativo che incontra anche le richieste dei cittadini, sia quelli che hanno o non hanno subito danni, sia soprattutto i familiari di chi, proprio sotto quelle strutture appena restaurate, ha perduto la vita. A cominciare dalla famiglia Tuccio di Accumoli (mamma, papà e due figli piccoli) annientata dal crollo del campanile del complesso parrocchiale di San Pietro e Lorenzo restaurata con 125 mila euro con tanto di collaudo. Insomma a distanza di quasi vent’anni, dunque, quel sisma che colpì duramente e tragicamente l’Umbria e alcuni luoghi simbolo come Assisi o Camerino nelle Marche, torna protagonista insieme al terremoto dello scorso 24 agosto. Nel territorio di Amatrice le strutture restaurate sono state tredici per un milione 860 mila euro. Ben 630 mila euro di «questi fondi - assicurano fonti - sono stati elargiti alla Curia… e mai rendicontati…». Solo due opere al maggio di quest’anno erano state collaudate. Si tratta della Chiesa di San Michele Arcangelo (100 mila euro) e di Icona Passatore per 200 mila euro. Le altre tre strutture, per un valore in euro di altre 330 mila euro (affidate come Ente attuatore alla Curia di Rieti) non risultano ancora restaurate. C’è poi il singolare caso delle caserme dei Carabinieri. Quella di Accumoli, nei fatti, è andata completamente distrutta. Ad Amatrice i lavori della caserma non sono ancora ultimati (150 mila euro) e anche l’altro edificio preso in affitto in attesa del rientro nella caserma principale è di fatto ancora inutilizzato. È davanti a queste cifre e alla presenza di tante consulenze che la procura vuole andare fino in fondo. Capire non solo come gli incarichi siano stati conferiti ma soprattutto quali rapporti sono intercorsi tra chi ha ricevuto e chi ha conferito l’incarico. Affidi più volte distribuiti a stesse persone che in talune circostanze figuravano come progettisti e in altri come collaudatori. In tutto sono una quarantina i professionisti che a vario titolo hanno partecipato alla distribuzione dei lavori che solo in parte a distanza di quasi vent’anni sono stati collaudati. In un caso, addirittura, la chiesa di Sant’Angelo di Amatrice i lavori sono ancora in fase di esecuzione. Capitolo a parte, invece, merita la scuola «Romolo Capranica» di Amatrice. La città fu tagliata fuori dai finanziamenti per il sisma aquilano del 2009. Ottenne allora una finanziamento ad hoc dalla Regione Lazio (5 milioni di euro) per una serie di lavori da svolgere sia nel palazzo che comunale che nella scuola alberghiera. Per la «Romolo Capranica» ci fu un accordo di programma in base al quale il commissario per il sisma Fabio Melilli rese ente attuatore il comune stesso per una cifra di 170 mila euro. Soldi che si aggiunsero ai circa 500 mila che lo stesso sindaco Pirozzi aveva ottenuto dalla Regione e che il comune appaltò autonomamente per i lavori.

39 anni fa l'assassinio del colonnello Russo e del prof. Costa, scrive il 20 Agosto 2016 AMDuemila. L’omicidio avvenne in modo plateale perché la “mafia voleva una esecuzione spettacolare ed esemplare”. Così scriveva il giornalista Mario Francese, che da quella stessa mafia fu assassinato il 25 gennaio 1979. Il 20 agosto del 1977, alle ore 22.00, in contrada Ficuzza di Corleone un commando formato da Totò Riina, Leoluca Bagarella, Giovanni Brusca, Pino Greco, Filippo Marchese e Giuseppe Agrigento uccise il tenente colonnello dei Carabinieri Giuseppe Russo e l'amico Filippo Costa. Secondo gli inquirenti quella sera a sparare fu Leoluca Bagarella, mentre Pino Greco e Giovanni Brusca rimasero da appoggio, e Agrigento e Marchese erano all'interno delle auto parcheggiate, pronti per la fuga. Russo fu sicuramente tra i primi investigatori a comprendere la necessità di spostare l’attività investigativa sui grandi appalti e sull’interesse che avrebbero inevitabilmente suscitato nel sodalizio criminale che stava per assumere il controllo di Cosa nostra nelle province di Palermo, Trapani e Agrigento, che proprio in questa terra avrebbe avuto il suo centro nevralgico intono alle figure di Riina e Provenzano. Giuseppe Russo, secondo gli investigatori, fu tra i primi a capire le potenzialità dei corleonesi di Riina e Provenzano e a studiare le contromosse per arginarli. Così come fu pioniere nell'individuare gli interessi e le attività del gruppo mafioso che si stava organizzando intorno alle figure di Michele Greco, Riina, Provenzano e Bagarella, negli anni in cui si sarebbe consolidato il controllo della mafia sui finanziamenti pubblici e i grandi appalti per la ricostruzione del Belice, dopo il devastante terremoto del 1968. Quando fu assassinato, Russo era il comandante del Nucleo Investigativo del capoluogo siciliano, l'organo di punta nella lotta alla mafia, e uomo di assoluta fiducia dell'allora comandante della Legione carabinieri di Palermo, il colonnello Carlo Alberto dalla Chiesa. Grazie al suo costante impegno furono realizzate con successo diverse operazioni investigative contro ogni forma di criminalità e, in particolare, contro le varie organizzazione mafiose. Per l’omicidio del tenente colonnello e del suo amico professore furono inizialmente condannati tre pastori: Salvatore Bonello, Rosario Mulè e Casimiro Russo; quest’ultimo, autoaccusatosi, aveva chiamato in causa gli altri due; ma nel ‘97 vengono assolti e la II sezione della Corte di Assise di Appello di Palermo condanna definitivamente all’ergastolo Leoluca Bagarella, Salvatore Riina e Bernardo Provenzano per l’assassinio di Giuseppe Russo e Filippo Costa. Così il giornalista Mario Francese, sul “Giornale di Sicilia”, ricordò quel tragico omicidio: “Al bar entrò soltanto Russo per fare una telefonata, Costa attese fuori. Un minuto dopo i due amici riprendevano la loro passeggiata… Nello stesso momento vi fu chi si accorse di una ’128’ verde che procedeva lentamente per il viale principale, evidentemente controllando i movimenti di Russo e Costa... L’auto continuò la sua marcia fino alla parte alta della piazza, effettuò una conversione ad ’U’ e si fermò proprio davanti all’abitazione del colonnello Russo. I due amici erano vicini alla macchina degli assassini. Non se ne resero conto. Non potevano. Si fermarono, Russo tirò fuori dal taschino della camiciola una sigaretta e dalla tasca dei pantaloni una scatola di ’Minerva’. Russo non ebbe il tempo di accendere la sua ultima sigaretta. Erano le 22,15. Dalla 128 scesero tre o quattro individui, tutti a viso scoperto. Lentamente, per non destare sospetti, camminavano verso i due. Appena furono vicini aprirono il fuoco con le calibro 38. Sparavano tutti contro Russo, tranne uno, armato di fucile che aveva il compito di uccidere Costa. Erano killer certamente molto tesi. Al punto che uno di loro lanciandosi contro Russo per finirlo, gli cadde addosso. Si rialzò immediatamente e, come in preda ad un raptus, imbracciò il fucile sparando alla testa. Fu il colpo di grazia. Il killer voleva essere certo che l’esecuzione fosse completa e mirò anche alla testa dell’insegnante Filippo Costa. Fu il secondo colpo di grazia. Si poteva andar via. Ma l’ultimo killer nella fuga perse gli occhiali che saranno ritrovati sotto il corpo senza vita del colonnello Russo. Ci si convinse subito che si trattava di un duplice delitto di mafia. Un agguato preparato nei dettagli almeno da 26 giorni. La 128, trovata abbandonata a tre chilometri da Ficuzza, è stata rubata infatti a Palermo il 25 luglio, appunto 26 giorni prima. Non sarebbe stato più semplice per la mafia uccidere il colonnello Russo in via Ausonia sotto casa a Palermo e il professor Costa a Misilmeri, dove abitava? - si chiede ancora il giornalista - No, perché la mafia voleva un’esecuzione spettacolare ed esemplare”.

La ricostruzione in Emilia e quello che il governo non dice. Un modello di gestione. Zero infiltrazioni mafiose e illegalità arginata. La narrazione ufficiale del Pd nazionale e regionale esclude ogni tipo di anomalie durante la fase post sisma emiliano. Eppure le inchieste giudiziarie e giornalistiche dicono altro, scrive Giovanni Tizian il 31 agosto 2016 su “L’Espresso”. Sulla via Emilia messa in ginocchio dal sisma del maggio 2012 è nata la narrazione della ricostruzione pulita. Nella roccaforte del Pd, del resto, tutto deve procedere secondo le regole. Criminali, mazzette e clan, non avrebbero trovato spazi, recita questa narrazione. Frammenti di questo racconto trionfalistico giungono anche in queste ore, a pochissima distanza dalla notizia che Vasco Errani sarà con tutta probabilità il commissario del post terremoto che ha ridotto in un cumulo di macerie i borghi storici di Amatrice, Accumoli, Arquata e Pescara del Tronto. Errani, appunto, scelto in virtù dell'esperienza emiliana. Dove, però, non tutto è come sembra. E sono molte le cose che il governo centrale e quello regionale non dicono. «Ha saputo garantire rigore, serietà, legalità e trasparenza. E noi oggi abbiamo ricostruito il 70 per cento di quello che avevamo, evitando infiltrazioni mafiose», intervistato da Repubblica Bologna il sindaco di San Felice Sul Panaro, Alberto Silvestri, mostra tutto il suo entusiasmo per la nomina decisa da Matteo Renzi. San Felice è il paese del cratere sismico tra i più colpiti. Il primo cittadino della bassa modenese, però, sa bene che non tutto è andato per il verso giusto. Soprattutto in tema di illegalità e inquinamento mafioso. Vicino a San Felice, per esempio, si trova Finale Emilia. Lasciamo per un momento da parte la questione mafia, perché l'ultimo episodio che ha riguardato questo comune ha a che fare con un fatto di ordinaria furbizia imprenditoriale. Al centro dello scandalo una scuola media da 5 milioni di euro, nuova di zecca e pronta per essere inaugurata. A distanza di quattro anni esatti, però, nella ricostruzione qualcosa non ha funzionato. Chi ha realizzato l'opera, per limare sui costi, avrebbe utilizzato cemento cosiddetto “depotenziato”. Materiale fragile. Così per inquirenti e investigatori la struttura della scuola media Frassoni non sarebbe sicura. Il paradosso è che il luogo scelto per edificare l'istituto era considerato tra i più sicuri del paese. Tanto, spiegano gli inquirenti, da indicare l'area come luogo di rifugio per la popolazione nel caso di terremoti. Cittadini beffati due volte, quindi. Perché avrebbero raggiunto una zona con un edificio, dicono i pm, per nulla sicuro. L'inchiesta “Cubetto” - termine che indica i campioni di calcestruzzo da sottoporre ad analisi di resistenza - è ancora in corso. Bisognerà attendere i risultati delle analisi del materiale sequestrato, e poi l'incidente probatorio. Coinvolte due importanti aziende. Entrambe con un ruolo in Confindustria. C'è la Betonrossi Spa, per esempio, attiva in tutta Italia e leader del settore. E la A&C di Mirandola, il cui proprietario Stefano Zaccarelli era presidente dell'associazione costruttori di Confindustria Modena, ha lasciato dopo la notizia dell'indagine a suo carico. L'inchiesta non è finita. Il prossimo atteso passaggio sarà l'incidente probatorio. Sarà questo il momento decisivo per verificare effettivamente la tenuta della struttura. La procura vorrebbe ottenerlo prima del prossimo anno scolastico. Tra gli indagati anche il direttore dei lavori, un tecnico della Regione, Antonio Ligori. In realtà, si legge nel suo curriculum, è collaboratore di una società “In house”, la Finanziaria Bologna Metropolitana S.p.a. Durante la ricostruzione post-sisma, ancora in corso, è stato incaricato della Direzione Lavori di numerosi cantieri per realizzare edifici pubblici, «per conto del Commissario Delegato alla Ricostruzione (cioè Vasco Errani ndr)». Ligori, 51 anni, negli ultimi quattro anni ha ottenuto la direzione di 33 strutture, più tre progettazioni. È responsabile di cantieri che valgono in tutto 75 milioni di euro. Ma non è la prima ombra che si addensa sulla ricostruzione post sisma. Anzi, è solo l'ultima di una lunga serie di anomalie. Prima, come documentato da “l'Espresso” ormai tre anni fa, l'intromissione della 'ndrangheta nella filiera dello smaltimento delle macerie. Poi i subappalti finiti ad aziende legate ai clan e i sospetti su una cricca di professionisti che si sarebbero arricchiti con i fondi per la ricostruzione. E infine il caso del cemento “fragile” usato per una scuola pubblica. Per quanto riguarda le macerie, il meccanismo con cui la 'ndrangheta ha potuto lavorare è molto semplice. In piena urgenza con la catena del subappalto, le strade dei paesi terremotati sono state battute dai camion dei clan. Hanno smaltito una quantità importante di detriti, non residuale, stando a quanto scritto dagli investigatori del Gruppo interforze guidato dal poliziotto Cono Incognito. Un team, questo, costituito ad hoc per vigilare sulle opere da realizzare nella ricostruzione. Hanno lavorato sodo, e prodotto decine di misure interdittive, escludendo numerose aziende, alcune delle quali già attive nei cantieri emiliani, dalla “White list”, gli elenchi della Prefettura ai quali è necessario iscriversi per poter lavorare nella ricostruzione. C'è stato poi il caso della Bianchini costruzioni. Leader nel territorio della bassa. Fino a quando la procura antimafia di Bologna e i carabinieri di Modena non hanno scoperto la sua vicinanza alla 'ndrangheta emiliana. Così prima è scattata l'interdittiva antimafia, e due anni dopo i proprietari sono finiti nella maxi indagine Aemilia (oltre 200 indagati, ora imputati) sui clan calabresi emigrati nelle province di Modena, Reggio, Parma e Piacenza. La vicenda Bianchini conduce esattamente al cuore della ricostruzione. Alle cose che non hanno funzionato in materia di prevenzione. La società ha continuato a lavorare anche dopo il blocco della prefettura. Con un'altra società, è stato sufficiente cambiare il nome. Per queste anomalie la prefettura di Modena aveva disposto persino l'accesso nel Comune di Finale Emilia. La commissione scrisse una relazione in cui evidenziava diverse criticità nella gestione degli appalti. Il Prefetto chiese lo scioglimento, ma il Viminale archiviò il caso. A luglio del 2012 il commissario per l’emergenza Vasco Errani, aveva stanziato l’ingente somma di 56 milioni di euro, al fine di ricostruire entro la fine di settembre, edifici scolastici temporanei, a seguito della rovina di quelli esistenti. Ecco comparire di nuovo la società di San Felice (finita sotto sequestro e adesso gestita da un amministratore giudiziario per conto del tribunale), guidata all'epoca da Augusto Bianchini - ora imputato per concorso esterno. In questo caso è sospettata di aver smaltito amianto in alcuni cantieri della ricostruzione. Nelle strade, ma anche in una scuola di Reggiolo. È emerso, inoltre, dall'indagine Aemilia che nei cantieri di Bianchini lavoravano maestranze assunte grazie all'intermediazione dei boss delle 'ndrine emiliane. Trattati come schiavi. Con il salario decurtato per pagare il “pizzo” ai padroni delinquenti. Sfruttamento in piena regola, che ha spinto i sindacati a costituirsi parte civile nel maxi processo in corso a Reggio Emilia. In Emilia, dunque, la ricostruzione è stata inquinata. Non sveliamo nulla riportando un'intercettazione tra due affiliati che nei giorni successivi al sisma ridono alla grande, e sui morti, per le opportunità di lavoro che si prospettavano. Come fu per L'Aquila, anche qui gli affaristi hanno visto nelle macerie nuove opportunità. Ma la ’ndrangheta si è infilata nella ricostruzione anche ad un altro livello. Ci sono indagini che tuttora proseguono, e puntano verso le figure dei tecnici. Collaboratori o assunti da imprese contigue alle cosche. Il sospetto è raccolto dall'Arma dei Carabinieri che ricevono la segnalazione di una donna sfollata. Si era rivolta a loro perché non la convinceva la dinamica in cui era finita: l’ingegnere incaricato di redigere il progetto di ricostruzione aveva assoldato un professionista di fuori regione, facendo lievitare le spese. Quell’ingegnere ha rapporti con uomini del clan. Ed è socio di uno studio tecnico della bassa emiliana, tra i lavori ottenuti anche la progettazione della sicurezza di un cantiere post sisma a Finale Emilia. Tutto questo -tralasciando episodi minori di truffe e raggiri - nella narrazione renziana della ricostruzione emiliana non può esistere. Il rischio è di passare dalla parte dei “gufi”.

Terremoto: la mafia è già pronta a guadagnare. Fermate subito quelle mani. Dobbiamo imparare dalle ferite ancora aperte dell'Aquila e dell'Emilia, e dalla storia del Belice e dell'Irpinia. Per impedire alle organizzazioni criminali e a imprenditori-sciacalli di brindare sul dolore del 24 agosto. Perché la ricostruzione non sia un business. Ma un valore, scrive Lirio Abbate il 29 agosto 2016 su “L’Espresso”. La ricostruzione post terremoto è il punto da cui adesso si deve ripartire. Potranno speculazioni e criminalità restare fuori da questa tragedia? Si riuscirà a non fare business sulla morte e il dolore? Dovrà pur servire a qualcosa l’esperienza amministrativa e giudiziaria fatta su un territorio altamente sismico. E queste nuove vittime non dovranno servire a sostenere vecchi business e nuovi appetiti per le mafie e i mafiosi. Questa tragedia che ha colpito l’Italia centrale dovrà necessariamente attingere all’esperienza fatta dopo il sisma dell’Aquila e dell’Emilia. Ferite ancora aperte, anche per il dolore inflitto da imprenditori-sciacalli e organizzazioni criminali che su queste tragedie non hanno visto la morte come sofferenza, ma un motivo, spesso illegale per arricchirsi. La storia italiana di ogni ricostruzione ci ha consegnato non solo sofferenza e dolore, ma soprattutto malaffare. A cominciare dal Belice, passando per l’Irpinia, fino ad arrivare in Abruzzo e in Emilia Romagna. Le mafie si sono lanciate sui ruderi dei paesi distrutti come se i cocci caduti dalle abitazioni in cui sono morti donne e bambini, studenti e pensionati, fossero pepite d’oro da raccoglie. A tutti i costi e con tutti i mezzi irregolari. I protocolli di legalità pensati e firmati in questi decenni si sprecano. Qualcuno ha funzionato, altri sono stati raggirati. Ad ogni modo, sul dopo terremoto si è sempre trovato un prestanome di mafiosi, un’impresa irregolare che ha messo le mani sugli appalti. È stata ancora una volta fotografata un’Italia illegale che si contrappone alla grande solidarietà che questo Paese è capace di offrire a chi ne ha bisogno. L’esperienza quindi ci dice che il grande business della ricostruzione non viene mai ignorato dalla criminalità organizzata, e per questo motivo occorre attuare tutti gli strumenti necessari per evitare l’inquinamento mafioso. Perché sulle emergenze è più facile che le organizzazioni trovino spazi e modi per infiltrarsi e lucrare. E guadagnare sulla morte. Negli ultimi vent’anni è stata combattuta la mafia, ma meno efficacemente la corruzione. E mafia e corruzione sono sempre più intrecciate. Lo ha dimostrato l’inchiesta “mafia Capitale” che ha messo in luce un modello tipicamente mafioso; un modello, come ripete il procuratore nazionale antimafia, Franco Roberti, «che già aveva funzionato per gli appalti post terremoto in Campania» e che vede un intreccio tra mafia, politica e imprenditoria. La caratteristica della criminalità mafiosa è la mimeticità nell’area grigia: ovvero esponenti delle istituzioni, dell’imprenditoria, delle professioni. Non basta intervenire con la repressione ma bisogna prevenire: l’educazione ai valori della Costituzione è fondamentale per recuperare il rispetto della legge. Soprattutto dopo una nuova tragedia come questa del terremoto.

"La ricostruzione post terremoto boccone ghiotto per la mafia". Il procuratore antimafia Roberti: "Non si ripeterà lo scandalo Irpinia. Abbiamo il modello dell'Aquila, che ha funzionato. Siamo pronti", scrive Luca Romano, Domenica 28/08/2016, su "Il Giornale". "I rischi ci sono, inutile nasconderlo. E la ricostruzione post terremoto è storicamente il boccone ghiotto di consorterie criminali e comitati d'affari collusi". A dirlo, in una intervista a Repubblica, è il procuratore Antimafia Franco Roberti, che aggiunge: "Però va detto che abbiamo alle spalle gruppi di contrasto consolidati, esperienza, attività importanti. E abbiamo il modello dell'Aquila, che ha funzionato. Siamo pronti". Secondo il procuratore, che seguì in prima persona come pm di Napoli il terremoto dell'Irpinia oggi "l'esperienza e le acquisizioni scientifiche e giudiziarie ci dicono che se una casa è costruita bene, se sono state rispettate le norme anti sismiche, di fronte a un evento drammatico quel corpo di fabbrica può lesionarsi, incrinarsi: ma non può polverizzarsi e implodere. Ecco perché, senza azzardare previsioni, immagino ci sia molto da approfondire". I rischi di infiltrazioni mafiose, perché sottolinea Roberti "i guadagni dei clan cominciano proprio dal calcestruzzo scadente", "sono sempre alti ma l'esperienza drammatica del sisma a L'Aquila ci lascia anche un modello importante che ha funzionato bene". Il magistrato parla infatti di "un modello costruito da tutti insieme, dal lavoro della Procura distrettuale della città colpita, dal monitoraggio della Procura nazionale antimafia, dagli uffici giudiziari competenti e naturalmente dall'Anticorruzione ". Sulla collaborazione con l'Anac infine precisa "l'Anticorruzione fa bene il suo lavoro di prevenzione della corruzione, nella acquisizione e gestione degli appalti. Mentre la procura nazionale svolge il suo monitoraggio sugli eventuali collegamenti mafiosi delle imprese che concorrono agli appalti".

La sfida di Cantone: "Modello Expo per ricostruire senza mafia e ladri". L'intervista. Il presidente dell'Autorità anticorruzione: "Non sarà una grande abbuffata", scrive Liana Milella il 27 agosto 2016 su "La Repubblica”. "Vedo due pericoli, tutti italiani, anche in questo terremoto, la mafia che ne approfitta e s'infiltra nella ricostruzione e le grandi abbuffate dei soliti speculatori". Ma Raffaele Cantone, il presidente dell'Autorità anticorruzione, prim'ancora di suggerire la sua strategia per evitare entrambe le minacce, vuole raccontare cos'ha provato alle 3 e 36 di mercoledì notte: "Per chi, come me, ha vissuto il terremoto del 1980 in Irpinia, pur abitando in una zona non direttamente colpita, la prima cosa è il grande dolore che provo e la solidarietà forte per chi si è visto crollare addosso la casa. Poi c'è la preoccupazione per gli speculatori in agguato".

L'Italia è questo purtroppo. Solidarietà e malaffare...

"Sì, vedo due Paesi inconciliabili. Quello dei volontari che arrivano da tutta Italia e scavano fino allo sfinimento con una gara di solidarietà che coinvolge l'intero paese. Ma poi si fa fatica a pensare che è lo stesso paese delle grandi abbuffate, di chi ne approfitta e specula, di chi, quella famosa notte del terremoto dell'Aquila, rideva pensando agli affari che avrebbe fatto. Da un lato c'è un pezzo d'Italia bellissimo, dall'altro c'è chi pensa che sui morti si possono fare più affari".

Renzi ha citato lei e l'Anac. Un'altra grana?

"La vedo come un'importante manifestazione di fiducia, che mi inorgoglisce sia a titolo personale che per il lavoro svolto dall'Autorità in questi due anni. E poi già penso al futuro e a cosa potremmo fare".

Ha già un'idea?

"Dipende dalle scelte politiche. L'Anac può avere una funzione proficua se riesce a ricreare una situazione analoga a quella di Expo o del Giubileo. Ma perché ciò avvenga gli organi decisionali che gestiscono gli appalti devono essere uno solo o al massimo pochi. Un'attribuzione polverizzata a vari soggetti impedirebbe o renderebbe difficile un controllo a 360 gradi. Per le risorse che abbiamo non possiamo seguire 50 stazioni appaltanti".

Il terremoto però ha distrutto molte case private.

"È molto importante capire quale parte della ricostruzione sarà oggetto di interventi pubblici. Se si decide di seguire il modello aquilano - contributi singoli e lavori a cura dei privati - l'Anac potrà avere un ruolo relativo. Potrà seguire soprattutto la ricostruzione delle strutture pubbliche".

Lei cosa suggerisce?

"Esempi possibili ci vengono dagli ultimi terremoti. All'Aquila si è optato per le new town in attesa della ricostruzione. Un'opzione criticabile, ma che al momento sembrava razionale perché funzionale a un'intera città caduta. In alternativa bisogna comunque trovare formule per ricostruire rapidamente e questa è l'opzione decisamente preferibile".

Ma qual è quella di Cantone?

"Il modello Expo, sperimentato anche in altre situazione note e meno note. La vigilanza collaborativa, oggi prevista pure nel codice dei contratti, utilizzata tra l'altro per Bagnoli e per il Giubileo. Ma le soluzioni vanno calibrate sulle tipologie degli eventi. La priorità è dare subito le case, perché adesso vanno bene le tende, ma ad Amatrice tra poco farà freddo, quindi l'urgenza è sistemare 2mila persone. La logica delle new town fu quella, anche se poi fallì del tutto perché non furono ricostruite le vecchie case".

Lei ricordava l'intercettazione della notte dell'Aquila. Teme anche ora la grande abbuffata?

"Bisogna evitare che i soldi pubblici finiscano in operazioni illecite. Ma quando Renzi parla di modello Anac pensa anche al rischio di infiltrazioni mafiose, perché tra le imprese che provvedono alla rimozione dei detriti e al movimento terra il rischio di infiltrazioni è altissimo. È necessario un controllo preventivo come avvenne per il terremoto in Emilia. Bisogna evitare il grande bubbone del sisma in Irpinia, non solo per il clamoroso spreco di denaro pubblico, ma perché proprio allora la camorra, da associazione dedita ad affari tradizionali, divenne imprenditrice".

Il codice degli appalti, su cui si riversano tante critiche, potrà creare difficoltà?

"Mi sento di escluderlo. Il codice consente di fare qualsiasi tipologia di appalti. Comunque sarà una delle priorità dell'Anac verificare se possono esserci provvedimenti attuativi da emettere che potrebbero incidere sulla ricostruzione".

Ad Amatrice crolla una scuola costruita senza garanzie sismiche. Non è anche questa una minaccia?

"Su quell'appalto bisogna accendere subito una luce. Sarebbe ingiusto dare giudizi su due piedi, ma se il terremoto fosse avvenuto in un altro momento dell'anno finiva come a San Giuliano di Puglia. Una strage di bambini. La scuole di Amatrice era stata ristrutturata nel 2012 ed è caduta. In teoria anche un edificio perfetto può cadere per un terremoto fortissimo. L'Autorità giudiziaria e noi dell'Anac ce ne occuperemo per individuare le responsabilità".

Repubblica ha scoperto che ci sono fondi per il rischio sismico neppure spesi...

"Non è il momento di fare polemiche perché il dolore deve prevalere su tutto, ma bisogna individuare le responsabilità di chi avrebbe potuto utilizzare quel denaro e non lo ha fatto e se questo incide sulla capacità di questi amministratori di gestire la ricostruzione".

Renzi e il terremoto in Centro Italia: «Prendiamo esempio dall’Emilia», scrive il 29 agosto 2016 “La Repubblica”. Il presidente del Consiglio non parla di Errani commissario ma cita la ricostruzione dopo il sisma del 2012. Ma i Cinque Stelle attaccano. Non parla di Vasco Errani come commissario per la ricostruzione in Centro Italia, ma designa l’Emilia-Romagna come un modello per il post-terremoto. Matteo Renzi, nella enews pubblicata lunedì, fornisce le coordinate per l’immediato futuro delle zone terremotate. «La storia italiana - scrive il presidente del Consiglio - ci consegna pagine negative nella gestione del dopo-terremoto, come l’Irpinia, ma anche esempi positivi. Su tutti il Friuli del 1976, certo. Ma anche l’Umbria di vent’anni fa. E soprattutto penso al modello emiliano del 2012». Quel territorio, sottolinea il premier, «ha `tenuto botta´, come si dice da quelle parti, ricostruendo subito e bene. Le aziende sono ripartite, più forti di prima. E la coesione mostrata è stata cruciale per raggiungere l’obiettivo». Secondo Renzi «dovremo prendere esempio da queste pagine positive. E fare del nostro meglio - senza annunci roboanti - per restituire un tetto a queste famiglie e restituire un futuro a queste comunità». Ma i grillini partono all’attacco. Il deputato Michele Dell’Orco lancia un primo tweet in cui accosta il nome del «disoccupato» Errani all’inchiesta Aemilia. «Il Governo — ha rincarato poi via web Dell’Orco — chiama Vasco #Errani per la ricostruzione: “verrà adottato il modello Emilia’” Modello Emilia??! Dal processo Aemilia emerge che la movimentazione della terra nel post-terremoto ha visto un coinvolgimento di aziende direttamente o indirettamente vicine alla criminalità mafiosa; c’è stata una sottovalutazione del problema da parte delle pubbliche amministrazioni. Insomma- rimarca il parlamentare M5s- la mafia si è infiltrata a piene mani nella ricostruzione. E Renzi nomina Errani? Vogliamo ripetere gli stessi errori? Io no». In casa Pd scatta il contrattacco. «Il deputato 5 stelle Dell’Orco- reagiscono in una nota i parlamentari dem Davide Baruffi, Manuela Ghizzoni, Maria Cecilia Guerra e Stefano Vaccari- straparla, o peggio, se parla con convinzione allora diffama. Perché se c’è un aggettivo che chi lo conosce associa al nome Vasco Errani è onesto, oltre che competente». E, dunque, «far intendere, come fa il collega Dell’Orco con il suo tweet, che ci sia una qualsivoglia connessione tra la nomina di Errani a commissario straordinario per il sisma nel 2012 e l’inchiesta Aemilia è mistificare la realtà. Perchè se c’è una cosa per cui Errani ha lavorato, in questi anni, è proprio l’obiettivo per cui ogni euro speso per il cratere sismico fosse rintracciabile e impiegato in maniera legittima».

Cinque Stelle e leghisti contestano Errani e la validità del "modello Emilia". M5S e centrodestra bocciano la scelta dell'ex governatore come commissario per la ricostruzione e citano le infiltrazioni della criminalità emerse dal processo Aemilia. Di Maio: "Renzi usa il terremoto per ricucire il Pd". La replica di Guerini, scrive il 29 agosto 2016 “La Repubblica”. La tregua e l'unità nazionale sul terremoto è già finita. Il Movimento Cinque Stelle, infatti, non ha gradito la scelta di Vasco Errani come commissario per la ricostruzione delle aree devastate dal sisma. E lo stesso atteggiamento di chiusura adottano anche Lega e Forza Italia. Il primo affondo è lanciato dal deputato grillino emiliano Michele dell'Orco. "Il governo - dice il parlamentare - chiama Errani per la ricostruzione e verrà adottato il modello Emilià. Modello Emilia? Ma dal processo Aemilia emerge che la movimentazione della terra nel post-terremoto ha visto un coinvolgimento di aziende direttamente o indirettamente vicine alla criminalità mafiosa; c'è stata una sottovalutazione del problema da parte delle pubbliche amministrazioni. Insomma - conclude Dell'Orco - la mafia si è infiltrata a piene mani nella ricostruzione. E Renzi nomina Errani? vogliamo ripetere gli stessi errori?" Un attacco durissimo che viene rilanciato anche da Laura Castelli, capogruppo grillina alla Camera: "Quanto accaduto in seguito al commissariamento di Errani in Emilia lo conosciamo tutti, arriva anche a includere inchieste che hanno sottolineato quanto la 'ndrangheta entri in questi appalti e in queste ricostruzioni", dice Castelli. Poi arriva l'affondo di Luigi Di Maio, membro del direttorio M5S che scrive su Facebook: "Mi lascia sgomento un presidente del Consiglio che poche ore fa ha guardato negli occhi i sopravvissuti dell'ennesimo terremoto e adesso pensa di sfruttare la tragedia per ricucire il Pd affidando l'incarico di commissario per la ricostruzione a Vasco Errani. Gestisce un'emergenza con le logiche del congresso di partito. Vasco Errani non può essere il commissario al terremoto del Centro Italia. Ora serve un profilo al di fuori del sistema dei partiti". Un altro colpo al clima di unità arriva dalla Lega. "In Emilia Romagna Errani ha fallito completamente, vorremmo evitare un fallimento due. Chiediamo a Renzi di non fare nomine in base a logiche di equilibrio interne" dice il senatore leghista Gian Marco Centinaio. Poi tocca al leader Matteo Salvini: "La Lega è pronta ad aiutare e collaborare con tutti per il bene delle persone colpite dal terremoto ma non a guardare in silenzio il ripetersi di vecchi errori, sprechi e ruberie. Il fallimento e la lentezza della ricostruzione in Emilia non si devono ripetere". E critiche arrivano anche dal centrodestra. Il consigliere regionale di An-Fdi Tommaso Foti accusa: "Neppure abili prestigiatori possono nascondere che, nella bassa modenese in particolare, si registrano ritardi gravissimi nella ricostruzione". E da Roma Maurizio Gasparri fa sapere: "Nessuna apertura nei confronti di Renzi e della sua fallimentare politica". Secondo il vicepresidente forzista del Senato "FI farà proposte per la ricostruzione delle zone terremotate e darà piena disponibilità in ogni passaggio parlamentare con uno spirito di coesione che è doveroso e che altri non sempre hanno dimostrato in occasioni analoghe a ruoli inversi. È però certamente un avvio sbagliato quello della nomina di Errani a commissario". A Di Maio ha replicato Lorenzo Guerini, vicesegretario del Pd: "Mi spiace che Di Maio utilizzi una tragedia come quella del terremoto per aprire un'inutile polemica con il Pd e il presidente del consiglio - ha detto Guerini - . Errani è un ottimo amministratore che ha già dato prova di capacità, competenza ed efficienza come commissario per il terremoto in Emilia, esperienza che potrà mettere a disposizione per la delicata opera di ricostruzione delle zone del Centro Italia colpite dal sisma. È tempo di unità e responsabilità per dare risposte alle popolazioni colpite così duramente e non di polemiche".

Inchiesta. Belice, Irpinia, Aquila. Infiltrazioni mafiose post-sisma, scrive Alberto Di Pisa su “Sicilia Informazioni” il 5 settembre 2016”. La criminalità organizzata, in occasione dei terremoti che con una certa frequenza hanno colpito l’Italia, ha sempre trovato il modo, nella fase della ricostruzione, di infiltrarsi allo scopo di conseguire dei profitti lucrando sulla morte di tante persone. La ricostruzione dei paesi e delle città distrutte dal terremoto costituisce infatti, per le organizzazioni criminali – Cosa Nostra, camorra, ‘ndrangheta – un vantaggioso business che non possono lasciarsi sfuggire. Intercettazioni telefoniche, in occasione del terremoto dell’Aquila hanno evidenziato come tali organizzazioni criminali, mentre ancora si scavava tra le macerie e si estraevano i cadaveri di chi era rimasto sepolto dal crollo dei vari edifici, nel manifestare la propria soddisfazione per l’accaduto, si mostravano pronte ad inserirsi nella fase della ricostruzione che avrebbe costituito per l’organizzazione fonte di ingenti profitti. Ciò si è verificato sia in occasione del terremoto che nel 2009 ha colpito l’Abruzzo, quanto in occasione del terremoto che nel novembre del 1980 ha colpito l’Irpinia, e nel terremoto dell’Aquila ed ancor prima in occasione del terremoto che investì la valle del Belice. La commissione parlamentare antimafia, in relazione al terremoto dell’Irpinia, scrisse nel 1993, a proposito della ricostruzione e degli appalti e sub appalti: “Molto è stato condizionato dalle organizzazioni camorristiche”. La Corte dei Conti poi, sempre a proposito dei finanziamenti per la ricostruzione dell’Irpinia e dei suoi 119 comuni, ha evidenziato come a fronte dei circa 60 miliardi di vecchie lire stanziate a tal fine, numerosi erano stati gli sperperi costituiti da notevoli lievitazione dei costi nonché da progetti finanziati e mai realizzati. Scrive Antonio Giangrande: “Con i soldi pubblici la camorra e le “cricche” politico criminali hanno trasformato fienili in piscine olimpiche (mai ultimate) in mezzo al niente, regalato orologi di brillanti a tecnici ed ingegneri e collaudatori, riempito le casseforti di banche cooperative con soldi che poi sono serviti per prestiti a piccole e grandi imprese del Nord. Un Eldorado. Dopo i morti e le sofferenze, le scorribande e le rapine”. Si è assistito quindi a tentativi, da parte della criminalità organizzata, di assumere il controllo del massiccio flusso dei finanziamenti pubblici stanziati dallo Stato per la ricostruzione dei territori colpiti dal terremoto e ciò in collusione con i politici locali. Il che, considerate le sempre crescenti quantità di denaro in gioco, ha visto il ricorso, con sempre maggiore frequenza e spietatezza, a mezzi violenti. Non è stata differente la situazione in occasione del terremoto dell’Aquila. Basta in proposito ricordare la famosa telefonata che la stessa notte del terremoto ebbe luogo tra due imprenditori per i quali il terremoto costituiva una importante opportunità per conseguire ingenti profitti che sarebbero loro derivati dalla ricostruzione. “Io ridevo stamattina alle tre e mezzo dentro il letto”, diceva uno. “Io pure” diceva l’altro. L’Unione europea pose la propria attenzione non solo sull’utilizzo dei fondi per la ricostruzione dell’Aquila evidenziando in un o dossier, oltre che i prezzi gonfiati nella costruzione dei nuovi appartamenti (secondo i dati forniti dalla Corte dei Conti, ogni appartamento era costato il 158% in più rispetto al valore di mercato) e la scadente qualità degli edifici, ma anche sulle infiltrazioni mafiose negli appalti e le inerzie colpevoli da parte delle istituzioni italiane. Sempre nel dossier della Unione Europea si legge che “un numero di subappaltatori non disponeva del certificato antimafia” e che un latitante era stato scoperto nei cantieri della EDIMO, azienda appaltatrice. Ed ancora “Una parte dei fondi per i progetti Case e Map sono stati pagati a società con legami diretti o indiretti con la criminalità organizzata”. Ma le organizzazioni criminali hanno fatto registrare la loro presenza anche in occasione del terremoto che nel 1997 ha colpito l’Umbria. Presenza che si è registrata nei movimenti terra, ghiaia, cemento, forniture edili. In proposito, nel dossier redatto da Confesercenti e Sos impresa, dopo essersi evidenziata la presenza nel territorio di clan e gruppi camorristici si legge: “II terremoto del 1997 e la “ricostruzione” per qualcuno è stata una ghiotta occasione: ancora oggi risulta difficile districarsi nei tanti appalti e subappalti che hanno coinvolto decine di imprese, molte delle quali difficilmente identificabili. Per anni c’è stato un velo di silenzio e di ipocrisia e solo da poco, con grande difficoltà, cominciano a diradarsi le nubi dell’omertà”. Il presidente della Corte di appello dell’Aquila poi, nel corso della inaugurazione dell’Anno giudiziario ha sottolineato l’aumento dei procedimenti per associazione mafiosa instaurati dalla Direzione distrettuale antimafia della Procura dell’Aquila “legati all’incisiva attività di contrasto nella ricostruzione post terremoto che, come era facilmente prevedibile, ha comportato l’arrivo di ingenti finanziamenti pubblici e il correlato rischio di possibili infiltrazioni della criminalità organizzata”. Ed infatti una indagine della procura della Repubblica dell’Aquila portò all’arresto di quattro soggetti legati alla ‘ndrangheta “che tentavano di ingerirsi proprio nei lavori commissionati dai privati con l’impiego dei fondi pubblici”. Per i pubblici ministeri gli arrestati avrebbero assicurato le basi logistiche societarie per l’ingresso, negli appalti privati, quelli senza gara e senza obbligo dei certificati antimafia, di aziende vicine alla cosca Caridi-Zincato- Borghetto della ‘ndrangheta. Indagini nell’ambito della ricostruzione del post terremoto in Abruzzo hanno quindi accertato la presenza di aziende legate alla criminalità organizzata come il caso della Igc (Impresa generale Costruzioni) di Gela che ottenne subappalti per la ricostruzione di Bazzano. Scriveva in proposito la DIA (Direzione Investigativa Antimafia) nel rapporto presentato alla Procura: “Il controllo sulle maestranze della ditta faceva emergere che tra gli operai impegnati nei lavori sul cantiere, tredici avevano precedenti di polizia. La metà di quanti erano stati assunti. Tra costoro spiccavano Gianluca Ferrigno e Emanuele Lombardo, il primo-scrive sempre la Dia-, nipote di Angelo Bernascono, uomo di fiducia della famiglia mafiosa Rinzivillo, poi divenuto collaboratore di giustizia, il secondo, anche lui di Gela, indagato dal Tribunale dei minori di Caltanissetta per il reato di cui all’art. 416 bis c.p. All’epoca dei fatti faceva parte dell’associazione mafiosa denominata “Stidda”. Ma l’attenzione della Dia si rivolse anche al curriculum dei tre amministratori della ditta tutti di Gela, intestatari in parti uguali del capitale e che risultarono avere intrattenuto rapporti con esponenti della criminalità organizzata. La Dia segnalò infatti alla magistratura la presenza nella ICG di Gianluca Ferrigno e Angelo Martines, quest’ultimo figlio di Nicolò Martines di Gela, pluripregiudicato per associazione mafiosa, traffico di stupefacenti ed estorsione, appartenente al clan Rizzivillo. Ci si chiede come sia stato possibile che la IGC abbia ottenuto la certificazione di idoneità. La revoca della autorizzazione al subappalto intervenne quando i lavori erano stati quasi del tutto terminati. Va sottolineato come la IGC abbia anche ottenuto in subappalto commesse per i lavori per la metropolitana di Milano, per i lavori della TAV, per la costruzione di due gallerie dell’autostrada Catania-Siracusa. La prefettura dell’Aquila segnalava “il rischio di infiltrazioni mafiose nella società Prs, Produzioni e servizi di Avezzano impegnata nella ricostruzione del dopo terremoto in Abruzzo, facente parte del consorzio Ati-Prs, incaricata di effettuare gli scavi a Collebrincioni, Bazzano, Tempera e Sant’Elia.” Si trattava di un appalto dell’importo di 1 milione e 981 mila euro. La Prs aveva il 60 per cento dell’incarico, quindi una commessa di circa 1 milione e 200mila euro. Si legge nella relazione della Prefettura come, a seguito dei controlli “il contesto in cui si muove l’azienda non può essere tranquillizzante perché non risulta impermeabile a eventuali infiltrazioni mafiose.” Prima di revocare l’appalto, la Protezione Civile chiese un parere all’Avvocatura dello Stato che diede risposta negativa in quanto “per la risoluzione del contratto si devono manifestare fatti oggettivi”. A questo punto si sarebbe dovuto accertare da parte della magistratura in base a quali criteri vengono concesse le certificazioni dato che la DIA, relativamente all’IGC, aveva evidenziato come, nonostante i rapporti diretti tra i titolari e esponenti del clan Rinzivillo, la società avesse ottenuto il nulla osta. Andando indietro nel tempo, infiltrazioni mafiose si ebbero in occasione del terremoto del Belice che dal 15 al 25 gennaio 1968 distrusse un area compresa tra le province di Agrigento, Trapani, Salaparuta, Gibellina, Montevago, Menfi, Santa Ninfa e tanti altri comuni che vennero rasi al suolo. Anche in questa occasione si manifestarono ben presto, a seguito delle risorse governative, interessi speculativi della criminalità mafiosa. Vennero stanziati dal Governo centinaia di miliardi che avrebbero dovuto servire per la ricostruzione e lo sviluppo della valle del Belice. Vennero progettati nuovi insediamenti urbani, campi sportivi, piscine, industrie, case popolari, strade, superstrade, scuole, ospedali. Il fiume di denaro che pervenne per la ricostruzione non poteva non attirare l’interesse dei clan mafiosi che subito si mossero, anche in conflitto tra di loro, per l’acquisizione di appalti e subappalti. Sorsero ben presto improvvisate imprese edilizie e si assistette ad una abnorme lievitazione delle somme previste per la ricostruzione. Si inserisce probabilmente nello scontro tra clan mafiosi per l’accaparramento dei lavori, la morte del sindaco di Castelvetrano Vito Lipari, ucciso il 30 agosto del 1980, un delitto rimasto senza colpevoli e senza movente e per il quale venne imputato il capomafia di Mazara del Vallo Mariano Agate, prosciolto in appello, dopo una condanna all’ergastolo inflittagli in primo grado. L’omicidio potrebbe infatti essere avvenuto, secondo una delle piste seguite, nell’ambito degli interessi che, dopo il terremoto, gravavano su una parte del piano di ricostruzione, quello che riguardava la zona di Castelvetrano, il cosiddetto IV comprensorio che interessava 10 comuni e 80 mila ettari. A seguito delle dichiarazioni, anni dopo, dei collaboratori di giustizia Vincenzo Sinacori e Antonio Patti, vennero individuati altri responsabili rispetto a quelli originariamente processati. Anche questi però, processati nell’ambito del maxiprocesso denominato Omega, vennero assolti. I giudici, pur riconoscendo perfettamente credibile il racconto di Sinacori, lo ritennero insufficiente per pervenire ad una condanna non avendo trovato riscontro nelle dichiarazioni di altri collaboratori. La cosiddetta mono chiamata. Una presenza della criminalità mafiosa si riscontra certamente nel progetto per la costruzione della diga Garcia un’opera pubblica per la quale vennero stanziati centinaia di miliardi che non sarà mai ultimata e che va inquadrata negli appalti e nei delitti sviluppatisi dopo il terremoto del Belice. Il giornalista Mario Francese, ucciso dalla mafia, scrisse ed indagò sulle cause dell’omicidio del colonnello dei carabinieri Giuseppe Russo e sugli appalti della valle del Belice e della diga Garcia in particolare ritenendo i due eventi collegati. Non poteva infatti non destare l’interesse della mafia il fiume di miliardi stanziato dalla Cassa del Mezzogiorno per la realizzazione del progetto. Anni dopo, diversi collaboratori indicheranno in questa inchiesta la causale dell’omicidio del cronista. Sulle speculazioni edilizie nella valle del Belice connesse alla ricostruzione dopo il terremoto del 1968, e sugli interessi dei clan mafiosi, indagò anche il Consigliere istruttore Rocco Chinnici anche egli ucciso dalla mafia con una autobomba piazzata sotto la sua abitazione. Quali i rimedi per prevenire l’infiltrazione della criminalità mafiosa nelle ricostruzioni post terremoto? Non vi è dubbio che tra le istituzioni preposte alla prevenzione e alla repressione delle infiltrazioni della criminalità organizzata, un ruolo determinante rivestono i Prefetti e le Regioni che dovranno monitorare i settori economici più esposti a rischio di infiltrazioni criminali quali gli appalti e per quanto in particolare riguarda le regioni le commesse per il risanamento dei centri storici. Particolare attenzione dovrà essere rivolta ai tentativi di inserimento dei clan mafiosi nei lavori commissionati da privati con l’impiego di fondi pubblici, settore che dovrà essere costantemente monitorato essendo quello nel quale i rischi di infiltrazioni mafiose sono molto elevati, mentre per quanto riguarda la ricostruzione pubblica bisognerebbe rivedere i meccanismi delle certificazioni antimafia ed attuare da parte delle Prefetture un più incisivo screening che consenta di intervenire ogni qualvolta vi sia il sospetto di un tentativo in atto di infiltrazione della criminalità nella aggiudicazione di un appalto o di un subappalto. Sarebbe opportuna, in occasione di un terremoto, l’istituzione di un Osservatorio che verifichi il rispetto della legalità nelle pratiche di ricostruzione segnalando alle Autorità competenti, (magistratura, Autorità nazionale anticorruzione) ogni tentativo di infiltrazione di persone e imprese legate alla criminalità organizzata. Un simile Osservatorio è stato istituito in occasione del terremoto che ha colpito l’Emilia Romagna il 20 e il 29 maggio 2012. Certamente utile l’iniziativa dell’ex Procuratore nazionale antimafia il quale, in occasione del terremoto dell’Aquila, istituì un pool di magistrati con la finalità di monitorare gli appalti e di impedire eventuali infiltrazioni di imprese facenti capo ad esponenti di cosche mafiose.

TERREMOTO E GIUSTIZIA.

Per i morti dell'Aquila solo 9 colpevoli. E ora a fermare i processi arriva la prescrizione. Responsabilità difficili da stabilire. Perizie contrastanti. Vecchi edifici costruiti da tecnici ormai defunti. Per il sisma del 2009 sono stati condannati in via definitiva una manciata di imputati. E fra poche settimane un colpo di spugna finale cancellerà le ultime inchieste. Uno scenario che rischia di ripetersi col terremoto di Amatrice, scrive, nascondendo le responsabilità delle toghe e da antiberlusconiano, Paolo Fantauzzi il 2 settembre 2016 su "L'Espresso". Le indagini della Procura di Rieti. Quelle della Procura di Ascoli Piceno. Gli accertamenti dell’Anticorruzione. L’opinione pubblica che chiede, come sempre in questi casi, “pene esemplari”. Dopo il sisma che ha colpito Amatrice, Accumoli e Borgo Arquata, la macchina della giustizia si è subito messa in moto per individuare i responsabili dei crolli. La speranza è che non finisca come all’Aquila: nel capoluogo abruzzese i condannati per il terremoto sono stati una manciata. Per la difficoltà di accertare le colpe, innanzitutto. Ma anche per effetto della prescrizione, i cui tempi sono stati generosamente accorciati nel 2005 dal governo Berlusconi. Così fra poche settimane (il 6 ottobre) un definitivo colpo di spugna cancellerà tutti i processi non ancora terminati. Compreso quello al più noto degli imputati, Guido Bertolaso, a giudizio per omicidio colposo plurimo. A meno che non intenda rinunciare al “salvataggio” come ha detto nei mesi scorsi. Anche all’Aquila la magistratura si mise subito al lavoro con grande impegno. Su circa 200 fascicoli d’indagine aperti dopo il sisma, però, solo una quindicina hanno raccolto elementi sufficienti per arrivare a dibattimento. E soltanto pochissime inchieste si sono concluse in Cassazione con delle condanne, nove in tutto: quattro per il crollo della Casa dello studente (costato la vita a otto ragazzi), due per il Convitto nazionale (in cui persero la vita tre minorenni), altrettante per il collasso della facoltà di Ingegneria, più l'ex vice capo della Protezione civile Bernardo De Bernardinis , cui sono stati inflitti due anni di reclusione per l’informazione “imprudente” e “scorretta” che rassicurando immotivatamente i cittadini fece aumentare il numero delle vittime. Circostanza che non gli ha impedito di essere in prima linea nella macchina dei soccorsi nei giorni scorsi, essendo la sua pena stata sospesa. Nelle aule di giustizia molti altri casi si sono conclusi con l’assoluzione, spesso chiesta direttamente dall’accusa. «Processi del genere sono molto complessi» spiega il sostituto procuratore Fabio Picuti, che li ha seguiti tutti: «Molte case erano costruite con tecniche di un secolo fa, quando le norme antisismiche non erano ancora in vigore, e questo ci ha spinto a chiedere l’archiviazione. In altri casi si trattava di edifici realizzati male in partenza ma decenni fa, e i progettisti erano morti o molto anziani e quindi incapaci di affrontare i processi. E poi non bisogna dimenticare che per giungere a una condanna bisogna dimostrare un nesso causale fra i crolli e i lavori di ristrutturazione: si rivelano fondamentali le perizie e non sempre si riescono a provare condotte colpevoli». A questo complicato groviglio si aggiunge la prescrizione. Giovedì 6 ottobre si estingueranno tutti i processi non ancora conclusi. Secondo quanto previsto dalla legge ex Cirielli, infatti, i delitti con pena massima di cinque anni, come l’omicidio colposo, si estinguono dopo sei anni. Se c’è stata qualche interruzione, si può ottenere un altro 25 per cento di “bonus”. Totale: sette anni e mezzo dal sisma del 6 aprile 2009. Senza la riforma del governo Berlusconi sarebbero stati cinque in più: fondamentali per accertare tutte le responsabilità. Il risultato è che andrà sicuramente in fumo il processo per il crollo del palazzo di via D’Annunzio, che costò la vita 13 persone. A maggio la Cassazione ha annullato con rinvio la condanna dell’ingegnere che restaurò l’edificio (costruito negli anni ’60 con calcestruzzo scadente) e non si accorse dei rischi: tre anni e mezzo di reclusione in primo grado, ridotti a 22 mesi in appello e adesso tempi insufficienti per affrontare nuovamente due gradi. Situazione identica per i due palazzi gemelli che in via Sturzo provocarono 29 vittime. Anche in questo caso, a causa del calcestruzzo di scarsa qualità ed errori di progetto. Solo che quattro presunti responsabili sono deceduti e l’unico superstite ha quasi 90 anni. Così, dopo i tre anni comminati in primo grado, il giudizio si è fermato a causa delle sue condizioni di salute. E si salveranno pure i due imputati per il crollo di due palazzi in via Milonia, condannati a due anni di carcere: il processo è ancora in Corte d’Appello. Ci sono poi le inchieste finite nel nulla. Magari perché la Cassazione ha ribaltato i verdetti precedenti: nel crollo del condominio di via Rossi morirono in 17 e l’amministratore e direttore dei lavori di rifacimento del tetto (che sotto le macerie perse la figlia), dopo essere stato condannato in primo e secondo grado per disastro e omicidio colposo plurimo, a giugno è stato assolto con formula piena: “il fatto non sussiste”. Per il collasso dello stabile di via XX Settembre 123 (cinque morti), invece, l’unico imputato ancora in vita, il collaudatore oggi 91 enne, è stato assolto in tutti i gradi di giudizio. In altri casi i palazzi erano talmente mal costruiti, secondo le perizie, da rendere impossibile addebitare alcunché alle ristrutturazioni. Tanto da spingere l’accusa a chiedere l’assoluzione, come per gli edifici di via XX Settembre 79 (nove morti) e via Persichetti (due vittime). E nessuno ha pagato nemmeno per i danni subiti dall’ospedale, reso inagibile dal sisma al punto che quel 6 aprile i feriti dovettero essere medicati sul piazzale antistante: quattro imputati tutti assolti. La Procura, che aveva chiesto tre condanne, non ha nemmeno impugnato la sentenza. Anche chi ha pagato spesso se l’è cavata con poco. Oltre al già citato vice di Bertolaso, De Bernardinis, ci sono i quattro tecnici ritenuti colpevoli per il crollo della Casa dello studente (otto morti): pene comprese fra due anni e mezzo e quattro anni per accuse che vanno dal disastro alle lesioni all’omicidio colposo, ma pure a due di loro il provvedimento è stato sospeso per motivi di salute. Ventidue mesi di reclusione (quattro anni inizialmente) e interdizione quinquennale dai pubblici uffici, invece, per il direttore di cantiere e il direttore dei lavori della facoltà di Ingegneria, che collassò e non uccise nessuno solo perché era notte: qualche ora dopo sarebbe stata una tragedia. Infine i due responsabili del crollo del Convitto (tre vittime), accusati di inerzia anche per non aver fatto evacuare la scuola, frequentata da minori, dopo la prima forte scossa che precedette di poco quella fatale: il dirigente della Provincia con delega all'edilizia scolastica (due anni e mezzo di reclusione) e l’ex rettore Livio Bearzi (quattro anni). Per quest’ultimo dopo l’arresto si sono mobilitati il sindacato dei presidi, gli enti locali, vari parlamentari. La governatrice Debora Serracchiani ha addirittura scritto a Sergio Mattarella. Tutti concordi nell’ingiustizia di mandare in prigione un preside. Dopo 44 giorni Bearzi, che ha anche chiesto la grazia al Quirinale, è stato scarcerato. Ora è ai servizi sociali. 

Dopo l’assoluzione definitiva in Cassazione, Enzo Boschi scrive al Corriere della Sera, scrive "Il Foglietto" il 26 Novembre 2015. Riceviamo e volentieri pubblichiamo una lettera inviata dal geofisico Enzo Boschi al direttore del Corriere della Sera, all’indomani della sua piena assoluzione in Cassazione. “Caro Direttore, a pagina 25 del suo giornale del 21 novembre 2015, in basso a destra, in una decina di righe di una piccola frazione di colonna, con il titolo "Sisma all'Aquila. Assolti gli Scienziati", è apparsa la notizia che la Cassazione ci ha assolto definitivamente. Eravamo già stati assolti con formula piena un anno fa nel processo d'appello. Ovviamente lei è padrone di pubblicare come meglio crede ciò che crede opportuno. Tuttavia, giornali prestigiosi come La Repubblica, La Stampa e Il Messaggero ... hanno dato un adeguato risalto alla notizia. Lo scopo di questa mia lettera non è quindi di recriminare con lei, ci mancherebbe. Piuttosto vorrei farle notare la sproporzione fra il trafiletto di sabato e il lungo articolo apparso sul Corriere della Sera del 28 ottobre 2012, all'indomani della nostra condanna nel processo di primo grado. È un articolo scritto da un'anziana Signora, autrice di libri dimenticabili e dimenticati. Non ha mai seguito il processo svoltosi a L'Aquila, dove peraltro non mi sembra siano capitati giornalisti del Corriere. Ciononostante, la Signora sembra far fatica, nell'empito del suo sfogo, nel trattenersi dal chiedere per noi la pena di morte per impiccagione. Ebbene, se avesse seguito il processo, cioè se avesse provato l'esperienza di scrivere di cose a lei note, forse si sarebbe accorta di qualche incongruenza. Per esempio, il Sindaco Cialente durante la sua deposizione al processo dichiara che era rimasto fortemente impressionato dalle mie dichiarazioni sulla pericolosità sismica abruzzese, tanto da prendere misure cautelari. La cosa può essere verificata senza dubbi di sorta! Lo dichiara anche in un’intervista successiva alla deposizione, che può essere trovata sul web. Addirittura arriverà a chiedere lo stato di emergenza per la sua città. Il 2 aprile 2009, quattro giorni prima del terremoto, Il Centro, il più importante giornale abruzzese, dedicherà a questa sua richiesta un'intera pagina. L'incongruenza, che poteva esser compresa anche dalla Signora, risiede nel fatto che il PM e il Giudice di primo grado hanno ignorato le dichiarazioni di Cialente mentre sono state uno degli argomenti che hanno portato il Giudice del processo d'appello ad assolverci con formula piena. Inoltre, se la Signora era così convinta nell'accusarci di aver rassicurato gli aquilani, l'avrà senz'altro fatto sulla base di riscontri. Strano che nessuno abbia trovato alcunché che giustifichi la sua indignazione. Mi rendo conto che a una certa età anche un viaggio Roma-L'Aquila-Roma può essere faticoso ... Potrebbe allora coltivare il dubbio come fanno le persone colte e intelligenti e di conseguenza informarsi. Invece, nell'articolo, la Signora ci indica come riferimento morale la Senatrice Pezzopane, all'epoca, credo, Presidente della Provincia de L'Aquila. Ebbene la invito, caro Direttore, ad ascoltare sul web alcune conversazioni fra la Pezzopane e la Stati, all'epoca Assessora per la Protezione Civile della Regione Abruzzo, cioè (titolo V della Costituzione) la massima e unica autorità in materia di sicurezza dei cittadini abruzzesi. Per sua comodità le allego una pagina della trascrizione del dialogo "illuminante" Pezzopane-Stati ...Mi farebbe piacere che anche la nostra spietata accusatrice ne prendesse visione ... forse potrebbe anche trovarne una qualche ispirazione per uno dei suoi romanzetti. Non credo che lei pubblicherà questa mia lettera. In fondo quando uscì l'articolo, il Corriere era diretto da altri. Mi piacerebbe tuttavia conoscere la sua opinione su un fatto: perché, secondo lei, la richiesta di stato di emergenza non fu concessa? Se fosse stata concessa forse non ci sarebbero state vittime ... o sarebbero state molte meno. E perché, secondo lei, nessun giornale si è posto questa domanda? Una ragione ci sarà, c'è sempre una ragione ...Grazie per l'attenzione. Enzo Boschi”.

TERREMOTO DELL’AQUILA. C’E’ IL COLPEVOLE! CAMORRISTI, SCIENZIATI & FACCENDIERI TUTTE VIOLE MAMMOLE. Scrive il 9 dicembre 2015 Paolo Spiga su "La Voce delle voci". Dentro il primo! Terremoto dell’Aquila, 309 corpi sotto le macerie quel maledetto 6 aprile 2009. Finalmente la implacabile giustizia comincia a colpire, il pugno di ferro dei magistrati a farsi sentire. In galera i progettisti che hanno inventato case di cartone? I costruttori che hanno usato materiali scadenti? Chi ha impugnato compassi, ruspe e betoniere per la ricostruzione post sisma? Casalesi arrivati in un baleno a impastare calcestruzzo, subappalti e milioni di euro? Politici collusi? Colletti bianchi? Scienziati della commissione “Grandi Rischi” che non hanno allertato sugli imminenti pericoli? No. La mannaia è scesa sul capo di Livio Bearzi, il preside del convitto “Domenico Cutugno” dove persero la vita tre studenti e altri due rimasero feriti. Condannato a 4 anni per omicidio colposo, avendo “omesso di valutare l’enorme pericolo incombente” e colpevole – secondo gli ermellini del palazzaccio di Roma – di non aver fatto uscire in tempo i ragazzi dal convitto killer. Eccolo, dunque, il Grande Colpevole, Bearzi. E chi se ne frega se più volte, nei mesi precedenti, aveva denunciato alla Provincia – proprietaria dell’istituto – tutte le insidie rappresentate da una struttura costruita addirittura duecento anni prima, e con tutti i segni dell’età nelle strutture! “Non c’è alcun pericolo – avevano rassicurato – prima o poi daremo a sistematina. Ma per ora potete stare sereni”. Renziani ante litteram, i solerti amministratori della Provincia? Ma per fortuna oggi giustizia è fatta. Il mostro di Cividale è assicurato alle patrie galere. Forse perchè – avranno pensato i togati – porta anche sfiga. Si era salvato per miracolo, quasi quarant’anni fa, nel 1976, dal terremoto che sconvolse il Friuli: era con i calzoncini corti, allora, studente del convitto. I terremoti, forse, sono nel suo Dna: e anche per questo la galera è sacrosanta. Un fesso pericoloso, il preside, secondo la giustizia di casa nostra: non fu in grado di capire quanto i cervelloni, gli Einstein della commissione “Grandi Rischi” potevano tranquillamente non sapere, come ha poche settimane fa stabilito la stessa Cassazione. Ergo: i geni come Franco Barberi ed Enzo Boschi, che conoscono ogni piega del territorio e “ascoltano” il nostro suolo come neanche una mamma con il bimbo in grembo, sono giustificati circa il loro clamoroso flop e, per di più, non sono colpevoli di aver in somma incoscienza “rassicurato” i cittadini e tranquillizzato il popolo bue aquilano (giusta vittima sacrificale). Il preside Bearzi, invece, doveva “prevedere” il futuro: gli è mancata – gigantesca colpa – la palla di vetro…Caritatevole, corre in soccorso del condannato a 4 anni di galera il procuratore capo dell’Aquila Franco Cardella: “posso soltanto esprimere la mia solidarietà per il dramma della persona. Un uomo di scuola che perde i propri studenti è come il capitano che vede affondare i marinai”. Uno Schettino sulle scole d’Abruzzo: solo che il comandante, che ha sulla coscienza i 32 morti del Giglio, è libero (per ora) come un fringuello. Ma il lavoro, a quanto pare, ferve nel foro dell’Aquila. Un iper attivismo per far luce su tanti altri colpevoli di quelle morti sotto le macerie del sisma. Alcuni avvocati parlano di “oltre 200 procedimenti aperti”. Un pò – c’è chi racconta – “come quando Fantozzi dava i numeri sui gol per le partite della Nazionale, 15 a 7 o 24 a 12. Solo che qui la situazione non è tragicomica, ma solo tragica, perchè si tratta di giustizia finora negata ai familiari delle vittime”. Numeri a parte (la quota di 200 sembra davvero campata per aria, a meno che non vengano comprese eventuali – e poco immaginabili – liti condominiali post sisma) è la qualità delle inchieste e dei relativi processi che desta non poca preoccupazione. “Una delle indagini cardine riguarda la malcostruzione dei balconi per il progetto Case – racconta un architetto – alcune centinaia di situazioni. Ma con tutto quello che è successo sembra il classico topolino…”. Tutto quello che concerne la malcostruzione di prima, la prevenzione zero, la non informazione dei cittadini sui rischi, i soccorsi e l’emergenza, le varie fasi della ricostruzione post sisma…, su tutto questo – un vero ben di Dio – non si muove una foglia. Affaristi, politici, camorristi, faccendieri d’ogni specie possono dormire sonni tra tanti morbidi guanciali. Perchè la giustizia di casa nostra funziona così: basta un preside in galera perchè non ha suonato la campanella… 

Magistrati al posto di scienziati. Pontificano su terremoti, su ogm, su stamina, su Xylella, su prospezioni, su onde herziane. Fanno spesso buchi nell'acqua, sprecando tempo e risorse, scrive Domenico Cacopardo.  Se David Bowie, il duca bianco, che aveva raffigurato se stesso nei panni di un marziano che cade sulla terra, si reincarnasse in Italia avrebbe di che rimanere, nel giro di qualche ora, stupificato (magnifico neologismo attribuibile alla rabbina Barbara Aiello). Nel mondo della tecnologia, figlia della scienza, in Italia scoprirebbe che gli scienziati non vanno di moda, né vanno di moda i termometri. Il potere giudiziario, infatti, conferendo a se stesso un esercizio del potere che va al di là del sapere scientifico, ama aprire e condurre processi alle fonti del sapere, spesso contestate, per meri interessi di botteguccia da chi la scienza non sa dove sta di casa. Pensiamo al caso L'Aquila con i sismologi condannati e assolti in appello. Pensiamo al caso Stamina, una ciarlateneria che, per alcuni anni, è stata presa sul serio da magistrati che hanno creduto alla pietra filosofale, più che alle valutazioni del Consiglio superiore di sanità, contribuendo alle illusioni di ammalati e loro familiari sulle virtù terapeutiche di un metodo inesistente sul piano scientifico e su quello dei risultati. A quanto è dato di capire da un breve giro sul web, Stamina esiste ancora ed è illegalmente praticato nel territorio della Repubblica italiana. Pensiamo al caso della Xylella (Xylella fastidiosa, batterio Gram negativo che vive e si riproduce all'interno dell'apparato conduttore della linfa grezza) che ha colpito grandi superfici pugliesi coltivate a olivi. Per combatterla, l'Unione europea e lo Stato italiano, hanno avviato un programma di abbattimenti di essenze malate e di essenze sane, in prossimità, appunto, di quelle colpite per realizzare una specie di cortina sterile a difesa del resto delle piantagioni. Ovviamente, sono sorti subito comitati e comitatini di oppositori della misura profilattica, supportati da sedicenti tecnici o da tecnici veri che, tuttavia, non hanno responsabilità specifiche nella gestione del problema. Ebbene, anche in questo caso non si trova di meglio che processare gli scienziati che hanno identificato il batterio e che hanno indicato le terapie difensive da attuare. Anche per il Muos siciliano, alcuni magistrati, in contestazione degli studi del Consiglio superiore di sanità (con il Cnr), hanno avviato un procedimento nei confronti dei realizzatori dell'opera, vitale per la sicurezza dell'Occidente e dell'Italia, sulla base di non dimostrate né dimostrabili conseguenze nei confronti della popolazione civile. In Puglia, l'ipotesi di ampliare le aree di prospezioni petrolifere in mare Adriatico, nell'interesse primario della bilancia dei pagamenti italiani e dell'economia nazionale e regionale, incontra l'opposizione di Notriv, una specie di Notav, mobilitati nella ingiustificata opposizione a una possibile via di rilancio economico. Il presidente della Regione, Emiliano, i cui passi da borghese da grand-élite non disdegnano le vie della smaccata demagogia, indulge nell'appoggio ai Notriv, per ricostruirsi un'immagine, dopo il deterioramento provocato da anni di potere. La Lucania, ora, gode degli effetti positivi dei ricavi da estrazione di petrolio, dopo avere combattuto tale possibilità. Messina è governata da un desperado agitatore che è riuscito a convincere l'elettorato della città a eleggerlo sindaco sulla stupida e autolesionistica promessa Noponte. Anni di studi di scienziati buttati nel cesso da un professore di ginnastica con la vocazione del protestatario. Certo, onesto rispetto ai soldi, ma privo dell'onestà intellettuale di ammettere che chi sa più di lui, sa più di lui. Vedrà anche il nostro David Bowie, marziano in Italia, che si processano i termometri non le febbri. In passato, da una procura italiana furono mandati avvisi di garanzia o mandati di comparizione a Reagan, Gorbaciov, Mitterand per commercio di armi nucleari. Il commercio di armi è stato anche il settore elettivo di alcuni magistrati per avviare procedimenti nei confronti di capi di governo e ministri della difesa. Tutti finiti in una bolla di sapone. In tema di termometri, sembra di questo genere il processo alle agenzie di rating in relazione al quale si sarebbero svolti costosi (e di dubbia utilità) accessi in uffici americani. La prima vittima di questo caos, è il sistema giudiziario italiano: migliaia di magistrati tessono la tela per una giustizia operosa e tempestiva, in silenzio facendo senza apparire, mentre altri appaiono senza fare (il caso de Magistris e le recenti assoluzioni di tutti coloro che lui aveva accusato di vari reati contro l'amministrazione). Eppure ci vorrebbe poco, se il governo Renzi, che si autoqualifica governo del fare, decidesse di mettere alla prova la capacità dell'Associazione nazionali magistrati di convenire una piattaforma di iniziative amministrative e legislative per dare ai processi tempi normali, analoghi a quelli degli altri paesi. Con ciò getterebbe un bel guanto di sfida. Per quel che riesco a capire, la sfida sarebbe accolta e dal caos creativo (e distruttivo) passeremmo a un ordine creativo, capace di battere la strada della certezza del diritto, della pena e della sentenza, un qualcosa che sembra, appunto, appartenere più a Marte che all'Italia repubblicana e democratica. Basterebbe riflettere sul felice esito della questione della caserma Manara, finalmente ceduta - ma solo dopo l'avvio di un'azione di coordinamento e pungolo della presidenza del consiglio - all'amministrazione della giustizia che lì concentrerà gli uffici giudiziari civili, lasciando l'infelice pseudobunker di Piazzale Clodio a quelli penali in una purtroppo ritardata razionalizzazione del sistema giustizia romano. Non è infatti vero che in Italia non si può cambiare nulla: fa solo comodo a pochi non cambiare nulla. Per gli altri, per la collettività cioè il cambiamento è vitale. Basterebbe pensare com'è cambiato il paese per la semplice (mica tanto) costruzione dell'Alta velocità Torino-Milano-Salerno per capire come serve intervenire nelle arterie della penisola rendendole tal quali la modernità pretende. Il nostro Bowie, infine, rimarrebbe senza parole osservando come una parte della sinistra storica italiana è fisiologicamente conservatrice e combatta tutto ciò che comporta, in fin dei conti, nuova occupazione (il ponte sullo Stretto) e futuri benefici per la collettività. La vecchia psicopatologia, tutti uguali, perciò poveri e disperati che ispirò le politiche economiche dell'Urss, continua ancora a colpire nella Corea del Nord e, per fortuna solo in modo marginale, in Italia. ItaliaOggi. Numero 016, pag. 5 del 20/01/2016.

Giustizia folle dopo L'Aquila: 200 inchieste, poche condanne. Anche in Abruzzo il sisma del 2009 scatenò le procure. Ma il bilancio è un flop: 19 processi e assolti a pioggia, scrive Giuseppe Marino, Mercoledì 31/08/2016, su "Il Giornale". Il dolore causato dal terremoto dell'Aquila, così come quello di Amatrice, non è risarcibile, eppure è nella natura umana cercare un colpevole. Ma a nessuno gioverà il tormento ricaduto sulle spalle di decine di persone finite nel mirino della magistratura dopo la tragedia. Spesso con risultati modesti, un copione da non ripetere ad Amatrice e dintorni. All'indomani del terremoto del 6 aprile 2009, proprio come sta accadendo ora tra Ascoli e Rieti, cominciò a spirare un potente vento giustizialista e non solo tra chi aveva legittimamente diritto a chiedere conto delle morti. La Procura dell'Aquila avviò duecento fascicoli di inchiesta sui crolli. A distanza di sette anni, i dibattimenti che risultano effettivamente aperti sono solo 19 e le condanne una manciata. Ci sono poi altri processi collaterali, come quello contro la Commissione Grandi rischi, terminato con una sola condanna. Ma è anche sul piano della «qualità» delle condanne che si può nutrire qualche dubbio visto l'esito di tanto sforzo giudiziario. Anche allora, come oggi, giornali e tv diedero in pasto all'opinione pubblica notizie di losche macchinazioni per appropriarsi cinicamente di soldi pubblici in barba ai rischi per gli edifici, sospetti su clamorose truffe nelle costruzioni che poi furono causa di morti. A guardare bene però, fin qui a pagare sono state un pugno di uomini, a loro volta spesso già colpiti personalmente dal terremoto. Sono due i casi clamorosi che hanno condotto a condanne definitive. Per i ragazzi morti alla Casa dello studente sono stati ritenuti colpevoli tre tecnici che eseguirono un restauro e il presidente della commissione di collaudo. Per il crollo del Convitto nazionale dell'Aquila, sotto le cui macerie morirono tre studenti, è stato condannato a 30 mesi un ingegnere della Provincia, ma in carcere è finito solo il povero preside Livio Bearzi, che in quell'edificio viveva con la sua famiglia, incolpato di «aver omesso di valutare l'enorme pericolo incombente» e non aver evacuato preventivamente l'edificio. Un caso umano, che ha spinto anche una richiesta di grazia e si è presto tramutato in servizi sociali per Bearzi. Tutti assolti in Cassazione invece per uno dei crolli più letali, quello dell'edificio di via XX Settembre, che provocò nove vittime. Bearzi non è l'unico caso umano tra i condannati. Ci sono anche un 80enne e un 84enne, accusati di aver conferito l'incarico di direttore dei lavori di restauro di un palazzo nel quartiere di Pettino a un geometra anziché a un ingegnere: quattro anni di carcere, nonostante il palazzo abbia retto al sisma dando modo a tutti gli inquilini di salvarsi e sia crollato solo dopo nove giorni. Ed è stato invece prosciolto il geometra. Ci sono poi tecnici che hanno dovuto combattere anni in tribunale. Come l'ingegner Diego De Angelis. Fu processato per il crollo di un palazzo di cui aveva curato gratis il restauro del tetto. Era il condominio in cui viveva e in quel disastro morì la figlia Jenny. Sette anni con il tormento per la perdita e per le accuse infamanti per poi essere assolto in Cassazione. «In una città come L'Aquila, con un sisma così forte molti crolli erano inevitabili - dice Gianluca Racano, avvocato aquilano che ha seguito alcuni processi - ma concentrare tutte le energie sulla caccia al colpevole è fuorviante, il problema della cultura anti sismica è politico».

Nordio, il pm contro: "Trovare i colpevoli? Una caccia alle streghe". "La nostra società non ammette l'imponderabile, non sarà facile dimostrare chi e se ha sbagliato", scrive Stefano Zurlo, Mercoledì 31/08/2016, su "Il Giornale". La caccia alle streghe non gli è mai piaciuta e la rotta non cambia nemmeno oggi. Anche se ci sono i morti, i crolli, le rovine. «Dopo il terremoto - dice Carlo Nordio - si è scatenata una corsa spasmodica alla ricerca del colpevole, si additano presunti responsabili di qua e di là, ma questo meccanismo mi lascia perplesso. Mi pare che la società contemporanea, laicizzata, cerchi il capro espiatorio per superare tragedie che altrimenti sarebbero insuperabili, con il loro carico di morte e di dolore». Va controcorrente anche questa volta il procuratore aggiunto di Venezia, uno dei magistrati più famosi d'Italia, prima con un editoriale per il Messaggero, poi con questa intervista al Giornale.

Dottor Nordio, che cosa non la convince?

«Viviamo in un mondo che non accetta più il lutto, il cataclisma, il terremoto che ci annichilisce e annulla le nostre presunte certezze. Un mondo che ha perso il senso del sacro».

Certo, ma qui parliamo di costruzioni inadeguate, di ritardi, di soldi mal spesi o dimenticati.

«Un attimo, questo viene dopo».

E prima cosa c'e?

«Se la società non ammette più che ci sia qualcosa che sfugge al proprio controllo, allora subito dopo il disastro parte la caccia al colpevole. Per forza. A prescindere».

Scusi ma l'Italia è piena di tecnici che hanno chiuso gli occhi e di collaudatori che hanno certificato ristrutturazioni che gridavano vendetta.

«Non sono nato ieri e faccio di mestiere il pubblico ministero, ma segnalo un modo di ragionare che secondo me è distorto. Si parte in automatico alla ricerca del colpevole e, siccome siamo in Italia e tutto viene giurisdizionalizzato, il colpevole diventa imputato a furor di popolo e va alla sbarra. Mi pare che in questi giorni si stia assistendo allo stesso fenomeno».

Guardi che sono stati i suoi colleghi a denunciare anomalie, stranezze, incongruenze. Dovrebbero forse fingere che tutto è stato fatto a regola d'arte?

«Ovviamente no, ma ci vuole cautela, non si può procedere impulsivamente, sulla base di sentimenti e risentimenti».

Si faranno indagini e verifiche e alla fine chi non ha rispettato la legge sarà punito. Non è giusto che sia così?

«Si, purché si sappia che sarà molto difficile dimostrare le colpe che tutti oggi danno per sicure».

Perché?

«Perché non è affatto semplice arrivare a una condanna per omicidio colposo o per disastro colposo, il reato classico del terremoto. Attenzione: nel processo non basta stabilire che i lavori siano stati fatti male, no si deve dimostrare che se fossero stati eseguiti nel migliore dei modi quella casa oggi non sarebbe in macerie, quel campanile non sarebbe venuto giù, quella chiesa sarebbe ancora al suo posto. Capisce?»

Non si può andare avanti per slogan o tesi semplicistiche?

«L'Italia è un Paese complesso, parliamo di un patrimonio che ha centinaia di anni, parliamo di beni che hanno avuto una vita lunga e travagliata, parliamo di opere con vincoli di ogni tipo. Naturalmente per gli edifici costruiti negli ultimi anni il discorso è più facile, ma molte abitazioni sono il risultato finale di interventi spalmati nel tempo».

Il paragone con il Giappone non regge?

«Non sono mai stato in Giappone ma mi pare che i nostri borghi e le nostre città abbiano una fisionomia assai diversa dalla loro».

L'indignazione di oggi lascerà il posto ad un'interminabile guerra di perizie?

«È un rischio concreto: perizie e controperizie in un estenuante duello fra le parti. Con un ulteriore problematica: se scopriamo che i privati per risparmiare non hanno effettuato le migliorie previste che facciamo, mettiamo sotto inchiesta le famiglie dei morti?».

D'accordo, ma l'Italia è il Paese delle tangenti, delle abitazioni realizzate più con la sabbia che con il cemento, dello scandalo dell'Irpinia. Vuole forse passare con la spugna su decenni di ruberie?

«No, dobbiamo perseguire la tangente, il falso, l'abuso, ma il disastro colposo non ammette scorciatoie. E poi dobbiamo metterci in testa che nel codice penale non esiste l'imponderabile, anche se nel nostro Paese sono stati processati perfino i professori che non avevano previsto, poveretti, il terremoto dell'Aquila».

TERREMOTO E CASE SICURE.

In caso di terremoto, possedere un edificio in legno significa garantirsi maggiore sicurezza rispetto alle classiche case in muratura o in cemento armato. Inoltre soprattutto in Italia, a causa delle natura del territorio in cui viviamo, c’è l’obbligo di legge che impone di costruire case antisismiche. Ma quali sono le caratteristiche di un edificio in grado di resistere ad un terremoto? Partiamo dal presupposto che un terremoto non può essere previsto e non può essere fermato in nessun modo. Per questo motivo è importante che gli edifici in cui viviamo possano restare in piedi anche durante le scosse più forti. Mettere in sicurezza e rendere antisismico un edificio, può essere davvero costoso: la scelta migliore sarebbe decidere fin dall’inizio della costruzione di realizzare una casa capace di resistere agli eventi sismici. Le case in legno sono senza dubbio più sicure, come dicevamo all’inizio dell’articolo: non solo risultano più confortevoli ed economiche rispetto alle classiche abitazioni di mattoni, ma sono anche più resistenti. Infatti esse sono in grado di affrontare eventi sismici fino al 7° grado della scala Mercalli, anche se si sono rilavati casi in cui le case in legno hanno sopportato scosse fino al 10° grado della scala Mercalli. Inoltre anche qualora il sisma fosse così potente da danneggiare l’edificio, i danni saranno molto più contenuti rispetto ad un edificio tradizionale, e quindi la spesa per sistemarlo sarà in effetti molto più ridotta. Non ascoltate quindi i falsi miti che indicano gli edifici in legno come fragili: una casa in legno è la soluzione perfetta per avere un luogo sicuro e a prova di sisma.

Quando si parla di economia e di occupazione, sentiamo spesso discorsi altisonanti che propongono soluzioni che tali non sono e che non portano a niente. Si dovrebbe invece guardare all’Italia e alle sue caratteristiche per capire (lo può fare anche chi frequenta le scuole elementari) che basterebbe lavorare su quelle caratteristiche per risolvere ogni problema economico e occupazionale. E’ risaputo che siamo paese di terremoti e a rischio idrogeologico; quale modo migliore per rilanciare economia e occupazione se non intervenire anche per prevenire questi due aspetti? Prendiamo un esempio per tutti e cioè come vengono costruite o ristrutturate la case in Italia; gli studiosi seri della materia sanno che il migliore materiale per la prevenzione dai terremoti è il legno, per la sua resistenza, versatilità ed elasticità. Quando ne parlavo già all’inizio degli anni Novanta, aggiungendo anche case in terra cruda e paglia, isolanti leggeri ma performanti in fibra di cellulosa, gli “esperti”, gli architetti, gli ingegneri erano prodighi di battute e commenti spiritosi sulle case dei tre porcellini. Eppure oggi in tanti sono rimasti sotto a case in cemento e mattoni, case progettate e costruite da gente senza scrupoli, la stessa gente senza scrupoli che le ricostruirà grazie alla tangente, alla bustarella, all’amico dell’amico e che lo farà con gli stessi materiali e progettazioni scadenti e con lo stesso menefreghismo di quando le ha costruite. Il legno è un materiale eccezionale, rinnovabile, locale e darebbe solo risultati positivi. Con una politica di massiccia riforestazione tra l’altro si darebbe risposta ai continui incendi che si sviluppano in questo paese provocati da gente folle e masochista che distrugge il territorio che abita. Inoltre ci si darebbe un’opportunità di assorbimento di CO2 non indifferente e in prospettiva poi di esaurimento e minore uso dei combustibili fossili; il legno è il migliore materiale per sostituire la plastica in moltissimi usi. Quindi occorre incentivare tutta la filiera del legno che, come ulteriore vantaggio attraverso il rimboschimento, previene frane e smottamenti che si verificano anche perché gli alberi vengono sempre più abbattuti per fare spazio all’edilizia; edilizia che poi viene spazzata via ad ogni alluvione o che ci cade in testa ad ogni terremoto. Il legno da solo però non basta; servono tecnici preparati, qualificati dall’esperienza sul campo, guidati dall’onestà e dai valori etici e non esclusivamente dai soldi, dal numero di certificati, lauree, master e ridicoli fogli che attestano il nulla, magari comprati in internet. Ci sono tecnici che non hanno mai preso in mano un martello da carpentiere in vita loro e un cantiere lo visitano attraverso un computer. Se non ci sarà una chiara volontà di cambiamento, si piangeranno i morti, ci si accuserà a vicenda sulle responsabilità, nessuno sarà colpevole e tutto proseguirà come se nulla fosse, fino al prossimo terremoto, fino ai prossimi morti. (Paolo Ermani, “Bioedilizia ed etica, la soluzione all’Italia che si sbriciola”, da “Il Cambiamento” del 25 agosto 2016).

Terremoto: in futuro il legno salverà vite umane? Scrive il 15/09/2016 Emiliano Stella su “L’Ultima ribattuta”. Sempre più architetti utilizzano una speciale lavorazione del materiale, per costruzioni che resistono al terremoto. Passato il periodo emergenziale, ci si chiede come possano essere ricostruite le case devastate dalla furia del terremoto. Una valida soluzione sembra provenire dall’estero, dove da anni si sperimenta e costruisce in modo antisismico, avvalendosi di una particolare lavorazione del legno. Si tratta del Clt (cross laminated timber), una sorta di “super compensato”, legno lamellare a stati incrociati. Il materiale con cui si stanno tirando su anche dei grattacieli si ottiene mettendo sopra l’un l’altro ed incollando sette strati di legno. Il posizionamento deve essere predisposto in modo da orientare le fibre di uno strato a 90° rispetto ai due adiacenti, in maniera perpendicolare. Resistente, leggero, ecologico (per produrlo viene emesso soltanto 1/5 di gas serra rispetto all’acciaio e 1/8 al calcestruzzo), il Clt trattiene anche i gas serra imprigionati in pareti, pavimenti, colonne e travi e a contatto con il fuoco brucia con una lentezza tale da permettere a chi staziona negli edifici di mettersi agevolmente in salvo. Il grattacielo a 19 piani che verrà costruito a Stoccolma (la Skelleftea Kulturhus, opera degli architetti svedesi Robert Schmitz e Oskar Norelius) sarà eretto dal 2017 utilizzando questa nuova tecnologia. Naturalmente il Clt può essere sempre associato (per i meno fondamentalisti) al calcestruzzo e l’acciaio, per esempio in parti di un edificio come le fondamenta e le giunture dei pannelli in legno. Pensandoci bene, questo può essere un vero e proprio ritorno al passato. Anticamente era il legno (per la sua abbondanza, praticità ed elasticità) ad essere prevalentemente utilizzato per erigere le abitazioni. L’unico problema erano gli incendi, tematica che l’avanzamento tecnologico ha risolto con l’introduzione di specifici trattamenti del materiale. Per prevenire e scongiurare immani tragedie, allora, affidiamoci alla sperimentazione ed abbandoniamo modelli che hanno fallito. Il risultato è sotto gli occhi di tutti.

Terremoto, per gli esperti giapponesi non esiste un materiale più sicuro di altri (tra legno e cemento armato), scrive Paola Mammarella il 31/08/2016. Scegliere i materiali e le soluzioni costruttive in base al tipo di edificio da realizzare, consapevoli che non esiste un materiale più sicuro di altri. È la strategia suggerita da Taro Yokoyama, professore associato al Shibaura Institute of Technology e responsabile della LowFat Structures, società attiva nel campo della progettazione e della ristrutturazione di edifici antisismici. Un metodo valido per le nuove costruzioni, mentre per il patrimonio edilizio storico sono possibili solo interventi di adeguamento, spesso molto costosi. Lavori che sono tuttavia necessari per dare seguito alla strategia di prevenzione annunciata dal Governo anche perché, secondo l'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, si prevede l’arrivo di altri terremoti più forti di quello che ha devastato il Centro Italia. In una intervista rilasciata ad Adnkronos, Taro Yokoyama ha affrontato il dilemma delle tecniche di costruzione antisismica e della tutela dei beni storici e architettonici. “Edifici costruiti con sassi e mattoni non possono resistere in alcun modo alle enormi forze generate da un terremoto" ha affermato. "Queste costruzioni possono essere protette adottando una struttura che isola l'edificio al livello delle fondazioni, ma è una soluzione molto costosa, improponibile per semplici abitazioni”. “In Giappone – ha spiegato - abbiamo l'E-Defense, un laboratorio per simulare sui vari livelli di intensità la resistenza di edifici costruiti in scala reale nei vari materiali, dal legno al cemento armato, e dimensionare la progettazione in base ai risultati ottenuti. Non c'è un materiale più sicuro di altri: l'importante è che la struttura e l'altezza dell'edificio si adattino ai materiali prescelti”. ''Le metodologie giapponesi possono essere adottate solo per le nuove costruzioni – ha sottolineato Yokoyama – mentre per quelle più antiche, di valore storico e culturale, non abbiamo uno standard: nei casi più rilevanti ricorriamo alla struttura di isolamento per ridurre l'impatto dei terremoti”. “L’importante – ha concluso suggerendo una soluzione per il patrimonio abitativo italiano - è rafforzare le divisioni verticali in maniera adeguata in caso di ristrutturazione. In particolare, per le abitazioni più basse la resistenza ai terremoti è determinata dal comportamento dei muri”. Secondo quanto dichiarato al Corriere della Sera da Yoshiteru Murosaki, docente emerito all’Università di Kobe, ordinario alla Kwansei Gakuin e direttore dell’Istituto per la prevenzione dei disastri, “in presenza di onde sismiche del sesto grado Richter, è molto raro, sia in Giappone sia in Italia, che si verifichino danni agli edifici così ingenti come in questo caso. Lesioni di questa portata possono essere attribuite solo alla mancanza nelle costruzioni di adeguate strutture antisismiche. Normalmente, in Giappone, un terremoto di questa magnitudo e con vibrazioni di questo tipo non produce le vittime che ha prodotto il terremoto dei giorni scorsi nell’Italia centrale. Può essere che a fare la differenza sia la struttura in legno degli edifici rispetto a quella in mattoni. Certo, succede anche in Giappone che con terremoti tra il quinto e il sesto grado, cioè della stessa magnitudo di questo, si verifichino danni agli edifici e crolli, ma sono casi rari”. “Qui da noi – ha aggiunto Murosaki -  lo studio di misure antisismiche con cui mettere in sicurezza gli edifici storici e in generale i beni culturali del Paese progredisce costantemente. Ho l’impressione che in Italia, in confronto, una vera cultura della prevenzione a livello del cittadino comune sia ancora piuttosto carente. Certo, il vostro Paese ha un patrimonio edilizio molto più antico del nostro, e dunque non è agevole adattarlo alle necessità del presente. Però è indispensabile che le autorità, a ogni livello, vigilino perché le regole antisismiche siano rispettate rigorosamente: è questa l’unica strada per salvare, un domani, il maggior numero di vite umane. E anche di edifici”. Secondo il sismologo Antonio Piersanti dell'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv), “la Terra ci sta dando degli avvertimenti perché in Italia avverranno dei terremoti più forti di questo; abbiamo la certezza che arriveranno a magnitudo 7, che equivale a un fattore +30 di energia liberata rispetto a una magnitudo 6.0 come quello di Amatrice.” “I sismi attesi – ha aggiunto - saranno per intensità simili a quello dell'Irpinia nel 1980 e al sisma di Messina e Reggio Calabria nel 1908". "Bisogna quindi essere preparati adeguatamente in termini di qualità dell'edificato - mette in guardia Piersanti - perché in Italia si perde facilmente la memoria”. A suo avviso, infatti, dopo il terremoto del 1980, in un momento in cui l'economia italiana cresceva molto e si facevano investimenti, si sarebbe dovuto costruire con tecniche antisismiche puntando sulla qualità. Assodato che per fronteggiare un sisma il metodo migliore è la prevenzione e la messa in sicurezza, il segretario del Consiglio nazionale dei geologi, Arcangelo Francesco Violo, ha affermato che “occorre riqualificare tutti i segmenti della filiera delle costruzioni al fine di costituire processi che consentano la realizzazione, manutenzione e ristrutturazione di opere ed edifici sicuri e belli, con controlli, sia in fase di progettazione che di esecuzione, più efficaci”.

Così si difende dai terremoti il Giappone: esercitazioni e case costruite sulle molle, scrive Roberto Giovannini su "La Stampa" il 26/08/2016

La città di Kobe fu colpita nel 1995 da uno dei più grandi terremoti della storia giapponese recente: i morti furono oltre 6.000, ma avrebbero potuto essere di più. Il Giappone, uno dei Paesi più esposti al rischio sismico, è davvero un esempio da seguire. Grazie a un mix di misure di prevenzione e di contenimento dei danni, riesce a limitare in modo notevole perdite umane e distruzioni. Anche in occasione di terremoti gravissimi, come quelli di Kobe del 1995 o quello del Tohoku del 2011.  Imitarle non è facilissimo però. In Italia si cerca di preservare gli edifici storici e le città antiche; in Giappone - dove da sempre gli edifici residenziali sono basati su materiali leggeri come il legno, che periodicamente per terremoti e guerre vengono distrutti - si preferisce buttar giù e ricostruire. Utilizzando, ovviamente, tutte le più moderne e aggiornate tecnologie antisismiche. Secondo, i governi laggiù spendono per ricostruzione, prevenzione e retrofitting antisismico risorse ingentissime, da noi impensabili. Infine, la popolazione giapponese è preparata agli eventi sismici, e disposta a rispettare le regole mirate a ridurre i rischi e i danni. Ridurre, non eliminare: il 14 e il 16 aprile scorsi due sismi hanno colpito Kumamoto, nel Sud del Giappone, con 80 morti e danni diretti e indiretti stimati in molti miliardi di euro. La prima misura è quella che riguarda le procedure di costruzione degli edifici. I codici delle costruzioni sono periodicamente rivisti e aggiornati per tenere conto delle più innovative tecniche antisismiche. Tra queste, sistemi di molle o di cuscinetti che permettono alle strutture di assecondare i movimenti del terreno, e strutture molto elastiche che consentono ai grattacieli grandi ondeggiamenti senza arrivare a rotture strutturali. Ancora, appositi sistemi impediscono che rotture dei cavi elettrici o delle tubazioni del gas generino incendi o altri disastri: treni e metropolitane si arrestano subito. Poi, come detto c’è una popolazione assolutamente preparata al rischio sismico. Sin da piccoli gli scolaretti giapponesi sanno che appena la terra comincia a tremare forte bisogna coprirsi la testa con un tatami e mettersi sotto un tavolo. In tutti gli uffici, pubblici o privati, si svolgono periodiche esercitazioni. In casa tutti tengono un kit di sicurezza con documenti, acqua, medicine e cibo per un paio di giorni. Terzo, in Giappone esiste un sofisticato sistema di pre-allarme in grado di avvertire la popolazione dell’arrivo di un sisma importante, o di uno tsunami, basato su una rete di sensori situati in tutto il Paese. Non appena si avverte l’imminenza di un sisma, immediatamente l’allarme viene lanciato sovrapponendosi ai programmi televisivi in diretta, indicando forza e localizzazione presunta del sisma o dell’onda in arrivo. Sono quasi sempre soltanto pochi secondi di anticipo: forse quelli che fanno la differenza tra la vita e la morte. Da poco ha avuto un gran successo una app per gli onnipresenti smartphone, Yurekuru, che in caso di sisma individuato dalle autorità squilla fortissimo. Il primo agosto, però, per un errore tecnico dell’Agenzia pubblica, un (falso) allarme terremoto ha gettato nel panico milioni di giapponesi.

Tra gli ex sfollati dell'Aquila «Noi al sicuro in queste case». I residenti dei quartieri creati dal governo Berlusconi «Qui il sisma fa meno paura. Siamo rimasti comunità», scrive Antonio Signorini, Sabato 27/08/2016, su "Il Giornale". Gli abitanti delle «new town» il terremoto lo hanno sentito e si sono spaventati. Alcuni, pochissimi per la verità, sono anche usciti in strada. Ma molti non si sono nemmeno mossi. «Abitare in una casa in muratura è bello ma qui ci siamo sentiti sicuri», spiega un residente. Perché le «new town», prodotto rinnegato da tutti della ricostruzione post terremoto dell'Aquila, hanno una caratteristica particolarmente apprezzata di questi tempi. Sono antisismiche. Difficile distinguerle dal resto della città. Si riconoscono per i balconi con tanti dettagli in legno di gusto un po' dolomitico. Per il resto sembrano quartieri residenziali. Bersaglio facile, dopo le inchieste della magistratura sulla ricostruzione della città con le famose intercettazioni e dopo le polemiche sulla qualità dei lavori. Ma i quartieri costruiti intorno al capoluogo abruzzese sono ancora lì. Pareti immacolate nonostante il sisma, perché sono realizzati in materiali che assorbono le scosse. Anche nel centro di Cese di Preturo, diventato famoso per i balconi caduti, l'atmosfera è da borgo residenziale e il terremoto è un ricordo lontano. Palazzine di tre-quattro piani servite da bus, ma un po' lontane dai servizi. «Io ci sto benissimo», assicura una signora sui 40. Gli abitanti dei piani Case, Map e Fondo immobiliare (i tre programmi di «new town» aquilane) temono che i cronisti vogliamo approfondire la polemica che tiene banco da un paio di anni. Non quella sulle new town-distruggi comunità, come si potrebbe pensare nel resto d'Italia, ma sulle «bollettone» che a detta dei residenti sono troppo care. Una minoranza, convinta che essere terremotati significhi non pagare le tariffe, secondo il sindaco Massimo Cialente. Lo stesso che sottolinea come «il centro dell'Aquila» sia «ancora pericolante». La novità è che le «new town» si stanno lentamente spopolando. Ci sono appunto i 354 appartamenti messi a disposizione dal sindaco ai terremotati sfollati del Lazio e delle Marche, su un totale di 5.653 abitazioni di varie taglie: 4.449 case in muratura, 1.204 in legno. Il modello «new town» ha funzionato? Se lo chiedi nei bar ti dicono di no. Perché ci sono le inchieste, perché c'è una sentenza della Corte dei conti. Ma poi capisci che molti ci si trasferirebbero volentieri. L'area più contesa è quella di S Antonio. A due passi dal consiglio regionale dell'Abruzzo. È molto ambita e non c'è spazio. Ci sono liste di attesa per andarci ad abitare. Quando si libera un appartamento perché gli inquilini tornano in centro, c'è subito qualcuno delle «nuove e città» più periferiche che prende il suo posto. «Qui c'è un senso di sicurezza che altrove non avremmo», spiega Lucio mentre ritorna a casa, felpa e cargo pants. Abita qui da sei anni, in attesa di tornare nella sua casa. «Io e anche altre famiglie stiamo molto più stretti di prima, ma si sta bene. Il terremoto l'ho sentito benissimo, ma non sono nemmeno uscito da casa». Gli abitanti della «new town» sembrano tutto tranne che degli sradicati, privati della comunità di riferimento. Cliché un po' razzista della sinistra, che qui non trova applicazione. Anche muovendosi fuori dal centro, non si trova la versione delle borgate pasoliniane che uno si aspetterebbe, sentendo i giudizi di Graziano Delrio e di Laura Boldrini. Coppito tre, ad esempio, è un quartiere un po' periferico, ma è ordinato e tranquillo. Un cartello avverte che gli edifici sono stati costruiti secondo i criteri di Casa clima A, livello massimo. Intorno sono nati supermercati. Il centro della frazione, una delle più colpite dal sisma, è a un paio di chilometri. Un po' scomodo? «Perché?», chiede un abitante. «Se è bel tempo una passeggiata me la faccio volentieri». Gli abitanti delle «new town» non hanno voglia di sentirsi terremotati né di essere trattati da tali. Di questo passo la sinistra non avrà più una comunità da difendere.

IL TERREMOTO E LA LUNA.

Terremoti distruttivi, tutta colpa della Luna? Scrive "Dire Giovani" il 15 settembre 2016. Luna e Terra potrebbero essere legate ancor più di quanto si pensi. Oltre ad essere nata da una nostra “costola”, la Luna influisce su alcuni eventi che si verificano sul nostro pianeta. Sappiamo tutti delle maree, e recentemente, è stato ipotizzato il suo coinvolgimento anche per la densità delle piogge. Ma cosa dire per i terremoti? Gli scienziati non sono in grado di prevedere l’arrivo di un sisma. Tuttavia, recenti studi troverebbero conferma di come la Luna influenzi la sua potenza distruttiva. Nello specifico, le forze gravitazionali che creano alte maree durante la Luna piena e nuova, possono anche intensificare la forza dei terremoti. Il tira e molla della luna. In uno studio pubblicato su Nature Geoscience, un team di ricercatori giapponesi dell’Università di Tokyo sostiene di aver trovato una correlazione statistica tra i periodi di grandi forze di marea e potenti terremoti. La Luna è in realtà un pezzo della Terra, perduto durante una collisione catastrofica con un altro pianeta. Da 4,5 miliardi di anni, ruota intorno al nostro pianeta, in un’orbita lentamente alla deriva – si allontana di circa tre centimetri ogni anno. Le maree sono una conseguenza della gravitazionale lunare. Il sottile braccio gravitazionale della Luna aiuta a mantenere costante l’asse terrestre e genera le maree oceaniche. Orbitando intorno alla Terra, la Luna “tira” e “spinge” gli oceani avanti e indietro, creando rigonfiamenti di acqua. Ma di tanto in tanto, tira un po’ troppo. Questo effetto è particolarmente evidente quando la Terra, il Sole e la Luna sono allineati. Il Sole, infatti, è in grado di contribuire con la propria massa a rafforzare la gravità della Luna. Ecco perché Lune piene e nuove sono associate con le più grandi maree. Luna e terremoti. E, proprio come gli oceani si muovono con la Luna, così fa anche la Terra. La crosta terrestre si sposta di circa 30 cm ogni giorno a causa del movimento della Luna, la cosiddetta marea terrestre. Secondo gli scienziati la correlazione tra Luna e grandi terremoti sarebbe proprio da ricercare qui. Noi non ce ne accorgiamo, ma il terreno sotto di noi è sollecitato dall’influenza delle maree terrestri. Di tanto in tanto, si rigonfia. Quando avviene questa lieve deformazione intorno a una linea di faglia già vulnerabile, possono scatenarsi reazioni a catena che si traducono in un forte terremoto. Più potente è lo stress terrestre subìto dalle forze gravitazionali esercitate dalla Luna, più un tremore della crosta ha la possibilità di diventare un grande terremoto. I ricercatori hanno analizzato i dati di alcuni grandi terremoti della storia recente, scoprendo che questi sono avvenuti in coincidenza di forti maree, quando la Luna era piena o nuova e allineata con il Sole. È interessante notare, tuttavia, che non sembra esserci alcuna correlazione tra maree e terremoti più piccoli. I più grandi terremoti distruttivi. I sismologi avevano già collegato le alte maree ai tremori lungo la faglia di San Andreas in California. I ricercatori si sono concentrati su grandi terremoti di magnitudo 5.5 o superiori degli ultimi due decenni. “Abbiamo scoperto che molti grandi terremoti tendono a verificarsi vicino al momento della massima ampiezza di stress delle maree”, hanno scritto i ricercatori nel loro studio. In tutto, 9 dei 12 più grandi terremoti mai registrati sono avvenuti in concomitanza di Luna piena o nuova. Il sisma di magnitudo 9.1 a Sumatra, in Indonesia, nel dicembre 2004, che ha causato uno tsunami che ha ucciso 230.000 persone, è stato probabilmente ingrandito dall’influenza della Luna. Così è stato per il terremoto del 2011 in Giappone, che ha lasciato dietro di sé 15.000 morti e ha provocato una fusione presso il reattore nucleare di Fukushima. E ancora, il terremoto di magnitudo 8.8 che ha colpito il Cile nel 2010, uccidendo più di 500 persone e alzando la costa, si è verificato in concomitanza di una Luna piena e con la forza gravitazionale quasi al massimo. Come i grandi terremoti iniziano e si evolvono non è ancora pienamente compreso. I terremoti di magnitudo inferiore a 3 si verificano ogni giorno, e in genere, noi non li avvertiamo. I terremoti di magnitudo 8 si verificano in media solo una volta all’anno, e possono essere altamente distruttivi. Data la rarità di tali eventi, sono difficili da prevedere. Il meccanismo con cui questi accadono non è ancora chiaro. Le forze di marea sono solo uno dei molti fattori che lavorano insieme per spingere, tirare e torcere la crosta terrestre.

ANIMALI SENSITIVI. PRECURSORI DEI TERREMOTI.

Gli animali "spia" avvertono prima i terremoti e ci salvano la vita, scrive il 14 settembre 2016 Orietta Giorgio. Gli animali domestici ci sono accanto, ci amano, ci proteggono. Con la loro presenza amorevole e con la loro capacità di entrare in empatia con noi migliorano la nostra vita e il nostro stato di salute (ved. Pet Therapy) e sempre più spesso ci salvano la vita: grazie alle caratteristiche “speciali” delle quali sono dotati, per esempio, riescono ad avvertirci di un pericolo imminente, come ad esempio il terremoto. Come fanno ad accorgersi di ciò che sta per accadere? Quali sono gli “animali sensitivi”? Quali i comportamenti da loro adottati per metterci in guardia? Tra gli animali dotati di "sesto senso", ci sono sia il cane che il gatto che sono in grado di percepire “i cambi di energia” che caratterizzano la terra, sentono, quindi, quando sta per arrivare un temporale e possono percepire in anticipo l’avvento di un sisma. Una ricerca dell'Università di Cambridge ha spiegato come gli animali percepiscono in anticipo gli ioni positivi rilasciati nell'aria dalle rocce poste sotto stress dall'imminente movimento tellurico: una circostanza che è stata confermata dai radio astronomi, che hanno individuato significative modifiche nella ionosfera nella zona del sisma fino a otto giorni dopo l'evento. Gli animali, dunque reagiscono come delle "spie" per il sisma. Inoltre sappiamo che molti animali possiedono una sensibilità uditiva maggiore di quella dell'uomo, il quale è in grado di udire i suoni aventi una frequenza superiore ai 16 hertz (Hz), ma non oltre i 16.000-20.000 Hz. Al di sotto dei 16 Hz si parla di infrasuoni, al di sopra dei 20.000 Hz si parla di ultrasuoni: i cani sono invece in grado di udire suoni di frequenza sino a 60.000 Hz, i gatti addirittura fino a 70.000 Hz. A prescindere dalla motivazione scientifica, comunque, non c’è dubbio: gli animali possono allertarci di un pericolo in arrivo e salvarci la vita, basta osservare i loro comportamenti. Quali? Il cane di solito abbaia in maniera insistente ed insolita, arriva addirittura  a mordere il padrone per avvertirlo, i gatti si agitano, tentano di fuggire…Gli episodi eclatanti in merito sono molti, fu osservando il comportamento dei gatti in una città della Cina che venne evitata la catastrofe, i gatti divennero improvvisamente molto irrequieti ed iniziarono a fuggire dalle abitazioni portando con sé i propri cuccioli, le autorità locali non esitarono e decisero per l’evacuazione immediata dalle abitazioni, i gatti si misero in salvo poco prima che una violenta scossa di terremoto, pari a 7,3 della scala Richter, radesse al suolo tutti gli edifici della città. E’ stato osservato che i felini, poche ore prima dell’arrivo di una catastrofe ambientale, diventano ansiosi, irrequieti in maniera innaturale con la tendenza a scappare da casa per mettersi in salvo. Secondo Mitsuaki Ota, professore di veterinaria alla Azabu University in Giappone, "cani e gatti sono in grado di dirci quando un terremoto colpirà con un preavviso tale da permettere la fuga". Ota ha spiegato: "Le onde elettromagnetiche vengono emesse prima che un terremoto abbia luogo. Gli animali hanno la capacità di rilevarle. L’unica risposta che riesco a fornire è che gli animali possono avvertire i terremoti prima degli esseri umani e riescono ad avere il tempo di scappare per mettersi in salvo". Uno degli ultimi episodi di salvataggio è avvenuto lo scorso 24 agosto, l’episodio riguarda il terremoto che ha distrutto Amatrice lo scorso 24 agosto: Rudy ha salvato la sua "padroncina", la casa è crollata ma Anna, 24 anni, è viva. Rudy, un pastore tedesco, verso le 2.30 di notte, ha cominciato ad abbaiare in maniera insolita, Anna ha cercato di tranquillizzarlo, non comprende il motivo del comportamento del cane torna a dormire, ed è a quel punto che Rudy l’afferra per la maglietta trascinandola verso la porta d’ingresso. E’poco dopo che la casa crolla. Anna, in seguito, ha commentato: "Ho perso tutto, amici e conoscenti di una vita, ma sono viva e lo debbo a Rudy. Ora dobbiamo pensare a sopravvivere, ci riusciremo". 

TERREMOTO E MISURAZIONI.

Terremoti? Un po’ di chiarezza. Un terremoto può misurarsi attraverso due differenti grandezze, scrive il 14/09/2016 Gioacchino Francesco Andriani, geologo. Dopo la mia intervista pubblicata su questo portale web qualche giorno fa, all’indomani del terremoto in centro Italia del 24 agosto di quest’anno, sono stato contattato privatamente da alcuni lettori, di cui più di uno di mia conoscenza, per chiarimenti, scambi di idee ed opinioni, e qualche critica che ho accettato di buon grado. Confronti di estremo interesse, ma che mi hanno portato ad una riflessione: c’è la necessità di chiarire alcuni aspetti meno noti ai non addetti al settore, aspetti che, a mio avviso, dovrebbero essere oggetto dell’educazione civica e ambientale della popolazione di un paese evoluto. Cercherò di essere sintetico e chiaro. Un terremoto può misurarsi attraverso due differenti grandezze: la Magnitudo e l’Intensità. La Magnitudo di un terremoto è strettamente connessa alla quantità di energia elastica trasportata da un'onda sismica. Nei primi anni degli anni ’30 del secolo scorso, il sismologo statunitense Charles F. Richter introdusse il concetto di magnitudo sulla base di misure effettuate su un particolare tipo di sismografo, ossia da misure dell’ampiezza del sismogramma registrato da un sismografo standard: lo strumento di torsione Woods-Anderson. In verità, si parla sia di Magnitudo Richter (MI) sia di Magnitudo Momento (Mw) che per terremoti di magnitudo inferiori a 6-7 coincidono, ma ritengo non sia opportuno inoltrarsi troppo in questo argomento per non creare ulteriore confusione. L’algoritmo proposto per la MI fa sì che ad un incremento di MI di una unità corrisponda un incremento di energia prodotta di circa 30 volte. La massima magnitudo misurata ad oggi è quella del terremoto del Cile nel 1960 ed è pari a 9.5. L’evento principale in Italia, di magnitudo 7.2, è stato misurato nel 1908 a Messina e Reggio Calabria. Il più forte terremoto mai verificatosi in Puglia è probabilmente quello del 30 luglio 1627, quando uno tsunami (maremoto) provocò morti e distruzione negli abitati di San Severo, Apricena, Lesina, San Paolo di Civitate, Serracapriola e Torremaggiore. Si parla di una magnitudo di 6.7, ma il dato è riferito ad un periodo pre-strumentale. L’Intensità di un terremoto si valuta dagli effetti prodotti sul territorio; essa si basa sulla dimensione del danno (edifici, paesaggio) e sulla percezione soggettiva dell'osservatore. In sostanza, lo stesso evento sismico si può manifestare in zone differenti con intensità differente, a seconda dei danni l.s. causati.  L’intensità di un terremoto viene valutata con la scala Mercalli, dal nome del sismologo e vulcanologo italiano Giuseppe Mercalli che nel 1902 presentò alla comunità scientifica internazionale la prima versione della classificazione dei terremoti secondo gli effetti e i danni che producevano. Successivamente, il fisico italiano Adolfo Cancani e il geofisico tedesco August Heinrich Sieberg modificarono la scala di valutazione portandola da 10 a 12 gradi. In questa scala, nota come scala Mercalli-Cancani-Sieberg (MCS), più alto è il grado, più disastroso è il terremoto. Andiamo oltre: per Pericolosità Sismica (per gli anglofoni “Seismic Hazard”) si intende “lo scuotimento del suolo atteso in un sito a causa di un terremoto” (definizione dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia o INGV). La valutazione della pericolosità sismica di un sito è quindi uno strumento di previsione del livello di dannosità dei terremoti attesi. In Italia, in realtà, la valutazione della pericolosità sismica si basa su un approccio probabilistico (PSHA, Probabilistic Seismic Hazard Analysis), ossia nella stima della probabilità che in una data area ed in un certo intervallo di tempo si verifichi un terremoto caratterizzato da un’accelerazione orizzontale massima su suolo rigido (PGA, Peak Ground Acceleration) maggiore di una certa soglia. La pericolosità sismica si esprime quindi con un parametro numerico in una scala continua e non fornisce una classificazione. La restituzione finale dei risultati di quest’analisi probabilistica è la Mappa di Pericolosità Sismica del territorio nazionale, redatta nel 2004 a cura dell’INGV. Il terremoto del 20 maggio del 2012 in Emilia Romagna ha dimostrato, però, che il classico approccio probabilistico conduce ad errori di valutazione: l’evento sismico si è verificato, infatti, in un’area classificata a “bassa pericolosità sismica”. Ciò induce a pensare che, forse, un approccio deterministico sarebbe più opportuno. Ma questo è un altro argomento. A ragion del vero, già nel 2003, con l’Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3274 del 20 marzo, sono stati emanati i criteri di nuova classificazione sismica del territorio nazionale, basati sugli studi e sulle elaborazioni con PSHA.  Di fatto, con questa ordinanza sparisce la Zona “non classificata” poiché l’Italia viene classificata secondo 4 diverse classi di sismicità, dove la zona 1 è quella corrispondente ad una maggiore pericolosità sismica e la zona 4 è quella a più bassa pericolosità sismica. A ciascuna zona, inoltre, viene attribuito un valore dell’azione sismica utile per la progettazione, espresso in termini di accelerazione massima su suolo rigido (Zona 1=0.35 g, Zona 2=0.25 g. Zona 3=0.15 g, Zona 4=0.05 g). Alle Regioni spetta il compito di aggiornare l’assegnazione dei comuni alle diverse zone sismiche e di stabilire se imporre o meno la progettazione antisismica in Zona 4. In Puglia, la classificazione sismica del territorio regionale più recente risale al 2004, con la Deliberazione della Giunta Regionale 2 marzo 2004, n. 153 pubblicata sul Bollettino Ufficiale della Regione Puglia n. 33 del 18-3-2004. Detto questo, quando si parla di Rischio Sismico si fa riferimento alla “stima del danno atteso come conseguenza dei terremoti che potrebbero verificarsi in una data area” (definizione dell’INGV). Il Rischio Sismico, pertanto, dipende dalla pericolosità dell’area, così come definita in precedenza, dall’esposizione, ossia dall’insieme delle vite umane, del patrimonio edilizio, storico-culturale, ambientale che potrebbe essere danneggiato da un fenomeno distruttivo, e dalla vulnerabilità degli edifici e delle infrastrutture dell’area, ossia dalla loro propensione al danneggiamento in relazione ad un evento sismico. In termini congrui, una zona a pericolosità sismica molto elevata, ma priva di attività umane, ha un rischio sismico molto basso, mentre una zona a pericolosità sismica bassa, ma a densità di popolazione elevata o con costruzioni di qualità scadente e/o di scarsa manutenzione, ha un livello di rischio sismico molto elevato, poiché anche un evento sismico moderato potrebbe portare a conseguenze gravi. Quando parliamo di progettazione è necessario partire da due considerazioni: 1) l’azione sismica locale dipende dalle caratteristiche geotecniche (resistenza e deformabilità) del terreno al quale è vincolata l’opera ingegneristica; 2) La risposta dell’opera ingegneristica alle sollecitazioni di tipo sismico dipende dai meccanismi di interazione terreno-struttura. Ne consegue che il punto cruciale nella valutazione del comportamento sismico di un’opera ingegneristica è la stima corretta dell’azione sismica locale. Quindi, non è possibile affrontare il problema sulla base di una mera modellazione del comportamento sismico della singola opera ingegneristica, sia essa strutturale (edifici, capannoni, monumenti, torri, ponti etc.) o geotecnica (opere di sostegno, dighe, fondazioni, rilevati, scavi etc.), senza considerare gli aspetti relativi al territorio, ossia caratteri geologico-stratigrafici, morfologici e geotecnici. Ora, nella fase progettuale, sia per nuove opere sia per interventi di miglioramento e/o adeguamento sismico, le maggiori incertezze riguardano proprio la valutazione dell’azione sismica. Ai sensi del D.M. 14 gennaio 2008 (Norme Tecniche per le Costruzioni, meglio note come NTC 2008) e della relativa Circolare esplicativa del 2 febbraio 2009, n° 617 C.S.LL.PP. (tanto per cambiare!!), l’azione sismica di progetto può essere valutata per un determinato periodo di riferimento dalla stima della risposta sismica locale (RSL), attraverso specifiche analisi “rigorose” oppure approcci semplificati, basati su cinque categorie di sottosuolo e sulle condizioni topografiche.

IL TERREMOTO E LA GENTE.

Dall'auto gelata al container rovente. Così vive un terremotato a 360 gradi. Il sisma del 1980 distrusse la mia casa. L'Odissea in una città fantasma, scrive Nino Materi, Mercoledì 02/11/2016, su "Il Giornale".  Domenica 23 novembre 1980. Ore 19:34. Sembra una domenica come tante. Ho 16 anni e sono con due amiche in via Pretoria, la strada dello «struscio» di Potenza. Alzo lo sguardo sull'orologio della Prefettura. Stanno per scoccare le 19:35. Quando la lancetta dei minuti è lì per concludere il giro, si sente un boato. Il vetro dell'orologio della Prefettura si spacca: una «ferita» che cicatrizza l'ora X dell'inizio della scossa. Seguiranno 90 secondi di terremoto del decimo grado della scala Mercalli (equivalente a 6,5 della scala Richter). Due regioni sconvolte: Campania e Basilicata. Bilancio terrificate: 2.914 morti, 8.848 feriti e 280.000 sfollati. Potenza è tra i centri più colpiti. La zona dove mi trovo al momento del ruggito del sisma è la parte vecchia della città: le case sono fatiscenti e si sbriciolano come biscotti wafer colpiti dai proiettili al tirassegno del luna park. Tutto intorno è fumo e macere. Subito dopo la scossa, accompagno a casa le due mie amiche e mi avvio verso Montereale, il quartiere dove abito. Lungo il tragitto sento gente che urla e si dispera. Una voce mi fa sobbalzare: «A Montereale sono crollati tre palazzi e ci sono morti e feriti...». Mi viene da piangere. Resisto. Corro come un disperato. Dopo pochi minuti arrivo davanti al piazzale della palestra Coni, a pochi metri da casa. Lì trovo mio padre, mia madre e mio fratello. Ci abbracciamo. Chiedo: «Perché non siete a casa?»; «Perché i muri sono venuti giù. Noi siamo salvi per miracolo», rispondono. «Ma è vero che sono crollati dei palazzi? Che ci sono dei morti?». Sì, è vero: tre edifici gemelli di 4 piani sono ormai polvere e sotto giacciono corpi senza vita. Le prime notti le trascorriamo nell'auto di famiglia (una Mini Minor). Insieme battiamo i denti dal gelo. Nessuno chiude occhio. Le scosse si ripetono implacabili. Dopo qualche giorno ci trasferiamo nella tendopoli del campo sportivo FIGC nel quartiere Rossellino. La situazione è paradossale: nello stesso terreno di gioco in cui ogni settimana disputavo il campionato di calcio «Allievi», ora vivo da terremotato. Negli spogliatoi dove tra il primo e secondo tempo di ogni partita, «don Peppino», il custode del campo, ci offriva dell'«ottimo» tè bollente gusto limone, ora i soldati dell'Esercito (a quel tempo la Protezione civile ancora non esisteva) ci servono il pranzo e la cena. Nelle tenda si gela più che in auto. Ma dopo qualche tempo «conquistiamo» l'agognata roulotte. È di colore verde e di marca «Laverda». Qui stiamo un po' meglio, ma c'è una controindicazione non da poco: basta che uno di noi si muova, e la roulotte inizia a tremare. «Ma siamo noi o è una nuova scossa di terremoto?». Ce lo ripetiamo decine di volte al giorno. Sembra una sciocchezza, ma per chi ha già il sistema nervoso a pezzi l'«equivoco tellurico» si rivela un ulteriore moltiplicatore di angoscia. Dopo la «fase roulotte», ci trasferiamo in albergo: il Tourist Hotel di Rifreddo, zona (lo si capisce dal nome) dal clima glaciale. Intorno c'è la neve e c'è chi giura di sentire anche l'ululato dei lupi. L'atmosfera ricorda un po' quella dell'hotel Overlook di Shining, il capolavoro di Kubrick dove Jack Nicholson va fuori di testa. Anche al Tourist Hotel si rischiava, alla lunga, di andare fuori di testa e così mio padre pensa bene di riportarci in città affittando un appartamento al quinto piano proprio nello stesso palazzo in cui abitavamo prima del sisma. Per massimo della sfortuna, infatti, in quel palazzo l'unico appartamento dichiarato «totalmente inagibile» è il nostro al primo piano. Nei mesi successivi la città si riempie di container (burocraticamente definiti «moduli abitativi»). Ne arrivano centinaia e vengono collocati ovunque. In uno di questi «cosi» trascorro tantissimo tempo in qualità di «apprendista giornalista» del settimanale Cronache di Potenza. Anche l'originaria sede del giornale è stata infatti irrimediabilmente danneggiata dal sisma e così la redazione (due scrivanie, due macchine da scrivere e tre sedie) trova «provvisoriamente» posto in un container. Noi di Cronache di Potenza, in versione «scatoletta», abbiamo lavorato così per anni, senza mai saltare un numero. Distribuendo il giornale a mano anche nella settimana immediatamente successiva alla scossa che aveva messo in ginocchio la città. Il nostro container - esattamente come tutti gli altri - ha una sinistra prerogativa: è un freezer in inverno e una stufa in estate. Si tratta degli stessi container che ora Renzi assegnerà ai terremotati del Centro-Italia. Che è bene sappiano cosa li aspetta. Di seguito, per loro, ecco un rapido promemoria logistico: aperta la porta ci si trova subito dinanzi a un microscopico bagno chimico e a un ancora più microscopico doccino. Sulla sinistra si apre un'«ampia» stanza lunga tre metri e larga due. Infine una stanzetta di «disimpegno» grande circa la metà della stanza «ampia». Renzi ha detto che «nei container si starà bene». Evidentemente non sa di cosa parla.

Sono le 7.41. Il momento della terribile scossa di terremoto di magnitudo 6.5 che ha devastato Umbria e Marche. Un gruppo di cacciatori si trova sulle pendici del Monte Vettore a pochi km dall'epicentro di Castelluccio di Norcia. Ad un certo punto il boato. La boscaglia si agita impazzita. I cacciatori capiscono subito tutto; capiscono che questa scossa è diversa, molto più forte delle altre. "Questa ammazza la gente!" grida un uomo. Altri bestemmiano, gridano parolacce; le parole sono piene di preoccupazione e di paura. "Guarda il Vettore!" grida qualcuno perché vede la crepa che ha spaccato la montagna in una decina di secondi. Uno dei cacciatori trova la lucidità per ordinare a tutti di scaricare le armi. La battuta di caccia è finita. Si deve tornare a casa per capire se una casa esiste ancora.

Il vento, la terra e gli alberi che tremano intorno al Monte Vettore. Sono le impressionanti immagini girate da un gruppo di cacciatori sopresi dal terremoto durante una battuta di caccia. Il gruppo si trovava vicino a Montegallo, in provincia di Ascoli Piceno, sul versante del monte che fa parte dei Sibillini, quando la violenta scossa che ha colpito il Centro Italia alle 7.40 del 30 ottobre si è fatta sentire. Nel video che sta girando in rete, tutto inizia a tremare e tra i cacciatori si scatena la paura. "Questo ammazza la gente", gridano, mentre si affrettano a scaricare i fucili. “Ha fatto una botta pazzesca, pazzesca!" dice con l'affanno Alessio, un cacciatore che ha assistito ai crolli dei paesi della vallata amaticiana nel pieno del sisma da 6.5 di domenica 30 ottobre. Nel suo video su Facebook si vedono nitidamente le colonne di polvere che si sollevano sopra i paesi, devastati dal terremoti: "È una cosa proprio da spaccasse la terra" ha commentato il cacciatore incredulo. Lui si chiama Andrea Greci, 27 anni, operaio, ed è l'autore del video del terremoto che sta facendo il giro del web. Le immagini, girate da una GoPro rimasta accesa per sbaglio durante una battuta di caccia, hanno immortalato la scossa che ha colpito il centro Italia il 30 ottobre. Assieme a degli amici, Andrea si trovava sopra il comune di Montegallo in provincia di Ascoli Piceno. "Quello era il nostro angolo di paradiso - racconta - ma è stato come vedere la fine del mondo. Racconto la nostra storia - conclude Andrea - perché molti si sono attribuiti la paternità del video. Ma noi vogliamo usarlo per aiutare i nostri paesi".

Terremoto, “Io, cacciatore, ho girato il video dell’Apocalisse”. Castro di Montegallo, parla uno dei cacciatori del video del terremoto. Parla Andrea Greci, autore del video virale del terremoto sul Monte Vettore, scrive Gigi Mancini il 2 novembre 2016 su “Il Resto del Carlino”. - Pochi video come quello dei cacciatori alle falde del Vettore, ormai virale, esprimono così chiaramente la forza del sisma di domenica mattina. La potenza scaturita dalle viscere della terra, nelle immagini girate da un ragazzo di 27 anni originario di Force, provincia di Ascoli, lascia senza parole. E pensare che Andrea Greci, questo il suo nome, non avrebbe voluto né girarlo né diffonderlo: “Avevo inavvertitamente lasciato la Go Pro accesa. L’avevo usata poco prima per uno dei video ricordo che facciamo quando andiamo a caccia. Mi sono accorto che fosse ancora attiva solo alla fine della scossa. Poi ho mandato le immagini ad alcuni amici – spiega – raccomandandomi di non farle girare, ma ho capito che la rete è incontrollabile”. 

Partiamo dalla fine, perché non avrebbe voluto far circolare il video?

“Perché quei luoghi incantevoli sono parte del mio cuore: è lì che vivo la mia passione e sto con gli amici di una vita. È come se fosse casa mia. E credo che a nessuno farebbe piacere rivedere il video della propria casa che crolla”.

Però è una testimonianza tanto drammatica quanto diretta della forza del sisma.

“Questo è vero. Come avete visto il nostro chiacchiericcio nel bosco è stato rotto prima dal boato e poi dal vibrare convulso degli arbusti scossi dal suolo impazzito. Vi lascio immaginare cosa abbiamo provato. Però ripeto, avrei fatto volentieri a meno dei like”.

Cosa avete provato in quei secondi interminabili?

“Prima lo sgomento, poi qualcosa in più che non so descrivere. Abbiamo capito subito che fosse il terremoto. Ma la forza è aumentata talmente tanto e in così poco tempo che la nostra mente è andata oltre. Non so come spiegarlo, ma abbiamo avuto la stessa sensazione: la nostra mente è andata alla fine del mondo o comunque a una catastrofe senza precedenti”.

Anche perché non eravate al livello del terreno.

“Esatto, ci trovavamo su delle altane per la caccia ai colombacci, a dieci metri da terra. La vegetazione che si muove sono le punte dei faggi davanti a noi. Già era di una forza devastante (6.5 Richter, il quarto sisma più forte in Italia negli ultimi due secoli ndr), ma lì sopra è sembrato apocalittico. Anche perché da quel punto, vicino al valico del Galluccio, vedevamo i profili di Force, Balzo, Rigo e Montemonaco e sopra ognuno dei borghi c’era una nuvola di polvere. Non solo, il rumore delle frane che si sono staccate dal Vettore era spaventoso. Per diversi minuti abbiamo pensato che Ascoli fosse stata rasa al suolo. Poi i cellulari hanno ripreso a funzionare e siamo stati rassicurati”.

Tornerà a caccia sulle altane?

“Per vincere la paura ci sono già tornato il giorno successivo”.

Terremoto, il giorno dopo. Ussita, Castelsantangelo, Preci, Camerino, Visso: ecco come si sono risvegliati coloro che hanno perso tutto, scrive il 27 ottobre 2016 “La Notizia Giornale”. Notte di pioggia e di paura in Umbria e Marche, piombate nuovamente nell’incubo del terremoto con due scosse forti, una terza di poco più debole e decine di sommovimenti di assestamento più lievi che non hanno dato tregua. Ma ora, come accade in queste situazioni, il problema comincia oggi, con le migliaia di sfollati, come ha fatto sapere la stessa Protezione civile. Già da ieri notte, infatti, le persone senza più una casa hanno trovato riparo nelle strutture di accoglienza, in tenda, nei prefabbricati del sisma del ’97, in alloggi di fortuna o a bordo delle automobili. Ieri, dopo la prima scossa di magnitudo 5.4 delle 19.10, in pochi sono rimasti a casa, quasi tutti si sono spinti in strada, e questo forse ha salvato alcune vittime dalla seconda forte scossa del 5.9, alle 21.18. Stessa situazione alle 23.42, quando c’è stata una terza scossa, del 4.6. Nel mezzo almeno 60 volte la terra ha tremato e così ha continuato anche durante la notte. Le maggiori difficoltà, comunicano ancora dalla Protezione Civile (ma i sopralluoghi sono ancora in corso e solo oggi ci si renderà conto più concretamente dei danni del terremoto) sono a Visso, Ussita, Castelsantangelo sul Nera, Muccia, Pieve Torina, San Ginesio, Camerino, Caldarola, in pratica tutti i comuni dell’area epicentrale, dove, rileva la Protezione Civile, si sono avuti nuovi crolli, di edifici che erano agibili prima delle potenti scosse di ieri. Crolli vengono segnalati ovunque: a Caldarola è venuto giù il portale di una chiesa, ma anche ad Amandola, nel Fermano, è crollato il timpano della chiesa del Convento delle suore benedettine. Desta poi preoccupazione la frana che isola la frazione di Peracchia, ad Acquasanta Terme. I vigili del fuoco stanno cercando di raggiungere le persone rimaste isolate, fra cui il vice sindaco di Acquasanta Gigi Capriotti. Quanto alla Salaria, sarà riaperta domani.

VISSO – “Il centro di Visso – ha detto il capo della Protezione civile – non può accogliere più nessuno”. D’altronde a dirlo nell’immediato è stato anche il sindaco del piccolo paese marchigiano. “Il paese è distrutto”, aveva detto. La sola Visso conta tra i 600 e gli 800 sfollati per le scosse di ieri, secondo un primo bilancio fatto dal sindaco, Giuliano Passaglini. “Due terzi del patrimonio immobiliare è inagibile” aggiunge. La notte è passata in auto o nei prefabbricati costruiti per il sisma del 1997. Anziani, donne e bambini sono stati ospitati per la notte nel centro della Croce Rossa, che riutilizza i prefabbricati costruiti come scuole dopo il terremoto del 1997. Oltre alle brande per dormire, è stata allestita una cucina da campo che ha dato bevande calde e cibo per tutta la notte.

CASTELSANTANGELO – Ha usato toni apocalittici anche il sindaco di Castelsantangelo sul Nera, Mauro Falcucci: “Aspettiamo che dio si calmi”, ha detto ieri all’Ansa. “Ho visto crolli, il centro storico è immerso in una nuvola di polvere e ci sono danni anche nelle frazioni”. La notte, prosegue il primo cittadino, “è passata nel silenzio più assordante”, molti degli sfollati in macchina, “è un continuo sciame sismico, sembra un temporale, è il classico ululato del terremoto che qui in montagna terrorizza”. Castelsantangelo “non è raggiungibile. Ci sono massi enormi ai lati della carreggiata, si viaggia con cautela. Purtroppo la montagna si è mossa, si è mossa tanto”.

USSITA – Il sindaco Marco Rinaldi parla senza fronzoli: “È stato un terremoto fortissimo, apocalittico, la gente urlava per strada”. “Il nostro paese è finito. Sono crollati tratti delle mura di cinta, abbiamo crolli diffusi in tutto il territorio e alcune frazioni isolate, che non riusciamo a raggiungere”. A Ussita non ci sono vittime ma “penso che almeno l’80% degli edifici sia stato colpito, aspettiamo la luce per capire cosa è successo davvero” ha aggiunto al Giornale Radio Rai. Particolarmente difficile è avere notizia dalle frazioni, alcune delle quali lontane dal comune vero e proprio. Soltanto oggi si avrà contezza degli ingenti danni.

PRECI – “Danni aggravati”, ma nessuna vittima. Il sindaco di Preci Pietro Bellini parla di “notte da incubo” e ringrazia la Protezione Civile per i soccorsi.

CAMERINO – Non è da meno il sindaco di Camerino, Gianluca Pasqui: “È una situazione drammatica, fortunatamente non abbiamo vittime ma il centro storico è stato dichiarato zona rossa, gli sfollati sono molte centinaia”. Nella notte è stato evacuato anche il carcere e una quarantina di detenuti sono stati trasferiti nel penitenziario romani di Rebibbia. Il sindaco fa un primo bilancio dei danni, che sono ingenti: “Il centro storico è distrutto, non è raso al suolo ma ci sono stati alcuni crolli. Tutti gli edifici hanno lesioni importantissime. Siamo in grande difficoltà – conclude Pasqui – stiamo cercando di organizzare le prossime ore”. Molti edifici sono rimasti lesionati gravemente, se non crollati, come il campanile del Santuario di Santa Maria in Via, risparmiato dal terremoto dello scorso 24 agosto, che pure qui si era sentito forte. Qui la preoccupazione è anche per i tanti universitari che vivono qui.

Terremoto, Camerino ricomincia dall'Università. Il sindaco tra gli studenti sfollati: «È qui la nostra vera forza». Feriti già dimessi, scrive il 27 Ottobre 2016 “Lettera 43”. «Camerino è l'Università e dall'Università ripartiremo, perché lì c'è la grande forza per far ripartire la città, poi le case le ricostruiamo». Il sindaco Gianluca Pasqui è ora un po' più sollevato: ha da poco parlato al telefono con il primario del pronto soccorso che lo ha tranquillizzato sulle condizioni dei feriti medicati in ospedale e tutti dimessi. Ma pensa ancora alle facce spaurite di tutti quegli studenti che ha incontrato mentre la seconda scossa scuoteva il centro storico di Camerino come buona parte del centro Italia e teme che la paura che si leggeva nei loro occhi sia il preludio di una fuga. È rimasto con loro all'interno dell'enorme capannone che normalmente è ricovero per i mezzi di trasporto pubblico della Contram e che dalle 23 funziona da centro di accoglienza per una parte delle centinaia di sfollati dal centro storico. Studenti stranieri e fuori sede dormono sulle brande sistemate dai volontari delle forze di Protezione civile. Con loro il sindaco crede di poter rifondare Camerino, ferita oggi in maniera profonda dal terremoto e con un centro storico che è rimasto con una sola strada di accesso e di uscita: «La nostra città è un monumento importante», dice, «il suo centro è un fiore all'occhiello di storia, cultura, arte, e ogni singolo edificio, ogni singola casa lesionata è uno sfregio alla nostra storia. Ma adesso è così, dobbiamo essere forti, ripartire, d'altronde siamo abituati, non ci siamo mai fermati e non sarà nemmeno questo evento che ci fermerà». La città non è rimasta ferma a riflettere sulla tragedia scampata: l'evacuazione dell'intero centro storico, con oltre 800 studenti universitari che, come tanti anziani non hanno le auto, è stato effettuato con i mezzi pubblici. Gli sfollati sono stati distribuiti dapprima nel palazzetto dello sport di contrada Le Calvie e quando è stato riempito, nel deposito mezzi dell'azienda dei trasporti, dove il primo cittadino ha istituito anche il Centro operativo comunale, riunendo al tavolo operativo le forze dell'ordine e i gruppi di volontari. Anche a Camerino, come altrove, la prima scossa ha permesso di salvare tante vite. «Si è ripetuto», aggiunge Pasqui, «quello che accadde nel 1997 quando un primo terremoto avvertì la popolazione con una scossa meno forte che portò la gente in strada». C'è sollievo per le tante vite messe in salvo, ma resta lo sconforto per la perdita di numerosi edifici storici e luoghi di culto restaurati dopo il sisma del 1997. Molti sono rimasti lesionati gravemente, se non crollati, come il campanile del Santuario di Santa Maria in Via, risparmiato dal terremoto dello scorso 24 agosto, che pure qui si era sentito forte. Stavolta la scossa tremenda delle 21 e 18 lo ha sbriciolato, facendolo venire giù come un biscotto. Cadendo, la torre campanaria del Santuario ha spaccato in due la palazzina di fronte, fortunatamente vuota, esplodendo in una gragnola di granito e mattoni.

Terremoto: i volti e le storie degli sfollati. C'è la signora di 101 anni, lo studente straniero, il volontario. E tutti hanno una cosa in comune: la grande paura, scrive il 29 ottobre 2016 Panorama. Il volontario, l'anziana, lo studente, l'immigrato.... sono tantissme le storie che si intrecciano in queste ore drammatiche, nelle sistemazioni provvisorie dove sono alloggiati gli sfollati colpiti dalle ultime scosse di terremoto.

Italo, ex operaio come 20 anni fa: "Pensavo di aver chiuso con la paura nel 1997. E invece mi ritrovo ancora una volta a dormire in macchina o in un palazzetto, senza potermi fare una doccia per giorni. Io rivoglio la mia privacy". Italo Belardinelli è uno delle centinaia di sfollati di Camerino che da ieri vive nel dormitorio allestito in uno dei palazzetti dello sport: decine e decine di brande fin dentro le porte da calcetto, uomini, donne, anziani e bambini uno vicino all'altro. Ma non è polemica, la sua. Solo un ragionare su quali siano davvero le esigenze più importanti per uno sfollato. Italo ha 57 anni, è un ex operaio della Merloni di Fabriano. Vent'anni fa il terremoto lo sorprese quando era in fabbrica, ma la casa dove abitava è la stessa di oggi, nel centro storico di Camerino. "È devastata - racconta - la scossa dell'altra sera ha spaccato tutto, vetri, mobili, bottiglie, non è rimasto nulla di sano". La prima preoccupazione di Italo è stata portare fuori i genitori ottantenni: la prima notte i tre l'hanno passata nella Punto grigia di Italo, la scorsa al palazzetto. "Dopo il terremoto del 1997 - dice ancora - abbiamo passato cinque mesi nelle tende, un paio d'anni nei container e poi siamo potuti rientrare a casa. In quel periodo non ci hanno fatto mancare niente, sia chiaro, ma spero di non doverlo rivivere". Come si augura di non essere più testimone di scosse come quella dell'altra sera. "Una cosa così non l'avevo mai provata in vita mia, se durava un altro po' mi prendeva un infarto. Pensavo di aver chiuso con la paura, invece eccoci di nuovo qui...

Lina, la centenaria. "Come vuole che sto? Sono triste. E poi mi guardi, ho i capelli che sembro Grillo". Lina Misici si fa una risata di cuore e si volta verso l'infermiera che l'assiste nel palazzetto dello sport di Camerino: è la sfollata più anziana del paese, tra due mesi compirà 101 anni. Lina è praticamente un'istituzione della cittadina, anche se ormai ci sente poco e da tempo non lavora più. Ma è stata la postina per 19 lunghi anni, raccontano i parenti e le persone che non la lasciano sola un attimo e l'aiutano ad alzarsi dalla branda per sgranchirsi un po' le gambe. "È l'occhio di Camerino, sa la storia di tutti e se venivi prima del terremoto la trovavi sempre sulla panchina su in paese. Potevi chiederle di chiunque e lei sapeva sempre qualcosa che lo riguardava". La casa di Lina non è crollata, ma come tutti gli altri anche lei è scappata. I parenti sono corsi a prenderla dopo la prima scossa. "Ho paura del terremoto, certo che ho paura del terremoto - dice - Non vedi che trema tutto ancora? Io non chiedo nulla, ma vorrei soltanto che queste scosse la finiscano, così posso finalmente tornare a casa". Ma si sta male qui dentro? "No, stanotte ho anche dormito. Ma io non ci voglio stare", conclude.

Martin, che avrebbe dovuto laurearsi. Sul computer di Martin c'è aperta una pagina scritta in italiano e in inglese, "Miglioramento dell'accessibilità ai farmaci in Africa": è il titolo della tesi che avrebbe dovuto discutere proprio oggi, ma la scossa di due giorni fa ha fatto saltare tutto. E così, seduto sulla branda in fondo al palazzetto dello sport di Camerino, a Martin non resta che ripassare, sperando che l'università riapra al più presto. Martin Lekemo è arrivato in Italia dal Camerun anni fa, con una borsa di studio. Ma poi i genitori sono morti e lui si è messo a lavorare. "Al teatro delle Muse di Ancona - racconta - poi in una ditta di materiali plastici e poi a Ferrara, in un'azienda agricola. Poi ho fatto anche l'assistente ai disabili a Venezia". Alla fine si è rimesso a studiare, un corso di laurea breve all'università di Camerino. "Devo scrivere al presidente della Repubblica - dice sorridendo - sono orfano e non dovrei pagare le tasse universitarie. Invece le pago eccome". La sera del terremoto Martin era all'università "È stata una cosa incredibile, non sapevo cosa fosse. Il panico e l'istinto di sopravvivenza mi hanno fatto uscire di corsa ma c'era una signora che non riusciva a muoversi. Così l'ho presa, l'ho tranquillizzata e l'ho aiutata ad uscire". E ora cosa farai?. "Discuto la tesi, ovvio. Tra i relatori c'è anche il professor Vittorio Colizzi, che con Montagner è uno dei più grandi esperti di Hiv. Appena riapre l'università, io sono pronto. E poi mi prendo una laurea in farmacia".

Lazzaro, dall'Aquila per fare il volontario. Lazzaro stringe la mano con sicurezza e sorride quando gli chiedi cosa deve fare in questo palazzetto dello sport che ospita centinaia di sfollati del terremoto: "io non devo fare, io voglio fare". Lazzaro Spinelli ha 56 anni ed è un volontario, fa parte dell'associazione 'Salvati Onlus', una delle organizzazioni del sistema di protezione civile che sono qui a Camerino per dare una mano. Lui, che viene da L'Aquila, sa bene cosa significa essere sfollato, aver perso tutto in dieci secondi. "Non so più neanche quanti anni sono che faccio terremoti - racconta - qui siamo arrivati ieri mattina presto con un furgone carico di acqua e coperte, sono le cose più importanti nelle prime ore dell'emergenza". Ma come si vive da sfollati? "Il primo disagio è la mancanza di privacy - spiega Lazzaro -, guarda come stanno queste persone, non c'è alcuna possibilità di avere un istante per sé. E poi c'è il problema dei bagni, qui ci sono trecento persone e i bagni sono solo cinque. Puoi immaginare cosa succede la mattina o la sera". Ma non solo. Essere sfollati, dice ancora, "è un po' come essere prigionieri". In che senso? "C'è sempre qualcuno che decide per te, che ti dice cosa fare e ti dà quello di cui hai bisogno. È un po' come essere in galera". Lazzaro ci pensa un attimo, "beh, forse un po' meglio della galera". Poi prende la sua scopa e ricomincia a pulire tra le brande".

Zouhaer: Andiamo avanti per i nostri figli. "Come la vedo? la vedo dura, qui rischiamo di perdere anche la dignità. Non si può vivere così. Ma dobbiamo rimboccarci le maniche e andare avanti, lo dobbiamo fare per i nostri figli". Zouhaer Tabbassi viene dalla Tunisia, dove è nato 34 anni fa. A Camerino c'è arrivato nel 2003 come studente. Un progetto della Regione Marche con la Tunisia invitava i giovani laureati a venire nelle zone colpite dal terremoto - quello del 1997 - e lavorare nell'edilizia. Ma Zouhaer a Camerino c'è rimasto: ha conosciuto una ragazza del paese, Simonetta, e l'ha sposata; tre anni fa è nata Gaia Karima, una bimba dai capelli ricci e gli occhi scuri e profondi. La famiglia Tabbassi vive fuori dal centro storico, Zouhaer continua a lavorare nell'edilizia, "faccio l'operaio" dice con orgoglio, Simonetta in un supermercato. "Casa nostra forse sta bene - dice - non sembrano esserci tanti danni visibili ma io non mi fido. Prima deve venire qualcuno a controllare e poi, se mi dicono che è ok, forse rientreremo". Forse? "Certo, perché la casa potrà pure essere a posto ma la paura dove la metti? Ce n'è tanta, davvero. L'abitudine alle scosse ce l'abbiamo, ma così è troppo. Uno spera sempre che sia l'ultima e invece poi ne arriva sempre un'altra, sempre più forte".

I Giochi del Terremoto. Come a Rio ci fingiamo un’Italia che non esiste. E di Amatrice ognuno si prende ciò che serve, scrive Tommaso Cerno il 05 settembre 2016 su “L’Espresso”. Strano che il giorno della morte di Gene Wilder sia piovuto ad Amatrice. Non un presagio, più banalmente la macabra rappresentazione della sua più celebre freddura. Quando il fido Igor dice al dottor Frankenstein jr: «Potrebbe essere peggio». E come, fa l’altro? «Potrebbe piovere». L’acqua che cade sulla morte, bagna le telecamere e sporca la diretta ci riporta dritti dentro la verità. Fuori dal copione che recitavamo: gli italiani in lutto. La pioggia rompe la fiction e come per Gabriele D’Annunzio nel pineto, solo sotto l’acqua c’è la realtà: voci e forme. Gente che ha perso tutto. Mentre all’asciutto, al riparo del catodo, c’è l’Italia che guarda. Con la stessa, ardente vampata con cui si ritrovò fanatica dei Giochi di Rio. Inebetita davanti a migliaia di tuffi identici, improvvisamente esperta di tiro al piattello, esaltata dalla scherma e dagli affondi di fioretto. Quella che insegnò a Schettino il coraggio del capitano sulla nave, ma poi fotografava il sarcofago al Giglio per farsi un selfie. Quella che spiega a Francesco cosa avrebbe detto Gesù Cristo, se solo il papa facesse più attenzione. L’Italia che s’attacca al tricolore sempre e solo quando sventola lontano da casa propria. Più simile a Totò che al barone Pierre de Coubertin quando dice: l’importante è partecipare. Il problema è che quella pioggia lava via anche il lutto. Le telecamere se ne andranno e il circo cambierà città. Così faremo anche noi, come alla fine delle Olimpiadi, quando anche l’ultimo tedoforo ha spento la torcia: dimenticheremo. A Rio randagi della festa, imbucati nella vittoria degli altri, ad Amatrice randagi del dolore, imbucati ai funerali. Non lo facciamo con cattiveria. Siamo fatti così. Ognuno di noi, piccolo sciacallo in buonafede, scava fra le macerie e finisce per prendersi ciò che gli serve. Basta guardare il clima politico. Improvvisamente cambiato come un vento che gira. La noiosa retorica sulla Costituzione è riposta in freezer. Il premier Matteo Renzi e il presidente della Repubblica Sergio Mattarella fra gli sfollati promettono di ricostruire i paesi distrutti, quell’Italia di mezzo che non è Nord e non è Sud, che non è ricca e non è povera, che si è accartocciata in una notte d’agosto come cartapesta, ma per riuscirci davvero sanno bene che devono ricostruire, al tempo stesso, la credibilità delle istituzioni, terremotate a loro volta e con impellente bisogno di restauri. Di forma e di sostanza. Lo declinano con modi diversi, ognuno alla propria maniera: Mattarella mostrando al Paese la presenza invisibile ma sostanziale di antico sapore cattolico-democratico, rarefatta ma vitale come l’aria, simile alla Protezione civile (i volontari, non la cabina di regia) che pietra dopo pietra fa un lavoro imponente senza mostrare il volto dell’eroe; Renzi invece lo fa respirando (dopo mesi) l’aria bagnata, rispolverando la fascia di sindaco, guardando in faccia la gente comune e cambiando tono, immagine e strategia, come racconta Marco Damilano nel servizio di Prima pagina. Una mutazione naturale? Sentita come esigenza da tempo? Presto per dirlo. Certamente trova spazio per realizzarsi dopo la scossa. Scossa tellurica, però anche scossa politica per quel Paese che si parla addosso. Ma attenzione: mentre il Palazzo muta forma, getta calce nelle crepe del sistema e progetta la ricostruzione di quel borgo dove la pastasciutta è planetaria, ma l’orizzonte di vita è ormai strettissimo, la gente di Amatrice vive la metamorfosi più difficile. Da naufraghi soccorsi dal bastimento Italia a soli, piccoli, indifesi sull’isola dei non famosi, come raccontano i ritratti dal cratere di Federica Bianchi. Col dubbio di essere presi anche un po’ in giro dai proclami di grandi architetti e promesse di prevenzione, mentre Giovanni Tizian dalla Val Susa della Tav ci narra un’altra storia proprio nei giorni del sisma. Lassù non c’è Renzo Piano, c’è la talpa meccanica che scava la roccia e spende miliardi. Per un’opera che è l’opposto della sbandierata nuova visione del territorio come risorsa e diritto di tutti. Il rischio che corriamo? Il solito. Mentre giochiamo a fare gli italiani, viene l’inverno. In tivù si cambia canale (succederà presto) e il Paese degli indignati di professione progetterà il suo autunno lontano da Amatrice. Tutto ciò che abbiamo visto, il tifo che abbiamo fatto, le lacrime in cui ci siamo immedesimati finiranno. Per lasciare spazio alla pioggia. Che si poserà altrove. E con lei il nostro sguardo.

IL TERREMOTO ED IL PATRIMONIO ARTISTICO.

Secoli di storia ridotti in polvere in un attimo. Camerino, voci dalla città ducale sfigurata dal terremoto, scrive Asmae Dachan il 28 ottobre 2016 su "Panorama". La città ducale di Camerino colpita al cuore dal sisma del 26 ottobre oggi vive un incubo senza precedenti. Non ci sono stati crolli significativi, ma sembra tutto appeso a un filo, quasi in attesa di piegarsi alla scossa successiva. Ce ne sono state centinaia e sembra che questo sciame sismico si protrarrà a lungo. Il centro storico è tutto transennato, è diventato zona rossa, inaccessibile agli abitanti e alle centinaia di studenti provenienti da tutto il mondo, iscritti all’ateneo camerte. Il baricentro della cittadella si sposta così nella zona pianeggiante, in via Le Mosse, dove uomini e mezzi dei vigili del fuoco e della Protezione civile, insieme alle forze dell’Ordine sono all’opera sin dalle prime dopo il sisma. La macchina dei soccorsi è ormai perfettamente collaudata. Insieme ai cittadini in attesa di avere indicazioni su cosa fare e sulle tempistiche dei sopralluoghi per verificare l’agibilità delle loro case, ci sono le istituzioni locali. “La situazione è disastrosa – dichiara l’assessora Antonella Nalli -. Siamo in ansia per il destino degli sfollati e per la situazione di tutti gli edifici del centro e non solo. Al campo di accoglienza abbiamo ospitato 1200 persone, ma è una sistemazione assolutamente precaria e inadeguata. La priorità ora – prosegue Nalli – è trovare immediatamente alloggi dignitosi e adeguati per la popolazione più anziana e per i disabili. In questo momento dobbiamo abbassare le bandiere politiche ed essere uniti”. Intorno all’assessora si stringono molti cittadini. C’è quasi un clima familiare, dove tutti si conoscono e si consolano a vicenda. “Abbiamo avuto paura per i nostri figli – dice piangendo una madre -. Li abbiamo abbracciati, ci siamo nascosti sotto i tavoli e abbiamo pregato che venissero risparmiati. Non ci sono parole per raccontare cosa si prova”. “Il nostro centro storico è stato totalmente lesionato e al momento non sappiamo quali e quanti edifici potranno essere salvati - dichiara il sindaco camerte Gianluca Pasqui -. Purtroppo anche i quartieri nuovi evidenziano lesioni e per questo abbiamo molti sfollati. Ora dobbiamo dare con urgenza una sistemazione a tutti. Abbiamo la certezza che non ci sono vittime e siamo felici di questo”. Mentre parla, ci sono decine e decine di studenti che aspettano i pullman per allontanarsi da Camerino. Molti di loro sono appena usciti dalla zona rossa, dove erano rientrati con i vigili del fuoco, per riprendere i propri affetti personali, cellulari, cappotti, portafogli. Il primo cittadino li guarda commosso e aggiunge: “Chi ha radici qui, vuole restare a tutti i costi, ma chi non ha radici, come gli studenti forestieri, ha comprensibilmente voglia di allontanarsi”. Pasqui teme l’abbandono dei giovani, cuore pulsante della città, ma al tempo stesso si dice confortato per il sostegno delle istituzioni nazionali. “In Vasco Errani ho trovato una persona molto vicina e sento la solidarietà dello Stato. Sta arrivando il vice ministro Riccardo Nencini”. L’atmosfera è di dolore e tensione, ma l’atteggiamento è quello di gente ferma e resiliente: “Il popolo marchigiano è abituato a ripartire dopo ogni difficoltà e tragedia. La nostra regione è il modello dell’economia italiana che diventa grande grazie all’ingegno e al lavoro delle piccole realtà e che sa sempre come ripartire”. II via vai di persone continua incessante. Un anziano esce dall’alloggio e chiede dove sia la sua casa, ma viene subito preso sotto braccio da un volontario che lo riporta al caldo. L’aria è quella fredda dei Sibillini. Il paesaggio tutto intorno è incantevole e tragico allo stesso tempo. Grazie ai vigili del fuoco raggiungiamo la zona rossa. Le vie solitamente piene di turisti e studenti sono deserte. Si vedono calcinacci ovunque, crepe evidenti sui muri. A gruppi di due gli abitanti del centro, ma soprattutto gli studenti che abitano le antiche viuzze nella zona universitaria, vengono accompagnati dai soccorritori per prendere il necessario prima di partire. Nessuno ha certezza di dove andare. “Tornare a casa, via di qui” dice qualcuno, “cercare un nuovo alloggio, lontano dalla zona danneggiata, ma riprendere al più presto gli studi”, dicono altri. Tra i giovani c’è Tommaso, che proprio la mattina del 26 si è laureato e vorrebbe iniziare il dottorato; c’è Irene che abbraccia la sua coinquilina e piange. Vicino agli studenti, quasi come un padre affettuoso, il rettore di Unicam, Flavio Corradini, esce dalla zona off limits, dove ha appena fatto un sopralluogo per verificare l’agibilità delle diverse sedi dell’ateneo. In una piazza Cavour tristemente deserta Corradini assicura che gli studenti non saranno lasciati soli e che saranno individuate le sedi ideali, agibili e sicure, per far riprendere subito i corsi. Di fronte al rettore il Palazzo Ducale, un fiore all’occhiello della città, si presenta ferito, come è ferita la chiesa con la sua porta santa, ma la città non si piega. Tornando a valle incontriamo Don Marco, il parroco della Chiesa di San Venanzio. “Nella mia zona, nella parte bassa della città, ci sono alcuni crolli che hanno interessato palazzi antichi. Per quanto riguarda le chiese, ci sono danni, ma non gravissimi. In centro la chiesa di Santa Maria in Via è gravemente danneggiata, con il campanile distrutto; anche la cattedrale ha subito danni importanti. Siamo in una situazione di assoluta emergenza, la terra continua a tremare, ma adesso la priorità per noi è stare vicino a chi ha bisogno di conforto. Poi, per i luoghi di culto e preghiera, vedremo. Nostro Signore ci ha raccomandato di pregare con sincerità di cuore, anche se non abbiamo una casa in cui farlo, possiamo stare ugualmente insieme”.

Da Amatrice a Norcia a Roma, il patrimonio artistico in ginocchio. Chiuse tutte le chiese di Rieti. Della basilica di San Benedetto è rimasta in piedi solo la facciata trecentesca. A Roma lesioni sulla cupola del Borromini di Sant'Ivo alla Sapienza, caduti calcinacci dalla Basilica di San Paolo, scrive il 30 ottobre 2016 “La Repubblica”. Danni al patrimonio artistico dei paesi terremotati, ma anche in alcune chiese di Roma. Nella Capitale la scossa ha provocato lesioni sulla cupola capolavoro del Borromini di Sant'Ivo alla Sapienza, nella Capitale. Per questo la chiesa (uno degli esempi dell'arte barocca), è stata chiusa. Nel cuore di Roma sono stati avviati controlli su tutto il patrimonio archeologico: dal Colosseo ai Fori i tecnici della Sovrintendenza hanno verificato la situazione. Il palazzo del Quirinale è stato chiuso e le visite sospese per potere verificare gli effetti del sisma dopo la segnalazione della caduta di polvere da alcune pareti. La Polizia municipale è intervenuta per evacuare la basilica di San Paolo dopo l'apertura di crepe e la caduta di calcinacci. Segnalato anche il distacco di uno dei supporti che tiene un grosso candelabro. A San Lorenzo il parroco ha lanciato l'allarme per i calcinacci caduti dalle navate. A Norcia prima è crollato il campanile, poi in una nuvola di fumo denso si è sbriciolata la copertura: la basilica di San Benedetto da Norcia era riuscita a superare le altre scosse, ma l'ultimo colpo è stato troppo forte. Dalla polvere è emersa solo la facciata trecentesca, la parte più antica del monumento che secondo la tradizione è stata fondata dove sorgeva la casa del santo che ha dato vita al monachesimo occidentale. Frati e fedeli in lacrime si sono inginocchiati nella piazza pregando. Ecco il bilancio fatto dall'arcivescovo di Spoleto-Norcia, monsignor Renato Boccardo: "la cattedrale di Santa Maria è crollata per tre quarti, la chiesa della Madonna Addolorata che era un santuario molto caro alla gente è completamente distrutto così come la chiesa di Santa Rita". Quello di Norcia rischia di essere uno dei simboli della ferita provocata dalla nuova scossa anche al patrimonio artistico. Dal paesaggio di quella parte d'Italia Centrale sono stati cancellate le torri: adesso è la terra dei campanili spezzati. In tutti i centri dell'Umbria e delle Marche vicini all'epicentro si segnalano altri crolli, come se il terremoto avesse inflitto il colpo di grazia a quei monumenti che erano riusciti finora a resistere. Nella cittadina umbra anche larghi tratti delle mura medioevali sono franati, sgretolando le postazioni di guardia medievali e i basamenti d'epoca romana. Ad Amatrice, l'epicentro del sisma del 24 agosto, è venuta giù la torre civica: il simbolo dell'orgoglio che era sopravvissuto alle ondate degli scorsi mesi. Crollata completamente pure la chiesa di Sant'Agostino, già lesionata nelle scorse settimane. Anche a Preci il sindaco Pietro Bellini ha descritto crolli di chiese nelle frazioni. A Jesi nell'Anconetano chiusa la chiesa di San Giuseppe dove ha ceduto il tetto, nel piceno tutto il centro di Maltignano è zona rossa. Persino a Rieti si è deciso di chiudere il ponte romano che permette di raggiungere il centro storico con il sospetto che abbia subito lesioni mentre in provincia sono registrate numerose chiese distrutte, come a Casperia. In tutta l'Italia centrale sono in corso verifiche per comprendere quale sia stato l'effetto dell'ultima ondata sismica. Anche gli stabili che avevano ben sopportato finora il terribile sciame adesso hanno ceduto. A Illica, la frazione di Accumuli gravemente colpita nello scorso agosto, si segnala la distruzione dell'edificio dove era stato trasferito il museo civico.  Per questo come misura di precauzione, in tutta l'Umbria e nella provincia di Rieti i vescovi hanno ordinato di tenere chiuse le chiese: i rischi per i fedeli durante le celebrazioni domenicali sarebbero troppo grandi. Ad Ascoli Piceno si è spezzato il campanile della chiesa della Madonna del Ponte, un edificio seicentesco nei pressi di Porta Cartara: era stato dichiarato inagibile due settimane fa. Il campanile della Chiesa di Sant'Angelo Magno è gravemente lesionato e potrebbe cadere da un momento all'altro. Nella provincia di Terni il bilancio provvisorio è pesante. Ad Amelia la chiesa di San Francesco è stata chiusa dopo la caduta di calcinacci e le crepe. Pure dalle volte del Duomo di Orvieto, uno dei monumenti gotici più importanti d'Italia, c'è stato il distacco di frammenti ma la curia parla di "problemi facilmente risolvibili". A Guardea inagibili le chiese dei Santissimi Apostoli e di Sant'Egidio. Crollata la volta di Santa Maria Maddalena di Calvi e danneggiato il castello di Giove, il palazzo ducale del XII secolo. Danni gravissimi per la chiesa della Collegiata di San Genesio (Macerata), splendida e unico esempio nelle Marche del gotico fiorito in simbiosi con la tradizione romanica. A L'Aquila ci sono stati crolli nella chiesa di San Marco, nel cuore del centro storico. A Pratola Peligna (L'Aquila), chiusa la chiesa santuario della Madonna della Libera, a causa della caduta di calcinacci. Una fessurazione sulla parte posteriore del campanile di Civita di Bagnoregio (Viterbo), ha reso necessario la chiusura della chiesa. Nel Pescarese accertamenti a Catignano, dove il campanile della chiesa madre è stato transennato. A rischio anche il campanile della chiesa di Carpineto della Nora: sono state sgomberate le due abitazioni sottostanti.

Dopo il terremoto, salviamo i paesi d'Italia. La tragedia di Amatrice ha portato alla ribalta i piccoli centri. Cioè la nostra spina dorsale. La nostra ricchezza. La nostra unicità. Ed è da lì che possiamo ripartire. Ecco come, scrive Franco Arminio il 16 settembre 2016 su “L’Espresso”. Anche chi vive in città, chi vive sulle coste, dovrebbe sentire l’urgenza di politiche alte per le terre alte dell’Italia interna. La questione è l’altezza, lo sguardo verso il futuro. Costruire un grande corridoio ecologico lungo tutto l’Appennino è azione che non si fa in pochi anni, ma è quello che serve. I paesi italiani sono un patrimonio universale. Solo noi abbiamo paesi di mille abitanti che sembrano capitali di un impero. Come si fa a non vedere che la questione dell’Italia è la questione dei paesi? Per anni ci siamo attardati sulla questione meridionale e invece c’era una storia che riguardava tutta la penisola, era la storia dell’Italia alta, dell’Italia interna, una storia che va da Comiso a Merano. L’Italia ha un asso nella manica, i suoi paesi, e non lo usa. Speriamo che venga fuori con la Strategia Nazionale delle Aree Interne. È una delle poche cose buone avviate dal governo Monti, grazie a Fabrizio Barca, che allora era ministro per la coesione territoriale. Ora quel ministero non esiste più, ma Barca ha comunque fatto in tempo ad avviare un complesso meccanismo che attualmente coinvolge 66 aree selezionate in tutta Italia (circa mille comuni e 2 milioni di abitanti). La Strategia Nazionale, attualmente guidata da Sabrina Locatelli, impegna una serie di giovani tecnici molto preparati e molto motivati, e vede tutt’ora impegnato Barca in veste di consulente a titolo gratuito. L’assunto è che l’Italia interna non è un problema, ma una mancata opportunità per il paese. La missione è fermare l’anoressia demografica dando forza ai servizi essenziali di cittadinanza: scuola, sanità, trasporti. A questa base si aggiungono le azioni di sviluppo locale che in tutte le regioni hanno come fuoco centrale il valore dell’agricoltura e del paesaggio. Si parla da più parti di accesso alla terra da parte dei giovani, ma le pratiche concrete sono ancora poche. A volte i gruppi di base sono più avanti delle istituzioni. Due buoni esempi vengono dalla Puglia: La Casa delle Agriculture nel Salento e l’esperienza di Vazapp nel foggiano. Ma ce ne sono in tutte le regioni: fare in modo che si incrocino e lavorino assieme è uno degli obiettivi della Casa della paesologia, un’esperienza che mette insieme tante persone che incontro nei miei giri nell’Italia interna. C’è bisogno di un grande investimento dello Stato per mettere in sicurezza le case fragili delle zone altamente sismiche. L’articolo 42 della Costituzione andrebbe inteso sempre più nel senso di garantire la funzione sociale della proprietà. In altri termini i palazzi dell’Italia interna non utilizzati dai proprietari dovrebbero diventare beni comuni. Bisognerebbe parlare di scuole di montagna. Bisognerebbe riflettere sul valore di tutta una serie di mestieri che vanno perdendosi. La Strategia Nazionale ha previsto di realizzare in Basilicata una Scuola della pastorizia. L’ottica è quella di rendere attrattiva l’Italia considerata più marginale. Ma ovunque ci si scontra con una burocrazia troppo lenta e con una politica dal fiato corto, attratta dalle azioni che fanno notizia e dai territori dove ci sono molti elettori. L’Italia dei paesi ha bisogno di un approccio radicalmente ecologista. Seguire più la lezione di San Francesco che quella dei santoni della finanza. Forse è arrivato il momento di rendersi conto che è andato in crisi il paradigma meccanicista-industrialista che pensava i luoghi come inerti supporti della produzione di merci. Ripartire dai luoghi significa ripartire da un patrimonio di biodiversità straordinario. Da questo punto di vista non parliamo di luoghi della penuria, ma di luoghi della ricchezza. E lo stesso vale per la sociodiversità. Questo approccio ovviamente non può eludere il binomio mercato e lavoro. I paesi italiani se non ricevono domande non hanno lavoro e senza lavoro il territorio deperisce. Si può immaginare che i paesi saranno oggetto di domanda e dunque di lavoro per via della loro diversità. Pensiamo che oggi ci sia un bisogno di diversità. Il lavoro cruciale è dare fiducia, portare nei luoghi le persone che fanno buone pratiche. Forse è il momento giusto per coagulare, per dare coesione, per mettere assieme ciò che per troppo tempo è rimasto isolato e disperso. Ci vuole un’idea di sistema. Nei prossimi anni ci sarà un ritorno ai paesi e alla campagna. Il lavoro da fare è dare forza a questa tendenza che è già in atto, è mettersi alle spalle l’idea che i paesi sono destinati a morire. Quella dei paesi in estinzione è una bufala mediatica. In Italia non è mai morto nessun paese. Si sono estinte piccole contrade, ma i paesi non sono mai morti, al massimo sono stati spostati a seguito di terremoti o frane. Se l’Italia dei paesi non esce dal clima depressivo è destinata all’insuccesso qualunque strategia. La prima infrastruttura su cui lavorare è di tipo morale, è l’infrastruttura della fiducia: è il ragionamento da cui parte la festa della paesologia ad Aliano, una festa che mette insieme il meglio delle arti e dell’impegno civile al servizio delle piccole comunità e del mondo rurale, in conflitto con le vecchie equazioni: mondo rurale-mondo arretrato. È importante dare alla parola “contadino” un prestigio che non ha mai avuto, riportandola all’antica funzione di custode del territorio, oggi più attuale che mai, soprattutto in prospettiva futura. Pensiamo agli artigiani del cibo, proprio per sottolineare la cura con cui si coltivano e si trasformano i prodotti. Il cibo che unisce bontà e qualità terapeutiche. È il lavoro che sulla scia di Slow Food fanno tanti. Mi piace segnalare Peppe Zullo sui monti della Daunia e Roberto Petza che in Sardegna utilizza e rielabora i prodotti del territorio e della tradizione e li ripropone in forme originalissime. A Siddi si fa non solo ristorazione di respiro internazionale ma anche attività di formazione delle nuove generazioni rieducando al cibo e al gusto le persone attraverso una microfiliera locale del vino, dei formaggi, degli ortaggi e dei salumi. Una buona pratica per i nostri paesi è lo sblocco dell’immaginazione. In fondo la tradizione è un’innovazione che ha avuto successo. Troppo spesso nei piccoli paesi si ha paura di essere visionari, come se questo ci potesse assicurare un giudizio di follia da parte degli altri. Urge anche nelle stanze della politica la presenza dei visionari che sanno intrecciare scrupolo e utopia, l’attenzione al mondo che c’è con il sogno di un mondo che non c’è.

L’autore di questo articolo, Franco Arminio è poeta, scrittore e documentarista. Anima il blog “Comunità Provvisorie” e ha fondato la Casa della Paesologia .

Le scosse che sbriciolano i monumenti Così i paesi restano orfani della loro storia. Campanili, chiese, statue spazzate per sempre dalla furia senza pietà del terremoto, scrive Manila Alfano, Lunedì 31/10/2016, su "Il Giornale". Restano sassi e cielo aperto. Macerie e polvere e soffitti squarciati. L'ultimo simbolo che cade sotto le scosse del terremoto è la Basilica di San Benedetto, a Norcia. È come se fosse venuta giù l'intera città, dice un assessore, Giuseppina Perla, e ha ragione. Il vuoto lasciato, con quelle pietre a terra è una voragine che non si ricostruirà più. È storia e orgoglio di un popolo ferito nel suo punto più debole, nella sua identità. Oggi della Basilica di Norcia è rimasta in piedi solo la facciata. Eppure Norcia aveva resistito al terremoto di questa estate; ne avevano parlato tutti i giornali come l'esempio virtuoso di un paese ricostruito per bene, dove i soldi per la ricostruzione erano arrivati ed erano anche stati spesi bene. Oggi è solo un altro pezzo di quell'Italia che resta a terra ferita per sempre. La Basilica di Norcia come l'orologio della Torre Civica di Amatrice, del XIII secolo, fermo alle 3.36, come quello de L'Aquila, le cui lancette segnavano le 3.32 del 6 aprile 2009, e di Finale Emilia bloccato alle 4.30 del 20 maggio 2012. Fotografie che restano scolpite nella memoria e che fanno il giro del mondo, che commuovono e fanno pensare. Punti di riferimento che svaniscono nella polvere. Questa volta, però, il sisma più forte in Italia da 36 anni, ha sbriciolato tutto. Spazzato via i suoi simboli, la sua storia, la sua identità. È questa la ferita più profonda. «Notizie drammatiche» le ha definite la presidente della Regione Catiuscia Marini. È sfregiato il volto dell'Umbria oltre a Norcia, anche Cascia che ha buttato giù case e chiese, ma anche le antiche mura che circondano la città. Erano già state danneggiate dalle precedenti scosse: ora presentano delle aperture ed anche alcuni torrini sono crollati. «E' stata come un'esplosione, che non finiva mai», racconta il vice sindaco Pietro Luigi Altavilla. «Siamo letteralmente in ginocchio aggiunge è una situazione durissima per chi vive come noi di turismo. Tutto il centro storico è stato evacuato. Non so quando sarà possibile rimetterlo in piedi». Eppure ci sono le parole di Renzi a rassicurare che tutto tornerà come prima, che tutto sarà ricostruito, case e monumenti perchè è in quelle chiese, in quelle torri, in quei borghi che c'è l'anima dell'Italia. «Ora priorità alle persone - ha scritto il premier su Twitter - Poi ricostruiremo tutto, tutti insieme. Case, negozi, chiese. Questi borghi sono l'anima dell'Italia». Norcia, e la sua basilica intitolata al santo patrono d'Europa, «avrà un futuro» - assicura - che l'Ue lo voglia oppure no. La Basilica e la sua storia, la sua tradizione, edificata sopra la casa natale di San Benedetto, patrono d'Europa. Già il terremoto di agosto aveva messo tutti a dura prova. Allora, la stima, provvisoria, parlava di 293 beni colpiti nella sola zona d'epicentro del sisma fra opere d'arte, chiese ed edifici architettonici. Anche nel terremoto del 2012, in Emilia, il patrimonio culturale colpito dal sisma è stato di inestimabile valore. Nell'interminabile elenco, figurano la Chiesa del Gesù a Mirandola, e la Torre dei Modenesi di Finale Emilia, simbolo di quei giorni, con il suo orologio spezzato. Ferite immortalate nelle fotografie che fanno il giro del mondo e mostrano con orrore la forza della natura, e la debolezza dell'uomo, specie quando deve ricostruire la grande bellezza.

Filippo Facci su “Libero Quotidiano” l’1 novembre 2016: "Basta lagne per le chiese crollate...". La frase sul Papa e quella montagna di soldi. Conoscevo gli italiani casa e chiesa, non chiesa e casa. Ma non serve essere anticlericali per chiedersi se non stiamo esagerando (forse) con i pianti e i preventivi per danni alle chiese, per le crepe nei campanili, per i crolli delle basiliche già simboli della cristianità eccetera: anche all' italiano più artisticamente sensibile, uno che magari sia impiegato ai Beni Culturali, vorrei chiedere se avrebbe più urgenza di restaurare la Basilica di Norcia - dove non abita nessuno - o il tetto di casa sua, così da smettere di vivere in una tenda con moglie e figli. È chiaro che a fare il giro del mondo sono le immagini devastate di un patrimonio che riporta alle nostre radici e alla nostra identità e alla nostra storia, è chiaro che i turisti vengono a visitare gli antichi borghi e non una schiera di casette di legno costruite in Alto Adige: non fatemi dire queste cose ovvie. Ma al centesimo articolo di giornale che invoca anzitutto i fondi per ripristinare i simboli del monachesimo benedettino, beh, mi chiedo se uno sfollato abbia pagato le tasse tutta la vita perché un tetto sulla testa ce l'abbia prima lui o prima Santa Maria Argentea. Ci sono più di 40mila sfollati da assistere tra Marche, Lazio, Abruzzo e Umbria, di cui solo 3mila nella Norcia della famosa basilica: prima loro, grazie. Prima i simboli del presente, poi quelli del passato. Quanto al Vaticano, ora sa che farsene dell'8 per mille.

Sgarbi, la sentenza definitiva sul terremoto: la frase da brividi su Dio, scrive Salvatore Dama l’1 novembre 2016 su “Libero Quotidiano”. Dio non ci ama. O, per lo meno, ultimamente non dimostra grande simpatia per il genere umano. Vittorio Sgarbi vede nei terremoti degli ultimi giorni un intervento dell'Altissimo. Anzi, come spiega a Radio Cusano Campus, un disinteresse divino: «Se uno non crede se ne fa una ragione. Ma se uno crede, si chiede che cazzo di patrono abbia, se non è capace neanche di tenere in piedi la propria chiesa. Vuol dire», tuona il critico d'arte, «che Dio si fa i cazzi suoi». Lo Stato pensi a ricostruire i paesi distrutti «invece di fare nuvole del cazzo». Interpellato da Libero, Sgarbi articola più ampiamente la sua teoria: «Non so se c' è ira divina verso di noi o verso il Papa»: questa, ricorda, è la teoria del «vice ministro israeliano Kara», che ha parlato del terremoto come «una punizione» del Sommo.

Come stanno le cose?

«Io dico che le chiese servono a proteggere gli uomini, non devono essere gli uomini a proteggere le chiese. Faccio una considerazione generale sul fatto che il terremoto è un'espressione purissima di Dio, della natura e della condizione di sudditanza dell'uomo».

L' Eterno non ci ama?

«Dio non ce l'ha con nessuno, ma non mostra particolare misericordia per gli uomini».

Lei ha visitato le zone terremotate. Che idea s' è fatto?

«Si tratta di un terremoto insidioso che da più di tre mesi avanza e ha dato il colpo di coda (e speriamo che sia di coda) negli ultimi giorni distruggendo paesi e paesi. Ad agosto furono solo Accumoli, Arquata e Amatrice. Ora le aree interessate si estendono a Norcia, a Preci, Camerino, San Severino, Tolentino. Il sisma ha investito parte delle Marche con diversi effetti, ma con una determinazione mai vista. E questa pervicacia fa appunto pensare che, siccome buona parte dei monumenti lesionati sono chiese, Dio abbia avuto poca attenzione per il suo patrimonio ecclesiastico».

Ha idea di quanti soldi ci vorranno per la ricostruzione?

«Ci vorranno 4 miliardi di euro. Se ci fossimo fermati al sisma di agosto, un miliardo forse poteva bastare. Ma adesso, con l'estensione a tutti gli altri paesi, mi pare abbastanza chiaro che serviranno molti più soldi».

È solo il terremoto ad aver fatto danni o c' è la mano dell'uomo che non ha degnamente conservato i luoghi?

«Se anche ci fosse stata manutenzione, il terremoto è stato così potente che si sarebbe fatto beffe di sicurezze e prevenzioni».

A suo giudizio quali sono i danni più gravi al patrimonio artistico e monumentale?

«Direi sicuramente la Chiesa di San Salvatore a Campi, in prossimità di Norcia, che è quasi del tutto rasa al suolo e l'Abbazia di Sant' Eutizio, vicino a Preci».

Per ricostruire tutto ci vorranno anni.

«Il governo ha preso un impegno e occorrerà che rimetta in piedi tutto. I soldi che lo Stato darà serviranno per restituire l'idea di nazione. Una nazione che ha patito una ferita, ma la ripara».

Lo spirito di Norcia. Come i benedettini ricostruirono l’Occidente, Vittorio Macioce l’1 novembre 2016 su “Il Giornale”. Pietra su pietra. Ancora una volta con le mani nelle macerie, con la fatica, con l’ingegno, con la speranza, perché crollano i muri ma non le idee, non ciò che sei, senza maledire il cielo, perché tanto è inutile, ma come Giobbe resistere a ogni sventura e ricominciare. Si chiama fede o orgoglio o antica cocciutaggine di chi si porta nel dna mille e più di mille anni di cadute e resurrezioni, come il pugile che sa che la sconfitta non è cadere ma non rialzarsi mai. Quando padre Bruno Marin solleva la testa davanti alla basilica di San Benedetto a Norcia, a ciò che resta, indica esattamente questo. I benedettini custodiscono lo spirito e il destino di queste terre, di una civiltà, di quella che in qualche modo possiamo chiamare Europa. Non come continente. Non come ultra Stato. Non come legge, potere, denaro o burocrazia. Neppure solamente come religione. È qualcosa di più intimo e umano. È il nostro sguardo sul mondo. Non è un orizzonte sicuro quello dove si ritrova a vivere Benedetto da Norcia. Sono passati cinquecento anni dalla nascita di Cristo. Roma da tempo non è più un impero. Non c’è equilibrio. Non c’è legge. Non c’è una morale. Il futuro non è di questo mondo e ci si affanna a sopravvivere, con questa penisola che è un incrocio di genti che da ogni valico o porto passano e razziano perché così è la vita. Non c’è un posto sicuro e dove un tempo c’era il potere ora c’è solo deriva umana e corruzione. Quella di Benedetto è una fuga, verso terre di frontiera, lontane, periferiche. Fuga da Roma per lo schifo che si respira. Fuga dal rifugio di Subiaco, per l’invidia di qualche mediocre, fuga dal mondo. Ricostruire. Ricostruire un passato e un futuro. Dove? In alto. Sulla cima di un monte. Montecassino. L’idea è di mettere insieme una comunità di individui di buona volontà, dove si prega e si lavora e si ritrova se stessi. E qui arriviamo alla famosa Regola. Quello di Benedetto è un progetto, una visione, un programma di vita. È un consiglio per mettere un po’ di ordine al caos. È un modo per ricominciare. Sono parole su carta che fissano dei punti, scandiscono la giornata. La parte finale, una sorta di post scriptum, è una confessione di umiltà e saggezza. Non è un’utopia. È, scrive Benedetto, un punto di partenza. Quella Regola, vista con gli occhi del 2016, assomiglia a un software open source, un programma aperto, senza diritto d’autore, che ognuno può modificare e adattare alle proprie esigenze. Ed è per questo che sarà virale. Benedetto, che forse non era neppure prete, non crea un ordine rigido. Ogni comunità si organizza come meglio crede e non deve per forza fare capo all’abazia madre. La Regola viene così riformata e ogni volta si adatta ai tempi e ai luoghi. I benedettini diventano una confederazione. Cluny, che anticipa la vocazione francese al centralismo, è più gerarchica e rigida. È un centro di potere, magnificente e lussuoso. Ognuno comunque sceglie la propria strada. Austeri e spogli e tanto lavoro per i cistercensi. Solitudine per i camaldolesi e i silvestrini. Senso artistico per gli olivetani e i cassinesi. E poiché S. Benedetto nella sua regola non determina di quale colore debba essere l’abito monastico, i monaci vestirono di bianco (camaldolesi e olivetani) o di bianco e nero (cistercensi), o adottarono un colore intermedio, che subì varie sfumature (silvestrini) fino a divenire tutto nero (vallombrosani). È un’Europa che all’interno della Regola si ritaglia un abito su misura. I monasteri sono luoghi dello spirito, ma si incarnano nella storia come crocicchi di arti, mestieri, saperi e creatività. Sono punti di partenza che si attraggono e generano ricchezza e futuro. Il lavoro degli amanuensi recupera la cultura classica e la mette in rete. È, anche qui, una sorta di Google. I benedettini inventano l’orologio meccanico. Non è solo una questione tecnologica. È molto di più, perché cambia la percezione mentale. Sono loro a reintrodurre la concezione romana di «ora». Ogni ora ha il suo dovere e ogni dovere scandisce la giornata. I monaci contano il rapporto con Dio, ma quando questo concetto finisce nella testa dei mercanti getta il seme del capitalismo. L’ora circolare delle fede diventa ora lineare per chi fa impresa. Jacques Le Goff e Reinhard Bendix raccontano il monaco benedettino come il primo professionista della civiltà occidentale. Le innovazioni idrauliche e la rotazione delle colture strappano la storia e valgono come le rivoluzioni industriali o il capitalismo 4.0. E in più ci hanno regalato il pentagramma e lo champagne. Vi dice nulla il monaco Dom Perignon? I benedettini ridisegnano la mappa del pensiero. E lo fanno con una fuga dal presente, con una mossa laterale, spiazzante, come chi intuisce un corridoio invisibile dove immaginare il futuro. Oltre le macerie.

IL TERREMOTO, L'AUTONOMA SISTEMAZIONE E L'AFFARE DELLE CASETTE PREFABBRICATE IN LEGNO.

Arriva l'inverno nelle zone terremotate, due famiglie su tre senza casette. A Castelluccio non ne arriveranno prima della primavera, a Visso forse dopo Natale. La rabbia della popolazione mentre il sindaco di Visso annuncia la sua adesione a "qualsiasi iniziativa di protesta", scrive Flavia Amabile il 06/11/2017 su “La Stampa”. Più di due famiglie su tre ancora non hanno ricevuto le Sae e si arrangiano tra alberghi della costa, agriturismo e sistemazioni autonome. A oltre un anno di distanza, è molto lontano dall'essere completato il piano di prima emergenza mentre la ricostruzione è una parola perfetta soltanto per pensosi dibattiti. L'ultima mappa pubblicata dalla Protezione Civile è una fotografia di decine di ritardi. Ci sono alcune aree (poche) contrassegnate da simboli verdi a indicare la consegna delle Sae e una larga parte di territorio dove il colore prevalente è il giallo, simbolo di inizio lavori, in alcuni casi persino ancora il bianco che sta a indicare più o meno il nulla.  In base ai dati pubblicati il 20 ottobre, sulle 3.699 Sae ordinate per i 51 comuni che ne hanno fatto richiesta, ne erano state consegnate ai sindaci 1.042, meno di una su tre. Se anche qualcosa è cambiato in queste tre settimane si tratta di poche decine di casette in più che non modificano il quadro generale.  Ci sono luoghi come Castelluccio dove si è deciso di chiudere la strada che da Norcia porta sull'altopiano e per le Sae bisognerà aspettare fino alla primavera. Una decisione inevitabile, secondo il sindaco di Norcia, Nicola Alemanno: "E' aperta la strada che passa per Campi e non abbiamo alternative se vogliamo rimettere a posto la strada. Per quel che riguarda le Sae la Regione e il Comune hanno aperto un tavolo di confronto con il Ministero dell'Ambiente e quello dei Beni Culturali. Castelluccio ha caratteristiche particolari che vanno tutelate, era necessario ascoltare tutte le associazioni e recepire ogni suggerimento. La soluzione che adotteremo sarà quindi diversa da tutte le altre, anche chi non ha la residenza abituale potrà avere una casetta. In totale saranno 8 Sae che saranno collocate in maniera tale da non creare problemi paesaggistici in un altopiano tra i più belli al mondo". Nemmeno una Sae consegnata in tantissimi altri borghi devastati dal terremoto, da Ussita a Visso. A Visso nella migliore delle ipotesi bisognerà aspettare gennaio mentre 231 persone sono ancora ospiti di strutture lungo la costa e 538 sono in autonoma sistemazione. Il sindaco Giuliano Pazzaglini ha annunciato proteste: "Come sempre la mia lealtà è nei confronti della popolazione, quindi do piena disponibilità a qualsiasi iniziativa si dovesse intraprendere".  

Marche, la farsa delle casette. Nessuno sa come montarle. La gestione Consip crea disastri. Intralci burocratici e mancanza di operai: i moduli restano un'incompiuta, scrive Antonella Aldrighetti, Lunedì 06/11/2017, su "Il Giornale". La fallimentare gestione della ricostruzione per dare un primo alloggio alle popolazioni dell'area del cratere che ha interessato, ormai oltre un anno fa, quattro regioni del centro Italia rischia di sfociare in un contenzioso giuridico senza precedenti. Le gare d'appalto bandite e poi aggiudicate da Consip per la messa in posa delle casette Sae (Soluzioni abitative d'emergenza) hanno determinato un processo a dir poco farraginoso sia nei tempi che nelle modalità di reazione. Un evidente errore di valutazione rispetto a quella che fu la ricostruzione di L'Aquila, sia per gli edifici pubblici che privati, e questa degli 87 comuni marsicani: sostanzialmente ferma. Sono le Marche infatti le più gravemente colpite. Vasco Errani lo sapeva bene quando vestiva i panni di commissario, e altrettanto lo sa bene Paola De Micheli che ha preso il suo posto dai primi di settembre. Eppure sembra che questa cognizione, oltre al potere straordinario di cui l'autorità commissariale è investita, non sia sufficiente a mettere la macchina in funzione. «Mancano gli operai per montare le casette. Il consorzio Stabile Arcale ci ha detto che non trova operai da mandare qui. Se oggi ce ne sono tre che lavorano per esempio a Sarnano, l'indomani vengono spostati in un altro cantiere, magari a San Cassiano». A fare il quadro completo dell'insipienza organizzativa è l'assessore alla Protezione civile e territorio Angelo Sciapichetti. «Ci sono 78 cantieri aperti tra comuni, piccoli borghi e frazioni che dovrebbero ospitare in tutto 1.555 Sae. Ne hanno consegnate, in tutta la Regione, 260 soltanto. Nella maggioranza di questi cantieri sono stati già sforati i 60 giorni necessari, e fissati dal contratto, per la messa in posa. Sappiamo bene che dovrebbero pagare la penale le ditte che hanno vinto l'appalto ma intanto siamo noi - chiosa l'assessore -, con i nostri concittadini che stiamo pagando le conseguenze e il prezzo più alto. Non possiamo più tollerare questo ritardo». In tutto, nelle Marche, si contano 31 mila sfollati, 28.500 sono sistemati in alloggi affittati e 2.500 ancora negli hotel della costa adriatica. Ecco perché diventa facile dare credito alle voci che si rincorrono in queste ore, che parlano di appelli all'autorità giudiziaria pronti a partire, esposti alla procura della Repubblica di Roma e, non ultimo, azioni collettive per il risarcimento del danno. Il consorzio Stabile Arcale a oggi si è aggiudicato la commessa per 780 casette Sae da consegnare in sei mesi. Così è scritto nel contratto stipulato con la presidenza del Consiglio e il dipartimento della Protezione civile e che interessa fornitura, trasporto e montaggio. Già, ma non è del tutto chiaro perché alla firma del contratto il consorzio fiorentino non si sia reso conto di quanta manovalanza necessitasse. Al contempo anche Consip, che ha assegnato gli appalti sembra non abbia valutato la capacità produttiva ed edificativa dei toscani. Chissà. A oggi però anche le famiglie che hanno potuto avere la fortuna di alloggiare in una Sae in laminato di legno con pareti di 19 centimetri di spessore non dimostrano soddisfazione: i moduli abitativi si stanno deteriorando velocemente. Peggio ancora va a quei cittadini che hanno ricevuto i moduli abitativi del consorzio Consorzio Nazionale Servizi di Bologna. Forni d'estate e ghiacciaie d'inverno. «In pratica siamo davanti all'evoluzione dei container del 1997, poco di più. Le pareti sono fatte con fogli di lamiere e ricoperti da un pannello isolante interno. In pratica spiega l'ingegnere Filippo Sensi, direttore della Sicurezza del comune di Visso queste costruzioni sono più adeguate per realtà industriali che civili. Eppure le hanno montate e assegnate alle famiglie sfollate. Ce ne sono tra Muccia e Monte Cavallo». E davanti a questo scenario desolante si para lo spettro dello spopolamento di quell'area dell'Appennino, resa così angusta dal terremoto di ottobre 2016, che trasforma in chimera anche la più tenace speranza di ricostruzione.

Terremoto, le casette sono invivibili. I moduli (costo di 1.200 euro al metro quadro) hanno problemi continui. E la gente beffata manda lettere di fuoco, scrive Laura Della Pasqua il 30 ottobre 2017 su "Panorama". Il riscaldamento funziona male. Porte e finestre lasciano passare l'aria gelida di montagna (e non siamo neppure in inverno). Peggio ancora, dagli allacci sotto i sanitari sbucano i topi. Consegnate dopo un anno, le poche casette sostitutive arrivate nelle zone terremotate del Centro Italia mostrano già i difetti di un assemblaggio d'emergenza. E sono pure costate molto, "ben 1.200 euro al metro quadro, a cui si aggiungono le opere di urbanizzazione, circa 650 euro al metro quadro", spiega Giuliano Pazzaglini, il sindaco di Visso (Macerata). C'è chi è esasperato. Fabio Ianni di Arquata del Tronto (Ascoli Piceno) è stato costretto a portar via dal modulo la madre perché, scrive in una lettera al sindaco e ai carabinieri, "dal giorno della consegna, l'unità immobiliare è ancora priva dei requisiti fondamentali per la sopravvivenza giornaliera. Nonostante solleciti telefonici e sopralluoghi, la caldaia non ha mai funzionato ed è ancora parzialmente smontata". Il sindaco, Aleandro Petrucci, dice di aver cercato più volte, ma invano, il responsabile dei lavori. La Regione lo ha quindi autorizzato a intervenire con proprie ditte. Rita D'Annibale, di Amatrice (Rieti), è un altro caso. "Nella casa di mia madre il pavimento si è gonfiato e lo sciacquone si è rotto". Sempre ad Amatrice, Simona Paoletti, parla dei topi che "escono dai buchi lasciati attorno ai sanitari e alle caldaie". Roberta Paoloni vive ad Accumoli, sempre nel Rietino: "Subito dopo la consegna il piano della cucina si è spaccato. Porte e finestre non chiudono bene. Le grondaie non raccolgono l'acqua". Insomma, questa è la situazione. E pensare che i pochi che hanno finora ottenuto la casetta vengono considerati dei fortunati. Figurarsi il resto... Intanto qualcuno, disperato, ha fatto da solo. Ma adesso rischia il reato di abuso edilizio. Cinzia Blanchi, di Castelsantangelo sul Nera (Macerata), è una di queste persone: "Ho comprato un prefabbricato e l'ho sistemato sul mio terreno. Ora mi accusano di abuso edilizio: la zona è protetta da vincoli ambientali". Già, e i vincoli minimi di civiltà?

Le casette per i terremotati non reggono il vento: "Incredibile". "Se non l’avessimo visto con i nostri occhi non ci avremmo creduto" dice una testimone. È bastata una folata. Accumoli è uno dei paesi maggiormente colpiti dal terremoto del 2016, scrive il 25 ottobre 2017 "Today". Ad Accumoli, uno dei paesi maggiormente colpiti dal terremoto in Centro Italia, ci si prepara a un secondo inverno difficile. Le casette di emergenza non resistono nemmeno al vento: alcune son state scoperchiate. Una forte folata di vento ha infatti abbattuto il tetto di due casette di emergenza. "Cadono a pezzi" si legge in alcune proteste sui social network. E' successo martedì nel complesso di Sae (Soluzioni Abitative d'Emergenza) di Fonte del Campo, frazione del Comune di Accumoli. Non ci sono feriti, ma le due famiglie ospiti delle casette resteranno senza tetto almeno fino a oggi. "Se non l’avessimo visto con i nostri occhi non ci avremmo creduto - racconta all’Agi la componente di una delle 9 famiglie delle altrettante casette di Fonte del Campo - è bastata una folata di vento per far saltare i colmi dei tetti. Abbiamo subito chiamato i vigili del fuoco e l’ufficio tecnico del Comune di Accumoli, che sono giunti sul posto per verificare l’effettiva entità del danno. E ora siamo così, con il tetto in queste condizioni, che nella malaugurata ipotesi dell’arrivo della pioggia ci ritroviamo l’acqua dentro casa". Gli inquilini sono entrati nelle casette solo lo scorso 7 agosto.

Terremoto centro Italia, scandalo casette: spesi quasi 7mila euro a mq. Le casette del terremoto costano più di un attico in San Marco a Venezia, tra spese di urbanizzazione e costo vivo. Giorgini M5S Marche: “Uno scandalo”, scrive Antonio Amorosi su Affari Italiani Mercoledì 4 ottobre 2017. Con 5590 euro a metro quadro compri un attico in piazza San Marco a Venezia o nelle calli adiacenti. A 4050 euro a mq compri casa in Santa Croce a Firenze. Invece 5300 euro a mq bastano per acquistare un appartamento nel quartiere Prati di Roma e con qualcosina in più puoi aspirare al centro storico. Con 7000 euro si può approdare al centro di Milano, una soluzione abitativa si trova sempre. (Dati di Immobiliare.it). Non ti aspetteresti le stesse cifre per le casette temporanee dei terremotati nel centro Italia. Ma è quanto spende lo Stato italiano per costruirle, quasi 7000 euro a mq, precisamente nelle Marche. Basta calcolare i costi accessori che permettono alle casette di essere impiantate, cioè sbancamento delle aree, posa delle fondamenta, spese di urbanizzazione e sommarli al costo vivo dei prefabbricati in legno. Se ne è accorto il consigliere regionale del M5S Peppe Giorgini che ha spiegato ad Affaritaliani il suo sconcerto: “I costi sono tripli degli appartamenti sul territorio (quelli di un certo pregio, ndr). Con quanto si spende potremmo traferire un terremotato nel ricco centro di una città italiana”. Un ragionamento comprensibile. Una “gola profonda” dentro le istituzioni ha fatto pervenire al consigliere anche una dettagliata relazione con tanto di documenti e cifre. Incrociando i dati, tra decreti regionali, numeri della protezione civile e dei Comuni i calcoli tornano. E da diverse ore sembra che gli uffici tecnici dell'ente siano a caccia dell'uomo che ha parlato. Giorgini dopo le verifiche ha presentato un'interrogazione al presidente della Regione Marche Luca Ceriscioli del Pd, chiedendo spiegazioni sui costi esorbitanti. Le “casette di legno” si chiamano Sae (Soluzioni abitative in emergenza). Per realizzare sette casette a Bolognola Val di mezzo in provincia di Macerata si è speso, scrive Giorgini, per “le sole opere di fondazione e delle urbanizzazioni 1,738.413,53 euro, quindi quasi 250 mila euro a casetta a Villa di Mezzo Bolognola (5 da 40 mq, una da 60 mq e una da 80 mq), ai quali vanno aggiunti i costi delle casette prefabbricate (1100 euro al metro quadrato) per un costo totale di oltre 6.200 euro al metro quadrato”. Mentre per le 30 Sae di San Paolo di Camerino, sempre in provincia di Macerata “l’importo delle opere di fondazione e urbanizzazione è pari ad euro 6,8 milioni (oltre 225 mila euro a casetta) per un costo complessivo, compreso il costo della casetta (20 casette da 40 mq, 5 da 60 mq e 5 da 80 mq), di 6.750 a metro quadro”. Oltre a stigmatizzare i gravi ritardi negli interventi il consigliere dei 5 Stelle chiede al presidente Ceriscioli se si “ritiene un esempio di buona amministrazione la realizzazione di abitazioni temporanee con tempi che in alcuni casi supereranno di gran lunga l’anno dall’evento calamitoso; se ritiene rispettato il principio di economicità, efficienza ed efficacia nella realizzazione di abitazioni temporanee con costi tripli rispetto alle abitazioni realizzabili o a quello reperibili sul libero mercato”. L'amara ironia sembra evidente ma il dato e il possibile spreco non fanno per nulla ridere. Infatti per comprendere meglio le dimensioni economiche del fenomeno va moltiplicato il dato dei singoli esempi per il numero degli interventi complessivi, spesa più spesa meno. Ad oggi sarebbero 836 le casette richieste dalla Regione Marche.

Terremoto L'Aquila, mazzette al ministero dei Beni Culturali: 15mila euro in contanti nel comodino di due funzionari. Scrive il 21 Luglio 2017 "Libero Quotidiano”. L'ultimo scandalo relativo al terremoto de L'Aquila? Quasi 15mila euro in contanti, trovati nei comodini di due funzionari delle sedi abruzzesi del ministero dei Beni Culturali (Mibact) e finiti ai domiciliari nell'ambito dell'inchiesta della Procura aquilana sugli appalti per la ricostruzione dei monumenti danneggiati dal terremoto. Nell'ambito dell'inchiesta sono state emesse dieci misure cautelari e 25 avvisi di garanzia. Secondo gli inquirenti, si tratterebbe delle prime mazzette che spuntano fisicamente nell'inchiesta. I funzionari - come rivela Il Messaggero - sono Lionello Piccinini e Marcello Marchetti, considerati i fulcri del sistema sgominato dai carabinieri. I contanti sono stati rinvenuti nella giornata di giovedì 20 luglio e vengono considerati prove della possibile corruzione. I due, da par loro, si sono difesi allo stesso modo, ossia sostenendo che quei soldi servivano per le spese quotidiane.

L'Aquila, la tangente nel comodino: sequestrata mazzetta da 15mila euro, scrive Giovedì 20 Luglio 2017 “Il Messaggero". Soldi in contanti nel cassetto del comodino per oltre 15 mila euro: a trovarli ed a sequestrarli in casa di due indagati, due funzionari infedeli dei beni culturali dell'aquila, sono stati i carabinieri del capoluogo nel corso degli perquisizioni di ieri mattina nell'ambito della nuova inchiesta della procura dell'Aquila su tangenti nella ricostruzione pubblica post-terremoto 2009. L'indagine ha portato a 10 arresti ai domiciliari, 5 interdizioni dal lavoro e 20 indagati a piede libero con le accuse, tra le altre, di corruzione e turbativa d'asta. Ad un funzionario Mibact sono stati trovati circa 5.500 euro, all'altro circa 8.800 euro. Per gli investigatori, il materiale è interessante in relazione all'indagine: ora spetterà agli indagati l'onere di dimostrare la provenienza di quelle somme. Sul momento, nel corso delle domande a perquisizione in corso, gli indagati hanno replicato che si trattava di contanti da utilizzare per le spese quotidiane. Nelle intercettazione telefoniche ed ambientali, oltre che in video e foto, sono state accertate dazioni di danaro e incarichi ad amici e parenti da parte delle imprese che hanno vinto gli appalti nei confronti di dipendenti infedeli dei beni culturali in Abruzzo. Nel frattempo oggi, secondo quanto si è appreso, le «gazzelle» sono tornate a visitare gli uffici aquilani del Mibact. I carabinieri hanno comunque già acquisito una voluminosa mole di faldoni sui 12 cantieri oggetto di attenzioni.

Amatrice come L’Aquila, c’è un imprenditore di Altamura che ride sul terremoto per fare affari. E’ Vito Giuseppe Giustino, scrive il 20 luglio 2017 "Il Corriere del Giorno". Si tratta di Vito Giuseppe Giustino, 65enne di Altamura (Bari), presidente del Cda della cooperativa l’Internazionale, intercettato nella inchiesta della procura dell’Aquila su presunte mazzette nella ricostruzione pubblica. Anche il terremoto del Centro Italia del 2016, come quello dell’Aquila 7 anni prima, con Francesco Piscicelli, fa registrare un imprenditore che ride: si tratta di Vito Giuseppe Giustino, 65enne di Altamura (Bari), presidente del Cda della società cooperativa l’Internazionale, intercettato nella nuova inchiesta della procura dell’Aquila su presunte mazzette nella ricostruzione pubblica. Nell’ordinanza il Gip scrive: "RIDE". L’uomo, ai domiciliari, annuisce e ride parlando delle future commesse, in particolare ad Amatrice. Giustino parla al telefono con un geometra della sua stessa ditta, Leonardo Santoro, anche lui ai domiciliari. Santoro – si legge nell’ ordinanza – gli racconta quello che ha detto a Lionello Piccinini, dipendente del Mibact Abruzzo, a sua volta ai domiciliari, dopo il terremoto di Amatrice: “Se ti posso essere utile, voi fate l’elenco, mo’ dovete fare uno screening dei beni sotto vostra tutela: se vi serve qualcosa per i puntellamenti, via dicendo, noi siamo a disposizione”, racconta Santoro a Giustino, che ride più volte. “Siamo strutturati, abbiamo una struttura potentissima e abbiamo bisogno di fare qualcosa per tenerci attivi. Abbiamo chiuso un po’ di cantieri e abbiamo diciamo una cinquantina di unità lavorative che non so dove c…o mandarle”. Come si legge nelle 183 pagine dell’ordinanza di custodia cautelare emessa dal Gip Giuseppe Romano Gargarella, dopo le nuove scosse di terremoto “gli imprenditori monitorati da questo ufficio, tra i quali hanno assunto un comportamento particolarmente cinico i rappresentanti della società l’Internazionale, hanno cercato nuovi incarichi, grazie ai rapporti diretti con i pubblici funzionari”. Santoro, riassume il Gip, spiegava al suo datore di lavoro “che presso il Mibact era stata creata un’unità di crisi per valutare i danni ai beni architettonici. Giustino, sentite le parole del Santoro – prosegue Gargarella – ha riso in maniera beffarda della nuova situazione venutasi a creare, in quanto per l’impresa il nuovo sisma non avrebbe potuto che portare nuovi introiti, tanto più se l’appoggio di Piccinini e Marchetti (altri due arrestati, ndr), funzionari del Mibact e inseriti nell’unità di crisi, non sarebbe venuto meno”. Perquisizioni e sequestri sono stati eseguiti ieri dai Carabinieri dell’Aquila, oltre che in Abruzzo, in Campania, Puglia e Marche. Nel mirino 12 appalti pubblici relativi ad edifici storici gestiti dal Mibact Abruzzo, tra cui spicca il Teatro comunale, in pieno centro all’Aquila, ancora non restituito alla città. Pesanti le accuse: gli indagati sono ritenuti responsabili dei reati di concorso in corruzione per l’esercizio della funzione, corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio, turbata libertà degli incanti, falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici, falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici, nonché soppressione, distruzione e occultamento di atti veri. Secondo quanto si è appreso, le indagini dei Carabinieri dell’Aquila coordinate dal procuratore capo, Michele Renzo e dal pm Antonietta Picardi, sarebbero scattate da spunti investigativi emersi da un’altra inchiesta. Ad inchiodare gli indagati intercettazioni telefoniche e ambientali, oltre che video e foto che dimostrerebbero le tangenti di danaro pagate per vincere gli appalti.

Risate sul sisma, ritardi e indagini: lo scandalo delle casette rosse spartite dalle coop vicine al Pd, scrivono Giuliano Foschini e Fabio Tonacci il 21 luglio 2017 su "La Repubblica". Vito Giuseppe Giustino, il patron della cooperativa L'Internazionale di Altamura, non rideva a caso subito dopo il terremoto del 24 agosto. Aveva capito che quella tragedia sarebbe stata ottimo affare. E infatti, mesi dopo, lo ritroviamo a montare le prime casette di legno ad Accumoli, prima di essere messo ai domiciliari mercoledì scorso dai magistrati dell'Aquila che indagano sugli appalti pilotati della ricostruzione post sisma 2009. Ma chi è Vito Giuseppe Giustino? La sua storia consente di afferrare il filo rosso che lega le 396 casette di legno finora consegnate ai sindaci (su 3.830 ordinate, circa il 10 per cento) nel cratere del Centro Italia, in ritardo rispetto alle aspettative degli sfollati per colpa della burocrazia e della difficoltà a trovare aree adatte dove metterle. Un filo rosso come l'area politica in cui gravita chi quelle casette sta assemblando. Consorzi, imprenditori, cooperative, fornitori di materiale. Giustino, ad esempio, è il presidente della cooperativa di Altamura L'Internazionale, una delle duecento e passa socie del Cns, il Consorzio nazionale servizi che ha sede a Bologna e fa parte della Legacoop. Anche L'Internazionale ne fa parte, ma dopo l'inchiesta dell'Aquila è stata sospesa. Il consorzio Cns, dunque. Risulta come primo classificato in due dei tre lotti della maxi-gara per la fornitura in tutto il Paese di moduli abitativi di emergenza (le casette antisismiche), dal valore totale di 1,18 miliardi di euro, bandita da Consip nel 2014 e aggiudicata nell'agosto del 2015. Nel lotto del Centro Italia, Cns vince associandosi al Consorzio Cogeco 7 e a maggio dello scorso anno firmano un protocollo d'intesa con la Protezione civile e la Presidenza del consiglio nel quale si impegnano a fornire "fino a 6.000 casette". Non devono costruirle tutte loro, però. Il protocollo prevede che dopo le prime 850 subentri per le successive 780 la seconda classificata, il Consorzio Stabile Arcale di Impruneta, e poi la terza classificata per altre 225. E così a giro, fino a raggiungere le 6.000 unità. Il tempismo è stato drammaticamente perfetto. Tre mesi dopo aver sottoscritto quel protocollo, infatti, l'Italia trema violentemente. C'è bisogno delle casette, e alla svelta: la direzione del Cns a quel punto sceglie, tra le sue associate, chi può sostenere un notevole onere finanziario e gli affida il lavoro. Ad ottobre l'altro terremoto aumenta il fabbisogno, e la Cns dispiega nel cratere otto grosse aziende. Ad oggi sono loro ad aver prodotto quasi tutte le casette abitate, la Arcale ne ha consegnate meno di 30. "Non è un business, è una missione per aiutare gli sfollati e stiamo facendo il massimo", rivendicano i dirigenti Cns. Qualcosa in Umbria, però, non sembra essere andato per il verso giusto. La responsabilità per la fornitura di Norcia e dintorni viene data alle due consorziate Gesta e Kineo, le quali hanno comprato impianti e kit di montaggio da due imprese ternane, la Italstem e la Cosptecnoservice (che fa parte del Cns). Quest'ultima, stando agli atti depositati alla Camera di Commercio, opera nei settori delle pulizie, monta segnali stradali, recapita bollette. Non si occupa di edilizia, tant'è che per rispettare il contratto si deve appoggiare a un altro fornitore, la Vipal. Un passaggio che ha incuriosito anche gli investigatori dell'Anticorruzione di Cantone. Il presidente del cda di Cosp, Danilo Valenti, è un uomo che coltiva relazioni che contano nella sinistra locale. È legato alla governatrice del Pd Catiuscia Marini per ragioni politiche e lavorative: è vice presidente di Legacoopservizi, della quale Marini è dipendente in aspettativa; nelle occasioni pubbliche si fanno vedere spesso insieme; la sua società risulta tra i finanziatori della campagna elettorale di Marini. Valenti sa muoversi, e bene, nel centrosinistra e il 9 novembre del 2014 si fa vedere in prima fila al Palazzo delle Fontane di Roma per la cena di autofinanziamento (mille euro a persona) organizzata dall'allora premier Matteo Renzi. Valenti, ternano, è poi molto vicino al sindaco Pd della sua città, Leopoldo Di Girolamo, finito nel maggio scorso nell'inchiesta della procura di Terni su affidamenti sospetti di appalti comunali. Ancora una volta a cooperative. In alcuni atti degli investigatori datati novembre 2016 spuntava anche il nome di Valenti nella lista degli indagati. "Oggi non risulto iscritto, ho fatto la richiesta di accesso al registro della procura", dice Valenti. Nelle carte sono riportati degli sms di compiacimento perché la sua azienda era riuscita a entrare nella white list della Prefettura nonostante fosse socia al 49 per cento della Viterbo Ambiente, che aveva ricevuto un'interdittiva antimafia (poi revocata). "Sono ancora in white!", scriveva Valenti nel settembre 2016 all'assessore Stefano Bucari, coinvolto come il sindaco nell'indagine ternana. Anche il consorzio Arcale, la seconda classificata della gara Consip, è un nome conosciuto ai piani alti della politica. Tra i soci c'è la Sistem Costruzioni srl, uno dei più quotati produttori in Europa di moduli in legno lamellare e alluminio, il cui amministratore delegato è Emanuele Orsini. È il presidente di Assolegno e vice presidente dei Federlegno, ma soprattutto era tra i promotori della prima ora dei comitati elettorali pro Renzi nel 2012. Ad Arcale si sarebbe in qualche modo interessato nel settembre scorso l'avvocato Alberto Bianchi, il renzianissimo presidente della fondazione Open. "Bianchi - scrive il gip di Napoli Dario Gallo in un decreto che autorizza le intercettazioni telefoniche nell'ambito dell'inchiesta su Alfredo Romeo, la Consip e il padre dell'ex premier Tiziano Renzi - sta sponsorizzando presso Marroni (Luigi, l'ex ad di Consip) un'azienda classificatasi seconda per la realizzazione delle casette in legno per i terremotati di Amatrice". Una versione che Bianchi, annunciando querele, definisce "una vergognosa insinuazione ". In effetti il Consorzio Arcale non ha avuto bisogno di Bianchi per iniziare a lavorare con le casette. Ci ha pensato il terremoto del 30 ottobre.

Terremoto Centro Italia: le casette fornite dalla coop dell’imprenditore arrestato a L’Aquila. Protezione Civile chiede chiarimenti alla mega coop CNS sulla sua consorziata, scrive il 21 Luglio 2017 "Prima da Noi". Il Dipartimento della Protezione civile ha chiesto a CNS, Consorzio Nazionale Servizi informazioni in merito alle eventuali misure adottate nei confronti dei vertici della società cooperativa L'Internazionale (consorziata al CNS), visto che in una inchiesta della procura de L’Aquila emergerebbe il coinvolgimento del presidente del cda della cooperativa, Vito Giuseppe Giustino, di Altamura (Bari), finito due giorni fa agli arresti domiciliari. La società pugliese e' una delle consorziate esecutrici delle forniture delle soluzioni abitative provvisorie post sisma. L’inchiesta sulla ricostruzione del capoluogo abruzzese scoppiata due giorni fa ipotizza un giro di mazzette e uno scambio di favori su 12 gare per il restauro e il recupero di edifici storici e coinvolge anche altre persone, una decina quelle finite ai domiciliari tra imprenditori, professionisti e anche funzionari del Mibact, con accuse, a vario titolo, dalla corruzione alla turbativa d'asta. Proprio Giustino è stato intercettato al telefono con il geometra Leonardo Santoro. Quest’ultimo gli riferisce quello che ha detto a Lionello Piccinini, dipendente del Mibact Abruzzo, anche lui ai domiciliari, dopo il terremoto di Amatrice. «Se ti posso essere utile, voi fate l’elenco, mo’ dovete fare uno screening dei Beni sotto vostra tutela. Se vi serve qualcosa per i puntellamenti, via dicendo, noi siamo a disposizione», racconta Santoro a Giustino, che ride più volte pregustando probabilmente gli affari d’oro. Una risata che non è passata inosservata nemmeno al gip che nell’ordinanza lo mette ben in evidenza scrivendo addirittura in caratteri maiuscoli la parola ride. «Siamo strutturati, abbiamo una struttura potentissima e abbiamo bisogno di fare qualcosa per tenerci attivi. Abbiamo chiuso un po’ di cantieri e abbiamo, diciamo, una cinquantina di unità lavorative che non so dove c… mandarle». Giustino, sentite le parole del Santoro ha riso in maniera beffarda della nuova situazione venutasi a creare, in quanto per l’impresa il nuovo sisma non avrebbe potuto che portare nuovi introiti, tanto più se l’appoggio di Piccinini e Marchetti funzionari del Mibact e inseriti nell’unità di crisi, non sarebbe venuto meno.

Nel caso specifico della coop L'Internazionale, il Dipartimento della Protezione civile riferisce che dopo una gara europea per la fornitura di soluzione abitative in emergenza bandita nel 2014, ha sottoscritto nel maggio 2016 i contratti con gli aggiudicatari, tra cui CNS, contratti che sono stati messi a disposizione delle quattro Regioni colpite dai terremoti del 2016 e del gennaio 2017 per la sottoscrizione di appalti specifici e la fornitura delle casette. E visto che la coop in questione e' una delle consorziate esecutrici delle forniture delle SAE in alcuni dei comuni del Centro Italia, «la richiesta di informazioni al CNS si e' resa necessaria per conoscere quanto lo stesso Consorzio Nazionale Servizi ha messo in atto per assicurare la corretta prosecuzione dell'esecuzione degli ordinativi fatti dalle Regioni». Il CNS aveva vinto la gara per due lotti (Nord e centro Italia), una gara bandita nel 2014 e aggiudicata nell’agosto 2015. Quattro i soggetti attuatori, le Regioni Abruzzo, Lazio, Marche e Umbria. Le soluzioni abitative prevedono moduli in acciaio e legno da 40, 60 e 80 metri quadri, combinabili tra loro, predisposte per essere rimosse e recuperate quando non più necessarie. Sono a tutti gli effetti case smontabili e il 60% dei componenti è riutilizzabile. Il loro primo ciclo di vita è di sei anni ma sono destinate a durare in eterno (il CNS garantisce quattro anni di manutenzione) e possono essere spostate altrove per altre eventuali emergenze.

La società di Altamura dieci anni fa aveva già partecipato al progetto di ricostruzione post terremoto 2007 nei Comuni di Spello e di Nocera Umbra. Ha realizzato la ricostruzione e ristrutturazione della Biblioteca Provinciale di Bari e la ricostruzione del Teatro Petruzzelli di Bari. Dopo il terremoto de L’Aquila si è invece occupata degli interventi di recupero, consolidamento e restauro della Chiesa di San Pietro apostolo ed annessi locali ad Onna. Importo dei lavori di quasi 2 milioni di euro.

Terremoto. Piccole case, grandi affari, scrive il 2 Febbraio 2017 Mariarosaria Marchesano su “Tempi”. Storia del Consorzio nazionale servizi e di quell’indotto economico che si sta sviluppando nelle zone del sisma. Una maxi multa dell’Antitrust mette in crisi i conti del Consorzio nazionale servizi, il gigante delle coop rosse che si è aggiudicato l’appalto Consip per le casette dei terremotati. Anzi, per la verità, li ha praticamente affondati nel 2015 visto che dal bilancio di quell’anno, l’ultimo disponibile, risulta una perdita complessiva di 44 milioni di euro, dovuta proprio alla sanzione. Poi, dopo i ricorsi al Tar del Lazio, la multa è stata ridotta dall’authority guidata da Giovanni Pitruzzella con un provvedimento del 2 gennaio 2017. Così il Consorzio bolognese non dovrà più sborsare 56 milioni ma 17 milioni di euro per farsi perdonare il tentativo di creare un “cartello” nel settore dei servizi di pulizia nelle scuole (secondo quanto gli è stato imputato). Tanto per rendere l’idea, il Cns dovrebbe realizzare oltre 15 mila metri quadrati di Sae (soluzioni abitative di emergenza, le casette il cui costo è stato fissato a 1.075 euro al metro quadrato) solo per rientrare del danno. La storia del Cns è uno dei retroscena meno conosciuti della “Terremoto spa”, cioè quell’indotto economico che, piaccia o no, si sta sviluppando in centro Italia, l’area del paese più provata dagli eventi sismici degli ultimi anni ma anche costellata da migliaia di cooperative e piccole imprese attive nel settore delle costruzioni e di strutture abitative che stanno cercando di rimettersi in piedi dopo lunghi anni di crisi. Tutto il giro degli appalti è gestito dalla Consip, il braccio operativo del Mef che bandisce gare per i beni e servizi della pubblica amministrazione. Ora, il nome del Cns entra ed esce dalle gare visto che si tratta di un colosso al quale aderiscono quasi 200 imprese specializzate in diversi settori (il giro d’affari è circa 750 milioni). Ma proprio su una di queste competizioni, il Consorzio inciampa nel 2015; l’Antitrust ritiene che si sia messo d’accordo con altre società per spartirsi i lotti di una gara per i servizi di pulizia nelle scuole italiane. La multa inflitta è enorme: 110 milioni di euro di cui 56 milioni a carico del Cns. Il resto è a spese degli altri componenti del “cartello”. Quando accade tutto ciò il Consorzio bolognese sta attraversando un momento di ristrutturazione. Il coinvolgimento nelle inchieste su Mafia Capitale e un’ispezione del ministero dello Sviluppo economico che rileva irregolarità nell’ammissione di alcuni soci, costringono i vertici a dimissioni in blocco. Siamo nell’estate del 2015. Un nuovo consiglio di sorveglianza presieduto da Mauro Giordani si insedia e cerca di rimettere ordine nei conti (Giordani mette anche vizi e virtù del Cns nero su bianco in una relazione che vuole rappresentare uno spartiacque con la passata gestione). Dopo un anno il clima migliora ma scarseggiano i lavori.

Facciamo un passo indietro. Cns è già il primo aggiudicatario, in cordata con la Cogeco 7, di due dei lotti della gara per la fornitura di soluzioni abitative d’emergenza nell’ambito dell’accordo quadro sempre con la Consip, per conto della Protezione Civile, che risale al 2014. L’intesa prevede, per il centro Italia, una fornitura massima di 6.000 moduli provvisori che scatta in caso di emergenza. Le violente scosse di Amatrice prima e di Norcia poi rendono operativo l’accordo a fine 2016. Partono i primi ordini, il Cns scende in campo ma “gira” l’appalto per la fornitura delle prime 90 casette a una sua consociata: la Cosp Tecno Service di Terni, che fa parte del giro umbro di Lega coop. Scoppiano le polemiche poiché alcuni mettono in evidenza che la società non ha esperienza nella gestione delle emergenze sismiche. Ma Cosp Tecno Service ha un requisito che sbandiera sul suo sito internet: possiede il “rating” della legalità e l’iscrizione, sempre rinnovata, nella white list della Prefettura di Terni. Vuol dire che l’impresa non è soggetta a infiltrazioni mafiose. Requisito fondamentale di questi tempi e Cns lo sa. Consultato da Tempi, il Consorzio non fornisce alcun tipo di informazione sulle modalità con cui sta procedendo nell’esecuzione degli ordini, né tantomeno sull’evoluzione della vicenda Antitrust (non si può escludere un ulteriore ricorso per contestare anche la multa di 17 milioni). Gli unici dati vengono dalla Protezione Civile. Secondo le ultime stime, sono 1.880 le Sae richieste nei comuni terremotati. Ma ne sono state assegnate solo 45 tra Amatrice e Norcia attraverso lotterie indette dai sindaci e non sono ancora abitabili. A distanza di quasi cinque mesi dal terremoto, nessuna famiglia colpita è ancora stata sistemata in queste strutture. Mancano le aree e quando ci sono l’urbanizzazione delle stesse con servizi e marciapiedi. Burocrazia a parte, le tre imprese aggiudicatarie del bando Consip per il centro Italia stando agli ordini avranno da lavorare tutte, come confermano fonti della Protezione Civile, secondo un meccanismo a rotazione che prevede la fornitura di 850 casette per la prima in classifica (Cns), 780 per la seconda (Consorzio Stabile Arcale di Firenze) e 225 per la terza (Modulcasa Line di Parma). E così via.

11mila sfollati, 18 casette: la ricostruzione del Centro Italia è peggio del terremoto. A vincere l’appalto da 1,2 miliardi, un’azienda di Terni che si era sempre occupata d’altro. Nel frattempo anche i contributi non arrivano. E i sindaci attaccano: «Sbagliato tutto sin dall’inizio. Troppa burocrazia e troppe carte, spesso inutili», scrive Carmine Gazzanni su “L’Inkiesta" del 3 Marzo 2017. Basta affacciarsi alla Porta Romana di Norcia, dove è attivo uno dei presidi della Protezione Civile sin dalle prime scosse che hanno devastato il centro Italia: lungo la strada principale che attraversa il cuore del paese, ancora un cumulo di detriti e calcinacci tra case diroccate. «Le macerie sono ancora tutte lì», ci dice un signore, sconsolato. La gente, qui a Norcia, a sei mesi dal sisma è ormai svuotata, senza alcuna speranza concreta. Vuole solo sfogarsi e denunciare il proprio stato di abbandono. Facciamo pochi passi e ci ferma un imprenditore. Aveva un piccolo agriturismo, con annessa stalla e animali. «Ho perso praticamente tutto – ci racconta – e nessuno mi sta dando una mano. Pure per rivendere il latte che avevo accumulato prima del terremoto, avevo chiesto all’amministrazione semplicemente che liberassero dalle macerie la strada che porta al mio agriturismo, che non è nella zona rossa, ma niente. Ho mandato tre raccomandate e non ho ricevuto nessuna risposta». Alla fine ha dovuto provvedere da solo a liberare la strada e consentire il trasporto del latte, per racimolare qualche soldo. Abbandonati, insomma. Esattamente come lo è Alessandra, terremotata di Arquata del Tronto. Dinanzi al silenzio delle istituzioni, anche Facebook può dare una mano. È da qui che è partito il suo appello, disperato, in cui chiede una roulotte per lei e sua madre: «non possiamo permetterci di pagare un affitto», dice. Già, perché il punto è proprio questo: tra casette che tardano ad arrivare e contributi inesistenti, chi può si è servito dei propri risparmi per spostarsi o comprare una piccola abitazione. Gli altri sono nella disperazione. Basta visitare il sito terremotocentroitalia.info per rendersi conto del livello di abbandono di tanti. Il 18 febbraio era una famiglia di Amatrice a chiedere disperatamente una roulotte, «anche usata» perché è urgente: «ci sono bambini». Il 20 febbraio a chiedere un alloggio era una coppia di Cingoli, in provincia di Ancona. Il 28 febbraio è stato, invece, proprio il Comune di Castelraimondo (Macerata) a lanciare un appello: «Si cercano alloggi per sfollati. Stanno vivendo una situazione difficile tutti coloro che hanno perso le loro abitazioni, dichiarate inagibili a causa delle scosse sismiche. Proprio per questo il Comune – si legge ancora - lancia un appello a tutti coloro che hanno un’abitazione da poter mettere a disposizione per i terremotati». A vincere il mega appalto Consip per la realizzazione di 18mila moduli abitativi, con un incasso da 1,2 miliardi, è stato il Cns che, per Norcia e dintorni, ha affidato i lavori ad un’altra cooperativa, la Cosp Tecnoservice di Terni, che finora si è sempre occupata di tutt’altro, dalla raccolta di rifiuti alla gestione di piscine fino alla disinfestazione.

Secondo l’ultimo report della Protezione Civile, il numero delle persone rimaste senza abitazione è salito a 11.623. Ma dai dati è evidente che la gestione dell’emergenza, tra Regioni, Comuni, Protezione Civile e commissario alla ricostruzione, è stata fino ad oggi a dir poco fallimentare. Da Ussita ad Arquata del Tronto fino a Cingoli, il grido dei sindaci è unanime: «hanno sbagliato tutto, sin dall’inizio». Ancora più diretto il primo cittadino di Visso, Giuliano Pazzaglini: «creare un commissario (Vasco Errani, ndr) è stato totalmente inutile. Ci sono i sindaci e i presidenti di Regione. È stato un grosso errore paragonare l’Emilia Romagna a terre completamente diverse come sono le Marche e l’Umbria». E il risultato non può che essere il caos totale. Se infatti circa novemila sfollati sono ospitati in strutture ricettive, altri tremila sono rimasti nei propri Comuni di residenza. Tuttavia, delle tremila casette da installare, ne sono state ordinate solo 1.470 e consegnate soltanto 18 a Norcia. «Sono per gli sfollati post 24 agosto (la prima delle terribili scosse, ndr) – ci spiega Andrea Liberati, consigliere regionale M5S in Umbria – ne erano previste 100, ma si arriverà massimo a 40 a fine mese. C’è un problema di competenza oltreché burocratico». Basti questo: a vincere il mega appalto Consip per la realizzazione di 18mila moduli abitativi (e un incasso da 1,2 miliardi) è stato il Cns (Consorzio Nazionale Servizi, nel cui consiglio di sorveglianza, sedeva anche Salvatore Buzzi, braccio destro di Massimo Carminati) che, per Norcia e dintorni, ha affidato i lavori ad un’altra cooperativa, la Cosp Tecnoservice di Terni, che finora si è sempre occupata di tutt’altro, dalla raccolta di rifiuti alla gestione di piscine fino alla disinfestazione. «È inevitabile che i ritardi si accumulino», continua Liberati che ha da mesi portato il caso in consiglio regionale, ottenendo solo risposte di comodo. Non è questo, però, l’unico esempio di ritardo: martedì dovevano essere consegnate 26 casette a Pescara del Tronto, ma tutto è saltato. La ragione? Bizzarra: mancherebbero le protezioni dai rumori del traffico veicolare lungo la Salaria. Ma siccome al fine non c’è mai peggio, l’ultima batosta è arrivata dal Consiglio di Stato che, come denunciato in un servizio di pochi giorni fa delleIene, ha condannato il Cns per aver manipolato un appalto aggiudicato nel 2012, cosa che gli ha fatto decadere i requisiti morali. Morale della favola: le gare vinte negli ultimi quattro anni – compresa quella delle casette – potrebbero ora saltare. E i ritardi rischiano di accumularsi ancora. Non solo a Norcia. Siamo a Visso, uno dei paesi in provincia di Macerata più colpiti. «Qui abbiamo comunicato la nostra esigenza già un mese fa – ci spiega il sindaco, Giuliano Pazzaglini – la zona è estesa: abbiamo bisogno di 222 casette, considerando anche le varie frazioni». Bene. Quante casette sono arrivate? «Zero, ma è inevitabile così: sono completamente sbagliate le procedure. Troppa burocrazia e troppe carte, spesso inutili». L’esempio che ci fa Pazzaglini ha del surreale: «Ci hanno bloccato per giorni un’area adibita alle casette perché c’era una lettera di 15 anni fa mai protocollata e quindi mai ufficialmente cassata, che indicava una presunta incidenza di pericolosità per la costruzione in quella zona. Ma quella lettera era ormai superata solo che siccome non era stata mai nemmeno protocollata, ha bloccato i lavori». Secondo l’ultimo report della Protezione Civile, il numero delle persone rimaste senza abitazione è salito a 11.623. Il grido dei sindaci è unanime: «hanno sbagliato tutto, sin dall’inizio. [...] Troppa burocrazia e troppe carte, spesso inutili».

Insomma, un incredibile mare magnum. Non è un caso che in tanti hanno preferito non fare affidamento sulle casette. Meglio far da soli e aspettare che arrivi il cosiddetto «Cas», Contributo per l’Autonoma Sistemazione, ovvero l’assegnazione, per quanto stabilito da un’ordinanza di Palazzo Chigi, «ai nuclei familiari la cui abitazione principale, abituale e continuativa sia stata distrutta in tutto o in parte», di un importo massimo di 900 euro. Ecco, oltre al danno delle casette, è qui che risiede la tragica beffa: in Umbria, secondo quanto denunciato ancora da Liberati in consiglio regionale a inizio settimana, i contributi non sono mai arrivati ai cittadini. In alcuni casi è stato loro consegnato il Cas soltanto per settembre e ottobre; in altri, invece, non è mai arrivato un solo centesimo. Difficile capire a chi imputare le responsabilità, dato che Regione e Comuni continuano a giocare a scaricabarile. Né quello di Norcia è un caso isolato. In tante realtà, da Visso a Ussita passando per la stessa Amatrice, si sono accumulati pesanti ritardi sui contributi. I sindaci, però, si difendono: «è fisiologico – ci dicono – ma i soldi sono in rendicontazione, quindi arriveranno». È il quando, però, che spaventa chi sta raschiando il fondo del barile già da mesi. Un'altra tragica beffa: i contributi non sono mai arrivati ai cittadini. Difficile capire a chi imputare le responsabilità, dato che regioni e Comuni continuano a giocare a scaricabarile.

Per fortuna che ci sono i container, si dirà. Peccato siano «inutili», come denunciano tanti terremotati. E non solo perché in alcuni casi questi casermoni in cui non esiste intimità (come già denunciato da Linkiesta) sono stati sì consegnati ma non collaudati e dunque restano inutilizzabili. Ma anche perché, pure se lo si facesse, non servirebbe a nulla. L’ennesima beffa è servita: i climatizzatori presenti nei container, infatti, prevedono che se si registrasse una temperatura ordinaria come -5°C, il riscaldamento salterebbe, perché quella è la soglia minima di funzionamento. Peccato che di questo periodo a Norcia e dintorni temperature del genere siano all’ordine del giorno. Anche qui, però, il business intanto ha dato i suoi frutti: tra incompetenze e ritardi nella fornitura di casette, la Consip, vittima di stime della Protezione Civile mai definite, ha indetto ben tre bandi per il noleggio di queste strutture. Costo totale: 183 milioni di euro. Ma anche qui i ritardi sono indicibili: alcuni dei lotti previsti non sono stati ancora aggiudicati, nonostante il primo dei tre bandi sia scaduto il 16 novembre. Più di tre mesi fa.

Terremoto: con Errani arriva anche la cooperativa vicina a Buzzi, scrive Filippo Burla su "Primato nazionale" del 10 settembre 2016. Sorpresa, ma non troppo: le cooperative entrano a gamba tesa nel business del post-terremoto che ha colpito il centro Italia. E lo fanno sulla scorta dell’incarico assegnato all’ex presidente della regione Emilia-Romagna, Vasco Errani, che con il mondo delle coop ha sempre avuto un legame più particolare. Come visto e previsto. La prima coop destinata ad entrare in grande stile è il Consorzio nazionale servizi, di Bologna, che si occuperà della realizzazione delle casette di legno destinate ad ospitare per qualche mese gli sfollati a causa del terremoto. L’appalto complessivo vale qualcosa come 1,2 miliardi di euroe prevede la costruzione di 18mila Map (Moduli abitativi provvisori) che accoglieranno chi fino ad oggi ha dovuto ricorrere alla sistemazione in tenda. Cns non sarà l’unico soggetto coinvolto – l’appalto è infatti stato vinto insieme ad altre società – ma la sua presenza fa più che specie, visti i precedenti nei quali è stata coinvolta. La cooperativa, infatti, è finita nell’indagine relativa a mafia capitale, e con ruoli non di secondo piano. Più volte Massimo Carminati e altri parlavano di trasferte fatte presso la sede centrale, mentre Salvatore Buzzi addirittura sedeva nel consiglio di sorveglianza della società. Nonostante ciò, lo scoperchiamento del sistema di potere sugli appalti romani non ha misteriosamente toccato i suoi vertici: “Cns quell’inchiesta non è stata coinvolta ad altro titolo”, spiega Antonio Amorosi, autore del libro Coop Connection sul sistema di potere che ruota attorno al mondo della cooperazione. Al di là delle pronunce giudiziarie, Cns era stata comunque commissariata ben due volte in relazione ad appalti per la gestione dei rifiuti a Roma, altro tasto dolente dell’amministrazione capitolina. A procedere d’imperio era stata l’autorità anticorruzione, che però ad oggi non sembra volersi esprimere sull’assegnazione per la costruzione dei moduli per i cittadini di Amatrice e comuni limitrofi colpiti dal terremoto. Eppure, vista l’iperpresenza dell’ente guidato da Raffaele Cantone in qualsiasi grande affare degli ultimi mesi, ce ne sarebbe stato fin troppo per avviare una qualche attività d’indagine. Così non è stato. E così, probabilmente, non sarà. La Coop sono loro. Filippo Burla

Terremoto coop rosse: Reggio Emilia, crollo da 1,5 miliardi, scrive il 05/04/2017 Luca Cirimbilla su “L’Ultima Ribattuta”. Qualcuno ha definito quella delle coop rosse la più grave perdita di patrimonio collettivo: l’ultimo disastro in ordine cronologico riguarda la holding Unieco. Quella delle coop rosse – realtà attive soprattutto nelle regioni tradizionalmente di sinistra come Toscana e Reggio Emilia – è una storia che ha intrecciato politica locale e nazionale con imprenditoria ed economia. Eppure il tracollo è arrivato solo negli ultimi anni, tappa finale di un sistema corrotto sopravvissuto anche a stagioni indimenticabili come Mani pulite. Un intero settore, quello delle costruzioni, è stato letteralmente travolto e ha visto la liquidazione di due colossi come Unieco che ha registrato un passivo di 225 milioni tra il 2012 e il 2014 e Coopsette (184 milioni) e i concordati di Cmr e Orion. Seicento milioni bruciati in tre anni, a fronte di un patrimonio costruito nel tempo che ha sfiorato 1,5 miliardi di euro e mandato letteralmente in fumo assieme a 2mila posti di lavoro. Il terremoto ha coinvolto anche le catene di supermercati: 600 esuberi erano stati dichiarati e poi ritirati da Unicoop Tirreno, altri 200 annunciati da Coop Lombardia. Ma nella telenovela che ha visto protagoniste le coop rosse a braccetto con gli apparati politici Pci-Pds-Ds-Pd non poteva mancare il solito caso del manager promosso e riciclato addirittura in un’azienda statale. È il caso, raccontato da Libero, di Ivan Soncini ex padrone incontrastato di Ccpl. Dopo aver lasciato la coop con 100 milioni di passivo, l’anno scorso Soncini è approdato alla presidenza di Fs Logistica. Chissà, forse a risultare decisiva potrebbe essere stata una partita di calcetto, ormai conclamata agenzia di collocamento, col ministro dei Trasporti, Graziano Delrio, sindaco di Reggio Emilia fino al 2013. Arbitro, Giuliano Poletti, ministro del Lavoro autore della frase sulle partite di calcetto, nonchè leader di Legacoop dal 2002 al 2014. Lui sì che di curriculum se ne intende.

Terremoto, in Emilia i volontari che indagano sulle truffe per la ricostruzione: “Ruderi di campagna trasformati in ville”. Sono oltre gli 40 esposti presentati alla procura di Ferrara e alla Guardia di finanza dal Comitato verifica ricostruzione, che vigila sul corretto utilizzo del denaro pubblico stanziato per rimettere in piedi una regione gravemente danneggiata dalle scosse del maggio 2012. Esposti su cui ora indagano le forze dell’ordine, per verificare se il denaro pubblico sia stato davvero utilizzato in modo legittimo, scrive Annalisa Dall'Oca il 15 luglio 2017 su "Il Fatto Quotidiano". Fondi per la ricostruzione post sisma utilizzati in modo illecito per ristrutturare ruderi di campagna abbandonati. È questo l’oggetto degli oltre 40 esposti presentati alla procura di Ferrara e alla Guardia di finanza dal Comitato verifica ricostruzione, un gruppo di otto volontari che nell’Emilia Romagna del dopo terremoto si è riunito di propria iniziativa per vigilare sul corretto utilizzo del denaro pubblico stanziato per rimettere in piedi una regione gravemente danneggiata dalle scosse del maggio 2012. Esposti su cui ora indagano le forze dell’ordine, per verificare se il denaro pubblico sia stato davvero utilizzato in modo legittimo. Un po’ come sta avvenendo nel Centro Italia, dove gli inquirenti stanno vagliando “migliaia di casi poco chiari” alla ricerca di “furbetti del contributo”. “Noi siamo tutti di queste parti, tra l’alto ferrarese e la bassa modenese e il dramma del terremoto ovviamente l’abbiamo vissuto sulla nostra pelle”, racconta al fattoquotidiano.it Andrea Zaniboni, membro del Cvr ed esperto di appalti. “Con l’avvio dei cantieri- spiega – abbiamo notato che c’erano situazioni poco chiare: vecchi fienili abbandonati a cui sono stati assegnati centinaia di migliaia di euro, quando le ordinanze prevedono che i fondi debbano andare solo alle case o alle realtà commerciali che prima del sisma erano utilizzate o in attività. E poi ruderi divenuti ville da sogno o multi-appartamenti, e al contempo, famiglie che dopo anni e anni di tentativi si trovano ancora fuori casa, o sono state costrette a rientrare in edifici poco sicuri perché il Comune non gli ha riconosciuto alcun contributo per la ricostruzione. Abbiamo deciso che non si poteva andare avanti così, che non potevamo rimanere con le mani in mano, e perciò abbiamo fondato il Comitato, e ci siamo messi al lavoro”. Il Cvr, formato dall’ex sindaco di Bondeno, Daniele Biancardi, da consiglieri comunali della Bassa, nonché da tecnici e operatori che negli anni si sono occupati di tematiche sociali, quindi, si è messo a studiare le oltre 400 ordinanze firmate da Vasco Errani quand’era ancora governatore e commissario alla ricostruzione dell’Emilia Romagna. “Dopo di che abbiamo iniziato a fare qualche verifica sui casi che ci sembravano più lampanti”. Le ordinanze, infatti, non prevedono un indennizzo patrimoniale per i terremotati ma erogano i contributi allo scopo di ripristinare i fabbricati danneggiati, quindi – come specificato dall’ordinanza 119 del 2013 – gli edifici per i quali tale contributo è stato richiesto, che si tratti di un’abitazione o di un’attività commerciale, per ottenere il denaro pubblico dovevano essere utilizzati prima del terremoto. “Non solo: vige anche l’obbligo – precisa Zaniboni – di impiegare l’immobile ristrutturato dopo la ricostruzione, entro 3 mesi nel caso di un’abitazione, ed entro 6 se parliamo di un’attività”, come prevede l’ordinanza 51 del 2012. “Questo però, secondo i dati che abbiamo raccolto, e sui quali ora stanno indagando le forze dell’ordine, non sempre succede, anzi ci sono edifici ricostruiti che sono vuoti da anni. Come mai nessuno se n’è accorto?”. Per effettuare una prima verifica e scrivere gli esposti, il comitato, quindi, ha utilizzato diversi strumenti, a partire da Google maps. “È facilissimo – racconta Zaniboni – molte delle foto disponibili accedendo alla street view di Google maps sono del 2010 o del 2011, e controllando diversi fabbricati ci siamo resi conto che prima del sisma erano in pessime condizioni, quindi teoricamente non avrebbero dovuto ricevere contributi”. Ma per vedere se un immobile prima del terremoto era davvero utilizzato – e perciò meritevole di accedere ai fondi – ci sono altri modi: le bollette dell’elettricità, ad esempio, oppure eventuali pagamenti dell’Imu, o anche il censimento effettuato qualche anno fa sulla popolazione Italiana. “Contestualmente a quello anagrafico, infatti, appena prima del terremoto, nel 2011, è stato condotto il censimento dei fabbricati. Fare un controllo sui dati raccolti dall’Istat, prima di stanziare soldi pubblici, sarebbe stato opportuno”. Invece, secondo il Cvr, almeno 40 casi di rimborso erogato, tra l’Alto ferrarese e Finale Emilia, nel modenese, sarebbero irregolari. “Parliamo di milioni e milioni di euro – dice sempre Zaniboni – Solo i nostri esposti riguardano cantieri per un importo complessivo superiore ai 30 milioni di euro, ma al momento stiamo vagliando altre 100 segnalazioni che ci sono arrivate da tutta l’area del cratere, quindi la cifra potrebbe salire”. Secondo il comitato Sisma.12, voce dei terremotati dal maggio 2012, la soluzione, però, non sono maggiori controlli. “Di regole – sottolinea il portavoce Sandro Romagnoli – ne abbiamo avute tantissime, talmente tante che l’eccesso di burocrazia ha rallentato la ricostruzione che, relativamente alla parte privata, dopo cinque anni non è arrivata a coprire nemmeno il 60% degli immobili interessati dal sisma. Date le premesse, verrebbe da pensare che gli abusi siano stati frutto di connivenza più che di mancanza di controlli e, confidiamo, saranno perseguiti dalla magistratura”. Tuttavia, precisa Sisma.12, “ci sembra sbagliato e pericoloso giocare a trova il furbetto in una situazione in cui la ricostruzione è lontana dall’essere completata e la solidarietà del giugno e luglio 2012 ha lasciato il posto ad affermazioni che vedono il terremotato come un fortunato che si è ritrovato una casa nuova a spese della collettività. Non condividiamo questa operazione di Cvr perché pensiamo che, così com’è fatta, risulti uno ‘sparare nel mucchio’”. Il Cvr però non è d’accordo, e anzi, si prepara a un viaggio a Bruxelles, per portare il caso all’attenzione dell’Europa. “Noi non vogliamo assolutamente rallentare la ricostruzione – precisa Nelson Zagni, del Cvr – anzi, chiediamo che chi ne ha diritto riceva i fondi il prima possibile. Ma se chi non doveva avere nulla ha ottenuto rimborsi da centinaia di migliaia di euro allora bisogna recuperare quel denaro, e bisogna anche capire perché, per colpa di chi, perché questi illeciti sono pagati sulla pelle delle oltre 6 mila persone che attendono ancora, dopo 5 anni, di ricostruire le proprie case. I dati della Regione Emilia Romagna parlano di uno 0,52% di casi di irregolarità, ma noi i conti non tornano. Abbiamo raccolto segnalazioni di cittadini che ci hanno parlato di professionisti che dopo il sisma giravano per la bassa proponendo ai privati di ristrutturare vecchi ruderi promettendo: tanto non ti costa nulla. Questi sono fatti gravissimi, e vanno verificati”.

Autonoma sistemazione, il contributo che non c’è. Le misure per l’economia. In arrivo i container ma saranno collettivi. Timori per le ordinanze con i dati sbagliati. Le comunicazioni del Comune di Norcia. Marini chiarisce la questione "casette", scrive Sara Fratepietro l'08 novembre 2016 su "Tuttoggi". La Regione Umbria ha confermato quanto anticipato dal Comune di Norcia: arrivano finalmente i soldi per il contributo per l’autonoma sistemazione. Soldi che decorreranno dalla data dell’ordinanza di inagibilità dell’immobile (in alcuni casi la gente è fuori casa dal 24 agosto ma l’ordinanza è arrivata diverse settimane dopo). Di seguito la nota della Regione: "In considerazione dell’urgente necessità di erogare i contributi per l’autonoma sistemazione ai nuclei familiari la cui abitazione principale sia stata distrutta in tutto o in parte o sia stata sgomberata dopo il terremoto, la Regione Umbria ha anticipato la liquidazione di oltre 515mila euro a 16 Comuni umbri. Le risorse, a valere sugli stanziamenti da parte del Governo in conseguenza dello stato di emergenza a seguito degli eccezionali eventi sismici, coprono il fabbisogno stimato dalle amministrazioni comunali fino alla data del 31 ottobre, tenendo conto anche delle necessità dei Comuni di Norcia, Cascia, Monteleone di Spoleto e Preci che, a causa dell’inagibilità delle sedi comunali, non hanno potuto formalizzare la richiesta dei contributi. La parte più cospicua delle risorse, 392mila euro, è destinata per soddisfare le 351 domande di contributo per l’autonoma sistemazione finora pervenute al Comune di Norcia". Oltre alle 351 che hanno chiesto il Cas a Norcia, ce ne sono 48 a Spoleto, 34 a Cascia, 10 a Foligno, 9 a Marsciano, 6 a Cerreto di Spoleto, 4 a Preci, 3 a Scheggino, 2 a Campello e a Sant’Anatolia e 1 a Bevagna, Montecastrilli, Sellano, Terni, Todi e Monteleone di Spoleto. Si tratta di tutte richieste presentate in seguito al sisma del 24 agosto, mentre per gli ultimi eventi del 26 e 30 ottobre le domande dovranno essere ancora presentate. Puntare sui contributi per l’autonoma sistemazione (Cas) e l’ospitalità nelle strutture ricettive: sono queste le indicazioni che dal 24 agosto arrivano dal Governo e dalla Protezione civile. Peccato però che dal primo terremoto, quello con epicentro Accumoli che ha devastato Amatrice provocando danni in quattro Regioni, ai cittadini, per lo meno quelli umbri, non sia arrivato nemmeno un soldo. Dal 24 agosto, quindi, chi è fuori casa perché una casa non l’ha più deve fare i conti non solo con l’assenza di reddito (visto che l’economia dei territori interessati è quasi del tutto ferma) ma anche con spese in più. La situazione potrebbe finalmente cambiare nei prossimi giorni: il sindaco di Norcia Nicola Alemanno ha infatti annunciato lunedì sera l’arrivo dei soldi. Chi ha scelto l’autonoma sistemazione ha diritto ad un contributo che varia dai 200 ai 600 euro (con un “bonus” per chi ha in famiglia invalidi o persone over 65 di altri 200 euro); i nuclei composti da una sola persona hanno diritto a 300 euro. Tale cifra deve servire sia per poter prendere un’abitazione in affitto, nella propria città o in un’altra, sia per mantenersi, cioè per comprare da mangiare e per pagare le bollette. A proposito di bollette, dovendo mantenere gli sfollati la residenza nella casa terremotata, i contratti per le utenze sono quelli per le seconde case, quindi che prevedono costi più alti. Un problema segnalato da settimane (e che ha riguardato anche gli sfollati dei precedenti terremoti) a cui non sembra al momento sia stata trovata soluzione. Chiaro poi che chi si allontana dal territorio – come è il caso di molti sfollati della Valnerina – in molti casi attualmente è senza lavoro (vero è che sono previsti ammortizzatori straordinari) o in altri casi deve ogni giorno fare diversi chilometri per tornare nel luogo di lavoro, in questo caso con spese ulteriori. Va meglio a chi ha scelto di stare in albergo. La Regione ha attivato un servizio di trasporto pubblico quotidiano che porta fino a Norcia e Cascia dalle strutture del Trasimeno che ospitano attualmente circa un migliaio di persone. Per lo Stato, però, il costo è molto più alto. Agli alberghi vengono rimborsate cifre che vanno da 25 a 40 euro al giorno a persona (il 50% per chi ha meno di 12 anni), a seconda che venga garantito pernottamento più prima colazione, mezza pensione o pensione completa. Le cifre sono stabilite da un accordo interregionale tra Regioni e associazioni di settore, valutando quello che dovrebbe essere un equo compenso per le spese. A rimborsare le strutture ricettive sono direttamente le Regioni: gli alberghi presentano fattura alla fine del mese e vengono pagati entro 60 giorni, così stabilisce l’avviso pubblico della Regione Umbria. Facendo un esempio concreto, l’ospitalità completa di una famiglia tipo di tre persone (madre, padre e figlio under 12) costa quindi all’ente 3.000 euro al mese. Cifra che è ben distante dai 600 euro a cui quella stessa famiglia avrebbe diritto prendendo casa in affitto autonomamente. Ma il problema principale è che chi è negli alberghi non deve tirar fuori un soldo, mentre chi ha scelto l’autonoma sistemazione finora ha dovuto anticipare tutte le spese, senza vedere – dopo oltre 2 mesi – ancora un euro di rimborso. Se gli alberghi vengono gestiti direttamente dalla Regione, il contributo per l’autonoma sistemazione prevede invece che i Comuni rendicontino al dipartimento di protezione civile la situazione per poi ricevere le somme da destinare alla popolazione. Un’attività burocratica che si aggiunge alle tante che vedono impegnate le piccole e piccolissime amministrazioni comunale umbre coinvolte dal terremoto del 24 agosto e dai successivi. Su questo fronte, però, finalmente qualcosa sembra muoversi.  A darne notizie è stato nella tarda serata di lunedì il sindaco di Norcia Nicola Alemanno. Che per comunicare con la cittadinanza ha scelto di pubblicare dei “video comunicati” su Youtube. Una scelta, quella dell’insolita modalità comunicativa (che Alemanno ha già sperimentato in passato), motivata dal “bisogno di darvi moltissime informazioni in poco tempo”.  Il primo cittadino ha infatti spiegato di non poter girare tra la popolazione, ma di dover per forza essere presente al Coc. “Da domattina ci verranno accreditati i soldi per i primi 2 mesi del Cas e cominceremo con le liquidazioni” ha quindi annunciato in merito ai contributi per l’autonoma sistemazione. Alla data di oggi, secondo quanto comunica il dipartimento nazionale di protezione civile, in Umbria 1.080 persone si trovano negli alberghi del Trasimeno, circa 200 in altre strutture ricettive sul territorio locale, 367 in tenda e quasi 3.200 in strutture di prima accoglienza allestite a livello comunale. Non si ha il dato preciso di quante persone sono fuori casa ed usufruiscono del contributo per l’autonoma sistemazione. Nel solo Comune di Norcia alla data del 27 ottobre ad usufruire del Cas erano in 367. Ovvio che la situazione ora è cambiata. Il problema è che a Norcia non ci sono nemmeno i moduli. Un avviso dell’amministrazione comunale ai terremotati dei giorni scorsi spiega che “per le richieste dei container e per l’autonoma sistemazione i moduli saranno presumibilmente disponibili dalla prossima settimana”. Vale a dire questa settimana. La data ipotizzata è l’11 novembre e per informazioni (sempre per quanto riguarda Norcia) si potrà telefonare ai numeri 0743.816907 o 0743.824173. Anche su questo punto Alemanno ha voluto far chiarezza: “Nessuna domanda del cas o per la richiesta di moduli abitativi è stata persa. Rispetto ai moduli per richiedere le casette, dovremo prima ricominciare con le verifiche su tutte le abitazioni ed in ragione dell’abitabilità o meno si potranno richiedere”. Poi c’è la questione container. A Norcia c’è chi dorme ancora in macchina, o ha provveduto autonomamente con camper, roulotte o altro. Molti sono coloro che dormono nelle strutture allestite da Comune, protezione civile e Pro loco. Lo stesso avviene anche negli altri Comuni, come Preci e Cascia, ma non solo. Per dare una risposta alle richieste della gente, in attesa ai tanto attesi moduli abitativi provvisori, arriveranno i container. Il Governo e la Regione hanno parlato di un loro arrivo entro fine dicembre. Quello che però si è scoperto solo nelle ultime ore è che non saranno i container conosciuti già in Valnerina dopo il terremoto del 1979 e quello del 1997. Si tratta infatti di container collettivi: avranno circa 50 posti letto (si parla di 25 stanze) e degli spazi comuni per bagni e docce oltre che per il giorno, con cucina. Lo conferma il sindaco Alemanno: “Si tratta di una situazione provvisoria, abbiamo individuato tutte le aree per posizionarli. Contemporaneamente stiamo lavorando anche per le casette. I container saranno utilizzati con il modello delle tende collettive, saranno un pochino più ospitali delle tende collettive. Ci saranno spazi per cucinare e mangiare, spazi per lavare e stirare, ci saranno spazi per socializzazione. È una struttura che ci dovrà accompagnare fino a quando a Norcia non arriveranno le nostre casette”. Quando ai moduli per richiedere i container, “al momento non c’è bisogno di fare nessuna domanda, non siamo pronti per riceverle. Se serviranno ve lo comunicheremo quando sarà il momento”. Va ricordato che le istituzioni si trovano ad affrontare un’emergenza senza precedenti. Dal 24 agosto ci sono stati tre diversi terremoti di grande entità, in un’area molto vasta. Ed il fatto che nelle ultime due scosse, quelle del 26 e del 30 ottobre, non ci siano stati miracolosamente morti o feriti gravi non cambia le difficoltà di gestione della situazione. Ad oggi, sono più di 31.700 le persone assistite dal Servizio Nazionale della Protezione Civile in quattro regioni, Umbria, Marche, Lazio e Abruzzo. In particolare, sono oltre 20.400 assistiti in palazzetti, centri polivalenti e strutture allestite ad hoc nel proprio comune, oltre 9.100 le persone accolte presso le strutture alberghiere lungo la costa adriatica e sul lago Trasimeno e circa 1.800 in strutture ricettive distribuite sul territorio. Restano, infine, assistite in tende circa 400 persone, di cui appena una quarantina nel Lazio e le restanti in Umbria. Le amministrazioni comunali sono costrette ad operare in strutture provvisorie o in tende. A Norcia il Comune è stato chiuso a fine agosto e dal 30 ottobre è stato dichiarato inagibile anche il Coc, sotto Porta Romana. Che è stato prontamente allestito in una struttura provvisoria nello stesso piazzale. Viste le difficoltà nei mezzi a disposizione, in alcuni casi possono subentrare problematiche varie. E da questo punto di vista alcuni cittadini si sono accorti che le ordinanze di inagibilità emesse dopo il 24 agosto presentano errori in merito, ad esempio, alle particelle catastali. “Le ordinanze sono indispensabili sia per ottenere il contributo per l’autonoma sistemazione che per i futuri contributi per la ricostruzione” ricorda uno di loro, che ha prontamente segnalato il fatto al Comune ma che come altri ha paura che gli errori possano inficiare tali contributi. Vista la particolarità della situazione, l’auspicio è che non sarà così. Nel sito internet del Comune di Norcia e nella propria pagina Facebook, l’amministrazione nursina ha pubblicato vari avvisi, oltre ai video già citati su Youtube.  Per quanto riguarda l’assistenza alla popolazione, il sindaco ha spiegato: “Abbiamo oltre 650 persone nelle nostre frazioni e oltre 250 qui a Norcia. I posti letto sono quasi al completo, ma se ci sono altre esigenze fateci sapere, saremo felici di organizzare altre strutture per dare risposta a nuove esigenze”. Due invece i punti mensa nel capoluogo, presso gli impianti sportivi Allegrini e il palazzetto del tennis. Tutti ne possono usufruire. Poi ci sono quelli nelle frazioni: a Savelli, San Pellegrino, Campi ed Ancarano. Il Comune sta organizzando una mensa anche a Forsivo. “I nostri magazzini per i viveri sono a vostra completa disposizione, noi amministratori comunali siamo a vostra disposizione 24 ore su 24, al telefono o qui al Coc” è stato il messaggio di Alemanno ai suoi concittadini. Quando a chi è in albergo, “chiunque di voi vuole rientrare, siamo pronti per ospitarvi. Se non vi è la necessità di rientrare in città per motivi di lavoro o scolastici potete tranquillamente restare dove siete. Se avete la necessità di avvicinarvi, potete prendere contatti con le nostre strutture”. In merito alle scuole, “il 14 novembre con ogni probabilità noi metteremo in funzione la nuova struttura prefabbricata”. All’interno ci saranno 17 classi, divise in due turni. “Abbiamo già avviato le procedure per costruire un secondo istituto scolastico, avremo così possibilità di far partire anche scuola materna e togliere i turni dall’istituto che adesso abbiamo messo a disposizione”. Attenzione poi ai cimiteri, molti dei quali sono crollati, con i loculi venuti giù ed anche bare tornate alla luce. “Stiamo operando – ha spiegato Nicola Alemanno – per mettere in sicurezza le nostre bare, le stiamo recuperando.  Presto anche voi potreste tornare a far visita ai nostri cari in condizioni di sicurezza ed anche di decenza”. Infine un messaggio di ringraziamento a chi sta mandando aiuti da tutta Italia, alle forze dell’ordine, ai volontari, al personale dei vari enti coinvolti. E poi l’appello alla popolazione: “Sappiamo bene di non riuscire a dare risposte a tutte le vostre esigenze, ma siamo a vostra disposizione. Telefonateci, venite qui al Coc. Abbiamo bisogno di esser uniti, solo uniti si esce da questa situazione. Ricostruiremo Norcia più bella e più sicura di prima”. La giornata di lunedì è stata caratterizzata anche dal rinvigorirsi delle discussioni in merito alle casette di legno del 1997, cavallo di battaglia del Movimento 5 stelle. Casette in alcuni casi vuote, come quelle nel Folignate, ma ci sono anche strutture tornate ad essere utilizzate negli ultimi giorni nel versante della Valnerina (nella zona di Preci e Sellano in particolar modo). A fare chiarezza è stata la Regione Umbria con una nota. I residui “moduli abitativi provvisori” in legno, le cosiddette “casette”, realizzate in alcuni comuni umbri circa 20 anni fa per accogliere i cittadini rimasti senza casa a seguito degli eventi sismici del 1997 e 1998, sono attualmente gestiti dalle amministrazioni comunali in cui insistono ed utilizzate da più soggetti sulla base di comodato d’uso o locate, con la precisa condizione che in caso di necessità le stesse devono essere immediatamente restituite. Scelta, questa, che ha consentito ai Comuni di preservare questo patrimonio e non farlo deperire. È quanto precisa la Regione Umbria.    Va ribadito che queste strutture, collocate in prevalenza nei territori di Foligno e Nocera Umbra, sono infisse al suolo e non smontabili, a differenza dei nuovi prototipi di moduli provvisori che saranno montati nelle zone della Valnerina. Quand’anche si volesse procedere ad un loro smontaggio e rimontaggio, i costi sarebbero addirittura superiori a quelli per l’acquisto di nuovi moduli e sarebbe inoltre alquanto complessa la procedura per certificarne l’abitabilità. In ogni caso, per ciò che riguarda la situazione in Umbria, all’indomani del sisma del 24 agosto scorso il sistema regionale di Protezione civile aveva assicurato una collocazione di tutti i cittadini coinvolti dal sisma e che avevano dovuto abbandonare le proprie abitazioni, in situazioni assolutamente confortevoli, nelle proprie aree di residenza, come l’autonoma sistemazione o la sistemazione alberghiera, in attesa delle “casette” nei Comuni interessati dal sisma. Dunque, non c’era alcuna necessità di far ricorso a “casette”, peraltro in località distanti dai propri luoghi di residenza. Attualmente, infatti, i residui campi dove sono presenti questi moduli distano circa 80 chilometri da Norcia o da altre località della Valnerina, con tempi di percorrenza di oltre 90 minuti. A seguito della successiva crisi sismica del 26 ottobre, e di quella ben più grave del 30 ottobre, in presenza di un elevato numero di cittadini fuori dalle proprie abitazioni, su giusta indicazione della Protezione civile nazionale, si è proceduto – nella stessa giornata del 30 ottobre – ad assicurare a chiunque ne avesse fatto richiesta una collocazione in strutture alberghiere fuori dall’area dove era in atto la crisi sismica. Ciò per la duplice ragione di mettere in sicurezza i cittadini, offrire loro una adeguata e confortevole collocazione ed al tempo stesso garantire ai cittadini luoghi in grado di offrire loro anche maggiore serenità.  Per ciò che riguarda i moduli abitativi provvisori presenti in altri comuni della Valnerina, questi sono stati utilizzati proprio per il fabbisogno di queste comunità, mentre l’amministrazione comunale di Foligno – in seguito al sisma del 26 ottobre – aveva dato la disponibilità anche ai Comuni marchigiani (per i quali le due scosse del 26 ottobre erano state alquanto distruttive) all’eventuale utilizzo dei moduli provvisori presenti nei campi di Colfiorito, in quanto vicini all’area colpita.    È ora in corso una ulteriore ricognizione da parte delle amministrazioni comunali di Foligno e Nocera Umbra per verificare il numero di moduli disponibili che potranno essere assegnati ai terremotati che ne faranno richiesta.   Occorre precisare, però, che obiettivo del sistema regionale della Protezione civile è quello di offrire ai cittadini una collocazione presso i luoghi di residenza, nell’immediato attraverso l’uso dei container e successivamente nelle nuove “casette”. In sostanza, poter riportare le persone nei loro luoghi, offrendo soluzioni abitative nuove e confortevoli, e non moduli costruiti venti anni fa e in località lontane. Questo, avendo ascoltato le loro richieste, riteniamo sia il desidero degli stessi cittadini: poter al più presto tornare nei propri territori e vicini anche ai propri luoghi di lavoro. Intanto sul fronte burocratico qualcosa dovrebbe migliorare grazie alle ultime disposizioni del dipartimento di protezione civile nazionale. “Dopo le ultimi forti scosse del 26 e del 30 ottobre – spiega l’organismo diretto da Fabrizio Curcio – i sindaci dei Comuni maggiormente interessati possono chiedere l’attivazione di una procedura FAST-Fabbricati per l’Agibilità Sintetica post-Terremoto, per la verifica dell’agibilità post sismica degli edifici privati. Questo tipo di valutazione consente di individuare le esigenze abitative sul territorio”. La procedura. La ricognizione può essere fatta su singoli edifici oppure su una serie di fabbricati che si trovano in un’area perimetrata dal Sindaco. L’esito della valutazione, riportato in una scheda sintetica, può essere: edificio agibile, edificio non utilizzabile ed edificio non utilizzabile per solo rischio esterno. Nel caso non sia possibile fare il sopralluogo, nella scheda si precisa che questo non è stato eseguito, per difficoltà di accesso nell’area o assenza del proprietario. Le verifiche non possono essere fatte nelle aree maggiormente distrutte, che sono perimetrate con ordinanza sindacale, nelle quali gli edifici dovrebbe essere tutti non utilizzabili. Sono i Centri Operativi Comunali le strutture territoriali che gestiscono la procedura FAST. Inoltre, è compito del Sindaco o del Centro Operativo Comunale informare i cittadini, circa le date delle verifiche, tramite lo strumento che si ritiene più opportuno, ad esempio attraverso la stampa locale. Le squadre. Possono svolgere sopralluoghi i tecnici (architetti, ingegneri e geometri) reclutati dai Consigli Nazionali e dalle Amministrazioni di appartenenza, nel caso di pubblici dipendenti, e successivamente accreditati dalla Dicomac. I professionisti devono essere abilitati all’esercizio della professione con competenze di tipo tecnico e strutturale nell’ambito dell’edilizia e devono essere iscritti a un ordine/collegio professionale. Per quanto riguarda i tecnici impiegati in una Pubblica Amministrazione, questi devono essere in possesso di un titolo di studio relativo a competenze di tipo tecnico strutturale e, qualora non iscritti ad un ordine professionale o senza abilitazione, dotati di una dichiarazione dell’amministrazione di appartenenza che comprovi la consolidata esperienza nel settore. Questa procedura non sostituisce la procedura con scheda Aedes per quanto concerne gli aspetti relativi alla ricostruzione. Sul fronte economico, la Giunta regionale velocizza e semplifica le procedure a sostegno delle imprese danneggiate dal sisma. La concessione della garanzia sarà automatica e subordinata all’affidamento bancario, con la procedura di autocertificazione: è quanto prevede l’atto approvato lunedì mattina dalla Giunta regionale.  Il provvedimento si propone di dare risposte rapide alle aziende colpite dal sisma e ciò anche in deroga alle normali procedure.  La giunta regionale ha attivato all’indomani del sisma del 24 agosto scorso una serie di interventi a sostegno delle imprese e dei lavoratori coinvolti. Essi riguardano: l’accesso al credito, la moratoria garanzie Gepafin, interventi di riassicurazione a favore di consorzi e cooperative di garanzia fidi, l’attivazione di un coordinamento con ABI regionale e il sostegno alle imprese dei settori turismo, commercio e servizi. Ulteriori strumenti o una rimodulazione degli esistenti potranno essere attivati sulla base del confronto con Abi e le banche già attivato in linea tecnica nei giorni scorsi, e alla luce delle esigenze e dei fabbisogni che emergeranno dal sistema produttivo umbro. In particolare per l’accesso al credito la Regione Umbria metterà a disposizione delle imprese un insieme di misure di garanzia finalizzate ad interventi sulla liquidità aziendale e sul capitale circolante a favore delle imprese che hanno subito gli effetti del sisma. Le garanzie saranno rilasciate da Gepafin a fronte di finanziamenti chirografi di importo massimo pari a 250.000 mila euro e di durata compresa fra 12 e 60 mesi. La garanzia concessa da Gepafin potrà arrivare fino all’80% del finanziamento concesso. Gli interventi potranno essere effettuati a favore di imprese che dimostrino gli effetti del sisma rispetto ai livelli di attività economica (fatturato, ricavi, ecc.) in cogaranzia con consorzi e cooperative di garanzia fidi. Sarà attivata automaticamente la moratoria garanzie Gepafin, in connessione con le moratorie concesse dalle banche sui finanziamenti garantiti da Gepafin. Per quanto riguarda gli interventi di riassicurazione a favore di consorzi e cooperative di garanzia fidi sono previste azioni di supporto alle imprese per favorire l’accesso al credito attraverso la riassicurazione concessa a favore di consorzi e cooperative di garanzia fidi e l’eventuale estensione dell’operatività in essere sullo specifico strumento di riassicurazione già attivo nell’ambito della programmazione comunitaria 2007-2013. In caso si renda necessario è demandata al dirigente del servizio internazionalizzazione del sistema produttivo e finanza d’impresa la eventuale proroga della operatività dello strumento. E’ stato inoltre attivato un coordinamento con ABI regionale per integrare gli strumenti regionali con le specifiche iniziative quali moratorie e/o plafond specificamente attivate dalle singole banche a favore di imprese e privati. E’ infine previsto il sostegno alle imprese dei settori turismo, commercio e servizi ad accompagnamento di altri specifici interventi attivati dalla Regione con propri avvisi pubblici a favore delle imprese turistiche, del commercio e dei servizi potrà essere previsto il sostegno di Gepafin con il rilascio di garanzie a favore dei beneficiari indicati.   La Giunta ha inoltre stabilito che per gli interventi per i quali è previsto l’intervento di Gepafin quest’ultima potrà utilizzare le risorse libere dei fondi a favore delle imprese già in gestione presso la società e, con l’atto di oggi, che la concessione della garanzia sarà automatica e subordinata all’affidamento bancario, con procedura di autocertificazione in relazione agli effetti subiti dalle imprese a causa del sisma.

Già, perché? Si chiede Oliviero Beha l'8 novembre 2016. Come è possibile che queste domande non rimbalzino sui media? Che ci stanno a fare? Negli Usa il cosiddetto “citizen journalism” serve a questo. Grazie, Milena. Riceviamo & Pubblichiamo la segnalazione di Milena Zucchi: "Qualcuno può cercare quale è la ditta così speciale che ha vinto l’appalto per fare le casette ai terremotati, (tutte…) che ci metterà tanto tempo a farle, e che costeranno 66.000 euro l’una, tutti extra esclusi, compresi gli allacciamenti… chi è questo fortunato? Chi altro ha partecipato a questa speciale gara di appalto? Condividete… vediamo di quale amico si tratta se fossero state ordinate a tante ditte diverse avrebbero dato lavoro a molti e sarebbero state pronte prima… e forse anche a minor prezzo… i privati che volevano pagarsele e ordinarsele non hanno potuto farlo, chi voleva regalarne qualcuna non ha potuto farlo? Che misteri sono questi? E perché quelle 700 casette vuote a 20 km da Norcia non vengono offerte almeno provvisoriamente? Perché?

Terremoto Amatrice, casette di legno pronte (ma nessuno le vuole), scrive il 7/11/2016 Luigi Perfetti su “L'ultima Ribattuta". In una intervista a Il Tempo, Giorgio Pollastrelli (a capo di un’azienda che in sole due settimane costruì le casette in legno dopo il terremoto de L’Aquila) spiega che è già pronto per mettere un tetto sulla testa degli sfollati di Amatrice. Ma nessuno lo ha contattato. Non si capacita l’Ad della Rubner, una delle ditte che ricostruì le abitazioni in Abruzzo, del fatto che nessuno abbia chiesto il suo intervento. Soprattutto perché la sua azienda sarebbe in grado di dare una casa a chi l’ha persa nel terremoto in poche settimane. E, con l’arrivo dell’inverno, la tempistica è fondamentale. La vicenda assume connotati ancor più grotteschi se si pensa che la Protezione Civile afferma che le case, ad Amatrice, arriveranno tra soli sei mesi. Sei mesi, contro le tre settimane stimate da Pollastrelli per fornire alla popolazione case di legno, antisismiche, esteticamente belle. E, soprattutto, definitive. Inoltre, il decreto uscito i primi di settembre che stabilisce la possibilità per i sindaci di autorizzare per le persone a farsi costruire casette di legno in modo provvisorio nel proprio giardino. Ma nessuno lo ha fatto. Perché? «Se lo Stato ci chiedesse di intervenire in emergenza – spiega Pollastrelli – potremmo coinvolgere i carpentieri di tutta Italia, in questo momento senza lavoro. E le altre aziende che in Europa producono come noi questo tipo di moduli abitativi». E invece tutto tace. Sarà che ci saranno “altri interessi” sotto? Altrimenti non si spiega…

Terremoto Centro Italia, appalto alla Coop fuorilegge, scrive il 4/11/2016 Luigi Perfetti su “L’ultima Ribattuta". Una commessa da 1,1 miliardi di euro per gli alloggi degli sfollati del terremoto è stata vinta dall’emiliana Cns (Consorzio Nazionale Servizi società cooperativa). Peccato si tratti di una Coop condannata dal Tar per manipolazione di mercato e per questo sanzionata dall’Antitrust all’inizio del 2016. Una Coop, manco a dirlo, bolognese. Come bolognese (quantomeno di adozione) è Vasco Errani, commissario straordinario del governo per la ricostruzione nei territori colpiti dal sisma del 24 agosto scorso. Che ora, vista la situazione, dovrebbe intervenire e valutare se l’appalto miliardario per la costruzione delle casette post terremoto nel Centro Italia vinto dalla Cns sia lecito. Nell’ottobre scorso, il Tar del Lazio ha confermato le accuse dell’Antitrust di “intesa anticoncorrenziale” (leggasi “cartello”) della Cns e per questo motivo ha sanzionato il Consorzio (insieme a Manutencoop Facility Management, Roma Multiservizi e Kuadra) con una multa di oltre 110 milioni di euro complessivi. In una situazione del genere, le stazioni appaltanti e gli enti pubblici dovrebbero procedere in via cautelativa all’esclusione dalle gare di queste imprese, quantomeno per una questione di opportunità (visti i principi di onorabilità e rispettabilità tanto cari alla pubblica amministrazione). Ora ci si attende che, in qualche modo, Errani intervenga e non si lasci influenzare dai copiosi finanziamenti che le coop del Consorzio gli ha generosamente elargito negli anni nel corso delle sue campagne elettorali. Lui, uomo delle istituzioni (come si è definito) avrà il coraggio di farlo?

"Case di legno in sette mesi? Macché, bastano 3 settimane". Un costruttore smaschera le bugie del governo: «E a Norcia i moduli abitativi dell'85 sono in piedi», scrive Jacopo Granzotto, Sabato 05/11/2016, su "Il Giornale". Gli altoatesini costruiscono case in legno da sempre. E ci mancherebbe, con tutto quel ben di Dio che si ritrovano a portata di mano. Oltretutto servono tre settimane, un mesetto al massimo per sistemarle e dormire sereni. Queste costruzioni - potremmo dire di lussuosa fortuna - sono un'alternativa intelligente alle abitazioni antisismiche in muratura. Il signor Bruno dalle Pezze della premiata ditta Rubner Haus di Chienes (Bz) può contare su 300 addetti e mezzo secolo d'esperienza in cantiere. Così, quando gli diciamo che le sue case con il «cuore» in legno massiccio costano meno di quelle testè ordinate dalla Protezione Civile per accogliere gli sfollati di Marche e Umbria, si sorprende un po'. «Le ho viste di recente quelle case, sono fatte in struttura metallica con dei tamponcini, non mi dica che costano più delle mie, non è possibile». In effetti è così. Del resto sono il commissario Errani e il direttore della Protezione Civile Curcio che sanno qual è la casa «giusta». Non è un problema per il dottor Delle Pezze. L'azienda funziona, gli ordini non mancano. «Tra l'altro - racconta - abbiamo numerose richieste dalla zona di Norcia, dove ci sono ancora case costruite dopo il terremoto del 1985 che stanno tranquillamente in piedi!». Quanto a sicurezza non bada a spese. «Sono abitazioni che abbiamo testato in Portogallo, lì hanno una piattaforma speciale che si muove nei due sensi, da destra a sinistra e avanti e indietro, proprio come fanno i terremoti. Oddio, servirebbe anche quello sussultorio, ma va bene così...». Lo scorso 24 agosto è andato in Umbria subito dopo il terremoto ed è stato intervistato dalla TgR; il servizio lo ha incollato sul sito web della ditta Rubner. Racconta all'inviata: «La struttura oscilla ma poi torma al suo posto. Il legno è la materia prima che meglio si presta a sopportare le scosse e riesce a scomporre la spinta sismica in tante piccole forze. In questi giorni stanno arrivando molte richieste ma purtroppo siamo bloccati perchè dobbiamo avere il permesso di edificare da parte dei sindaci. Molta gente ci chiede la disponibilità a costruire anche scuole e uffici, ma senza il permesso...». Ad Amatrice fornitura, trasporto e montaggio di ciascuna Sae, così sono state rinominate le casette di legno, ci costerà 66 mila euro Iva esclusa, più i costi di esproprio dei terreni, le opere di urbanizzazione, gli allacciamenti, eventuali urgenze. Perfino più del prezzo stabilito in Abruzzo dalla Protezione civile di Bertolaso. Perché nella cifra del 2009 l'Iva era compresa: 68mila 559 euro per ciascuna delle 3.473 casette, allora chiamate Map. L'Alto Adige sa costruire le case in legno, lo fa bene e in poco tempo. In Umbria stanno ancora aspettando da agosto. Ma a qualcuno frega poco.

Le nuove case di Amatrice più care di quelle all'Aquila. Il costo di un modulo abitativo può superare i 90mila euro, contro i 68mila dell'Abruzzo. E i tempi slittano, scrive Massimo Malpica, Domenica 02/10/2016, su "Il Giornale". Meno sfollati, ma con costi pro capite superiori. Tra le questioni in odore di polemica della ricostruzione post-sisma in Centro Italia c'è anche il prezzo delle casette in legno. Le «Sae», soluzioni abitative d'emergenza, verranno fornite da un raggruppamento temporaneo d'imprese guidato dal colosso delle coop rosse Cns, il consorzio bolognese del quale faceva parte anche una cooperativa di Salvatore Buzzi, protagonista dell'inchiesta Mafia Capitale. La Rti di gusto emiliano, ricorda la protezione civile, ha vinto la gara Consip in tempi non sospetti rispetto al sisma e alla successiva nomina di Errani a commissario della ricostruzione: venne bandita già ad aprile 2014, quando Matteo Renzi era fresco premier. Il dato che però salta agli occhi è che per quell'accordo le unità immobiliari, previste in tre dimensioni, da 40, 60 e 80 metri quadri, costano allo Stato 1.075 euro iva esclusa a metro quadro, un prezzo appena più basso della base d'asta (1.100 più iva). La Rti di cui fa parte Cns dovrà fornire al massimo 850 unità immobiliari: se ne servissero di più, precisa la Protezione civile, con un sistema a cascata verrà chiamata in causa la seconda classificata della gara, il Consorzio stabile Arcale legno, che ha sede a Impruneta, Firenze. Il costo delle case che dovranno accogliere gli sfollati di Amatrice, Accumoli, Arquata e Pescara del Tronto, dunque, ammonterà a 44mila, 66mila o 88mila euro, a seconda delle dimensioni della «Sae», più l'iva. Mentre il dato delle «Map», le casette costruite all'Aquila dopo il terremoto del 2009 e al centro di infinite polemiche, parla di un costo per unità - secondo L'Espresso - di 68.599 euro, ma in quel caso l'iva era già inclusa. E i tempi di consegna più brevi. Ora si parla di circa sette mesi per consegnare le case agli sfollati. Eppure le Sae sono già in costruzione: il 21 settembre Errani, il capo della Protezione civile Fabrizio Curcio e varie autorità regionali erano a Terni, sede della Cosp Tecnoservice, associata Cns, a visitare la Sae modello. La Cosp avrebbe una capacità produttiva di 10 moduli abitativi al giorno. Per farne 850, il massimo previsto dal bando per Cns, dovrebbero volerci meno di tre mesi, ai quali vanno aggiunti i tempi necessari ad allestirle sui terreni (ci vogliono sei giorni a unità, ma se ne possono montare più di una alla volta, naturalmente) individuati e urbanizzati dai comuni, ma certo la stima temporale, stando ai tempi di produzione e montaggio dichiarati il giorno della visita alla «casetta modello», sembra prudente. Sul territorio colpito dal sisma di agosto c'è da registrare poi anche il malumore di alcune sigle sindacali, che temono che eventuali altri appalti nel business della ricostruzione non terranno conto delle realtà imprenditoriali locali, ma proprio i lavori per la preparazione di urbanizzazione dei suoli che ospiteranno le case (le verifiche sono già a buon punto, con diverse decine di sopralluoghi effettuati tra Lazio e Umbria) potrebbe essere una cartina di tornasole per valutare l'attenzione al tessuto economico locale. Quanto ai costi e al confronto con il sisma aquilano, va segnalato anche il Contributo di autonoma sistemazione, ossia la somma fornita agli sfollati per affittarsi in proprio una casa in attesa di avere la Sae. All'Aquila arrivava a 400 euro per una famiglia di 4 o più persone. Per gli sfollati del 24 agosto sono 600 euro per famiglie da 3 persone in su, quando ad Amatrice il prezzo medio di locazione per una villa di 80 mq si ferma a 480 euro.

Il terremoto ad Amatrice è un affare per Pd e coop. L'appalto di un miliardo per la costruzione delle case di legno vinto da un consorzio di Legacoop, scrive Giuseppe Marino, Sabato 01/10/2016, su "Il Giornale". Manco il tempo di iniziare a parlare di ricostruzione e già s'insinua il sospetto che il «modello Emilia» in salsa amatriciana si traduca in una pioggia di appalti per le coop rosse. Dell'area culturale e geografica vicina al commissario per la ricostruzione Vasco Errani del resto fanno parte alcuni giganti delle costruzioni. La voce che ha messo in allarme il mondo produttivo reatino è che sia già pronto un «pacchetto imprese» per le opere di messa in sicurezza dell'area del cratere, pacchetto privo di imprese locali. Forse è solo una diceria. Ma qualche certezza intanto c'è. Una è che il primo appalto, quello per la costruzione dei Map, i moduli abitativi provvisori, ovvero le famose casette di legno che ospiteranno i terremotati fino a ricostruzione completata, sia andato a un gruppo di aziende in cui spicca il ruolo del Cns, un consorzio bolognese targato Legacoop di cui fanno parte 192 cooperative, tra cui una di quelle che facevano riferimento all'onnipresente Salvatore Buzzi. Il Cns, denunciano i Cinque Stelle, «ha già appaltato parte delle costruzioni a un altro gruppo, Cosp Tecnoservice che ha finanziato nel 2015 la campagna di Catiuscia Marini (la governatrice Pd dell'Umbria) sia pure con una somma modesta». L'altra certezza è che i sindacati del Lazio sentono già odore di bruciato e sono corsi a bussare alla porta della Regione per fissare i paletti. I segretari confederali di Cgil, Cisl e Uil nei giorni scorsi hanno incontrato tre assessori regionali presso la Camera di commercio di Rieti, mettendo sul piatto tre richieste: far lavorare manodopera del posto, far lavorare aziende locali e trovare la copertura normativa necessaria a realizzare questi due obiettivi, mettendo in grado le imprese locali, che sono medio-piccole, di entrare nel giro degli appalti. Anche sul versante degli imprenditori c'è più di qualche perplessità. «Già nei primi lavori i materiali sono arrivati da fuori - dice Gianfranco Castelli, presidente uscente di Unindustria Rieti e proprietario di un'azienda proprio ad Accumoli, epicentro del terremoto - se vogliono aiutare questo territorio devono almeno dare una chance di competere alle aziende locali». Il sindaco di Accumoli Stefano Petrucci avvisa i suoi conterranei: «Non possono pensare di partecipare a grandi appalti se non si consorziano e non acquisiscono le qualifiche necessarie». Il terremoto è stato una tragedia terrificante. Il dopo terremoto, è inutile nasconderlo, può portare risorse a un territorio che conta tra le potenziali vittime anche la fragile economia locale. E i numeri sono giganteschi: la stima della Protezione civile è di 3-4 miliardi di danni. L'appalto delle casette è un primo piatto ricco. Bandito dalla Consip nel 2014, in via preventiva, vale 1,188 miliardi, pari a 1.075 euro al metro quadro. Una tariffa che, nota un'inchiesta dell'Espresso, è più cara di quanto pagato all'Aquila. E soprattutto è più di quanto costi qualunque casa ad Amatrice e dintorni, dove i prezzi arrivano a 840 euro al metro quadro. Per una villa.

Terremoto, la corsa del Cns per le «casette», scrive Gianluca Rotondi il 2 novembre 2016 su “Il Corriere della Sera”. Il Consorzio bolognese si era aggiudicato la gara nel 2015, adesso le commesse potrebbero raddoppiare. C’è un ingranaggio bolognese nella macchina messa in campo per aiutare le popolazioni terremotate del Centro Italia. Sarà il Cns (Consorzio nazionale servizi) di Bologna a costruire le casette che ospiteranno le migliaia di sfollati della zona del cratere. Il consorzio iscritto a Legacoop si è infatti aggiudicato in tempi non sospetti la gara indetta e assegnata nel 2015 da Consip — la centrale acquisti della pubblica amministrazione — che prevede la costruzione di soluzioni abitative emergenziali (Sae) in caso di calamità per i prossimi sei anni. Come da contratto, il Cns dovrà garantire l’assemblaggio di 850 casette in legno e acciaio in tempi più rapidi possibili per ospitare le popolazioni colpite dal terremoto di Amatrice lo scorso 24 agosto. Una commessa che potrebbe essere raddoppiata dopo il nuovo violento sisma che domenica scorsa ha colpito l’Umbria. Si tratta di una sfida decisiva per un colosso che è faticosamente uscito dalla bufera di Mafia Capitale — la coop 29 giugno di Salvatore Buzzi era tra le associate del Cns e lo stesso Buzzi faceva parte del Consiglio di sorveglianza del consorzio — e da allora ha cambiato completamente il management. «È una corsa contro il tempo, ma siamo pronti a consegnare i Sae entro massimo due mesi da quando la Protezione civile e gli enti locali avranno approntato le fondamenta nelle aree individuate. Presumibilmente ci chiederanno di montare i moduli a partire dalla fine di novembre, ma è difficile fare previsioni», dice il procuratore di Cns Sergio Zaccarelli. L’obiettivo è consegnare le unità abitative molto prima dei sette mesi previsti. Le «casette» saranno in acciaio e legno, dai 40 agli 80 metri quadri, tutte ammobiliate e con caratteristiche energetiche e tecnologiche elevate. Il che spiega, secondo Zaccarelli, il motivo del prezzo previsto per le Sae (1.075 euro al metro quadrato) che tante critiche ha scatenato in questi giorni. «La polemica sui costi ci ha fatto male. Il capitolato è stato fatto considerando prestazioni particolarmente elevate, abbiamo partecipato alla gara con un prezzo tra i più bassi e per quattro anni garantiremo la manutenzione. Si potevano usare case da giardino — dice Zaccarelli — ma si è voluto dare agli sfollati qualcosa che non aggiungesse disagio al dolore. Per noi non si tratta di un’opportunità ma di un impegno, che è anche l’occasione di dare una nuova immagine e una linea di discontinuità rispetto alle vicende di Mafia Capitale. A questo teniamo molto». I moduli abitativi, interamente made in Italy, saranno prodotti a Terni, non lontano dai luoghi del sisma per evitare trasporti dispendiosi e, aggiunge il Cns, garantire un indotto economico a quei territori. «Sono a tutti gli effetti case smontabili e il 60% dei componenti è riutilizzabile. Hanno un primo ciclo di vita di 6 anni ma sono destinate a durare in eterno e ad essere spostate altrove per altre eventuali emergenze. Ora attendiamo gli ordini delle amministrazioni regionali, per ora il fabbisogno è di 850 unità ma dopo l’ultimo sisma ci aspettiamo una impennata. Se poi non dovessimo essere in grado di far fronte agli ordini, il contratto prevede che subentrino il secondo e il terzo classificato. Ma ce la metteremo tutta».

Terremoto, la denuncia de Le Iene: "In Umbria 700 casette vuote e inutilizzate". Inchiesta di Roberta Rei a Norcia e nelle zone colpite dal terremoto: "Casette vuote e terremotati per strada", scrive il 7 novembre 2016 “Perugia Today". “In Umbria c’è la disponibilità di circa 700 casette in legno pronte per essere utilizzate ma rimango inutilizzate, perché sembrerebbe che le istituzione se ne siano dimenticati”. E' questa la denuncia del programma Le Iene che, con un'inchiesta di Roberta Rei a Norcia e nelle zone colpite dal terremoto, solleva la questione delle casette in legno “dimenticate” e “inutilizzate” dopo il terremoto del 1997 in diversi comuni dell'Umbria. Il servizio, dal titolo “Le casette vuote e i terremotati per strada”, è andato in onda domenica 6 novembre. Rei ha intervistato i terremotati e gli sfollati della Valnerina e il consigliere regionale del Movimento 5Stelle dell'Umbria Andrea Liberati. E ancora. Secondo quanto dichiarato da un addetto alla manutenzione di Foligno, “le casette in legno d'estate vengono affittate ai romani per le vacanze”. La governatrice dell'Umbria, Castiuscia Marini, ha spiegato che “le casette non sono trasferibili e che i cittadini vengono assistiti in alberghi adeguati, con pasti caldi e assistenza medica”. La presidente risponde al servizio televisivo andato in onda su Italia1 a riguardo delle vecchie casette di legno (sisma 1997) presenti in zone periferiche a Nocera e Foligno. Non sono utilizzabili, secondo la regione, per tre motivi: ecco quali. E promette: "Se situazione si stabilizza... prenderemo camere d'albergo più vicine alla Valnerina", scrive Nicola Bossi su “Perugia Today il 7 novembre 2016.  "Davvero ridicola e sterile la polemica sollevata in queste ore". La presidente Marini non ci sta. Quel servizio di denuncia de le Iene sulle casette di legno già presenti a Nocera e Foligno (alloggi del sisma del 1997), mentre lo Stato ne sta acquistando altre e paga gli alberghi del perugino e del Trasimeno per ospitare parte degli sfollati, agli occhi della numero uno della Regione Umbria non regge e non porta nessun beneficio alla causa dei 5mila sfollati della Valnerina umbra. "Immaginare di trasferire nelle casette di legno dell'ex sisma del 1997, in comuni lontani - ha spiegato la Marini - una parte degli sfollati non è una soluzione. Sono già attivati due servizi per chi decide di lasciare temporaneamente i propri comuni terremotati: l'assegno per l'autonoma sistemazione (una casa in affitto) o il servizio di alloggio in albergo con pasti caldi, scuole e assistenza sanitaria. Per questo ribadisco che quella sollevata è una polemica sterile". I pochi campi dove resistono le casette - ormai con almeno 17-18 anni sulle spalle -, come confermato dagli uffici Regionali, distano circa 80 chilometri da Norcia o da altre località della Valnerina, con tempi di percorrenza di oltre 90 minuti. "Inoltre va ribadito - continua - che queste strutture, collocate in prevalenza nei territori di Foligno e Nocera Umbra, sono infisse al suolo e non smontabili, a differenza dei nuovi prototipi di moduli provvisori che saranno montati nelle zone della Valnerina. Quand’anche si volesse procedere ad un loro smontaggio e rimontaggio, i costi sarebbero addirittura superiori a quelli per l’acquisto di nuovi moduli e sarebbe inoltre alquanto complessa la procedura per certificarne l’abitabilità".  Il progetto del Governo e della Regione Umbria d'altronde è chiaro: entro Natale moduli abitativi (container) e poi villaggi di casette di legno dove ospitare chi è senza casa e anche le attività commerciali. In questa fase dell'emergenza restano in piedi tende (da sempre sconsigliate dalla Protezione Civile per via delle temperature basse e dell'inverno imminente), l'assegno statale per chi prende una casa in affitto e gli alberghi nel resto della provincia di Perugia. La Marini risponde anche alle accuse di aver voluto "deportare" una parte degli sfollati via dalle proprie città terremotate.  "Non aveva senso e non era sicuro, dopo due mesi di scosse continue che hanno allargato l'area dell'epicentro, prendere alberghi o strutture per l'accoglienza in territori a rischio. Nel futuro prossimo, fase sismica permettendo, abbiamo intenzione, per chi farà richiesta in attesa dei moduli abitativi, di offrire stanze in strutture ricettive più a ridosso alla Valnerina per evitare problemi di collegamento e di lavoro per i cittadini delle zone terremotate". 

Terremoto, polemiche sulle casette di legno. La Regione: “Strutture non smontabili”, scrive il 7 novembre 2016 "Umbria Domani". Casette di legno vuote nei comuni di Sellano, Foligno e Nocera Umbra mentre i terremotati sono stati spediti negli alberghi del Trasimeno o lasciati a dormire nelle auto. E’ questa la tesi del servizio de Le Iene, andato in onda ieri sera. Dieci minuti tesi a dimostrare l’insensatezza delle scelte intraprese, con intervista al consigliere regionale M5S Andrea Liberati e un “assalto” alla presidente della Regione Catiuscia Marini. “I residui “moduli abitativi provvisori” in legno, le cosiddette “casette”, realizzate in alcuni comuni umbri circa 20 anni fa per accogliere i cittadini rimasti senza casa a seguito degli eventi sismici del 1997 e 1998, sono attualmente gestiti dalle amministrazioni comunali in cui insistono – precisano da Palazzo Donini – ed utilizzate da più soggetti sulla base di comodato d’uso o locate, con la precisa condizione che in caso di necessità le stesse devono essere immediatamente restituite. Scelta, questa, che ha consentito ai Comuni di preservare questo patrimonio e non farlo deperire”. “Va ribadito che queste strutture, collocate in prevalenza nei territori di Foligno e Nocera Umbra, sono infisse al suolo e non smontabili, a differenza dei nuovi prototipi di moduli provvisori che saranno montati nelle zone della Valnerina. Quand’anche si volesse procedere ad un loro smontaggio e rimontaggio, i costi sarebbero addirittura superiori a quelli per l’acquisto di nuovi moduli e sarebbe inoltre alquanto complessa la procedura per certificarne l’abitabilità. In ogni caso, per ciò che riguarda la situazione in Umbria, all’indomani del sisma del 24 agosto scorso il sistema regionale di Protezione civile aveva assicurato una collocazione di tutti i cittadini coinvolti dal sisma e che avevano dovuto abbandonare le proprie abitazioni, in situazioni assolutamente confortevoli, nelle proprie aree di residenza, come l’autonoma sistemazione o la sistemazione alberghiera, in attesa delle “casette” nei Comuni interessati dal sisma. Dunque, non c’era alcuna necessità di far ricorso a “casette”, peraltro in località distanti dai propri luoghi di residenza. Attualmente, infatti, i residui campi dove sono presenti questi moduli distano circa 80 chilometri da Norcia o da altre località della Valnerina, con tempi di percorrenza di oltre 90 minuti. A seguito della successiva crisi sismica del 26 ottobre, e di quella ben più grave del 30 ottobre, in presenza di un elevato numero di cittadini fuori dalle proprie abitazioni, su giusta indicazione della Protezione civile nazionale, si è proceduto – nella stessa giornata del 30 ottobre – ad assicurare a chiunque ne avesse fatto richiesta una collocazione in strutture alberghiere fuori dall’area dove era in atto la crisi sismica. Ciò per la duplice ragione di mettere in sicurezza i cittadini, offrire loro una adeguata e confortevole collocazione ed al tempo stesso garantire ai cittadini luoghi in grado di offrire loro anche maggiore serenità”. Per ciò che riguarda i moduli abitativi provvisori presenti in altri comuni della Valnerina, questi sono stati utilizzati proprio per il fabbisogno di queste comunità, mentre l’amministrazione comunale di Foligno – in seguito al sisma del 26 ottobre – aveva dato la disponibilità anche ai Comuni marchigiani (per i quali le due scosse del 26 ottobre erano state alquanto distruttive) all’eventuale utilizzo dei moduli provvisori presenti nei campi di Colfiorito, in quanto vicini all’area colpita. È ora in corso una ulteriore ricognizione da parte delle amministrazioni comunali di Foligno e Nocera Umbra per verificare il numero di moduli disponibili che potranno essere assegnati ai terremotati che ne faranno richiesta. Occorre precisare, però, che obiettivo del sistema regionale della Protezione civile è quello di offrire ai cittadini una collocazione presso i luoghi di residenza, nell’immediato attraverso l’uso dei container e successivamente nelle nuove “casette”. In sostanza, poter riportare le persone nei loro luoghi, offrendo soluzioni abitative nuove e confortevoli, e non moduli costruiti venti anni fa e in località lontane. Questo, avendo ascoltato le loro richieste, riteniamo sia il desidero degli stessi cittadini: poter al più presto tornare nei propri territori e vicini anche ai propri luoghi di lavoro”.

“Le case donate sono abusive”. L’ultima beffa per i terremotati. Amatrice, il Comune ordina lo sgombero: violano il piano regolatore, scrive il 27/09/2016 Flavia Amabile su “La Stampa”. La prima casetta di legno è arrivata tre giorni fa. L’ha consegnata l’associazione La Via del Sale Onlus ad Antonio Guerrini, allevatore, uno dei tanti che da oltre un mese sta vivendo tra mille disagi in tenda nei boschi di Amatrice e Accumoli pur di non allontanarsi dal suo lavoro. Hanno portato la casetta fino a Faizzone, 960 metri sul livello del mare. L’hanno montata, effettuato gli allacci, mentre il signor Antonio e la famiglia speravano di poter finalmente soffrire un po’ meno il freddo e la pioggia. Niente da fare. La mattina seguente è arrivato un tecnico del comune per ordinare lo sgombero: la casetta è un abuso edilizio. Anche se si trova nel terreno del signor Guerrini. Anche se è evidente a tutti che si tratta di un’emergenza e di una necessità. Anche se sono state impiegate risorse, energie, tempo. È un miracolo sopravvivere al terremoto. È una fatica quotidiana convivere da oltre un mese con il dolore e le difficoltà di una vita da ricostruire, ma per gli sfollati di Lazio e Marche doversi scontrare con la burocrazia italiana si sta trasformando in una beffa incomprensibile. In base alle norme si può installare una roulotte, un camper, qualsiasi mezzo o struttura con ruote. Tutto il resto rientra nella categoria struttura fissa e diventa una violazione del piano regolatore. «Ci vorrebbe un’ordinanza del sindaco che chieda una deroga», spiega Angelo Fabi, veterinario, che dal 24 agosto ogni giorno gira tra le montagne di Accumoli e Amatrice per distribuire aiuti. Se non sarà presto emessa l’l’ordinanza tutte le casette in arrivo grazie al buon cuore degli italiani diventeranno abusive e quindi da buttare via e demolire. È la burocrazia italiana, la stessa che sta bloccando 18 casette in legno vuote, un sogno per decine di persone. Appartengono all’Anas che le aveva utilizzate per i propri dipendenti durante il terremoto dell’Aquila. Oggi sono abbandonate ma in ottime condizioni. L’Anas ha accettato volentieri di metterle a disposizione degli sfollati del terremoto del 24 agosto. «Ma è necessario un provvedimento del comune e della protezione civile», fanno sapere dall’azienda. Che invece restano in silenzio. Problemi in vista anche per i bagni chimici che in tanti si sono offerti di donare a chi è rimasto a vivere nei boschi: potrebbe arrivare un ordine di sgombero se non si riesce a trovare una ditta che effettui ogni giorno le previste operazioni di spurgo. Oltre che di un tetto e di un bagno per non far morire quelle terre c’è bisogno anche di corrente elettrica. «Avevo proposto di allacciarmi alle centraline del borgo con un filo e con un contatore per pagare i consumi in modo regolare. Mi hanno risposto che non era possibile», racconta Benedetto Guerrini che da più di un mese vive in una tenda nella frazione Macchia di Accumoli. Ad Illica, invece, la corrente non arriva per nulla. Il borgo è totalmente al buio, denunciano la portavoce del comitato Illica Vive Sabrina Fantauzzi e il segretario Elvira Mazzarella - «a causa dell’impossibilità di sistemare i pali elettrici per via del sequestro della magistratura». Non è stato facile nemmeno spiegare alle decine di lavoratori edili della zona che quando ripartirà la ricostruzione non saranno loro a occuparsene ma ditte molto più grandi e strutturate. «Nessuna delle aziende che operano qui hanno i requisiti per partecipare agli appalti che verranno banditi», conferma Maurizio Aluffi, segretario della Confartigianato di Rieti. «Stiamo provando a far approvare un protocollo che preveda una tutela delle imprese e della manodopera locale ma è tutto quello che possiamo fare».

Terremoto e ricostruzione, la camorra è già a caccia di appalti, scrivono Augusto Parboni e Andrea Ossino il 4 Novembre 2016 su "Il Tempo". «Patente e libretto». Chi non si è mai sentito dire questa frase? Due parole che per chi non ha nulla da nascondere non gli fanno effetto. Abbassa il finestrino e consegna alle forze dell’ordine la documentazione richiesta per i controlli. Al posto di blocco si resta seduti in auto, in attesa che le divise compiano le verifiche necessarie prima di vedersi riconsegnare patente e libretto del mezzo se tutto risulta in regola. Ma a volte si può avere il permesso dagli stessi agenti di andare via, anche se dagli accertamenti qualcosa può risultare sospetto. Ma di che stiamo parlando? Dei controlli che polizia, carabinieri e Guardia di Finanza stanno effettuando dal 24 agosto, il giorno del terremoto che ha devastato Amatrice e gran parte delle frazioni che la circondano, su tutte le strade limitrofe ai paesi che si sono sbriciolati sotto la terribile scossa. Ma che controlli sono? «Semplici» posti di blocco. Dai quali, però, stanno emergendo elementi preoccupanti, che giorno dopo giorno stanno convincendo gli investigatori a compiere indagini più approfondite sulle persone che sono controllate. In sostanza, in base agli accertamenti, risultano numerosi personaggi con precedenti di polizia o penali che sarebbero collegati con clan malavitosi: o a organizzazioni legate alla camorra o alla ’ndrangheta. Ma che ci fanno tutte queste persone nelle zone terremotate? È questa la domanda alla quale stanno cercando di dare una risposta gli investigatori. Ma, per ora, l’idea è una: starebbero facendo «sopralluoghi» nelle aree danneggiate per tentare di riuscire a mettere le mani sugli appalti o subappalti che verranno assegnati nei prossimi mesi per far tornare a vivere quelle zone devastate. È aumentata in maniera esponenziale, infatti, la presenza di persone che provengono dal sud per le strade del reatino. Un dato che ha fatto subito alzare le antenne a chi ogni giorno pattuglia le vie soprattutto ad alta percorribilità di quelle aree. Come mai tutte queste persone che provengono da altre regioni arrivano lì dai giorni successivi al terremoto di quest’estate? Da questa domanda, ecco gli accertamenti in caserme e commissariati per verificare chi fossero le persone che da un primo controllo stradale è risultato con tutti i documenti in regola: «patente e libretto e e assicurazione» regolari. Ma una volta davanti al computer dell’ufficio, ecco la scoperta. Molti di loro hanno, per un motivo o un altro, contatti con organizzazioni criminali. In un caso, addirittura, sono state fermate a un posto di blocco due persone che avevano nel portabagagli dell’auto attrezzatura per poter effettuare rilievi tecnici nelle zone terremotate. Entrambi, pero, da quanto avrebbero dichiarato, al momento dei controlli, di svolgere attività completamente differenti rispetto a un tecnico in grado di saper usare quelle apparecchiature. Tanto, che una volta in caserma, è spuntato che quelle stesse persone provenivano dalla Campania e avevano precedenti di polizia per presunti contatti con clan della camorra. Le stesse forze dell’ordine, per ora, non hanno ancora messo nero su bianco il sospetto di una presunta infiltrazione della criminalità nelle zone terremotate. Fatto sta, comunque, che stanno raccogliendo documentazione per capire il motivo della presenza di tanti personaggi «sospetti» in una regione dove era raro controllare a un posto di blocco un automobilista che una volta in caserma risultasse collegato con organizzazioni camorristiche o ’ndranghetiste.

L’ombra di Mafia Capitale sulla ricostruzione. Del consorzio che ha vinto la gara per realizzare le 'casette' per i terremotati fa parte anche la "29 giugno" di Salvatore Buzzi, coinvolta in Mafia Capitale, scrive Francesco Curridori, Venerdì 09/09/2016, su "Il Giornale". Mafia Capitale torna a far par parlare anche per la ricostruzione post-sisma. La realizzazione delle cosiddette casette d’emergenza per le popolazioni colpite dal terremoto del 24 agosto scorso è, infatti, opera del Consorzio nazionale servizi (Cns), che ha vinto la gara preventiva del Consip. Questo consorzio “è già stato commissariato in passato dall'Anac per due appalti per la gestione dei rifiuti a Roma” - accusa Giovanni Donzelli, coordinatore dell'esecutivo nazionale di Fratelli d'Italia – e “tra le sue associate annovera anche la ’29 giugno’ diSalvatore Buzzi”. Quel Buzzi che “ha fatto parte del Consiglio di sorveglianza del Cns fino al dicembre del 2014 e quindi ricopriva un ruolo durante lo svolgimento della gara, bandita con il governo Renzi già in carica e aggiudicata mentre alla guida della Consip c'era già l'attuale Ad, il renziano Luigi Marroni”, sottolinea Donzelli che chiede al governo e all’Anac di Raffaele Cantone di vigilare. “Ci auguriamo – prosegue l’esponente di FdI - che il rinnovamento dei vertici da parte del Cns e il cambio della guida nella cooperativa '29 giugno', così come l'iscrizione nella 'white list' della Prefettura che attesta l'assenza di tentativi infiltrazioni mafiose in fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori, siano sufficienti a rassicurare su una gestione limpida della realizzazione delle casette”. “Certo è che, visto l'identikit del soggetto che si è aggiudicato l'appalto - conclude Donzelli - è non solo lecito ma persino doveroso prestare la massima attenzione a ciò che accadrà".

Terremoto, a L'Aquila il "miracolo" delle casette Berlusconi. Furono costruite in soli 100 giorni dal sisma del 2009. La sinistra attaccò l'ex premier, ma oggi chi ci abita lo ringrazia, scrive Paolo Zappitelli su "Il Tempo" il 5 Novembre 2016. Le hanno chiamate «La Soluzione». Perché sono ancora una delle pochissime note positive in una città che, a distanza di sette anni, è ancora alle prese con una fase dopo-terremoto di cui non si vede la fine e con una crisi che si mangia le speranze di chi vorrebbe rialzare la testa. Le «casette», come tutti le conoscono a L’Aquila anche se casette davvero non sono, le vollero fortemente Berlusconi e Bertolaso per ospitare gli sfollati dopo il sisma del 6 aprile del 2009. L’idea era quella di dare un ricovero sicuro a chi non aveva più un tetto. Perché con l’arrivo del freddo la soluzione delle tende non era assolutamente gestibile e perché bisognava evitare il tormento dei container del tutto inadatti ad ospitare famiglie con anziani e bambini piccoli per più mesi. Ma non fu una scelta condivisa da tutti. Il centrosinistra attaccò ferocemente il premier, accusandolo di voler costruire una città ghetto ai lembi della città terremotata, di far diventare quello che doveva essere provvisorio definitivo e di non avere a cuore la ricostruzione del centro storico del capoluogo abruzzese. Sette anni dopo, però, quella soluzione, che ha funzionato egregiamente, è stata presa ad esempio anche da Matteo Renzi per sistemare decorosamente gli sfollati di Norcia e di Amatrice. E nessuno, stavolta, ha osato fare obiezioni. E del resto nelle «casette» a L’Aquila è difficile trovare qualcuno che sia critico. Nella fase dell’emergenza più acuta le imprese riuscirono a costruirle e consegnarle agli abitanti in soli 100 giorni. Centoventi come ritardo massimo. Furono realizzate 5.653 abitazioni, 4.449 in muratura, 1.204 in legno per circa 25mila sfollati. Non un unico grande agglomerato ma 19 piccole «new town», sparse tutto intorno alla città, la più vicina a poche centinaia di metri dal centro storico la più lontana a quindici chilometri, quasi alla pendici del Gran Sasso. Difficile chiamarle semplicemente «casette» perché sono quanto di più lontano da quella che siamo abituati a considerare edilizia popolare. Niente palazzoni alti, senza luce e abbandonati al degrado. Qui le ditte che hanno lavorato – principalmente del Trentino – hanno costruito edifici bassi, a tre piani, con grandi finestre, ampie zone verdi dove negli anni sono nati parchi giochi e campetti sportivi, rifiniture in acciaio e legno. Dentro appartamenti piccoli, massimo 50, 60 metri quadrati ma con tutto il necessario per vivere dignitosamente, dal televisore al frullatore alle piastre elettriche in cucina. Ma soprattutto si tratta di palazzine che sono state realizzate con criteri antisismici, tanto che molti che ancora abitano lì non hanno alcuna intenzione di tornare nelle vecchie case. Perché si sentono più sicuri. Anche gli ultimi terremoti che hanno sconvolto Amatrice e Norcia qui sono stati sentiti in maniera violenta. Ma le case non hanno subìto danni. Non ci sono state crepe. Merito delle «piastre» sulle quali sono appoggiate: i piloni che le sorreggono, sotto l’urto della scossa, ondeggiano in tutte le direzioni ma non cedono. E in questo modo assorbono le onde sismiche. Oggi non tutti gli appartamenti sono ancora abitati. Le persone ancora ospitate nel progetto C.a.s.e. sono 8.649, quelle nei M.a.p. (i moduli abitativi provvisori, praticamente dei bungalow) 2.205. Chi è riuscito a ristrutturare la vecchia casa se ne è andato e ha lasciato le stanze vuote. Ma in qualche caso c’è anche chi è stato costretto a spostarsi per colpa di lavori fatti male. In un paio di edifici nei terrazzi e nei solai ci sono state infiltrazioni di acqua e il Comune ne ha ordinato lo sgombero. Difetti nella costruzione, certo, ma anche cattiva manutenzione da parte di chi ne aveva la responsabilità. Ma c’è un altro timore, molto più grande, di chi abita vicino: che il governo possa comunque requisirle per darle agli immigrati. Annalisa Cozza, 75 anni, una delle residenti negli appartamenti di «Coppito 3», a qualche chilometro da L’Aquila, dà voce a quelle paure: «Sì, è vero, se qui trasferiscono troppi stranieri diventa davvero un ghetto. E allora chi ci vuole stare più?». Intanto però alcuni appartamenti delle New town sono serviti ad ospitare i primi sfollati che sono arrivati dal Lazio e dall’Abruzzo. In tutto circa 354 moduli. E proprio ieri il sindaco Massimo Cialente ha sgomberato 30 alloggi popolari a San Gregorio, una piccola frazione de L’Aquila, danneggiati dal sisma di Norcia, e ha trasferito i residenti nelle «casette». Per chi è scappato dalle macerie devono essere sembrate un regalo dal cielo. Quartieri tranquilli, perlopiù immersi nel verde che negli anni i residenti hanno anche cercato di abbellire. Salendo le scale che portano alle abitazioni ci sono vasi con i fiori, qualche tappetino fuori dalle porte. Che sono in gran parte blindate. Gli ospiti le hanno trovate già montate dalle aziende che hanno realizzato gli edifici. E oggi, a chiedere a chi ci abita, sembrano lontanissime le polemiche contro Berlusconi perché agli sfollati il governo fece trovare, in ogni appartamento, un televisore al plasma, una bottiglia di spumante e la casa perfettamente ammobiliata. Con tanto di coperte. «Furono critiche ingiuste – racconta uno dei residenti – perché per chi aveva perso tutto quello fu un segnale di speranza, un piccolo conforto psicologico». Soldi ben spesi, insomma. E di soldi a L’Aquila dal 2009 a oggi ne sono arrivati tanti. Quasi 12 miliardi, al ritmo di 800 milioni l’anno solo nell’ultimo triennio. Soldi sui quali qualcuno comincia a fare qualche conto. E a protestare. Perché dopo una moratoria durata anni adesso il sindaco Cialente ha iniziato a mandare ai residenti avvisi di pagamento. Per le bollette della luce. E per gli affitti. Nel villaggio di «Coppito 3» chi è proprietario di un’altra casa ma non è ancora riuscito a tornarci paga 120 euro al mese, chi era in affitto all’epoca del sisma ora ne deve versare 278. A condizione che abbia un reddito superiore a 12 mila euro. Altrimenti è esentato. Ma quello che più ha fatto montare il malcontento è stata la richiesta degli arretrati per l’energia elettrica consumata nel 2013 e nel 2014. Sono arrivate bollette da 1700 euro, in alcuni casi fino a 2500 euro. E la gente è andata in Municipio a lamentarsi. «Ma non potevamo fare diversamente – spiegano dal Comune – le cifre sono alte perché a un certo punto abbiamo dovuto iniziare a far pagare. Si tratta di conguagli per un paio di anni di arretrati». Eppure, nonostante qualche protesta le «casette» sono ancora l’unica parte «viva» del capoluogo abruzzese. Perché nei palazzi del centro storico quasi nessuno dei vecchi abitanti è voluto ancora tornare. La città per il momento è un immenso cantiere dove si incrociano solo operai. E quando se ne vanno loro, alle quattro del pomeriggio, resta il deserto. L’Aquila si scopre vuota, spettrale. In attesa di una rinascita che ancora si fa fatica a intravedere.

Terremoto: l’efficiente ricostruzione fascista del Vulture nel 1930, scrive il 4/11/2016 Luca Cirimbilla su “L’Ultima Ribattuta". Nel luglio 1930 il terremoto del Vulture (6.7 della scala Richter) colpì le regioni Campania, Lucania e Puglia, causando 1404 morti: la rinascita fu possibile grazie all’intervento tempestivo ed efficiente del fascismo. Che riuscì addirittura a risparmiare sui lavori. Anche stavolta il tentativo di ridicolizzare il Ventennio verrà sgretolato dalla realtà dei fatti: si mettano comodi i soloni che pensano di fare i simpatici scimmiottando i nostalgici del fascismo con le solite locuzioni “quando c’era Lui”, o blaterando di “treni in orario” e “di bonifiche”. A ricordare una delle tante vittorie sociali del governo dell’epoca è stato un lettore del Giornale che ha ricordato il terribile sisma che colpì il Vulture. Ricostruire intere zone colpite dal terremoto; realizzare oltre 3mila villette antisismiche e riparare più di 5mila abitazioni: tutto questo non fa parte di una realtà odierna, ma è possibile solo grazie a un salto all’indietro nel tempo di quasi 80 anni. “Capisco sia seccante – ha osservato il lettore – per chi piuttosto che riconoscere meriti al fascismo si farebbe tagliare gli zebedei, ma Mussolini incaricò della ricostruzione Araldo di Crollalanza, allora ministro dei Lavori Pubblici. A soli tre mesi dal sisma, e prima dell’inverno, furono costruite 3746 Villette antisismiche di due o tre stanze e riparate 5190 abitazioni”. A descrivere meglio il clima in cui la ricostruzione totale venne avviata, ci sono un paio di particolari: “Crollalanza – prosegue la lettera – non si allontanò mai dal luogo del sisma, dormendo su di una cuccetta del treno dei soccorsi che si spostava da una zona all’altra. Mussolini lo ringraziò non per ciò che aveva fatto, che considerava il suo dovere, ma perché aveva anche fatto risparmiare 500mila lire sui fondi stanziati. Le palazzine fatte costruire allora resistettero ad un terremoto, in Irpinia, di cinquant’anni dopo”. Chi proverà a ridicolizzare uno dei risultati del fascismo – tanto importante quanto taciuto dall’odierna storiografia – si metta l’anima in pace: qui di ridicolo ci sono solamente 70 anni di retorica antifascista.

IL FRACKING: TERREMOTO E PETROLIO.

Ora è ufficiale: il fracking provoca i terremoti. Non lo dicono i complottisti, ma l’agenzia scientifica del Governo degli Stati Uniti per il monitoraggio dei terremoti. Il riversamento sotterraneo delle acque reflue generate durante l’estrazione di petrolio e gas ha reso alcune zone del Texas e dell’Oklahoma pericolose come la California, scrive David Talbot il 31 Marzo 2016 su “L’Inkiesta”. Secondo la nuova previsione annuale sul rischio di terremoti, pubblicata martedì dal Geological Survey degli Stati Uniti, alcune parti del Texas e dell’Oklahoma correrebbero ora lo stesso pericolo delle aree maggiormente colpite da terremoti in California – e si precisa che l’aumento è dovuto al riversamento sotterraneo delle acque reflue generate durante l’estrazione di petrolio e gas naturale. Quello delle acque reflue è un problema su due fronti. Stando allo Usgs, l’incremento del rischio sismico in aree solitamente non soggette a terremoti metterebbe in pericolo la vita di sette milioni di persone. Queste scosse sismiche sono solitamente piccole ma, finora, i terremoti causati dall’uomo sono arrivati a toccare magnitudo 5.6. Stando allo Usgs, l’incremento del rischio sismico in aree solitamente non soggette a terremoti metterebbe in pericolo la vita di sette milioni di persone. L’acqua stessa presenta un problema. L’estrazione di petrolio e gas attraverso il processo conosciuto come fratturazione idraulica, o fracking, comporta il pompaggio ad alta pressione di grandi quantità di acqua nel sottosuolo per frantumare la roccia. Riaffiorando, l’acqua trasporta con sé le sostanze chimiche utilizzate nel processo, assieme ai sali e ai metalli pesanti rimossi dalle rocce (oltre al fracking, anche le convenzionali operazioni di estrazione del petrolio fanno riaffiorare acqua sporca). La maggior parte di quest’acqua viene pompata nuovamente nel sottosuolo, ma potrebbe presto non essere più necessario. Alternative emergenti per il trattamento delle acque reflue, come la desalinizzazione via membrane e il trattamento con ozono, potrebbero rendere quest’acqua nuovamente utilizzabile. Oltretutto, i ricercatori stanno lavorando a un processo di desalinizzazione su larga scala che utilizza relativamente poca energia. Ci sono processi più cari rispetto al trasferimento e al pompaggio delle acque reflue in un pozzo di smaltimento. Ma i costi non sono tanto elevati se consideriamo gli effetti collaterali dovuti all’inquinamento e ai terremoti – oltre che alla raccolta e all’utilizzo di acqua pulita. Questi processi sono più cari rispetto al trasferimento e al pompaggio delle acque reflue in un pozzo di smaltimento, ma i costi non sono tanto elevati se consideriamo gli effetti collaterali dovuti all’inquinamento e ai terremoti – oltre che alla raccolta e all’utilizzo di acqua pulita. Nel frattempo, il rischio di terremoti causati dall’uomo continua ad aumentare. Specialmente nell’area di Dallas-Fort Worth, lo USGS dice che il rischio di terremoti è aumentato drammaticamente dal 2014, e sostiene che un terremoto in quella regione potrebbe provocare fino a 9,5 miliardi di dollari di danni. Articolo tratto da Mit - Technology Review Italia (traduzione di Matteo Ovi).

Usa, quei terremoti causati dai pozzi di petrolio. E in Italia c'è Val D'Agri. Negli Stati Uniti le scosse sono aumentate di quasi 100 volte in 40 anni. L'ultima, di magnitudo 5.0, in Oklahoma. La colpa non è solo del fracking, quanto delle procedure di smaltimento delle acque contaminate. E in Italia c'è una faglia attiva osservata speciale, scrive Elena Dusi l'8 novembre 2016 su “La Repubblica”. Cushing, in Oklahoma, è uno dei crocevia mondiali del petrolio. Solo dal suo territorio sono partiti 58,5 milioni di barili di greggio dall'inizio dell'anno. Ma oggi la cittadina che con orgoglio definisce se stessa "Pipeline Crossroads of the World" è a pezzi. Un terremoto di magnitudo 5.0 ha distrutto una cinquantina di case e mandato all'ospedale 150 persone. E' la terza volta che accade dall'inizio dell'anno. Il 3 settembre un terremoto di magnitudo 5.8 aveva registrato il record nella storia dello stato. Gli esperti hanno correlato senza troppe esitazioni le scosse all'attività di estrazione. Ma nessuno sembra aver preso la cosa troppo sul serio. Altro che California. Lo stato più colpito dai terremoti negli Usa oggi è diventato l'Oklahoma. E lo è diventato a causa del petrolio. In particolare di quella procedura che prevede lo smaltimento di enormi quantità (milioni di metri cubi) di acque reflue attraverso la loro reiniezione nel sottosuolo, quantità talmente alte da riuscire a modificare la pressione dei fluidi nelle rocce fino a destabilizzare eventuali faglie attive, se presenti lì sotto. “Insieme agli idrocarburi, sia durante l’estrazione convenzionale che con il fracking necessario per lo sfruttamento di giacimenti di gas in sedimenti argillosi (shale gas), viene fuori molta acqua, ricchissima di sale e contaminanti” spiega Luigi Improta dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV). “Depurarla sarebbe impraticabile allora si decide di smaltirla a profondità di 2-4 chilometri in rocce molto permeabili al di sotto dei giacimenti da cui sono estratti gli idrocarburi”. Il legame fra estrazione (con o senza fracking) e terremoti è diventato chiaro negli ultimi anni. Ma neanche l'evidenza ha fermato l'industria estrattiva. Negli anni '70 nel Midwest degli Stati Uniti si registravano 21 terremoti all'anno di magnitudine pari o superiore a 3. Nel 2011 erano 188. "L'attività umana è parzialmente responsabile dell'aumento" scrisse su Science William Ellsworth dell'USGS, l'istituto geologico statunitense, già nel 2013. In Oklahoma nel 2013 i terremoti superiori alla magnitudo 3.0 erano stati 109. Nel 2014 sono saliti a 585 e nel 2015 a 890. In Texas, dal 2008 a oggi, il numero di terremoti è aumentato di sei volte. Ai petrolieri è stato chiesto di ridurre volume e pressione dell'acqua iniettata nei pozzi. Il numero di scosse è leggermente diminuito, ma questo non ha impedito oggi a Cushing di finire a pezzi, dopo uno stillicidio di scosse che durava da mesi. Secondo l'USGS l'attività estrattiva è legata a scosse avvenute negli ultimi anni in Arkansas, Colorado, New Mexico, Ohio, Oklahoma, Texas e Virginia. Una ricerca appena uscita sul Bulletin of the Seismological Society of America attribuisce una probabile causa umana anche al grande sisma di Los Angeles del 1933 (un centinaio di vittime), in un'epoca in cui il petrolio veniva tirato su ovunque e con qualunque mezzo, senza conoscere granché del sottosuolo. Di terremoti "indotti" dalle attività di sfruttamento degli idrocarburi esistono indizi in Usa, Canada, Uzbekistan (un magnitudo 7.0, forse, nel 1984). E anche in Italia. Per il sisma del 2012 in Emilia fu per un attimo sospettato il giacimento di Cavone. Ma le sue dimensioni ridotte, la distanza dall'ipocentro e recenti studi sismologici e geologici hanno escluso un legame. Osservata speciale resta invece la Val d'Agri, dove l'estrazione di idrocarburi e la presenza di un lago artificiale sono chiaramente legati a una serie di sismi che hanno raggiunto la magnitudo massima di 2.7 (appena percepibili dall'uomo). "Le iniezioni d'acque reflue nel pozzo dell'Eni di Costa Molina 2 - spiega Improta - iniziarono nel giugno del 2006. Immediatamente, nel giro di poche ore, le stazioni sismiche dell'INGV registrarono uno sciame di microterremoti con magnitudo massima di 1.8”". Il lago Pertusillo, con la sua diga alta 95 chilometri, dal 1963 raccoglie fino a 155 milioni di metri cubi d'acqua. Visto che alimenta anche l'acquedotto pugliese, la sua altezza può oscillare fino a 40 metri. Le variazioni di pressione sul terreno destabilizzano una zona nota per il suo rischio sismico: qui nel 1857 la terra tremò raggiungendo una magnitudo di 7.0 e uccidendo 11mila persone. Già nel 2009 uno studio dell'INGV concluse che: "La correlazione temporale fra l'intensa microsismicità e le variazioni del livello del lago Pertusillo suggeriscono che le sequenze siano innescate dal bacino". Il pozzo di Costa Molina 2, dove viene reiniettata l'acqua reflua delle attività di estrazione dell'Eni nella zona, è finito invece al centro dei sospetti quando il 28 dicembre 2014 – la Val d’Agri è stata colpita da un terremoto di magnitudo 3.2. “Ma quel sisma aveva tutte le caratteristiche di una scossa naturale” spiega Improta. “Oggi con la nostra rete di sismometri, insieme a quella dell’Eni, monitoriamo costantemente la Val d’Agri ed inviamo ogni anno una relazione alla Regione Basilicata. Ma i volumi di acque reflue iniettate nei giacimenti in Italia, rispetto al Midwest, sono irrisori. Le due situazioni non sono paragonabili”. Oggi grazie all’esperienza americana si sa che le attività legate all’estrazione possono causare terremoti fino a 20 km di distanza, per anni. La credenza erronea che le attività umane potessero scuotere la terra solo in maniera limitata è stata demolita insieme alle case di Cushing. Se fracking ed estrazione convenzionale di idrocarburi hanno dimostrato di poter indurre terremoti fino a magnitudo intorno alla 3, la re-iniezione di enormi volumi di acque reflue può innescare terremoti di energia molto maggiore. Nessuno sa esattamente quanto. "I terremoti in Oklahoma - ha scritto in uno studio del 2015 su Science Advances Rall Walsh, geologo di Stanford - sarebbero avvenuti comunque prima o poi. Ma iniettando acqua ad alta pressione nelle faglie è come se avessimo accelerato l'orologio, facendoli scattare oggi". Procede invece a passo di lumaca, negli Stati Uniti, l’orologio della prevenzione. Il sospetto che premere sul sottosuolo fosse un gioco pericoloso risale infatti al 1961, quando l’esercito americano decise di smaltire uno stock di munizioni biologiche (probabilmente antrace) iniettandole ad alta pressione in profondità vicino Denver. Subito, nei dintorni del Rocky Mountain Arsenal, iniziò una sequenza di piccole scosse, che andarono avanti fino al 1967 con un picco di magnitudo 4.8. Se anche il prezzo del petrolio scendesse tanto da chiudere oggi i pozzi dell’Oklahoma, gli abitanti di Cushing dovrebbero aspettare anni per tornare a sentirsi al sicuro.

Petrolio, gas e rischio terremoti, ecco cosa sappiamo. Negli Usa l’aumento dei terremoti indotti dalle attività umane è in parte legato allo smaltimento delle acque prodotte con le attività di fracking, pratica vietata in Italia. Ecco perché, scrive Anna Lisa Bonfranceschi l'8 aprile 2016 su "Wired". Mentre in Italia imperversano le discussioni (e le polemiche) sul referendum sulle trivelle del 17 aprile, anche oltreoceano le attività di estrazione fanno discutere. A riaprire un dibattito – mai placato in realtà – è un report pubblicato dal servizio geologico statunitense (Us Geological Survey, Usgs) che per la prima volta ha rilasciato una mappa relativa al rischio terremoti sia naturali sia indotti. E i dati parlano di circa 7 milioni di persone che vivono in zone a rischio per terremoti indotti da attività umane. Aree per la maggior parte in cui il rischio sismico è pari a quello naturale della California, uno stato naturalmente altamente sismico. A guidare la classifica dei paesi più a rischio sono Oklahoma, Kansas, Texas, Colorado, New Mexico e Arkansas. La zona centrale degli Usa. Quella che, negli ultimi anni, ha visto impennare la quota di terremoti registrati, e di cui si parla già da un po’. Se infatti tra il 1973 e il 2008 si registravano, in media, 24 terremoti di magnitudo 3. 0 per anno, tra il 2009 e il 2015 i terremoti sono cresciuti fino a una media di 318, superando i mille lo scorso anno. Un aumento in cui i terremoti indotti hanno avuto un ruolo primario, continuano dall’Usgs. Ma indotti da cosa? Potrebbe avvenire lo stesso in Italia? La principale causa dei terremoti indotti negli Usa sarebbe l’iniezione delle acqua nel sottosuolo, un fenomeno legato anche alle attività di estrazione di idrocarburi, in modo particolare a quelle tramite il cosiddetto fracking. Un fenomeno tutto statunitense che, come vedremo, è completamente diverso dalla situazione italiana, dove il legame tra estrazioni di idrocarburi e sismicità indotta è dubbioso, e comunque limitato a pochissimi eventi e di bassa magnitudo. Ma andiamo per ordine. L’hydraulic fracking, o fratturazione idraulica, è una procedura di estrazione di combustibili fossili non convenzionale, in cui si cerca di fratturare la roccia in cui sono intrappolati gli idrocarburi con l’aiuto di liquidi – mescolati a sabbia, sostanze chimiche o sfere di ceramica – sparati ad alta pressione attraverso il pozzo. “È una tecnica che si utilizza per depositi di idrocarburi in rocce poco permeabili o impermeabili, quelle cioè in cui gli idrocarburi si trovano dispersi in pori non in comunicazione tra loro” spiega Pierluigi Vecchia, geologo consigliere della Società geologica italiana, “per mettere in comunicazione i pori la roccia viene fratturata con ingenti volumi di liquidi ad elevatissima pressione”. Con l’attività di fracking si creano delle microfratture attraverso cui si recuperano sia gli idrocarburi che il liquido che è stato sparato all’interno. Negli Usa, spiega Vecchia, è possibile re-iniettare questi liquidi nel sottosuolo, profondamente sotto le falde acquifere che forniscono acqua potabile (sebbene si parli di problemi di contaminazione legati al fracking) ed è soprattutto questa attività quella che aumenta lo stato di stress delle rocce, malgrado le attività stesse di fratturazione idraulica, anche se in percentuali minori, siano correlati a sismicità indotte. “Dal punto di vista tecnico le sollecitazioni create dalla re-iniezione di fluidi creano un sforzo meccanico maggiore di quando si estraggono gli idrocarburi o si fratturano le rocce impermeabili”. Una pratica intensiva negli Usa ma vietata in Italia, sia per quanto riguarda il fracking che il destino delle acque usate e coprodotte durante le attività di estrazione. Quando si estraggono infatti insieme a petrolio e gas viene estratta anche dell’acqua.

Nel nostro paese, le attività stesse di fracking propriamente detto – con elevati volumi di fluidi e in grado di produrre fratture lunghe centinaia di metri – sono vietate. Due i provvedimenti al riguardo, uno contenuto nella Strategia energetica nazionale e uno nel cosiddetto Sblocca Italia. “Ma al di là delle normative in Italia è madre natura stessa a impedire la fratturazione idraulica e le attività correlate”, continua Vecchia. Non ci sono infatti sulla penisola depositi di shale oil o shale gas – come vengono solitamente chiamati gli idrocarburi estratti con fracking – in quantità tali da immaginarne uno sfruttamento economico: “In quest’ottica i provvedimenti normativi vietano qualcosa che non faremmo comunque perché non possediamo”. In Italia l’unica tipologia di fracking ammessa ed effettuata, continua il geologo, riguarda le attività di estrazione convenzionale, in cui i liquidi sono immessi nel sottosuolo per ripulire fratture esistenti intorno a un pozzo, allo scopo di aumentare la permeabilità delle rocce: “Queste attività di lavaggio possono produrre al massimo fratture di mezzo metro: parliamo di qualcosa di completamente diverso dal fracking statunitense”, puntualizza Vecchia: “E anche il destino dei liquidi estratti dal sottosuolo è diverso: se immettiamo liquidi nel sottosuolo questi stessi liquidi vanno recuperati e smaltiti come rifiuto”. Diverso discorso, continua Vecchia, per le acque estratte insieme a petrolio e gas, ma non sempre: queste acque possono essere rimesse nel sottosuolo soltanto se la composizione è uguale a quella del liquido estratto e solo se vengono reimmesse alle stesse profondità. In sostanza, continua il geologo, non può esistere alcun parallelismo tra la situazione Usa e quella italiana per la diversità in primis della geologia che rende diverse le tecniche di coltivazione degli idrocarburi. Ma per effetto di leggi anche più dure in materia, tiene ad osservare Vecchia. “Allargando lo sguardo, nel mondo, su circa 60mila giacimenti di gas e petrolio si sono scoperti una settantina di casi per i quali si ipotizza una relazione di causa effetto tra estrazione e sismicità, in genere di intensità debole e più bassa di quelli naturali”. In Italia, come evidenziato dal rapporto Ispra, solo un caso – tra i pochi segnalati relativamente alle attività estrattive – di sismicità indotta sembra essere correlato dalle attività estrattive, quelle dai giacimenti nella zona di Val d’Agri (Basilicata): “Anche in questo caso la sismicità indotta sembra essere stata correlata più all’attività di re-iniezione che di estrazione, perché si genera un campo di stress maggiore rispetto a quello dell’estrazione”, conclude Vecchia, “Ma si tratta di un caso, di bassa sismicità, diverso dalle attività intensive degli Usa legate al fracking”.

Petrolio e terremoti: bugie che sfiorano la verità, scrive Enzo Boschi il 26 Maggio 2016 su “Il Foglietto". Nel 2015, su un'importante rivista geofisica, si è verificata una cosa singolare. Prima è apparso un lavoro di un gruppo di geologi che identificava con grande precisione le caratteristiche di una pericolosa faglia sismica. Successivamente ne è apparso un altro, questa volta di un gruppo di sismologi, che dava una descrizione del tutto diversa e apparentemente molto più rigorosa della stessa zona sismogenetica. La faglia descritta in questo secondo lavoro apparentemente sembra meno pericolosa. La cosa sarebbe da considerare una normale diatriba fra gruppi diversi con impostazioni metodologiche molto differenti se la zona considerata non fosse una di quelle a maggior pericolosità sismica del Paese. Di più: siamo in Val D'Agri, più precisamente nella zona di Montemurro, dove si trova il Pozzo Costa Molina 2, utilizzato dall'ENI per reiniettare i fluidi di scarto provenienti dai vicini pozzi di produzione petrolifera. Per orientarsi meglio in molti sensi, Montemurro è a pochi chilometri da Tempa Rossa, di cui tanto si è parlato recentemente in connessione alle dimissioni del Ministro dell'Industria e dello Sviluppo Economico (MISE). Complessivamente, è la zona epicentrale del terribile terremoto del 1857 (l'epicentro ufficiale è proprio Montemurro) con magnitudo stimata attorno a 7, cioè come quello dell'Irpinia del 1980, forse anche più forte. Si racconta di lunghe e accese discussioni fra i due gruppi in varie occasioni ...  Poi, come per incanto, la rappresentazione (più pericolosa) della faglia, quella del primo gruppo, è stata abbandonata ed è sopravvissuta solo quella del secondo gruppo, quella dei sismologi, considerata molto meglio vincolata da dati sperimentali. Cercherò di capire meglio, sulla base della documentazione che riuscirò a consultare, questa strana vicenda. Sarà poi mio dovere informarne i lettori del Foglietto. Per il momento mi limito ad osservare che il primo lavoro è stato finanziato dall'OVA (Osservatorio della Val D'Agri) che dipende dalla Regione Basilicata. Il secondo lavoro è invece finanziato nel quadro di una convenzione fra l'ENI e l'INGV. Qui mi limito ad osservare che i personaggi in gioco sono in buona parte gli stessi che compaiono nella storia della gestione dell'emergenza provocata dalle scosse emiliane del 2012. Facciamo quindi un passo indietro. Il 29 maggio di quattro anni si verificò il secondo forte terremoto della sequenza sismica emiliana iniziata nove giorni prima. Provocò venti vittime. Una scossa inaspettata da parte di coloro che gestivano l'emergenza e dagli esperti della Commissione Grandi Rischi (CGR), tanto che nessuna precauzione efficace era stata posta in essere dopo la prima scossa, quella del 20 maggio, contrariamente a quanto si è sempre fatto in casi simili. La gente, infatti, era tornata tranquillamente al lavoro immediatamente dopo la prima scossa. Per sviare l'attenzione da responsabilità scientifiche e politiche, si cercarono cause alternative e bizzarre alle due scosse che avevano provocato un danneggiamento molto vasto oltre alle numerose vittime. Come abbiamo raccontato varie volte sul Foglietto, fu costituita allo scopo una Commissione, con acronimo ICHESE, che "non escluse" la possibilità che le due forti scosse emiliane fossero state innescate dalle estrazioni petrolifere svolte nella zona epicentrale. Ai lavori dell'ICHESE aveva partecipato anche il coordinatore della sezione sismologica della CGR. Si pensò allora che tutte le estrazioni nazionali andassero immediatamente interrotte, specialmente quelle in Val d'Agri, zona ad altissima pericolosità sismica, con danni economici notevoli e quindi con grave preoccupazione da parte del MISE, allora tenuto dal Ministro Guidi. "Provvidenzialmente", un'altra commissione, costituita da cinque sismologi americani, escluse che le scosse emiliane fossero di origine "petrolifera" e il MISE ritenne così di poter ignorare i "dubbi" della ICHESE. Il responso dei cinque esperti americani fu insomma considerato valido dal MISE e le estrazioni continuarono tranquillamente anche in Val D'Agri. Tuttavia ICHESE, cioè sismi prodotti dalle operazioni delle estrazioni petrolifere, non è stata mai smentita anche perché l'INGV, l'ente di Stato per eccellenza sulle questioni sismologiche, in pratica non ha validato i risultati dei cinque sismologi americani. Personaggi rispettabili ma consulenti pagati dall'ENI, quindi in evidente conflitto; una validazione indipendente era quindi assolutamente necessaria! Chi all'interno dell'INGV non ha validato i risultati "americani" è anche uno degli autori di uno dei due lavori citati all'inizio, quello, tanto per intendersi, più rassicurante. Quindi, la possibilità che iniezioni di fluidi in zone sismiche possano alla lunga innescare terremoti anche forti resta ufficialmente in piedi. Anzi, enti di stato ed "esperti" che occupano posizioni di responsabilità statali si sono fortemente attivati in quella che hanno chiamato "sismicità indotta", stabilendo modi di operare e chiedendo finanziamenti per studi e strumentazioni adeguate. Insomma l'estrazione petrolifera sismogenetica è a tutti gli effetti una cosa seria! Dunque, l'iniezione di fluidi in zone sismiche della crosta terrestre è in grado di generare terremoti anche forti! È un fatto ufficialmente riconosciuto da organi scientifici e di governo. Desta meraviglia che la Protezione Civile con le sue centinaia di esperti interni e i suoi consulenti esterni non si sia pubblicamente pronunciata su una questione tanto delicata. Noi cittadini vorremmo essere informati. E ne abbiamo tutto il diritto. Su questi argomenti abbiamo scritto molti articoli sul Foglietto, evidenziando aspetti grotteschi e comportamenti che meriterebbero un'attenzione accurata da chi di dovere su questioni che attengono alla sicurezza dei cittadini. Per il momento ci limitiamo ad osservare che in Val D'Agri, zona ad altissima pericolosità sismica, si iniettano fluidi da una decina di anni. Se i fluidi iniettati per lungo tempo in Val Padana hanno scatenato terremoti non si capisce perché non possa succedere anche in Basilicata e non si prendano le dovute precauzioni. Siccome i personaggi in gioco (compresi quelli defilati) in Emilia e in Basilicata sono più o meno gli stessi, è lecito sperare in una spiegazione complessiva accettabile e augurarsi decisioni che salvaguardino la vita umana. Al momento è lecito pensar male sapendo che, come è ben noto, pensando male molto spesso ci si indovina. Cercheremo di capire meglio i comportamenti dei due gruppi che fino a un certo momento si sono contrapposti vigorosamente e poi sembrano essersi accordati. Sono tutti personaggi ed enti pubblici tenuti ad osservare la trasparenza dei propri atti. Post Scriptum. Il sisma del 1857, con epicentro Montemurro e con una magnitudo di 7,0 e con un'intensità pari all'XI grado Mercalli, fu avvertito fino a Terracina e si scatenò con due intense scosse a distanza di pochi secondi l'una dall'altra. Il terremoto devastò la Basilicata, in particolar modo la Val d'Agri, provocando diverse migliaia di vittime: solo a Montemurro, il centro più colpito dal sisma (rimasero in piedi pochi palazzi, il resto venne per buona parte raso al suolo), i morti furono tra i 3.000 e i 4.000, su una popolazione totale di circa 7500 persone, né miglior sorte toccò a tutti gli altri comuni colpiti dove, a fronte di un ben più esiguo numero di vittime, vennero comunque cancellate tutte le testimonianze monumentali del passato. Complessivamente il numero delle vittime del terremoto è stimato attorno a 19.000.