Denuncio al mondo ed ai posteri con
i miei libri
tutte le illegalità tacitate ed impunite compiute dai poteri forti (tutte le
mafie). Lo faccio con professionalità, senza pregiudizi od ideologie. Per non
essere tacciato di mitomania, pazzia, calunnia, diffamazione, partigianeria, o
di scrivere Fake News, riporto, in contraddittorio, la Cronaca e la faccio
diventare storia. Quella Storia che nessun editore vuol pubblicare. Quelli
editori che ormai nessuno più legge.
Gli editori ed i distributori censori si avvalgono dell'accusa di plagio, per cessare il rapporto. Plagio mai sollevato da alcuno in sede penale o civile, ma tanto basta per loro per censurarmi.
I miei contenuti non sono propalazioni o convinzioni personali. Mi avvalgo solo di fonti autorevoli e credibili, le quali sono doverosamente citate.
Io sono un sociologo storico: racconto la contemporaneità ad i posteri, senza censura od omertà, per uso di critica o di discussione, per ricerca e studio personale o a scopo culturale o didattico. A norma dell'art. 70, comma 1 della Legge sul diritto d'autore: "Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l'utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali."
L’autore ha il diritto esclusivo di utilizzare economicamente l’opera in ogni forma e modo (art. 12 comma 2 Legge sul Diritto d’Autore). La legge stessa però fissa alcuni limiti al contenuto patrimoniale del diritto d’autore per esigenze di pubblica informazione, di libera discussione delle idee, di diffusione della cultura e di studio. Si tratta di limitazioni all’esercizio del diritto di autore, giustificate da un interesse generale che prevale sull’interesse personale dell’autore.
L'art. 10 della Convenzione di Unione di Berna (resa esecutiva con L. n. 399 del 1978) Atto di Parigi del 1971, ratificata o presa ad esempio dalla maggioranza degli ordinamenti internazionali, prevede il diritto di citazione con le seguenti regole: 1) Sono lecite le citazioni tratte da un'opera già resa lecitamente accessibile al pubblico, nonché le citazioni di articoli di giornali e riviste periodiche nella forma di rassegne di stampe, a condizione che dette citazioni siano fatte conformemente ai buoni usi e nella misura giustificata dallo scopo.
Ai sensi dell’art. 101 della legge 633/1941: La riproduzione di informazioni e notizie è lecita purché non sia effettuata con l’impiego di atti contrari agli usi onesti in materia giornalistica e purché se ne citi la fonte. Appare chiaro in quest'ipotesi che oltre alla violazione del diritto d'autore è apprezzabile un'ulteriore violazione e cioè quella della concorrenza (il cosiddetto parassitismo giornalistico). Quindi in questo caso non si fa concorrenza illecita al giornale e al testo ma anzi dà un valore aggiunto al brano originale inserito in un contesto più ampio di discussione e di critica.
Ed ancora: "La libertà ex art. 70 comma I, legge sul diritto di autore, di riassumere citare o anche riprodurre brani di opere, per scopi di critica, discussione o insegnamento è ammessa e si giustifica se l'opera di critica o didattica abbia finalità autonome e distinte da quelle dell'opera citata e perciò i frammenti riprodotti non creino neppure una potenziale concorrenza con i diritti di utilizzazione economica spettanti all'autore dell'opera parzialmente riprodotta" (Cassazione Civile 07/03/1997 nr. 2089).
Per questi motivi Dichiaro di essere l’esclusivo autore del libro in oggetto e di tutti i libri pubblicati sul mio portale e le opere citate ai sensi di legge contengono l’autore e la fonte. Ai sensi di legge non ho bisogno di autorizzazione alla pubblicazione essendo opere pubbliche.
Promuovo in video tutto il territorio nazionale ingiustamente maltrattato e censurato. Ascolto e Consiglio le vittime discriminate ed inascoltate. Ogni giorno da tutto il mondo sui miei siti istituzionali, sui miei blog d'informazione personali e sui miei canali video sono seguito ed apprezzato da centinaia di migliaia di navigatori web. Per quello che faccio, per quello che dico e per quello che scrivo i media mi censurano e le istituzioni mi perseguitano. Le letture e le visioni delle mie opere sono gratuite. Anche l'uso è gratuito, basta indicare la fonte. Nessuno mi sovvenziona per le spese che sostengo e mi impediscono di lavorare per potermi mantenere. Non vivo solo di aria: Sostienimi o mi faranno cessare e vinceranno loro.
Dr Antonio Giangrande
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NOTIZIE SENZA CENSURA
SARAH SCAZZI
LA CASSAZIONE
E L’INCHIESTA BIS
DI ANTONIO GIANGRANDE
TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo. Vittorio Alfieri (1790).
SOMMARIO
UNA BALLATA PER L’ITALIA (di Antonio Giangrande). L’ITALIA CHE SIAMO.
UNA BALLATA PER AVETRANA (di Antonio Giangrande). L’AVETRANA CHE SIAMO.
PRESENTAZIONE DELL’AUTORE.
INTRODUZIONE.
IL RICORSO ALLA CORTE DI CASSAZIONE.
LE CONFESSIONI ESTORTE DALLE PROCURE AVALLATE NEI TRIBUNALI.
IL CARCERE UCCIDE: TUTTO MORTE E PSICOFARMACI.
GLI AVVISI DI CONCLUSIONE DELLE INDAGINI PER 12.
L’INEVITABILE E SCONTATA RICHIESTA DI RINVIO A GIUDIZIO.
PROCESSO A MICHELE MISSERI ED ILARIA CAVO.
PROCESSO A IVANO RUSSO.
PROCESSO A CLAUDIO RUSSO.
PROCESSO A ELENA BALDARI.
PROCESSO A ANTONIETTA GENOVINO.
PROCESSO A MAURIZIO MISSERI.
PROCESSO A ANNA LUCIA PICHIERRI.
PROCESSO A ALESSIO PISELLO.
PROCESSO A ANNA SCREDO.
PROCESSO A DORA SERRANO.
PROCESSO A GIUSEPPE SERRANO.
PROCESSO A GIUSEPPE OLIVIERI.
PROCESSO A GIOVANNI BUCCOLIERI.
LE CONDANNE SCONTATE.
LA STORIA DI SARAH E DELLE ALTRE…NOEMI E NICOLINA.
GIORNALISTI MENTITORI ED INFANGATORI.
CONCLUSIONI. BASTA GOGNA!
INTERVISTA A FRANCO COPPI.
LA CONTROSTORIA.
UNA BALLATA PER L’ITALIA (di Antonio Giangrande)
Sono un italiano vero e me ne vanto,
ma quest’Italia mica mi piace tanto.
Tra i nostri avi abbiamo condottieri, poeti, santi, navigatori,
oggi per gli altri siamo solo una massa di ladri e di truffatori.
Hanno ragione, è colpa dei contemporanei e dei loro governanti,
incapaci, incompetenti, mediocri e pure tanto arroganti.
Li si vota non perché sono o sanno, ma solo perché questi danno,
per ciò ci governa chi causa sempre e solo tanto malanno.
Noi lì a lamentarci sempre e ad imprecare,
ma poi siamo lì ogni volta gli stessi a rivotare.
Sono un italiano vero e me ne vanto,
ma quest’Italia mica mi piace tanto.
Codardia e collusione sono le vere ragioni,
invece siamo lì a differenziarci tra le regioni.
A litigare sempre tra terroni, po’ lentoni e barbari padani,
ma le invasioni barbariche non sono di tempi lontani?
Vili a guardare la pagliuzza altrui e non la trave nei propri occhi,
a lottar contro i più deboli e non contro i potenti che fanno pastrocchi.
Italiopoli, noi abbiamo tanto da vergognarci e non abbiamo più niente,
glissiamo, censuriamo, omertiamo e da quell’orecchio non ci si sente.
Sono un italiano vero e me ne vanto,
ma quest’Italia mica mi piace tanto.
Simulano la lotta a quella che chiamano mafia per diceria,
ma le vere mafie sono le lobbies, le caste e la massoneria.
Nei tribunali vince il più forte e non chi ha la ragione dimostrata,
così come abbiamo l’usura e i fallimenti truccati in una giustizia prostrata.
La polizia a picchiare, gli innocenti in anguste carceri ed i criminali fuori in libertà,
che razza di giustizia è questa se non solo pura viltà.
Abbiamo concorsi pubblici truccati dai legulei con tanta malizia,
così come abbiamo abusi sui più deboli e molta ingiustizia.
Sono un italiano vero e me ne vanto,
ma quest’Italia mica mi piace tanto.
Abbiamo l’insicurezza per le strade e la corruzione e l’incompetenza tra le istituzioni
e gli sprechi per accontentare tutti quelli che si vendono alle elezioni.
La costosa Pubblica Amministrazione è una palla ai piedi,
che produce solo disservizi anche se non ci credi.
Nonostante siamo alla fame e non abbiamo più niente,
c’è il fisco e l’erario che ci spreme e sull’evasione mente.
Abbiamo la cultura e l’istruzione in mano ai baroni con i loro figli negli ospedali,
e poi ci ritroviamo ad essere vittime di malasanità, ma solo se senza natali.
Sono un italiano vero e me ne vanto,
ma quest’Italia mica mi piace tanto.
Siamo senza lavoro e senza prospettive di futuro,
e le Raccomandazioni ci rendono ogni tentativo duro.
Clientelismi, favoritismi, nepotismi, familismi osteggiano capacità,
ma la nostra classe dirigente è lì tutta intera da buttà.
Abbiamo anche lo sport che è tutto truccato,
non solo, ma spesso si scopre pure dopato.
E’ tutto truccato fin anche l’ambiente, gli animali e le risorse agro alimentari
ed i media e la stampa che fanno? Censurano o pubblicizzano solo i marchettari.
Sono un italiano vero e me ne vanto,
ma quest’Italia mica mi piace tanto.
Gli ordini professionali di istituzione fascista ad imperare e l’accesso a limitare,
con la nuova Costituzione catto-comunista la loro abolizione si sta da decenni a divagare.
Ce lo chiede l’Europa e tutti i giovani per poter lavorare,
ma le caste e le lobbies in Parlamento sono lì per sé ed i loro figli a legiferare.
Questa è l’Italia che c’è, ma non la voglio, e con cipiglio,
eppure tutti si lamentano senza batter ciglio.
Che cazzo di Italia è questa con tanta pazienza,
non è la figlia del rinascimento, del risorgimento, della resistenza!!!
Sono un italiano vero e me ne vanto,
ma quest’Italia mica mi piace tanto.
Questa è un’Italia figlia di spot e di soap opera da vedere in una stanza,
un’Italia che produce veline e merita di languire senza speranza.
Un’Italia governata da vetusti e scaltri alchimisti
e raccontata sui giornali e nei tg da veri illusionisti.
Sono un italiano vero e me ne vanto,
ma se tanti fossero cazzuti come me, mi piacerebbe tanto.
Non ad usar spranghe ed a chi governa romper la testa,
ma nelle urne con la matita a rovinargli la festa.
Sono un italiano vero e me ne vanto,
ma quest’Italia mica mi piace tanto.
Rivoglio l’Italia all’avanguardia con condottieri, santi, poeti e navigatori,
voglio un’Italia governata da liberi, veri ed emancipati sapienti dottori.
Che si possa gridare al mondo: sono un italiano e me ne vanto!!
Ed agli altri dire: per arrivare a noi c’è da pedalare, ma pedalare tanto!!
Antonio Giangrande (scritta l’11 agosto 2012)
Il Poema di Avetrana
di Antonio Giangrande
Avetrana mia, qua sono nato e che possiamo fare,
non ti sopporto, ma senza di te non posso stare.
Potevo nascere in Francia od in Germania, qualunque sia,
però potevo nascere in Africa od in Albania.
Siamo italiani, della provincia tarantina,
siamo sì pugliesi, ma della penisola salentina.
Il paese è piccolo e la gente sta sempre a criticare,
quello che dicono al vicino è vero o lo stanno ad inventare.
Qua sei qualcuno solo se hai denari, non se vali con la mente,
i parenti, poi, sono viscidi come il serpente.
Le donne e gli uomini sono belli o carini,
ma ci sposiamo sempre nei paesi più vicini.
Abbiamo il castello e pure il Torrione,
come abbiamo la Giostra del Rione,
per far capire che abbiamo origini lontane,
non come i barbari delle terre padane.
Abbiamo le grotte e sotto la piazza il trappeto,
le fontane dell’acqua e le cantine con il vino e con l’aceto.
Abbiamo il municipio dove da padre in figlio sempre i soliti stanno a comandare,
il comune dove per sentirsi importanti tutti ci vogliono andare.
Il comune intitolato alla Santo, che era la dottoressa mia,
di fronte alla sala gialla, chiamata Caduti di Nassiriya.
Tempo di elezioni pecore e porci si mettono in lista,
per fregare i bianchi, i neri e i rossi, stanno tutti in pista.
Mettono i manifesti con le foto per le vie e per la piazza,
per farsi votare dagli amici e da tutta la razza.
Però qua votano se tu dai,
e non perché se tu sai.
Abbiamo la caserma con i carabinieri e non gli voglio male,
ma qua pure i marescialli si sentono generale.
Abbiamo le scuole elementari e medie. Cosa li abbiamo a fare,
se continui a studiare, o te ne vai da qua o ti fai raccomandare.
Parlare con i contadini ignoranti non conviene, sia mai,
questi sanno più della laurea che hai.
Su ogni argomento è sempre negazione,
tu hai torto, perché l’ha detto la televisione.
Solo noi abbiamo l’avvocato più giovane d’Italia,
per i paesani, invece, è peggio dell’asino che raglia.
Se i diamanti ai porci vorresti dare,
quelli li rifiutano e alle fave vorrebbero mirare.
Abbiamo la piazza con il giardinetto,
dove si parla di politica nera, bianca e rossa.
Abbiamo la piazza con l’orologio erto,
dove si parla di calcio, per spararla grossa.
Abbiamo la piazza della via per mare,
dove i giornalisti ci stanno a denigrare.
Abbiamo le chiese dove sembra siamo amati,
e dove rimettiamo tutti i peccati.
Per una volta alla domenica che andiamo alla messa dal prete,
da cattivi tutto d’un tratto diventiamo buoni come le monete.
Abbiamo San Biagio, con la fiera, la cupeta e i taralli,
come abbiamo Sant’Antonio con i cavalli.
Di San Biagio e Sant’Antonio dopo i falò per le strade cosa mi resta,
se ci ricordiamo di loro solo per la festa.
Non ci scordiamo poi della processione per la Madonna e Cristo morto, pure che sia,
come neanche ci dobbiamo dimenticare di San Giuseppe con la Tria.
Abbiamo gli oratori dove portiamo i figli senza prebende,
li lasciamo agli altri, perché abbiamo da fare altri faccende.
Per fare sport abbiamo il campo sportivo e il palazzetto,
mentre io da bambino giocavo giù alle cave senza tetto.
Abbiamo le vigne e gli ulivi, il grano, i fichi e i fichi d’india con aculei tesi,
abbiamo la zucchina, i cummarazzi e i pomodori appesi.
Abbiamo pure il commercio e le fabbriche per lavorare,
i padroni pagano poco, ma basta per campare.
Abbiamo la spiaggia a quattro passi, tanto è vicina,
con Specchiarica e la Colimena, il Bacino e la Salina.
I barbari padani ci chiamano terroni mantenuti,
mica l’hanno pagato loro il sole e il mare, questi cornuti??
Io so quanto è amaro il loro pane o la michetta,
sono cattivi pure con la loro famiglia stretta.
Abbiamo il cimitero dove tutti ci dobbiamo andare,
lì ci sono i fratelli e le sorelle, le madri e i padri da ricordare.
Quelli che ci hanno lasciato Avetrana, così come è stata,
e noi la dobbiamo lasciare meglio di come l’abbiamo trovata.
Nessuno è profeta nella sua patria, neanche io,
ma se sono nato qua, sono contento e ringrazio Dio.
Anche se qua si sentono alti pure i nani,
che se non arrivano alla ragione con la bocca, la cercano con le mani.
Qua so chi sono e quanto gli altri valgono,
a chi mi vuole male, neanche li penso,
pure che loro mi assalgono,
io guardo avanti e li incenso.
Potevo nascere tra la nebbia della padania o tra il deserto,
sì, ma li mi incazzo e poi non mi diverto.
Avetrana mia, finchè vivo ti faccio sempre onore,
anche se i miei paesani non hanno sapore.
Il denaro, il divertimento e la panza,
per loro la mente non ha usanza.
Ti lascio questo poema come un quadro o una fotografia tra le mani,
per ricordarci sempre che oggi stiamo, però non domani.
Dobbiamo capire: siamo niente e siamo tutti di passaggio,
Avetrana resta per sempre e non ti dà aggio.
Se non lasci opere che restano,
tutti di te si scordano.
Per gli altri paesi questo che dico non è diverso,
il tempo passa, nulla cambia ed è tutto tempo perso.
La Ballata ti l'Aitrana
di Antonio Giangrande
Aitrana mia, quà già natu e ce ma ffà,
no ti pozzu vetè, ma senza ti te no pozzu stà.
Putia nasciri in Francia o in Germania, comu sia,
però putia nasciri puru in africa o in Albania.
Simu italiani, ti la provincia tarantina,
simu sì pugliesi, ma ti la penisula salentina.
Lu paisi iè piccinnu e li cristiani sempri sciotucunu,
quiddu ca ticunu all’icinu iè veru o si l’unventunu.
Qua sinti quarche tunu sulu ci tieni, noni ci sinti,
Li parienti puè so viscidi comu li serpienti.
Li femmini e li masculi so belli o carini,
ma ni spusamu sempri alli paisi chiù icini.
Tinimu lu castellu e puru lu Torrioni,
comu tinumu la giostra ti li rioni,
pi fa capii ca tinimu l’origini luntani,
no cumu li barbari ti li padani.
Tinimu li grotti e sotta la chiazza lu trappitu,
li funtani ti l’acqua e li cantini ti lu mieru e di l’acitu.
Tinimu lu municipiu donca fili filori sempri li soliti cumannunu,
lu Comuni donca cu si sentunu impurtanti tutti oluni bannu.
Lu comuni ‘ntitolato alla Santu, ca era dottori mia,
ti fronti alla sala gialla, chiamata Catuti ti Nassiria.
Tiempu ti votazioni pecuri e puerci si mettunu in lista,
pi fottiri li bianchi, li neri e li rossi, stannu tutti in pista.
Basta ca mettunu li manifesti cu li fotu pi li vii e pi la chiazza,
cu si fannu utà ti li amici e di tutta la razza.
Però quà votunu ci tu tai,
e no piccè puru ca tu sai.
Tinumu la caserma cu li carabinieri e no li oiu mali,
ma qua puru li marescialli si sentunu generali.
Tinimu li scoli elementari e medi. Ce li tinimu a fà,
ci continui a studià, o ti ni ai ti quà o ta ffà raccumandà.
Cu parli cu li villani no cunvieni,
quisti sapunu chiù ti la lauria ca tieni.
Sobbra all’argumentu ti ticunu ca iè noni,
tu tieni tuertu, piccè le ditto la televisioni.
Sulu nui tinimu l’avvocatu chiù giovini t’Italia,
pi li paisani, inveci, iè peggiu ti lu ciucciu ca raia.
Ci li diamanti alli puerci tai,
quiddi li scanzunu e mirunu alli fai.
Tinumu la chiazza cu lu giardinettu,
do si parla ti pulitica nera, bianca e rossa.
Tinimu la chiazza cu l’orologio iertu,
do si parla ti palloni, cu la sparamu grossa.
Tinimu la chiazza ti la strata ti mari,
donca ni sputtanunu li giornalisti amari.
Tinimu li chiesi donca pari simu amati,
e donca rimittimu tutti li piccati.
Pi na sciuta a la tumenica alla messa do li papi,
di cattivi tuttu ti paru divintamu bueni comu li rapi.
Tinumu San Biagiu, cu la fiera, la cupeta e li taraddi,
comu tinimu Sant’Antoni cu li cavaddi.
Ti San Biagiu e Sant’Antoni toppu li falò pi li strati c’è mi resta,
ci ni ricurdamo ti loru sulu ti la festa.
No nni scurdamu puè ti li prucissioni pi la Matonna e Cristu muertu, comu sia,
comu mancu ni ma scurdà ti San Giseppu cu la Tria.
Tinimu l’oratori do si portunu li fili,
li facimu batà a lautri, piccè tinimu a fà autri pili.
Pi fari sport tinimu lu campu sportivu e lu palazzettu,
mentri ti vanioni iu sciucava sotto li cavi senza tettu.
Tinimu li vigni e l’aulivi, lu cranu, li fichi e li ficalinni,
tinimu la cucuzza, li cummarazzi e li pummitori ca ti li pinni.
Tinimu puru lu cummerciu e l’industri pi fatiari,
li patruni paiunu picca, ma basta pi campari.
Tinumu la spiaggia a quattru passi tantu iè bicina,
cu Spicchiarica e la Culimena, lu Bacinu e la Salina.
Li barbari padani ni chiamunu terruni mantinuti,
ce lonnu paiatu loro lu soli e lu mari, sti curnuti??
Sacciu iù quantu iè amaru lu pani loru,
so cattivi puru cu li frati e li soru.
Tinimu lu cimitero donca tutti ma sciri,
ddà stannu li frati e li soru, li mammi e li siri.
Quiddi ca nonnu lassatu laitrana, comu la ma truata,
e nui la ma lassa alli fili meiu ti lu tata.
Nisciunu iè prufeta in patria sua, mancu iù,
ma ci già natu qua, so cuntentu, anzi ti chiù.
Puru ca quà si sentunu ierti puru li nani,
ca ci no arriunu alla ragioni culla occa, arriunu culli mani.
Qua sacciu ci sontu e quantu l’autri valunu,
a cinca mi oli mali mancu li penzu,
puru ca loru olunu mi calunu,
iu passu a nanzi e li leu ti mienzu.
Putia nasciri tra la nebbia di li padani o tra lu disertu,
sì, ma ddà mi incazzu e puè non mi divertu.
Aitrana mia, finchè campu ti fazzu sempri onori,
puru ca li paisani mia pi me no tennu sapori.
Li sordi, lu divertimentu e la panza,
pi loro la menti no teni usanza.
Ti lassu sta cantata comu nu quatru o na fotografia ti moni,
cu ni ricurdamu sempri ca mo stamu, però crai noni.
Ma ccapì: simu nisciunu e tutti ti passaggiu,
l’aitrana resta pi sempri e no ti tai aggiu.
Ci no lassi operi ca restunu,
tutti ti te si ni scordunu.
Pi l’autri paisi puè qustu ca ticu no iè diversu,
lu tiempu passa, nienti cangia e iè tuttu tiempu persu.
PRESENTAZIONE DELL’AUTORE.
Dr. Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico, giurista, blogger, youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie.
Fa quello che si sente di fare e crede in quello che si sente di credere.
La Democrazia non è la Libertà.
La libertà è vivere con libero arbitrio nel rispetto della libertà altrui.
La democrazia è la dittatura di idioti che manipolano orde di imbecilli ignoranti e voltagabbana.
Per questo un popolo di coglioni sarà sempre governato ed amministrato da coglioni.
Facciamo sempre il solito errore: riponiamo grandi speranze ed enormi aspettative in piccoli uomini senza vergogna.
Un altro errore che commettiamo è dare molta importanza a chi non la merita.
"Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza". Dante, Inferno XXVI
Le pecore hanno paura dei lupi, ma è il loro pastore che le porta al macello.
Antonio Giangrande, scrittore, accademico senza cattedra universitaria di Sociologia Storica, giornalista ed avvocato non abilitato. "Prima di giudicare la mia vita o il mio carattere mettiti le mie scarpe, percorri il cammino che ho percorso io, vivi i miei dolori, i miei dubbi, le mie risate...vivi gli anni che ho vissuto io e cadi là dove sono caduto io e rialzati come ho fatto io. Ognuno ha la propria storia. E solo allora mi potrai giudicare." Luigi Pirandello.
Dapprima ti ignorano. Poi ti deridono. Poi ti emarginano. Poi ti combattono. Tu sei solo, ma non per sempre. Loro sono tanti, ma non per sempre. Ed allora sarai vincente, ma solo dopo la tua morte. I primi a combatterti sono i prossimi parenti ed i compaesani ed allor "non ragioniam di loro, ma guarda e passa" (Dante Alighieri). “Gesù, venuto nella sua patria, insegnava nella loro sinagoga e la gente rimaneva stupita e diceva: «Da dove gli vengono questa sapienza e i prodigi? Non è costui il figlio del falegname? E sua madre, non si chiama Maria? E i suoi fratelli, Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda? E le sue sorelle, non stanno tutte da noi? Da dove gli vengono allora tutte queste cose?». Ed era per loro motivo di scandalo. Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria e in casa sua». E lì, a causa della loro incredulità, non fece molti prodigi”. Mt 13, 54-58.
Se si disprezza quello che gli altri sono e fanno, perché, poi, si è come gli altri e si osteggiano i diversi?
"C’è un’azione peggiore che quella di togliere il diritto di voto al cittadino e consiste nel togliergli la voglia di votare.” (R. Sabatier)
«La disperazione più grave che possa impadronirsi di una società è il dubbio che vivere onestamente sia inutile» - Corrado Alvaro, Ultimo diario, 1961.
Vivere senza leggere, o senza sfogliare i libri giusti scritti fuori dal coro o vivere studiando dai saggi distribuiti dal sistema di potere catto comunista savoiardo nelle scuole e nelle università, è molto pericoloso. Ciò ti obbliga a credere a quello che dicono gli altri interessati al Potere e ti conforma alla massa. Allora non vivi da uomo, ma da marionetta.
Se scrivi e dici la verità con il coraggio che gli altri non hanno, il risultato non sarà il loro rinsavimento ma l’essere tu additato come pazzo. Ti scontri sempre con la permalosità di magistrati e giornalisti e la sornionità degli avvocati avvezzi solo ai loro interessi. Categorie di saccenti che non ammettono critiche. Se scrivi e sei del centro-nord Italia, i conterranei diranno: che bel libro, bravo, è uno di noi. Se scrivi e sei del centro-sud Italia i conterranei diranno: quel libro l’avrei scritto anch’io, anzi meglio, ma sono solo cazzate. Chi siamo noi? Siamo i “coglioni” che altri volevano che fossimo o potessimo diventare. Da bambini i genitori ci educavano secondo i loro canoni, fino a che abbiamo scoperto che era solo il canone di poveri ignoranti. Da studenti i maestri ci istruivano secondo il loro pensiero, fino a che abbiamo scoperto che era solo il pensiero di comunisti arroganti. Prima dell’ABC ci insegnavano “Bella Ciao”. Da credenti i ministri di culto ci erudivano sulla confessione religiosa secondo il loro verbo, fino a che abbiamo scoperto che era solo la parola di pedofili o terroristi. Da lettori e telespettatori l’informazione (la claque del potere) ci ammaestrava all’odio per il diverso ed a credere di vivere in un paese democratico, civile ed avanzato, fino a che abbiamo scoperto che si muore di fame o detenuti in canili umani. Da elettori i legislatori ci imponevano le leggi secondo il loro diritto, fino a che abbiamo scoperto che erano solo corrotti, mafiosi e massoni. Ecco, appunto: siamo i “coglioni” che altri volevano che fossimo o potessimo diventare. E se qualcuno non vuol essere “coglione” e vuol cambiare le cose, ma non ci riesce, vuol dire che è “coglione” lui e non lo sa, ovvero è circondato da amici e parenti “coglioni”.
John Keating: Qualunque cosa si dica in giro, parole e idee possono cambiare il mondo. Sono salito sulla cattedra per ricordare a me stesso che dobbiamo sempre guardare le cose da angolazioni diverse. E il mondo appare diverso da quassù. Non vi ho convinti? Venite a vedere voi stessi. Coraggio! È proprio quando credete di sapere qualcosa che dovete guardarla da un'altra prospettiva. Carpe diem. Cogliete l'attimo, ragazzi... Rendete straordinaria la vostra vita!
Gerard Pitts: Cogli la rosa quando è il momento, che il tempo, lo sai, vola e lo stesso fiore che sboccia oggi, domani appassirà. John Keating: Non leggiamo e scriviamo poesie perché è carino: noi leggiamo e scriviamo poesie perché siamo membri della razza umana; e la razza umana è piena di passione. Medicina, legge, economia, ingegneria sono nobili professioni, necessarie al nostro sostentamento; ma la poesia, la bellezza, il romanticismo, l'amore, sono queste le cose che ci tengono in vita. Dal film L'attimo fuggente (Dead Poets Society), film del 1989 diretto da Peter Weir e con protagonista Robin Williams.
Studiare non significa sapere, volere non significa potere. Ai problemi non si è capaci di trovare una soluzione che accontenti tutti, perché una soluzione per tutti non esiste. Alla fine nessuno è innocente, perché in questa società individualista, violenta e superficiale tutti sono colpevoli. Io ho preso la mia decisione mentre la totalità di voi non sa prenderne alcuna (anche nelle cose più semplici). Come potreste capire cosa è veramente importante nella vita? Non saprete mai se avete preso la decisione giusta perché non vi siete fidati di voi stessi. Accusate il sistema, ma il sistema è freddo inesorabile matematico, solo chi è deciso a raggiungere la riva la raggiungerà. Vi auguro tutto il meglio per la vostra vita. “Class Enemy”, di Rok Bicek film del 2013.
Dr. Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico, giurista, blogger, youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie, destinatario delle denunce presentate dai magistrati per tacitarlo e ricevente da tutta Italia di centinaia di migliaia di richieste di aiuto o di denunce di malefatte delle istituzioni. Ignorato dai media servi del potere.
Come far buon viso a cattivo gioco ed aspettare che dal fiume appaia il corpo del tuo nemico. "Subisci e taci" ti intima il Sistema. Non sanno, loro, che la vendetta è un piatto che si gusta freddo. E non si può perdonare...
Un padre regala al figlio un sacchetto di chiodi. “Tieni figliolo, ecco un sacchetto di chiodi. Piantane uno nello steccato Ogni volta che che perdi la pazienza e litighi con qualcuno perchè credi di aver subito un'ingiustizia” gli dice. Il primo giorno il figlio piantò ben 37 chiodi ma nelle settimane successive imparò a controllarsi e il numero di chiodi cominciò piano piano a diminuire. Aveva infatti scoperto che era molto più facile controllarsi che piantare chiodi e così arrivò un giorno in cui non ne piantò nemmeno uno. Andò quindi dal padre e gli disse che per quel giorno non aveva litigato con nessuno, pur essendo stato vittima d'ingiustizie e di soprusi, e non aveva piantato alcun chiodo. Il padre allora gli disse: “Benissimo figliolo, ora leva un chiodo dallo steccato per ogni giorno in cui non hai perso la pazienza e litigato con qualcuno”. Il figlio ascoltò e tornò dal padre dopo qualche giorno, comunicandogli che aveva tolto tutti i chiodi dallo steccato e che non aveva mai più perso la pazienza. Il padre lo portò quindi davanti allo steccato e guardandolo gli disse: “Figliolo, ti sei comportato davvero bene. Bravo. Ma li vedi tutti quei buchi? Lo steccato non potrà più tornare come era prima. Quando litighi con qualcuno, o quando questi ha usato violenza fisica o psicologica nei tuoi confronti, rimane una ferita come questi buchi nello steccato. Tu puoi piantare un coltello in un uomo e poi levarlo, e lo stesso può fare questi con te, ma rimarrà sempre una ferita. E non importa quante volte ti scuserai, o lui lo farà con te, la ferita sarà sempre lì. Una ferita verbale è come il chiodo nello steccato e fa male quanto una ferita fisica. Lo steccato non sarà mai più come prima. Quando dici le cose in preda alla rabbia, o quando altri ti fanno del male, si lasciano delle ferite come queste: come i buchi nello steccato. Possono essere molto profonde. Alcune si rimarginano in fretta, altre invece, potrebbero non rimarginare mai, per quanto si possa esserne dispiaciuti e si abbia chiesto scusa".
Io non reagisco, ma mi si permetta di raccontare l'accaduto. Voglio far conoscere la verità sui chiodi piantati nelle nostre carni.
La mia esperienza e la mia competenza mi portano a pormi delle domande sulle vicende della vita presente e passata e sul perché del ripetersi di eventi provati essere dannosi all’umanità, ossia i corsi e i ricorsi storici. Gianbattista Vico, il noto filosofo napoletano vissuto fra il XVII e XVIII secolo elaborò una teoria, appunto dei corsi e ricorsi storici. Egli era convinto che la storia fosse caratterizzata dal continuo e incessante ripetersi di tre cicli distinti: l’età primitiva e divina, l’età poetica ed eroica, l’età civile e veramente umana. Il continuo ripetersi di questi cicli non avveniva per caso ma era predeterminato e regolamentato, se così si può dire, dalla provvidenza. Questa formulazione di pensiero è comunemente nota come “teoria dei corsi e dei ricorsi storici”. In parole povere, tanto per non essere troppo criptici, il Vico sosteneva che alcuni accadimenti si ripetevano con le medesime modalità, anche a distanza di tanto tempo; e ciò avveniva non per puro caso ma in base ad un preciso disegno stilato della divina provvidenza.” Io sono convinto, invece, che l’umanità dimentica e tende a sbagliare indotta dalla stupidità e dall’egoismo di soddisfare in ogni modo totalmente i propri bisogni in tempi e spazi con risorse limitate. Trovare il perché delle discrepanze dell’ovvio raccontato. Alle mie domando non mi do io stesso delle risposte. Le risposte le raccolgo da chi sento essere migliore di me e comunque tra coloro contrapposti con le loro idee sullo stesso tema da cui estrapolare il sunto significativo. Tutti coloro che scrivono, raccontano il fatto secondo il loro modo di vedere e lo ergono a verità. Ergo: stesso fatto, tanti scrittori, quindi, tanti fatti diversi. La mia unicità e peculiarità, con la credibilità e l’ostracismo che ne discende, sta nel raccontare quel fatto in un’unica sede e riportando i vari punti di vista. In questo modo svelo le mistificazioni e lascio solo al lettore l’arbitrio di trarne la verità da quei dati.
Voglio conoscere gli effetti, sì, ma anche le cause degli accadimenti: il post e l’ante. La prospettiva e la retrospettiva con varie angolazioni. Affrontare le tre dimensioni spaziali e la quarta dimensione temporale.
Si può competere con l’intelligenza, mai con l’idiozia. L’intelligenza ascolta, comprende e pur non condividendo rispetta. L’idiozia si dimena nell’Ego, pretende ragione non ascoltando le ragioni altrui e non guarda oltre la sua convinzione dettata dall’ignoranza. L’idiozia non conosce rispetto, se non pretenderlo per se stessa.
Quando fai qualcosa hai tutti contro: quelli che volevano fare la stessa cosa, senza riuscirci, impediti da viltà, incapacità, ignavia; quelli che volevano fare il contrario; e quelli, ossia la stragrande maggioranza, che non volevano fare niente.
Certe persone non sono importanti, siamo noi che, sbagliando, gli diamo importanza. E poi ci sono quelle persone che non servono ad un cazzo, non fanno un cazzo e si credono sto cazzo.
Correggi un sapiente ed esso diventerà più colto. Correggi un ignorante ed esso diventerà un tuo acerrimo nemico.
Molti non ti odiano perché gli hai fatto del male, ma perché sei migliore di loro.
Più stupido di chi ti giudica senza sapere nulla di te è colui il quale ti giudica per quello che gli altri dicono di te. Perché le grandi menti parlano di idee; le menti medie parlano di fatti; le infime menti parlano solo male delle persone.
E’ importante stare a posto con la propria coscienza, che è molto più importante della propria reputazione. La tua coscienza sei tu, la reputazione è ciò che gli altri pensano di te e quello che gli altri pensano di te è un problema loro.
Le bugie sono create dagli invidiosi, ripetute dai cretini e credute dagli idioti, perché un grammo di comportamento esemplare, vale un quintale di parole. Le menti mediocri condannano sempre ciò che non riescono a capire.
E se la strada è in salita, è solo perché sei destinato ad attivare in alto.
Ci sono persone per indole nate per lavorare e/o combattere. Da loro ci si aspetta tanto ed ai risultati non corrispondono elogi. Ci sono persone nate per oziare. Da loro non ci si aspetta niente. Se fanno poco sono sommersi di complimenti. Guai ad aspettare le lodi del mondo. Il mondo è un cattivo pagatore e quando paga lo fa sempre con l’ingratitudine.
Il ciclo vitale biologico della natura afferma che si nasce, si cresce, ci si riproduce, si invecchia e si muore e l’evoluzione fa vincere i migliori. Solo a noi umani è dato dare un senso alla propria vita.
Ergo. Ai miei figli ho insegnato:
Le ideologie, le confessioni, le massonerie vi vogliono ignoranti;
Le mafie, le lobbies e le caste vi vogliono assoggettati;
Le banche vi vogliono falliti;
La burocrazia vi vuole sottomessi;
La giustizia vi vuole prigionieri;
Siete nati originali…non morite fotocopia.
Siate liberi. Studiare, ma non fermarsi alla cultura omologata. La conoscenza è l'arma migliore per vincere.
Antonio Giangrande, orgoglioso di essere diverso.
Se si è omologati (uguali) o conformati (simili) e si sta sempre dietro alla massa, non si sarà mai primi nella vita, perché ci sarà sempre il più furbo o il più fortunato a precederti.
In un mondo caposotto (sottosopra od alla rovescia) gli ultimi diventano i primi ed i primi sono gli ultimi. L’Italia è un Paese caposotto. Io, in questo mondo alla rovescia, sono l’ultimo e non subisco tacendo, per questo sono ignorato o perseguitato. I nostri destini in mano ai primi di un mondo sottosopra. Che cazzo di vita è?
Si nasce senza volerlo. Si muore senza volerlo. Si vive una vita di prese per il culo.
Dove si sentono alti anche i nani e dove anche i marescialli si sentono generali, non conta quanti passi fai e quali scarpe indossi, ma conta quante tracce lasci del tuo percorso.
Il difetto degli intelligenti è che sono spinti a cercare le risposte ai loro dubbi. Il pregio degli ignoranti è che non hanno dubbi e qualora li avessero sono convinti di avere già le risposte.
Un popolo di “coglioni” sarà sempre governato ed amministrato da “coglioni”.
Un chierico medievale si imbatté in un groviglio di serpi su cui spiccava un ramarro che già da solo sarebbe bastato a spaventarlo. Tuttavia, confrontata a quelle serpeggianti creature, la bestiola gli parve graziosa ed esclamò: «Beati monoculi in terra caecorum», nella terra dei ciechi anche l’orbo è re.
Il ciclo vitale, in biologia, è l'intervallo tra il susseguirsi di generazioni di una specie. L'esistenza di ogni organismo si svolge secondo una sequenza ciclica di stadi ed eventi biologici, caratterizzata in base alla specie di appartenenza. Queste sequenze costituiscono i cosiddetti Cicli Biologici. Ogni essere vivente segue un ciclo vitale biologico composto dai seguenti stadi: nascita, crescita, riproduzione, senescenza e morte. Per quanto possa essere breve o corta la vita, nessun essere vivente preso singolarmente è immortale. Ma la sua specie diventa immortale attraverso la riproduzione e l'evoluzione. Gli esseri viventi si evolvono nel corso del tempo per potersi meglio adattare alla natura che li circonda. Attraverso la riproduzione le generazioni trasmettono i propri geni a quelle future. Durante questo passaggio le nuove generazioni possono assumere caratteristiche nuove o perderne alcune. Le differenze si traducono in vantaggi o in handicap per chi le possiede, agendo direttamente sul processo evolutivo tramite la selezione naturale degli individui. Le nuove caratteristiche che agevolano l'adattamento all'ambiente offrono all'individuo maggiori probabilità di sopravvivenza e, quindi, di riproduzione. E' innaturale non riprodursi. Senza riproduzione non vi è proseguimento ed evoluzione della specie. Senza riproduzione il ciclo vitale biologico cessa. Ciò ci rende mortali. Parlare in termini scientifici dell'eterosessualità e del parto, quindi di stati naturali, fa di me un omofobo ed un contrabortista, quindi un non-comunista? Cercare di informare i simili contro la deriva involutiva, fa di me un mitomane o pazzo?
Noi siamo quello che altri hanno voluto che diventassimo. Quando esprimiamo giudizi gratuiti, cattivi ed illogici lo facciamo con la nostra bocca ma inconsapevolmente per volontà di altri. Lo facciamo in virtù di quanto ricevuto: dall’educazione familiare, dall’istruzione di regime, dall’indottrinamento politico e religioso, dall’influenza mediatica. Niente è farina del nostro sacco. Se ci basassimo solo sulle nostre esperienze staremmo solo zitti, sapendo che nessuno sarebbe capace e disposto ad ascoltarci.
E’ comodo definirsi scrittori da parte di chi non ha arte né parte. I letterati, che non siano poeti, cioè scrittori stringati, si dividono in narratori e saggisti. E’ facile scrivere “C’era una volta….” e parlare di cazzate con nomi di fantasia. In questo modo il successo è assicurato e non hai rompiballe che si sentono diffamati e che ti querelano e che, spesso, sono gli stessi che ti condannano. Meno facile è essere saggisti e scrivere “C’è adesso….” e parlare di cose reali con nomi e cognomi. Impossibile poi è essere saggisti e scrivere delle malefatte dei magistrati e del Potere in generale, che per logica ti perseguitano per farti cessare di scrivere. Devastante è farlo senza essere di sinistra. Quando si parla di veri scrittori ci si ricordi di Dante Alighieri e della fine che fece il primo saggista mondiale.
Da sempre diffido di chi, vestito da lupo, è pecora genuflessa alla magistratura. I saccenti giustizialisti dei 5 stelle che provino a proporre la figura del difensore civico giudiziario con poteri di magistrato, senza essere uno di loro, per poter metter le mani nelle carte dei fascicoli e poterle sparigliare. Io da anni mi batto inascoltato per questo. I signori dei 5 stelle non si degnano nemmeno di rispondere ai messaggi degli esperti: tanto san tutto loro. A sbraitare son bravi, ma a proporre leggi sensate, mi sa che non son capaci. Parlan solo di soldi, soldi, soldi ed onestà, certificata dai loro magistrati, e mai parlano di libertà ed opportunità senza concorsi ed esami pubblici truccati.
Ad ogni azione umana nefasta si trova sempre una giustificazione...lo si fa per le piante...lo si fa per gli animali...lo si fa per le persone! Ma, alla fine, rimane solo un'azione nefasta che fa male al prossimo...e, spesso, il prossimo siamo noi. A parte il partito preso, noi siamo tutti responsabili delle azioni nefaste di uno, quando gli permettiamo di farle.
Parlare nei miei libri del caso singolo del semplice cittadino significa incorrere nell’accusa di mitomania, pazzia o calunnia, oltre che nel disinteresse. Invece parlo di loro, delle istituzioni che delinquono impunite. Parlo della vera mafia. Cosa posso dire di più di quello che ho scritto e che altri non dicono? Credo che quanto divulgato possa essere di grande soddisfazione per le vittime, non potendo avere altro che quella in questa Italia con italiani di merda a cui interessa solo di loro stessi e se ne fottono degli altri.
Alla fine di noi rimane il nostro operato, checché gli altri ne dicano. E quello bisogna giudicare. Nasco da una famiglia umile e povera. Una di quelle famiglie dove la sfortuna è di casa. Non puoi permetterti di studiare, né avere amici che contano. Per questo il povero è destinato a fare il manovale o il contadino. Mi sono ribellato e contro la sorte ho voluto studiare, per salire nel mondo non mio. Per 17 anni ho cercato di abilitarmi nell’avvocatura. Non mi hanno voluto. Il mondo di sotto mi tiene per i piedi; il mondo di sopra mi calca la testa. In un esame truccato come truccati sono tutti i concorsi pubblici in Italia: ti abilitano se non rompi le palle. Tutti uguali nella mediocrità. Dal 1998 ho partecipato all’esame forense annuale. Sempre bocciato. Ho rinunciato a proseguire nel 2014 con la commissione presieduta dall’avv. Francesco De Jaco. L’avvocato di Cosima Serrano condannata con la figlia Sabrina Misseri per il delitto di Sarah Scazzi avvenuto ad Avetrana. Tutte mie compaesane. La Commissione d’esame di avvocato di Lecce 2014. La più serena che io abbia trovato in tutti questi anni. Ho chiesto invano a De Jaco di tutelare me, dagli abusi in quell’esame, come tutti quelli come me che non hanno voce. Se per lui Cosima è innocente contro il sentire comune, indotti a pensarla così dai media e dai magistrati, perché non vale per me la verità che sia vittima di un sistema che mi vuol punire per essermi ribellato? Si nega l’evidenza. 1, 2, 3 anni, passi. 17 anni son troppi anche per il più deficiente dei candidati. Ma gli effetti sono sotto gli occhi di tutti. Compiti non corretti, ma ritenuti tali in tempi insufficienti e senza motivazione e con quote prestabilite di abilitati. Così per me, così per tutti. Gli avvocati abilitati negano l’evidenza. Logico: chi passa, non controlla. Ma 17 anni son troppi per credere alla casualità di essere uno sfigato, specialmente perché i nemici son noti, specie se sono nelle commissioni d’esame. In carcere o disoccupato. Tu puoi gridare a squarciagola le ingiustizie, ma nessuno ti ascolta, in un mondo di sordi. Nessuno ti crede. Fino a che non capiti a loro. E in questa Italia capita, eccome se capita! La tua verità contro la verità del potere. Un esempio da raccontare. Ai figli non bisogna chiedere cosa vogliono fare da grandi. Bisogna dir loro la verità. Chiedergli cosa vorrebbero che gli permettessero di fare da grandi. Sono nato in quelle famiglie che, se ti capita di incappare nelle maglie della giustizia, la galera te la fai, anche da innocente. A me non è successo di andare in galera, pur con reiterati tentativi vani da parte della magistratura di Taranto, ma sin dal caso Tortora ho capito che in questa Italia in fatto di giustizia qualcosa non va. Pensavo di essere di sinistra, perché la sinistra è garantismo, ma non mi ritrovo in un’area dove si tollerano gli abusi dei magistrati per garantirsi potere ed impunità. E di tutto questo bisogna tacere. A Taranto, tra i tanti processi farsa per tacitarmi sulle malefatte dei magistrati, uno si è chiuso, con sentenza del Tribunale n. 147/2014, con l’assoluzione perché il fatto non sussiste e per non doversi procedere. Bene: per lo stesso fatto si è riaperto un nuovo procedimento ed è stato emesso un decreto penale di condanna con decreto del Gip. n. 1090/2014: ossia una condanna senza processo. Tentativo stoppato dall’opposizione.
Zittirmi sia mai. Pur isolato e perseguitato. Gli italiani son questi. Ognuno dia la sua definizione. Certo è che gli italiani non mi leggono, mi leggono i forestieri. Mi leggeranno i posteri. Tutto regolare: lo ha detto la tv, lo dicono i giudici. Per me, invece, è tutto un trucco. In un mondo di ladri nessuno vien da Marte. Tutti uguali: giudicanti e giudicati. E’ da decenni che studio il sistema Italia, a carattere locale come a livello nazionale. Da queste indagini ne sono scaturiti decine di saggi, raccolti in una collana editoriale "L'Italia del Trucco, l'Italia che siamo", letti in tutto il mondo, ma che mi sono valsi l’ostruzionismo dei media nazionali. Pennivendoli venduti ai magistrati, all’economia ed alla politica, ma che non impediscono il fatto che di me si parli su 200.000 siti web, come accertato dai motori di ricerca. Book ed E-Book che si possono trovare su Amazon.it, Lulu.com. CreateSpace.com e Google Libri, oltre che in forma di lettura gratuita e free vision video su www.controtuttelemafie.it , mentre la promozione del territorio è su www.telewebitalia.eu.
Ho la preparazione professionale per poter dire la sua in questioni di giustizia?
Non sono un giornalista, ma a quanto pare sono l’unico a raccontare tutti i fatti. Non sono un avvocato ma mi diletto ad evidenziare le manchevolezze di un sistema giudiziario a se stante. La mia emigrazione in piena adolescenza in Germania a 16 anni per lavorare; la mia laurea quadriennale in Giurisprudenza presa in soli due anni all’Università Statale di Milano, lavorando di notte e con moglie e due figli da mantenere, dopo aver conseguito il diploma da ragioniere in un solo anno da privatista presso un Istituto tecnico Statale e non privato, per non sminuirne l’importanza, portando tutti i 5 anni di corso; tutto ciò mi ha reso immune da ogni condizionamento culturale od ambientale. I miei 6 anni di esercizio del patrocinio legale mi hanno fatto conoscere le magagne di un sistema che non è riuscito a corrompermi. Per questo dal 1998 al 2014 non mi hanno abilitato alla professione di avvocato in un esame di Stato, che come tutti i concorsi pubblici ho provato, con le mie ricerche ed i miei libri, essere tutti truccati. Non mi abilitano. Perché non sono uguale agli altri, non perché son meno capace. Non mi abilitano perché vedo, sento e parlo. Ecco perché posso parlare di cose giuridiche in modo di assoluta libertà, senza condizionamento corporativistico, anche a certezza di ritorsione. E’ tutta questione di coscienza.
Alle sentenze irrevocabili di proscioglimento del Tribunale di Taranto a carico del dr Antonio Giangrande, già di competenza della dr.ssa Rita Romano, giudice di Taranto poi ricusata perché denunciata, si aggiunge il verbale di udienza dell’11 dicembre 2015 della causa n. 987/09 (1832/07 RGNR) del Tribunale di Potenza, competente su fatti attinenti i magistrati di Taranto, con il quale si dispone la perfezione della fattispecie estintiva del processo per remissione della querela nei confronti del dr Antonio Giangrande da parte del dr. Alessio Coccioli, già Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Taranto, poi trasferito alla Direzione Distrettuale Antimafia di Lecce. Remissione della querela volontaria, libera e non condizionata da alcun atto risarcitorio.
Il Dr Antonio Giangrande era inputato per il reato previsto e punito dall’art. 595 3° comma c.p. “perchè inviando una missiva a sua firma alla testata giornalistica La Gazzetta del Sud Africa e pubblicata sui siti internet lagazzettadelsudafrica.net, malagiustizia.eu, e associazionecontrotuttelemafie.org, offendeva l’onore ed il decoro del dr. Alessio Coccioli, Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Taranto, riportando in detto su scritto la seguente frase: “…il PM Alessio Coccioli, inopportunamente delegando i carabinieri di Manduria, quali PG, ha reso lecito tale modus operandi (non rilasciare attestato di ricezione da parte dell’Ufficio Protocollo del Comune di Manduria ndr), motivandolo dal fatto che non è dannoso per il denunciante. Invece in denuncia si è fatto notare che tale usanza di recepimento degli atti, prettamente manduriana, può nascondere alterazioni procedurali in ambito concorsuale e certamente abusi a danno dei cittadini. Lo stesso PM Alessio Coccioli, inopportunamente delegando i carabinieri di Manduria, quali PG, per la colleganza con il comandante dei Vigili Urbani di Manduria, ha ritenuto le propalazioni del Giangrande, circa il concorso per Comandante dei Vigili Urbani, ritenuto truccato (perché il medesimo aveva partecipato e vinto in un concorso da egli stesso indetto e regolato in qualità di comandante pro tempore e dirigente dell’ufficio del personale), sono frutto di sue convinzioni non supportate da riscontri di natura obbiettiva e facendo conseguire tali riferimenti, al predetto dr. Coccioli, ad altre notazioni, contenute nello stesso scritto, nelle quali si denunciavano insabbiamenti, o poche richieste di archiviazioni strumentali attribuite ai magistrati della Procura della Repubblica di Taranto”.
Il Processo di Potenza, come i processi tenuti a Taranto, sono attinenti a reati di opinione. Lo stesso dr. Alessio Coccioli, una volta trasferito a Lecce, ha ritenuto che le opinioni espresse dal Dr Antonio Giangrande riguardo la Giustizia a Taranto non potessero continuare ad essere perseguite.
Ultimo atto. Esame di Avvocato 2015. A Lecce uno su quattro ce l’ha fatta. Sono partiti in 1.108: la prova scritta è stata passata da 275 praticanti. Preso atto.....
All'attenzione dell'avv. Francesco De Jaco. Illustre avv. Francesco De Jaco, in qualità di Presidente della Commissione di Esame di Avvocato 2014-2015, chi le scrive è il dr Antonio Giangrande. E’ quel signore, attempato per i suoi 52 anni e ormai fuori luogo in mezzo ai giovani candidati, che in sede di esame le chiese, inopinatamente ed invano, Tutela. Tutela, non raccomandazione. Così come nel 2002 fu fatto inutilmente con l’avv. Luigi Rella, presidente di commissione e degli avvocati di Lecce. Tutela perché quel signore il suo futuro lo ha sprecato nel suo passato. Ostinatamente nel voler diventare avvocato ha perso le migliori occasioni che la vita possa dare. Aspettava come tutti che una abilitazione, alla mediocrità come è l’esame forense truccato, potesse, prima o poi, premiare anche lui. Pecori e porci sì, lui no! Quel signore ha aspettato ben 17 anni per, finalmente, dire basta. Gridare allo scandalo per un esame di Stato irregolare non si può. Gridare al complotto contro la persona…e chi gli crede. Eppure a Lecce c’è qualcuno che dice: “quello lì, l’avvocato non lo deve fare”. Qualcuno che da 17 anni, infastidito dal mio legittimo operato anche contro i magistrati, ha i tentacoli tanto lunghi da arrivare ovunque per potermi nuocere. Chi afferma ciò è colui il quale dimostra con i fatti nei suoi libri, ciò che, agli ignoranti o a chi è in mala fede, pare frutto di mitomania o pazzia. Guardi, la sua presidenza, in sede di scritto, è stata la migliore tra le 17 da me conosciute. Purtroppo, però, in quel di Brescia quel che si temeva si è confermato. Brescia, dove, addirittura, l’ex Ministro Mariastella Gelmini chiese scampo, rifugiandosi a Reggio Calabria per poter diventare avvocato. Il mio risultato delle prove fa sì che chiuda la fase della mia vita di aspirazione forense in bruttezza. 18, 18, 20. Mai risultato fu più nefasto e, credo, immeritato e punitivo. Sicuro, però, che tale giudizio non è solo farina del sacco della Commissione di esame di Brescia. Lo zampino di qualche leccese c’è! Avvocato… o magistrato… o entrambi…: chissà? Non la tedio oltre. Ho tentato di trovare Tutela, non l’ho trovata. Forse chiedevo troppo. Marcire in carcere da innocente o pagare fio in termini professionali, credo che convenga la seconda ipotesi. Questo è quel che pago nel mettermi contro i poteri forti istituzionali, che io chiamo mafiosi. Avvocato, grazie per il tempo che mi ha dedicato. Le tolgo il disturbo e, nel caso l’importasse, non si meravigli, se, in occasione di incontri pubblici, se e quando ci saranno, la priverò del mio saluto. Con ossequi.
Avetrana lì 26 giugno 2015. Dr Antonio Giangrande, scrittore per necessità.
I mediocri del Politically Correct negano sempre il merito. Sostituiscono sempre la qualità con la quantità. Ma è la qualità che muove il mondo, cari miei, non la quantità. Il mondo va avanti grazie ai pochi che hanno qualità, che valgono, che rendono, non grazie a voi che siete tanti e scemi. La forza della ragione (Oriana Fallaci)
“L'Italia tenuta al guinzaglio da un sistema di potere composto da caste, lobbies, mafie e massonerie: un'Italia che deve subire e deve tacere.
La “Politica” deve essere legislazione o amministrazione nell’eterogenea rappresentanza d’interessi, invece è meretricio o mendicio, mentre le “Istituzioni” devono meritarlo il rispetto, non pretenderlo. Il rapporto tra cittadini e il rapporto tra cittadini e Stato è regolato dalla forza della legge. Quando non vi è cogenza di legge, vige la legge del più forte e il debole soccombe. Allora uno “Stato di Diritto” degrada in anarchia. In questo caso è palese la responsabilità politica ed istituzionale per incapacità o per collusione. Così come è palese la responsabilità dei media per omertà e dei cittadini per codardia o emulazione."
TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo. Vittorio Alfieri (1790).
"Quando si cerca di far progredire la conoscenza e l'intelligenza umana si incontra sempre la resistenza dei contemporanei, simile a un fardello che bisogna trascinare e che grava pesantemente al suolo, ribelle ad ogni sforzo. Ci si deve consolare allora con la certezza che, se i pregiudizi sono contro di noi, abbiamo con noi la Verità, la quale, dopo essersi unita al suo alleato, il Tempo, è pienamente certa della sua vittoria, se non proprio oggi, sicuramente domani."(Arthur Schopenhauer)
Il pregio di essere un autodidatta è quello che nessuno gli inculcherà forzosamente della merda ideologica nel suo cervello. Il difetto di essere un autodidatta è quello di smerdarsi da solo.
Noi siamo quello che altri hanno voluto che diventassimo con la discultura e la disinformazione. Ci si deve chiedere: perchè a scuola ci hanno fatto credere con i libri di testo che Garibaldi era un eroe ed i piemontesi dei salvatori; perché i media coltivano il luogo comune di un sud Italia cafone ed ignorante; perché la prima cosa che insegnano a scuola è la canzone “bella ciao”? Per poi scoprire da adulti e solo tramite il web: che il Sud Italia è stato depredato a causa proprio di Garibaldi a vantaggio dei Piemontesi; che solo i turisti che scendono a frotte nel meridione d’Italia scoprono quanto ci sia tanto da conoscere ed apprezzare, oltre che da amare; che “Bella ciao” è solo l’inno di una parte della politica italiana che in nome di una ideologia prima tradì l’Italia e poi, con l’aiuto degli americani, vinse la guerra civile infierendo sui vinti, sottomettendoli, con le sue leggi, ad un regime illiberale e clericale.
Ad Avetrana, il paese di Sarah Scazzi, non sono omertosi, sempre che non si tratti di poteri forti. Ma qualcuno certamente vigliacco e codardo lo è. Sapendo che io ho le palle per denunciare le illegalità, questi deficienti usano il mio nome ed appongono falsamente la mia firma in calce a degli esposti che colpiscono i poveri cristi rei di abusi edilizi o commerciali. I cretini, che poi fanno carriera politica, non sanno che i destinatari dei miei strali sono magistrati, avvocati, forze dell’ordine, e comunque pubblici ufficiali o esercenti un pubblico servizio. Che poi queste denunce finiscono nell’oblio perché “cane non mangia cane” e per farmi passare per mitomane o pazzo o calunniatore o diffamatore, è un’altra cosa. Però da parte di questi coglioni prendersela con i poveri cristi per poi far addossare la colpa a me ed essere oggetto di ritorsioni ingiustificate è da veri vigliacchi. D'altronde un paese di coglioni sarà sempre governato, amministrato, giudicato da coglioni.
È molto meglio osare cose straordinarie, vincere gloriosi trionfi, anche se screziati dall'insuccesso, piuttosto che schierarsi tra quei poveri di spirito che non provano grandi gioie né grandi dolori, perché vivono nel grigio e indistinto crepuscolo che non conosce né vittorie né sconfitte. (...) Non è il critico che conta, né l'individuo che indica come l'uomo forte inciampi, o come avrebbe potuto compiere meglio un'azione. L'onore spetta all'uomo che realmente sta nell'arena, il cui viso è segnato dalla polvere, dal sudore, dal sangue; che lotta con coraggio; che sbaglia ripetutamente, perchè non c'è tentativo senza errori e manchevolezze; che lotta effettivamente per raggiungere l'obiettivo; che conosce il grande entusiasmo, la grande dedizione, che si spende per una giusta causa; che nella migliore delle ipotesi conosce alla fine il trionfo delle grandi conquiste e che, nella peggiore delle ipotesi, se fallisce, almeno cade sapendo di aver osato abbastanza. Dunque il suo posto non sarà mai accanto a quelle anime timide che non conoscono né la vittoria, né la sconfitta. Franklin Delano Roosevelt
Cari signori, io ho iniziato a destare le coscienze 20 anni prima di Beppe Grillo e nulla è successo. Io non cercavo gli onesti, ma le vittime del sistema, per creare una rivoluzione culturale…ma un popolo di “coglioni” sarà sempre governato ed amministrato da “coglioni”.
"Il popolo cornuto era e cornuto resta: la differenza è che il fascismo appendeva una bandiera sola alle corna del popolo e la democrazia lascia che ognuno se l'appenda da sé, del colore che gli piace, alle proprie corna... Siamo al discorso di prima: non ci sono soltanto certi uomini a nascere cornuti, ci sono anche popoli interi; cornuti dall'antichità, una generazione appresso all'altra...- Io non mi sento cornuto - disse il giovane - e nemmeno io. Ma noi, caro mio, camminiamo sulle corna degli altri: come se ballassimo..." Leonardo Sciascia dal libro "Il giorno della civetta".
Un chierico medievale si imbatté in un groviglio di serpi su cui spiccava un ramarro che già da solo sarebbe bastato a spaventarlo. Tuttavia, confrontata a quelle serpeggianti creature, la bestiola gli parve graziosa ed esclamò: «Beati monoculi in terra caecorum», nella terra dei ciechi anche l’orbo è re.
Noi siamo quello che altri hanno voluto che diventassimo. Quando esprimiamo giudizi gratuiti, cattivi ed illogici lo facciamo con la nostra bocca ma inconsapevolmente per volontà di altri. Lo facciamo in virtù di quanto ricevuto: dall’educazione familiare, dall’istruzione di regime, dall’indottrinamento politico e religioso, dall’influenza mediatica. Niente è farina del nostro sacco. Se ci basassimo solo sulle nostre esperienze staremmo solo zitti, sapendo che nessuno sarebbe capace e disposto ad ascoltarci.
In una Italia dove nulla è come sembra, chi giudica chi è onesto e chi no?
Lo hanno fatto i comunisti, i dipietristi, i leghisti, i pentastellati. Lor signori si son dimostrati peggio degli altri e comunque servitori dei magistrati. E se poi son questi magistrati a decidere chi è onesto e chi no, allora se tutti stanno dalla parte della ragione, io mi metto dalla parte del torto.
Ognuno di noi, anziché migliorarsi, si giova delle disgrazie altrui. Non pensando che a cercar l’uomo onesto con il lanternino si perde la ragione. Ma anche a cercarlo con la lanterna di Diogene si perde la retta via. Diogene di Sinope (in greco antico Διογένης Dioghénes) detto il Cinico o il Socrate pazzo (Sinope, 412 a.C. circa – Corinto, 10 giugno 323 a.C.) è stato un filosofo greco antico. Considerato uno dei fondatori della scuola cinica insieme al suo maestro Antistene, secondo l'antico storico Diogene Laerzio, perì nel medesimo giorno in cui Alessandro Magno spirò a Babilonia. «[Alessandro Magno] si fece appresso a Diogene, andandosi a mettere tra lui e il sole. "Io sono Alessandro, il gran re", disse. E a sua volta Diogene: "Ed io sono Diogene, il cane". Alessandro rimase stupito e chiese perché si dicesse cane. Diogene gli rispose: "Faccio le feste a chi mi dà qualcosa, abbaio contro chi non dà niente e mordo i ribaldi."» (Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, Vita di Diogene il Cinico, VI 60). Diogene aveva scelto di comportarsi, dunque, come "critico" pubblico: la sua missione era quella di dimostrare ai Greci che la civiltà è regressiva e di dimostrare con l'esempio che la saggezza e la felicità appartengono all'uomo che è indipendente dalla società. Diogene si fece beffe non solo della famiglia e dell'ordine politico e sociale, ma anche delle idee sulla proprietà e sulla buona reputazione. Una volta uscì con una lanterna di giorno. Questi non indossava una tunica. Portava come solo vestito un barile ed aveva in mano una lanterna. "Diogene! - esclamo Socrate - con quale nonsenso tenterai di ingannarci oggi? Sei sempre alla ricerca, con questa lanterna, di un uomo onesto? Non hai ancora notato tutti quei buchi nel tuo barile?". Diogene rispose: "Non esiste una verità oggettiva sul senso della vita". A chi gli chiedeva il senso della lanterna lui rispondeva: "cerco l'uomo!". “... (Diogene) voleva significare appunto questo: cerco l’uomo che vive secondo la sua più autentica natura, cerco l’uomo che, aldilà di tutte le esteriorità, le convenzioni o le regole imposte dalla società e aldilà dello stesso capriccio della sorte e della fortuna, ritrova la sua genuina natura, vive conformemente a essa e così è felice."
Aste e usura: chiesta ispezione nei tribunali di Taranto e Potenza. Interrogazione dei Senatori Cinque Stelle: “Prassi illegali e vicende inquietanti”, titola “Basilicata 24” nel silenzio assordante dei media pugliesi e tarantini.
Da presidente dell’ANPA (Associazione Nazionale Praticanti ed Avvocati) già dal 2003, fin quando mi hanno permesso di esercitare la professione forense fino al 2006, mi sono ribellato a quella realtà ed ho messo in subbuglio il Foro di Taranto, inviando a varie autorità (Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Taranto, Procura della Repubblica di Taranto, Ministro della Giustizia) un dossier analitico sull’Ingiustizia a Taranto e sull’abilitazione truccata degli avvocati. Da questo dossier è scaturita solo una interrogazione parlamentare di AN del Senatore Euprepio Curto (sol perché ricoprivo l’incarico di primo presidente di circolo di Avetrana di quel partito). Eccezionalmente il Ministero ha risposto, ma con risposte diffamatorie a danno dell’esponente. Da allora e per la mia continua ricerca di giustizia come Vice Presidente provinciale di Taranto dell’Italia dei Valori (Movimento da me lasciato ed antesignano dei 5 Stelle, entrambi a me non confacenti per mia palese “disonestà”) e poi come presidente nazionale dell’Associazione Contro Tutte le Mafie, sodalizio antimafia riconosciuto dal Ministero dell’Interno, per essermi permesso di rompere l’omertà, gli abusi e le ingiustizie, ho subito decine di procedimenti penali per calunnia e diffamazione, facendomi passare per mitomane o pazzo, oltre ad inibirmi la professione forense. Tutte le mie denunce ed esposti e la totalità dei ricorsi presentati a tutti i Parlamentari ed alle autorità amministrative e politiche: tutto insabbiato, nonostante la mafiosità istituzionale è sotto gli occhi di tutti.
I procedimenti penali a mio carico sono andati tutti in fumo, non riuscendo nell’intento di condannarmi, fin anche a Potenza su sollecitazione dei denuncianti magistrati.
Il 3 ottobre 2016, dopo un po’ di tempo che mancavo in quel di Taranto, si apre un ulteriore procedimento penale a mio carico per il quale già era intervenuta sentenza di assoluzione per lo stesso fatto. Sorvolo sullo specifico che mi riguarda e qui continuo a denunciare alla luna le anomalie, così già da me riscontrate molti anni prima. Nei miei esposti si parlava anche di mancata iscrizione nel registro generale delle notizie di reato e di omesse comunicazioni sull’esito delle denunce.
L’ufficio penale del Tribunale è l’ombelico del disservizio. Non vi è traccia degli atti regolarmente depositati, sia ufficio su ufficio (per le richieste dell’ammissione del gratuito patrocinio dall’ufficio del gratuito patrocinio all’ufficio del giudice competente), sia utenza su ufficio per quanto riguarda in particolare la lista testi depositata dagli avvocati nei termini perentori. Per questo motivo è inibito a molti avvocati percepire i diritti per il gratuito patrocinio prestato, non essendo traccia né delle istanze, né dei decreti emessi. Nell’udienza del 3 ottobre 2016, per gli avvocati presenti, al disservizio si è provveduto con una sorta di sanatoria con ripresentazione in udienza di nuove istanze di ammissione di Gratuito patrocinio e di nuove liste testi (fuori tempo massimo); per i sostituiti avvocati, invece, ogni diritto è decaduto con pregiudizio di causa. Non un avvocato si è ribellato e nessuno mai lo farà, perché mai nessuno in quel foro si è lamentato di come si amministra la Giustizia e di come ci si abilita. Per quanto riguarda la gestione degli uffici non si può alludere ad una fantomatica mancanza di personale, essendo l’ufficio ben coperto da impiegate, oltretutto, poco disponibili con l’utenza.
Io ho già dato per fare casino, non foss’altro che ormai sono timbrato tra i tarantini come calunniatore, mitomane o pazzo, facendo arrivare la nomea oltre il Foro dell’Ingiustizia.
La presente, giusto per rendere edotti gli ignoranti giustizialisti e sinistroidi in che mani è la giustizia, specialmente a Taranto ed anche per colpa degli avvocati.
INTRODUZIONE.
IL TANATURISMO. L’INSOSTENIBILE LEGGEREZZA DEL TURISMO DELL’ORRORE, scrive Antonella Serecchia il 9 agosto 2018 su "Thevision.com. È sabato 14 gennaio e all’isola del Giglio c’è la classica temperatura invernale. La stazione meteo di Monte Argentario registra 5 gradi di minima, 10 di massima. Non il gelo siberiano, ma nemmeno una temperatura che invoglia alla balneazione o a lunghe passeggiate. Eppure, alla biglietteria di Porto Santo Stefano vengono staccati 1081 biglietti per il traghetto che porta all’isola toscana. Il sabato precedente erano stati appena 131. È agghiacciante pensare che questo peculiare incremento del flusso turistico non sia dovuto a un evento culturale, un concerto o una manifestazione, bensì a una tragedia. È il 14 gennaio 2012, il sabato successivo al naufragio della Costa Concordia. Soccorritori e giornalisti, si potrebbe pensare. Certamente ci sono anche quelli. Ma tra loro ci sono anche moltissimi turisti, accorsi per ammirare la gigantesca nave che giace su un fianco, adagiata sulla costa. Poche ore prima, quello che ora sembra un ammasso di ferraglia, solcava il mare carica di 5mila passeggeri. 32 di loro hanno perso la vita in seguito a quello che è stato il naufragio più discusso dai tempi del Titanic, esattamente cento anni dopo. Ma è proprio questa una delle tante, presunte coincidenze, che hanno contribuito a trasformare lo scoglio di fronte al relitto della Concordia in un’attrazione. Laddove, poche ore prima, decine di persone perdevano la vita, ora altre scattano foto ricordo. Questa forma di voyerismo della tragedia non rappresenta il caso isolato di qualche mitomane o appassionato delle teorie del complotto, ma si tratta di un vero e proprio fenomeno: il turismo nero, “Il piccolo, sporco segreto del settore turistico.”
Secondo lo studioso Philip Stone, per tanaturismo (dal greco, thanatos, morte) si intende “L’atto di viaggiare e visitare luoghi associati alla morte, alla sofferenza o a ciò che è apparentemente macabro.” Ne esistono svariate sfaccettature, che vanno dall’assistere a ricostruzioni di guerre, omicidi o massacri, visitare i luoghi in cui sono avvenuti, fino alla voglia di presenziare personalmente a una pubblica esecuzione. Secondo l’ampia letteratura del genere, il partecipante medio può essere guidato dalla voglia di approfondimento di tipo storico e sociale, dalla volontà di rendere omaggio alle vittime o da una curiosità ossessiva. Si può discutere dell’opportunità di alcuni casi limite, come la decisione di riprodurre, come in una giostra di Gardaland, i suoni dei bombardamenti come dovevano averli sentiti i romani rifugiati nel Bunker di villa Torlonia, durante la seconda guerra mondiale. Ma quanto si tratta di episodi come quello della Concordia, si tratta semplicemente di una forma di morbosità che con lo studio e la conoscenza non ha nulla a che vedere.
A dimostrarlo sono diversi casi. Avetrana è una cittadina in provincia di Taranto, il cui interesse culturale o paesaggistico non è mai stato particolarmente rilevante. Eppure, nel 2010 si è riempita di ficcanaso che volevano piantare la loro personale bandierina nel luoghi dell’omicidio della quindicenne Sarah Scazzi. Il pozzo dove è stato ritrovato il corpo, la villetta dello zio costituitosi come assassino – c’è addirittura chi citofona per chiedere un autografo a Michele Misseri –diventano così dei luoghi d’interesse per quelli che vengono definiti turisti dell’orrore, ma che in realtà incarnano solo la volontà di ficcanasare in vicende che i media hanno amplificato in maniera eccessiva, trasformandole in mangime per guardoni. Nel 2014, a dodici anni dall’omicidio di Cogne, La Stampa riportava ancora di visitatori che si erano recati in gita nel paesino valdostano per vedere dal vivo la villetta del delitto. La stessa immagine si ritrova in tempi ancor più recenti, qualche chilometro più a sud, a Perugia, di fronte all’abitazione di Meredith Kercher. Nessuna motivazione turistico-culturale può celarsi dietro una decisione di questo tipo.
L’attrazione del genere umano verso ciò che è ignoto, proibito o cruento, non è una cosa nuova. I romani hanno costruito un impero sul motto panem et circenses – laddove con giochi circensi si intendeva il massacro di schiavi, galeotti, cristiani e prigionieri di guerra sotto gli occhi affascinati e divertiti di centinaia di persone. Nel Diciottesimo secolo, durante la rivoluzione francese, le donne delle classi più agiate si posizionavano in prima fila a sferruzzare a maglia in occasione delle esecuzioni capitali, alzando lo sguardo soltanto di rado per gridare “A morte!” Per quanto possa sembrare un’abitudine malsana appartenente a epoche ormai lontane, tutt’oggi nei civilissimi Stati Uniti d’America, esiste la figura del testimone volontario, che assiste all’uccisione del detenuto pur non avendo alcuna relazione personale o professionale con il caso, ma solo per “assicurare che la tanto agognata giustizia venga compiuta.”
Nonostante le radici antiche della curiosità umana verso la sofferenza e la morte (perlopiù altrui), secondo gli studiosi il fenomeno del tanaturismo sarebbe strettamente connesso alla nostra epoca. Malcom Foley e John Lennon, gli accademici che hanno per primi coniato il termine dark tourism, sostengono che esso si posiziona a metà tra “gli atti inumani della storia recente” e “le rappresentazioni che di questi ne hanno dato i film e la stampa.” I turisti del nero sarebbero quindi guidati dalla voglia di andare oltre la rappresentazione fornita dai media, nel tentativo di sperimentare in prima persona emozioni forti, autentiche, dalle quali creare, in senso durkheimiano, nuovi precetti morali in una società altrimenti priva di capisaldi. Dove c’è domanda, il mercato creerà un’offerta: i turisti interessati alla spettacolarizzazione del dolore, più che alla sua comprensione, trovano facilmente chi li aiuterà a trovare attrazioni di loro interesse. Sono diversi i pacchetti studiati appositamente per riprodurre, davanti agli occhi dei turisti, i teatrini che si aspettano di vedere. E così scopri di poter visitare “i luoghi famosi degli omicidi di mafia” lungo il tragitto che ti porterà verso un “tradizionale pranzo siciliano” (il tutto organizzato da un’agenzia di viaggi con sede a Londra); o di poter apprendere la storia della mafia (che spesso è concepita come equivalente Storia della Sicilia) in cinque ore di tour guidato attraverso i luoghi celebri delle scene de Il Padrino, famoso documento storico che con la finzione cinematografica non ha nulla a che vedere. C’è poi un’agenzia di viaggi di Boston, Stati Uniti, che per la modica cifra di 4mila dollari organizza un tour guidato che comprende un ospite del tutto eccezionale: Angelo Provenzano, figlio del Boss Bernardo. I suoi racconti ai turisti d’oltreoceano comprendono le difficoltà che ha dovuto attraversare nella sua vita da figlio di uno dei peggiori carnefici di Cosa nostra – che comunque lui non rinnega, anzi, gli riconosce delle “attenuanti.” È piuttosto raccapricciante leggere le testimonianze degli americani che vi hanno partecipato, commossi dalla storia da Libro cuore di Angelo Provenzano, scosso “dall’impossibilità di condurre una vita normale.” Non sembra invece che vengano altrettanto approfondite le sofferenze di chi ha combattuto la mafia, ed è morto per questo, ma è evidente che lo scopo dell’agenzia non è fare divulgazione storico-culturale. Certamente, queste vittime non sono da imputare ai figli di Provenzano, ma forse avrebbero il suo stesso diritto di essere menzionate in un tour che parla di mafia.
Se da un lato ci sono dei guardoni che provano piacere nell’assistere alle tragedie altrui, dall’altro ci sono degli sprovveduti che pensano pure di tornare a casa più acculturati e degli opportunisti che glielo fanno credere, lucrandoci sopra. Se quando si tratta di omicidi e fatti di cronaca, il peggio che può accadere è insultare la memoria della vittima e della sua famiglia – oltre che il buon gusto – quando si tratta di temi complessi come la mafia è la storia di un intero Paese a venire ridotta a un bene materiale da commercializzare, piuttosto che un contenuto da approfondire. Come si chiede Nando dalla Chiesa sul suo blog: “Per quanto tempo la memoria delle vittime di mafia, il dolore dei loro familiari, il sangue versato negli anni, dovranno essere impunemente irrisi e svillaneggiati da una miriade di attività commerciali e turistiche che hanno trasformato il nome e l’immagine della mafia in un marchio felice per vendere beni e servizi?”
I turisti che, in visita in Sicilia, faranno colazione nel bar dove è stato girato Il Padrino e scatteranno fotografie con la caricatura di un mafioso, con coppola e lupara, non torneranno a casa più arricchiti. Così come la Sicilia – e l’Italia intera – non trarranno alcun beneficio dalla diffusione di una storia ridotta a macchietta, vissuta come il prodotto tipico più rappresentativo spesso esportato all’estero, come fosse un brand. Nell’epoca contemporanea, qualsiasi fenomeno – e così anche il turismo, che sia nero o tradizionale – tende ad andare incontro a due processi: la spettacolarizzazione e la commercializzazione. Ma anche in un mondo in cui tutto è bene di consumo o teatrino per spettatori curiosi, ci sono alcune cose che sarebbe meglio rimanessero materia di approfondimento, più che d’intrattenimento.
Sarah Scazzi. Il delitto di Avetrana. Processo ai Misseri. Quando la Giustizia non convince, ma la televisione sì.
Una farsa dove i media sono la pubblica accusa ed i loro spettatori sono i giudici popolari. La difesa è un optional assente. Intervista al dr Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico, giurista, blogger, youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie, autore avetranese che sulla vicenda ha scritto tre libri: sulla scomparsa, il ritrovamento, gli arresti ed il processo di primo grado; sull’appello; sui giudizi penali ai testimoni non conformi alla linea accusatoria.
Dr. Antonio Giangrande lei su quali basi può essere ritenuto un relatore attendibile della vicenda?
«Sono di Avetrana ed ho esercitato la professione forense nel foro di Taranto, finchè me lo hanno permesso, non essendo conforme, quindi conosco i luoghi e le persone al di là dell’aspetto processuale specifico. Nella mia peculiare situazione ho raccolto in testi ed in video tutto il materiale attinente la vicenda».
E quale idea si è fatto?
«Nonostante abbia consultato tutti gli atti processuali ed extraprocessuali difensivi ed accusatori, le sentenze, finanche quella definitiva, mi lasciano il dubbio, oltre che l’amaro in bocca».
L’amaro in bocca?
«Sì. Perché gli studenti che vogliono presentare una tesi scolastica o universitaria sulla vicenda di Sarah Scazzi, spesso mi chiedono il materiale video della requisitoria dell’accusa, non essendo interessati minimamente alle arringhe della difesa. Dico loro che tutto il materiale accusatorio e difensivo da me raccolto può essere consultato anche in testi e gratuitamente. Questi, pur non conoscendo la posizione della difesa delle parti in causa, mi rispondono: “Grazie, ma la vicenda mi è già ben chiara.” Capite? È chiara una vicenda sol perché si è seguita mediaticamente tramite i portavoce dei PM, o perché si è visionata la requisitoria accusatoria. Questo è per la vicenda di Sarah Scazzi, come lo è per tutti i grandi processi mediatici».
Lei che conosce tutto il materiale probatoria, cosa, invece, ha da aggiungere per completezza di informazione?
«Gli elementi giudiziari principali su cui basare un giudizio di logica sono:
Arma del delitto. Non vi è certezza. La difesa dice corda. L’accusa dice cintura.
Orario del delitto. Vi è contraddizione. L’orario incerto e non provato dell’accusa è prima delle 14.00 di quel giovedì 26 agosto 2010, basato su testimoni che si son contraddetti (il vicino, la coppietta, i genitori di Sarah e la badante) ed il consulente contestato; l’orario certo della difesa è circa le 14.30, provato da un testimone attendibile.
Movente del delitto. Non vi è certezza. Passionale da parte di Sabrina, per l’accusa, però senza riscontro o conferme degli amici ascoltati. Sessuale da parte di Michele, per la difesa, con il riscontro dei precedenti di Misseri con la cognata.
Gli elementi spuri. Il fantomatico furgone visto da Massari ed il fantastico sogno del fioraio Buccolieri. Il furgone non prova né l’omicidio, né il rapimento. Il Sogno non prova l’omicidio, ma solo il coinvolgimento di Cosima Serrano nell’eventuale rapimento di Sarah. Sogno che non è stato mai indicato come realtà. Solo la Pisanò ed i pubblici ministeri hanno ritenuto che quel sogno fosse realtà, nonostante vi sia stata immediata ritrattazione o puntualizzazione del Buccolieri, il cui procedimento penale per false dichiarazioni al Pubblico Ministero, sicuramente morirà di prescrizione, non arrivando a definire una verità assoluta sull’eventuale abbaglio accusatorio o sulla falsità della ritrattazione. Per aver sostenuto che era sogno molti parenti ed amici del Buccolieri sono finiti sotto la scure giudiziaria. Per questo non si capisce l’incaponimento di questi a sostenere una versione che l’accusa ritiene falsa, se effettivamente falsa non sia.
Le confessioni di rei ritenuti innocenti. Cosima ha sempre sostenuto la sua estraneità all’omicidio ed al fantomatico rapimento onirico. Oltre modo nessuno mai l'ha tirata in ballo. Nessun testimone, nè il marito loquace. Anche per mancanza di tempo, ribadita da un testimone, perchè rientrata alle 13.30 circa dal lavoro in campagna. Sabrina ha sempre negato il suo coinvolgimento al delitto, confermate dagli sms alle Spagnoletti, e la sua gelosia per Ivano, confermando il suo affetto per Sarah. Michele ha confessato il delitto, con riscontro di fatti, facendo trovare prima il cellulare, poi il corpo e palesando la sua colpa nella prima telefonata genuina intercettata tra lui e la figlia Sabrina durante il suo arresto nella caserma di Taranto, in seguito del quale ha fatto ritrovare il corpo. Ha deviato sulla sua versione solo quando non era presente coscientemente a causa dei farmaci somministrati ed indotto dal carabiniere presente all’audizione, ovvero quando è stato indotto dal suo avvocato difensore, Daniele Galoppa, consigliato a Michele dal pubblico ministero Pietro Argentino, componente dell’accusa, ed indotto dalla consulente Roberta Bruzzone. Così come dichiarato dallo stesso Misseri. Bruzzone che nel processo ha rivestito le vesti di consulente di Michele Misseri, testimone dell’accusa e persona offesa (logicamente astiosa) nei confronti di Michele.
Testimoni fondamentali dell’accusa. L’unica super testimone: Anna Pisanò, sedicente amica di Sabrina Misseri. La sua testimonianza collide con tutte le altre versioni degli amici e parenti di Sabrina che sono stati ascoltati nel processo. Sarah la mattina dell’omicidio era felice? Per la Pisanò no, per gli altri sì. Sabrina era gelosa di Sarah per Ivano Russo? Per la Pisanò sì, per gli altri, no. Dopo la scomparsa vi sono elementi colpevolizzanti per Sabrina? Per la Pisanò, sì, per gli altri, no. Chi ha parlato per prima del sogno? La Pisanò che sospettava una relazione sentimentale tra sua figlia Vanessa e il fioraio, suo datore di lavoro. La Pisanò ha detto di tutto su tutto, anche contraddicendosi, come per la questione del sogno. La Pisanò, testimone e detective allo stesso modo ed allo stesso tempo. La Pisanò, con cui Sabrina non si confidava perché non la riteneva amica, in quanto considerata “pettegola”, si arrogava il merito di sapere tutto su Sabrina stessa. Franco Coppi, l’avv. di Sabrina, ebbe a dire nell’arringa di primo grado: “Sabrina ammette di essere colpevole. Sabrina con la casa invasa dai giornalisti ammette la sua responsabilità …con chi? Con la più pettegola delle donne di Avetrana, Con la Pisanò!”»
In sintesi ha raccontato i processi. Cosa ne deduce?
«Se già io che ho studiato, cercato, approfondito tutti gli elementi del processo. Ho conosciuto tutti i fatti exatraprocessuali che ne hanno minato la credibilità. Se già io conosco tutto ciò e ho dei dubbi sull’esito processuale, come fanno gli sbarbatelli che poco conoscono l’argomento a dire: “ho le idee chiare”?»
Si farà un docufiction sulla vicenda da parte di Mediaset…
«Già. Ma non sono io il consulente della regia o degli autori. Sicuramente si saranno avvalsi di qualcuno più autorevole ed attendibile di me… senza stereotipi, pregiudizi e superficialità. Sicuramente la redazione di Quarto Grado fornirà il suo apporto. Sicuramente si farà riferimento al fatto, come spesso dichiarato impunemente in quella trasmissione, che Avetrana è un paese omertoso…sol perché non sono stati tutti pettegoli…».
Antonio Giangrande, orgoglioso di essere diverso.
Se si è omologati (uguali) o conformati (simili) e si sta sempre dietro alla massa, non si sarà mai primi nella vita, perché ci sarà sempre il più furbo o il più fortunato a precederti.
Si nasce senza volerlo. Si muore senza volerlo. Si vive una vita di prese per il culo.
Dove si sentono alti anche i nani e dove anche i marescialli si sentono generali, non conta quanti passi fai e quali scarpe indossi, ma conta quante tracce lasci del tuo percorso.
Il difetto degli intelligenti è che sono spinti a cercare le risposte ai loro dubbi. Il pregio degli ignoranti è che non hanno dubbi e qualora li avessero sono convinti di avere già le risposte.
Un popolo di “coglioni” sarà sempre governato ed amministrato da “coglioni”.
Un chierico medievale si imbatté in un groviglio di serpi su cui spiccava un ramarro che già da solo sarebbe bastato a spaventarlo. Tuttavia, confrontata a quelle serpeggianti creature, la bestiola gli parve graziosa ed esclamò: «Beati monoculi in terra caecorum», nella terra dei ciechi anche l’orbo è re.
Noi siamo quello che altri hanno voluto che diventassimo. Quando esprimiamo giudizi gratuiti, cattivi ed illogici lo facciamo con la nostra bocca ma inconsapevolmente per volontà di altri. Lo facciamo in virtù di quanto ricevuto: dall’educazione familiare, dall’istruzione di regime, dall’indottrinamento politico e religioso, dall’influenza mediatica. Niente è farina del nostro sacco. Se ci basassimo solo sulle nostre esperienze staremmo solo zitti, sapendo che nessuno sarebbe capace e disposto ad ascoltarci.
E’ comodo definirsi scrittori da parte di chi non ha arte né parte. I letterati, che non siano poeti, cioè scrittori stringati, si dividono in narratori e saggisti. E’ facile scrivere “C’era una volta….” e parlare di cazzate con nomi di fantasia. In questo modo il successo è assicurato e non hai rompiballe che si sentono diffamati e che ti querelano e che, spesso, sono gli stessi che ti condannano. Meno facile è essere saggisti e scrivere “C’è adesso….” e parlare di cose reali con nomi e cognomi. Impossibile poi è essere saggisti e scrivere delle malefatte dei magistrati e del Potere in generale, che per logica ti perseguitano per farti cessare di scrivere. Devastante è farlo senza essere di sinistra. Quando si parla di veri scrittori ci si ricordi di Dante Alighieri e della fine che fece il primo saggista mondiale.
Da sempre diffido di chi, vestito da lupo, è pecora genuflessa alla magistratura. I saccenti giustizialisti dei 5 stelle che provino a proporre la figura del difensore civico giudiziario con poteri di magistrato, senza essere uno di loro, per poter metter le mani nelle carte dei fascicoli e poterle sparigliare. Io da anni mi batto inascoltato per questo. I signori dei 5 stelle non si degnano nemmeno di rispondere ai messaggi degli esperti: tanto san tutto loro. A sbraitare son bravi, ma a proporre leggi sensate, mi sa che non son capaci. Parlan solo di soldi, soldi, soldi ed onestà, certificata dai loro magistrati, e mai parlano di libertà ed opportunità senza concorsi ed esami pubblici truccati.
Ad ogni azione umana nefasta si trova sempre una giustificazione...lo si fa per le piante...lo si fa per gli animali...lo si fa per le persone! Ma, alla fine, rimane solo un'azione nefasta che fa male al prossimo...e, spesso, il prossimo siamo noi. A parte il partito preso, noi siamo tutti responsabili delle azioni nefaste di uno, quando gli permettiamo di farle.
Parlare nei miei libri del caso singolo del semplice cittadino significa incorrere nell’accusa di mitomania, pazzia o calunnia, oltre che ne disinteresse. Invece parlo di loro, delle istituzioni che delinquono impunite. Parlo della vera mafia. Cosa posso dire di più di quello che ho scritto e che altri non dicono? Credo che quanto divulgato possa essere di grande soddisfazione per le vittime, non potendo avere altro che quella in questa Italia con italiani di merda a cui interessa solo di loro stessi e se ne fottono degli altri.
Una cosa è certa, però. Per i poveri cristi vale “Colpevole fino a prova contraria”. Per gli intoccabili vale "Innocente fino a prova contraria o fino all’archiviazione o alla prescrizione".
Nel "palazzo dello scandalo". Un giorno con i giudici indagati, scrive Riccardo Lo Verso Mercoledì 23 Settembre 2015 su “Live Sicilia”. Da Silvana Saguto a Tommaso Virga, passando per Lorenzo Chiaromonte e Dario Scaletta. Alcuni hanno cambiato incarico, altri hanno rinunciato a parte dei loro compiti, ma è negli uffici giudiziari palermitani che attenderanno il giudizio del CSM sulla loro eventuale incompatibilità ambientale. Tommaso Virga è nella sua stanza al primo piano del nuovo Palazzo di giustizia di Palermo. Due rampe di scale lo separano dalla sezione Misure di prevenzione finita sotto inchiesta. Siede alla scrivania dopo avere appeso la toga e tolto la pettorina, il bavaglino bianco che un regio decreto del 1865 impone di indossare ai giudici in udienza. Questioni di forma e decoro. Virga parla con i cancellieri e prepara il calendario delle udienze della quarta sezione penale. Fa tutto ciò che deve fare un presidente che si è appena insediato. Archiviata l'esperienza di consigliere togato al Consiglio superiore della magistratura aspettava che si liberasse una sezione a Palermo. Un incrocio, quanto meno insolito, ha fatto sì che andasse a prendere il posto di Mario Fontana, chiamato a sostituire Silvana Saguto, l'ex presidente delle Misure di prevenzione travolta dall'indagine in cui è coinvolto lo stesso Virga. Che si mostra disponibile con il cronista che bussa alla sua porta. “Nel rispetto del ruolo che ricopro non ho mai fatto dichiarazioni”, dice il presidente chiarendo subito la sua intenzione di non cambiare idea proprio adesso. Inutile chiedergli dell'indagine che lo coinvolge, della credibilità della magistratura che vacilla, della perplessità legittima di chi si chiede se questa storia possa intaccare la serenità necessaria per chi deve amministrare la giustizia al di là di ogni ragionevole dubbio, dell'opportunità di continuare a fare il giudice a Palermo. Perché tutti i magistrati coinvolti nell'indagine sono e resteranno a Palermo. Alcuni hanno cambiato incarico, altri hanno rinunciato a parte dei loro compiti, ma è negli uffici giudiziari palermitani, nei luoghi dello scandalo, che attenderanno il giudizio del Csm sulla loro eventuale incompatibilità ambientale. Virga è tanto garbato quanto ermetico. Si limita a fare registrare un dato incontrovertibile: “Sono al mio posto, a lavorare”. I suoi gesti e il tono della voce sembrano rispondere alla domanda sulla serenità. Qualcuno degli addetti alla cancelleria si spinge oltre le impressioni con una frase asciutta: “L'autorevolezza del presidente Virga è fuori discussione”. Già, l'autorevolezza, al centro delle discussioni che impegnano gli addetti ai lavori nell'apparente normalità di una mattinata al Palazzo di giustizia. Apparente perché è profondo il solco tracciato dalla domanda che anima ogni capannello che si forma nei corridoi o davanti alle aule: può essere credibile una magistratura segnata da un'indagine, fastidiosa oltre che grave visti i reati ipotizzati? Nello scandalo dei beni confiscati sono coinvolti quattro magistrati. Uno è Tommaso Virga, gli altri sono Silvana Saguto e Lorenzo Chiaramonte (vecchi componenti della sezione Misure di prevenzione, azzerata con l'arrivo di Fontana) e il pubblico ministero Dario Scaletta. Hanno ruoli diversi nella vicenda. Per tutti vale il principio della presunzione di non colpevolezza su cui si basa il nostro stato di diritto. La Saguto sarebbe il vertice del presunto sistema affaristico - i pubblici ministeri di Caltanissetta ipotizzano i reati di corruzione, induzione alla concussione e abuso d'ufficio - creato attorno alla gestione dei beni sequestrati e confiscati alla mafia. Un sistema che avrebbe finito per favorire alcuni amministratori giudiziari piuttosto di altri. Fra i “favoriti” ci sarebbero Gaetano Cappellano Seminara, il principe degli amministratori, e il giovane Walter Virga, figlio del Tommaso di cui sopra. A detta dei pm nisseni, il primo sarebbe stato nominato in cambio di consulenze assegnate al marito della Saguto e il secondo per "ringraziare" Virga padre che, quando era consigliere del Csm, avrebbe calmato le acque che si agitavano sull'operato della Saguto. Un aiuto smentito nei giorni scorsi da Virga, tramite il suo legale, l'avvocato Enrico Sorgi: “Durante il proprio mandato al Csm non risultano essere stati avviati procedimenti disciplinari a carico della Saguto. I fatti che formano oggetto della notizia diffusa sono del tutto privi di potenziale fondamento”. Chiaramonte, invece, è indagato per abuso d'ufficio perché non si sarebbe astenuto quando ha firmato l'incarico di amministratrice giudiziaria a una persona di sua conoscenza. Infine c'è Dario Scaletta, pm della Direzione distrettuale antimafia e rappresentante dell'accusa nei processi in fase di misure di prevenzione. Scaletta avrebbe fatto sapere alla Saguto che era stata trasferita da Palermo a Caltanissetta l'inchiesta su Walter Virga e cioè il fascicolo da cui è partito il terremoto giudiziario. Il pubblico ministero ha chiesto di non occuparsi più di indagini su Cosa nostra e di misure di prevenzione. Tutti i magistrati, coinvolti nell'indagine a vario titolo e con profili diversi, restano a Palermo. Silvana Saguto, appena avrà recuperato da un infortunio fisico, andrà a presiedere la terza sezione della Corte d'assise. Chiaramonte, ultimate le ferie, prenderà servizio all'ufficio del Giudice per le indagini preliminari. Sarà il Csm a decidere se e quando trasferirli. Sul caso è stato aperto un fascicolo, di cui si occuperà la Prima Commissione, competente sui trasferimenti per incompatibilità ambientale e funzionale dei giudici. Il Consiglio superiore della magistratura per tradizione non spicca in velocità. In una giustizia spesso lumaca non fa eccezione il procedimento davanti all'organismo di autogoverno della magistratura che somiglia molto, nel suo svolgimento, ad un processo ordinario. A meno che non venga preso un provvedimento cautelare urgente ci vorrà tempo prima di conoscere il destino dei magistrati, forse più di quanto ne servirà ai pubblici ministeri di Caltanissetta per chiudere le indagini o agli stessi indagati per chiarire la loro posizione. Il “forse” è dovuto al fatto che le indagini affidate ai finanzieri del Nucleo di polizia tributaria di Palermo sembrano essere appena all'inizio e i pm non hanno alcuna intenzione, al momento, di sentire i magistrati che avevano chiesto di essere interrogati. Oggi, però, son arrivate le parole del vicepresidente del Csm Giovanni Legnini durante il plenum. "Oggi parlerò con il presidente della Repubblica", ha detto ribadendo la volontà di "procedere con la massima tempestività e rigore".
Gli impresentabili e la deriva forcaiola.
Ognuno di noi, italiani, siamo quello che altri hanno voluto che diventassimo. In famiglia, a scuola, in chiesa, sui media, ci hanno deturpato l’anima e la mente, inquinando la nostra conoscenza. Noi non sappiamo, ma crediamo di sapere…
La legalità è il comportamento conforme al dettato delle centinaia di migliaia di leggi…sempre che esse siano conosciute e che ci sia qualcuno, in ogni momento, che ce li faccia rispettare!
L’onestà è il riuscire a rimanere fuori dalle beghe giudiziarie…quando si ha la fortuna di farla franca o si ha il potere dell'impunità o dell'immunità che impedisce il fatto di non rimaner invischiato in indagini farlocche, anche da innocente.
Parlare di legalità o definirsi onesto non è e non può essere peculiarità di chi è di sinistra o di chi ha vinto un concorso truccato, né di chi si ritiene di essere un cittadino da 5 stelle, pur essendo un cittadino da 5 stalle.
Questo perché: chi si loda, si sbroda!
Le liste di proscrizione sono i tentativi di eliminare gli avversari politici, tramite la gogna mediatica, appellandosi all'arma della legalità e della onestà. Arma brandita da mani improprie. Ed in Italia tutte le mani sono improprie, per il sol fatto di essere italiani.
Ci sono delle regole stabilite dalla legge che definiscono i criteri che vietano eleggibilità e candidabilità. Se un cittadino regolarmente iscritto alle liste elettorali non si trova in nessuna di queste condizioni si può candidare. Punto.
"Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale". (art. 49 della costituzione italiana). Alle amministrative del 31 maggio 2015 gli elettori saranno aiutati dalla commissione parlamentare antimafia che ha presentato una lista di impresentabili, spiega Piero Sansonetti. Cioè un elenco di candidati che pur in possesso di tutti i diritti civili e politici, e quindi legittimati a presentarsi alle elezioni, sono giudicate moralmente non adatte dai saggi guidati da Rosy Bindi. Le liste di proscrizione furono inventate a Roma, un’ottantina di anni prima di Cristo dal dittatore Silla, che in questo modo ottenne l’esilio di tutti i suoi avversari politici. L’esperimento venne ripetuto con successo 40 anni dopo da Antonio e Ottaviano, dopo la morte di Cesare, e quella volta tra i proscritti ci fu anche Cicerone. Che fu torturato e decapitato. Stavolta per fortuna la proscrizione sarà realizzata senza violenze, e questo, bisogna dirlo, è un grosso passo avanti. La commissione naturalmente non ha il potere – se Dio vuole – di cancellare i candidati, visto che i candidati sono legalmente inattaccabili. Si limita a una sorta di blando pubblico linciaggio. Un appello ai cittadini: «Non votate questi farabutti».
Ed i primi nomi spifferati ai giornali sono pugliesi.
Ma chi sono i 4 candidati impresentabili pugliesi, quelli che, in base al codice etico dei loro partiti o dei partiti al cui candidato sono collegati non avrebbero potuto presentare la loro candidatura?
Attenzione! Siamo di fronte al diritto di tutti i candidati ad essere considerati persone perbene fino all’ultimo grado di giudizio.
Uno di loro è semplicemente indagato, gli altri sono stati assolti dalle accuse in primo grado, anche se i pm poi hanno fatto ricorso. Nessuno di loro è incandidabile, secondo la legge Severino, e tutti e quattro fossero votati potrebbero fare i consiglieri regionali.
Il primo è l’imprenditore Fabio Ladisa della lista «Popolari con Emiliano» che appoggia il candidato del Pd ed ex sindaco di Bari, Michele Emiliano. La Commissione precisa che «è stato rinviato a giudizio per furto aggravato, tentata estorsione (e altro), commessi nel 2011, con udienza fissata per il 3.12.2015». Imputato, non condannato.
Con Schittulli c'è Enzo Palmisano, medico, accusato per voto di scambio (anche se poi il procedimento era andato prescritto). Prescrizione non vuol dire condanna, ma scelta legittima di economia processuale.
Con Schittulli c'è Massimiliano Oggiano, commercialista, della lista «Oltre» (per lui accuse attinenti al 416 bis e al voto di scambio con metodo mafioso, è stato assolto in primo grado e pende appello, la cui udienza è fissata per il 3 giugno 2015). Assolto, quindi innocente.
Giovanni Copertino, ufficiale del corpo Forestale in congedo, accusato di voto di scambio (anche se poi era stato tutto prescritto, contro tale sentenza pende la fase di appello ), consigliere regionale Udc è in lista invece con Poli-Bortone. Prescrizione non vuol dire condanna, ma scelta legittima di economia processuale.
C’è un solo caso davvero incomprensibile: quello del candidato Pd alla presidenza della Regione Campania, Vincenzo De Luca. Per legge non potrà fare né il consigliere regionale, né il presidente della Regione Campania. Se venisse eletto il giorno dopo non potrebbe nemmeno mettere piede in consiglio regionale. Vittima, anch'egli di una legge sclerotica voluta dai manettari. Legge che ha colpito proprio loro, i forcaioli, appunto Vincenzo De Luca, sindaco di Salerno, e Luigi De Magistris, sindaco di Napoli e già dell’IDV di Antonio Di Pietro. Sospesi per legge, ma coperti temporaneamente dal Tar. Tar sfiduciato dalla Cassazione che riconosce il potere al Tribunale.
Con le liste di proscrizione si ha un regolamento politico di conti che nulla ha a che vedere con la legalità, spiega Mattia su “Butta”. La legalità la stabilisce la legge, non Rosy Bindi. Se la legge vigente non piace, liberissimi in Parlamento di modificarla affrontando l’opinione pubblica. Ma non è giusto mettere un timbro istituzionale su una cosa illegale come quella che sta facendo oggi la commissione antimafia. Illegale perchè va contro ed oltre la legge vigente, e non può farlo una istituzione. Non una istituzione, che per altro si è ben guardata dall’inserire nell’elencone degli impresentabili qualcuno macchiato del reato tipico dei consiglieri regionali: il peculato, la truffa sui contributi ai gruppi consiliari. L’avessero fatto, non ci sarebbero state elezioni...
Un privato cittadino può anche dire in giro che Tizio o Caio sono impresentabili perché X, ma rimane un suo giudizio personale. Già di suo è un giudizio scorretto: al massimo puoi dire che Tizio non deve essere eletto, non che è impresentabile. Puoi cioè invitare la gente a non votarlo (così come fai con tutti i candidati che non ti garbano) ma non è corretto dire che non dovrebbe essere nemmeno presentato. Può presentarsi eccome: in democrazia non c’è nessuno che è meno degno di presentarsi.
Forse non si percepisce la gravità di questo precedente. Il fatto che un pezzo di parlamento, ossia una istituzione che avrebbe ben altro da fare, come cercare la mafia nell’antimafia, si arroghi il diritto di indicare alla popolazione chi è degno di essere eletto e chi no in base ai propri gusti e non a una legge dello Stato è aberrante. Uscire l’ultimo giorno di campagna elettorale ad additare, con la forza di una istituzione, un tizio gridando “vergogna! è un X! non votatelo” senza dare al tizio la possibilità di difendersi allo stesso livello è preoccupante. Il metodo Boffo delle elezioni.
In questo modo avremo come impresentabili tutti quelli indicati da Filippo Facci.
1) Quelli condannati in giudicato;
2) No, quelli condannati in Appello;
3) No, quelli condannati in primo grado;
4) Basta che siano rinviati a giudizio;
5) Basta che siano indagati;
6) Sono impresentabili anche gli assolti per prescrizione;
7) Anche gli assolti e basta, ma "coinvolti" (segue stralcio di una sentenza);
8) Sono quelli che sarebbero anche gigli di campo, ma sono amici-parenti-sodali di un impresentabile;
9) Sono quelli che, in mancanza d'altro, sono nominati in un'intercettazione anche se priva di rilevanza penale;
10) gli impresentabili sono quelli che i probiviri del partito e lo statuto del partito e il codice etico del partito e il comitato dei garanti (del partito) fanno risultare impresentabili, cioè che non piacciono al segretario;
11) Sono quelli a cui allude vagamente Saviano;
12) Sono quelli - sempre innominati, sempre generici - che i giornali definiscono "nostalgici del Duce, professionisti del voto di scambio in odore di camorra";
13) Sono quelli - sempre innominati, sempre generici - di cui parlano anche il commissario Cantone e la senatrice Capacchione, e ne parlano pure i candidati che invece si giudicano presentabili, i quali dicono di non votare gli impresentabili;
14) Gli impresentabili sono quelli menzionati da qualche giornale, che però sono diversi da quelli nominati da altri giornali;
15) Sono i voltagabbana;
16) Gli impresentabili sono quelli che sono impresentabili: secondo me.
Come Me. E così sia.
Sciacalli ed omertà. L’ennesima vile aggressione ad Avetrana. Da Sarah Scazzi a Salvatore Detommaso.
Ne scrive il dr Antonio Giangrande, scrittore, sociologo storico, blogger, youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie.
Ad Avetrana, alle 5.30 di mattina del 27 marzo 2016, dì di Pasqua, il 63enne disoccupato ed incensurato Salvatore Detommaso esce di casa da via Magenta (via per Manduria - Salice Salentino) ed in sella alla sua bicicletta si dirige lungo via Roma (via per Nardò) che si interseca alla sua via. A quell'ora va a prendere il caffè presso il solito bar. Lungo il tragitto ne approfitta per comprare le sigarette dalla macchinetta automatica posta lungo la via. Sua intenzione è poi andare a raccogliere gli asparagi in campagna. Da casa al suo bar ci sono da percorrere poche centinaia di metri. Un vita da cavamonte (estrattore di blocchi di tufo per l’edilizia) lo porta a svegliarsi all’alba. Un’abitudine. Alle 5,45 il fratello Leonardo Detommaso esce anche lui da casa. Stessa abitudine da manovale. Lungo la strada incontra uno spazzino che gli comunica che più avanti c’è suo fratello ferito. In effetti vicino al bar c’è suo fratello che presso la fontana pubblica cerca di lavarsi la testa sanguinante. Non c’è alcuno strumento contundente, né la vittima ragguaglia suo fratello da questo interpellato sulle modalità dell’accaduto: se sia caduto, se sia stato investito o se sia stato aggredito con mazze, bottiglie o spranghe di ferro. Per questa ipotesi, tantomeno, lui stesso non riferisce i nomi dei presunti assalitori. Lui che era cosciente. Tanto cosciente che da solo si è riavviato per tornarsene a casa, nei pressi della quale è stato poi prelevato dall’ambulanza, chiamata da chi era accorso nei primi momenti dell'accaduto. Cosciente è rimasto nei due giorni successivi e nulla ha riferito di utile alle indagini. La mattina di Pasqua non c’è gente che va a lavorare, solo eventuali ragazzi che rincasano da pub o discoteche. Gente anche non del posto: di passaggio. Ora troppo tarda per vedere in giro ladri a cui dare le colpe. In quel frangente la via, man mano, si è riempita di curiosi. L’unico che era presente nell’immediatezza ha raccontato ai carabinieri quello che ha visto e ricordato, così desunto dai quotidiani ben informati dagli inquirenti.
Bene. Un fatto di cronaca come tanti e come in altre parti d’Italia.
Sì, ma qui siamo ad Avetrana: il paese degli omertosi, così come definito da Mariano Buccoliero, il Pubblico Ministero del delitto di Sarah Scazzi. Allora ecco che scatta la speculazione mediatica e politica.
La vittima Salvatore Detommaso inizialmente è stato trasportato all’ospedale Giannuzzi di Manduria. Poi, data la grave emorragia cerebrale riportata, è stato in seguito trasferito nel reparto di neurochirurgia del Santissima Annunziata di Taranto. Solo dopo due giorni dal ricovero, una volta finite le feste, nonostante strazianti sofferenze e lancinanti dolori, si è provveduto a stabilizzare il paziente e ad operarlo alla testa, per poi ricoverarlo nel reparto di rianimazione. Ciò dovuto all’aggravamento della sua condizione clinica, in riferimento anche ad un peggioramento di natura cardiaca. Di questo, però, del comportamento dei sanitari, nessuno ne parla. Nemmeno quelli che sparlano di omertà. Ed a proposito di omertà ad Avetrana, il 2 aprile 2016 si organizza una fiaccolata per la legalità e per invogliare chi sa, a parlare. E’ stata messa in piedi, anche, una raccolta di fondi per sostenere la famiglia della vittima che versa in condizioni economiche preoccupanti. Ma ancora una volta nessuno, però, difende Avetrana dall’ennesima aggressione gratuita e ingiustificata. Tantomeno i politicanti locali. Anzi è proprio il vicesindaco, Alessandro Scarciglia ad esortare il "chi sa, parli".
«Continuano le indagini dei carabinieri di Avetrana per individuare i responsabili della brutale aggressione che questa mattina ha ridotto in fin di vita un avetranese di 63 anni colpito alla testa con delle bottiglie di vetro. Il violento pestaggio è avvenuto davanti al bar Mojito alla presenza di numerosi testimoni che hanno dichiarato di non aver visto niente o di non ricordare particolari utili. E sugli avetranesi ritorna il fantasma dell’omertà venuto fuori durante le indagini del delitto di Sarah Scazzi, un episodio che ha fatto parlare e fa parlare ancora l’Italia intera e che ha visto il coinvolgimento di una quarantina di persone tra sospettati, indagati, imputati, condannati e sognatori. Nessuna ammissione, nessun aiuto concreto agli inquirenti e alla verità sulla morte della quindicenne uccisa dai parenti». Così scriveva Nazareno Dinoi il 27 marzo 2016 su “La Voce di Manduria” in riferimento all’aggressione avvenuta a danno di Salvatore Detommaso la mattina presto del giorno di Pasqua, ricoverato poi in prognosi riservata. Aggressione su una via di passaggio per chi, proveniente da Manduria, è diretto a Nardò od a Torre Colimena. Lo stesso Dinoi continua con la solita litania anche il 29 marzo 2016: «Il bruttissimo episodio è ora materia degli investigatori dell’Arma che stanno incontrando difficoltà a raccogliere testimonianze dei presenti. Sino a ieri il maresciallo Fabrizio Viva che comanda la stazione di Avetrana ha sentito diverse persone che erano presenti nelle vicinanze, ma nessuno di loro ha detto di ricordare o di aver visto niente. Un atteggiamento omertoso che ha spinto gli amministratori pubblici e il parroco a lanciare appelli a parlare (di questo parliamo a parte). I militari hanno già ritirato le registrazioni delle telecamere di sorveglianza installate nei punti commerciali della zona, ma nessuna di loro era puntata sulla zona dell’aggressione. Un testimone che avrebbe visto tutto, avrebbe detto di aver visto delle persone fuggire a bordo di una piccola utilitaria di colore scuro di cui non ricorda la marca. Ancora poco per dare un nome e un significato a tanta violenza.» A quell'ora del dì di festa ovviamente non potevano esserci tanti avventori del bar, nè, tantomeno, numerosi testimoni, ma parlare di omertà ad Avetrana fa notizia.
Chi fa la professione di giornalista dovrebbe sapere che i curiosi, accorsi in massa, non possono essere definiti testimoni. Non si può parlare di omertà se la stessa vittima non ha potuto fornire notizie utili alle indagini, né tanto meno si può parlare di indagini. Le indagini vengono svolte alla notizia di reato e, a quanto pare, al momento del fatto il reato palesato (lesioni) era perseguibile per querela, che non vi è stata. E comunque l’indagine fatta bene, anche successivamente attivata per querela o denuncia per fatto più grave, i responsabili li trova.
Nazareno Dinoi, come corrispondente del Corriere della Sera ha scritto sempre articoli su Avetrana dello stesso tenore quando riferiva sul caso di Sarah Scazzi, come tutti d’altronde. Rispetto agli altri, però, Dinoi è di Manduria, paese a 17 chilometri da Avetrana, non certo un canonico razzista settentrionale.
Nazareno Dinoi, amico dei magistrati di Taranto e direttore de "La Voce di Manduria", un giornalino locale di un paese vicino ad Avetrana. Il "mandurese" diffama indistintamente tutti gli avetranesi e non me ne spiego l'astio. Gli amministratori locali e la loro opposizione, poi, non sono capaci di difendere l’onore di Avetrana contro la gogna mediatica programmata sin dal 26 agosto 2010 e protratta da giornalisti da strapazzo sui giornali ed in tv.
«La triste fine di Sarah Scazzi ha dato improvvisa notorietà al piccolo paese di Avetrana altrimenti sconosciuto ai più - scriveva già il 29 luglio 2015 il nostro Dinoi - Ha portato luce su un paese in ombra infastidendo chi vi abita. Ed è anche sugli avetranesi che il caso Scazzi si è contraddistinto per un’altra peculiarità: l’omertà, il visto e non visto, il non ricordo, il forse, il lo so ma non ne sono sicuro, il meglio farsi gli affari propri. Un popolo onesto che di fronte alla richiesta di coraggio si è tirato indietro. Anche in questo caso parlano i numeri e i dati: gli investigatori hanno ascoltato poco più di duecento persone, per la maggioranza avetranesi, poche hanno detto di aver visto qualcosa, nessuno si è presentato spontaneamente per aiutare la giustizia con l’amaro risultato che resterà negli annali delle cronache giudiziarie: dodici di loro sono stati indagati per falsa testimonianza o addirittura per favoreggiamento. Un record in negativo con cui Avetrana e gli avetranesi dovranno fare i conti.»
Tra gli altri anche il programma Mediaset Rete 4 “Quarto Grado" di Gianluigi Nuzzi ci ricasca a fare informazione spazzatura, vomitando, con i suoi invitati, liquame sulla comunità avetranese. Soggetti non nuovi a queste nefandezze.
Nel caso dell'omicidio di Sarah Scazzi, trattato molto spesso da “Quarto Grado” su “Rete 4” di Mediaset la redazione (guidata da Siria Magri) si è attestata su una linea prevalentemente conforme agli indirizzi investigativi della pubblica accusa, cioè della Procura della Repubblica di Taranto. Tanto che i suoi ospiti, quando sono lì a titolo di esperti (pseudo esperti di cosa?) o, addirittura, a rappresentare le parti civili, pare abbiano un feeling esclusivo con chi accusa, senza soluzione di continuità e senza paura di smentita. A confermare questo assioma è la puntata del 15 maggio 2015 di “Quarto Grado”, condotto da Gianluigi Nuzzi ed Alessandra Viero e curato da Siria Magri.
A riprova della linea giustizialista del programma, lo stesso conduttore è impegnato a far passare Ivano come bugiardo, mentre il parterre è stato composto da:
Alessandro Meluzzi, notoriamente critico nei confronti dei magistrati che si sono occupati del processo, ma che sul caso trattato è stato stranamente silente o volutamente non interpellato;
Claudio Scazzi, fratello di Sarah;
Nicodemo Gentile, legale di parte civile della Mamma Concetta Serrano Spagnolo Scazzi.
Solita tiritera dalle parti private nel loro interesse e cautela di Claudio nel parlare di omertà in presenza di cose che effettivamente non si sanno.
Per il resto ospite è Grazia Longo, cronista de “La Stampa”, che si imbarca in accuse diffamatorie, infondate e senza senso: «…e purtroppo tutto questo è maturato in seno ad una famiglia ed anche ad un paese dove mentono tutti…qui raccontano tutti bugie».
Vada per i condannati; vada per gli imputati; vada per gli indagati; ma tutto il paese cosa c’entra?
Ospite fisso del programma è Carmelo Abbate, giornalista di Panorama, che anche lui ha guizzi di idiozia: «Io penso che da tutto quello che ho sentito una cosa la posso dire con certezza: che se domani qualcuno volesse scrivere un testo sull’educazione civica, di certo non dovrebbe andare ad Avetrana, perché al di là della veridicità o meno della dichiarazione della ex compagna di Ivano, al di là della loro diatriba, è chiaro che qui c’è veramente quasi un capannello di ragazzi che nega, un’alleanza tra altri che si mettono d’accordo: mamma ha visto questo, mamma ha visto quest’altro. Ma ci rendiamo conto di quanto sia difficile scalfire, scavalcare questo muro, veramente posto tra chi deve fare le indagini e la verità dei fatti? E’ difficilissimo. Cioè, la sicurezza, la nostra sicurezza è nelle mani di noi.»
Complimenti ad Abbate ed alla sua consistenza culturale e professionale che dimostra nelle sue affermazioni sclerotiche. Cosa ne sa, lui, dell'educazione civica di Avetrana?
Fino, poi, nel prosieguo, ad arrivare in studio, ad incalzare lo stesso Claudio, come a ritenere egli stesso di essere omertoso e reticente. Grazia Longo: «...però Claudio anche tu devi parlare, anche tu, scusa se mi permetto, dici delle cose e non dici. Io non ho capito niente di quello che hai detto. Tu sai qualcosa e non lo vuoi dire!»
Accuse proferite al fratello della vittima…assurdo! Tutto ciò detto di fronte a milioni di spettatori creduloni.
Si noti bene: nessun ospite è stato invitato per rappresentare le esigenze della difesa delle persone accusate o condannate o addirittura estranee ai fatti contestati.
Ma i nostri prodi si ripetono. Quarto grado 1 aprile 2016. Questo è il conduttore imparziale, Gianluigi Nuzzi: «Oltre 10 persone (su oltre 8mila ndr) accusate di aver intralciato le indagini, tra reticenze e sogni e quant’altro. Qui abbiamo una proiezione di paese fatte di una maglia di complicità…».
Ospite fisso del programma è ancora Carmelo Abbate, giornalista di Panorama: «Io penso che la gente di Avetrana andrebbe riportata a scuola a studiare daccapo l’educazione civica. Questa è gente omertosa, parliamoci chiaro. Questa è gente omertosa. Forse hanno ragione i giudici quando dicono che “tutti sapevano quello che è successo, molti sapevano quello che è successo a Sarah, ma nessuno ha aperto bocca. Ricordiamoci che l’unica testimone che si presenta spontaneamente a fare dichiarazioni è Anna Pisanò. Tutte le altre persone vengono in qualche modo braccate, costrette a raccontare qualcosa. Tutte le altre non vanno spontaneamente. Cinque giorni fa, la mattina di Pasqua, ad Avetrana, prima mattinata, davanti ad un bar un uomo, una brava persona di 62 anni è stato aggredito selvaggiamente. In queste ore lotta tra la vita e la morte. Quest’uomo è stato aggredito davanti ad un bar. Decine e decine di persone ascoltate dai carabinieri “non so”, “non ricordo”, “non ho visto”. Ci sono appelli del sindaco “chi lo sa, per favore, dica qualcosa”. Ci sono appelli del sacerdote. Appelli pubblici “per favore parlate. Per favore non siate omertosi”. Il risultato è che non dicono nulla. E quest’uomo sta morendo».
Per il resto è ancora ospite Grazia Longo, cronista de “La Stampa”: «Il teatro dell’orrore non ha mai fine in questo paese».
Ma vaffanculo ai giornalisti da strapazzo. Questa imprecazione non è riferita in particolare a quelli citati, ma a tutti coloro che tra tutti i fatti di cronaca di cui si sono occupati, solo ad Avetrana hanno trasfigurato i criminali in tutta la loro comunità.
Prendete lezione ed esempio dall’ex Generale Luciano Garofano: «Ma io ho avuto sempre forti dubbi su quella che è la conclusione dell’autorità giudiziaria. Per altro, scusatemi, io sono molto rispettoso, ma non credo che sia un bello spettacolo che le motivazioni escano dopo 11 mesi (primo grado) e dopo otto mesi (appello). Significa che noi non vogliamo contribuire ad un paese in cui il processo sia giusto ed in cui le persone si possano anche difendere. E non credo a tantissimi degli elementi a partire dal movente. Perché questo è un movente assolutamente inconsistente. Peraltro con il prof. Picozzi ci siamo occupati di questo caso. E anche nell’incidente probatorio, che fu considerato il trionfo della prova, effettivamente ci rendemmo conto che c’era qualche cosa che non funzionava. Tra le tante cose, ma voi ve lo immaginate un papà che è pronto a coprire immediatamente un omicidio che non ha motivo d’essere. Già pronto, confeziona quel corpo, lo porta via. Insomma, per non parlare poi di altri particolari che riguardano le intercettazioni. Il punto in cui avrebbero telefonato e non telefonato. Una mamma che rincorre Sarah, per riprenderla, così poi che l’hanno acchiappata, scusate il termine, possono finalmente portarla a casa ed eliminarla? Io credo che ci siano ancora molti dubbi e spero che la Giustizia, come sempre trionfi con puntualità.»
Il Prof. Massimo Picozzi conferma: «I dubbi li condivido con il generale Garofano che ho sentito di questo famoso incidente probatorio, in cui Michele Misseri raccontò un po' tutta la vicenda. Ricordiamo poi, molta della credibilità, pochissima, che poi lo zio Michele, come lo abbiamo imparato a conoscerlo, si è portato appresso, derivò anche dal fatto che lui disse “io ho ucciso questa poveretta. E' stata uccisa con una corda, anziché con una cintura". Ti assicuro, l’interrogatorio di Michele Misseri fu il più suggestivo possibile. Lui continuava a dire, ad insistere sul fatto che sulla scena ci fosse una corda. Gli si diceva “ma è proprio una corda? E' proprio sicuro? Noi sappiamo diversamente. Non è una cinta per caso?” Alla fine, alla quindicesima insistenza, lui cambiò versione».
Ed a proposito di credibilità.
7 Ottobre 2010 - La criminologa Bruzzone: "Misseri un pedofilo assassino". Ma poi cambia diagnosi!
Esattamente il 7 ottobre 2010 sul Tgla7, la dottoressa Bruzzone diceva, a proposito del Misseri: «Non credo francamente che questa vicenda sia nata quarantadue giorni fa. Non penso che il 26 agosto sia l'unico momento in cui questa persona soggetto ha avuto un interesse sessuale per un minore. Parliamo di un pedofilo assassino e questo tipo di soggetti difficilmente a quell'età ha il proprio ingresso nella vita criminale per cui purtroppo c'è da indagare in maniera molto più allargata nella vita di quest'uomo e sono convinta che emergeranno elementi ancora più inquietanti...» Allorché la giornalista chiedeva alla dottoressa Bruzzone se secondo lei il Misseri avesse avuto dei complici, lei rispondeva testualmente che non lo riteneva proprio veritiero: «Penso che sia assolutamente probabile che questa persona abbia commesso tutto da sola. Non ci vedo nulla di impossibile per una persona soltanto... Ha fatto quello che ha fatto, ha abusato del corpo di questa giovane, poi ha atteso un tempo secondo me ragionevole tanto per muoversi probabilmente magari con il favore della notte, e portare poi il corpo là dove è stato ritrovato, celato in maniera estremamente accurata e difficilmente ritrovabile se non su indicazione dell'assassino, come poi effettivamente avvenuto.» Quando poi le è stato chiesto che pena meritava quest'uomo, ha risposto senza esitare: «In questo caso l'ergastolo penso sia impossibile non comminarlo... c'è piena consapevolezza, c'è lucidità... probabilmente sentiremo parlare ....forse un tentativo di stabilire una sorta di seminfermità, ma in questo caso ripeto è assolutamente escludibile sulla base di ciò che è stato fatto da quest'uomo sia durante la fase omicidiaria, sia nella fase successiva di occultamento del cadavere e ahimè nella fase che ha riguardato come sembra anche la fase della violenza sessuale...» A questo punto la giornalista chiedeva come difendersi da questi soggetti, visto che a dire della Bruzzone uno come il Misseri doveva essere già conosciuto come pedofilo. E a questo punto la Bruzzone è stata quanto mai categorica: «Denunciando! Facendo emergere il tutto! facendosi consigliare da professionisti, andando ai Centri Antiviolenza... Telefono Rosa.... Io collaboro con loro da anni e sono assolutamente un interlocutore preziosissimo per questi tipi di casi...». Immaginiamo cosa sarebbe successo se Sabina Misseri si fosse recata a Telefono Rosa e avesse denunciato che da mesi sapeva che il padre molestava Sarah e lei...Che giustizia avremmo avuto, ascoltando oggi le parole della criminologa dottoressa Bruzzone, che dice il contrario di tutto quanto affermato prima?
Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha conferito l’onorificenza di Cavaliere della Repubblica Italiana al Luogotenente Fabrizio VIVA, scrive il 27/05/2017 “Manduria Oggi”. E’ comandante della stazione Carabinieri di Avetrana da oltre venticinque anni. Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, con decreto in data 10 ottobre 2016, ha conferito l’onorificenza di Cavaliere della Repubblica Italiana al Luogotenente Fabrizio VIVA, comandante della stazione Carabinieri di Avetrana, da oltre venticinque anni. Il presidente della Repubblica, Sergio MATTARELLA, ha conferito l’onorificenza di Cavaliere al Luogotenente – Ragioniere Fabrizio VIVA, comandante della stazione Carabinieri di Avetrana da oltre venticinque anni. Si tratta dell’ennesimo prestigioso riconoscimento ricevuto dal carabiniere di origini Galatinesi, 55 anni, per ultimo l’encomio solenne per aver fornito determinante contributo a complessa indagine che consentiva di identificare e trarre in arresto gli autori dell’efferato omicidio della minore (Sarah Scazzi). Fra i tanti riconoscimenti ricordiamo:
23.04.1997 Elogio concesso dall’Amministrazione comunale di Avetrana con la seguente motivazione: Il Sindaco Avv. Giovanni SCARCIGLIA e il Consiglio Municipale della Città di Avetrana sicuri di rappresentare i sentimenti di stima e gratitudine della popolazione di questo centro hanno l’onore di conferire il riconoscimento dell’elogio al Maresciallo Capo Fabrizio VIVA, Comandante la Stazione dei Carabinieri di Avetrana, per la conduzione del reparto retto, responsabile, nutrita da alto senso del dovere e non comune attaccamento alle istituzioni, capace di assicurare, costantemente il mantenimento sereno dell’ordine e della sicurezza pubblica, nonchè di garantire l’esecuzione di operazioni di polizia giudiziaria di raro valore, rivolte agli ambienti criminali più radicati e pericolosi di questo territorio, i cui esponenti, grazie all’opera dei Carabinieri, spronati e sapientemente guidati dal loro Maresciallo Comandante, sono stati assicurati alla giustizia. Quanto nel presente è titolo ufficiale di un tributo quotidianamente e pubblicamente riconosciuto dalla popolazione di Avetrana al Maresciallo Fabrizio Viva.
· 12.12.1997 Encomio semplice concesso dal Comando Regione Carabinieri Puglia con la seguente motivazione: “Comandante di stazione distaccata, in occasione di incendio sviluppatosi in abitazione privata, con generoso altruismo e grande coraggio non esitava ad introdursi, unitamente ad altro militare dipendente, nei locali invasi dal fuoco e dal fumo, traendo in salvo un minore di anni 15 sorpreso nel sonno e ormai privo di sensi. Si prodigava poi unitamente ad alcuni volenterosi nel circoscrivere le fiamme e portava all’esterno tre bombole di gas surriscaldate, scongiurando così più gravi conseguenze. Nell’occorso rimaneva lievemente ferito. Avetrana 15.06.1997”.
30.09.1998 conferita cittadinanza onoraria da parte dell’Amministrazione Comunale di Avetrana con la seguente motivazione: Il Sindaco Dr. Luigi CONTE e il Consiglio Comunale di Avetrana, sicuri di rappresentare i sentimenti di stima e gratitudine della popolazione di questo centro, hanno l’onore di conferire la Cittadinanza Onoraria al Maresciallo Capo Fabrizio VIVA e altro militare della Stazione dei Carabinieri di Avetrana, per essersi distinti nell’espletamento del loro dovere con interventi coraggiosi e determinanti in diverse situazioni verificatesi nel corso dell’ultimo anno culminate il 15.06.1998 per aver sventato la rapina all’Ufficio Postale di Avetrana ed essere stati coinvolti, insieme ai civili, in un conflitto a fuoco, episodio, questo, che ha avuto ampia rilevanza nella cronaca nazionale, televisione e stampa, per la particolare ferocia dei banditi. Gli altri interventi particolarmente significativi si sono verificati nel giugno 1997 allorquando sventavano un’altra rapina all’Ufficio Postale con la cattura dei banditi e salvavano dalle fiamme della sua abitazione un ragazzo dimostrando alto senso di altruismo e coraggio.
29.03.1999 Encomio Solenne, concesso dal Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri, con la seguente motivazione: “Comandante di stazione, affrontava con ferma determinazione, unitamente a militare dipendente, tre malviventi in flagrante tentativo di rapina a mano armata ad ufficio postale e li costringeva a desistere dall’intento criminoso e a darsi alla fuga, replicando con ferma azione di fuoco ai colpi esplosi dai malfattori, che ferivano gravemente il commilitone e quattro passanti. Chiaro esempio di elette virtù civiche e non comune senso del dovere. – 15 giugno 1998 Avetrana (Ta).”
11.05.2000 concessa medaglia d’argento a valor civile dal Ministro dell’Interno con la seguente motivazione: “Comandante di stazione, affrontava con ferma determinazione, unitamente a militare dipendente, tre malviventi in flagrante tentativo di rapina a mano armata ad ufficio postale e li costringeva a desistere dall’intento criminoso e a darsi alla fuga, replicando con ferma azione di fuoco ai colpi esplosi dai malfattori, che ferivano gravemente il commilitone e quattro passanti. Chiaro esempio di elette virtù civiche e non comune senso del dovere. – 15 giugno 1998 Avetrana (Ta).”
07.04.2003 concessa medaglia militare di bronzo al merito di lungo Comando da parte del Ministero della Difesa – Direzione Generale per il Personale Militare- .
27.07.2005 concessa la croce d’oro per anzianità di servizio militare da parte del Ministero della Difesa – Direzione Generale per il Personale Militare III Reparto;
23.07.2010 concesso il nastrino di merito, di lungo comando, in argento (15 anni) da parte del Comandante della Legione Carabinieri di Bari;
11.10.2011 concesso il nastrino di merito, di lungo comando, in oro (20 anni) da parte del Comandante della Legione Carabinieri di Bari;
24.09.2011, conferimento attenzione di merito, da parte dell’Amministrazione Comunale, per l’impegno profuso a servizio dei cittadini salvaguardandone la crescita pedagogica della comunità;
26.01.2012 concessa medaglia d’oro Mauriziana al merito di dieci lustri di carriera militare, ad attestazione del lungo e meritevole servizio nelle Forze Armate, dal Presidente della Repubblica su proposta del Ministro della Difesa.
12.06.2012, concesso dalla Parrocchia Sacro cuore di Avetrana, con l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica, Il Patrocinio della Regione Puglia, della Provincia di Taranto e del Comune di Avetrana un premio alla solidarietà denominato “Giglio D’oro” con la seguente motivazione: Luogotenente Fabrizio VIVA, che da ormai un ventennio serve questa nostra comunità avetranese come garante dell’ordine pubblico, testimoniando senso del dovere, spirito di abnegazione e riconosciute virtù umane.
27.09.2013, Encomio Solenne, concesso dal Comando Interregionale Carabinieri “Ogaden” con la seguente motivazione: “Comandante di Stazione distaccata operante in territorio particolarmente sensibile sotto il profilo dell’ordine e della sicurezza pubblica, evidenziando elevatissime qualità professionali, non comune intuito investigativo e altissimo senso del dovere, forniva determinante contributo a complessa indagine che consentiva di identificare e trarre in arresto gli autori dell’efferato omicidio di una minore (Sarah Scazzi). L’’operazione riscuoteva il pubblico unanime plauso, esaltando il prestigio e l’immagine dell’Istituzione”.
Carabinieri: a Lizzanello un nuovo comandante. Indagò sul caso Sarah Scazzi. Il maresciallo maggiore Arnaldo Coccolo è stato 19 anni in servizio ad Avetrana. Saluto al suo arrivo dal sindaco Fulvio Pedone, scrive l'1 giugno 2018 Lecce Prima. Il maresciallo maggiore Arnaldo Cocciolo, 49 anni, originario della provincia di Lecce, è il nuovo comandante della stazione dei carabinieri di Lizzanello. Il suo nome è noto anche nelle cronache nazionali, perché proviene dalla stazione di Avetrana, il paese in provincia di Taranto, quasi al confine territoriale con quella di Lecce, dove, purtroppo, ha trovato una morde orribile la giovane Sarah Scazzi. Proprio Cocciolo, che ad Avetrana ha prestato servizio per ben diciannove anni, è stato fra coloro che hanno indagato su quel caso del quale ancora oggi si parla, anche perché nell’ottobre scorso è diventata definitiva la sentenza a carico di Sabrina Misseri e Cosima Serrano. Prima di Avetrana, dove si è distinto anche in operazioni a contrasto di spaccio di sostanze stupefacenti, furti e rapine, il maresciallo Cocciolo ha prestato servizio nel Nucleo operativo della compagnia di Venosa (Potenza) e in diversi altri reparti della provincia lucana. Sposato e padre di una figlia, è laureato in giurisprudenza e scienze politiche, vanta un ampio bagaglio professionale, grazie all’esperienza maturata in circa trent’anni nell’Arma. Il maresciallo, dunque, assume in queste ore l’incarico di comandante della stazione di Lizzanello, consapevole dell’impegno che dovrà assolvere con coscienza, dedizione ed imparzialità, nell’interesse collettivo e secondo i principi dei carabinieri, cioè servire i cittadini nel pieno rispetto della legalità e delle istituzioni. Nel suo primo giorno di servizio è stato salutato dal sindaco Fulvio Pedone.
Intanto, quello che ad Avetrana non si era riusciti a smascherare...
Scazzi, arrestato a Bergamo l'ex portavoce della famiglia. Con le accuse di circonvenzione di incapace e millantato credito, è stato arrestato don Leo Scanderberg, ex portavoce della famiglia Scazzi, scrive Anita Sciarra, Venerdì 19/05/2017, su "Il Giornale". Pantaleo Valentino Castriota, in arte don Leo Scanderberg, il sedicente sacerdote portavoce della famiglia Scazzi subito dopo l'omicidio di Sarah, è stato arrestato con le accuse di circonvenzione di incapace e millantato credito. Tra le vittime dell'uomo, che vantava false conoscenze in alte sfere, c'è un anziano che nel 2013 aveva perso figlia e nipotina in un caso di omicidio-suicidio. Figlia che era sposata con il nipote dell’ex ministro Calderoli. L'arresto, è stato eseguito dalla Guardia di Finanza di Bergamo, su richiesta del pm Gianluigi Vettori. Nell'inchiesta è coinvolto anche un finanziere, che avrebbe agevolato l’attività del falso sacerdote di Castriota, fornendogli informazioni sensibili e riservate. Nei confronti del militare, il gip Federica Gaudino ha disposto l’obbligo di firma, con l'accusa di accesso abusivo alle banche dati. Il falso sacerdote nega ogni accusa. Secondo quanto è emerso dall'inchiesta, tra le sue molteplici vittime c'è il nonno che nel 2013 ha figlia e nipotina in un caso di omicidio-suicidio. Convinto che il duplice delitto fosse "opera di terzi", dopo l’archiviazione del fascicolo sul caso, da parte della magistratura bergamasca, l'anziano era caduto in una profonda crisi. Si era, così, avvicinato a una sensitiva, ritenuta in grado di stabilire contatti medianici con figlia e nipotina, che gli aveva presentato don Leo. Approfittando della vittima e dopo avergli fatto credere che dietro la tragedia che aveva colpito la sua famiglia ci fosse "un complotto di matrice politica ordito dai servizi segreti preordinato a insabbiare il caso giudiziario", scrivono le Fiamme Gialle, avrebbe estorto all'uomo molto denaro, necessario per far fronte a spese per indagini e trasferte di funzionari di polizia e magistrati inesistenti. A intascare tutti questi soldi sarebbe stato invece Castriota.
Arrestato a Bergamo l’ex portavoce della famiglia di Sarah Scazzi: si spacciava per religioso. Un uomo di 44 anni è stato arrestato a Bergamo dalle Fiamme gialle con le accuse di circonvenzione di incapace e millantato credito. Spacciandosi per religioso avvicinava persone con problemi psicologici inducendole a versare soldi per opere caritatevoli o per aiutarle con i loro problemi. L’uomo, che si faceva chiamare “Don Leo Scanderberg”, era stato il portavoce della famiglia di Sarah Scazzi subito dopo il tragico omicidio della ragazza ad Avetrana, scrive il 19 maggio 2017 Francesco Loiacono su "Fan Page". Circonvenzione di incapace e millantato credito. Questi i reati di cui è accusato P.V.C., 44enne pugliese arrestato a Bergamo dalle Fiamme gialle. L'uomo, che si spacciava per religioso e si faceva chiamare "Don Leo Scanderberg", era già noto alle cronache: era stato il portavoce della famiglia di Sarah Scazzi subito dopo il tragico omicidio della ragazza ad Avetrana. A conclusione di una complessa e articolata attività investigativa la guardia di finanza di Bergamo ha scoperto che l'uomo, continuando a spacciarsi per religioso, avvicinava persone spesso afflitte da seri problemi di natura psicologica, inducendole a versare somme di denaro per non meglio precisate opere caritatevoli o per favorirne l’ingresso nel mondo del lavoro, in virtù delle sue millantate conoscenze nelle alte sfere del Vaticano o dello Stato. In alcuni casi il finto religioso avrebbe anche officiato celebrazioni eucaristiche in abiti talari presso abitazioni private. Durante le funzioni religiose avrebbe chiesto e ottenuto somme di denaro destinate a suo dire per assistere persone in difficoltà economica o per sostenere progetti assistenziali in Paesi africani: ma i soldi invece finivano nelle sue tasche per soddisfare i bisogni e i vizi del finto religioso. Tra le vittime del 44enne figura anche un anziano che nel 2013 aveva perso figlia e nipotina in un caso di omicidio-suicidio. Denunciato anche un finanziere: passava informazioni riservate. Nel corso delle indagini, coordinate dal sostituto procuratore presso la procura della Repubblica di Bergamo, Gianluigi Dettori, è stato anche denunciato un ispettore della guardia di finanza in servizio in Toscana: avrebbe effettuato accessi abusivi alle banche dati delle Fiamme gialle per ottenere informazioni da comunicare all'arrestato, utili per perseguire le sue condotte illecite. Il finanziere è attualmente sottoposto alla misura cautelare dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria. Il 44enne finto religioso, invece, è in carcere a Bergamo in esecuzione di un'ordinanza di custodia cautelare emessa dal giudice per le indagini preliminari di Bergamo Federica Gaudino.
IL RICORSO ALLA CORTE DI CASSAZIONE.
Omicidio di Sarah Scazzi, la Cassazione: "Sabrina fredda calcolatrice, no a sconti di pena". Le motivazioni della sentenza di conferma delle condanne: la quindicenne morì strangolata dalla cugina e dalla zia in “concorso sinergico”. Entrambe poi misero in atto un depistaggio, scrive l'11 ottobre 2017 “La Repubblica”. Sabrina Misseri - condannata all'ergastolo con la madre Cosima Serrano per l'omicidio della cugina Sarah Scazzi - non merita sconti di pena per le "modalità commissive del delitto" e per la "fredda pianificazione d'una strategia finalizzata, attraverso comportamenti spregiudicati, obliqui e fuorvianti, al conseguimento dell'impunità". Lo sottolinea la Cassazione nei motivi di conferma delle condanne. Sabrina "strumentalizzando i media" deviò le investigazioni come "astuto e freddo motore propulsivo" verso "piste fasulle". A fronte di questi comportamenti, scrivono i supremi giudici nelle quasi 200 pagine di motivazioni depositate oggi e relative all'udienza svoltasi lo scorso 21 febbraio, Sabrina non ha "meritevolezza" per la concessione delle attenuanti generiche richieste dai suoi difensori. Lo sconto di pena è stato negato dalla Cassazione anche per Cosima Serrano dato che, essendo una adulta matura, invece di intervenire a placare "l'aspro contrasto sorto" tra Sabina e Sarah, "si era resa direttamente protagonista del sequestro della giovane nipote partecipando, poi, materialmente alla fase commissiva del delitto". Sarah - ricorda la Suprema Corte - venne strangolata da Sabrina e Cosima con "concorso sinergico" tra le due: l'una ponendo "in essere la specifica azione di soffocamento da dietro della vittima" e l'altra inibendole "ogni tentativo di difendersi e ogni chance di fuga". Anche Cosima, aveva messo in atto "una serie di depistaggi per conseguire l'impunità per sé e sua figlia Sabrina". Tutti questi comportamenti rendono "impossibili" gli sconti di pena.
Omicidio Sarah Scazzi, "Sabrina astuta e fredda pianificatrice". Le motivazioni della Cassazione, che ha confermato l'ergastolo, senza attenuanti, per la cugina della vittima e la madre di lei, scrive l'11 ottobre 2017 "Il Quotidiano.net". In Cassazione vengono rigettati i ricorsi degli imputati e confermate le condanne che diventano definitive. Ergastolo per Sabrina e Cosima, 8 anni per Michele Misseri. Ridotta di 1 anno la pena a Carmine Misseri, Confermate in via definitiva le condanne per favoreggiamento personale nei confronti di Vito Russo junior, ex legale di Sabrina Misseri e di Giuseppe Nigro, ai quali in appello erano stati inflitti un anno e 4 mesi di reclusione. A oltre sette anni dall'omicidio di Sarah Scazzi, e a sette mesi dalla sentenza definitiva della Cassazione che condanna all'ergastolo Sabrina Misseri e Cosima Serrano, vengono rese note le motivazioni della sentenza. Quasi duecento pagine per spiegare quel delitto, che tanto impressionò l'opinione pubblica, e anche per precisare perché né Sabrina né la madre meritano sconti di pena o attenuanti. La quindicenne Sarah, ricordiamolo, scomparve da Avetrana il 26 agosto del 2010 e fu ritrovata morta circa un mese dopo.
NO ATTENUANTI - In particolare, sottolineano i supremi giudici, Sabrina Misseri "rese interviste, strumentalizzando i media, e deviò le investigazioni, ponendosi, in fase immediatamente successiva al delitto, come astuto e freddo motore propulsivo delle stesse in direzione di piste fasulle". La Corte, analizzando il motivo di ricorso con cui l'imputata chiedeva le fossero concesse le attenuanti generiche, evidenzia come "una serie di dati scrutinati e posti a fondamento della decisione" qualificano "le modalità commissive del delitto ed evidenziano la fredda pianificazione di una strategia finalizzata, attraverso comportamenti spregiudicati, obliqui e fuorvianti, al conseguimento dell'impunità". Anche per Cosima Serrano, la Corte ha ritenuto corretta la mancata concessione delle attenuanti generiche: "si è considerata l'età della Serrano e la possibilità che essa avesse di intervenire per calmare l'aspro contrasto sorto tra le ragazze - si legge nella sentenza - mentre al contrario l'imputata si era resa direttamente protagonista del sequestro della giovane nipote partecipando poi materialmente alla fase commissiva del delitto". A tale condotta, poi, "era seguita una serie di depistaggi e comportamenti tesi a conseguire l'impunità per sé e per la figlia Sabrina", conclude la Cassazione.
IL DELITTO - Ecco dunque la verità giuridica: a uccidere Sarah Scazzi sono state la zia Cosima Serrano e la cugina Sabrina Misseri. "Il delitto doveva ascriversi a due persone - scrive la Suprema Corte - da identificare nelle imputate" e "l'omicidio era stato consumato mediante strangolamento", attraverso una "struttura nastriforme", quale una "cintura". Sul corpo della vittima, non sono stati rinvenuti "segni di lotta o legati al tentativo di allentamento della cintura stretta al collo, come reazione istintiva al soffocamento che si stava compiendo", scrivono i supremi giudici, ricordando gli esiti di autopsia e perizie, e la "vittima non aveva opposto alcuna resistenza". Lo strangolamento, dunque, "non poteva essere quindi opera di un unico soggetto - si legge nella sentenza depositata oggi - ma doveva essere avvenuto per effetto del concorso sinergico di due persone, l'una che aveva posto in essere la specifica azione di soffocamento da dietro alla vittima, e l'altra che le aveva inibito ogni tentativo di difendersi e, altresì, ogni chance di fuga". Le "uniche due persone presenti in casa", rileva la Cassazione, erano Sabrina Misseri e Cosima Serrano.
LO ZIO MICHELE - Quanto alle dichiarazioni di Michele Misseri sull'omicidio della nipote Sarah Scazzi, sono state "oscillanti e prive di costanza" e "condizionate dall'obiettivo di coprire e sollevare da responsabilità la figlia" Sabrina. Ecco quindi come la Cassazione affronta la questione delle confessioni dell'imputato, condannato a 8 anni di reclusione per soppressione di cadavere, che più volte si è autoaccusato dell'omicidio.
Omicidio Scazzi, nessuno sconto a Sabrina «fredda pianificatrice», scrive l'11 Ottobre 2017 "La Gazzetta del Mezzogiorno”. Sul delitto di Avetrana, uno dei più atroci omicidi ai danni di una ragazzina, Sarah Scazzi, strangolata da cugina e zia, Sabrina Misseri e Cosima Serrano, in una feroce mattanza familiare, - e il cui cadavere fu calato nel pozzo dallo zio Michele - arrivano le parole della Cassazione che dopo aver confermato gli ergastoli alle due assassine, lo scorso 21 febbraio, oggi spiega nelle motivazioni del verdetto che non ci saranno sconti di pena perchè è stato un delitto pianificato con corollario di orchestrati depistaggi. Sabrina Misseri, di 22 anni quando uccise la cuginetta quindicenne, non merita riduzioni di pena per le «modalità commissive del delitto», avvenuto nel tarantino il 26 agosto 2010, e per la «fredda pianificazione d’una strategia finalizzata, attraverso comportamenti spregiudicati, obliqui e fuorvianti, al conseguimento dell’impunità», sottolinea la Suprema Corte. Sabrina, inoltre, «strumentalizzando i media" deviò le investigazioni come «astuto e freddo motore propulsivo», dirigendole verso «piste fasulle». Il corpo di Sarah, graziosa e minuta adolescente, un fuscello al cospetto delle sue carnefici, fu trovato in un pozzo cisterna nella campagna di Avetrana soltanto il sei ottobre, dopo 42 giorni dalla sua scomparsa, quando Michele tormentato dal "rimorso» e dall’immagine della nipote che in sogno gli diceva di sentire tanto freddo, si decise a dire la verità accusando moglie e figlia. Ritrattò così l’iniziale assunzione di colpa alla quale era stato costretto da Cosima e Sabrina che lo avevano prima «compulsato al silenzio», quando tutti cercavano Sarah, e poi spinto a dire che era lui ad aver ucciso la nipote e a molestarla abitualmente. La Cassazione ricorda che Michele non venne creduto perchè fornì impossibili versioni del delitto e sul diario di Sarah non c'era un rigo su presunte molestie. Scrivono i supremi giudici nelle quasi 200 pagine della loro sentenza, che Sabrina non ha «meritevolezza» per ottenere le attenuanti generiche richieste dai suoi difensori, tra i quali l'avvocato Franco Coppi tenace assertore dell’innocenza della giovane. Sconto di pena negato dalla Cassazione anche a Cosima perchè, essendo una donna matura, invece di intervenire a placare «l'aspro contrasto sorto» tra Sabina e Sarah, «si era resa direttamente protagonista del sequestro della giovane nipote partecipando, poi, materialmente al delitto». Sarah - ricorda il verdetto - venne strangolata da cugina e zia con "concorso sinergico": l’una ponendo «in essere la specifica azione di soffocamento da dietro della vittima», stretta al collo da una specie di cintura, e l’altra inibendole «ogni tentativo di difendersi e ogni chance di fuga». Cosima ha detto bugie «per conseguire l’impunità": «impossibile» darle sconti. Quanto al movente di tanta efferatezza, gli ermellini fanno riferimento «al sentimento anomalo, vicino all’ossessione» che Sabrina aveva per il coetaneo Ivano Russo il quale aveva rifiutato «un rapporto sessuale» con la Misseri. L’episodio, venuto a conoscenza della cerchia di amici, era stato anche riferito da Sarah a sua madre e a suo fratello. C'erano quindi degli «ambiti pericolosi - scrive la Cassazione - che rischiavano di essere attinti dalle propalazioni di Sarah, legati alla 'moralità' della Misseri e che si sarebbero potuti riflettere negativamente sulla rispettabilità della famiglia in un centro piccolo come Avetrana». Non c'è insomma solo la "gelosia» di Sabrina verso Sarah - con la quale Ivano intratteneva «rapporti cordiali» - ma anche il timore per il diffondersi di una cattiva reputazione nella «congerie di sentimenti» che armarono i propositi omicidi di madre e figlia.
Intanto…Orrore al cimitero con la bara aperta e il cadavere fuori, scrive Nazareno Dinoi sabato 04 novembre 2017 su "La Voce di Manduria. Scene di puro orrore ieri mattina nel cimitero di Avetrana per la profanazione di una tomba con l’apertura della bara e…Scene di puro orrore ieri mattina nel cimitero di Avetrana per la profanazione di una tomba con l’apertura della bara e l’oltraggio della salma che vi era contenuta. Ad accorgersene sono stati alcuni visitatori i quali, infastiditi dal cattivo odore, hanno chiamato il custode che ha poi dato l’allarme. Sul posto, oltre agli amministratori comunali si sono recati i carabinieri della locale stazione. I militari hanno già avviato le indagini per risalire all’autore dell’insano gesto. Su richiesta delle forze dell’ordine, il sindaco di Avetrana, Antonio Minò, ha emesso un’ordinanza di chiusura del cimitero per l’intera giornata di ieri. I profanatori che hanno agito di notte, hanno scavalcato il muro di cinta ed hanno preso di mira la lapide di una signora di Avetrana morta di tumore sette anni fa. Evidentemente la scelta non è stata casuale perché il loculo si trovava nel piano più altro della colombaia. Con una scala e degli attrezzi hanno frantumato la lastra di marmo che chiudeva la cella ed hanno tirato giù la bara aprendola. Infine hanno rimosso la copertura di zinco ed hanno estratto il cadavere che hanno adagiato per terra vicino alla cassa. Nel pomeriggio di ieri i carabinieri hanno fatto un sopralluogo per dei rilievi tecnici e fotografici prima di dare il via alla risepoltura della salma sistemata al suo posto sigillato provvisoriamente con dei tuti e cemento. Al momento non si conoscono altri particolari se non che qualche giorno fa la stessa tomba aveva subito dei danneggiamenti attribuiti, allora, ad atti vandalici. Si pensa quindi ad una possibile ritorsione nei confronti della famiglia della povera donna di professione contadina. I carabinieri hanno raccolto la testimonianza di alcuni cittadini presenti al ritrovamento ed hanno interrogato il marito e la figlia della defunta. Assoluto riserbo dalle fonti investigative come anche dagli ambienti politici del comune. Il sindaco Minò, evidentemente infastidito dall’inevitabile clamore per l’ennesimo fatto di cronaca che colpisce la sua comunità, preferisce tenere la bocca chiusa dicendosi addirittura all’oscuro di tutto.
“Latrina di merda, hai firmato la tua condanna”: Grazia racconta le minacce ricevute dal suo ex. La puntata di ‘Chi l’ha visto?’, trasmessa mercoledì 22 novembre, ha lasciato spazio alla storia di Grazia Prisciano. La donna, originaria di Avetrana, ha raccontato in lacrime le minacce che avrebbe ricevuto dall’ex compagno Cosimo Parato, scrive il 22 novembre 2017 Daniela Seclì su "Fan Page". La puntata di "Chi l'ha visto?", trasmessa mercoledì 22 novembre, ha dato spazio alla testimonianza di Grazia Prisciano. La donna, originaria di Avetrana, ha raccontato in lacrime le minacce e le violenze che avrebbe subito per mano del suo ex compagno Cosimo Parato. Federica Sciarelli ha trasmesso l'audio dei messaggi che l'uomo avrebbe inviato alla sua ex.
La storia di Grazia Prisciano. Grazia Prisciano, originaria di Avetrana, è separata. Conosce Cosimo Parato e se ne innamora. "Lui il primo anno era una persona meravigliosa, mi dava attenzioni. Era una persona normale": ha raccontato la donna ai microfoni della trasmissione di Rai3. Solo più tardi, Grazia ha scoperto che l'uomo era sposato: "Gli ho chiesto una spiegazione e come mai vivesse con la moglie visto che mi diceva tutt'altro. Ho voluto troncare la situazione, cosa che lui non ha accettato".
Le presunte violenze subite da Grazia. La Prisciano si ricostruisce pian piano una vita ma Cosimo non lo accetta. Secondo quanto dichiara Grazia, ci sarebbero stati anche episodi di violenza fisica: "Entrò in casa come una furia, mi prese per la gola e mi stava per strangolare, ho potuto solo dire Dio mio, aiutami". Inoltre, sostiene che l'uomo abbia confessato di averla drogata "per paura di perderla".
I messaggi intimidatori che Cosimo avrebbe inviato a Grazia. La trasmissione ‘Chi l'ha visto?' ha trasmesso l'audio dei messaggi che Cosimo avrebbe inviato a Grazia Prisciano. Nelle registrazioni si sente: "Latrina di merda, ti devo distruggere, latrina di merda ti devo distruggere./ Latrina rispondi, latrina rispondi./ Latrina di merda non mi rispondi? Stasera la condanna tua hai firmato./ Conviene che ti uccidi subito, ti eviti tante sofferenze./ Devi bruciare all'inferno./ Me la prenderò con la cosa più cara che ha e piangerà per tutta la vita".
L'incendio e lo sfregio alla bara della madre di Grazia. Negli ultimi tempi, Grazia Prisciano è stata vittima di diversi gesti intimidatori. Il 21 ottobre scorso la sua auto è andata in fiamme. Il fratello della donna ha raccontato: "Quella notte il mio cane che dormiva con me ha avuto un modo di ringhiare particolare, ci siamo svegliati di colpo e siamo corsi alla finestra. Abbiamo visto le fiamme che avvolgevano la macchina". Grazia ha aggiunto in lacrime: "Non si poteva uscire fuori perché eravamo incastrati dalle fiamme, aveva preso fuoco tutto". Cosimo aveva un alibi, era ricoverato in ospedale. Il 2 novembre scorso, poi, nel cimitero di Avetrana, la bara della madre di Grazia è stata tirata fuori dal loculo ed è stata aperta. Il fratello della Prisciano ha concluso: "A me non risulta che io abbia dei problemi con altre persone. Né mia sorella, né mio padre, né altri. Non riceviamo minacce se non da quella persona. […] Lui non si fermerà, lui non si fermerà".
Salma profanata al cimitero di Avetrana, l'accusa: "è stato il mio ex compagno che mi minaccia". Sarebbe stato un uomo di Torre Santa Susanna l’autore dell’orrida profanazione di un cadavere avvenuta nel cimitero di Avetrana nella notte ..., scrive il 23 novembre 2017 "La Voce di Manduria". Sarebbe stato un uomo di Torre Santa Susanna l’autore dell’orrida profanazione di un cadavere avvenuta nel cimitero di Avetrana nella notte tra il 2 e 3 novembre. Ad accusarlo, nel corso della puntata andata in onda ieri sera della trasmissione televisiva “Chi l’ha visto?”, è la figlia della donna morta (Francesca M. Caliandro), Grazia Prisciano, di Avetrana, ex compagna del presunto autore del macabro gesto che ha sconvolto tutti. Solo o con l’aiuto di un complice, il presunto profanatore, si sarebbe introdotto nel camposanto di Avetrana e aiutandosi con una scala avrebbe divelto il marmo del loculo, estratto la bara e scaraventata a terra; avrebbe poi aperto il coperchio, rimosso la lamina di zinco scoprendo completamente la salma morta sette anni prima. L’efferato gesto, ha spiegato la donna che lo accusa, sarebbe stato anticipato con messaggi sul telefonino. Secondo la donna, intervistata dall’inviato della conduttrice della trasmissione, Federica Sciarelli, il torrese che la stalkerizza da quando lei ha deciso di interrompere il rapporto, si sarebbe macchiato di altri atti di violenza nei confronti della sua famiglia: il furto della sua macchina fatta poi ritrovare, l’incendio dell’auto del fratello e l’uccisione di un maialino che teneva in giardino.
Sull’inquietante episodio del cimitero e sugli altri attentati ai danni della famiglia Prisciano, indagano i carabinieri di Avetrana e Manduria a cui la donna ha presentato numerose denunce perché si sente minacciata e teme per la sua vita e quella dei suoi familiari. Grazia Prisciano è separata ed ha una figlia piccola che vive con lei nella casa paterna con il padre e un fratello.
Grazia Prisciano, la donna di Avetrana minacciata dal compagno, scrive il 22 novembre 2017 Morgan K. Barraco su "Tutto tv". Chi l’ha visto affronta nella sua puntata del 22 novembre il caso di Grazia Prisciano, la donna di Avetrana che ha avuto il coraggio di ribellarsi al compagno violento. La storia di Grazia inizia con un grande amore, come avviene spesso in situazioni del genere. La donna tuttavia scopre in seguito che il cuore di Cosimo Parato non è libero e che è sposato: per questo decide di lasciarlo. L’uomo però inizia a minacciarla, assicurandole di poterle fare del male. Anche per questo Grazia Prisciano decide di ritornare con lui. Le vessazioni e le violenze tuttavia continuano, spesso anche di fronte alle figlie della donna. Secondo quanto riporta Chi l’ha visto, Grazia trova il coraggio di informare il fratello, che decide di parlare con Cosimo Parato. Inizia però ad avere paura di muoversi e di mangiare, soprattutto perché l’ex compagno le ha lasciato intendere di averla avvelenata per paura di perderla. Le riferisce inoltre di averla seguita spesso e le invia continui messaggi con cui le fa credere di essere fuori dalla sua abitazione. Nel frattempo le lascia numerosi messaggi in segreteria, in cui minaccia di farle del male in ogni modo. Riferisce inoltre ad una collega che non si fermerà e che colpirà Grazia negli affetti più cari. Dopo essere riuscita a sfuggire ad un’aggressione, per la quale Cosimo Parato ha esibito però un alibi di ferro, succede un fatto inquietante. Qualcuno infatti estrae la tomba della madre di Grazia Prisciano ed apre la bara in cui si trova il corpo della donna. In seguito, viene recapitato a casa della donna un maialino mutilato a cui sono stati asportati gli occhi. Secondo la protagonista si trova di un tentativo di incuterle timore e di farle capire di stare zitta. Alle telecamere di Chi l’ha visto, il fratello di Grazia ha manifestato il timore che l’ex compagno della donna possa alla fine riuscire ad ucciderla.
Grazia Prisciano denuncia Cosimo Parato per stalking: “Ho amici in caserma, la pagherai”, scrive la redazione di "Blitz Quotidiano" il 7 dicembre 2017. “Ho amici in caserma, la pagherai”. E’ solo una delle minacce che Cosimo Parato avrebbe intimato a Grazia Prisciano, madre single e sua ex amante, divenuta oggetto delle sue persecuzioni. L’incredibile storia di stalking è ambientata ad Avetrana, il paesino in provincia di Taranto già noto alle cronache per la tragedia di Sarah Scazzi. Lì vive Grazia Prisciano, insieme alle sue figlie e al fratello, Salvatore. La relazione tra Grazia e Cosimo era nata come una qualunque storia d’amore. Lui era gentile e premuroso, lei innamorata fino al giorno in cui ha scoperto che in realtà l’uomo che stava frequentando era in realtà sposato. Grazia decide di troncare ogni rapporto, ma lui non si arrende e comincia a perseguitarla. L’uomo, originario di Torre Santa Susanna (Brindisi), comincia a subissarla di chiamate e messaggi. La implora di tornare con lui. Lei cede e riallaccia i rapporti, ma qualcosa è cambiato. Quell’uomo che già le aveva mentito, comincia a mostrarsi sempre più violento, anche in presenza delle figlie della donna. Interviene anche il fratello di Grazia, Salvatore, che affronta Cosimo e gli chiede di lasciare in pace la sorella. Ma ottiene l’effetto contrario. A quel punto seguono mesi di misteriose aggressioni: l’auto del fratello viene rubata e incendiata, a quella del padre vengono manomessi i freni e infine, l’episodio più inquietante, quando la tomba della madre di Grazia viene profanata. Anche il maialino che viveva nel giardino di Grazia viene ucciso e lasciato dinanzi alla porta di casa, con gli occhi cavati. La donna denuncia ogni singolo episodio ma ogni volta il suo ex ha un alibi di ferro. Nessuno interviene. E’ a quel punto che Grazia Prisciano decide di rivolgersi alla redazione di Chi l’ha visto? Intervistata da Federica Sciarelli la donna mostra i messaggi di insulti e le minacce del suo stalker. “Latrina, rispondi, hai firmato la tua condanna…” . E ancora, ad uno dei suoi familiari l’uomo confessa: “Ogni santissimo momento sta là dentro (in caserma, ndr.), ma tu credi che là dentro non conosco nessuno? Che non mi dicono niente? Tutto so io. Ho amici perfino là… pagherà per queste cose”. Ma ancora una volta, dopo la denuncia a Chi l’ha visto? i comportamenti dello stalker si amplificano. Passa all’attacco delle figlie e pubblica su WhatsApp il numero della figlia maggiore di Grazia scrivendo che “è disponibile a prostituirsi”. Negli ultimi messaggi l’uomo informa Grazia che “il momento è vicino”. Intende ucciderla? A Chi l’ha visto? la donna racconta di vivere ormai barricata in casa con le figlie e il fratello a farle da guardia del corpo. Ha piazzato tre telecamere di sorveglianza e sta sveglio la notte per proteggerla. Possibile che le autorità non intervengano?
Grazia denuncia lo stalker ai carabinieri, lui: “In caserma mi dicono tutto, la pagherai”. Grazia Prisciano, madre single di Avetrana, ha denunciato più volte i comportamenti persecutori del suo ex. Oggi, nonostante le innumerevoli denunce ai carabinieri, il suo stalker è libero mentre la donna vive una vita da reclusa con le due figlie, scrive il 7 dicembre 2017 Angela Marino su "FanPage". Avetrana, il piccolo comune in provincia di Taranto finito nelle prime notizie dei Tg per l'omicidio di Sarah Scazzi, torna nelle pagine di cronaca per un'altra storia di violenza. È il caso di Grazia Prisciano, madre single finita nel mirino di uno stalker e, nonostante le innumerevoli denunce, ancora in pericolo. La storia di Grazia e di Cosimo Parato, l'uomo che ha denunciato, inizia come una normale relazione tra due persone adulte. Al principio della loro frequentazione, l'uomo, originario di Torre Santa Susanna (Brindisi), si mostra gentile e premuroso, ma le cose cambiano quando Grazia scopre che in realtà Cosimo è sposato e decide di troncare i rapporti. È allora che la rabbia di Cosimo prende forma con vessazioni e minacce: la prega di tornare con lui, insistendo con le telefonate e messaggi ossessivi e incessanti.
L'inizio della persecuzione. Schiacciata dalla paura e dalle pressione, la donna accetta di riprendere la relazione, ma di fronte alle violenze continuate – che vanno in scena anche in presenza delle figlie – decide di dire definitivamente basta. A questo punto entra in scena il fratello di Grazia, Salvatore, al quale la donna ha confidato di essere invischiata in una storia pericolosa. L'uomo affronta Cosimo per chiedergli di lasciare in pace la sorella e le nipoti, ottenendo l'unico effetto di finire anche lui nel mirino dei suoi comportamenti persecutori.
Profanata la tomba della madre. Nel giro di pochi mesi Grazia subisce un aggressione, il furto e l'incendio dell'auto di suo fratello e la manomissione dei freni di quella del papà. L'episodio più inquietante, però, avviene a ottobre del 2017, quando qualcuno profana la tomba della madre di Grazia e forza la bara in cui si trova il corpo. Come se non bastasse, il maialino che la donna allevava in giardino viene ucciso e il cadavere fatto trovare con gli occhi cavati. Ogni singolo episodio viene denunciato, ma l'uomo sembra avere sempre un alibi di ferro.
Lo stalker: "ho amici in caserma". Le segnalazioni ai carabinieri, tuttavia, non passano inosservate ai suoi occhi, tanto che in uno dei messaggi inviati alle persone vicine a Grazia (che ha bloccato la sua utenza telefonica) dice: Ogni santissimo momento sta là dentro (in caserma, ndr.), ma tu credi che là dentro non conosco nessuno? Che non mi dicono niente? Tutto so io. Ho amici perfino là… pagherà per queste cose". Anche se fosse una millanteria, il riferimento ad amicizie in caserma che gli garantiscono protezione, non è certo rassicurante per Grazia e la sua famiglia che si rivolgono alla redazione di Chi l'ha visto? per chiedere aiuto. Il programma di Federica Sciarelli “adotta” il caso, facendo ascoltare in trasmissione i messaggi di insulti (“Latrina, rispondi, hai firmato la tua condanna…”) e minacce nel tentativo di inibire lo stalker. Anche questa volta l'effetto sortito è quello di amplificare i comportamenti vessatori. Parato assedia Grazia con telefonate e messaggi, prendendo di mira anche le figlie. A questo proposito pubblica su WhatsApp il numero della figlia maggiore scrivendo che è ‘disponibile a prostituirsi'. Ignara, la ragazzina riceve telefonate di molestie.
Una vita da prigioniera. Negli ultimi messaggi, Cosimo Parato annuncia che “quell’attimo sta per arrivare”. Il riferimento al femminicidio è chiaro. Oggi Grazia vive blindata in casa con le figlie, dove si è trasferito anche suo fratello Salvatore, che dopo le molteplici minacce di “arrivare sotto casa” da parte dello stalker, ha piazzato ben tre telecamere di controllo. Ai giornalisti di ‘Chi l'ha visto?' ha confessato di rimanere sveglio la notte per proteggere la sua famiglia. Un compito che forse dovrebbe condividere con le autorità.
Attentato di Brindisi, confermata la condanna di Parato per la truffa del gasolio a Vantaggiato. La sentenza in primo grado arrivò un mese prima dell'esplosione provocata dall'imprenditore di Copertino, scrive l'8 marzo 2014 "La Repubblica". Un'ingiustizia che Giovanni Vantaggiato volle punire con l'attentato che ha sconvolto l'Italia intera, disse per una sentenza troppo morbida nei confronti dell'uomo che lo aveva truffato. Ora quella sentenza nei confronti di Parato, anche lui vittima delle bombe dell'imprenditore di Copertino reo confesso per l'esplosione che costò la vita alla 16enne Melissa Bassi, è stata sostanzialmente confermata con il pronunciamento in appello. Tre gli imputati nel processo sul raggiro da 343mila euro nella vendita di gasolio agricolo che provocò lo stato di "frustrazione" di Vantaggiato, che piazzò e fece esplodere una bomba davanti alla scuola Morvillo Falcone di Brindisi il 19 maggio 2012. I giudici della Corte d'appello di Lecce hanno inflitto un anno e otto mesi di reclusione a Cosimo Parato, bersaglio il 24 febbraio 2008 di un attentato dinamitardo che lo ridusse in fin di vita e che fu poi confessato da Vantaggiato; 5 mesi di reclusione per due fratelli di Parato, che rispondono di reati relativi alla violazione di norme sul commercio di carburante. I giudici di secondo grado hanno accolto le richieste del pg Nicola D'Amato e, considerata la prescrizione di alcuni reati di falso, hanno sostanzialmente confermato il verdetto di primo grado per appropriazione indebita al termine del quale Parato era stato condannato a 2 anni e 2 mesi di reclusione. Parte civile nel processo a carico di Parato è la Marchello Sas, la ditta di carburanti intestata alla moglie dell'imprenditore di Copertino. La sentenza di primo grado fu emessa dal Tribunale di Brindisi il 19 aprile 2012, un mese prima della strage di Brindisi per cui Giovanni Vantaggiato è stato condannato alla pena dell'ergastolo con il riconoscimento dell'aggravante della finalità terroristica. Confessando la strage della scuola, Vantaggiato dichiarò agli inquirenti di aver ritenuto inadeguata la pena inflitta a Parato.
Bomba Morvillo: Parato, accuse in tv. La conferma di quanto è stato ribadito più volte riguardo le indagini imperniate sulla figura di Giovanni Vantaggiato, la si ritrova oggi nelle parole dell'uomo di Torre Santa Susanna, Cosimo Parato, che il 68enne di Copertino, reo confesso della strage di Brindisi, voleva morto e tentò di uccidere nel 2008 realizzando e poi azionando una bici – bomba che lo ridusse in fin di vita. Ebbene, Parato ha rilasciato un’intervista all’inviato della trasmissione televisiva “Quarto Grado” che va in onda questa sera su Rete 4 e ha ripetuto quel che probabilmente disse agli inquirenti agli inizi di luglio e che fu raccontato da BrindisiReport.it e dalla stampa nazionale, scrive Vito Caccia il 14 settembre 2012 su "Brindisi Report". La conferma di quanto è stato ribadito più volte riguardo le indagini imperniate sulla figura di Giovanni Vantaggiato, la si ritrova oggi nelle parole dell'uomo di Torre Santa Susanna, Cosimo Parato, che il 68enne di Copertino, reo confesso della strage di Brindisi, voleva morto e tentò di uccidere nel 2008 realizzando e poi azionando una bici – bomba che lo ridusse in fin di vita. Ebbene, Parato ha rilasciato un’intervista all’inviato della trasmissione televisiva “Quarto Grado” che va in onda questa sera su Rete 4 e ha ripetuto quel che probabilmente disse agli inquirenti agli inizi di luglio e che fu raccontato da BrindisiReport.it e dalla stampa nazionale. “Non può aver fatto tutto da solo, qualcuno lo accompagnava a fare i sopralluoghi. Io l’ho sempre visto in giro con la moglie. Per l'attentato alla scuola credo che qualcuno abbia condiviso con lui questo atto”. E’ questa la sintesi del teorema della vittima numero uno, ex socio in affari di Vantaggiato, a quanto pare una vera e propria “ossessione” per Vanni. Parato parla principalmente dell’attentato di cui è stato vittima, quello che lo ha privato per sempre della completa funzionalità del proprio corpo, provocandogli lesioni gravissime e menomazioni permanenti. Ma non solo. “Circa una settimana dopo l'attentato alla scuola Morvillo Falcone di Brindisi – ripete anche in tv - i miei familiari hanno visto Vantaggiato nella scala della mia abitazione: forse voleva colpirmi di nuovo. Sicuramente aveva qualcosa in mente”. Si apre così l'intervista, che prosegue poi: “Vantaggiato ed io, in sostanza, andavamo a consegnare il gasolio; invece di scaricare 5mila litri, se ne scaricavano 3mila. Il resto lo vendeva a persone senza fattura. Dicono che Vantaggiato ce l'avesse con me per un ammanco di soldi, ma erano poche migliaia di euro. Credo, invece, che non volesse che io parlassi di tutto quello che combinava. Mi ha pedinato e faceva dei sopralluoghi insieme alla moglie in auto. Io li avevo anche visti e avevo fatto denuncia già all'epoca”. “Dopo l'attentato ai miei danni - spiega Parato – ho indirizzato gli inquirenti a seguire la pista di Vantaggiato, ma non mi hanno creduto perché dicevano che facevo parte della criminalità organizzata, non era per niente vero. Non avevo credibilità. Se mi avessero creduto, una ragazza sarebbe viva e le altre non avrebbero quei segni”. Fa poi riferimento anche alla strage (per la Dda un atto terroristico) compiuta il 19 maggio scorso, quattro anni dopo il tentato omicidio di Torre, davanti alla scuola Morvillo Falcone di Brindisi, lì dove ora c’è un banco vuoto, quello di Melissa Bassi, 16enne di Mesagne, dilaniata dalla deflagrazione di tre bombole riempite con miscela esplodente la cui composizione è oggetto di perizie tecniche di tipo balistico. “Vantaggiato è un tipo taciturno, sembra una persona veramente tranquilla e normale. Un giorno mi ha raccontato che confezionava bombe per pescare: le faceva da solo e diceva che non ci voleva niente a farle. Si vedeva che aveva esperienza in queste cose, ma non credo che abbia potuto aver fatto tutto da solo. Forse la fabbricazione sì, ma per gli appostamenti si è sicuramente fatto accompagnare da qualcuno. Per l'attentato alla scuola credo che qualcuno abbia condiviso con lui questo atto. Forse per il trasporto. Quando pedinava me non era mai da solo, stava sempre in compagnia della moglie. Non credo sia stato un atto dimostrativo, perché ha aspettato che si avvicinasse una ragazza prima di schiacciare il telecomando. Un atto dimostrativo non viene fatto così”. Una studentessa morta, nove ferite. Fu questo il bilancio di un sabato orribile per Brindisi, un sabato di paura, di inquietudine, di disorientamento per tutti, perfino per gli inquirenti che, in un primo momento, non seppero qualificare il fatto. Mafia, Sacra corona, terrorismo. Bastò poco per capire che non si trattava di un atto eversivo e che non andavano scomodati i massimi sistemi della criminalità organizzata o di sodalizi di matrice insurrezionalista, nonostante l’istituto professionale di via Galanti fosse intitolato alla moglie di Giovani Falcone, proprio a Francesca Laura Morvillo. Qualche giorno dopo fu la procura di Brindisi a convocare una conferenza stampa e a fornire ai giornalisti una chiave di lettura che si è poi rivelata del tutto esatta: “E’ il gesto isolato di un uomo che ce l’ha con il mondo”, disse il procuratore Marco Dinapoli. Nella notte fra il 6 e il 7 giugno, dopo che l’inchiesta fu presa in mano dalla Dda, con Cataldo Motta e i sostituti Guglielmo Cataldi e Milto De Nozza, si appurò che era proprio così, come era parso sin da subito visionando i filmati del chiosco vicino alla scuola: un uomo col telecomando, che, chissà perché, voleva combinare un disastro. Cosimo Parato, l’ex socio di Vantaggiato, è stato ascoltato agli inizi di luglio dalla procura di Brindisi nell’ambito dell’inchiesta sull’attentato ai suoi danni. Era il 24 febbraio del 2008: c’era già una denuncia querela formulata nei suoi confronti dalla famiglia Vantaggiato e un’altra fu formulata dalla moglie una settimana dopo, quando ormai era chiaro che la vittima non sarebbe morta. Saltò in aria la bicicletta con l’ordigno, realizzato esattamente come quello poi posizionato davanti ai cancelli della scuola di Brindisi, proprio mentre il bersaglio prescelto le transitava accanto. Parato finì in ospedale, in gravi condizioni. Poi parlò, ma non fu creduto. Cosimo Parato ha incontrato la stampa una sola volta, il 20 giugno, nello studio del suo avvocato, Raffaele Missere, due giorni dopo la seconda confessione di Vantaggiato che annuì, dinanzi ai magistrati, confermando di essere il responsabile di quei vecchi fatti, ritornati d’attualità il 19 aprile 2012, con una sentenza di condanna per truffa pronunciata dal Tribunale di Brindisi proprio a carico di Parato. Insomma, i rapporti fra i due erano deteriorati da tempo. E l’episodio di quattro anni fa è stato citato dal 68enne di Copertino, proprio il “bombarolo”, per spiegare la furia stragista dei tempi recentissimi. E’ il movente dichiarato, la frustrazione per la truffa da 343mila euro che Vantaggiato sosteneva di aver subito e che secondo lui non fu adeguatamente sanzionata. Ma, lasciando nel cassetto qualsiasi tipo di opinione, c’è un dato di fatto che va assolutamente registrato: Parato già una volta, quando era il diretto protagonista dei fatti, non fu tenuto in debita considerazione, per lo meno non lo furono le sue dichiarazioni. Oggi è tornato a parlare. Con gli inquirenti. Con la stampa. Ha una sua verità, ha potuto citare retroscena e dettagli che potrebbero essere determinanti per spiegare anche i tanti perché insoluti che caratterizzano ancora la tragedia di Brindisi. Sarebbe impensabile chiudere le indagini senza aver accertato se quel che dice Parato, la “causa di tutti i mali” di Vantaggiato, ha un riscontro o meno nella realtà. Per Parato, quell’uomo con cui si occupava di forniture di gasolio, un business condotto a suo dire oltre i limiti della legalità da entrambi, non ha agito da solo e non ha compiuto un atto dimostrativo nel 2008, così come nel 2012, davanti alla Morvillo. E’ una tesi di parte. Ma che ha da essere verificata, perché, continuiamo a ripeterlo, c’è ancora più di qualcosa che non quadra. Ed è qualcosa di determinante per la formazione della prova del futuro processo che, si sa già, sarà celebrato con rito ordinario.
AVETRANA: SIAMO TUTTI IN LIBERTÀ VIGILATA, scrive Claudio Romiti il 23 febbraio 2017 su "L’Opinione". Debbo confessare che, nonostante la grande pressione colpevolista esercita fin dai primi giorni dai media nazionali, mi aspettavo dalla Suprema Corte di Cassazione un giudizio ben diverso rispetto alla conferma dell’ergastolo per Sabrina Misseri e Cosima Serrano, ritenute definitivamente colpevoli dell’omicidio di Sarah Scazzi. In questo senso non posso che condividere in toto l’amara affermazione dell’avvocato Roberto Borgogno, legale della signora Serrano, intervistato per “La Stampa” dall’ottima Maria Corbi: “C’è un colpevole e ci sono due innocenti che stanno scontando la pena al posto suo. È stato commesso un evidente errore giudiziario”. Già, proprio un errore giudiziario che, pur nel rispetto formale che uno Stato di diritto pretende nei confronti di ogni sentenza, per come è maturato scuote le coscienze e lascia nella mente di chi pensa che il garantismo non sia un optional la sensazione che in questo disgraziato Paese siamo un po’ tutti colpevoli in libertà vigilata. Soprattutto se consideriamo che la cosiddetta prova regina su cui si è basato il castelletto accusatorio della Procura di Taranto è il famoso sogno del fioraio Giovanni Buccolieri. Un sogno il quale, come ha rimarcato la stessa Corbi nel corso della trasmissione televisiva “La vita in diretta” (contrapposta ad una imbarazzante Filomena Rorro, tra le prime a gettare la croce sulle due condannate), è stato preso come oro colato dai vari giudici e, come accaduto nei confronti di altre testimonianze che non collimavano con il teorema accusatorio, ha dato luogo a un procedimento penale per falsa testimonianza, ancora in corso, nei confronti del medesimo sognatore, quest’ultimo fermamente intenzionato a ribadire la sua versione onirica. Ma a rendere ancor più inquietante la tragica vicenda, principalmente per chi ha seguito il caso senza i paraocchi di un teatrino mediatico-giudiziario a dir poco vergognoso, vi è la surreale condizione di Michele Misseri, marito di Cosima Serrano e padre di Sabrina Misseri, fin da subito reo confesso e, a mio parere personale, unico autore di un delitto d’impeto a sfondo sessuale che sembra particolarmente cristallino nei suoi drammatici contorni. Ciononostante il Misseri, pur continuando a proclamare con costanza e ostinazione la sua piena responsabilità nel delitto, non è stato creduto neppure dalla Cassazione. Un caso quasi unico nella nostra giurisprudenza. Ha invece prevalso una ricostruzione dei fatti la quale, al di là della evidente mancanza di riscontri oggettivi - soprattutto dopo la successiva incriminazione di Cosima Serrano, dipinta fin dall’inizio dalla stampa colpevolista come una sorta di manipolatrice criminale - appare piuttosto in conflitto con la logica e il buon senso. Ma tant’è, al pari del proverbiale Martin che per un punto perse la cappa, in Italia si può finire all’ergastolo, perdendo a vita la libertà, per un sogno. Spero vivamente di essere smentito nel tempo a venire, tuttavia nutro la forte impressione che più una accusa (in particolare quelle sfruttate dai media per ragioni di audience) poggia su basi fragili, e più risulta impossibile invertirne un verdetto finale di condanna che sembra già segnato fin dai primi momenti. E se la libera informazione, anziché fare le bucce alla pubblica accusa, ossia la parte più forte in qualunque procedimento penale, diviene il collettore per le peggiori inclinazioni colpevoliste presenti nella popolazione, anticipando di fatto il giudizio finale, quest’ultima offre un pessimo servizio alla collettività. In merito all’incredibile vicenda di Avetrana, in cui hanno dominato chiacchiere, pettegolezzi e forzature di ogni genere, siamo in pochi a rilevare e mettere nero su bianco le enormi criticità di una duplice condanna capitale definitiva, e questo dovrebbe farci quanto meno riflettere.
Io che ho conosciuto Misseri e ho raccontato il delitto di Avetrana, vi dico i miei dubbi, scrive il 21/02/2017 Simone Toscano su "L'huffingtonpost.it". La notte dell'arresto di Sabrina Misseri io c'ero. Ero lì ad Avetrana, in via Deledda, per la diretta di Quarto Grado. Li ricordo bene quei momenti, con Sabrina portata in caserma a Taranto e noi a pochi passi dalla villetta in cui si era barricata la madre, Cosima Serrano. L'auto dei carabinieri continuava a passare, come fosse una ronda, sollevando ogni volta nei cronisti il dubbio: "stanno venendo a prendere anche lei?". Passarono alcuni mesi prima dell'arresto, il 26 maggio del 2011. Quella sera non c'ero, ma conosco a memoria quelle immagini, viste decine di volte, analizzate nelle facce, nelle frasi urlate. Potrei dire uno per uno chi erano, quelli che quella sera correvano dietro alla volante urlando "assassina", fischiando, inveendo. Tra loro anche qualcuno di quei testimoni su cui la Procura ha basato la propria teoria accusatoria. C'ero invece nel famoso "Incidente probatorio". Un termine che per gli addetti ai lavori è il pane quotidiano ma che invece - me ne accorsi in quell'occasione - chi di mestiere fa tutt'altro ovviamente non conosce. Cosa vuol dire "incidente", mi chiedevano in tanti? E io giù a ripetere la solita spiegazione da bar, per cui "è una parentesi che si apre e si chiude, serve a cristallizzare una dichiarazione". Mi sono sempre chiesto: possibile che quando a Michele Misseri è stato chiesto "facciamo l'incidente", lui abbia capito che davvero dovesse cristallizzare le sue accuse? Oppure no, al contrario, possibile invece che un uomo dalla bassa scolarizzazione e i cui strumenti culturali non erano particolarmente coltivati, possa aver capito che aveva l'occasione giusta per dire che "si era trattato di un incidente"? Michele Misseri l'ho intervistato più volte. Una intervista su tutte credo che non la dimenticherò mai: era la sera del 25 agosto del 2011, mancavano poche ore a un anniversario triste e amaro. Mi trovavo ad Avetrana per realizzare un servizio - ancora per Quarto Grado - sul paese un anno dopo. Nulla di morboso, un pezzo "sociologico", con le facce di quel fazzoletto di terra ai margini del Salento e con le testimonianze dei protagonisti. Passando davanti alla porta dell'ormai famoso garage, quello in cui Michele Misseri racconta di aver tolto la vita alla nipote, ci accorgiamo che è aperta. Ci fermiamo e io chiamo il "signor Misseri?". Una secchiata d'acqua ci sfiora, poi la porta sbatte. Passa un minuto e un'altra secchiata arriva sulla strada, andando anche questa a vuoto. Decido quindi di mettermi sotto la tettoia del cancello, al riparo, e inizio a parlare immaginando che Michele sia dentro. Me ne accorgo solo perché lo sento piangere: non vuole parlare e io rispetto la sua decisione, ma prima di andare decido di dirgli di cuore quello che sento. E cioè che "io non so cosa sia realmente successo, ma credo che lei abbia sbagliato a non spendere mai una parola per quella ragazza (...) E credo che sia stata una mancanza di rispetto nei confronti di Sarah e della sua famiglia quella di fare come prima dichiarazione, appena uscito dal carcere, una descrizione minuziosa del modo in cui l'avrebbe uccisa e calata nel pozzo". Mi sembrava mostruoso e gliel'ho detto, smettendo i panni del giornalista che chiede un intervista, ma che piuttosto si toglie un sassolino dalla scarpa. Michele a quel punto si fa vivo, decide di parlare, "non è vero che io a Sarah non ci penso e che le manco di rispetto", mi dice. "Ti faccio vedere una cosa che non conosce nessuno". Mi apre la porta, mi fa cenno di seguirlo. Per ora le telecamere restano fuori, poi entreranno. Entriamo nel garage, nel presunto luogo del delitto: è buio e non si vede nulla se non fosse per una fioca luce in fondo, alcuni metri sotto terra, finita la rampa in discesa. D'improvviso chiude la porta e io ho paura. Ho paura. Come un pugile dilettante metto - al buio, non mi vede - i pugni davanti a me e gli dico "non faccia scherzi eh". Non ne fa, mi prende per un braccio e mi accompagna fino alla fine del garage, esattamente nel punto dove dice di aver ucciso Sarah, e mi mostra qualcosa che ancora oggi mi fa venire i brividi solo a pensarci: con del legno ha costruito una sorta di edicola sacra, un altarino alla nipote. Dentro ci sono foto ritagliate dai giornali "e per fare luce guarda cosa ho fatto, ho preso un caricabatterie del cellulare e l'ho collegato alla lampadina". Io rimango senza parole. Dopo un'ora di colloquio iniziamo una delle interviste più difficili di sempre, in cui una serie infinita di volte gli chiedo "ma lei si rende conto che è quasi blasfema come cosa?" e "cosa crede che una madre dovrebbe pensare di lei?". Di blasfemo in quell'altarino Michele non vedeva nulla. Continuava a piangere e a ripetermi di "quel calore alla testa, che non c'ho visto più", in quel primo pomeriggio del 26 agosto di un anno prima. Possibile che sia quest'uomo sicuramente dalla psicologia labile l'autore del delitto? Dopo i nostri incontri l'ho pensato, lo ammetto, e la stessa cosa la sostiene una criminologa - Anna Maria Casale - che con lui ha parlato molto a lungo, fino a stilare un ampio profilo psicologico finita tra le carte del processo. Prima non avevo dubbi sulla sua colpevolezza, ma da quel momento ho iniziato a leggere i faldoni dell'inchiesta in altro modo, sotto un altro punto di vista, ripulito dall'onda emotiva e colpevolista. Le ho passate in rassegna, quelle migliaia di pagine, senza riuscire a trovare la pistola fumante e i "tre indizi che fanno una prova", facendo difficoltà a immaginare una madre di famiglia che litiga con la nipote per difendere una figlia gelosa, poi la insegue quando quella scappa, la tira per un braccio e la riporta a casa per ucciderla. Come è possibile togliere la vita a una ragazza, che è quasi un'altra figlia per te, per un dolo d'impeto? E davvero è possibile che nessuno in quella via si sia accorto di nulla? È invece plausibile che ci sia stato un incidente, magari proprio tra le due ragazze ma senza la compartecipazione della madre, e che i tre abbiano provato a mettere a tacere tutto in maniera goffa senza riuscirci, insomma provando - come disse Michele in una intercettazione ambientale proprio con Cosima - "a fare i furbacchioni" senza esserne capaci? Oppure c'era altro, un "segreto inconfessabile" mai emerso finora, come movente di un omicidio tanto spietato? Un dato certo è che sulla Procura di Taranto si sia riversata una pressione mediatica che quell'ufficio non era forse in grado di sostenere. E che le indagini siano state viziate proprio dal comportamento di Michele Misseri, in un circolo vizioso da cui è difficile venire fuori. Mi continua a risuonare per la testa, anche ora che c'è finalmente una verità processuale certa - la solita domanda: nel dubbio è meglio avere due innocenti in carcere o due colpevoli in libertà? Evidentemente per i giudici della Cassazione quel dubbio non esisteva.
Sarah Scazzi, dopo un anno mancano le motivazioni. Basta il "sentire popolare" a giustificare le condanne? Scrive Luca D'Auria il 7 agosto 2016 su "Il Fatto Quotidiano". Cosima Serrano e la figlia Sabrina sono state condannate all’ergastolo per l’omicidio di Sarah Scazzi; anche in appello. A pochi sembrerà strano. Io non so dare il mio parere perché non ho letto alcun atto della vicenda. So delle accuse e delle autoaccuse. Ma questo non vuole dire nulla. Posso dire questo: il sociologo ed antropologo Durkheim diceva che il delitto è una ferita nella società ed il ruolo del giudice e del diritto penale è quello di curare questa ferita, come il medico fa con la malattia. Già con questa affermazione si può aprire una discussione assai complessa e profonda: il giudice risponde alle regole di diritto oppure alle esigenze della collettività? La necessità del rispetto delle regole giuridiche spesso può confliggere con il naturale bisogno che la società ha di “tirare il fiato” rispetto ad un delitto che ne ha scosso le fondamenta. Sono interessi contrastanti e, spesso, drammaticamente confliggenti. Ricordo la mia esperienza a Madrid quando assistevo il presunto organizzatore della strage di Al Quaeda alla stazione di Atocha: la gente della capitale spagnola voleva vendicare i fatti; i giudici si trovarono a dover decidere anche nei confronti di accusati contro i quali le prove erano a dire poco dubbie. L’accusa chiese contro il mio cliente quarantasettemila anni di carcere; venne assolto. Prevalse il diritto. Forse l’opinione pubblica fu soddisfatta dalla condanna di tutti gli altri. La fotografia di quei giorni, che porto nel mio cervello, è quella di noi avvocati difensori scortati dai tank dell’esercito spagnolo. Stasera ho acceso la televisione e mi sono trovato Cosima Serrano che, durante l’udienza, in un reportage trasmesso da Quarto Grado, chiede alla Corte di essere assolta, augurandosi che i giudici non stabiliscano la colpevolezza sulla base di quello che il “sentire popolare” vuole. In maniera forte paragona il processo in cui è coinvolta a quello contro Gesù Cristo, affermando che Gesù è stato condannato perché il popolo lo ha voluto, al di là delle prove. Ed oggi, quella contro il Messia, è considerata da tutti come una condanna ingiusta. L’affondo è forte, anzi fortissimo. Ripeto: non conosco gli atti. Quindi non posso dire se la condanna di primo e secondo grado, per l’omicidio di Avetrana, sia giusta o sbagliata. Ho solo qualche dubbio sulla ingiustizia (storica e giuridica) verso la condanna a Gesù: si è dichiarato figlio di Dio dinanzi al Sinedrio e cioè alla massima autorità dell’epoca per la tutela della fede ebraica e Re dei romani dinanzi al Proconsole di Roma; e questi delitti erano puniti con la pena di morte. Quanto al messaggio morale e di amore da Lui trasmesso è la storia a dare la risposta: è immortale. Ma per tornare sulla terra e ad Avetrana: la trasmissione dell’amico Nuzzi ha evidenziato un aspetto ben più importante, rispetto al quale non contano i concetti di responsabilità giuridica, morale o altro verso gli accusati: è trascorso un anno dalla condanna di primo grado per poter leggere le motivazioni e, ad un anno dalla sentenza di secondo grado, non sono ancora depositate e quindi conoscibili le motivazioni del giudice d’appello. Questo è immorale sia che si consideri il processo penale come una questione di diritto, sia che lo si consideri un ristoro per la società colpita e dilaniata dal delitto. La giustizia di una sentenza e la sua eticità non è valutabile solamente rispetto al merito dell’accusa ma anche e specialmente con riferimento alla modalità con la quale la decisione viene presa.
Massoneria e politica? Non sono incompatibili. Il “caso Lecce”. Lecce 14 giugno 2010 (La Gazzetta del Mezzogiorno.it). “E’ una guerra di intolleranza che per un massone è inammissibile “. Antonio Tamborrino, ex maestro venerabile della Loggia “Liberi e coscienti”, la più antica, che fa riferimento al Grande Oriente d’Italia, di cui oggi è maestro, prende posizione nella controversia sulle Logge, nata nell’ambito del dibattito politico a livello nazionale, che sta avendo riflessi anche in ambito provinciale. Il caso leccese riguarda lo “stop” che avrebbe dato lo stesso Pierferdinando Casini all’ingresso di Franco De Iaco (difensore di Cosima Serrano) e del suo nuovo soggetto politico “Unione per il Salento”, nel Partito della Nazione. Non è un mistero, infatti, l’adesione di De Iaco al Grand’Oriente d’Italia-Piazza del Gesù. Egli stesso ha tenuto a precisare che non esiste alcuna contraddizione nè conflittualità tra l’impegno politico e l’adesione alla massoneria, mondi che restano separati. Ma intanto, nella “guerra” interna all’Udc, l’onorevole Lorenzo Ria è uscito allo scoperto, facendo sapere che “nel partito non può esserci tutto ed il contrario di tutto”, scatenando la reazione del portavoce provinciale dell’Udc Gigi De Leo, il quale ha bacchettato Ria a muso duro. Per Tamborrino, già presidente dell’Ordine nazionale dei Dottori commercialisti, personalità politica di lunga data, l’adesione alla massoneria come elemento discriminante “è solo un alibi”, una questione che viene tirata fuori ad arte ogni qual volta non si trovano altri argomenti validi. “L’ho sperimentato sulla mia persona – confessa Tamborrino – Quando la politica ha inteso fermarmi o scoraggiarmi è stata tirata in ballo la mia adesione alla Loggia. Eppure – continua – la militanza politica è un “falso problema” che non influisce e non determina alcunchè nell’attività di quelli che sono i valori della massoneria. Fermo restando che, nei templi è assolutamente vietato parlare di politica e di religione”. Ma non c’è assolutamente alcun divieto di praticare la politica. “Molti esponenti politici, nazionali e locali, aderiscono alla massoneria – fa sapere Tamborrino – così come svolgono altre attività”. Ma sui nomi è top secret. “Non perchè ci sia alcun segreto – specifica il maestro – ma perchè nella massoneria è sacro il diritto alla privacy e il rispetto della privacy”. Vale a dire che ciascuno può fare riferimento alla personale esperienza nelle Logge ma non può indicare il nome di altri aderenti. Però c’è chi osserva che la segretezza non sarebbe una prescrizione ma una scelta dei singoli aderenti alla massoneria, molti dei quali sono personaggi pubblici o ricoprono ruoli di rilievo e, pertanto, preferiscono rimanere nell’anonimato. D’altra parte, gli elenchi massonici sono depositati presso la Procura della Repubblica. E vale la pena ricordare che fu proprio l’ex procuratore Alessandro Stasi a disporre il sequestro degli elenchi degli aderenti, nell’ambito di un’inchiesta, tra il 1981 ed il 1982, sugli eventuali addentellati tra la massoneria, la politica e la gestione della cosa pubblica. A proposito del rapporto massoneria-politica, Tamborrino ricorda il pensiero di Salvador Allende, aderente alla Gran Loggia del Cile. “Gli chiesero cosa avrebbe fatto nel caso in cui la politica fosse risultata d’intralcio alla pratica della massoneria – ricorda Tamborrino – Allende rispose che avrebbe abbandonato l’attività politica. Quindi, gli fu chiesto cosa avrebbe deciso se fosse stata la massoneria a collidere con il ruolo politico. Rispose, analogamente, che avrebbe abbandonato la politica. Questo, ovviamente, solo nel caso in cui ci fossero princìpi di contrasto”. Che, precisa, generalmente non ci sono.
Giustizia, promosso Argentino sarà il procuratore di Matera, scrive il 27 Luglio 2017 Mimmo Mazza su "La Gazzetta del Mezzogiorno”. Il dottor Pietro Argentino è il nuovo procuratore capo di Matera. Lo ha deciso il plenum del Consiglio Superiore della Magistratura, votando sulla proposta formulata dalla commissione incarichi direttivi dell'organo di autogoverno della magistratura che aveva indicato per tale nomina il magistrato originario di Torricella, procuratore aggiunto a Taranto dal 2009. Argentino ha ottenuto 11 voti, superando la concorrenza degli due candidati Elisa Pugliese (Dna) e Lorenzo Lerario (Procura generale Taranto). Con Argentino nominato procuratore capo, a copertura di un posto vacante da ormai oltre un anno e otto mesi, la città lucana può contare su un magistrato di alto livello, con al passato inchieste e processi di assoluto spessore. Magistrato dal 13 maggio del 1980, Argentino fino al 1987 ha prestato servizio al tribunale di Lecce, con funzioni di giudice civile e penale. Nel 1987 fu trasferito alla pretura di Taranto, ove si è occupato della sezione civile prima e poi di quella penale. Con l'entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale, ha svolto prima le funzioni di gip presso la pretura circondariale e dopo contemporaneamente le funzioni di pretore penale e di pretore presso le sedi distaccate di Manduria e San Giorgio Jonico. Nel gennaio del 1994 è stato trasferito alla Procura di Taranto della quale è diventato procuratore aggiunto l'8 maggio del 2009. Dal 1992 svolge le funzioni di presidente di sezione della commissione tributaria provinciale. Nel corso del suo lavoro alla Procura di Taranto ha svolto importanti e delicate inchieste contro la criminalità organizzata in stretta collaborazione con la Direzione Antimafia di Lecce, tanto da essere per lungo tempo destinatario di misure di tutela deliberate dal comitato per l'ordine e la sicurezza pubblica. Recentemente Argentino si è occupato della indagini sul delitto di Sarah Scazzi, la 15enne scomparsa ad Avetrana, e dell'inchiesta «Ambiente svenduto» sulle emissioni dell'Ilva. «Sono contento e lusingato» dice Argentino alla Gazzetta. L’insediamento alla guida della Procura di Matera si svolgerà tra settembre e ottobre. «La nomina da parte del Csm di Pietro Argentino, nuovo procuratore capo della Procura di Matera, mi riempie di soddisfazione. Argentino è persona competente e capace» dice il consigliere regionale Giuseppe Turco. «Sono inoltre convinto di interpretare in questo momento la soddisfazione dell’intera comunità di Torricella, suo paese d’origine, e di tutta la comunità tarantina. A lui - conclude Turco - vanno i miei più sentiti auguri di buon lavoro».
Quando proporsi alle vittime ed ai media e lisciare il pelo ai magistrati è sinonimo di successo.
Sulle tracce di Maria Chindamo. Tra i familiari ora torna la speranza, scrive Pino Brosio il 30/10/2017 su "La Gazzetta del Sud". Il legale dell’associazione “Penelope”: «Messi in campo i migliori investigatori» d «Nel caso relativo alla scomparsa di Maria Chindamo gli inquirenti non brancolano nel buio. Hanno idee molto chiare ed elementi concreti nelle loro mani. La sensazione è che il cerchio si possa chiudere da un momento all’altro». A parlare è l’avv. Nicodemo Gentile, presidente dell’associazione nazionale “Penelope” della Toscana, che da qualche giorno s’è schierata al fianco della famiglia dell’imprenditrice scomparsa. Noto per aver trattato, da legale di fiducia, alcuni dei casi di cronaca più importanti degli ultimi anni (Sarah Scazzi, Rudy Guede, Salvatore Parolisi, ecc.), pochi giorni fa, assieme a Vincenzo, fratello di Maria, ha incontrato negli uffici della Procura di Vibo Valentia il sostituto procuratore Concettina Iannazzo, titolare delle indagini. Un faccia a faccia sereno e costruttivo che ha generato fiducia e speranza aprendo il campo a linee di ottimismo sino ad oggi mai registrate. «Da penalista – afferma Gentile – dopo i tanti casi trattati, devo dire che l’incontro con la dottoressa Iannazzo, ben coordinata dal procuratore Bruno Giordano, ci ha fatto percepire sensazioni del tutto positive. Ci sono in campo le migliori intelligence investigative, ci sono già tasselli importanti. Il mosaico si sta completando». La scomparsa di Maria Chindamo, in sostanza, non pare destinata, a scivolare nell’oblìo, anzi «a breve – prosegue Gentile – potrebbero arrivare le risposte attese». Il legale perugino, che nel caso dell’imprenditrice di Laureana di Borrello, va ad affiancare il legale di fiducia Giovanna Cusumano del Foro di Reggio Calabria, ritiene che nel caso Chindamo gli «indizi chiari siano tanti e che gli inquirenti si stiano muovendo lungo una pista precisa». In ogni caso «ci sono piaciute molto – sottolinea – la tenacia e la determinazione della dottoressa Iannazzo per cui la nostra fiducia nel suo operato e in quello delle forze dell’ordine è totale». C’è, poi, un altro aspetto che impressiona positivamente l’avv. Gentile: la forza e la bontà d’animo di tutti i familiari di Maria. «Vincenzo è il fratello coraggio – rimarca – perché sta dedicando la sua vita a questa vicenda alimentando due pensieri: lottare quotidianamente per capire e difendere la sua famiglia. Lui ci mette la faccia, sa di correre rischi, ma non indietreggia di un centimetro. È il simbolo della Calabria perbene. È il vento del cambiamento. L’omicidio di Maria ha trascinato la Calabria sul fondo; Vincenzo, col suo esempio, ci sta dicendo che questa è l’occasione per affrancare il territorio da dinamiche terribili». E, in verità, Vincenzo segue il suo percorso senza incertezze. L’incontro con gli inquirenti nella Procura di Vibo ha sprigionato in lui nuove energie. È convinto che «data la pericolosità sociale di quanto successo, la Procura non solo sia impegnata nella ricerca della verità, ma insegua anche l’obiettivo di riscattare questa società e dare giustizia a tutto il territorio. Ci sono – sostiene – segni importanti della presenza dello Stato che, in presenza di rischi per la popolazione, risponde in maniera forte». Tra l’altro, le indagini sulla scomparsa di Maria Chindamo vengono da sempre condotte, per competenza, dalla Procura di Vibo. Pur essendo cambiati i capi dell’ufficio la continuità dell’operato è stata sempre mantenuta e garantita dalla dott.ssa Concettina Iannazzo titolare delle indagini sin dal primo momento. Nei giorni scorsi, comunque, a seguito delle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia Giuseppe Dimasi, originario di Laureana di Borrello, s’è appreso che ad indagare c’è pure la Dda di Reggio Calabria guidata dal procuratore Federico Caero De Raho. A distanza di oltre sedici mesi dalla scomparsa di Maria, dunque, la ricerca della verità anziché perdere forza riprende vigore, allarga il campo d’azione, trova nuovi protagonisti e nuovi afati. Anche questo è segnale di cambiamento.
Giustizia, i Perry Mason dell’Umbria: i grandi casi mediatici visti e raccontati dagli avvocati. L'avvocato Valter Biscotti si è occupato della difesa di Rudy Guede, di Salvatore Parolisi, dei familiari di Sarah Scazzi e dei processi alle vecchie e nuove Br: "Mi fermano in giro per l'Italia e mi chiedono di salutare mamma Concetta", scrive Umberto Maiorca il 19 ottobre 2016 su “La Notizia Quotidiana”. La toga sulle spalle, a discutere davanti ai giudici di Corte d’assise, e poi davanti ad una selva di microfoni e telecamere. Una scena che l’avvocato Valter Biscotti ha vissuto molte volte, sia come difensore dell’imputato sia come rappresentante legale della parte offesa.
Da studente universitario ad avvocato “mediatico”, come hai iniziato?
«Sono avvocato da 28 anni e mi sono diviso sempre tra diritto industriale, dai tempi dell’università, e penale. Ricordo che iniziai con un paio di processi con due maestri come Stelio Zaganelli e Fabio Dean. Poi arrivò l’occasione di partecipare al processo Pecorelli, con la difesa di Calò. Sono stati cinque anni molto intensi, una settimana al mese di udienza, una sorta di master universitario sul campo con professionisti del calibro di Coppi, Naso, Oliviero, Taormina e magistrati come Cardella, Cannevale e Orzella».
Nel tempo sono arrivati altri processi importanti.
«Ho iniziato ad occuparmi di casi di omicidio, come quello di un ragazzo che aveva ucciso la madre o di un anziano che aveva assassinato la moglie. Entrambi furono assolti per incapacità. Il grande salto nel mondo dei media è arrivato con la difesa di Rudy e il processo Mez. Anche se qualche anno prima avevo iniziato ad occuparmi del delitto del soprintendente Emanuele Petri da parte delle nuove Br e avevo partecipato anche al procedimento per l’omicidio di Massimo D’Antona. Si è trattato dei primi delitti delle Br dopo tanti anni durante i quali si riteneva di aver sgominato i terroristi. Assisto ancora oggi i familiari degli uomini della scorta di Aldo Moro, trucidati in via Fani. Sono stato anche difensore di parte civile per la strage di piazza della Loggia. Tutti casi impegnativi che hanno avuto grande risalto su giornali e televisioni. Il processo a Rudy guede, però, è stato un evento mondiale e molto impegnativo. Ricordo che in occasione dell’udienza del riesame avevano montato delle torri per poter trasmettere i servizi. I giornalisti che hanno seguito il caso penso che siano stati, almeno presenti una volta, oltre 200».
Quale rapporto tra giustizia e media, tra avvocati e giornalisti?
«Devi essere capace di trattare con la stampa, perché i media hanno una rilevanza enorme nel processo, soprattutto quando si tratta di un procedimenti indiziario. In certi casi la sovraesposizione mediatica del caso può danneggiare lo svolgimento del processo e le parti coinvolte. L’avvocato, quindi, visto che è chiamato in gioco, deve giocare, nel rispetto delle regole professionali, ma deve saper usare il circo mediatico anche per bilanciare i vari elementi dell’inchiesta giudiziaria. Il “no comment” davanti ai giornalisti è un danno per il cliente. L’avvocato deve saper reagire alle notizie che provengono dalla controparte del difensore dell’imputato. La disparità di potere è rilevante, quindi a volte, bisogna impressionare l’opinione pubblica. Purtroppo mi è capitato che un magistrato si sia lasciato impressionare e abbia avuto paura di prendere decisioni conformi alle risultanze processuali».
Verità processuale e verità dei fatti, le sentenze rispecchiano l’evento?
«No. Alcuni esempi? Il caso Parolisi. È ingiusto perché le risultanze processuali non rispecchiano il tenore delle sentenze. Il caso Rudy lascia ancora tanti dubbi e ombre su quanto sia avvenuto in via della Pergola. Il caso di Sarah Scazzi è stato molto importante e seguito, forse il più mediatico, con ogni canale e ogni trasmissione che ogni settimana dedicava uno spazio. Eppure di omicidi simili ce ne sono stati tanti e ce ne sono in Italia. Dalla sentenza sappiamo tante cose, ma non emerge la verità piena, come è avvenuto l’omicidio, la dinamica resta un mistero».
Troppa visibilità danneggia il lavoro dell’avvocato?
«In casi come quelli nominati occorrono nervi saldi e e una serie di collaboratori per tutti i fronti e per controllare ogni aspetto del procedimento. Bisogna scegliere i migliori consulenti. E bisogna saper rispondere a tutti. Qualche anno fa c’erano solo “Un giorno in pretura” e “Chi l’ha visto?”, adesso ci sono almeno cinque programmi nazionali e decine di siti che fanno cronaca nera. La visibilità porta anche ad essere fermato da estranei nei posti più impensati in giro per l’Italia, tipo in autogrill, e mi dicono: Salutami Parolisi, oppure dì a Concetta, la mamma di Sarah Scazzi, che le sono vicino».
Taranto, parroco “tassista” inquisito in vasto giro di prostituzione. Nelle intercettazioni risulterebbe evidente il ruolo svolto da padre Calabrese, il quale aveva un rapporto diretto sia con le giovani prostitute che con la “maitresse” che si occupava della loro gestione, scrive Federico Garau, Mercoledì 16/01/2019, su "Il Giornale". Gravissime accuse nei confronti di padre Saverio Calabrese, sacerdote della parrocchia di Monteparano (Taranto). L’uomo risulta coinvolto in un’inchiesta nella quale gli inquirenti tentano di far luce su un vasto e ben organizzato giro di prostituzione che vede come protagoniste alcune ragazze originarie dell’est Europa. Le indagini hanno portato all’incriminazione di diversi connazionali delle giovani, che si occupavano della gestione degli affari, ma anche di alcuni italiani che avrebbero dato il loro appoggio in cambio di denaro. Questi ultimi, tra cui lo stesso padre Calabrese, avevano il compito di condurre le giovani nei luoghi in cui si prostituivano e di occuparsi delle loro necessità primarie. Il parroco di Monteparano, già conosciuto per aver ricevuto la confessione in carcere di Michele Misseri in merito al delitto di Avetrana, si trova ora agli arresti domiciliari per il reato di favoreggiamento alla prostituzione. Come riportato dal quotidiano “Libero”, la posizione di padre Calabrese, soprannominato “il tassista”, è ben nota al tribunale di Taranto. Il parroco, come si legge nell’ordinanza emessa dal giudice, “frequentemente accompagnava (le ragazze) sul luogo del meretricio fornendo assistenza, anche portando ivi cibo”. Innegabile, per gli inquirenti, il filo diretto mantenuto fra lui e la “maitresse” delle giovani prostitute. A dar conferma in tal senso le intercettazioni telefoniche effettuate nei confronti di Nadia Radu, in arte “Smeranda”, 31enne romena considerata un fondamentale punto di riferimento per l’organizzazione criminale. “Non me la sento ancora di uscire cucciolotta, ma se avete bisogno domattina poi esco, non c' è problema”. Queste le parole riferite alla donna da padre Calabrese nell’ottobre del 2017, che inchioderebbero il religioso alle sue responsabilità di “tassista”. In attesa del processo, il parroco è stato sospeso dai suoi incarichi pastorali. Al momento risultano 12 indagati, tra stranieri ed italiani, che sono inquisiti per i reati di associazione a delinquere, sfruttamento, agevolazione e favoreggiamento della prostituzione ed infine estorsione.
Il difensore del fioraio Buccolieri. «Raggirò i suoi clienti»: sotto processo l'avvocato ex sindaco, scrive Nazareno Di Noi Lunedì 24 Ottobre 2016 su “Il Quotidiano Di Puglia”. Avrebbe truffato il suo cliente facendosi consegnare la somma di quasi 200mila euro che sarebbe servita al liquidatore dell’assicurazione il quale era all’oscuro di tutto. Per questo l’avvocato di Avetrana Giovanni Scarciglia, già sindaco del suo Comune, è stato invitato a comparire il prossimo 7 dicembre davanti al giudice monocratico del tribunale di Taranto per rispondere dei reati di truffa aggravata e appropriazione indebita. Nei suoi confronti il pubblico ministero Filomena Di Tursi ha emesso un decreto di citazione in giudizio che salta la fase dell'udienza preliminare facendo a meno del controllo circa la fondatezza dell'accusa. Persone lese della presunta truffa sono due avetranesi, Antonio Minò, importatore di animali da macello con la moglie Maria Teresa Carrozzo, involontari protagonisti di una intricata e tristissima storia che parte dalla morte del proprio figlio Leonardo Luigi Minò, vittima di un incidente mortale della strada quando era ancora minorenne avvenuto il 19 settembre del 2000 ad Ancona. Il ragazzo viaggiava a bordo di un auto guidata da un suo zio di 23 anni, deceduto anche lui nell’incidente. Due lutti terribili che sconvolsero la famiglia Minò e l’intera comunità avetranese. I rilievi e le indagini della polizia stradale che si conclusero riconoscendo la non responsabilità della giovane vittima diedero il via alle pratiche risarcitorie a danno dell’assicurazione del mezzo. Fu allora che la famiglia Minò si rivolse al noto professionista il quale accettò di buon grado il compito di trattare il giusto compenso con la compagnia assicuratrice Unipol Sai. Il contenzioso si concluse con il riconoscimento a favore dei Minò della somma complessiva di 700mila euro suddivisa tra padre (280mila euro), madre (300mila) e sorella della vittima (120mila euro). L’avvocato Scarciglia, secondo quanto scrive la pm Di Tursi nella citazione a giudizio, «mediante raggiri ed artifici» fece credere al capofamiglia, suo assistito, che la somma concordata di 700mila euro «era condizionata alla dazione illecita della somma in contanti di 200.000 euro in favore del liquidatore Luca Coeli» (di Unipol Sai, ndr). Dalle indagini condotte, sarebbe emersa l’estraneità del liquidatore che, scrive il magistrato inquirente, era «in realtà del tutto ignaro della vicenda». L’avvocato imputato, sostiene l’accusa, avrebbe dunque «indotto in errore lo stesso Minò circa la necessità di corrispondere tale ingente somma». Tutto questo quanto l’assicurazione aveva già saldato il conto consegnando la somma pattuita nelle mani dell’avvocato, in parte con bonifico bancario in favore dell’assistito e in parte con assegni circolari non trasferibili intestati alla mamma e alla sorella della vittima. «Il predetto difensore – scrive il pm -, si procurava un ingiusto profitto consistito nel farsi consegnare in varie tranche da Minò la somma complessiva di 191.000 euro asserendo falsamente di doverla riversare al liquidatore». Lo stesso deve inoltre rispondere di appropriazione indebita perché, sostiene sempre il pm, «con abuso delle proprie relazioni di legale di fiducia, nell’ambito della pratica di risarcimento dei danni al fine di procurarsi un ingiusto profitto, si appropriava di tre assegni circolari dell’importo di 50.000 euro ciascuno emessi a favore della moglie e della figlia» del suo assistito. A difendere l’avvocato Scarciglia sarà il suo collega Raffaele Errico.
Taranto, arrestate 27 persone per mafia: coinvolti anche i sindaci di Avetrana ed Erchie. “Appalti, estorsioni e riciclaggio”. Secondo gli investigatori, il clan avrebbe creato un clima di intimidazione nei confronti di numerosi imprenditori locali che venivano così "soggiogati al sistema mafioso". Arrestati anche Antonio Minò e Giuseppe Margheriti, rispettivamente alla guida dei comuni di Avetrana ed Erchie. Un ex consigliere comunale di Manduria è accusato di scambio elettorale politico-mafioso, scrive "Il Fatto Quotidiano" il 4 luglio 2017. Avevano creato un clima di intimidazione tra gli imprenditori locali, teso ad aggiudicarsi appalti pubblici, a imporre estorsioni e all’imposizione delle proprie ditte nella movimentazione terra. E avevano agganci “in alto”, fino ai vertici di due amministrazioni comunali, sospettano gli inquirenti, che questa mattina hanno eseguito 27 arresti (venti in carcere, 7 ai domiciliari) tra le province di Taranto e Brindisi nei confronti di un presunto sodalizio criminale di stampo mafioso.
Tra le persone coinvolte ci sono i primi cittadini di Avetrana ed Erchie, Antonio Minò e Giuseppe Margheriti. Oltre al vice-sindaco del paese nel Brindisino, Domenico Margheriti, e di un ex consigliere comunale di Manduria, sempre in provincia di Taranto, accusato di scambio elettorale politico-mafioso. Minò è indagato per concorso esterno ed è stato rinchiuso in carcere, mentre Margheriti si trova ai domiciliari. I 27 sono ritenuti responsabili, a vario titolo e in concorso tra loro, di associazione di tipo mafioso, voto di scambio, estorsione, corruzione, rapina, riciclaggio, lesioni personali, danneggiamento, detenzione illegale di armi da fuoco e detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti. Il presunto clan, secondo la polizia di Taranto e la Dda di Lecce, voleva strutturarsi in un “centro di potere” che avesse la capacità di intrattenere rapporti con le realtà istituzionali del territorio e con la società civile, grazie all’infiltrazione nel tessuto economico-imprenditoriale locale. Secondo gli investigatori, il clan avrebbe creato un clima di intimidazione nei confronti di numerosi imprenditori locali che venivano così soggiogati al sistema mafioso. Sono 57 in tutto gli indagati nell’inchiesta della direzione distrettuale antimafia di Lecce conclusa oggi con l’arresto in carcere di 20 persone e 7 ai domiciliari che devono rispondere a vario titolo di associazione mafiosa, associazione mafiosa esterna, traffico di droga, estorsioni ed altri reati.
In carcere sono finiti: Giuseppe Buccoliero, Antonio Campeggio, Francesco D’Amore, Luciano Carpentiere, Davide Blasi, Agostino De Pasquale, Daniele Lorusso, Giampiero Mazza, Vito Mazza, Cosimo Merola, Fabrizio Monte, Cataldo Panariti, Cosimo Damiano Pichierri, Massimiliano Rossano, Oronzo Soloperto, Cosimo Storino, Leonardo Trombacca, Antonio Minò, Pasquale Pedone, Riccardo De Santis.
Ai domiciliari: Nicola Dimonopoli, Domenico Margheriti, Giuseppe Margheriti, Gianluca Mazza, Erminio Vitillio, Marco Monaco, Giorgio Pitardi.
Le mani della mala sul 118, la Fiera Pessima e l’eolico, scrive il 4 luglio 2017 “La Voce di Manduria. Emergono i primi particolari dall’inchiesta della polizia e dell’antimafia di Lecce che coinvolge 44 persone tra indagati a piede libero e arrestati in carcere e ai domiciliari, in gran parte provenienti dai comuni di Manduria, Avetrana, Erchie. Tra i reati contestati figurano il traffico di droga, estorsione e giro di tangenti. Si ipotizzano reati per il controllo della Fiera Pessima e del servizio ambulanze del 118, ma anche appalti milionari sull’eolico. Il sindaco di Avetrana, Antonio Minò, è accusato di aver concorso con esponenti della malavita organizzata per il controllo e la gestione del servizio ambulanze del 118 imponendo ad altre associazioni l’assunzione di alcuni esponenti della mala. Per la Fiera pessima si ipotizzano tentate estorsioni all’imprenditore che l’aveva gestita nel 2013 (si parla di una mazzetta, non consegnata, di 15 mila euro). Il sindaco di Erchie, Giuseppe Margheriti, è indagato nell’ambito dei lavori di appalto dell’eolico affidato all’impresa Pedone di Manduria. Il consigliere comunale e medico del pronto soccorso, Nicola Dimonopoli è invece accusato di voto di scambio. Avrebbe fatto favori di natura sanitaria con pregiudicati del posto in cambio di appoggi alle ultime elezioni amministrative.
Mafia, 27 arresti, coinvolti anche i sindaci di Avetrana ed Erchie, scrive Giacomo Rizzo, su “La Gazzetta del Mezzogiorno" il 4 luglio 2017. Ha svelato un presunto intreccio tra mafia e politica l’inchiesta della Squadra Mobile di Taranto, coordinata dalla Dda di Lecce, sfociata oggi nell’esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 27 indagati, due dei quali sfuggiti alla cattura. Gli inquirenti ritengono di aver disarticolato un’associazione di tipo mafioso, considerata frangia della Sacra Corona Unita, strutturata in tre gruppi collegati tra loro, che operavano nel versante orientale della provincia di Taranto e nei comuni limitrofi del Brindisino e del Leccese. Sono cinque i politici raggiunti da misura cautelare: in carcere il sindaco di Avetrana Antonio Minò (eletto nel 2016, a capo della Lista civica «Per Avetrana»), ai domiciliari invece il sindaco di Erchie (Brindisi) Giuseppe Margheriti (eletto nel 2015 per il terzo mandato con una coalizione di centrodestra), l’ex vice sindaco Domenico Margheriti, l’ex consigliere comunale di Manduria Nicola Dimonopoli (fu eletto nel 2013 con la lita civica «Proposta per Manduria») e l’ex assessore comunale allo Sport di Manduria, Massimiliano Rossano. Il presunto clan, secondo gli inquirenti, oltre ad occuparsi del traffico di droga e delle estorsioni, mirava a strutturarsi in «centro di potere» in grado di relazionarsi con le realtà istituzionali e con la società civile attraverso la sua capacità di infiltrarsi nel tessuto economico-imprenditoriale locale. Delle 27 ordinanze emesse dal gip del tribunale di Lecce Cinzia Vergine su richiesta del sostituto procuratore della Dda Alessio Coccioli, 20 prevedono la custodia in carcere e 7 ai domiciliari. Sessanta in tutto gli indagati. Sono indicati come organizzatori e promotori Antonio Campeggio, Francesco D’Amore (del gruppo che operava a Manduria e San Giorgio Jonico), Giuseppe Buccoliero (referente nel Comune di Sava), Gianpiero e Vito Mazza (sempre per la zona di Manduria). Tra gli episodi contestati spicca la tentata estorsione ai danni dei vincitori (nel 2012) dell’appalto di realizzazione della 272ma “Fiera pessima” di Manduria, ai quali fu chiesta una tangente di 30mila euro, con la giustificazione, da parte di Antonio Campeggio, di dover «accontentare persone di Bari, di Taranto e di Mesagne». Una parte sostanziosa dell’ordinanza del gip Vergine è dedicata al ruolo dei politici. Il sindaco di Avetrana, Antonio Minò, è accusato di concorso esterno in associazione mafiosa non per la sua carica istituzionale ma in qualità di presidente dell’Associazione «Avetrana Soccorso» del 118. Secondo l’accusa, avrebbe fornito consapevolmente e volontariamente un contributo importante al rafforzamento del giro di affari del clan, mettendosi a disposizione di Antonio Campeggio e Francesco D’Amore. Il sindaco di Erchie Giuseppe Margheriti e l’ex vice sindaco Domenico Margheriti rispondono di corruzione aggravata, per aver ottenuto, a titolo di tangente, - secondo gli investigatori - il pagamento di 80mila euro, oltre alla promessa di ulteriori dazioni di danaro, dietro l’impegno ad agevolare l'assegnazione di futuri appalti di opere pubbliche: in particolare i lavori di completamento delle infrastrutture primarie della zona Pip per un importo complessivo di oltre un milione di euro alla ditta Tecnoscavi srl dell’imprenditore Pasquale Pedone e la realizzazione di un parco eolico in zona Tre Torri Montugne-Cicirella. All’ex consigliere comunale di Manduria, Nicola Dimonopoli, che si è dimesso pochi giorni fa, è contestato il voto di scambio politico mafioso. Infine, l’ipotesi di corruzione è contestata all’ex assessore comunale di Manduria Massimiliano Raso, il quale si sarebbe interessato, dietro la promessa di pagamento di 1500 euro da parte del legale rappresentante di una società sportiva, per garantire l’affidamento diretto dei lavori di messa a norma della pista di pattinaggio del Centro Sportivo Polivalente di Manduria. (Giacomo Rizzo, ANSA)
Mafia pugliese. Operazione della Polizia, 27 arrestati, scrive "Il Corriere del giorno" il 5 luglio 2017. Gli uomini dalla Squadra Mobile di Taranto Polizia di Taranto, affiancati dai colleghi dello S.C.O. il Servizio Centrale Operativo, delle Squadre Mobili di Lecce, Foggia, Brindisi, L’ Aquila ed Alessandria, e del Reparto Prevenzione Crimine di Lecce, col supporto del Reparto Volo e di unità cinofile di Bari, hanno eseguito all’alba di oggi 20 ordinanze di custodia cautelare in carcere e 7 ai arresti domiciliari, provvedimenti restrittivi disposti dal gip del tribunale di Lecce dr.ssa Cinzia Vergine su richiesta del sostituto procuratore dr. Alessio Coccioli della Direzione Distrettuale Antimafia, nell’ambito di un’operazione che ha visti impegnati circa 200 poliziotti, le unità cinofile ed un elicottero del Reparto Volo di Bari, eseguita nei confronti di un sodalizio criminale di stampo mafioso . Nell’inchiesta risultano indagate complessivamente 60 persone. Un importante contributo è derivato dalle attività d’intercettazione, i cui contenuti sono risultati nella maggior parte dei casi facilmente intellegibili, a dimostrazione dell’arroganza criminale dei soggetti intercettati, che parlavano apertamente della azioni criminali già compiute e rivelavano la loro appartenenza al clan, in uno scambio di opinioni col quale si voleva allo stesso tempo infondere il potere mafioso e capacità di assoggettamento verso i componenti delle altre articolazioni. Fra le ipotesi contestate vi è anche quella di riciclaggio, avendo taluni indagati (fra i quali Riccardo De Santis, attinto da misura) acquistato dal clan “D’Amore-Campeggio”, pur conoscendone la provenienza delittuosa, migliaia di capi di abbigliamento per un valore di 150mila euro da pagare in denaro contante, ostacolando l’identificazione della stessa merce, occupandosi poi del suo smistamento, commercializzazione, trasferimento e sostituzione, il tutto in nero e senza fatture. Legata a tali condotte è pure l’intestazione fittizia a terze persone di società riconducibili al De Santis.
Fra i 27 arrestati compaiono anche amministratori ed esponenti politici locali fra i quali il sindaco di Avetrana, indagato per concorso esterno, Antonio Minò (a sinistra nella foto) infermiere professionale ed ex presidente dell’associazione Avetrana Soccorso, ed un’ex assessore comunale allo Sport di Manduria, Massimiliano Rossano il quale avrebbe anche ricevuto una tangente per i lavori alla pista di pattinaggio, indagato per scambio elettorale politico-mafioso (entrami comuni della provincia di Taranto ). Minò all’ epoca dei fatti (2013) era presidente dell’ Associazione Avetrana Soccorso del 118 provincia Jonica, ha fornito consapevolmente e volontariamente un contributo importante al rafforzamento del giro di affari, del prestigio e della fama criminale dell’ articolazione rappresentata dal citato clan, mettendosi a completa disposizione degli indagati Antonio Campeggio e Francesco D’Amore, nonché degli altri esponenti della medesima articolazione, agevolando l’ imposizione dell’assunzione del secondo, in qualità di autista, presso la postazione di San Giorgio Jonico, ai danni del presidente dell’ associazione Croce Verde Faggiano, ovvero provvedendo lui stesso all’ assunzione di altri sodali indicatigli dal Campeggio. Le tre diramazioni del clan mafioso agivano prevalentemente nel triangolo della provincia tarantina, fra Manduria, San Giorgio e Sava, e sono qualificabili come frange della Sacra Corona Unita. Grazie a intestazioni fittizie, secondo l’accusa il clan è riuscito anche a vincere gare d’appalto per il servizio di 118 in diversi comuni, reinvestendo circa 150mila euro di fondi pubblici in bar e ristoranti.
Ai domiciliari è finito Nicola Dimonopoli, un medico ex consigliere comunale di Manduria, il quale era stato eletto nel 2013 con la lista civica “Proposta per Manduria”, dimessosi lo scorso 30.06.2017 poco prima dell’arresto , il quale come si evince dall’ordinanza, per ottenere voti alle amministrative del 2013 si era rivolto al clan con cui ha stretto un patto di scambio politico-mafioso garantendo denaro e prestazioni mediche (una prognosi gonfiata in occasione di un sinistro stradale), arrivando persino a fare pressioni e minacciare gli altri consiglieri inducendoli a eleggerlo presidente del consiglio comunale. L’organizzazione mafiosa ha altresì procurato voti ad esponenti politici ad essa vicini, nell’ aspettativa di ricevere in cambio favori e appalti pubblici, in particolare in occasione della competizione elettorale comunale di Manduria, per la elezione diretta ·del sindaco e del consiglio comunale, tenutasi nel Maggio – Giugno del 2013. A fronte della promessa di ottenere l’appoggio elettorale, con procacciamento di voti raccolti mediante l’esercizio della forza di intimidazione dell’associazione, il candidato Nicola Dimonopoli (destinatario della misura degli arresti domiciliari) aveva assunto impegno nei confronti del Campeggio capo della propria articolazione mafiosa a versargli cospicue somme denaro con cadenza mensile. Da qui la contestazione del reato (scambio politico mafioso) di cui all’ art. 416 ter c.p. .nei confronti del Dimonopoli, che all’ epoca dei fatti svolgeva servizio al pronto soccorso dell’ ospedale M. Giannuzzi di Manduria, risulta aver concesso prestazioni mediche facendo ottenere, sempre su richiesta di Antonio Campeggio, giorni di prognosi a persone a costui vicine e coinvolte in incidenti stradali, ed ottenendo in cambio un intervento da parte del primo nei confronti di coloro che, di seguito all’elezione, non volevano sostenerlo per la carica alla presidenza del consiglio del comune di Manduria.
Agli arresti domiciliari sono finiti anche Giuseppe Margheriti, sindaco di Erchie, comune della provincia di Brindisi, e l’ex vicesindaco ed attuale consigliere comunale Domenico Margheriti, accusati entrambi di corruzione aggravata per aver incassato una tangente da 80mila euro per pilotare un appalto per i lavori di completamento delle infrastrutture primarie della zona Pip del valore di un milione di euro per lavori da eseguire nella zona industriale alla ditta Tecnoscavi srl dell’imprenditore Pasquale Pedone e la realizzazione di un parco eolico in zona Tre Torri Montugne-Cicirella. Il sindaco di Erchie viene accusato anche di aver mandato segnalazioni false alla Regione Puglia ed emesso un’ordinanza per bloccare un cantiere eolico in cambio della promessa di una percentuale sul subappalto che una ditta vicina al clan voleva ottenere per i lavori di movimento terra nel cantiere. Il clan mafioso smantellato era diretto da Antonio Campeggio (noto come Tonino scippatore), Antonio Buccoliero (noto come Peppolino capone) e Francesco D’Amore, secondo gli inquirenti, cercava di strutturarsi in un “centro di potere”, in occasione delle amministrative di maggio 2013 a Manduria procurando voti, capace di infiltrarsi nelle istituzioni e con la società civile grazie alla capacità di inserirsi negli affari economico-imprenditoriale locali, puntava a ricevere appalti in lavori pubblici e servizi del 118 creando un clima di intimidazione nei confronti di numerosi imprenditori locali che venivano in tal modo sottomessi al sistema mafioso, che così si insinuava nell’aggiudicazione di appalti pubblici alle estorsioni, dall’imposizione nelle attività di «movimento terra» al riciclaggio. Campeggio, Buccoliero e D’amore avevano già un ruolo direttivo in seno alla frangia manduriana della Sacra Corona Unita, ed in particolare di affiancamento al Cinieri Massimo, alias Massimino molletta, durante la contrapposizione, alla fine degli anni ’80 e primi anni ’90, del gruppo da quest’ultimo capeggiato alla cosca di Stranieri Vincenzo (elemento di vertice della SCU). Periodo in cui si registrarono delle vere e proprie lotte armate per il controllo delle attività illecite sul territorio, culminate anche in omicidi o tentati omicidi di esponenti di vertice, sino alla scalata al vertice del Cinieri ed alla costituzione del sodalizio mafioso denominato “Sacra Corona Libera”, operante nelle province di Brindisi e Taranto. Negli anni, a seguito della riconciliazione tra il vecchio padrino ed il Cinieri, Antonio Campeggio è divenuto il soggetto sul quale il clan Stranieri decideva di puntare. Gli arrestati vengono ritenuti dalla Direzione Distrettuale Antimafia, responsabili, a vario titolo e in concorso tra loro, di associazione di tipo mafioso, scambio politico elettorale-mafioso, estorsione, corruzione, rapina, riciclaggio, lesioni personali, danneggiamento, detenzione illegale di armi da fuoco e detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti. In carcere il sindaco di Avetrana, Antonio Minò. Il primo cittadino è accusato di concorso esterno in associazione mafiosa per aver favorito assunzioni al 118 imposte dal clan. Molteplici gli episodi accertati di estorsione. Tra le quali una ad un cantiere da 10 milioni di euro che lavorava alla realizzazione della nuova rete di acqua potabile per i comuni di Leporano e Pulsano, ma anche quella perpetrata nel 2010 ai danni degli organizzatori della Fiera Pessima di Manduria, che vennero costretti a pagare un pizzo di 30mila euro per non avere problemi e ritorsioni dal clan mafiosi.
Questi i destinatari della custodia cautelare in carcere:
BIASI Davide, anni 39, nato a Taranto;
BUCCOLIERO Giuseppe, anni 48, nato a Sava (TA), attualmente detenuto presso il carcere di Sulmona;
CAMPEGGIO Antonio, anni 47, nato a Manduria (TA);
CARPENTIERE Luciano, anni 51, nato a Brindisi;
D’AMORE Francesco, anni 49, nato a San Giorgio Jonico (TA);
DE PASQUALE Agostino, anni 58, nato a Manduria (TA);
DE SANTIS Riccardo, anni 49, nato a Taranto;
LORUSSO Daniele, anni 38, nato a Taranto;
MAZZA Gianpiero, anni 36, nato a Manduria (TA) attualmente detenuto presso il carcere di Taranto;
MAZZA Vito, anni 40, nato a Manduria (TA);
MINO’ Antonio, anni 57, nato a Manduria (TA);
MONTE Fabrizio, anni 48 nato a Latiano (BR);
PANARITI Cataldo, anni 38, nato a Manduria (TA);
PICHIERRI Cosimo Damiano, anni 53, nato a Sava (TA);
ROSSANO Massimiliano, anni 46, nato a Bologna;
SOLOPERTO Oronzo, anni 36, nato a Manduria (TA);
TROMBACCA Leonardo, anni 37, nato a Manduria (TA);
PEDONE Pasquale, anni 63, nato a Manduria (TA);
Questi i destinatari della misura degli arresti domiciliari:
DIMONOPOLI Nicola, anni 52, nato a Manduria (TA);
MARGHERITI Domenico, anni 58, nato a Erchie (BR);
MARGHERITI Giuseppe Antonio Salvatore, anni 46 nato a Brindisi;
MAZZA Gianluca, anni 23, nato a Manduria (TA);
MONACO Marco, anni 24, nato a Mesagne (BR);
PITARDI Giorgio, anni 26, nato a Melpignano (LE).
Blitz antimafia. La piovra manduriana nel potere economico e politico, scrive Nazareno Dinoi il 5 luglio 2017 su "La Voce di Manduria". Nomi di spicco anche tra le vittime del gruppo criminale oggetto di richiesta estorsive per assicurarsi la protezione: l’imprenditore ex patron del Taranto calcio, Gigi Blasi; Franco Spina dell’omonima impresa di impiantistica industriale. Esponenti della malavita organizzata tra potere economico e politico in un intreccio quasi asfissiante che mirava a controllare l’economia e le risorse pubbliche del territorio. La «piovra messapica» come non era stata mai presentata prima, ha sconvolto la tranquilla comunità manduriana sbattuta in prima pagina e nelle notizie d’apertura dei telegiornali per fatti che lasciano a bocca aperta. Sono quasi tutti nomi di spicco e di peso, sia criminale che politico, quelli finiti nelle 592 pagine di un’informativa dai contenuti per certi aspetti inquietanti. Dal sindaco di Avetrana, Antonio Minò, all’ex presidente del Consiglio e consigliere comunale dimissionario di Manduria, Nicola Dimonopoli, passando per l’ex assessore al Turismo e spettacolo, Massimiliano Rossano con ombre che si allungano su alte cariche pubbliche della stessa città Messapica i cui nomi vengono solo citati nell’inchiesta perchè i «risvolti penali a loro carico sono risultati esigui» e pertanto risparmiati da ogni provvedimento nemmeno da indagati. Dal girone dei politici, sono due i personaggi che più di tutti hanno provocato sgomento e incredulità in questo versante della provincia jonica: quelli del sindaco di Avetrana Minò e del consigliere Dimonopoli. Il primo è stato coinvolto non in qualità di politico ma in quanto imprenditore. Fondatore e patron di un’associazione per l’assistenza e il soccorso di infermi convenzionata con la Asl che gli ha affidato la gestione della postazione del 118 di Manduria, su di lui pesa l'accusa di concorso esterno di associazione mafiosa e per questo è stato rinchiuso nel carcere di Taranto. Il dottore Dimonopoli, medico in servizio al pronto soccorso di Manduria, ai domiciliari, è accusato di scambio elettorale politico-mafioso. Associazione mafiosa per Rossano ritenuto invece organico al presunto clan capeggiato da Antonio Campeggio, entrambi in carcere. Il sindaco Minò, secondo l’accusa, avrebbe fornito «consapevolmente e volontariamente» un contributo importante al rafforzamento, dell'articolazione del sodalizio del «padrino» Campeggio, «mettendosi a completa disposizione agevolando l'imposizione dell'assunzione di un componente del clan, in qualità di autista, nella postazione del 118 di San Giorgio Jonico, obbligando per questo il presidente l'associazione Croce Verde Faggiano. Sempre secondo la procura antimafia che lo indaga, il primo cittadino avrebbe provvedendo lui stesso all'assunzione, nella sua associazione «Avetrana soccorso» di altri membri della stessa organizzazione mafiosa. Ad incastrare Minò ci sono diverse intercettazioni telefoniche e ambientali mentre prende accordi diretti con il presunto capoclan Campeggio. Di diversa natura il coinvolgimento dell’ex consigliere Dimonopoli (da quattro giorni dimissionario per divergenze politiche con il resto del gruppo di minoranza), il quale avrebbe chiesto e ottenuto appoggi elettorali ad esponenti della malavita in cambio di favori legati alla sua attività professionale come certificazioni mediche con giorni di prognosi. Più complessa la posizione dell’ex assessore Rossano che deve rispondere di accuse ben più pesanti. Secondo gli inquirenti, il dipendente Asl (anche lui impiegato al pronto soccorso del Giannuzzi), farebbe parte dell’organizzazione mafiosa del «padrino» manduriano. Inoltre, nel periodo in cui ha ricoperto la carica assessorile, avrebbe favorito una ditta locale con la promessa di una tangente di 1.400 euro. Molto più grave la terza accusa: avrebbe costretto l’impresa che gestiva l’edizione della Fiera Pessima manduriana del 2012 ad assumere il controllo sulla guardiania della campionaria. La «piovra», spiegano gli investigatori nelle loro indagini, investiva il denaro sporco accumulato con il traffico di sostanze stupefacenti, rilevando aziende sane. Tra queste, i cui nomi compaiono nel fascicolo, i ristoranti balneari di Campomarino, Don Piccio e Bikini. L’investimento della mala non risparmiava il business del 118. Per questo è stato arrestato l’imprenditore Leonardo Trombacca, nome storico nel campo delle pompe funebri, affidatario di una convenzione con la Asl per la gestione della postazione 118 di Avetrana. Per la procura una parte dei guadagni finivano nelle casse del sodalizio criminale guidato da Campeggio. L’associazione, di fatto controllata da Trombacca, era stata intestata fittiziamente ad uno dei suoi dipendenti che risulta per questo indagato. Nomi di spicco anche tra le vittime del gruppo criminale oggetto di richiesta estorsive per assicurarsi la protezione: l’imprenditore ex patron del Taranto calcio, Gigi Blasi; Franco Spina dell’omonima impresa di impiantistica industriale, Giuseppe Caforio, titolare dell’azienda di serramenti. Dalle indagini è emerso che nessuno di loro ha ceduto al pizzo.
Mafia e politica, la difesa di Minò e Dimonopoli, scrive Nazareno Dinoi il 7 luglio 2017 su "La Voce di Manduria". A parte qualche indagato minore che ha voluto fare delle dichiarazioni spontanee, tutti gli altri si sono avvalsi della facoltà di non rispondere alle domande del gip. Tra le lacrime di alcuni e i silenzi di altri, si è conclusa ieri la prima delicata fase degli interrogatori di garanzia delle persone raggiunte martedì mattina dai provvedimenti di custodia cautelare, in carcere e ai domiciliari, emessi dal Tribunale di Lecce su richiesta della Direzione distrettuale antimafia che indaga su presunte contaminazioni della sacra corona unita nel tessuto imprenditoriale e politico dei comuni di Manduria, Avetrana e Erchie. Il più drammatico confronto con il gip Pompeo Carriere, delegato con rogatoria dalla giudice Cinzia Vergine che ha disposto le misure, è stato sicuramente quello con il sindaco di Avetrana, Antonio Minò, finito in carcere con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Il primo cittadino, coinvolto nell’inchiesta non nel suo ruolo istituzionale ma come presidente di un’associazione di volontariato, «Avetrana Soccorso», convenzionata con la Asl di Taranto per la gestione della postazione 118 di Manduria, ha dichiarato tra le lacrime la propria innocenza dicendosi quindi estraneo a qualsiasi collusione con gli ambienti della malavita. In merito alla sua presunta pressione esercitata nei confronti del presidente di un’altra associazione di San Giorgio per l’assunzione di un esponente del clan di Antonio Campeggio, ritenuto a capo dell’organizzazione mafiosa, Minò avrebbe giustificato tale circostanza come un atto di solidarietà su cui si fonderebbe l’associazione di cui è presidente. Nel corso dell’interrogatorio non sarebbero mancati momenti di profondo sconforto da parte del politico che in più occasioni è stato costretto a fermarsi perché impossibilitato ad andare avanti. Parlando poi con uno dei suoi avvocati, Mario De Marco, che è anche componente della giunta, il sindaco si è raccomandato per il buon andamento dell’amministrazione invitando il vicesindaco Alessandro Scarciglia, che lo sostituisce, a fare di tutto per non far sentire la sua mancanza e per difendere l’ente nel migliore dei modi. Anche l’ex presidente del Consiglio comunale di Manduria, Nicola Dimonopoli, che deve rispondere di scambio elettorale politico – mafioso, ha preferito rispondere alle domande del gip sottraendosi anche lui da ogni accusa. L’ex consigliere, medico alle dipendenze della Asl di Taranto, avrebbe negato qualsiasi accordo con elementi della malavita ai quali non avrebbe chiesto appoggi dicendosi certo di conoscere quasi tutti i suoi elettori. A parte qualche indagato minore che ha voluto fare delle dichiarazioni spontanee, tutti gli altri si sono avvalsi della facoltà di non rispondere alle domande del gip. Una mossa, questa, spiegata probabilmente dalla necessità, per gli avvocati, di prendere visione degli atti in mano alla procura antimafia prima di imbastire una linea di difesa. Tutto il folto collegio difensivo composto dai penalisti Nicola Marseglia, Mario De Marco, Franz Pesare, Armando Pasanisi, Lorenzo Bullo, Mimmo Micera, Gaetano Vitale, Luigina Brunetti, Antonio Liagi ed altri, sono già al lavoro per il ricorso al Tribunale del riesame al quale chiedere intanto la revoca delle misure imposte ai propri assistiti. Desterebbero preoccupazioni infine le condizioni di salute dell’ex assessore manduriano, Massimiliano Rossano, anche lui in carcere con l’accusa di associazione mafiosa, sottoposto più volte a visita medica. Rossano che è operatore socio sanitario in servizio al pronto soccorso dell’ospedale Marianna Giannuzzi di Manduria, è sospettato di essere parte attiva dell’organizzazione mafiosa capeggiata da Antonio Campeggio, detto “Tonino scippatore”.
Inchiesta Dia, parlano gli indagati. Minò: rifarò il sindaco - Dimonopoli: basta con la politica, scrive Nazareno Dinoi il 27 luglio 2017 su "La Voce di Manduria". Nella decisione dei giudici del riesame ha avuto un buon risultato anche l’imprenditore manduriano Pietro Pedone, detenuto in carcere, che da ieri, difeso dall’avvocato Lorenzo Bullo, si è trasferito ai domiciliari. Il sindaco di Avetrana, Antonio Minò e l’ex presidente del Consiglio comunale di Manduria, Nicola Dimonopoli, sono tornati liberi. Ieri il Tribunale del Riesame di Lecce ha accolto le richieste dei rispettivi avvocati, Nicola Marseglia del primo e Franz Pesare e Armando Pasanisi il secondo. Il primo cittadino di Avetrana ha lasciato il carcere di Taranto dove era rinchiuso dal 4 luglio, mentre Dimonopoli può lasciare il proprio domicilio dove era ristretto. Il sindaco è accusato di concorso esterno in associazione mafiosa mentre Dimonopoli di voto di scambio. Minò ha fatto rientro a casa nel tardo pomeriggio di ieri accolto da una folla di parenti e cittadini in festa. Lui, visibilmente commosso e provato, ha abbracciato tutti prima di chiudersi in casa con i parenti e i suoi più stretti collaboratori. Ed ha trovato il tempo per rilasciare delle dichiarazioni. «Non ho mai dubitato e non dubiterò mai della giustizia, il mio – dice Minò - lo considero un incidente di percorso che, sono sicuro, sarà risolto definitivamente». Pronto a rimettersi in gioco, il primo cittadino non vede l’ora di riprendere la sua attività politica. «Già da lunedì – racconta – sarò nel mio ufficio in municipio e riprenderò le redini del mio comune con più energie di prima». Poi l’appello rivolto agli organi d’informazione. «Voi fate il vostro dovere e lo comprendo, ma adesso tocca a voi darmi quello che merito, la mia figura ha bisogno di positività e in questo confido in voi». Infine i ringraziamenti. «Alla mia famiglia prima di tutto che mi è stata molto vicina in questi terribili giorni, e poi a tutti gli amici e agli amministratori anche di opposizione che hanno compreso. Un ringraziamento particolare - conclude il sindaco –, al mio avvocato Marseglia che si è dimostrato un uomo e un professionista all’altezza della situazione».
Uno degli avvocati di Antonio Minò, Mario De Marco, così commenta: “La decisione del Tribunale di riesame oltre a dare grande sollievo al Sindaco ed alla sua famiglia conferma la debolezza di indagini molto sommarie svolte con metodo inquisitorio ma soprattutto allontana anche il mero accostamento tra la comunità avetranese ed ogni forma di attività criminale”. Altrettanto sollevato ma di umore differente si è presentato invece l’ex presidente del consiglio, il manduriano Dimonopoli che di politica non ne vuole più sapere. «Con questa storia ho chiuso completamente con la politica; ho capito ora più che mai quanto sia sporca; adesso – conclude Dimonopoli che è medico ospedaliero – devo concentrarmi a riconquistare la fiducia delle persone che mi stimano e dei miei pazienti». Naturalmente sia Minò che Dimonopoli restano indagati a piede libero e rischiano comunque il processo.
Nella decisione dei giudici del riesame ha avuto un buon risultato anche l’imprenditore manduriano Pietro Pedone, detenuto in carcere, che da ieri, difeso dall’avvocato Lorenzo Bullo, si è trasferito ai domiciliari nonostante le pesanti accuse di corruzione in associazione mafiosa di cui è accusato e i suoi numerosi precedenti penali. Confermate invece le misure detentive per i manduriani Luciano Carpentiere e Vito Mazza. Resta ai domiciliari anche il sindaco di Erchie, Giuseppe Margheriti mentre è libero l’ex suo vicesindaco, Domenico Margheriti. Il collegio difensivo di ieri era composto dagli avvocati Armando Pasanisi, Franz Pesare, Lorenzo Bullo, Nicola Marseglia, Raffaele Missere, Fabrizio Lamanna e Michele Iaia.
I giudici riesaminano il sindaco Minò: "non ci fu estorsione". Questo il risultato del secondo Riesame, celebrato dal tribunale di Lecce, che sancisce l’insussistenza dei “gravi indizi di colpevolezza” a suo carico, scrive mercoledì 07 marzo 2018 Lino Campicelli su Quotidiano di Taranto, riportato da "la Voce di Manduria". Antonio Minò, sindaco di Avetrana coinvolto nell’inchiesta antimafia sui presunti intrecci fra criminalità organizzata e politica, non andava arrestato. E soprattutto non era da incriminare. Questo il risultato del secondo Riesame, celebrato dal tribunale di Lecce, che sancisce l’insussistenza dei “gravi indizi di colpevolezza” a suo carico, relativamente all’episodio legato al tentativo di far assumere all’interno dell’associazione “Croce verde Faggiano” un uomo raccomandato dal boss Antonio Campeggio. Il Riesame, in accoglimento dei rilievi dell’avvocato Nicola Marseglia, ha fatto un passo indietro. Questa volta in ossequio alle indicazioni fornite di recente dai supremi giudici. Come si ricorderà, il 25 gennaio scorso, la Corte di Cassazione aveva annullato la decisione adottata in precedenza dal Riesame secondo cui, per il tentativo di estorsione contestato a Minò, vi sarebbero stati i gravi indizi di colpevolezza ma non “le esigenze cautelari”. In pratica, i giudici salentini avevano confermato la sussistenza dei gravi indizi. La Cassazione, però, aveva annullato con rinvio quell’ordinanza, non condividendone le motivazioni. E aveva dato mandato al collegio di “rivisitare” quel giudizio. Ieri, il Riesame ha esaminato il caso alla luce delle argomentazioni difensive ed ha concluso anche per l’insussistenza dei gravi indizi. In pratica, la condotta di Minò non si sarebbe tradotta in nulla di penalmente rilevante. Se tutto ciò si aggiunge al fatto che già in quella circostanza il Riesame aveva autonomamente annullato l’ordinanza degli arresti domiciliari a carico di Minò, in riferimento alla presunta accusa di concorso esterno in associazione mafiosa, si comprende come il procedimento, che sfocia davanti al gup di Lecce a partire dal 20 marzo prossimo, dovrà fare i conti, proprio nel caso del sindaco di Avetrana, con la decisione del Riesame. Ovviamente, il giudizio del Riesame non ha carattere vincolante. Tuttavia, se l’ulteriore ordinanza emessa ha costituito una sorta di adesione convinta agli orientamenti proposti dai supremi giudici, il risultato che ne è scaturito non può non avere un riflesso sulla valutazione complessiva. Tanto più che a carico di Minò era stata già esclusa, in origine, e su decisione del tribunale del Riesame (peraltro presieduto dal dottor Silvio Maria Piccinno, lo stesso presidente che ha guidato ieri il collegio) la presunta condotta attuata per favorire l’associazione mafiosa. Sul punto, infatti, il Riesame sostenne all’epoca che «non può ritenersi realizzato dal Minò quel concreto e sostanziale contributo al rafforzamento del sodalizio di stampo mafioso».
Amministratori pubblici di Avetrana. Ogni partigiano si scelga il migliore. Anche tra quelli che sfoderano una finta verginità o un presunta superiorità morale.
Ad Avetrana Il difensore del fioraio Buccolieri. «Raggirò i suoi clienti»: sotto processo l'avvocato ex sindaco, scrive Nazareno Di Noi Lunedì 24 Ottobre 2016 su “Il Quotidiano Di Puglia”. Avrebbe truffato il suo cliente facendosi consegnare la somma di quasi 200mila euro che sarebbe servita al liquidatore dell’assicurazione il quale era all’oscuro di tutto. Per questo l’avvocato di Avetrana Giovanni Scarciglia, già sindaco del suo Comune, è stato invitato a comparire il prossimo 7 dicembre davanti al giudice monocratico del tribunale di Taranto per rispondere dei reati di truffa aggravata e appropriazione indebita. Nei suoi confronti il pubblico ministero Filomena Di Tursi ha emesso un decreto di citazione in giudizio che salta la fase dell'udienza preliminare facendo a meno del controllo circa la fondatezza dell'accusa. Persone lese della presunta truffa sono due avetranesi, Antonio Minò, importatore di animali da macello con la moglie Maria Teresa Carrozzo, involontari protagonisti di una intricata e tristissima storia che parte dalla morte del proprio figlio Leonardo Luigi Minò, vittima di un incidente mortale della strada quando era ancora minorenne avvenuto il 19 settembre del 2000 ad Ancona. Il ragazzo viaggiava a bordo di un auto guidata da un suo zio di 23 anni, deceduto anche lui nell’incidente. Due lutti terribili che sconvolsero la famiglia Minò e l’intera comunità avetranese. I rilievi e le indagini della polizia stradale che si conclusero riconoscendo la non responsabilità della giovane vittima diedero il via alle pratiche risarcitorie a danno dell’assicurazione del mezzo. Fu allora che la famiglia Minò si rivolse al noto professionista il quale accettò di buon grado il compito di trattare il giusto compenso con la compagnia assicuratrice Unipol Sai. Il contenzioso si concluse con il riconoscimento a favore dei Minò della somma complessiva di 700mila euro suddivisa tra padre (280mila euro), madre (300mila) e sorella della vittima (120mila euro). L’avvocato Scarciglia, secondo quanto scrive la pm Di Tursi nella citazione a giudizio, «mediante raggiri ed artifici» fece credere al capofamiglia, suo assistito, che la somma concordata di 700mila euro «era condizionata alla dazione illecita della somma in contanti di 200.000 euro in favore del liquidatore Luca Coeli» (di Unipol Sai, ndr). Dalle indagini condotte, sarebbe emersa l’estraneità del liquidatore che, scrive il magistrato inquirente, era «in realtà del tutto ignaro della vicenda». L’avvocato imputato, sostiene l’accusa, avrebbe dunque «indotto in errore lo stesso Minò circa la necessità di corrispondere tale ingente somma». Tutto questo quanto l’assicurazione aveva già saldato il conto consegnando la somma pattuita nelle mani dell’avvocato, in parte con bonifico bancario in favore dell’assistito e in parte con assegni circolari non trasferibili intestati alla mamma e alla sorella della vittima. «Il predetto difensore – scrive il pm -, si procurava un ingiusto profitto consistito nel farsi consegnare in varie tranche da Minò la somma complessiva di 191.000 euro asserendo falsamente di doverla riversare al liquidatore». Lo stesso deve inoltre rispondere di appropriazione indebita perché, sostiene sempre il pm, «con abuso delle proprie relazioni di legale di fiducia, nell’ambito della pratica di risarcimento dei danni al fine di procurarsi un ingiusto profitto, si appropriava di tre assegni circolari dell’importo di 50.000 euro ciascuno emessi a favore della moglie e della figlia» del suo assistito. A difendere l’avvocato Scarciglia sarà il suo collega Raffaele Errico.
In questo caso i giornalisti stanno molto attenti a non riportare i nomi.
Otto avetranesi condannati ad un'ammenda di 1.225 euro per aver manifestato contro l'ubicazione del depuratore lungo la strada provinciale “Tarantina”, all'altezza del bivio per il Chidro, scrive il 06/04/2018 "Manduria Oggi. Per sette di loro la pena è sospesa per 7 anni. Condannati ad un’ammenda di 1.225 euro per aver manifestato contro l’ubicazione del depuratore lungo la strada provinciale “Tarantina”, all’altezza del bivio per il Chidro. E’ la condanna inflitta a otto avetranesi, colpevoli di aver violato, secondo quanto riportato dal decreto penale di condanna del giudice per le indagini preliminari Benedetto Ruberto, il Regio Decreto numero 773 del 18 giugno 1931, contenuto nel testo unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza. In altre parole, avrebbero manifestato, bloccando il transito degli autoveicoli, senza aver ricevuto il preventivo assenso da parte degli organi preposti a garantire la sicurezza nelle manifestazioni pubbliche. Per sette di loro, però, la pena pecuniaria, diminuita al di sotto del minimo edittale, è sospesa per due anni, a termini e condizioni di legge. Pena che diventerebbe esecutiva qualora uno o più soggetti sanzionati dovessero commettere nuovamente il reato. Ad uno degli otto avetranesi condannati, invece, la pena non è stata sospesa. Probabilmente avrà dei precedenti. Alcuni dei sanzionati, ascoltati ieri sera, hanno annunciato che, non appena sarà loro notificato il decreto di condanna, impugneranno l’atto. In tal senso, hanno quindici giorni di tempo per proporre opposizione, a partire dalla data di notifica dell’atto. Come è noto, nella primavera scorsa a più riprese gli ambientalisti di Avetrana (in particolar modo) e quelli di Manduria (in numero ridotto), si mobilitarono per cercare di impedire l’apertura del cantiere per la costruzione del depuratore consortile. In un paio di circostanze, gli agenti della Polizia di Stato verbalizzarono le generalità di alcuni manifestanti, facendo notare che non era stata concessa alcuna autorizzazione a manifestare in quell’area, bloccando peraltro il traffico automobilistico. Fra gli otto condannati, anche un attuale amministratore (Alessandro Scarciglia? nda) e un ex amministratore (Luigi Conte? nda).
Protestarono contro il depuratore a Urmo, condannati otto manifestanti. Il decreto è stato emesso dal giudice per le indagini preliminari del tribunale di Taranto dottor Benedetto Ruberto. Il gip ha condannato i manifestanti all’ ammenda di 1225 euro, concedendo la sospensione della pena a sette...scrive Lino Campicelli su Quotidiano di Puglia mercoledì 04 aprile 2018 riportato da "la Voce di Manduria". Decreto penale di condanna per gli otto avetranesi che l’8 marzo dell’anno scorso manifestarono nella zona di Specchiarica, marina di Manduria, dove l’Acquedotto pugliese installò il cantiere per realizzare il depuratore consortile dei due comuni di Manduria e Sava. Il decreto è stato emesso dal giudice per le indagini preliminari del tribunale di Taranto dottor Benedetto Ruberto. Il gip ha condannato i manifestanti all’ ammenda di 1225 euro, concedendo la sospensione della pena a sette degli otto coinvolti. Si è chiuso così il caso giudiziario legato alla partecipazione ad una manifestazione che non fu autorizzata. La stessa si tradusse nella identificazione dei protagonisti da parte degli uomini della Digos. Proprio quegli otto, infatti, furono identificati dalla Divisione di investigazioni generali e furono poi chiamati, alcuni giorni dopo, a presentarsi nel commissariato di polizia di Manduria per “comunicazioni”. Come si ricorderà, al momento della loro identificazione, gli operai dell’Aqp non erano ancora arrivati per delimitare il futuro cantiere, per cui la contestazione a carico dei partecipanti fu, appunto, quella della manifestazione non autorizzata. La stessa cosa, peraltro, che rischiarono successivamente i partecipanti ad un altro sitin inscenato nella stessa zona, su invito del «Comitato per la difesa del territorio e del mare». In quella circostanza, per disguidi di natura tecnica, fu spiegato dagli organizzatori ai numerosi partecipanti che l’autorizzazione non era stata presentata in tempo. Pertanto, tutti furono invitati a lasciare il punto d’ingresso del cantiere dove si erano assiepati, per spostarsi all’ in- terno di un vicino uliveto dove il leader del comitato, Pino Scarciglia, aveva improvvisato un comizio. Quell’avvertimento doveroso era giunto proprio in considerazione delle contestazioni operate dalla polizia l’8 marzo precedente. Nonostante quella manifestazione si fosse tradotta in proteste assolutamente pacifiche e ricche solo di slogan non offensivi, restava il fatto che non fosse stata autorizzata. Non è un caso, a questo proposito, che nei confronti degli otto destinatari del decreto penale di condanna sia stato contestata la violazione dell’articolo 18 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, che sanzione appunto i promotori di una riunione pubblica che non abbia avuto il placet del questore. Per la cronaca, questa disposizione non si applica solo nel caso di riunioni elettorali. Quella in contrada Specchiarica, però, non fu affatto una riunione elettorale. Rappresentò, al contrario, lo sconcerto dei cittadini nei confronti di una realizzazione di cui, in ogni caso, non si aveva ancora del tutto contezza ed era ancora ricca di punti interrogativi. Il timore maggiore, come è noto, era legato all’ ipotesi de- gli scarichi in mare che avrebbero danneggiato per sempre la purezza delle acque locali. Scarichi che, a distanza di un anno da quella manifestazione, dovrebbero essere stati definitivamente banditi dal progetto definitivo.
Proteste a Urmo, denunciato anche Scarciglia e Di Lauro: solidarietà e silenzi, scrive sabato 24 giugno 2017 Nazareno Dinoi su "la Voce di Manduria". E’ salito a dieci il numero dei manifestanti denunciati dalla polizia per avere preso parte, lunedì 19 giugno, alla protesta pacifica che ha respinto le ruspe dal cantiere del depuratore previsto in zona Urmo-Specchiarica. Oltre alle tre mamme coraggio, Claudia Indrizzi, Alfonsina Costantini e Emilia Tarantini, all’assessora al Turismo, Claudia Scredo e all’ex sindaco di Avetrana, Luigi Conte, ieri l’invito a comparire è arrivato ad altri tre avetranesi tra cui il vicesindaco Alessandro Scarciglia. Unico manduriano raggiunto dall’avviso a comparire, l’avvocato Francesco Di Lauro, esponente dell’associazione Azzurro Jonio. I dieci devo rispondere del reato di violenza privata aggravata, dovranno ora nominarsi un legale per affrontare l’indagine che li riguarderà. Le donne si faranno difendere dall’avvocatessa Anna Macina che ieri ha accompagnato le sue assistite nel breve incontro avuto con il commissario Francesco Correre. Silenzio, intanto, da parte dell’amministrazione manduriana e dai politici con cariche di governo o istituzionali. Gli unici ad esprimere solidarietà, da questo fronte, sono i Verdi. «La Federazione dei Verdi di Manduria – si legge in una nota - esprime piena solidarietà ai sei manifestanti (solo dopo si saprà degli altri quattro, ndr), denunciati per avere, nella giornata del 19 giugno, impedito ai mezzi della ditta Putignano di accedere al cantiere del costruendo depuratore in contrada Urmo. I reati loro contestati sono di notevole gravità e contemplano anche la violenza privata. Non si può certo dire che le forze dell’ordine abbiano avuto la mano leggera – affermano i Verdi -, e dispiace constatare che, ancora una volta, cittadini, ambientalisti, mamme, tutti di specchiata onestà, debbano vedersi trattati come delinquenti solo perché, dopo aver tentato con ogni mezzo legale, possibile e immaginabile, di opporsi ad un intervento devastante, sono dovuti ricorrere ad un sit-in, per altro assolutamente pacifico, come estremo atto di difesa del proprio territorio». Ad Avetrana, invece, si parla e si prendono posizioni. Secco il commento del vicesindaco Scarciglia, destinatario ieri pomeriggio di una seconda denuncia (la prima l’aveva presa nel corso del precedente sit-in di marzo). «Chi protesta ad Urmo Belsito – dice - non è un appartenente a gruppi di black block o no global. Sono padri di famiglia, madri con al seguito i propri figli, gente anziana, amministratori di piccoli comuni che sicuramente non hanno una forza elettorale importante, ma è gente che ama, crede e rispetta il proprio territorio». L’ex sindaco Conte se la prende con i politici assenti, alludendo in questo alle forze politiche di Manduria del tutto lontani da quanto sta accadendo «Questa storia – scrive Conte - mi sta insegnando che da una parte ci sono le donne e mamme con il loro meraviglioso esempio di forza, coraggio, limpidezza, dignità e passione sincera, poi ci sono i politici e politicanti con il loro mesto esempio di ambiguità, pavidità, codardia, evanescenza, accondiscendenza e vergogna che su questa importante lotta sono spariti del tutto».
Depuratore e polemiche: mamme coraggio ed ex sindaco, oggi tutti al commissariato di polizia, scrive Nazareno Dinoi su "Il Quotidiano di Puglia" Sabato 24 Giugno 2017. Mentre per questa mattina alle 10,30 è prevista la convocazione in polizia dei sei manifestanti denunciati per aver preso parte al blocco del cantiere a Urmo-Specchiarica dove è previsto il depuratore di Manduria-Sava, il presidente del Consiglio comunale di Avetrana, Francesco Saracino, sta predisponendo i permessi per un nuovo sit-in di protesta per lunedì e martedì prossimi. A quanto pare, però, il vice questore aggiunto, Francesco Correra, dirigente del commissariato di Manduria, non ha dato ancora l’assenso chiedendo delle garanzie che l’amministratore avetranese non ha potuto dare. Il commissario vorrebbe concedere il nulla osta a condizione di circoscrivere la zona dove stazioneranno i manifestanti escludendo a priori sia le strade che le piazzone dell’incrocio sulla litoranea interna «Tarantina» che dà accesso all’uliveto, futura sede del depuratore consortile. Sempre ieri, intanto, il movimento politico di opposizione «Avetrana Riparte», ha diffuso un comunicato in cui si esprime solidarietà nei confronti dei propri rappresentanti, l’ex sindaco Luigi Conte e il giovane Silvio Mammano, tra i convocati di questa mattina dalla polizia. La stessa nota solidarizza anche con le mamme coraggio, Alfonsina Costantini, Claudia Indrizzi e Emilia Tarantini, componenti del comitato «Donne e mamme di Avetrana», anche loro denunciate per la manifestazione dello scorso 19 giugno quando l’opposizione di un centinaio di avetranesi con qualche manduriano riuscì a mandare indietro le ruspe dell’impresa Putignano di Noci, aggiudicataria dell’appalto per la realizzazione dell’opera. Il consigliere Conte ha diffuso così su Facebook la notizia dell’invito a presentarsi alla polizia. «Depuratore-mostro; sabato prossimo alle 10,15 sono stato invitato a comparire presso il commissariato di Manduria per affari di giustizia che mi riguardano il merito alla protesta contro la realizzazione del depuratore-mostro. Ritengo questo invito giusto e doveroso – aggiunge l’ex sindaco di centrosinistra - ed auspico che la polizia sulla scorta di un esposto e di una richiesta di accesso agli atti già di propria conoscenza, possa avere la stessa cura nell’invitare i vertici dell’Acquedotto pugliese e i responsabili regionali per chiedere chiarimenti in merito alle procedure seguite e alle autorizzazioni a monte dell’avvio dei lavori».Proprio di questo ha parlato ieri in un intervento Anna Macina, l’avvocatessa che ha perfezionato l’esposto alle procure della Repubblica di Taranto e Brindisi e la domanda di accesso agli atti presentata al comune di Manduria. «In merito al depuratore – scrive - ricordo che si è ancora in attesa di leggere autorizzazioni, valutazioni di impatto ambientale che consentano l’inizio dei lavori con variante! Su una cosa siamo tutti d’accordo – conclude l’avvocatessa Macina -, siamo fuori tempo massimo! La politica è fuori tempo massimo, quella che non ha teso l’orecchio, che non ha ascoltato e non ha dato voce ai territori. La politica “buona” si muova e si arrenda – conclude - perché i manifestanti non sono affetti da alcuna sindrome, sanno perfettamente cos’è un depuratore, lo vogliono ma lontane dalle coste, e la vera notizia è che non si arrenderanno».
Depuratore: le denunce ai manifestanti e i commenti, scrive il 24 giugno 2017 Ciak Social. Alcuni partecipanti alla manifestazione in zona Urmo del 19 giugno, sono stati denunciati per organizzazione di manifestazione non autorizzata e violenza privata. Oggi sono stati convocati negli uffici del commissariato di polizia di Manduria per l’identificazione e la notifica dell’atto.
Ad essere denunciate da parte dell’AQ sono alcune attiviste del comitato “Donne e mamme di Avetrana”: Alfonsina Costantini, Claudia Indrizzi, Emilia Tarantini; il consigliere comunale del gruppo “Avetrana Riparte” Luigi Conte; l’assessore al turismo del comune di Avetrana Claudia Scredo e Silvio Mammano.
Di ritorno oggi dal commissariato, Luigi Conte scrive su Facebook: “Appena tornato dal commissariato di Manduria con tanta serenità e con la consapevolezza di lottare per una causa giusta. Questa storia mi sta insegnando che da una parte ci sono le donne e mamme con il loro meraviglioso esempio di forza, coraggio, limpidezza, dignità e passione sincera, poi ci sono i politici e politicanti con il loro mesto esempio di ambiguità, pavidità, codardia, evanescenza, accondiscendenza e vergogna che su questa importante lotta sono spariti del tutto! Care Donne e Mamme continuiamo a lottare…qualche piccolo risultato è già stato ottenuto ma non bisogna mollare! Conoscervi e lottare con voi è stato per me un privilegio ed un grande onore”.
Altro grande attivista della lotta contro lo scarico a mare prima e la localizzazione del depuratore ad Urmo poi, è Alessandro Scarciglia che commenta: “Oggi sono state denunciate sei persone che si aggiungono a chi, come il sottoscritto, fu già denunciato a marzo. Le ipotesi di reato variano: dall’organizzazione di manifestazione non autorizzata alla violenza privata. Leggo (non posso ricordare perché ero troppo piccolo) che nei primi anni ’80, i nostri genitori ci portavano per strada al fine di bloccare i mezzi che qualche prezzolato politico aveva inviato ad Avetrana per costruire la centrale nucleare. La forza di quelle persone e la presenza di quei bambini fece in modo di far tornare indietro, verso il mittente, le ruspe. La politica (o meglio, parte di essa) si svegliò solo dopo la grande rivoluzione popolare. Nel caso odierno del depuratore, invece, dopo le grandi proteste popolari, molti politici di ogni livello (parlamentari, regionali e comunali) sono scomparsi. Oggi, trovare politici che si oppongono ai poteri forti è diventato veramente raro. Chi protesta ad Urmo Belsito non è un appartenente a gruppi di black block o no global. Sono padri di famiglia, madri con al seguito i propri figli, gente anziana, amministratori di piccoli comuni che sicuramente non hanno una forza elettorale importante, professionisti di ogni genere. In poche parole, chi protesta oggi ad Urmo Belsito, è gente che ama, crede e rispetta il proprio territorio. Perché, ognuno nel suo piccolo, lo ha costruito con le proprie mani, con il proprio sudore e i sacrifici imposti alla propria famiglia. Qualcuno cerca di intimorire le mamme dicendo loro che rischiano una denuncia al tribunale dei minori se continuano a portare i propri figli sul luogo della protesta. MA questo “qualcuno” non comprende che la più grande condanna che potrebbero subire queste mamme e questi padri è quella che fra dieci o venti anni il proprio figlio possa dire “mamma, papà, perché avete permesso di distruggere il nostro territorio pur di salvaguardare gli interessi di pochi?”. Chi protesta se ne frega se qualche tecnico (divenuto mezzo politico) insiste a mettere delle enormi vasche (che loro intellettuali chiamano buffer) in mezzo alle case di Specchiarica. Chi protesta se ne frega di qualche amministratore o di qualche politico che non ha le palle di decidere. Chi protesta se ne frega anche di quelle associazioni (o pseudo tali) che credono di fare la rivoluzione sulla stampa ma che al momento di bloccare i mezzi non ci sono mai. Chi protesta oggi ad Urmo se ne frega del potere di AQP e dei suoi scagnozzi. Chi protesta ad Urmo Belsito oggi, difende il suo domani e, sicuramente, anche il futuro di chi oggi preferisce essere accomodante dei potenti”.
Ed ancora su Luigi Conte
Sindaco contro ex sindaco, Longo querela Conte per la questione del Crap di Avetrana. La contrastata storia della Crap di Avetrana, la comunità riabilitativa per pazienti psichiatrici autori di reati che non prevedono la detenzione, finirà nei tribunali, scrive martedì 3 aprile 2018 "La Voce di Manduria". La contrastata storia della Crap di Avetrana, la comunità riabilitativa per pazienti psichiatrici autori di reati che non prevedono la detenzione, finirà nei tribunali. Il sindaco di Maruggio, Alfredo Longo, ha querelato il consigliere comunale di opposizione ed ex sindaco di Avetrana, Luigi Conte, per delle affermazioni di quest’ultimo riguardanti un presunto coinvolgimento diretto del primo cittadino maruggese nella gestione della struttura di prossima apertura. Ne danno notizia in un comunicato stampa gli esponenti del “Comitato No-Crap” e del “Comitato per la tutela del territorio associato a Italia Nostra” (che si battono contro il depuratore a Urmo), entrambi di Avetrana. Nel documento in questione, gli autori esprimono “piena solidarietà al proprio socio dottor Luigi Conte che nelle sue funzioni di consigliere comunale – si legge -, ha avanzato critiche e rilievi sulla scelta amministrativa di far nascere una Crap dedicata a pazienti psichiatrici autori di reato, scelta che ha generato perplessità e preoccupazioni in gran parte della popolazione”. Il centro di recupero che molti avetranesi non vogliono, tra questi i partiti di minoranza nel consiglio comunale, è una “comunità assistenziale psichiatrica dedicata a soggetti che necessitano di interventi terapeutici ad alta intensità riabilitativa di lungo periodo con valutazione di rischio alto o moderato di comportamenti violenti (Così la definizione che ne dà la Regione Puglia nell’apposito atto costitutivo). Secondo i comitati avetranesi, le affermazioni di Conte, che Longo vuole censurare con la denuncia, non sono altro che “un pensiero critico sulle insufficienti garanzie di sicurezza del servizio e della struttura individuata come sede della Crap all’interno del contesto cittadino, sulla scarsa chiarezza dell’iter amministrativo seguito, sui ruoli e sulle responsabilità assunte dagli amministratori comunali, nel normale esercizio di dialettica politica democratica certamente è stato espresso dal consigliere Conte così come da altri consiglieri e da varie personalità che hanno voluto partecipare al dibattito pubblico che si è sviluppato di conseguenza”. L’incontro pubblico cui si fa riferimento nel comunicato, nel corso del quale il consigliere Conte avrebbe pronunciato le parole che non sono piaciute al sindaco di Maruggio, è quello organizzato dall’amministrazione comunale avetranese il 12 ottobre del 2017 con la presenza, appunto, del sindaco Longo (che intervenne in quel dibattito) e della società che gestirà il Crap, la “Sol Levante”. “Quel pensiero critico – conclude il comunicato stampa dei Comitati - rappresenta il sentire di tanti cittadini, a partire da tutti i componenti del comitato No Crap e meriterebbe il rispetto da parte di tutti coloro che amano la trasparenza e il libero svolgimento del dialogo democratico.”
Rispetto ad altri paesi Avetrana si è fatta sempre notare per la sua intraprendenza, emancipazione ed apertura mentale e per le indiscusse virtù di alcuni suoi concittadini. Si ricorda Antonio Giangrande, noto scrittore letto in tutto il mondo o suo figlio Mirko divenuto a 25 anni e con due lauree l’avvocato più giovane d’Italia. Ed ancora Biagio Saracino, Cavaliere della Repubblica; Leonardo Laserra Ingrosso, Tenente Colonnello, maestro della Banda della Guardia di Finanza nota in tutto il mondo. E poi Antonio Iazzi, professore dell’università del Salento, e Leonardo Giangrande, già vice presidente della Camera di Commercio di Taranto. San Giorgio Jonico, inaugurata nuova piattaforma distribuzione Supercentro il 30-03-2019. Settemila metri quadri di copertura, più della metà destinati al deposito merci fresche in cella frigorifero, il resto per uffici e futura destinazione di cash and charry. Servizio di Francesco Persiani del tgnorba. Intervista a Leonardo Giangrande, Supercentro Distribuzione e presidente Confcommercio.
Fact-checking. L’ intervista in ginocchio della Gazzetta del Mezzogiorno a Giangrande (Confcommercio Taranto), scrive il 13 febbraio 2018 "Il Corriere del Giorno". In un momento in cui si discute molto di “fake news”, resta da chiedersi: chi controlla le “fake news” giornalistiche, cioè scritte dai giornalisti? Ed ancora una volta scopriamo le “BALLE” scritte dalla Gazzetta del Mezzogiorno. Qualche controllo dovrebbe farlo l’Ordine dei Giornalisti regionale territorialmente competente, ma si sa che quello in Puglia ha altro da fare. Povera informazione! Un attento lettore ci ha segnalato una straripante colossale “sviolinata” pseudo giornalistica appesa il 21 maggio 2017 sull’edizione tarantina della Gazzetta del Mezzogiorno dal titolo “L’ascesa del re dei supermercati” a firma del collaboratore Arturo Guastella, dedicata a Leonardo Giangrande presidente della Confcommercio Taranto, imprenditore “legato” ad un giornalista della Gazzetta per motivi di parentele ed affari societari collegati, di cui nell’articolo in questione non viene data alcuna informazione ai lettori.
La Gazzetta del Mezzogiorno così scriveva su Giangrande nell’edizione di Taranto il 31 maggio 2017: “La lungimiranza. Di “materia grigia ne ha avuto a sufficienza per creare un vero impero economico, con qualcosa come 40 supermercati di proprietà” aggiungendo “quest’uomo dal viso gentile e dal fisico asciutto di “materia grigia” ne ha avuto a sufficienza per creare un impero economico, con qualcosa come quaranta supermercati di proprietà, cinque “cash and carry” con forniture dirette per altri duecento supermercati di tutta la Puglia, dando lavoro a circa seicento persone, di cui una quindicina di laureati in Economia e Commercio, per un fatturato annuo che supera i 150 milioni di euro”. Così non è. Infatti i supermercati di proprietà sono soltanto 30 (e non 40!) e le forniture dirette sono per 180 punti di vendita affiliati (e non oltre 200!). Inoltre che la Gazzetta del Mezzogiorno non dice, è che la società in questione (Supercentro s.p.a.) di cui Giangrande è socio titolare di una quota azionaria del 10,99%, ha anche un indebitamento di Euro 47.418.308 !!!
Poichè di Leonardo Giangrande il CORRIERE DEL GIORNO se n’era già occupato in passato, siamo andati a fare un pò di ricerche sulla banca dati “Telemaco” (pubblica) delle Camere di Commercio, per verificare quanto scriveva la Gazzetta del Mezzogiorno, ed abbiamo verificato e scoperto “le balle” che ancora una volta la redazione tarantina del quotidiano barese-siculo propina ai suoi lettori, che diminuiscono sempre di più di giorno in giorno. Siamo quindi partiti dalla scheda persona di Leonardo Giangrande, che della società (la Supercentro s.p.a. n.d.r. ) che ha un fatturato annuo che supera i 150 milioni di euro, in realtà detiene appena il 10,99 delle quote societarie per un importo di appena 53.153 euro su un capitale sociale di 483.600 euro. Abbiamo quindi verificato per cercare di capire e documentare ai nostri lettori come abbia fatto il giornalista…della Gazzetta del Mezzogiorno ad accreditare Leonardo Giangrande di “materia grigia” al punto tale di aver “creato un impero economico”!
La società SUPERCENTRO gestisce prevalentemente supermercati in franchising della catena veneta PAM, dichiarando 119 dipendenti nel bilancio 31.12.2016 con un fatturato di 133.869.159 euro, con un indebitamento bancario di Euro 15.530.884, a fronte di una massa di debiti per Euro 47.418.308 ed un utile di appena 597.618 euro secondo quanto si evince dall’ultimo bilancio depositato alla data del 31.12.2016. Ma le “balle” cioè le “fake news”, come vengono chiamate adesso, della Gazzetta del Mezzogiorno su Leonardo Giangrande, non sono finite...
Infatti Giangrande ha un’altra società la FRATELLI GIANGRANDE s.r.l. con sede ad Avetrana di cui detiene il 35% delle quote societarie, controllata insieme al fratello Pietro (35% delle quote) che è l’amministratore unico della società attiva dal 2014, che svolge come attività prevalente la gestione di supermercati, dichiarando al 31.12.2016 (ultimo dato disponibile) soltanto 14 addetti e 5 soci, e non dichiara alcuna altra unità locale!
Nel maggio 2016 sempre in società con il fratello Pietro, Leonardo Giangrande ha costituito una nuova società, la AGRICOLA GOLD s.r.l. sempre con sede ad Avetrana (Taranto) che dichiara di non avere alcun dipendente, ma solo 4 soci in tutto.
Le attività di gestione di supermercati esercitata direttamente da Leonardo Giangrande, sotto il controllo azionario del socio unico, cioè la Supercentro s.p.a., è la SUPERGEST.DUE srl di cui Giangrande è amministratore unico che gestisce dei punti vendita in Martina Franca (TA) – Via Fighera; Martina Franca (TA) – Via Guglielmi; San Giorgio Jonico (TA); Leverano (LE); Torricella (TA); Aradeo (LE) e Nardò (LE). Nei primi mesi del 2016 è stato inoltre aperto un nuovo punto vendita in Taranto, Via Umbria), società questa dove le cose non vanno molto bene. Infatti il bilancio di esercizio chiuso al 31/12/2016 presenta una perdita di euro 350.997,87, al netto delle imposte dell’esercizio e degli accantonamenti. Altrettanto dicasi per un’altra società la GROS MARK srl di cui Leonardo Giangrande è amministratore unico, società appartenente al Gruppo Supercentro che esercita la direzione e coordinamento tramite la Società Supercentro S.p.A., che opera nel settore del commercio al dettaglio di prodotti alimentari e non alimentari ed è proprietaria di cinque punti vendita siti rispettivamente in Lizzano (TA), Noicattaro (BA), San Marzano di San Giuseppe (TA), Bari e Matino (LE), con soli 16 dipendenti., dove le cose non vanno sicuramente molto bene. Infatti il bilancio dell’esercizio chiuso al 31/12/2016, segnala una perdita dell’esercizio di euro 495.618,97! Leonardo Giangrande è anche amministratore unico della D.G.M. srl, anche questa società appartenente al Gruppo Supercentro che esercita la direzione e coordinamento tramite la società Supercentro S.p.A.. che ha chiuso il proprio ultimo bilancio di esercizio al 31/12/2016; che presenta anche questo delle perdite di euro 127.281,15 che sono state ripianate mediante utilizzo della riserva straordinaria per euro 13.314,60 e con versamento soci per la differenza, pari a euro 113.966,55.
Quello che non è stato possibile verificare è l’istruzione di Leonardo Giangrande, il quale omette da diversi anni di depositare il suo curriculum vitae (che nel suo caso sarebbe un obbligo di Legge) persino alla Camera di Commercio di Taranto di cui è stato eletto consigliere in quota Confcommercio. Sarà forse simile a quella di suo fratello Pietro Giangrande che nell’articolo della Gazzetta del Mezzogiorno, viene indicato come “studente in Medicina”, mentre invece da una nostra ricerca effettuata abbiamo scoperto che candidatosi a suo tempo con una lista civica, era in possesso solo di licenza di scuola media superiore? Anche il codice fiscale riportato sulle visure camerali, infatti coincide con quello della sua data di nascita. In un momento in cui si discute molto di “fake news”, resta da chiedersi: chi controlla le “fake news” giornalistiche, cioè scritte dai giornalisti? Dovrebbe farlo l’Ordine dei Giornalisti regionale territorialmente competente, ma si sa che quello in Puglia ha altro da fare. Povera informazione!
P.S. E’ forse un caso fortuito, una coincidenza che Paolo Michele Macripò Presidente della Supercentro spa. sia parente della moglie (Sabrina Brescia) del giornalista Mimmo Mazza, vicecaposervizio della redazione di Taranto della Gazzetta del Mezzogiorno ? I latini dicevano: Cogito ergo sum (trad. “dubito quindi esisto“). E spesso avevano ragione. Queste di seguito sono la visura camerale ed il bilancio al 31.12.2016 della capogruppo SUPERCENTRO s.p.a.
La Confcommercio di Taranto a caccia di “sponsors” politici…e “bluff” elettorali! Scrive il 18 aprile 2015 "Il Corriere del Giorno". Grandi manovre dietro le quinte della Confcommercio di Taranto, associazione molto “chiacchierata” e discussa in città, non soltanto per la nota inimicizia nei confronti del nostro quotidiano online che non riceve alcuna comunicazione ufficiale sulle loro attività, alcun invito alle conferenze stampa e soprattutto non si lascia “apparecchiare” e rifocillare…nelle cenette private della loro addetta stampa. Ma tutto ciò non ci preoccupa assolutamente perchè abbiamo qualche informatore persino nella loro Giunta, che ci racconta tristemente le difficoltà economiche e gestionali in cui versano le casse dell’Associazione. E basta vedere i dati sulle tristi chiusure dei commercianti di Taranto per capire come questa associazione non abbia saputo affrontare la crisi e supportare i propri associati. Oltre 1.000 commercianti hanno purtroppo calato definitivamente le serrande dei propri negozi (con oltre il 300% in meno rispetto all’anno precedente). L’attuale presidente della Confcommercio in scadenza di mandato, Leonardo Giangrande da Avetrana, un piccolo comune di circa 7.000 abitanti in provincia di Taranto, di professione risulta essere “socio-azionista” di minoranza (circa l’11%) in una società che gestisce supermercati in franchising a Taranto e provincia, e che dagli ultimi bilanci sembra non passarsela molto bene. Il Giangrande dopo aver avuto un parente attivo nel centrodestra, e cioè suo fratello Pietro Giangrande, anch’egli commerciante, eletto nel 2011 nella Lista Civica “L’impegno Continua” e che ci risulta in possesso della Licenza di Scuola Media Superiore (o Titolo Equivalente), era a suo tempo “vicino” alle posizioni politiche dell’on. Pietro Franzoso (Forza Italia) deceduto qualche anno fa. Trovare un suo Curriculum Vitae è pressochè impossibile (sarà forse perchè imbarazzante?) non avendolo mai inviato alla Camera di Commercio di Taranto, nonostante sia un obbligo previsto dalla Legge sull’ Amministrazione Trasparente e la Corruzione. Adesso Giangrande è alla ricerca di nuove sponde e “sponsors” politici sia per se stesso che per la Confcommercio, ma con scarsi risultati…Molto “furbescamente” il candidato Governatore alla Regione Puglia, Michele Emiliano ha preferito incontrare i rappresentanti della Confcommercio di Taranto, “privatamente” senza esporsi in manifestazioni pubbliche come invece ha recentemente fatto peraltro con pochissima affluenza come si evince dalle fotografie, il martinese Donato Pentassuglia, assessore regionale alla sanità uscente (è da meno di un anno n.d.r. ), un politicante del Partito Democratico proveniente dall’ “area” CISL , e notoriamente molto legato al suo “mentore” politico Gianni Florido l’ex-presidente della Provincia di Taranto, con cui Pentassuglia è unito non solo nelle comuni origini politiche ma entrambi sono coinvolti come “imputati” nel processo “Ilva Ambiente Svenduto “attualmente in corso dinnanzi al Tribunale di Taranto. All’incontro tenutosi giovedì pomeriggio nella saletta della Confcommercio erano annunciati e presenti il presidente provinciale l’ “avetranese” Leonardo Giangrande a caccia di visibilità ed attivismo elettorale in vista delle elezioni per il rinnovo della sua carica che dovrebbero svolgersi nel giro di un paio di mesi , l’ incolpevole dr. Michele Conversano l’ ottimo direttore del Dipartimento Prevenzione dell’ ASL di Taranto e l’assessore regionale alla Sanità uscente Donato Pentassuglia, il quale ha dimostrato in questa occasione non solo di essere poco informato in casa Pd ( il candidato Governatore Michele Emiliano ha già annunciato pubblicamente che in caso di elezione, terrà per se la delega alla Sanità n.d.r. ) ma ha dimostrato di essere anche molto poco informato sulla Confcommercio di Taranto. Leggete cosa ha detto Pentassuglia in Confcommercio: “Tutte le iniziative che ho messo in campo in questi miei otto mesi di attività sono volte a creare un’azione di confronto ma anche sinergica tra le istituzioni con un coordinamento vero tra tutti gli attori della filiera. Abbiamo bisogno – ha aggiunto – di conoscere e condividere la qualità di quello che mangiamo ponendo l’attenzione sugli alimenti e sulla loro somministrazione al fine di creare un patto istituzionale per garantire la salute dei cittadini. Abbiamo bisogno di lavorare in questa direzione e Confcommercio, con la sua ramificazione e la sua attività, lavora con noi perché questo venga affermato”. E concludendo ha fatto la gaffe più bella della campagna elettorale dicendo: “Purtroppo – ha concluso Pentassuglia – registriamo ancora i “furbi” che hanno delle celle frigorifere con prodotti normali e poi al di là delle celle si trovano locali con prodotti scaduti”. Evidentemente all’ assessore deve essere sfuggito qualcosa che oltre 150mila lettori attraverso i socialnetworks ed il nostro quotidiano online hanno potuto leggere lo scorso 1 ottobre 2014 quando in un articolo dal titolo eloquente “Predicano bene ma razzolano male…ecco chi è il ristorante multato da Nas ed Asl sulla litoranea jonica” raccontavamo che proprio “il personale del Dipartimento di Prevenzione dell’ ASL di Taranto in collaborazione con i Carabinieri nel NAS Nucleo Anti Sofisticazione di Taranto, durante i normali continui controlli a tutela della salute pubblica, per il rispetto dei requisiti delle strutture ed igienici dei ristoranti, cucine e prodotti alimentari, hanno scoperto a Marina di Pulsano un deposito alimentare “abusivo” (cioè mai comunicato e verificato dall’ ASL) utilizzato dal noto ristorante “IL GRILLO”, a carico del quale sono state comminate pesanti sanzioni per le gravi violazioni in materia di sicurezza alimentare e sequestrati circa 250 chilogrammi di alimentari scaduti o in pessime condizioni rinvenuti nel deposito abusivo“. A dire il vero, la scorsa estate furono non pochi i ristoranti di Taranto e provincia ad essere sanzionati e denunciati per motivi di igiene, ma nel caso del ristorante il GRILLO di Marina di Pulsano (Taranto) qualcuno in Confcommercio, auto-smentendo i suoi editti verbali di facile-finto di moralismo un tanto al chilo… deve aver dimenticato qualcosa! E cioè che il proprietario del Ristorante IL GRILLO è Giampiero Laterza, che è un consigliere della Confcommercio di Taranto, presidente della Fipe – Ristoratori e Pizzerie della provincia di Taranto, che nonostante tutto ciò è rimasto beatamente seduto sulla sua sedia-incarico. Ecco cari lettori, chi sono realmente le persone che in campagna elettorale vendono “fumo” ai cittadini, ai consumatori ed agli associati di Confcommercio, spacciando i loro interessi personali come “attivismo” a favore della collettività. Ascoltate un consiglio: pensate bene a quanto avete letto, prima di andare a votare. Taranto e la sua provincia così facendo, purtroppo, non migliorerà. Figuriamo cambiare! A questo punto ci piace ricordare il titolo di un bellissimo film di Lino Banfi, passato alla storia… “Vieni avanti cretino!”. In questo caso avremmo un pò in imbarazzo a dedicarlo a qualcuno. Quindi lasciamo a voi la scelta. Non è difficile…
Tutta la verità sul processo per la nomina del segretario generale della Camera di Commercio di Taranto, scrive il 7 marzo 2016 Antonello de Gennaro su "Il Corriere del Giorno". Era esattamente un anno fa quando Leonardo Giangrande l’attuale presidente della Confcommercio di Taranto, associazione sempre più in crisi, per numero di iscritti e soprattutto per la diminuita rappresentatività e calente credibilità nell’economia jonica, affiancato dall’ avv .Egidio Albanese, tenne una conferenza stampa “accusatoria” , alla luce dell’assoluzione nel processo di 1° grado relativo alla nomina contestata e turbolenta di Segretario Generale della Camera di Commercio di Taranto . Giangrande all’atto della sentenza di assoluzione del processo di 1° grado, in una poco strategica trionfale… conferenza stampa, affermò con poca oculatezza e competenza giuridica che “si evince facilmente l’infondatezza di tutto il processo che è frutto delle logorroiche accuse mosse dal signor Falcone che ha trasmesso denunce ed esposti contenenti illazioni e pettegolezzi” dimenticando che in realtà per il pubblico ministero e per il Gip, cioè il Giudice per le Indagini Preliminari che lo avevano mandato sotto processo, non si trattava evidentemente soltanto di pettegolezzi…Infatti solo e soltanto questo quotidiano, a suo tempo, nel desolante panorama di un giornalismo “prezzolato” ed accondiscendente dove i “cappucci” non mancano… fece presente che si trattava soltanto di una sentenza di 1° grado del Tribunale di Taranto, e scrivevamo (leggi QUI ) “lo ricordiamo per dovere di cronaca e rispetto ai nostri lettori, al momento non è definitiva in quanto non è ancora passata in giudicato“. Eravamo quindi stati facili profeti nello scrivere che “gioire manifestando rancori, accusando gli assenti è a dir poco una mancanza di tatto, e strategia processuale-difensiva. Ma dato il personaggio non ci meravigliamo”. Per un anno abbiamo provato ad avere la sentenza, gli atti processuali, i verbali delle udienze, chiedendole direttamente od indirettamente ai vari imputati, e cioè Riccardo Caracuta, Leonardo Giangrande, Paolo Nigro, Luigi Sportelli (recentemente riconfermato alla presidenza della Camera di Commercio), Tommaso Valentino (attuale dirigente delle cancellerie del Tribunale di Taranto) ma inutilmente. E tutto questo ci ha insospettito non poco. Lecito chiedersi: ma perchè nessuno di loro ha interesse a pubblicare quella sentenza se sono stati assolti? A distanza di un anno fa, lo abbiamo capito, grazie anche alle parole molto chiare del Procuratore Generale della Repubblica dr.ssa Pina Montanaro, contenute nel suo ricorso in appello, in cui ha impugnato la sentenza di 1° grado, scrivendo che “la decisione emessa dal Tribunale è manifestamente e radicalmente errata e va riformata in toto.“ Negli ambienti del Palazzo di Giustizia jonico, ci si aspettava che il ricorso venisse presentato dal pubblico ministero del procedimento di 1° grado , e cioè dalla dr. ssa Filomena Di Tursi, la quale al termine della sua arringa aveva chiesto una sentenza di condanna nei confronti degli imputati a “8 mesi per ciascuno degli imputati, riconosciute le attenuanti generiche“. Ma così non è stato. Qualche “maligno” ha ipotizzato che nella sua decisione di non appellarsi, potrebbe aver pesato la presenza una sorta di conflitto d’interessi “familiare”, in quanto suo marito, il commercialista tarantino Raffaele Amodio (di cui ci siamo già occupati), ricopriva e ricopre ancora oggi delle cariche in società di cui la Camera di Commercio di Taranto è importante azionista. “Cogito ergo sum” (trad. “Dubito quindi esisto”) dicevano i nostri padri latini. Chiaramente un dubbio non può e non deve costituire un’accusa, e noi vogliamo assolutamente credere nella piena rettitudine e totale buona fede della dr.ssa Di Tursi che altrimenti non avrebbe chiesto una condanna per tutti! I 5 imputati nel procedimento di 1° grado era stato chiamati in causa in quanto, secondo il pubblico ministero “favorivano il candidato Tommaso Valentino, in concorso con questi, in particolare nella fase preliminare della valutazione dei curricula professionali attribuivano al Valentino, laureatosi con il voto finale di 97, il punteggio di “8“, superiore a quello di “7” attribuito al candidato Mele (che aveva riportato come voto di laurea di 106) ed identico a quello attribuito al candidato Maggio, laureatosi con il voto di 105. Così consentendo al detto Valentino di accedere alla fase successiva del colloquio – dalla quale sarebbe stato escluso in caso di corretta attribuzione del punteggio – ed agendo al fine di procurargli intenzionalmente ingiusto vantaggio patrimoniale consistente nell’attribuzione dell’incarico, conseguente al colloquio al cui esito veniva attribuito il punteggio più elevato con collocazione al primo posto della graduatoria”. Quello che Giangrande definiva “logorroiche accuse mosse dal signor Falcone che ha trasmesso denunce ed esposti contenenti illazioni e pettegolezzi”, in realtà, come racconta la sentenza di 1° grado, altro non erano che “gravi anomalie relative all’ammissione di Valentino alla fase orale a causa dell’attribuzione anomala del punteggio concernente la valutazione dei titoli di studio”, affermazioni queste rese dal teste dr. Roberto Falcone nell’udienza del 29 settembre 2014. Ma Falcone non era stato il solo ad accorgersi di quanto accaduto “illegittimamente”. Lo racconta e conferma, persino la sentenza di 1° grado, che riferisce che “le stesse incongruenze venivano segnalate da Buonfrate Patrizia, responsabile del procedimento, la quale nel corso della procedura e, specificamente dopo la conclusione dei lavori della commissione, si premurava di redigere in data 20/09/2011 una nota nella quale ripercorreva pedissequamente le fasi della procedura e manifestava che la stessa “non era immune da criticità oggettive“” che rappresentava quanto accaduto, tanto da consigliare l’annullamento in autotutela dell’intero concorso. Annullamento che intervenne nella seduta camerale del 07/10/2011. “Criticità queste – recita la sentenza di 1° grado – che venivano manifestate dal teste Sanesi (attuale vicesegretario generale della CCIAA di Taranto- n.d.r.), Vinciguerra e De Giorgio (che successivamente è diventato il segretario generale – n.d.r.). Infatti nel ripercorrere i fatti, leggendola bene, la sentenza conferma espressamente che le illegalità erano avvenute, sostenendo che “appare evidente che vi è stata una manifesta violazione di Legge nell’attribuzione di un punteggio che evidentemente non poteva spettare al candidato che aveva il volto di laurea più basso”. A leggere tutto ciò, il lettore potrebbe giustamente chiedersi “ma allora perchè li hanno assolti?”. La lettura della sentenza completa, che solo il CORRIERE DEL GIORNO, come sempre vi offre in “ESCLUSIVA”, si basa su un discutibile concetto e cioè che “quanto detto piuttosto induce a credere che non si è trattato di una disegno teso a favorire il candidato Valentino a discapito degli altri, quanto piuttosto ad un mero errore, poi emendato dai successivi avvenimenti”. E’ stato proprio il disaccordo giuridico con questa teoria processuale che ha indotto il Procuratore Generale della Repubblica dr.ssa Pina Montanaro ad impugnare la sentenza di 1° grado, depositando lo scorso 27 gennaio 2016 il proprio ricorso in appello. Notizia questa che ha trovato “spazio” ed ospitalità esclusivamente su questo quotidiano online che state leggendo. I giornali e giornaletti locali, stampati ed online infatti, si sono ben guardati dal pubblicare ed approfondire la questione. Loro preferiscono ospitare le dichiarazioni e comunicati stampa dei vari “amici/clienti” e girarsi dall’altra parte. E poi si lamentano. che a Taranto l’informazione anno dopo anno muore lentamente come l’economia locale. “La decisione emessa dal Tribunale è manifestamente e radicalmente errata e va pertanto riformata “in toto“” è la principale motivazione del ricorso in appello del Procuratore Generale, sostenendo che l’assoluzione degli imputati Riccardo Caracuta, Leonardo Giangrande, Paolo Nigro, Luigi Sportelli “è da considerarsi priva di qualsiasi fondamento sia in diritto che in fatto” , adducendo principi giuridici enunciati in ben due sentenze della Suprema Corte di Cassazione (la più recente, è la n. 36179 del 15/04/2014) sulla base delle quali “l’ipotesi del “mero errore“, come proposta dal Giudice di I grado, appare veramente carente e comunque non esaustiva“, aggiungendo che “se di mero errore si fosse trattato – a fronte dell’evidente macroscopica dell’abuso – al primo cenno si sarebbe proceduto alla revoca, che invece è intervenuta solo dopo l’atto formale del responsabile del procedimento“. Ma l’atto d’accusa contenuto nell’appello della Procura Generale della Repubblica è abbastanza “forte”, con delle accuse abbastanza pesanti: “Si è omesso, infatti, di tenere conto della “preparazione culturale” e quello dell’esperienza e conoscenza dei sistemi di pianificazione strategica dovevano comunque essere corroborati da documentazione ed il Valentino, con ogni verosimiglianza non era in possesso di documentazione idonea per aspirare ad un punteggio più elevato, in ordine ai medesimi parametri“. La “stoccata” finale del Procuratore Generale Montanaro è condensata nelle ultime tre righe della sua impugnazione, laddove scrive: “Vi è, da ultimo, da annotare che il Valentino, come dichiarato dalla dr. Buonfrate, non era persona del tutto “estranea” in quanto lo stesso aveva partecipato alla fase della selezione dei bandi di concorso, benchè il fac-simile da lui proposti non fosse stato, poi, prescelto”. La parola adesso alla Corte di Appello. In questo anno di attesa… dopo la sentenza di 1° grado, abbiamo incontrato il dr. Tommaso Valentino, con cui abbiamo parlato e registrato la sua versione dei fatti, e con il Presidente della Camera di Commercio Luigi Sportelli. Entrambi ci hanno fornito le loro versioni, ed avevano promesso di fornirci i documenti processuali, i verbali d’udienza, ma alla fine hanno preferito non fornirceli. Un loro diritto, sia chiaro. Leonardo Giangrande Presidente della Confcommercio di Taranto, invece si è limitato alle sue solite ripetute annunciate denunce nei miei/nostri confronti, che però dopo un anno a questa parte non hanno mai scaturito nulla. Neanche una semplice elezione di domicilio. Non a caso Giangrande non ha mai avuto il coraggio di accettare un’intervista video-filmata che gli abbiamo richiesto “pubblicamente” e che avremmo pubblicato integralmente. Probabilmente non gli stiamo più simpatici, dopo averci telefonato (inutilmente) per una vicenda giudiziaria di un suo associato. O forse preferisce farsi intervistare da qualche “pennivendolo” in ginocchio, da ricompensare con qualche centinaio di euro. Molto più facile, vero? Adesso sarà bene che Giangrande si faccia spiegare da qualche “giurista”, e non da qualche avvocato a libro paga, come mai le sue denunce contro di noi, dopo oltre un anno, non sortiscono alcun effetto. Neanche una semplice necessaria elezione di domicilio. Anche perchè il nostro quotidiano online ha sede a Roma, città dove per fortuna la Procura non è facilmente condizionabile. Nel frattempo, permetteteci di spiegarlo noi, ai nostri lettori: non abbiamo mai diffamato nessuno, ma solo e soltanto semplicemente pubblicato notizie e raccontato fatti, lasciando sempre parlare i documenti a conferma di quanto abbiamo scritto. P.S. A proposito…. non abbiamo ancora finito di occuparci degli “affarucci” dei furbetti della Confcommercio tarantina. Molto presto ne leggerete delle belle!
Sabato 27 aprile Liceo De Sanctis Galilei: Eine Einfache Italienische Geschichte. Incontro con l’imprendintore Arturo Prisco, scrive La Voce di Maruggio il 20 Aprile 2019. Una semplice storia italiana. ARTURO PRISCO, 75 anni, avetranese di nascita, brillante imprenditore ed ambasciatore del “Made in Italy” in Germania, premiato a Monaco con il prestigioso Münchner Phönix Preis, incontra i ragazzi del Liceo De Sanctis Galilei, per dialogare con loro di cultura economica ed educazione all’imprenditorialità. A moderare l’incontro il giornalista Fernando Filomena direttore responsabile de La Voce di Maruggio. Non tutti conoscono (si fa per dire) questo elegante e gentile signore, nato ad Avetrana 75 anni fa, che lasciò la cittadina jonica quando era ancora un bambino. Tuttavia nel mondo Arturo Prisco è conosciuto come il “Re delle stoffe”. E’ uno degli imprenditori più importanti in Germania. Tra i suoi numerosi clienti si annovera l’élite della moda, dello stile, dell’arte, della letteratura e del teatro: Ugo Boss, Giorgio Armani, Versace, Ermenegildo Zegna, Louis Vuitton, Luxottica, Alitalia, Maserati, BMW. Nominato Commendatore Ordine al Merito della Repubblica Italiana nel giugno del 2009 dal Presidente della Repubblica Italiana, il “nostro” conterraneo in Germania ha fatto tanto. Oltre ad aver creato un suo marchio di moda, Prisco è stato il primo imprenditore a ricostruire un intero quartiere della città di Dresda, raso al suolo dai bombardamenti americani durante la seconda guerra mondiale. Ha restituito dignità, bellezza ed eleganza al centro storico realizzando negozi, uffici e un hotel di gran lusso “Quartier an der Frauenkirche” (QF). A Dresda esiste persino un “passaggio” a lui dedicato, appunto il Prisco Passage. Arturo Prisco ama definirisi molto semplicemente un “comunicatore”: «Mi piace parlare e fare domande, questo mi ha aperto tante porte». Adesso lui le porte le apre a chiunque lo desideri. La sua bellissima villa stile Liberty, ubicata dinanzi al Prinzregententheater, è attualmente un luogo per giovani artisti. La scorso dicembre, scelto tra 39 candidati, ha ricevuto il «Münchner Phönix Preis» 2018, un riconoscimento che la città di Monaco assegna a cinque stranieri che si sono particolarmente distinti per gli eccezionali risultati economici e l’impegno sociale verso i migranti.
MARESCIALLO PRISCIANO: CONTINUA L'ACCANIMENTO PERSECUTORIO DEL COMANDO GENERALE DELL' Arma dei Carabinieri e del Ministero della Difesa nei miei confronti. Ora basta, però!
Dalla pagina facebook di Riccardo Prisciano il post del 10 marzo 2019.
È giunto il tempo che tutta #Italia sappia come stanno davvero le cose: le questioni politiche alla base del mio #congedo INCOSTITUZIONALE erano soltanto una scusa... la verità è che ho la colpa di aver videoripreso e denunciato un'estorsione gravissima perpetrata a mio danno da parte di militari dell'Arma su spinta di un Avvocato "che conta nell'Arma" (cit.).
Ho vissuto e sto vivendo, in maniera analoga, ciò che è accaduto (e sta continuando ad accadere) al Carabiniere Riccardo Casamassima per il caso Cucchi: chi denuncia reati commessi da superiori nell'Arma è lasciato solo, umiliato, perseguitato ed infine cacciato. Una cricca di DELINQUENTI pronta a tutto pur di coprire le maleffate del superiore o di difendere gli INTERESSI PRIVATI di quell'Avvocato "che conta nell'Arma". "Lasciati soli", come accade a chi denuncia reati mafiosi all'interno di una società omertosa, così accade a chi ha la forza di denunciare quando a commettere un reato è chi veste la tua stessa divisa, magari con ruoli apicali. Ma allora qual è la differenza? Il silenzio del Ministro Elisabetta Trenta fa rabbrividire. Si rifiuta di ricevermi. Ministro vorrei soltanto farle vedere il video di questa ESTORSIONE, null'altro! Spesso, purtroppo, una simile "cricca associativa" non si trova dinanzi un militare come il sottoscritto (con il proprio carattere forte e la sua famiglia sempre pronta a sostenerlo) ed ECCO SPIEGATO IL COSÌ ALTO NUMERO DI SUICIDI NELL'ARMA dei Carabinieri. Per certe "cricche", il suicidio di un #militare "conviene" e poi per "archiviare la pratica" basta andare sulla stampa a dichiarare "non si conoscono i motivi del gesto"...State tranquilli - ma già lo sapete - mai sceglierò quella via: il desiderio di vedervi pagare per i vostri #crimini è troppo forte...UNA "CRICCA ASSOCIATIVA" che come una #piovra si trova all'interno dell'Arma, per 5 anni ha rovinato la mia esistenza e quella dei miei cari... e non per stupide scuse politiche! Ora è giunto il momento che tutta #Italia conosca i nomi ed i cognomi di chi, FACENDO GLI INTERESSI dell'Avvocato "che conta nell'Arma", infanga ogni giorno la MIA divisa. Sappiate che d'ora in poi, chi dirà di non sapere, in realtà mente sapendo di mentire. Da Taranto a Varese, passando per Roma, Nuoro e la Toscanatutta: con registrazioni e filmati di quello che avete detto e fatto, ora non si fanno più sconti a nessuno. E non dimentichiamoci di Palermo, Basilicata e Triveneto!
Il Tar reintegra il maresciallo che ironizzava sulla Boldrini. FdI: “Fatelo lavorare”, scrive lunedì 4 febbraio 2019 Giovanni Pasero su Secolo d’Italia. “Il Tar del Lazio ha reintegrato il maresciallo dei Carabinieri Riccardo Prisciano: ora, nell’assoluto rispetto del prestigio dell’Arma, ci auguriamo che venga recepita la sentenza senza fare ricorso”. E’ quanto dichiara il deputato di Fratelli d’Italia, Federico Mollicone. “Il maresciallo scrittore – prosegue – aveva rivolto alcune critiche libero dal servizio e per questo era stato congedato a seguito della notifica dell’avvio di un procedimento disciplinare per “islamofobia, xenofobia, omofobia, violazioni dei doveri attinenti al grado ed al giuramento prestato e per aver inficiato l’apoliticità della Forza Armata””. “Ora – conclude Mollicone – ci auguriamo che intervenga anche il ministro Trenta affinché si concluda questa vicenda e il maresciallo possa tornare in servizio a servire il Paese e a esprimere liberamente le sue idee”. Il maresciallo Prisciano, autore del libro “Nazislamismo” (Ed. Solfanelli), la cui presentazione è stata curata da Magdi C. Allam. Il maresciallo dell’Arma racconta in questi termini, la sua vicenda: «Ho subito tre procedimenti disciplinari di rigore, svariate denunce presso la Procura Militare (procedimenti terminati tutti con archiviazione od assoluzione), trasferimenti ad 800km dalla mia famiglia, visite psicologiche e psichiatriche alle quali ovviamente sono risultato perfettamente idoneo al servizio militare: non contento di tutte queste angherie fattemi subire, il Comando Generale dell’Arma mi ha posto in congedo “per non meritevolezza” proprio a causa delle mie idee politiche sovraniste, patriottiche, anti-Islam, anti-aborto, contrarie alla pratica dell’utero in affitto ed alle adozioni di bambini a coppie omosessuali. Tra le accuse – scrive ancora Prisciano – anche quella di aver commentato in maniera troppo “ironica” sulla mia pagina Facebook le scelte politiche del Presidente della Camera Laura Boldrini, dell’allora Ministro dell’Interno Angelino Alfano, dell’allora Premier Matteo Renzi, nonché dell’ex Capo dello Stato Giorgio Napolitano». L’auspicio di tutti è che questa guerra contro un servitore dello Stato venga finalmente terminata e che il maresciallo Prisciano possa tornare a compiere il suo dovere di cittadino e di militare.
Il TAR reintegra il Maresciallo congedato dall’Arma per le sue idee anti islam. “Licenziamento non motivato”, scrive il 04/02/2019 Infodifesa. Il caso del Maresciallo dei carabinieri Riccardo Prisciano iniziò nel 2015 quando gli venne notificato l’avvio di un procedimento disciplinare per “islamofobia, xenofobia, omofobia, violazioni dei doveri attinenti al grado ed al giuramento prestato e per aver inficiato l’apoliticità della Forza Armata” sino ad essere definitivamente posto in Congedo dall’Amministrazione. Tutta colpa di un libro. Il suo libro, “Nazislamismo” con presentazione di Magdi Cristiano Allam. Un saggio, estensione della tesi di laurea, in cui dimostra l’incostituzionalità giuridica dell’Islam. Ma il Maresciallo Prisciano non demorde e propone ricorso al Tar Lazio che con la sentenza che vi proponiamo di seguito in stralcio ha dato ragione al ricorrente. “Il ricorrente, già maresciallo dell’Arma, non è stato ammesso al servizio permanente. In particolare l’amministrazione rilevava che : “che il complessivo quadro di situazione emergente dall’esame della documentazione caratteristica e matricolare del Maresciallo Prisciano, riferita al periodo quadriennale di ferma volontaria, ha evidenziato un rendimento assolutamente insoddisfacente del militare per: carenti qualità morali, militari e di carattere; minore affidabilità sul piano professionale, da cui è scaturito un profitto valutato per due volte con giudizio equivalente a “inferiore alla media”, emesso da diverse scale gerarchiche; che il Maresciallo Prisciano ha palesato una marcata refrattarietà alla disciplina militare, con gravissime carenze sostanziatesi negli ultimi due anni in quattro sanzioni di corpo, di cui ben tre “consegne di rigore”, irrogate da differenti Comandanti”.
Secondo il Tar Lazio la disciplina normativa che presidia l’ammissione al servizio permanente (artt. 948 del D.L. 15 marzo 2010, n.66) recita: “Al termine della ferma volontaria, i carabinieri che conservano l’idoneità psico-fisica al servizio incondizionato e sono meritevoli per qualità morali e culturali, buona condotta, attitudini e rendimento, di continuare a prestare servizio nell’Arma dei carabinieri, sono ammessi, salvo esplicita rinuncia, in servizio permanente …”. Si tratta di previsioni normative a contenuto aperto, la cui puntuale determinazione è rimessa alla stessa Arma. In altre parole il significato concreto di: qualità morali, buona condotta e rendimento, invero necessitano di una conseguente e puntuale precisazione motivazionale, sia con riferimento ai principi costituzionali della pari dignità sociale tra i cittadini, del riconoscimento dei diritti inviolabili dell’uomo, del diritto al lavoro, che per consentire l’eventuale scrutinio del giudice amministrativo. Si tratta di diritti essenziali e non comprimibili della persona, il cui pregiudizio necessita una adeguata, congrua e documentata motivazione tale che, nel bilanciamento degli opposti interessi, sia evidenziata, in modo oggettivo ed inconfutabile, la prevalenza dell’interesse pubblico su quello privato, motivazione che, in ogni caso, deve essere declinata con i principi di ragionevolezza e proporzionalità così come introdotti anche dalla giurisprudenza comunitaria. Ritiene il Collegio che una lettura costituzionalmente orientata delle citate norme, in uno con i riferiti principi di proporzionalità e ragionevolezza, non può essere limitata ad una mera elencazione delle asserite mancanze disciplinari, atteso che l’irrogazione di tali sanzioni costituiscono un sintomo della mancanza dei requisiti richiesti dalla norma, sintomo che, però, deve essere supportato da un concreto disvalore del comportamento contestato, la cui valenza negativa può essere ricavata dalla completa lettura del comportamento del militare. In altre parole è necessario che la p.a. dimostri, attraverso una documentata prospettazione, le ragioni per cui l’interessato non è più ritenuto meritevole di far parte del consesso militare. Si tratta, pertanto, di un giudizio ponderato e non sintetico (diversamente il legislatore avrebbe previsto il mero dato numerico delle sanzioni riportate), in cui deve essere valutata l’intera esperienza professionale e privata del militare, in cui i rilievi sintomatici negativi e positivi devono essere adeguatamente soppesati nell’ambito di un compiuto processo motivazionale che non può essere certamente limitato alla enumerazione delle sanzioni irrogate, ovvero a meri e stereotipati giudizi negativi. Nel caso di specie, infatti risulta che una prima sanzione di rigore è stata irrogata in relazione ad una denuncia avanzata nei confronti del ricorrente, il cui fatto presupposto è stato, poi, archiviato dalla giustizia militare. Le altre due sanzioni di rigore risultano, invece, connesse a manifestazioni del pensiero espresso dal ricorrente in modo da non comportare alcuna reazione penale. Tale evenienze fattuali devono essere necessariamente considerate dall’amministrazione indipendentemente e a prescindere dalla reazione giudiziaria non attivata dal ricorrente, proprio perché nel giudizio e nel conseguente provvedimento, la p.a. deve sempre far prevalere, allorquando si tratta di giudizi personali, la sostanza sulla forma. Allora, le sanzioni disciplinari su cui, anche, si fonda il provvedimento espulsivo, se esattamente valutate nell’attuale contesto costituzionale, certamente, di per sé, non giustificano il grave provvedimento espulsivo, alla luce proprio del necessario bilanciamento degli interessi, anche costituzionali, che la questione coinvolge, atteso che la sintetica motivazione adottata dalla p.a. non dà modo al collegio di verificare la ragionevolezza e la proporzionalità della misura adottata. In altre parole la p.a. è chiamata ad adottare un provvedimento discrezionale che, in quanto tale deve essere adeguatamente motivato, tanto più che la misura pregiudica essenziali e fondamentali diritti costituzionali del ricorrente e la p.a. non può limitarsi ad una mera applicazione automatica delle norme riportate sulla base di evenienze meramente formali. Infine, non può essere sottovalutato il fatto che il giudice ordinario ha assolto il ricorrente dal reato previsto e punito dall’art. 572 c.p. perché il fatto non sussiste, condannando, di contro, l’ex coniuge a mesi otto di reclusione. Tale evenienza risulta sintomatica della singolare condizione vissuta dal ricorrente e non può essere omessa dalla p.a. nella motivazione del giudizio finale. Per ultimo, e la circostanza non è stata smentita dalla difesa erariale, l’arresto (maggio 2016) da parte del ricorrente, di un malvivente che aveva aggredito un anziano, convalidato dall’A.G.. Ebbene, neppure tale episodio risulta introdotto nella motivazione escludente. Si tratta, cioè, di un significativo aspetto professionale del ricorrente che la p.a. non ha considerato nella complessiva valutazione dello stesso ai fini dell’adozione della misura contestata. Pertanto – secondo il TAR Lazio – il provvedimento risulta non adeguatamente motivato e deve essere annullato.
Chi è Riccardo Prisciano, maresciallo carabinieri anti Islam, scrive Silvia Cirocchi il 9 marzo 2016 su Blitz Quotidiano. Prisciano, maresciallo dei carabinieri che considera l’Islam incostituzionale. Maresciallo Prisciano, vi dico io chi è. In queste ore sui social network si sente solo parlare di lui: il Maresciallo Riccardo Prisciano. Ma chi è questo uomo? Ve lo dico io visto che ho auto modo di conoscerlo collaborando con lui allo stesso quotidiano online (i cui articoli gli vengono ora contestati) fino a quando la censura dei “taglialingua” gli ha tappato la bocca. Riccardo Prisciano non è un “semplice” Maresciallo dell’Arma dei Carabinieri; onore alla categoria, ma intendo dire che, nella sua vita, Riccardo è anche tante altre cose. Laureato in Scienze Giuridiche presso l’Università di Roma Tor Vergata, da sempre impegnato culturalmente ed artisticamente, ha pubblicato la raccolta di poesie “Insonnia” ed il poema biblico “L’Arcangelo crociato”, Prisciano è in primis un uomo che ha sempre combattuto per tutto nella sua vita; odia il compromesso e l’ipocrisia perbenista: per lui esiste solo ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, “vie di mezzo” non possono esistere. Basta leggere i suoi articoli per saggiarne la preparazione culturale, giuridica e filosofica. Riccardo Prisciano è uomo d’azione; azione che si estrinseca attraverso la penna, la parola ed i fatti … e per questo è stato punito e trasferito in Sardegna a ben 800 km dalla propria figlioletta. Il Maresciallo Prisciano aveva argomentato le proprie tesi giuridiche circa l’incostituzionalità dell’Islam e circa l’impossibilità di credere nell’esistenza di un islam moderato, nonché aveva espresso su Facebook la propria contrarietà circa le unioni omosessuali e le adozioni gay. Il tutto libero dal servizio e mai qualificandosi come carabiniere. Ebbene, in un processo, nonostante l’assenza del Prisciano e di un suo difensore, il maresciallo veniva condannato a 7 giorni di consegna di rigore e trasferito. Non è finita: i nuovi Comandanti (della Sardegna) instaurano un ennesimo procedimento disciplinare nei confronti del Maresciallo Prisciano per condotte successive al 06 agosto 2015 (data del processo-condanna fiorentino) sempre per “islamofobia, xenofobia, omofobia, violazioni dei doveri attinenti al grado ed al giuramento prestato e per aver inficiato l’apoliticità della Forza Armata”. Quest’ultimo procedimento disciplinare è ancora più assurdo del primo: si contesta all’ispettore il fatto di aver scritto, sempre libero dal servizio, articoli, in cui si parlava di aborto, teoria gender, immigrazione e sovranità statale. Addirittura, si contesta il prossimo libro del Maresciallo Prisciano – lo si contesta prima della pubblicazione, prima di leggerlo quindi. Il Mar. Prisciano pubblicherà a breve un saggio giuridico, il cui titolo è “Nazislamismo” e l’editore è Solfanelli. Come si evince dagli atti, gli Ufficiali dell’Arma scrivono che “benché si tratti di un saggio giuridico, scaturito dalla stessa tesi di Laurea in Scienze Giuridiche del Mar. Prisciano, non è opportuno che si parli in tali termini dell’Islam”. Sarà un caso che tutta la storia gira attorno alla Toscana, ed a Firenze in particolare? A noi non sembra un caso, visto che il Maresciallo Prisciano in entrambi i procedimenti si è visto accusare “di aver leso e vilipeso l’immagine del Presidente del Consiglio dei Ministri, del Presidente della Repubblica, del Ministro dell’Interno e della Presidenta Boldrini.
"Io, carabiniere anti islam, congedato per mie idee". Maresciallo scrittore che si è espresso contro l'islam viene congedato dall'Arma. Il caso di Prisciano, che ora attende l'espressione del Tar, scrive Francesco Boezi, Sabato 16/09/2017, su Il Giornale. Il maresciallo Riccardo Prisciano è stato congedato. Durante luglio del 2015, gli era stato notificato l'avvio di un procedimento disciplinare per "islamofobia, xenofobia, omofobia, violazioni dei doveri attinenti al grado ed al giuramento prestato e per aver inficiato l’apoliticità della Forza Armata". Sentito da Il Giornale.it, il maresciallo ha dichiarato in merito alla sua vicenda: "Sono stato congedato per aver espresso idee di destra, libero dal servizio e nella normale dialettica democratica, riguardanti l'incostituzionalità dell'islam, la mia contrarietà ai matrimonio omosessuali, all'adozione di bambini da parte di persone dello stesso sesso, alla pratica dell'utero in affitto, all'attuale legge sull'aborto e per aver espresso perplessità sull'operato politico di Boldrini, Alfano, Renzi e Napolitano". "In due anni - aggiunge Prisciano - sono stato umiliato in ogni modo: sanzioni disciplinari, denunce (poi ovviamente archiviate), visite psicologiche, trasferimenti ad 800km dalla mia famiglia, note caratteristiche umilianti e financo il congedo per "non meritevolezza". Secondo quanto riferito dal maresciallo, prima del congedo ci sarebbero stati tre procedimenti disciplinari: 7 giorni di consegna con rigore e il trasferimento d'autorità in Sardegna, un provvedimento derivante dalla pubblicazione del suo libro "Nazislamismo", infine una denuncia da parte dei suoi superiori presso la Procura Militare di Roma per "insubordinazione con ingiuria" e "diffamazione militare aggravata". Queste ultime accuse sarebbero state archiviate. Il maresciallo sostiene di aver subito questi provvedimenti a causa delle sue prese di posizione. L'inizio della vicenda, infatti, risale a quando Prisciano, in qualità di scrittore, partecipò ad un convegno sulla "incostituzionalità dell'islam". Il 12 ottobre 2017 il Tar del Lazio dovrebbe esprimersi sul congedo. Il Consiglio di Stato, secondo un documento inviatoci da Prisciano, aveva ribaltato le sospensive precedentemente concesse dal Tar. Il maresciallo dichiara di essere in congedo da dieci mesi, di non percepire stipendio e di avere una figlia di 6 anni e un altro figlio in arrivo.
Scrive un libro critico sull’Islam e lo “licenziano”, scrive il 15/06/2018 Il Giornale off. Stava facendo uno sciopero della fame da tre giorni. Per tre giorni è rimasto a gambe incrociate davanti alla sede del Ministero della Difesa. Lui è Riccardo Prisciano, maresciallo dei Carabinieri, la cui storia i lettori di OFF conoscono: nel 2015 gli viene notificato l’avvio di un procedimento disciplinare per “islamofobia, xenofobia, omofobia, violazioni dei doveri attinenti al grado ed al giuramento prestato e per aver inficiato l’apoliticità della Forza Armata”. Tutta colpa di un libro. Il suo libro, “Nazislamismo” (Ed. Solfanelli), con presentazione di Magdi Cristiano Allam. Un saggio, estensione della tesi di laurea, in cui dimostra l’incostituzionalità giuridica dell’Islam. «Ho subito tre procedimenti disciplinari di rigore, svariate denunce presso la Procura Militare […] in congedo a causa delle mie idee politiche sovraniste, patriottiche, anti-Islam, anti-aborto, contrarie alla pratica dell’utero in affitto ed alle adozioni di bambini a coppie omosessuali». Un ricorso al T.A.R. di Roma ha censurato i comportamenti dell’Amministrazione. Riccardo Prisciano vuole tornare a servire la Patria nell’Arma e per questa ragione da tre giorni è in sciopero della fame, davanti al Ministero della Difesa e ora davanti alla sede del Viminale. Leggiamo dalla sua Pagina Facebook: In Italia, non si può congedare un servitore dello Stato solo per aver scritto un libro che a qualcuno non è piaciuto. Sono qui per essere ricevuto dal Ministro della Difesa per far rispettare un’ordinanza del TAR ormai passata in giudicato. Anche i militari hanno dei diritti costituzionali. Alle ore 13.51 di venerdì 15 giugno 2018 il Viminale ha preso in carico la pratica. Oggi, giovedì 21 giugno, sappiamo che Federico Mollicone (Responsabile nazionale del Settore Comunicazione di Fratelli d’Italia e dirigente romano nella Costituente di Roma) sta preparando un’interrogazione parlamentare unitamente a Gianni Tonelli (deputato della Lega, segretario generale del Sindacato Autonomo di Polizia) e al sottosegretario alla Difesa Raffaele Volpi per affrontare il caso a livello istituzionale. E intanto la presa in carico del caso si estende a livello governativo: anche il Sottosegretario alla Difesa Angelo Tofalo (M5S) si sta interessando per risolvere il problema.
A proposito di omertà e censura…puoi parlar male di Avetrana, ma mai parlar male dell’Islam.
L’opinione del dr Antonio Giangrande, scrittore, sociologo storico, blogger, youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie.
L’Italia delle libertà mancate, dell’omertà e della censura. Tra Mafia e Terrorismo Islamico, certamente nessuno deve dimenticare il terrorismo di Stato: le morti per l'ingiustizia, come per la sanità, o per la povertà e l'emarginazione. Ma di tutto questo non se ne deve parlare. Si deve parlare sempre e comunque solo di Avetrana omertosa.
“Continuano le indagini dei carabinieri di Avetrana per individuare i responsabili della brutale aggressione che questa mattina ha ridotto in fin di vita un avetranese di 63 anni colpito alla testa con delle bottiglie di vetro. Il violento pestaggio è avvenuto davanti al bar Mojito alla presenza di numerosi testimoni che hanno dichiarato di non aver visto niente o di non ricordare particolari utili. E sugli avetranesi ritorna il fantasma dell’omertà venuto fuori durante le indagini del delitto di Sarah Scazzi, un episodio che ha fatto parlare e fa parlare ancora l’Italia intera e che ha visto il coinvolgimento di una quarantina di persone tra sospettati, indagati, imputati, condannati e sognatori. Nessuna ammissione, nessun aiuto concreto agli inquirenti e alla verità sulla morte della quindicenne uccisa dai parenti”. Così scriveva Nazareno Dinoi il 27 marzo 2016 su “La Voce di Manduria” in riferimento all’aggressione avvenuta a danno di Salvatore Detommaso la mattina presto del giorno di Pasqua, ricoverato poi in prognosi riservata. Aggressione su una via di passaggio per chi, proveniente da Manduria, è diretto a Nardò od a Torre Colimena. Lo stesso Dinoi continua con la solita litania anche il 29 marzo 2016: “Il bruttissimo episodio è ora materia degli investigatori dell’Arma che stanno incontrando difficoltà a raccogliere testimonianze dei presenti. Sino a ieri il maresciallo Fabrizio Viva che comanda la stazione di Avetrana ha sentito diverse persone che erano presenti nelle vicinanze, ma nessuno di loro ha detto di ricordare o di aver visto niente. Un atteggiamento omertoso che ha spinto gli amministratori pubblici e il parroco a lanciare appelli a parlare (di questo parliamo a parte). I militari hanno già ritirato le registrazioni delle telecamere di sorveglianza installate nei punti commerciali della zona, ma nessuna di loro era puntata sulla zona dell’aggressione. Un testimone che avrebbe visto tutto, avrebbe detto di aver visto delle persone fuggire a bordo di una piccola utilitaria di colore scuro di cui non ricorda la marca. Ancora poco per dare un nome e un significato a tanta violenza.” A quell'ora del dì di festa ovviamente non potevano esserci tanti avventori del bar, nè, tantomeno, numerosi testimoni, ma parlare di omertà ad Avetrana fa notizia.
Chi fa la professione di giornalista dovrebbe sapere che i curiosi, accorsi in massa, non possono essere definiti testimoni. Non si può parlare di omertà se la stessa vittima non ha potuto fornire notizie utili alle indagini, né tanto meno si può parlare di indagini. Le indagini vengono svolte alla notizia di reato e, a quanto pare, al momento del fatto il reato palesato (lesioni) era perseguibile per querela che non vi è stata. E comunque l’indagine fatta bene, anche successivamente attivata per querela o denuncia per fatto più grave, i responsabili li trova.
Nazareno Dinoi, come corrispondente del Corriere della Sera ha scritto sempre articoli su Avetrana dello stesso tenore quando riferiva sul caso di Sarah Scazzi, come tutti d’altronde. Rispetto agli altri, però, Dinoi è di Manduria, paese a 17 chilometri da Avetrana, non certo un canonico razzista settentrionale.
D’altro canto bisogna ricordare a questo signore, come a tutt'Italia, che gli Avetranesi parlano e non hanno paura di nessuno, nonostante le ritorsioni. Da ricordare che il sottoscritto è un avetranese doc, e non può certo essere tacciato di omertà, visto quello che scrive, tanto che alcuni magistrati questa prolificità non gliela perdonano affatto. Ma esiste un altro avetranese che paga il suo non essere omertoso: Riccardo Prisciano, tanto da essere perseguitato per le sue idee espresse contro Islam e gay.
Certo è che l'islam è una religione, ma anche una setta: non esiste il giusto o sbagliato, il bene o il male. Vale solo «o con me o contro di me». E chi è contro è un infedele. Ma questo vale, a ragion del vero, anche per il comunismo. Il comunismo è anch’esso una religione-setta. Ecco perché a sinistra se ne dolgono quando dell’Islam o dei gay se ne parla male.
È contro l'islam e i gay, il maresciallo rischia il posto di lavoro. Ha partecipato a una conferenza in qualità di scrittore e relatore sull’"incostituzionalità dell’Islam". Dopo essere stato condannato per "islamofobia, xenofobia, omofobia", ora il Maresciallo Prisciano rischia di perdere il posto per un saggio giuridico, scriveva Gabriele Bertocchi, Lunedì 07/03/2016, su “Il Giornale”. Riccardo Prisciano è un maresciallo dei carabinieri, a luglio gli viene notificato l'avvio di un procedimento disciplinare per "islamofobia, xenofobia, omofobia, violazioni dei doveri attinenti al grado ed al giuramento prestato e per aver inficiato l’apoliticità della Forza Armata". Come racconta Infodifesa, solo un mese dopo, mentre si trova in Puglia per un congedo parentale dovuto alle gravi condizioni della figlia, lo raggiunge l'avviso in cui si specifica che la data in cui avverrà il processo disciplinare. La notifica viene recapitata solo con due giorni d'anticipo, non consentendo così a Prisciano di essere presente alla sentenza che lo condanna a sette giorni di consegna di rigore. Motivo di questo procedimento nei confronti del maresciallo è la sua posizione nei confronti dell'islam. Più precisamente li viene contestata la partecipazione a una conferenza, in cui Prisciano ha preso parte in qualità di scrittore e relatore, sull’"incostituzionalità dell’Islam". Un impegno preso e svolto mentre era libero dal servizio. Come se non bastasse, ora è stato è stato avviato un nuovo procedimento disciplinare, con le stesse accuse, per diversi articoli scritti da Prisciano, pubblicati su un quotidiano online, che trattano argomenti come aborto, teoria gender, immigrazione e sovranità statale. Nel fascicolo vengono allegati anche post e stati di Facebook del carabiniere ritraenti il patriota cecoslovacco Jan Palach e frasi del filosofo Ernst Junger. Inoltre viene anche contestata la prossima pubblicazione del maresciallo di un saggio giuridico intitolato "Nazislamismo", con prefazione di Magdi Allam. Il volume non è ancora andato in stampa. Se dovesse essere nuovamente punito, Prisciano rischia di perdere il posto di lavoro.
Carabiniere-scrittore contesta l'islam. Punito con sette giorni di consegna. Vietato criticare, maresciallo accusato di islamofobia, scrive Domenico Ferrara, Sabato 26/03/2016, su “Il Giornale”. Vietato criticare l'islam. Guai a scriverne e a esporre la propria opinione in pubblico. Mentre l'Europa è sconquassata dallo jihadismo, in Italia ci si preoccupa di mettere all'indice un carabiniere colpevole di aver studiato e analizzato magari con troppa animosità il problema del terrorismo e dei flussi migratori. Per questo motivo, Riccardo Prisciano, maresciallo pugliese 25enne, è stato sottoposto a procedimento disciplinare e punito con sette giorni di rigore. Il 23 maggio 2015, il militare partecipa in qualità di scrittore a un convegno a Pisa organizzato da un movimento politico. Già, perché Prisciano, oltre a essere un carabiniere, è anche uno scrittore, laureato in scienze giuridiche della sicurezza all'Università di Tor Vergata a Roma con una tesi dal titolo «Multiculturalismo e islam, problemi e soluzioni». Esprime le proprie idee in veste di libero cittadino e non di carabiniere. Parla dell'integralismo dell'Islam, sostiene che non esistano musulmani moderati, afferma la necessità di interrompere i flussi migratori tra le coste del nord Africa e l'Italia. Apriti cielo. Il 25 giugno viene avviato il procedimento disciplinare e si richiede una visita medico-psicologica. Il 6 agosto, mentre era in Puglia in congedo parentale per problemi familiari, si svolge il processo in sua assenza. Risultato? L'Arma decide di punirlo, non solo per la partecipazione al convegno, ma anche per una serie di post su Facebook in cui esternava posizioni critiche in materia di islam e immigrazione. Sette giorni di rigore «per islamofobia, xenofobia, omofobia, violazioni dei doveri attinenti al grado ed al giuramento prestato e per aver inficiato l'apoliticità della Forza Armata». Inoltre a Prisciano vengono contestati altri addebiti per post sui social. In caso di ulteriore condanna, non potrebbe entrare in servizio permanente.
Ma non è la prima volta che cala la scure della censura.
Islam, il giovane scrittore Riccardo Prisciano censurato da Facebook, scrive “Imola Oggi” il 20 gennaio 2015. Il giovane poeta e scrittore Riccardo Prisciano, censurato da Facebook, non ci sta! È l’ennesimo atto di censura quello che Riccardo Prisciano, autore della raccolta di poesie “INSONNIA” e del poema biblico “L’Arcangelo crociato”, riceve da Facebook: ma questa volta non ci sta! La pagina pubblica Facebook del giovane autore è stata bloccata (dallo stesso sito) fino al 1° febbraio 2015, ma le motivazioni ancora non sembrano chiare …La storia ha dell’incredibile: dopo la macabra strage consumatasi a Parigi qualche giorno fa, ad opera di terroristi islamici, il poeta Prisciano ha pubblicato sulla sua pagina facebook alcuni commenti, correlati da apposite immagini, che hanno scatenato l’ira dei sostenitori del melting-pot. La scintilla che ha fatto scatenare la raffica di segnalazioni a Facebook, sembrerebbe essere un post in cui il giovane scrittore, citando preventivamente Oriana Fallaci, ha scritto “La paura di camminare a schiena dritta è, oggi, la vera causa del declino della millenaria società cristiana europea. Ricordare le proprie radici è il principale dovere di ogni europeo (cristiano e non)”. In conclusione l’autore, conscio dell’inesistenza di un Islam moderato, afferma ancora una volta: “se per un Cristiano è doveroso seguire il messaggio d’amore del Messia, per il musulmano è doveroso seguire il messaggio di morte di Maometto”. Immediate le condivisioni del post ma anche, di contro, le segnalazioni a Facebook. L’intento dei segnalatori sembrerebbe essere quello di bloccare, almeno per un po’, il giovane autore che, quotidianamente, sveglia le coscienze attraverso la sua pagina. MA RICCARDO PRISCIANO NON CI STA! Ed ecco che con l’ultimo post spiega i motivi giuridici ed etico-legali, secondo i quali, “L’Islam non è Costituzionale!”; una vera e propria scintilla che presto scatenerà chissà quali reazioni.
Facebook ha riservato lo stesso trattamento all’avv. Mirko Giangrande, chiudendogli la sua pagina “Azione Liberale”.
Riccardo Prisciano: l’Islam come il nazismo, scrive Gian Giacomo William Faillace su “Milano Post” del 14 giugno 2015. Riccardo Prisciano, scrittore politicamente scorretto, vicino a posizioni ideologiche patriottiche e sovraniste, ha esordito con “Insonnia”, una raccolta di poesie romantico-decadentiste e successivamente con il poema biblico “L’Arcangelo crociato” in cui narra, con stile dantesco a metrica libera, le vicende dell’Arcangelo Uriel. Politicamente impegnato, Riccardo Prisciano, è in procinto di pubblicare il suo terzo libro: con la prefazione del noto giornalista Magdi Allam, con cui Prisciano intrattiene ottimi rapporti amichevoli, sarà un saggio di diritto in cui tratterà l’incostituzionalità dell’Islam. Con parole semplici effettuerà dei parallelismi tra la fede musulmana e l’ideologia nazista, sfociando nella proposta di un disegno di legge che annoveri il reato di apologia dell’Islam. Partendo dal tema della “tolleranza” sul quale molti filosofi hanno scritto e disquisito, Prisciano prende in esame la citazione del filosofo austriaco, naturalizzato britannico, Karl Raimund Popper il quale trattò innumerevoli volte, in seno alla sua teoria di “società aperta” le problematiche inerenti alla tolleranza arrivando a sostenere che “La tolleranza illimitata porta alla scomparsa della tolleranza. Se estendiamo l’illimitata tolleranza anche a coloro che sono intolleranti, se non siamo disposti a difendere una società tollerante contro gli attacchi degli intolleranti, allora i tolleranti saranno distrutti e la tolleranza con essi” oltre ad asserire che “Dovremmo rivendicare, nel nome della tolleranza, il diritto a non tollerare gli intolleranti”. A queste teorie fecero eco anche lo scrittore tedesco Thomas Mann il quale sostenne che “La tolleranza diventa un crimine quando si applica al male” ed il giurista statunitense Joseph Halevi Horowitz Weiler il quale sostenne che “Il messaggio di tolleranza verso l’altro non deve essere tradotto in un messaggio di intolleranza verso la propria identità”; un tema molto attuale soprattutto nella moderna “società” europea, ed italica in prevalenza, in cui in nome della tolleranza verso la teocrazia islamica si tende ad odiare le proprie origini culturali, storiche e religiose. Persino Voltaire, uno dei maggiori Lumi del Settecento, nel suo “Trattato sulla tolleranza” pur cercando di aprire la società ad una sorta di pluralità di religioni, e perché no, ad una pluralità di dottrine politiche, col suo grido “Esacrez l’infame” (Schiacciate l’infame) incita quell’umanità illuminata a lottare con tutte le forze della propria ragione e della propria morale contro il fanatismo intollerante tipico della religione confessionale qualsiasi essa sia, incita ogni uomo di buona volontà a lottare per la tolleranza e la giustizia. Pertanto, alla domanda “Cosa intende per apologia dell’Islam” Prisciano, prontamente risponde:” In considerazione di ciò che sostenne l’Ayatollah Khomeini, ossia che l’Islam è politica altrimenti non è Islam, dobbiamo trovare gli strumenti idonei per trattare questa dottrina violenta in quanto l’Islam non può essere considerata una religione, nel senso “occidentale” del termine. Un Islam che punta al potere deve essere arginato secondo quello che Popper definiva come un dovere della democrazia. Quindi ecco il reato di apologia, in Italia, con la legge Scelba, previsto per il Fascismo. Con tale legge si tutela la manifestazione privata ma non pubblica di alcune correnti di pensiero. Nel mio prossimo libro citerò questo paragone facendo dei parallelismi tra l’ideologia nazista e la dottrina islamica; parlando di apologia non voglio mettere al bando l’Islam: ognuno in privato potrà essere fedele alla sua fede vietando però le sue manifestazioni pubbliche”.
Lo scrittore Riccardo Prisciano sfida Khalid Chaouki: - “Io sono pronto" …”, scrive Riccardo Ghezzi, il 11 agosto 2015.
Riccardo Prisciano, il tuo prossimo libro in uscita ad ottobre paragona l’Islam al Nazismo. Puoi spiegarci in breve di cosa si tratta?
«Quando si parla di terrorismo islamico, non si parla di “antico folklore”; è, piuttosto, qualcosa di concreto e spaventosamente vicino, come hanno dimostrato numerosi fatti di cronaca, anche in Italia. Non è comprensibile, altresì, come, proprio le frange anticlericali che, da sempre, si sono battute contro la Chiesa Cattolica (incriminando, quasi, le religioni di “incatenare” l’uomo) siano, ora, così rispettose e tolleranti verso comportamenti barbari e sanguinari, predicati in nome dell’Islam. Incredibilmente, la stessa pubblica opinione, che si discosta dall’osteggiare ideologie violente e razziste, non si rende conto di quanto, l’Islam, in certi suoi aspetti, non si discosti molto da queste dottrine».
Perché allora questa difformità di trattamento?
«Anche lo scrittore tedesco Thomas Mann sosteneva che “la tolleranza diventa un crimine quando si applica al male”, addirittura il giurista statunitense Joseph Halevi Horowitz Weiler sostenne che “il messaggio di tolleranza verso l’altro non deve essere tradotto in un messaggio di intolleranza verso la propria identità”; un tema molto attuale soprattutto nella moderna “società” europea, ed italica in prevalenza, in cui in nome della tolleranza verso la teocrazia islamica si tende ad odiare le proprie origini culturali, storiche e religiose. Tale totalitarismo, ammantato da pretesti religiosi ed etici e che, dietro una parvenza di spiritualità, trasudano un’alcova ideologica tra le più intolleranti del mondo, è di gran lunga peggiore di qualunque totalitarismo politico. L’Islam è anche, e forse soprattutto, un’ideologia, come ci tenne a precisare l’Ayatollah Khomeini, uno dei più autorevoli pensatori musulmani: “L’Islam o è politica, o non è nulla!” L’Islam è un’ideologia politica che, ancora oggi, si serve della religione come strumento di potere; o, se volessimo intenderla come religione, non possiamo non rilevare che tale religione, sfruttando la spiritualità umana, si pone il preciso obiettivo d’espandere il proprio potere politico. Se, giustamente, intendessimo l’Islam come una dottrina politica, e non già come una mera fede religiosa, sarebbe doveroso chiedersi per quanto ancora si potrà permettere che, nella civile e democratica Europa, si predichi l’odio religioso, l’intolleranza e la disuguaglianza tra i sessi o tra gli appartenenti a diverse religioni, senza andare a vietare le organizzazioni islamiche, che si ispirano ad una dottrina di gran lunga più totalitaria e intollerante del Nazismo stesso. Non a caso Al-Husayni fu l’assoluto protagonista della nascita del moderno fondamentalismo islamico e della lotta armata (’intifadah) contro gli ebrei, condotta oggi da numerose organizzazioni terroristiche islamiche. Egli fu un visionario crudele che in nome del nazionalismo arabo e dell’antisemitismo strinse un’alleanza tattica con il nazismo, in forza della quale 100.000 musulmani combatterono come volontari nelle divisioni tedesche. Fu tra i più accesi sostenitori della Soluzione Finale, si macchiò direttamente di atti feroci quale il sabotaggio dei negoziati tra i nazisti e gli Alleati, per la liberazione di prigionieri tedeschi in cambio della fuga verso la Palestina di 4000 bambini ebrei, destinati alle camere a gas. Dopo la guerra, scampato a Norimberga, al-Husayni si divise tra l’Egitto, dove rinsaldò i rapporti con Sayyid Qutb e Hasan al-Bannah, rispettivamente il teorico e il fondatore dei Fratelli musulmani, e Beirut, dove pose sotto la sua ala protettiva un giovane che negli anni successivi diventerà un protagonista della politica mediorientale: Yasir ‘Arafat».
La prefazione sarà curata da Magdi Allam. Come è avvenuto l’incontro con lui?
«La Stima che mi avvicina al grande Magdi Cristiano Allam è profonda. Il nostro incontro “fatale” è stato lo scorso 7 giugno 2015, in quel di Milano, durante un incontro-dibattito politico-culturale organizzato dal Fronte Nazionale per l’Italia (il nuovo partito “nato dal basso” che, democraticamente, sta andando a colmare quel vuoto elettorale equiparabile, a detta dei sondaggi, al 60% degli aventi diritto). È stato “amore a prima vista”: l’unità d’intenti e d’ideali è stata tale che, già dopo pochi minuti, Magdi mi aveva già assicurato la prefazione per il mio prossimo saggio».
Nel saggio, definisci l’Islam “Incostituzionale”. È una dichiarazione forte, ma da quali elementi normativi è suffragata questa tua affermazione?
«Oggi, assistiamo sovente ad una visione della Costituzione italiana, come nominata a sostegno della laicità dello Stato, incredibilmente, però, questo accade solo in funzione anticristiana. L’Islam è anticostituzionale perché predica concetti ed ideologie contrari ai principi costituzionali fondamentali, in tema di rispetto per la vita ed uguaglianza tra le persone (anticostituzionalità sostanziale); nonché per la mancanza d’Intesa tra Stato italiano ed Islam (anticostituzionalità normativa). Ecco alcuni esempi pratici, puramente a titolo esemplificativo, di altri articoli (oltre all’ormai noto art.8) della Costituzione che, più nello specifico, sono in netto contrasto con l’Islam:
– Art. 2 Cost: “… i diritti inviolabili dell’uomo …”, che sono totalmente diversi nella religione islamica, tanto da aver creato una propria carta, la Dichiarazione islamica dei diritti dell’uomo, proclamata il sabato 19 settembre 1981 presso l’UNESCO a Parigi.
– Art. 3 Cost: “pari dignità sociale … senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione”; nel Corano, invece, è sancita la superiorità dell’uomo sulla donna e del musulmano sul non-musulmano.
– Art. 13 Cost: “La libertà personale è inviolabile, può essere limitata solo con atto motivato dell’Autorità Giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge . …” ; nella Dichiarazione islamica dei diritti dell’uomo, invece, la libertà individuale viene subordinata alla shari’a.
– Art. 27 Cost: “Non è ammessa la pena di morte …” ; nell’Islam, invece, è imposta per apostati, adulteri ed omosessuali; tale imposizione, mai messa in discussione da nessun organo dirigente islamico, è confermata da tutte e quattro le scuole coraniche e, pertanto, attendibile;
– Art. 29 co. 2 Cost: “Il matrimonio è ordinato sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi”;
– Art. 30 co. 1 Cost: “il dovere-diritto di entrambi i coniugi di educare i figli..”;
– Art. 30 co. 3 Cost: “per la tutela dei figli naturali”.
Oltre al contrasto con dette norme fondamentali della Costituzione, vi è un altro duplice problema, certamente, non meno rilevante, riguardante la legittimità e la gerarchia delle fonti, in quanto la Shari’a funge da “legge” per i mussulmani, a prescindere dalla loro nazionalità».
Riccardo Prisciano contestato a Avetrana. Il suo Nazislamismo non piace a…, scrive il 10 luglio 2016 Silvia Cirocchi su “Blitz Quotidiano”. Scontro per fortuna solo verbale fra il maresciallo dei carabinieri Riccardo Prisciano, sostenitore della tesi che l’Islam è anticostituzionale e un gruppo di giovani che contestavano le sue tesi e il suo ultimo libro, “Nazislamismo”. Il vivace confronto è avvenuto nel corso della presentazione di “Nazislamismo” a Avetrana, città in provincia di Taranto diventata nota in Italia per il delitto e la morte misteriosa di Sarah Scazzi. La serata era intitolata “Estate d’autore, fra parole, poesie e pensieri”, organizzata da una associazione locale; tre in tutto erano i libri di cui si discuteva. Il pubblico era foltissimo visto l’interesse, com’è chiaro, per l’argomento trattato: l’islam. La tesi dominante del libro di Riccardo Prisciano è: inconciliabilità tra Occidente e mondo mussulmano, non scindibilità fra politica e religione islamica, inesistenza di un islam moderato. Al termine della presentazione, però, Prisciano è stato attaccato ed offeso da estremisti locali, filoislamici e, si presume, di “sinistra”; Prisciano ha reagito con molto autocontrollo e, grazie all’aplomb di Prisciano, i toni accesi si sono avuti esclusivamente a senso unico. I contestatori non apprezzavano l’opera di Prisciano, definendola “volgare e razzista”, pur dichiarando di non averla “mai letta ed [essere] intenzionati a non volerla leggere”. Pregiudizi, insomma; come hanno affermato gli stessi contestatori, dichiarando di avere dei “pregiudizi” nei confronti dello scrittore anti-islam. E, rivolgendosi agli organizzatori dell’evento culturale, si sono proclamati “delusi dalla serata”. Tra le gravi accuse rivolte allo scrittore Prisciano, quella di “essere la causa, insieme a Salvini e Giorgia Meloni, dell’omicidio di Fermo”. I toni erano diventati talmente accesi che, per evitare che si passasse dagli insulti a modi più diretti, il vicesindaco di Avetrana è intervenuto, smorzando le proteste ed elogiando il coraggio del Dott. Prisciano, che continua a dire che l’Islam è incostituzionale.
Al termine della presentazione, un gruppo di dissidenti, estremisti filo islamici, hanno iniziato a contestare e protestare, criticando l’opera di Prisciano, senza neppure conoscerne il contenuto e soprattutto senza volerli conoscere, scrive Giovanna Rispoli su “News 24 oggi”. Un duro attacco dai toni estremamente volgari ed offensivi, come abitudine di questi gruppi disagiati sociali. Volano parole pesanti ed offensive, oltre ogni limite, ma l’aggressione verbale è a senso unico. Infatti il Dr. Prisciano ha reagito in completo autocontrollo, facendo innervosire ancor di più i contestatori. Purtroppo queste volgarità ed offese erano talmente pesanti, che molti partecipanti si sono allontanati indignandosi. Gli estremisti di sinistra, non apprezzano l’opera, la reputano offensiva, volgare e razzista, ma assurdità della cosa, dichiarano apertamente: “Non conosciamo quest’opera e non abbiamo intenzione di conoscerla, i nostri occhi mai leggeranno queste righe di propaganda razzista”. Parole che dimostrano senza ombra di dubbio quali siano le facoltà dei contestatori, aggrappati ad ideali pre-confezionati, senza utilizzare il minimo di materia grigia.
Pier Francesco Galati, uno dei contestatori, insieme al padre Franco Galati già giorni prima, sulla sua pagina facebook, aveva prima citato e poi dichiarato: «“Odio gli indifferenti...credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti...” - Antonio Gramsci - non mi vergogno a dire che se verrà data la possibilità di presentare libri che incitano alla violenza e all'odio razziale, episodi come quello di Fermo saranno sempre più frequenti...Perciò ribadisco la mia rabbia e la mia delusione per il fatto che un libro, intitolato "Nazislamismo" venga presentato nel mio paese. Educhiamo alla multietnicità, all'uguaglianza, al rispetto e a credere che nonostante tutto possa esserci un mondo migliore e più giusto...Come diceva il buon Vittorio Arrigoni: “Restiamo UMANI...”» Ed a seguire i soli commenti dei soliti ignoranti…Altra considerazione è riportata sulla pagina facebook di Milvia Renna, madre e moglie dei contestatori: «CONSIDERAZIONI IN MERITO ALLA PRESENTAZIONE DEL LIBRO "NAZISLAMISMO". Credo sia doveroso a questo punto, visti i commenti astiosi su fb e gli articoli pretestuosi, fare alcune considerazioni personali sulla presentazione del libro ''nazislamismo''. In democrazia ognuno può scrivere e pubblicare ciò che vuole, ma credo che un libro che criminalizza un intero popolo, un'intera civiltà e un intero credo vada in direzione opposta a quelli che sono i valori della solidarietà, della pace e della convivenza tra gli uomini ed è questo il messaggio che è stato lanciato in maniera corretta agli organizzatori della serata, da chi è intervenuto per esprimere la propria opinione. Come insegnante non capisco come un'associazione culturale che più volte ha chiesto la collaborazione della SCUOLA per diffondere i valori del ''rispetto'' abbia pensato di presentare un libro che col suo messaggio, andava in direzione completamente differente...e lo dimostrano i toni volutamente accesi e i commenti di chi non era neanche presente alla serata, nel giudicare la spontanea obiezione di chi crede nei valori dell'umanità e della comunione tra i popoli ..Qualcuno obietterà che in democrazia tutto è possibile...ma credo che per il suo contenuto, un libro simile andasse presentato in altre sedi e non in una serata culturale, offerta all'intera comunità di cui fanno parte da anni cittadini di religione islamica. In un articolo apparso in rete, leggo di aggressioni verbali all'autore ...di accuse di razzismo...E' stato solo affermato che messaggi simili...possono acuire i sentimenti di avversione per un popolo, in un determinato e delicato contesto storico come quello che si sta vivendo oggi...Leggo che è stato addirittura reso necessario l'intervento del vicesindaco per smorzare i toni della protesta..., preciso che gli interventi sono stati fatti da un giovane studente e da un serio professionista, a differenza di ciò che è scritto...Ma quali toni avrebbe dovuto placare il vicesindaco? Ho solo ascoltato la sua condivisione ai contenuti espressi nel libro...che poteva pure fare da esponente, però, politico di un partito...ma quella sera lui rappresentava l'Istituzione...e sorge spontaneo chiedermi se le parole, espresse in occasioni di manifestazioni scolastiche organizzate all'insegna della solidarietà tra i popoli fossero davvero autentiche ...Non condividere un'idea o come essa venga presentata non significa ''aggredire''...Nessuno lo ha fatto, nè lo ha mai fatto!!! E mi rammarica aver sentito dire alla fine della serata, dallo stesso autore di aver raggiunto il suo obiettivo, cioè: quello di INDIGNARE. Forse sarebbe opportuno che l'organizzatore della serata facesse chiarezza, nel rispetto della verità!!! Ciò che leggo in questi giorni mi convince sempre più, che spesso volutamente, si scelgono le strade della non condivisione pacifica, della polemica a tutti i costi, dell'odio e soprattutto della distorsione della realtà... e come educatrice provo solo una grande delusione...e una grande amarezza...»
Intanto, sul suo profilo facebook, domenica Prisciano ha pubblicato: Splendida serata ieri sera ad Avetrana (TA), per la presentazione di “Nazislamismo”. Ringrazio gli organizzatori, le Autorità locali intervenute, il folto pubblico presente, ma soprattutto ringrazio quegli estremisti di sinistra che mi hanno offeso e calunniato: hanno confermato ancor di più che noi siamo dalla parte giusta, quella della Libertà. E per Essa sempre ci batteremo. #noinonindietreggiamo.
Oriana Fallaci, ex partigiana, ha combattuto l’Islam esattamente come combatteva il nazifascismo. Eppure, dalla sinistra è stata considerata una “traditrice”. Come si può spiegare l’antifascismo abbinato al filoislamismo della sinistra?
«La grande Oriana, che nel saggio in questione chiude con le sue citazioni ogni capitolo, è quasi da ringraziare per le grandi verità che tramandò a noi (oggi come ieri) poveri buonisti. Mi trovo perfettamente d’accordo con la Fallaci (e con i grandi autori citati poco fa): bisogna svegliarsi e rendersi conto che la nostra utopia (o quella di qualcuno …) ci farà ritrovare molto presto in una guerra dove non saremo padroni a casa nostra. La tolleranza è la base della democrazia; tuttavia, essa non deve mai tradursi nel buonismo relativista radical-chic, tipico della Sinistra Italiana di oggi. Aristotele diceva che “l’apatia e la tolleranza sono le ultime virtù di una società morente”. L’integrazione va bene, purché sia tale, ma ad oggi mi sembra che questa volontà non si sia mai palesata. “Integrazione” vuol dire adattarsi alle regole del Paese ospitante. Pericle (il “Padre della Democrazia”) se fosse vissuto ai nostri giorni si sarebbe sentito chiamare “razzista”, “xenofobo”, “omofobo” finanche “islamofobo”. La Sinistra italiana, tanto brava a sventolar bandiere rosse in piazza a difesa della libertà, non è capace di capire che l’Islam ne è oggi la più grande minaccia. Questo discorso è da farsi nei confronti dei “militanti” della Sinistra italiana; per i vertici, ci sono ben altri interessi dietro … ma questo è un altro discorso».
Esiste un pericolo terrorismo in Italia, oltre che in Europa?
«Ovvio! I numerosi arresti, le iscrizioni nel registro degli indagati nelle varie Procure italiane, nonché i bigliettini dell’Isis che girano sornioni e spaventosi su facebook, parlano chiaro. Smettiamola di dire “io conosco tizio che è mussulmano ed è una bravissima persona”: non si può (e non si deve) ragionare sulle eccezioni, soprattutto dinanzi a simili pericoli. Se ancora qualcuno si ostina a dire che non tutti i mussulmani sono terroristi, certamente dovranno darmi atto che, quantomeno, tutti i terroristi sono islamici».
Sarebbe pronto e disponibile ad un dibattito con Khalid Chaouki del PD?
Io sì … non so lui, semmai!»
Ed ancora Rita Rinaldi, soubrette e cantante o i duo artistico musicale Mimma e Giusy Giannini (in arte Emme e gy) con Miriana Minonne e Valentina Iaia (in arte Miry e Viky). Ed ancora Vito Mancini, concorrente del Grande Fratello 12. E tanti altri talenti ancora. Ma di questo i media ignoranti ed in malafede non ne parlano.
Marina Erroi, 15enne di Avetrana, si aggiudica un contratto discografico con la MM Line Production Records, scrive il 17 gennaio 2018 La voce di Maruggio. Il 14 gennaio scorso si è svolta, presso la discoteca Odissea a Spresiano in Veneto, la finale della seconda edizione del RISING VOICE ARTIST l’ambizioso progetto ideato dall’esperienza e le capacità artistiche della Project Manager Maria Totaro in collaborazione di grandi autori e artisti del mondo discografico nazionale. La giuria composta da Umberto Labozzetta, esperto di strategie, comunicazione aziendali, dalla Project Manager Maria Totaro, da Antony & Vittorio Conte cantanti e autori premiati e dalla cantante Giada Pilloni reduce del successo di Amici edizione 2017.
Maria Totaro di Avetrana, sposata con l’avetranese Luigi Conte, con cui ha avuto i figli Anthony & Vittorio Conte.
Progetto Emergenti nel mondo della musica, Maria Totaro si racconta “ho Maruggio nel cuore”, scrive Fernando Filomena il 19 febbraio 2017 su La Voce di Maruggio. Si chiama Maria Totaro, cresciuta a Maruggio nei vicoli del centro storico, i genitori emigrati alla fine degli anni ’60 in Germania poi trasferiti nella vicina Avetrana. Maria Totaro nota nel mondo artistico come Talent Scout e produttrice discografica della nota casa di produzione MM LINE PRODUCTION RECORDS. Abbiamo raggiunto Maria Totaro, che si è raccontata esponendo questa bella realtà e raccontandoci brevemente del suo legame con Maruggio.
D. Buongiorno Maria, ci puoi raccontare brevemente la tua infanzia trascorsa a Maruggio?
R. I miei genitori giovanissimi emigrarono in Germania, dopo pochi mesi dalla mia nascita furono costretti a prendere una decisione. Lavoravano tutto il giorno ed erano costretti a tenermi in un asilo nido. Poco dopo decisero che i miei nonni e i miei zii si sarebbero presi cura di me.
D. Cosa ricordi in particolare?
R. I vecchi vicoli di Maruggio furono la mia casa tra il profumo delle reti di mare, io nipote di un pescatore e figlia di tante mamme. La povertà era la mia ricchezza perché la povertà ti dà il coraggio di voler raggiungere dei sogni.
D. Come mai questa passione per la musica.
R. La musica era il mio sogno che si spezzò con la scomparsa di mio cugino/fratello cresciuti insieme, Emanuele De Pace, scomparso a soli 23 anni… fu un grande dolore per me.
Abbandonai il paese, a 15 anni, dopo la sua morte tenendo nel cuore “Le Stelle del Sud”.
Giurai a me stessa che avrei portato io avanti il suo sogno…, ed eccomi qui obbiettivo quasi raggiunto, a lui e per lui… per il “mio” Emanuele e per la sua bellissima voce.
D. Emozionante quello che ci hai raccontato, quanto ti manca Maruggio?
R. – Tanto tantissimo, ho Maruggio nel cuore, a breve gireremo un video in quei vicoli raccontando in una canzone inedita scritta dal mio artista, il cantautore Vittorio Conte e dal suo produttore Piero Calabrese scomparso nove mesi fa. Il testo lo ha scritto lui. Piero è stato produttore di Marco Mengoni, Alex Baroni e Giorgia. Sarà un regalo per Maruggio, vorrei coinvolgere il paese.
Grazie Maria, arrivederci nella nostra Maruggio.
Cos’è MM LINE. Maria spiega, la mia non è soltanto un’etichetta, ma soprattutto una accademia ad alta formazione per lo spettacolo. “Noi cresciamo i nostri allievi”. La MM LINE si avvale della grande esperienza e creatività di grandi e famosi professionisti del settore, fondata dalla produttrice discografica Maria Totaro dai suoi figli, artisti, compositori, autori e produttori artistici, Anthony e Vittorio Conte.
Insieme hanno dato vita ad un grande progetto, il “Song Lab Italy”. Il campus MM LINE ogni mese ospita nella bellissima sede nel trevigiano 20 artisti. I ragazzi vengono oltre ad essere seguiti nella scrittura dei pezzi, vengono seguiti anche vocalmente da Fulvio Tomaino, noto Vocal coach, corista RAI e Direttore circuito scuole “La Voce”. Una volta all’anno la MM LINE tiene un grande incontro discografico dove Maria Totaro ospita i dirigenti delle più importanti Major discografiche e direttori artistici delle radio più importanti al livello nazionale. Nel Master Discografico, nel mese di maggio, a fine anno accademico, tutti gli allievi vengono ascoltati dalle major discografiche e dagli A&R della Radiofonia Italiana. Gli allievi, attraverso un percorso formativo di laboratori incentrati sul “Song Writing” per la scrittura della musica e del testo e i laboratori di “Stile e Tecnica Vocale” arrivano a concretizzare un progetto proprio e autentico, fatto di grande personalità. La MM LINE prepara ogni artista al campo di battaglia che è il settore discografico, quindi diciamo che questa realtà è una specie di esercito militare che istruisce e prepara i ragazzi ad un tipo di lavoro e settore che non hanno mai affrontato in vita loro Grandi risultati già da quest’anno con la nascita di preziosissimi inediti, scritti dai ragazzi da soli e più mani, nel segno del grande senso collaborativo necessario in ogni progetto musicale. Maria Totaro, manager della MMLINEPRODUCTION, main brain di tutto il concept artistico, ne decide la scelta, la realizzazione e l’uscita, avvalendosi della struttura promozionale della sua stessa società e di un pool esterno di collaboratori, per la miglior diffusione su tutte le piattaforme digitali, comunicazione stampa e web. Inoltre i ragazzi più pronti firmano un contratto discografico è iniziano un percorso di produzione con la MM LINE PRODUCTION RECORDS che sotto la supervisione e la parte esecutiva della loro produttrice iniziano a fare i primi passi nella discografia. Attualmente Thomas, uno degli artisti firmati sotto produzione discografica dalla MMLINE è nel programma di AMICI di Maria De Filippi. Fernando Filomena
Talenti di Avetrana nel panorama discografico nazionale. I due cantautori avetranesi si sono affidati per la produzione di questo primo singolo al produttore, compositore e polistrumentista Leo Ferrara, anche lui di Avetrana, scrive giovedì 03 agosto 2017 La Voce di Manduria. In veste di autori hanno già portato a casa un disco d’oro grazie ai brani composti per Thomas di Amici, ora Anthony e Vittorio Conte entrambi di Avetrana, debuttano con il loro primo singolo intitolato “Faccio senza di te” in uscita il 28 luglio con distribuzione Warner Music Italia. I due cantautori avetranesi si sono affidati per la produzione di questo primo singolo al produttore, compositore e polistrumentista Leo Ferrara, anche lui di Avetrana, che dopo innumerevoli collaborazioni con importanti artisti all’estero, ha deciso con entusiasmo di mettere a disposizione la sua indiscussa professionalità in questo progetto.
Ecco come descrivono la canzone. “Faccio senza di te è un brano ibrido che unisce il pop ad alcune sfumature della musica rap. Nella canzone si nascondono dei messaggi che raccontano tra parole e immagini i viaggi mentali che un semplice essere umano, quando sta soffrendo per amore, riesce a compiere arrivando al punto di riuscire a distorcere la realtà dividendosi in tre parti: quella artistica, che può dare il via alle nostre paure ed illusioni, quella distratta ed offuscata dalle sensazioni positive e, infine, quella frustrata e consapevole che a volte è troppo tardi per scappare o reagire alla tentazioni”. Faccio senza di teesce con distribuzione Warner Music Italia e sotto la supervisione del produttore esecutivo del progetto, Maria Totaro originaria di Avetrana per MM Line Production
Anthony & Vittorio Conte: “Foglie Di Un Tempo” è il nuovo singolo e video, scrive il 7 aprile 2018 La Voce di Maruggio". Dalla metà di marzo 2018 è in rotazione radiofonica “FOGLIE DI UN TEMPO” (MM LineProduction Records / Universal Music Italia), nuovo singolo dei cantautori ANTHONY & VITTORIO CONTE estratto dall’album d’esordio in uscita in primavera. “FOGLIE DI UN TEMPO”, scritto e composto interamente dagli stessi Anthony e Vittorio Conte, è un brano che attraverso un testo indiretto e non esplicito affronta una tematica particolarmente delicata: la violenza sui minori. I due autori raccontano infatti, ispirandosi ad una storia realmente accaduta ad una persona a loro cara, di un doloroso passato che nonostante lo scorrere del tempo non può essere dimenticato ma riaffiora quotidianamente, frammento dopo frammento. Il brano, prodotto e arrangiato da Alex Trecarichi, si caratterizza per una sonorità pop coinvolgente. «“Foglie di un tempo” è un brano tratto da una storia vera – raccontano Anthony e Vittorio Conte – abbiamo voluto parlare di un argomento controverso e delicato, come la violenza sui minori. Il nostro intento è stato quello di raccontare questa storia in maniera piuttosto particolare, ovvero attraverso due prospettive differenti: quella del carnefice e quella della vittima. Per chi subisce inevitabilmente il passato riemerge quotidianamente, si rimane intrappolati in un limbo. Anche quando pensi di aver superato quel momento, questo si ripresenta, attraverso i ricordi, facendoti rivivere tutto come un Déjà vu». Anthony e Vittorio Conte sono due fratelli, rispettivamente nati a Manduria (TA) e a Bordighera (IM), classe 1993 e1990 da genitori originari di Avetrana Dopo la pubblicazione di due album da parte di Vittorio, dai titoli “Sogno e realtà” (2008) e “Sono solo briciole” (2012), da circa due anni i fratelli Conte hanno deciso di formare un duo. Inizialmente per il progetto sono stati seguiti dal noto produttore discografico Piero Calabrese (produttore di artisti del calibro di Marco Mengoni, Giorgia, Alex Baroni). Oltre ad essere autori e compositori dei propri testi, Anthony e Vittorio hanno rispettivamente scritto e composto brani per altri artisti già conosciuti nel panorama discografico italiano, come ad esempio Thomas per l’album “Oggi più che mai” (distribuito da Warner Music Italy), pubblicato lo scorso maggio del 2017, disco d’oro in meno di due settimane e vincitore del Premio Lunezia. Il 28 luglio 2017 hanno pubblicato il loro primo singolo insieme, “Faccio senza di te”, brano distribuito da Warner Music Italy e che ha ottenuto in pochi giorni un numero piuttosto elevato di visualizzazioni. Attualmente Anthony e Vittorio Conte, seguiti dal produttore esecutivo e manager Maria Totaro dell’etichetta discografica MM LineProduction Records, stanno lavorando al loro album d’esordio, distribuito da Universal Music Italia, che da aprile è disponibile nei negozi tradizionali, in digital download e su tutte le piattaforme streaming.
Area Sanremo 2018: tra i finalisti Anthony & Vittorio Conte, con origini di Maruggio e Avetrana, scrive il 2 novembre 2018 "La Voce di Maruggio". Sono stati resi noti i finalisti di Area Sanremo 2018 Tim. I 225 artisti che saranno ascoltati l’8, 9 e 10 novembre prossimo dalla commissione artistica composta dal Presidente di Commissione Antonio Vandoni (Direttore artistico musicale di Radio Italia), Maestro Enzo Campagnoli (Direttore D’orchestra), Sergio Cerruti (Presidente dell’AFI), Michele Torpedine (Produttore), Gianni Testa (produttore discografico), Monia Russo (Cantante) e Maurillo Giordana (Dj radiofonico) nel ruolo di supplente. Il compito della commissione di Area Sanremo Tim sarà ora quello di individuare i 24 artisti da sottoporre al giudizio della Commissione Artistica del Festival di Sanremo che sceglierà chi entrerà nel cast di Sanremo Giovani 2019. Tra i concorrenti due volti e voci a noi familiari sono quelli dei fratelli Anthony & Vittorio Conte con sangue maruggese e avetranese. I due artisti presenteranno un brano indiretto ma profondo, dedicato ad un giovane maruggese scomparso in un incidente in moto molti anni fa, Emanuele De Pace, che aveva fondato un gruppo musicale “Le Stelle del Sud”. Il testo al momento è top secret, per motivi di regolamento non può essere reso noto. La primavera scorsa hanno inciso un disco Foglie di un tempo scritto e composto interamente dai fratelli Conte che, colpiti da una storia realmente accaduta ad una persona a loro molto cara, decidono di affrontare il tema delicato della violenza sui minori da un doppio punto di vista… quello della vittima e quello del carnefice. Quello che ne viene fuori è un testo indiretto, non esplicito, che mette al centro le sensazioni e i disagi che una violenza di questo tipo lascia su chi ne è vittima, un dolore che il tempo non può curare ma che quotidianamente riaffiora nella mente di chi questa violenza l’ha subita. “Foglie di un tempo è un brano tratto da una storia vera. Abbiamo voluto parlare di un argomento controverso e delicato, come la violenza sui minori. Il nostro intento è stato quello di raccontare questa storia in maniera piuttosto particolare, ovvero attraverso due prospettive differenti: quella del carnefice e quella della vittima. Per chi subisce inevitabilmente il passato riemerge quotidianamente, si rimane intrappolati in un limbo. Anche quando pensi di aver superato quel momento, questo si ripresenta, attraverso i ricordi, facendoti rivivere tutto come un Déjà vu. Per la realizzazione del video di “Foglie di un tempo” ci siamo lasciati ispirare dalle nostre sensazioni e dall’istinto per poter dar vita attraverso le immagini a tutto quello che le nostre menti avevano immaginato”.
Un colonnello della Guardia di Finanza giudicherà i giovani per Sanremo: è di Avetrana. Selezionerà la rosa dei 24 vincitori da sottoporre al giudizio della commissione Rai per l’ingresso ufficiale nel cast di Sanremo Giovani che quest’anno sarà affidato a Pippo Baudo e Fabio Rovazzi, scrive Nazareno Dinoi giovedì 08 novembre 2018 su La Voce di Manduria. E’ di Avetrana uno dei componenti della commissione da cui dipenderà il futuro artistico di tantissimi giovani cantanti che, provenienti da tutta Italia, aspirano a calcare il grande palco di Sanremo. Il colonnello Leonardo Laserra Ingrosso, direttore della banda musicale della Guardia di Finanza, farà parte della giuria di esperti che nel prossimo weekend selezionerà 225 finalisti di «Area Sanremo», il talent riservato alle giovani proposte con il sogno di partecipare al più importante festival della canzone italiana. Da oggi 8 novembre sino a sabato 10 compreso, l’ufficiale delle Fiamme Gialle occuperà la cattedra dei selezionatori assieme a Antonio Vandoni (direttore artistico musicale di Radio Italia), Enzo Campagnoli (direttore d’orchestra), Sergio Cerruti (presidente dell’Afi), Monia Russo (cantante), Gianni Testa (produttore discografico) e Maurilio Giordana (DJ radiofonico). I sei giurati selezioneranno la rosa dei 24 vincitori da sottoporre al giudizio della commissione Rai per l’ingresso ufficiale nel cast di Sanremo Giovani che quest’anno sarà affidato a Pippo Baudo e Fabio Rovazzi. A volere la presenza del colonnello avetranese nella città dei fiori, è stato direttamente il presidente della Fondazione Orchestra Sinfonica di Sanremo, Maurizio Caridi, che gli ha scritto personalmente una lettera. «Avendo urgente bisogno di una figura di comprovata capacità ed esperienza nel settore artistico musicale – si legge – e avendo Lei già in passato partecipato con notevole soddisfazione alle commissioni del concorso, avrei piacere di averLa come componente della stessa per la nostra importante fase finale». Il militare che vive a Roma ma che non ha mai sciolto i legami con la sua terra dove torna ogni volta che l’intensa attività istituzionale e artistica glielo consente, è un veterano delle selezioni. E’ stato giurato di importanti concorsi nazionali e internazionali tra i quali il Concorso Internazionale di Composizioni Originali per Banda di Novi Ligure e, dal 2004 al 2007, ha fatto parte della commissione di selezione dei candidati provenienti dall’Accademia della Canzone per lo stesso Festival di Sanremo. Nato ad Avetrana 55 anni fa, il colonnello Leonardo Laserra Ingrosso ha compiuto gli studi musicali contemporaneamente a quelli universitari diplomandosi in Musica Corale e Direzione di Coro presso il Conservatorio “Gioacchino Rossini” di Pesaro, in Composizione presso il Conservatorio “Niccolò Piccinni” di Bari, in Strumentazione per Banda e Direzione d’Orchestra presso il Conservatorio “Alfredo Casella” dell’Aquila. Dal 1991 al 1996 è stato docente di Composizione al Liceo Musicale “Giovanni Paisiello” di Taranto. Vincitore del Concorso Nazionale per l’insegnamento di Armonia e Contrappunto nei Conservatori di Musica di Stato, nel 2002 è diventato Maestro Direttore della Banda Musicale della Guardia di Finanza.
Avetranesi nel mondo: Maestro, Tenente Colonnello Leonardo Laserra Ingrosso, scrive il 21 maggio 2017 "La Voce di Maruggio". Leonardo Laserra Ingrosso, nato ad Avetrana, in provincia di Taranto, ha compiuto gli studi musicali contemporaneamente a quelli universitari, diplomandosi in Musica Corale e Direzione di Coro presso il Conservatorio “Gioacchino Rossini” di Pesaro, in Composizione presso il Conservatorio “Niccolò Piccinni” di Bari, in Strumentazione per Banda e Direzione d’Orchestra presso il Conservatorio “Alfredo Casella” dell’Aquila. Dal 1991 al 1996 è stato docente di Composizione al Liceo Musicale “Giovanni Paisiello” di Taranto e si è esibito più volte come direttore e pianista accompagnatore in formazioni musicali di vario tipo. Vincitore del Concorso Nazionale per l’insegnamento di Armonia e Contrappunto nei Conservatori di Musica di Stato, nel 2002 diventa Maestro Direttore della Banda Musicale della Guardia di Finanza. È regolarmente invitato come giurato a importanti concorsi nazionali e internazionali, tra cui il Concorso Internazionale di Composizioni Originali per Banda di Novi Ligure, e dal 2004 al 2007 ha fatto parte della commissione di selezione dei candidati provenienti dall’Accademia della Canzone per il Festival di Sanremo. Nel luglio 2006 ha eseguito una serie di concerti negli Stati Uniti come direttore ospite della Atlantic Brass Band del New Jersey. La Banda Musicale della Guardia di Finanza nasce ufficialmente nel 1926, riunendo in un’unica compagine strumentale le diverse fanfare che fin dal 1883 erano state istituite presso molti reparti del Corpo. Attualmente è un complesso artistico stabile composto da 102 elementi, provenienti dai diversi conservatori italiani e accuratamente selezionati tramite concorso nazionale. Durante la sua lunga e intensa attività concertistica, la Banda si è esibita presso le più prestigiose istituzioni musicali italiane, quali l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, la Scala di Milano, il San Carlo di Napoli, il Teatro dell’Opera di Roma, il Massimo di Palermo e la Fenice di Venezia. Storici i concerti che per anni ha tenuto nella basilica di Massenzio a Roma. Nel 2007 e nel 2008 le sue esibizioni sono state inserite nel cartellone del Festival verdiano di Parma. La Banda del Corpo ha più volte collaborato con alcune delle più affermate orchestre sinfoniche italiane e internazionali, come quella della RAI di Roma, quella del Maggio Musicale Fiorentino – con la quale nel 1991 si è esibita in mondovisione in un concerto diretto da Zubin Metha – e quella del Festival dei 2Mondi di Spoleto, con la quale, assieme al Coro di Washington, ha partecipato nel 1993 al concerto di chiusura del Festival – anch’esso trasmesso in mondovisione – sotto la direzione di Steven Mercurio. La Banda ha effettuato numerose e fortunate tournée all’estero, in Germania, Lussemburgo, Svizzera, Belgio e Francia. Nel 2001, 2002 e 2007 è stata invitata a New York in occasione delle celebrazioni per il Columbus Day, durante le quali, nel 2002, ha tenuto un applauditissimo concerto a Ground Zero, luogo simbolo della coscienza nazionale americana, nel quale fino ad allora si era esibita la sola Boston Symphony Orchestra. Nel novembre 2005 ha raccolto uno straordinario successo ad Abu Dhabi, negli Emirati Arabi Uniti, tenendo un concerto alla presenza delle più alte cariche dello Stato emiratino. Le doti di fusione, la qualità del suono e la sensibilità interpretativa rendono il Complesso uno dei più prestigiosi a livello internazionale e gli assicurano il costante successo di pubblico e di critica. Il suo vasto repertorio, comprendente brani originali e trascrizioni, spazia dalla musica antica a quella contemporanea e può considerarsi tra i più significativi e completi in materia. Dal 16 Aprile 2002, la Banda Musicale della Guardia di Finanza è diretta dal Maestro, Tenente Colonnello Leonardo Laserra Ingrosso.
Avetranesi nel Mondo: Leonardo Nigro, attore sempre più ricercato dai registi italiani ed esteri, scrive Salvatore Cosma il 19 maggio 2017 su La Voce di Maruggio. Un talento avetranese tra i personaggi del cinema italiano ed estero. E’ uno dei più ricercati attori della generazione più giovane. Leonardo Nigro, figlio di genitori immigrati a Zurigo, nato 43 anni fa ad Avetrana, paese che porta nel cuore, al quale sono legati i suoi ricordi più cari della sua infanzia, dove ci ritorna appena gli impegni di lavoro glielo consentono. “Ho la doppia cittadinanza italo-svizzera, – ci racconta l’attore – i miei sono emigrati da Avetrana negli anni sessanta a Zurigo, mia madre per il parto tornò ad Avetrana dove tra l’altro c’era mia sorella che viveva con i miei nonni. Dopo sei mesi – continua Leonardo – ci siamo trasferiti in Svizzera, dove ci aspettava mio padre che faceva il muratore”. Mi sento italiano anche se sono cresciuto in Svizzera.” La sua passione per il “mestiere” di attore nasce alla Missione Cattolica Italiana di Zurigo, ancora piccolo all’età di cinque anni, ha iniziato a recitare imparando i testi con l’aiuto della mamma. Dopo la maturità ha frequentato le scuole di recitazione a Berlino per cinque anni e nel 2005 è rientrato a Zurigo. “Quando mi propongono un nuovo personaggio, – racconta l’artista – credo che la base di tutto sia la sceneggiatura: se leggendola ho delle immagini ben precise di come dovrò recitarlo significa che sono sulla strada giusta.” L’attore ha calcato le scene teatrali di Basilea, Berlino, Amburgo e Dresda. Ha interpretato ruoli importanti, in sceneggiati televisivi e opere cinematografiche sia in lingua tedesca che italiana. Ha anche rivestito il ruolo di Antonio da giovane, personaggio interpretato da Lino Banfi, nel film Italo-tedesco “Maria, ihm schmeckt’s nicht!” (Indovina chi sposa mia figlia!), commedia del 2009 diretta da Neele Vollmar e mandata in onda su Rete 4 di Mediaset lo scorso giugno. Ultimo, nel personaggio di Fantinari nel film-commedia di Antonio Morabito “Rimetti a noi i nostri debiti” al fianco di Claudio Santamaria, Marco Giallini, Jerzy Stuhr, Flonja Kodheli, Agnieszka Zulewska. Leonardo che ha ricevuto diversi premi tra cui “il Salento Award” nel 2012, per lui che si definisce salentino doc è un importante riconoscimento dato dalla sua Terra natale. Al suo attivo una importante nomination nel 2016 al Swiss Film Award 2016: «Miglior attore non protagonista». Per il suo ruolo di padre disoccupato in ORO VERDE, Leonardo Nigro ha vinto il Premio del film della televisione svizzera Swissperform come miglior attore non protagonista. “Leonardo Nigro esplora in modo convincente ma anche pieno di humour la difficile situazione di un padre di famiglia divorziato e disoccupato che si arrabatta come può per soddisfare tutti.” Nel 2009 è Igor in “Sinestesia” di Erik Bernasconi, per la cui interpretazione riceve numerosi riconoscimenti. Leonardo Nigro vanta esperienze cinematografiche anche in Italia con i “Big” del nostro cinema tra cui Lino Banfi, Alessio Boni, Marco Giallini e Claudio Santamaria, ma siamo convinti che presto lo vedremo alle prese con nuovi personaggi con l’orgoglio fiero e la passione della terra natia: Avetrana.
Avvocato di Avetrana è Maria Pia Scarciglia, figlia di Giuseppe (Pino) Scarciglia, noto attivista socialista locale e noto come consigliere ed assessore comunale, oltre che promotore del comitato no depuratore Ulmo.
Giovedì 12 Maggio 2016 dal palco del Primo Maggio a Taranto Maria Pia Scarciglia, presidente di Antigone Puglia, è intervenuta parlando di carceri (e non solo). Lei che ne conosce bene l’aspetto sociale, avendo subite dolorose traversie.
Centro sociale perquisito. Due arresti, scrive Venerdì, 26/05/2006 da Bologna Il Giornale. Due arresti e quattro denunce, insieme al sequestro di diverse sostanze stupefacenti: hashish, marijuana, ecstasy e altre droghe sintetiche. È questo il bilancio delle perquisizioni effettuate ieri dai carabinieri di Bologna, e disposte dal pm Paolo Giovagnoli, nelle due sedi Livello 57, il centro sociale che organizza la Street Rave Parade: la parata antiproibizionista al centro delle polemiche che dovrebbe svolgersi a Bologna il primo luglio. In manette sono finiti il 30enne Sebastien Gianoglio, francese ma domiciliato a Bologna, trovato «in possesso di 10 pastiglie di ecstasy e di munizionamento per armi da guerra e comuni da sparo» e la 32enne Maria Pia Scarciglia, patrocinatore legale nata a Taranto ma residente a Bologna, «trovata in possesso di circa 514 grammi di hashish». Sequestrati inoltre 14 personal computer, «tuttora all'esame degli inquirenti». Denunciate, inoltre, altre quattro persone, trovate in possesso di sostanze stupefacenti. Il blitz era scattato in mattinata dopo che le indagini condotte nei mesi scorsi avevano portato alla luce «l'illecita diffusione, lo spaccio e l'uso di droghe all'interno dei locali del Livello 57», vendute «in occasione di spettacoli, feste e raduni ad avventori occasionali ed abituali». In questi giorni, tra il centro sociale e l'amministrazione comunale, è in corso un duro braccio di ferro proprio sulla parata antiproibizionista del primo luglio, che il sindaco di Bologna Sergio Cofferati vorrebbe «stanziale» per evitare danni alla città e lamentele dei cittadini.
Droga in centro sociale, giovane condannata a 2 anni e 8 mesi, scrive il 6 giugno 2006 Romagnaoggi. Nel corso di un blitz dei carabinieri nel centro sociale Livello 57 di Bologna aveva cercato di disfarsi di tre panetti di hashish per un totale di 514 grammi. Oggi la praticante legale Maria Pia Scarciglia, la ragazza di 32 anni di Manduria (Taranto) arrestata dai carabinieri del Reparto operativo di Bologna lo scorso 25 maggio, e' stata condannata a 2 anni e 8 mesi di reclusione dal giudice monocratico di Bologna, Stefano Marinelli. Il pm d'udienza Paolo Giovagnoli aveva chiesto 6 anni, ma la pena (da scontare ai domiciliari) si e' ridotta sia per la scelta del rito abbreviato che per le attenuanti generiche concesse alla ragazza difesa dall'avvocato Rossano Parasido che nell'udienza del 26 maggio scorso aveva chiesto la scarcerazione e in subordine i domiciliari. In quel caso il processo era stato rinviato a oggi perchè il legale aveva chiesto i termini a difesa. In carcere con l'accusa di detenzione di droga ai fini di spaccio erano finiti Sebastien Gianoglio, nato a Tolosa (Francia), 31 anni, ma domiciliato a Bologna nei locali del centro sociale, già noto alle forze dell'ordine. Lui era stato trovato con 10 pastiglie di ecstasy e con munizionamento per armi da guerra e comuni da sparo, reato per il quale era stato denunciato. Al processo del giorno dopo era stato scarcerato, ma con l'obbligo di andare via da Bologna perchè gli era stato notificato il foglio di via obbligatorio. In totale, nel corso del blitz, erano stati recuperati complessivamente 514 grammi circa di hashish; 14 pastiglie di ecstasy; 6 piantine di marijuana; 35 pastiglie di ''subutex'', 2 grammi di cocaina e altri piccoli quantitativi di hashish e marijuana. Sequestrati inoltre un frigorifero opportunamente modificato (lampade ad incandescenza, ventilatori e timer) per fare da mini serra per la coltivazione di marijuana; materiale per il confezionamento di stupefacente; munizionamento da guerra; 14 computer ora all'esame degli inquirenti.
Solidarietà per la Scarciglia e per il Centro Sociale Livello 57!!! Scrive il 24 novembre 2006 Buco1996. Lo scorso 25 luglio, come molti ricorderanno in prossimità della street-parade antiproibizionista a Bologna, il centro sociale Livello 57 fu chiuso dopo un’irruzione da parte delle forze dell’ordine. Il tutto, proprio in una città governata dall’Unione, dove molti sono stati i contrasti sui temi della sicurezza e della legalità. Ancora oggi è aperta la vicenda di Maria Pia Scarciglia, la legale del Livello 57 condannata, il 30 maggio, a 2 anni e 8 mesi per detenzione di stupefacenti in seguito all’irruzione al centro sociale avvenuta il 25 luglio. Adesso Maria Pia è agli arresti domiciliari e la scarcerazione è stata negata perché, secondo il giudice, Maria Pia non era spinta da ragioni contingenti ma “convinzioni ideologiche legate all’antiproibizionismo delle droghe leggere”, un vero e proprio reato d’opinione. Il 17 gennaio 2007 ci sarà l’appello, ma nei prossimi giorni il giudice della corte d’appello dovrebbe decidere se trasformare i domiciliari in carcere regolare, perché Maria Pia è stata trovata fuori casa, mentre stava telefonando, 30 minuti prima dell’ora stabilita da un permesso regolarmente concesso dal giudice. Nel frattempo il centro sociale Livello 57 rimane chiuso, più volte il pm Paolo Giovagnoli ha negato l’autorizzazione a rientrare, solo il 23 ottobre scorso è stato concesso, ai ragazzi, di prendere alcuni oggetti personali e quest’ultimi hanno notato diversi segni di vandalismo avvenuti in seguito all’irruzione, ciò a dimostrazione che non sono le occupazioni che creano degrado ma, la polizia. Lo stabile, adesso, è stato assegnato al comune, nonostante Sergio Cofferati (autore di questo “piano”) abbia assicurato di non voler interferire, prima della fine delle indagini e dei processi, nei mesi scorsi, intanto, ha fatto arrivare la richiesta del comune di pagare l’affitto…Se il buon giorno si vede dal mattino, allora c’è da preoccuparsi.
Droga al Livello, avvocatessa assolta, scrive Luigi Spezia il 18 gennaio 2007 su "La Repubblica". Per nove mesi tagliata fuori dal mondo, dalle amicizie, dalla professione e ieri assolta dalla Corte d' Appello. Maria Pia Scarciglia, praticante legale, ha festeggiato «la fine di un incubo. Credo di essere stata una delle primissime persone a subire gli effetti della legge Fini-Giovanardi, che noi contestiamo. Una legge sbagliata che ho subìto sulla mia pelle, sono stata una vittima prediletta». Maria Pia, una bella ragazza alta e bionda, era stata arrestata il 25 maggio scorso, dieci ore dopo il blitz dei carabinieri al Livello 57, il centro sociale bolognese antiproibizionista depositario del marchio della «Street rave parade». Un' assoluzione - spiegano gli avvocati Marcello Petrelli e Rossano Parasido - per non aver commesso il fatto, con il 530 secondo comma, la vecchia insufficienza di prove. In primo grado era stata condannata con il rito abbreviato a due anni e otto mesi, ma il pm Poalo Giovagnoli ne aveva chiesti quattro. Al processo di appello, invece, è stato addirittura il sostituto procuratore generale Mauro Monti a chiedere l'assoluzione, perché le prove appaiono contradditorie. «Ringrazio il dottor Monti - dice una entusiasta Maria Pia - mi ha fatto un bellissimo regalo insieme ai giudici che mi hanno assolto. Sono felicissima, posso finalmente tornare a vivere, riprendere la mia professione, continuare a occuparmi di riduzione del danno in tema di stupefacenti. Credo che accetterò di lavorare per Forum Droghe, che si occupa di difesa dei diritti dei consumatori». Per il Livello 57 «è crollato il teorema del delirio». Maria Pia Scarciglia era accusata di aver gettato dalla finestra della sede del Livello mezzo chilo di hascisc, che un cane antidroga ha trovato sotto un'automobile. Era stato un maresciallo a testimoniare contro di lei. «Ha anche detto di avermi vista, dopo essere scesa fuori, nascondere la droga ancora meglio sotto l'auto. Io la chiamo "suggestione investigativa": si è stabilito infatti che dalla posizione in cui si trovava non poteva vedere i miei piedi. Ma se mi aveva visto così bene, perché mi hanno arrestata solo dopo dieci ore?». La contradditorietà delle prove contro la legale del Livello la spiega l'avvocato Petrelli: «Da un lato il progetto dei carabinieri era quello di aspettare ad eseguire l'arresto per vedere chi sarebbe ritornato a prendere quella droga gettata da qualcuno durante il blitz, mentre da un altro viene detto che il ritrovamento dell'hascisc è stato casuale, eseguito da un cane antidroga. Appare una ricostruzione decisa a posteriori, in caserma». Il Tribunale, presieduto dal giudice Salvatore Guarino, ha dato ragione alla difesa e Maria Pia è tornata libera dopo i nove mesi di arresti a Manduria, provincia di Taranto, con il permesso di lavorare in un negozio di ottica. «Sei mesi dopo la condanna - racconta - ho fatto ricorso al Tribunale del Riesame per tornare libera. Hanno respinto la mia richiesta affermando che, siccome sono una antiproibizionista, ero pericolosa, potevo reiterare il reato. Una decisione che mi ha fatto più dispiacere della condanna di primo grado, perché avevo fiducia in questo Tribunale». La praticante legale, che per il Livello ha curato anche la stesura della convenzione con il Comune, dice di essere ancora «incazzata dura» per la sua sventura giudiziaria, costretta a chiudersi in casa dei genitori in un paese «dove tutti hanno saputo». Riconferma che tornerà a lavorare per il Livello, per le sue scelte antiproibizioniste e di "riduzione del danno", «che per me significa anzitutto l'affermazione che le sostanze stupefacenti sono nocive». Sull' inchiesta che riguarda tutto il centro sociale, dice solo: «Non ho potuto vedere le carte, ma le accuse mi sembrano un po' vaghe. Se in una festa ragazzi si drogano, è colpa dei gestori?. Vedremo come finisce la storia».
A BOLOGNA LA RIVINCITA DELLA GIUSTIZIA. Scrive il 31 gennaio 2007 Fuoriluogo. La vicenda del Livello 57 a Bologna si è dipanata lungo tutto il 2006 come un intreccio perverso tra vari piani convergenti, quello mediatico, quello politico e quello giudiziario. Questo pasticciaccio brutto di via Stalingrado è stato costruito con l’utilizzo spregiudicato delle norme più repressive della legge sulle droghe, dall’uso degli infiltrati come agenti provocatori all’esaltazione dell’art. 79 del dpr. 309/90 riveduto e aggravato dalla legge Fini-Giovanardi che punisce l’agevolazione all’uso di sostanze stupefacenti in un locale pubblico o un circolo privato con la reclusione da tre a dieci anni. Dalla magistratura “progressista” di Bologna e dal mondo della politica e degli intellettuali ci si sarebbe aspettati la denuncia e la contestazione della legge più proibizionista d’Europa. Invece, non solo si è assistito a un silenzio assordante e imbarazzante, ma addirittura se ne è fatto un implicito elogio. Il clima da inquisizione non si è fermato alla chiusura di un punto di aggregazione giovanile caratterizzato da una costante e riconosciuta azione per interventi di politica di riduzione del danno verso i giovani consumatori di sostanze stupefacenti, ma si è dispiegato in vari atti della magistratura. Nello scorso settembre in una conferenza stampa di Forum Droghe e dell’Mdma, denunciammo le aberranti tesi ideologiche espresse dal tribunale di Sorveglianza nelle motivazioni del rigetto di una istanza di sostituzione della misura degli arresti domiciliari per un’imputata con una meno afflittiva: si teorizzava la necessità di produrre effetti deterrenti «a maggior ragione su persona che abbia agito non già sotto la spinta di ragioni contingenti ma per convinzioni ideologiche legate all’antiproibizionismo delle droghe leggere» (sic!). Quella persona era Maria Pia Scarciglia, praticante legale e collaboratrice di Fuoriluogo proprio per fornire assistenza e informazione a tanti giovani perseguitati dalla legge. La condanna a due anni e otto mesi per spaccio presunto in primo grado nel maggio scorso è stata ribaltata in appello. Chi era presente il 17 gennaio nel Palazzo di Giustizia di Bologna ha vissuto una giornata indimenticabile. Si è capito il significato profondo dell’invocazione piena di speranza e fiducia «ci sarà un giudice a Berlino». È un bene che la costruzione del castello accusatorio sia stata superata proprio grazie alla netta presa di posizione del sostituto procuratore generale Mario Monti, il quale ha sostenuto che nel processo penale non ci si può fondare sul pregiudizio. I dubbi sulla ricostruzione del fatto, le contraddizioni e le incongruenze messe in luce dalla difesa hanno portato a una sentenza che ha ristabilito la fiducia nella giustizia. Speriamo che questa decisione faccia riflettere i troppi cultori di teoremi fuori tempo. È comunque assai triste che esponenti di Magistratura Democratica siano additati come forcaioli. Prima che alcuni mozzorecchi del diritto facciano altri guasti ci aspettiamo che Giovanni Palombarini, citiamo lui per tutti, prenda la parola per fermare i guasti culturali dell’intolleranza.
Vivere in un carcere: il doppio dramma della condizione delle donne detenute. Antigone è l'associazione che si occupa dei diritti e delle garanzie nel sistema penale. La delegazione leccese ha effettuato, dopo un anno a mezzo, una visita a Borgo San Nicola: migliorato il dato sul sovraffollamento. Intervista alla responsabile, scrive Gabriele De Giorgi il 6 maggio 2014 su Lecce Prima. I detenuti, a Lecce come in tutte le carceri italiane, vivono una condizione che più volte, da osservatori indipendenti ma anche dagli organismi di vigilanza dell’Unione Europea, è stata definita disumana e degradante. Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ancora una settimana addietro chiedeva alle istituzioni di fare il punto della situazione. L’Italia ha tempo fino al 27 maggio per presentare alla Corte di giustizia di Strasburgo le soluzioni individuate per migliorare il sistema detentivo. LeccePrima ha intervistato Maria Pia Scarciglia, responsabile per Lecce e Taranto dell’associazione Antigone – per i diritti e le garanzie nel sistema penale – che opera su tutto il territorio nazionale e membro dell'Osservatorio sulle condizioni delle carceri. Una delegazione ha infatti effettuato nelle scorse settimane una visita a Borgo San Nicola, diretta da Antonio Fullone.
Qual è il bilancio dell’ultima visita al penitenziario?
«L’Osservatorio di Antigone aveva effettuato l’ultima visita nella casa circondariale di Lecce nel settembre 2012 ed aveva trovato una situazione molto critica sul piano della vivibilità visto che i detenuti all’epoca erano circa 1290. Il sovraffollamento li costringeva a stare in tre in una cella di soli 10,5 metri quadrati. Oggi invece i detenuti presenti a Borgo San Nicola sono sotto i 1123 di cui 1038 uomini e 85 donne e nelle celle ci sono al massimo due persone, in alcune anche una. Inoltre abbiamo potuto notare che la circolare del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria sulle cosiddette celle aperte è stata prontamente applicata quasi in tutte le sezioni del carcere leccese, fatta eccezione per il circuito dell’alta sicurezza. Devo dire che l’attività dell’osservatorio quest’anno si sta concentrando molto sulla applicazione della predetta circolare, un provvedimento che sollecita tutti gli istituti di pena a non circoscrivere i detenuti in una gabbia chiusa, ma consente libertà di movimento all’interno del padiglione. A Lecce le celle sono aperte in alcune sezioni dalle ore 08.40 alle ore 11.45 dalle ore 13.00 alle 14.50 dalle 15.00 alle 18.10. Questo accade in tutto il blocco R1 e nella sezione dei dimittendi e di transito. Il sistema appena descritto incide positivamente sulla vita del detenuto e dell’intera struttura detentiva che al di là delle iniziali resistenze, in particolare da parte degli agenti, si sta abituando gradualmente a questa piccola rivoluzione. I detenuti grazie a questo regime hanno maggiore libertà di movimento, perché possono circolare nei corridoi e passare il tempo in delle stanze definite di socialità. A nostro parere occorrerebbe lavorare di più proprio sugli spazi comuni, luoghi dove i detenuti possono riunirsi per parlare o fare attività ma che allo stato, sono poco sfruttati e privi di modalità di vera interazione. Il carcere di Lecce non ha all’interno delle sezioni un luogo deputato al consumo di cibo che viene somministrato dalla mensa interna e consumato dentro le celle. Questo impedisce ai detenuti di socializzare e condividere un momento importante della giornata quale è il pranzo o la cena. Altra proposta è quella di creare all’interno di ogni sezione una cucina spazio fondamentale dove favorire socialità, ma anche creatività soprattutto se pensiamo alle donne».
La cancellazione della Fini-Giovanardi, in che misura può incidere sul sovraffollamento?
«I detenuti presenti nelle carceri italiane per violazione della legge sulla droga erano a fine 2012 25mila 269, il 38,46 per cento del totale. Il dato che più impressionava era quello dei denunciati per cannabis, pari a circa il 42 per cento. Ora abbiamo stimato che saranno oltre 20mila i detenuti interessati dall’abrogazione della legge Fini, in particolare quelli condannati per le droghe leggere: coloro che lo sono stati in maniera definitiva possono chiedere alla Procura un incidente di esecuzione. Si tratterà di uno sconto di pena notevole considerato che la nuova legge ne prevede una, in regime di detenzione, da 2 a 6 anni per cannabis. Nulla a che fare insomma con le pene draconiane previste dalle legge Fini Giovanardi: dai 6 a 20 anni di reclusione per tutte le sostanze. Finalmente è stato posto uno stop a quella scellerata e criminogena legge che era la Fini Giovanardi colpevole di avere fatto salire vertiginosamente il numero dei consumatori detenuti che per pochi grammi finivano nel circuito carcerario anche se incensurati».
Altra zavorra è quella dei tempi giudiziari. Quanti sono a Lecce i detenuti in attesa di giudizio?
«Dai dati a nostra disposizione 197 sono i giudicabili, 138 gli appellanti e 127 i ricorrenti».
Una delle criticità riguarda la condizione femminile in carcere. Com’è la situazione a Lecce?
«Le donne al momento della visita erano 85 di cui 16 straniere. La sezione femminile a Lecce è piuttosto piccola, perché l’istituto era stato pensato solo per gli uomini. Le celle sono aperte quasi tutto il giorno e non appena termineranno di installare le telecamere gli orari di apertura saranno uguali alla sezione a trattamento avanzato. La giornata è scandita da orari e da attività. Nella sezione femminile vi è la scuola primaria e la scuola secondaria. Al momento sono attivi i seguenti corsi: Street art e il progetto Orti Verticali. Vi è poi la sartoria dove lavorano appena 7 donne. Il problema della formazione al lavoro è serio e i recenti tagli alla spesa dell’amministrazione penitenziaria pesano non poco se si pensa che tra gli obiettivi della pena detentiva vi è il reinserimento sociale della persona detenuta. La donna per natura ha un modo differente di vivere la reclusione e basta visitare un reparto maschile ed uno femminile per capirne le differenze. Il carcere non è per le donne e questo sistema carcerario ancora meno. La donna detenuta nella maggior parte dei casi è moglie e madre. I sensi di colpa delle madri detenute non hanno eguali e il distacco dai figli è uno degli aspetti più drammatici della detenzione femminile che nemmeno la legge Finocchiaro è riuscita realmente a risolvere. Oggi la norma dice che le madri detenute possono tenere il figlio con sé fino al compimento dei 3anni».
Ma cosa significa per un bambino separarsi dalla propria madre al superamento di tale età?
«Da qui si dovrebbe ragionare e pensare a soluzioni e circuiti differenti per coloro che, se non possono andare agli arresti domiciliari devono essere collocate in luoghi a custodia attenuata, insieme al proprio bimbo. Gli studi ci dicono che la donna si ritrova in carcere il più delle volte a causa del suo compagno, ma al contrario degli uomini, che fuori riescono dopotutto a mantenere un legame con moglie e famiglia, la donna è stigmatizzata e spesso abbandonata dal marito e dalla famiglia che non le perdona la violazione del patto sociale a cui lei era stretta».
Diverse volte è stata rimarcata la quasi totale assenza di attività formative e di reinserimento sociale. Sono stati fatti dei passi in avanti?
«La casa circondariale di Lecce sta lavorando molto sul trattamento e il fatto che in un istituto di pena operano diverse associazioni, non può che essere positivo. Sono diversi i corsi e le attività ludico culturali all’interno così come le iniziative organizzate dalla direzione per accorciare la distanza tra il carcere e la società civile. Resta però un punto dolente che è il lavoro, troppo pochi i detenuti e le detenute che svolgono per conto dell’amministrazione o per ditte esterne attività lavorativa rispetto ai numeri della detenzione».
Una parte dell’opinione pubblica ragiona spesso con la “pancia” e vede le battaglie per la condizione carceraria con insofferenza. Cosa si sente di dire a queste persone?
«Il problema è che l’opinione pubblica è stata sin troppo isterizzata dalla classe politica sulla questione sicurezza e legalità. Se pensiamo che al governo abbiamo avuto un partito razzista come la Lega che non ha perso occasione di puntare il dito contro i rom, i neri, gli stranieri, i drogati o gli omosessuali, possiamo certamente comprendere, perché quando si parla di detenuti la gente ragiona con la pancia. La nostra società è stata avvolta negli ultimi venti anni da una cappa di ignoranza e intolleranza che ha portato leggi nefaste e abominevoli anche sul piano giuridico, come la legge sull’ immigrazione, sulla droga e gli innumerevoli ‘pacchetti sicurezza’. Una società, la nostra che non è cresciuta come avrebbe dovuto con politiche dal volto più umano e capaci di proteggere le fasce più deboli. Ma al contrario è stata nutrita dal mal costume, dalla furbizia e dall’ arroganza. Ecco dove sta il problema ed ecco, perché oggi si predilige sempre di più lo strumento penale simbolo per eccellenza di controllo e selezione, abdicando così a politiche sociali il cui compito è quello di rimuovere le diseguaglianze e promuovere il bene comune».
Bimba di due anni vive in carcere con la mamma, scrive Francesca Pastore Giovedì 21 Giugno 2018 su Il Quotidiano di Puglia. La chiameremo Azzurra - un nome di fantasia –, ha soltanto due anni e due mesi e la mattina scorge il sole tra le sbarre gialle e fredde della casa circondariale di Lecce. Ci sono tanti giocattoli intorno a lei, quelli non mancano di certo, c’è anche la sua mamma, ma le manca la libertà. La libertà di poter correre in giardino appena sveglia, di giocare con i suoi fratelli o fare una passeggiata con il suo papà. Azzurra “sta scontando” insieme a chi l’ha messa al mondo una pena detentiva. Ma è solo una bambina e ha il diritto di addormentarsi guardando le stelle, andare a scuola, praticare sport. Ha diritto ad essere felice. Da circa quattro mesi Borgo San Nicola è diventata la sua casa, lontane lei e mamma da Foggia, luogo di residenza e dove si trovano anche papà e i fratellini. La denuncia della situazione in cui vive Azzurra e la richiesta di trovare una soluzione consona per lei e la sua mamma, giunge dall’associazione Antigone Puglia, in prima linea per i diritti e le garanzie nel sistema penale con lo scopo di promuovere elaborazioni e dibattiti sulla realtà carceraria in Italia. Sono parole dettate dall’impegno e dall’indignazione quelle della presidente dell’associazione, l’avvocata Maria Pia Scarciglia. «Nel corso di una delle nostre visite in carcere, svoltasi lo scorso 5 giugno, abbiamo incontrato una donna Rom con una figlia di anni 2 e mesi 2. Questa detenuta – spiega la responsabile di Antigone - è stata trasferita dal carcere di Foggia a quello di Lecce, nonostante a Foggia viva il marito e gli altri 5 figli minori». Per Maria Pia Scarciglia «non è concepibile tutto questo, è contro i principi dell’ordinamento penitenziario». Dal carcere di Lecce intanto già la direttrice, Rita Russo, ha da tempo sollecitato nelle sedi opportune, chiedendo che la giovane donna venga trasferita immediatamente, ma ancora non ha ricevuto risposta. «Sono trascorsi 4 mesi – continua Scarciglia - e madre e bambina si trovano nella sezione Alta Sicurezza, non per tipologia di reato, ma perché il circuito in questione è meno problematico rispetto a quello delle detenute comuni. Abbiamo lasciato il carcere di Lecce qualche giorno fa – prosegue la presidente di Antigone - con l’immagine di questa bambina di 2 anni e poco più seduta nel suo passeggino nella cella dove è allocata sua madre. La sconfitta della società rispetto al tema delle carceri è anche questa. Anche solo un bambino dietro le sbarre è una resa dello Stato di diritto», conclude l’avvocata. Intanto qualche dato emerso dalla visita di Antigone nella casa circondariale leccese: al momento i detenuti erano 1.006 (68 donne e 165 stranieri), a fronte di una capienza di 610 posti. Si registra una maggiore presenza di detenuti stranieri, in particolare albanesi, rumeni e qualche russo. Alcuni dei detenuti sono sotto osservazione per radicalizzazione: 2 detenuti ad un livello alto. L’istituto si presenta molto curato e con ampi ha spazi, nonostante siano assenti aree verdi per i detenuti e le loro famiglie. Le celle ospitano due detenuti, salvo nel reparto di osservazione psichiatrica dove sono uno per cella. Il nuovo reparto di Osservazione psichiatrica vanta 20 posti ma al momento sono presenti 10 pazienti. Poco il lavoro per i detenuti e poche le aziende del territorio che decidono di assumere detenuti in misura alternativa. I tagli all’assegnazione dei fondi non ha permesso alla direzione di garantire il numero dei lavorando dell’anno precedente. A Lecce i detenuti che lavorano sono 253, di cui solo 10 per datore esterno.
Incredibile quello che hanno deciso per Sabrina Misseri, scrive domenica 16 ottobre 2016 Antonio Russo su “Diretta News”. Nei mesi scorsi si era paventata più di una volta l’ipotesi di scarcerazione per Sabrina Misseri. Proprio in questi giorni, infatti, scadeva il termine ultimo per presentare la definitiva sentenza, che per ora non è arrivata. Molti quindi avevano preventivato che gli avvocati della ragazza si sarebbero appellati all’articolo 303 del codice di procedura penale, che prescrive la cessazione della custodia cautelare dopo sei anni, in assenza appunto di una definitiva sentenza. La ragazza era stata arrestata nel 2010 con l’accusa di avere ucciso la cugina Sarah Scazzi in concorso con la madre, Cosima Serrano. I difensori di Sabrina però, almeno per ora, hanno deciso di non presentare alcuna istanza di scarcerazione. In realtà, per quanto concerne i termini per l’utilizzo dell’articolo 303 c’è molta confusione, molti, infatti, ritengono che visti i due provvedimenti di sospensione della durata di sei mesi cadauno, in realtà sinora siano passati solo cinque anni e non sei. Gli avvocati della Misseri hanno quindi deciso di non addentrarsi in “guerre” probabilmente perse in partenza. Anche perché, l’ufficio che avrebbe dovuto revocare quelle sospensioni dei termini, sarebbe dovuto essere lo stesso che le aveva applicate. Per quanto riguarda, invece, Cosima Serrano, anche per lei, per ora si è scelta la linea del silenzio, anche se nel suo caso c’è un periodo di detenzione più breve rispetto alla figlia (è stata arrestata il 26 maggio 2011).
Sabrina e l’inutile speranza di lasciare il carcere, scrive Nazareno Dinoi sabato 15 ottobre 2016 su “La Voce di Manduria”. Sabrina Misseri resta in carcere. I suoi avvocati, il professore romano Franco Coppi e il penalista del foro di Taranto, Nicola Marseglia, non hanno più presentato l’istanza per tentare l’applicazione dell’articolo 303 del codice di procedura penale che fissa in sei anni il limite massimo della custodia cautelare in assenza di sentenza definitiva. Un termine, questo, che scadeva proprio oggi (la detenuta è stata arrestata il 15 agosto del 2010 con l’accusa di avere ucciso la cugina Sarah Scazzi in concorso con sua madre Cosima Serrano), se durante i due lunghi e complessi gradi di giudizio non fossero intervenute due provvedimenti di sospensione dei termini, ognuno dei quali della durata di sei mesi. Un dato di fatto controverso oggetto di discussione sui giornali e nei dibattiti televisivi della passata estate che aveva fatto convincere i legali a tentare la carta della scadenza dei termini facendo leva sul principio costituzionale della rieducazione della pena resa impossibile, in questo caso, proprio dalla presenza di una pena per niente ancora certa. Un terreno irto di spine che alla fine ha dissuaso la difesa a giocarsi questa carta che offriva scarsissime se non nulle possibilità di vincita. Anche perché l’ufficio che avrebbe dovuto revocare quelle sospensioni dei termini, sarebbe dovuto essere lo stesso che le aveva fatte applicate. La stessa controversia non si pone invece per sua madre Cosima Serrano, anche lei ristretta in regime preventivo ma con meno anni dietro le sbarre (il suo arresto è avvenuto il 26 maggio del 2011). Scartata tale suggestiva ipotesi (che per la verità aveva creato dei sussulti da una parte all’altra della platea di giustizialisti e innocentisti), non resta che giocarsi la più concreata, ma pur sempre piena di incognite carta della Cassazione che in queste ore sta ricevendo le istanze di ricorso di tutti gli imputati del lungo processo Scazzi. I quaranta giorni dalla pubblicazione delle motivazioni, infatti, scadono per tutti tra oggi e martedì prossimo, dipenda da quando hanno ricevuto la notifica del deposito. Sei imputati, in tutto, tra cui Sabrina con la madre Cosima Serrano, ad entrambe l’appello ha dato il massimo della pena ritenendole le esecutrici materiali del delitto; Michele Misseri, madre e marito delle due imputate principali, che deve difendersi dall’accusa di soppressione di cadavere e da una pena ad otto anni di carcere; per lo stesso reato, sempre in appello, ha avuto una pena di 5 anni e 11 mesi di carcere (6 anni in primo grado) un fratello di zio Michele, Carmine Misseri; un anno e quattro mesi a Vito Russo Junior, ex legale di Sabrina Misseri che in primo grado era stato condannato a due anni per favoreggiamento personale; infine un anno e 4 mesi per Giuseppe Nigro che deve rispondere di favoreggiamento. Naturalmente l’attenzione maggiore dell’opinione pubblica e degli ambienti della giustizia e dell’avvocatura, è tutta riservata alle due imputate principali, le uniche ancora in carcere con il rischio di rimanerci a vita. Due donne, mamma e figlia, con la terribile accusa di avere ucciso, strangolandola, la loro parente di quindici anni che investono oramai tutto sulla corte suprema di Roma. «Sabrina Misseri è serena e sembra quasi convinta che i giudici di Roma le daranno finalmente giustizia», è il commento di uno dei suoi avvocati, Marseglia appunto che con il professore Coppia ha lavorato sulle circa 250 pagine che compongono il ricorso alla Cassazione. Secondo le ipotesi più favorevoli alla difesa di Sabrina Misseri, la sentenza definitiva dovrebbe vedere la luce entro la prossima primavera.
Omicidio di Sarah Scazzi: ricorso in Cassazione contro le condanne di Sabrina, Cosima e Michele, scrive “Il Quotidiano di Puglia" Mercoledì 26 Ottobre 2016. Scatta il ricorso in Cassazione per l’omicidio di Sarah Scazzi, la ragazzina strangolata il 26 agosto del 2016 nella villa degli zii di via Deledda, in Avetrana. I legali di Sabrina Misseri, Cosima Serrano, entrambe condannate all’ergastolo per l’omicidio, e di Michele Misseri, condannato per occultamento e distruzione di cadavere, hanno infatti depositato il ricorso che la cancelleria dell’assise d’appello invierà a Roma. Il caso passerà ora al vaglio dei supremi giudici, che dovranno esaminare la legittimità, o meno, dei temi di diritto affrontati dalla Corte di secondo grado. Insieme con loro hanno presentato appello anche gli altri imputati, attraverso i rispettivi legali. È ovvio, però, che seppur la valutazione complessiva degli “Ermellini” riguarderà tutte le posizioni, l’attesa e l’interesse maggiori riguardano i destini degli imputati principali. Come è noto, Sabrina Misseri e la madre Cosima Serrano sono già state condannate in primo e in secondo grado all’ergastolo per l’omicidio della ragazzina. Entrambe hanno sempre dichiarato di essere estranee all’omicidio. Pur condannato a sua volta, in libertà continua a rimanere Michele Misseri, marito e padre delle due imputate. Lui, invece, ha continuato a urlare al mondo di aver aggredito e ucciso la nipote in quel maledetto 26 agosto di sei anni fa. E di aver deciso di nascondere il corpo della ragazzina nel pozzo di contrada Mosca. Proprio lui, dopo oltre quaranta giorni di indagini squarciò il velo di omertà. Ammise di aver ucciso Sarah e accompagnò gli inquirenti nelle campagne di Avetrana, consentendo di recuperare il corpo. Quella sua confessione doveva essere l’ultimo capitolo del giallo che aveva appassionato e commosso l’Italia. Invece aveva rappresentato l’inizio di una vera e propria odissea giudiziaria. Alle sue verità i giudici non hanno mai creduto. Pochi giorni dopo la sua confessione, infatti, si giunse all’arresto della figlia Sabrina. Prima accusata di concorso nell’omicidio con il papà. Successivamente, attraverso l’ennesimo colpo di scena maturato nel corso delle indagini, in complicità con la madre Cosima. Era il 15 ottobre del 2010 quando Sabrina varcò la soglia del carcere di Taranto, dove sette mesi dopo sarebbe stata raggiunta dalla madre. Con il deposito delle motivazioni della sentenza, giunte a distanza di circa un anno dalla sentenza, la difesa ha potuto approntare il ricorso in Cassazione. La vicenda giudiziaria, probabilmente prima di Natale, giungerà così all’ultimo approdo.
Omicidio Sarah Scazzi: in Cassazione le speranze di Sabrina Misseri e Cosima Serrano, scrive "News Puglia" il 26 Ottobre 2016. Depositato il ricorso in Cassazione degli avvocati di Sabrina Misseri e sua madre Cosima Serrano, entrambe condannate all'ergastolo per l'omicidio della loro parente Sarah Scazzi. Sabrina Misseri e sua madre Cosima Serrano, condannate per l'omicidio di Sarah Scazzi, hanno affidato al ricorso in Cassazione presentato dai loro avvocati le residuali speranze di tornare il libertà. Loro, nonostante si siano dichiarate sempre innocenti, sono state condannate all'ergastolo sia in primo che in secondo grado di giudizio. I loro legali hanno depositato il ricorso che la Cancelleria dell’Assise d’appello invierà a Roma. Si azzardano previsioni ma solo sulla data di conclusione di questa vicenda giudiziaria: entro Natale. Sabrina Misseri aveva chiesto nel frattempo di essere trasferita in convento per dedicarsi alla meditazione mistica ma i giudici hanno respinto l'istanza: deve restare in carcere. Ed in carcere è rinchiusa: lei e la madre sono in una cella della casa circondariale di Taranto. Per loro c'è un destino segnato: prigione a vita. Così ha deciso anche la Corte d'Appello di Taranto nella sentenza pronunciata il 23 luglio 2015. Per conoscere le motivazioni di quella condanna è stato necessario attendere quasi 13 mesi e senza le motivazioni gli avvocati delle imputate non potevano procedere con il ricorso in Corte di Cassazione. Ecco perché uno dei difensori di Sabrina Misseri, l'avvocato Franco Coppi, ha commentato i ritardi come grave lesione dei diritti della difesa. Per accertare i motivi di quei ritardi il ministro di Grazia e Giustizia, Andrea Orlando, ha inviato i suoi ispettori ministeriali a Taranto. Con ulteriori slittamenti dei tempi Sabrina Misseri, forse, sarebbe stata addirittura scarcerata per decorrenza dei termini. La motivazione della sentenza però era tutt'altro che semplice, anche considerando soltanto il numero delle pagine prodotte: 1277 suddivise in 16 paragrafi, di cui 11 dedicati alla ricostruzione del delitto di Avetrana. In quel paese del Tarantino, il 26 agosto 2010, fu uccisa l'allora quindicenne Sarah Scazzi, cugina di Sabrina. Per i giudici che hanno esaminato il caso, non ci sono dubbi, ad ammazzare furono Sabrina Misseri e sua madre. E' in libertà, invece, anche se condannato per occultamento di cadavere, il padre di Sabrina, Michele Misseri. Eppure lui, nonostante abbia cambiato più volte versione, è l'unico ad aver confessato di aver ucciso Sarah. Gli inquirenti e i giudici non gli hanno creduto. Ora il caso passa al vaglio dei supremi giudici. Sono loro che dovranno esaminare la legittimità dei temi di diritto affrontati dalla Corte di secondo grado.
Richiesta di rinvio a giudizio per Mimmo Mazza sindacalista-giornalista della Gazzetta del Mezzogiorno, scrive “Il Corriere del Giorno” il 17 novembre 2016. La richiesta di processo della Procura di Bari anche a carico del direttore responsabile Giuseppe De Tommaso. Udienza preliminare dinnanzi al Tribunale di bari fissata per il 27 febbraio 2017. L’attuale procuratore aggiunto della Procura di Bari dr. Roberto Rossi a destra nella foto , per anni nel pool dei magistrati baresi impegnato in indagini sulla pubblica amministrazione, poi membro del Csm e attualmente inquirente della Dda di Bari, ha chiesto il rinvio a giudizio nei confronti del giornalista sindacalista Cosimo (ma noto a tutti come Mimmo) Mazza, originario di San Marzano di San Giuseppe (TA) vice capo servizio della redazione tarantina della Gazzetta del Mezzogiorno, insieme al suo direttore responsabile Giuseppe De Tommaso per aver offeso la reputazione dell’ Avv. Emilia Velletri del Foro di Taranto con la pubblicazione in data 16 maggio 2011 di un articolo sul quotidiano regionale che versa in una profonda crisi editoriale, ed i cui giornalisti lavorano da oltre un anno grazie agli ammortizzatori sociali dei contratti di solidarietà, a causa del crollo vertiginoso di copie vendute in edicola. Mazza e De Tommaso dovranno rispondere dei reati degli art. 57 e 595 (2° e 3° comma) per avere offeso l’avvocatessa tarantina Emilia Velletri con un articolo a firma del Mazza, nel quale veniva indicata come “indagata per favoreggiamento” nell’ambito del procedimento penale relativo all’omicidio di Sarah Scazzi ed in particolare scrive il procuratore aggiunto Rossi “.…Subito dopo la scomparsa di Sarah, Antonella creò sempre su Facebook, una pagina che poi diventerà Gruppo per Cercare Sarah Scazzi, che in breve tempo raggiunse i 45.000 iscritti. Ne entrano a far parte subito, fra gli altri, Sabrina Misseri, Alessio Pisello (che per un certo periodo sarà anche amministratore del Gruppo), Mariangela Spagnoletti (testimone chiave contro Sabrina Misseri) e anche curiosamente Emilia Velletri ( a sinistra nella foto – difensore di Sabrina dal 15 ottobre, giorno del suo arresto, fino al marzo scorso quando lasciò il mandato in quanto a sua volta indagata per favoreggiamento), oltre ad amiche di Sarah e Sabrina)….” circostanza non vera, atteso che la stessa (cioè l’ Avv. Velletri n.d.r) non è mai stata indagata per favoreggiamento nel processo che vede parte offesa Sarah Scazzi.” Resta da chiedersi se Mazza e De Tommaso avranno il coraggio, la forza e soprattutto la dignità professionale in caso di rinvio a processo di rinunciare all’imminente prescrizione del reato. Per Mazza infatti non sarebbe la prima volta che si salva da una condanna in primo grado da “prescritto”….in Appello. Ne dubitiamo fortemente. In questa vicenda, notiamo il vergognoso silenzio dei suoi “compagnucci” del sindacato regionale come Bepi Martellotta e di quello nazionale Raffaele Lorusso che si “stracciarono”…le vesti di dosso gridando allo scandalo con vergognosi comunicati stampa (di cui risponderanno in sede penale, civile deontologica) contro il nostro direttore Antonello de Gennaro, accusato senza alcun reale giustificazione, per delle farneticanti accuse di “stalking” nei confronti del Mazza, come acclarato e sentenziato dal Gip dr.ssa Gilli, dal Giudice Petrangelo del Tribunale del Riesame di Taranto e dalla Va Sezione Penale della Suprema Corte di Cassazione che ha ridicolizzato, quest’ultima, il ricorso dei Pm Cannarile e Lopalco della Procura di Taranto depositato a suo tempo contro la decisione del Tribunale de Riesame di Taranto, ritenendo il ricorso delle pm tarantine “inammissibile totalmente“.
Sarah e le altre: vittime dimenticate. Il 10 gennaio 2012 fa si apriva il processo per l’omicidio di Avetrana, scrive Selene Pascarella su "Taranto Buonasera" il 11 gennaio 2017. Dieci gennaio 2012. Inizia tra ali di folla il processo per la morte di Sarah Scazzi. Dopo mesi di colpi di scena il caso Avetrana passa dall’agone mediatico a un’aula di tribunale. Intorno alla Corte d’Assise di Taranto i cronisti scalpitano lungo un immaginario red carpet. In attesa dei protagonisti intervistano i curiosi venuti ad assistere. «Perché è qui, signora?» domanda la giornalista del grande quotidiano nazionale alla massaia bionda con l’acconciatura della domenica. «Non per curiosità» si difende lei, che conosce le regole del bon ton giustizialista, «quella è una cosa brutta, diciamo che voglio vedere in faccia questa gente». Questa gente è il clan Misseri al completo: Michele, lo zio orco (reo confesso non creduto), Cosima, la sfinge di Avetrana e Sabrina, la cugina invidiosa. Su tutti loro la giudice “onoraria” ha già la sua opinione: «Sono colpevoli» per questo è in prima fila a guardarli passare. «E poi anche per la bambina, certo…». Dieci gennaio 2017. Quello di Avetrana era anche il giallo di Sarah, ormai appartiene a Michele, Sabrina e Cosima. Sarah è il fantasma biondo che incidentalmente ha permesso agli orchi di via Deledda di emergere nell’affollato teatro della nera nazionale. Due processi, due ergastoli per la zia e la cugina della vittima, più il filone bis dell’inchiesta che raggruppa, in una fiction gemella, i comprimari che ancora il pubblico segue con passione, dal bell’Ivano, pizzaiolo conteso, alla cognata del fiorista-sognatore, passando per una piccola folla di congiunti omertosi. Un quarto d’ora di attenzione mediatico-giudiziaria non viene negato a nessuno. Ma le certezze sulle ultime ore di vita di Sarah sono ridotte all’osso. Inseguita in strada dopo una lite e condotta a forza nella casa dei Misseri, la quindicenne trova la morte per strangolamento. Autrici materiali sia Cosima che Sabrina («una la tratteneva e l’altra la strangolava», nella versione dell’accusa), arma del delitto una cintura mai ritrovata. A scatenare l’omicidio la gelosia di Sabrina per l’amicizia di Sarah con Ivano e un vago «autonomo risentimento» per Cosima. Indistinte le fasi successive al delitto. Nebulose le modalità del trasporto del corpo di Sarah nel pozzo dove è stato ritrovato, troppo martoriato per offrire certezze al medico legale. Sarah ha subito una violenza sessuale, da viva o da morta, come ha sostenuto Michele Misseri? Si è difesa fino all’ultimo dalle sue aguzzine? Non lo sappiamo, non lo sapremo mai. La formula così televisiva del cadavere della vittima che “parla” agli inquirenti ad Avetrana si è dimostrata inefficace. Mute restano le spoglie di Sarah, quasi consapevoli che nessuno sia disposto ad ascoltarle. Più che la storia dell’adolescente uccisa, la ricostruzione della sua morte, fatto freddo e brutale, contano i retroscena morbosi sulle sue presunte assassine. I fattoidi bollenti riguardo agli strusciamenti in Panda tra Sabrina e Ivano o i malumori tra le sorelle Serrano su eredità contese vociferati dai compaesani. Raccolti dai media, approdati in dibattimento. Che li ha promossi elementi di una verità de relato, affidata a testimoni di seconda mano, prodotta da una macchina della giustizia passata, nell’indifferenza generale, dal processo della condotta delittuosa a quello della personalità del delinquente. Riducendo la vittima a fattore incidentale e la vittimologia ad attività accessoria. Una differenza non da poco che ad Avetrana ha prodotto un effetto perverso. Più che accertare cosa sia davvero accaduto alla Scazzi due sentenze scolpiscono nel granito il profiling psico-criminologico delle imputate. Di Cosima e Sabrina conosciamo ogni sfumatura caratteriale: le miserie personali, le invidie, le aspirazioni che le hanno rese colpevoli perfette agli occhi dei media. Protagoniste in grado di proiettare sulla vittima un cono d’ombra. Non abbiamo prove inconfutabili per affermare ciò che hanno o non hanno fatto a Sarah, però sono tantissimi gli indizi che accertano chi sono queste donne e cosa rappresentasse la vittima per loro. Ma chi era Sarah, invece? La quindicenne inquieta e annoiata delle prime fasi dell’inchiesta, quando ancora si pensava a una fuga o a un rapimento da parte di una persona incontrata su internet? La ragazzina irretita dallo zio di cui si fidava? O la donna-bambina al centro di un triangolo amoroso con Sabrina e Ivano, di dieci anni più grandi? L’icona dell’angelo biondo che ci è ormai familiare è una figurina vuota, dove la storia della Scazzi finisce sullo sfondo. Evoca una pietas che non regge il passo con i sentimenti che sono in grado di suscitare i suoi parenti serpenti: disgusto, orrore, rabbia, desiderio di vendetta. Ma dimenticare la vittima ha il suo prezzo. Lo abbiamo visto a Garlasco, dove rinunciare a capire chi fosse Chiara Poggi ha spinato la strada a un’inchiesta a senso unico, incentrata sulla personalità ambigua del fidanzato Alberto al punto da silenziare altri possibili indagati. Che oggi ritornano con clamore e sorpresa. È successo a Perugia, con la spasmodica ricerca di puntelli alla pista della diade assassina, costituita dal Amanda e Raffaele, destinata a sgretolarsi di fronte all’assenza di elementi di prova. Mentre il destino processuale del terzo uomo, Rudy Guede, appare tutto da riscrivere. Meredith, Chiara e Sarah, grandi assenti dei gialli di cui dovrebbero essere protagoniste. Scacciate in un angolo da processi, mediatici e reali, dove la vittima, unica cosa certa, non crea suspense, non è funzionale alla narrazione a effetto. Perciò il suo posto è preso dal cattivo di turno, che ha sempre una storia migliore da raccontare.
Delitto di Avetrana: a febbraio Cassazione per Sabrina Misseri e la madre Cosima. La cugina e la zia di Sarah Scazzi stanno scontando la pena dell’ergastolo inflitta per l’omicidio della congiunta avvenuto nell’agosto del 2010, scrive Maria Corbi l'11/01/2017 su "La Stampa". Il 20 febbraio la prima sezione della Cassazione deciderà il destino di Sabrina Misseri e di sua madre Cosima condannate all’ergastolo (sentenza conforme in primo grado e in appello) per l’omicidio di Sarah Scazzi. Oggi la comunicazione della data agli avvocati delle due donne. Franco Coppi, difensore, di Sabrina insieme a Nicola Marseglia spera «che adesso possa essere fatta giustizia». «E’ un caso che mi tormenta - ha spiegato più volte in questi anni, perché ho la certezza che una ragazza innocente sia in galera». Una carcerazione preventiva che dura ormai da più di sei anni. Nel ricorso in Cassazione il professor Coppi rileva come la sentenza di appello «abbia proceduto a ricostruzioni dei fatti attraverso esasperate analisi di tempi e di orari ottenuti attraverso palesi forzature di dati probatori acquisiti al processo (possiamo fin da ora ricordare le acrobazie della sentenza intorno all’orario di uscita di casa di Sarah Scazzi il 26 agosto 2010 e quelle, correlative, in merito agli avvistamenti della giovane da parte di questo o quel testimone)». E anche che «nel contrasto di due possibili letture dei fatti, abbia sempre privilegiato quella contraria a Sabrina Misseri, nonostante la Corte di Cassazione, nella sentenza 17 maggio 2011, avendo già rilevato l’adozione di siffatto criterio nei provvedimenti cautelari, avesse avvertito che avrebbe dovuto essere seguito il criterio opposto». Un ricorso che analizza una condanna basata essenzialmente sul racconto di un sogno dove il sognatore non è stato ascoltato in aula. Il fioraio di Avetrana, Giovanni Buccolieri, raccontò alla commessa del suo negozio di avere sognato Cosima e Sabrina che rapivano Sarah trascinandola in auto dopo averla inseguita. La commessa lo ha raccontato alla mamma, Anna Pisanò, e questa lo ha raccontato a un carabiniere. Così Buccolieri ha dovuto spiegarsi in caserma. «Il sogno devo raccontare?», «Si». Ma nel verbale quel sogno diventa realtà e quando lui chiede che sia specificato che di sogno si trattava scatta l’imputazione per false dichiarazioni al Pm. E nonostante a Buccolieri bastasse cambiare versione e dire che il sogno era realtà per cavarsi di impaccio, non lo ha mai fatto. «Non voglio andare all’ inferno per aver fatto condannare due innocenti», ha sempre ripetuto. La cosa bizzarra è che si è potuto sottrarre al processo. Quindi in un processo dove il sogno è protagonista il sognatore non c’è. Ma ci sono stati suoi amici e parenti accusati di false dichiarazioni quando hanno ripetuto che loro hanno sempre saputo che si trattava di un sogno e non di realtà. E in appello Prudenzano e Colazzo, rispettivamente suocera e cognato del fioraio, condannati in primo grado per favoreggiamento, sono stati assolti. Dunque il sogno era tale? E allora dovrebbe, per logica, cadere anche la colpevolezza di Sabrina e Cosima almeno nella parte del rapimento. E anche se i giudici pensano che i due possono essere stati ingannati dal fioraio, come mai allora non si è sentita la necessità di ascoltare il sognatore visto che in ballo ci sono due ergastoli, ossia due sentenze alla morte civile? Ma sono tante le cose che non tornano in questa storia. 5 persone vengono coinvolte in un delitto senza che nessuno abbia la minima esitazione. Nei tabulati telefonici c’è, secondo la difesa, la prova dell’innocenza di Sabrina ma per i giudici lo scambio di sms tra Sabrina e Sarah nei momenti appena precedenti al delitto sono un depistaggio. Quindi Sabrina, che aveva appena ucciso la cuginetta avrebbe provato a farsi un alibi scrivendosi sms dal cellulare di Sarah. Comportamento assurdo, secondo la difesa, per una ragazza che fino a quel giorno non aveva fatto del male a nessuno. Il medico legale che visitò Michele Misseri in carcere parlò di unghiature sulle braccia di Misseri come se avesse avuto una colluttazione con Sarah. Poi quando l’uomo ritratta e accusa la figlia quelle unghiature diventano sfregi provocati dal lavoro nei campi. E poi c’è lui, Michele Misseri, che anche ieri ha continuato a ripetere di essere lui è solo lui il colpevole. «Non avrei mai difeso Sabrina se fosse stata lei. Le sarei rimasto vicino ma non mi sarei mai preso la colpa». Quando Michele Misseri trova il cellulare di Sarah chiama le figlie, che erano a casa, ad Avetrana. E dalla descrizione del telefonino è Sabrina a riconoscerlo, a dire che è di Sarah e a chiamare subito i carabinieri in modo che potessero prenderlo in custodia e analizzarlo. Perché avrebbe dovuto farlo sapendo che sarebbe stato usato contro di lei? Il professor Coppi nel ricorso rileva anche come la sentenza contestata «non abbia approfondito, ripetendo l’errore della sentenza di primo grado, temi indicati dalle sentenze pronunziate dalla Corte di Cassazione in sede cautelare (per ben due volte la Corte di Cassazione aveva annullato i provvedimenti cautelari emessi nei confronti di Sabrina Misseri per mancanza di sufficienti indizi di colpevolezza) senza offrire motivazione alcuna sulle ragioni di tali omissioni». E adesso l’ultima parola sul delitto di Avetrana la diranno proprio i giudici della prima sezione della Cassazione.
Delitto di Avetrana: decisione della Corte Cassazione a febbraio per Sabrina Misseri e sua madre Cosima, scrive "Il Corriere del Giorno" il 12 gennaio 2017. La zia e la cugina e di Sarah Scazzi sono in carcere scontando la pena dell’ergastolo ricevuta per l’omicidio avvenuto nell’agosto del 2010. E’ arrivata 48ore fa la comunicazione della data agli avvocati Franco Coppi che insieme a Nicola Marseglia, difendono di Sabrina i quali si augurano e confidano che finalmente “adesso possa essere fatta giustizia” dopo una carcerazione preventiva che dura ormai da più di sei anni. “E’ un caso che mi tormenta – ha spiegato più volte il prof. Coppi in questi anni – perché ho la certezza che una ragazza innocente sia in galera”. Il professor Coppi rileva nel suo ricorso alla Suprema Corte di Cassazione come la sentenza di appello “abbia proceduto a ricostruzioni dei fatti attraverso esasperate analisi di tempi e di orari ottenuti attraverso palesi forzature di dati probatori acquisiti al processo (possiamo fin da ora ricordare le acrobazie della sentenza intorno all’orario di uscita di casa di Sarah Scazzi il 26 agosto 2010 e quelle, correlative, in merito agli avvistamenti della giovane da parte di questo o quel testimone”. Ed anche che “nel contrasto di due possibili letture dei fatti, abbia sempre privilegiato quella contraria a Sabrina Misseri, nonostante la Corte di Cassazione, nella sentenza 17 maggio 2011, avendo già rilevato l’adozione di siffatto criterio nei provvedimenti cautelari, avesse avvertito che avrebbe dovuto essere seguito il criterio opposto”. “Un ricorso che analizza una condanna basata essenzialmente sul racconto di un sogno” dove il sognatore – come scrive la collega Maria Corbi sul quotidiano LA STAMPA – non è stato ascoltato in aula. Il fioraio di Avetrana, Giovanni Buccolieri, raccontò alla commessa del suo negozio di avere sognato Cosima e Sabrina che rapivano Sarah trascinandola in auto dopo averla inseguita. La commessa lo ha raccontato alla mamma, Anna Pisanò, che a sua volta lo ha riferito ad un carabiniere. Così Buccolieri ha dovuto spiegarsi in caserma. «Il sogno devo raccontare?», «Si». Ma nel verbale quel sogno diventa realtà e quando lui chiede che sia specificato che di sogno si trattava scatta l’imputazione per false dichiarazioni al Pm. Un processo quello di Avetrana, tormentato da colpi di scena, testimoni sospettati di false dichiarazioni, giudici popolari ricusati, sognatori, terminato nei due primi gradi di giudizi con condanne pesantissime per le due donne: fine pena mai. E 1630 pagine di motivi in primo grado. “Troppe”, sostiene Franco Coppi, “il giudice che è convinto della colpevolezza dell’imputato e di dover infliggere l’ergastolo dovrebbe avere delle idee così chiare e avere in mente dei punti di riferimento così solidi e così lucidi da non avere bisogno di un’enciclopedia per rappresentare le ragioni del suo convincimento”. Coppi prende spunto dal caso Misseri per far notare che oggi in Italia il principio del dubbio pro reo “purtroppo non passa nel cuore di chi lo dovrebbe applicare. E a volte viene il sospetto che nel dubbio si preferisca condannare piuttosto che assolvere”. Buccolieri nonostante gli bastasse semplicemente cambiare versione ed affermare che il sogno era realtà una scusa per cavarsi di impaccio, non lo ha mai fatto ed invece ha sempre dichiarato “Non voglio andare all’ inferno per aver fatto condannare due innocenti”. Incredibilmente è proprio che si è potuto sfilare dal processo. Un processo in cui il sogno assume le vesti del protagonista, ma manca il sognatore! Vi sono stati suoi amici e parenti accusati di false dichiarazioni quando hanno ripetuto che loro hanno sempre saputo che si trattava di un sogno e non di realtà. Nel processo di appello Prudenzano e Colazzo, rispettivamente suocera e cognato del fioraio, sono stati assolti, dopo essere stati condannati in precedenza in quello primo grado per favoreggiamento. Quindi giustamente scrive la collega Corbi, “il sogno era tale?” Per logica conseguentemente dovrebbe cadere e venire meno anche la colpevolezza di Sabrina e Cosima, almeno nella parte del rapimento di Sarah Scazzi. E anche se i giudici pensano che i due possono essere stati ingannati dal fioraio, legittimo e doveroso chiedersi: come mai allora non si è sentita la necessità di ascoltare il sognatore visto che in ballo ci sono due ergastoli? Che sono due sentenze di morte civile? Ma come ben noto, in questa triste vicenda giudiziaria, sono tante le cose che non quadrano. Non avendo seguito nelle varie fasi il processo (questo giornale non usciva) abbiamo quindi ritenuto di affidarci alle corrette cronache di Maria Corbi una collega e cara amica che conosciamo e stimiamo da tanti anni, preferendo evitare di ascoltare i giornalisti tarantini, che in realtà nel corso di questa lunga vicenda giudiziaria, altro non desideravano che farsi intervistare ingiacchettati dalle telecamere delle tv nazionali, o pagarsi il viaggio a Roma, pur di essere presenti in trasmissione, chiaramente postando sui socialnetwork il ridicolo annuncio “Oggi sarò in tv a….“. Protagonismo (in) degno. 5 persone vengono coinvolte in un delitto senza che nessuno abbia la minima esitazione. Nei tabulati telefonici c’è, secondo la difesa, la prova dell’innocenza di Sabrina ma per i giudici lo scambio di sms tra Sabrina e Sarah nei momenti appena precedenti al delitto sono un depistaggio. Quindi Sabrina, che aveva appena ucciso la cuginetta avrebbe provato a farsi un alibi scrivendosi sms dal cellulare di Sarah. Comportamento assurdo, secondo la difesa, per una ragazza che fino a quel giorno non aveva fatto del male a nessuno. Il medico legale che visitò Michele Misseri in carcere parlò di unghiature sulle braccia di Misseri come se avesse avuto avuto una colluttazione con Sarah. Poi quando l’uomo ritratta e accusa la figlia quelle unghiature diventano “sfregi provocati dal lavoro nei campi”. E poi c’è lui, Michele Misseri, che anche ieri ha continuato a ripetere di essere lui è solo lui il colpevole. “Non avrei mai difeso Sabrina se fosse stata lei. Le sarei rimasto vicino ma non mi sarei mai preso la colpa”. Quando Michele Misseri trova il cellulare di Sarah chiama le figlie, che erano a casa, ad Avetrana. E dalla descrizione del telefonino è Sabrina a riconoscerlo, a dire che è di Sarah e a chiamare subito i Carabinieri in modo che potessero prenderlo in custodia e analizzarlo. Perché avrebbe dovuto farlo sapendo che sarebbe stato usato contro di lei? Una riflessione giusta che qualche magistrato fa fatica, o meglio, non vuole ascoltare. Il professor Coppi nel ricorso rileva anche come la sentenza contestata “non abbia approfondito, ripetendo l’errore della sentenza di primo grado, temi indicati dalle sentenze pronunziate dalla Corte di Cassazione in sede cautelare (per ben due volte la Corte di Cassazione aveva annullato i provvedimenti cautelari emessi nei confronti di Sabrina Misseri per mancanza di sufficienti indizi di colpevolezza) senza offrire motivazione alcuna sulle ragioni di tali omissioni”. E adesso l’ultima parola sul delitto di Avetrana la diranno proprio i giudici della prima sezione della Cassazione. Che sicuramente non cercano le riprese ed inquadrature delle telecamere televisive, ed i cui giudici non indossano il vestito della domenica….
Omicidio Scazzi, Valentina Misseri: “A uccidere Sarah è stato mio padre”. Mentre per il 20 febbraio si attende la sentenza della Cassazione, torna a parlare Valentina Misseri per ribadire l'innocenza di sua madre e sua sorella: “A uccidere Sarah - afferma - è stato mio padre", scrive il 15 febbraio 2017 "TRNews". A pochi giorni dalla sentenza della Cassazione sull’omicidio di Sarah Scazzi, torna a parlare Valentina Misseri, la sorella di Sabrina, condannata all’ergastolo assieme alla mamma Cosima, per la morte della 15enne di Avetrana, strangolata, denudata e gettata in un pozzo nell’agosto del 2010. Rilevando il contenuto di alcune lettere, in un’intervista rilasciata per la rivista Oggi, Valentina ribadisce che sua madre e sua sorella sono innocenti: “A uccidere Sarah -afferma- è stato mio padre”. E poi ci sono quelle lettere, scritte proprio da Sabrina, che risalgono a prima della conclusione del processo d’appello, in cui si legge: “Non sono più la Sabrina di prima - scrive -, tanti lati del mio carattere si sono modificati. Alzarsi ogni mattina con l’ansia di affrontare la giornata... sono diventata ancora più fifona e piena di tormenti. In questa situazione ho mille paure, è impossibile trovare un po’ di pace. Ho scoperto che la verità viene sempre a galla ma dopo morta, non sempre da viva”. “Ultimamente – si legge ancora – sogno il pubblico ministero che mi corre dietro con il coltello. Non ce la faccio più, sono stanca”. Righe, accuse e supposizioni che ancora oggi non danno una certezza su cosa davvero è accaduto sette anni fa, quel pomeriggio del 26 agosto, quando Sarah convinta di dover andare al mare con la cugina, non fece più ritorno a casa. Scomparve nel nulla per poi essere ritrovata cadavere nella notte tra il 6-7 ottobre in un pozzo. Ora tutto è in mano ai legali e ai giudici. Il 20 febbraio si tornerà in Tribunale per ascoltare la sentenza della Cassazione.
Caso Scazzi, lunedì Cassazione decide per conferma ergastolo. Studio Coppi per Sabrina e Cosima, a zio Michele difesa d’ufficio, scrive “La Gazzetta del Mezzogiorno” il 18 febbraio 2017. Il delitto di Avetrana, uno dei più torbidi omicidi avvenuto negli ultimi anni nei confronti di una vittima minorenne, approda lunedì prossimo in Cassazione, davanti alla Prima sezione penale che dedicherà a questo crimine avvenuto in provincia di Taranto il 26 agosto 2010, e circondato da omertà e false testimonianze, l’intera udienza con un collegio ad hoc che esaminerà i ricorsi dei sei imputati. Particolare attenzione sarà dedicata alla posizione di Sabrina Misseri e Cosima Serrano, madre e figlia, condannate all’ergastolo in primo e secondo grado con l’accusa di aver strangolato e ucciso l’adolescente Sarah Scazzi, minuta e graziosa ragazzina di quindici anni, cugina e nipote delle due donne. Per loro scende in campo, al gran completo, lo studio del professor Franco Coppi, il penalista famoso per i tanti processi importanti affrontati, che da anni cerca di sostenere l'innocenza di Sabrina - 22 anni all’epoca del fatto - e di sottrarla al carcere a vita indicando nel padre Michele Misseri il reo confesso. Il ruolo di capro espiatorio, questo ex emigrato in Germania sottomesso alla moglie, lo ha giocato tante volte, con diverse versioni e ritrattazioni, a partire dalla confessione che il 6 ottobre 2010 fece ritrovare il corpo di Sarah, oltraggiato ancor più dalla lunga permanenza nell’acqua di un pozzo e recuperato dai sommozzatori. E anche in queste ore, in una intervista a 'Quarto Grado-La domenicà, ha ribadito di aver ucciso lui Sarah (...ricordo quando ho preso la corda, ma non ricordo quando l'ho stretta..."), facendo sapere di sentirsi disperato per l'innocenza di Cosima e Sabrina ("fossero colpevoli, almeno... condannare due innocenti è facile, facilissimo..."). In ogni caso per Misseri, davanti alla Cassazione, non ci sarà a difenderlo dalla condanna a otto anni per soppressione di cadavere e soprattutto ad evitare un ribaltamento delle colpe, nessun avvocato di grido ma solo un legale nominato d’ufficio. Sabrina sarà difesa personalmente da Coppi e Nicola Marseglia, Cosima da Luigi Rella e Roberto Borgogno, il braccio destro di Coppi. Carmine Misseri, fratello di Michele, condannato a cinque anni e undici mesi per soppressione di cadavere sarà difeso dalla figlia di Coppi, Francesca. Meno gravi le responsabilità di Vito Russo, l’ex legale di Sabrina Misseri condannato a un anno e quattro mesi in appello (due anni in primo grado), e di Giuseppe Nigro condannato fin dal primo grado alla stessa pena, entrambi per favoreggiamento. Russo sarà difeso da Gianluca Pierotto, Nigro da Pasquale Laurentiis. Il delitto avvenne nella villetta della famiglia Misseri, e la sera stessa il corpo esanime di Sarah venne gettato in un pozzo di campagna dallo zio Michele. Movente dell’omicidio sarebbe stata la gelosia di Sabrina per la cugina così carina, a causa di un ragazzo del paese, Ivano Russo, mentre Cosima non sopportava la nipote per altri motivi. Il caso di Avetrana è stato fagocitato dai media tanto che questo paese di ottomila anime, prima sconosciuto, è diventato una macabra meta turistica, e addirittura Concetta Serrano, madre di Sarah, apprese in diretta del ritrovamento del corpo della figlia mentre partecipava a 'Chi l’ha vistò e si trovava ospite nella villetta delle due omicide che fingevano pena e dolore. Per quanto riguarda il clima omertoso che ha circondato le indagini e il processo, lo scorso gennaio dodici persone sono state rinviate a giudizio nel processo bis. Tra loro anche Ivano Russo e ziò Michele che deve rispondere di autocalunnia. Il collegio della Cassazione sarà presieduto da Arturo Cortese e composto da Antonio Cairo (relatore), Toni Adek Novik, il magistrato anticamorra Raffaello Magi e Alessandro Centonze. Per la Procura, ci sarà il Pg Fulvio Baldi, magistrato severo spesso impegnato nei casi di violenze sui minori: dirà se merita conferma la sentenza di 1.277 pagine emessa dalla Corte di Assise il 27 luglio 2015 e depositata con 13 mesi dopo con un ritardo tale che il Guardasigilli Andrea Orlando mandò gli ispettori.
Omicidio Sarah Scazzi, oggi la sentenza della Cassazione La zia Cosima Serrano e la cugina Sabrina Misseri condannate all'ergastolo in primo grado e in appello, scrive Rai News il 21 febbraio 2017. Il difensore: è stato Michele Misseri a ucciderla. E' stato Michele Misseri, accusatore prima di sua figlia poi di se stesso, o sono state Sabrina e Cosima ad uccidere Sarah Scazzi quel pomeriggio di agosto del 2010? "Delle due l'una", scandisce l'avvocato Franco Coppi nell'aula della prima sezione penale della Cassazione, la cui decisione arriverà oggi: la difesa delle due donne, condannate in appello a Taranto il 27 luglio 2015 all'ergastolo, gioca la carta del reo confesso a piede libero per smontare 6 anni di processo. Il sostituto pg Fulvio Baldi poco prima aveva sostenuto la colpevolezza delle due imputate al di là di ogni ragionevole dubbio. "Sono convinto della ricostruzione colpevolista della sentenza d'appello", basata su elementi certi; i giudici tarantini, ha detto il rappresentante dell'accusa, "hanno fatto a meno" delle dichiarazioni e dei ripensamenti del contadino di Avetrana. "Sabrina - è la ricostruzione del movente secondo il magistrato - era in uno stato di agitazione e nervosa frustrazione, accusava Sarah di aver contribuito alla fine della storia con Ivano Russo, di aver rivelato dettagli della sua condotta sessuale gettando discredito su di lei e sulla sua famiglia. La madre solidarizza, con un atteggiamento da madre del Sud. Ne nasce una discussione in cui Sarah risponde da 15enne, scappa via, ma riescono a raggiungerla per darle la lezione che merita, una lezione evidentemente assassina. Poi danno ordine a Michele Misseri di disfarsi del corpo". Sabrina, afferma il pg, ha "il necessario cinismo", "il tipo di azione commessa è nelle sue corde". Quanto a Cosima, è mossa da una "partecipazione emotiva credibile alla vita della figlia": "il movente c'è ed è addirittura più consapevole di quello di Sabrina". Secondo la difesa delle due donne, rappresentata da Coppi e da Roberto Borgogno, si tratta di un "errore giudiziario", come "spesso capita quando i processi si celebrano sotto gli occhi dell'opinione pubblica". Ma, è la tesi difensiva, è stato zio Michele ad uccidere Sarah e il movente e il più banale e spregevole, quello sessuale. "Era un uomo molesto", ha detto Coppi, in garage quel pomeriggio del 26 agosto provò a toccare la nipote, "Sarah percepisce l'atto come molestia e minaccia di rivelarlo a Sabrina. Ecco perché la prende per il collo e la strangola in due secondi". Secondo il legale, "non è affatto vero che la prova della colpevolezza di Sabrina", come sostenuto dall'accusa, "prescinda dalla colpevolezza di Michele Misseri. La prova della colpevolezza esclusiva di Michele Misseri è la prova dell'innocenza di Sabrina". L'udienza, partita a rilento con la lunga relazione, durata tre ore e mezzo del giudice relatore Antonio Cairo, si protrae per ore. Slittano al pomeriggio la requisitoria del pg e le arringhe di parte civile e dei difensori degli imputati. Sei: oltre a Sabrina e Cosima, Michele e Carmine Misseri, condannati in appello per la soppressione del cadavere. E Vito Russo e Giuseppe Nigro, accusati di favoreggiamento. Per tutti la richiesta dell'accusa è di confermare le condanne.
Sarah Scazzi, la Cassazione decide. La diretta. Il pg chiede di confermare l'ergastolo per Sabrina Misseri e Cosima Serrano. In aula padre e fratello della vittima, scrive il 20 febbraio 2017 "Quotidiano.net". E' attesa per oggi la parola fine, a livello giudiziario, sull'omicidio di Sarah Scazzi. Dovrebbe arrivare in serata, infatti, il verdetto della Cassazione sul delitto di Avetrana, uno degli omicidi più torbidi avvenuto negli ultimi anni nei confronti di una vittima minorenne. In primo e secondo grado Sabrina Misseri, la cugina della vittima, e Cosima Serrano, la madre di Sabrina, sono stata condannate all'ergastolo con l'accusa di aver strangolato e ucciso la 15enne Sarah Scazzi. Era il 26 agosto 2010, il crimine fu circondato da omertà e false testimonianze.
DALL'AULA - L'udienza davanti alla Prima sezione penale è iniziata stamattina intorno alle 10 e 30. In aula sono presenti, tra il pubblico, anche il papà e il fratello della vittima, Claudio Scazzi. La relazione del giudice si è conclusa dopo oltre tre ore. Dopo una breve sospensione, il sostituto procuratore Fulvio Baldi ha chiesto di confermare la condanna all'ergastolo per Sabrina Misseri e Cosima Serrano. Per l'accusa sono da rigettare i ricorsi di tutti gli imputati.
IL PG - "Non è un processo per affermare la responsabilità di Michele Misseri per omicidio", ma per confermare la colpevolezza di Cosima e Sabrina. Questa la premessa di Baldi nella requisitoria. "Visti i continui ripensamenti di Michele, le corti hanno fatto a meno delle sue dichiarazioni". Tratteggiando le figure delle due donne, il pg ha affermato che Sabrina aveva "il necessario cinismo", "il tipo di azione commessa è nelle sue corde" e "non stupisce" che abbia inviato messaggi al telefono di Sarah "per procurarsi un alibi". Quanto a Cosima, il magistrato ne ha rilevato la "partecipazione emotiva credibile alla vita della figlia", tipica della madre del Sud, "compresa la vergogna" per le dicerie di cui Sabrina sarebbe stata oggetto e un "malinteso senso dell'onore". Baldi sostiene quindi che "il movente c'è ed è addirittura più consapevole di quello di Sabrina". Con sullo sfondo tali stati d'animo sarebbe maturato quello che le sentenza d'appello ha definito un omicidio d'impeto e poi l'ordine a Michele Misseri di sopprimere il cadavere.
I RICORSI - La Cassazione dedica un collegio ad hoc al processo: sul tavolo i ricorsi dei sei imputati. Oltre a Cosima e Sabrina, difese dallo studio del famoso penalista Franco Coppi, la Cassazione deve esprimersi su Carmine Misseri, fratello di Michele, condannato a cinque anni e undici mesi per soppressione di cadavere (a difenderlo la figlia di Coppi, Francesca). Meno gravi le responsabilità di Vito Russo, l'ex legale di Sabrina Misseri condannato a un anno e quattro mesi in appello (due anni in primo grado), e di Giuseppe Nigro condannato fin dal primo grado alla stessa pena, entrambi per favoreggiamento. Russo sarà difeso da Gianluca Pierotto, Nigro da Pasquale Laurentiis.
LA VICENDA - Il delitto avvenne nella villetta della famiglia Misseri, e la sera stessa il corpo esanime di Sarah venne gettato in un pozzo di campagna dallo zio Michele. Movente dell'omicidio sarebbe stata la gelosia di Sabrina per la cugina così carina, a causa di un ragazzo del paese, Ivano Russo, mentre Cosima non sopportava la nipote per altri motivi. La difesa delle due donne condannate per l'omicidio indica in Michele Misseri, padre e marito delle imputate, nonché zio di Sarah Scazzi, il colpevole del delitto. Fu lui stesso, il 6 ottobre 2010, a confessare l'efferato omicidio, facendo anche ritrovare il corpo di Sarah, oltraggiato ancor più dalla lunga permanenza nell'acqua di un pozzo e recuperato dai sommozzatori. Confessione ribadita da Zio Miché anche in queste ore, in una intervista a Quarto Grado-La domenica. "...ricordo quando ho preso la corda, ma non ricordo quando l'ho stretta...", ha detto Misseri che ha fatto sapere di sentirsi disperato per l'innocenza di Cosima e Sabrina. ("Fossero colpevoli, almeno... condannare due innocenti è facile, facilissimo..."). A difendere Misseri, condannato in 8 anni per soppressione di cadavere, non ci sarà nessun legale di grido ma un avvocato nominato d'ufficio.
IL CASO - Il delitto di Avetrana ha ricevuto un'esposizione mediatica unica nel suo genere. L'opinione pubblica fu scossa da alcune tappe della vicenda, una su tutte il momento in cui Concetta Serrano, madre di Sarah, apprese in diretta del ritrovamento del corpo della figlia mentre partecipava a Chi l'ha visto e si trovava ospite nella villetta di Sabrina e Cosima che, stando a quanto stabilito finora dai processi, avrebbero finto pena e dolore. Per quanto riguarda il clima omertoso che ha circondato le indagini e il processo, lo scorso gennaio dodici persone sono state rinviate a giudizio nel processo bis. Tra loro anche Ivano Russo e lo stesso Michele Misseri che deve rispondere di autocalunnia.
LA FAMIGLIA - Sono "fiduciosi" i legali della madre di Sarah Scazzi. "Perché, grazie alla sentenza ben motivata della Corte d'Assise d'Appello di Taranto, ci sono tutti i presupposti perché questa tristissima vicenda si chiuda nel modo giusto", dice Valter Biscotti, avvocato con Nicodemo Gentile di Concetta Serrano Spagnolo. Alla Vita in Diretta parla anche Claudio, fratello di Sarah: "Abbiamo sempre avuto fiducia nella magistratura, le prove c'erano e ci sono. Noi crediamo che dopo due condanne si dovrebbe arrivare allo stesso esito nel terzo grado". E aggiunge: "Non c'è nulla da chiarire o di insoluto, non ci dev'essere alcun dubbio".
Sarah Scazzi, pg Cassazione: “Confermare l’ergastolo per Sabrina Misseri e Cosima Serrano”. In primo e secondo grado le due imputate erano state condannate al fine pena mai. Tratteggiando le figure delle due donne, il pg ha affermato che Sabrina aveva "il necessario cinismo", quanto a Cosima, il magistrato ne ha rilevato la "partecipazione emotiva credibile alla vita della figlia", tipica della madre del Sud, scrive "Il Fatto Quotidiano" il 20 febbraio 2017. Sono da confermare secondo la Procura generale della Cassazione i due ergastoli inflitti a Sabrina Misseri e Cosima Serrano per l’omicidio di Sarah Scazzi. Questa la richiesta del sostituto pg Fulvio Baldi al termine della sua requisitoria davanti alla Prima sezione penale della Cassazione. L’accusa ha chiesto il rigetto dei ricorsi di tutti gli imputati, anche di Michele e Carmine Misseri per la soppressione del cadavere. “Forse è stata eccessiva l’affermazione del pubblico ministero nel processo di primo grado secondo il quale il giorno dell’omicidio di Sarah ad Avetrana ‘Nostro Signore si è distratto’. Non si distragga oggi il collegio giudicante. Consegnate alla piccola e sfortunata Sarah il riposo eterno che merita – ha detto Baldi nella requisitoria al processo in Cassazione per l’omicidio di Avetrana – Non è un processo per affermare la responsabilità di Michele Misseri per omicidio”, ma per confermare la colpevolezza di Cosima e Sabrina “visti i continui ripensamenti di Michele, le corti hanno fatto a meno delle sue dichiarazioni”. Tratteggiando le figure delle due donne, il pg ha affermato che Sabrina aveva “il necessario cinismo”, “il tipo di azione commessa è nelle sue corde” e “non stupisce” che abbia inviato messaggi al telefono di Sarah “per procurarsi un alibi“. Quanto a Cosima, il magistrato ne ha rilevato la “partecipazione emotiva credibile alla vita della figlia”, tipica della madre del Sud, “compresa la vergogna” per le dicerie di cui Sabrina sarebbe stata oggetto e un “malinteso senso dell’onore”, per il pg “il movente c’è ed è addirittura più consapevole di quello di Sabrina”. Il delitto di Avetrana (Taranto) porta la data del 26 agosto 2010 quando la quindicenne Sarah Scazzi sparisce nel nulla nel tragitto tra la sua casa e quella della famiglia Misseri. La cugina Sabrina Misseri e la zia materna Cosima Serrano, madre e figlia, condannate all’ergastolo in primo e secondo grado con l’accusa di aver strangolato e ucciso quell’adolescente minuta e graziosa, si sono sempre dichiarate innocente. Le motivazioni della sentenza di appello di 1.277 pagine sono state depositate a 13 mesi dal verdetto. Per loro è sceso in campo, al gran completo, lo studio del professor Franco Coppi, il penalista famoso per i tanti processi importanti affrontati, che da anni cerca di sostenere l’innocenza di Sabrina – 22 anni all’epoca del fatto – e di sottrarla al carcere a vita indicando nel padre Michele Misseri il reo confesso. Il ruolo di capro espiatorio, questo ex emigrato in Germania sottomesso alla moglie, lo ha giocato tante volte, con diverse versioni e ritrattazioni, a partire dalla confessione che il 6 ottobre 2010 fece ritrovare il corpo di Sarah in un pozzo e recuperato dai sommozzatori. E anche nei giorni scorsi in alcune interviste ha ribadito di aver ucciso lui la ragazzina. Secondo l’accusa l’omicidio avvenne nella villetta della famiglia Misseri e la sera stessa il cadavere di Sarah venne gettato in un pozzo di campagna dallo zio Michele. Movente dell’omicidio sarebbe stata la gelosia di Sabrina per la cugina così carina, a causa di un ragazzo del paese, Ivano Russo, mentre Cosima non sopportava la nipote per altri motivi. Il caso di Avetrana è stato fagocitato dai media tanto che questo paese di ottomila anime, prima sconosciuto, è diventato una macabra meta turistica, e addirittura Concetta Serrano, madre di Sarah, apprese in diretta del ritrovamento del corpo della figlia mentre partecipava a “Chi l’ha visto” e si trovava ospite nella villetta delle due omicide che fingevano pena e dolore. Per quanto riguarda il clima omertoso che ha circondato le indagini e il processo, lo scorso gennaio dodici persone sono state rinviate a giudizio nel processo bis. Tra loro anche Ivano Russo e zio Michele che deve rispondere di autocalunnia. “È una vicenda umana più che processuale che parte da un dilemma: a uccidere Sarah è stato Michele oppure Sabrina e Cosima? Delle due l’una”. Il professor Franco Coppi, avvocato di Sabrina Misseri, nella sua arringa, ha puntato sul movente sessuale che, ancorché non ammesso da Michele, è a suo avviso evidente dal suo racconto: “Era un uomo molesto, Sarah percepisce l’atto come molestia e minaccia di rivelarlo a Sabrina. Ecco perché la prende per il collo e la strangola in due secondi”. Secondo il difensore “non è affatto vero che la prova della colpevolezza di Sabrina”, come sostenuto dall’accusa, “prescinda dalla colpevolezza di Michele Misseri. La prova della colpevolezza esclusiva di Michele Misseri è la prova dell’innocenza di Sabrina”.
Omicidio di Sarah Scazzi, il sostituto pg della Cassazione: «Sabrina cinica e anche Cosima aveva il movente. Gli ergastoli vanno confermati». «Sono convinto della ricostruzione colpevolista della sentenza d'appello». Lo ha detto il sostituto procuratore generale della Cassazione Fulvio Baldi nella requisitoria davanti alla Prima sezione penale della Cassazione con cui ha chiesto la conferma degli ergastoli a Sabrina Misseri e Cosima Serrano per l'omicidio di Sarah Scazzi, decisi dalla Corte d'appello di Taranto il 27 luglio 2015, e della condanna a 8 anni di Misseri per soppressione di cadavere. «Sabrina - è la ricostruzione del movente secondo il pg - era in uno stato di agitazione e nervosa frustrazione, accusava Sarah di aver contribuito alla fine della storia con Ivano Russo, di aver rivelato dettagli della sua condotta sessuale gettando discredito su di lei e sulla sua famiglia. La madre solidarizza, con un atteggiamento da madre del sud. Ne nasce una discussione in cui Sarah risponde da 15enne, scappa via, ma riescono a raggiungerla per darle la lezione che merita, una lezione evidentemente assassina. Poi danno ordine a Misseri di disfarsi del corpo». «Non è un processo per affermare la responsabilità di Michele Misseri per omicidio», ma per confermare la colpevolezza di Cosima e Sabrina: «visti i continui ripensamenti di Michele, le corti hanno fatto a meno delle sue dichiarazioni». Questa è stata la premessa del sostituto pg Baldi, nella sua requisitoria. Tratteggiando le figure delle due donne, il pg ha affermato che Sabrina aveva «il necessario cinismo», «il tipo di azione commessa è nelle sue corde» e «non stupisce» che abbia inviato messaggi al telefono di Sarah «per procurarsi un alibi». Quanto a Cosima, il magistrato ne ha rilevato la «partecipazione emotiva credibile alla vita della figlia», tipica della madre del Sud, «compresa la vergogna» per le dicerie di cui Sabrina sarebbe stata oggetto e un «malinteso senso dell'onore»: «il movente c'è ed è addirittura più consapevole di quello di Sabrina». Con sullo sfondo tali stati d'animo sarebbe maturato quello che la sentenza d'appello ha definito un omicidio d'impeto e poi l'ordine a Michele Misseri di sopprimere il cadavere. «Del tutto destituita di fondamento è la pretesa di riqualificare il reato da soppressione di cadavere ad occultamento» con conseguente sconto di pena, ha poi continuato il sostituto procuratore generale della Cassazione nella sua requisitoria, chiedendo la conferma della condanna a otto anni inflitta in appello a Michele Misseri per aver celato il corpo della nipote Sarah Scazzi. Ricostruendo l'accaduto il magistrato ha sottolineato che il cadavere «è stato calato in un luogo impervio, una pozza piena d'acqua che ne avrebbe facilitato il deperimento», a dimostrazione della volontà originaria di celare e distruggere per sempre il cadavere, salvo poi ripensarci e farlo ritrovare. Complementare a questo disegno, secondo la Procura generale della Cassazione, è stata l'azione di aver bruciato i vestiti della 15enne. Il pg ha sottolineato che per questo è ben motivato il diniego da parte della Corte tarantina di negare le attenuanti generiche. L'udienza, questa mattina, si era aperta con la lunga relazione del giudice Antonio Cairo, durata circa tre ore e trenta, nella quale ha ripercorso le fasi di merito e i motivi di ricorso. Nel pomeriggio il processo davanti alla Prima sezione penale è ripreso con la requisitoria del sostituto pg Fulvio Baldi. Poi la parola è passata agli avvocati di parte civile e ai difensori degli imputati.
“Sarah l’ho uccisa da solo”. Lo zio spera nella Cassazione. Delitto di Avetrana, oggi la sentenza della Suprema corte. Michele Misseri: “Mia moglie e mia figlia sono innocenti”, scrive Maria Corbi il 20/02/2017 su "La Stampa". «Sono stato io e spero che finalmente la Cassazione capisca che solo questa è la verità. Come devo dirlo? Ho ucciso io Sarah. Sabrina e Cosima non c’entrano niente. Non mi sarei mai preso la colpa al posto loro». Michele Misseri dalla sua villetta di Avetrana, al telefono, si accusa ancora, alla vigilia del processo in Cassazione (oggi) che dovrà confermare o meno le due condanne all’ergastolo per sua moglie e sua figlia. Un reo confesso a piede libero (nonostante la condanna a 8 anni per occultamento) e due donne che si dichiarano innocenti in carcere da anni (sei Sabrina e cinque Cosima). E nel ricorso dei difensori di Sabrina Misseri, Franco Coppi e Nicola Marseglia, alla confessione di Misseri sono dedicate molte pagine. Essa, infatti, rilevano i legali, «era assistita da puntuali riscontri. Misseri aveva rivelato il luogo dell’occultamento del cadavere, aveva condotto gli inquirenti al pozzo in contrada Mosca, aveva indicato il luogo ove si era fermato per denudare il cadavere e dove aveva bruciato i vestiti di Sarah». Ma non solo, perchè, Misseri, ha sempre dichiarato di non aver avuto il coraggio di costituirsi, ma di aver tentato in tutti i modi di far confluire su di sé i sospetti per l’omicidio». E proprio per questa ragione egli aveva posizionato in varie occasioni il cellulare di Sarah, del quale era rimasto in possesso, in luoghi dove sarebbe stato facile trovarlo. E pochi giorni prima dell’interrogatorio in cui confessò fece finta di aver trovato il telefono di Sarah» «La sua confessione, quindi, corrisponde puntualmente alla condotta da lui tenuta dal momento dell’uccisione della nipotina e appare assolutamente credibile», rilevano i difensori. Mentre la ritrattazione, scrivono Coppi e Marseglia, è evidentemente falsa. Infatti nell’incidente probatorio Michele Misseri, per sostenere la nuova versione ha inventato «la storiella del “giuoco del cavalluccio” nel corso del quale Sarah, che recitava la parte del destriero, sarebbe scivolata rimanendo strozzata dalle briglie». L’accusa formulata nei confronti della figlia «non è costante, precisa, coerente», continuano Coppi e Marseglia. «In un primo momento Sabrina avrebbe semplicemente scoperto il delitto commesso dal padre», in un secondo momento avrebbe condotto la cugina in garage dove il padre avrebbe dovuto impartirle una lezione affinchè non parlasse delle avances sessuali ricevute dallo zio; «in altro momento ancora Sabrina avrebbe bloccato Sarah mentre il padre le stringeva la gola». Per arrivare alla versione di Sabrina che uccide e poi chiede al padre di aiutarla a sbarazzarsi del cadavere. Detto questo la sentenza di appello, come già quella di primo grado, sostiene che la responsabilità di Sabrina non discende dalle accuse del padre, ma risulta da prove indipendenti. Prova regina? Un sogno, dove il sognatore non è stato ascoltato in aula e ancora ieri si disperava «per essere il responsabile della condanna di due innocenti». Il fioraio di Avetrana, Giovanni Buccolieri, raccontò alla commessa del suo negozio di avere sognato Cosima e Sabrina che rapivano Sarah trascinandola in auto dopo averla inseguita. Un sogno che in un verbale divenne realtà.
I giudici della Suprema Corte di Cassazione sono chiamati anche a pronunciarsi sulla condanna a 8 anni inflitta a Michele Misseri per soppressione di cadavere e inquinamento delle prove. Sabrina e Cosima, madre e figlia, rispettivamente zia e cugina di Sarah, sono state ritenute invece responsabili dell’uccisione della quindicenne, strangolata forse per ragioni di gelosia o di vecchi rancori familiari, scrive “Il Corriere del Giorno”. Potrebbe arrivare oggi la parola fine, dopo quasi 7 anni, sul delitto di Avetrana: la prima sezione penale della Cassazione è chiamata a decidere se confermare o meno la sentenza di condanna all’ergastolo per Sabrina Misseri e Cosima Serrano, madre e figlia, accusate di aver ucciso nell’agosto 2010 la quindicenne Sarah Scazzi, cugina e nipote delle due, trovata senza vita in una cisterna d’acqua nelle campagne circostanti Avetrana, in provincia di Taranto. Questo è un estratto della confessione di Michele Misseri, il quale continua a professarsi colpevole, nonostante il processo abbia preso una piega diversa. I giudici della Suprema Corte di Cassazione sono chiamati anche a pronunciarsi sulla condanna a 8 anni inflitta a Michele Misseri per soppressione di cadavere e inquinamento delle prove. Mentre Sabrina e Cosima, madre e figlia, rispettivamente zia e cugina di Sarah, sono state ritenute invece responsabili dell’uccisione della quindicenne, strangolata forse per ragioni di gelosia o di vecchi rancori familiari. Secondo la Procura generale della Cassazione i due ergastoli inflitti a Sabrina Misseri e Cosima Serrano per l’omicidio sono da confermare. Questa la richiesta formulata questa mattina del sostituto pg Fulvio Baldi al termine della sua requisitoria davanti alla Prima sezione penale della Cassazione. L’accusa ha chiesto il rigetto dei ricorsi di tutti gli imputati, anche di Michele e Carmine Misseri per la soppressione del cadavere. Sul delitto di Avetrana è tornato a parlare Michele Misseri. Nel programma televisivo “Quarto Grado – La domenica”, in onda ieri su Retequattro, con un’intervista esclusiva in un concentrato di mezze ammissioni, confessioni e ritrattazioni. “Zio Michele” si è definitivamente autoaccusato del delitto, non venendo però sinora ritenuto credibile dai giudici. Nell’intervista ancora una volta ha sostenuto di aver ucciso lui Sarah dicendo “...ricordo quando ho preso la corda, ma non ricordo quando l’ho stretta…”, dicendo “fossero colpevoli, almeno… condannare due innocenti è facile, facilissimo...” esternando la propria disperazione per l’innocenza di Cosima e Sabrina. Misseri è convinto che Sarah lo abbia perdonato ed ha detto: “Sono uno che non si sfoga, ma quel giorno sono esploso e purtroppo è incappata quella poveretta: se fosse stata mia figlia penso che avrei fatto lo stesso”. Misseri ha quindi ribadito, che Sabrina e Cosima sono in carcere da innocenti ed ha concluso: “Io vivo come fossi con loro: gli scrivo tutte le settimane, ma non mi rispondono perché stanno soffrendo”. Il professor Franco Coppi, difensore di Sabrina Misseri insieme all’ Avv. Nicola Marseglia spera “che adesso possa essere fatta giustizia. E’ un caso che mi tormenta – ha spiegato in una recente intervista alla collega Maria Corbi del quotidiano LA STAMPA – perché ho la certezza che una ragazza innocente sia in galera”. Carcerazione “preventiva” questa che dura ormai da più di sei anni. Il professor Coppi nel suo ricorso in Cassazione ha eccepito come la sentenza di appello “abbia proceduto a ricostruzioni dei fatti attraverso esasperate analisi di tempi e di orari ottenuti attraverso palesi forzature di dati probatori acquisiti al processo (possiamo fin da ora ricordare le acrobazie della sentenza intorno all’orario di uscita di casa di Sarah Scazzi il 26 agosto 2010 e quelle, correlative, in merito agli avvistamenti della giovane da parte di questo o quel testimone”. Evidenziando anche che “nel contrasto di due possibili letture dei fatti, abbia sempre privilegiato quella contraria a Sabrina Misseri, nonostante la Corte di Cassazione, nella sentenza 17 maggio 2011, avendo già rilevato l’adozione di siffatto criterio nei provvedimenti cautelari, avesse avvertito che avrebbe dovuto essere seguito il criterio opposto”. “Un caso che divide, che ha messo a dura prova il sistema garantista della nostra giustizia” scrive oggi la Corbi su LA STAMPA – “Dove è scomparso il ragionevole dubbio. Un processo mediatico disgustoso dove è stato permesso a tutti di intervenire con toni barbari, anche a chi, troppi, non hanno mai letto una pagina di questo sterminato processo”. Compresi i soliti noti “scribacchini” locali che passavano le carte processuali in nome e per conto di qualche magistrato alle tv nazionali, e poi da perfetti “cafoncelli” di paese mettevano giacca e cravatta per farsi ospitare in tv, in alcuni casi pagandosi persino le spese di viaggio! Per poi pubblicare su Facebook l’avviso: oggi sarò in TV. E la chiamano informazione….
La Cassazione conferma: ergastolo per Cosima e Sabrina. Michele Misseri torna in carcere. Quando poco dopo le 16 i carabinieri entrano nella villetta di Avetrana a notificargli l’ordine di carcerazione, per scontare la pena per la soppressione del cadavere della nipotina, Michele Misseri si dispera ancora. «Due innocenti sono in carcere», ripete ormai da anni. Eppure Sabrina e Cosima, sua figlia e sua moglie, che lui stesso ha inizialmente additato, e a cui ora chiede «perdono», in tutti i gradi di giudizio sono state ritenute colpevoli. Tutti i giudici davanti ai quali il caso è passato non hanno avuto dubbi: hanno ucciso loro Sarah Scazzi, e sconteranno l'ergastolo. La difesa delle due donne, rappresentata dal principe del foro Franco Coppi e dal suo braccio destro, Roberto Borgogno, ha provato, senza riuscire, a insinuare nel collegio della Cassazione il dubbio, secondo i legali una certezza, che sia stato il contadino di Avetrana a uccidere quella ragazzina dai capelli biondi, che per 42 giorni la madre Concetta ha cercato invano. E per il più bieco dei motivi. «Il movente è sessuale», aveva scandito Coppi in aula e l’assassino è un reo confesso, zio Michele. Il verdetto finale è arrivato dopo una notte di attesa, la più lunga per le due donne rinchiuse in carcere a Taranto. Mentre il presidente della prima sezione penale della Cassazione, Arturo Cortese, legge il dispositivo della sentenza («annullamento senza rinvio...») il dubbio sembra materializzarsi. Non è, però, un’assoluzione secca, per la quale quella sarebbe stata la formula di rito. E’ solo un piccolissimo sconto, di qualche settimana, di isolamento diurno. L’ergastolo è confermato. Così come è confermata la pena di Michele Misseri, che non è dunque l’assassino, ma colui che ha cercato di far sparire il corpo, con l’aiuto di suo fratello Carmine, per coprire il delitto, salvo poi pentirsi e farlo ritrovare. E’ stato un omicidio d’impeto, come riconosciuto dai giudici di Taranto di primo e secondo grado, che hanno condiviso la ricostruzione della procura. Frutto, come è scritto nella sentenza d’appello della gelosia di Sabrina per la cugina, e di un «autonomo risentimento» da parte di Cosima. Sarah Scazzi il pomeriggio del 26 agosto di sei anni fa, si recò nella villetta dei Misseri, in via Deledda, ebbe una prima lite con Sabrina e Cosima, poi cercò di fuggire ma fu raggiunta in strada e riportata in casa, dove fu strangolata e uccisa dalle due donne; quindi il corpo fu portato nel garage e poi trasportato in auto nel pozzo-cisterna di contrada Mosca, come ha ricostruito anche ieri l’accusa in Cassazione, rappresentata dal sostituto pg Fulvio Baldi. Con le motivazione, che la suprema corte depositerà presumibilmente solo tra qualche mese (in appello i giudici hanno impiegato oltre un anno) si conosceranno i punti fermi del giudizio di legittimità. Ai giudici e agli inquirenti va il ringraziamento della famiglia Scazzi. «Sarah ha ricevuto giustizia», dice il fratello travolto dalle telecamere sulle scale del Palazzaccio, «grazie a chi ha lavorato per anni, persone fortemente motivate». Ora Concetta, rimasta a casa ad aspettare la sentenza che inchioda la sorella e la nipote, «potrà trovare pace», come dice l'avvocato di parte civile, Walter Biscotti. Cosima e Sabrina, secondo l’avvocato Borgogno, «sono due sventurate, combatteremo fino alla fine perché è una battaglia per la giustizia: è un enorme errore giudiziario. Rimaniamo convinti - ha detto - che c'è un colpevole, Michele Misseri, e due innocenti che stanno scontando la pena al suo posto». Il processo per il delitto nella villetta degli orrori si chiude con altre tre condanne: quella a Carmine Misseri a 4 anni e 11 mesi (per lui sconto di pena di un anno), Vito Russo junior e Giuseppe Nigro, entrambi condannati a un anno e quattro mesi per favoreggiamento personale. (Melania Di Giacomo, ANSA 21 febbraio 2017 pubblicato su “La Gazzetta del Mezzogiorno).
Sarah Scazzi, confermato l'ergastolo per Sabrina e Cosima. Arrestato anche Michele Misseri. La condanna definitiva della Cassazione per la cugina e la zia della 15enne uccisa ad Avetrana. Il fratello di Sarah: "Ha trovato giustizia". Ma lo zio continua ad accusarsi dell'omicidio: "Chiedo scusa a mia moglie e mia figlia", scrive il 21 febbraio 2017 "La Repubblica". Sono state Sabrina Misseri e la madre Cosima Serrano a uccidere Sarah Scazzi nell'agosto del 2010 ad Avetrana. A sancirlo sono stati i giudici della prima sezione penale della Cassazione che hanno confermato tutte le pene decise in appello. Ergastolo per Sabrina Misseri e Cosima Serrano, otto anni di reclusione per Michele Misseri, ritenuto colpevole di soppressione di cadavere. Pena ridotta a 4 anni e 11 mesi per Carmine Misseri, accusato di aver aiutato il fratello Michele. Confermate, infine, le pene per Vito Russo junior e Giuseppe Nigro, entrambi condannati a un anno e quattro mesi per favoreggiamento personale. Per effetto di questa sentenza l'uomo, che si autoaccusa di essere l'unico responsabile del delitto, è stato prelevato dalla sua abitazione dai carabinieri che lo hanno portato in carcere. "Io sono sereno per me, ma non per le altre cose: due innocenti sono in carcere". Così, in una telefonata mandata in onda dal Tg2, Michele Misseri ha commentato la sentenza, tornando ad accusarsi dell'omicidio. "Perdono, vi chiedo perdono per gli errori che ho fatto", ha detto rivolgendosi alla figlia Sabrina e alla moglie Cosima Serrano. "E' un errore giudiziario", ha aggiunto, "ma secondo me" la vicenda "non è finita. Vedremo...". L'avvocato di Michele Misseri, Luca Latanza, ha detto che l'uomo, prima di essere arrestato, stava scrivendo una lettera a Sarah per chiedere perdono. Nell'ordine di carcerazione c'è "il divieto assoluto di vedersi con i familiari - ha precisato l'avvocato - a meno che non si chieda l'autorizzazione in casi particolari al magistrato di sorveglianza". “Sarah ha ricevuto giustizia”, ha commentato il fratello Claudio che ha informato della sentenza la mamma Concetta che ha preferito seguire da Avetrana l’esito del processo. "Oggi si chiude questa dolorosissima pagina giudiziaria. La famiglia ha bisogno di trovare pace". Lo ha detto l'avvocato Walter Biscotti, legale di parte civile nel processo per la morte di Sarah Scazzi. "Voglio ricordare - ha detto l'avvocato - i 40 giorni in cui una madre disperata ha girato le televisioni per ripetere gli appelli per la figlia scomparsa. Concetta ha avuto un ruolo determinante in questa vicenda". Biscotti ha quindi ringraziato la procura di Taranto, che ha avuto coraggio nel proseguire sulla sua strada, nonostante le confessioni di Michele Misseri: "Noi siamo convinti, come la procura, che Michele Misseri non ha commesso l'omicidio". L'avvocato di Cosima Serrano, Roberto Borgogno, annuncia il ricorso alla Corte europea: "Riteniamo che ci siano state delle violazioni di principi fondamentali, in particolare il principio del contraddittorio e la possibilità per la difesa di esaminare i testimoni che sono stati fondamentali per l'accusa".
Sarah Scazzi, Avetrana sette anni dopo: "Nessuna targa per lei, meglio dimenticare". In provincia di Taranto nessuno commenta l'ultimo atto del processo. La madre di Sarah si è chiusa in preghiera, zio Michele conduce la vita di sempre. Il vicesindaco: "Il paese vuole rimuovere ciò che è accaduto", scrive Vittorio Ricapito il 21 febbraio 2017 su "La Repubblica". Riflettori e telecamere si riaccendono su Avetrana per il verdetto della Cassazione anche se il paese, poco meno di 7mila abitanti, sembra voler dimenticare l'omicidio della quindicenne Sarah Scazzi, nell'estate di sette anni fa. Molti neanche sanno che è il giorno dell'ultimo grado del processo e per strada nessuno ha voglia di parlare del giallo che per mesi ha tenuto l'Italia col fiato sospeso. Ad Avetrana non c'è un giardino, un'aula, una targa, per ricordare la studentessa strangolata. Solo al cimitero c'è ancora un po' di via vai, soprattutto di forestieri che vengono a portare fiori sulla sua tomba, dire una preghiera. Concetta Serrano, la mamma di Sarah, per evitare i curiosi ci va al mattino presto e porta fiori freschi sulla tomba costruita da suo marito Giacomo. "Anche lui quando è ad Avetrana ci viene tutti i giorni e resta in silenzio a guardare la foto sulla lapide" racconta una conoscente. E mentre Giacomo e Claudio, il fratello di Sarah, sono andati a Roma per seguire l'udienza, Concetta ha preferito attendere il verdetto con le amiche più fidate a pochi chilometri da Avetrana. "Cita il Deuteronomio, ha una fede incrollabile nella giustizia divina più che in quella del processo. Prega e il suo credo religioso (è testimone di Geova) le dà la ferma convinzione che Sarah tornerà" raccontano le persone a lei vicine. Sono passati sette anni dall'omicidio di Sarah. I suoi compagni di scuola sono maggiorenni da qualche anno. Le amiche del cuore, Francesca e Maria, preferiscono non parlare coi giornalisti. "Sarah era una ragazzina molto fragile e timida che diventava rossa quando parlava e abbassava lo sguardo se rimproverata", racconta Maurizio Schirone, suo ex docente. "Proposi di dare il suo nome all'istituto professionale ma non se ne fece niente, anzi mi accusarono di aver contribuito alla sovraesposizione mediatica". Michele Misseri aspetta la sentenza nella villa di via Deledda con la borsa pronta per il carcere. Il suo quotidiano è fatto di piccoli lavoretti di giardinaggio e potature. Una cognata gli fa da mangiare. Di tanto in tanto si fa vedere in giro per il paese ma ha il divieto di uscire di casa dalle 21 alle 6. "L'ho visto in tv che dice di essersi costruito in casa la sua prigione ma qui se ne va in giro liberamente, mangia dai parenti alle feste, partecipa alle processioni e si fa vedere in chiesa senza che nessuno lo contesti. Non capisco perché sia libero dopo quello che ha fatto. Speriamo che quella povera bambina possa avere finalmente pace" dice una donna davanti all'edicola del paese, "ma non lo scrivere sul giornale" si affretta ad aggiungere. "Forse fa pena perché ci rendiamo conto che si accusa nel disperato tentativo di evitare la condanna a moglie e figlia", replica un'altra. "Io ho l'impressione che il paese voglia dimenticarsi di questa storia" commenta il vicesindaco Alessandro Scarciglia. "Se ne parla sempre meno, c'è come un velo di vergogna. Dopo sette anni devo ammettere che siamo stati tutti travolti dalla portata mediatica di questo caso. Avetrana è un paesino tranquillo in cui non era mai successo nulla del genere e non eravamo preparati. Oggi posso dire che probabilmente non siamo stati del tutto capaci di gestirla. Ci siamo trovati improvvisamente invasi da troupe televisive italiane ed estere. Il sindaco firmò un'ordinanza per allontanare da via Deledda furgoni e telecamere e fermare il reality. Per mesi, anzi per anni, abbiamo assistito a un macabro turismo dell'orrore nei luoghi del delitto". Il Comune di Avetrana ha chiesto 300mila euro ai Misseri per il danno di immagine.
Michele Misseri in carcere: la fine della storia dello "zio" di Avetrana. Condannato a 8 anni per la soppressione del cadavere della nipote Sarah Scazzi, è galera per l'uomo che puntava al "tutti colpevoli nessun colpevole", scrive Carmelo Abbate il 21 febbraio 2017 su Panorama. La Corte di Cassazione ha confermato il quadro probatorio sul caso Avetrana. Il processo per l'omicidio di Sarah Scazzi è ufficialmente concluso: condanna all'ergastolo per Sabrina Misseri e Cosima Serrano, 8 anni di reclusione per Michele Misseri accusato di soppressione di cadavere. Zio Michele finalmente potrà andare in carcere, come ha sempre chiesto. Certo sperava che le porte si aprissero per lui e contemporaneamente si chiudessero per la figlia e la moglie. Ma non è andata proprio così. O forse zio Michele puntava al "tutti colpevoli nessun colpevole". Qualche dubbio è legittimo. Non fosse altro perché mentre continuava a ripetere di essere stato lui a uccidere Sarah, mentre tramite il suo avvocato presentava ricorso contro la sentenza di secondo grado che lo condannava a 8 anni per soppressione di cadavere. Chiedeva l'assoluzione sostenendo che non aveva soppresso il cadavere ma che l'aveva occultato, reato che prevede una pena inferiore. Dunque siamo di fronte a un uomo che si accusa di meritare l'ergastolo per quello che ha fatto, che vuol pagare per il grave delitto, ma che si appella contro una pena tutto sommato ridicola rispetto all’atroce delitto che dice di aver commesso. I giudici della Cassazione non gli hanno creduto, e soprattutto non hanno creduto all'avvocato Fausto Coppi, altro vero grande sconfitto di questa brutta vicenda, quando chiedeva a tutti un autentico atto di fede. Per Coppi, Michele Misseri era credibile quando affermava di aver ammazzato la nipote, mentre non era credibile quando negava di averlo fatto per una improvvisa vampata alla testa. Lo zio Michele voleva andare in galera ma non ne voleva sapere di marchiarsi dell'infame movente sessuale che gli apparecchiava l'avvocato Coppi. Tanto che durante una intercettazione ambientale in carcere con la moglie Cosima che lo incalza e insiste sul fatto che lui abbia violentato la nipote, Misseri alla fine sbotta: "se proprio lo devo dire, allora lo dico". Certo non era facile credere a un assassino che non soltanto non sapeva perché aveva ucciso la nipote Sarah, ma neppure con che cosa l'aveva uccisa. Zio Michele aveva fatto ritrovare il cadavere della ragazza, il suo telefono, ma guardo caso non l'arma del delitto. Prima dice di averla ammazzata con la corda, poi con la cintura dei pantaloni. Chissà...Tolta ogni credibilità a zio Michele, l'indagine non si apriva su un territorio sterminato, ma su uno spazio angusto, quello di casa Misseri, dove c'erano solo Sabrina e Cosima, e dove è morta la piccola Sarah. Su questo non ci può essere dubbio, come afferma la stessa Cosima in una intercettazione con la figlia Valentina: "Il fatto è Valentì… il fatto che è successo a casa nostra, è stato a casa nostra, tutto è contro di noi per quella cosa".
Omicidio Sarah Scazzi: La Cassazione conferma le condanne di ergastolo per Sabrina e Cosima, scrive il 21 febbraio 2017, il Corriere del Giorno", primo organo di stampa in Italia a dare la notizia. Confermata la condanna a Sabrina e Cosima, ed a Michele e Carmine Misseri, già condannati in appello per la soppressione del cadavere di Sarah Scazzi. Confermata la sentenza anche nei confronti Vito Russo e Giuseppe Nigro, accusati di favoreggiamento. h. 10:09 La prima sezione delle Suprema Corte di Cassazione ha confermato questa mattina, la sentenza di condanna a Sabrina Misseri e sua madre Cosima Serrano, annullando l’aggravante (art. 112 C.P.) del numero di persone in concorso per la soppressione del cadavere di Sarah e riducendo l’isolamento diurno per Cosima e Sabrina. Presenti in aula il papà e il fratello della quindicenne Sarah Scazzi uccisa ad Avetrana il 26 agosto 2010. Confermata la condanna a otto anni per Michele Misseri, e ritoccato al ribasso di un anno la pena per Carmine Misseri, il fratello di “zio Michele” riducendola a 4 anni e 11 mesi per soppressione del cadavere di Sarah Scazzi, morta ad Avetrana il 26 agosto 2010. Confermata la sentenza anche nei confronti di Vito Russo e Giuseppe Nigro, accusati di favoreggiamento. L’udienza, partita ieri a rilento con la lunga relazione, durata tre ore e mezzo del giudice relatore Antonio Cairo, si era protratta per tutto il pomeriggio con la requisitoria del pg e le arringhe di parte civile e dei difensori degli imputati. Cosima e Sabrina. Secondo l’avvocato Roberto Borgogno, difensore di Cosima Serrano condannata all’ergastolo assieme alla figlia Sabrina dalla Cassazione “sono due sventurate, combatteremo fino alla fine perché è una battaglia per la giustizia: è un enorme errore giudiziario”. Ed aggiunto. “rimaniamo convinti che c’è un colpevole, Michele Misseri, e due innocenti che stanno scontando la pena al suo posto”.
I protagonisti:
Sarah Scazzi: la vittima;
Sabrina Misseri: cugina di Sarah, condannata all’ergastolo;
Cosima Serrano: mamma di Sabrina, condannata all’ergastolo;
Michele Misseri: marito di Cosima e papà di Sabrina, condannato a otto anni.
Accolta la richiesta del sostituto procuratore generale Fulvio Baldi che aveva sostenuto la colpevolezza delle due imputate al di là di ogni ragionevole dubbio. “Sono convinto della ricostruzione colpevolista della sentenza d’appello”, basata su elementi certi; i giudici tarantini, ha detto il rappresentante dell’accusa, “hanno fatto a meno” delle dichiarazioni e dei ripensamenti del contadino di Avetrana. “Sabrina – è la ricostruzione del movente secondo il magistrato – era in uno stato di agitazione e nervosa frustrazione, accusava Sarah di aver contribuito alla fine della storia con Ivano Russo, di aver rivelato dettagli della sua condotta sessuale gettando discredito su di lei e sulla sua famiglia. La madre solidarizza, con un atteggiamento da ‘madre del Sud’. Ne nasce una discussione in cui Sarah risponde da 15enne, scappa via, ma riescono a raggiungerla per darle la lezione che merita, una lezione evidentemente assassina. Poi danno ordine a Michele Misseri di disfarsi del corpo”. Quanto a zio Michele, “del tutto destituita di fondamento è la pretesa di riqualificare il reato da soppressione di cadavere ad occultamento» con conseguente sconto di pena secondo il sostituto procuratore generale, che ricostruendo l’accaduto ha sottolineato come il cadavere sia «stato calato in un luogo impervio, una pozza piena d’acqua che ne avrebbe facilitato il deperimento“, a dimostrazione della volontà originaria di celare e distruggere per sempre il cadavere, salvo poi ripensarci e farlo ritrovare. Complementare a questo disegno, secondo la Procura generale della Cassazione, è stata l’azione di aver bruciato i vestiti della 15enne. A seguito di questa sentenza definitiva l’uomo, che si autoaccusava di essere l’unico responsabile del delitto, deve tornare in carcere dove ha trascorso diversi mesi di detenzione dal 6 ottobre del 2010, la sera in cui fece ritrovare agli inquirenti il corpo della nipote 15enne in un pozzo nelle campagne di Avetrana, in provincia di Taranto, alla tarda primavera del 2011, quando venne scarcerato perché nel frattempo aveva chiamato in correità la figlia Sabrina. “Io sono sereno per me, ma non per le le altre cose: due innocenti sono in carcere”. Sono state queste le prime parole di Michele Misseri a commento della sentenza della prima sezione penale della Corte di Cassazione, attendendo nella sua villetta di Avetrana (Taranto) l’arrivo dei Carabinieri che dovranno portarlo presso il carcere di Taranto. Alla moglie e alla figlia, Misseri ha poi chiesto “perdono, vi chiedo perdono per gli errori che ho fatto. E’ un errore giudiziario”, ha aggiunto, “ma secondo me” la vicenda “non è finita. Vedremo…”.
“zio Michele”: 7 versioni in 7 mesi. Michele Misseri in questi lunghi sei anni di processi ha continuamente ritrattato e cambiato ripetutamente versione. In tutto ha fornito agli inquirenti almeno 7 versioni nei primi 7 mesi.
1. Michele sostiene di aver tentato di sedurre Sarah, che respinge le avances. Infuriato, l’uomo la aggredisce alle spalle e la strangola con una corda. Poi carica il corpo nel bagagliaio della propria auto e una volta giunto in aperta campagna stupra la nipote morta. Carica di nuovo il cadavere in macchina, riparte e lo nasconde nel pozzo.
2. Sarah provoca Michele toccandolo ai fianchi. E lui la strangolata non appena la nipote si gira di spalle.
3. Sarah arriva a casa di Sabrina dove la cugina e suo padre la attendono per darle una lezione ed evitare che la ragazza diffonda voci in giro sulle avances dello zio. Mentre Sabrina tiene per le braccia la cugina, Michele avvolge una corda intorno al collo di Sarah e la strangola. Poi nasconde il cadavere gettandolo nel pozzo.
4. Nel pieno di una lite Sabrina trascina Sarah nel garage. La discussione degenera e Sabrina strangola la cugina con una cintura trovata in garage. La ragazza sale a casa e informa il padre Michele, che sta dormendo. L’uomo carica il cadavere in auto, va in campagna, ne abusa sessualmente e lo getta nel pozzo. Intanto arrivano i risultati dell’esame autoptico sul corpo di Sarah che non evidenziano alcun segno di violenza sessuale.
5. Misseri conferma la versione precedente, escluso l’abuso sessuale.
6. Misseri scrive due lettere alle figlie, in cui scagiona Sabrina e si scusa per averla accusata dell’omicidio.
7. In una lettera inviata al suo avvocato Michele Misseri si autoaccusa del delitto scagionando ancora la figlia Sabrina. Sostiene di aver strangolato Sarah con una corda nel garage di casa durante un raptus scaturito dal fatto che non riusciva a far partire il suo trattore. Sarah, cadendo a terra, avrebbe urtato la testa contro un compressore.
Ad aprile 2013 la corte d’Assise di Taranto aveva condannato Cosima e Sabrina all’ergastolo, verdetto confermato il 27 luglio 2015 dalla Corte d’Appello, con una sentenza in 1.277 pagine, depositata solo diversi mesi dopo.
Cosa c’entra la mamma di Sabrina? Cosima Serrano viene arrestata il 26 maggio 2011, con l’accusa di concorso in omicidio e sequestro di persona. A incastrarla è prima il suo cellulare e poi la testimonianza del fioraio di Avetrana, Giovanni Buccolieri che dichiara di aver visto quel 26 agosto del 2010, le due donne strattonare Sarah e costringerla a salire in macchina intorno alle 14.30. Buccolieri poi sostenne di essersi confuso e che il fatto in realtà sarebbe stato un suo sogno. I giudici considerano le sue parole attendibili e compatibili con la ricostruzione dei fatti.
Il movente della gelosia. Per gli inquirenti il movente che ha guidato le mani di Sabrina è la gelosia nei confronti di Ivano Russo, un cuoco di Avetrana del quale Sabrina – secondo la tesi della Procura di Taranto – sarebbe stata innamorata. Le due ragazze avevano conosciuto Ivano alcuni mesi prima ed era nata un’amicizia. Per Sabrina qualcosa in più e la ragazza, non ricambiata, confidava alla cugina le proprie pene d’amore. Sarah, da parte sua, sembrava intenzionata ad attirare l’attenzione di Ivano, facendo ingelosire la cugina. La rottura definita era arrivata intorno al 16 agosto, dopo un rapporto incompleto tra Sabrina e Ivano in macchina. La ragazza aveva raccontato a Sarah la vicenda e la 15enne lo aveva confidato al fratello Claudio, che a sua volta ne aveva parlato con Ivano. Da qui la decisione del giovane cuoco di deciso di troncare qualsiasi rapporto con Sabrina, che avrebbe iniziato a covare rancore nei confronti della cugina.
I familiari di Sarah Scazzi. Si chiude oggi questa dolorosissima pagina giudiziaria. “Sarah ha ricevuto giustizia” ha commentato Claudio Scazzi il fratello della vittima con una sentenza “equilibrata, giunta dopo un lavoro durato tanti anni, di persone fortemente motivate. Il paese deve ringraziare chi ha lavorato a questo caso. In Italia la giustizia c’è” ed ha quindi informato telefonicamente della decisione della Cassazione la mamma Concetta che ha preferito seguire l’esito del processo restando ad Avetrana “. “Mamma – ha aggiunto il fratello di Sarah Scazzi – condivide questo pensiero, anche lei si è sempre affidata alla Procura”. “Adesso la famiglia Scazzi ha bisogno di trovare pace”. Ha detto l’avvocato Walter Biscotti, legale di parte civile nel processo. “Voglio ricordare – ha aggiunto l’avvocato – i 40 giorni in cui una madre disperata ha girato le televisioni per ripetere gli appelli per la figlia scomparsa. Concetta ha avuto un ruolo determinante in questa vicenda”. L’avvocato Biscotti ha quindi ringraziato i magistrati di Taranto, che ha avuto coraggio nel proseguire sulla sua strada, nonostante le confessioni di Michele Misseri: “Noi siamo convinti, come la procura, che Michele Misseri non ha commesso l’omicidio”.
Valentina Misseri: “Una sentenza per accontentare la richiesta dell’opinione pubblica”. “Ora ho un obiettivo: salvare mia madre e mia sorella”, scrive Maria Corbi il 22/02/2017 su "La Stampa". Valentina è l’unica della famiglia Misseri a non essere in carcere. «Solo perché quel maledetto 26 agosto non ero ad Avetrana...», dice con le guance bagnate di lacrime. «E’ una condanna che deve fare male a tutti perché due innocenti sono in galera. Prima che tocchi a te non pensi agli errori giudiziari».
Dicono però che tu difendi tua madre e tua sorella sacrificando tuo padre Michele.
«Non avrei mai permesso che mio padre scontasse una colpa non sua. Mio padre fino a quel 26 agosto è stato un bravo padre. E nonostante quello che ha fatto gli voglio ancora bene perché capisco che ha dei problemi».
Vuoi dire che è incapace di intendere e di volere?
«Una perizia psichiatrica andava fatta. Qualche mese prima della morte di Sarah papà aveva iniziato ad essere più aggressivo, instabile. E infatti mia sorella nei messaggi con Ivano, che risalgono a qualche mese prima, spiega che papà era diventato violento, si arrabbiava facilmente e aveva tentato di uccidere nostra madre».
Quando lo hai sentito ieri cosa ti ha detto?
«Mi ha detto: “Hanno fatto quello che hanno voluto”».
Cioè?
«Hanno accontentato l’opinione pubblica. Basta farsi un giro sui social per capirlo: ci sono messaggi violenti, aggressivi verso di me, verso il professor Coppi e chiunque dica che mamma e Sabrina sono innocenti».
Le sentenze si rispettano.
«Io non la rispetto, prima di tutto perché non è stata fatta giustizia per Sarah. Poi, perché mi hanno ucciso una sorella e una madre. E altri innocenti sono andati in carcere. Invidio mio cugino Mimino che è morto e non soffrirà più. Sono sicura che il tumore gli è venuto per essere stato accusato ingiustamente di avere aiutato mio padre a nascondere il cadavere di mia cugina. E mi dispiace anche per zio Carmine, condannato per lo stesso motivo senza aver fatto niente».
Quando hai sentito Sabrina?
«Domenica scorsa. Era fiduciosa, aveva recuperato un filo di speranza. È entrata in carcere a 21 anni, 7 anni fa, e non ha fatto niente. Ho paura che possa impazzire o fare una sciocchezza. Ha bisogno di uno psichiatra che la sostenga, spero che in carcere ci pensino».
Il professor Coppi ha detto che andranno avanti, non si arrendono.
«Il professor Coppi è l’unica cosa positiva che è capitata a mia sorella in questi anni. È una persona generosa, oltre che un grandissimo avvocato e noi gli siamo grati, perché non è da tutto mettersi accanto a persone umili, semplici e su cui l’opinione pubblica si è accanita».
Tu non concedi interviste in tv, perché?
«Non voglio essere riconosciuta, anche la mia vita è stata stravolta da questa vicenda, non ho superato dei colloqui di lavoro, quando cammino per strada sono additata e insultata. Voglio essere dimenticata. Oggi la mia vita ha un unico scopo: salvare dall’ingiustizia mia sorella e mia madre».
Sfogo di Valentina: ingiustizia è fatta «Accontentata l’opinione pubblica». La figlia e sorella delle due donne rimaste all’ergastolo parla di «innocenti in galera». E poi su Michele Misseri: «Fino al giorno del delitto di Sarah è stato un bravo padre», scrive Michele Pennetti il 22 febbraio 2017 su "Il Corriere del Mezzogiorno". Uno sfogo in piena regola. Parole contro il chiasso social scatenatosi dopo la conferma da parte della Corte di Cassazione dell’ergastolo per la mamma Cosima e la sorella Sabrina. Dichiarazioni contraddittorie su papà Michele, che continua a ritenere l’autore materiale del delitto della cugina Sarah Scazzi. «È una condanna che deve fare male a tutti perché due innocenti sono in galera. Prima che tocchi a te non pensi agli errori giudiziari». A dirlo è Valentina Misseri, figlia e sorella delle due donne condannate per l’omicidio della cugina Sarah Scazzi, che commenta il giudizio definitivo sul delitto del 26 agosto 2010. «Hanno accontentato l’opinione pubblica - afferma Valentina - basta farsi un giro sui social per capirlo: ci sono messaggi violenti, aggressivi verso di me, verso il professor Coppi e chiunque dica che mamma e Sabrina sono innocenti». Del padre Michele, che si autoaccusa dell’omicidio, sostiene che «fino a quel 26 agosto è stato un bravo padre. E nonostante quello che ha fatto gli voglio ancora bene perché capisco che ha dei problemi». Sempre secondo Valentina Misseri «una perizia psichiatrica andava fatta». Ecco perché: «Qualche mese prima della morte di Sarah papà aveva iniziato ad essere più aggressivo, instabile. E infatti mia sorella nei messaggi con Ivano, che risalgono a qualche mese prima, spiega che papà era diventato violento, si arrabbiava facilmente e aveva tentato di uccidere nostra madre». Valentina dice che anche la sua «vita è stata stravolta da questa vicenda, non ho superato dei colloqui di lavoro, quando cammino per strada sono additata e insultata. Voglio essere dimenticata. Oggi la mia vita ha un unico scopo: salvare dall’ingiustizia mia sorella e mia madre».
Delitto di Avetrana, ergastolo per Sabrina e Cosima, scrive il 21 Febbraio 2017 "Il Dubbio". La Prima sezione penale della Cassazione conferma la sentenza per l’omicidio della 15enne Sarah Scazzi avvenuto il 26 agosto 2010. La difesa: “Un grave errore giudiziario”. La Cassazione scrive la parola fine sul caso di Sarah Scazzi, a sette anni dall’omicidio della quindicenne di Avetrana, uno dei delitti che più hanno impressionato l’opinione pubblica italiana negli ultimi anni, confermando in via definitiva la sentenza di ergastolo per Cosima Serrano e Sabrina Misseri rispettivamente madre e figlia, ritenute responsabili dell’omicidio della quindicenne avvenuto il 26 agosto 2010. Lo ha stabilito la Prima sezione penale della Cassazione, che ha letto il dispositivo della sua sentenza. I giudici hanno annullato solo un’aggravante, relativa al concorso in soppressione di cadavere e ridotto il periodo di isolamento diurno stabilito in appello. «Cosima e Sabrina sono due sventurate, combatteremo fino alla fine perché è una battaglia per la giustizia: è un enorme errore giudiziario —ha commentato l’avvocato Roberto Borgogno, difensore di Cosima Serrano —, rimaniamo convinti che c’è un colpevole, Michele Misseri, e due innocenti che stanno scontando la pena al suo posto». Sabrina Misseri e Cosima Serrano sono dunque condannate come responsabili dell’omicidio volontario della loro cugina e nipote, trovata senza vita in una cisterna d’acqua nelle campagne circostanti Avetrana. Sarah Scazzi, figlia della sorella di Cosima Serrano, scomparve il 26 agosto 2010: per lei quella della zia, sposata con Michele Misseri e madre della sue cugine Sabrina e Valentina, era una seconda famiglia, con la quale trascorreva gran parte del tempo. Il giorno della scomparsa, Sarah aveva un appuntamento per andare al mare con un’amica, ma non si presentò. Dopo oltre un mese di ricerche, fu lo zio Michele a rivelare quanto accaduto: affermò il 6 ottobre di essere stato lui ad uccidere l’adolescente, e a nasconderne il cadavere in un pozzo. Una versione dei fatti che cambia già pochi giorni dopo, con il primo colpo di scena: l’uomo chiama in causa stavolta la figlia Sabrina. Per la verità Michele Misseri, nel corso del processo, è più volte tornato ad autoaccusarsi, ma, secondo gli inquirenti, il suo è stato sempre solo un tentativo di proteggere moglie e figlia da una pesante condanna. Una condanna al carcere a vita, quella che la Corte d’assise di Taranto prima e la Corte d’assise d’appello poi hanno inflitto alle due donne, che si sono sempre proclamate innocenti. Utilizzando spregiudicatamente i mass media (celebri i loro blitz in noti programmi tv, con tanto di sms inviati ai giornalisti per dare la loro versione). Per nascondere, hanno sostenuto i giudici di primo e secondo grado, una verità agghiacciante: lo stretto rapporto tra Sarah e Sabrina, cugine inseparabili, si era fatto via via più conflittuale. La più piccola, Sarah, era più carina, e Sabrina vedeva in lei una pericolosa rivale per possibili fidanzamenti. La gelosia, un litigio, e l’atroce complicità di mamma Cosima, che la tiene mentre Sabrina impazzita di rabbia la strangola. È poi zio Michele a caricare il corpo e gettarlo nella cisterna.
Avetrana e il giornalismo feroce che travolge anche le vittime, scrive Angela Azzaro il 22 Febbraio 2017, su "Il Dubbio". L’omicidio di Sarah Scazzi ha segnato un ulteriore passaggio del processo mediatico: la messa in scena di un dolore dove l’apparire in televisione e sui giornali è più importante dello stesso dolore. La prima sezione penale della Cassazione ha confermato la sentenza d’Appello: la condanna all’ergastolo per Sabrina Misseri e per la madre Cosima Serrano, ritenute colpevoli di aver ucciso nel 2010 Sarah Scazzi, rispettivamente cugina e nipote delle due donne. La Cassazione ha anche confermato la condanna ad otto anni di reclusione per Michele Misseri, ritenuto colpevole per soppressione di cadavere. “Zio Michele” continua invece a dichiararsi colpevole: «Due innocenti sono in prigione». Ma il caso di Avetrana, oltre ad essere un intricato caso giudiziario, è anche la storia di un processo mediatico in cui il giornalismo ha scritto una brutta pagina di indifferenza davanti al dolore. Questa volta non vale la pena partire né dall’inizio di questa brutta storia, né dalla fine: la conferma della condanna all’ergastolo per Sabrina Misseri e per la madre Cosima Serrano da parte della prima sezione penale della Cassazione, per avere ucciso nel 2010 Sarah Scazzi, rispettivamente la cugina e la nipote delle due donne. Partiamo da circa metà della storia, quando il cadavere della quindicenne viene ritrovato in un campo di Avetrana, un paesino pugliese in provincia di Taranto. Sarah è sparita da più di un mese, un pomeriggio assolato e deserto di agosto. Doveva andare al mare, è stata invece uccisa. Ma per tutto quel tempo gli investigatori, la famiglia, il paese l’hanno cercata. Fino all’ 8 ottobre, quando Michele Misseri, lo zio di Sarah e il padre della cugina Sabrina, non confessa di averla uccisa e porta gli inquirenti dove si trova il cadavere. Quel giorno accade qualcosa di unico, di nuovo, di terribile. La madre della ragazzina, Concetta Serrano, sorella della madre di Sabrina, è collegata in diretta con Chi l’ha visto? . E lì perché chiede di sapere dove è finita la figlia, spera ancora che qualcuno le possa fornire delle notizie utili, spera che la figlia sia viva. Spera e basta. Ma la sua speranza, la speranza di una madre, sta per infrangersi in diretta tv. Federica Sciarelli, che legge sulle agenzie la notizia del ritrovamento del cadavere di Sarah, invece di spegnere il collegamento, fa una cosa di indubbio gusto: dice alla madre che la figlia è morta, glielo dice davanti a migliaia di spettatori. Glielo dice con la telecamera puntata in faccia, per scrutare il suo dolore. Chi si ricorda l’episodio, forse ricorderà anche l’espressione di quel volto, di quel dolore, il dolore di una madre che ha appena perso la figlia quindicenne. È un volto pietrificato, un volto che da umano diventa roccia, diventa un muro contro cui va a sbattere l’informazione, l’etica, l’umanità. Più volte parlando di televisione si è usata l’espressione “morte in diretta”, titolo anche del bellissimo film del francese Bertrand Tavernier. Nel caso della madre di Sarah, accade qualcosa di più, qualcosa di diverso: è la notizia della morte in diretta. È un passaggio ulteriore del processo mediatico in cui non solo la sentenza viene elaborata negli studi televisivi, ma in cui la notizia – anche quando è così drammatica come la morte di un caro viene comunicata davanti alle luci di una telecamera. Fin da subito, anche per il ruolo avuto dai diretti protagonisti, il caso di Avetrana diventa un evento mediatico. Il piccolo paesino pugliese viene invaso dalle telecamere e dopo il ritrovamento del cadavere di Sarah si organizzano le gite per andare a vedere i luoghi in cui è avvenuto l’omicidio. Secondo il pm le cose sarebbero andate così. Sarah quel giorno doveva andare al mare con Sabrina e un’altra amica, arrivata a casa della cugina avrebbe litigato con lei a causa di un ragazzo, Ivano Russo, con cui Sabrina, allora ventiduenne, aveva avuto una storia. La vittima sarebbe andata via arrabbiata, ma sarebbe stata poi raggiunta in macchina dalla cugina e dalla zia Cosima che l’avrebbero riportata nella loro casa e poi uccisa. Non avrebbe dovuto dire cose scabrose, che riguardavano la famiglia Misseri. È a questo punto che entra in scena, non solo nella ricostruzione del pm, lo zio Michele, marito di Cosima, che si preoccupa di occultare il cadavere con l’aiuto del fratello Carmine e di un nipote, morto qualche anno fa. Quello che poi nell’immaginario è diventato lo “zio Michele”, prima si autoaccusa di aver ucciso Sarah, poi parla di concorso con la figlia Sabrina, poi accusa solo lei, poi ed anche la versione attuale dice di essere lui l’unico assassino. L’altro ieri, davanti alla probabilità che la Cassazione confermasse la condanna per la moglie e la figlia all’ergastolo e per lui a 8 anni per occultamento di cadavere, ha detto: «Io per me sono tranquillo. Ma ci sono due innocenti in galera». Anche il difensore di Sabrina, l’avvocato Franco Coppi, sostiene la colpevolezza di zio Michele. Ciò che è certo, in questa brutta storia, è il quadro terrificante che viene fuori della famiglia Misseri e di una provincia italiana che stimolata dai riflettori ha dato il peggio di sé. Anche questo è il processo mediatico: la messa in scena di una collettività dove l’apparire in televisione e sui giornali è più importante del dolore. Ma il dolore resta. Resta per un ragazzina che non c’è più e per una madre che non ha potuto urlare la sua disperazione gelata da quelle luci televisive, che spesso più che rivelare nascondono la verità giudiziaria, ma ancora prima la umanità.
Omicidio Sarah Scazzi, Sabrina Misseri in lacrime dopo l'ergastolo, scrive Giovanna Tedde su "it.blastingnews.com" il 22 febbraio 2017. La giovane sarà allontanata dalla madre, con cui per sei anni ha condiviso la cella nel carcere di Taranto. Un pianto disperato, quello di Sabrina Misseri dopo aver appreso la sentenza di Cassazione: resterà in carcere, condannata all'ergastolo in via definitiva per aver ucciso Sarah Scazzi. Come lei, Cosima Serrano, sua madre, condividerà la stessa pena detentiva ma non la stessa cella, come avvenuto per 6 anni di detenzione. Le due donne saranno presto separate, probabilmente il trasferimento riguarderà Sabrina, il cui legale ha dichiarato essere in uno stato di profondo sconforto. Intanto, come annunciato in seguito alla lettura della sentenza, i legali dei Misseri potrebbero percorrere la strada del ricorso alla Corte europea dei diritti dell'uomo. Parla di una giovane donna "a pezzi" il legale di Sabrina Misseri, Nicola Marseglia. Uno stato di grande prostrazione avrebbe invaso la ragazza dopo la lettura della sentenza definitiva. Sconforto incrementato anche dalla notizia di un allontanamento da sua madre. Sabrina era riuscita a superare i 6 anni di carcere grazie alla presenza di Cosima nella stessa cella, l'unico trait d'union tra lei e la normalità. "Era distrutta. Ha pianto soltanto" ha dichiarato l'avvocato, che ha incontrato Sabrina in queste ore. Sin dalle prime battute successive al verdetto della Cassazione, il pool difensivo dei Misseri ha avanzato l'ipotesi di un ricorso alla Corte europea dei diritti dell'uomo. Tale decisione sarebbe motivata dalla presunta violazione di alcuni princìpi fondamentali, tra cui quello del contraddittorio e, non ultimo, il principio per cui la difesa può esaminare i testimoni chiave per l'accusa. I legali di Cosima Serrano hanno spesso criticato la presunta deformazione nel giudizio di merito ascrivibile all'influenza della stampa e dell'opinione pubblica sui giudici popolari, soprattutto in rapporto alle ricostruzioni del caso. L'eccessiva trattazione mediatica della vicenda avrebbe irreparabilmente inficiato la bontà di una sentenza scevra di suggestioni e interpretazioni fallaci.
Omicidio Scazzi, Sabrina Misseri in lacrime dopo l'ergastolo: ora sarà separata dalla madre. La cugina di Sarah, condannata in Cassazione per omicidio, ha ricevuto in carcere la visita del suo avvocato che racconta: "L'ho trovata a pezzi". L'ipotesi di un ricorso alla Corte europea dei diritti dell'uomo, scrive il 22 febbraio 2017 "La Repubblica". Sabrina Misseri, condannata all'ergastolo dalla Corte di Cassazione per l'omicidio della cugina Sarah Scazzi, uccisa ad Avetrana il 26 agosto del 2010, ha ricevuto la visita nel carcere di Taranto di uno dei suoi difensori, l'avvocato Nicola Marseglia. "L'ho trovata a pezzi, senza infingimenti. Era distrutta, ha pianto soltanto", dice Marseglia. "Abbiamo parlato un pochino, è preoccupata perché probabilmente dovrà essere trasferita e comunque separata dalla madre. Anche da quel punto di vista non ho potuto essere particolarmente consolatorio". La condanna è diventata definitiva e quindi il trattamento carcerario è diverso da quello che riguarda i detenuti in attesa di giudizio. Si prospetta quindi anche una separazione dolorosa dalla madre Cosima Serrano, anche lei condannata all'ergastolo e con la quale ha condiviso la cella del penitenziario da maggio del 2011, quando la zia di Sarah venne arrestata. Sabrina era stata arrestata a metà ottobre 2010. E' possibile che una delle due donne rimanga a Taranto e l'altra venga trasferita. "Facciamo appello a chi ha qualcosa da dire di smetterla con questo gioco al massacro e di mettersi una mano alla coscienza. Noi sappiamo che nel momento in cui la prova in questo processo è stata acquisita quella prova in buona parte era pure inquinata", dice Marseglia confermando che si studierà la possibilità di un ricorso alla Corte europea dei diritti dell'uomo. "Magari ci vorranno anche anni. Dovranno emergere nuovi elementi di prova che non conosciamo. Tante persone che hanno taciuto - rimarca - se vogliono, forse, finalmente possono parlare di fronte a un fatto così enorme e cioè la morte di una ragazzina di 15 anni e il carcere per una giovane. Secondo la giustizia è un'assassina ma se per un milionesimo di possibilità non lo è, forse sarebbe il caso di mettersi una mano alla coscienza". "Queste cose - aggiunge - le ho dette nelle sedi proprie: la Corte d'assise, la Corte d'appello e la Cassazione. Le ho dette a Sabrina con delicatezza anche per darle l'idea che si è chiuso il sipario ma non è detto che non ci possa essere qualche novità. Le sentenze in questa vicenda sono state tutte di segno uguale - conclude l'avvocato Marseglia - quindi bisogna avere il buonsenso di rispettare una decisione difforme rispetto alle nostre aspettative. Però noi siamo stati sempre convinti di quello che abbiamo detto e sostenuto: non sarei del tutto sorpreso, quindi, se potesse esserci qualche novità importante".
Avetrana: siamo tutti in libertà vigilata, scrive Claudio Romiti su “L’Opinione" il 23 febbraio 2017. Debbo confessare che, nonostante la grande pressione colpevolista esercita fin dai primi giorni dai media nazionali, mi aspettavo dalla Suprema Corte di Cassazione un giudizio ben diverso rispetto alla conferma dell’ergastolo per Sabrina Misseri e Cosima Serrano, ritenute definitivamente colpevoli dell’omicidio di Sarah Scazzi. In questo senso non posso che condividere in toto l’amara affermazione dell’avvocato Roberto Borgogno, legale della signora Serrano, intervistato per “La Stampa” dall’ottima Maria Corbi: “C’è un colpevole e ci sono due innocenti che stanno scontando la pena al posto suo. È stato commesso un evidente errore giudiziario”. Già, proprio un errore giudiziario che, pur nel rispetto formale che uno Stato di diritto pretende nei confronti di ogni sentenza, per come è maturato scuote le coscienze e lascia nella mente di chi pensa che il garantismo non sia un optional la sensazione che in questo disgraziato Paese siamo un po’ tutti colpevoli in libertà vigilata. Soprattutto se consideriamo che la cosiddetta prova regina su cui si è basato il castelletto accusatorio della Procura di Taranto è il famoso sogno del fioraio Giovanni Buccolieri. Un sogno il quale, come ha rimarcato la stessa Corbi nel corso della trasmissione televisiva “La vita in diretta” (contrapposta ad una imbarazzante Filomena Rorro, tra le prime a gettare la croce sulle due condannate), è stato preso come oro colato dai vari giudici e, come accaduto nei confronti di altre testimonianze che non collimavano con il teorema accusatorio, ha dato luogo a un procedimento penale per falsa testimonianza, ancora in corso, nei confronti del medesimo sognatore, quest’ultimo fermamente intenzionato a ribadire la sua versione onirica. Ma a rendere ancor più inquietante la tragica vicenda, principalmente per chi ha seguito il caso senza i paraocchi di un teatrino mediatico-giudiziario a dir poco vergognoso, vi è la surreale condizione di Michele Misseri, marito di Cosima Serrano e padre di Sabrina Misseri, fin da subito reo confesso e, a mio parere personale, unico autore di un delitto d’impeto a sfondo sessuale che sembra particolarmente cristallino nei suoi drammatici contorni. Ciononostante il Misseri, pur continuando a proclamare con costanza e ostinazione la sua piena responsabilità nel delitto, non è stato creduto neppure dalla Cassazione. Un caso quasi unico nella nostra giurisprudenza. Ha invece prevalso una ricostruzione dei fatti la quale, al di là della evidente mancanza di riscontri oggettivi - soprattutto dopo la successiva incriminazione di Cosima Serrano, dipinta fin dall’inizio dalla stampa colpevolista come una sorta di manipolatrice criminale - appare piuttosto in conflitto con la logica e il buon senso. Ma tant’è, al pari del proverbiale Martin che per un punto perse la cappa, in Italia si può finire all’ergastolo, perdendo a vita la libertà, per un sogno. Spero vivamente di essere smentito nel tempo a venire, tuttavia nutro la forte impressione che più una accusa (in particolare quelle sfruttate dai media per ragioni di audience) poggia su basi fragili, e più risulta impossibile invertirne un verdetto finale di condanna che sembra già segnato fin dai primi momenti. E se la libera informazione, anziché fare le bucce alla pubblica accusa, ossia la parte più forte in qualunque procedimento penale, diviene il collettore per le peggiori inclinazioni colpevoliste presenti nella popolazione, anticipando di fatto il giudizio finale, quest’ultima offre un pessimo servizio alla collettività. In merito all’incredibile vicenda di Avetrana, in cui hanno dominato chiacchiere, pettegolezzi e forzature di ogni genere, siamo in pochi a rilevare e mettere nero su bianco le enormi criticità di una duplice condanna capitale definitiva, e questo dovrebbe farci quanto meno riflettere.
Delitto di Avetrana, dalla scomparsa di Sarah Scazzi all’ultima sentenza: i volti e le tappe.
Attesa per il verdetto della Cassazione a sei anni e mezzo dall’assassinio della 15enne. In primo e secondo grado sono state condannate all’ergastolo Sabrina Misseri e Cosima Serrano, cugina e zia della vittima. Allo «zio Michele» sono stati inflitti 8 anni per soppressione di cadavere, scrive Angela Geraci il 20 febbraio su "Il Corriere della Sera".
1. 26 agosto del 2010. Sarah, studentessa al secondo anno dell'istituto alberghiero, esce di casa nel pomeriggio per andare a casa della cugina Sabrina e recarsi con lei al mare. Ma sparisce nel nulla e, poche ore dopo, la madre ne denuncia la scomparsa. La scomparsa in un pomeriggio di agosto. Sarah Scazzi sparisce nell’arco di 12 minuti mentre percorre 600 metri nel cuore del suo paese, Avetrana (Taranto). In pieno giorno. A quell’ora, le 14.30 di un giovedì di fine agosto, le strade sono deserte e cotte dal sole. La ragazza ha 15 anni, studia all’istituto alberghiero ed è uscita di casa per andare dalla cugina Sabrina Misseri con cui deve andare al mare. Sabrina sogna di fare l’estetista, ha 22 anni e nonostante la differenza di età è molto legata a Sarah tanto da portarla anche fuori la sera insieme ai suoi amici più grandi. La ragazzina passa molto tempo nella villetta di via Grazia Deledda dove Sabrina vive con i genitori Cosima e Michele. Qualcuno la vede lungo la breve strada tra le due abitazioni, cammina spedita e indossa gli auricolari, non immagina che quelli sono gli ultimi istanti della sua vita. Passano i minuti e Sarah non arriva all’appuntamento: Sabrina cerca di chiamarla sul cellulare ma risulta staccato. Allora dà l’allarme perché «l’hanno certamente rapita», dice «agitata» all’amica Mariangela Spagnoletti che doveva andare in spiaggia con loro. È il 26 agosto del 2010.
2. 29 settembre 2010. Michele Misseri, zio della ragazzina, porta agli inquirenti il telefono semibruciato della vittima, che dice di aver ritrovato in un campo poco distante dalla sua abitazione. 40 giorni di ricerche e il cellulare nell’uliveto. La mamma di Sarah, Concetta Serrano, fa la denuncia di scomparsa la sera stessa. Da subito telecamere e giornali iniziano a seguire attentamente la storia della ragazzina esile e bionda sparita incredibilmente nel nulla. All’inizio si punta sulla pista del rapimento a scopo di riscatto ma presto appare chiaro che le condizioni economiche della famiglia non sono tali da giustificare uno scenario del genere. Sarah vive con la madre ad Avetrana mentre il padre Giacomo fa il muratore a Milano, dove sta anche il fratello maggiore della 15enne, Claudio. Gli inquirenti prendono in esame anche la possibilità di un allontanamento volontario, sebbene sia difficile che una ragazzina se ne vada via in tenuta da mare e senza un soldo. L’ha aiutata qualcuno? È possibile che nessuno abbia visto o sentito nulla? Mentre vanno avanti le ricerche in paese e nelle campagne che lo circondano, si moltiplicano i falsi avvistamenti di Sarah. I parenti della ragazza sono sempre in tv a fare appelli, soprattutto Sabrina che con un fazzoletto appallottolato in mano racconta tra le lacrime davanti alle telecamere il suo rapporto con la cuginetta. Giacomo Scazzi e Concetta Serrano, i genitori di Sarah, rivolgono un appello al Quirinale per intensificare le ricerche della figlia. È il 7 settembre 2010. Tutto cambia il 29 settembre, quando Sarah è scomparsa da trentatrè giorni: lo zio Michele, padre di Sabrina, trova in un uliveto il telefonino della nipote. Era senza batteria e scheda Sim, bruciacchiato, in un podere ad alcuni chilometri di distanza da Avetrana. Le televisioni si avventano sull’uomo, un anziano contadino che era emigrato in Germania e poi è tornato nel suo paese. Con un cappellino calato in testa, singhiozzando, l’uomo racconta di essere andato in campagna per recuperare un cacciavite dimenticato e di aver visto il cellulare a cui erano legati un lucchettino e un ciondolo a forma di lattina. «Il cuore me lo diceva che era di Sarah», dice prima di fare una strana precisazione: «È stato proprio un caso che lo abbia trovato io e ho detto ai carabinieri di non dire nulla a nessuno per evitare che la gente potesse pensare “Proprio lo zio lo doveva trovare!”. Ma la notizia è circolata lo stesso».
3. 6 ottobre 2010. Le confessioni dello «zio mostro». Dopo un interrogatorio durato ore, Misseri confessa l'omicidio della nipote e mostra agli investigatori il luogo dove giace il corpo. Da quel momento, l'uomo cambia versione più volte fino a quando, a metà ottobre 2010 ammette il coinvolgimento della figlia Sabrina. Zio Michele resiste cinque giorni agli interrogatori, poi il 6 ottobre 2010 crolla: «Ho ucciso io Sarah». L’uomo racconta di averla strangolata nel suo garage in una sorta di «raptus». Poi aggiunge un particolare che lascia tutti sbigottiti: quando la ragazzina era già morta, lui avrebbe abusato sessualmente del suo corpo prima di gettarlo, senza vestiti, in un pozzo. L’indignazione degli italiani è grande, compaiono striscioni contro «l’orco» negli stadi e ad Avetrana. Michele Misseri accompagna gli inquirenti nelle campagne intorno al paese e fa ritrovare il cadavere di Sarah, gonfio e irriconoscibile. In quel momento la mamma della ragazzina è collegata con la trasmissione «Chi l’ha visto?» e tra mille imbarazzi viene avvisata del ritrovamento in diretta. Ma Michele, portato subito in carcere, cambia presto versione. Qualche giorno dopo, il 15 ottobre, chiama in causa a sorpresa sua figlia Sabrina sostenendo che lei ha trattenuto Sarah mentre lui la strangolava in garage. Intanto l’autopsia lo smentisce a proposito della violenza su Sarah: sul corpo non ci sono tracce di abusi, Michele ha detto un’abominevole bugia. L’uomo però non ha ancora finito di «correggere» la sua confessione: in un’ulteriore versione, cristallizzata in un incidente probatorio il 19 novembre 2010, attribuisce tutta la responsabilità alla figlia, sostenendo di avere visto Sarah quando era già morta e di essersi occupato solo di nascondere il corpo. Mai, in tutte le sue ricostruzioni, fa riferimento al ruolo della moglie Cosima di cui appare succube. Sabrina viene arrestata.
4. Il movente, Ivano e la gelosia. Michele, accusando la figlia, fornisce anche il movente del delitto: la gelosia. Sabrina e Sarah si erano infatti invaghite dello stesso ragazzo, Ivano Russo, e per lui avevano litigato il 25 agosto, la sera prima del delitto. Vengono analizzati gli sms scambiati tra i giovani, si entra nelle memorie dei telefonini a caccia di foto, si raccolgono le voci di amici e conoscenti. Salta fuori che Sabrina e Ivano avevano avuto una relazione che poi si era interrotta bruscamente per volere di lui. Anche il 26enne viene sentito più volte dagli inquirenti, mentre la stampa gli dà la caccia: «Voi giornalisti mi perseguitate, addirittura i paparazzi mi vengono dietro, vorrei chiedere di lasciarmi in pace. C’è un limite a tutto», si sfoga in un’intervista al Corriere del Mezzogiorno. «Sarah per me era una tenera amica poco più di una bambina e non sapevo quali fossero i suoi sentimenti sul mio conto: questa è stata la mia unica colpa», sostiene Ivano. Durante il processo poi racconterà: «Il giorno del delitto o il giorno dopo Sabrina mi mandò un sms dicendo che aveva trovato un diario di Sarah in cui diceva che aveva un debole per me. Mi disse che non lo consegnava di comune accordo con la madre di Sarah perché temeva che mi indagassero. Io non risposi e poi ho cancellato questo messaggio perché mi spaventai. Forse sarebbe stato meglio consegnarlo, forse ho sbagliato e avrei dovuto dirlo». Oggi Ivano è indagato nell’inchiesta bis (insieme a sua madre, suo fratello e una ex fidanzata) per false informazioni al pubblico ministero e falsa testimonianza alla Corte d’assise.
5. Un delitto «di famiglia». Nella brutta storia di Sarah entrano altri personaggi, tutti legati a lei da vincoli di parentela. Il 23 febbraio 2011 vengono arrestati anche Carmine Misseri e Cosimo Cosma, fratello e nipote di Michele: sono accusati di concorso in soppressione di cadavere. Hanno, cioè, aiutato «zio Michele» a disfarsi del corpo di Sarah. Per questo il 20 aprile 2013 vengono condannati in primo grado a 6 anni di reclusione. L’anno successivo Cosimo, 46 anni, muore dopo una lunga malattia.
6. Il paese, il fioraio e la «sfinge» Cosima. Sullo sfondo della vicenda, con il passare dei giorni, acquista sempre più peso il paese di Avetrana, immerso a lungo in un silenzio omertoso: le persone non parlano, appaiono intimorite. Al punto da riferire circostanze e poi ritrattare tutto con motivazioni grottesche. È il caso del fioraio Giovanni Buccolieri che prima dice di aver visto Cosima e la figlia Sabrina rincorrere per strada Sarah e costringerla a salire sulla loro auto, poi - dopo poche ore - spiega al magistrato che si è confuso: «Era un sogno». Verrà accusato di false dichiarazioni al pm. Il 26 maggio 2011 Cosima - donna di polso e di poche parole, il volto dai lineamenti pietrificati - viene arrestata e raggiunge Sabrina in carcere. L’accusa è quella di concorso in omicidio e sequestro di persona. Tra lei e la sorella minore Concetta, la mamma di Sarah, da tempo non c’erano buoni rapporti. Quattro giorni più tardi torna invece in libertà il marito Michele, accusato a questo punto soltanto di soppressione di cadavere. In pochi giorni, comunque, l’intera famiglia Misseri è andata in frantumi. L’unica non toccata dalle indagini è Valentina, la sorella maggiore di Sabrina che vive lontano da Avetrana, a Roma, con il marito. «Mia madre e mia sorella non c’entrano assolutamente niente con questa storia - commenta a caldo - il problema è che si è parlato troppo».
7. La ricostruzione dell’omicidio. Secondo l’accusa Sarah litiga con Sabrina appena arrivata alla villetta dei Misseri, il 26 agosto. Dopo il litigio la 15enne esce con l’intenzione di tornare a casa sua ma viene raggiunta in auto dalla cugina e dalla zia che la riportano indietro con la forza. E la uccidono strangolandola con una cintura. Poi il corpo viene portato in garage e fatto successivamente sparire da Michele con l’aiuto del fratello e del nipote. L’analisi delle celle telefoniche parla chiaro a proposito dei movimenti delle imputate. Il delitto secondo i pm è stato «l’apice di una situazione di tensione mista ad ira» perché «Se Cosima è uscita e ha preso l’auto per riprenderla vuol dire che era necessario impedire che Sarah tornasse a casa e raccontasse le ragioni del litigio e di tutto ciò che era accaduto in casa Misseri. Qualcosa di grave, legato allo stato di tensione tra le due cugine». Dalla lettura di alcuni sms tra Sabrina e Ivano emerge infatti un «contesto scabroso che avrebbe caratterizzato la comitiva di cui faceva parte anche Sarah, dove i discorsi a sfondo sessuale sarebbero stati un’abitudine e dove compare persino uno “spogliarello” maschile con “paghetta” per lo spettacolo offerto. Un contesto - sostiene l’accusa - che se fosse stato svelato anche dalla stessa Sarah alla madre avrebbe danneggiato irrimediabilmente l’immagine della famiglia Misseri in un piccolo centro di provincia quale Avetrana: quel 26 agosto, in quella casa, è mancata la pietà umana e ha prevalso l’istinto di conservazione». Insomma, Sarah è stata uccisa e gettata in un pozzo per paura del giudizio del paese sui comportamenti di un gruppo di ragazzi.
8. Le sentenze di primo e secondo grado. Durante il processo di primo grado Michele Misseri torna ad addossarsi la responsabilità del delitto ma nessuno gli crede più. A iniziare dal suo legale che si dimette subito dopo le dichiarazioni rese in aula del contadino di Avetrana. Il 20 aprile 2013 Sabrina e Cosima, che stanno nella stessa cella, vengono condannate all’ergastolo. Il pubblico che assiste alla lettura della sentenza applaude, la ragazza piange disperata, la madre non muove un muscolo facciale e dice alla figlia: «perché piangi? Tanto lo sapevamo». A Michele vengono inflitti 8 anni, per i due complici che l’hanno aiutato a nascondere il corpo di Sarah la pena è di 6 anni. Poco più di due anni dopo, il 27 luglio 2015, i giudici d’appello confermano le condanne. In quella occasione Cosima esce dal suo silenzio e prende la parola in aula: «Sono passati duemila anni e Gesù venne condannato dal popolo: come allora tutti vogliono che siamo condannate - dice - Oggi tutti i giorni vengono condannati degli innocenti». Anche Sabrina, in lacrime, chiede di parlare: «Non ce la faccio se penso che secondo voi io avrei potuto uccidere Sarah! Io non l’ho uccisa».
Le date.
26 agosto del 2010. Sarah, studentessa al secondo anno dell'istituto alberghiero, esce di casa nel pomeriggio per andare a casa della cugina Sabrina e recarsi con lei al mare. Ma sparisce nel nulla e, poche ore dopo, la madre ne denuncia la scomparsa.
29 settembre 2010. Michele Misseri, zio della ragazzina, porta agli inquirenti il telefono semibruciato della vittima, che dice di aver ritrovato in un campo poco distante dalla sua abitazione. 40 giorni di ricerche e il cellulare nell’uliveto.
6 ottobre 2010. Le confessioni dello «zio mostro». Dopo un interrogatorio durato ore, Misseri confessa l'omicidio della nipote e mostra agli investigatori il luogo dove giace il corpo. Da quel momento, l'uomo cambia versione più volte fino a quando, a metà ottobre 2010 ammette il coinvolgimento della figlia Sabrina. Zio Michele resiste cinque giorni agli interrogatori, poi il 6 ottobre 2010 crolla: «Ho ucciso io Sarah».
15 ottobre 2010. Michele Misseri chiama in correità nel delitto la figlia Sabrina, che finisce in cella.
5 novembre 2010. Michele Misseri accusa esplicitamente la figlia Sabrina di aver ucciso Sarah.
19 novembre 2010. Nell’incidente probatorio Michele Misseri conferma le accuse del 5 novembre nei confronti della figlia.
Dicembre 2010. Michele Misseri cambia ancora versione, dal carcere scrive di essere lui l'assassino e di aver fatto tutto da solo, anche la soppressione del cadavere.
26 maggio 2011. Viene arrestata Cosima Serrano, madre di Sabrina. L'accusa è di concorso in omicidio e sequestro di persona. Il provvedimento viene anche notificato a Sabrina, già in cella.
23 febbraio 2011. I carabinieri accusano Carmine Misseri e Cosimo Cosma, il fratello e il nipote di Michele Misseri, di concorso in soppressione di cadavere. Scarcerati a marzo dal Tribunale del Riesame.
10 marzo 2011. Il Tribunale del Riesame scarcera Carmine Misseri e Cosimo Cosma.
26 maggio 2011. Viene arrestata Cosima Serrano, moglie di Michele Misseri e madre di Sabrina. E’ accusata di concorso in omicidio e sequestro di persona. Analogo provvedimento viene notificato a Sabrina in carcere.
30 maggio 2011. Alle 19 viene scarcerato Michele Misseri, su richiesta della Procura di Taranto. Dopo 236 giorni di detenzione lo zio di Sarah Scazzi torna libero. Per lui l'accusa resta solo quella di soppressione di cadavere.
1 luglio 2011. Si concludono le indagini preliminari con l'incriminazione di 15 persone per reati che vanno dal concorso in omicidio alla soppressione di cadavere, sequestro di persona, furto, false dichiarazioni al Pm, soppressione di documenti, infedele patrocinio, favoreggiamento e intralcio alla giustizia. 29 agosto 2011: Udienza preliminare con nove rinvii a giudizio, tre assoluzioni e un proscioglimento.
29 agosto 2011. Dinanzi al gup comincia l’udienza preliminare, che si chiuderà con nove rinvii a giudizio, tre assoluzioni e un proscioglimento.
10 gennaio 2012. Si apre il processo davanti alla Corte d'assise di Taranto. I principali imputati sono Sabrina Misseri, con l'accusa di omicidio volontario, la madre Cosima, con l'accusa di concorso in omicidio e il padre Michele, con l'accusa di soppressione di cadavere. Il comune di Avetrana si è costituito parte civile. Nella foto Concetta Spagnolo Scazzi, madre di Sarah.
20 aprile 2013. Dopo cinque giorni di Camera di consiglio, la Corte di Assise emette la sentenza: ergastolo per Cosima e Sabrina (omicidio, sequestro di persona e soppressione di cadavere), otto anni per soppressione di cadavere per Michele Misseri, sei anni a Carmine Misseri (fratello di Michele) e Cosimo Cosma (nipote di Michele Misseri, morirà il 7 aprile 2014), due anni all’ex legale di Sabrina, Vito Russo Junior, per favoreggiamento. Condannati per favoreggiamento a pene comprese tra un anno e un anno e quattro mesi altri quattro imputati. La Corte d'assise di Taranto condanna all'ergastolo Sabrina Misseri e Cosima Serrano per l'omicidio di Sarah Scazzi. A Michele Misseri 8 anni per concorso in soppressione di cadavere. Per lo stesso reato vengono inflitti 6 anni ciascuno a Carmine Misseri e a Cosimo Cosma (morirà il 7 aprile 2014). Anche l'ex difensore di Sabrina, Vito Russo Junior, viene condannato, a due anni di reclusione in questo caso, per intralcio alla giustizia.
14 novembre 2014. Dinanzi alla sezione distaccata di Taranto della Corte di assise di appello di Lecce, inizia il processo di secondo grado. Durerà otto mesi.
27 luglio 2015. La corte d'assise d'appello di Taranto ha confermato le condanne. Ridotte per gli altri imputati. La Corte d’assise d’appello di Taranto conferma la condanna all’ergastolo per Cosima Serrano e la figlia Sabrina Misseri e a otto anni per Michele Misseri per concorso in soppressione di cadavere. Confermata anche la pena ad un anno e quattro mesi per Giuseppe Nigro, imputato per favoreggiamento personale. I giudici riducono la pena (a un anno e quattro mesi) per l’avv.Vito Russo Junior e (a cinque anni e 11 mesi) per Carmine Misseri.
21 febbraio 2017 - La Cassazione conferma l’ergastolo per Cosima e Sabrina e la condanna per Michele Misseri a otto anni per concorso in soppressione di cadavere. Con la condanna definitiva scattano le manette per Misseri, attualmente ancora a piede libero.
Michele Misseri, fino alla fine, al telefono con Maria Corbi, ribadisce di essere stato lui ad uccidere la Piccola Sarah, e che questa versione è stata la stessa dall’inizio alla fine della vicenda giudiziaria, salvo un piccolo lasso di tempo in cui è stato indotto da altri ad accusare la figli Sabrina (dalla Roberta Bruzzone e dall’avv. Daniele Galoppa) con la prospettiva di cavarsela con poco, lui e sua figlia.
Le ultime lettere di zio Michele. Analisi comunicazionale delle dichiarazioni finali del reo bugiardo più famoso d’Italia, scrive Selene Pascarella il 2 marzo 2 marzo 2017 su "Taranto Buona Sera". Taranto Buona Sera” La Cassazione ha messo la parola fine al giallo di Avetrana. Sabrina Misseri e Cosima Serrano sconteranno una condanna definitiva all’ergastolo. Michele Misseri varca la porta del carcere continuando a ribadire la propria colpevolezza, in un rovesciamento del luogo comune. Là dove tutti i condannati di fresco gridano la propria innocenza, Michele, in una telefonata al Tg2 subito dopo la sentenza, parla di «errore giudiziario» proprio perché non è stato riconosciuto il suo ruolo nell’omicidio di Sarah Scazzi. Del resto, ha dichiarato il procuratore generale nella sua requisitoria, «l’ultimo grado di giudizio non serviva a verificare la posizione di Michele Misseri nell’omicidio». «Visti i continui ripensamenti di Michele – ha argomentato il pg - le corti hanno fatto a meno delle sue dichiarazioni». Eppure in un’inchiesta caratterizzata da testimoni recalcitranti, come il fioraio sognatore, e imputate che non hanno ammesso qualsivoglia forma di responsabilità, le parole di Michele Misseri sono state l’unica costante anche nella loro contraddittorietà. Da reo confesso, grande accusatore e poi difensore della figlia, insomma, Michele è l’unico che ha sempre sentito il bisogno di parlare dell’omicidio di Sarah. L’ha fatto anche nell’ultimo giorno da libero, in attesa di essere accompagnato in carcere. Le aule di tribunale hanno assolto il loro compito, ma come osservatori possiamo scegliere di non fare a meno delle ultime dichiarazioni del famigerato Zio Michele da Avetrana, sposando il punto di osservazione di una branca della criminologia moderna che va sotto il nome di analisi comunicazionale forense. Una pratica resa famosa in tv dallo scopritore di bugiardi protagonista del telefilm Lie to me, che in realtà non si occupa di sottoporre la gente a un poligrafo immaginario, stabilendo chi mente e chi no. Bensì analizza in maniera oggettiva la comunicazione verbale ed extraverbale di testimoni, sospetti autori di reato, persone informate dei fatti, per trarne il massimo di informazioni possibili. Nel caso in questione non c’è stata occasione di osservare Misseri mentre pronunciava la sua ultima lettera prima del carcere, studiando la mimica del corpo e del volto, alla ricerca di comunicazioni involontarie, magari contrastanti con quelle espresse dalle parole. Potrebbe, però, non essere un male. C’è qualcosa nella fisicità del contadino di Avetrana che ha il potere di delegittimare la portata delle parole che pronuncia, soprattutto quando hanno a che fare con le donne della sua vita, Cosima e Sabrina, e la nipote che ha trovato la morte tra le pareti della sua casa, Sarah. Il solo palesarsi del suo volto fa scattare in chi ascolta il pregiudizio, perché Misseri è ormai, sia per i colpevolisti che per gli innocentisti, l’icona del voltagabbanismo giudiziario. Concentrarsi sulla sua voce nuda, filtrata dall’apparecchio telefonico, soppesandone il volume, le intonazioni e il ritmo, può aiutare a eliminare il rumore di fondo associato all’immagine mediatica del personaggio. Ascoltiamo, cosa ha da dire un uomo condannato a otto anni di carcere per la soppressione del cadavere della nipote quindicenne. «Sono sereno» annuncia alla giornalista che lo interpella, «sto aspettando che mi vengono a prendere».
Fin qui la dichiarazione preparata a tavolino, probabilmente su suggerimento del legale. Il tono è pacato, il volume trattenuto per paura di dire troppo o troppo poco. All’improvviso il registro cambia. «Non sono sereno per n’altra cosa» aggiunge Misseri con foga, per poi fare una pausa quasi da attore nel proseguire del discorso, «perché ci sono due innocenti in carcere». «Anzi tre innocenti» si corregge, «contando mio fratello Carmine». Parole semplici, nel consueto italianese (mix di lingua italiana e inflessione avetranese) ma del tutto prive di rassegnazione. Si dice sereno Misseri, ma dal modo con cui allude al destino dei suoi congiunti colpiti da un’ingiustizia trapela una sorta di forza provocatoria che potrebbe indicare una reale indignazione. L’aumentare del volume, spontaneo e involontario, tradisce rabbia. Forse la frase di circostanza preparata per la stampa ha subito un cambiamento dell’ultimo minuto. Misseri si è fatto scivolare via la maschera indossata per l’agone mediatico. C’è un momento di cedimento emotivo quando la reporter gli chiede di dire qualcosa a moglie e figlia: «Chiedo perdono per gli errori che ho fatto» ammette, sottolineando le parole con un verso di scoramento che stride con la frase successiva. «Non mi hanno creduto» declama con un aumento di volume palesemente voluto ed enfatizzato con un verso – «eeeeh» – che ha un’intonazione artefatta. Michele rimette la maschera mediatica, sembra rivolgersi al pubblico televisivo e tramite esso a Sabrina e Cosima, trasforma la sua responsabilità nel riflesso di un errore altrui. Lui ha sbagliato a mentire accusando sua figlia ma ha sbagliato di più chi gli ha creduto o non ha creduto che mentisse. La voce ritorna composta, senza aggiunte a effetto, quando ribadisce che «questo è un errore giudiziario» ma ha un guizzo nel momento in cui azzarda «secondo me ancora non è finita», quasi stesse portando avanti un monologo interiore e non un’intervista. Sta per arrivare l’ennesima verità shock di Michele? La reporter non si fa scappare l’occasione e chiede particolari, ma Misseri si sottrae passando alla prima persona plurale «andremo ancora avanti», taglia corto come se la questione non dipendesse in alcun modo da lui. «Vediamo» conclude abbassando il volume, indicatore della volontà di cambiare argomento in fretta. Azione affidata ancora una volta a una dichiarazione di prammatica, pronunciata con intonazione monocorde, nonostante il contenuto ad alto tasso emotivo: «Chiedo perdono soprattutto a Sarah che non ha avuto giustizia». La telefonata si conclude così, l’analisi comunicazionale non può dimostrare con certezza se Michele sia bugiardo o sincero, ma fa emergere la sua convinzione che ci siano ancora elementi in grado di cambiare, se non la verità giudiziaria, quella fattuale sulla morte di Sarah. Forse è solo l’autoillusione di chi non vuole accettare una dura realtà, o forse, come qualcuno ha sempre pensato, tanto ancora ci sarebbe da dire sulle ultime ore di Sarah Scazzi. Se davvero il giallo di Avetrana non è finito e ci sono verità nascoste il depositario non può che esserne proprio Michele Misseri, il colpevole e il testimone meno credibile e meno creduto di questa lunga e triste vicenda giudiziaria. Se così dovesse essere potremo davvero fare a meno delle sue dichiarazioni?
Sarah Scazzi, Michele Misseri fratello: “Lo uccido”, lo sfogo di Carmine dopo l’arresto, scrive sabato 25/02/2017 Michela Becciu il Breaking News su Urban Post. Omicidio Sarah Scazzi ultime notizie: è emersa ieri 24 febbraio durante la diretta di Quarto Grado la reale motivazione per la quale subito dopo l’arresto, i fratelli Michele e Carmine Misseri non sono finiti nella stessa cella. Si era detto inizialmente, infatti, che “per una situazione tra loro difficile da gestire” si era preferito separare i due uomini. Le cose in realtà starebbero molto peggio: pare che subito dopo l’arrivo presso il carcere di Taranto, fatte le foto segnaletiche come da prassi, Carmine Misseri – condannato a 4 anni e 11 mesi di carcere per concorso in soppressione di cadavere – abbia detto esplicitamente alle guardie carcerarie: “Vi chiedo di non farmi nemmeno incontrare mio fratello, non voglio vederlo altrimenti lo ammazzo”. Michele Misseri, invece, sembra aver ritrovato la tanto agognata serenità in carcere: il contadino di Avetrana, che pur non essendo mai stato creduto dai magistrati ha continuato negli anni ad assumersi la responsabilità dell’omicidio della nipote, chiedeva da tempo la detenzione. Nei prossimi giorni, si è inoltre appreso, tutti i 4 membri (anche Sabrina Misseri e Cosima serrano) della famiglia Misseri potrebbero essere trasferiti in altri penitenziari.
La madre di Sarah Scazzi: “Come faccio a capire perché mia sorella ha ucciso mia figlia?”. Un estratto dell'intervista che questa sera andrà in onda a Quarto Grado, realizzata dalla giornalista Alessandra Borgia, scrive il 3 marzo "Fan Page". Quarto Grado proporrà in esclusiva un'intervista a Concetta Serrano, madre di Sarah Scazzi, la tredicenne uccisa ad Avetrana nel 2010. La donna ha risosto alle domande di Alessandra Borgia, facendo riferimento alla condanna ad ergastolo inflitta dalla Suprema Corte a Cosima Serrano e Sabrina Misseri, rispettivamente zia e cugina della vittima, e agli otto anni di reclusione allo zio Michele Misseri, accusato di soppressione di cadavere e inquinamento delle prove. Le parti salienti dell'intervista descrivono una donna afflitta dal suo dolore, oltre che sola in senso familiare, essendo Cosima sua sorella. La donna racconta in parte i fatti di quella giornata, ricostruendo le ultime ore di vita di Sarah: "È entrata nella sua cameretta e si è chiusa. Poi, dopo un po’, è uscita e ha detto: “Mamma… vedi che dobbiamo andare al mare con Sabrina”. Ore dopo è venuta Sabrina a dirmi: “Zia, Sarah non è venuta. Dovevamo andare al mare”. E io: “Come? Se mi ha detto che veniva a casa tua, com’è che non è venuta?”. E lì ho pensato: “Sarà successo qualcosa” e ho detto a mio marito: “Prendiamo la macchina, vediamo se per caso la vediamo in giro. Quando ho visto che di lei non c’era traccia ho detto: “Andiamo in caserma perché qui la cosa incomincia a preoccuparmi”. Ricordo un particolare: quel giorno, quando ho denunciato il fatto che Sarah non si trovava, venne anche mia sorella Cosima. Lei, arrabbiata, affermò: “Questa sera quando torna, se torna, le devi tirare uno schiaffone, perché l’ha fatta veramente grossa”. Con il senno di poi ho pensato: ma se non torna più che schiaffone le devo tirare?» Concetta Serrano è sconcertata per la condanna della sorella e la nipote: "Già aver perduto Sarah in quel modo è stato uno strazio. Poi sapere che sono stati loro, i miei parenti, a fare questo… il dolore è aumentato, è diventato più forte, chi poteva mai immaginare che fossero stati loro? […] Oltre a Sarah ho perso anche loro due. Adesso ci ritroviamo ad affrontare un futuro da soli, in termini familiari. Loro da soli, lì. Io da sola, qui… perché altri familiari mi hanno abbandonata… saremo tutti soli". La donna invia anche un messaggio alla sorella:
Se vuole ritrovare la tranquillità, di mettere la coscienza a posto. Di dire la verità, anche se le costa tanto. Le è costato l’ergastolo, però la coscienza non l’ha ancora sistemata […] E neanche Sabrina. La domanda finale che Concetta pone a se stessa è un interrogativo al quale difficilmente si può dare risposta: "Posso immaginare tante cose. Come faccio a capire perché l’hanno uccisa? Lo sanno solo loro".
Concetta: «Quella mattina dovevamo imbiancare casa. Sarah si è svegliata e verso le 8:30/9:00 è andata da sua cugina Sabrina. Verso le 13:00/13:30 è tornata a casa».
Giornalista: «E ha raccontato qualcosa quando è tornata a casa?»
C: «È entrata nella sua cameretta e si è chiusa. Poi, dopo un po’, è uscita e ha detto: “Mamma… vedi che dobbiamo andare al mare con Sabrina”. Ore dopo è venuta Sabrina a dirmi: “Zia, Sarah non è venuta. Dovevamo andare al mare”. E io: “Come? Se mi ha detto che veniva a casa tua, com’è che non è venuta?”. E lì ho pensato: “Sarà successo qualcosa” e ho detto a mio marito: “Prendiamo la macchina, vediamo se per caso la vediamo in giro. Quando ho visto che di lei non c’era traccia ho detto: “Andiamo in caserma perché qui la cosa incomincia a preoccuparmi”. Ricordo un particolare: quel giorno, quando ho denunciato il fatto che Sarah non si trovava, venne anche mia sorella Cosima. Lei, arrabbiata, affermò: “Questa sera quando torna, se torna, le devi tirare uno schiaffone, perché l’ha fatta veramente grossa”. Con il senno di poi ho pensato: ma se non torna più che schiaffone le devo tirare?»
G: «Cosa ha provato quando ha saputo che tutta la famiglia Misseri, e quindi anche sua sorella e sua nipote, erano coinvolti nell’omicidio di sua figlia?»
C: «Già aver perduto Sarah in quel modo è stato uno strazio. Poi sapere che sono stati loro, i miei parenti, a fare questo… il dolore è aumentato, è diventato più forte, chi poteva mai immaginare che fossero stati loro?»
G: «Adesso abbiamo una certezza: ad uccidere Sarah sono state Sabrina e Cosima».
C: «Oltre a Sarah ho perso anche loro due. Adesso ci ritroviamo ad affrontare un futuro da soli, in termini familiari. Loro da soli, lì. Io da sola, qui… perché altri familiari mi hanno abbandonata… saremo tutti soli».
G: «Se oggi lei potesse consigliare qualcosa a sua sorella, cosa consiglierebbe?»
C: «Se vuole ritrovare la tranquillità, di mettere la coscienza a posto. Di dire la verità, anche se le costa tanto. Le è costato l’ergastolo, però la coscienza non l’ha ancora sistemata».
G: «E neanche Sabrina».
C: «E neanche Sabrina».
G: «Perché è accaduto?»
C: «Posso immaginare tante cose. Come faccio a capire perché l’hanno uccisa?»
G: «Lo sanno solo loro».
C: «Eh, infatti..»
G: «Ci sono stati dei momenti, in questi sette lunghi anni, in cui ha pensato che Sabrina e Cosima non c’entrassero con l’omicidio di sua figlia?»
C: «Lo vorrei pensare, però dalle intercettazioni, dai testimoni, tutto quello che è emerso… come faccio a non aver dubbi?»
G: «E invece, per quanto riguarda Michele, ha mai pensato a un movente sessuale?»
C: «Ma nella maniera più assoluta! Perché Michele è la persona è più puritana di questo mondo».
G: «Quindi non ha mai avuto dubbi su Michele?»
C: «Sotto questo aspetto, no».
G: «Comunque è responsabile?»
C: «Sì, di quello che ha fatto sì».
G: «Cosa le manca di Sarah?»
C: «Tutto. La sua allegria, la sua spensieratezza. Era schietta, diretta. Forse, proprio per questo motivo qualcuno, ha voluto toglierle la vita».
La terribile vicenda relativa all’omicidio di Sarah Scazzi non può dirsi ancora definitivamente conclusa. Sebbene infatti la Corte di Cassazione abbia confermato gli ergastoli per Sabrina Misseri e Cosima Serrano e le condanne per gli altri imputati tra cui Michele Misseri, la parola ‘fine’ su questa atroce storia non può essere ancora pronunciata. Il prossimo 3 aprile avrà inizio il processo a dodici persone – tra cui Ivano Russo e Michele Misseri – indagate nell’ambito dell’inchiesta Scazzi bis e rinviate a giudizio perché accusate a vario titolo di avere rilasciato false attestazioni ai magistrati. Ivano Russo, reputato nei tre gradi di giudizio il ‘movente del delitto’ in quanto conteso tra Sabrina e Sarah, entrambe invaghite di lui – secondo la Procura sarebbe stato reticente e avrebbe sminuito l’entità del suo rapporto con Sabrina per tutelarla. A tal riguardo, in vista dell’imminente processo, UrbanPost ha intervistato l’avvocato Francesco Mancini, che insieme al collega Alfredo Russo difende Ivano Russo. Ecco come ha risposto alle nostre domande:
Qual è stato il commento di Ivano Russo alla sentenza della Cassazione che ha confermato i due ergastoli? Lui crede nella innocenza di Sabrina Misseri?
“Naturalmente con Ivano mi sono ritrovato a fare il punto su questa sentenza che, come tutte le sentenze, va rispettata perché se con la Corte di Cassazione gli ergastoli sono stati confermati per la terza volta, sicuramente ci saranno tutti i motivi a supporto di questa sentenza, dura, sì, e che sicuramente rende giustizia alla piccola Sarah. Ivano è sicuramente più interessato a difendersi dall’ingiusto processo a suo carico e ai suoi familiari quale appunto quello della falsa testimonianza, perché lui si tiene lontano dal giudicare la colpevolezza o meno di Sabrina. Certamente oggi il rapporto con Sabrina è nettamente differente da quello che era tra i due un tempo, e certamente anche Ivano ha nutrito dei dubbi sul fatto che questa famiglia (tutti e tre, Sabrina, Cosima e Michele Misseri ndr) sia implicata nel delitto: Sarah entra viva in quella casa e sicuramente ne esce morta”.
Da quando Sabrina è stata arrestata, Ivano ha mai avuto contatti con lei? È mai andato a trovarla in carcere?
“Assolutamente no. In questi anni Ivano ha dato sempre la massima disponibilità alla signora Concetta Serrano (madre di Sarah Scazzi ndr); ha lanciato 2-3 appelli in questi anni. Non ha capito perché la signora Concetta non li abbia accolti ma rispetta il suo atteggiamento. Ha sempre rinnovato piena disponibilità perché anche Ivano, così come i familiari della piccola Sarah, vuole che per lei sia fatta giustizia”.
A proposito del rapporto tra il suo assistito e Sabrina: Ivano è accusato di essere stato reticente con i magistrati e di avere in qualche modo sminuito l’intensità del rapporto che aveva con Sabrina all’epoca dei fatti. Ivano ha quindi omesso qualcosa oppure ha già raccontato tutta la sua verità a giudici e inquirenti?
“Posso tranquillamente confermare che ha raccontato tutto, non ci sono scoop nascosti o altro. Purtroppo Ivano ha pagato a caro prezzo lo scotto per essere una persona riservata, e possiamo ribadirlo con chiarezza che in questa brutta vicenda Ivano è l’unico che non ha cavalcato l’onda della clamore mediatico – come invece hanno fatto altri in maniera poco edificante – e ha pagato a caro prezzo il non aver voluto, nelle prime fasi delle indagini e nel processo, soffermarsi sull’incontro di carattere sessuale che c’era stato tra i due (lui e Sabrina ndr). Perché mi chiederà lei: beh, sia lui che Sabrina vengono da un piccolo paese, che è Avetrana, dove per una donna soprattutto, più che per un uomo, prestarsi così ad un incontro sessuale fugace deponeva a sfavore della ragazza, della sua reputazione, quindi Ivano si è reso colpevole di aver taciuto solo all’inizio questa vicenda, l’incontro sessuale tra i due. Ma dopo non c’è stato altro”.
Quindi, come ha stabilito anche la Cassazione, il ‘rifiuto’ di Ivano ha innescato il movente dell’omicidio? Sarah ha pagato per aver reso pubblica in paese questa vicenda così intima ed umiliante riguardante la cugina?
“Questo purtroppo non è dato saperlo con certezza né a me né ad Ivano. Sicuramente la Corte ha dato un certo valore a questo episodio, e guardi questa è una domanda davvero difficile e non so darle una risposta, perché effettivamente non sappiamo con certezza cosa sia accaduto quel giorno quando Sarah è entrata in quella casa …”.
Secondo le indiscrezioni Ivano il 26 agosto 2010 sarebbe stato nella villetta dei Misseri intorno alle 14 ed avrebbe assistito alla furiosa lite tra le due cugine, per poi dileguarsi poco prima che Sarah venisse uccisa. È vero?
“Assolutamente no. Purtroppo non sappiamo come ma si tratta solo di una notizia di carattere giornalistico perché a livello processuale è stato fugato ogni dubbio sulla presenza di Ivano in quella casa: si è appurato che Ivano a quell’ora si trovava a casa sua. Ci sono i tabulati telefonici che attestano questo”.
Quindi Ivano quella mattina non ha mai visto le due ragazze litigare?
“Smentisco categoricamente, no. Ivano quel giorno certamente non ha incontrato né la piccola Sarah né tanto meno Sabrina”.
Ivano come giustifica le intercettazioni ambientali in cui cerca di indirizzare e pilotare la madre sulle cose da dire ai magistrati prima di essere sentita come persona informata sui fatti?
“Guardi non lo ha fatto di certo per paura o per nascondere o smentire qualcosa … il problema è che la madre non ricordava di preciso cosa fosse accaduto quel giorno. Ivano cercava semplicemente di ragguagliare e solleticare la memoria della madre che aveva fatto confusione con i vari episodi. Elena Baldari è una signora di 60 anni e per la prima volta si è trovata catapultata in un procedimento giudiziario che è più grande di lei, e logicamente in buona fede ha cercato quanto meno – anche sbagliando – di tutelare il figlio ma non di nascondere qualcosa alla Giustizia”.
Ivano Russo quindi si presenterà in aula e ripeterà ai giudici quanto già dichiarato nei due processi sull’omicidio di Sarah Scazzi? Non ci sono delle novità, delle nuove dichiarazioni?
“No, no. Assolutamente no. Noi eravamo fiduciosi che già nella fase delle indagini preliminari questa vicenda potesse essere – almeno nei confronti di Ivano, di suo fratello, di sua cognata e di sua madre – potesse trovare la via dell’archiviazione ma purtroppo questo non è stato possibile. Certamente non facciamo una colpa al Gip perché in questo procedimento è bene che si faccia chiarezza fino in fondo. Ivano porterà avanti la linea seguita da subito, ripetendo di aver detto tutto ciò che sa; chiariremo ciò che forse in primo grado è stato male interpretato tra ciò che è stato detto in fase di indagine e ciò che è stato riportato al processo in Corte d’Assise. Cercheremo di rendere più chiara la posizione di Ivano”.
LE CONFESSIONI ESTORTE DALLE PROCURE AVALLATE NEI TRIBUNALI.
Confessione falsa estorta. Quando l’interrogato è costretto a confessare. Tecniche di interrogatorio consapevolmente torturanti. Manipolare, distorcere le parole, convincere che la confessione è una liberazione. Spingere un uomo a confessare il falso.
Come estorcere una confessione. HOW TO FORCE A CONFESSION:
Sfinimento psicologico per rendere vulnerabile il soggetto. MENTAL EXHAUSTION. La stanchezza. Molte ore di interrogatorio con la reiterata accusa di colpevolezza.
La promessa di una via d’uscita. THE PROMISE OF ESCAPE. Farlo sentire in trappola quando è stanco, esausto, in disagio, claustrofobia.
Offrire una ricompensa. OFFER A REWARD. Lo stato di disagio psicologico o bisogno fisico (fame, sete, freddo, caldo, andare al bagno) o per salvare una persona amata da un imminente pericolo.
Suggerire le parole per la confessione. FORCING LANGUAGE
Estorcere le informazioni: interrogatori e torture, scrive Roberto Colella, Giornalista di Guerra e Ricercatore presso l'Isag, su "L'huffingtonpost.it" l'11/12/2014. Nel marzo 2002 veniva catturato Abu Zubeydah, nato in Arabia Saudita da genitori palestinesi. L'arresto di Abu Zubeydah era legato all'attentato alle Torri Gemelle dell'11 settembre. Drogato dall'Fbi, rivelò le connessioni segrete tra i vertici di Al Qaeda, alcuni principi reali sauditi ed alti ufficiali pakistani, dei quali fornì i telefoni personali sperando di essere liberato. Da allora Abu Zubeydah venne preso in carico dalla Cia e trasportato in una base segreta in Thailandia per poi essere trasferito a Guantanamo solo nell'estate del 2006. Quella di sottoporre i terroristi a droghe allucinogene è soltanto una delle tecniche adottate per torturare i prigionieri. Oggi fanno rabbrividire i dati inerenti il "Rapporto sulla Tortura" preparato dalla Commissione intelligence del Senato Usa. Cinque prigionieri islamici sono stati soggetti ad alimentazione rettale, tra cui il cospiratore della Uss Cole, Abd al-Rahim al-Nashir, così come Majid Khan, amico e consigliere di uno dei responsabili dell'11 settembre, Khalid Sheikh Mohammed. Il prigioniero Majid Khan ha ricevuto per via rettale il suo pasto: un purè di humus, pasta al sugo, noci e uvetta. Khalid Mohammed è stato invece sottoposto al processo di "reidratazione, senza che ve ne fosse una reale necessità". Già in precedenza molti dei terroristi detenuti a Guantanamo avevano subito una delle torture più dure ed espressamente vietata dalla Cia nel 2006: il waterboarding. Tra questi lo stesso Abu Zubaydah, che ha subito la pratica almeno 83 volte e Khalid Sheikh Mohammed, che l'ha provata per ben 183 volte. Gli effetti fisici di un waterboarding possono comprendere sofferenza e danno polmonare, danno neurologico causato dalla mancanza di ossigeno e, in alcuni casi, fratture causate delle cinghie utilizzate per immobilizzare la vittima. Gli effetti psicologici possono durare a lungo. Un uso prolungato del waterboarding può condurre anche alla morte. La tecnica prevede che la persona sia legata ad un'asse inclinata, con i piedi in alto e la testa in basso. Coloro che svolgono l'interrogatorio bloccano le braccia e le gambe alla persona in modo che non possa assolutamente muoversi, e le coprono la faccia. In alcune descrizioni, la persona è imbavagliata e qualche tipo di tessuto ne copre il naso e la bocca; in altre, la faccia è avvolta nel cellophane. A questo punto, colui che svolge l'interrogatorio a più riprese vuota dell'acqua sulla faccia della persona. A seconda del tipo di preparazione, l'acqua può entrare effettivamente nelle vie aeree oppure no; l'esperienza fisica di trovarsi sotto un'onda d'acqua sembra essere secondaria rispetto all'effetto psicologico. La mente crede di stare per affogare. Eppure nelle scuole americane dell'Fbi si prediligono e si insegnano altre tecniche di interrogatorio sui prigionieri, soprattutto basate su metodi non coercitivi e sul tranello psicologico. Tra queste il Knowelwdge bluff: chi interroga comunica dettagli con il finto atteggiamento di saperne molto di più, facendo credere all'interrogato di avere delle notizie, da altre fonti, che in realtà non si hanno. Fidex line-up: indicazione del sospettato come colpevole da parte di finti testimoni. Riverse line-up: l'interrogato viene falsamente accusato da parte di simulati testimoni di un reato molto più grave di quello di cui è sospettato. Bluff on a split pair: mettere in mano all'indagato una finta confessione dattiloscritta del complice, che lo accusa della responsabilità del reato commesso. Infine il famoso dilemma del prigioniero: se gli imputati sono due, metterli uno contro l'altro, facendo credere a ciascuno che l'altro ha confessato, accusandolo di correità, e sfruttando quindi la reciproca mancanza di fiducia. Il punto è che l'interesse degli organi militari americani è incentrato sull'informazione da estorcere piuttosto che sul rispetto dei diritti umani. Chi è sotto tortura spesso si limita a dire ciò che l'interrogatore si aspetta per porre fine alla sua sofferenza. L'interrogatore spesso è un militare che non ha conoscenze appropriate. Il ricorso alla tortura è spesso improduttivo e inaffidabile, ma ciò nonostante l'esercito continua ad utilizzarla. A molti sembra che la tortura sia un insieme di tecniche relegate ad un lontano passato. Ottenere una confessione senza i metodi di indagine moderni, come DNA, poligrafo e analisi della scena di un delitto ha contribuito a realizzare macchinosi e dolorosi metodi di tortura in passato, creando anche un'immagine del genere umano che nulla ha di edificante. Al giorno d'oggi sembra che il mondo civilizzato non abbia più bisogno di metodi così crudeli. La scienza è un fondamentale supporto per le indagini: abbiamo satelliti in grado di spiare le mosse del nemico, analisi chimiche che ci forniscono l'esatta identità di un criminale, tecniche sofisticate per ottenere una confessione veritiera senza sottoporre l'indagato ad una serie di pratiche che ben poco hanno di umano. Tuttavia la tortura è ancora oggi largamente impiegata, soprattutto in ambito militare. Quando sentiamo parlare di "waterboarding" o di "bombardamento sensoriale" sui prigionieri di guerra non stiamo facendo altro che dare nomi sofisticati a metodologie che non sono per nulla umane, ma rappresentano in tutto e per tutto tecniche di tortura. Durante il SERE, acronimo che sta per "Survival, Evasion, Resistance and Escape", i soldati americani ed inglesi vengono addestrati a ricorrere a "pratiche non ortodosse" per ottenere delle confessioni dai prigionieri. Le tecniche insegnate al SERE per molti sono soltanto un insieme di metodi per estorcere confessioni; il fine giustifica i mezzi. Per altri invece violano in tutto e per tutto la Convenzione di Ginevra, rendendole a tutti gli effetti metodi di tortura.
Una guida pratica ai metodi di tortura è codificata nel KUBARK (KUBARK Counterintelligence Interrogation), un manuale sulle tecniche di interrogatorio utilizzato dalla CIA. Tenuto segreto dal 1963 fino al 1997, la NSA lo ha reso di pubblico dominio dopo il Freedom of Information act, assieme ad un altro manuale, lo Human Resource Exploitation Manual, basato sul KUBARK.
Quali sono questi metodi? I più comuni sono i seguenti:
ISOLAMENTO. L'isolamento si è dimostrato un ottimo metodo di tortura per "spezzare" un essere umano. Sperimentato in molte carceri, l'isolamento si rivela spesso un'ottima arma per ridurre all'impotenza individui sociali, lasciandoli soli con loro stessi per periodi di tempo più o meno lunghi. Il KUBARK riporta l'esperienza di molti esploratori polari, i quali hanno riportato come l'isolamento sia un fattore di estremo stress per l'individuo, e che in molti casi sia stato la causa scatenante di attacchi di panico e di fobie. I sintomi primari dell'isolamento sono la superstizione, l'amore estremo per altri esseri viventi, percepire oggetti inanimati come vivi, e allucinazioni.
DOLORE. Il dolore è la più antica forma di tortura conosciuta. Molte persone sottovalutano la soglia del dolore che sono in grado di sostenere, ed una volta giunti al punto di rottura faranno di tutto per terminare l'agonia. La soglia del dolore può innalzarsi per motivi psicologici, come forti motivazioni, ma è pressochè identica per tutti gli esseri umani. Il KUBARK tuttavia specifica come il dolore non sia uno dei metodi di tortura migliori: proprio le motivazioni psicologiche dell'individuo sarebbero il punto debole di questa tecnica. Può inoltre fornire false confessioni nel caso il dolore fosse troppo intenso o prolungato nel tempo.
DEPRIVAZIONE DEL SONNO. Ci sono una marea di studi scientifici sulla deprivazione del sonno e sugli espetti devastanti che può avere sulla psiche umana. Il sonno è un elemento che contribuisce alla nostra stabilità mentale, e privare un individuo del riposo non fa altro che portarlo al punto di rottura, indurre allucinazioni multi-sensoriali e psicosi di diversa natura. Il KUBARK prevede che, dopo un periodo di tortura attraverso la deprivazione del sonno, il prigioniero venga fatto riposare, per poi procedere con l'interrogatorio. Il solo timore di poter tornare in uno stato di deprivazione del sonno è sufficiente a far parlare quasi chiunque. Menachem Begin, ex Primo Ministro israeliano, è stato prigioniero del KGB, ed ha subito questo genere di tortura. Parlando della sua esperienza riferisce: "Nella mente del prigioniero interrogato, inizia ad esserci confusione. Il suo spirito è stanco morto, le gambe sono instabili, ed ha un solo desiderio: dormire...Chiunque abbia sperimentato questa tortura sa che nemmeno la fame e la sete sono paragonabili a questo". Per fornire un esempio chiarificatore di cosa possa comportare la deprivazione del sonno, la Graduate Medical School di Singapore ha condotto un esperimento per verificare come la precezione visiva di un soggetto deprivato di sonno possa alterarsi. Il cervello viene alterato nella sua capacità di dare un senso a ciò che viene percepito attraverso la vista, può addirittura creare false memorie frutto di esperienze allucinatorie o di errate percezioni sensoriali, fino a condurre alla pazzia.
DEPRIVAZIONE SENSORIALE. La deprivazione sensoriale consiste nel privare un prigioniero di ogni stimolo proveniente dai sensi principali, isolandolo completamente dal mondo esterno. Come già scritto in un altro post riguardo alla deprivazione sensoriale, sono necessari solo 15 minuti per iniziare a sperimentare allucinazioni, attacchi di panico, paranoia. Poche ore di deprivazione sensoriale equivalgono a mesi di prigionia in una cella ordinaria...Alla Mcgill University, nel National Institute of Mental Health, sono stati condotti alcuni esperimenti sulla deprivazione sensoriale, dimostrando come questa tecnica di tortura possa alterare in brevissimo tempo la psiche di un individuo rendendolo estremamente più malleabile.
UMILIAZIONE SESSUALE. L'umiliazione sessuale si basa sulle credenze ed i punti di vista del prigioniero, e varia in base al sesso. Per esempio, una persona cattolica potrebbe essere un forte oppositore dell'omosessualità, per cui si punta a renderlo vittima di abusi orientati verso quel tipo di sfera sessuale. Il prigioniero può essere costretto ad indossare biancheria femminile, a travestirsi da donna, o fare lap dance di fronte all' interrogatore, in una serie di abusi psicologici, e talvolta fisici, che lo portano al punto di rottura. Un esempio classico di umiliazione sessuale è quello di Fahim Ansari, accusato della strage di Mumbai, che ha subito torture a sfondo sessuale da un agente donna dell'FBI riportando lesioni sui genitali e su altre parti del corpo. Altri casi di umiliazione sessuale sono avvenuti nel carcere di Abu Ghraib, con stupri, scariche elettriche ed sevizie a sfondo sessuale di ogni tipo.
FREDDO ESTREMO. Metodo di tortura che pare essere il preferito dal governo cinese, e sul quale ci sono numerose sperimentazioni passate su cavie umane compiute da menti malate come Shiro Ishii o Mengele. Il prigioniero viene bagnato con acqua fredda e lasciato all'esterno, o in una cella non riscaldata priva di vetri sulle finestre. Altri sono costretti a correre nella neve indossando soltanto la biancheria; altri ancora invece devono dormire per terra in celle non riscaldate, in pieno inverno. Lascio a voi immaginare se il metodo funziona o meno.
FOBIE E MINACCE. Il primo metodo di tortura sfrutta le fobie del prigioniero per spezzarne l'animo. C'è chi ad esempio ha la fobia per i ragni: in questo caso, può venir lasciato per ore in una stanza piena di ragni, per poi essere interrogato. Il timore di tornare in quella cella farà in modo che il prigioniero sia più calmo e risponda a tutte le domande che gli verranno poste. Ci sono inoltre le minacce: in individui con una bassa soglia del dolore, la minaccia di provocare dolore è insopportabile, a volte meno tollerabile ed efficace del dolore stesso. Per una strategia di tortura efficace, il KUBARK suggerisce di approfondire la psiche del prigioniero per fare leva efficacemente sulle sue paure più profonde, e per scoprire la soglia del dolore oltre la quale non possa più resistere.
WATER BOARDING. Il governo americano di recente ha confermato l'utilizzo del water boarding come strumento per ottenere delle confessioni. Sostanzialmente si tratta di un "affogamento controllato": si prende il prigioniero, e gli si versa acqua sul viso, simulando un annegamento. Alcuni agenti della CIA si sono sottoposti volontariamente al water boarding per provare l'esperienza, non riuscendo a resistere per più di 14 secondi.
La giornalista Julia Leyton ha descritto nei dettagli il metodo: "Il water boarding viene eseguito ponendo una persona su un tavolo inclinato, con la testa nel punto più basso ed i piedi in cima. L'interrogatore lega le braccia e le gambe del prigioniero in modo che non possa muoversi, e gli copre la faccia, alcune volte con del tessuto, altre con del cellophane. Poi si comincia a far cadere acqua sul viso del prigioniero; indipendentemente dal metodo, l'acqua entra o non entra nel naso e nella bocca del prigioniero. Ma l'esperienza fisica di essere sotto ondate di acqua sembra essere secondaria a quella psicologica. La mente del prigioniero crede che di essere realmente sul punto di affogare".
La “scienza dell’interrogatorio”. A volte l’interrogatorio è più devastante per chi lo effettua che per chi lo subisce. La notte del 22 dicembre 1961 il capo della stazione CIA a Helsinki, Franz Friberg, sentì suonare il campanello di casa. Insonnolito, andò ad aprire e si trovò di fronte uno sconosciuto; un uomo basso e massiccio, che in un inglese marcato da un vistoso accento russo gli disse di essere il maggiore Anatoly Klimov, dell’Ufficio Archivi del KGB: chiedeva asilo politico, in cambio avrebbe rivelato segreti della massima importanza. Inizialmente Friberg, come dichiarerà più tardi ad una commissione del Senato americano, pensò di avere a che fare con un pazzo o un provocatore e fu tentato di sbattergli la porta in faccia; invece, dopo avergli posto qualche domanda lo fece trasferire in una base americana nei pressi di Francoforte; lì, acclarata la sua identità, fu immediatamente trasportato negli Stati Uniti per essere interrogato dai migliori cervelli della CIA. Fu l’inizio della fine. Le circostanziate dichiarazioni di Klimov, infatti, permisero, sì, di smantellare quattro reti spionistiche che i sovietici avevano installato negli Stati Uniti e nei paesi della NATO ma delineavano un quadro agghiacciante: alcuni alti dirigenti dei servizi segreti occidentali, della stessa CIA, erano, in realtà “talpe”, agenti segreti dei sovietici. Chi erano? Klimov dichiarava di non saperlo; l’unica cosa che aveva appreso, spulciando frettolosamente qualche pratica segretissima finita negli archivi del KGB, era che i russi avevano favorito le loro carriere, ad esempio, consegnando ad essi alcune spie sovietiche. Un atroce dubbio si insinuò allora nella CIA: Klimov era veramente sincero o era una “polpetta avvelenata” lanciata dal KGB per distruggere la coesione dei servizi segreti occidentali? Per ben tre mesi il militare russo fu sottoposto alle più svariate tecniche di interrogatorio per acclarare questo enigma che, comunque, è rimasto tale; intanto l’ombra di un paranoico sospetto – che trasformava rivalità burocratiche in insinuazioni o, addirittura, in accuse di tradimento – paralizzava le attività della CIA e di altri servizi segreti occidentali. Stimati funzionari con anni di servizio alle spalle furono costretti al licenziamento e qualcuno tra questi andò a lamentarsi con i giornalisti. Lo scandalo partorì una commissione parlamentare di inchiesta che, se non è riuscita ad appurare la verità sul “caso Klimov”, (solo nel 1993 si è scoperto che Aldrich Ames, il dirigente della CIA che soprintendeva agli interrogatori di Klimov, era al soldo del KGB), almeno ha fatto conoscere all’opinione pubblica la, fino ad allora segreta, “scienza dell’interrogatorio”, codificata in un documento della CIA recentemente declassificato: il Kubark Counterintelligence Interrogation. I tentativi di trovare un modo “scientifico” per ottenere una piena confessione, comunque, risalgono, almeno al 1840 quando un clinico francese, Moreau de Tours, riferì che, durante il dormiveglia provocato da alcune sostanze, il paziente parla in modo, più o meno, incontrollato e può rivelare così i suoi altrimenti inconfessabili segreti. Questa considerazione determinò l’uso del protossido di azoto, del cloroformio, e dell’hashish, negli interrogatori che venivano condotti da poliziotti alla Sûreté di Parigi e da “alienisti” (antesignani dei moderni psichiatri) quali Magnan e Babinski. Nel 1931 Henry House battezza come “siero della verità” la scopolamina, una sostanza contenuta in alcuni vegetali, (quali la nostrana Mandragora Mandragora autumnalis o, ancora di più, in un arbusto, lo Hyoscyamus niger); analogo titolo si conquistano altre sostanze quali la mescalina, (prodotta dal fungo Peyotl cactacea), e barbiturici di sintesi quali Amital, Pentothal, Nembuthal, Evipan… Negli anni “60 l’LSD (dietilammide dell’acido lisergico) suscita gli entusiasmi di alcuni ricercatori; primo tra tutti il dottor Donald Ewen Cameron, consulente della CIA e direttore del tenebroso “Progetto Mkultra” finalizzato a scoprire infallibili metodi per ottenere una completa confessione e le tecniche di “lavaggio del cervello” che si ipotizzava fossero state impiegate da farmacologi e psichiatri dell’Est per trasformare, ad esempio, ex prigionieri americani della guerra di Corea rientrati in patria in risoluti pacifisti. Dopo dieci anni di fallimentari esperimenti, il Progetto Mkultra fu chiuso. L’unico risultato sono state cinquanta persone con il sistema nervoso gravemente compromesso dalle altissime dosi di LSD somministrate da Cameron; nel 1988, dopo un processo durato quindici anni, sono state risarcite dal governo americano con 750.000 dollari a testa. Messo da parte l’inaffidabile LSD, alla metà degli anni 80 le speranze di ottenere il “siero della verità” si appuntano su alcune sostanze ottenute dalla metilendiossimetamfetamina (MDMA) che, a sua volta, discende da una molecola, l’MDA, brevettata in Germania nel 1914 e destinata come “droga di battaglia” per le truppe del Kaiser. Fino al 1990 l’MDMA, ideata dal neurochimico Alexander Shulgin, veniva impiegata in psichiatria nel tentativo di indurre maggiore capacità di autoanalisi poi il suo uso è stato proibito e da allora, questa droga, prodotta clandestinamente in innumerevoli laboratori e unita a intrugli vari, viene spacciata come “Ecstasy” tra il “popolo delle discoteche”. Ma “funzionano” davvero i sieri della verità? Secondo due psicologi americani, David Orne e James Gottschelck, il loro effetto, al di là dell’abbassamento della soglia di vigilanza, è sostanzialmente psicologico in quanto inducono nel soggetto che le ingerisce, e che si trova sotto stress per l’interrogatorio, una sorta di “alibi” per cedere. Esperimenti effettuati con placebo (una innocua pillola zuccherata spacciata per un potentissimo siero della verità) hanno, infatti, in molti casi indotto il soggetto a credere di essere stato drogato e a raccontare tutto senza alcun rimorso o paura di biasimo. Ma se la “verità” non la si può estorcere, perché non tentare, almeno, di segnalare le bugie? Già nel 1895 Cesare Lombroso per scoprire nelle “palpitazioni” la “prova” delle menzogne dell’interrogato usava un apparecchio di sua invenzione, l’idrosismografo, nel quale la mano dell’interrogato, immersa in un recipiente pieno di acqua, trasmetteva il ritmo del polso e le variazioni della pressione sanguigna ad un tubo di gomma e, quindi, ad un ago ricoperto di nerofumo che tracciava una striscia di carta. Negli anni seguenti si scoprì che in una persona sottoposta ad uno stress, come quello che si determinerebbe quando dice una bugia, si verifica quello che allora era chiamato “riflesso psico-galvanico” (e cioè, una variazione nella resistenza della pelle al passaggio di elettricità) e una variazione del ritmo respiratorio. L’americano Leonard Keeler costruì, quindi, nel 1939, un dispositivo che registrava simultaneamente la cadenza del polso, la pressione sanguigna, il ritmo respiratorio e il riflesso psico-galvanico, battezzandolo poligrafo o “Lie Detector” (rivelatore di bugie). In realtà il responso del poligrafo, che si limita a registrare improvvisi “turbamenti”, dipende dalla scelta e dall’opportuna distribuzione delle domande e dalla interpretazione che si da del tracciato. Per di più, l’interrogato durante la prova, può ingannare la macchina, ad esempio infliggendosi dolore, controllando la respirazione, contraendo impercettibilmente i muscoli delle braccia e delle gambe…Per vanificare quest’ultimo espediente Walter Reid negli anni “80 accessoriò il poligrafo con due cuscini pneumatici sistemati sotto gli avambracci e sotto le cosce dell’interrogato che registrano le pur minime contrazioni muscolari. È solo uno dei tanti stratagemmi messi a punto dai tecnici del Lie Detector che oggi si avvale di innumerevoli sensori collegati a potenti computer. Nonostante ciò, nel febbraio di quest’anno, la Corte Federale degli Stati Uniti ha stabilito che questa macchina non può essere impiegata in un procedimento penale, nemmeno come ultima carta in mano all’imputato per dimostrare la propria innocenza. Ovviamente, la decisione ha scatenato un mare di polemiche anche perché proprio in quei giorni un ministro israeliano è stato costretto alle dimissioni dalle accuse di molestie sessuali, accertate dal Lie Detector, di una sua segretaria. Intanto un’altra “macchina della verità” si affaccia sulla scena; il FACS (Facial Action Coding System) che analizza la contrazione dei muscoli facciali coinvolti nell’espressione delle differenti emozioni. Gli ideatori della macchina, Paul Ekman e Vincent Friesen, dopo aver esaminato quasi cinquemila videoregistrazioni di diverse espressioni, hanno costruito un data base che contempla ogni contrazione muscolare della faccia, la sua durata, l’intensità… Nascerebbe da qui la capacità della macchina di distinguere la “sincerità” di una persona. L’ “autentico” sorriso, ad esempio, prevede la contrazione dei muscoli gran zigomatici, che fanno sollevare gli angoli della bocca, e dei muscoli orbicolari che fanno restringere le orbite oculari. Se il sorriso non è autentico, invece, si avrebbe una differente contrazione dei muscoli e, quindi, una asimmetria tra la parte sinistra e destra del volto. Va da sé che anche il FACS può essere ingannato da un soggetto che si “immedesima” perfettamente nella parte che sta recitando o da fattori culturali, sociali ed emozionali ancora oggi impossibili da valutare automaticamente. Nonostante ciò, il FACS sta acquistando una crescente popolarità e uno dei suoi principali sostenitori, Paul Ekman, docente di psicologia alla University of California, promette che l’applicazione di nuovi microprocessori e software porteranno l’affidabilità del FACS al 99 per cento tra appena cinque anni. Prospettive meno esaltanti, invece, per il PSE Psycological Stress Evaluation, una altra “macchina della verità” che secondo i suoi ideatori – Allan Bell, Charles McQuinston, Bill Ford – sarebbe in grado di evidenziare i livelli – emozionale, cognitivo e fisiologico – della voce umana analizzando i differenti valori di modulazione di frequenza determinati dalla variazione dell’afflusso sanguigno alle corde vocali. Nasce da qui un software, venduto anche in Italia, che promette di distinguere tra affermazioni “vere”, “false” o “manipolate”. Questo fino al maggio 1999, fin a quando, cioè, l’Autorità garante della Concorrenza e del Mercato non ha condannato la società produttrice del software per pubblicità ingannevole. Messi da parte sieri e macchine, per ottenere la verità si può tentare con, l’ipnosi che effettivamente, se il soggetto collabora, riesce a fare emergere qualcosa dal buio della mente. Il caso più famoso è certamente l’interrogatorio sotto ipnosi di Trevor Rees-Jones, – unico superstite nell’incidente automobilistico nel quale, il 31 agosto 1977, morì la principessa Diana – dal quale, comunque, non si è appreso nulla di rilevante ai fini dell’indagine. Non così per un analogo interrogatorio al quale è stato sottoposto nel 1998 un cittadino di Gerusalemme che, sopravvissuto ad una autobomba, è riuscito sotto ipnosi a ricordare il viso di uno degli attentatori. Ma, al di là di sieri, macchine, ipnosi. Quali sono le tecniche per spingere una persona a confessare? Intanto la tortura che, ancora oggi, viene, più o meno istituzionalmente, praticata nella maggior parte dei paesi. Infliggere dolore per ottenere una confessione è una pratica antichissima che ha avuto una vertiginosa escalation quando, agli inizi del secolo, si è scoperto che l’applicazione di elettrodi in alcune zone del corpo rendeva rapido e meno stressante il lavoro per il carnefice. Si è passati poi alla somministrazione di anfetamine per rendere l’interrogato più sensibile alla tortura e all’ “assistenza” di un medico per valutare (ad esempio misurando il rilascio nell’organismo dell’oppiode endogeno ß-endorfina o di dopamina) il livello di dolore raggiunto dall’interrogato e la ulteriore “soglia” di sofferenza raggiungibile. Comunque ancora oggi, poco si sa di questi studi e non a caso nel manuale della CIA “Kubark Counterintelligence Interrogation” numerosi paragrafi dedicati alle tecniche di “interrogatorio coercitivo di fonti resistenti” sono stati censurati nella versione resa pubblica. Ma occupiamoci ora di tecniche di interrogatorio meno efferate. Un metodo antichissimo e che, in America negli anni “20, è stato battezzato come tecnica “Mutt and Jeff”, consiste nell’alternare un interrogante brutale, rabbioso, dominatore, in visibile contrasto con un interrogante cordiale e calmo al quale l’interrogato finirà per affidarsi e confidarsi. Ma questi sono sistemi “artigianali”. La vera “scienza dell’interrogatorio” nasce in Occidente negli anni 50 con il rientro negli Stati Uniti di prigionieri di guerra sottoposti ad interrogatori dai nord coreani. Da una ricerca su 759 militari, condotta dallo psicologo, Howard Hinkle, la CIA ricavò una serie di direttive che codificheranno gli interrogatori degli innumerevoli profughi riversatisi in Occidente, soprattutto a seguito delle repressioni susseguitesi alla rivolta di Budapest, nel 1956 e alla “primavera di Praga” nel 1968. Secondo queste direttive l’interrogatorio deve essere preceduto da uno screening effettuato da un intervistatore, eventualmente coadiuvato da un Lie Detector, finalizzato ad acquisire informazioni sulla vita familiare e quindi sulla personalità del soggetto che saranno poi utilizzate dall’interrogatore. Il lavoro di quest’ultimo comincia predisponendo la stanza dell’interrogatorio. Secondo le disposizioni della CIA, questa non dovrebbe avere elementi di distrazione come un telefono che può squillare, quadri o pareti dipinte con colori vivaci; la presenza o meno di una scrivania deve dipendere non dalla comodità dell’interrogante ma, piuttosto, dalla prevista reazione del soggetto ad apparenze di superiorità e ufficialità. Se si prevede un “interrogatorio di tipo non coercitivo con una fonte cooperativa” l’interrogato dovrà avere a disposizione una poltrona imbottita; se si tratta, invece, di una “fonte resistente” una luce puntata sulla sua faccia può risultare utile. In quest’ultimo caso l’interrogato dovrebbe avere già subito un trattamento finalizzato a porlo in condizioni di assoluta dipendenza dall’onnipotente interrogante che potrà avergli concesso o meno il diritto di dormire, mangiare, lavarsi, cambiarsi d’abito; e questo per provocare nell’interrogato una regressione allo stato infantile. A questo punto comincia l’interrogatorio vero e proprio che dovrà essere calibrato sul “tipo” di soggetto precedentemente classificato dall’intervistatore. A tal proposito la CIA ha classificato nove “tipi psicoemozionali” il loro presumibile “stato infantile” e le metodologie per interrogarli. Addentriamoci brevemente in qualcuno di questi “tipi”:
l. Il tipo ordinato‑ostinato. Sobrio, ordinato, freddo, spesso molto intellettuale, si considera superiore agli altri. Di solito è stato un “ribelle” durante la fanciullezza, facendo l’esatto contrario di ciò che gli veniva ordinato dai genitori; da adulto odia ogni autorità anche se, spesso riesce a mascherare la sua indole. Può confessare facilmente e rapidamente sotto interrogatorio anche atti che non ha commesso, per distogliere l’interrogante dallo scoprire qualcosa di significativo. L’interrogante non dovrà apparire come un’autorità utilizzando, ad esempio, minacce o pugni sul tavolo ma dovrà essere cordiale, ad esempio interessandosi ad eventuali hobby coltivati da questo tipo (solitamente colleziona monete o altri oggetti). È utile che l’interrogante e la stanza dell’interrogatorio appaiano straordinariamente lindi.
2. Il tipo ottimista. Di solito, è stato il membro più giovane di una famiglia numerosa o è nato da una donna di mezza età. Questo tipo reagisce ad una sfida rifugiandosi nella convinzione che “tutto andrà bene”, convinto di dipendere non già dalle sue azioni ma da un destino propizio. Tende a cercare promesse mettendo l’interrogante nel ruolo di protettore e di solutore di problemi. Sotto interrogatorio, solitamente, si confida davanti ad un approccio gentile, paterno. Se resiste, deve essere trattato con la tecnica “Mutt and Jeff”.
3. Il tipo avido, esigente. Ha spesso sofferto di una precoce privazione di affetto o di sicurezza che lo porta, da adulto, a cercare un sostituto dei genitori. La sua devozione si trasferisce facilmente quando sente che lo sponsor che ha scelto lo ha abbandonato. Può essere soggetto a gravi e improvvise depressioni e rivolgere verso se stesso il suo desiderio di vendetta arrivando fino al suicidio. L’interrogante che tratta con questo tipo deve fare attenzione a non respingerlo e tener conto che le sue richieste, spesso esorbitanti, non esprimono tanto una necessità specifica quanto il bisogno di sicurezza.
4. Il tipo ansioso, egocentrico. Timoroso, nonostante faccia di tutto per nasconderlo, spesso è un temerario per vanità e portato a vantarsi; quasi sempre, mente per sete di complimenti e lodi. L’interrogante, dovrà assecondare la sua esigenza di fare buona impressione e non dovrà mai ignorare o ridicolizzare le sue vanterie, o tagliar corto sulle sue divagazioni. Gli interrogati ansiosi ed egocentrici che nascondono dei fatti significativi, come contatti con servizi nemici, possono divulgarli se indotti a ritenere che la verità non sarà usata per danneggiarli e se l’interrogante sottolinea la stupidità dell’avversario nell’inviare una persona cosi intrepida in una missione così mal preparata.
5. Il tipo con complesso di colpa o incapace di successo. Appartengono a questa categoria i giocatori “coatti” che trovano sostanzialmente piacere nel perdere, masochisti che confessano crimini non commessi o che commettono davvero crimini per poi poterli confessare ed essere puniti È difficile interrogare questo tipo di persona in quanto egli può “confessare”, ad esempio, un’attività clandestina ostile nella quale non è mai stato coinvolto oppure può restare ostinatamente silenzioso o provocare l’interrogante per “godersi” poi la punizione. In alcuni casi, se punite in qualche modo, le persone con forti complessi di colpa possono smettere di resistere e cooperare, grazie al senso di gratificazione indotto dalla punizione. Articolo di Francesco Santoianni. La “scienza dell’interrogatorio”. Pubblicato su Newton luglio 2000.
L’interrogatorio e l’intervista giudiziaria. Il 29 gennaio 2016, nell'ambito del Master in Analisi Comportamentale e Scienze Applicate alle Investigazioni, all'Intelligence e all'Homeland Security (ACSAII-HS) che si tiene a Roma presso l'Università degli studi Link Campus University, diretto dalla Dottoressa Paola Giannetakis, ha avuto luogo un interessante incontro con il Professor Ray Bull in tema di comportamento e interrogatorio. Aspetti di particolare interesse per l'acquisizione di informazioni attendibili sia in ambito investigativo che di intelligence operativa. Nel percorso del Master infatti si esplorano ed acquisiscono in maniera pratica e operativa competenze spendibili utili agli operatori delle Forze dell'ordine, agli operatori di intelligence e ad altre figure professionali che necessitano dei corretti approcci allo studio del comportamento per ottenere i migliori risultati. Ray Bull è professore di Criminologia Investigativa presso la University of Derby e professore Emerito di Psicologia Forense presso la University of Leicester, in Inghilterra. Il docente ha nell'occasione illustrato agli studenti in aula gli studi effettuati e gli approfondimenti esperiti sui processi psicologici di una persona che viene sottoposta ad interrogatorio, proponendo quindi le linee guida per una corretta conduzione dell'intervista giudiziaria. Nel gennaio del 1998 la Corte Suprema di Londra aveva assegnato 200 mila sterline ad un uomo come risarcimento per aver patito, nel 1987, arresto, interrogatorio e successivi anni di prigione. Secondo il giornale Daily "un uomo innocente aveva trascorso cinque anni infernali in prigione dopo essere stato percosso da un detective ed obbligato a firmare una confessione". Si era trattato di una 'vetusta modalità' di conduzione di interrogatori, fondata su 'oppressione, intimidazione e coercizione' e giustificata dall'erroneo convincimento che 'un sospettato generalmente non confessa sua sponte, ma a seguito di pressione fisica e psicologica da parte della polizia giudiziaria. I primi cambiamenti, ha spiegato il prof. Ray Bull, si sono avvertiti nel Regno Unito verso la metà degli anni '80, dopo che la Corte d'Appello di Londra aveva dichiarato non attendibili le confessioni estorte con atteggiamenti coercitivi degli operatori di polizia. Le prime ricerche al riguardo sono state pubblicate nel 1992, grazie allo studio commissionato a Baldwin dall'Ufficio Centrale di Inghilterra e del Galles. Baldwin analizzò i contenuti di interviste giudiziarie registrate dopo il 1986 scoprendo che 1/3 dei sospettati aveva ammesso di essere colpevole all'inizio del colloquio, forse a causa della strategia dei detective di rivelare al sospettato quanto la polizia aveva già acquisito contro di lui. Nuovi approfondimenti evidenziarono come solo 20 su 600 sospettati aveva modificato la propria posizione durante l'interrogatorio, mentre la maggior parte degli intervistati aveva confermato la propria iniziale versione indifferentemente dal modo in cui era stato condotto il colloquio. Ulteriori studi effettuati da Moston, Stephenson e Williamson riferirono che nella maggior parte delle interviste giudiziarie gli investigatori non si erano adoperati per ottenere più informazioni possibili dai sospettati. Il Governo si rese conto che la Polizia non era abile nel condurre un interrogatorio e decise di preparare i detective con corsi di formazione diretti a fornire loro una migliore preparazione. Nuove tecniche furono sviluppate da 12 esperti detective con il contributo di psicologi (tra questi il Prof. Ray Bull) e su queste basi nacque il modello PEACE, acronimo (dall'inglese) di Planning and Preparation, Engage and Explain, Account, Clarify and Closure, Evaluation. La collaborazione tra detective e psicologi sviluppatasi nel 1992 consentì di delineare i principi fondamentali dell'intervista giudiziaria: obiettivo dell'interrogatorio non è la ricerca della confessione, ma la ricerca della verità, intesa come la reale versione dei fatti; l'interrogatorio deve essere condotto da personale con una mente aperta; le informazioni ottenute dal sospettato devono essere sempre riscontrate con le informazioni acquisite precedentemente dalla Polizia.
Il modello PEACE prevede un contesto rilassato e sereno, caratterizzato da un reciproco rispetto tra le parti, distante dagli ambienti rigidi ed intimidatori del passato. Le analisi svolte nel 2005 da O'Connor e Carson, entrambi detective esperti, rivelarono che negli Stati Uniti d'America ciò che in particolare porta ad una confessione è il rispetto mostrato dagli intervistatori nei confronti degli intervistati, ipotesi confermata dalle ricerche svolte in Australia e in Svezia. La relazione che si instaura tra le parti durante l'interrogatorio produce reazioni che possono portare l'indagato ad ammettere o negare il reato. Nel 2010 Bull e Walsh, analizzando 142 interviste giudiziarie registrate, si resero conto che il sospettato aveva fornito maggiori informazioni nelle fasi in cui il detective aveva utilizzato il metodo PEACE. Gli studiosi individuarono le qualità che un buon investigatore deve possedere e valorizzare nella fase di acquisizione delle informazioni: capacità di incoraggiare il sospettato a fornire informazioni, capacità di sviluppare argomenti, capacità di porre domande appropriate ed aperte, mente aperta, capacità di ascoltare in modo attivo. L'interrogatorio produce ottimi riscontri se il rapporto tra le parti continua ad essere sereno e, nel caso in cui il risultato tardasse ad arrivare, l'investigatore deve tollerare il silenzio e mostrarsi preoccupato per la posizione del sospettato. Alison e colleghi esaminarono 288 ore di interviste registrate in Inghilterra con 29 sospettati, allo scopo di sperimentare il metodo PEACE negli interrogatori di terroristi o presunti tali. Questo modello di interviste giudiziarie prevede nuove abilità, tra le quali una buona capacità comunicativa, empatia, flessibilità, apertura di mente. Il colloquio, definito 'motivazionale', è caratterizzato da un rapporto collaborativo tra le parti, durante il quale è fondamentale per il detective mantenere un comportamento coerente. Goodman e colleghi, analizzando gli interrogatori di persone sospettate di avere informazioni relative a fatti terroristici, scoprirono che i detenuti erano stati più inclini a fornire informazioni utili in risposta a strategie psicologiche più sofisticate che la coercizione e che le confessioni erano risultate più complete in risposta a strategie non coercitive. Di fronte a gravi crimini, fondamentale era stata l'empatia, intesa come capacità di porsi nella situazione di un'altra persona e di comprendere le sue intenzioni e i suoi pensieri. Laddove l'empatia non significa comprensione, ma strumento strategico di lettura del pensiero e capacità di pianificare le azioni successive. Ed allora come è possibile comprendere se il sospettato mente? Secondo le linee guida descritte da diversi studi pubblicati, chi mente è solito alterare la propria espressione facciale, non comunica con l'interlocutore guardandolo negli occhi, muove in maniera costante mani e piedi, gesticola continuamente e tende a cambiare spesso posizione del corpo. Tale comportamento, in realtà, sebbene indichi nervosismo, non indica menzogna in maniera evidente, poichè il medesimo stato emotivo può caratterizzare persone innocenti e farle sembrare colpevoli, mentre, viceversa, una persona colpevole può mostrarsi serena e dare l'impressione di essere innocente. Sembra allora difficile capire se un sospettato mente, bisogna studiare il comportamento. Dalla confluenza di questa analisi, così come dalla capacità di interpretare i segnali multi fattoriali, si ottiene un tracciamento preciso di come procedere per ottenere le informazioni di cui si ha bisogno. Questo è uno dei training specifici che si fa nell'ambito di questo Master. Di Giulia Vasale Scientific Crime Analysis working group. Il contenuto e’ stato pubblicato da Link Campus University in data 12 febbraio 2016. La fonte è unica responsabile dei contenuti. Distribuito da Public, inalterato e non modificato, in data 12 febbraio 2016.
"Io torturato per confessare ma ero innocente". Pasquale Virgilio fu accusato di omicidio, a salvarlo una lettera del papà dell'ex sindaco Pisapia, scrive Luca Fazzo, Venerdì 26/05/2017, su "Il Giornale". Doveva essere una rievocazione - a metà tra la fiction e la didattica, dedicata ai giovani avvocati milanesi - di uno dei processi che hanno fatto la storia della giustizia sotto la Madonnina. Invece mercoledì, la serata organizzata dalla Camera penale cittadina è iniziata da poco, si alza dalla platea un signore smilzo con la camicia rosa e dice: «Buonasera, sono Pasquale Virgilio». Fu lui, cinquant'anni fa, il protagonista di quel caso. Fa irruzione in carne, ossa, ricordi e rabbia - una rabbia lucida ed indomita - nel convegno. Ed è uno choc. Perché non si limita a raccontare di come venne accusato ingiustamente. Racconta, nei dettagli e con crudezza, come venne torturato. Non nello scantinato di una caserma di periferia ma all'interno del tribunale di Milano, il tempio laico al cui ingresso sta scritto Iustitia. Di Giandomenico Pisapia, il grande professore che col suo intervento lo salvò dall'ergastolo, parla con freddezza: «Perché hanno creduto a lui e non a me? E gli altri, quelli che non hanno un Pisapia a salvarli, come fanno?». Nel suo racconto, la giustizia di quegli anni è un tunnel degli orrori. Orrori che si compiono a pochi metri dagli uffici dei giudici; davanti alle loro conseguenze, i giudici chiudono gli occhi. «I carabinieri - racconta Virgilio - mi vennero a prendere a casa e mi portarono a palazzo di giustizia. Prima sotto, poi sopra»: cioè negli uffici del quarto piano, che ora sono occupati dalla Procura della Repubblica. Virgilio era in divisa, perché stava facendo la naja. «Mi fecero sdraiare sui tavoli, mi tolsero gli anfibi e i calzettoni, poi presero le scope e iniziarono a colpirmi sotto le piante dei piedi. Picchiavano così forte che anche in carcere per molto tempo non riuscivo a camminare». Le botte avevano un obiettivo: farlo «cantare», confessare di essere lui l'assassino del benzinaio di piazzale Lotto. Ma Virgilio, che non era una mammola («vivevo di espedienti», definisce laconicamente la sua vita di allora) non confessa, per il semplice motivo che è innocente. Allora arriva il grado successivo: «I flash delle macchine fotografiche erano grandi e grossi, si ricaricavano con le batterie. Allora prendono i fili e me li legano, diciamo, nelle parti delicate». E iniziano le scosse. Virgilio avrà urlato. Ma nessuno, a Palazzo di giustizia, sembra sentire le sue urla. Però non confessa. E alla corrente si aggiungono i sacchetti con cui viene colpito ripetutamente. «Stavano attenti a colpire nei posti giusti». Poi forse sbagliano, e gli spaccano le gengive e i denti. E lui niente. Alla fine gli fanno firmare il verbale di interrogatorio. In seguito, tra il testo e la sua firma, aggiungono due righe con la confessione. Quando il pm Pasquale Carcasio, qualche giorno dopo, lo interroga, i segni delle botte sono inequivocabili. «Ma lui mi disse: eh, sarà caduto dalle scale....». Il trattamento riservato a Virgilio risale ad un'altra epoca, in cui i primi interrogatori potevano svolgersi senza avvocato: ma il suo racconto arriva nel pieno dell'iter parlamentare, segnato da rigidità ed estremismi contrapposti, della legge sulla tortura; e costringe a fare domande - che restano senza risposta - su quali coperture fossero necessarie perché violenze del genere accadessero impunemente. Tanto che se si chiede a Virgilio perché non sporse denuncia, alza il sopracciglio brizzolato: «Sì, così mi prendevo anche una condanna per calunnia».
Le confessioni di rei ritenuti innocenti. Cosima Serrano ha sempre sostenuto la sua estraneità all’omicidio ed al fantomatico rapimento onirico. Oltre modo nessuno mai l'ha tirata in ballo. Nessun testimone, nè il marito loquace. Anche per mancanza di tempo, ribadita da un testimone, perchè rientrata alle 13.30 circa dal lavoro in campagna. Sabrina Misseri ha sempre negato il suo coinvolgimento al delitto, confermate dagli sms alle Spagnoletti, e la sua gelosia per Ivano, confermando il suo affetto per Sarah. Michele Misseri ha confessato il delitto, con riscontro di fatti, facendo trovare prima il cellulare, poi il corpo e palesando la sua colpa nella prima telefonata genuina intercettata tra lui e la figlia Sabrina durante il suo arresto nella caserma di Taranto, in seguito del quale ha fatto ritrovare il corpo. Ha deviato sulla sua versione solo quando non era presente coscientemente a causa dei psicofarmaci somministrati ed indotto dal carabiniere presente all’audizione, ovvero quando è stato indotto dal suo avvocato difensore, Daniele Galoppa, consigliato a Michele dal pubblico ministero Pietro Argentino, componente dell’accusa, ed indotto dalla consulente Roberta Bruzzone. Così come dichiarato dallo stesso Misseri. Bruzzone che nel processo ha rivestito le vesti di consulente di Michele Misseri, testimone dell’accusa e persona offesa (logicamente astiosa) nei confronti di Michele.
IL CARCERE UCCIDE: TUTTO MORTE E PSICOFARMACI.
Morire di carcere. Il sovraffollamento non fa che aumentare, mentre calano le forze di polizia penitenziaria. Una bomba a orologeria, come documentato da "L'Espresso", sempre sul punto di esplodere.
Anno 2000, 61 suicidi su 165 morti. 2001, 69 su 177. 2002, 52 su 160. 2003, 57 su 157. 2004, 52 su 156. 2005, 57 su 172. 2006, 50 su 134. 2007, 45 su 123. 2008, 46 su 142. 2009, 72 su 177. 2010, 66 su 184. 2011, 66 su 186. 2012, 60 su 154. 2013, 49 su 153. 2014, 44 su 132. 2015, 43 su 122. 2016, 45 su 115. 2017, 19 su 39. Totale 952 su 2.660.
Aggiornamento al 18 maggio 2017. Fonte: Centro Studi di Ristretti Orizzonti. Sul sito web dell'associazione i dati aggiornati giorno per giorno
Meno delitti, più detenuti: il paradosso della sicurezza, scrive Damiano Aliprandi il 26 Maggio 2017 su "Il Dubbio". Calano furti, rapine e omicidi, ma le carceri sono piene. Il 13esimo rapporto dell’Associazione Antigone sullo stato delle nostre prigioni è un grido d’allarme: dal sovraffollamento cronico all’abuso della custodia cautelare. Il carcere ritorna protagonista: aumenta il numero dei detenuti, nonostante la diminuzione dei reati. È quello che emerge dal tredicesimo rapporto dell’associazione Antigone intitolato “Torna il carcere”. I numeri sono chiari: negli ultimi 6 mesi si è passati da 54.912 presenze a 56.436. Il rapporto dell’associazione Antigone, presieduta da Patrizio Gonnella e dalla coordinatrice Susanna Marietti, sulle condizioni di detenzione è stato presentato ieri mattina a Roma con il Capo del Dap, Santi Consolo, e il Garante Nazionale delle persone private della libertà personale, Mauro Palma. Secondo gli ultimi dati forniti dall’Istat, infatti, si registra il 10,6% in meno di rapine (cioè furti aggravati dalla violenza o dalla minaccia), quasi il 7% in meno dei furti, il 15% in meno di omicidi volontari e tentati omicidi, il 6% in meno di violenze sessuali il 7,4% in meno di usura). Ci si era illusi che, dopo la condanna per trattamenti inumani e degradanti della Corte Europea dei diritti dell’Uomo (sentenza Torreggiani, 2013), il carcere potesse tornare a perseguire gli obiettivi dettati dalla Costituzione. I provvedimenti che incentivavano l’utilizzo delle misure alternative, le proposte degli Stati Generali dell’Esecuzione penale, l’istituzione del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà aveva reso fiducioso Antigone per un positivo cambio di clima politico. E invece numeri e politiche ben fotografate dal rapporto, curato da Alessio Scandurra, Gennaro Santoro e Daniela Ronco, evidenziano passi indietro: 56.436 è il numero di persone detenute duemila persone in più in soli quattro mesi -; sono stati 45 i suicidi in carcere nel corso del 2016 – spesso avvenuti dopo la detenzione in celle di isolamento – e con 19 suicidi dall’inizio del nuovo anno; la riforma dell’ordinamento penitenziario è ferma al palo; la legge sul reato di tortura resa “monca” per le varie modifiche. E il populismo penale rischia di essere l’unica risposta all’insicurezza dei cittadini.
SOVRAFFOLLAMENTO. Nel rapporto di Antigone viene spiegato che negli ultimi 6 mesi si è passati dalle 54.912 presenze del 31 ottobre del 2016 alle 56.436 del 30 aprile 2017, con una crescita di 1.524 detenuti in un semestre. Alessio Scandurra scrive nel rapporto che si tratta di un aumento tutt’altro che trascurabile: non solo conferma una tendenza all’aumento già registrato nei mesi precedenti, ma soprattutto perché questa tendenza viene consolidata e appare in progressiva accelerazione. Nel semestre precedente, dal 30 aprile al 31 ottobre del 2016, la crescita era stata infatti di 1.187 detenuti. «Se i prossimi anni dovessero vedere una crescita della popolazione detenuta pari a quella registrata negli ultimi sei mesi – spiega Scandurra -, alla fine del 2020 saremmo già oltre i 67.000».
CUSTODIA CAUTELARE. L’Italia è il quinto paese dell’Unione Europea con il più alto tasso di detenuti in custodia cautelare, scrive Gennaro Santoro nel rapporto, con una percentuale di detenuti non definitivi, al 31 dicembre 2016, pari al 34,6% rispetto ad una media europea pari al 22%. Tra le varie cause che provocano l’elevato numero di ristretti non definitivi viene identificata l’eccessiva durata del procedimento penale e la scarsa applicazione di misure meno afflittive, quale ad esempio gli arresti domiciliari (con o senza l’utilizzo del braccialetto elettronico). Tale dato, inevitabilmente comporta che la custodia cautelare rappresenti anche una anticipazione (o, spesso, una sostituzione) della pena finale. “Ciò comporta – si legge sempre nel rapporto – che la custodia cautelare svolga una funzione in parte contraria alla legge, perché si pone in contrasto con il principio di presunzione di innocenza sopra menzionato: la funzione della custodia cautelare dovrebbe infatti risiedere esclusivamente nel rispondere alle esigenze cautelari”. Antigone denuncia le conseguenze drammatiche di tale situazione che si riversano sui detenuti stessi che, in quanto non definitivi, sono destinatari di norme e prassi carcerarie deteriori rispetto a quelle dedicate ai definitivi (ad esempio, per l’accesso al lavoro), nonostante possano trascorrere in carcere numerosi anni.
STRANIERI IN CARCERE. Secondo Antigone ci crea un effetto “criminalizzazione dello straniero”, con un aumento dal 33,2% del 2015 al 34,1% di oggi. Sono, poi, 356 i detenuti su cui si concentrano i timori connessi alla radicalizzazione. 11 sono i minori detenuti con l’accusa di essere scafisti. Ma, secondo Antigone, vi è il “forte rischio” che tra loro ci siano ragazzi indicati come tali dai veri scafisti, solo perché dovevano reggere il timone o svolgere altre piccole mansioni a bordo.
MISURE ALTERNATIVE. “Sarebbe importante monitorare scrive Daniela Ronco nel rapporto di Antigone – in maniera sistematica e accurata i dati sulla recidiva nel nostro paese: le ricerche condotte, a livello nazionale o locale, dimostrano l’idea della funzione di riduzione della recidiva in caso di condanna scontata in misura alternativa anziché in carcere”. L’Ordinamento Penitenziario individua tre tipi di misure alternative: l’affidamento in prova al servizio sociale, la semi- libertà, la detenzione domiciliare. La misura più utilizzata resta l’affidamento in prova al servizio sociale, ossia quella sanzione penale che consente al condannato di espiare la pena detentiva inflitta o residua in regime di libertà assistita e controllata, sulla base di un programma di trattamento.
Quasi il 35% dei detenuti è straniero, scrive Damiano Aliprandi il 10 gennaio 2017 su "Il Dubbio". Secondo i dati del Dap, 6mila sono islamici. Il mondo politico e dell’associazionismo è diviso sulla proposta del ministro dell’interno Marco Minniti di rilanciare i Centri di identificazione ed espulsione. A proposito degli immigrati, Donato Capece, segretario generale del Sindacato autonomo della polizia penitenziaria (Sappe) dice: «Spero e mi auguro che le dichiarazioni di intenti del Viminale sulla annunciata stretta dei migranti irregolari in Italia trovi concretezza anche per quanto concerne le ricadute sul sistema penitenziario, dove oggi abbiamo presenti oltre 18.700 detenuti stranieri». Per il Sappe, «fare scontare agli immigrati condannati da un tribunale italiano con una sentenza irrevocabile la pena nelle carceri dei Paesi d’origine può anche essere un forte deterrente nei confronti degli stranieri che delinquono in Italia». Però i dati sugli stranieri in carcere risultano un po’ più complessi. Il presidente di Antigone Patrizio Gonnella ha più volte spiegato che la presenza degli stranieri in carcere è dovuta al fatto che «subiscono maggiormente i provvedimenti cautelari detentivi rispetto ai cosiddetti detenuti nazionali». Nei confronti di un immigrato irregolare è certamente più difficile trovare soluzioni cautelari diverse dalla carcerazione. Sempre Gonnella ha spiegato il motivo: «I giudici di sovente motivano i provvedimenti di carcerazione sostenendo la tesi che gli immigrati privi di permesso di soggiorno non hanno un domicilio stabile ove poter andare agli arresti domiciliari. In realtà molto spesso gli irregolari una casa o una stanza dove vivere ce l’hanno ma non possono essere indicate quale domicilio regolare essendo loro stessi in una generale condizione di irregolarità». In sostanza l’immigrato non regolare finirà più facilmente in carcere in custodia cautelare rispetto allo straniero regolare. Quindi i tassi di detenzione sono legati alla Bossi Fini, messa molto spesso in discussione da associazioni, movimenti politici e personalità che studiano il fenomeno dell’immigrazione nel nostro Paese. Secondo le più recenti stime della Fondazione Ismu (Iniziativa e studi sulla multietnicità), gli stranieri residenti in Italia che professano la religione cristiana ortodossa sono i più numerosi (oltre 1,6 milioni), seguiti dai musulmani (poco più di 1,4 milioni), e dai cattolici (poco più di un milione). Passando alle religiose minori, i buddisti stranieri sono stimati in 182.000, i cristiani evangelisti in 121.000, gli induisti in 72.000, i sikh in 17.000, i cristiano- copti sono circa 19.000. L’indagine dell’Ismu evidenzia come il panorama delle religioni professate dagli stranieri è molto variegato e sfata il pregiudizio secondo cui la maggior parte degli immigrati professa l’islam. Per quanto riguarda le incidenze percentuali i musulmani sono il 2,3% della popolazione complessiva (italiana e straniera), i cristiano- ortodossi il 2,6%, i cattolici l’1,7%. Per quanto riguarda le provenienze si stima che la maggior parte dei musulmani residenti in Italia provenga dal Marocco (424.000), seguito dall’Albania (214.000), dal Bangladesh (100.000), dal Pakistan (94.000), dalla Tunisia, (94.000) e dall’Egitto (93.000). In Lombardia vivono più immigrati cattolici è la Lombardia, con 277.000 presenze, seguita dal Lazio (152.000) e dall’Emilia Romagna (95.000). Per quanto riguarda la religione degli stranieri in carcere, la situazione rispecchia quella generale. Secondo gli ultimi dati messi a disposizione dal Dap, i detenuti presenti al 31 dicembre 2016 erano 54.653, di questi 18.958 stranieri. Coloro che si sono dichiarati di religione islamica sono circa 6000. Il presidente di Antigone Patrizio Gonnella spiega che «la radicalizzazione nei reparti dove sono reclusi detenuti sospettati di terrorismo ed appartenenze di matrice islamica, nessun operatore parla e legge l’arabo, vivendo così nell’impossibilità di capire e dialogare con queste persone. Inoltre, salvo rarissime circostanze, gli Imam non sono abilitati ad entrare negli istituti di pena italiani. Questo porta i detenuti stessi a scegliere tra loro chi debba guidare la preghiera, senza alcuna garanzia rispetto a quanto viene professato. La presenza del ministro di culto darebbe invece la possibilità di portare nel carcere un Islam aperto e democratico». Per questo motivo apprezza la decisione del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria di affidare al vicepresidente dell’Ucoii dei corsi per il personale di polizia penitenziaria. Sempre Gonnella ricorda che «la Camera ha già approvato il ddl di riforma dell’ordinamento penitenziario dove si riconosce uno spazio ad hoc per la libertà di culto e vengono previsti una serie di diritti per i detenuti stranieri. Disegno di legge attualmente al Senato che, più volte, abbiamo sollecitato per un’immediata approvazione». Il presidente di Antigone infine conclude con un auspicio: «Va evitata la segregazione che crea il rafforzamento della radicalizzazione. Va evitata la sindrome della vittimizzazione. Va evitata la stigmatizzazione degli islamici che produce violenza e ulteriore radicalizzazione. Va evitato un sistema penitenziario affidato solo ai servizi di sicurezza. Vanno previsti programmi sociali di deradicalizzazione».
Prigionieri e suicidi: così il carcere uccide. Celle sature, carenza di medici, l’aumento di casi di malasanità e l’abuso di psicofarmaci in meno di cinque mesi si sono già registrati 31 decessi. La polizia penitenziaria non riesce a impedire queste morti. E la Procura di Roma indaga per istigazione al suicidio, scrive Arianna Giunti il 24 maggio 2017 su "L'Espresso". Carmelo Mortari aveva 58 anni. Lo hanno trovato in una pozza di sangue nella sua cella di Rebibbia, reparto G9, lo scorso 25 marzo. Si è tagliato la gola ed è morto lentamente, dissanguato. Soffriva di depressione, ma nessuno se n’era accorto. Il giorno dopo a qualche chilometro di distanza Vehbija Hrustic, 30 anni, si è impiccato alla grata del bagno di Regina Coeli, dilaniato dal dolore. Gli avevano appena detto che sua figlia era morta. Sapevano che era sconvolto, ma non sono riusciti a fermarlo. Michele Daniele di anni ne aveva 41 ed era “dipendente dall’alcol”, come recita la sua cartella clinica. Secondo lo psichiatra che lo ha visitato, però, “non correva rischi suicidari”. Una settimana dopo si è ucciso nel bagno della sua cella di San Vittore impiccandosi con la cintura dell’accappatoio. In meno di cinque mesi, dall’inizio dell’anno a oggi, nelle carceri italiane sono già registrati 31 decessi fra cui 24 suicidi. Una media di cinque morti al mese. A febbraio, in particolare, si sono contati quattro suicidi in un solo giorno. Nell’anno 2016, in totale, erano centoquindici. Una strage inarrestabile e silenziosa che sembra essere la diretta conseguenza dello stato in cui versano le nostre prigioni, riprecipitate in un baratro allarmante. Il decreto “svuota carceri” voluto nel 2014 dal ministro della Giustizia Andrea Orlando, infatti, ha avuto un effetto positivo ma molto breve: oggi le celle sono tornate a riempirsi a ritmo vertiginoso e contano un totale di 56.289 detenuti per 50.211 posti a disposizione, secondo gli ultimi dati disponibili del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria. Tanto che di recente l’Italia - ancora una volta – è stata bacchettata dal Consiglio d’Europa. Un’emergenza fotografata anche dall’ultimo rapporto dell’associazione Antigone sullo stato di detenzione in Italia, che fa luce soprattutto sull’inquietante ritorno del sovraffollamento: secondo l’osservatorio, la popolazione carceraria è aumentata di 2mila unità soltanto negli ultimi quattro mesi. Però, oltre le celle sature, sono molte tante le piaghe che non accennano a guarire: la carenza di medici dietro le sbarre, l’aumento di casi di malasanità e l’abuso di psicofarmaci. Le Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza (Rems) - le strutture che dovrebbero accogliere i detenuti con problemi psichiatrici – sono troppo poche e troppo piene. Quindi i detenuti con patologie psichiche sono “curati” nelle celle ricorrendo a un massiccio uso di sedativi con conseguenze a volte letali. Mentre i poliziotti incaricati di sorvegliarli fanno quello che possono, ma sono troppo pochi. Capita che per un intero piano ci sia un solo agente. E’ così diventa una corsa contro il tempo. Che spesso si perde.
Sono bastati 45 minuti perché Vehbija Hrustic, detenuto di 30 anni, si infilasse al collo un cappio ricavato da un lenzuolo e si appendesse alle grate del bagno, a Regina Coeli. Era in carcere dallo scorso agosto in attesa di giudizio, ed era incensurato. Aveva una figlia, Iana, un anno appena, che soffriva di una grave patologia cardiaca congenita. Il giorno in cui sua figlia è morta all’ospedale Bambin Gesù, il 14 marzo scorso, Vehbja Hrustic lo ha saputo dallo psicologo del carcere. Raccontano che si è piegato in due dal dolore. Gli hanno permesso di andare al funerale, e da allora non ha più parlato. Si è chiuso in un silenzio ostinato e premonitore. Sapevano della sua condizione gli agenti della penitenziaria, la direzione carceraria, i magistrati di sorveglianza. Eppure nonostante l’altissimo rischio suicidario Hrustic non era sottoposto a un controllo di sorveglianza a vista. “Il detenuto è totalmente abbandonato a se stesso, demotivato dalla prematura scomparsa della figlia: tale drammatico evento potrebbe portarlo a commettere un gesto estremo”, si legge nell’istanza di scarcerazione datata 17 marzo che il legale del 30enne, Michela Renzi, aveva presentato ai giudici per chiedere che gli fossero concessi quantomeno i domiciliari. Per quindici giorni il legale si è presentata davanti al magistrato del Tribunale di sorveglianza per avvertire che la situazione stava precipitando. Una corsa contro il tempo, rimasta inascoltata. Perché il carcere, irremovibile, continuava a sostenere la sua versione: “La terapia farmacologica sta funzionando”. Gli psicofarmaci che gli facevano ingoiare più volte al giorno però non sono evidentemente serviti a nulla. “Me ne vado dalla piccola Iana”, è stata l’ultima frase che l’avvocato Renzi gli ha sentito sussurrare. E così Vehbja aspettato che calasse la notte e si è ammazzato. Oggi sul suo decesso è stata aperta un’inchiesta coordinata dal pubblico ministero romano Laura Condemi. L’accusa è pesantissima: istigazione al suicidio. “Non doveva trovarsi un carcere – spiega l’avvocato Renzi – avrebbe dovuto essere seguito in un percorso psicologico costante che potesse permettergli di superare un momento così tragico, che avrebbe annientato qualsiasi essere umano. A maggior ragione un detenuto costretto a vivere dietro le sbarre”. “Si trattava di un uomo fortemente a rischio – le fa eco il garante dei detenuti del Lazio Stefano Anastasia – sia perché incensurato, e dunque non abituato alla vita nel carcere, sia perché prostrato da un lutto devastante, come può essere la morte di una figlia”. Ma il dato di fatto è che in carcere mancano operatori sanitari specializzati: psichiatri, psicologi e tecnici della riabilitazione psichiatrica. Secondo quanto prevede l’ordinamento giudiziario, in ogni regione devono essere garantiti appositi servizi di assistenza, attraverso l’attivazione di reparti di “Osservazione psichiatrica” per la cura dei detenuti affetti da specifiche patologie e stabilire la loro compatibilità con il regime carcerario. Il più delle volte però – come confermano i sopralluoghi dei vari garanti dei diritti delle persone private della libertà – questo si traduce in “celle lisce”, prive di qualsiasi tipo di mobilio, dove sono presenti letti di contenzione con lacci di cuoio e dove vengono immobilizzati i detenuti in preda a crisi psichiatriche. A San Vittore – nonostante l’annunciata chiusura - è ancora presente la cella numero 5, utilizzata come cella di contenzione per detenuti definiti “problematici”.
Problematico era anche Valerio Guerrieri, 22 anni, affetto da “personalità borderline” e dichiarato da una perizia psichiatrica “incline al suicidio”. Arrestato lo scorso gennaio per resistenza a pubblico ufficiale e reati minori, era stato portato alla Rems di Ceccano, nel Frusinate, per ben due volte. Ma per ben due volte si era allontanato. A febbraio lo avevano trasferito quindi a Regina Coeli, terzo piano, seconda sezione. I giudici avevano già stabilito la sua incompatibilità con il carcere, per via del suo disagio psichico, e ne avevano predisposto il trasferimento alla Rems di Subiaco, ritenuta più idonea ad accoglierlo. La struttura però era piena e così Lorenzo è rimasto in carcere in attesa che si liberasse un posto. Nessuno – a parte la sua famiglia - si era evidentemente reso conto dell’abisso di disperazione nel quale il 22enne stava precipitando giorno dopo giorno. Il pomeriggio del 24 febbraio Valerio aspetta che il suo compagno di cella si addormenti. Quindi va in bagno, fabbrica una sorta di cappio con un lenzuolo e si impicca alle grate. E’ lo stesso bagno dove ha trovato la morte Vehbja Hrustic, nello stesso identico modo. “Non doveva trovarsi in carcere, quel suicidio si poteva evitare”, dicono oggi dall’Osservatorio Antigone. “Si tratta di una sezione che conta 170 detenuti e un solo agente incaricato di sorvegliarli su quattro piani”, si sono difesi i sindacati di polizia penitenziaria. Una tragica vicenda, questa, che accende l’attenzione sulla situazione dei Rems, le strutture che dopo la chiusura degli Opg dovrebbero accogliere i detenuti afflitti da gravi patologie psichiatriche e socialmente pericolosi e indirizzarli verso percorsi riabilitativi. In tutta Italia sono attualmente 28 per un totale di 624 posti disponibili. E sono quasi sempre piene. Sul caso di Valerio Guerrieri la Procura di Roma ha ora aperto un’inchiesta per omicidio colposo. “Lo hanno imbottito di psicofarmaci”, denuncia oggi la madre attraverso il suo legale Claudia Serafini. L’abuso di psicofarmaci in carcere, infatti, come evidenziato anche da un’inchiesta dell’Espresso, è un problema che sta sfuggendo al controllo dei operatori giudiziari e dei medici che prestano servizio negli istituti di pena. Secondo recenti stime delle associazioni a tutela dei detenuti, quasi il 50% dei detenuti fa uso di psicofarmaci o potenti sedativi che inibiscono il normale funzionamento psichico. Sono farmaci che provocano sbalzi di umore difficili da gestire, soprattutto nelle persone che hanno un passato di tossicodipendenza. Senza contare il fatto che le benzodiazepine – i sedativi più comunemente usati anche da detenuti perfettamente sani e non affetti da patologie mentali – provocano astinenza già dopo 15 giorni di assunzione. Gli psicofarmaci diventano infatti l’unica “anestesia” a disposizione dei prigionieri per riuscire a sopportare condizioni disumane e carcerazioni preventive. E così lo spaccio di medicinali nelle celle e l’uso smodato di sedativi continuano a moltiplicarsi. Con conseguenze spesso tragiche, come dimostrano recentissimi fatti di cronaca. Nel carcere di Perugia lo scorso novembre uno “speedball” di cocaina, ammoniaca e medicinali ha quasi ucciso un detenuto magrebino. Mentre lo scorso 4 aprile un potente mix di psicofarmaci e droga è stato fatale a un detenuto 33enne rinchiuso nel penitenziario di Rimini.
E poi c’è la vicenda di Andrea Cesar, 36 anni, detenuto in attesa di giudizio, trovato cadavere nella sua cella al secondo piano del carcere di Trieste la notte nel 27 aprile. Secondo gli inquirenti che stanno ancora indagando, Cesar sarebbe stato stroncato da un massiccio cocktail di psicofarmaci. Parallelamente all’inchiesta aperta in Procura, la direzione dell’istituto di pena ha aperto un’indagine interna. “Lo scambio di farmaci all’interno del penitenziario non è controllabile – ha ammesso il direttore del carcere triestino Silvia Della Bella – può capitare che qualche recluso riesca ad occultare i farmaci eludendo la sorveglianza per poi assumerli quando e come vogliono”. La notte in cui è morto il 36enne – ha spiegato il segretario provinciale della Uil Penitenziari Alessandro Penna – c’erano di turno soltanto due agenti. Uno dei due era stato mandato in ospedale per piantonare un detenuto. L’altro era rimasto a controllare un intero carcere. Da solo.
Psicofarmaci dietro le sbarre: così si annullano gli esseri umani. Mancano gli psicologi, così nelle carceri italiane il 50 per cento dei detenuti ne abusa. Con conseguenze spesso tragiche: dall'alterazione mentale al suicidio, scrive Arianna Giunti l'1 febbraio 2016. In carcere lo chiamano “il carrello della felicità”. Passa fra le celle tutte le sere distribuendo compresse colorate, gocce, flaconi e pillole. Farmaci che calmano l’ansia e procurano benessere chimico. Nelle prigioni italiane esiste un problema sotterraneo: l’abuso di psicofarmaci. Dati ufficiali però non esistono, perché la mancanza di cartelle cliniche informatizzate non permette, nel nostro Paese, di avere un quadro completo di quello che avviene nelle infermerie dei 206 istituti penitenziari. Ma si tratta di un’emergenza concreta. Come fanno emergere i sopralluoghi appena portati a termine dai Radicali nelle carceri della penisola, soprattutto del Sud Italia. E come confermano, puntuali, le associazioni a tutela dei carcerati (Osservatorio Antigone, Ristretti Orizzonti e Detenuto Ignoto) dalle quali arrivano dati poco rassicuranti: secondo le loro stime quasi il 50% delle persone dietro le sbarre – su un totale di 52.164 detenuti in base agli ultimi dati disponibili del Ministero della Giustizia - sarebbe sotto terapia da psicofarmaco. Mentre il 75% ricorrerebbe a quella che viene definita “terapia serale”: sedativi per dormire. L’abuso di psicofarmaci sarebbe l’effetto diretto di un’altra falla ormai cronicizza all’interno delle nostre prigioni: la carenza di psicologi. In poche parole, in assenza di specialisti che dovrebbero curare lo stato mentale dei detenuti con la psicoterapia, si fa uso di potenti medicinali. Con un risvolto non indifferente anche in termini di costi per il Sistema Sanitario Nazionale. E con conseguenze spesso tragiche: solo nelle ultime settimane si sono registrate due sospette overdose da farmaci. Spesso – va detto - si tratta di cure indispensabili per far fronte a disagi psichici altrimenti ingestibili. Altre volte, invece, è un abuso di terapia che annienta i prigionieri. Un “contenimento di Stato”, come lo definiscono i sindacati di polizia penitenziaria e gli operatori volontari. Che avrebbe come scopo quello di evitare situazioni esplosive: solo con l’aiuto di massicce dosi di farmaci a effetto calmante i detenuti riescono a sopportare i trattamenti degradanti negli istituti di pena in stato di fatiscenza e i lunghi periodi di carcerazione preventiva in attesa del processo. A volte le pillole vengono assunte in maniera passiva, soprattutto dagli stranieri, che non sanno neanche cosa stanno ingoiando. Più spesso invece sono loro stessi a chiederle, per anestetizzare angoscia e dolore. Però gli effetti di questa sedazione di massa, come ha accertato l’Espresso attraverso le testimonianze di medici, volontari, guardie carcerarie, detenuti ed ex detenuti, possono essere disastrosi. Gli strascichi si manifestano per anni, a volte per sempre, anche dopo essere usciti dal carcere. Rendendo il ritorno in società ancora più difficile. E poi creano più dipendenza dell’eroina. Così una volta tornati liberi spesso l’astinenza viene colmata con l’uso di droghe pesanti. Fra gli ex detenuti c’è chi racconta di aver avuto perdite di memoria - al punto di non ricordarsi più il nome del proprio figlio – e chi una volta tornato in libertà ha accusato crisi di panico e impotenza. Annullandosi come essere umano.
FELICITA’ CHIMICA. Nelle infermerie dei penitenziari è facile trovare sedativi perfettamente legali distribuiti su ricetta anche in farmacia. Ai prigionieri vengono somministrati soprattutto nei primi giorni di carcere per far fronte a quegli stati d’animo che, nel linguaggio medico della sanità penitenziaria, vengono definiti “disturbi nevrotici e reazioni di adattamento”. La disperazione è ancora più forte nei “nuovi giunti”, detenuti in attesa di giudizio che sanno o che credono di essere innocenti. E che non riescono a sopportare l’idea di subire un’ingiustizia. “I nervi spesso cedono dopo la prima notte in cella”, spiegano dall’associazione Ristretti Orizzonti, una delle più attive nel denunciare l’abisso delle carceri. Poi ci sono gli antidepressivi, come il Prozac: provocano un rapido effetto di torpore e benessere. Un’altra categoria sono gli antipsicotici e gli stabilizzatori dell’umore, come il litio. Quelli più diffusi, però, sono le benzodiazepine: farmaci utilizzati per combattere l’insonnia, l’ansia e le convulsioni. Ma che creano assuefazione dopo pochissimo tempo. Conferma a l’Espresso Matteo Papoff, psichiatra per lungo tempo in servizio al carcere Buoncammino di Cagliari e oggi al penitenziario di Uta: “La dipendenza comincia a manifestarsi già dopo 12 settimane di assunzione. Non solo nei tossicodipendenti, ma anche nelle persone perfettamente sane. Ecco perché l’uso prolungato va assolutamente evitato”. “Da un punto di vista fisico queste terapie sconvolgono i detenuti – spiega Francesco Ceraudo, per 40 anni direttore del centro clinico del carcere Don Bosco di Pisa – Quando li vedi sono inconfondibili: non riescono a mantenere la posizione eretta, trascinano i piedi, gli occhi sono persi nel vuoto, il viso diventa simile a un teschio. Risulta perso ogni sussulto di vita”. “Le carceri sono diventate fabbriche di zombie. Ed è una situazione drammatica che si vuole tacere, perché fa comodo a tutti”, è l’amara conclusione di Ceraudo.
LE SEDUTE CON LO PSICOLOGO? UN MIRAGGIO. Ma come avviene, esattamente, la somministrazione dei farmaci? Formalmente solo sotto consenso di un medico, attraverso un’autorizzazione firmata. Però uno psichiatra fisso nelle carceri non sempre è disponibile. Soprattutto di notte. La copertura medica dello specialista dovrebbe essere garantita per 38 ore a settimana in ogni struttura. Ma dopo una prima visita obbligatoria spesso gli incontri si riducono a colloqui lampo di una manciata di minuti per ogni carcerato. “Troppo poco perché possa essere diagnosticato un problema e prescritta una terapia adatta - sostiene Alessandra Naldi, garante dei diritti dei detenuti del Comune di Milano – mentre allo stesso tempo in infermeria vengono distribuiti sedativi con grande disinvoltura. Basti sapere che a San Vittore, mentre il 30% dei detenuti assume regolarmente psicofarmaci, il 90% di loro è sottoposto a quello che viene chiamato ‘terapia serale’”. Ansiolitici per dormire. E così si arriva al paradosso che nelle carceri è più facile trovare un sedativo che un’aspirina. Come racconta a l’Espresso Giancarlo F., ex detenuto, che negli ultimi cinque anni ha girato altrettanti penitenziari del Nord Italia: “Soffro di “cefalea a grappolo”, attacchi di mal di testa che provocano dolori lancinanti. Per curarla ho bisogno di un farmaco specifico. In carcere dovevo compilare dozzine di moduli per poterlo ordinare: una burocrazia lentissima e complicata. Quasi mai riuscivo ad averlo. Mentre gli psicofarmaci erano sempre lì, pronti e disponibili”. A focalizzare uno dei nodi cruciali è Fabio Gui, del Direttivo Forum Nazionale per il diritto alla salute dei detenuti della Regione Lazio: “Nella maggior parte degli istituti manca un monitoraggio centrale e cartelle cliniche informatizzate, quindi è impossibile calcolare quanti siano gli assuntori di farmaci e, più in generale, i malati. Soprattutto, manca una cabina di regia a livello nazionale che permetta di avere un quadro completo della situazione”. La sanità nelle carceri, infatti, dal 2008 non è più competenza dell’amministrazione penitenziaria ma a carico del Servizio Sanitario Nazionale e quindi gestita a livello regionale. Fra i pochissimi censimenti a disposizione – contenuti in uno studio multicentrico sulla salute dei detenuti in Italia dell’Agenzia Regionale della Sanità della Toscana - ci sono quelli del Lazio (3.576 detenuti su un totale di 4.992 assuntori di ansiolitici, antipsicotici, ipnotici-sedativi e antidepressivi), Veneto (1.284 su 1.460), Liguria (1.366 su 1.776), Umbria (659 su 800) e la città di Salerno (52 su 90). Mentre fino a oggi le regioni virtuose che hanno introdotto la cartella clinica digitale sono solo l’Emilia Romagna (in ciascun carcere già dall’estate 2014) e la Lombardia (San Vittore, Opera, Varese, Bergamo, Sondrio, Vigevano, Busto Arsizio). Niente invece in Calabria, Basilicata, Lazio, Liguria e Marche. E pochissimi istituti a norma in Sicilia (solo Messina) e in Campania (Carinola). “I fascicoli cartacei usati attualmente dalla medicina penitenziaria sembrano risalire a un’altra era: faldoni enormi pieni di foglietti stratificati scritti con grafie spesso incomprensibili – si legge nell’ultima relazione dell’Osservatorio Antigone – che non garantiscono continuità terapeutica e che rischiano di essere fatali in situazioni critiche dove è essenziale ricostruire la storia clinica del paziente”. Significativi, poi, i report prodotti in queste settimane dai Radicali, che sottolineano una carenza cronica soprattutto di specialisti psicologi. “A livello nazionale – fanno sapere dalla Società Italiana Psicologia Penitenziaria – il monte ore per gli psicologi esterni autorizzati a prestare servizio in carcere è di 105.751 ore. Tenuto conto che i detenuti oggi sfiorano quota 51mila, il tempo annuo per ogni detenuto è di 127 minuti”. A conti fatti, 2 minuti e mezzo a settimana per ogni paziente. Tempo che ovviamente si riduce se gli ingressi di prigionieri aumentano. E così si ricorre direttamente alla terapia d’urto: medicinali.
SPACCIO IN CELLA. I numeri di chi assume abitualmente psicofarmaci, comunque, sono calcolati per difetto. Perché quando i sedativi non vengono somministrati legalmente molti detenuti riescono a procurarseli di contrabbando e li assumono in dosi raddoppiate per ottenere un effetto più potente, simile a quello dell’eroina. “In carcere esiste persino un borsino del baratto - conferma Leo Beneduci del sindacato autonomo di polizia penitenziaria Osapp – e può accadere che nei cortili durante l’ora d’aria mezza capsula di Subtex sia ceduta per due pacchetti di sigarette, mentre il Rivotril o il Tranquirit per cinque. O che si spacci il metadone”. Per evitare il traffico di farmaci gli infermieri preferiscono somministrare le sostanze in gocce o aspettano che il detenuto deglutisca la pastiglia. Ma a volte queste precauzioni non bastano: alcuni fingono di ingoiare le pillole, poi le sputano e le rivendono. Anche gli operatori fanno quello che possono per arginare il problema. Racconta un volontario di San Vittore: “Le benzodiazepine vengono consumate a ettolitri. Il sesto raggio, in particolare, è un girone infernale”. “L’orario della terapia è un incubo – si sfoga un paramedico in servizio a Poggioreale - ogni sera è una lotta per cercare di dare meno psicofarmaci possibili e spesso finiamo per essere presi a calci perché ci rifiutiamo di somministrare quello che ci chiedono per stordirsi”. Da Sud a Nord la situazione è sempre la stessa. Nel carcere di Bolzano lo scorso 6 gennaio è scattato l’allarme per furti di psicofarmaci trafugati dall’infermeria, che verrebbero poi ceduti a pagamento ad altri detenuti. Poche settimane prima la Procura aveva aperto un’indagine su un detenuto colto in flagrante mentre rubava compresse di Rivotril, che serve a curare gli attacchi di panico ma viene utilizzato dai tossicodipendenti come surrogato dell’eroina. Alcuni mesi fa, sempre a Bolzano, un detenuto aveva rischiato la vita dopo un’overdose di benzodiazepine.
SUICIDI E BLACKOUT. Oltre ai malesseri fisici e allo stato di narcolessia, assumere i farmaci in maniera incontrollata ha un’altra conseguenza pericolosissima: l’alterazione mentale. I detenuti passano da uno stato di euforia alla più buia depressione, con tendenze auto lesioniste. Negli ultimi cinque anni nelle carceri italiane si sono contati 747 decessi, molti dei questi per cause non chiare. I suicidi, solo dal 2011 a oggi, sono arrivati a 261. Mentre solo nel 2014 sono stati 6.919 gli atti di autolesionismo. L’ultimo suicidio risale al 23 dicembre scorso: un ex impiegato di 64 anni si è tolto la vita al Pagliarelli di Palermo, dove non esiste un reparto psichiatrico. Mentre il 5 gennaio al Marassi di Genova un detenuto di 45 anni, Giovanni C., è stato trovato agonizzante nel suo letto ed è morto poco dopo l’intervento dei sanitari. La Procura di Genova ha aperto un’inchiesta: sospetta che sia stato vittima di un’overdose da sostanze stupefacenti o psicofarmaci, ceduti da altri detenuti. A raccontare l’abuso di sedativi sono anche gli stessi carcerati. Gli effetti collaterali – spiegano - si manifestano lentamente. Fra questi ci sono le amnesie. “Un bel giorno cominci a dimenticarti cosa hai mangiato la sera prima”, racconta Gabriele F., “poi è come se il cervello avesse dei blackout sempre più frequenti. E finisce che non ti ricordi neanche più il nome di tuo figlio”. Le conseguenze degli abusi di psicofarmaci e sedativi, poi, si pagano per molto tempo. Come conferma chi ormai ha finito di scontare la propria pena e che fuori dalla galera si è trovato ad affrontare nuovi incubi: malesseri, depressione, fobie. Paura degli spazi aperti o, semplicemente, di attraversare la strada. “Prima sono iniziati i tremori alle mani, tanto che non riuscivo neppure a guidare”, racconta a l’Espresso Salvatore B., 45 anni, ex detenuto, “poi ho cominciato ad avere le allucinazioni, la tachicardia. Mentre a volte di punto in bianco mi addormentavo. Ovunque. Riprendere la vita quotidiana, affrontare colloqui di lavoro o anche solo ritornare ad avere un’intimità con mia moglie è stato impossibile”.
SOLUZIONI: PSICOTERAPIA E LAVORO. Non tutti i penitenziari, però, vivono questa realtà nera. Alcune regioni come Umbria e Sardegna si sono sforzate di migliorare la situazione carceraria attraverso dipartimenti di salute mentale con medici attivi 24 ore al giorno e gruppi sperimentali di psicoterapia. Mentre nelle carceri di Bollate e Rebibbia già da anni si pratica la “Mindfulness”, una pratica di meditazione molto diffusa anche all’estero. E i risultati sono stati ottimi. “Costa molto meno dei farmaci e non ha effetti collaterali”, conferma Gherardo Amadei, psichiatra e docente all’Università Bicocca di Milano. Un’altra soluzione pratica arriva dalle cooperative: il lavoro in carcere. Se, infatti, l’uso di psicofarmaci è altissimo nelle case circondariali, che ospitano chi è in attesa di giudizio o chi ha una condanna breve da scontare, si abbassa notevolmente nelle case di reclusione dove sono accolti i carcerati condannati in via definitiva. E che – come prevede l’ordinamento giudiziario – lavorano. “Tenere occupate le mani e la testa, sentirsi utili, è fondamentale per non impazzire - spiegano ancora da Ristretti Orizzonti - il lavoro dovrebbe essere concesso da subito”. A confermarne l’effetto benefico sono le storie dei detenuti. Come quella di Giacomo, milanese, 35 anni, una vita trascorsa a entrare e a uscire dalla cella dall’età di 14 anni. Ex tossicodipendente, era arrivato ad assumere benzodiazepine tre volte al giorno e pesava 40 chili. Oggi è uno dei giardinieri della cooperativa sociale carceraria di Bollate. E’ tornato ad avere un peso normale, sta studiando per il diploma di ragioneria e gioca a calcio. I sedativi sono soltanto un ricordo.
"In carcere psicofarmaci a pioggia: per riprendermi ci ho messo 3 anni". «E sono stato fortunato. Molti altri miei amici non ce l’hanno fatta». La denuncia di un ex detenuto, scrive Arianna Giunti l'1 gennaio 2016 su "L'Espresso". “Gli psicofarmaci, in cella, venivano somministrati a pioggia. Tre volte al giorno: mattina presto, pomeriggio e la sera prima di andare a letto. E così vedevi gente che stava anche per 24 ore sdraiata per terra. Narcotizzata. Io ci ho impiegato tre anni, una volta uscito dal carcere, per riprendermi da quella roba. E mi è andata bene. Perché ho visto gente morire”. Fabio M., 53 anni, ex detenuto romagnolo, di penitenziari ne ha visitati tre. Tutti nel centro Italia, dopo aver scontato una condanna di cinque anni. Oggi è un uomo pienamente recuperato, anche grazie all’associazione Papillon di Rimini, che da anni si dedica al difficile compito di reinserimento sociale degli ex carcerati. I ricordi di Fabio su quello che accadeva in carcere, però, sono ancora molto nitidi. In particolare quella “sedazione di Stato” di cui parlano anche medici, volontari e agenti della polizia penitenziaria. Psicofarmaci che sarebbero somministrati in dosi massicce per contenere i detenuti. Come racconta lui stesso a l’Espresso in questa intervista.
Com’è la vita in carcere?
«Dobbiamo fare prima di tutto una premessa. Chi finisce dietro le sbarre reagisce in tre modi diversi: c’è chi la prende con filosofia e inganna il tempo giocando a carte, c’è chi per sfogare la rabbia fa attività fisica fino all’esasperazione. Poi ci sono quelli che si chiudono in se stessi. Di solito si tratta di persone che entrano in carcere per la prima volta, magari in attesa di giudizio. Non mangiano, non parlano. Si imbottiscono di farmaci e passano le giornate stesi sulle barelle in infermerie sotterranee, sporche e senza luce. Simili a tombe. Noi detenuti le chiamano le buche”».
Come funziona la somministrazione di psicofarmaci in carcere?
«Per quello che ho potuto vedere con i miei occhi c’è una somministrazione a pioggia. Per molto tempo li ho assunti pure io, poi ho deciso di smettere. L’idea che mi sono fatto è che vengano dati con così tanta facilità per contenere, per tenere calmi i detenuti. Vista anche la situazione di perenne sovraffollamento: in una sola cella si potevano trovare anche undici persone».
Che tipo di farmaci vi venivano somministrati?
«Soprattutto psicofarmaci, ansiolitici e benzodiazepine».
Vi era stato detto che questi farmaci – in particolare le benzodiazepine - provocano astinenza già dopo poche settimane?
«Io ho deciso di smettere proprio per questo. Mi facevano vivere in uno stato di perenne angoscia. Mi sentivo malissimo. Appena riacquisti un momento di lucidità ti senti inadeguato, ti senti una nullità».
Ha mai assistito a spaccio di droga o di farmaci, in carcere?
«Questo è un altro problema serio. Molti detenuti si fanno consegnare le pastiglie, poi però non le assumono e le scambiano con le sigarette o con altri favori. Per evitare che avvenga questo spaccio gli operatori più scrupolosi somministrano solo farmaci liquidi in gocce e aspettano che il detenuto li deglutisca. Perché la realtà è proprio questa: i farmaci in carcere vanno a sostituire le droghe. E così diventa una sorta di “spaccio di Stato”. In carcere si crea uno stato di promiscuità tale che poi porta a far saltare tutti i valori».
In quale carcere, fra quelli che ha girato, ha assistito in particolare a questi episodi?
«Nel carcere di Rimini. Lì il problema dello spaccio era veramente forte. Per fortuna c’è un’equipe medica molto seria e attenta che cerca di arginare queste situazioni».
Lei ha mai avuto problemi di salute dopo la somministrazione di questi psicofarmaci?
«Io ci ho messo tre anni per riprendermi dall’uso di questi farmaci. E sono stato fortunato. Molti altri miei amici non ce l’hanno fatta. Molti sono morti nel sonno, in cella. Perché quei sedativi provocano le overdose, proprio come le droghe».
I problemi di salute, quindi, saltano fuori soprattutto dopo la scarcerazione. Quando i detenuti si ritrovano a interrompere la terapia…
«Esattamente. E’ uno stato di felicità chimica, sono farmaci che vanno a riempire dei vuoti che i detenuti in carcere non riescono a colmare in un’altra maniera. Però sono medicine pericolosissime. Danneggiano il corpo e la mente, e uno se ne rende conto solo una volta uscito dal carcere. La pena detentiva dovrebbe avere il fine della rieducazione. E invece è una condizione che ti porta al limite della sopportazione umana. Come una tortura».
GLI AVVISI DI CONCLUSIONE DELLE INDAGINI PER 12.
5 maggio 2015. Dodici gli avvisi notificati dalla Procura: reticenza e falsa testimonianza i capi d’accusa. Sono il preludio al dibattimento, essendo, spesso, i gup considerati la longa manus dei PM. Ce n’è anche per il giovane con il quale Sabrina ebbe una relazione e per lo Zio Michele, scrive “Il Corriere del Mezzogiorno”. La Procura di Taranto ha chiuso l’inchiesta Scazzi-bis notificando 12 avvisi di conclusione delle indagini a quanti erano a conoscenza di fatti e particolari riguardanti l’omicidio della 15enne di Avetrana e hanno taciuto o detto il falso davanti a pm o alla Corte d’assise di Taranto. Anche l’inchiesta-bis è condotta dal procuratore aggiunto, Pietro Argentino e dal sostituto Mariano Buccoliero. Tra i 12 indagati c’è Ivano Russo, il giovane con il quale Sabrina Misseri aveva una relazione, accusato di false informazioni al pm e falsa testimonianza alla Corte d’assise su come trascorse il giorno dell’omicidio di Sarah, il 26 agosto 2010. Stessi reati sono addebitati alla madre del giovane, Elena Baldari, al fratello Claudio e all’allora fidanzata Antonietta Genovino. Nei confronti di Michele Misseri, zio della vittima, viene ipotizzata l’autocalunnia per essersi autoaccusato dell’assassinio pur sapendosi innocente. Gli altri indagati, a vario titolo per falsa testimonianza o false informazioni al pm, sono un nipote di Michele, Maurizio Misseri e sua madre Anna Lucia Pichierri; Alessio Pisello, amico di Ivano e Sabrina; Anna Scredo (cognata del fioraio Giovanni Buccolieri, autore del sogno sul sequestro di Sarah); Dora Serrano (sorella di Concetta e Cosima, la quale risponde anche di calunnia contro i carabinieri per essersi inventata le molestie subite da Michele Misseri quando era minorenne) e suo fratello Giuseppe (anche calunnia contro i carabinieri). Per il delitto della 15enne di Avetrana sono state condannate all’ergastolo in primo grado la zia e la cugina di Sarah, Cosima Serrano e Sabrina Misseri. Otto anni di pena sono stati inflitti a Michele Misseri accusato di aver soppresso il cadavere della nipote fatto ritrovare in un pozzo in contrada Mosca il 7 ottobre del 2010. A Taranto è in corso il processo d’appello.
Scazzi-bis, la procura notifica 12 avvisi di conclusione indagini. Tra gli indagati anche Ivano, scrive Mimmo Mazza su “La Gazzetta del Mezzogiorno”. Un processo al processo, un’altra puntata della lunga e tormentata telenovela sull’omicidio di Sarah Scazzi, la 15enne scomparsa ad Avetrana il 26 agosto del 2010. Mentre i periti nominati dalla corte d’assise d’appello stanno effettuando le verifiche sulle celle telefoniche per risalire all’esatta posizione dei principali imputati e della vittima il giorno del delitto, giunge al capolinea l’inchiesta-bis condotta dal procuratore aggiunto Pietro Argentino e dal sostituto Mariano Buccoliero. Sono 12 gli avvisi di conclusione delle indagini preliminari fatti notificare nelle ultime ore a quanti erano a conoscenza di fatti e particolari riguardanti l’omicidio e hanno taciuto, o peggio detto il falso, dinanzi ai pubblici ministeri o alla corte d’assise. Ma non solo. Dalle carte emerge un elemento che potrebbe anche cambiare sostanzialmente quanto finora emerso nel dibattimento di primo grado - conclusosi il 20 aprile del 2013 con la condanna all’ergastolo di Cosima Serrano e sua figlia Sabrina Misseri - e in quello d’appello, prossimo alla discussione. L’elemento riguarda Ivano Russo, l’indagato di spicco nella nuova inchiesta, il giovane di Avetrana che sarebbe stato al centro della contesa tra Sabrina e Sarah. A Ivano Russo i pubblici ministeri contestano il reato di false informazioni al pubblico ministero e quello di falsa testimonianza alla corte d’assise. Tra le altre cose, Ivano ha sempre sostenuto di aver trascorso in casa la giornata del 26 agosto, almeno sino al tardo pomeriggio quando poi è andato a lavorare sulla litoranea. Da quanto risulta alla Gazzetta, agli atti dell’indagine c’è il verbale di un testimone che invece colloca Ivano Russo fuori dalla sua abitazione proprio attorno all’ora di pranzo, ovvero quando Sarah sarebbe stata uccisa. Sul punto, ovvero sulla permanenza in casa di Ivano, una contestazione specifica per falsa testimonianza e false informazioni al pubblico ministero viene formulata anche a sua madre Elena Baldari, al fratello Claudio Russo e all’allora fidanzata Antonietta Genovino. Nell’elenco degli indagati ci sono poi Maurizio Misseri, figlio di Carmine Misseri (falsa testimonianza per una telefonata fatta allo zio Michele dal padre invece che da lui); Anna Lucia Pichierri, moglie di Carmine Misseri (falsa testimonianza riguardo alle circostanze della visita ricevuta da Valentina Misseri il 16 ottobre del 2010, il giorno dopo l’arresto di Sabrina); l’imprenditore Giuseppe Olivieri (falsa testimonianza e calunnia nei confronti dei carabinieri per l’orario di impiego di due donne delle pulizie il giorno del delitto); Alessio Pisello, amico di Ivano e Sabrina (falsa testimonianza riguardo le circostanze dell'incontro che si svolse in una villetta di San Pietro in Bevagna tra il primo avvocati di Sabrina Misseri Vito Russo e Ivano Russo); Anna Scredo, cognata del fioraio Giovanni Buccolieri (falsa testimonianza sulla storia del sogno riguardo il sequestro di Sarah compiuto da Sabrina e Cosima); Dora Serrano, sorella di Concetta e Cosima (false informazioni al pubblico ministero, falsa testimonianza dinanzi alla corte d'assise e calunnia contro i carabinieri, per essersi inventata le molestie subite da Michele Misseri quando era minorenne) e Giuseppe Serrano, fratello di Concetta e Cosima (calunnia contro i carabinieri e falsa testimonianza per quanto detto riguardo il giorno del delitto). L’elenco si chiude con Michele Misseri nei confronti del quale viene ipotizzata l’autocalunnia perché per assicurare l'impunità alla moglie Cosima e alla figlia Sabrina Misseri si è accusato – dinanzi a pm, gip, gup e corte d'assise - dell'omicidio di Sarah sapendosi innocente.
L’INEVITABILE E SCONTATA RICHIESTA DI RINVIO A GIUDIZIO.
8 ottobre 2015. Caso Sarah Scazzi: rischiano il processo Ivano Russo e Michele Misseri, scrive Lino Campicelli su “Il Quotidiano di Puglia”. Rischia il processo "il bell’Ivano”, ma anche "zio Michele", l’agricoltore di Avetrana. Dopo la pioggia di incriminazioni a latere del processo sull’omicidio di Sarah Scazzi, definito in primo grado nell’aprile del 2013 e recentemente in secondo grado da parte dell’Assise d’appello, la procura della Repubblica ha formulato richiesta di rinvio a giudizio. Sono in tutto dodici le persone che, fra le ipotizzate false informazioni al pubblico ministero e falsa testimonianza, erano finiti sul registro degli indagati in qualità di testimoni che in Corte d’Assise, nella causa celebrata in primo grado, avrebbero taciuto circostanze note, oppure avrebbero riferito fatti in maniera difforme dal vero. Nel nuovo procedimento avviato dalla procura della Repubblica di Taranto rivestono ora la qualità di imputati i testi che avevano reso deposizioni in udienza, e delle quali era stata richiesta la trasmissione all’ufficio del pubblico ministero «per le determinazioni di competenza». All’epoca, come è noto, la trasmissione degli atti aveva riguardato le testimonianze rese da Ivano Russo e Carlo Alessio Pisello, ma anche di Anna Scredo, Giuseppe Olivieri, Anna Lucia Pichierri e Giuseppe Serrano. Il lotto degli incriminati complessivi, però, era lievitato. Tanto che la richiesta di giudizio formulata dal sostituto procuratore della Repubblica Mariano Buccoliero e dal procuratore aggiunto Pietro Argentino coinvolge complessivamente dodici persone. Ai nomi noti, vanno infatti aggiunti quelli di Elena Baldari e Claudio Russo, rispettivamente madre e fratello di Ivano, di Maurizio Misseri, nipote di «zio Michele», di Salvatora Serrano, sorella di Cosima Serrano, e di Antonia Genovino, cognata di Ivano Russo. In ogni caso, insieme con loro nella richiesta di «processo» va ad aggiungersi Michele Misseri, che è stato chiamato in causa, però, dal sostituto procuratore della Repubblica e dall’aggiunto per il reato di autocalunnia. Le presunte false dichiarazioni al pm e, soprattutto, le false testimonianze ipotizzate dall’accusa, secondo quanto emerso già all’epoca della sentenza di primo grado, sarebbero servite a “coprire” la responsabilità di Sabrina Misseri, condannata all’ergastolo per l’omicidio di Sarah insieme con la madre Cosima Serrano, oppure per coprire Cosima o per sostenere posizioni che sarebbero state smentite dall’attività investigativa. L’intento dei testimoni, sostanzialmente, sarebbe stato quello di “attutire” in larga misura anche la posizione di Sabrina. A questo proposito, le accuse più sostanziose sarebbero quelle formulate nei confronti di Ivano Russo che prima davanti ai pubblici ministeri, in fase di indagini preliminari, e poi in udienza, nel corso del processo in Corte d’assise, avrebbe omesso di fornire indicazioni importanti, nel tentativo di dissimulare l’interesse nei suoi confronti nutrito soprattutto da Sabrina Misseri. Ivano Russo, secondo la prospettazione accusatoria, avrebbe peraltro taciuto circostanze ritenute importanti che se rappresentate si sarebbero rivelate estremamente utili per le indagini attivate dai carabinieri sull’omicidio di Sarah. Per tutti gli imputati, ora, si tratterà di difendersi dalle accuse, di cui a vario titolo rispondono, al cospetto del gip del tribunale.
Scazzi, bugie ai giudici nei guai Ivano e familiari, scrive, invece, Francesco Casula, su “La Gazzetta del Mezzogiorno”. La procura di Taranto ha chiesto il rinvio di Ivano Russo, il giovane di Avetrana che sarebbe stato al centro della contesa tra Sarah Scazzi, la 15enne uccisa e gettata in un pozzo il 26 agosto 2010, e la cugina Sabrina Misseri condannata in appello all’ergastolo insieme con la madre, Cosima Serrano, per l’omicidio della 15enne. Dopo la chiusura delle indagini, il procuratore aggiunto Pietro Argentino e il sostituto Mariano Buccoliero hanno chiesto il processo nei confronti del 32enne accusato di false informazioni al pubblico ministero e falsa testimonianza dinanzi alla corte d’assise. Ivano, infatti, ha sempre sostenuto di aver trascorso in casa la giornata del 26 agosto, almeno sino al tardo pomeriggio quando poi è andato a lavorare sulla litoranea ma, come annunciato dalla Gazzetta, agli atti dell’indagine esiste il verbale di un testimone che invece colloca Ivano fuori dalla sua abitazione proprio attorno all’ora di pranzo, ovvero quando Sarah sarebbe stata uccisa. Ma Ivano non è l’unico che rischia di finire sotto processo: una contestazione specifica per falsa testimonianza e false informazioni al pubblico ministero viene formulata anche a sua madre Elena Baldari, al fratello Claudio Russo e all’allora fidanzata Antonietta Genovino. Sono complessivamente 12 le richieste di rinvio a giudizio presentate dai pm Argentino e Buccoliero nei confronti di quanti sarebbero stati a conoscenza di fatti e particolari riguardanti l’omicidio e avrebbero taciuto, o peggio detto il falso, dinanzi ai pubblici ministeri o alla corte d’assise. Oltre a Ivano Russo e ai suoi familiari, tra gli imputati compaiono Maurizio Misseri, figlio di Carmine Misseri (falsa testimonianza per una telefonata fatta allo zio Michele dal padre invece che da lui); Anna Lucia Pichierri, moglie di Carmine Misseri (falsa testimonianza riguardo alle circostanze della visita ricevuta da Valentina Misseri il 16 ottobre del 2010, il giorno dopo l’arresto di Sabrina); l’imprenditore Giuseppe Olivieri (falsa testimonianza e calunnia nei confronti dei carabinieri per l’orario di impiego di due donne delle pulizie il giorno del delitto); Alessio Pisello, amico di Ivano e Sabrina (falsa testimonianza riguardo le circostanze dell’incontro che si svolse in una villetta di San Pietro in Bevagna tra il primo avvocati di Sabrina Misseri Vito Russo e Ivano Russo); Anna Scredo, cognata del fioraio Giovanni Buccolieri (falsa testimonianza sulla storia del sogno riguardo il sequestro di Sarah compiuto da Sabrina e Cosima); Dora Serrano, sorella di Concetta e Cosima (false informazioni al pubblico ministero, falsa testimonianza dinanzi alla corte d’assise e calunnia contro i carabinieri, per essersi inventata le molestie subite da Michele Misseri quando era minorenne) e Giuseppe Serrano, fratello di Concetta e Cosima (calunnia contro i carabinieri e falsa testimonianza per quanto detto riguardo il giorno del delitto). L’elenco si chiude con Michele Misseri accusato di autocalunnia perché per assicurare salvare Cosima e Sabrina si è accusato dell’omicidio di Sarah.
Omicidio Scazzi, Michele Misseri rischia il processo bis con Ivano e altri 10 testimoni: "Troppe bugie". Michele Misseri. Lo zio della quindicenne uccisa ad Avetrana (Taranto) accusato di calunnia. Il primo giugno 2016 l'udienza preliminare: secondo i pm molti hanno mentito o nascosto particolari durante le indagini, scrive Vittorio Ricapito il 27 febbraio 2016 su “La Repubblica”. Comincerà il primo giugno 2016 l’udienza preliminare dell’inchiesta bis sul delitto di Avetrana. Rischia un altro processo, stavolta per calunnia, Michele Misseri, il contadino condannato per aver gettato il cadavere della nipote in un pozzo. La Procura di Taranto ha chiesto il rinvio a giudizio per altre 11 persone accusate di aver mentito o nascosto particolari durante le indagini e il processo di primo grado per l’omicidio di Sarah Scazzi, la quindicenne strangolata ad Avetrana il 26 agosto del 2010. Fra i presunti bugiardi c’è anche Ivano Russo, l’amico di Sarah e di sua cugina Sabrina Misseri, condannata insieme con la madre Cosima Serrano all’ergastolo in primo e secondo grado. I magistrati ritengono che la contesa di Ivano fra le due cugine sia uno degli elementi più forti alla base del delitto. Ivano Russo è accusato di false informazioni al pubblico ministero e falsa testimonianza davanti alla corte d’assise. Per i pm è stato reticente in aula, ha mentito per coprire Sabrina, ha cercato di sminuire l’intreccio di rapporti sentimentali e sessuali con l’estetista, la gelosia ossessiva della ragazza nei suoi confronti, il crescente interesse sentimentale della cuginetta Sarah, al punto che il fratello della ragazzina Claudio lo aveva avvisato di “comportarsi bene con lei” e infine i contrasti fra le due cugine per il comune interesse sentimentale. Oltre a Ivano rischiano il processo anche sua madre, Elena Baldari, il fratello Claudio Russo e l’ex fidanzata Antonietta Genovino, accusati di aver mentito sostenendo che il 26 agosto 2010, giorno dell’omicidio, Ivano era rimasto a casa, a letto per tutto il pomeriggio. Rischia il processo per falsa testimonianza anche un altro amico di comitiva, Alessio Pisello. Michele Misseri, invece, è accusato di auto-calunnia, per essersi accusato dell’omicidio di Sarah, pur sapendosi innocente, ripetendo l’incredibile versione a pm e magistrati, fino alla corte d’assise. Menzogne e calunnie, per l’accusa, sono anche quelle di Dora Serrano, sorella di Concetta (mamma di Sarah) e Cosima Misseri, che per dipingere il cognato Michele come un mostro, in aula si sarebbe inventata di aver subìto un tentativo di molestia sessuale dal contadino. Altri imputati di falsa testimonianza sono Maurizio Misseri, nipote di Michele; Anna Lucia Pichierri, moglie di Carmine Misseri, e Anna Scredo, cognata del fioraio Giovanni Buccolieri (l’uomo che avrebbe assistito al sequestro di Sarah da parte di Cosima e Sabrina). Rischiano processo per calunnia contro i carabinieri, infine, Giuseppe Serrano, fratello di Concetta e Cosima, e l’imprenditore Giuseppe Olivieri.
Michele Misseri rischia il processo per autocalunnia: potrebbe riaprirsi il caso sulla morte di Sarah Scazzi? Scrive Edoardo Montolli il 2 marzo 2016. A giugno l’udienza preliminare di Michele Misseri per le false accuse rivolte a se stesso. Con moglie e figlia che si professano innocenti e lui che si dichiara colpevole, il nuovo processo potrebbe riaprire il caso principale? Ecco cosa accadde nel caso del Mostro di Balsorano. Il caso di Sarah Scazzi, la quindicenne di Avetrana finita in un pozzo il 26 agosto 2010, è un caso molto particolare. Non solo per la mediaticità dell’evento. Com’è noto, a far ritrovare il cadavere fu lo zio, Michele Misseri, dopo che era stato messo sotto torchio per il sorprendente ritrovamento del cellulare della nipote nel suo terreno: «È stato proprio un caso che lo abbia trovato io e ho detto ai carabinieri di non dire nulla a nessuno per evitare che la gente potesse dire “proprio lo zio lo doveva trovare”. Ma la notizia è circolata lo stesso». La sera in cui confessò, la mamma di Sarah si trovava a casa di Michele, in collegamento con Chi l’ha visto?, perché mai e poi mai avrebbe sospettato del cognato. La vicenda, all’epoca, sembra chiusa, ma non lo è. Michele piange: «È stato un raptus». Nei titoli dei quotidiani della mattina successiva si aggiungono dettagli shock: «L’ho strangolata con una cordicella mentre era di spalle e ho abusato di lei dopo che era già morta». Piange lui. E piange sua figlia Sabrina. Lo fa in tv. E glielo dice pure al telefono, subito dopo l’arresto, in una chiamata che sarà però trascritta solo nel processo d’appello: «Perché non me lo hai detto subito, papà?…tu non hai mai fatto niente di male…». Solo che Michele cambia sempre versione. Arriva a darne sette, fino a coinvolgere nel delitto sia la figlia che la moglie Cosima. Si sa come andrà: lui tornerà ad autoaccusarsi, dicendo di essere il solo colpevole, ma non sarà più creduto. E per l’omicidio verranno condannate in primo grado e in appello Cosima e Sabrina, che invece si proclamano innocenti. Un caso, quello del reoconfesso non creduto e di chi si professa innocente condannato, che in Italia ha un solo precedente. Ironia della sorte, proprio a Taranto, dove il serial killer tunisino Ben Ezzedine Sebai confessò qualcosa come 15 delitti, fornendo prove, racconti, minuziosi dettagli degli omicidi commessi, tutti compiuti tra Lucera, Taranto e Foggia tra il ’94 e il ‘97. Per uno, si scoprirà, l’anziana che pensava di aver ucciso si era invece salvata. Il problema era un altro: per alcuni dei delitti che diceva di aver commesso in provincia di Taranto, dentro erano già finite diverse persone, una delle quali si era suicidata gridandosi innocente. Ma finì che, rarità assoluta nel panorama criminale mondiale, se altrove fu condannato, nel solo processo di Taranto venne considerato colpevole per gli omicidi irrisolti di cui si autoaccusava, e mitomane per quelli nei quali il presunto colpevole (che si dichiarava innocente) era già stato condannato. Sebai è morto in carcere, suicida – anche se il suo legale Luciano Faraon è deciso a far riaprire la vicenda – e per chi sperava di essere scagionato le speranze sono definitivamente tramontate. A Sarah e Sabrina, che seguitano a protestarsi innocenti, resta invece ancora la Cassazione. Poi, se vorranno dimostrare la loro estraneità ai fatti, dovranno sostanzialmente trovare nuove prove. O un conflitto di giudicato. Possibile? Di fatto, succede questo: il primo giugno 2016 Michele Misseri dovrà presentarsi all’udienza preliminare per l’inchiesta-bis sul delitto di Avetrana. La Procura di Taranto ha chiesto infatti il rinvio a giudizio per lui e altre 11 persone accusate di aver mentito o nascosto particolari nell’inchiesta sulla morte di Sarah. Un numero di persone sconcertante. Michele deve rispondere di autocalunnia, per essersi falsamente accusato del delitto della nipote. Non si tratta di un dettaglio trascurabile, dato che ogni processo fa storia a sè. E c’è un precedente, molto simile in proposito, che fa pensare. Riguarda il caso del cosiddetto Mostro di Balsorano. La sera del 23 agosto 1990, a Case Castella, nei pressi di Balsorano, L’Aquila, scomparve nel nulla Cristina Capoccitti, 7 anni. La cercò l’intero paese. E fu ritrovata morta a duecento metri da casa, con la testa fracassata da una pietra. Tre giorni dopo, il cugino tredicenne, Mauro Perruzza, interrogato a lungo, confessò, giurando che si era trattato di un incidente: stava inseguendola, Cristina era caduta, aveva picchiato la testa su una pietra. Lui si era spaventato e l’aveva strangolata. Lo portarono alla Procura dei minori. E, a notte fonda, cambiò dinamica: «Volevo possederla». La notizia finì su tutti i giornali, con la confessione. Solo che Mauro, alla chiusura del verbale, ritrattò tutto: «è stato mio papà Michele». Diede diverse versioni: prima disse di averlo visto rientrare a casa piangendo. Poi, di averlo notato nel boschetto mentre tentava di violentare e quindi soffocare la cugina. Se cosa accadde esattamente quella notte non si sa, perché l’audio dell’interrogatorio sparì, si sa con certezza che Mauro diede in tutto 17 versioni. Da quel momento, comunque, Michele, padre di Mauro e zio di Cristina, divenne per tutti il Mostro di Balsorano. Prese l’ergastolo nonostante continuasse a gridare con forza la propria innocenza. E fu a quel punto che entrò nella vicenda il giornalista Gennaro De Stefano, che, con una personale controinchiesta, smontò su Visto e su Oggi, tutte le accuse. Un mese prima della sentenza di Cassazione arrivò a pubblicare il memoriale di Michele. Poi, venne arrestato: si scoprì in seguito che un poliziotto, successivamente condannato, gli aveva infilato della cocaina in macchina. Quando Gennaro uscì di prigione, Michele era ormai stato condannato definitivamente. Ma il cronista non si arrese. Era infatti previsto un processo satellite a Sulmona, nel quale Mauro e la moglie erano accusati di aver fatto pressioni su Mauro per convincerlo ad autoaccusarsi. E fu lì che i due vennero assolti. Nella stessa sede emerse che sulle mutande sporche del sangue di Cristina ritrovate sul tetto c’è sì un dna dei Perruzza, ma compatibile con quello di Mauro e non con quello di Michele. Sulla base di quel conflitto di giudicato Michele chiese la revisione. Tuttavia, neppure il dna, che oggi è considerato una prova regina, servirà a scagionarlo. Scriverà infatti De Stefano che i «macigni difensivi presentati alla Corte d’Appello di Campobasso, vennero cancellati così: “Non hanno il crisma della prova e quand’ anche l’avessero non scalfiscono gli elementi a carico di Michele Perruzza”». Ma la storia del “doppio processo” al Mostro di Balsorano insegna che un colpo di scena, per Cosima e Sabrina che si proclamano innocenti – ad oggi invano - è ancora possibile, forse proprio col nuovo probabile processo a Michele Misseri.
Intanto mi chiedo dopo mesi quali difficoltà ci siano nel redigere le motivazioni della sentenza di condanna inflitta a Cosima Serrano e a Sabrina Misseri. Le due donne sono in carcerazione preventiva da anni con presunzione d’innocenza. Dunque la domanda sorge spontanea: che ci fanno ancora in carcere senza le motivazioni della sentenza, che sarebbero dovute arrivare a fine ottobre 2015? Rammento altresì che le 1631 pagine redatte dal giudice Cesarina Trunfio vennero consegnate dopo undici mesi dalla lettura del dispositivo. Il rischio che l’episodio possa ripetersi è palese. Fosse mai che i magistrati tarantini, consci del ribaltamento in cassazione del loro obbrobrio, facciano scontare la pena anticipata.
1 giugno 2016. Udienza preliminare: rinviata.
1 luglio 2016. Udienza preliminare: rinviata. Caso Scazzi: al processo Ivano Russo, c'è ancora qualcosa da chiarire? Scrive Marco Della Corte il 2 luglio 2016. Abbiamo due condannate per l'omicidio della piccola Sarah Scazzi, scomparsa il 26 Agosto 2010 da Avetrana (in provincia di Taranto) e ritrovata cadavere in un pozzo alcuni mesi dopo. Sabrina Misseri e Cosima Serrano, rispettivamente cugina e zia materna della ragazzina, avrebbero ucciso Sarah, mentre lo zio Michele (padre e marito di Sabrina e Cosima) avrebbe "solamente" occultato il cadavere. E' stato intanto rinviato a processo Ivano Russo, il "Bello di Avetrana". Il giovane avrebbe fornito all'epoca alcune informazioni mendaci per coprire Sabrina. Le indagini continuano dunque? Sembrerebbe proprio di sì. Concetta Serrano, mamma di Sarah, ha dichiarato di non essere interessata al processo coinvolgente il Russo. Nell'ultima puntata del noto programma mediaset Quarto Grado, i conduttori Alessandra Viero e Gianluigi Nuzzi sono tornati a parlare del caso della piccola Sarah Scazzi (15 anni al momento della morte). La ragazzina scomparve inizialmente il 26 Agosto 2010 da Avetrana (in provincia di Taranto) per essere poi ritrovata cadavere alcuni mesi dopo in un pozzo. Sono state condannate per l'omicidio della giovanissima Cosima Serrano e Sabrina Misseri, rispettivamente zia e cugina di Sarah. Le due avrebbero ucciso materialmente la 15enne, mentre lo zio Michele (rispettivamente marito e padre di Cosima e Sabrina) avrebbe "solamente" occultato il corpo. La troupe di Quarto Grado ha intervistato Ivano Russo (32 anni) considerato il"Bello di Avetrana" per la sua avvenenza. Il giovane è stato rinviato a giudizio per aver tentato di coprire, tramite falsa testimonianza, Sabrina Misseri. Al riguardo, Ivano ha dichiarato alle telecamere: "La giustizia farà il suo corso". C'è un segreto che tutti sapevano e non hanno detto, c'è un processo nel processo riguardo l'omicidio di Sarah Scazzi. Un processo all'omertà ed alle bugie. L'avvocato Lorenzo Bullo, legale di Maurizio Misseri (nipote di Michele) ha affermato: "Noi difensori, fin dall'inizio abbiamo detto che questo processo è come l'alta tensione. Chi tocca i fili ne viene bruciato inevitabilmente". Dodici imputati, dodici storie ed accuse diverse. Gli indagati si sono presentati presso il Tribunale di Taranto di mattina, intorno alle ore 9:00. Qualcuno era presente in prima persona, mentre altri sono stati rappresentati dal proprio difensore. Un lungo elenco di indagati. Presenti anche Dora e Giuseppe Serrano, fratelli di Concetta. Dora ha raccontato di aver subito molestie da Michele Misseri quando aveva 15 anni. Secondo l'Accusa, tale affermazione sarebbe una bugia per avvalorare le colpe dell'agricoltore come pedofilo. Lui, Zio Michele, condannato per autocalunnia, non è comparso in Aula. Assenti anche la cognata ed il nipote, i quali, secondo i pm, hanno raccontato bugie per proteggere Sabrina. Come già detto, il principale imputato di questo processo bis è Ivano Russo. Il giovane è arrivato in Tribunale assieme ai famigliari. Ivano e la sua famiglia avrebbero mentito svariate volte secondo i pm. Perchè? Quale verità dovevano nascondere? Queste domande sono state fatte allo stesso Russo, il quale ha semplicemente risposto: "Quello che è stato detto è quello che è stato. Punto e basta". Il 32enne ha commentato così le presunte reticenze e bugie da parte sua e dei famigliari: "Sono accuse che sono state mosse nei miei confronti". A chi gli ha chiesto cosa ne pensa riguardo la colpevolezza di Sabrina Misseri, il giovane ha affermato: "Questo fa sempre parte della giustizia italiana, del meccanismo lunghissimo della giustizia italiana che andrà a stabilire se Sabrina è colpevole o meno". Fonte: Quarto Grado, puntata del 1 Luglio 2016.
Sarah Scazzi processo bis, la risata di Ivano Russo fuori dal tribunale: “Verrà fuori quello che è”, scrive sabato 02/07/2016 Michela Becciu su "Urban Post". Secondo rinvio dell’udienza preliminare per il processo bis sull’omicidio di Sarah Scazzi. Si tornerà in aula il prossimo mercoledì 28 settembre perché il giudice ha necessità di valutare nuove documentazioni, lo si è appreso ieri sera 1° luglio durante la diretta di Quarto Grado. Ha risposto con una cinica risata Ivano Russo – indagato insieme a Michele Misseri e altre dieci persone – alla inviata della trasmissione che ieri mattina prima che facesse ingresso in tribunale gli ha chiesto: “Vi accusano di tante bugie, come si difenderà in aula?”. Russo, glissando il quesito, ha poi commentato: “Questo lo sappiamo” (risata) … “La giustizia farà il suo corso. Quello che è stato detto è quello che c’è stato, punto e basta”. Ma non la pensa così la procura di Taranto, che accusa i dodici imputati di avere mentito agli inquirenti e depistato le indagini. Quello in oggetto sarà dunque un processo all’omertà e alle menzogne, di “parole reticenti e difformi dal vero”. Ivano Russo ieri è apparso molto sicuro di sé, e alla inviata di Quarto Grado ha detto: “Durante il processo verrà fuori quello che è”.
28 settembre 2016. Udienza preliminare: rinviata. Sarah Scazzi, zio Michele Misseri: “Per me condannano Cosima e Sabrina di nuovo”, scrive il 29 settembre 2016 la redazione di Blitz Quotidiano. “Secondo me le condannano un’altra volta”. Così Michele Misseri ha detto quasi rassegnato in un’intervista a Pomeriggio 5. La speranza dello zio di Sarah Scazzi è che la Cassazione possa ribaltare le posizioni della figlia Sabrina Misseri e della moglie Cosima Serrano, condannate in primo e secondo grado all’ergastolo per il delitto di Avetrana. L’uomo continua a professare la sua colpevolezza: “Ho fatto tutto io, l’ho strangolata e ho occultato il cadavere”. Ma alla luce di quel che accade a Taranto, le aspettative di Zio Michele si starebbero sempre più affievolendo. “Per quale motivo dovevo incolparmi – dice Misseri a Pomeriggio 5 – se a uccidere Sarah fosse stata mia figlia? Io gli ho dato il piatto d’argento in mano ma loro non l’hanno voluto. Non mi ricordo niente da quando ho strangolato la bambina”. Ieri, 28 settembre, si è tenuta la terza udienza preliminare per discutere dell’omicidio della tredicenne, strangolata e gettata in un pozzo di contrada Mosca il 26 agosto del 2010. Udienza che però è stata rinviata al 18 novembre perché il giudice ha ascoltato solo una parte degli avvocati: a novembre ne sentirà un’altra per poi decidere se portare a processo gli imputati oppure assolverli. Tra i dodici imputati ci sono lo stesso Misseri e Ivano Russo. Lo zio di Sarah è stato raggiunto dall’inviata di Pomeriggio 5 mentre lavorava, come di consueto, nei suoi campi in totale solitudine. L’uomo ha ribadito quanto più volte annunciato ai giornali e agli inquirenti, cioè di essere lui il responsabile dell’omicidio della nipote. Assumendosene la colpa totale Michele Misseri spera di scagionare sia la moglie che la figlia: “Sabrina – ha detto – ce l’ha a morte con me, me l’hanno fatta accusare anche se era innocente. Mi odia di sicuro! Le chiedo perdono per quello che ho fatto e chiedo perdono anche a Sarah. Sono tutte innocenti, come Cosima”. “Speri che la Cassazione possa ribaltare la sentenza?”, gli domanda la giornalista. “Come stanno andando le cose non credo proprio, le condannano un’altra volta”. Misseri fa riferimento alla moglie Cosima e la figlia Sabrina che attualmente sono ancora in carcere. E ribadisce: “Io non solo voglio prendermi la colpa dell’omicidio, ma anche dell’occultamento. Ho fatto tutto da solo”.
Falsi testimoni dell’inchiesta sull’uccisione di Sarah Scazzi, il gup rinvia a gennaio, scrive venerdì 18 novembre 2016 "La Voce di Manduria". Si saprà il prossimo 11 gennaio 2017 se Ivano Russo e altre undici persone accusate di falsa testimonianza e false dichiarazioni al pm in merito al delitto di Sarah Scazzi dovranno essere processati oppure no. Questa mattina il giudice delle udienze preliminari, Vilma Gilli, che doveva decidere sulla richiesta di rinvio a giudizio formulata dalla pubblica accusa (il procuratore aggiunto Pietro Argentino e il sostituto procuratore Mariano Buccoliero), ha rinviato la decisione a gennaio prossimo. L’imputato di maggior rilievo di questo filone investigativo, scaturito dalla grande inchiesta sull’uccisione della quindicenne di Avetrana avvenuta il 26 agosto del 2010, è Ivano Russo, amico della vittima e della cugina Sabrina Misseri (quest’ultima condannata anche in secondo grado all’ergastolo insieme alla madre Cosima Serrano), la cui estraneità nella vicenda è stata messa in discussione dalle dichiarazioni della sua ex compagna, Virginia Coppola, secondo cui il giovane all’ora del delitto non si trovava in casa come ha sempre sostenuto e come sostiene tuttora. Nell’elenco degli imputati ci sono poi Maurizio Misseri, figlio di Carmine Misseri (falsa testimonianza per una telefonata fatta allo zio Michele dal padre invece che da lui); Anna Lucia Pichierri, moglie di Carmine Misseri (falsa testimonianza riguardo alle circostanze della visita ricevuta da Valentina Misseri il 16 ottobre del 2010, il giorno dopo l’arresto di Sabrina); l’imprenditore Giuseppe Olivieri (falsa testimonianza e calunnia nei confronti dei carabinieri per l’orario di impiego di due donne delle pulizie il giorno del delitto); Alessio Pisello, amico di Ivano e Sabrina (falsa testimonianza riguardo le circostanze dell’incontro che si svolse in una villetta di San Pietro in Bevagna tra il primo avvocato di Sabrina Misseri, Vito Russo, e Ivano Russo); Anna Scredo, cognata del fioraio Giovanni Buccolieri (falsa testimonianza sulla storia del sogno riguardo il sequestro di Sarah compiuto da Sabrina e Cosima); Dora Serrano, sorella di Concetta e Cosima (false informazioni al pubblico ministero, falsa testimonianza dinanzi alla Corte d’assise e calunnia contro i carabinieri, per essersi inventata le molestie subite da Michele Misseri quando era minorenne) e Giuseppe Serrano, fratello di Concetta e Cosima (calunnia contro i carabinieri e falsa testimonianza per quanto detto riguardo il giorno del delitto). L’elenco si chiude con Michele Misseri nei confronti del quale viene ipotizzata l’autocalunnia perché per assicurare l’impunità alla moglie, Cosima, e alla figlia, Sabrina Misseri, si è accusato – dinanzi a pm, gip, gup e corte d’assise – dell’omicidio di Sarah sapendosi innocente.
Sarah: inchiesta depistaggi, in 12 rinviati a giudizio, scrive “La Gazzetta del Mezzogiorno” l’11 gennaio 2017. Il gup del tribunale di Taranto Vilma Gilli ha rinviato a giudizio 12 imputati accusati a vario titolo di falsa testimonianza, false informazioni al pubblico ministero, calunnia e autocalunnia nell’ambito delle indagini sull'omicidio di Sarah Scazzi, la 15enne di Avetrana uccisa e gettata in un pozzo il 26 agosto del 2010. Il processo inizierà il 3 aprile prossimo. Risponde di false informazioni al pm e falsa testimonianza alla Corte d’Assise Ivano Russo, il giovane di Avetrana che sarebbe stato conteso da Sabrina Misseri (condannata in primo e secondo grado all’ergastolo insieme a sua madre Cosima Serrano) e la cugina Sarah. Sono contestati i reati di falsa testimonianza e false informazioni al pubblico ministero anche a sua madre Elena Baldari, al fratello Claudio Russo e all’allora fidanzata Antonietta Genovino. Tra gli altri imputati c'è il padre di Sabrina, Michele Misseri, (zio di Sarah, a 8 anni di carcere per soppressione di cadavere) che risponde di autocalunnia perché si accusò dell’omicidio di Sarah. Gli altri imputati sono Maurizio Misseri, figlio di Carmine Misseri (falsa testimonianza); Anna Lucia Pichierri, moglie di Carmine Misseri (falsa testimonianza); l’imprenditore Giuseppe Olivieri (falsa testimonianza e calunnia nei confronti dei carabinieri); Alessio Pisello (falsa testimonianza); Anna Scredo, cognata del fioraio Giovanni Buccolieri (falsa testimonianza); Dora Serrano, sorella di Concetta e Cosima (false informazioni al pubblico ministero, falsa testimonianza dinanzi alla Corte d’assise e calunnia contro i carabinieri), e Giuseppe Serrano, altro fratello di Concetta (madre di Sarah) e Cosima (calunnia contro i carabinieri e falsa testimonianza). Il processo è stato fissato dinanzi al giudice monocratico Fulvia Misserini, che dovrà astenersi in quanto giudice a latere della Corte d’assise nel processo di primo grado per l’omicidio della 15enne di Avetrana.
PROCESSO A MICHELE MISSERI ED ILARIA CAVO.
Nuovo processo per Michele Misseri, l’agricoltore di Avetrana coinvolto nei processi per l’uccisione della nipote Sarah Scazzi, per il cui assassinio sono state condannate all’ergastolo la figlia Sabrina e la moglie Cosima Serrano (in primo grado con conferma in secondo). Il gup del Tribunale di Taranto, Valeria Ingenito, il 10 settembre 2015 ha rinviato a giudizio Michele Misseri (già condannato anche in appello a 8 anni di reclusione per soppressione del cadavere della nipote Sarah Scazzi) con l'accusa di calunnia nei confronti della criminologa Roberta Bruzzone e dell’avvocato Daniele Galoppa. La professionista è stata consulente di parte nel processo per l’omicidio mentre il legale è stato difensore dello stesso Misseri, che inizialmente confessò l’omicidio della ragazzina per poi addossare le responsabilità a sua figlia Sabrina. Insieme con Misseri, che risponderà di calunnia, sono finiti sotto processo per il reato di diffamazione l’avvocato Fabrizio Gallo e la giornalista Ilaria Cavo, accusati di aver fatto da “sponda” in qualche maniera alle accuse lanciate da Misseri nei confronti dell’avvocato Daniele Galoppa e della dottoressa Roberta Bruzzone, rispettivamente ex legale ed ex consulente dello stesso Misseri. La giornalista di Mediaset Ilaria Cavo, attuale assessore alla Comunicazione e alle Politiche giovanili della Regione Liguria, avrebbe rilanciato le versioni di Misseri attraverso servizi televisivi. Il contadino di Avetrana, quando è tornato ad accusarsi dell’omicidio, ha sostenuto di essere stato in qualche modo indotto da Bruzzone e Galoppa a tirare in ballo sua figlia Sabrina (condannata in primo e secondo all’ergastolo, come sua madre Cosima Serrano). Il rinvio a giudizio, con processo fissato per l’1 dicembre 2015, è stato disposto dal gup dottoressa Valeria Ingenito. Lo stesso gup aveva a suo tempo autorizzato la citazione, come responsabili civili delle società «Rai», «Rti» per “Mediaset”, «Edizioni Universo», ed «Rcs» per il settimanale “Oggi”. In differenti trasmissioni televisive, secondo la tesi accusatoria, sia la giornalista che l’opinionista-Mediaset avrebbero espresso opinioni che avrebbero fatto sorgere dubbi sulla condotta professionale dell’avvocato Galoppa e della dottoressa Bruzzone. Il primo, come è noto, era stato il primo difensore (d’ufficio, poi tramutato in legale di fiducia) dell’agricoltore di Avetrana. La criminologa, come si ricorderà, era stata nominata consulente di parte di Michele Misseri e aveva supportato l’attività dell’avvocato Galoppa, sino a quando entrambi non avevano preso le distanze da Misseri.
Calunniò la Bruzzone e Galoppa: chiesti 4 anni per "zio Michele". A giudizio anche Ilaria Cavo e un penalista romano. Quattro anni di carcere per Michele Misseri, che deve rispondere di calunnia, e il minimo della pena prevista, un anno, per i due suoi coimputati: la giornalista Ilaria Cavo e l’avvocato, Fabrizio Gallo che rispondono di diffamazione, scrive Giovedì 14 Giugno 2018 "IlQuotidianodipuglia.it". Sono queste le richieste formulate dall'accusa, affidata al pubblico ministero Mariano Buccoliero, nel processo che vede come principale imputato lo zio di Sarah Scazzi, già rinchiuso nel carcere di Lecce dove sta scontando otto anni per la soppressione del corpo della nipote Sarah Scazzi, uccisa a soli 15 anni. Il contadino di Avetrana è finito sotto processo per aver accusato il suo ex avvocato, Daniele Galoppa, e la criminologa Roberta Bruzzone, di averlo entrambi costretto ad accusare la figlia Sabrina Misseri dell’uccisione di Sarah, delitto di cui in un primo momento lo stesso Michele si era addossato ogni colpa. Gli altri due imputati, l’ex giornalista ora assessore della Regione Liguria e il penalista romano, già difensore per un breve periodo di Misseri, avrebbero messo in dubbio la correttezza di Galoppa e Bruzzone avallando la tesi secondo cui Misseri sarebbe stato effettivamente indotto ad alterare la verità dei fatti. A querelare tutti erano stati la stessa Bruzzone e Galoppa, ora parte lesa nel processo, i quali hanno già anticipato di voler intentare un’azione risarcitoria in sede civile. La nota criminologa era stata nominata consulente di parte di Michele Misseri e aveva supportato l’attività dell’avvocato Galoppa, sino a quando entrambi non avevano preso le distanze da Misseri. Il giudice del Tribunale di Taranto dove si svolge il processo, Elvia Di Roma, ha fissato la prossima udienza per il 3 ottobre.
Scazzi, zio Michele scrive alla mamma di Sarah: perdonami l'ho uccisa io. «Sono stato io. Tua sorella Cosima e Sabrina sono innocenti! Lo capiresti subito se le vai a trovare! Non dare retta agli avvocati bugiardi!», scrive Mimmo Mazza il 13 Giugno 2018 su La Gazzetta del Mezzogiorno. «Il Re è nudo, mi devi credere Concetta». Le lettere di Michele Misseri - il contadino di Avetrana rinchiuso dal 21 febbraio 2017 nel carcere di Lecce per scontare la pena definitiva a 8 anni di reclusione per l’occultamento del cadavere della nipote Sarah Scazzi - da tempo costituiscono ormai un genere letterario. «Il re è nudo» è una celebre frase della fiaba «I vestiti nuovi dell’imperatore» di Hans Christian Andersen e chissà con quanta consapevolezza Michele Misseri ha utilizzato la nota allegoria. Nella fase delle indagini preliminari, quando il tutto e il suo contrario avevano spesso livelli di probabilità equivalenti, proprio con le lettere inviate alla figlia Sabrina e alla moglie Cosima - condannate all’ergastolo per l’omicidio della 15enne - Misseri cercò di cambiare verso ad una pista investigativa che prima sposò le sue confessioni, rese nella notte buia e tumultuosa tra il 7 e l’8 ottobre del 2010 quando fece ritrovare il cadavere di Sarah in un pozzo di contrada Mosca, e poi le abbandonò, facendone rigorosamente a meno. Ora Michele Misseri ha ripreso la penna in mano per scrivere a sua cognata Concetta, la mamma di Sarah. Una lettera di una pagina, come la Gazzetta è in grado di rivelare, nella quale il contadino non solo, come ha fatto chissà quante volte e non solo per via epistolare ma anche se non soprattutto nei programmi televisivi targati Mediaset, si addossa la responsabilità di un delitto al quale secondo tre corti (assise, assise d’appello, Cassazione) non ha nemmeno assistito, ma per invitare Concetta ad andare nel carcere di Taranto a fare visita a Cosima e Sabrina che malgrado la triplice condanna all’ergastolo non perdono occasione per protestare la loro innocenza. «Cara Concetta, perdonami, perdonami, perdonami, perdonami, perdonami per quello che io ho fatto a Sarah» scrive Michele. «Sono stato io. Tua sorella Cosima e Sabrina sono innocenti! Lo capiresti subito se le vai a trovare! Non dare retta agli avvocati bugiardi!» Fatta questa premessa, non senza qualche inutile rampogna ai legali di parte civile Nicodemo Gentile e Luigi Palmieri, che altro non hanno fatto che assistere la famiglia Scazzi e allinearsi alla tesi della Procura di Taranto, Michele scantona e si butta sulla religione, cercando di colpire nel vivo la povera mamma di Sarah che non ha mai fatto mistero di essere Testimone di Geova. «Tieni presente - scrive infatti il contadino - che Geova non ama la menzogna. Non l’ama affatto. È colpa grave anche credere alla menzogna. È colpa grave anche non cercare la verità, cioè omettere di cercarla. Cara Concetta, cerca di capire dove sta la verità. Se vai a trovare Cosima lo capirà subito. Cosima e Sabrina sono innocenti. Cara Concetta, verità, verità, dove sei? Verità, verità, tu sei leggera e....vieni sempre a galla. Sabrina e Cosima sono innocenti e tutti lo sanno. Il Re è nudo, mi devi credere Concetta». La lettera è arrivata a casa Scazzi nei giorni scorsi ed è stata letta non senza sconcerto da Concetta. La mamma di Sarah in passato ha sempre detto di aspettare un gesto dalla sorella Cosima e dalla nipote Sabrina, di volere da loro una dichiarazione piena e convincente su quanto accade quel maledetto 26 agosto del 2010, il giorno in cui Sarah scomparve dopo essere arrivata a casa degli zii per andare a mare con Sabrina e iniziò una saga che non sembra volersi consegnare alla parola fine.
Delitto Avetrana, Misseri alla mamma di Sarah: Parleremo, senza telecamere, scrive “La Presse” Mercoledì 1 Giugno 2016. "La mia vita è sempre la stessa, vado avanti col rimorso. Troppi ricordi in casa, fortunatamente ci sto poco". Lo ha raccontato a Pomeriggio5 su Canale 5 Michele Misseri, padre e marito delle due donne ritenute responsabili del delitto ad Avetrana della giovane Sarah Scazzi, per il quale sono state condannate la cugina Sabrina Misseri e la madre Cosima Serrano. "Sabrina è una brava ragazza, voleva aiutare gli altri", ha sottolineato Misseri, e parlando poi di cosa direbbe alla madre di Sarah, Concetta, ha detto che "arriverà il momento in cui parleremo ma faccia a faccia, non con le telecamere". "Sto in casa tutto chiuso? Voglio stare come stanno loro in carcere", ha confessato l'uomo. Durante la trasmissione è intervenuto anche Ivano Russo, uno dei principali testimoni del caso, che aveva avuto una relazione con Sabrina: "Sono pronto ad affrontare il processo ma i fatti contestati sono solo di falsa testimonianza. Altre cose sono a me estranee", ha precisato, "sono disposto a incontrare Concetta per chiarimenti, sono un amico, non un nemico, e ci tengo, come lei, affinché Sarah abbia giustizia".
Sarah Scazzi. Processo a Michele Misseri. Calunnia sì o calunnia no?
Bruzzone, Galoppa ed i giudici di Taranto contro Michele Misseri. Chi si pensa che vincerà?
La risposta del dr. Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico, blogger, youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie. Antonio Giangrande di Avetrana, ha seguito il caso sin dall’inizio e sulla vicenda ha scritto ben tre libri e pubblicato decine di video.
Nel corso dell’udienza che si è tenuta il 15 giugno 2016 nel Tribunale di Taranto relativa al processo che vede imputato Michele Misseri accusato di calunnia nei confronti della Dott.ssa Roberta Bruzzone e dell’avvocato Daniele Galoppa, è stato ascoltato soltanto l’ex legale dello zio di Avetrana, Galoppa, scrive Rossella Ricchiuti su TVMed. Entrambi sono stati accusati da Misseri di averlo indotto ad incolpare Sabrina dell’omicidio di Sarah Scazzi. La criminologa, che è stata consulente di parte nel processo per l’assassinio dell’adolescente, sarà sentita a gennaio 2017. Sono imputati per diffamazione anche la giornalista Ilaria Cavo e l’avvocato Fabrizio Gallo, ed è stato proprio quest’ultimo a richiedere il rinvio per legittimo impedimento perché si trovava a Roma ed era impossibilitato a raggiungere il Tribunale di Taranto.
Nel corso dell’udienza la difesa ha provato a chiedere una perizia psichiatrica su Michele Misseri sostenendo che, quando l’uomo aveva accusato in aula e nei programmi televisivi l’avvocato e la consulente era incapace di intendere e volere. Il giudice Di Roma ha respinto la richiesta. Il processo è quello che vede imputato Michele Misseri per le accuse rivolte alla Dott.ssa Roberta Bruzzone e all'avvocato Daniele Galoppa. La sede è il Tribunale di Taranto, aula E, scrive ancora TVMed. Lo zio di Avetrana, condannato in appello a 8 anni di reclusione per soppressione del cadavere della nipote Sarah Scazzi, è accusato di calunnia nei confronti della criminologa e del suo ex avvocato, ormai noti volti televisivi. La Bruzzone è stata consulente di parte nel processo per l'omicidio dell'adolescente, mentre il legale è stato difensore di Misseri. Il contadino di Avetrana, che aveva subito confessato l'assassinio, aveva poi cambiato versione tirando in ballo sua figlia Sabrina, poi condannata all'ergastolo in primo e secondo grado, per poi ritrattare ed a riconfermare da sempre la prima versione. Entrambi sono stati accusati dal contadino di Avetrana proprio di averlo indotto ad incolpare Sabrina dell'omicidio di Sarah Scazzi.
Nel processo di Taranto con l’accusa di calunnia troviamo da una parte l’avvenente criminologa mediatica nazionale, Roberta Bruzzone, e Daniele Galoppa, primo difensore di Michele Misseri, che nelle dichiarazioni in tv (a pagamento come da lui sostenuto) ha sempre spronato questi a dire “la verità”. Facoltà, però, questa, propria della Procura e non della difesa. Questi negano di aver influito sulle volontà dello zio di Avetrana nell’accusare la figlia Sabrina dell’omicidio della povera Sarah Scazzi. D'altronde i giudici togati e popolari dei collegi delle Corti di Assise di primo e secondo grado di Taranto hanno creduto ai due. Di contro troviamo il semplice contadino dell’omertosa Avetrana, spalleggiato da alcuno. La sua parola contro la loro vale zero, tanto meno se la loro parola è suffragata dalle precedenti Corti. Tuttavia la logica qualche dubbio lo pone. Come è possibile che sia più credibile una versione rispetto a tante altre antitetiche e si nega che essa sia stata resa non nel pieno delle facoltà o comunque influenzate da farmaci o promesse? I farmaci o la promessa di limitare i danni alla figlia Sabrina sono validi motivi per credere alla versione di Michele Misseri e degni di nota per far venir meno il rancore di Cosima e Sabrina (moglie e figlia) nei confronti di Michele. Purtroppo, dai processi già svolti, dai giudici e dai media si è deciso che Michele è un bugiardo e Cosima e Sabrina delle assassine, ed a questo non si può rimediare, specie a Taranto che per le sole motivazioni, tra il primo grado ed il secondo, ti fanno aspettare circa due anni. Specie a Taranto dove si giudicano gli avvocati locali per essersi proposti, mentre l'omertà cala per gli avvocati forestieri non eccelsi come Franco Coppi, tanto da essere conosciuti e chiamati, e che, stranamente, sono nominati ed appaiono in tutti i processi mediatici.
Ed allora se condanna deve essere, condanna sia, evitandoci una inutile perdita di tempo e di spreco di denaro pubblico.
Sabrina Misseri da 4 anni e 7 mesi è in carcere. Intanto gli imputati aumentano e nessuno critica il fantasioso e poco logico impianto accusatorio...scrive il 12 maggio 2015 Massimo Prati sul suo blog “Arbatros. Volando Contro Vento”. Il 15 ottobre 2010 Sabrina Misseri fu arrestata e portata al carcere di Taranto. Aveva 22 anni e la procura l'accusava di aver ucciso sua cugina Sarah in base alle parole dette da suo padre - in quello stesso giorno - durante uno stranissimo interrogatorio iniziato col primo sole in cantina e finito la sera in caserma. Un interrogatorio in parte registrato in cui si nota, già alle otto di mattina, lo stato psichico debilitato dell'allora reo-confesso, come si evince dalle riprese video, e la presenza di un avvocato difensore che incita il suo cliente, prospettandogli un futuro infernale, ad assecondare i procuratori. Il Gip Martino Rosati confermò la custodia cautelare in carcere, chiesta dai dottori Argentino e Buccoliero, perché, scrisse, la ricostruzione del padre che coinvolge la figlia nel delitto è attendibile. Per la procura e per il Gip, Sabrina Misseri mise in atto un'azione cruenta che durò diverso tempo. Almeno fino a quando Sarah cadde a terra. In pratica, sugli atti scritti dal Gip, venti pagine che ricalcavano la ricostruzione della procura e la chiamata in correità, ancora oggi è scritto che "si è trattato di un'azione preordinata, probabilmente giunta ad esiti più gravi di quelli programmati... un evento scaturito da un empito improvviso... un'azione cruenta protrattasi per lungo tempo durante il quale, almeno finché Sarah non è caduta esanime al suolo, Sabrina l'ha tenuta e le ha impedito di muoversi. Secondo il giudice Rosati Sarah arrivò a casa Misseri alle 14.28, lo dimostra lo squillo fatto al cellulare della cugina, il segnale convenuto per dirle che era arrivata e non che stava uscendo. L'omicidio - sempre per il Gip Martino Rosati - è avvenuto in sette minuti: nello spazio ricavato fra gli sms inviati dal cellulare di Sabrina fra le 14.28 e le 14.35. Visto quanto affermava la procura e avvalorava il Gip coi suoi atti firmati, il 15 ottobre 2010 Michele Misseri era una persona attendibile anche quando rispondeva non capendo le domande e unendo a fatica le parole. In fondo, per capirlo basta ascoltare gli interrogatori (sia quello in cantina in cui sin dall'inizio invece di farsi mostrare il modus operandi dell'omicidio gli si chiese di dire chi l'aveva aiutato, sia quello a cui fu sottoposta Sabrina Misseri a fine settembre), non era il padre ma sua figlia che gli inquirenti da tempo volevano sulla scena dell'omicidio. E che Michele Misseri inserendola fosse diventato più che attendibile, lo dimostra il fatto che la procura neppure ordinò di perdere una mezza giornata per fare un paio di indagini prima di arrestare la ragazza (è bene ricordare che era incensurata), giusto per verificare se quanto asserito dal padre (che ad oggi neppure ricorda di averlo asserito) avesse una minima base logica. Michele Misseri quel 15 ottobre era talmente credibile che si ordinò l'arresto di sua figlia seduta stante, senza ulteriori indagini e senza tentennamenti. Ma anche oltre quella data per i procuratori rimase molto attendibile. Lo fu per altri 35 giorni, fin quando modificando versioni inseriva sempre più la figlia nella scena del crimine. L'avvocato difensore di Misseri, scelto per lui da un procuratore (come uscito a processo), parlava al suo assistito in carcere e poi chiamava in procura e tutti accorrevano... anche abbandonando i processi in corso. Tutto questo durò fino al 19 novembre, quando in un incidente probatorio - assurdo e stranamente accettato da giudici e avvocati - il contadino disse che l'omicidio l'aveva commesso Sabrina durante un gioco chiamato "del cavalluccio". Pertanto è lampante come Michele Misseri per i procuratori non fosse un bugiardo patentato quando accusava sua figlia. In quei casi, come affermò più volte il suo avvocato che in schermo disse anche di sentirsi un suo figlio putativo, era un uomo genuino che aveva imboccato un percorso spirituale (verso la redenzione) per cercare di tornare sulla retta via. Questo nonostante avesse dichiarato ai giudici che Sarah era morta per sbaglio durante un gioco. Roba da chiodi che venne accolta come manna dal cielo e restò tale fin quando un televisore fece capolino nella cella del contadino che sino a quel momento era stato isolato dal resto del mondo. Come dice lo stesso Michele Misseri, gli bastò guardare un paio di programmi televisivi "doc" per pensare: "Che strano, io all'avvocato ho sempre detto di aver ucciso Sarah da solo. E lui, dopo avermi consigliato la strada migliore da percorrere, strada che ho seguito punto per punto anche nell'incidente probatorio, si presenta nelle varie reti nazionali per dire che ancora non sto raccontando tutta la verità? E fu per quei programmi televisivi - che prima di allora gli vietavano di guardare - che iniziò a ragionare in maniera diversa da quella cui l'avevano abituato in quel mese e mezzo di isolamento. E fu per quanto ascoltò in video che iniziò a spedire lettere in cui scagionava la figlia, le chiedeva scusa e accusava "qualcuno", che ora sappiamo essere proprio il suo ex avvocato e successivamente anche la consulente che lo affiancò, di averlo pilotato e portato a cambiare la versione iniziale con la promessa che in poco tempo tutto si sarebbe risolto al meglio. Da quel momento in poi chiese spesso di essere ascoltato dalla procura (inizialmente in assenza del suo legale) ma nessuno, dopo essere corsi alla sua cella e averlo verbalizzato più volte nei mesi precedenti, volle più ascoltarlo. Tanto che pochi giorni dopo la remissione del mandato al suo avvocato, il dottor Sebastio disse che Misseri non era credibile e la sua testimonianza non serviva perché il quadro probatorio contro sua figlia era chiaro e sicuro anche senza le sue accuse. Embé, scrivendo quelle lettere si era rovinato la reputazione perché, mentre prima seguiva un percorso spirituale verso la verità (quella che pensavano i procuratori) ed era genuino, il totale rovesciamento della testimonianza lo rese un sicuro bugiardo patentato. Ciò che per la procura non era quando - dopo sette testimonianze variamente modificate in un solo mese - si tolse dalla scena del crimine per farla occupare tutta dalla figlia. Quello fu un periodo importante della storia investigativo-giudiziaria perché la procura, nonostante quanto affermato, era in affanno e senza gli "aggiustamenti" del padre non aveva neppure una piccola prova che incastrasse Sabrina Misseri (non che ne abbia trovate di vere poi). Ma i fari degli inquirenti prima della confessione del padre erano puntati sulla ragazza che una linea investigativa credeva "la vera assassina di Sarah". E l'unico che poteva inserirla nel crimine era proprio Michele Misseri che certamente era stato a contatto col cadavere. Da più parti ancora oggi c'è chi crede alla bontà delle indagini non perché la logica porti alla dimostrazione che siano state ottime indagini, ma perché, generalizzando, pensa che la procura non avesse motivo, avendo già un assassino in mano, di perder tempo e passare da un reo-confesso a un omicida diverso. Però chi lo afferma non considera le indagini precedenti a una confessione, fra l'altro giunta come un fulmine a ciel sereno, che non dava soddisfazione a una linea investigativa che invece trovava legittimazione se dimostrava che il padre buono "copriva" la figlia assassina. La linea investigativa, quindi, soddisfatta dagli aggiustamenti portati in campo in un mese e mezzo da Michele Misseri (ma solo nei verbali di interrogatorio e nell'incidente probatorio perché a chiunque lo frequentasse in carcere continuava a ripetere di aver ucciso Sarah da solo), sarebbe caduta a rotoli se si fosse verbalizzata la sua ultimissima versione. Nessuno volle ascoltarla e verbalizzarla, ma lui la mise per iscritto a dicembre 2010 - nelle lettere indirizzate alle figlie - e la confermò varie volte nel 2011. Ed era una versione già conosciuta in procura, perché in effetti il contadino tornò alla sua prima confessione eliminando tutte le modifiche inserite dal 15 ottobre al 19 novembre. In pratica, era la stessa versione accettata a braccia aperte anche dal Gip Martino Rosati (quando avallò la sua carcerazione), la stessa che il 7 ottobre fece dire al dottor Sebastio che il caso era chiuso al 95%. Comunque, da dicembre 2010 in poi - dal momento in cui si capì che Michele Misseri avrebbe rivoltato le carte in tavola - qualcosa cambiò. Giusto in tempo perché in contemporanea il padre iniziò a scrivere le prime lettere alla figlia. Lettere che non si credevano farina del suo sacco e pensando ci fosse un suggeritore occulto si perquisì la sua cella e si sequestrarono anche i più piccoli fogli di carta. Per questo motivo gli fu impedito di inviare altre missive (tutte dovevano prima essere sequestrate e lette dai controllori). E forse per questo motivo a metà gennaio gli impedirono anche di parlare ai difensori di Sabrina di quanto accaduto durante l'omicidio. Uno dei tanti diritti negati alla difesa, una roba mai vista in democrazia e forse neppure in monarchia. A chi non si accontenta dell'apparenza risulta facile fare due più due e domandarsi il motivo per cui proprio in quel periodo vennero "aggiustate" le testimonianze di chi aveva dichiarato di aver visto la ragazzina, sia in casa che per strada, in orari non compatibili con la ricostruzione che stavano realizzando i procuratori. Come risulta facile domandarsi il motivo per cui si anticipò l'orario di uscita di Sarah e l'orario del suo arrivo dai Misseri. Lo stesso orario che per mesi fu verbalizzato e messo agli atti - quale "cosa certa" - dal Gip Rosati che scrisse: "Sarah arrivò a casa Misseri alle 14.28'.26'', quando fece a Sabrina uno squillo sul cellulare come segnale per dirle che era arrivata, non che stava uscendo". E questo, anche se lo squillo può averlo fatto imboccando via Deledda e non proprio quando era di fronte al cancello della villetta, è in effetti l'orario più giusto e logico, visto che in pratica ci dice che Sarah sarebbe uscita di casa sulle 14.25 - subito dopo il messaggio inviatole da Sabrina alle 14.25.08 in cui le scriveva: "Mettiti il costume e vieni". Sarah era già pronta naturalmente, perché sapeva che se non fossero andate con Mariangela al mare sarebbe probabilmente andata comunque con Sabrina. Fu la signora Pisanò a dirlo a processo parlando di quanto accadde la mattina del 26 agosto in casa Misseri. Ma l'orario di uscita, fino a quel momento giusto, cioè le 14.25, dopo la marcia indietro del contadino venne cambiato e portato alle 13.45/13.50. In pratica, se in precedenza all'uscita delle 14.25 corrispondevano venti minuti di vuoto temporale prima del primo passaggio di Sabrina e Mariangela in casa Scazzi (che chiedevano dove fosse Sarah), con la nuova versione tutto si dilatava a dismisura e lo spazio temporale prima dell'arrivo delle due ragazze diventava di un'ora. Il Gip, che in precedenza ne aveva avallato un altro di orario, avallò anche questo senza far caso che fra i venti minuti scarsi dichiarati ad agosto, settembre, ottobre e novembre, e l'ora di assenza stabilita nei verbali firmati a dicembre e a gennaio (sia dalla madre che dal padre che dalla badante), c'era una differenza di circa quaranta minuti. Eppure ci vuol poco a chiedere a un qualsiasi genitore cosa corre fra un orario e l'altro. Ci vuol poco a scoprire che una simile differenza una madre e un padre la notano subito, che non servono molti mesi e più interrogatori per rendersi conto di quanto passa fra un'assenza di venti minuti e un'assenza di un'ora. Perché una cosa è dire "è uscita poco fa per venire da te" e un’altra è dire "è da tanto che è uscita per venire da te". Tre persone erano in casa Scazzi quel 26 di agosto... possibile che tutte e tre non si siano rese conto della differenza che passa fra venti minuti e un'ora? Possibile che abbiano trovato una nuova fresca memoria dopo quattro mesi? Ma forse la colpa fu del "fato"... "o di chi per lui". E forse fu lo stesso "fato" a decidere che per Avetrana dovesse circolare la signora Anna Pisanò. Una buona donna che occupava il suo tempo libero intrecciando pubbliche relazioni ad ampio raggio o girando per la zona con un registratore fornitole dai carabinieri autorizzati dalla procura. Una donna che fra una registrazione e l'altra si dilettava a frequentare giornalisti e programmi televisivi. Fu lei a dar per certo, non subito ma a troppi giorni di distanza dall'evento, ciò che solo lei disse di aver sentito dire a Sabrina Misseri. Fu lei che grazie a una confidenza della figlia parlò ai procuratori di un sogno, destinato poi a diventare parte basilare della nuova ricostruzione accusatoria, e di un fiorista che mai avrebbe voluto essere coinvolto per cause oniriche. Fiorista che da incensurato inesperto di interrogatori e interroganti, fu interrogato a modo scoprendosi nudo di fronte alla forza di persuasione che si è soliti usare durante le lunghe stesure dei verbali. Fiorista che quando si accorse di aver dato per vero ciò che vero non era, coraggiosamente fece marcia indietro. Ma a Taranto non tutti possono far marcia indietro, non tutti possono cambiare le carte ormai in tavola - anche se sono bianche e senza significato. E pensare che per credergli sarebbe bastato chiedersi il motivo di quella retromarcia e rendersi conto che fra la sua famiglia e la famiglia Misseri non c'era alcun tipo di rapporto o contatto. Insomma: per quale strano motivo avrebbe dovuto coprire gli autori di un sequestro, mentire di proposito, passare mille guai e far condannare i suoi parenti? Non essendoci alcun tipo di motivo sarebbe stato facile stabilire che la verità non si trovava sul primo verbale - nato dal chiacchiericcio accettato per vero da chi interrogava - ma sul successivo. Purtroppo a Taranto per alcuni vale ancora la famosa frase di Mike Buongiorno, la prima risposta è quella che conta, mentre per altri, e mi riferisco ai testimoni dell'accusa (a partire dai familiari di Sarah per arrivare al signor Petarra), vale il detto "più passano i mesi più i ricordi sono migliori". In pratica, chi ha indagato sulla morte di Sarah Scazzi ha fatto una cernita decidendo che a pari comportamento corrispondono diverse credibilità. Credibili sono diventati quelli che dal non sapere nulla, o non ricordare, sono passati al sapere tutto così da avallare la ricostruzione accusatoria. Incredibili gli altri che raccontano balle e andranno tutti a processo per falsa testimonianza. Ed ecco che ad oggi chi non ha seguito la linea accusatoria si trova o condannato o imputato. I parenti del fiorista, che sapevano di un sogno e di un sogno hanno parlato a processo, sono stati condannati in Assise, mentre chi nello stesso processo è rimasto neutro o ha parlato a favore dell'imputata, in questi giorni ha ricevuto la letterina della procura che li informa di essere nei guai e di trovarsi un avvocato. Fra i dodici nuovi imputati ci sono anche le zie di Sabrina Misseri e gli amici che vedevamo spesso in televisione: Ivano Russo e Alessio Pisello. Gli stessi che come Sabrina Misseri si son sbattuti l'anima per cercare Sarah, quelli che mentre la procura credeva che la ragazzina fosse "scappata di casa" ribadivano a gran voce di non credere a una fuga volontaria. Insomma, per i procuratori ad Avetrana ci sono persone che non la raccontano giusta. Peccato che la logica pare volerci dire che anche a Taranto c'è chi non la racconta giusta. Basta aver seguito il processo di primo grado per capirlo. Facciamo la prova del nove. Mettiamoci in posizione neutra e chiediamoci perché indagare tante persone per falsa testimonianza e non inserire nella lista anche la signora Anna Pisanò. Lei a processo raccontò una falsità enorme dicendo che il nome di chi aveva assistito al sequestro di Sarah non l'aveva fatto il giorno in cui si presentò in procura a parlarne perché ancora non lo sapeva. Disse che lo fece il giorno successivo, quando si ripresentò, perché quel giorno invece lo sapeva. Ma questa è una bugia, perché già durante l'interrogatorio aveva più volte ribadito che sua figlia il nome glielo aveva confermato tanti giorni prima mentre l'accompagnava all'aeroporto. Che senso ha avuto, dunque, la sua prima "visita onirica" in procura? Perché non ha ricevuto, come gli altri, la letterina? E perché non è stato accusato di falsa testimonianza anche il signor Petarra? Lui affermò di essere rimasto a pulire il marciapiede, quindi in strada, sino alle 15.30. Ma è pacifico che in quell'orario non fosse affatto sul marciapiede a pulire, visto che né Mariangela Spagnoletti né sua sorella lo videro quando dalle 14.45 alle 15.00 parcheggiarono per alcuni minuti, per ben tre volte, in via Verdi col muso dell'auto rivolto verso la sua casa. Quando per ben tre volte di fronte a quella stessa casa transitarono assieme a Sabrina per tornare in via Deledda. Dov'era in realtà il signor Petarra? Cosa stava facendo nell'orario in cui Sarah scomparve dopo essere passata a piedi di fronte a casa sua? Perché ha detto che i ricordi si sono rinforzati quando ha ricordato che sua moglie doveva andare a lavorare per le quattordici... quando invece chi le dava il lavoro (solo un'ora e trenta di pulizie a settimana) a processo dichiarò che la signora Petarra non aveva alcun orario da rispettare e di solito andava quando le pareva? Approfondire! Approfondire! Direbbe ai poliziotti un magistrato che conosco bene. Per cui, siccome una giustizia giusta deve essere paritaria, non solo i testimoni della difesa devono rischiare una condanna per falsa testimonianza. Tutte le persone che testimoniano il falso dovrebbero venir incriminate e condannate. Se la giustizia è uguale per tutti, la procura di Taranto deve darsi da fare e ampliare la propria vista, non osservare solo ciò che l'ha infastidita durante le indagini e il processo. Ci sono incongruenze enormi? Ed allora si indaghi su tutti e si cerchi di capire. In caso contrario bisogna ritenere che almeno una parte dei procuratori di Taranto usi il potere per come la pensa e non per come andrebbe usato. E a dire il vero ci sono prove che dimostrano come in varie occasioni si siano induriti sulla loro idea senza considerarne altre. Una su tutte, ma ce ne sono diverse, quando portarono a processo e fecero condannare Domenico Morrone (assolto dopo quasi quindici anni) e chi testimoniò in suo favore (testimonianze non false ma veritiere vista la successiva assoluzione). Guarda caso la stessa identica linea giudiziaria che si sta usando coi testimoni del processo Scazzi che non si sono schierati con la ricostruzione accusatoria. Ma se la legge è paritaria e uguale per tutti, oltre agli stessi testimoni dell'accusa indicati in precedenza anche i procuratori dovrebbero rispondere delle loro azioni e venire indagati e imputati da altre procure se le loro indagini e conclusioni si scoprissero unilaterali con una ricostruzione accusatoria palesemente sbagliata o troppo forzata. Così anche i Gip che avallano le diverse conclusioni senza verificarle, i Gup che autorizzano processi senza prove e i giudici che senza prove condannano. Sarebbe un modo nuovo di fare giustizia, ma buono a farci capire chi sia in realtà che la racconta giusta. Perché troppe versioni dimostrano che troppe cose non tornano. E per restare a Taranto c'è già da porsi la domanda: "Chi ha cambiato più volte la propria versione, risultando quindi meno credibile, Sabrina Misseri o chi la accusa?" Vediamo le versioni opposte partendo dai procuratori e dal Gip che, pur rimasti all'ombra di una stampa troppo spesso allineata, hanno cambiato più volte le carte in tavola.
Prima versione: il colpevole è il solo Michele Misseri.
Seconda versione: il colpevole è sempre il Misseri ma è stato aiutato di sua figlia Sabrina.
Terza versione: il colpevole è la sola Sabrina Misseri e il padre l'ha solo aiutata.
Quarta versione: il colpevole è la sola Sabrina Misseri, ha ucciso per sbaglio durante il gioco del cavalluccio (sempre in garage) e suo padre dormiva.
Quinta versione: il colpevole è Sabrina Misseri, ma ha ucciso in casa durante un litigio.
Sesta versione: il colpevole è Sabrina Misseri che prima di uccidere è salita sull'auto guidata da sua madre per rincorrere Sarah per le vie di Avetrana. Sua madre ha poi partecipato al crimine non impedendo il delitto.
Insomma, un bel movimento di versioni e ricostruzioni che minerebbero la credibilità di chiunque. Perché non quella della procura di Taranto? Perché non ha colpa essendosi spesso adagiata alle varie versioni di Michele Misseri? Ma che significa "non ha colpa"? Colpa ne ha per forza perché prima di legittimarle avrebbe dovuto verificarle in maniera professionale. Se Misseri avesse detto che ad uccidere Sarah era stato il sindaco di Avetrana, avrebbero arrestato il sindaco senza fare indagini o avrebbero prima cercato riscontri alle parole del contadino? Chiaramente avrebbero cercato riscontri. Ed allora perché non si son cercati anche il 15 ottobre 2010, prima di arrestare Sabrina Misseri? Meglio andare oltre e analizzare la versione di chi da quattro anni e sette mesi è in carcere e non si vuole che esca. Prima di tutto c'è da sottolineare come nel tempo non sia mai cambiata. Lei ha sempre detto di essersi stesa sul letto dei suoi genitori in attesa del messaggio dell'amica Mariangela - e sua madre ha confermato di averla trovata a riposare. Ma Cosima è coimputata, quindi la ragazza non ha alibi? No, l'alibi ce l'ha. Glielo forniscono i tabulati telefonici del pomeriggio del 26 agosto 2010 - tabulati che riportano la sequenza di sms intercorsi tra lei, Mariangela, Sarah e un'altra amica. Questa sequenza:
ore 14.23'.31" da Mariangela a Sarah "Il tempo di mettermi il costume e vengo;"
ore 14.24'.03" da Sabrina a Mariangela "Avverto Sarah?";
ore 14.24'.15" da Mariangela a Sabrina "Ok";
ore 14.25'.08" da Sabrina a Sarah "Mettiti il costume e vieni";
ore 14.28'.13" da Sabrina a Sarah "Hai letto il messaggio?";
ore 14.28'.26" Sarah effettua lo squillo sul cellulare di Sabrina;
ore 14.28'.40" da Sabrina a Mariangela "Sto tentando in bagno :)";
ore 14.31'.44" da Angela Cimino a Sabrina "Allora oggi il trattamento non si fa?";
ore 14.35'.37" da Sabrina a Angela Cimino "No, non si fa";
ore 14,39'.31" da Sabrina a Mariangela "Sono pronta".
Ora, ai tempi scritti sui tabulati aggiungiamo un altro orario: ore 14.18' sms da Francesca a Sarah. Questo sms, che non ha ricevuto risposta, per la procura dimostra che Sarah è morta prima delle 14.18. Ed allora, se è morta prima di quell'orario, per verificare quanto sia logica la ricostruzione accusatoria ammettiamo pure che il Petarra non si sia confuso, che abbia ricordato giusto e visto Sarah andare verso via Kennedy sulle 13.50. Ammettiamo quindi che Sarah sia arrivata dai Misseri prima delle 14.00 - anche se sul tabulato telefonico non risulta lo squillo che inviava di solito al momento del suo arrivo pomeridiano (e tutti sanno che se non c'era nessuno fuori lo inviava, anche suo fratello come ha chiaramente testimoniato a processo). Detto questo, abbiamo uno spazio temporale che va dai venti ai ventitré minuti. Un lasso di tempo ristretto in cui, basandosi sulla ricostruzione accusatoria, devono per forza essersi compiute svariate azioni. Proviamo a metterle in fila assecondando l'accusa, quindi senza aggiungere quei tempi logici che prevedono, prima di un simile delitto, il montare di una rabbia cieca che sfoci in un'ira incontrollata. Restiamo scarni come se durante l'omicidio non si fossero provate emozioni di alcun tipo e vediamo cosa accade ad ogni azione.
Prima: Sarah alle 13.56 arriva di fronte alla villetta dei Misseri. Per facilitare pure in questo caso la ricostruzione accusatoria - quindi per accorciare i tempi - accettiamo anche che trovi la cugina ad attenderla sulla veranda (pur se il fatto si mostra illogico visto che non l'aveva avvisata del suo arrivo) e che senza perdite di tempo con lei entri nella casa degli zii.
Seconda: Sabrina inizia subito a rinfacciare a Sarah le sue fantasie adolescenziali su Ivano (per pensare che sia così dovete abbandonare la logica e non ricordare che le due cugine erano state insieme fino a un'ora prima e che Sarah a casa sua non si era poi mostrata né preoccupata né tesa). Sulle 14.00 il tutto si inasprisce e parte una sorta di aggressione verbale pesante che dura pochi minuti ma che impaurisce Sarah come mai si era impaurita.
Terza: Sarah alle 14.05 scappa dalla casa degli zii (anche se è strano che abbia reagito in questa maniera visto che tutte le testimonianze ci dicono che quando Sabrina la sgridava lei restava in silenzio senza muoversi o reagire).
Quarta: Cosima e Sabrina alle 14.07 si infilano le scarpe al volo ed escono per salire in auto e inseguirla.
Quinta: Cosima zigzaga fra i sensi unici di Avetrana, indovina con fortuna le strade e individua la posizione raggiunta dalla nipote. Alle 14.11 la blocca e senza pensare che qualcuno possa sentirla o vederla le intima di salire in auto.
Sesta: Sarah alle 14.12 si trova in strada, sotto le finestre aperte di diverse abitazioni, vede il fiorista passare lentamente coi finestrini abbassati (come lo vedono Sabrina e Cosima) ma non urla, non fa nulla, non chiede aiuto e nonostante la paura che poco prima l'ha convinta a scappare dalla casa degli zii sale in auto per tornarvi.
Settima: Senza perdere tempo, alle 14.13 Cosima risale nuovamente sulla vettura, ancora zigzaga per Avetrana e ritorna con l'auto in via Deledda.
Ottava: Alle 14.17 le tre rientrano in casa senza che Sarah dica o faccia nulla.
Nona: Sabrina, senza avviare nessuna discussione e senza gridare, alle 14.18, incurante del messaggio che arriva sul cellulare della cugina e del fatto che il fiorista abbia visto sua madre obbligarla a salire in auto, va in camera e prende una cintura perché ha deciso di ucciderla e non gli frega nulla del testimone che può incastrarla.
Decima: Vabbè, Sarah non è morta prima dell'orario indicato dalla procura, ma andiamo avanti perché qualche limata ai tempi suddetti si può anche ipotizzare e perché potrebbe comunque morire subito dopo e restare all'interno di una logica ricostruttiva. Perciò alle 14.19 Sabrina torna in cucina, o in sala. Sarah è ancora lì con la zia e lei le stringe al collo la cintura per qualche minuto e la uccide senza che la piccola si ribelli urlando o faccia nulla per impedirglielo.
Undicesima: Sarah è a terra morta e Sabrina non ha né tremori né sensi di colpa. Alle 14.23'.31'' riceve il primo messaggio di Mariangela. Ecco, Sarah è stata uccisa nel modo pensato dall'accusa. Nessuno scrupolo o sentimento da parte di chi per anni l'ha accudita sono entrati nella scena del crimine. Solo odio puro come se i protagonisti avessero vissuto insieme ma disprezzandosi l'un l'altro. Certo, per condannare all'ergastolo una persona incensurata non basta una ricostruzione del genere che, se vagliata con logica e buonsenso, pare più cinematografica che reale. Inoltre a invalidarla c'è lo squillo successivo che alle 14.28 parte dal cellulare di Sarah. Uno squillo che lega le mani alla procura fin quando non decide di calare l'asso del "depistaggio". In pratica, tutte le azioni che seguono l'omicidio per la procura sono parte di un piano mentale elaborato da Sabrina Misseri per far credere agli inquirenti di avere un buon alibi. Continuiamo quindi l'elenco e vediamolo questo asso, queste sicure azioni di depistaggio capaci di inventare un alibi.
Dodicesima: Sabrina, senza tremori né dolori, nonostante abbia stretto una cintura al collo della cugina per diversi minuti, calma come se avesse ucciso una zanzara, è eccezionalmente veloce e in soli 32 secondi riesce sia a leggere il messaggio inviatole da Mariangela, sia a decidere di crearsi un alibi sia a scrivere e inviare un sms in cui chiedere se può avvertire Sarah. Il tutto accade dalle 14.23'.31'' alle 14.24'.03'' - in soli 32 secondi, per l'appunto.
Tredicesima: Sabrina è anche fortunata, perché Mariangela le risponde subito (se non le avesse risposto non avrebbe potuto inviare un sms al cellulare di Sarah). Ed ecco che alle 14.25'.08'' parte il primo messaggio a cui Sarah non può rispondere perché per la procura è già morta.
Quattordicesima: Il cadavere è steso sul pavimento e bisogna occultarlo. Così Sabrina scende in garage e chiede a suo padre di occuparsene. Poche parole perché non c'è tempo da perdere. Lui non fa una piega e non discute l'ordine impartitogli. Questa azione si svolge in soli tre minuti, ma pur se corta ha impedito a Sabrina di inviarsi lo squillo di conferma col cellulare della cugina. Ma lei lo squillo lo faceva sempre, per questo è obbligata ad inviare un ulteriore sms. Sono le 14.28'.13''.
Quindicesima: Il messaggio arriva al cellulare di Sarah, già nelle mani di Sabrina che in un batter d'occhio lo aziona e si invia uno squillo. Sono le 14.28'.26'' e per la procura quello squillo partito dal cellulare di Sarah è stato inviato da Sabrina Misseri per depistare le indagini.
Sedicesima: La velocità mentale di Sabrina è incredibile. Per questo non appena inviato lo squillo lancia il cellulare di Sarah a suo padre e in un lampo decide di inventarsi cosa scrivere e di scrivere un sms che ritardi l'arrivo di Mariangela. Occhio ragazzi, come direbbero quei "maghi" che ingoiano le spade in pubblico, questa magia potrebbe risultare pericolosa e vi invito a non tentarla perché non è facile pensare a cosa scrivere e dopo averlo pensato scriverlo e inviarlo tramite sms in soli 14 secondi. Infatti a Mariangela (che fortunatamente non è ancora pronta perché nel caso fosse giunta subito in via Deledda sarebbe stato il caos) il messaggio lo riceve alle 14.28'.40''.
A questo punto credo sia inutile andare avanti. Credo che per ogni persona dotata di logica sia lampante che la ricostruzione della procura sul depistaggio in grado di creare un alibi perfetto vada aldilà di ogni umana possibilità mentale e fisica. Credo che abbia ragione il dottor Coppi quando dice che l'alibi di Sabrina è inattaccabile. Credo che basterebbe anche poca logica e poco buonsenso per capire che non ci sono indizi colpevolisti, né gravi né concordanti, che si adattino a una Sabrina Misseri assassina. E soprattutto, credo che non sia giusto tenere in carcere più persone incensurate, in attesa di un verdetto definitivo, senza avere in mano vere prove. Perché ci sarebbe anche da capire il motivo per cui Cosima Serrano è in carcere... qualcuno per caso lo sa?
PERCHE’ STAMPA E TV TACCIONO SULLA BRUZZONE?
La domanda è sorta spontanea al dr Antonio Giangrande che sulla vicenda di Avetrana ha scritto il libro ed il sequel “Sarah Scazzi. Il Delitto di Avetrana, Il resoconto di un Avetranese”. Questione importante, quella sollevata da Antonio Giangrande, in quanto se fondata, mette in una luce diversa il rapporto tra la stessa dr.ssa Bruzzone e Michele Misseri, suo accusatore.
Veniamo alla notizia censurata dai media.
La criminologa Roberta Bruzzone vittima di stalking, si legge su “ net1news” dal 12 gennaio 2015. “La criminologa e psicologa Roberta Bruzzone ha denunciato il suo ex fidanzato per stalking. Proprio grazie alla sua professione, la donna si è spesso occupata di vittime di molestie e persecuzioni e mai forse avrebbe pensato di vivere tutta quell’angoscia in prima persona. Roberta Bruzzone che conduce una trasmissione sul canale tematico del digitale terrestre “real time” è ormai un volto noto essendo spesso ospite nei salotti televisivi in qualità di esperta della materia. La donna è però entrata a far parte della folta schiera di vittime di molestie. A perseguitarla, l’ex fidanzato, appartenente alle forze dell’ordine che dopo una relazione durata cinque anni, chiusasi nel 2008 ha cominciato a tormentarla. Telefonate, sms, ma anche pedinamenti e agguati veri e propri: “E’ arrivato a puntarmi una pistola alla tempia – ha confessato la criminologa – è pericoloso”. La Bruzzone ha denunciato il suo ex per ben sette volte. L’uomo ha anche diffuso calunnie sul suo conto via internet. Ora pare le cose vadano meglio. Sulla questione ci sono degli aggiornamenti. A riferirle a Net1 News tramite raccomandata sono i legali dell’interessato, secondo cui la dottoressa Bruzzone per le sue dichiarazioni ai media è stata rinviata a giudizio per diffamazione aggravata: la prima udienza del processo è stata fissata per quest’anno. Al processo, sempre secondo quanto riferisce la raccomandata ricevuta, si costituiranno parte civile alcune associazioni a tutela delle donne.”
A quanto pare l’interessato, che sembra abbia presentato varie controquerele, si lamenta del fatto che il perseguitato è proprio lui e che ciò sia fatto per screditarlo dal punto di vista professionale, perché entrambi i soggetti svolgono la stessa professione, anche con comparsate in tv.
Visionando l’atto pubblico si anticipa già che il processo a carico della Bruzzone avrà vita breve. Non perché non sia fondata l’accusa, la cui fondatezza non mi attiene rilevare, ma per una questione tecnica. I tempi adottati per la fissazione della prima udienza e il fatto che vi è un errore di procedura da parte del Pm (non si è rilevato il possibile reato di calunnia continuato e comunque il reato di atti persecutori, stalking, e quindi si è saltata la fase dell’udienza preliminare) mi porta a pensare che la prescrizione sarà l’ordinario esito della vicenda italica. Comunque un Decreto di Citazione a Giudizio diretto presso un Tribunale Monocratico contiene già di per se il seme del dubbio sul carattere della persona incriminata. Sospetto insinuato proprio da un magistrato e per questo credibile, salvo enunciazione di assoluzione postuma.
A me non interessa la vicenda in sé. Sarà la magistratura, senza condizionamenti, a decidere quale sia la verità. E sarà, comunque, la persona offesa dalla diffamazione in oggetto a dire la sua anche sul comportamento di alcuni organi di stampa citati in querela. Il professionista, noto perché svolge la stessa professione della Bruzzone, non cerca pubblicità, anche se, per amor di verità, è citatissimo sul blog di Roberta Bruzzone. In questa sede una cosa, però, mi preme rilevare. Dove sono tutti quei giornalisti che per la Bruzzone si stracciano le vesti, riportando a piè sospinto su tutti i media ogni sua iniziativa, mentre questa notizia del suo rinvio a giudizio non è stata ripresa da alcuno? Che ciò possa inclinare la sua credibilità e minare l’assunto per il quale Michele Misseri non abbia avuto alcun condizionamento nell’accusare la figlia Sabrina?
Oltre tutto la dr.ssa Bruzzone non ha gli stessi trattamenti di riguardo in Fori giudiziari che non siano Taranto.
A scanso di facili querele si spiega il termine “di riguardo” usato, riportandoci alle dichiarazioni del 19 marzo 2013 fatte dall’avv. di Sabrina Misseri, Franco Coppi: «Come si può definire priva di riscontri la confessione di un uomo che fa trovare il cadavere e il telefonino della vittima?», ha detto ancora Coppi. «Le motivazioni della successiva ritrattazione - ha aggiunto - rivalutano la confessione di Misseri come unica verità. La confessione del 6 ottobre 2010 spiazza i pubblici ministeri che già si erano affezionati alla pista che porta a Sabrina Misseri. Mi chiedo se quel metodo di indagine non sia contrario allo spirito del codice di procedura penale. I mutamenti di versione da parte di Michele avvengono quasi sempre dopo sospensioni di interrogatorio e su richiesta del difensore, anche con qualche aiuto involontario di quest'ultimo». Esempio, ha detto Coppi, l'interrogatorio in carcere di Michele Misseri del 5 novembre 2010, in cui l'agricoltore accusa la figlia Sabrina del delitto, e «al quale non si comprende a quale titolo partecipa la criminologa Roberta Bruzzone quale consulente di parte». «Michele è scaltro - ha aggiunto - e coglie l'occasione per accusare la figlia. C'è stata un'opera di persuasione efficace nei suoi confronti. E poi perché non dice nulla su quello che per gli inquirenti sarebbe il vero movente dell'omicidio, non dice nulla sull'arrivo di Mariangela, sulla moglie, e non basta dire, come fanno i pubblici ministeri, che lui non sapeva nulla perché non era in casa al momento del delitto».
Ecco, quindi, che a proposito dei diversi trattamenti riservati a Roberta Bruzzone si cita Savona. A Savona il tanto atteso colpo a sorpresa della parte civile non è arrivato, scrive “Il Secolo XIX”. Anzi. L’irruzione nel processo per il delitto di Stella della notissima criminologa genovese Roberta Bruzzone, è stato bloccato sul nascere dal giudice delle udienze preliminari Emilio Fois che ha respinto l’istanza del legale di Andrea Macciò, ucciso con un colpo di fucile al cuore il 13 dicembre 2013 da Claudio Tognini, di un incidente probatorio per la verifica dello stato dei luoghi dove si è consumato il dramma. L’obiettivo della parte civile sarebbe stato quello di cercare tracce ematiche nella cucina di Alessio Scardino, il proprietario del fucile che ha sparato e dell’alloggio, per arrivare ad una nuova ricostruzione dei fatti. Se il pubblico ministero Chiara Venturi non si è opposta alla richiesta, ci ha pensato il giudice a rigettarla.
Vittima di stalking denuncia la criminologa Bruzzone. Marzia Schenetti, parte offesa a processo contro l'ex fidanzato, si è sentita diffamata da una lettera della nota criminologa ora agli atti della causa di Tiziano Soresina su “La Gazzetta di Reggio”. Due donne contro, di cui una a dir poco famosa visto che è spesso ospite di Bruno Vespa nel suo programma televisivo “Porta a porta”. Stiamo parlando della criminologa 41enne Roberta Bruzzone che, a partire da febbraio, dovrà affrontare un processo (davanti al giudice di pace) per diffamazione, visto che è stata denunciata dall’imprenditrice toanese 48enne Marzia Schenetti, conosciuta da tempo per la sua battaglia legale contro l’ex fidanzato Rodolfo “Rudy” Marconi che accusa di stalking. Il processo è ancora in corso, ma è proprio nell’udienza del 17 maggio 2013 che “esplode” questa vicenda. Le due professioniste si erano conosciute stando dalla stessa parte della barricata, cioè aderendo entrambe all’Associazione costituita per offrire sostegno e tutela alle donne vittime di violenza. E’ in quest’ambito che fra le due nascono delle frizioni, talmente poco edificanti da finire a carte bollate. In questo clima avvelenato “piomba” – nel processo in cui la Schenetti è parte offesa come vittima di stalking – una lettera della criminologa che viene depositata agli atti dal legale di Marconi. Secondo il capo d’imputazione in quella lettera si offende la reputazione dell’imprenditrice di Toano che viene definita “soggetto alquanto discutibile che ha mostrato, in una serie innumerevole di occasioni, la propensione a mentire e manipolare fatti e circostanze al solo scopo di danneggiare le persone verso cui nutre rancore”. Giudizi sulla Schenetti che diventano vere e proprie rasoiate: “Del tutto inadatta a cimentarsi con un tema così delicato e complesso come la violenza sulle donne e sui minori, persona con problematiche personologiche incline a distorcere e mistificare la realtà, al solo scopo di recare danni a soggetti che non erano disposti ad assecondarne le sue irrealistiche aspettative di fama, successo e arricchimento personale o che, come nel caso della scrivente – rimarca la criminologa – avevano la colpa di metterla in secondo piano». Con l’ultimo deciso affondo: “Persone come la Schenetti rappresentano un gravissimo ostacolo per le vere vittime di violenza e che il Marconi è stato raggiunto da una serie di false accuse, costruite a tavolino allo scopo di poter permettere alla presunta vittima di sfruttare biecamente la sua condizione ed ottenere così visibilità mediatica”. La Schenetti, tramite l’avvocatessa Enrica Sassi, ha denunciato per diffamazione la criminologa e di recente il giudice di pace ha respinto la richiesta di proscioglimento avanzata dal difensore della Bruzzone, fissando le date del processo. «In realtà la diffamata sono io – replica la nota criminologa – e ho denunciato la Schenetti in procura a Roma. Testimonierò nel processo e, atti alla mano, spiegherò come stanno veramente le cose. Quella lettera è il mio pensiero e ritengo di avere agito in buona fede».
La criminologa tv finisce a processo. Roberta Bruzzone imputata per diffamazione. Tra i testimoni anche il generale Luciano Garofano, ex comandante dei Ris. Lei: «La vera vittima sono io» di Benedetta Salsi su “Il Resto del Carlino”. Dalle poltrone bianche di Bruno Vespa, alle aule del tribunale di Reggio. Roberta Bruzzone, 41 anni, la fascinosa criminologa forense, si trova ora catapultata nella prospettiva opposta: imputata per diffamazione nei confronti di una reggiana, presunta vittima di stalking. Tutto accade il 17 maggio del 2013, nel bel mezzo di un delicato processo per stalking, e ruota attorno a una lettera che è stata inviata dalla Bruzzone all’avvocato difensore di Rodolfo Marconi, poi letta ad alta voce in aula ed entrata nel fascicolo. Per questo è accusata di «aver inviato una missiva diretta a più persone — si legge nel capo di imputazione — nella quale offende la reputazione della donna, che definisce ‘soggetto alquanto discutibile che ha mostrato la propensione a mentire e manipolare fatti e circostanze’». E ancora: «Del tutto inadatta a cimentarsi con un tema così delicato come la violenza sulle donne e sui minori». Il riferimento, diretto, è a un’associazione contro le vittime di violenze alla quale avevano aderito sia la presunta parte offesa sia la Bruzzone. In quel contesto era nato uno screzio fra le due donne, sfociato poi in querele e controquerele. Quella lettera, però, viene acquisita dall’avvocato Enrica Sassi e ne parte una citazione diretta al giudice di pace; poi un processo, proprio nei confronti della Bruzzone. Nella missiva, infatti, il personaggio tv ribadiva come la parte civile di quel processo fosse «incline a distorcere la realtà, al solo scopo di recare danni a soggetti che non erano disposti ad assecondarne le sue irrealistiche aspettavate di fama, successo e arricchimento personale». Non solo. Avrebbe anche aggiunto, nero su bianco, che i soggetti come lei «rappresentano un gravissimo ostacolo per le vere vittime di violenza». L’ipotesi di reato, dunque, è diffamazione. Il giudice di pace, mercoledì, ha respinto la richiesta di proscioglimento avanzata dal difensore della Bruzzone, Emanuele Florindi, e ha fissato le date delle prossime udienze: 4, 11, 18 e 25 febbraio. Tra i testimoni della parte offesa, c’è poi un altro personaggio di spicco: il generale in congedo Luciano Garofano, ex comandante dei Ris. Ma la Bruzzone, combattiva più che mai, si difende: «Si tratta di un ricorso diretto al giudice di pace che non ha avuto nemmeno il vaglio del pm — incalza —. Lei mi accusa in maniera falsa e infondata ed è stata a sua volta querelata da me. Quella lettera era stata mandata in virtù di consulente esperta, chiamata dal suo avvocato. Da sempre porto avanti una battaglia contro le finte vittime di stalking e questo mi pare uno di quei casi». Promette, anche, che arriverà qui, a spiegare le sue ragioni: «Io verrò a Reggio e sarò sottoposta a esame, come ho richiesto: intendo dimostrare a tutti chi è questa donna: una persona a caccia di visibilità, che non ha ottenuto in altro modi». Una prima udienza davanti al giudice di pace di Reggio Emilia piena di tensioni, perché la nota criminologa 42enne Roberta Bruzzone ha subito inteso replicare per le rime all’accusa per diffamazione mossagli dall’imprenditrice toanese 49enne Marzia Schenetti, conosciuta da tempo per la sua battaglia legale contro l'ex fidanzato Rodolfo "Rudy" Marconi che accusa di stalking, scrive Tiziano Soresina su “La Gazzetta di Reggio”. Il processo è ancora in corso, ma è proprio nell'udienza del 17 maggio 2013 che "esplode" questa vicenda. Le due professioniste si erano conosciute stando dalla stessa parte della barricata, cioè aderendo entrambe all'Associazione costituita per offrire sostegno e tutela alle donne vittime di violenza. E' in quest'ambito che fra le due nascono delle frizioni, poi "piomba" - nel processo in cui la Schenetti è parte offesa come vittima di stalking - una lettera della criminologa che viene depositata agli atti dal legale di Marconi. Secondo la procura in quella lettera si offende la reputazione dell’imprenditrice di Toano, da qui la denuncia ora sfociata nel processo. Ieri la criminologa ha dato battaglia solo davanti ai cronisti (verrà sentita in aula più avanti): «La Schenetti ha un problema di visibilità – dice la Bruzzone – che non riesce ad acquisire per meriti suoi, quindi tenta di sfruttare quella degli altri. Ma la sua credibilità è veramente discutibile e io non mi fermerò davanti a niente, procederò nei suoi confronti in sede penale per ogni cosa. Quella lettera? La riscriverei, anzi la farei più lunga, anche sulla base degli ulteriori elementi che ho su di lei. Io non credo che sia una vittima e continuerò a ripeterlo in ogni sede». L'imprenditrice – costituitesi parte civile tramite l’avvocatessa Enrica Sassi – è sta sentita in udienza: «Per me quella lettera fu una violenza tremenda, uno smantellamento della mia persona. Una situazione pesantissima, ci sono voluti due mesi per riprendermi dallo stress. Io e la Bruzzone, comunque, non ci conosciamo e non so su che base abbia potuto scrivere di me». Tanti i nervi scoperti e siamo solo alla prima “puntata”...
Tacchi alti, vestita di nero, trucco impeccabile e capello fluente, scrive di Benedetta Salsi su “Il Resto del Carlino”. È iniziato così, non senza momenti di tensione e brusii di chi la vedeva nei corridoi, il processo per diffamazione che vede imputata Roberta Bruzzone, 42 anni, la fascinosa criminologa forense habituée delle poltrone bianche di Bruno Vespa, a Porta a Porta. Ad accusarla è una donna reggiana, presunta vittima di persecuzioni (non ne riveliamo l’identità per proteggere la sua privacy). Tutto accade il 17 maggio del 2013, nel bel mezzo di un delicato processo per stalking e ruota attorno a una lettera che è stata inviata dalla Bruzzone all’avvocato difensore di Rodolfo Marconi (l’imputato), poi letta ad alta voce in aula ed entrata nel fascicolo. La Bruzzone è dunque accusata di «aver inviato una missiva diretta a più persone – si legge nel capo di imputazione — nella quale offende la reputazione della donna, che definisce ‘soggetto alquanto discutibile che ha mostrato la propensione a mentire e manipolare fatti e circostanze’». E ancora: «Del tutto inadatta a cimentarsi con un tema così delicato come la violenza sulle donne e sui minori». Il riferimento, diretto, è a un’associazione contro le vittime di violenze alla quale avevano aderito sia la presunta parte offesa sia la Bruzzone. In quel contesto era nato uno screzio fra le due, sfociato poi in querele e controquerele. Quella lettera, però, viene acquisita dall’avvocato Enrica Sassi (che rappresenta la parte offesa) e ne parte una citazione diretta al giudice di pace; poi un processo, proprio nei confronti della Bruzzone. Ieri la prima udienza, davanti al giudice di pace, con la testimonianza della presunta vittima. «Quella lettera per me fu una violenza tremenda – ha detto –. Non fu altro che un insieme di diffamazioni e calunnie, uno smantellamento della mia persona. Una situazione pesantissima, ci sono voluti due mesi per riprendermi dallo stress. Mi sono sentita colpita da una donna che si intrometteva con violenza in un procedimento di violenza che io stessa avevo subito». E ha aggiunto: «Io e la Bruzzone, comunque, non ci conosciamo e non so su che base abbia potuto scrivere di me. Ci siamo sentite una volta al telefono quando è entrata nell’associazione di cui io sono presidente e la Bruzzone mi ha detto di essere stata anche lei vittima di stalking. Io invece non le ho mai parlato della mia vicenda personale. Avrei voluto, ma non ne ho avuto il tempo. Poi ci siamo viste una volta a luglio del 2012 a Sinai (in provincia di Cagliari) durante un’iniziativa contro la violenza alle donne, in cui lei ha colto l’occasione per presentare il suo libro, senza citare la nostra associazione. Al termine del convegno le abbiamo chiesto di uscirne e lei lo ha fatto il giorno dopo». La Bruzzone, però, non ci sta. E a margine dell’udienza, chiosa: «Quella donna ha un problema di visibilità che non riesce ad acquisire per meriti suoi, quindi tenta di sfruttare quella degli altri. Ma la sua credibilità è veramente discutibile. Io non mi fermerò davanti a niente e procederò nei suoi confronti in sede penale per ogni cosa che dirà contro di me. Quella lettera? La riscriverei, anzi la farei più lunga, anche sulla base degli ulteriori elementi che ho su di lei». Tutto rimandato alla settimana prossima, per i testimoni di parte civile.
Prossimamente scopriremo che credibilità ha Roberta Bruzzone, finta vittima di stalking che presto verrà processata... e non solo perché denunciata da un ufficiale di Polizia, scrive Massimo Prati sul suo Blog “Volando Contro Vento”. Non ho mai amato i programmi di gossip che trattano in maniera frivola i casi di cronaca nera. E neppure amo quelli che, pur se mandano in onda servizi filmati che molto spesso riportano le giuste informazioni, a causa di opinionisti ostili alle Difese - e per partito preso ancorati alle procure - contribuiscono a creare il pregiudizio anziché aiutare lo spettatore a capire. Per questo preferisco contattare direttamente chi è parte della notizia, avvocati indagati familiari e inquirenti, e leggere con logica ciò che scrivono e dicono accusa e difesa. Come me tanti altri si formano una propria idea in maniera autonoma, senza ascoltare i vari gossippari che si mostrano in video per convenienza professionale... quando non hanno un contratto a pagamento. Ma non tutti resistono alla tentazione, per cui c'è chi questi programmi li guarda. Addirittura c'è anche chi li ascolta e si infastidisce per le parole che sente. Ad esempio, giorni fa mi hanno informato di alcune frasi pronunciate in maniera troppo leggera e spensierata nella puntata di Porta a Porta trasmessa martedì 20 gennaio 2015. A pronunciarle il magistrato Simonetta Matone. Simonetta Matone in televisione non va con la toga da magistrato. Per cui figura essere un'opinionista con molta esperienza giuridica. Lei martedì 20 gennaio, forse non pensando al dopo, ha paragonato i gruppi facebook creati a favore degli imputati ai fanatici che inneggiano e osannano i terroristi, nel caso specifico a chi ha ucciso i giornalisti di Charlie Hebdo e tanti altri francesi. Quella parte della puntata trattava l'omicidio di Loris Stival, quindi i gruppi a cui si riferiva sono certamente quelli che sostengono "Veronica Panarello". Non contenta, ha reiterato il reato verbale facendo credere ai telespettatori che chi aderisce ai gruppi innocentisti e critica le indagini, su internet scrive a vanvera e senza sapere nulla perché degli atti non ha letto neppure una riga. Probabile che non se ne sia resa conto, ma ha praticamente affermato che nessuno ha il diritto di criticare i magistrati perché questi sono "unici, bravi belli e infallibili". Ora c'è da dire che, pur essendosi ritagliata un'enorme visibilità mediatica partecipando da tanti anni al programma presentato da Bruno Vespa, nella vita privata è un magistrato che lavora al ministero di Grazia e Giustizia. E dai dati si capisce il probabile motivo per cui difende i magistrati. Ma c'è anche da dire che in questi anni trascorsi di fronte alle telecamere, lei prima di tutti ha dato giudizi senza aver letto neppure una riga, seppur cercando di restare neutrale chiarendo ogni volta il punto, sui casi di cronaca nera trattati da Porta a Porta. E fa specie che si permetta di giudicare in pubblico chi ha democraticamente il suo stesso diritto di parlare ed esternare la propria idea. La speranza è che a mente fredda abbia compreso di avere un tantino esagerato e magari chieda scusa a chi non è d'accordo col pensiero di alcuni magistrati, a chi si è sentito chiamato in causa anche se critica in maniera civile e dopo essersi informato al meglio (naturalmente non deve scuse a chi i magistrati li offende). Questo perché non tutti i magistrati sono infallibili. D'altronde le richieste di risarcimento a causa di errori giudiziari, in Italia sono quasi tremila ogni anno, stanno a dimostrare la non infallibilità della giustizia. In ogni caso, a parte la svista di cui sopra, le opinioni di Simonetta Matone si possono accettare perché ha un passato davvero encomiabile e in materia giuridica è senz'altro molto ferrata. Meno si possono accettare le parole di chi sta in studio a pubblicizzare il gossip criminale del suo settimanale, o quelle di chi si mostra colpevolista, senza se e senza ma, nonostante vi siano indagini in corso e processi ancora da celebrare. Parlo di Roberta Bruzzone che al contrario di Simonetta Matone la propria opinione, molto ascoltata e condivisa da tanti telespettatori, la esterna in maniera netta senza usare quell'imparzialità che in televisione, di fronte a milioni di persone, sarebbe d'obbligo. Ciò che non si capisce è il motivo per cui parla con toni alti e molto colpevolisti di chi si trova in carcere in attesa di giudizio e si dichiara innocente. Insomma, perché instradare la pubblica opinione invece di informarla e lasciarla ragionare con la propria mente? Non esiste a Porta a Porta la presunzione di innocenza? Anche per la Bruzzone i magistrati non sbagliano mai? Su quest'ultimo punto vedremo se sarà dello stesso avviso dopo i diversi processi che la attendono da qui in avanti. Ad esempio, il 15 dicembre 2015 dovrà presentarsi al tribunale di Tivoli per rispondere del reato previsto dall'articolo 595 - comma tre - del codice penale per aver messo in atto, con più azioni consecutive, un disegno criminoso fatto di calunnie e offese atte a colpire un ufficiale di Polizia. Udienza conclusa con un decreto di citazione diretta in giudizio di fronte al giudice monocratico di Tivoli il giorno 3 ottobre 2016. Proc. N. 5860/2011 RGNT mod. 21. Infatti le accuse di stalking presentate dalla Bruzzone contro un ufficiale di Polizia col quale aveva avuto una relazione fra il 2004 e il 2005, addirittura una ventina di denunce dal 2009 al 2014, si sono rivelate tutte infondate. Mentre le interviste rilasciate sulla vicenda dalla opinionista di Porta a Porta, in cui non lesinava particolari sul comportamento malato, parole sue, di chi la perseguitava (ma ora grazie ai magistrati sappiamo che nessuno in realtà la perseguitava), sono tuttora impresse negli archivi delle testate giornalistiche nazionali (Corriere della Sera in primis), su internet e in televisione, sulle registrazioni di Porta a Porta e di Uno Mattina. Insomma, chi la fa l'aspetti - verrebbe da pensare - perché la vita a volte può riservare sorprese. E la Bruzzone di sorprese ne avrà una in più, perché, dato che è ambasciatrice di Telefono Rosa, un'associazione che aiuta le donne vittime di violenza, e viste le denunce per stalking da lei presentate e rivelatesi infondate, in tribunale si troverà di fronte anche alcune associazioni in difesa della donna che hanno deciso di costituirsi parte civile perché "l'utilizzo strumentale" della denuncia per un reato grave come lo stalking contribuisce a rendere meno credibili le donne che subiscono realmente una violenza. Ma non è l'unica bega che la Bruzzone dovrà affrontare in tribunale, visto che è indagata anche dalla Procura di Reggio Emilia per un reato simile ( così come su riportato da di Benedetta Salsi su “Il resto del Carlino” e Tiziano Soresina su “La Gazzetta di Reggio”. La moglie di un vero stalker, oggi ancora nei guai perché accusato di truffa da un'altra sua ex, si è sentita descrivere dalla Bruzzone quale finta vittima incline a distorcere la realtà (in pratica ha difeso lo stalker poi condannato). In questo caso le date del processo sono ancora più vicine nel tempo (le udienze sono fissate per il 4 - 11 - 18 e 25 febbraio 2015). Altra bega, che risale al 2012 e che presto verrà dipanata dai giudici, è una citazione civile che riguarda lei ed alcuni suoi collaboratori (promossa dall’associazione Donne per la Sicurezza. Lei e loro su Facebook, con frasi razziste, (secondo quanto riporta il sito dell’associazione: “Mmmmm.. quanto costa affittare una russa per fare qualche foto e far finta di avere una vita ???? troppo divertenteeeee…” oppure ““ ..ci vuole stomaco per stare con un pezzo di merda così anche se solo per sghei e solo per 5 minuti…STRANO MA VEROOO”), hanno insultato per lungo tempo sia la modella di origine russa Natalia Murashkina, moglie del poliziotto che nel contempo la Bruzzone denunciava ingiustamente, sia le ragazze russe trattate come donne che si vendono a poco prezzo. Di questa vicenda si interessò alla fine del 2012 anche "La Pravda", un giornale russo letto da oltre cento milioni di persone. Senza parlare delle accuse mosse contro di lei da Michele Misseri, che afferma di essere stato convinto dalla Bruzzone ad inserire nel delitto di Sarah Scazzi la figlia Sabrina (con prospettive davvero vantaggiose), affermazioni che se provate le costerebbero una condanna rilevante e la carriera, ciò che ancora nessuno ha capito, e immagino che al tribunale di Tivoli si cercherà anche di chiarire questo punto, è il motivo per cui la Bruzzone abbia innestato un movimento di denunce rivelatesi infondate condite da interviste mediaticamente rilevanti ma alla luce dei fatti false. O tutti ce l'hanno con lei, e francamente è difficile da credere, o è lei ad avere motivi che l'hanno spinta a screditare l'ufficiale di polizia e le altre persone. Che dietro ci sia qualcosa di importante? Su questo punto troviamo il dato certo che il poliziotto da lei accusato, nel 2009 - anno delle prime denunce di stalking - aveva avviato una campagna politico-sindacale per ridurre gli sprechi della pubblica amministrazione. In pratica, aveva proposto di far acquistare i prodotti per le investigazioni scientifiche (alle forze di polizia) direttamente in America risparmiando così milioni di dollari di tasse e, soprattutto, di spese di mediazione ad aziende di import export.
Questo è l’articolo di riferimento. Csi all'italiana: paghiamo il doppio degli altri la polvere per le impronte digitali. La denuncia del sindacato di polizia: la Scientifica è costretta a risparmiare sulle indagini. La colpa è dei mediatori che fanno raddoppiare il costo delle attrezzature made in Usa, scrive Luca Fazzo su “Il Giornale”. Ci vuole preparazione scientifica, occhio addestrato, pazienza: ma l'analisi scientifica della scena di un crimine si basa anche sull'utilizzo di materiale tecnico avanzato e costoso. Chi non è rimasto allibito nel vedere in televisione la prontezza con cui i tecnici della Csi, la polizia scientifica statunitense, sfoderano ogni genere di diavolerie hit-tech? Non che le forze di polizia italiane abbiano granchè da invidiare a quelle a stelle e strisce, quanto a preparazione. Ma l'abbondanza di mezzi è una delle caratteristiche che, in questo e in altri campi, ci separa irrimediabilmente dall'America. E, secondo la denuncia del sindacato di polizia Consap, la situazione negli ultimi tempi si è ulteriormente aggravata. La carenza di mezzi è diventata cronica, al punto che spesso e volentieri - in particolare sulla scena di reati considerati «minori», come i furti in appartamento - la polizia evita di compiere tutti i rilievi necessari perchè l'ordine è quello di risparmiare su tutto: compresa la polverina necessaria a rilevare le impronte digitali. Colpa della crisi economica, sicuramente. Ma anche di una anomalia tutta italiana: la polvere per le impronte è di produzione Usa, tutte le polizie la comprano direttamente dai produttori oltreoceano, mentre la polizia italiana passa - chissà perchè - attraverso una società di mediazione. Il risultato, sostiene il Consap, è che paghiamo il prodotto il doppio degli altri. «Prodotti, come ad esempio le polveri per rilevare le impronte digitali o il famoso luminol per la ricerca del sangue umano, hanno costi abbastanza elevati e vengono prodotti da poche ditte al mondo. In particolare la Polizia di Stato e le altre forze di polizia italiane utilizzano in larga parte prodotti della Sirchie, azienda americana leader del mercato per qualità e affidabilità dei materiali commercializzati. In questo periodo di profonda crisi economica, i tagli di bilancio, oltre che a congelare gli stipendi dei poliziotti, stanno riducendo la possibilità di acquisire una quantità sufficiente di tali sostanze e di fatto i reparti specializzati di investigazioni scientifiche devono limitare il loro impiego solo ai casi più eclatanti, in pratica solo gli omicidi e qualche rapina. Sempre più spesso i cittadini che hanno subito reati definiti minori, come furti, danneggiamenti, non ricevono un intervento adeguato da parte degli investigatori che non dispongono di attrezzature sufficienti e che spesso sopperiscono, per amor proprio, con materiali acquistati di tasca loro o con mezzi di fortuna che poi spesso vengono contestati in sede di processo. La Consap, che da più di un anno sta monitorando e analizzando questo problema, ha potuto constatare che i prodotti per criminalistica non vengono acquistati dall'Amministrazione direttamente dall'azienda produttrice ma da una ditta concessionaria italiana. In pratica la Polizia di Stato paga i materiali da utilizzare sulla scena del crimine circa il doppio del loro prezzo di catalogo. Il problema è stato da tempo posto all'attenzione degli esperti di settore e di alcuni politici. E si è subito avuta la sensazione di aver toccato degli interessi economici rilevanti». Uno «spreco ingiustificato, che si ripercuote in maniera drammatica sulla sicurezza e sulla possibilità di ottenere giustizia da parte del cittadino».
E ciò che pare strano, è che la Bruzzone collabora con le aziende che controllano la maggioranza delle forniture di prodotti alle forze di polizia (la Sirchie e la Raset). C'è da chiedersi se non voglia dire nulla la sua presenza nel video pubblicitario presente sulla pagina "Chi siamo" del sito internet della Sirchie.
In seguito a questo articolo ci sono stati degli sviluppi.
"Alla dottoressa Roberta Bruzzone non piace la critica e con una strana Diffida mi inviata a pagarle 250.000 euro e a darle il nome di chi mi informa..., - scrive Massimo Prati sul suo Blog “Volando-Controvento”. . E' capitato anche a me. Come altri in questi anni anch'io ho ricevuto la Diffida dalla dottoressa Roberta Bruzzone. Una diffida strana in cui mi invita a pagarle - inviandoli allo studio del suo avvocato – ben 250.000 euro quale risarcimento per i gravissimi danni di immagine provocati da ciò che ho scritto in un articolo, in questo articolo, in cui, visto quanto aveva affermato a Porta a Porta, l'ho criticata. Articolo che ho completato con le notizie su una serie di processi in cui dovrà difendersi. Alla fine, dopo aver notato alcune stranezze, ho anche posto una domanda lecita che si sarebbe sciolta in acqua con una semplice e veloce risposta plausibile. Invece mi è arrivata una diffida. Strana. Ora, prima di entrare nel dettaglio e contestare pubblicamente tutte le parole del legale della Bruzzone, voglio premettere che la nostra legge è chiara e che per fare una diffida ci vogliono motivi validi. Motivi che non esistono se chi informa scrive notizie vere usando parole non offensive senza entrare nella sfera privata del personaggio di cui parla. Quindi, per quanto riguarda il diritto di cronaca si devono usare certe accortezze e ci si deve informare in maniera esaustiva. Qualcosa cambia quando chi scrive esercita il diritto di critica. Naturalmente non si può criticare un pinco pallino qualunque in un articolo destinato a più persone, specialmente se il pinco pallino a livello nazionale non lo conosce nessuno e vive e agisce in un ambiente ristretto. Al contrario, però, si può criticare quanto dice chi nel tempo è diventato un personaggio pubblico e in pubblico, o in programmi seguiti da milioni di telespettatori, esprime proprie opinioni e concetti. Concetti e opinioni che non tutti debbono per forza condividere e proprio per questo si possono criticare, perché - come ha stabilito anche il tribunale di Roma già nel 1992 - chi ha scelto la notorietà come dimensione esistenziale del proprio agire, si presume abbia rinunciato a quella parte del proprio diritto alla riservatezza direttamente correlata alla sua dimensione pubblica. Dopo questa obbligatoria premessa, mi addentro nella diffida inviatami dal legale della dottoressa Bruzzone, avvocato Emanuele Florindi, per dimostrare quanto sia strana, assurda e priva di ogni fondamento. Il legale inizia col dire che nell'articolo ho scritto un numero impressionante di falsità. E non appena ho letto questa frase mi è spuntato un sorriso venendomi alla mente la storia del bue che chiamava cornuto l'asino. Questa la prima parte della diffida: Dott.ssa Roberta Bruzzone Vs Massimo Prati. <Gentile Sig. Prati, formulo la presente in nome e per conto della Dott.ssa Roberta Bruzzone, in relazione all'articolo da lei pubblicato su volandocontrovento.blogspot.it, per contestarne integralmente toni e contenuti. Nello specifico, non soltanto il suo articolo contiene un numero impressionante di falsità e di imprecisioni, ma risulta anche essere singolarmente contraddittorio: è davvero strano, infatti, che, mentre nelle prime righe del suo articolo Lei affermi di non amare "i programmi di gossip che trattano in maniera frivola i casi di cronaca nera. E neppure [...] quelli che, pur se mandano in onda servizi filmati che molto spesso riportano le giuste informazioni, a causa di opinionisti ostili alle Difese - e per partito preso ancorati alle procure - contribuiscono a creare il pregiudizio anziché aiutare lo spettatore a capire", poi si presti a fare esattamente la stessa cosa mescolando artatamente giuste informazioni, velate menzogne e subdole insinuazioni volte a creare pregiudizio alla mia Assistita. Non mi risulta neppure che Lei abbia provveduto a "contattare direttamente chi è parte della notizia, avvocati indagati familiari e inquirenti, e leggere con logica ciò che scrivono e dicono accusa e difesa", dato che ha proceduto a pubblicare il suo articolo basandosi su fonti unilaterali... a tal proposito, saremmo piuttosto interessati a conoscere l'identità di tali fonti, visto che sembrerebbero aver concorso con Lei ad un trattamento illecito di dati personali e di dati giudiziari il che, per un paladino dei diritti dell'imputato quale Lei si presenta, appare piuttosto singolare. Basandosi su tali "fonti" Lei ha, infatti, redatto un articolo falso, diffamatorio e gratuitamente offensivo nei confronti della mia Assistita, da Lei presentata come faziosa, forcaiola, razzista, incompetente, propensa a mistificare e falsificare la realtà e collusa con le aziende che controllano le forniture di prodotti alle forze di polizia.> Alla faccia! Sarò mica malato a scrivere le cotante robacce notate dal legale...Non sono malato, non necessito di cure e quindi, nel pieno possesso delle mie facoltà mentali rispondo punto per punto perché mi sono accorto che né la dottoressa né il suo avvocato paiono aver capito un articolo non diffamatorio in cui non ho assolutamente presentato Roberta Bruzzone quale persona faziosa, forcaiola, razzista, incompetente, propensa a mistificare, a falsificare la realtà e collusa. E mi chiedo con quale spirito e pensiero l'abbiano letto. Partiamo dall'inizio. E' vero che non amo quelle trasmissioni in cui gli opinionisti sono chiaramente ostili alle difese e danno per certo quanto trapela dalle procure. Mi piace l'imparzialità e non credo che trasmissioni "unilaterali" siano da mandare in onda. E' vero che per scrivere sui fatti di cronaca nera non mi baso su quanto scrivono quei media e quei "gossippari" che diffondono notizie che a posteriori si rivelano inutili e tendenziose. Gli esempi sono migliaia. E' vero che le mie fonti principali sono le stesse dei giornalisti: avvocati, indagati, i loro familiari e anche periti e inquirenti. E' vero che per non lasciarmi influenzare dai pregiudizi baso i miei scritti soprattutto sugli atti ufficiali, che leggo più volte per non travisarli, e sulla logica. Mi sembra il minimo da fare quando si vuol scrivere di cronaca nera in maniera corretta e di un indagato, magari in custodia cautelare in carcere, che si dichiara innocente e rischia l'ergastolo. Detto questo, non credo sia difficile comprendere che l'inciso inserito a inizio articolo era generico e riferito ai casi di cronaca nera e non alla dottoressa Bruzzone. Infatti è quando scrivo di cronaca nera che contatto chi è parte della notizia. Quindi nessuna falsità inserita nella premessa dell'articolo, che era solo una premessa, per l'appunto, e nulla c'entra con quanto ho poi scritto sulla dottoressa che, a meno non commetta un omicidio (o non ne confessi uno già commesso) o non venga carcerata ingiustamente, al momento non è parte di alcun caso di cronaca nera. Detto anche che per scrivere di processi che devono ancora iniziare non si necessita di "fonti" particolari, se la notizia è vera, se l'udienza è fissata e se il capo d'accusa esiste che fonte serve?, mi chiedo per quale motivo dovrei divulgare le identità di chi mi informa e, soprattutto, perché dovrei farle conoscere all'avvocato Florindi. Un motivo lecito e valido non esiste. Inoltre, nessun trattamento illecito dei dati personali si può rilevare quando si parla di atti processuali non secretati riguardanti i maggiorenni (non sono io che divulga quanto è secretato dalle procure), dato che sono atti pubblici a disposizione di chiunque ne faccia richiesta. Come non esiste nessun trattamento illecito sulla privacy se si vengono a conoscere notizie sui personaggi pubblici parlando del più e del meno in un bar con un magistrato, un cancelliere o un avvocato che frequenta quel dato tribunale. Perché, vista la dimensione mediatica della dottoressa Bruzzone, vale sempre il dettame dei giudici. Loro e non io hanno stabilito che chi ha scelto la notorietà come dimensione esistenziale del proprio agire, si presume abbia rinunciato a quella parte del proprio diritto alla riservatezza direttamente correlata alla propria dimensione pubblica. Per cui, pare proprio che nella premessa di falsità non ne abbia scritte. E per continuare a confutare la diffida inviatami, ci sarebbe da chiedersi da quale esternazione, presente nei quasi novecento articoli da me scritti e presenti sul blog, l'avvocato abbia capito che io sono "un paladino dei diritti dell'imputato". Mai ho scritto di essere un paladino e mai che difendo tutti gli imputati. Difendo i diritti di alcuni, questo è vero, ma lo faccio quando sono lesi in maniera per me evidente. Per cui, tanto per esemplificare e far capire meglio, critico i procuratori e i giudici quando un indagato che si dichiara innocente viene spedito in carcere ancor prima di indagini approfondite o di riscontri che provino le accuse formulate da terzi. Basti pensare a Sabrina Misseri (in custodia cautelare da quattro anni e mezzo) che nel volgere di poche ore finì in galera senza alcuna verifica sulle parole del padre - che quel 15 ottobre 2010 non era nelle migliori condizioni fisiche e mentali - e che ora è in carcere per motivi assai diversi da quelli che si sono usati per carcerarla. Forse l'avvocato Florindi neppure sa che Michele Misseri fu svegliato a notte fonda e portato ad Avetrana dalle guardie penitenziarie che lo presero in custodia quando ancora era buio pesto. Tanto che una volta giunte al paese furono costrette a "nascondersi", con l'imputato in auto, fra la vegetazione di contrada Urmo in attesa dell'arrivo dei procuratori. Questa è una notizia inedita, mai uscita sui media, e dimostra che mi informo nei modi giusti e nei luoghi giusti senza cercare lo scoop a tutti i costi. In pratica dovrebbe far capire, anche all'avvocato, che non sono uno dei tanti che copia-incolla per avere un maggior numero di entrate e guadagnare mostrando improvvisamente uno spot pubblicitario. Inoltre non scrivo articoli a favore di chiunque sia indagato, perché gli assassini veri li vorrei vedere in carcere per la vita... anche i reo-confessi se autori di delitti efferati. Per questo critico la legge che permette a chi confessa di ottenere troppi benefici e di uscire dal carcere in tempi rapidi. Ma la dottoressa Bruzzone, nonostante i processi che la attendono, non è in carcere e nemmeno ci andrà mai. Lei è libera di esternare le sue convinzioni in televisione e di andare dove vuole. Nessuno, giustamente, ha limitato la sua libertà. Quindi nessun suo diritto è da difendere. Stia pur certo l'avvocato che se venisse spedita in carcere prima ancora di essere indagata nella giusta maniera, che se contro di lei i gossippari parlassero solo in base a chi accusa, sarei io il primo a difenderla e a criticare i media per la mancanza di etica e professionalità. E ancora: in quale passaggio dell'articolo avrei descritto la dottoressa faziosa, forcaiola e quant'altro? Io, dopo aver criticato la dottoressa Simonetta Matone per aver paragonato chi scrive su facebook, nel particolare si parlava dei siti innocentisti che credono a Veronica Panarello, a chi incita i terroristi (citando Charlie Hebdo), scrissi: "meno si possono accettare le parole di chi sta in studio a pubblicizzare il gossip criminale del suo settimanale, o quelle di chi si mostra colpevolista, senza se e senza ma, nonostante vi siano indagini in corso e processi ancora da celebrare. Parlo di Roberta Bruzzone che al contrario di Simonetta Matone la propria opinione, molto ascoltata e condivisa da tanti telespettatori, la esterna in maniera netta senza usare quell'imparzialità che in televisione, di fronte a milioni di persone, sarebbe d'obbligo. Ciò che non si capisce è il motivo per cui parla con toni alti e molto colpevolisti di chi si trova in carcere in attesa di giudizio e si dichiara innocente. Insomma, perché instradare la pubblica opinione invece di informarla e lasciarla ragionare con la propria mente? Non esiste a Porta a Porta la presunzione di innocenza? Anche per la Bruzzone i magistrati non sbagliano mai?" Dove sarebbero le falsità, visto che la dottoressa si contrappone chiaramente a chi cerca di difendere Veronica Panarello e lo dice apertamente al dottor Vespa, allo stesso avvocato Villardita e ai telespettatori? Se è vero, come è vero, che Veronica Panarello deve ancora subire il primo processo e si dichiara innocente, dire di fronte a milioni di persone che si hanno idee diametralmente opposte all'avvocato Villardita, quindi colpevoliste, non significa forse parlare senza imparzialità e, soprattutto, senza considerare la presunzione di innocenza? Non è forse vero che l'opinione della dottoressa è molto ascoltata e condivisa da tanti telespettatori? Vista la sua popolarità credo proprio che questo non si possa negare. Come non si può negare che nelle mie parole non si trovino frasi che sottintendano termini quali: "incompetente" (mai scritta e mai pensata una cosa del genere), "forcaiola" (non c'è nulla nell'articolo che porti a questo termine, visto che viene usato per situazioni molto più gravi), "razzista" (questa parola neppure se ampliamo al massimo il significato entrando sulla Treccani c'entra nulla con quanto ho scritto), "faziosa" (per essere faziosi bisogna sostenere con intransigenza e senza obiettività le proprie tesi, non limitarsi ad esprimere una opinione parlando con toni alti e molto colpevolisti). Non ho quindi scritto alcuna falsità e la mia critica ha basi più che fondate. Anche perché vale sempre la legge che dice: il diritto di critica si differenzia da quello di cronaca perché nell'articolo non si parla di fatti ma si esprime un giudizio o, più genericamente, un'opinione che, come tale, non può pretendersi rigorosamente obiettiva, posto che la critica, per sua natura, non può che essere fondata su un'interpretazione necessariamente soggettiva di fatti e comportamenti. Ora qui ribadisco che alla luce di quanto ho visto e ascoltato in registrazioni di Porta a Porta, la mia critica era più che obiettiva anche se per legge non necessitava di una obiettività approfondita. Quindi, ancora una volta mi chiedo per quale motivo l'avvocato Florindi mi abbia inviato una diffida. Comunque, tanto per finire, mi addentro anche nell'ultima accusa che mi fa, quella di aver dipinto la sua assistita come una persona propensa a mistificare la realtà e collusa con le aziende che "controllano le forniture alle forze di Polizia" (e tanto per far capire come son fatto, non per altro, mi sono chiesto subito cosa stessero a significare le parole - "controllano le forniture alle forze di Polizia" - scritte dall'avvocato). Nell'articolo mi chiedevo se la dottoressa Bruzzone considererà ancora infallibili i giudici e i procuratori dopo i processi che dovrà affrontare. Specialmente perché il rigetto di tutte le denunce da lei presentate contro un dirigente dell'UGL (Polizia di Stato) la dipingono come una falsa vittima di stalking che ha approfittato della sua posizione parlando ai media di reati mai subiti. E questo sarebbe veramente grave perché contribuirebbe a rendere meno credibili le tante vere vittime di stalking. E' per queste parole che per l'avvocato l'avrei dipinta come persona propensa a mistificare la realtà? Forse l'avvocato dimentica che non sono stato io a rigettare le denunce della dottoressa, ma i magistrati che hanno valutato le indagini partite in seguito a quelle denunce. Io mi sono limitato a riportare la notizia e a far qualche considerazione. Non è quindi a me che deve fare accuse, ma a chi ha svolto le indagini e a chi le ha valutate prima di rigettarle. Comunque, proprio a causa di quei rigetti mi chiedevo il motivo per cui, a partire dal 2009 (anno in cui uscì da una associazione di criminologi di cui il dirigente dell'UGL era presidente) avesse presentato una ventina di denunce, quelle poi rigettate, nei confronti del presidente stesso. E qui mi ero fermato. Ma dato che ora ne sto scrivendo, amplio l'informazione dicendo che le denunce coinvolsero altri membri del consiglio direttivo dell'associazione di cui fino a poco tempo prima lei stessa faceva parte. E che iniziò a presentarle dopo le richieste di spiegazioni su questioni economiche che la stessa associazione le poneva. Insomma, pur senza entrare nei dettagli, nell'articolo ponevo una domanda lecita a cui si poteva rispondere in maniera chiara così che, in maniera altrettanto chiara, avrei inserito la risposta a capo articolo dando spazio a una replica. Non era così complicato da fare. Anche perché nell'articolo di cui si discute non ho calcato la mano preferendo restar fuori da vicende ben più complesse che l'avvocato di certo conosce. Ma proseguiamo con la parte della diffida in cui è scritto: Se Lei, comportandosi da interlocutore corretto e scrupoloso ci avesse contattato, avremmo potuto produrLe pagine di osservazioni atte a smentire le informazioni in Suo possesso, dimostrando, ad esempio, che l'azione civile della sig.ra Natalia Murashkina (tra l'altro neppure Russa!) è pretestuosa, infondata e priva di riscontri (ci basti qui osservare che la pagina contestata risulta creata in data successiva ai fatti)... Mi fermo un attimo per un chiarimento e per dimostrare non che l'avvocato è male informato quando afferma che Natalia Murashkina non è neppure russa, perché pur se nata fuori dai confini è a tutti gli effetti russa e lui lo sa, ma per dirgli che gli sarà molto difficile convincere un giudice che non è reato scrivere parolacce e brutte offese su una donna russa nata fuori dai confini russi, mentre lo è scriverle su una donna russa nata a Mosca. Oltretutto l'avvocato sa per certo che in Russia i passaporti distinguono la nazionalità dalla cittadinanza. Motivo per cui si può essere di nazionalità russa anche se nati occasionalmente in altra nazione. In ogni caso, non erano né l'avvocato né la dottoressa che dovevo contattare per scrivere quelle quattro righe che riguardavano la vicenda di Natalia Murashkina, visto che al massimo avrebbero potuto fare una arringa difensiva (quella va indirizzata a un giudice e non a me) e non produrmi atti giudiziari in grado di contrastare il fatto che gli insulti, per il magistrato che porta avanti la causa ci furono. E a questo proposito oggi aggiungo una postilla che avevo evitato di inserire. Una informazione che potevo dare e non ho dato. E cioè che La Pravda nel suo articolo parlò di offese scritte anche da alcuni collaboratori della dottoressa. Particolare che avevo evitato di sottolineare perché mi pare non credibile (però ho chiesto e non risulta che la Pravda abbia ricevuto alcuna diffida), ma che oggi aggiungo per far capire quanto avessi scritto in maniera soft senza appesantire situazioni che invece paiono pesanti. A processo la pagina facebook risulterà essere successiva ai fatti? Meglio per la dottoressa e peggio per la Murashkina, che quando perderà la causa criticherò aspramente per aver denunciato il falso. Qui colgo l'occasione per aggiornare in maniera migliore la notizia e dire che la causa civile intentata da Natalia Murashkina è stata rigettata per vizio di forma. Non per altro. Naturalmente verrà ripresentata in appello senza alcun vizio. E naturalmente questo non inficia il procedimento penale - che si occupa degli stessi reati e ha un iter diverso - che continua per la sua strada. Andando avanti nella diffida si legge che il processo di Reggio Emilia ha preso una piega certamente non immaginata né desiderata dalla parte civile visto che dal dibattimento stanno emergendo dati ed informazioni in grado di confermare quando affermato dalla dott.ssa Bruzzone nel corso del processo a carico del presunto stalker (a proposito, lei non sosteneva a spada tratta la presunzione di innocenza?) che non risulta ancora condannato...No avvocato, non è proprio così che sta andando. Giusto per aggiornare anche questa notizia, le confermo che il processo di Reggio Emilia - in cui la dottoressa risponde di diffamazione - nella prossima udienza, fissata a maggio, vedrà sul banco dei testimoni - citati dal pubblico ministero - sia il Generale Luciano Garofano che lo stesso dirigente dell'UGL denunciato più volte dalla sua assistita. Inoltre, sempre in quel di Reggio Emilia, a causa di quanto la dottoressa ha dichiarato ai giornalisti all'uscita dall'aula dopo le prime udienze c'è la possibilità, neppure tanto remota, che si apra un secondo processo. Vedremo presto se ho sbagliato la diagnosi. In ogni caso il processo di Reggio Emilia non ha preso una piega certamente non immaginata né desiderata dalla parte civile, come ha scritto, e il signore che chiama presunto stalker è persona nota e prima della vicenda che ha visto coinvolta la dottoressa era già stato condannato sia per truffa (condanna definitiva) che per stalking (nel 2012 il pubblico ministero nella sua arringa lo definì uno "stalker seriale" e il giudice confermò le sue parole condannandolo). Motivo per cui, in questo caso la presunzione di innocenza, per come la vedo, poco c'entra. E ancora ha scritto che il processo di Tivoli del 15 dicembre 2015 viene atteso con ansia e trepidazione della nostra Assistita visto che in quella sede avrà finalmente modo di provare, innanzi ad un Giudice la fondatezza delle sue accuse... Per quanto riguarda Tivoli, non vedo l'ora di sentire cosa dirà la sua assistita al giudice e come risponderà alle domande. Mi auguro che abbia una spiegazione plausibile e delle prove a discolpa certe che la aiutino a non subire una condanna e a dimostrare di essere una vera vittima di stalking. Così che io possa poi criticare e chiedere una condanna per lo stalker, che al momento non esiste, e per i magistrati che non l'hanno fin qui creduta. Inoltre ha anche scritto: In merito a Michele Misseri, le avremmo spiegato che attualmente questo signore è sotto processo proprio per quelle famose affermazioni...Michele Misseri, come avrà capito, lo conosco e conosco anche le accuse da lui mosse contro la sua assistita. So che il processo ha già subito dei rinvii e che a maggio è in programma l'ennesima prima udienza. Quindi nessuno sul punto mi doveva spiegare nulla perché conosco perfettamente entrambe le posizioni. Inoltre nell'articolo mi sono limitato alla considerazione che se se alla dottoressa "andrà male" la sua carriera sarà finita. Questo perché è sempre possibile, almeno in ipotesi, che un processo si possa perdere. E continua scrivendo: mentre in relazione all'accusa di collusione con le aziende che forniscono materiali alle nostre Forze di Polizia... definire questa "notizia" ridicola è decisamente utilizzare un eufemismo. Mi scusi avvocato, ma quando mai ho parlato di collusione? Fare accuse di collusione significa affermare che un determinato accordo c'è stato sicuramente. Io invece ho semplicemente messo in relazione fra loro eventi verificabili da chiunque e notando una stranezza ho posto una domanda a cui bastava dare risposta. Scrivere che la "notizia" è ridicola non è dare una risposta, è aggirare l'ostacolo che non si vuole saltare. La mia domanda, posta a un personaggio pubblico, era lecita perché la cronistoria ci dice che la relazione fra la dottoressa e il dirigente della Polizia durò pochissimo e finì nel lontano duemilacinque. Che la sua assistita continuò la collaborazione con l'associazione di criminologi per altri quattro anni, fino al duemilanove quando si interruppe in maniera non amichevole. Che il presidente della stessa associazione - intervistato da Luca Fazzo nel 2011 - denunciò le enormi spese sostenute dal ministero e spiegò quanto fosse economicamente vantaggioso acquistare il materiale per le indagini direttamente in America e non dagli intermediari. La domanda che posi nell'articolo nacque da una serie di considerazioni. Nel duemilanove la dottoressa Bruzzone fondò l'associazione culturale A.I.S.F. (Accademia Internazionale Scienze Forensi), una organizzazione "non profit" - questo è da dire - che da statuto non dà dividendi ai soci. Una associazione che tra i suoi partner allinea l'azienda che produce e vende i prodotti alla Polizia e quella che ha l'esclusiva per l'Italia di tali prodotti. A questo si aggiungono due fatti certi: sia che la dottoressa ha partecipato al video pubblicitario dell'azienda produttrice, video presente sul sito internet dell'azienda e su You Tube (se lo ha fatto per amicizia bastava scriverlo senza pensar male delle mie parole), sia che le denunce di stalking, quelle rigettate, furono presentate a partire dal 2009 contro chi dapprima le chiedeva conto del denaro speso mentre collaborava con l'associazione di criminologi e dopo si era attivato in prima persona per cercare di far acquistare i prodotti direttamente dall'America senza pagare intermediari. Avvocato, lei sa che nell'articolo non ho scritto la parola "collusione" e sono rimasto soft non inserendo tante altre domande lecite che mi frullavano per la testa. Domande che in questa risposta pubblica inserisco per farle capire quale altro modo uso per informarmi. Ad esempio, nell'articolo in questione mi limitai e non chiesi se il dottor Bruno Vespa conosce il sito della A.I.S.F. ed è al corrente che ogni volta che presenta la dottoressa Bruzzone di riflesso pubblicizza, a titolo gratuito sulla principale televisione di stato, non solo l'organizzazione "no profit" di cui la dottoressa è presidente - la A.I.S.F. - ma anche un'azienda privata. Essendo l'associazione culturale una "non profit" la pubblicità gratuita è sicuramente lecita. Perlomeno credo fosse certamente lecita fin quando l'associazione nel suo sito internet non ha riportato l'IBAN (cioè un'utenza bancaria su cui fare bonifici) di una S.A.S. (Società in Accomandita Semplice) che in teoria dovrebbe essere esterna all'associazione stessa. La S.A.S a cui mi riferisco è quella aperta dalla stessa dottoressa Bruzzone il 06 giugno 2014 (quindi dieci mesi fa) e registrata alla camera di commercio il 12 giugno 2014. Una Società in Accomandita Semplice che, come da visura camerale, ha quali soci accomandatari anche i due avvocati che figurano con nome e cognome sulla carta intestata della diffida che mi ha inviato, assieme al suo signor Florindi. Gli stessi avvocati che, come lei d'altronde, figurano nel consiglio direttivo della "associazione no profit". Ora, per quanto possa capirne e mi hanno spiegato, credo che prima di fare un simile movimento pubblicitario, cioè inserire l'IBAN di una azienda commerciale che guadagna sul proprio lavoro ai piedi di tutte le pagine elettroniche di una associazione "no profit" (che essendo "no profit" non dà dividendi ai soci), ci si sia fatti consigliare da un buon commercialista. Per cui immagino che sia del tutto legale, dato che la SAS sul proprio guadagno ci paga le tasse. Ciò che trovo strano è altro. Una stranezza, ad esempio, è che il logo della SAS sia praticamente identico, tranne per le scritte, al logo dell'associazione "no profit". Un'altra ancora più strana è che cliccando sul logo della SAS presente nelle pagine dell'associazione "no profit", si venga reindirizzati su una pagina della stessa associazione "no profit" e non sul sito della SAS. Quasi che la SAS e l'associazione "no profit" siano l'unica faccia di due società. In pratica una società che per statuto non può dividere gli utili nel suo sito ospita e pubblicizza una SAS che gli utili fra i suoi soci li può dividere. Insomma, ciò che si vede dall'esterno (magari non è così e la Rai avrà la gentilezza di spiegarcelo in maniera chiara) è che il dottor Bruno Vespa pubblicizzando l'associazione no profit finisca per pubblicizzare gratuitamente una S.A.S. - capisce cosa intendo, avvocato? Che a un occhio critico la situazione pare quantomeno ambigua e andrebbe spiegata. Come ambigua è la parte della diffida in cui scrive: Ne consegue che, non avendo lei eseguito alcun riscontro nè alcuna verifica, ha redatto un articolo ricco di falsità ponendo in essere proprio quelle condotte che, tanto severamente, ha tentato di stigmatizzare nel suo testo. Tutto ciò premesso, la dott.ssa Bruzzone, mio tramite Vi - INVITA E DIFFIDA - a rimuovere dal Suo Blog l'articolo in questione, a comunicarci immediatamente, e comunque non oltre 5 giorni dal ricevimento della presente, il nominativo (o i nominativi) di chi Le ha fornito le informazioni ivi pubblicate e di versare, per il tramite di questo Studio, la somma di euro 250.000 a titolo di risarcimento per i gravissimi danni all'immagine della mia Assistita cagionati dalla diffusione di notizie false e diffamatorie. In queste sue parole, false e intimidatorie signor avvocato, un giudice di polso potrebbe pure configurare il reato di estorsione. Specialmente perché, seppur sia stato limitato volendo risponderle con un articolo che non può essere infinito, le ho dimostrato non solo che non ho assolutamente mentito, ma anche che prima di scrivere mi informo e faccio verifiche (e ne faccio tante), cerco riscontri e quando qualcosa non mi quadra pongo domande pubbliche per non ottenere risposte di circostanza (che non servono a nulla e non aiutano i lettori a capire). Per questi motivi non ho rimosso, e non ho alcuna intenzione di rimuovere, l'articolo in questione. Per questi motivi la invito a cambiare atteggiamento e, se vorrà, a rispondere alle mie domande in maniera pacata senza cercare di intimidire chi critica la sua assistita. Fornire ai lettori notizie relative a un personaggio pubblico è cosa che si fa tutti i giorni (e se il personaggio finisce sotto processo la notizia esiste e si può dare). Inoltre tutti i personaggi pubblici, finché restano tali, ricevono critiche per quanto dicono o scrivono. Dalla piccola show girl al Presidente della Repubblica. E' la norma, dato che la democrazia permette di non appiattirsi al pensiero altrui e di esternare il proprio, anche se diverso. Per questo motivo, non essendo avvezzo a criticare un personaggio pubblico a prescindere ma avendo l'abitudine di elogiarlo o criticarlo per i vari comportamenti che pone in essere di volta in volta, così come posso essere d'accordo e apprezzare la sua assistita per quanto fa e dice su certi casi di cronaca nera (Chico Forti è uno ma ce ne sono altri), posso anche non essere d'accordo e criticarla quando a parer mio non si dimostra all'altezza del suo ruolo pubblico o fa qualcosa che mi risulta strano e incomprensibile. Una cosa deve essere chiara. Volandocontrovento è un blog indipendente che non ha editori a cui obbedire. Un blog che prima di pubblicare articoli cerca informazioni e riscontri. Un blog in cui nessuno scrive falsità (al massimo negli articoli pubblicati si possono trovare piccole inesattezze scritte in buonafede). E fin quando la democrazia lo permetterà, a nessun personaggio, sia bianco o sia nero, sia giallo o sia verde, sia rosso o sia blu, sia pubblico o che pubblico lo diventi per quindici giorni o per quindici anni a causa di una posizione politica ridicola o di una indagine criminale in voga sui media, è concessa l'immunità da critiche...”
Bruzzone contro Raffaele: «Imitazione becera e volgare». La criminologa querela l'imitatrice: «Sessualizzazione della mia persona», scrive “Il Corriere della Sera”. Una «becera e volgare sessualizzazione della mia persona». Così la criminologa Roberta Bruzzone bolla, parlando a Fanpage.it, la performance di Virginia Raffaele che l’ha imitata sabato ad «Amici». «Io non ho nessun problema contro la satira» precisa Bruzzone, «l’elemento intollerabile è giocare sull’aspetto sessuale in maniera sguaiata, becera, volgare, gratuita», lontana - precisa - da una professionista che tutto questo l’ha sempre evitato. «L’elemento che mi porta in tv ormai da oltre dieci anni - sottolinea - non è la mia avvenenza fisica ma il tipo di contenuti che tratto e l’esperienza dovuta al lavoro che svolgo». « Non siamo più nella satira, questa è diffamazione bella e buona» aggiunge, confermando la sua decisione di querelare la Raffaele. In tempi di femminicidi, mentre lottiamo contro la visione della donna-oggetto, «che questo tipo di contenuti sia proposto da una donna è ancora più sconcertante», osserva.
Selvaggia Lucarelli contro la criminologa Bruzzone: «La Raffaele è ben più simpatica e gnocca di lei», scrive “Il Messaggero”. Virginia Raffaele imita la criminologa Roberta Bruzzone, ma questa non gradisce. E nella faccenda non poteva che intromettersi Selvaggia Lucarelli. Ne è scaturito un botta e risposta che non va tanto per il sottile. «Bagascia vestita in modo improponibile», ha tuonato la Bruzzone contro l'imitatrice, "rea" di aver messo in scena «una rappresentazione becera, volgare, gratuita, sguaiata». Dopodiché in un tweet la Bruzzone ha annunciato che sarebbe passata alle vie legali. E la replica della Lucarelli non si è fatta attendere: «Leggo che la Bruzzone, in un tweet, lascia intendere di aver scomodato il suo favoloso team di legali per bastonare Virginia Raffaele che ha osato farne una parodia (divertente) ad Amici - ha scritto - Nella vita ho ricevuto un po' di querele, ma la lettera dell'avvocato della Bruzzone per un mio servizio su Sky me la ricordo bene. Spiccava. Non solo per la pretestuosità degli argomenti (era un servizio innocuo e fu l'unica tra 100 servizi a offendersi), ma perchè inviò copia al Ministero delle pari opportunità per accusarmi di sessismo». «La Raffaele - continua la Lucarelli - è ben più simpatica e gnocca di lei. (tanto il ministero delle pari opportunità è stato abolito, magari scriverà alla Boldrini)».
Vittorio Feltri contro Roberta Bruzzone: "Al suo confronto i pm sono delle mammolette", scrive “Libero Quotidiano”. Dopo le imitazioni di Virginia Raffaele, il commento di Vittorio Feltri. La criminologa diventata famosa al grande pubblico grazie a Bruno Vespa che l'ha invitata più volte a Porta a Porta, viene attaccata dal fondatore di Libero che scrive: "Si cala talmente bene nel ruolo da vedere criminali ovunque, tutti da condannare e sbattere in carcere" Feltri l'accusa soprattutto di dare affosso all'imputato dato che è più facile che difenderlo. "La dottoressa Bruzzone invece eccelle soltanto nell'arte sopraffina di accusare: se prende di mira un disgraziato in manette, prima lo fa a pezzi, poi lo infila nel frullatore e lo riduce in poltiglia". Con una stilettata Feltri dice che in sui confronto i pubblici ministeri sono delle "mammolette". Feltri ricorda quando, durante una puntata di di Linea Gialla di Salvo Sottile si trovava accanto alla Bruzzone per comentare le vicenda giudiziaria di Raffale Sollecito che all'epoca era ancora in attesa di giudizio. Feltri riteneva che non vi fossero gli estremi per condannarlo, lei sì. La Cassazione ha dato ragione a Vittorio. Da qui la conclusione di Feltri: "Roberta non ha fiatato e non ha tradito delusione. Ognuno fa il proprio mestiere. Lei il suo di tritacarne lo svolge benissimo. Se commettessi un reato, preferirei avere di fronte un caterpillar che non la Signora Omicidi".
“Non ricordo di averla mai udita pronunciare un'arringa in difesa di un incriminato. Al contrario l'ho ammirata in diverse occasioni mentre era impegnata a distruggerlo con le armi della logica, ovviamente a senso unico. Quella del giudice inflessibile e crudele, d'altronde, è una vocazione”…, scrive Vittorio Feltri per “il Giornale”. "Da alcuni anni Roberta Bruzzone, criminologa dall'aspetto attraente (ciò che aiuta sempre a rendersi riconoscibili e, perché no, apprezzabili a occhi maschili e pure femminili), è personaggio televisivo tra i più noti. Il suo bel volto compare spesso in video, anzi sempre, nelle trasmissioni che trattano di morti ammazzati, assassini probabili, gialli irrisolti: temi che da qualche tempo vanno forte e hanno un seguito notevole di pubblico. A lanciare la gentile signora è stato Bruno Vespa a Porta a porta, in cui gli omicidi raccontati sono frequenti e costituiscono una sorta di rubrica fissa, come il bollettino meteorologico. Il principe dei conduttori, dopo averla invitata una prima volta, non ricordo in quale circostanza, avendone gradito gli interventi - forse anche le fattezze - non ha più smesso di convocarla per discettare di coltellate, strangolamenti, alibi e roba del genere noir. Roberta si è tenacemente costruita una fama di investigatrice spietata: ormai è ospite indispensabile in qualsiasi programma al sangue in onda su varie emittenti, tutte assai interessate a dissertare di delitti, un filone appassionante per il pubblico serale, stanco di talk show politici prodotti in serie con la fotocopiatrice. La criminologa mostra di trovarsi a proprio agio nelle discussioni, di solito vivaci, sulla colpevolezza di Tizio e di Caio; e si cala talmente bene nel ruolo da vedere criminali ovunque, tutti da condannare e sbattere in carcere. Si sa come vanno i processi mediatici. Si dà addosso all'imputato dato che è più facile e più spettacolare che non difenderlo. Si calca la mano sugli elementi a suo carico e si sorvola su quelli a discarico. Cosicché la gente, sempre vogliosa di sentenze esemplari, si eccita e non tocca il telecomando nel timore di perdersi le fasi più sadiche del linciaggio. La natura umana fa schifo e collide con i principi basilari del diritto: chi è stato incastrato dalla cosiddetta giustizia andrebbe considerato innocente fino a prova contraria. La dottoressa Bruzzone invece eccelle soltanto nell'arte sopraffina di accusare: se prende di mira un disgraziato in manette, prima lo fa a pezzi, poi lo infila nel frullatore e lo riduce in poltiglia. In confronto a lei, i pubblici ministeri sono mammolette. Non ricordo di averla mai udita pronunciare un'arringa in difesa di un incriminato. Al contrario l'ho ammirata in diverse occasioni mentre era impegnata a distruggerlo con le armi della logica, ovviamente a senso unico. Quella del giudice inflessibile e crudele, d'altronde, è una vocazione. Ciascuno ha le proprie inclinazioni e magari le asseconda con pertinacia. La criminologa, benché non sia togata, agisce con una determinazione impressionante: nei dibattiti davanti alla telecamera riesce a spiazzare chiunque, magistrati inclusi. Una notte, a Linea gialla, diretta da Salvo Sottile (bravo e preparato), ero seduto accanto a Bruzzone per esaminare la vicenda di Raffaele Sollecito, in attesa di giudizio. Personalmente ero dell'idea che il giovanotto fosse da assolvere per mancanza di prove; lei aveva un'opinione opposta alla mia. Non dico che litigammo, ma eravamo in procinto di farlo. Trascorsi alcuni mesi, la Cassazione ha dato ragione a me. Roberta non ha fiatato e non ha tradito delusione. Ognuno fa il proprio mestiere. Lei il suo di tritacarne lo svolge benissimo. Se commettessi un reato, preferirei avere di fronte un caterpillar che non la Signora Omicidi".
Questo è quanto riportato dalla stampa con verità, attinenza ed interesse pubblico.
Chi di processi ferisce di processo perisce, scrive Alberto Dandolo per Dagospia. A Milano non si fa altro che parlare della citazione a giudizio della platinatissima criminologa Roberta Bruzzone nell’ambito di un procedimento penale a suo carico presso il Tribunale di Tivoli. La vispa professionista deve infatti difendersi dalle accuse di un suo ex compagno, Marco Strano che l’ha trascinata in tribunale in quanto, si legge nelle carte, ne avrebbe “ripetutamente offeso la reputazione…pubblicando sul social network Facebook numerosi post diffamatori”. Nei documenti si legge che la criminologa amata da Vespa e dalla Parodi deve difendersi dall’accusa che “utilizzava altresì più volte in maniera denigratoria l’aggettivo “strano” facendo chiaro riferimento alla persona del suo ex compagno, come nei seguenti post: “in effetti mi sembra proprio strano …questo impulso diffamatorio irrefrenabile…, “questi strani soggetti perversi hanno bisogno di ricercare donne che non si concedono…certo mi dispiace per queste donne perché se arrivassero ad abbassare la zip…si farebbero un sacco di risateeeee”; e ancora sottolineava : “è talmente fuori di testa da farmi temere per la mia incolumità e per quella delle persone a me vicine”; “ non ha nemmeno la laurea in psicologia o uno straccio di specializzazione…da uno che qualche tempo fa voleva comprare all’estero un titolo falso per sistemare la questione della sua assenza di titoli validi…” ( post del 23.11.2010) , lo definiva, quindi un mitomane fallito con in dotazione una calibro 9”, lo accusava di averle deliberatamente ucciso il cane, ed infine commentava, con riferimento alla nuova compagna straniera del querelante, che lui l’aveva affittata staccandone il cartellino ed acquistata in qualche compravendita di spose dall’est facendosi qualche foto con lei per far finta di avere una vita (post del 01-12- 2010).”
La criminologa Roberta Bruzzone querelata dall'ex compagno Marco Strano per diffamazione. L'uomo l'ha querelata per averne "ripetutamente offeso la reputazione pubblicando sul social network Facebook numerosi post diffamatori": ecco i post "incriminati", scrive Mario Valenza il 16/09/2015 su “Il Giornale”. "Mitomane fallito con in dotazione una calibro 9". Queste e altre dure espressioni sarebbero state Roberta Bruzzone, la criminologa bionda spesso ospite nei salotti televisivi, al suo ex compagno Marco Strano su Facebook. L'uomo l'ha querelata per averne "ripetutamente offeso la reputazione - riporta Dagospia - pubblicando sul social network Facebook numerosi post diffamatori". Strano sostiene che la Bruzzone lo accusava di averle deliberatamente ucciso il cane e di aver acquistato la nuova compagna in qualche compravendita di spose dell'est. Giocando sul cognome del querelante, la criminologa scriveva: "questi strani soggetti perversi hanno bisogno di ricercare donne che non si concedono…certo mi dispiace per queste donne perché se arrivassero ad abbassare la zip…si farebbero un sacco di risateeeee". In un attacco personale scriveva: "è talmente fuori di testa da farmi temere per la mia incolumità e per quella delle persone a me vicine", e dal punto di vista professionale affondava: " non ha nemmeno la laurea in psicologia o uno straccio di specializzazione…da uno che qualche tempo fa voleva comprare all'estero un titolo falso per sistemare la questione della sua assenza di titoli validi…". E ora i post su Facebook potrebbero sbarcare in tribunale...
Tivoli, la criminologa Roberta Bruzzone querelata dall'ex compagno Marco Strano per diffamazione, scrive “Libero Quotidiano”. "Mitomane fallito con in dotazione una calibro 9": questa e altre frasi sono state rivolte da Roberta Bruzzone, la criminologa bionda spesso ospite nei salotti televisivi, al suo ex compagno Marco Strano su Facebook. L'uomo l'ha querelata per averne "ripetutamente offeso la reputazione - riporta Dagospia - pubblicando sul social network Facebook numerosi post diffamatori". Egli sostiene che la Bruzzone lo accusava di averle deliberatamente ucciso il cane e di aver acquistato la nuova compagna in qualche compravendita di spose dell'est. Giocando sul cognome del querelante, la criminologa scriveva: "questi strani soggetti perversi hanno bisogno di ricercare donne che non si concedono…certo mi dispiace per queste donne perché se arrivassero ad abbassare la zip…si farebbero un sacco di risateeeee". In un attacco personale scriveva: "è talmente fuori di testa da farmi temere per la mia incolumità e per quella delle persone a me vicine", e dal punto di vista professionale affondava: " non ha nemmeno la laurea in psicologia o uno straccio di specializzazione…da uno che qualche tempo fa voleva comprare all'estero un titolo falso per sistemare la questione della sua assenza di titoli validi…". Come andrà a finire?
Caso Marco Strano - Roberta Bruzzone - Bruno Vespa e milioni di inganni e sprechi ai danni della Polizia - Interrogazione "aperta" al capo della Polizia si legge sul sito internet di Polizia Nuova Forza Democratica. L'Organismo Sindacale Polizia Nuova Forza Democratica nasce con lo scopo di salvaguardare i doveri degli appartenenti alle Forze dell'Ordine e di tutelare i diritti di donne e uomini che hanno consacrato la propria vita professionale alla sicurezza di tutti i cittadini. Il legislatore, con l'approvazione della Legge 121/81, ha previsto la demilitarizzazione del Dipartimento Della Pubblica Sicurezza e il conseguente Ordinamento Civile della Polizia Di Stato, con l'obbiettivo di rendere tangibile la sinergia sociale tra cittadini e poliziotti. Il nostro Organismo P.N.F.D. condivide, con spirito di servizio, "l'animus del Legislatore" deputando proprio fondamento la collaborazione tra i tutori dell'ordine e la società civile. Il nostro statuto, non a caso, prevede l'iscrizione all'organismo P.N.F.D. sia per gli operatori della Polizia Di Stato, soci ordinari, sia per i rappresentanti del mondo del lavoro o associazioni che operano nel volontariato sociale, soci aggregati e onorari. Polizia Nuova Forza Democratica vuole essere la calcina che lega tutti i cittadini che, senza clamore, ogni giorno, con il coraggio dell'onestà compiono il proprio dovere costruendo il bene comune. Questa organizzazione sindacale intende costituirsi parte civile nei vari processi che, a partire dal prossimo dicembre, vedono imputata la c.d. "Ambasciatrice di Telefono Rosa" - Roberta Bruzzone che sarà giudicata dall'Autorità giudiziaria per aver indirizzato accuse di stalking, false e strumentali, attraverso denunce, poi archiviate, interviste televisive e sui giornali, migliaia di pagine di social networks, nei confronti di Marco Strano, funzionario di Polizia, moralmente e professionalmente incensurabile, per questo stimato a livello nazionale e internazionale e quindi lustro per la Polizia di Stato. Accuse che stanno provocando un crescente malumore tra i colleghi che ben conoscono la vicenda reale, completamente diversa da quella veicolata dai media. Le accuse di stalking si sono infatti rivelate poi assolutamente infondate, ma hanno ingiustamente gettato un'ombra sull'intera categoria degli appartenenti alla Polizia di Stato tanto che la magistratura ha approfondito - attraverso già due rinvii a giudizio di Bruzzone per diffamazione aggravata e attraverso altri procedimenti tuttora in fase di indagine per altri più gravi reati presso le Procure di Roma e di Tivoli (che riguardano anche soci e collaboratori della predetta) - come il contrasto con il collega Strano non fosse legato a vicende sentimentali, come si voleva far intendere (il collega è felicemente sposato da anni), ma molto più presumibilmente al fatto che quest'ultimo ha pubblicamente denunciato il business dei corsi di formazione. Neanche a farlo apposta, infatti, la suddetta organizza corsi attraverso il marchio AISF(Accademia Internazionale di Scienze Forensi) - marchio spesso citato anche nella trasmissione Porta a Porta condotta da Bruno Vespa - solo apparentemente no-profit in quanto strettamente collegato con la SaS CSI-Academy (di cui Roberta Bruzzone risulta socio accomandante e che propone corsi e perizie forensi a pagamento): SaS che ha un logo pressoché identico a quello dell'Associazione pubblicizzata da Bruno Vespa e con cui condivide un sito web, situazione che potrebbe trarre in inganno milioni di telespettatori. Tutto ciò a nostro avviso dovrà essere analizzato attentamente innanzitutto dal Garante per le comunicazioni, per motivi di pubblicità occulta e di concorrenza sleale. Ma soprattutto: sarà "sicuramente casuale" che la società di Roberta Bruzzone risulti partner commerciale dell'azienda statunitense SIRCHIE e della società di rappresentanza italiana RASET - leaders in Italia nella commercializzazione di prodotti per criminalistica - e che il collega Marco Strano abbia intrapreso da almeno 5 anni una battaglia politico-sindacale finalizzata alla razionalizzazione della spesa pubblica nel settore dei prodotti per investigazioni scientifiche che, se andasse in porto, porterebbe un calo di fatturato di milioni di euro nelle predette aziende a vantaggio dell'Amministrazione della PS, i cui vertici purtroppo persistono invece nello sprecarli, a discapito dell'erario oltre che riducendo le potenzialità investigativo-scientifiche. Per quanto sopra esposto, chiediamo se il Capo della Polizia sia al corrente o meno della suddetta vicenda, quali iniziative abbia intrapreso e/o intenda intraprendere affinché sia ripristinato il prestigio della categoria e fatta luce su sprechi, privilegi e abusi che ne stanno seriamente minando le fondazioni.
Roma, 11 ottobre 2015
F.TO
Il Segretario Nazionale per l'Italia centrale e gli uffici dipartimentali -
FILIPPO BERTOLAMI
Il Segretario Nazionale Generale - Rappresentante Legale - FRANCO PICARDI
Rissa legale tra criminologi, scrive Mauro Sartori su “Il Giornale di Vicenza”. Si trasferisce anche in città il duro confronto tra Roberta Bruzzone e l'ex compagno Marco Strano. L'uomo accusa di plagio l'autrice per alcuni passaggi riportati. Lei replica con denunce per stalking e chiedendo misure di sicurezza. Carabinieri a piantonare la sala, notifica di documenti legali per spiegare il terreno minato su cui si muoveva l'incontro pubblico di ieri sera, querele e minacce attraverso i social network: sono gli ingredienti della guerra in atto fra due criminologi di fama, che ieri ha vissuto un capitolo scledense. Da una parte Roberta Bruzzone, psicologa forense nota per le partecipazioni come consulente ai talk show televisivi quando si parla di omicidi; dall'altra l'ex fidanzato Marco Strano, dirigente della polizia di stato, fondatore dell'Associazione internazionale di analisi del crimine. Oggetto del contendere il libro “Chi è l'assassino - diario di una criminologa”, edito dalla Mondadori. Strano accusa Bruzzone di plagio. Nella parte introduttiva del libro ci sarebbero passaggi copiati senza autorizzazione, tanto che il dirigente della polizia avrebbe chiesto con una procedura d'urgenza il ritiro dal commercio del libro, ma non l'ha ottenuto. Ieri sera la criminologa, chiamata come esperta da Bruno Vespa per le puntate di “Porta a porta” in cui si parla dei delitti di Sarah Scazzi e Melania Rea, tanto per citare i due più conosciuti, era a palazzo Toaldi Capra, dove ha presentato proprio il libro conteso ed ha parlato anche della sua attività quale ambasciatrice di “Telefono rosa”. L'altro ieri alla libreria Ubik, che organizzava l'incontro, due avvocati dell'Alto Vicentino, come domiciliatari dei legali di Strano, hanno recapitato ai titolari copia di un'ordinanza emessa dal tribunale di Milano in cui viene rigettato il ricorso di sequestro del libro, ma lascia aperta la porta ad un eventuale risarcimento del danno patito dal poliziotto. Una mossa che in verità non ha avuto conseguenze sullo svolgimento della serata ma che ha inasprito la tensione fra le due parti, tanto che ieri Bruzzone ha twittato parlando «di due scagnozzi non identificati che denuncerò per concorso in atti persecutori» che sarebbero andati alla Ubik e, in una successiva mail diffusa, «di un ennesimo tentativo di screditarm posto in essere da un soggetto che ormai trova l'unica ragione della sua misera esistenza nel rancore nutrito nei miei confronti e nel porre in essere atti persecutori nei miei confronti di cui sono vittima da quattro anni». In pratica da quando è finita la relazione sentimentale fra i due che un tempo andavano d'amore e d'accordo. La criminologa si è sentita minacciata tanto da richiedere misure di sicurezza ai promotori, prima di entrare in sala: «L'ho denunciato per stalking e quanto accaduto a Schio mi seriverà per integrare la denuncia stessa. Purtroppo non accetta l'evidenza dei fatti - ci ha riferito ieri sera Roberta Bruzzone. - La mia è un'opera autonoma, tratta da miei incarichi documentati. Le sue accuse sono deliranti. Per me la vicenda era chiusa con il rigetto del ricorso ma non si rassegna e allora comincio ad avere timore, soprattutto se si allarga a minacciare anche gli organizzatori delle mie serate nel tentativo di boicottarle. La mia vita è cristallina, ma non posso andare avanti così».
Bruzzone porta in tribunale l'ex ris Garofano. E' guerra totale (per un affare di cuore), scrive di Giordano Tedoldi il 16 marzo 2016 su “Libero Quotidiano”. Da quando la criminologia è uscita da laboratori e aule universitarie per diventare un genere af