Denuncio al mondo ed ai posteri con i miei libri tutte le illegalità tacitate ed impunite compiute dai poteri forti (tutte le mafie). Lo faccio con professionalità, senza pregiudizi od ideologie. Per non essere tacciato di mitomania, pazzia, calunnia, diffamazione, partigianeria, o di scrivere Fake News, riporto, in contraddittorio, la Cronaca e la faccio diventare storia. Quella Storia che nessun editore vuol pubblicare. Quelli editori che ormai nessuno più legge.

Gli editori ed i distributori censori si avvalgono dell'accusa di plagio, per cessare il rapporto. Plagio mai sollevato da alcuno in sede penale o civile, ma tanto basta per loro per censurarmi.

I miei contenuti non sono propalazioni o convinzioni personali. Mi avvalgo solo di fonti autorevoli e credibili, le quali sono doverosamente citate.

Io sono un sociologo storico: racconto la contemporaneità ad i posteri, senza censura od omertà, per uso di critica o di discussione, per ricerca e studio personale o a scopo culturale o didattico. A norma dell'art. 70, comma 1 della Legge sul diritto d'autore: "Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l'utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali."

L’autore ha il diritto esclusivo di utilizzare economicamente l’opera in ogni forma e modo (art. 12 comma 2 Legge sul Diritto d’Autore). La legge stessa però fissa alcuni limiti al contenuto patrimoniale del diritto d’autore per esigenze di pubblica informazione, di libera discussione delle idee, di diffusione della cultura e di studio. Si tratta di limitazioni all’esercizio del diritto di autore, giustificate da un interesse generale che prevale sull’interesse personale dell’autore.

L'art. 10 della Convenzione di Unione di Berna (resa esecutiva con L. n. 399 del 1978) Atto di Parigi del 1971, ratificata o presa ad esempio dalla maggioranza degli ordinamenti internazionali, prevede il diritto di citazione con le seguenti regole: 1) Sono lecite le citazioni tratte da un'opera già resa lecitamente accessibile al pubblico, nonché le citazioni di articoli di giornali e riviste periodiche nella forma di rassegne di stampe, a condizione che dette citazioni siano fatte conformemente ai buoni usi e nella misura giustificata dallo scopo.

Ai sensi dell’art. 101 della legge 633/1941: La riproduzione di informazioni e notizie è lecita purché non sia effettuata con l’impiego di atti contrari agli usi onesti in materia giornalistica e purché se ne citi la fonte. Appare chiaro in quest'ipotesi che oltre alla violazione del diritto d'autore è apprezzabile un'ulteriore violazione e cioè quella della concorrenza (il cosiddetto parassitismo giornalistico). Quindi in questo caso non si fa concorrenza illecita al giornale e al testo ma anzi dà un valore aggiunto al brano originale inserito in un contesto più ampio di discussione e di critica.

Ed ancora: "La libertà ex art. 70 comma I, legge sul diritto di autore, di riassumere citare o anche riprodurre brani di opere, per scopi di critica, discussione o insegnamento è ammessa e si giustifica se l'opera di critica o didattica abbia finalità autonome e distinte da quelle dell'opera citata e perciò i frammenti riprodotti non creino neppure una potenziale concorrenza con i diritti di utilizzazione economica spettanti all'autore dell'opera parzialmente riprodotta" (Cassazione Civile 07/03/1997 nr. 2089).

Per questi motivi Dichiaro di essere l’esclusivo autore del libro in oggetto e di tutti i libri pubblicati sul mio portale e le opere citate ai sensi di legge contengono l’autore e la fonte. Ai sensi di legge non ho bisogno di autorizzazione alla pubblicazione essendo opere pubbliche.

Promuovo in video tutto il territorio nazionale ingiustamente maltrattato e censurato. Ascolto e Consiglio le vittime discriminate ed inascoltate. Ogni giorno da tutto il mondo sui miei siti istituzionali, sui miei blog d'informazione personali e sui miei canali video sono seguito ed apprezzato da centinaia di migliaia di navigatori web. Per quello che faccio, per quello che dico e per quello che scrivo i media mi censurano e le istituzioni mi perseguitano. Le letture e le visioni delle mie opere sono gratuite. Anche l'uso è gratuito, basta indicare la fonte. Nessuno mi sovvenziona per le spese che sostengo e mi impediscono di lavorare per potermi mantenere. Non vivo solo di aria: Sostienimi o mi faranno cessare e vinceranno loro. 

Dr Antonio Giangrande  

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ANIMALOPOLI

 

 

 

DI ANTONIO GIANGRANDE

 

 

L’ITALIA CHE ABUSA DEGLI ANIMALI

 

 

 

"La grandezza di una nazione e il suo progresso morale si possono giudicare dal modo in cui tratta gli animali. Da ciò si può dedurre il trattamento che ella riserva alle persone. Ognuno pensa che le disgrazie colpiscano solo gli altri, senza tener conto che gli altri siamo anche noi. Solo allora ci accorgiamo quanto il sistema non funzioni. Ma le istituzioni colluse, i media omertosi e i cittadini codardi fanno sì che nulla cambi".

di Antonio Giangrande

 

                                                                                              ANIMALOPOLI

 

Animali ed animalisti. Distinzione sui termini dietro cui si nascondono ideologie e fondamentalismi, bugie ed odio contro l'uomo.

 

 SOMMARIO

 

INTRODUZIONE

PRESENTAZIONE DELL’AUTORE.

LA TRUFFA DEI SANTUARI DEGLI ANIMALI.

ANIMALI UCCISI E VIOLENTATI. QUANDO SONO I CIVILISSIMI NORDICI A FARLO.

PERCHE’ VEGETARIANI.

IDEOLOGIA VEGANA.

"PADRI DELLA PATRIA" VITTIME E COMPLICI DELLA NOSTRA ROVINA.

IN DIFESA DELLA CAPRE….

E’ TUTTA QUESTIONE DI COSCIENZA.

IL SUD TARTASSATO.

ITALIANI. LA CASTA DEI "COGLIONI". FACCIAMO PARLARE CLAUDIO BISIO.

IL NORD EVADE PIU’ DEL SUD.

LA MAFIA DEGLI ANIMALI.

I CIRCHI CONDANNATI? LO STATO LI FINANZIA.

COSA RESTA DEGLI ZOO.

RANDAGISMO ED ABBANDONI. L’UOMO ED IL CANE. CHI E’ L’ANIMALE?

LA MAFIA DEI CANI.

I CANILI DELL'ORRORE.

RANDAGISMO: SOLDI MAL SPESI E LEGGI DISATTESE.

ANIMALI SELVATICI. MATTANZA E BUROCRAZIA.

FIDO COME UN FIGLIO.

ANIMALI COME I FIGLI, MA VANNO ALL'ASTA. 

CHI NON AMA GLI ANIMALI, NON AMA IL PROSSIMO.

PREMIO HITLER PER CHI AMA GLI ANIMALI PIU' DELL'UOMO.

MA DANNO COSI' FASTIDIO I CANI?

LA LEGGE E' DALLA PARTE DEGLI ANIMALI.

L’IPOCRISIA ANIMALISTA.

I CANI NON SI COMPRANO?

VIETARE GLI ALLEVAMENTI DI ANIMALI DA PELLICCIA.

ALLE PECORE IMPEDISCONO LA TOSA.

GLI ANIMALISTI CONTRO GLI ALLEVATORI.

LA GUERRA CIVILE ANIMALISTA.

ANTISPECISMO E SPECISMO SPECULARE.

ANIMALI E POLITICA.

ANIMALI MALTRATTATI.

SULLA PELLE DEI RANDAGI.

SESSO CON GLI ANIMALI: L'ULTIMA FRONTIERA.

I REGOLAMENTI PER IL BENESSERE DEGLI ANIMALI.

QUANDO GLI ANIMALI VENGONO DA NOI. PRIGIONIERI PER BUSINESS.

CARNI STRAZIATE. PARLIAMO DELLE SOFFERENZE DEGLI ANIMALI MACELLATI.

TORTURE SUGLI ANIMALI.

TU CHIAMALI, SE VUOI, ANIMALISTI.

ANIMALI ED ANIMALISMO: ESTREMISMO PATOLOGICO.

CERVELLO DA ANIMALISTI.

LE BUGIE DEGLI UOMINI E LE BUGIE DEGLI ANIMALI.

PARLIAMO DELLA MAFIA ANIMALISTA.

LA NASCITA DELL'ANIMALISMO IN ITALIA.

LA LOBBY DEGLI ANIMALISTI.

LA LOBBY DEI CACCIATORI.

AL CIRCO NON TUTTI SI DIVERTONO!!!

IL MALTRATTAMENTO DEGLI ANIMALI. UN AFFARE DA 3 MILIARDI DI EURO ANNUI.

LA DISUGUAGLIANZA DEI CAVALLI TRA I DPA (DESTINATI ALLA PRODUZIONE ALIMENTARE) E NON DPA.

 

 

 

INTRODUZIONE

Antonio Giangrande, orgoglioso di essere diverso.

Se si è omologati (uguali) o conformati (simili) e si sta sempre dietro alla massa, non si sarà mai primi nella vita, perché ci sarà sempre il più furbo o il più fortunato a precederti.

In un mondo caposotto (sottosopra od alla rovescia) gli ultimi diventano i primi ed i primi sono gli ultimi. L’Italia è un Paese caposotto. Io, in questo mondo alla rovescia, sono l’ultimo e non subisco tacendo, per questo sono ignorato o perseguitato. I nostri destini in mano ai primi di un mondo sottosopra. Che cazzo di vita è?

Si nasce senza volerlo. Si muore senza volerlo. Si vive una vita di prese per il culo.

Dove si sentono alti anche i nani e dove anche i marescialli si sentono generali, non conta quanti passi fai e quali scarpe indossi, ma conta quante tracce lasci del tuo percorso.

Il difetto degli intelligenti è che sono spinti a cercare le risposte ai loro dubbi. Il pregio degli ignoranti è che non hanno dubbi e qualora li avessero sono convinti di avere già le risposte.

Un popolo di “coglioni” sarà sempre governato ed amministrato da “coglioni”.

Un chierico medievale si imbatté in un groviglio di serpi su cui spiccava un ramarro che già da solo sarebbe bastato a spaventarlo. Tuttavia, confrontata a quelle serpeggianti creature, la bestiola gli parve graziosa ed esclamò: «Beati monoculi in terra caecorum», nella terra dei ciechi anche l’orbo è re. 

Noi siamo quello che altri hanno voluto che diventassimo. Quando esprimiamo giudizi gratuiti, cattivi ed illogici lo facciamo con la nostra bocca ma inconsapevolmente per volontà di altri. Lo facciamo in virtù di quanto ricevuto: dall’educazione familiare, dall’istruzione di regime, dall’indottrinamento politico e religioso, dall’influenza mediatica. Niente è farina del nostro sacco. Se ci basassimo solo sulle nostre esperienze staremmo solo zitti, sapendo che nessuno sarebbe capace e disposto ad ascoltarci.

E’ comodo definirsi scrittori da parte di chi non ha arte né parte. I letterati, che non siano poeti, cioè scrittori stringati, si dividono in narratori e saggisti. E’ facile scrivere “C’era una volta….” e parlare di cazzate con nomi di fantasia. In questo modo il successo è assicurato e non hai rompiballe che si sentono diffamati e che ti querelano e che, spesso, sono gli stessi che ti condannano. Meno facile è essere saggisti e scrivere “C’è adesso….” e parlare di cose reali con nomi e cognomi. Impossibile poi è essere saggisti e scrivere delle malefatte dei magistrati e del Potere in generale, che per logica ti perseguitano per farti cessare di scrivere. Devastante è farlo senza essere di sinistra. Quando si parla di veri scrittori ci si ricordi di Dante Alighieri e della fine che fece il primo saggista mondiale.

Da sempre diffido di chi, vestito da lupo, è pecora genuflessa alla magistratura. I saccenti giustizialisti dei 5 stelle che provino a proporre la figura del difensore civico giudiziario con poteri di magistrato, senza essere uno di loro, per poter metter le mani nelle carte dei fascicoli e poterle sparigliare. Io da anni mi batto inascoltato per questo. I signori dei 5 stelle non si degnano nemmeno di rispondere ai messaggi degli esperti: tanto san tutto loro. A sbraitare son bravi, ma a proporre leggi sensate, mi sa che non son capaci. Parlan solo di soldi, soldi, soldi ed onestà, certificata dai loro magistrati, e mai parlano di libertà ed opportunità senza concorsi ed esami pubblici truccati.

Ad ogni azione umana nefasta si trova sempre una giustificazione...lo si fa per le piante...lo si fa per gli animali...lo si fa per le persone! Ma, alla fine, rimane solo un'azione nefasta che fa male al prossimo...e, spesso, il prossimo siamo noi. A parte il partito preso, noi siamo tutti responsabili delle azioni nefaste di uno, quando gli permettiamo di farle.

Parlare nei miei libri del caso singolo del semplice cittadino significa incorrere nell’accusa di mitomania, pazzia o calunnia, oltre che ne disinteresse. Invece parlo di loro, delle istituzioni che delinquono impunite. Parlo della vera mafia. Cosa posso dire di più di quello che ho scritto e che altri non dicono? Credo che quanto divulgato possa essere di grande soddisfazione per le vittime, non potendo avere altro che quella in questa Italia con italiani di merda a cui interessa solo di loro stessi e se ne fottono degli altri.

PRESENTAZIONE DELL’AUTORE.

Dr. Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico, giurista, blogger, youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie.

"Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza". Dante, Inferno XXVI

Antonio Giangrande, scrittore, accademico senza cattedra universitaria di Sociologia Storica, giornalista ed avvocato non abilitato. "Prima di giudicare la mia vita o il mio carattere mettiti le mie scarpe, percorri il cammino che ho percorso io, vivi i miei dolori, i miei dubbi, le mie risate...vivi gli anni che ho vissuto io e cadi là dove sono caduto io e rialzati come ho fatto io. Ognuno ha la propria storia. E solo allora mi potrai giudicare." Luigi Pirandello.

Dapprima ti ignorano. Poi ti deridono. Poi ti emarginano. Poi ti combattono. Tu sei solo, ma non per sempre. Loro sono tanti, ma non per sempre. Ed allora sarai vincente, ma solo dopo la tua morte. I primi a combatterti sono i prossimi parenti ed i compaesani ed allor "non ragioniam di loro, ma guarda e passa" (Dante Alighieri). “Gesù, venuto nella sua patria, insegnava nella loro sinagoga e la gente rimaneva stupita e diceva: «Da dove gli vengono questa sapienza e i prodigi? Non è costui il figlio del falegname? E sua madre, non si chiama Maria? E i suoi fratelli, Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda? E le sue sorelle, non stanno tutte da noi? Da dove gli vengono allora tutte queste cose?». Ed era per loro motivo di scandalo. Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria e in casa sua». E lì, a causa della loro incredulità, non fece molti prodigi”. Mt 13, 54-58.

Se si disprezza quello che gli altri sono e fanno, perché, poi, si è come gli altri e si osteggiano i diversi?

"C’è un’azione peggiore che quella di togliere il diritto di voto al cittadino e consiste nel togliergli la voglia di votare.” (R. Sabatier)

«La disperazione più grave che possa impadronirsi di una società è il dubbio che vivere onestamente sia inutile» - Corrado Alvaro, Ultimo diario, 1961.

Vivere senza leggere, o senza sfogliare i libri giusti scritti fuori dal coro o vivere studiando dai saggi distribuiti dal sistema di potere catto comunista savoiardo nelle scuole e nelle università, è molto pericoloso. Ciò ti obbliga a credere a quello che dicono gli altri interessati al Potere e ti conforma alla massa. Allora non vivi da uomo, ma da marionetta.

Se scrivi e dici la verità con il coraggio che gli altri non hanno, il risultato non sarà il loro rinsavimento ma l’essere tu additato come pazzo. Ti scontri sempre con la permalosità di magistrati e giornalisti e la sornionità degli avvocati avvezzi solo ai loro interessi. Categorie di saccenti che non ammettono critiche. Se scrivi e sei del centro-nord Italia, i conterranei diranno: che bel libro, bravo, è uno di noi. Se scrivi e sei del centro-sud Italia i conterranei diranno: quel libro l’avrei scritto anch’io, anzi meglio, ma sono solo cazzate. Chi siamo noi? Siamo i “coglioni” che altri volevano che fossimo o potessimo diventare. Da bambini i genitori ci educavano secondo i loro canoni, fino a che abbiamo scoperto che era solo il canone di poveri ignoranti. Da studenti i maestri ci istruivano secondo il loro pensiero, fino a che abbiamo scoperto che era solo il pensiero di comunisti arroganti. Prima dell’ABC ci insegnavano “Bella Ciao”. Da credenti i ministri di culto ci erudivano sulla confessione religiosa secondo il loro verbo, fino a che abbiamo scoperto che era solo la parola di pedofili o terroristi. Da lettori e telespettatori l’informazione (la claque del potere) ci ammaestrava all’odio per il diverso ed a credere di vivere in un paese democratico, civile ed avanzato, fino a che abbiamo scoperto che si muore di fame o detenuti in canili umani. Da elettori i legislatori ci imponevano le leggi secondo il loro diritto, fino a che abbiamo scoperto che erano solo corrotti, mafiosi e massoni. Ecco, appunto: siamo i “coglioni” che altri volevano che fossimo o potessimo diventare. E se qualcuno non vuol essere “coglione” e vuol cambiare le cose, ma non ci riesce, vuol dire che è “coglione” lui e non lo sa, ovvero è circondato da amici e parenti “coglioni”.

John Keating: Qualunque cosa si dica in giro, parole e idee possono cambiare il mondo. Sono salito sulla cattedra per ricordare a me stesso che dobbiamo sempre guardare le cose da angolazioni diverse. E il mondo appare diverso da quassù. Non vi ho convinti? Venite a vedere voi stessi. Coraggio! È proprio quando credete di sapere qualcosa che dovete guardarla da un'altra prospettiva. Carpe diem. Cogliete l'attimo, ragazzi... Rendete straordinaria la vostra vita!

Gerard Pitts: Cogli la rosa quando è il momento, che il tempo, lo sai, vola e lo stesso fiore che sboccia oggi, domani appassirà. John Keating: Non leggiamo e scriviamo poesie perché è carino: noi leggiamo e scriviamo poesie perché siamo membri della razza umana; e la razza umana è piena di passione. Medicina, legge, economia, ingegneria sono nobili professioni, necessarie al nostro sostentamento; ma la poesia, la bellezza, il romanticismo, l'amore, sono queste le cose che ci tengono in vita. Dal film L'attimo fuggente (Dead Poets Society), film del 1989 diretto da Peter Weir e con protagonista Robin Williams.

Studiare non significa sapere, volere non significa potere. Ai problemi non si è capaci di trovare una soluzione che accontenti tutti, perché una soluzione per tutti non esiste. Alla fine nessuno è innocente, perché in questa società individualista, violenta e superficiale tutti sono colpevoli. Io ho preso la mia decisione mentre la totalità di voi non sa prenderne alcuna (anche nelle cose più semplici). Come potreste capire cosa è veramente importante nella vita? Non saprete mai se avete preso la decisione giusta perché non vi siete fidati di voi stessi. Accusate il sistema, ma il sistema è freddo inesorabile matematico, solo chi è deciso a raggiungere la riva la raggiungerà. Vi auguro tutto il meglio per la vostra vita. “Class Enemy”, di Rok Bicek film del 2013. 

Dr. Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico, giurista, blogger, youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie, destinatario delle denunce presentate dai magistrati per tacitarlo e ricevente da tutta Italia di centinaia di migliaia di richieste di aiuto o di denunce di malefatte delle istituzioni. Ignorato dai media servi del potere.

Come far buon viso a cattivo gioco ed aspettare che dal fiume appaia il corpo del tuo nemico. "Subisci e taci" ti intima il Sistema. Non sanno, loro, che la vendetta è un piatto che si gusta freddo. E non si può perdonare...

Un padre regala al figlio un sacchetto di chiodi. “Tieni figliolo, ecco un sacchetto di chiodi. Piantane uno nello steccato Ogni volta che che perdi la pazienza e litighi con qualcuno perchè credi di aver subito un'ingiustizia” gli dice. Il primo giorno il figlio piantò ben 37 chiodi ma nelle settimane successive imparò a controllarsi e il numero di chiodi cominciò piano piano a diminuire. Aveva infatti scoperto che era molto più facile controllarsi che piantare chiodi e così arrivò un giorno in cui non ne piantò nemmeno uno. Andò quindi dal padre e gli disse che per quel giorno non aveva litigato con nessuno, pur essendo stato vittima d'ingiustizie e di soprusi, e non aveva piantato alcun chiodo. Il padre allora gli disse: “Benissimo figliolo, ora leva un chiodo dallo steccato per ogni giorno in cui non hai perso la pazienza e litigato con qualcuno”. Il figlio ascoltò e tornò dal padre dopo qualche giorno, comunicandogli che aveva tolto tutti i chiodi dallo steccato e che non aveva mai più perso la pazienza. Il padre lo portò quindi davanti allo steccato e guardandolo gli disse: “Figliolo, ti sei comportato davvero bene. Bravo. Ma li vedi tutti quei buchi? Lo steccato non potrà più tornare come era prima. Quando litighi con qualcuno, o quando questi ha usato violenza fisica o psicologica nei tuoi confronti, rimane una ferita come questi buchi nello steccato. Tu puoi piantare un coltello in un uomo e poi levarlo, e lo stesso può fare questi con te, ma rimarrà sempre una ferita. E non importa quante volte ti scuserai, o lui lo farà con te, la ferita sarà sempre lì. Una ferita verbale è come il chiodo nello steccato e fa male quanto una ferita fisica. Lo steccato non sarà mai più come prima. Quando dici le cose in preda alla rabbia, o quando altri ti fanno del male, si lasciano delle ferite come queste: come i buchi nello steccato. Possono essere molto profonde. Alcune si rimarginano in fretta, altre invece, potrebbero non rimarginare mai, per quanto si possa esserne dispiaciuti e si abbia chiesto scusa". 

Io non reagisco, ma mi si permetta di raccontare l'accaduto. Voglio far conoscere la verità sui chiodi piantati nelle nostre carni.

La mia esperienza e la mia competenza mi portano a pormi delle domande sulle vicende della vita presente e passata e sul perché del ripetersi di eventi provati essere dannosi all’umanità, ossia i corsi e i ricorsi storici. Gianbattista Vico, il noto filosofo napoletano vissuto fra il XVII e XVIII secolo elaborò una teoria, appunto dei corsi e ricorsi storici. Egli era convinto che la storia fosse caratterizzata dal continuo e incessante ripetersi di tre cicli distinti: l’età primitiva e divina, l’età poetica ed eroica, l’età civile e veramente umana. Il continuo ripetersi di questi cicli non avveniva per caso ma era predeterminato e regolamentato, se così si può dire, dalla provvidenza. Questa formulazione di pensiero è comunemente nota come “teoria dei corsi e dei ricorsi storici”. In parole povere, tanto per non essere troppo criptici, il Vico sosteneva che alcuni accadimenti si ripetevano con le medesime modalità, anche a distanza di tanto tempo; e ciò avveniva non per puro caso ma in base ad un preciso disegno stilato della divina provvidenza.” Io sono convinto, invece, che l’umanità dimentica e tende a sbagliare indotta dalla stupidità e dall’egoismo di soddisfare in ogni modo totalmente i propri bisogni in tempi e spazi con risorse limitate. Trovare il perché delle discrepanze dell’ovvio raccontato. Alle mie domando non mi do io stesso delle risposte. Le risposte le raccolgo da chi sento essere migliore di me e comunque tra coloro contrapposti con le loro idee sullo stesso tema da cui estrapolare il sunto significativo. Tutti coloro che scrivono, raccontano il fatto secondo il loro modo di vedere e lo ergono a verità. Ergo: stesso fatto, tanti scrittori, quindi, tanti fatti diversi. La mia unicità e peculiarità, con la credibilità e l’ostracismo che ne discende, sta nel raccontare quel fatto in un’unica sede e riportando i vari punti di vista. In questo modo svelo le mistificazioni e lascio solo al lettore l’arbitrio di trarne la verità da quei dati.

Voglio conoscere gli effetti, sì, ma anche le cause degli accadimenti: il post e l’ante. La prospettiva e la retrospettiva con varie angolazioni. Affrontare le tre dimensioni spaziali e la quarta dimensione temporale.

Si può competere con l’intelligenza, mai con l’idiozia. L’intelligenza ascolta, comprende e pur non condividendo rispetta. L’idiozia si dimena nell’Ego, pretende ragione non ascoltando le ragioni altrui e non guarda oltre la sua convinzione dettata dall’ignoranza. L’idiozia non conosce rispetto, se non pretenderlo per se stessa.

Quando fai qualcosa hai tutti contro: quelli che volevano fare la stessa cosa, senza riuscirci, impediti da viltà, incapacità, ignavia; quelli che volevano fare il contrario; e quelli, ossia la stragrande maggioranza, che non volevano fare niente.

Certe persone non sono importanti, siamo noi che, sbagliando, gli diamo importanza. E poi ci sono quelle persone che non servono ad un cazzo, non fanno un cazzo e si credono sto cazzo.

Correggi un sapiente ed esso diventerà più colto. Correggi un ignorante ed esso diventerà un tuo acerrimo nemico.

Molti non ti odiano perché gli hai fatto del male, ma perché sei migliore di loro.

Più stupido di chi ti giudica senza sapere nulla di te è colui il quale ti giudica per quello che gli altri dicono di te. Perché le grandi menti parlano di idee; le menti medie parlano di fatti; le infime menti parlano solo male delle persone.

E’ importante stare a posto con la propria coscienza, che è molto più importante della propria reputazione. La tua coscienza sei tu, la reputazione è ciò che gli altri pensano di te e quello che gli altri pensano di te è un problema loro.

Le bugie sono create dagli invidiosi, ripetute dai cretini e credute dagli idioti, perché un grammo di comportamento esemplare, vale un quintale di parole. Le menti mediocri condannano sempre ciò che non riescono a capire.

E se la strada è in salita, è solo perché sei destinato ad attivare in alto.

Ci sono persone per indole nate per lavorare e/o combattere. Da loro ci si aspetta tanto ed ai risultati non corrispondono elogi. Ci sono persone nate per oziare. Da loro non ci si aspetta niente. Se fanno poco sono sommersi di complimenti. Guai ad aspettare le lodi del mondo. Il mondo è un cattivo pagatore e quando paga lo fa sempre con l’ingratitudine.

Il ciclo vitale biologico della natura afferma che si nasce, si cresce, ci si riproduce, si invecchia e si muore e l’evoluzione fa vincere i migliori. Solo a noi umani è dato dare un senso alla propria vita.

Ergo. Ai miei figli ho insegnato:

Le ideologie, le confessioni, le massonerie vi vogliono ignoranti;

Le mafie, le lobbies e le caste vi vogliono assoggettati;

Le banche vi vogliono falliti;

La burocrazia vi vuole sottomessi;

La giustizia vi vuole prigionieri;

Siete nati originali…non morite fotocopia.

Siate liberi. Studiare, ma non fermarsi alla cultura omologata. La conoscenza è l'arma migliore per vincere. 

Antonio Giangrande, orgoglioso di essere diverso.

Se si è omologati (uguali) o conformati (simili) e si sta sempre dietro alla massa, non si sarà mai primi nella vita, perché ci sarà sempre il più furbo o il più fortunato a precederti.

In un mondo caposotto (sottosopra od alla rovescia) gli ultimi diventano i primi ed i primi sono gli ultimi. L’Italia è un Paese caposotto. Io, in questo mondo alla rovescia, sono l’ultimo e non subisco tacendo, per questo sono ignorato o perseguitato. I nostri destini in mano ai primi di un mondo sottosopra. Che cazzo di vita è?

Si nasce senza volerlo. Si muore senza volerlo. Si vive una vita di prese per il culo.

Dove si sentono alti anche i nani e dove anche i marescialli si sentono generali, non conta quanti passi fai e quali scarpe indossi, ma conta quante tracce lasci del tuo percorso.

Il difetto degli intelligenti è che sono spinti a cercare le risposte ai loro dubbi. Il pregio degli ignoranti è che non hanno dubbi e qualora li avessero sono convinti di avere già le risposte.

Un popolo di “coglioni” sarà sempre governato ed amministrato da “coglioni”.

Un chierico medievale si imbatté in un groviglio di serpi su cui spiccava un ramarro che già da solo sarebbe bastato a spaventarlo. Tuttavia, confrontata a quelle serpeggianti creature, la bestiola gli parve graziosa ed esclamò: «Beati monoculi in terra caecorum», nella terra dei ciechi anche l’orbo è re. 

Il ciclo vitale, in biologia, è l'intervallo tra il susseguirsi di generazioni di una specie. L'esistenza di ogni organismo si svolge secondo una sequenza ciclica di stadi ed eventi biologici, caratterizzata in base alla specie di appartenenza. Queste sequenze costituiscono i cosiddetti Cicli Biologici. Ogni essere vivente segue un ciclo vitale biologico composto dai seguenti stadi: nascita, crescita, riproduzione, senescenza e morte. Per quanto possa essere breve o corta la vita, nessun essere vivente preso singolarmente è immortale. Ma la sua specie diventa immortale attraverso la riproduzione e l'evoluzione. Gli esseri viventi si evolvono nel corso del tempo per potersi meglio adattare alla natura che li circonda. Attraverso la riproduzione le generazioni trasmettono i propri geni a quelle future. Durante questo passaggio le nuove generazioni possono assumere caratteristiche nuove o perderne alcune. Le differenze si traducono in vantaggi o in handicap per chi le possiede, agendo direttamente sul processo evolutivo tramite la selezione naturale degli individui. Le nuove caratteristiche che agevolano l'adattamento all'ambiente offrono all'individuo maggiori probabilità di sopravvivenza e, quindi, di riproduzione. E' innaturale non riprodursi. Senza riproduzione non vi è proseguimento ed evoluzione della specie. Senza riproduzione il ciclo vitale biologico cessa. Ciò ci rende mortali. Parlare in termini scientifici dell'eterosessualità e del parto, quindi di stati naturali, fa di me un omofobo ed un contrabortista, quindi un non-comunista? Cercare di informare i simili contro la deriva involutiva, fa di me un mitomane o pazzo? 

Noi siamo quello che altri hanno voluto che diventassimo. Quando esprimiamo giudizi gratuiti, cattivi ed illogici lo facciamo con la nostra bocca ma inconsapevolmente per volontà di altri. Lo facciamo in virtù di quanto ricevuto: dall’educazione familiare, dall’istruzione di regime, dall’indottrinamento politico e religioso, dall’influenza mediatica. Niente è farina del nostro sacco. Se ci basassimo solo sulle nostre esperienze staremmo solo zitti, sapendo che nessuno sarebbe capace e disposto ad ascoltarci.

E’ comodo definirsi scrittori da parte di chi non ha arte né parte. I letterati, che non siano poeti, cioè scrittori stringati, si dividono in narratori e saggisti. E’ facile scrivere “C’era una volta….” e parlare di cazzate con nomi di fantasia. In questo modo il successo è assicurato e non hai rompiballe che si sentono diffamati e che ti querelano e che, spesso, sono gli stessi che ti condannano. Meno facile è essere saggisti e scrivere “C’è adesso….” e parlare di cose reali con nomi e cognomi. Impossibile poi è essere saggisti e scrivere delle malefatte dei magistrati e del Potere in generale, che per logica ti perseguitano per farti cessare di scrivere. Devastante è farlo senza essere di sinistra. Quando si parla di veri scrittori ci si ricordi di Dante Alighieri e della fine che fece il primo saggista mondiale.

Da sempre diffido di chi, vestito da lupo, è pecora genuflessa alla magistratura. I saccenti giustizialisti dei 5 stelle che provino a proporre la figura del difensore civico giudiziario con poteri di magistrato, senza essere uno di loro, per poter metter le mani nelle carte dei fascicoli e poterle sparigliare. Io da anni mi batto inascoltato per questo. I signori dei 5 stelle non si degnano nemmeno di rispondere ai messaggi degli esperti: tanto san tutto loro. A sbraitare son bravi, ma a proporre leggi sensate, mi sa che non son capaci. Parlan solo di soldi, soldi, soldi ed onestà, certificata dai loro magistrati, e mai parlano di libertà ed opportunità senza concorsi ed esami pubblici truccati.

Ad ogni azione umana nefasta si trova sempre una giustificazione...lo si fa per le piante...lo si fa per gli animali...lo si fa per le persone! Ma, alla fine, rimane solo un'azione nefasta che fa male al prossimo...e, spesso, il prossimo siamo noi. A parte il partito preso, noi siamo tutti responsabili delle azioni nefaste di uno, quando gli permettiamo di farle.

Parlare nei miei libri del caso singolo del semplice cittadino significa incorrere nell’accusa di mitomania, pazzia o calunnia, oltre che nel disinteresse. Invece parlo di loro, delle istituzioni che delinquono impunite. Parlo della vera mafia. Cosa posso dire di più di quello che ho scritto e che altri non dicono? Credo che quanto divulgato possa essere di grande soddisfazione per le vittime, non potendo avere altro che quella in questa Italia con italiani di merda a cui interessa solo di loro stessi e se ne fottono degli altri.

Alle sentenze irrevocabili di proscioglimento del Tribunale di Taranto a carico del dr Antonio Giangrande, già di competenza della dr.ssa Rita Romano, giudice di Taranto poi ricusata perché denunciata, si aggiunge il verbale di udienza dell’11 dicembre 2015 della causa n. 987/09 (1832/07 RGNR) del Tribunale di Potenza, competente su fatti attinenti i magistrati di Taranto, con il quale si dispone la perfezione della fattispecie estintiva del processo per remissione della querela nei confronti del dr Antonio Giangrande da parte del dr. Alessio Coccioli, già Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Taranto, poi trasferito alla Direzione Distrettuale Antimafia di Lecce. Remissione della querela volontaria, libera e non condizionata da alcun atto risarcitorio.

Il Dr Antonio Giangrande era inputato per il reato previsto e punito dall’art. 595 3° comma c.p. “perchè inviando una missiva a sua firma alla testata giornalistica La Gazzetta del Sud Africa e pubblicata sui siti internet lagazzettadelsudafrica.net, malagiustizia.eu, e associazionecontrotuttelemafie.org, offendeva l’onore ed il decoro del dr. Alessio Coccioli, Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Taranto, riportando in detto su scritto la seguente frase: “…il PM Alessio Coccioli, inopportunamente delegando i carabinieri di Manduria, quali PG, ha reso lecito tale modus operandi (non rilasciare attestato di ricezione da parte dell’Ufficio Protocollo del Comune di Manduria ndr), motivandolo dal fatto che non è dannoso per il denunciante. Invece in denuncia si è fatto notare che tale usanza di recepimento degli atti, prettamente manduriana, può nascondere alterazioni procedurali in ambito concorsuale e certamente abusi a danno dei cittadini. Lo stesso PM Alessio Coccioli, inopportunamente delegando i carabinieri di Manduria, quali PG, per la colleganza con il comandante dei Vigili Urbani di Manduria, ha ritenuto le propalazioni del Giangrande, circa il concorso per Comandante dei Vigili Urbani, ritenuto truccato (perché il medesimo aveva partecipato e vinto in un concorso da egli stesso indetto e regolato in qualità di comandante pro tempore e dirigente dell’ufficio del personale), sono frutto di sue convinzioni non supportate da riscontri di natura obbiettiva e facendo conseguire tali riferimenti, al predetto dr. Coccioli, ad altre notazioni, contenute nello stesso scritto, nelle quali si denunciavano insabbiamenti, o poche richieste di archiviazioni strumentali attribuite ai magistrati della Procura della Repubblica di Taranto”.

Il Processo di Potenza, come i processi tenuti a Taranto, sono attinenti a reati di opinione. Lo stesso dr. Alessio Coccioli, una volta trasferito a Lecce, ha ritenuto che le opinioni espresse dal Dr Antonio Giangrande riguardo la Giustizia a Taranto non potessero continuare ad essere perseguite. 

Ultimo atto. Esame di Avvocato 2015. A Lecce uno su quattro ce l’ha fatta. Sono partiti in 1.108: la prova scritta è stata passata da 275 praticanti. Preso atto.....

All'attenzione dell'avv. Francesco De Jaco. Illustre avv. Francesco De Jaco, in qualità di Presidente della Commissione di Esame di Avvocato 2014-2015, chi le scrive è il dr Antonio Giangrande. E’ quel signore, attempato per i suoi 52 anni e ormai fuori luogo in mezzo ai giovani candidati, che in sede di esame le chiese, inopinatamente ed invano, Tutela. Tutela, non raccomandazione. Così come nel 2002 fu fatto inutilmente con l’avv. Luigi Rella, presidente di commissione e degli avvocati di Lecce. Tutela perché quel signore il suo futuro lo ha sprecato nel suo passato. Ostinatamente nel voler diventare avvocato ha perso le migliori occasioni che la vita possa dare. Aspettava come tutti che una abilitazione, alla mediocrità come è l’esame forense truccato, potesse, prima o poi, premiare anche lui. Pecori e porci sì, lui no! Quel signore ha aspettato ben 17 anni per, finalmente, dire basta. Gridare allo scandalo per un esame di Stato irregolare non si può. Gridare al complotto contro la persona…e chi gli crede. Eppure a Lecce c’è qualcuno che dice: “quello lì, l’avvocato non lo deve fare”. Qualcuno che da 17 anni, infastidito dal mio legittimo operato anche contro i magistrati, ha i tentacoli tanto lunghi da arrivare ovunque per potermi nuocere. Chi afferma ciò è colui il quale dimostra con i fatti nei suoi libri, ciò che, agli ignoranti o a chi è in mala fede, pare frutto di mitomania o pazzia. Guardi, la sua presidenza, in sede di scritto, è stata la migliore tra le 17 da me conosciute. Purtroppo, però, in quel di Brescia quel che si temeva si è confermato. Brescia, dove, addirittura, l’ex Ministro Mariastella Gelmini chiese scampo, rifugiandosi a Reggio Calabria per poter diventare avvocato. Il mio risultato delle prove fa sì che chiuda la fase della mia vita di aspirazione forense in bruttezza. 18, 18, 20. Mai risultato fu più nefasto e, credo, immeritato e punitivo. Sicuro, però, che tale giudizio non è solo farina del sacco della Commissione di esame di Brescia. Lo zampino di qualche leccese c’è! Avvocato… o magistrato… o entrambi…: chissà? Non la tedio oltre. Ho tentato di trovare Tutela, non l’ho trovata. Forse chiedevo troppo. Marcire in carcere da innocente o pagare fio in termini professionali, credo che convenga la seconda ipotesi. Questo è quel che pago nel mettermi contro i poteri forti istituzionali, che io chiamo mafiosi. Avvocato, grazie per il tempo che mi ha dedicato. Le tolgo il disturbo e, nel caso l’importasse, non si meravigli, se, in occasione di incontri pubblici, se e quando ci saranno, la priverò del mio saluto. Con ossequi.

Avetrana lì 26 giugno 2015. Dr Antonio Giangrande, scrittore per necessità.

I mediocri del Politically Correct negano sempre il merito. Sostituiscono sempre la qualità con la quantità. Ma è la qualità che muove il mondo, cari miei, non la quantità. Il mondo va avanti grazie ai pochi che hanno qualità, che valgono, che rendono, non grazie a voi che siete tanti e scemi. La forza della ragione (Oriana Fallaci)

 “L'Italia tenuta al guinzaglio da un sistema di potere composto da caste, lobbies, mafie e massonerie: un'Italia che deve subire e deve tacere.

La “Politica” deve essere legislazione o amministrazione nell’eterogenea rappresentanza d’interessi, invece è meretricio o mendicio, mentre le “Istituzioni” devono meritarlo il rispetto, non pretenderlo. Il rapporto tra cittadini e il rapporto tra cittadini e Stato è regolato dalla forza della legge. Quando non vi è cogenza di legge, vige la legge del più forte e il debole soccombe. Allora uno “Stato di Diritto” degrada in anarchia. In questo caso è palese la responsabilità politica ed istituzionale per incapacità o per collusione. Così come è palese la responsabilità dei media per omertà e dei cittadini per codardia o emulazione."

TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo. Vittorio Alfieri (1790).

"Quando si cerca di far progredire la conoscenza e l'intelligenza umana si incontra sempre la resistenza dei contemporanei, simile a un fardello che bisogna trascinare e che grava pesantemente al suolo, ribelle ad ogni sforzo. Ci si deve consolare allora con la certezza che, se i pregiudizi sono contro di noi, abbiamo con noi la Verità, la quale, dopo essersi unita al suo alleato, il Tempo, è pienamente certa della sua vittoria, se non proprio oggi, sicuramente domani."(Arthur Schopenhauer)

Il pregio di essere un autodidatta è quello che nessuno gli inculcherà forzosamente della merda ideologica nel suo cervello. Il difetto di essere un autodidatta è quello di smerdarsi da solo.

Noi siamo quello che altri hanno voluto che diventassimo con la discultura e la disinformazione. Ci si deve chiedere: perchè a scuola ci hanno fatto credere con i libri di testo che Garibaldi era un eroe ed i piemontesi dei salvatori; perché i media coltivano il luogo comune di un sud Italia cafone ed ignorante; perché la prima cosa che insegnano a scuola è la canzone “bella ciao”? Per poi scoprire da adulti e solo tramite il web: che il Sud Italia è stato depredato a causa proprio di Garibaldi a vantaggio dei Piemontesi; che solo i turisti che scendono a frotte nel meridione d’Italia scoprono quanto ci sia tanto da conoscere ed apprezzare, oltre che da amare; che “Bella ciao” è solo l’inno di una parte della politica italiana che in nome di una ideologia prima tradì l’Italia e poi, con l’aiuto degli americani, vinse la guerra civile infierendo sui vinti, sottomettendoli, con le sue leggi, ad un regime illiberale e clericale.

Ad Avetrana, il paese di Sarah Scazzi, non sono omertosi, sempre che non si tratti di poteri forti. Ma qualcuno certamente vigliacco e codardo lo è. Sapendo che io ho le palle per denunciare le illegalità, questi deficienti usano il mio nome ed appongono falsamente la mia firma in calce a degli esposti che colpiscono i poveri cristi rei di abusi edilizi o commerciali. I cretini, che poi fanno carriera politica, non sanno che i destinatari dei miei strali sono magistrati, avvocati, forze dell’ordine, e comunque pubblici ufficiali o esercenti un pubblico servizio. Che poi queste denunce finiscono nell’oblio perché “cane non mangia cane” e per farmi passare per mitomane o pazzo o calunniatore o diffamatore, è un’altra cosa. Però da parte di questi coglioni prendersela con i poveri cristi per poi far addossare la colpa a me ed essere oggetto di ritorsioni ingiustificate è da veri vigliacchi. D'altronde un paese di coglioni sarà sempre governato, amministrato, giudicato da coglioni.

È molto meglio osare cose straordinarie, vincere gloriosi trionfi, anche se screziati dall'insuccesso, piuttosto che schierarsi tra quei poveri di spirito che non provano grandi gioie né grandi dolori, perché vivono nel grigio e indistinto crepuscolo che non conosce né vittorie né sconfitte. (...) Non è il critico che conta, né l'individuo che indica come l'uomo forte inciampi, o come avrebbe potuto compiere meglio un'azione. L'onore spetta all'uomo che realmente sta nell'arena, il cui viso è segnato dalla polvere, dal sudore, dal sangue; che lotta con coraggio; che sbaglia ripetutamente, perchè non c'è tentativo senza errori e manchevolezze; che lotta effettivamente per raggiungere l'obiettivo; che conosce il grande entusiasmo, la grande dedizione, che si spende per una giusta causa; che nella migliore delle ipotesi conosce alla fine il trionfo delle grandi conquiste e che, nella peggiore delle ipotesi, se fallisce, almeno cade sapendo di aver osato abbastanza. Dunque il suo posto non sarà mai accanto a quelle anime timide che non conoscono né la vittoria, né la sconfitta. Franklin Delano Roosevelt

Cari signori, io ho iniziato a destare le coscienze 20 anni prima di Beppe Grillo e nulla è successo. Io non cercavo gli onesti, ma le vittime del sistema, per creare una rivoluzione culturale…ma un popolo di “coglioni” sarà sempre governato ed amministrato da “coglioni”.

"Il popolo cornuto era e cornuto resta: la differenza è che il fascismo appendeva una bandiera sola alle corna del popolo e la democrazia lascia che ognuno se l'appenda da sé, del colore che gli piace, alle proprie corna... Siamo al discorso di prima: non ci sono soltanto certi uomini a nascere cornuti, ci sono anche popoli interi; cornuti dall'antichità, una generazione appresso all'altra...- Io non mi sento cornuto - disse il giovane - e nemmeno io. Ma noi, caro mio, camminiamo sulle corna degli altri: come se ballassimo..." Leonardo Sciascia dal libro "Il giorno della civetta". 

Un chierico medievale si imbatté in un groviglio di serpi su cui spiccava un ramarro che già da solo sarebbe bastato a spaventarlo. Tuttavia, confrontata a quelle serpeggianti creature, la bestiola gli parve graziosa ed esclamò: «Beati monoculi in terra caecorum», nella terra dei ciechi anche l’orbo è re. 

Noi siamo quello che altri hanno voluto che diventassimo. Quando esprimiamo giudizi gratuiti, cattivi ed illogici lo facciamo con la nostra bocca ma inconsapevolmente per volontà di altri. Lo facciamo in virtù di quanto ricevuto: dall’educazione familiare, dall’istruzione di regime, dall’indottrinamento politico e religioso, dall’influenza mediatica. Niente è farina del nostro sacco. Se ci basassimo solo sulle nostre esperienze staremmo solo zitti, sapendo che nessuno sarebbe capace e disposto ad ascoltarci.

In una Italia dove nulla è come sembra, chi giudica chi è onesto e chi no?

Lo hanno fatto i comunisti, i dipietristi, i leghisti, i pentastellati. Lor signori si son dimostrati peggio degli altri e comunque servitori dei magistrati. E se poi son questi magistrati a decidere chi è onesto e chi no, allora se tutti stanno dalla parte della ragione, io mi metto dalla parte del torto.

Ognuno di noi, anziché migliorarsi, si giova delle disgrazie altrui. Non pensando che a cercar l’uomo onesto con il lanternino si perde la ragione. Ma anche a cercarlo con la lanterna di Diogene si perde la retta via. Diogene di Sinope (in greco antico Διογένης Dioghénes) detto il Cinico o il Socrate pazzo (Sinope, 412 a.C. circa – Corinto, 10 giugno 323 a.C.) è stato un filosofo greco antico. Considerato uno dei fondatori della scuola cinica insieme al suo maestro Antistene, secondo l'antico storico Diogene Laerzio, perì nel medesimo giorno in cui Alessandro Magno spirò a Babilonia. «[Alessandro Magno] si fece appresso a Diogene, andandosi a mettere tra lui e il sole. "Io sono Alessandro, il gran re", disse. E a sua volta Diogene: "Ed io sono Diogene, il cane". Alessandro rimase stupito e chiese perché si dicesse cane. Diogene gli rispose: "Faccio le feste a chi mi dà qualcosa, abbaio contro chi non dà niente e mordo i ribaldi."» (Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, Vita di Diogene il Cinico, VI 60). Diogene aveva scelto di comportarsi, dunque, come "critico" pubblico: la sua missione era quella di dimostrare ai Greci che la civiltà è regressiva e di dimostrare con l'esempio che la saggezza e la felicità appartengono all'uomo che è indipendente dalla società. Diogene si fece beffe non solo della famiglia e dell'ordine politico e sociale, ma anche delle idee sulla proprietà e sulla buona reputazione. Una volta uscì con una lanterna di giorno. Questi non indossava una tunica. Portava come solo vestito un barile ed aveva in mano una lanterna. "Diogene! - esclamo Socrate - con quale nonsenso tenterai di ingannarci oggi? Sei sempre alla ricerca, con questa lanterna, di un uomo onesto? Non hai ancora notato tutti quei buchi nel tuo barile?". Diogene rispose: "Non esiste una verità oggettiva sul senso della vita". A chi gli chiedeva il senso della lanterna lui rispondeva: "cerco l'uomo!". “... (Diogene) voleva significare appunto questo: cerco l’uomo che vive secondo la sua più autentica natura, cerco l’uomo che, aldilà di tutte le esteriorità, le convenzioni o le regole imposte dalla società e aldilà dello stesso capriccio della sorte e della fortuna, ritrova la sua genuina natura, vive conformemente a essa e così è felice."

LA TRUFFA DEI SANTUARI DEGLI ANIMALI.

Africa, la truffa dei falsi santuari per difendere gli animali poi venduti. Decine di volontari da tutto il mondo finiscono vittime del raggiro di bracconieri senza scrupolo: pagano fino a 2 mila euro per lavorare in difesa di cuccioli di leone o ghepardo; che poi però vengono ceduti a zoo o riserve di caccia per ricchi stranieri, scrive Maria Grazia Filippi il 22 febbraio 2018 su "Il Corriere della Sera". Il video clip di presentazione è quasi sempre irresistibile. La terra color ocra, leoni e ghepardi acquattati fra le fronde e, grazie ad una panoramica dall’alto, la Savana selvaggia pronta a regalarci emozioni mai vissute. I cuccioli, poi, soprattutto quelli col biberon tra le zampe, sono davvero adorabili. Quasi tutti i volontari, che arrivano a sborsare tra i 1.500 e i 2000 euro per due settimane di “lavoro” fra gli animali selvaggi dell’Africa, hanno cominciato da lì il lungo percorso (a volte ci sono voluti anni) che li ha portati all’amara consapevolezza di essere stati parte di un triste meccanismo. Partire sicuri di andare ad aiutare i cuccioli abbandonati che hanno bisogno di essere nutriti e coccolati, e ritrovarsi nelle grinfie di quelli che vengono definiti i «falsi santuari» e che altro non sono che centri di allevamento per animali che, nel migliore dei casi, finiranno a fare da attrazioni turistiche ma nel peggiore verranno venduti alle riserve di caccia per ricchi stranieri disposti a pagare anche 50 mila dollari per sparare, protetti da una rete, al leone dalla criniera più bella. Una truffa che muove un giro d’affari (leggi qui l’articolo) da almeno 20 milioni di dollari l’anno.

Il ritorno in natura non avverrà mai. Partire sicuri di andare a cercare la parte più nobile di sé, volontariato, amore per gli esseri indifesi, disponibilità ad offrire il proprio tempo e il proprio denaro, e ritornare con la consapevolezza di aver contribuito a rendere animali selvaggi peluche abituati all’odore e ai gesti dell’uomo e quindi, nel futuro, impossibilitati ad essere reintrodotti in natura e quindi destinati ad essere prede facili di fucili a pagamento. È il triste destino dei tanti, sempre di più e sempre più giovani, volontari che arrivano in Africa da ogni parte del mondo per andare incontro alla più cocente delle delusioni. Lo spiega benissimo Chiara Grasso, la giovane etologa che ha deciso di fare mea culpa dopo un mese in Namibia: «Sono stata vittima e carnefice di questo schifoso commercio di animali che si nasconde dietro nomi come “santuario, centro di recupero, orfanotrofio di animali”, ma che in realtà non è altro che un degradante business fatto sulla pelle di animali costretti a vivere in gabbie e farsi accarezzare da turisti e stupidi volontari, i cui cuccioli sono strappati dalle madri molto spesso uccise o catturate in natura, e fatti vivere come peluche».

Il grande imbroglio svelato da Chiara. Pulire gabbie e dormire coi babbuini. Anche Chiara era partita con le migliori intenzioni. A cominciare dall’investimento economico: «Mille e seicento euro per 4 settimane, volo escluso – racconta – il nostro lavoro consisteva nella pulizia gabbie, tagliare frutta e verdura, riempire secchi d’acqua e pulire il centro e altre attività di manutenzione. Nel tempo a disposizione venivamo “premiati” con delle passeggiate con i ghepardi che accarezzavamo, coccolavamo e con cui si scattavamo innumerevoli selfie. Potevamo inoltre dormire con babbuini e cercopiteci, scimmie con il pannolino con cui facevamo la doccia e a cui davamo il biberon e che baciavamo in continuazione in una completa mancanza di sicurezza e salute animale e umana». Chiara infatti denuncia che nessuno si cura della sicurezza degli animali ma neppure di quella dei volontari.

Dormire con gli animali: pratica che dovrebbe essere vietata. Scarsa igiene e malattie da contatto. «Le foto lo confermano: avevo un herpes che per noi è solo un fastidioso prurito, ma per gli animali può essere mortale. Ma nessuno ha pensato di tenermi lontana da loro», racconta la giovane volontaria. Boskoppie e Ukutula (che sul suo sito si proclama «contro ogni tipo di caccia ai predatori»), entrambi in Sudafrica, sono due tra le riserve considerate tra i peggiori falsi santuari. «Sono arrivato a Utukula nel 2013 – racconta Keeton Hill, ventiduenne di Manchester —: 1200 euro pagati ad una agenzia inglese per occuparmi del benessere di leoni all’interno di una riserva. Eravamo in un gruppo di 20/30 persone, soprattutto Stati Uniti, Gran Bretagna e Australia, e malgrado qualche dubbio la mia esperienza all’epoca mi era piaciuta moltissimo. Soltanto dopo essere rientrato in Europa ho scoperto che Ukutula allevava e vendeva leoni destinati alla caccia. Da allora ho cercato in tutti i modi di rimediare al mio errore per impedire che altri lo ripetano».

Vita quotidiana con i babbuini in un falso santuario. I veri predatori di Boskoppie, in Sudafrica. Sarah Dierickx, ventisettenne di Lorena, le sue vacanze da incubo le ha trascorse a Boskoppie. «Mi sono resa conto che non ero in un santuario ma in uno zoo destinato all’allevamento – spiega – i cuccioli di leone vengono sistematicamente portati via alle loro madri. Ti dicono che è perché le madri non sono in grado di badare alla prole. Ma la realtà è che separare i cuccioli dalla leonessa permette in due anni di avere cinque gravidanze e non una come sarebbe in natura». Ma soprattutto Sarah scopre che «dietro il Boskopie c’è Piet Swart Jr, fondatore di Predators Breeders, il gruppo che esercitato pressioni per impedire che in Sud Africa venisse vietata la caccia». I veri «predatori» sono loro. Per inciso, Swart Jr. «è stato anche arrestato con un convoglio illegale di leoni diretti ad una riserva di caccia e poi per traffico di corno di rinoceronte». Alla fine, conclude Sarah, «mi sono dovuta arrendere all’idea che ho pagato un viaggio costoso per sostenere qualcosa che è completamente in contrasto con i miei principi e i miei valori. Prendersi cura di cuccioli di leone è un’esperienza unica. Ma a quale prezzo?».

Truffati e rinchiusi, le foto di Sarah. La battaglia di «Volunteers in Africa beware». Molti volontari hanno voluto dare un senso alle loro esperienze negative. E si sono riuniti formando il gruppo Volunteers in Africa beware che raccoglie le informazioni di tutti coloro che si recano a sud dell’Equatore per un campo di volontariato. Lo scorso anno hanno anche realizzato una lista (si può trovare sulla loro pagina Facebook) che offre informazioni su tutti santuari presenti nel territorio africano suddividendoli in buoni, cattivi e pessimi in base alle testimonianze di chi c’è stato. Anche il SAT, l’ente del turismo africano, mette in guardia sulla scelta dei luoghi dove andare a contribuire con il proprio lavoro, così come il Drakenstein Lion Park, una splendida riserva naturale sudafricana, offre un «decalogo» di domande da farsi prima di scegliere perché, avvisano: «ogni anno migliaia di persone vengono per interagire con i cuccioli di leone. Ma ogni giorno, un leone allevato in cattività viene massacrato nelle riserve di caccia a pagamento».

ANIMALI UCCISI E VIOLENTATI. QUANDO SONO I CIVILISSIMI NORDICI A FARLO.

I civilissimi nordici che non amano gli animali. Lo zoo svedese che ha ucciso nove cuccioli di leone perché «in esubero». Il Boras Djurpark ha eliminato gli animali negli ultimi cinque anni benché fossero in perfetta salute: «Non potevamo tenerli tutti, erano troppi». Ira degli animalisti, scrive Beatrice Montini su "Il Corriere della Sera" del 14 gennaio 2018. Nove cuccioli di leone uccisi negli ultimi cinque anni. È accaduto in uno zoo svedese, Boras Djurpark, vicino a Goteborg, che ha ammesso di aver «soppresso» gli animali, che erano in perfetta salute, perché non poteva permettersi di tenerli. Solo due dei 13 cuccioli, nati da tre diverse cucciolate, sono stati tenuti nella struttura, due leoni sono morti per cause naturali e i restanti cuccioli sono stati soppressi. «Abbiamo cercato di venderli o trasferirli in altri zoo - hanno spiegato i responsabili della struttura all'«Independent» - ma non abbiamo trovato nessuno e gli animali erano troppi». Lo zoo è stato attaccato dagli animalisti e non solo per aver ucciso i leoncini. Ma non si tratta di un caso isolato.

I precedenti. Non è la prima volta che uno zoo finisce nel mirino per aver ucciso animali considerati «in esubero» (è una pratica piuttosto comune) e per averli poi usati per nutrire altri animali o per scopi «educativi». Il caso più noto è quello di Marius: un cucciolo di giraffa ucciso e macellato davanti un pubblico di adulti e bambini (e poi dato in pasto ai leoni) nello zoo di Copenaghen. Era il febbraio del 2014 e la storia di Marius fece il giro del mondo commuovendo migliaia di persone per la crudele spettacolarizzazione della sua morte.

Zoo svedese ha soppresso nove cuccioli di leone perché erano un “surplus”, scrive Fulvio Cerutti il 14/01/2018 su "La Stampa". Uno zoo svedese ha ammesso di aver soppresso nove cuccioli di leone, tutti in piena salute, perché non poteva permettersi di tenerli. Boras Djurpark, una struttura a 40 chilometri da Göteborg, ha preso quella decisione uccidendo i piccoli in diversi momenti sin dal 2012. Solo due dei 13 cuccioli, nati da tre diverse cucciolate, sono sopravvissuti negli ultimi cinque anni: due leoni sono morti per cause naturali e i restanti cuccioli sono stati soppressi. Simba, Rafiki, Nala e Sarabi sono nati nella primavera 2012 e soppressi nell’autunno 2013. Kiara, Banzai e Kovu sono nati nella primavera del 2014 e sono stati uccisi fra l’estate e l’autunno 2015. L’anno successivo sono nati quattro leoncini, chiamati con i nomi dei personaggi di Harry Potter: Potter, Weasley, Granger e Dolores. I primi due sono stati soppressi, gli altri due mandati a un ben specificato zoo inglese. «Abbiamo cercato di venderli o trasferirli in altri zoo per molto tempo, ma purtroppo non c’erano altre strutture in grado di riceverli. Quando hanno iniziato a essere troppo aggressivi e il gruppo troppo numeroso abbiamo dovuto procedere in quel modo - spiega Bo Kjellson, amministratore delegato del parco, alla tv svedese SVT -. Non è un segreto e non cerchiamo di nascondere che lavoriamo in questo modo. È, purtroppo, un percorso naturale per i gruppi di leoni». Helena Pederson, una ricercatrice sul mondo animale presso l’Università di Göteborg, spiega alla SVT che l’eutanasia degli animali negli zoo sta sollevando la questione se tali istituzioni debbano rimanere aperte: «E ’chiaro che c’è un contrasto con la percezione del pubblico di ciò che è uno zoo. Uccidere gli animali come parte dell’organizzazione, penso che sconvolge un bel po’. Penso che abbiamo bisogno di riflettere se sia importante avere gli zoo e se vale la pena il prezzo che gli animali pagano per questo». 

Svezia, nove cuccioli di leone uccisi perché "in esubero": zoo nel mirino degli animalisti, scrive Federica Macagnone Lunedì 15 Gennaio 2018 su "Il Messaggero".  I responsabili di uno zoo svedese hanno soppresso nove cuccioli di leone negli ultimi cinque anni: al Boras Djurpark, parco zoologico a circa 40 chilometri da Gothenberg, i cuccioli, tutti in perfetto stato di salute, sono stati sottoposti all'eutanasia «perché in numero eccedente». Ad ammetterlo è stato Bo Kjellson, amministratore delegato del parco, che ha parlato dell'accaduto: «A quel tempo avevamo cercato di venderli o trasferirli in altri zoo, ma sfortunatamente non c'erano strutture che li potessero accogliere - ha detto all'emittente svedese SVT - C'era un problema di convivenza e quando le aggressioni tra di loro sono diventate insostenibili abbiamo deciso di sopprimere alcuni animali. Non è un segreto e non cerchiamo di nascondere che le cose funzionino in questo modo. Quindi sfortunatamente è un percorso naturale per alcuni leoni che vivono in gruppo». La notizia ha scatenato la rabbia degli animalisti che hanno tacciato il comportamento come intollerabile. Dal 2012 nella struttura sono nati 13 leoni, da tre cucciolate separate: due sono morti per cause naturali, due sono rimasti nello zoo e gli altri 9 sono stati soppressi. Secondo Espressen, Simba, Rafiki, Nala e Sarabi sono nati nella primavera 2012 e sono stati uccisi nell'autunno 2013. Kiara, Banzai e Kovu, nati nella primavera del 2014, sono stati soppressi nell'autunno 2015. Nel 2016 sono nati altri quattro leoncini: martedì scorso Potter e Weasley sono stati uccisi, mentre Granger e Dolores sono stati mandati in uno zoo nel Regno Unito. Incerta la sorte che toccherà ai piccoli leoni che nasceranno in futuro.   «Attualmente - ha aggiunto Kjellson - il gruppo convive bene, ma alcuni potrebbero diventare animali "in eccedenza", e quindi proveremo a collocarli altrove. Se non ci riuscissimo, saremmo costretti ad abbatterli». Non è la prima volta che un parco zoologico finisce nella bufera per aver soppresso animali in esubero: nel febbraio fece discutere il caso di Marius, un cucciolo di giraffa ucciso e macellato davanti a un pubblico di adulti e bambini, prima di essere dato in pasto ai leoni, nello zoo di Copenaghen.

Perché negli zoo uccidono i cuccioli in esubero, scrive il 15 gennaio 2018 Chiara Pizzimenti. In uno zoo svedese alcuni cuccioli di leone sono stati uccisi perché non c'è spazio per loro. E non è il primo caso nei giardini zoologici. Ne abbiamo parlato con un etologo, scoprendo che ci sarebbe un'alternativa. «Quando nascono i cuccioli in uno zoo o in un bioparco aumentato gli ingressi. Per questo si fanno riprodurre gli animali. Poi, però, spesso non c’è spazio per tutti i nati. Una delle soluzioni che adottano è di eliminarli». Enrico Alleva, etologo dell’Accademia dei Lincei, non si stupisce di quanto accaduto in uno zoo svedese. A Boras Djurpark, vicino a Goteborg, nove cuccioli di leone uccisi negli ultimi cinque anni. Gli animali erano sani, ma loro non se li potevano permettere per costi e spazi. Solo due dei tredici cuccioli nati negli ultimi anni sono rimasti allo zoo. Solo due sono morti per cause naturali. Gli altri, sani, sono stati soppressi. Non il primo caso. Fece il giro del modo la storia della giraffa Marius, uccisa e data in pasto ai leoni, a Copenaghen. Era il 2014. In Norvegia una zebra è stata uccisa e data in pasto alle tigri a Kristiansand Dyrepark. Lo zoo ha detto che l’animale era in esubero ed è stato usato per nutrire in maniera naturale i predatori. Non è l’unico metodo. «Li possono vendere o scambiarli con animali di altri zoo, ma non è raro che siano soppressi», spiega Alleva. Che, tuttavia, ricorda anche altre vie seguite quando era membro del comitato scientifico del Bioparco di Roma, negli anni in cui era sindaco Francesco Rutelli. «Cercavamo di non far nasce cuccioli, usando sistemi anticoncezionali per le femmine, perché il numero di animali in un bioparco ben gestito è proporzionale allo spazio a disposizione». Negli anni è stata superata la concezione di giardino zoologico come collezione di specie viventi. Spiega l’etologo: «Negli zoo spesso si vuole avere un numero elevato di specie senza preoccuparsi delle reali condizioni in cui gli animali vivono». Il bioparco sceglie invece un numero limitato di specie, le mantiene in condizioni più naturali possibili, evita di farli riprodurre in maniera eccessiva e «adotta uno spazio in natura, magari in un paese africano». I bioparchi sono anche luoghi dove specie molto rare possono essere fatte riprodurre per essere poi riportate in natura; un passaggio non semplice perché poi devono imparare a sopravvivere anche lì. Le zone che si scelgono sono quelle con meno predatori e si cerca di monitorarli. Serve ancora lo zoo? «Se non altro come riserva dove tenere specie in via di estinzione potrebbe avere un valore naturalistico. Per il resto dipende dalla qualità di cultura che riesce a fare attorno a sé. All’acquario di Seattle, per esempio, ci sono animali feriti che non riuscirebbero a vivere in natura. In Europa non ci sono più zoo che vanno a caccia di animali. Ci sono direttive europee anche se non tutte sono ancora pienamente applicate nel nostro Paese».

La Norvegia vuole abbattere 47 dei suoi rimanenti 68 lupi, scrive Dan Zukowski su "theeventchronicle.com". Fonte: EcoWatch. Riportato da sadefenza.blogspot.it il 13 settembre 2016. La Norvegia ha annunciato l'intenzione di voler abbattere più di due terzi dei suoi lupi rimasti, giustificando l'azione come protezione per il bestiame. Il piano ha suscitato indignazione tra gli ambientalisti. Tre branchi di lupi, tra cui i cuccioli, saranno uccisi dai cacciatori durante la stagione di caccia annuale in Norvegia, che va dal 1 ottobre al 31 marzo, l'anno scorso 11.571 persone hanno la licenza di uccidere 16 lupi. L'assegnazione, per questa stagione, è la più grande uccisione di lupi nel Paese dal 1911. "Questo è un massacro di massa a titolo definitivo. Una cosa di simile non l'abbiamo mai vista da quasi 100 anni, quando la politica di allora era disponibile per lo sterminio dei grandi carnivori, " Nina Jensen, CEO del World Wildlife Fund (WWF) della Norvegia, ha detto al The Guardian. "Sterminare il 70 per cento della popolazione di lupi non è degno di una nazione definita ambientalista". Poi fa notare, "Questa decisione comprende una famiglia lupi in Letjenna che non hanno nè cacciato nè mangiato una pecora dal momento che sono lì dall'inverno del 2011/2012." In Norvegia, gli agricoltori allevano circa 2 milioni di pecore al pascolo. Di questi, si stima che, ne scompaiano circa 120.000 ogni anno. Quelli persi comprendono gli incidenti naturali, altre da incidenti automobilistici e con treni, da predatori tra cui lupi e ghiottoni. Le stime dei numeri persi da predazione del lupo varia da 380 a 1.800 capi, ma, possono essere influenzati dalla politica di compensazione della Norvegia. Insieme a molti altri paesi europei, la Norvegia compensa gli agricoltori per le perdite del bestiame a causa dei lupi, ma i numeri dei capi persi sono gonfiati. L'Europa ha una popolazione stimata di 13.000 lupi, di cui circa 400 in Scandinavia. La protezione dei lupi europei varia da paese a paese. La Svezia e la Norvegia sono state spesso in disaccordo nel loro approccio sulla gestione del lupo, l'ex ministro del governo norvegese responsabile delle questioni ambientali, Erik Solheim, ha detto nel 2011, "Tutti sanno che il lupo non presta attenzione ai confini. I lupi dalla Svezia possono entrare in Norvegia e fare grandi danni, e quindi sarebbe giusto cooperare su questo aspetto. "Solheim è attualmente direttore esecutivo del Programma Ambiente delle Nazioni Unite. In Europa occidentale, la Spagna ha una popolazione di 2.000-3.000 lupi, ma può essere cacciato in molti settori. In Italia 600-700 lupi sono protetti e la popolazione è in crescita di circa il sei per cento all'anno. I paesi dell'Europa orientale, tra cui la Polonia, la Bulgaria, Macedonia e Turchia hanno una popolazione che vanno da 700 a 7.000 capi. Il biologo per la Conservazione Crystal Crown scrive, "sembra che gli agricoltori norvegesi hanno più un motivo di vendetta contro i lupi che dati reali, ma, è piuttosto paura e odio. Se non altro, il programma di abbattimento potrebbe servire a rafforzare questi timori, facendo sentire i contadini giustificati". Fa notare che la Norvegia mantiene la popolazione di lupi su circa 20 animali, definendoli " numeri artificialmente bassi ". "I proprietari di bestiame tradizionalmente utilizzano vari metodi non letali e letali per proteggere i loro animali domestici dai predatori selvatici. Tuttavia, molti di questi metodi sono implementati senza prima considerare l'evidenza sperimentale della loro efficacia nel mitigare le minacce da predazione ad evitare il degrado ecologico ", afferma il rapporto. Resta da vedere se le proteste da parte del WWF e altri avranno alcun impatto sulla Norvegia di piani.

Al centro dei conflitti finiscono le renne, scrive il 27 ottobre 2017 Manila Alfano su "Oocchidellaguerra.it". C’è una guerra, testarda e silenziosa, che si combatte tra terra e fango, boschi e ghiacci, nelle acque gelide alla fine del mondo, dove i confini sono labili ed è facile sbagliarsi. Ma dove l’errore non viene perdonato. Perché guai ad alterare i delicati ordini creati dopo anni di dolorosissimi accordi. Patti che regolano e mantengono equilibri di economia geopolitica. Che spesso sostengono economie di popoli interi e hanno a che fare con gli animali. Renne, balene, aringhe, diventano così oggetto di contenziosi tra Stati. Per frenare la caccia delle balene dei norvegesi ad esempio, il Parlamento europeo è entrato a gamba tesa. Cacciarle e venderne le carni al Giappone sarà sempre più difficile, e per renderlo impossibile si gioca sulla territorialità. Il Parlamento ha chiesto infatti di evitare il transito del mercato unico europeo. Insomma, vengono tagliate così le strade a chi commercia la carne di balena. Vietato il transito nei porti degli Stati membri. Ispezioni, confische, multe. E la battaglia non sarà a costo zero. C’è un altro fronte caldo, quello delle aringhe e degli sgombri, la guerra dell’Unione europea contro le Isole Far Oer, per contrastare lo sfruttamento indiscriminato degli stock ittici. Tutta colpa della voglia di indipendenza del piccolo arcipelago legato alla Danimarca, che nel 2013, in modo unilaterale, ha deciso di uscire dal piano di gestione e di quote prestabilite di catture concordato tra Norvegia, Russia, Islanda, Isole Far Oer e Ue. Un accordo che ha funzionato fino a quattro anni fa quando l’arcipelago ha fatto marcia indietro dalle quote prestabilite stabilendo una quota oltre tre volte superiore a quella precedentemente concordata. Dopo mesi di avvertimenti e lettere rimaste senza risposta, Bruxelles ha deciso di intervenire. E per un anno ha imposto il divieto di importare aringhe e sgombri prelevati dagli stock atlantici scandinavi e catturati sotto il controllo delle Isole Far Oer. Una guerra su tutta la linea. Le navi battente bandiera del piccolo arcipelago non hanno potuto entrare nei porti Ue salvo emergenze. «Pesche insostenibili – accusano da Bruxelles -, abbiamo dovuto porre un freno. La sostenibilità va difesa». Un anno dopo la tensione è rientrata. Ma l’Ue ha avvertito che le quote rimarranno rigide e non verranno accettati altri sgarri da parte delle isolette. Sono anni che il popolo lappone lotta per far pascolare liberamente le proprie renne. Questione solo apparentemente secondaria. È che loro, una delle popolazioni indigene più antiche, abitano tra Norvegia, Svezia e Russia. E vivono di pastorizia, le renne appunto, che pascolano libere e che non sempre riescono a rispettare i labili confini tra ghiacci e boschi. Una popolazione indigena di circa settantacinquemila persone stanziata nella parte settentrionale della Fennoscandia, in un’area da loro chiamata Sápmi. Ed è qui che sorgono i problemi con i confini perché il loro territorio di origine è diviso dalle frontiere di quattro Stati, la Norvegia dove vive la comunità più ampia con 40mila sami, la Svezia (20mila), la Finlandia (7mila) e Russia (2mila). I lapponi, o sarebbe meglio dire sami, come preferiscono chiamarsi loro, hanno la loro storia, la loro lingua, insomma un’identità ben definita e che nei secoli si è ben poco amalgamata. Eppure, nei secoli, per sopravvivere in un ambiente così impietoso i sami hanno sviluppato un forte senso di adattabilità. Il problema però sono gli animali. Le renne che rappresentano la principale fonte di reddito per la popolazione a cui piace spesso e volentieri oltrepassare le barriere che distinguono gli Stati confinanti. E così, dopo troppe invasioni di campo, innumerevoli insofferenze e richiami caduti nel vuoto, è scattato il rimprovero ufficiale del ministro dell’Agricoltura norvegese che ha scritto al suo collega svedese minacciando di imporre unilateralmente un tetto al numero di renne che giungono sulle coste della Norvegia, distruggendo i propri pascoli. E non solo. Una vera e propria invasione a cui Oslo non intende più sottostare. «Sono troppe sul nostro territorio», sono pericolose, gli animali ostacolano la circolazione sulle strade, creano gravi incidenti, ostacolano i lavori pubblici, i lavori nelle miniere. Un fastidio che negli anni è diventato qualcosa di più, un problema politico vero e proprio. Eppure i due Paesi sono in amicizia e hanno un accordo siglato dal 1751 che prevede la libertà controllata di pascolo, transumanza ed esodo delle greggi di renne. Attorno ruota un’intera economia che si sviluppa e sopravvive grazie alla pastorizia. Questione entrata nell’agenda politica, intrisa di rivendicazioni indigene. I sami hanno accettato il tetto al numero di renne, mentre quelli svedesi affermano che la Norvegia «non capisce le nostre ragioni». La trattativa resta impantanata per ora. Ma quando gli animali sconfinano tra Stati non proprio amichevoli, qui allora la cosa si complica ancora di più.

Danimarca: una legge per vietare il sesso con gli animali, scrive lunedì 13 ottobre 2014 l'Agi. C’era davvero molto “più marcio in Danimarca” di quanto avesse previsto William Shakespeare nell’Otello se il governo di Copenaghen ha pensato di dover presentare domani una proposta di legge che vieti senza alcuna eccezione il sesso con gli animali. L’obiettivo è vietare che la Danimarca diventi il paradiso degli zoofili, che non sono gli amanti degli zoo, ma qualcosa di inconfessabile. Ed il rischio era fondatissimo: finora il sesso con animali è legale in Danimarca tranne nel caso in cui si fosse potuto provare che gli animali avessero sofferto nei ‘rapporti’. Una difficoltà pratica: piuttosto difficile che la vittima degli abusi potesse sporgere querela. Il ministro dell’Agricoltura Dan Jorgensen ha spiegato che il provvedimento allineerà Copenaghen alle regole già in vigore in Germania, Norvegia e Svezia: “Per questo ho proposto una modifica della legge che protegge gli animali vietando esplicitamente i rapporti sessuali con questi ultimi. Gli animali vanno trattati con rispetto e cura ed hanno diritto ad una protezione speciale perchè non possono dire no”, ha concluso il ministro. Il Parlamento in precedenza si era rifiutato di votare un divieto totale di rapporti perchè considerava l’attuale normativa sufficiente per proteggere da abusi sessuali non consensuali gli animali. Ora il governo vuole che i parlamentari escano allo scoperto e decidano come votare. (AGI).

Crudeltà animale: bordelli animali in Danimarca? Scrive il 15 dicembre 2011 "all4animals.it". In Danimarca fare sesso con animali – stuprarli – non sarebbe punibile per legge. E infatti esisterebbero i bordelli animali, dove si pagherebbe per le violenze. La Danimarca ospiterebbe delle vere e proprie case chiuse in cui, per una tariffa variabile dai 70 ai 150 euro, alcuni proprietari metterebbero a disposizione i loro animali – in genere cani – perché gli avventori possano abusarne sessualmente. Già nel 2008 era possibile rintracciare in rete articoli sull’argomento, che parlavano di leggi “di manica larga” anche in Svezia per quanto riguarda la zoorastia. I termini delle norme in questione sono fumosi: è legale “fare sesso” con un animale “finché l’animale non soffre”. Il concetto errato sta alla base: come si può definire la zoorastia una normale attività sessuale quando l’animale abusato non è consenziente? Se due individui fanno sesso e uno dei due non vuole, si chiama violenza sessuale, si chiama stupro. E questo a prescindere dalla specie. La verità è che spesso e volentieri l’animale vittima delle violenze – un cane, ad esempio – soffre di gravi traumi fisici e psicologici, che talvolta si risolvono anche nella morte per emorragie interne. Inoltre, esistono testimonianze che raccontano di animali sottoposti a questo genere di sevizie per anni. Molti dei clienti di questi bordelli sarebbero stranieri, arriverebbero in Danimarca appositamente per beneficiare di questo genere di servizi. Si tratterebbe soprattutto di cittadini norvegesi, svedesi, olandesi e tedeschi. Anche alcuni Stati degli USA non condannano apertamente la zoorastia come reato – anche in questo caso, il gap istituzionale ha portato alla nascita di numerose case chiuse in cui gli animali vengono abusati sessualmente dagli esseri umani. Un esempio è Jacksonville, in Florida, tanto che è nata una serie di petizioni per mettere un freno a questa rivoltante pratica. L’inizio della petizione, che traduciamo, dà una vaga idea di quello che le vittime di questi abusi patiscono: “Sei così piccolo e indifeso. Sei terrorizzato e provi un dolore indescrivibile. Sei stato legato e strattonato dal tuo aguzzino e non hai possibilità di fuga. Sei stato picchiato e preso a calci fin quasi a perdere i sensi, e poi trascinato in una stanza dove il tuo torturatore è stato pagato da un altro che ti causerà un dolore fisico e mentale così forte che speri di non sopravvivere”. Se avete un cane, un gatto, o un qualunque animale, guardatelo e pensate a cosa potrebbe accadergli se capitasse in mani simili. E poi pensate che nulla accadrebbe a chiunque gli avesse fatto del male, che l’aguzzino non verrebbe punito in nessun modo. La violenza sessuale è un’aberrazione. Quella su un animale che non può essere protetto e che non può difendersi in nessun modo, inimmaginabile. Ad oggi, numerose associazioni animaliste italiane stanno conducendo indagini sulla questione delle case di appuntamento per animali su territorio danese, senza però comunicare ancora certezze in merito.

ENPA sulla questione dei bordelli animali in Danimarca: sostanzialmente infondata, scrive il 28 febbraio 2014 "all4animals.it". Dopo anni di mormorio sulla questione, ENPA sarebbe finalmente riuscita a chiarire la vicenda dei bordelli animali in Danimarca (il nostro articolo è stato scritto nel 2011, quando non vi erano certezze sull’argomento). E, secondo il magazine Nel Cuore che riporta la notizia, parlerebbe di questione “infondata”. Queste, almeno, sono state le dichiarazioni dell’ambasciatore danese a Roma, Birger Riis Jorgensen, rilasciate al direttore scientifico di ENPA Ilaria Ferri. Jorgensen avrebbe spiegato che le case d’appuntamento con animali non sono assolutamente legali in Danimarca e che la zooerastia sarebbe punita nel contesto del reato di maltrattamento di animali. Commenta la Ferri: “È finalmente possibile smentire in via ufficiale una notizia che circolava già da un po’ di tempo e che aveva destato allarme nell’opinione pubblica italiana e internazionale”. Le autorità danesi avrebbero condotto, in questi anni, investigazioni proprio su questo tema arrivando alla conclusione che il fenomeno della zooerastia nel Paese esiste ma non è superiore a quello di altri Stati nel mondo.

Anche LIDA Firenze aveva, qualche tempo fa, cercato di chiarire la questione attraverso una comunicazione diretta con il Ministero della Salute e dell’Ambiente danese che aveva così replicato alla domanda diretta della sua presidente: “In Danimarca non è, di per sé, proibito fare sesso con gli animali, ma allo stesso tempo si applica la legge sul benessere degli stessi. Secondo questa normativa l’animale dovrebbe essere trattato con cura e protetto il più possibile da dolore, sofferenza, paura, disabilità e maggiori inconvenienti”. E qui sta, sostanzialmente, l’inghippo dell’intera questione. Fermo restando che il Ministero segnalava che, se luoghi d’appuntamento per episodi di bestialità esistono, si tratta di strutture illegali e abusive che, se scoperte, vedono applicarsi la legge per la tutela di animali d’affezione, il reato di zooerastia in quanto tale, in Danimarca, non esiste. Non esiste – se è per questo – neppure in Italia, come è possibile riscontrare in questa tabella di Wikipedia relativa alle leggi nazionali in materia. Se l’attività di zooerastia è considerata infatti esplicitamente illegale in nazioni come l’Australia (dove però, paradossalmente, non sarebbe illegale la vendita e distribuzione di materiale pornografico a tema), in Belgio, in Canada, in Ecuador, Etiopia, Francia, Irlanda, India, e solo in alcuni Stati degli USA, il bando esplicito alla pratica non esisterebbe per Danimarca (appunto), Italia, Messico, Giappone, Filippine, Romania, Russia e altre nazioni. Questo naturalmente non significa che azioni di bestialità non possano essere punite come maltrattamento di animali. La questione sembra quindi ora almeno parzialmente chiarita, e in maniera più positiva di quanto si pensasse fino a qualche tempo fa. Al momento attuale, il Paese più “celebre” in termini di tolleranza per questo tipo di pratiche sembra la Germania, dove la zooerastia ha quasi assunto lo status di “stile di vita”, come avevamo già spiegato in vari articoli che trovate a questo link.

Il lato oscuro dei paesi felici. Norvegia, Svezia, Danimarca, Finlandia, Islanda. Le classifiche sul benessere li premiano sempre ma perché i paesi felici hanno tassi di suicidi così alti? Numeri di una controstoria, scrive Giulio Meotti il 20 Marzo 2017 su “Il Foglio”.  Oslo ha appena scalzato Copenaghen in testa all’indice delle Nazioni Unite della felicità. A domanda dove si trovi il paese più felice del mondo, ci si sente rispondere che si trova da qualche parte lassù, in Nord Europa. In effetti, Norvegia, Svezia, Danimarca, Finlandia e Islanda svettano da ormai dieci anni in tutte le classifiche mondiali dei paesi più beati. Oslo ha appena scalzato Copenaghen in testa all’indice delle Nazioni Unite della felicità. Sono fra i paesi più bui e freddi del mondo, per cui questi altissimi tassi di felicità devono dipendere dal tipo di società che hanno costruito. “Un paese con le tasse al sessanta per cento e dove tutti sono felici di pagarle”, come l’Observer ha definito la Svezia. Una volta sono le prigioni norvegesi “superiori” a qualsiasi altro penitenziario del pianeta. Un’altra sono le strade svedesi, le più sicure al mondo. Questi cinque paesi possono vantare il sistema scolastico più all’avanguardia (Finlandia); un esempio di società laica, multiculturale, moderna e industriale invidiata da tutti (Svezia); una ricchezza petrolifera colossale reinvestita in cause etiche (Norvegia); la società con la parità di genere più intensiva del mondo e gli uomini più longevi (Islanda). Come ha scritto il cabarettista Magnus Betner, ci immaginiamo la Svezia come “una nazione di belle persone che cantano canzoni felici in appartamenti modernisti eleganti”. O come ha scritto Judith Woods del Telegraph: “Vorremmo tutti essere scandinavi!”. E lo vorrebbero essere i progressisti di tutto il pianeta, da Bernie Sanders a Paul Krugman. “Se volete il sogno americano, andate in Finlandia”, ha detto il laburista inglese Ed Miliband. Ma il giornalista Michael Booth nel suo libro lo ha chiamato “The Almost Nearly Perfect People”. Un popolo quasi perfetto. Quasi, appunto. Perché a sbirciare meglio in queste società nordeuropee si scopre un quadro meno edificante. Non c’entra niente Anders Breivik. C’entrano gli indicatori di base della società. Se questi scandinavi sono così felici, perché sono i più grandi consumatori al mondo di farmaci antidepressivi?

La Finlandia ha il record di suicidi in Europa, la Svezia di volontari dell’Isis e la Norvegia di consumo di eroina. Un rapporto Ocse suggerisce che gli stati d’animo dei popoli scandinavi possono essere legati alla chimica. Secondo il rapporto, il trenta per cento delle donne islandesi ha avuto una prescrizione di antidepressivi nella vita. Si stima che il 38 per cento delle donne danesi e il 32 per cento per cento degli uomini danesi riceveranno un trattamento di salute mentale a un certo punto durante la loro vita. Paesi omogenei e chiusi, visto che l’InterNations Expat Insider 2016 survey pone la Danimarca in testa alle classifiche mondiali dei paesi dove “è più difficile fare amicizia”.

La Svezia ha un altro record. La città di Göteborg ha mandato più terroristi per abitante a combattere con lo Stato islamico di qualsiasi altra città in Europa. La seconda città più grande della Svezia, un paese che si fregia di essere pacifista e neutralista, vede i suoi abitanti particolarmente impegnati in un progetto: la guerra santa islamica. La Svezia è diventato un caso da manuale, con articoli come quello di Foreign Policy: “Dal welfare state al califfato”. Felicità fatta di contraddizioni, se pensiamo che i norvegesi sono orgogliosi del loro ambientalismo tanto quanto pompano più di un milione e mezzo di barili di petrolio al giorno.

Svezia e Danimarca sono anche i paesi in Europa dove si registra il più alto numero di aggressioni sessuali. Un popolo di predoni o mera isteria in quella che il Guardian ha definito “la società di maggior successo che il mondo abbia conosciuto”? Nel 1994, la Svezia divenne il primo paese al mondo con metà Parlamento composto di sole donne. Da allora ha battuto ogni record mondiale di parità di genere. Come ha fatto questo esperimento a cielo aperto a diventare il secondo paese al mondo per numeri di stupri, seconda soltanto a Lesotho? James Traub su Foreign Policy l’ha chiamata “la morte del paese più generoso sulla terra”. La Svezia si colloca al secondo posto tra i paesi con il maggior numero di violenze sessuali al mondo con 53,2 stupri ogni 100 mila abitanti, superata solo dal piccolo stato del Lesotho, nell’Africa del sud, che registra 91,6 abusi sessuali ogni 100 mila abitanti.

Stoccolma è la “capitale mondiale dei single”, dove tre case su cinque hanno un solo abitante e si va da soli anche al creatore.

Paesi felici ed eugenetici. Il numero di bambini nati con sindrome di Down in Danimarca è diminuito drasticamente negli ultimi anni, tanto che entro il 2030 potrebbe già essere un brutto ricordo. La Danimarca vuole diventare “il primo paese ‘Down free’”. Nel 2015, il 98 per cento delle donne incinte con bambini Down ha scelto di avere un aborto. “Ci stiamo avvicinando a una situazione in cui quasi tutte le gravidanze vengono interrotte”, ha detto alla stampa danese Lilian Bondo, a capo dell’associazione di ostetricia Jordemoderforeningen. La Danimarca è seconda al mondo per equa distribuzione del reddito, terza per l’indice di democrazia, sesta per qualità ambientale, settima per ricchezza pro capite e ottava per libertà economica, lavora meno ore all’anno di qualunque altro paese al mondo, ma è anche un paese dove ogni anno nascono soltanto due bambini Down per scelta e trentadue per “errore diagnostico”. Lo teorizzano pure ideologicamente come “sorteringssamfundet”: ordinamento della società.

La Svezia invece ha il record di bambini confusi col proprio genere sessuale. Louise Frisén, psichiatra infantile all’Ospedale pediatrico Astrid Lindgren, ha appena detto all’Aftonbladet che nel 2016 ben 197 bambini si sono proposti per una “transizione” e cambiare sesso: “C’è un aumento del cento per cento ogni anno, e le persone che stiamo vedendo sono più giovani e sempre più bambini”. Il capo della squadra identità di genere del Karolinska University Hospital, Cecilia Dhejne, ha detto che l’aumento dei bambini infelici con il proprio gender riflette “una maggiore apertura” nella società svedese. 

I felicissimi scandinavi hanno altissimi tassi di suicidi. O per dirla con Times magazine, “perché i paesi più felici hanno i tassi di suicidi più alti”. E non è colpa del freddo, visto che negli Stati Uniti le Hawaii spiccano per suicidi. Più di un decennio dopo il libro di Arto Paasilinna “Piccoli suicidi tra amici”, il tasso di suicidi della Finlandia è ancora il doppio di quello dell’Unione europea ed è superato solo dal Giappone. Il sociologo Herbert Hendin nel libro “Suicidio e Scandinavia” incolpa la mentalità scandinava di rompere molto presto il legame fra i figli e i genitori per facilitare l’autodeterminazione. E’ nella danese Groenlandia la “capitale mondiale dei suicidi”. Un tasso pro capite 24 volte superiore a quello degli Stati Uniti.

I finlandesi hanno anche il primo tasso di omicidi pro capite d’Europa. Felicissimi e solissimi. In Svezia, in trent’anni, il numero di persone ai funerali è passato da 49 a 24. In Svezia si muore soli più che altrove nel resto del mondo. Stoccolma è nota come “la capitale mondiale dei single”. Uno svedese su dieci se ne va al creatore senza parenti. Tre appartamenti su cinque hanno un solo abitante. E’ il posto al mondo dove le donne ricorrono di più all’autoinseminazione artificiale. Arriva un kit a casa con il corriere e formano da sole una famiglia. La Danimarca non è meno sola. Secondo “People in the EU”, una nuova pubblicazione di Eurostat, i danesi al 45 per cento vivono da soli, seguiti da un altro paese felice, la Finlandia.

La Norvegia ha un altro record: è “la capitale mondiale dell’eroina”: le acque delle fogne di Oslo contengono più anfetamine di qualsiasi altro paese europeo e ha il più alto numero di morti per overdose del resto del continente. Certamente si sta benone in Nord Europa. Ma questa “Scandimania” ha qualcosa di grottesco. Ogni società, compresa la solidalissima socialdemocrazia scandinava, ha i suoi bei guai. E c’è ancora speranza che un italiano medio, piazzato al quarantesimo posto dell’indice di felicità dell’Onu, possa essere più felice di un autodeterminato cittadino norvegese o finlandese.

Qualcuno ha paragonato gli ossequiosi scandinavi ai lemming, dal nome dei roditori, non molto diversi dai topi, che vivono sui monti della Svezia, della Norvegia e della Finlandia e che si precipitano giù dalle montagne finché raggiungono il mare. Come presi da una ossessione, si gettano nelle acque, furiosamente, morendo a milioni, come se li spingesse un terrore incontenibile, una specie di panico e di psicosi collettiva.

PERCHE’ VEGETARIANI.

«Noi diventati poliziotti vegetariani». Il maxi-blitz, nel Messinese, contro gli abigeati e le macellazioni clandestine. «Truffe e carne avariata, così abbiamo deciso di smettere di mangiarla», scrive Alessio Ribaudo il 15 dicembre 2016 su "Il Corriere della Sera". Salvatore Mangione, assistente capo; Salvatore Fallo, assistente capo; Daniele Manganaro, vice questore aggiunto; Calogero Todaro, sovrintendente capo; Tiziano Granata, assistente capo; Mario Stella, agente del corpo di vigilanza del Parco dei Nebrodi Jimmy Granà, agente del corpo di vigilanza del Parco. L’appuntamento, per tre giorni a settimana, è fissato a mezzanotte. Prima si infilano stivali alti, indossano materiali tecnici per sopportare il freddo intenso, inseriscono potenti torce nella cintura e, dopo una riunione in Commissariato, si inerpicano sui monti del Parco dei Nebrodi con dei fuoristrada: sino a 1.800 metri dove le strade asfaltate si interrompono e diventano sentieri. Sono in dieci e battono palmo a palmo pascoli e boschi alla ricerca di animali rubati o casolari trasformati in macelli clandestini dove si sezionano pure carni adulterate e potenzialmente rischiose per la salute. Solo ieri, nell’ultimo blitz chiamato «Gamma-Interferon», coordinato dalla procura di Patti, nel Messinese, hanno eseguito 33 provvedimenti cautelari che hanno colpito allevatori, macellai e veterinari. Senza considerare altri 17 indagati fra cui un comandante dei Vigili e un sostituto commissario di Polizia. Sono stati ribattezzati «la squadra dei vegetariani». «Ci hanno affibbiato questo nomignolo pensando di ridicolizzarci — spiega il vicequestore aggiunto Daniele Manganaro, 42 anni, due lauree e un master universitario di secondo livello — ma noi lo siamo diventati a ragion veduta perché più scoprivamo illegalità e più, uno dopo l’altro, abbiamo smesso di mangiare carne». Manganaro, guida il commissariato di Sant’Agata di Militello (Messina), dal 2014. «Appena arrivato — prosegue — ho intuito che nei Comuni del Parco di mia competenza c’era qualcosa di strano: troppi imprenditori denunciavano smarrimenti e furti di bestiame». Da qui l’idea di creare una squadra specializzata in abigeati, macellazioni clandestine, sofisticazioni alimentari e truffe per ottenere fondi pubblici. «Ho scoperto che fra i miei uomini c’erano figli di allevatori come Salvatore Mangione che conoscono quei boschi e sanno come trattare gli animali durante i controlli; c’erano chimici come Tiziano Granata in grado di analizzare i medicinali rinvenuti e, poi, altri ragazzi encomiabili che passano notti al freddo per osservare i movimenti sospetti». Un incastro umano che ha trovato la sponda dal questore di Messina, Giuseppe Cucchiara. Un dirigente schivo, con un lungo passato da investigatore della Mobile, che alla scrivania preferisce la strada. «Supportandoli con uomini e mezzi ho fatto solo il mio dovere — dice Cucchiara — e a furia di seguire le loro indagini anche io sono diventato vegetariano». Inchieste che solo nel 2015 hanno portato al sequestro di centinaia di animali, allevamenti e 20 mattatoi clandestini. In più hanno sgominato un traffico di farmaci illegali dall’Est, potenzialmente nocivo per la salute e scoperto focolai di tubercolosi e brucellosi nel Messinese dove ci sono stati 45 casi di brucellosi umana. «Ringrazio gli inquirenti per il lavoro costante a beneficio dei Nebrodi — dice il presidente del Parco, Giuseppe Antoci — e dei tanti allevatori onesti che tra pochi giorni potranno avvalersi per i loro prodotti del marchio di qualità “Nebrody Sicily”: l’unico a prevedere anche la certificazione antimafia delle aziende».

IDEOLOGIA VEGANA.

La scienza sbugiarda i vegani: "La carne ci ha resi intelligenti". Una ricerca pubblicata su Nature evidenza l'importanza della carne nello sviluppo dell'uomo, scrive Claudio Cartaldo, Venerdì 11/03/2016, su "Il Giornale". Non c'è molto altro da dire: la carne ci ha reso quello che siamo. Più intelligenti, insomma. E i vegani dovranno quindi ricredersi, almeno così dice la rivista "Nature", sulle loro credenze. Tanto che oggi il Time titola "Ci dispiace, vegani" e riporta l'articolo di Nature secondo cui, mangiare le proteine animali è ciò che ha reso capace all'uomo di essere cioè che è. Trasformandolo, scrive l'Huffingtonpost, non solo "a livello anatomico (con volti e denti di dimensioni ridotte)" ma anche "a livello intellettivo (sviluppando la sua capacità di parlare)". Le motivazioni della ricerca sono chiare: una volta, i nostri avi, mangiavano molta frutta e verdura. Ma non era sufficiente. Così ci si attaccava alle barbabietole, alle radici e alle patate. Che, però, erano ben più difficili da mangiare. Così, quando l'uomo ha "scoperto" la carne, tutto è cambiato. Era più facile da masticare, più calorica e le proteine aiutavano lo sviluppo. L'unico, piccolo problema, era la caccia. Ma si quello l'uomo si è adattato abbastanza in fretta. Stessa cosa vale per la lavorazione, il taglio e la masticazione. Insomma, scoprire la carne ci ha fatto evolvere. La cucina dei cibi, infatti, arriva "solo" 500mila anni fa. "Cucinare è un fattore importante, ma non è l'unico da prendere in considerazione - ha spiegato Daniel Lieberman dell'Harvard University - Anche il cibo lavorato, tagliato o fatto a pezzi, ha avuto effetti profondi su di noi". Infatti, se non avessimo cominciato a mangiare la carne, se non avessimo avuto bisogno di strapparla dai cadaveri degli animali, i denti dell'uomo non si sarebbero sviluppati. E sarebbero quindi stati più piccoli. Lo stesso discorso vale per le ossa del collo e il cranio. "Questi cambiamenti - dicono i ricercatori - non sarebbero forse stati possibili senza il consumo di carne insieme all'acquisizione di tecniche per lavorarla e cucinarla". I vegani sono avvertiti.

Dalle scuole agli affari: avanza il partito vegano. Ideologia, salute, cultura o business? Cresce e alza la voce il popolo di chi rinuncia alla carne e alle proteine animali. Mentre lo scontro entra in Parlamento, in famiglia e a scuola, gli italiani sono sempre più divisi, scrivono Emanuele Coen e Francesca Sironi il 23 settembre 2016 su "L'Espresso". Il programma c’è. E anche lo zoccolo di attivisti duri e puri, diventati avanguardia di una base sempre più ampia di simpatizzanti. Ci sono i simboli e gli slogan, le feste e i raduni, i corsi di formazione e i gruppi di pressione. E i testimonial, i teorici, i sostenitori in Parlamento. Avrebbero tutto per diventare un partito: il “Partito Vegano italiano”. Stando alle stime più recenti i vegani, nel nostro Paese, rappresentano l’uno per cento della popolazione. Tra 500 e 600 mila persone, soprattutto donne: più o meno gli elettori di Fratelli d’Italia alle ultime politiche. Una minoranza, certo, ma rumorosa, e destinata ad aumentare. Perché la rinuncia a qualsiasi prodotto di origine animale, dalla mozzarella alle uova, dal cuoio alla lana, non è più patrimonio ideologico di pochi. È diventata una tendenza. Quindi un business. Un tema di confronto culturale. E ora anche una questione pubblica di diritti e salute, con medici, sindaci, scuole e famiglie chiamati a prendere posizione. I vegani contano perché comprano. Se gli italiani che si definiscono tali sfiorano solo l’uno per cento, sono 10 milioni le famiglie che nel 2015 hanno provato almeno una volta ad avventurarsi nei territori alimentari dei “veg”, mettendo nel carrello della spesa seitan o tofu, acquistando latte di riso o di mandorla, o uno yogurt di soia al posto di quello di mucca, come mostrano i dati elaborati per “l’Espresso” da italiani.coop (il nuovo portale di indagine sulla vita quotidiana degli italiani curato dall' Ufficio Studi Coop). I sostituti vegetali di prodotti tradizionali hanno portato negli ultimi dodici mesi 356 milioni e 787mila euro di ricavi. Con le bistecche di manzo e le cotolette di maiale in continua picchiata, i menu si riempiono di semi di girasole e bacche di goji, di lenticchie e di fagioli, fino alla quinoa o alla “polpa di baobab in polvere” (200 grammi costano 15,90 euro). L’elettorato vegano, prima che partito di governo, è diventato un buon partito per il business. «La fuga dalla carne è ormai evidente. Mentre le nuove scelte di consumo sono mobili. Molti sono vegani part-time, sperimentano soltanto», spiega Albino Russo, responsabile dell’ufficio studi Coop. Intanto: spendono. Guardati con disprezzo dai “veganisti” radicali, quelli che organizzano picchetti contro i carnivori e promettono guerra ai macellai, i vegani della domenica sono diventati una realtà economica sulla quale è partita una corsa all’oro - anche perché sono disposti a spendere di più per i prodotti marchiati per loro. «La vera novità dell’anno è il vino vegano, che entra in piena regola tra i trend del 2016», sostiene l’Osservatorio di settore di Nomisma: «L’8,7 per cento dei Millennials mostra molto interesse». Come il vino vegano c’è anche il gelato. E l’olio, il prosciutto, persino l’eyeliner. Mentre sta per salpare nel Mediterraneo la “prima crociera Costa vegana”. «Assaggi pure: ha 160 principi attivi. È prodotta in Molise, abbiamo duemila piante in serra». Giuliano versa siero d’Aloe pura e ammette: «Certo, è un sapore difficile. Ma fa bene».  Alle rassicurazioni sul benessere s’alterna l’ansia sul presente. Franca vende “materassi vegani”: «Sono fatti di cocco e di cotone, biodegradabili», ma soprattutto associati, per chi vuole, a un circuito brevettato per «proteggersi dalle onde elettromagnetiche: non veniamo informati, ma i raggi gamma e le reti di Hartmann sono terribilmente dannosi alla salute». Il 9 settembre la Fiera di Bologna ha inaugurato il “Sana”, salone delle aziende bio. Il padiglione 30 è interamente dedicato ai puristi di legumi e verdure. A gestirlo è “VeganOk”, marchio del fiorentino Sauro Martella e di Cesare Patara, che con la loro società di servizi pubblicitari alimentano una catena di siti d’informazione e vendono alle imprese una “certificazione”. In realtà, si tratta di una semplice auto-dichiarazione, dov’è l’azienda a garantire di essere al cento per cento vegana. Costa da 500 a mille euro all’anno, più una piccola percentuale sul fatturato, racconta chi ha aderito. Altre società - come il “consorzio etico Icea” - fanno controlli rigidi, pubblicando bilanci dettagliati, regolamenti e scadenze; VeganOk «è più che altro marketing», spiega un produttore: «Ma danno grande visibilità», oltre alla grossa V cerchiata di vendetta animale da appiccicare all’etichetta. Nel padiglione “cruelty free”, di fianco al banco che vende occhiali vegani di legno, ci sono i sieri anti-rughe vegani, gli arrosti vegani fatti di “muscolo di grano”, i detersivi vegani non-testati sulle cavie, le macchine vegane per estrarre principi dalla frutta e una cascata di presenze veg-esotiche come “yacon crudo”, “shitake in polvere”, “reshi biologica”. In mezzo c’è l’olio Farchioni che presenta la nuova linea vegana. «Mi scusi, ma è olio». «Sì, è un prodotto naturalmente vegano», risponde un ragazzo in abito grigio (senza lana?): «Ma noi abbiamo voluto la certificazione, attestando che usiamo per le etichette solo colla non di origine animale. È la filosofia dell’azienda». Fra volantini di crociere e ricettari, esperti di salute e cantanti, ci sono però storie come quella di Raul Pennino: napoletano, 37 anni, fotografo, soffriva di ipertensione e cervicale. Ha provato a togliere latte e carne da tavola: «E sono stato meglio. Il seitan, però, non lo digerivo proprio», racconta. Così ha iniziato a preparare delle sue ricette, con meno glutine e più sapore: «Se non fai il ragù, la domenica, non sei campano», dice. Gli amici l’hanno convinto, e a settembre hanno aperto “Tutt’altro”, una vera start-up che produce salumi e polpette veg. «Sta andando bene, siamo più di dieci a occuparcene, adesso. Ci stiamo per trasferire nelle Marche». Si allontanano dalla camorra, spiega. «Per me diventare vegano è stata un’occasione, ma non sono ideologico: ognuno mangi quello che gli pare». Purché sia buono. Anche Giampiero Barbera è rimasto onnivoro. La dieta vegana l’ha imposta piuttosto ai suoi vini: il barbera che vende qui ha la V di VeganOk in bella mostra. «È stata una scelta enologica», commenta. Le sue bottiglie sono vegane, spiega, perché per la fermentazione evita, ad esempio, «un insetto che andrebbe a morire», preferendo «fermenti dai funghi»; ma anche perché le viti non sono concimate col letame, neanche bio. «Solo concimi chimici, che non impattano però sull’ambiente». Le contraddizioni del partito vegano si ritrovano anche in politica. La “veg-mania” è diventata infatti terreno di scontro pubblico come di inaspettate convergenze bipartisan. A Torino, terra di brasato e fassona, la nuova giunta della sindaca Cinque stelle Chiara Appendino ha individuato la promozione della dieta vegana e vegetariana come atto fondamentale per salvaguardare l’ambiente, la salute e gli animali. «Ognuno è libero di mangiare ciò che preferisce e lo sarà sempre, almeno fin quando sarò la sindaca di questa città», si è affrettata a precisare Appendino sul suo profilo Facebook, dopo essere stata sommersa dalle critiche. Certo è che il Comune sta per stampare migliaia di pieghevoli con la mappa dei ristoranti e dei bar verdi “al 100 per cento”, da distribuire in tutti gli infopoint turistici della città. Monica Cirinnà, senatrice del Pd e vegetariana da 25 anni, invece, intende rilanciare il disegno di legge - fermo dal 2013 alla commissione Sanità del Senato - secondo il quale le mense pubbliche devono offrire almeno un menu vegetariano e uno vegano. «La possibilità di scelta deve riguardare tutti. Solo così l’accesso è reale», precisa la senatrice Cirinnà: «A breve solleciterò l’inserimento del provvedimento all’ordine del giorno: si tratta di un tema che riguarda non solo i diritti di milioni di persone, ma ognuno di noi, perché poter scegliere di mangiare prodotti sani e biologici fa bene a chiunque». Non che “veg” e “bio” siano sinonimi. Ma è la filosofia che conta. Su cui si spinge ancora più in là il deputato (vegano) Cinque stelle Mirko Busto, primo firmatario di una proposta di legge ora in commissione Affari sociali alla Camera: «Nei luoghi di ristorazione è obbligatorio, per un giorno alla settimana, somministrare solo menu privi di qualsiasi alimento di origine animale», prevede l’articolo 4. E se i parlamentari pentastellati organizzano convegni a ruota su educazione alimentare, cibo sostenibile e prevenzione, Forza Italia non si tira indietro. Seppur con due proposte di legge di segno opposto: una della deputata Michela Brambilla, che garantisce la dieta senza proteine animali nelle mense pubbliche e private; l’altra strenuamente anti-vegana, depositata a luglio dalla collega di partito Elvira Savino (vedi intervista), che prevede fino a un anno di carcere - due se il bimbo ha meno di 3 anni - per i genitori o i tutori che adottino per i minori di 16 anni a loro sottoposti una «dieta priva di elementi essenziali per la crescita». La proposta di legge ha fatto discutere anche all’estero. In Italia è la cronaca ad averla suggerita: i nuovi casi di giudici chiamati a intervenire per “salvare” bambini ai quali mancavano peso e nutrienti a causa dei dogmi alimentari imposti da mamma e papà. I rischi sono gravi: le carenze, nei primi mille giorni di vita e nella crescita, possono avere conseguenze definitive. La Società italiana di Pediatria, nelle sue linee guida, sul punto è netta: servono proteine animali. Ma nutrizionisti e pediatri si dividono. Alcuni neuropsichiatri infantili sostengono che la dieta vegana per un bambino può portare all’anoressia. Altri che invece è sostenibile integrandola con vitamina B12 e altre sostanze. «È sacrosanto andare incontro alla richiesta delle famiglie che scelgono la dieta vegana per i propri figli. Anche perché cinque pasti senza carne né pesce non causano carenze nutritive», spiega Debora Rasio, oncologa, nutrizionista e docente alla Sapienza di Roma, che poi precisa: «Sono però contraria a un’alimentazione strettamente vegana, soprattutto durante la fase cruciale dello sviluppo». Fase che secondo il medico comincia prima della nascita: «Già nei nove mesi che precedono il concepimento e fino ai primi 3 anni del bambino», aggiunge, «perché i prodotti animali offrono un insieme di nutrienti preziosi e fondamentali per la crescita». Sabina Sieri, biologa dell’Istituto nazionale dei tumori a Milano, coordina il gruppo di ricerca sulla dieta vegetariana e vegana della Società italiana di nutrizione umana. «Un’alimentazione vegana ben bilanciata non preclude nulla, anche se lo sviluppo in questi bambini può essere più lento. In ogni caso, è opportuno che i genitori siano accompagnati da un pediatra nelle loro scelte, soprattutto nei primi 6 anni di vita del bambino». Insomma, per seguire le proprie rinunce etiche a tavola serve un commissario a fianco. Un tutore del menu. Evitando assolutamente il fai-da-te, ricorda Umberto Veronesi. Se a casa sono i genitori a decidere, con l’inizio dell’anno scolastico si riaccendono le polemiche a scuola. Perché sono sempre più numerose le famiglie che chiedono al preside di modificare i piatti per venire incontro alla loro scelta vegetariana o vegana: in loro sostegno interviene in molti casi la Lega anti vivisezione. La mappa dei comuni è varia, con Milano che spicca come la città più veg del Paese: già da tempo le scuole forniscono pasti privi di alimenti di origine animale oppure senza carne né pesce su semplice richiesta dei genitori. Nell’ultimo anno scolastico hanno voluto un menu esclusivamente vegano 199 bambini, contro i 170 dell’anno precedente, mentre sono stati in 293 a chiedere quello vegetariano, rispetto ai 266 del 2014. Pochi mesi fa l’ospedale Fatebenefratelli ha inaugurato anche il primo ambulatorio pediatrico vegano d’Italia. A Roma quasi tutti i municipi prevedono menu vegani; di recente anche Torino e Bologna si sono allineate. In molte altre città, invece, le scuole continuano a richiedere il certificato medico, e in altre (tra le quali Ferrara e Napoli) non danno corso alla richiesta per ragioni sanitarie oppure organizzative. A maggio il ministero della Salute ha diramato una nota agli assessorati alla Sanità, alle Regioni e alle province autonome chiedendo loro di adeguarsi alle Linee guida per la ristorazione scolastica, in vigore dal 2010, che prevedono la sostituzione - su semplice domanda dei genitori - delle diete a scuola in forza di «ragioni etico-religiose o culturali». Se si fa eccezione per ebrei e musulmani, insomma, è giusto farlo anche per vegani e vegetariani. In caso contrario, sono pronte le carte bollate: l’ufficio legale della Lav sta mandando diffide ai sindaci di tutte le città d’Italia che chiedono l’attestazione del pediatra per adeguare i menu, e in diversi casi ottengono risposte positive. «C’è un clima nuovo: famiglie, scuole e Comuni sono sempre più consapevoli della legittimità della scelta vegana», commenta Gianluca Felicetti, presidente Lav. «Ma non basta eliminare la carne o il pesce dai pasti a scuola; bisogna garantire piatti vari e bilanciati che includano anche soia, seitan e tofu. E magari proporre questi ingredienti una volta alla settimana anche ai bambini onnivori, nel rispetto delle scelte alimentari di ciascuno», conclude Felicetti. In attesa che altre famiglie scelgano di convertirsi.

"Assassini da tavola!. No: "Erbivori da galera": una super-vegana e una carnivora a confronto. Daniela Martani, già hostess e concorrente del Grande Fratello, che lotta per la «liberazione animale». E dice: «Ricevo minacce, sono pronta denunciare tutti». Contro Elvira Savino da Conversano, fedelissima di Berlusconi e deputata di Forza Italia che ha proposto un disegno di legge contro i genitori che impongono diete «troppo restrittive» ai figli, scrive Susanna Turco il 23 settembre 2016, su "L'Espresso". Avrei voluto essere nata vegana, crescere senza mai aver ingerito un pezzo di cadavere o fluido mammario di altre specie viventi». Sospira Daniela Martani, 43 anni, già hostess-icona della vertenza Alitalia (sventolava il cappio), già concorrente del Grande fratello, in tv con Chiambretti Giletti, Santoro, ora dj («faccio serate per mantenermi») e, appunto, vegana integrale. Anzi: nazi-vegana, come la chiamano taluni. «Ma quale nazi! È inaccettabile: i nazisti hanno ammazzato milioni di persone, un vegano lotta per la vita», protesta. Lei lotta da quattro anni, fulminata da un servizio di Report: da allora va in tv a dare dell’assassino a macellai ed allevatori, frequenta oasi con capre e cinghiali, fa proselitismo a botte di aperitivi vegan, dal sushi con le carote all’amatriciana al tofu. «Ma non è una dieta, è un movimento di liberazione animale, la scelta etica di non essere più complici del massacro», chiarisce. Perché «uomini e animali hanno lo stesso diritto di vivere» e invece «considerarsi superiori ad altri ha portato ai più grandi crimini: pensiamo agli ebrei, ai neri, alle donne». La battaglia, racconta, è difficile: «Siamo sotto attacco, tocchiamo interessi, ci considerano pazzi». Un ruolo scomodo, fare la testimonial: «Sta diventando una guerra spietata, ho ricevuto tante minacce». Le ultime («almeno cinquemila», sta facendo un censimento), sono arrivate dopo un post sul karma di Amatrice, che giura non aver scritto lei, ma che le ha ispirato una ulteriore missione: «Mi voglio battere contro il cyber bullismo, li denuncio tutti». Non vuol far la «caccia al vegano», dice, ma sembra pronta per indossare la coroncina della no-vegan in Parlamento. Elvira Savino da Conversano, 39 anni, deputata di Fi, fedelissima a Berlusconi che le fece da testimone di nozze, si è infatti già beccata della «cannibale assassina» e della «pazza» perché ha scritto un progetto di legge che propone il carcere per i genitori che impongono diete «troppo restrittive» (leggasi: vegane) ai minori, equiparando il fatto a un «maltrattamento in famiglia». «Non si possono usare i figli per combattere le battaglie dei genitori», dice: «Dopo tanti fatti di cronaca, volevo aprire il dibattito: invece ho acceso l’ira invereconda di questi pacifici erbivori, che in realtà sono di una aggressività assoluta». Vegana non potrebbe diventare mai, spiega, per questione di “benessere fisico” («non ho evidenze che la dieta vegana sia meglio, anzi»), ma anche «di benessere mentale: non posso vivere chiedendomi se nel biscotto che sto per addentare ci sia un residuo di uovo, e quindi la traccia della sofferenza di una gallina: oltretutto ci vuole un sacco di tempo per stare appresso a un regime del genere». Non che le istanze vegane non siano sottoscrivibili, ma «è l’estremizzazione che non funziona: sembra una specie di fede, un credo, una crociata. Una moda, per molti. Che porta anche contraddizioni: diciamo no alla coppa del contadino a chilometri zero, sì al tofu delle multinazionali?».

Vegani liberi. Ma con buon senso. Un adulto può scegliere la sua alimentazione in piena autonomia. Ma non può imporla ai figli. Michele Ainis interviene in quello che, spiega, è un dibattito che ci coinvolge. Perché riguarda il ruolo dello Stato di fronte a scelte che riguardano la salute, i diritti delle minoranze. E la voce dei bambini, scrive Michele Ainis il 23 settembre 2016. Non c’è in gioco soltanto una bistecca. Sotto la cenere delle polemiche attorno all’alimentazione vegetariana o vegana degli alunni, brucia il fuoco dei diritti, delle garanzie costituzionali. Il diritto alla salute, degli adulti e soprattutto dei bambini. Il rispetto delle minoranze, delle loro scelte culturali. La dignità degli animali, che la Costituzione tedesca protegge espressamente. La libertà di religione, quando confligge con le leggi che proibiscono pratiche aggressive (è il caso della macellazione senza stordimento dell’animale, secondo il rito ebraico e islamico). Infine la sovranità sul corpo, sul nostro corpo fisico. A chi spetta? A noi stessi? Ai nostri genitori, finché nuotiamo in quel tempo della vita in cui loro decidono per noi? O invece il corpo dei cittadini è dello Stato? Come insegnò Foucault, il corpo è sempre stato oggetto e bersaglio del potere. Nei secoli mutano le forme di questo controllo esterno, non il controllo in sé. Semmai la tecnologia lo ha reso più invasivo, come ben sanno i 300 mila abitanti dell’Islanda: nel 1998 il Parlamento islandese autorizzò la creazione d’una banca dati del loro patrimonio genetico, senza chiedergli se fossero d’accordo, e per giunta vendendo in esclusiva tali informazioni a una casa farmaceutica. Ma ne sappiamo qualcosa pure noi italiani: per dirne una, la legge n. 91 del 1999 permette di prelevare i nostri organi al momento della morte, anche se in vita non avevamo mai manifestato un consenso esplicito. E c’è poi il salutismo di Stato, con tutti i suoi furori. La caccia agli obesi, per esempio attraverso la fat tax, la tassa sul grasso: nel 2011 la Danimarca fu il primo Paese al mondo ad introdurla. I controlli di qualità sugli alimenti, spesso figli di norme parossistiche; è il caso dei regolamenti europei (rispettivamente del 1998 e del 1994) sulla lunghezza delle banane e dei cetrioli. La scomunica delle droghe leggere, del tabacco, dell’alcol, anche se negli ultimi due casi lo Stato ci guadagna con le accise, mentre nel primo caso ci guadagnano le mafie. Diciamolo senza mezzi termini: si tratta di un abuso. Perché la Costituzione declina la salute come un diritto, non già come un dovere. E perché impernia la nostra convivenza sulla libertà reciproca, che significa autonomia dei singoli e dei gruppi, nelle proprie scelte esistenziali, nei propri stili di vita. Quand’anche fossero dannosi a chi li pratica: dopotutto, se mangio carne a colazione, se l’accompagno a un whisky e a uno spinello, sono fatti miei. Idem se non indosso il casco in motorino, o la cintura di sicurezza in automobile; in questi casi metto in pericolo me stesso, non il prossimo. E il tentato suicidio non è mica un reato. Dice: ma i traumatizzati costano, se aumenta la spesa sanitaria aumentano le tasse. E allora? Anche una pastasciutta ben condita fa crescere il colesterolo; dovremmo vietarla con tutti i crismi della legge? Questo principio di autonomia protegge i costumi collettivi, oltre quelli individuali. Non a caso, negli Stati Uniti e in Canada vigono antiche esenzioni per alcune comunità (come gli Amish o i Mennoniti) che rifiutano l’istruzione obbligatoria per i loro figli, allo scopo d’impedirne l’omologazione culturale. Tuttavia l’autonomia presuppone una scelta consapevole, e quando sei bambino non hai ancora la capacità di scegliere. Un adulto può anche decidere di farsi del male, ma non può fare del male ai suoi bambini. Ecco perché i Testimoni di Geova hanno tutto il diritto di respingere le trasfusioni di sangue, però non possono impedirle ai minori in pericolo di vita. Al modo stesso, è quantomeno dubbio che una coppia di genitori vegani possa imporre questa dieta ai propri figli, quando molti neuropsichiatri infantili ne denunciano i pericoli nell’età dello sviluppo. Si chiama principio di precauzione (nel dubbio, evita rischi). Ma tutto sommato è un principio di buon senso.

Vegani, Carlo Petrini: abbasso le etichette, viva i "consapevoliani". Stagionalità, varietà, agricoltura e allevamento locali. Sono queste le parole chiave. Perché il punto non è cosa mangiare, forse. Ma come. Ovvero la nostra maniera di alimentarci. Facendo del bene alla nostra salute e non minacciando la biodiversità, scrive Carlo Petrini il 23 settembre 2016, su "L'Espresso". Onnivori o vegani? Vegetariani o crudisti? Devo dire che il dibattito sulle “etichette” da affibbiare alle abitudini alimentari mi appassiona poco. Non perché non sia importante porsi la questione delle nostre scelte in fatto di alimentazione, al contrario perché mi trovo un po’ in difficoltà a parlare di cibo, quanto di più complesso e diversificato, quanto di più culturale e radicato nell’identità dei popoli, in termini di categorie e di comportamenti correlati. Non me ne vogliano i lettori e non me ne vogliano nutrizionisti, gastronomi, ghiottoni o tifosi di sorta ma, a mio modesto parere, il punto non è quanti limiti o paletti (e di quale natura) io introduca nella mia dieta; al contrario la questione centrale è quella dell’approccio a ciò che mangio, come lo mangio, come lo scelgo e quanto sono consapevole di ciò che sto facendo quando lo acquisto. Il cibo è innanzitutto un prodotto della terra, che cresce nella terra e che da essa trae il suo sostentamento per poi trasferirlo a noi sotto forma di energia e di elementi nutritivi. Fin qui tutto bene. l cibo, però, ha anche a che fare con ciò che siamo, ha a che fare con il modo in cui vediamo il mondo, con cui lo abitiamo e con cui ci interfacciamo con esso. Il cibo parla di noi, e così fanno le nostre abitudini alimentari. Fatta questa premessa diventa difficile esprimere giudizi sulle scelte altrui. Ciò che mi pare però evidente è che, se c’è qualcosa da cui non possiamo astenerci, è proprio il ragionamento sulla nostra maniera di alimentarci. Ecco allora che impattare meno sulle risorse naturali, cercare di fare del bene alla nostra salute e non minacciare la biodiversità del mondo sono basi solide da cui partire. Stagionalità, varietà, agricoltura e allevamento locali. Questo abbinato a una moderazione di fondo, in particolare per quanto riguarda la carne (al di là delle posizioni etiche è una scelta di salute), ci consente in ogni caso di mangiare meglio. E se poi dovremo a tutti i costi darci un’etichetta sceglieremo “consapevoliani”.

Umberto Veronesi: dieta vegana? Sì, ma evitiamo il fai-da-te. Il grande oncologo parla degli effetti sulla salute di un'alimentazione senza proteine di origine animale. Confermando che è possibile, e che può far bene. Ma che per seguirla bisogna evitare squilibri, scrive Francesca Sironi il 23 settembre 2016, su "L'Espresso". C’è chi arriva a dire: “Cura il cancro”. Chi semplicemente che fa bene alla salute: i vegani stanno meglio degli onnivori? Le risposte di Umberto Veronesi, il grande oncologo, fondatore della Fondazione Veronesi.

Professore, diventare vegani è una scelta “salutista”?

«Non sono le “etichette” a rendere una alimentazione sana o meno, ma ciò che nella pratica si mangia e in quali quantità. Vero è che, in linea generale, una dieta vegetariana è globalmente il regime alimentare più sano».

I vegani rinunciano anche a latte e uova.

«Per seguire una dieta vegana e stare bene è importante conoscere i fabbisogni nutrizionali dell’uomo. E quindi come possono essere soddisfatti con il mondo vegetale, affidandosi a specialisti per impostare uno stile alimentare corretto anche in questa scelta più estrema, poiché il rischio del fai-da-te, concreto, è quello di incorrere in squilibri, soprattutto di alcuni micronutrienti come la vitamina B12».

Le carenze possono essere molte?

«Il nostro organismo, se in salute, impara a ottimizzare l’assorbimento dei nutrienti. L’unica vitamina a rischio per i vegani è appunto la B12 che è di produzione microbica ed è presente nel mondo vegetale solamente in alcune alghe e nella soia fermentata. Molti prodotti industriali per vegani però sono fortificati con B12, tanto da rendere spesso l’apporto sufficiente senza che sia necessaria un’integrazione farmacologica».

La dieta vegan può combattere il cancro, come dicono alcuni?

«In letteratura scientifica è assodato che un’alimentazione a prevalenza vegetale sia protettiva nei confronti non solo dei tumori ma anche di malattie cardiovascolari e neurodegenerative. Meno consistenti sono i dati che esprimono un vantaggio significativo di una dieta vegana rispetto ad una vegetariana od onnivora di tipo mediterraneo, in cui i derivati animali, consumati con moderazione, sono soprattutto pesce e latticini freschi a basso contenuto in grassi».

A dividere di più sono i bambini. «Le proteine animali sono fondamentali per la crescita», dice il ministero della Salute.

«Sia dopo lo svezzamento che durante la crescita, è ancora più fondamentale rispetto all’adulto avere un’alimentazione adeguata in apporti energetici e completa in macro e micronutrienti, più semplici da ottenere con una dieta onnivora o vegetariana rispetto a una vegana, che necessita di frequenti analisi per verificare lo stato nutrizionale del bambino. Non dimentichiamo però che la malnutrizione può essere anche per eccesso: l’obesità infantile è un problema allarmante».

Il credo veg fra cinema e libreria. Romanzi, film, reality. Così il contagio "cruelty-free" invade la cultura, scrive Caterina Bonvicini il 23 settembre 2016, su "L'Espresso". In letteratura e nel cinema, il filone vegano ha due nature: una è tragica, al confine con il noir, l’altra è filosofica, di denuncia, più vicina al reportage. Nei romanzi del primo tipo, come “La vegetariana” della coreana Han Kang (uscirà per Adelphi il 13 ottobre, tradotto da Milena Zemira Ciccimarra) o come “Il bambino indaco” (Einaudi) di Marco Franzoso, da cui Saverio Costanzo ha tratto il film “Hungry Hearts”, la scelta vegan si trasforma in follia. In queste storie, dove il credo vegano portato all’estremo degenera in anoressia, c’è qualcosa di finale: un’ossessione per la vita che in realtà è un’ossessione di morte, un’ansia di purificazione che diventa rifiuto di tutto, del corpo degli animali come del proprio. “La vegetariana” di Han Kang, meritato Man Booker Prize del 2016, è un romanzo bellissimo, potente e perturbante. La storia di Yeong-hye viene raccontata all’inizio dal marito (incipit folgorante: «Prima che mia moglie diventasse vegetariana, l’avevo sempre considerata del tutto insignificante»), poi dal cognato innamorato di lei e poi dalla sorella che va a trovarla in un ospedale psichiatrico. Prima di rifiutare la carne, Yeong-hye rifiuta di portare il reggiseno. La sua scelta vegana equivale alla nudità: è un modo di ribellarsi a un padre e a un marito violento. È un Bartleby che trasporta la sua gentile negazione - «Preferirei di no» - sul fronte alimentare. Tutto comincia da un sogno. Come nel film di Costanzo (il libro di Franzoso è altrettanto bello, ma sono diversi: l’immaginario onirico appartiene solo al regista, il romanzo invece è secco, composto, per niente visionario). Yeong-hye sogna di essere coperta di sangue di carne macellata. Da lì, pur di non mangiare carne, è disposta a tagliarsi le vene con un coltello durante un pranzo in famiglia. L’unico che capirà la sua dimensione interiore, fatta di piante e libertà, sarà il cognato, ossessionato dal desiderio per lei. Ma quella che riporterà tutto alla realtà sarà la sorella, un personaggio simile al protagonista del libro di Franzoso, che si accorge che sua moglie Isabel sta uccidendo il figlio di pochi mesi, per denutrizione. Sono trame scorrette, ma sguardi intelligenti, che disturbano tanta retorica sul tema. A questo filone può appartenere persino l’ultimo libro di Fausto Brizzi, “Ho sposato una vegana” (Einaudi), un noir suo malgrado, nonostante il tono da commedia facile. Al di là del rapporto sadomasochista che ne esce (dal romanzo, naturalmente), è inevitabile preoccuparsi per sua moglie. Brizzi la racconta con leggerezza (la parodia di una scelta vegana), ma lei emerge come un personaggio tragico, ossessionato dalla morte. Come gli altri, di Han Kang, Franzoso e Costanzo. I libri del secondo tipo, invece, come “Se niente importa” (Guanda) di Jonathan Safran Foer o “La vita degli animali” (Adelphi) di J. M. Coetzee, che siano in forma di reportage o di romanzo filosofico, sono di denuncia e possono convertire qualunque carnivoro. Quello di Foer racconta così bene le torture agli animali, soprattutto negli allevamenti intensivi, che diventa impossibile mangiare un hamburger senza ricordarsi di quelle pagine. Un percorso inaugurato da docufilm come quel “Super Size Me” di Morgan Spurlock nei panni di se stesso, che già nel 2004 raccontò l’esperimento di tre pasti al giorno in un McDonald per un mese: undici chili in più e organismo intossicato. Sulla stessa scia “Fast Food Nation”, film del 2006 di Richard Linklater, o “Cowspiracy”, del 2014, di Kip Andersen e Keegan Kuhn, sul disastro ambientale provocato dall’industria della carne. L’attesa è ora per “The Founder”, di John Lee Hancock, che uscirà a dicembre negli Usa: la storia dei fratelli McDonald e di Ray Croc che ha acquisito il marchio. Chissà quante polemiche solleverà.

"PADRI DELLA PATRIA" VITTIME E COMPLICI DELLA NOSTRA ROVINA.

Lettera da Crispi a Garibaldi - Caprera. Torino, 3 febbraio 1863.

Mio Generale! Giunto da Palermo, dove stetti poco men che un mese, credo mio dovere dirvi qualche cosa della povera isola che voi chiamaste a libertà e che i vostri successori ricacciarono in una servitù peggiore di prima. Dal nuovo regime quella popolazione nulla ha ottenuto di che potesse esser lieta. Nissuna giustizia, nissuna sicurezza personale, l'ipocrisia della libertà sotto un governo, il quale non ha d'italiano che appena il nome. Ho visitate le carceri e le ho trovate piene zeppe d'individui i quali ignorano il motivo per il quale sono prigionieri. Che dirvi del loro trattamento? Dormono sul pavimento, senza lume la notte, sudici, nutriti pessimamente, privi d'ogni conforto morale, senza una voce che li consigli e li educhi onde fosser rilevati dalla colpa. La popolazione in massa detesta il governo d'Italia, che al paragone trova più tristo del Borbonico. Grande fortuna che non siamo travolti in quell'odio noi, che fummo causa prima del mutato regime! Essa ritien voi martire, noi tutti vittime della tirannide la quale viene da Torino e quindi ci fa grazia della involontaria colpa. Se i consiglieri della Corona non mutano regime, la Sicilia andrà incontro ad una catastrofe. E' difficile misurarne le conseguenze, ma esse potrebbero essere fatali alla patria nostra. L'opera nostra dovrebbe mirare ad evitare cotesta catastrofe, affinchè non si sfasci il nucleo delle provincie unite che al presente formano il regno di Italia. Con le forze di questo regno e coi mezzi ch'esso ci offre, noi potremmo compiere la redenzione della penisola e occupar Roma. Sciolto cotesto nucleo, è rimandata ad un lontano avvenire la costituzione d'Italia. Della vostra salute, alla quale tutti c'interessiamo, ho buone notizie, che spero sempre migliori. Di Palermo tutti vi salutano come vi amano. Abbiatevi i complimenti di mia moglie e voi continuatemi il vostro affetto e credetemi. Vostro ora e sempre. F. Crispi.

La verità è rivoluzionaria. Gli oltraggi subiti dalle popolazioni meridionali sono incommensurabili. Non credo di aver fatto del male. Nonostante ciò, non rifarei oggi la via dell'Italia meridionale, temendo di essere preso a sassate, essendosi colà cagionato solo squallore e suscitato solo odio. Giuseppe Garibaldi (da una lettera scritta ad Adelaide Cairoli, 1868) 

Cronologia moderna delle azioni massoniche e mafiose.

27 marzo 1848 - Nasce la Repubblica Siciliana. La Sicilia ritorna ad essere indipendente, Ruggero Settimo è capo del governo, ritorna a sventolare l'antica bandiera siciliana. Gli inglesi hanno numerosi interessi nell'Isola e consigliano al Piemonte di annettersi la Sicilia. I Savoia preparano una spedizione da affidare a Garibaldi. Cavour si oppone perchè considera quest'ultimo un avventuriero senza scrupoli (ricordano impietositi i biografi che Garibaldi ladro di cavalli, nell' America del sud, venne arrestato e gli venne tagliato l'orecchio destro. Sarà, suo malgrado, capellone a vita per nascondere la mutilazione) [Secondo altre fonti l’orecchio gli sarebbe stato staccato con un morso da una ragazza che aveva cercato di violentare all’epoca della sua carriera di pirata, stupratore, assassino in America Latina, NdT]. Il nome di Garibaldi, viene abbinato altresì al traffico di schiavi dall'Africa all'America. Rifornito di denaro inglese da i Savoia, Garibaldi parte per la Sicilia. 

11 maggio 1860 - Con la protezione delle navi inglesi Intrepid e H.M.S. Argus, Garibaldi sbarca a Marsala. Scrive il memorialista garibaldino Giuseppe Bandi: I mille vengono accolti dai marsalesi come cani in chiesa! La prima azione mafiosa è contro la cassa comunale di Marsala. Il tesoriere dei mille, Ippolito Nievo lamenta che si trovarono pochi spiccioli di rame. I siciliani allora erano meno fessi! E' interessante la nota di Garibaldi sull'arruolamento: "Francesco Crispi arruola chiunque: ladri, assassini, e criminali di ogni sorta". 

15 maggio 1860 - Battaglia di Calatafimi. Passata alla storia come una grande battaglia, fu invece una modesta scaramuccia, si contarono 127 morti e 111 furono messi fuori combattimento. I Borbone con minor perdite disertano il campo. Con un esercito di 25.000 uomini e notevole artiglieria, i Borbone inviano contro Garibaldi soltanto 2.500 uomini. E' degno di nota che il generale borbonico Landi, fu comprato dagli inglesi con titoli di credito falsi e che l'esercito borbonico ebbe l'ordine di non combattere. Le vittorie di Garibaldi sono tutte una montatura. 

27 maggio 1860 - Garibaldi entra a Palermo da vincitore!....Ateo, massone, mangiapreti, celebra con fasto la festa di santa Rosalia. 

30 maggio 1860 - Garibaldi dà carta bianca alle bande garibaldine; i villaggi sono saccheggiati ed incendiati; i garibaldini uccidevano anche per un grappolo d'uva. Nino Bixio uccide un contadino reo di aver preso le scarpe ad un cadavere. Per incutere timore, le bande garibaldine, torturano e fucilano gli eroici siciliani. 

31 maggio 1860 - Il popolo catanese scaccia per sempre i Borbone. In quell'occasione brillò, per un atto di impavido coraggio, la siciliana Giuseppina Bolognani di Barcellona Pozzo di Gotto (ME). Issò sopra un carro un cannone strappato ai borbonici e attese la carica avversaria; al momento opportuno, l'avversario a due passi, diede fuoco alle polveri; il nemico, decimato, si diede alla fuga disordinata. Si guadagnò il soprannome Peppa 'a cannunera (Peppa la cannoniera) e la medaglia di bronzo al valor militare. 

2 giugno 1860 - Con un decreto, Garibaldi assegna le terre demaniali ai contadini; molti abboccano alla promessa. Intanto nell'Isola divampava impetuosa la rivoluzione che vedeva ancora una volta il Popolo Siciliano vittorioso. Fu lo stesso popolo che unito e compatto costrinse i borbonici alla ritirata verso Milazzo. 

17 luglio 1860 - Battaglia di Milazzo. Il governo piemontese invia il Generale Medici con 21.000 uomini bene armati a bordo di 34 navi. La montatura garibaldina ha fine. I contadini siciliani si ribellano, vogliono la terra promessagli. Garibaldi, rivelandosi servo degli inglesi e degli agrari, invia loro Nino Bixio. 

10 agosto 1860 - Da un bordello di Corleone, Nino Bixio ordina il massacro di stampo mafioso di Bronte. Vengono fucilati l'avvocato Nicolò Lombardo e tre contadini, tra i quali un minorato! L'Italia mostra il suo vero volto.

21 ottobre 1860 - Plebiscito di annessione della Sicilia al Piemonte. I voti si depositano in due urne: una per il "Sì" e l'altra per il "No". Intimorendo, come abitudine mafiosa, ruffiani, sbirri e garibaldini controllano come si vota. Su una popolazione di 2.400.000 abitanti, votarono solo 432.720 cittadini (il 18%). Si ebbero 432.053 "Sì" e 667 "No". Giuseppe Mazzini e Massimo D'Azeglio furono disgustati dalla modalità del plebiscito. Lo stesso ministro Eliot, ambasciatore inglese a Napoli, dovette scrivere testualmente nel rapporto al suo Governo che: "Moltissimi vogliono l'autonomia, nessuno l'annessione; ma i pochi che votano sono costretti a votare per questa". E un altro ministro inglese, Lord John Russel, mandò un dispaccio a Londra, cosí concepito: "I voti del suffragio in questi regni non hanno il minimo valore". 

1861 - L'Italia impone enormi tasse e l'obbligo del servizio militare, ma per chi ha soldi e paga, niente soldato. Intanto i militari italiani, da mafiosi, compiono atrocità e massacri in tutta l'Isola. Il sarto Antonio Cappello, sordomuto, viene torturato a morte perchè ritenuto un simulatore, il suo aguzzino, il colonnello medico Restelli, riceverà la croce dei "S.S. Maurizio e Lazzaro". Napoleone III scrive a Vittorio Emanuele: "I Borbone non commisero in cento anni, gli orrori e gli errori che hanno commesso gli agenti di Sua Maestà in un anno”. 

1863 - Primi moti rivoluzionari antitaliani di pura marca indipendentista. Il governo piemontese instaura il primo stato d'assedio. Viene inviato Bolis per massacrare i patrioti siciliani. Si prepara un'altra azione mafiosa contro i Siciliani.

8 maggio 1863 - Lord Henry Lennox denuncia alla camera dei Lords le infamie italiane e ricorda che non Garibaldi ma l'Inghilterra ha fatto l'unità d'Italia. 

15 agosto 1863 - Secondo stato d'assedio. Si instaura il terrore. I Siciliani si rifiutano di indossare la divisa italiana; fu una vera caccia all'uomo, le famiglie dei renitenti furono torturate, fucilate e molti furono bruciati vivi. Guidava l'operazione criminale e mafiosa il piemontese Generale Giuseppe Govone. (Nella pacifica cittadina di Alba, in piazza Savona, nell'aprile 2004 è stato inaugurato un monumento equestre a questo assassino. Ignoriamo per quali meriti.)

1866 - In Sicilia muoiono 52.990 persone a causa del colera. Ancora oggi, per tradizione orale, c'è la certezza che a spargervi il colera nell'Isola siano state persone legate al Governo italiano. Intanto tra tumulti, persecuzioni, stati d'assedio, terrore, colera ecc. la Sicilia veniva continuamente depredata e avvilita; il Governo italiano vendette perfino i beni demaniali ed ecclesiastici siciliani per un valore di 250 milioni di lire. Furono, nel frattempo, svuotate le casse della regione. Il settentrione diventava sempre più ricco, la Sicilia sempre più povera. 

1868 - Giuseppe Garibaldi scrive ad Adelaide Cairoli:"Non rifarei la via del Sud, temendo di essere preso a sassate!". Nessuna delle promesse che aveva fatto al Sud (come quella del suo decreto emesso in Sicilia il 2 giugno 1860, che assegnava le terre comunali ai contadini combattenti), era stata mantenuta. 

1871 - Il Governo, con un patto scellerato, fortifica la mafia con l'effettiva connivenza della polizia. Il coraggioso magistrato Diego Tajani dimostrò e smascherò questa alleanza tra mafia e polizia di stato e spiccò un mandato di cattura contro il questore di Palermo Giuseppe Albanese e mise sotto inchiesta il prefetto, l'ex garibaldino Gen. Medici. Ma il Governo italiano, con fare mafioso si schiera contro il magistrato costringendolo a dimettersi. 

1892 - Si formano i "Fasci dei Lavoratori Siciliani". L'organizzazione era pacifica ed aveva gli ideali del popolo, risolvere i problemi siciliani. Chiedeva, l'organizzazione dei Fasci la partizione delle terre demaniali o incolte, la diminuzione dei tassi di consumo regionale ecc. 

4 gennaio 1894 - La risposta mafiosa dello stato italiano non si fa attendere: STATO D'ASSEDIO. Francesco Crispi, (definito da me traditore dei siciliani a perenne vergogna dei riberesi) presidente del Consiglio, manda in Sicilia 40.000 soldati al comando del criminale Generale Morra di Lavriano, per distruggere l'avanzata impetuosa dei Fasci contadini. All'eroe della resistenza catanese Giuseppe De Felice vengono inflitti 18 anni di carcere; fu poi amnistiato nel 1896, ricevendo accoglienze trionfali nell'Isola. 

Note di "Sciacca Borbonica": Sono molti i paesi del mondo che dedicano vie, piazze e strade a lestofanti e assassini. Ma pochi di questi paesi hanno fatto di un pirata macellaio addirittura il proprio eroe nazionale. Il 27 luglio 1995 il giornale spagnolo "El Pais", giustamente indignato per l’apologia di Garibaldi fatta dall’allora presidente Scalfaro (quello che si prendeva 100 milioni al mese in nero dal SISDE, senza che nessuno muovesse un dito) nel corso di una visita in Spagna, così gli rispose a pag. 6:  “Il presidente d'Italia è stato nostro illustre visitante...... Disgraziatamente, in un momento della sua visita, il presidente italiano si è riferito alla presenza di Garibaldi nel Rio della Plata, in un momento molto speciale della storia delle nazioni di questa parte del mondo. E, senza animo di riaprire vecchie polemiche e aspre discussioni, diciamo al dott. Scalfaro che il suo compatriota [Garibaldi] non ha lottato per la libertà di queste nazioni come egli afferma. Piuttosto il contrario". Il 13 settembre 1860, mentre l'unificazione italiana era in pieno svolgimento, il giornale torinese Piemonte riportava il seguente articolo. (1): «Le imprese di Garibaldi nelle Due Sicilie parvero sin da allora così strane che i suoi ammiratori ebbero a chiamarle prodigiose. Un pugno di giovani guidati da un audacissimo generale sconfigge eserciti, piglia d'assalto le città in poche settimane, si fa padrone di un reame di nove milioni di abitanti. E ciò senza navigli e senz'armi... Altro che Veni, Vedi, Vici! Non c'è Cesare che tenga al cospetto di Garibaldi. I miracoli però non li ha fatti lui ma li fecero nell'ordine: 1°)-L'oro con il quale gli inglesi comprarono quasi tutti i generali borbonici e col quale assoldarono 20.000 mercenari ungheresi e slavi e pagarono il soldo ad altri 20.000 tra carabinieri e bersaglieri, opportunamente congedati dall'esercito sardo-piemontese e mandati come "turisti" nel Sud, altro che i 1000 scalcinati eroi...... 2°)-il generale Nunziante ed altri tra ufficiali dell'esercito e della marina che, con infinito disonore, disertarono la loro bandiera per correre sotto quella del nemico eccovi servito un piccolo elenco di traditori al soldo degli anglo-piemontesi, oltre al Nunziante: Generale Landi, Generale Cataldo, Generale Lanza, Generale Ghio, Comandante Acton, Comandante Cossovich,ed altri ancora; 3°)-i miracoli li ha fatti il Conte di Siracusa con la sua onorevolissima lettera al nipote Francesco II° (lettera pubblicata in un post a parte); 4°)-li ha fatti la Guardia Nazionale che, secondo il solito, voltò le armi contro il re che gliele avea date poche ore prima; 5°)-)li ha fatti il Gabinetto di Liborio Romano il quale, dopo aver genuflesso fino al giorno di ieri appié del trono di Francesco II, si prostra ai piedi di Garibaldi; 6°)- La quasi totalità della nobiltà siciliana. Beh, Con questi miracoli ancor io sarei capace di far la conquista, non dico della Sicilia e del Reame di Napoli, ma dell'universo mondo. Dunque non state a contare le prodezze di Sua Maestà Garibaldi I. Egli non è che il comodino della rivoluzione. Le società segrete (la massoneria) che hanno le loro reti in tutto il paese delle Due Sicilie, hanno di lunga mano preparato ogni cosa per la rivoluzione. E quando fu tutto apparecchiato si chiamò Garibaldi ad eseguire i piani [...]. Se non era Garibaldi sarebbe stato Mazzini, Kossuth, Orsini o Lucio della Venaria: faceva lo stesso. Appiccare il fuoco ad una mina anche un bimbo può farlo. Di fatto vedete che dappertutto dove giunge Garibaldi la rivoluzione è organizzata issofatto, i proclami sono belli e fatti, anzi stampati. In questo modo credo che Garibaldi può tranquillamente fare il giro del mondo a piantare le bandiere tricolori del Piemonte. Dopo Napoli Roma, dopo Roma Venezia, dopo Venezia la Dalmazia, dopo la Dalmazia l'Austria, caduta l'Austria il mondo è di Garibaldi, cioé del Piemonte! Oh che cuccagna! Torino capitale dell'Europa, anzi dell'orbe terracqueo. Ed i torinesi padroni del mondo!». Dai Savoia agli Agnelli, da una famiglia di vampiri ad un altra.....per il Sud sempre lo stesso destino.......dar loro anche l'ultima goccia di sangue. Comunque la Giustizia Divina arriva sempre........i savoia son finiti nella merda e nel ludibrio, gli Agnelli nella tomba e nella droga che certamente sarà il mezzo con quale ci libereremo di questa gente maledetta.

Gli eurobond che fecero l'Unità d'Italia quando il Regno di Napoli era come la Germania, scrive Giuseppe Chiellino il 30 giugno 2012 su “Il Sole 24 Ore”. Il vertice europeo di fine giugno ha cancellato gli eurobond dall'agenda. Almeno per ora. Angela Merkel è stata drastica: «Mai finchè sarò viva» aveva detto in pubblico qualche giorno prima. Chissà se la cancelliera tedesca aveva avuto il tempo di leggere lo studio di Stéphanie Collet, storica della finanza della Université Libre de Bruxelles che è andata a spulciare negli archivi delle Borse di Parigi e Anversa per studiare l'unico precedente assimilabile agli Eurobond: l'unificazione del debito sovrano dei sette stati che 150 anni orsono, su iniziativa del Piemonte e sotto tutela di Francia e Inghilterra, costituirono il Regno d'Italia. Nella storia dello stato moderno è l'esperienza storicamente più vicina al faticosissimo tentativo di dare maggiore consistenza politica all'Unione europea, anche attraverso l'integrazione delle politiche economiche e fiscali, compresi debiti sovrani dei 17 paesi dell'euro. Un precedente prezioso, secondo la Collet, per cercare di capire – mutatis mutandis - come potrebbero comportarsi i mercati finanziari di fronte all'unificazione del debito pubblico dei paesi della zona euro. «Come l'Italia di allora, l'Europa oggi è fatta da stati eterogenei, con economie di dimensioni e condizioni diverse, che parlano lingue diverse e hanno sistemi di imposizione fiscale separati» ricorda la studiosa. Grazie al fatto che anche dopo l'unificazione i titoli del Regno d'Italia conservarono fino al 1876 l'indicazione della loro origine (per esempio, ad Anversa le emissioni del Regno delle Due Sicilie erano indicate come "Italy-Neapolitean") la Collet è riuscita a ricostruire le serie storiche dei prezzi settimanali tra il 1847 e il 1873. Un lavoro certosino di raccolta manuale dei dati dagli archivi e dai database originali per capire come si sono mosse le quotazioni, prima e dopo l'unità, politica ed economica. 25 emissioni suddivise in quattro gruppi: Regno di Piemonte e Sardegna, Lombardo-Veneto, Due Sicilie e Stato Pontificio. La prima cosa che balza agli occhi è lo spread (anche allora!) tra i rendimenti dei diversi gruppi di bond prima e dopo l'Unità. Quelli del Regno delle Due Sicilie (che erano un quarto del totale) prima del 1861 pagavano i tassi più bassi: 4,3%, 140 punti base in meno delle emissioni papali e di quelle piemontesi (che rappresentavano rispettivamente il 29% e il 44% del debito unitario dopo la conversione) e 160 in meno rispetto a quelle Lombardo-Venete (che però erano solo il 2%). Insomma, a voler utilizzare le categorie di oggi, il Regno di Napoli economicamente era per l'Italia quello che oggi la Germania è per l'Eurozona. «Come il Regno di Napoli prima dell'integrazione del debito sovrano, la Germania di oggi è l'economia più forte dell'eurozona e beneficia del costo del debito più basso in assoluto» scrive Collet. Considerazioni, queste, che faranno storcere il naso a molti, ma sicuramente non di parte. Del resto, come ricorda Collet, Napoli era di gran lunga la città più importante del neonato Regno d'Italia. E le regioni del Sud avevano una discreta struttura industriale, un'agricoltura fiorente sia pure basata sul latifondismo, e importanti porti commerciali. Subito dopo il 1861, però, lo scettiscismo dei mercati nel processo unitario italiano impose un "risk premium" comune a tutti i bond degli stati preunitari, anche a quelli che fino a quel momento avevano goduto di maggiore fiducia e dunque di rendimenti più bassi. Proprio quello che oggi la Germania teme possa avvenire con gli eurobond: l'anno successivo, infatti, i rendimenti dei titoli convertiti in "Regno d'Italia" si allinearono ben al di sopra dei tassi precedenti, al 6,9%. Per gli "Italy – Neapolitean" 260 punti base in più che diventarono 460 nel 1870, per poi cominciare a ripiegare dopo il 1871, quando cioè l'annessione di Venezia e di Roma e il trasferimento della capitale nella città del papato convinsero gli investitori, e non solo, che l'Unità era ormai irreversibile. L"Italia" non era più una mera "espressione geografica", come l'aveva definita Metternich nel 1847, ma dopo tre guerre d'indipendenza e più di vent'anni di manovre diplomatiche era diventata uno stato unitario. «L'integrazione dei debiti sovrani era stato uno strumento per portare avanti l'integrazione politica, come sarebbe oggi per l'Europa» afferma Collet, ma nota anche che «un aumento del premio di rischio aggraverebbe la crisi del debito che sta vivendo l'Europa piuttosto che risolverla. Significherebbe che, se fossero introdotti gli eurobond, la Germania perderebbe il suo rating elevato». Questo portava Collet a definire, già nei mesi scorsi, «remote» le speranze di vedere nel breve termine un mercato integrato dei titoli di debito dell'eurozona. Nel lungo termine, invece, i risultati della ricerca sul caso italiano dimostrano che «nel tempo i rendimenti dei titoli diminuirono». Alla luce di questo, oggi la domanda è: quanto tempo ci vorrà perché anche l'Europa sia considerata come un blocco unico e in grado di dotarsi di un vero e proprio piano di salvataggio per l'euro? Per l'Italia ci volle all'incirca un decennio. Considerato che quella italiana fu un'annessione anche militare e quella europea è un'integrazione consensuale, e che i mercati dei capitali si muovono a ritmi diversi rispetto alla seconda metà dell'800, anche Collet concorda che un aumento del costo del debito nel breve termine sarebbe un prezzo che potremmo permetterci di pagare se avessimo la certezza di avere, tra qualche anno, un'Europa più unita. Ma questa certezza nessuna ricerca, per quanto accurata, potrà mai darla. Serve, forse, la capacità di andare oltre il breve periodo, di guardare un po' più lontano rispetto alla prossima scadenza elettorale, superando la "veduta corta" che per Tommaso Padoa Schioppa è stata «la radice» della crisi.

IN DIFESA DELLA CAPRE….

"Offende sempre le capre": Sgarbi denunciato dagli animalisti. Ferrara, esposto in procura da parte dell'Aidaa: "Incitamento al maltrattamento di animali". La replica del critico d'arte: "Io lo intendo come un complimento", scrive il 02 gennaio 2016 "La Repubblica". Un esposto alla Procura della Repubblica di Ferrara contro Vittorio Sgarbi perché "offende le capre": afferma di averlo presentato Lorenzo Croce, presidente dell'Associazione italiana difesa animali e ambiente (Aidaa), che chiede ai magistrati "di verificare se l'uso spregiativo del termine "capra", che lo stesso critico d'arte usa a sproposito, non sia un incitamento al maltrattamento di animali, ai sensi dell'articolo 544-ter del codice penale, oltre che un uso scorretto della lingua italiana. Nella descrizione della specie animale "capra" infatti si legge che la stessa è tra gli animali più intelligenti che esistano". "La nostra è una provocazione - spiega Croce - fatta contro chi delle provocazioni ha fatto un modo di vivere, e quindi a lui chiediamo, oltre che di smetterla di usare impropriamente il nome capra come epiteto, anche di andare a vivere tre giorni con i pastori ed imparare, pascolando le capre, quanto sono intelligenti quegli animali". A stretto giro arriva, con una nota del suo ufficio stampa, la replica ironica di Sgarbi: "Ringrazio l'Aidaa, condividendo pienamente le loro posizioni. Infatti, avendo evitato di legare al sostantivo "capra" qualunque aggettivo, ho sempre inteso capra come un complimento, considerando di molto inferiori alcuni uomini. Suggerisco comunque all' Aidaa di fare un esposto anche contro Gesù Cristo che, identificandosi nel buon pastore, ha riconosciuto negli uomini le sue pecore".

L'esposto animalista contro Sgarbi, scrive "Il Corriere della Sera" il 2 gennaio 2016. Un esposto alla Procura della Repubblica di Ferrara contro Vittorio Sgarbi perché «offende le capre»: afferma di averlo presentato Lorenzo Croce, presidente dell’Associazione italiana difesa animali e ambiente (Aidaa), che chiede ai magistrati «di verificare se l’uso spregiativo del termine “capra”, che lo stesso critico d’arte usa a sproposito, non sia un incitamento al maltrattamento di animali, ai sensi dell’articolo 544-ter del codice penale, oltre che un uso scorretto della lingua italiana. Nella descrizione della specie animale “capra” infatti si legge che la stessa è tra gli animali più intelligenti che esistano». «La nostra è una provocazione - spiega Croce - fatta contro chi delle provocazioni ha fatto un modo di vivere, e quindi a lui chiediamo, oltre che di smetterla di usare impropriamente il nome “capra” come epiteto, anche di andare a vivere tre giorni con i pastori ed imparare, pascolando le capre, quanto sono intelligenti quegli animali». A stretto giro arriva, con una nota del suo ufficio stampa, la replica ironica di Sgarbi: «Ringrazio l’Aidaa, condividendo pienamente le loro posizioni. Infatti, avendo evitato di legare al sostantivo capra qualunque aggettivo, ho sempre inteso “capra” come un complimento, considerando di molto inferiori alcuni uomini. Suggerisco comunque all’Aidaa di fare un esposto anche contro Gesù Cristo che, identificandosi nel “buon pastore”, ha riconosciuto negli uomini le sue pecore». È recente (17 dicembre) un post su Facebook in cui Vittorio Sgarbi interveniva proprio con un «Capre, sono ancora qui» per tranquillizzare tutti poche ore dopo il malore che lo aveva colpito in autostrada e che lo aveva costretto al ricovero d’urgenza al policlinico di Modena per un’ischemia cardiaca, risolta dai medici con un intervento di angioplastica. «Al di là del fatto che l’esposto del signor Croce è stato presentato ad una autorità incompetente per territorio e non solo contro Sgarbi ma anche verso l’attuale presidente del Consiglio Renzi, per il significato che questi attribuisce ai gufi, qualificati iettatori, nessun reato sussiste nel caso in esame, posto che il nostro ordinamento considera gli animali come beni mobili». Lo precisa in una nota l’avvocato Giampaolo Cicconi per conto di Vittorio Sgarbi. «Quindi - prosegue la nota - nessuna violazione penalmente rilevante è stata commessa né dal professor Sgarbi e né dal primo ministro Renzi, atteso che non vi è stato da parte di costoro alcun maltrattamento né alle capre e né ai gufi».

Vittorio Sgarbi risponde agli animalisti: "Dirò capra quanto voglio", scrive "L'Huffington Post" il 04/01/2016. "Cane, ti dirò cane, o dovrò chiamarti Dio? Perchè se ti chiamo cane ti potrei offendere, se ti chiamo Dio, offendo Dio". Inizia così il video con cui Vittorio Sgarbi, rivolgendosi a un cane, risponde alle critiche rivoltegli dall'Aidaa, "Associazione italiana difesa animali e ambiente", che che si sono concretizzate in un esposto. "L'Aidaa ha presentato un esposto alla Procura di Ferrara contro il critico d'arte che usa come epiteto il nome dell'erbivoro contro i suoi detrattori", spiega il critico d'arte nel video, pubblicato sul suo profilo Facebook. Pochi giorni fa, infatti, Lorenzo Croce, presidente Aidaa, aveva dichiarato di aver chiesto ai magistrati "di verificare se l'uso spregiativo del termine 'capra', che lo stesso critico d'arte usa a sproposito, non sia un incitamento al maltrattamento di animali, ai sensi dell'articolo 544-ter del codice penale, oltre che un uso scorretto della lingua italiana". Il motivo? Le capre sono tra gli animali più intelligenti. L'associazione invitava quindi il critico non solo a smettere di usare impropriamente il termine, ma anche a vivere tre giorni con i pastori, pascolando le capre, per imparare quanto questi animali siano intelligenti. Sgarbi aveva già risposto con un comunicato "Ringrazio l'Aidaa, condividendo pienamente le loro posizioni. Infatti, avendo evitato di legare al sostantivo capra qualunque aggettivo, ho sempre inteso 'capra' come un complimento, considerando di molto inferiori alcuni uomini. Suggerisco comunque all'Aidaa di fare un esposto anche contro Gesù Cristo che, identificandosi nel 'buon pastore', ha riconosciuto negli uomini le sue pecore". Ma il critico ha sottolineato la sua posizione anche con il video, diffuso appunto tramite la sua pagina social. Dopo un lungo ragionamento, Sgarbi nel filmato afferma: "[...] Intendo dire che dirò capra quanto voglio, con ciò ritenendo di non offendere né la capra né l'uomo".

Dal Palio di Siena alle meduse: la guerra santa degli animalisti. Attaccano la sperimentazione medica sulle cavie, combattono gli allevatori, difendono i diritti dei grilli e delle farfalle. Gli animalisti 2.0 si sono radicalizzati, e lottano contro ogni forma di discriminazione animale. In nome della libertà di tutti gli esseri viventi. La guerra contro gli "specisti", che considerano gli animali inferiori all'uomo, è sempre più violenta. Tra insulti sul web, liti in famiglia e scontri di piazza, scrive Emiliano Fittipaldi su “L’Espresso”. A Recommone qualche giorno fa, sotto gli occhi di chi scrive c’è stata un’accesa discussione tra una donna e una famiglia vicina d’ombrellone. Il tema del litigio era originale: il diverso parere sul destino di una medusa (specie Pelagia noctiluca) che aveva ustionato un bambino sulla coscia. Il padre dopo l’attacco era riuscito a prendere l’essere planctonico con il secchiello e l’aveva gettato sulla terraferma. Notata la scena, una signora in bikini si precipitava verso la riva, cominciando a inveire contro l’uccisore. «Le meduse hanno diritto a vivere come tutti gli animali! Siete degli assassini! Vergognatevi!». Qualcuno l’ha applaudita, altri tifavano per il capofamiglia che difendeva a spada tratta il delitto appena compiuto («cretina, le meduse non hanno nemmeno il cervello!»), il pargolo continuava a urlare dal dolore contorcendosi sul lettino. Ecco. La zuffa estiva è metafora perfetta di un animalismo radicale che sta prendendo piede ovunque, e della diffusione capillare della guerra bestiale combattuta da animalisti duri e puri e coloro che non vogliono piegarsi alle tesi del filosofo Peter Singer, l’australiano autore della bibbia dei vegani (titolo: “Liberazione animale”) in cui si attacca senza se e senza ma lo “specismo”, considerato inaccettabile razzismo che gli esseri umani hanno nei confronti delle altre specie viventi. Il conflitto è arrivato in spiaggia, passando dai social network, e ormai tracima in battaglie dentro casa tra mariti e mogli e - come accaduto per il palio di Siena - tra le opposte fazioni in piazza. «Sono singoli fanatici e piccoli gruppi radicali», tranquillizzano gli animalisti meno accesi, ma in cuor loro sanno anche loro che la minoranza è sempre più compatta e forte. Se molti di questi gruppi sono legati alla destra estrema (il capo dell’associazione Animalisti 100 per cento è vicino ai fascisti di Forza Nuova) e fioriscono le sigle anarchico-animaliste, le proteste contro le violenze sugli animali hanno scavallato i temi tradizionali della caccia, delle pellicce, delle inutili mattanze di foche, e ai maltrattamenti sulle cavie da laboratorio e alle crudeltà perpetrate nei canili-lager, s’è aggiunto uno sdegno contro qualsiasi pratica (commerciale o ludica) che limiti la libertà degli animali. Indignazione che a volte mette sullo stesso piano tutti gli specisti, coloro che si rifiutano di mettere bestie e persone sullo stesso piano. Per non parlare degli umanisti più convinti, che si scandalizzano al contrario dell’enorme clamore mediatico di casi come quello della morte dell’orsa Daniza in Trentino (deceduta per complicanze dopo essere stata narcotizzata) e dell’uccisione da parte di un dentista americano del vecchio leone Cecil. Simbolo di un paese, lo Zimbabwe, che grazie al felino è finito per settimane sulle prime pagine dei giornali di tutto il globo. Disinteressati, ça va sans dire, che in Zimbabwe l’aspettativa di vita sia tra le più basse del mondo (59 anni, dati dello World Health Statistics 2015), e che ogni giorno - come ha denunciato l’Unicef - veda morire circa 100 bambini sotto i cinque anni a causa di fame e Aids. «Il mondo è sgomento per la sorte di Jericho, fratello di Cecil», ricordava il ventesimo lancio dell’Ansa dedicato alla big story dell’estate. Tornando in Italia, siamo in pieno “Clash of Civilizations”, e gli scontri tra specisti e animalisti fanatici sono all’ordine del giorno. Due anni fa una ragazza affetta da gravi malattie genetiche, Caterina Simonsen, fu subissata di ingiurie («magari fosse morta a nove anni, un essere vivente di merda in meno e più animali su questo pianeta!», il tenore degli improperi su Facebook) per aver difeso la sperimentazione medica sulle cavie (gli insultatori hanno vinto il demenziale “Premio Hitler” messo in palio ogni anno da Federfauna, nel 2013 l’aveva vinto l’ex ministro azzurro Michela Brambilla), mentre quattro ricercatori dell’Università di Milano sono finiti nel mirino del gruppo “Nemesi animale” per le loro sperimentazioni sugli animali, con tanto di foto con nome, cognome e numeri di telefono affissi sui muri di mezza città. Se le battaglie contro zoo, circhi e atrocità degli allevamenti intensivi sono patrimonio di ogni animalista, centinaia di associazioni più o meno organizzate hanno compiuto un salto ideologico, e i loro adepti lottano contro qualsiasi discriminazione e azione che puzzi di “specismo”. A Padova a luglio 15 camion carichi di mangimi sono stati dati alle fiamme e rivendicati con una scritta «No Ogm, no allevamenti», un blitz simile a quello dell’Animal Liberation Front con cui vennero distrutti mesi fa i furgoni di una ditta di latticini in Toscana. «Solidarietà ai militanti dell’Alf: le loro azioni non sono terrorismo, ma atti concreti di lotta per la liberazione animale. Un’azienda casearia è una fabbrica di dolore e morte», scrisse in una nota il movimento Centopercentoanimalisti. Il fondatore Paolo Mocavero, candidato nel 1999 alle comunali per Forza Nuova, è uno dei duri e puri che ha capito come fare notizia, e ha ordinato ai suoi di attaccare giostre e fiere locali. «Il palio delle oche di Lacchiarella è l’ennesima forma di maltrattamento nei confronti di animali inadatti a gareggiare, correndo spaventati dagli schiamazzi del pubblico per un chilometro e mezzo. È un simbolo di arretratezza civile e culturale», ha intimato il gruppo, che qualche tempo addietro organizzò un assalto contro un’azienda veneta colpevole, secondo loro, di favorire l’accoppiamento forzato tra cani per produrre razze pregiate. Una strategia mediaticamente vincente che ormai ha conquistato anche associazioni meno radicali. L’Enpa due settimane fa si è scatenata contro il palio delle rane di San Casciano Bagni, paesino demoniaco dove le bestiole «vengono messe su carriole spinte dai contradaioli lungo le vie della città. È una sistemazione tutt’altro che idonea a una specie animale, si tratta di un maltrattamento insieme fisico e psicologico!». Stessa grancassa contro la fiera di Porcia, vicino a Pordenone, dove un asinello alla fine della giornata viene fatto salire sopra un campanile. Anche questa pratica considerata «vergognosa». Se la Lav considera «inaccettabile» il ritorno della festa del grillo di Firenze («un orrore che non può essere attenuato nemmeno dal sub-emendamento presentato in consiglio comunale che obbliga la liberazione del grillo dopo tre giorni», spiegano i dirigenti), la Lida se l’è presa con la corsa delle galline di Grugliasco. Vicende che fanno sorridere gli specisti, ma che mostrano in realtà come le distanze con parte importante del nuovo animalismo stiano crescendo a dismisura. Non solo nelle scelte alimentari, ma nell’approccio legale intorno ai diritti di cui gli animali devono o non devono godere. Secondo l’inventore del termine “specismo”, lo psicologo Richard D. Ryder, non va combattuto solo il razzismo e il sessismo, ma qualsiasi «pregiudizio o atteggiamento di prevenzione a favore degli interessi dei membri della propria specie e a sfavore di quelli dei membri di altre specie». Una rivoluzione, in termini ideologici, che si sta diffondendo capillarmente in Occidente, dove gli animalisti s’erano concentrati sulla difesa di cani, gatti e altri pet da compagnia e contro la violenza nelle produzioni di indumenti. Con il boom del vegetarianesimo prima e della cultura vegana poi, negli ultimi due lustri il radicalismo alla Singer è diventato dominante, e sta contagiando centinaia di migliaia di persone. Le cui battaglie sono ormai mal viste da chi accorda agli umani uno status superiore e privilegiato. «Non distinguere gli uomini dagli altri esseri viventi è nefasto. Perché la morale riguarda solo gli esseri umani», ha attaccato il filosofo Fernando Savater tre anni fa, riprendendo le tesi di Immanuel Kant e decine di altri pensatori prima di lui. «I veri barbari sono coloro che non distinguono uomini e animali. Caligola che fece senatore un cavallo e uccise centinaia di persone che non apprezzava. Quello era un barbaro. Perché trattava gli uomini come gli animali e gli animali come gli uomini». Con visioni così antitetiche non deve stupire, dunque, la virulenza lessicale con cui qualche giorno fa esponenti del Partito animalista europeo hanno infamato i contradaioli del Palio di Siena, né la rabbia dei ragazzi che lo scorso febbraio hanno dato degli «assassini» a un gruppo di esterrefatti contadini della Coldiretti che avevano portato le loro mucche da latte in piazza per denunciare l’indifferenza del governo davanti al declino del settore. Per un antispecista possedere e sfruttare un animale è un peccato mortale, anche se l’uomo ci fa solo formaggi e caciotte. Le fedi sono inconciliabili, le polemiche quotidiane. Le ultime risse in ordine di tempo hanno riguardato il milione di cinghiali che infestano le nostre campagne (i comuni li vorrebbero abbattere, gli animalisti vogliono proteggerli) e le nutrie della pianura padana, bestiole che scavando gallerie lungo gli argini dei fiumi rischiano ogni inverno di aumentare i pericoli di alluvioni. «Nessuno osi abbatterle», urlano in coro tutti gli animalisti, mentre dall’altra parte l’assessore alla Protezione civile della Provincia di Treviso, il leghista Mirco Lorenzon, ha proposto di mangiarle: «È un’ottima carne a chilometro zero, ricca di proteine e povera di colesterolo». Chi sogna la libertà per tutti gli esseri viventi non può nemmeno accettare, come avvenuto l’anno passato, che a Firenze per le sfilate di Pitti Uomo venga realizzata un’opera in cui centinaia di farfalle volano in una (enorme) voliera, né - ovviamente - che l’artista Hermann Nitsch possa organizzare mostre con immagini di animali squartati. Un furore antispecista che, al netto della difesa di insetti e meduse, rischia talvolta di tramutarsi anche in ridicolo. Come quando, nel luglio di un anno fa, decine di migliaia di animalisti attaccarono sui social Steven Spielberg, reo di aver ucciso un triceratopo (la foto del dinosauro meccanico morto risaliva ai tempi di “Jurassic Park”); o come lo scorso Natale a Macerata, quando un ippopotamo del circo Orfei liberato da un gruppo animalista fu investito due minuti dopo da un’auto sulla provinciale. Chi vincerà è difficile dirlo: di certo la guerra bestiale non finirà presto.

Perché leggere Antonio Giangrande?

Ognuno di noi è segnato nella sua esistenza da un evento importante. Chi ha visto il film si chiede: perché la scena finale de “L’attimo fuggente”, ogni volta, provoca commozione? Il professor John Keating (Robin Williams), cacciato dalla scuola, lascia l’aula per l’ultima volta. I suoi ragazzi, riabilitati da lui dalla corruzione culturale del sistema, non ci stanno, gli rendono omaggio. Uno dopo l’altro, salgono in piedi sul banco ed esclamano: «Capitano, mio capitano!». Perché quella scena è così potente ed incisiva? Quella scena ci colpisce perché tutti sentiamo d’aver bisogno di qualcuno che ci insegni a guardare la realtà senza filtri.  Desideriamo, magari senza rendercene conto, una guida che indichi la strada: per di là. Senza spingerci: basta l’impulso e l’incoraggiamento. Il pensiero va a quella poesia che il vate americano Walt Whitman scrisse dopo l'assassinio del presidente Abramo Lincoln, e a lui dedicata. Gli stessi versi possiamo dedicare a tutti coloro che, da diversi nell'omologazione, la loro vita l’hanno dedicata per traghettare i loro simili verso un mondo migliore di quello rispetto al loro vivere contemporaneo. Il Merito: Valore disconosciuto ed osteggiato in vita, onorato ed osannato in morte.

Robin Williams è il professor Keating nel film L'attimo fuggente (1989)

Oh! Capitano, mio Capitano, il tremendo viaggio è compiuto,

La nostra nave ha resistito ogni tempesta: abbiamo conseguito il premio desiderato.

Il porto è prossimo; odo le campane, il popolo tutto esulta.

Mentre gli occhi seguono la salda carena,

la nave austera e ardita.

Ma o cuore, cuore, cuore,

O stillanti gocce rosse

Dove sul ponte giace il mio Capitano.

Caduto freddo e morto.

O Capitano, mio Capitano, levati e ascolta le campane.

Levati, per te la bandiera sventola, squilla per te la tromba;

Per te mazzi e corone e nastri; per te le sponde si affollano;

Te acclamano le folle ondeggianti, volgendo i Walt Whitman (1819-1892) cupidi volti.

Qui Capitano, caro padre,

Questo mio braccio sotto la tua testa;

È un sogno che qui sopra il ponte

Tu giaccia freddo e morto.

Il mio Capitano tace: le sue labbra sono pallide e serrate;

Il mio padre non sente il mio braccio,

Non ha polso, né volontà;

La nave è ancorata sicura e ferma ed il ciclo del viaggio è compiuto.

Dal tremendo viaggio la nave vincitrice arriva col compito esaurito,

Esultino le sponde e suonino le campane!

Ma io con passo dolorante

Passeggio sul ponte, ove giace il mio Capitano caduto freddo e morto.

Antonio Giangrande. Un capitano necessario. Perché in Italia non si conosce la verità. Gli italiani si scannano per la politica, per il calcio, ma non sprecano un minuto per conoscere la verità. Interi reportage che raccontano l’Italia di oggi  “salendo sulla cattedra” come avrebbe detto il professore Keating dell’attimo fuggente e come ha cercato di fare lo scrittore avetranese Antonio Giangrande.

Chi sa: scrive, fa, insegna.

Chi non sa: parla e decide.

Chissà perché la tv ed i giornali gossippari e colpevolisti si tengono lontani da Antonio Giangrande. Da quale pulpito vien la predica, dott. Antonio Giangrande?

Noi siamo quel che facciamo: quello che diciamo agli altri è tacciato di mitomania o pazzia. Quello che di noi gli altri dicono sono parole al vento, perche son denigratorie. Colpire la libertà o l’altrui reputazione inficia gli affetti e fa morir l’anima.

La calunnia è un venticello

un’auretta assai gentile

che insensibile sottile

leggermente dolcemente

incomincia a sussurrar.

Piano piano terra terra

sotto voce sibillando

va scorrendo, va ronzando,

nelle orecchie della gente

s’introduce destramente,

e le teste ed i cervelli

fa stordire e fa gonfiar.

Dalla bocca fuori uscendo

lo schiamazzo va crescendo:

prende forza a poco a poco,

scorre già di loco in loco,

sembra il tuono, la tempesta

che nel sen della foresta,

va fischiando, brontolando,

e ti fa d’orror gelar.

Alla fin trabocca, e scoppia,

si propaga si raddoppia

e produce un’esplosione

come un colpo di cannone,

un tremuoto, un temporale,

un tumulto generale

che fa l’aria rimbombar.

E il meschino calunniato

avvilito, calpestato

sotto il pubblico flagello

per gran sorte va a crepar.

E’ senza dubbio una delle arie più famose (Atto I) dell’opera lirica Il Barbiere di Siviglia del 1816 di Gioacchino Rossini (musica) e di Cesare Sterbini (testo e libretto). E’ l’episodio in cui Don Basilio, losco maestro di musica di Rosina (protagonista femminile dell’opera e innamorata del Conte d’Almaviva), suggerisce a Don Bartolo (tutore innamorato della stessa Rosina) di screditare e di calunniare il Conte, infamandolo agli occhi dell’opinione pubblica. Il brano “La calunnia è un venticello…” è assolutamente attuale ed evidenzia molto bene ciò che avviene (si spera solo a volte) nella quotidianità di tutti noi: politica, lavoro, rapporti sociali, etc.

Alla fine di noi rimane il nostro operato, checché gli altri ne dicano. E quello bisogna giudicare. Nasco da una famiglia umile e povera. Una di quelle famiglie dove la sfortuna è di casa. Non puoi permetterti di studiare, né avere amici che contano. Per questo il povero è destinato a fare il manovale o il contadino. Mi sono ribellato e contro la sorte ho voluto studiare, per salire nel mondo non mio. Per 17 anni ho cercato di abilitarmi nell’avvocatura. Non mi hanno voluto. Il mondo di sotto mi tiene per i piedi; il mondo di sopra mi calca la testa. In un esame truccato come truccati sono tutti i concorsi pubblici in Italia: ti abilitano se non rompi le palle. Tutti uguali nella mediocrità. Dal 1998 ho partecipato all’esame forense annuale. Sempre bocciato. Ho rinunciato a proseguire nel 2014 con la commissione presieduta dall’avv. Francesco De Jaco. L’avvocato di Cosima Serrano condannata con la figlia Sabrina Misseri per il delitto di Sarah Scazzi avvenuto ad Avetrana. Tutte mie compaesane. La Commissione d’esame di avvocato di Lecce 2014. La più serena che io abbia trovato in tutti questi anni. Ho chiesto invano a De Jaco di tutelare me, dagli abusi in quell’esame, come tutti quelli come me che non hanno voce. Se per lui Cosima è innocente contro il sentire comune, indotti a pensarla così dai media e dai magistrati, perché non vale per me la verità che sia vittima di un sistema che mi vuol punire per essermi ribellato? Si nega l’evidenza. 1, 2, 3 anni, passi. 17 anni son troppi anche per il più deficiente dei candidati. Ma gli effetti sono sotto gli occhi di tutti. Compiti non corretti, ma ritenuti tali in tempi insufficienti e senza motivazione e con quote prestabilite di abilitati.  Così per me, così per tutti. Gli avvocati abilitati negano l’evidenza.  Logico: chi passa, non controlla. Ma 17 anni son troppi per credere alla casualità di essere uno sfigato, specialmente perché i nemici son noti, specie se sono nelle commissioni d’esame. In carcere o disoccupato. Tu puoi gridare a squarciagola le ingiustizie, ma nessuno ti ascolta, in un mondo di sordi. Nessuno ti crede. Fino a che non capiti a loro. E in questa Italia capita, eccome se capita! La tua verità contro la verità del potere. Un esempio da raccontare. Ai figli non bisogna chiedere cosa vogliono fare da grandi. Bisogna dir loro la verità. Chiedergli cosa vorrebbero che gli permettessero di fare da grandi. Sono nato in quelle famiglie che, se ti capita di incappare nelle maglie della giustizia, la galera te la fai, anche da innocente. A me non è successo di andare in galera, pur con reiterati tentativi vani da parte della magistratura di Taranto, ma sin dal caso Tortora ho capito che in questa Italia in fatto di giustizia qualcosa non va. Pensavo di essere di sinistra, perché la sinistra è garantismo, ma non mi ritrovo in un’area dove si tollerano gli abusi dei magistrati per garantirsi potere ed impunità. E di tutto questo bisogna tacere. A Taranto, tra i tanti processi farsa per tacitarmi sulle malefatte dei magistrati, uno si è chiuso, con sentenza del Tribunale n. 147/2014, con l’assoluzione perché il fatto non sussiste e per non doversi procedere. Bene: per lo stesso fatto si è riaperto un nuovo procedimento ed è stato emesso un decreto penale di condanna con decreto del Gip. n. 1090/2014: ossia una condanna senza processo. Tentativo stoppato dall’opposizione.

Zittirmi sia mai. Pur isolato e perseguitato. Gli italiani son questi. Ognuno dia la sua definizione. Certo è che gli italiani non mi leggono, mi leggono i forestieri. Mi leggeranno i posteri. Tutto regolare: lo ha detto la tv, lo dicono i giudici. Per me, invece, è tutto un trucco. In un mondo di ladri nessuno vien da Marte. Tutti uguali: giudicanti e giudicati. E’ da decenni che studio il sistema Italia, a carattere locale come a livello nazionale. Da queste indagini ne sono scaturiti decine di saggi, raccolti in una collana editoriale "L'Italia del Trucco, l'Italia che siamo", letti in tutto il mondo, ma che mi sono valsi l’ostruzionismo dei media nazionali. Pennivendoli venduti ai magistrati, all’economia ed alla politica, ma che non impediscono il fatto che di me si parli su 200.000 siti web, come accertato dai motori di ricerca. Book ed E-Book che si possono trovare su Amazon.it, Lulu.com. CreateSpace.com e Google Libri, oltre che in forma di lettura gratuita e free vision video su www.controtuttelemafie.it, mentre la promozione del territorio è su www.telewebitalia.eu.

Ha la preparazione professionale per poter dire la sua in questioni di giustizia?

Non sono un giornalista, ma a quanto pare sono l’unico a raccontare tutti i fatti. Non sono un avvocato ma mi diletto ad evidenziare le manchevolezze di un sistema giudiziario a se stante. La mia emigrazione in piena adolescenza in Germania a 16 anni per lavorare; la mia laurea quadriennale in Giurisprudenza presa in soli due anni all’Università Statale di Milano, lavorando di notte e con moglie e due figli da mantenere, dopo aver conseguito il diploma da ragioniere in un solo anno da privatista presso un Istituto tecnico Statale e non privato, per non sminuirne l’importanza, portando tutti i 5 anni di corso; tutto ciò mi ha reso immune da ogni condizionamento culturale od ambientale. I miei 6 anni di esercizio del patrocinio legale mi hanno fatto conoscere le macagne di un sistema che non è riuscito a corrompermi. Per questo dal 1998 al 2014 non mi hanno abilitato alla professione di avvocato in un esame di Stato, che come tutti i concorsi pubblici ho provato, con le mie ricerche ed i miei libri, essere tutti truccati. Non mi abilitano. Perché non sono uguale agli altri, non perché son meno capace. Non mi abilitano perché vedo, sento e parlo. Ecco perché posso parlare di cose giuridiche in modo di assoluta libertà, senza condizionamento corporativistico, anche a certezza di ritorsione. E’ tutta questione di coscienza.

E’ TUTTA QUESTIONE DI COSCIENZA.

A’ Cuscienza di Antonio de Curtis-Totò

La coscienza

Volevo sapere che cos'è questa coscienza 

che spesso ho sentito nominare.

Voglio esserne a conoscenza, 

spiegatemi, che cosa significa. 

Ho chiesto ad un professore dell'università

il quale mi ha detto: Figlio mio, questa parola si usava, si, 

ma tanto tempo fa. 

Ora la coscienza si è disintegrata, 

pochi sono rimasti quelli, che a questa parola erano attaccati,

vivendo con onore e dignità.

Adesso c'è l'assegno a vuoto, il peculato, la cambiale, queste cose qua.

Ladri, ce ne sono molti di tutti i tipi, il piccolo, il grande, 

il gigante, quelli che sanno rubare. 

Chi li denuncia a questi ?!? Chi si immischia in questa faccenda ?!?

Sono pezzi grossi, chi te lo fa fare. 

L'olio lo fanno con il sapone di piazza, il burro fa rimettere, 

la pasta, il pane, la carne, cose da pazzi, Si è aumentata la mortalità.

Le medicine poi, hanno ubriacato anche quelle, 

se solo compri uno sciroppo, sei fortunato se continui a vivere. 

E che vi posso dire di certe famiglie, che la pelle fanno accapponare,

mariti, mamme, sorelle, figlie fatemi stare zitto, non fatemi parlare.

Perciò questo maestro di scuola mi ha detto, questa conoscenza (della coscienza)

perchè la vuoi fare, nessuno la usa più questa parola,

adesso arrivi tu e la vuoi ripristinare. 

Insomma tu vuoi andare contro corrente, ma questa pensata chi te l'ha fatta fare, 

la gente di adesso solo così è contenta, senza coscienza,

vuole stentare a vivere. (Vol tirà a campà)

IL SUD TARTASSATO.  

Sud tartassato: il Meridione paga più di tutti, scrive Lanfranco Caminiti su “Il Garantista”. Dice la Svimez che se muori e vuoi un funerale come i cristiani, è meglio che schiatti a Milano, che a Napoli ti trattano maluccio. E non ti dico a Bari o a Palermo, una schifezza. A Milano si spende 1.444,23 euro per defunto, a Napoli 988 euro, a Bari 892 euro e 19 centesimi, a Palermo 334 euro. A Palermo, cinque volte meno che a Milano. Il principe Antonio De Curtis, in arte Totò, si rivolterà nella tomba, che a quanto pare non c’è nessuna livella, dopo morti. E checcazzo, e neppure lì terroni e polentoni siamo uguali. E basterebbe solo questo – il culto dei morti dovrebbe antropologicamente “appartenere” alle società meridionali, era il Sud la terra delle prefiche, era il Sud la terra delle donne in nero, era il Sud la terra dei medaglioni con la fotina dell’estinto che pendono sul petto delle vedove – per dire come questa Italia sia cambiata e rovesciata sottosopra. Si paga al Sud di più per tutto, per l’acqua, la monnezza, l’asilo, gli anziani, la luce nelle strade, i trasporti, insomma per i Lep, come dicono quelli che studiano queste cose: livelli essenziali delle prestazioni. Essenziali lo sono, al Sud, ma quanto a prestazioni, zero carbonella. Eppure, Pantalone paga. Paga soprattutto la classe media meridionale che si era convinta che la civilizzazione passasse per gli standard nazionali. Paghiamo il mito della modernizzazione. Paghiamo l’epica della statalizzazione. Paghiamo la retorica della “cosa pubblica”. Paghiamo l’idea che dobbiamo fare bella figura, ora che i parenti ricchi, quelli del Nord, vengono in visita e ci dobbiamo comportare come loro: non facciamoci sempre riconoscere. Paghiamo le tasse, che per questo loro sono avanti e noi restiamo indietro. Lo Stato siamo noi. Parla per te, dico io. Dove vivo io, un piccolo paese del Sud, pago più tasse d’acqua di quante ne pagassi prima in una grande città, e più tasse di spazzatura, e non vi dico com’è ridotto il cimitero che mi viene pena solo a pensarci. Sono stati i commissari prefettizi – che avevano sciolto il Comune – a “perequare” i prelievi fiscali. Poi sono andati via, ma le tasse sono rimaste. Altissime, cose mai viste. In compenso però, la spazzatura si accumula in piccole montagne. A volte le smantellano, poi si ricomincia. Non sai mai quando, magari qualcuno dei laureati che stanno a girarsi i pollici al baretto della piazza potrebbe studiarla, la sinusoide della raccolta rifiuti. Invece, i bollettini arrivano in linea retta. Con la scadenza scritta bella grossa. L’unica cosa che è diminuita in questi anni al Sud è il senso di appartenenza a una qualche comunità più grande del nostro orto privato. La pervasività dello Stato – e quale maggiore pervasività della sua capacità di prelievo fiscale – è cresciuta esponenzialmente quanto l’assoluta privatizzazione di ogni spirito meridionale. Tanto più Stato ha prodotto solo tanta più cosa privata. E non dico solo verso la comunità nazionale, la Patria o come diavolo vogliate chiamarla. No, proprio verso la comunità territoriale. Chi può manda i figli lontano, perché restino lontano. Chi può compra una casa lontano sperando di andarci il prima possibile a passare gli anni della vecchiaia. Chi può fa le vacanze lontano, a Pasqua e a Natale, il più esotiche possibile. Chi non può, emigra. Di nuovo, come sempre. Il Sud è diventato terra di transito per i suoi stessi abitanti. Come migranti clandestini, non vediamo l’ora di andarcene. il Sud dismette se stesso, avendo perso ogni identità storica non si riconosce in quello che ha adesso intorno, che pure ha accettato, voluto, votato.

C’era una volta l’assistenzialismo. Rovesciati come un calzino ci siamo ritrovati contro un federalismo secessionista della Lega Nord che per più di vent’anni ci ha sbomballato le palle rubandoci l’unica cosa in cui eravamo maestri, il vittimismo. Siamo stati vittimisti per più di un secolo, dall’unità d’Italia in poi, e a un certo punto ci siamo fatti rubare la scena da quelli del Nord – e i trasferimenti di risorse, e le pensioni, e l’assistenzialismo e la pressione fiscale e le camorre degli appalti pubblici – e l’unica difesa che abbiamo frapposto è stata lo Stato. Siamo paradossalmente diventati i grandi difensori dell’unità nazionale contro il leghismo. Noi, i meridionali, quelli che il federalismo e il secessionismo l’avevano inventato e provato. Noi, che dello Stato ce ne siamo sempre bellamente strafottuti. Li abbiamo votati. Partiti nazionali, destra e sinistra, sindaci cacicchi e governatori, li abbiamo votati. Ci garantivano le “risorse pubbliche”. Dicevano. Ci promettevano il rinascimento, il risorgimento, la resistenza. Intanto però pagate. Come quelli del Nord. Facciamogli vedere. Anzi, di più. La crisi economica del 2007 ha solo aggravato una situazione già deteriorata. E ormai alla deriva. È stata la classe media meridionale “democratica” l’artefice di questo disastro, con la sua ideologia statalista. Spesso, loro che possono, ora che le tasse sono diventate insopportabili, ora che il Sud è sfregiato, senza più coscienza di sé, ora se ne vanno. O mandano i loro figli lontano. Chi non può, emigra. Di nuovo, come sempre.

Non solo i cittadini italiano sono tartassati, ma sono anche soggetti a dei disservizi estenuanti.

ITALIANI. LA CASTA DEI "COGLIONI". FACCIAMO PARLARE CLAUDIO BISIO.

In molti mi hanno scritto chiedendomi il testo del mio monologo effettuato durante il Festival di Sanremo 2013 il 16 Febbraio scorso. Beh, eccolo. Inoltre alcuni di voi, sull'onda del contenuto di quel monologo hanno creato una pagina facebook "Quelli che domenica voteranno con un salmone". Come vedete, l'ho fatto anch'io... 

Sono un italiano. Che emozione... E che paura essere su questo palcoscenico... Per me è la prima volta. Bello però. Si sta bene… Il problema ora è che cosa dire. Su questo palco è stato fatto e detto davvero di tutto. E il contrario di tutto. Gorbaciov ha parlato di perestroika, di libertà, di democrazia… Cutugno ha rimpianto l’Unione Sovietica. Gorbaciov ha parlato di pace… e Cutugno ha cantato con l’Armata Rossa… Belen ha fatto vedere la sua farfallina (io potrei farvi vedere il mio biscione, ma non mi sembra un’ottima idea… è un tatuaggio che ho sulla caviglia, dopo tanti anni a Mediaset è il minimo…) Ma soprattutto Benigni, vi ricordate quando è entrato con un cavallo bianco imbracciando il tricolore? Ecco, la rovina per me è stato proprio Benigni. Lo dico con una sana invidia. Benigni ha alzato troppo il livello. La Costituzione, l'Inno di Mameli, la Divina Commedia... Mettetevi nei panni di uno come me. Che è cresciuto leggendo Topolino... Però, se ci pensate bene, anche Topolino, a modo suo, è un classico. Con la sua complessità, il suo spessore psicologico, le sue contraddizioni… Prendete Nonna Papera, che animale è? ... chi ha detto una nonna? Non fate gli spiritosi anche voi, è una papera. Ma è una papera che dà da mangiare alle galline. Tiene le mucche nella stalla... Mentre invece Clarabella, che anche lei è una mucca, non sta nella stalla, sta in una casa con il divano e le tendine. E soprattutto sta con Orazio, che è un cavallo. Poi si lamentano che non hanno figli... Avete presente Orazio, che fa il bipede, l’antropomorfo, però ha il giogo, il morso, il paraocchi. Il paraocchi va bene perché Clarabella è un cesso, ma il morso?!? Ah, forse quando di notte arriva Clarabella con i tacchi a spillo, la guêpiere, la frusta: "Fai il Cavallo! Fai il cavallo!" nelle loro notti sadomaso… una delle cinquanta sfumature di biada. E Qui Quo Qua. Che parlano in coro. Si dividono una frase in tre, tipo: "ehi ragazzi attenti che arriva Paperino/ e/ ci porta tutti a Disneyland", oppure: "ehi ragazzi cosa ne direste di andare tutti/ a/ pescare del pesce che ce lo mangiamo fritto che ci piace tanto..." ecco, già da queste frasi, pur banali se volete, si può evincere come a Quo toccassero sempre le preposizioni semplici, le congiunzioni, a volte solo la virgola: "ehi ragazzi attenti che andando in mezzo al bosco/, / rischiamo di trovare le vipere col veleno che ci fanno del male" inoltre Quo ha sempre avuto un problema di ubicazione, di orientamento... non ha mai saputo dove fosse. Tu chiedi a Qui: "dove sei?" "sono qui!" ... Chiedi a Qua "dove sei?", e lui: "sono qua!" tu prova a chiederlo a Quo. Cosa ti dice? "sono Quo?" Cosa vuol dire? Insomma Quo è sempre stato il più sfigato dei tre, il più insulso: non riusciva né a iniziare né a finire una frase, non era né qui, né qua... Mario Monti. Mari o Monti? Città o campagna? Carne o Pesce? Lo so. So che siamo in piena par condicio e non si può parlare di politica. Ma sento alcuni di voi delusi dirsi: ma come, fra sette giorni ci sono le elezioni. E questo qui ci parla di mucche e galline... Altri che invece penseranno: basta politica! Io non voglio nascondermi dietro a un dito, anche perché non ne ho nessuno abbastanza grosso… decidete voi, volendo posso andare avanti per altri venti minuti a parlare di fumetti, oppure posso dirvi cosa penso io della situazione politica… Ve lo dico? Io penso che finché ci sono LORO, non riusciremo mai a cambiare questo paese. Dicono una cosa e ne fanno un'altra. Non mantengono le promesse. Sono incompetenti, bugiardi, inaffidabili. Credono di avere tutti diritti e nessun dovere. Danno sempre la colpa agli altri… A CASA! Tutti a casa!!! (A parte che quando dici tutti a casa devi stare attento, specificare: a casa di chi? No perché non vorrei che venissero tutti a casa mia) Vedo facce spaventate... soprattutto nelle prime file... Lo so, non devo parlare dei politici, ho firmato fior di contratti, ci sono le penali... Ma chi ha detto che parlo dei politici? Cosa ve l'ha fatto pensare? Ah, quando ho detto incompetenti, bugiardi, inaffidabili? Ma siete davvero maliziosi... No, non parlavo dei politici. Anche perché, scusate, i politici sono in tutto poche centinaia di persone... cosa volete che cambi, anche se davvero se ne tornassero tutti a casa (casa loro, ribadisco)? Poco. No, quando dicevo che devono andare tutti a casa, io non stavo parlando degli eletti. Io stavo parlando degli elettori... stavo parlando di NOI. Degli italiani. Perché, a fare bene i conti, la storia ci inchioda: siamo noi i mandanti. Siamo noi che li abbiamo votati. E se li guardate bene, i politici, ma proprio bene bene bene... è davvero impressionante come ci assomigliano: I politici italiani… sono Italiani! Precisi, sputati. Magari, ecco, con qualche accentuazione caricaturale. Come le maschere della commedia dell'arte, che sono un po' esagerate, rispetto al modello originale. Ma che ricalcano perfettamente il popolo che rappresentano. C'è l'imbroglione affarista, tradito dalla sua ingordigia “Aò, e nnamose a magnà!... A robbin, ‘ndo stai?”; C'è il servitore di due padroni: "orbo da n'orecia, sordo de n'ocio"… qualche volta anche di tre. Certi cambiano casacca con la velocità dei razzi… C'è il riccone arrogante...”Guadagno spendo pago pretendo” C'è la pulzella che cerca di maritarsi a tutti i costi con il riccone, convinta di avere avuto un'idea originale e che ci rimane male quando scopre che sono almeno un centinaio le ragazze che hanno avuto la sua stessa identica idea... C'è il professore dell'università che sa tutto lui e lo spiega agli altri col suo latino/inglese perfetto: "tananai mingheina buscaret!" Cos’ha detto? “Choosy firewall spending review” Ah, ecco, ora finalmente ho capito… C'è quello iracondo, manesco, pronto a menar le mani ad ogni dibattito... “culattoni raccomandati” Insomma, c'è tutto il campionario di quello che NOI siamo, a partire dai nostri difetti, tipo l'INCOERENZA. Come quelli che vanno al family day... ma ci vanno con le loro due famiglie... per forza poi che c'è un sacco di gente.... E se solo li guardi un po' esterrefatto, ti dicono: "Perché mi guardi così? Io sono cattolico, ma a modo mio”. A modo tuo? Guarda, forse non te l'hanno spiegato, ma non si può essere cattolico a modo proprio... Se sei cattolico non basta che Gesù ti sia simpatico, capisci? Non è un tuo amico, Gesù. Se sei cattolico devi credere che Gesù sia il figlio di Dio incarnato nella vergine Maria. Se sei cattolico devi andare in chiesa tutte le domeniche, confessare tutti i tuoi peccati, fare la penitenza. Devi fare anche le novene, digiunare al venerdì... ti abbuono giusto il cilicio e le ginocchia sui ceci. Divorziare: VIETATISSIMO! Hai sposato un farabutto, o una stronza? Capita. Pazienza. Peggio per te. Se divorzi sono casini… E il discorso sulla coerenza non vale solo per i cattolici... Sei fascista? Devi invadere l’Abissinia! Condire tutto con l'olio di ricino, girare con il fez in testa, non devi mai passare da via Matteotti, anche solo per pudore! Devi dire che Mussolini, a parte le leggi razziali, ha fatto anche delle cose buone! Sei comunista? Prima di tutto devi mangiare i bambini, altro che slow food. Poi devi andare a Berlino a tirare su di nuovo il Muro, mattone su mattone! Uguale a prima! Devi guardare solo film della Corea… del nord ovviamente. Devi vestirti con la casacca grigia, tutti uguali come Mao! …mica puoi essere comunista e poi andare a comprarti la felpa da Abercrumbie Sei moderato? Devi esserlo fino in fondo! Né grasso né magro, né alto né basso, né buono né cattivo... Né…Da quando ti alzi la mattina a quando vai a letto la sera devi essere una mediocrissima, inutilissima, noiosissima via di mezzo! Questo per quanto riguarda la coerenza. Ma vogliamo parlare dell'ONESTÀ? Ho visto negozianti che si lamentano del governo ladro e non rilasciano mai lo scontrino, Ho visto fabbriche di scontrini fiscali non fare gli scontrini dicendo che hanno finito la carta, Ho visto ciechi che accompagnano al lavoro la moglie in macchina, Ho visto sordi che protestano coi vicini per la musica troppo alta, Ho visto persone che si lamentano dell’immigrazione e affittano in nero ai gialli… e a volte anche in giallo ai neri!, Ho visto quelli che danno la colpa allo stato. Sempre: se cade un meteorite, se perdono al superenalotto, se la moglie li tradisce, se un piccione gli caga in testa, se scivolano in casa dopo aver messo la cera: cosa fa lo stato? Eh? Cosa fa?... Cosa c’entra lo stato. Metti meno cera, idiota! Lo sapete che nell'inchiesta sulla 'ndrangheta in Lombardia è venuto fuori che c'erano elettori, centinaia di elettori, che vendevano il proprio voto per cinquanta euro? Vendere il voto, in democrazia, è come vendere l'anima. E l'anima si vende a prezzo carissimo, avete presente Faust? Va beh che era tedesco, e i tedeschi la mettono giù sempre durissima, ma lui l'anima l'ha venduta in cambio dell'IMMORTALITA'! Capito? Non cinquanta euro. Se il diavolo gli offriva cinquanta euro, Faust gli cagava in testa. La verità è che ci sono troppi impresentabili, tra gli elettori. Mica poche decine, come tra i candidati… è vero, sembrano molti di più, ma perché sono sempre in televisione a sparar cazzate, la televisione per loro è come il bar per noi... "Ragazzi, offro un altro giro di spritz" "E io offro un milione di posti di lavoro" e giù a ridere. "E io rimborso l'imu!” “e io abolisco l'ici!" “Guarda che non c'è più da un pezzo l'ici" "Allora abolisco l'iva... E anche l'Emy, Evy e Ely!" "E chi sono? "Le nipotine di Paperina! "Ma va là, beviti un altro grappino e tasi mona!..." Vedi, saranno anche impresentabili ma per lo meno li conosci, nome e cognome, e puoi anche prenderli in giro. Invece gli elettori sono protetti dall’anonimato… alle urne vanno milioni di elettori impresentabili, e nessuno sa chi sono! Sapete quale potrebbe essere l’unica soluzione possibile? Sostituire l'elettorato italiano. Al completo. Pensate, per esempio, se incaricassimo di votare al nostro posto l'elettorato danese, o quello norvegese. Lo prendiamo a noleggio. Meglio, lo ospitiamo alla pari... Au pair. Carlo, ma chi è quel signore biondo che dorme a casa tua da due giorni? “Oh, è il mio elettore norvegese alla pari, domenica vota e poi riparte subito... C'è anche la moglie”... E per chi votano, scusa? "Mi ha detto che è indeciso tra Aspelünd Gründblomma e Pysslygar". Ma quelli sono i nomi dell'Ikea!, che tra l’altro è svedese… "Ma no, si assomigliano… però ora che mi ci fai pensare, effettivamente ho visto nel suo depliant elettorale che i simboli dei loro partiti sono un armadio, una lampada, un comodino. Mah. E tu poi, in cambio cosa fai, vai a votare per le loro elezioni? In Norvegia? "Ah, questo non lo so. Non so se mi vogliono. Mi hanno detto che prima devo fare un corso. Imparare a non parcheggiare in doppia fila. A non telefonare parlando ad alta voce in treno. A pagare le tasse fino all'ultimo centesimo. Poi, forse, mi fanno votare." Si, va beh, qualche difficoltà logistica la vedo: organizzare tutti quei pullman, trovare da dormire per tutti... Ma pensate che liberazione, la sera dei risultati, scoprire che il nostro nuovo premier è un signore o una signora dall'aria normalissima, che dice cose normalissime, e che va in televisione al massimo un paio di volte all'anno.

(Lancio di batteria e poi, sull’aria de “L’italiano”)

Lasciatemi votare

con un salmone in mano

vi salverò il paese

io sono un norvegese…

IL NORD EVADE PIU’ DEL SUD.

Economia Sommersa: Il Nord onesto e diligente evade più del Sud, scrive Emanuela Mastrocinque su “Vesuviolive”. Sono queste le notizie che non dovrebbero mai sfuggire all’attenzione di un buon cittadino del Sud. Per anni ci hanno raccontato una storia che, a furia di leggerla e studiarla, è finita con il diventare la nostra storia, l’unica che abbiamo conosciuto. Storia di miseria e povertà superata dai meridionali grazie all’illegalità o all’emigrazione, le due uniche alternative rimaste a “quel popolo di straccioni” (come ci definì quella “simpatica” giornalista in un articolo pubblicato su “Il Tempo” qualche anno fa) . Eppure negli ultimi anni il revisionismo del risorgimento ci sta aiutando a comprendere quanto lo stereotipo e il pregiudizio sia stato utile e funzionale ai vincitori di quella sanguinosa guerra da cui è nata l‘Italia. Serviva (e serve tutt‘ora) spaccare l’Italia. Da che mondo e mondo le società hanno avuto bisogno di creare l’antagonista da assurgere a cattivo esempio, così noi siamo diventati fratellastri, figli di un sentimento settentrionale razzista e intollerante. Basta però avere l’occhio un po’ più attento per scoprire che spesso la verità, non è come ce la raccontano. Se vi chiedessimo adesso, ad esempio, in quale zona d’Italia si concentra il tasso più alto di evasione fiscale, voi che rispondereste? Il Sud ovviamente. E invece non è così. Dopo aver letto un post pubblicato sulla pagina Briganti in cui veniva riassunta perfettamente l’entità del “sommerso economico in Italia derivante sia da attività legali che presentano profili di irregolarità, come ad esempio l’evasione fiscale, che dal riciclaggio di denaro sporco proveniente da attività illecite e mafiose” abbiamo scoperto che in Italia la maggior parte degli evasori non è al Sud. Secondo i numeri pubblicati (visibili nell‘immagine sotto), al Nord il grado di evasione si attesta al 14, 5%, al centro al 17,4% mentre al Sud solo al 7,9%. I dati emersi dal Rapporto Finale del Gruppo sulla Riforma Fiscale, sono stati diffusi anche dalla Banca d’Italia. Nel lavoro di Ardizzi, Petraglia, Piacenza e Turati “L’economia sommersa fra evasione e crimine: una rivisitazione del Currency Demand Approach con una applicazione al contesto italiano” si legge “dalle stime a livello territoriale si nota una netta differenza tra il centro-nord e il sud, sia per quanto attiene al sommerso di natura fiscale che quello di natura criminale. Per quanto riguarda infine l’evidenza disaggregata per aree territoriali, è emerso che le province del Centro-Nord, in media, esibiscono un’incidenza maggiore sia del sommerso da evasione sia di quello associato ad attività illegali rispetto alle province del Sud, un risultato che pare contraddire l’opinione diffusa secondo cui il Mezzogiorno sarebbe il principale responsabile della formazione della nostra shadow economy. Viene meno, di conseguenza, la rappresentazione del Sud Italia come territorio dove si concentrerebbe il maggiore tasso di economia sommersa". E ora, come la mettiamo?

Si evade il fisco più al Nord che al Sud. E’ uno dei dati che emerge dal rapporto sulla lotta all’evasione redatto dal Ministero dell’Economia e delle Finanze. Secondo Padoan, la somma totale delle principali imposte evase (Iva, Ires, Irpef e Irap) ammonta a 91 miliardi. Il 52% di questa cifra si attesta dunque nel Settentrione, contro i 24 miliardi del centro (26% del totale) e i 19,8 miliardi del Meridione (22%). Il dato è influenzato dal maggior reddito nazionale del Nord. Soprattutto, scrivono i tecnici del Tesoro, la rabbrividire la percentuale di verifiche sulle imprese che trova irregolarità fiscali: è 98,1% tra le grandi, al 98,5% sulle medie e al 96,9% sulle Pmi. Il record tocca agli enti non commerciali, il 99,2% non è in regola. 100% di `positività´ i controlli sugli atti soggetti a registrazione. Ad ogni modo, l’evasione effettiva ‘pizzicata’ dall’Agenzia delle Entrate nel 2013, ha rilevato il Mef, ammonta a 24,5 miliardi. La maggiore imposta accertata è così salita dell’87% in sette anni, rispetto ai 13,1 miliardi del 2006. Un numero in calo rispetto agli anni 2009-2012 e soprattutto rispetto al picco di 30,4 miliardi del 2011.

Ma quale Sud, è il Nord che ha la palma dell’evasione, scrive Vittorio Daniele su “Il Garantista”. Al Sud si evade di più che al Nord. Questo è quanto comunemente si pensa. Non è così, invece, secondo i dati della Guardia di Finanza, analizzati da Paolo di Caro e Giuseppe Nicotra, dell’Università di Catania, in uno studio di cui si è occupata anche la stampa (Corriere Economia, del 13 ottobre). I risultati degli accertamenti effettuati dalla Guardia di Finanza mostrano come, nelle regioni meridionali, la quota di reddito evaso, rispetto a quello dichiarato, sia inferiore che al Nord. E ciò nonostante il numero di contribuenti meridionali controllati sia stato, in proporzione, maggiore. Alcuni esempi. In Lombardia, su oltre 7 milioni di contribuenti sono state effettuate 14.313 verifiche che hanno consentito di accertare un reddito evaso pari al 10% di quello dichiarato. In Calabria, 4.480 controlli, su circa 1.245.000 contribuenti, hanno consentito di scoprire un reddito evaso pari al 3,5% di quello dichiarato. Si badi bene, in percentuale, le verifiche in Calabria sono state quasi il doppio di quelle della Lombardia. E ancora, in Veneto il reddito evaso è stato del 5,3%, in Campania del 4,4% in Puglia, del 3,7% in Sicilia del 2,9%. Tassi di evasione più alti di quelle delle regioni meridionali si riscontrano anche in Emilia e Toscana. Alcune considerazioni. La prima riguarda il fatto che nelle regioni del Nord, dove più alta è la quota di evasione, e dove maggiore è il numero di contribuenti e imprese, si siano fatti, in proporzione, assai meno accertamenti che nel meridione. Poiché, in Italia, le tasse le paga chi è controllato, mentre chi non lo è, se può, tende a schivarle, sarebbe necessario intensificare i controlli là dove la probabilità di evadere è maggiore. E questa probabilità, secondo i dati della Guardia di Finanza, è maggiore nelle regioni più ricche. La seconda considerazione è che il luogo comune di un’Italia divisa in due, con un Nord virtuoso e un Sud di evasori, non corrisponde al vero. L’Italia è un paese unito dall’evasione fiscale. Il fatto che in alcune regioni del Nord si sia evaso di più che al Sud non ha nulla a che vedere né con l’etica, né con l’antropologia. Dipende, più realisticamente, da ragioni economiche. L’evasione difficilmente può riguardare i salari, più facilmente i profitti e i redditi d’impresa. E dove è più sviluppata l’attività d’impresa? Come scrivevano gli economisti Franca Moro e Federico Pica, in un saggio pubblicato qualche anno fa della Svimez: «Al Sud ci sono tanti evasori per piccoli importi. Al Nord c’è un’evasione più organizzata e per somme gigantesche». Quando si parla del Sud, pregiudizi e stereotipi abbondano. Si pensa, così, che la propensione a evadere, a violare le norme, se non a delinquere, sia, per così dire, un tratto antropologico caratteristico dei meridionali. Ma quando si guardano i dati, e si osserva la realtà senza la lente deformante del pregiudizio, luoghi comuni e stereotipi quasi mai reggono. Di fronte agli stereotipi e alle accuse – e quella di essere evasori non è certo la più infamante – che da decenni, ogni giorno e da più parti, si rovesciano contro i meridionali, non sarebbe certo troppo se si cominciasse a pretendere una rappresentazione veritiera della realtà. Insieme a pretendere, naturalmente, e in maniera assai più forte di quanto non si sia fatto finora, che chi, al Sud, ha responsabilità e compiti di governo, faccia davvero, e fino in fondo, il proprio dovere.

Quante bugie ci hanno raccontato sul Mezzogiorno! Scrive Pino Aprile su “Il Garantista”. L’Italia è il paese più ingiusto e disuguale dell’Occidente, insieme a Stati Uniti e Gran Bretagna: ha una delle maggiori e più durature differenze del pianeta (per strade, treni, scuole, investimenti, reddito…) fra due aree dello stesso paese: il Nord e il Sud; tutela chi ha già un lavoro o una pensione, non i disoccupati e i giovani; offre un reddito a chi ha già un lavoro e lo perde, non anche a chi non riesce a trovarlo; è fra i primi al mondo, per la maggiore distanza fra lo stipendio più alto e il più basso (alla Fiat si arriva a più di 400 volte); ha i manager di stato più pagati della Terra, i vecchi più garantiti e i giovani più precari; e se giovani e donne, pagate ancora meno. È in corso un colossale rastrellamento di risorse da parte di chi ha più, ai danni di chi ha meno: «una redistribuzione dal basso verso l’alto». È uscito in questi giorni nelle librerie il nuovo libro di Pino Aprile («Terroni ’ndernescional», edizioni PIEMME, pagine 251, euro 16,50). Pubblichiamo un brano, per gentile concessione dell’autore. Quante volte avete letto che la prova dell’ estremo ritardo dell’Italia meridionale rispetto al Nord era l’alta percentuale di analfabeti? L’idea che questo possa dare ad altri un diritto di conquista e annessione può suonare irritante. Ma una qualche giustificazione, nella storia, si può trovare, perché i popoli con l’alfabeto hanno sottomesso quelli senza; e í popoli che oltre all’alfabeto avevano anche ”il libro” (la Bibbia, il Vangelo, il Corano, Il Capitale, il Ko Gi Ki…) hanno quasi sempre dominato quelli con alfabeto ma senza libro. Se questo va preso alla… lettera, la regione italiana che chiunque avrebbe potuto legittimamente invadere era la Sardegna, dove l’analfabetismo era il più alto nell’Italia di allora: 89,7 per cento (91,2 secondo altre fonti); quasi inalterato dal giorno della Grande Fusione con gli stati sabaudi: 93,7. Ma la Sardegna era governata da Torino, non da Napoli. Le cose migliorarono un po’, 40 anni dopo l’Unità, a prezzi pesanti, perché si voleva alfabetizzare, ma a spese dei Comuni. Come dire: noi vi diamo l’istruzione obbligatoria, però ve la pagate da soli (più o meno come adesso…). Ci furono Comuni che dovettero rinunciare a tutto, strade, assistenza, per investire solo nella nascita della scuola elementare: sino all’87 per cento del bilancio, come a Ossi (un secolo dopo l’Unità, il Diario di una maestrina, citato in Sardegna , dell’Einaudi, riferisce di «un evento inimmaginabile »: la prima doccia delle scolare, grazie al dono di dieci saponette da parte della Croce Rossa svizzera). Mentre dal Mezzogiorno non emigrava nessuno, prima dell’Unità; ed era tanto primitivo il Sud, che partoriva ed esportava in tutto il mondo facoltà universitarie tuttora studiatissime: dalla moderna storiografia all’economia politica, e vulcanologia, sismologia, archeologia… Produzione sorprendente per una popolazione quasi totalmente analfabeta, no? Che strano. Solo alcune osservazioni su quel discutibile censimento del 1861 che avrebbe certificato al Sud indici così alti di analfabetismo: «Nessuno ha mai analizzato la parzialità (i dati sono quelli relativi solo ad alcune regioni) e la reale attendibilità di quel censimento realizzato in pieno caos amministrativo, nel passaggio da un regno all’altro e in piena guerra civile appena scoppiata in tutto il Sud: poco credibile, nel complesso, l’idea che qualche impiegato potesse andare in  giro per tutto il Sud bussando alle porte per chiedere se gli abitanti sapevano leggere e scrivere» rileva il professor Gennaro De Crescenzo in Il Sud: dalla Borbonia Felix al carcere di Penestrelle. Come facevano a spuntare oltre 10.000 studenti universitari contro i poco più di 5.000 del resto d’Italia, da un tale oceano di ignoranza? Né si può dire che fossero tutti benestanti, dal momento che nel Regno delle Due Sicílie i meritevoli non abbienti potevano studiare grazie a sussidi che furono immediatamente aboliti dai piemontesi, al loro arrivo. Sull’argomento potrebbero gettare più veritiera luce nuove ricerche: «Documenti al centro di studi ancora in corso presso gli archivi locali del Sud dimostrano che nelle Due Sicilie c’erano almeno una scuola pubblica maschile e una scuola pubblica femminile per ogni Comune oltre a una quantità enorme di scuole private» si legge ancora nel libro di De Crescenzo, che ha studiato storia risorgimentale con Alfonso Scirocco ed è specializzato in archivistica. «Oltre 5.000, infatti, le ”scuole” su un totale di 1.845 Comuni e con picchi spesso elevati e significativi: 51 i Comuni in Terra di Bari, 351 le scuole nel complesso; 174 i Comuni di Terra di lavoro, 664 le scuole; 113 i Comuni di Principato Ultra, 325 le scuole; 102 i Comuni di Calabria Citra, 250 le scuole…». Si vuol discutere della qualità di queste scuole? Certo, di queste e di quella di tutte le altre; ma «come si conciliano questi dati con quei dati così alti dell’analfabetismo? ». E mentiva il conte e ufficiale piemontese Alessandro Bianco di Saint-Jorioz, che scese a Sud pieno di pregiudizi, e non li nascondeva, e poi scrisse quel che vi aveva trovato davvero e lo scempio che ne fu fatto (guadagnandosi l’ostracismo sabaudo): per esempio, che «la pubblica istruzione era sino al 1859 gratuita; cattedre letterarie e scientifiche in tutte le città principali di ogni provincia»? Di sicuro, appena giunti a Napoli, i Savoia chiusero decine di istituti superiori, riferisce Carlo Alianello in La conquista del Sud. E le leggi del nuovo stato unitario, dal 1876, per combattere l’analfabetismo e finanziare scuole, furono concepite in modo da favorire il Nord ed escludere o quasi il Sud. I soliti trucchetti: per esempio, si privilegiavano i Comuni con meno di mille abitanti. Un aiuto ai più poveri, no? No. A quest’imbroglio si è ricorsi anche ai nostri tempi, per le norme sul federalismo fiscale regionale. Basti un dato: i Comuni con meno di 500 abitanti sono 600 in Piemonte e 6 in Puglia. Capito mi hai? «Mi ero sempre chiesto come mai il mio trisavolo fosse laureato,» racconta Raffaele Vescera, fertile scrittore di Foggia «il mio bisnonno diplomato e mio nonno, nato dopo l’Unità, analfabeta». Nessun Sud, invece, nel 1860, era più Sud dell’isola governata da Torino; e rimase tale molto a lungo. Nel Regno delle Due Sicilie la ”liberazione” (così la racconta, da un secolo e mezzo, una storia ufficiale sempre più in difficoltà) portò all’impoverimento dello stato preunitario che, secondo studi recenti dell’Università di Bruxelles (in linea con quelli di Banca d’Italia, Consiglio nazionale delle ricerche e Banca mondiale), era ”la Germania” del tempo, dal punto di vista economico. La conquista del Sud salvò il Piemonte dalla bancarotta: lo scrisse il braccio destro di Cavour. Ma la cosa è stata ed è presentata (con crescente imbarazzo, ormai) come una modernizzazione necessaria, fraterna, pur se a mano armata. Insomma, ho dovuto farti un po’ di male, ma per il tuo bene, non sei contento? Per questo serve un continuo confronto fra i dati ”belli” del Nord e quelli ”brutti” del Sud. Senza farsi scrupolo di ricorrere a dei mezzucci per abbellire gli uni e imbruttire gli altri. E la Sardegna, a questo punto, diventa un problema: rovina la media. Così, quando si fa il paragone fra le percentuali di analfabeti del Regno di Sardegna e quelle del Regno delle Due Sicilie, si prende solo il dato del Piemonte e lo si oppone a quello del Sud: 54,2 a 87,1. In tabella, poi, leggi, ma a parte: Sardegna, 89,7 per cento. E perché quell’89,7 non viene sommato al 54,2 del Piemonte, il che porterebbe la percentuale del Regno sardo al 59,3? (Dati dell’Istituto di Statistica, Istat, citati in 150 anni di statistiche italiane: Nord e Sud 1861-2011, della SVIMEZ, Associazione per lo sviluppo del Mezzogiorno). E si badi che mentre il dato sulla Sardegna è sicuramente vero (non avendo interesse il Piemonte a peggiorarlo), non altrettanto si può dire di quello dell’ex Regno delle Due Sicilie, non solo per le difficoltà che una guerra in corso poneva, ma perché tutto quel che ci è stato detto di quell’invasione è falsificato: i Mille? Sì, con l’aggiunta di decine di migliaia di soldati piemontesi ufficialmente ”disertori”, rientrati nei propri schieramenti a missione compiuta. I plebisciti per l’annessione? Una pagliacciata che già gli osservatori stranieri del tempo denunciarono come tale. La partecipazione armata dell’entusiasta popolo meridionale? E allora che ci faceva con garibaldini e piemontesi la legione straniera 11 domenica 4 gennaio 2015 ungherese? E chi la pagava? Devo a un valente archivista, Lorenzo Terzi, la cortesia di poter anticipare una sua recentissima scoperta sul censimento del 1861, circa gli analfabeti: i documenti originali sono spariti. Ne ha avuto conferma ufficiale. Che fine hanno fatto? E quindi, di cosa parliamo? Di citazioni parziali, replicate. Se è stato fatto con la stessa onestà dei plebisciti e della storia risorgimentale così come ce l’hanno spacciata, be’…Nei dibattiti sul tema, chi usa tali dati come prova dell’arretratezza del Sud, dinanzi alla contestazione sull’attendibilità di quelle percentuali, cita gli altri, meno discutibili, del censimento del 1871, quando non c’era più la guerra, eccetera. Già e manco gli originali del censimento del ’71 ci sono più. Spariti pure quelli! Incredibile come riesca a essere selettiva la distrazione! E a questo punto è legittimo chiedersi: perché il meglio e il peggio del Regno dí Sardegna vengono separati e non si offre una media unica, come per gli altri stati preunitari? Con i numeri, tutto sembra così obiettivo: sono numeri, non opinioni. Eppure, a guardarli meglio, svelano non solo opinioni, ma pregiudizi e persino razzismo. Di fatto, accadono due cose, nel modo di presentarli: 1) i dati ”belli” del Nord restano del Nord; quelli ”brutti”, se del Nord, diventano del Sud. Il Regno sardo era Piemonte, Liguria, Val d’Aosta e Sardegna. Ma la Sardegna nelle statistiche viene staccata, messa a parte. Giorgio Bocca, «razzista e antimeridionale », parole sue, a riprova dell’arretratezza del Sud, citava il 90 per cento di analfabeti dell’isola, paragonandolo al 54 del Piemonte. Ma nemmeno essere di Cuneo e antimerìdionale autorizza a spostare pezzi di storia e di geografia: la Sardegna era Regno sabaudo, i responsabili del suo disastro culturale stavano a Torino, non a Napoli;

2) l’esclusione mostra, ce ne fosse ancora bisogno, che i Savoia non considerarono mai l’isola alla pari con il resto del loro paese, ma una colonia da cui attingere e a cui non dare; una terra altra («Gli stati» riassume il professor Pasquale Amato, in Il Risorgimento oltre i miti e i revisionismi «erano proprietà delle famiglie regnanti e potevano essere venduti, scambiati, regalati secondo valutazioni autonome di proprietari». Come fecero i Savoia con la Sicilia, la stessa Savoia, Nizza… Il principio fu riconfermato con la Restaurazione dell’Ancièn Regime, nel 1815, in Europa, per volontà del cancelliere austriaco Klemens von Metternich). E appena fu possibile, con l’Unità, la Sardegna venne allontanata quale corpo estraneo, come non avesse mai fatto parte del Regno sabaudo. Lo dico in altro modo: quando un’azienda è da chiudere, ma si vuol cercare di salvare il salvabile (con Alitalia, per dire, l’han fatto due volte), la si divide in due società; in una, la ”Bad Company”, si mettono tutti i debiti, il personale in esubero, le macchine rotte… Nell’altra, tutto il buono, che può ancora fruttare o rendere appetibile l’impresa a nuovi investitori: la si chiama ”New Company”.

L’Italia è stata fatta così: al Sud invaso e saccheggiato hanno sottratto fabbriche, oro, banche, poi gli hanno aggiunto la Sardegna, già ”meridionalizzata”. Nelle statistiche ufficiali, sin dal 1861, i dati della Sardegna li trovate disgiunti da quelli del Piemonte e accorpati a quelli della Sicilia, alla voce ”isole”, o sommati a quelli delle regioni del Sud, alla voce ”Mezzogiorno” (la Bad Company; mentre la New Company la trovate alla voce ”Centro-Nord”). Poi si chiama qualcuno a spiegare che la Bad Company è ”rimasta indietro”, per colpa sua (e di chi se no?). Ripeto: la psicologia spiega che la colpa non può essere distrutta, solo spostata. Quindi, il percorso segue leggi di potenza: dal più forte al più debole; dall’oppressore alla vittima. Chi ha generato il male lo allontana da sé e lo identifica con chi lo ha subito; rimproverandogli di esistere. È quel che si è fatto pure con la Germania Est e si vuol fare con il Mediterraneo.

LA MAFIA DEGLI ANIMALI.

La mano delle mafie sugli animali, scrive Nino Spirlì su “Il Giornale”. Tutti lo sanno, pochi lo dicono. Eppure è evidente: le mafie, tutte le mafie, hanno le mani in pasta anche nell’Affaire Animali & Co. Probabilmente, dei nostri amici non umani agli umani poco importa. Eppure, ormai, non c’è casa in cui non viva un cane fedele, un gatto sonnacchioso, un uccellino con fine pena mai. O il criceto, dannato in una ruota di plastica. O un povero iguana, confezionato nella teca di cristallo. Il pesciolino dalla coda morbida che naviga, folle, nella boccia o la cavia che figlia ad ogni respiro e che non vede mai crescere i propri piccoli. E già ho i primi brividi…Ma, poi…Allevamenti illegali di cani, gatti, cavalli, visoni, asinelli, pennuti; importazioni di contrabbando di animali esotici destinati a sofferenze e morte certa; caccia e bracconaggio di “selvaggina” locale; rifugi lager incontrollati e canili e gattili “fantasma” buoni solo per ottenere sovvenzioni dalle varie amministrazioni. E, tanto per chiarire, il lurido mercato di animali esotici, specie e razze protette, pelli, pellicce, zanne, lo conoscono bene soprattutto i ricchi…Tutto un Suk malandrino e (semi)sotterraneo, regolato da leggi canaglia, concussioni e corruzioni. Una vergogna che colpisce ogni Paese del mondo. Da quelli africani, dove si continuano ad ammazzare elefanti per le zanne, leoni per farne tappeti, ghepardi per la pelliccia, scimpanzé, scimmie dorate e gorilla rwandesi per farne souvenir, fino ai Paesi asiatici, dove, Cina in testa, si torturano anche gli animali che si mangiano, perché agli uomini con gli occhi a mandorla piace la carne con la scarica di adrenalina incorporata. E all’elenco non mancano le Americhe, da dove si importano rettili a quattro zampe e serpenti. Insomma, la mafia, coi calzoni di ogni Paese del mondo, Italia compresa, ha capito che con le bestiole si possono portare a casa miliardi di dollari ed euro. E se li porta eccome! Denaro sporco di sangue innocente che, però, non sa difendersi. Non ha armi per rispondere alle offese e cade. Vittima. Consegna se stesso e le generazioni future. Ieri mi è toccato far finta di sbagliare per liberare un cardellino da una gabbia grande quanto un pugno. Il vecchio che lo deteneva era ancora indeciso se cavargli gli occhi col ferro rovente per farlo cantare meglio. Ora non può più nuocergli. L’uccello è volato via (uno dei pochi che mi sono lasciato sfuggire ). Quel cardellino è solo una delle anime che sperano di riottenere la libertà. Che non si spiegano perché siano costrette ad un carcere che non hanno meritato. Quel cardellino era stato catturato con una trappola da bracconiere. Anche questa è mafia.  Fra me e me. Per riconsegnare dignità a carcerati e morti innocenti.

I CIRCHI CONDANNATI? LO STATO LI FINANZIA.

Lav: "I circhi condannati per violenze sugli animali ma lo Stato li finanzia". Dossier della Lega antivivisezione: i fondi del governo per lo spettacolo finiti a imprese nel mirino dei giudici o sotto processo, scrive Giuseppe Caporale su “La Repubblica”. I circhi condannati per "sevizie", "lesioni" e "crudeltà" contro elefanti, giraffe, tigri e parecchi altri animali chiedono e ottengono, ancora oggi, i soldi pubblici del Fondo unico dello spettacolo. Negli ultimi cinque anni i finanziamenti elargiti alle strutture che organizzano spettacoli circensi con animali ammontano a 30 milioni di euro. E tra questi beneficiari ci sono dieci circhi condannati o ancora sotto processo per maltrattamenti. Lo rivela un dossier-denuncia della Lav, la lega antivivisezione. Il circo Aldo Martini, condannato dal tribunale di Bologna per sevizie nei confronti di una giraffa, ha ricevuto 92 mila euro, racconta il dossier. Mentre il circo Città di Roma, condannato in via definitiva "per aver detenuto elefanti in condizione di quasi immobilità" ha ottenuto quasi 300 mila euro. Il circo Folloni, invece, condannato dal tribunale di Milano per "aver immobilizzato un elefante sotto il tendone a una tavola di legno di mq 6 circa, legandolo con due catene (una alla zampa anteriore sinistra, l'altra alla zampa posteriore sinistra) fissate alla tavola" ha ottenuto 70 mila euro di soldi pubblici. E la lista è ancora lunga. Sotto processo per "maltrattamenti e detenzione incompatibile" sono anche il circo Darix Togni (518 mila euro), il circo Caroli (53 mila euro), il circo Medrano (1.884.483 euro), l'American Circus (1.447.228 euro) e il circo Martin (68 mila euro). "Questo scandalo tutto italiano deve finire" accusa Gianluca Felicetti, presidente della Lav, "perché non solo è contrario alla coscienza civica dell'utilizzo responsabile del denaro pubblico, ma è anche in antitesi al sentire comune degli italiani che vede il 68,3% dei cittadini contrari ai circhi con animali (rapporto Eurispes 2015 ndr)". "La legge prevede che i circhi non possano essere beneficiari di finanziamenti pubblici, esclusivamente se condannati in via definitiva per maltrattamento di animali o se riconosciuti colpevoli di violazioni di disposizioni normative statali e dell'Unione Europea in materia di protezione degli animali" prosegue Felicetti, "ma anche questa norma è puntualmente disattesa". Sono circa cento, invece, le strutture circensi operative in Italia che tengono in cattività circa duemila animali. E nel dossier c'è tanto di elenco degli animali "detenuti": 400 cavalli, 50 zebre, 80 bovini, 10 bisonti, 140 tra cammelli e dromedari, 60 lama, 9 giraffe, 6 rinoceronti, 20 ippopotami, 50 elefanti, 160 tigri, 60 leoni, 350 volatili, 20 mammiferi marini, 60 pinguini, 400 rettili, 250 serpenti, 50 coccodrilli e 200 pesci. "Firmando la nostra petizione, a partire dal 14-15 marzo in centinaia di piazze d'Italia, chiederemo al ministro dei beni e attività culturali Dario Franceschini e al parlamento di ridurre i contributi al circo con animali, fino al completo azzeramento nel 2018, portando così ad attuazione l'impegno preso dal senato nel 2013 in un ordine del giorno votato sia dalla maggioranza che dall'opposizione". E c'è anche un altro paradosso. Se sono tanti i soldi per i circhi con animali, paiono invece inesistenti quelli da destinare alla "riabilitazione" degli animali sequestrati in seguito ad inchieste sui maltrattamenti. "Durante l'iter processuale, infatti, gli animali posti legalmente sotto sequestro preventivo, vengono spesso affidati dalle procure allo stesso circo indagato per maltrattamento, a causa dell'assenza dei centri di recupero che dovrebbero ospitarli e riabilitarli, e dei finanziamenti pubblici per provvedere al loro sostentamento" conclude Felicetti.

Ai circhi 30 milioni di fondi pubblici. La Lav: «Soldi anche a chi maltratta gli animali, è ora di dire stop». Diffuso un dossier sul finanziamento agli spettacoli circensi degli ultimi cinque anni. La Lav chiede di annullarli entro il 2018, scrive Beatrice Montini su “Il Corriere della Sera”. Quasi 30 milioni di euro in 5 anni. Questa la cifra del finanziamenti pubblici ricevuti da circhi e «spettacoli viaggianti» - attraverso il Fondo Unico dello Spettacolo (Fus) - per attività svolte in Italia e all’estero. Di questi, una media di 3 milioni di euro all’anno, sono andati ai circhi con animali. I dati sono stati diffusi dalla Lav (Lega anti vivisezione) in occasione del lancio di una campagna di raccolta firme (che si svolgerà il 14 e 15 marzo e il 21 e 22 marzo in 300 piazze italiane) per chiedere al Governo di interrompere i finanziamenti entro il 2018. Secondo i dati diffusi dall’organizzazione animalista, sono circa 2mila gli animali esotici e non (tigri, leoni, elefanti, cammelli, rinoceronti, ma anche cavalli, pony, asini) tenuti in cattività nei circa 100 circhi presenti nel nostro Paese. Si tratta solo di stime dato che non esiste un’anagrafe nazionale. «Nei circhi tutti gli animali, indistintamente, passano la loro intera vita sui camion che li trasportano - sottolinea la Lav - e, per quelli più fortunati, nelle ridotte gabbie in cui vengono posti quando il circo è attendato da qualche parte». Al di la di questo inevitabile e diffuso malessere, non mancano casi di veri e propri maltrattamenti e abusi verso questi animali. Ma -sottolinea la Lav - i fondi del Fus vengono elargiti anche a queste strutture. «La legge prevede che i circhi non possano essere beneficiari di finanziamenti pubblici, solamente se condannati in via definitiva per maltrattamento di animali o se riconosciuti colpevoli di violazioni di disposizioni normative statali e dell’Unione Europea in materia di protezione degli animali - spiega l’organizzazione - Ciò comporta che anche i circhi inquisiti per maltrattamento, se non ancora condannati, continuino a ricevere finanziamenti pubblici». Secondo la Lav, sono sei i circhi con procedimento in corso per reati legati al maltrattamento di animali che tra il 2010 e il 2014 hanno beneficiato di contributi pubblici: Darix Togni (secondo la stima Lav ha incassato almeno 518.000 euro nei 4 anni), Circo Caroli (almeno 53.000 euro), Circo Medrano (circa 1.884.483 euro), American Circus (circa 1.447.228 euro), Circo Aldo Martini (circa 92.000) e Circo Martin (circa 68.000 euro). Circo Città di Roma e Circo Folloni, sottolinea ancora la Lav, hanno beneficiato di contributi pubblici seppure condannati in via definitiva per reati legati al maltrattamento di animali: dal 2005 al 2009 hanno incassato rispettivamente 297.500 euro e 45.565. Ma non solo. «Mentre il Governo da anni eroga sussidi milionari allo sfruttamento degli animali nei circhi, nonostante il 68,3% degli italiani ha una posizione contraria ai circhi con animali, come emerge dal Rapporto Italia Eurispes 2015 - sottolinea ancora la Lav - poche centinaia di migliaia di euro all’anno sono devoluti ai centri di recupero per animali esotici». Una situazione paradossale e contraddittoria dato che, gli animali sequestrati ai circhi in caso di maltrattamenti, dovrebbero essere ospitati propri in questi centri. «La carenza di centri di recupero adeguati a gestire gli animali dei circhi sequestrati per maltrattamento - aggiunge la Lav - rende estremamente difficile il sequestro e lo spostamento di animali, anche a fronte di situazioni di conclamato maltrattamento e detenzione incompatibile». Per cercare di fare pressing sul governo la Lega antivivisezione lancia una petizione per mettere fine al finanziamento pubblico dei circhi, chiedendo nello stesso tempo il sostegno ai centri di recupero che ospitano gli animali e la creazione di nuovi. È possibile firmare la petizione nelle principali piazze anche il 21-22 marzo.

Circo, animali maltrattati con i fondi pubblici. Il dossier della Lega antivivisezione racconta la vita quotidiana di tigri, leoni, elefanti ed orsi sotto i tendoni italiani tra violenze, catene e sevizie. E, nonostante indagini e condanne, il ministero dei Beni culturali continua a finanziarli con milioni di euro, scrive Michele Sasso su “L’Espresso”. Gabbie, catene, cibo scarso, violenza fisica, viaggi infiniti e temperature proibitive. È il destino di elefanti, tigri, orsi e cammelli, nati liberi e costretti a diventare fenomeni da baraccone sotto i tendoni dei circhi italiani. E per tenere in piedi questo spettacolo è anche pronto un assegno da 27 milioni di euro. Fondi pubblici erogati dal Ministero dei beni culturali attraverso il fondo unico per lo spettacolo negli ultimi cinque anni. Nato come strumento del Governo per aiutare imprese, istituzioni e associazioni che si occupano di cinema, musica e teatro e finito per alimentare circensi senza scrupoli, come denuncia il dossier dell’associazione animalista Lega antivivisezione (Lav). «È l’emblema di un paradosso: un aiuto di Stato deciso quasi cinquant’anni fa per tenere in vita uno spettacolo anacronistico che non attira più il pubblico. La vendita di biglietti è in picchiata eppure il Mibac non ci ripensa» commenta Roberto Bennati, vicepresidente Lav: «Fondi mentre sotto i tendoni si maltrattano sistematicamente gli animali». Solo nell’ultimo anno quasi quattro milioni e mezzo di euro distribuiti a pioggia. Nel 2011 siamo arrivati al record di 6 milioni e 635 mila euro. Mettendo in fila gli ultimi cinque anni si arriva a 27 milioni e 571 mila euro. Per tenere in vita gli spettacoli con “belve feroci” compare una legge su misura: è del lontano 1968 e prevede che i circhi non possano essere beneficiari di finanziamenti se condannati in via definitiva per maltrattamento di animali o se riconosciuti colpevoli di violazioni in materia di protezione degli stessi. Per lo Stato italiano però non c’è nessuna distinzione per chi è stato condannato o è sotto indagine e tutti gli altri: ricevono indisturbati soldi pubblici. Chi ha incassato di più è il Circo Medrano: in cinque anni ha complessivamente beneficiato di 1.884.483 euro nonostante il processo per maltrattamento. Stesso identico caso per American Circus: 1.447.228 e accuse di violenze. In buona compagnia insieme a Darix Togni che ha incassato 518 mila e nella sue locandine lo mette in evidenza:«È una tra i più importanti circhi al mondo, numerosi gli spettacoli soprattutto con animali e belve feroci come tigri e leoni». E poi circo Caroli (53 mila euro) e Martin (68 mila). C’è anche chi è stato condannato definitivamente: Aldo Martini ha ricevuto 92 mila euro mentre il Tribunale di Bologna depositava la sentenza per sevizie ad una giraffa. Il circo Città di Roma ha ottenuto 297 mila euro e una condanna per «aver detenuto elefanti in condizioni di quasi immobilità». Stesso accanimento per il circo Folloni (45.564 euro) che, scrive il Tribunale di Milano, ha «immobilizzato un elefante sotto il tendone a una tavola di legno di 6 metri quadri, legandolo con due catene». C’è un ulteriore beffa: durante l’iter processuale, gli animali posti legalmente sotto sequestro preventivo vengono spesso affidati dalle Procure allo stesso circo indagato per maltrattamento, a causa dell’assenza dei centri di recupero, che dovrebbero ospitarli e riabilitarli. Per questi ricoveri vengono destinati meno di 400 mila euro all’anno dal bilancio del ministero dell’Ambiente. «Non ci sono posti dove mandarli ed ecco che gli animali rispuntano sulle piste del Circo Victor», continua Bennati «o nel caso della tigre “Messalina” si continua ad esibire nello stesso circo di Barcellona condannato per maltrattamento». L’associazione animalista stima che lungo l’intera Penisola si muovano cento carovane con al seguito duemila animali in gabbia. Non esiste un registro-anagrafe nazionale di accesso pubblico di mammiferi, felini  e volatili che vivono in cattività e non ci sono dei dati ufficiali disponibili. Lo stesso numero dei circhi registrati in Italia è un mistero e gli animali possono venire affittati a diverse strutture circensi o ceduti da una struttura all’altra. Un’arca di Noè tenuta perennemente in gabbia: bisonti, cammelli, dromedari abituati agli spazi aperti e costretti a vivere con collari e catene. E ancora ippopotami ed elefanti dei climi africani sotto la neve delle Alpi, come testimoniano le immagini pubblicate. E poi leoni, tigri, struzzi, otarie, coccodrilli e perfino pinguini. Per questi animali vivere in un circo significa essere sottoposti a esercizi innaturali durante gli spettacoli, costretti ad addestramenti basati su violenza fisica e psicologica tra fruste e pungoli elettrici. E fuori dalla pista la situazione non migliora, con gli animali costretti in pochi metri quadrati, in ambienti tutt’altro che accoglienti e spesso esposti agli agenti atmosferici. Dal sole della savana al freddo dell’Europa. Per stoppare una forma di divertimento ferma ad una legge del 1968, il Senato ha approvato nel 2013 a larga maggioranza e con parere positivo dell’ex ministro della Cultura Massimo Bray, un ordine del giorno che ribalta la visione del circo con animali. Ecco quanto scritto:«impegnare il Governo a prevedere ad una riduzione progressiva dei contributi, fino al completo azzeramento nell'esercizio finanziario 2018». Un’intenzione non diventata mai legge, neppure quando la vendoliana Loredana De Petris ha ripresentato le stesse parole in un emendamento di dicembre alla finanziaria del governo Renzi. «È più difficile approvare l’abolizione del finanziamento pubblico ai circhi con animali che quello ai partiti», ride amaramente De Petris: «Non c’è assoluta sensibilità da parte del ministro Dario Franceschini sul tema, esiste un problema culturale di fondo e “un’incrostazione burocratica” che nuoce anche all’interesse dei circensi. Ventisette milioni di euro sono tanti, troppi per un ministero che ha perso centinaia di milioni negli ultimi anni». Invece del caravanserraglio senza controllo il modello da seguire è il “Cirque du Soleil”: spettacoli contemporanei che conquistano popolarità grazie alla bravura degli artisti, all’originalità dei numeri, alla scelta accurata dei costumi e alla bellezza delle colonne sonore con orchestre dal vivo. Per loro nessuna resistenza di sindaci e amministratori locali che invece si oppongono ai circhi e tendoni nelle loro piazze. «Una soluzione ci sarebbe - conclude De Petris - spostare gli aiuti su questi spettacoli e contemporaneamente azzerare, in pochi anni, il finanziamento pubblico per chi utilizza animali. Oggi però questa sensata proposta è rimasta desolatamente inascoltata».

COSA RESTA DEGLI ZOO.

Cosa resta degli zoo: oasi naturali o business sulla pelle di esseri viventi? Oltre 5 mila animali di grossa taglia vivono in cattività. La legge del 2005 impone regole più severe. Ma solo in 48 (su 86) hanno la licenza. Gli animalisti: «Ora basta», scrive Giusi Fasano su “Il Corriere della Sera”. La sostanza non cambia. Animali di specie e taglie diverse che scandiscono il tempo con pasti serviti da umani e che vivono i giorni in un eterno avanti-indietro: i più fortunati in territori grandi abbastanza per un’esistenza dignitosa, gli altri in spazi appena sufficienti a qualche salto o a pochi passi. «Stanno bene, non hanno bisogno di cacciare e non si ammalano» è la risposta standard di chi si sente chiedere «ma non starà un po’ stretto là dentro?». «Stretto? Nooo. Lui sta bene così». Sarà. Benvenuti nel mondo degli zoo che più lo vedi da vicino più assomiglia a una giungla, soprattutto se parliamo di norme, verbali, licenze, regolamenti, linee guida, sopralluoghi, ministeri di riferimento. Benvenuti in un argomento per il quale non sarà mai firmato un trattato di pace. Perché non ci sarà mai nessuna stretta di mano fra gli animalisti che vorrebbero gli zoo tutti chiusi per sempre e i proprietari che sono convinti di essere benefattori per gli animali, la ricerca, la riproduzione e per le famiglie con bambini. Un passo indietro nel tempo La direttiva europea, che stabiliva il da farsi con chi aveva animali da proporre al pubblico, fu firmata nel 1999. Noi ci abbiamo messo sei anni per trasformarla in legge ma finalmente, nel 2005, anche l’Italia ha scritto nero su bianco le regole per cambiare la concezione stessa degli zoo, non più soltanto aree con animali in gabbia da esporre ai visitatori ma luoghi da trasformare fisicamente per assicurare un «elevato livello qualitativo nella custodia e nella cura» degli ospiti, chiamiamoli così. Posti e progetti in grado di garantire benessere ed esigenze biologiche, di riproduzione e di conservazione ad animali che nella stragrande maggioranza non hanno mai vissuto nei loro ambienti naturali perché nati e cresciuti in cattività. «Solo belle parole vuote» attacca il direttore generale dell’Enpa Michele Gualano. «E invece gli zoo vanno chiusi. Ragioniamo in prospettiva per eliminarli impedendo la riproduzione e basta con la scusa che servono alla scienza e all’educazione». Gli fa eco Roberto Bennati, vicesegretario della Lega antivivisezione: «La chiusura è l’unica via possibile. Centinaia di migliaia di animali sono detenuti in strutture inadeguate, come dimostra la nostra inchiesta più recente su i più importanti dieci zoo italiani, tutti con gravissime violazioni. Cosa c’è di educativo nel mostrare un leone o una scimmia in gabbia? E poi non è vero che sono nati tutti in cattività, c’è un traffico di animali prelevati in natura». Michela Brambilla, deputata e presidente della Lega italiana difesa animali e ambiente, dice che «gli zoo sono istituzioni ottocentesche», che «non hanno più senso» e ricorda di aver depositato una proposta di legge sulla loro «abolizione e riconversione». Comunque la pensino gli animalisti , sulla carta l’anno della rivoluzione è il 2005, con la legge n.73. Sono passati dieci anni. Di cose ne sono cambiate, certo, ma siamo ancora indietro. Al ministero dell’Ambiente — competente per la questione zoo con il supporto dei ministeri delle Politiche agricole e della Salute — fanno quel che possono ma il fatto è che si sono ritrovati in tre a gestire una situazione tanto delicata quanto complicata. E il risultato è che ci siamo meritati un richiamo della Commissione europea, per inadempienza. Un ruolo centrale nei controlli dei giardini zoologici e dei loro animali è poi affidato al Corpo forestale dello Stato con il suo Servizio Cites, dove Cites sta per Convenzione di Washington sul commercio internazionale di fauna e flora a rischio di estinzione. Quando arrivò la legge gli zoo esistenti avevano due scelte possibili: chiedere la licenza adeguandosi alle nuove norme oppure chiedere di esserne esclusi (diventando così «mostre faunistiche») perché in possesso di un numero di esemplari o specie ritenuto non significativo. Si fecero avanti in 86. Numero delle licenze concesse finora: 48, 21 sono zoo degni del loro nome, 27 sono le «mostre» degli esclusi. Cinque i parchi chiusi: tre per licenza negata e altri due perché sotto sequestro della magistratura. Per tutto il resto vale il tasto «pausa» Sospensioni, ritardi, burocrazia, irregolarità non sanate, carte bloccate per una firma... Dopo dieci anni quasi la metà di chi chiese di mettersi in regola vive in una specie di limbo, magari perché è ancora in corso il «concerto» fra i ministeri oppure perché chi si occupa dei sopralluoghi ha chiesto adeguamenti non ancora eseguiti, a volte perché manca il parere di questo o quell’ufficio, altre volte perché non ci sono documenti. Un censimento nazionale degli animali e delle specie non esiste o ,almeno, nessuno ha assemblato i dati dei singoli zoo (quelli sì esistenti) per poter dire che oggi abbiamo in Italia un numero «x» di elefanti o un numero «y» di coccodrilli. Si stima che la cifra complessiva sia di circa 5.000-5.500 animali di grossa taglia. Impossibile l’inventario dei singoli pesciolini o delle farfalle, tanto per intenderci. E ci sono altri dati che mai nessuno ha messo assieme: il valore economico del settore e il numero esatto degli addetti ai lavori che vanno dal veterinario ai gestori, da chi lavora negli uffici a chi accompagna i visitatori, dagli etologi a chi si occupa del cibo. Per immaginare i dati che mancano a livello nazionale si può prendere a esempio le cifre dei singoli parchi zoologici. Sull’occupazione basti il dato dello Zoo safari di Fasano (300 mila visitatori l’anno, 140 ettari di safari e parco divertimenti): fra lavoratori fissi e stagionali nei mesi estivi si arriva a impiegare 150 persone. Per farsi invece un’idea del giro d’affari partiamo dal fatto che, salvo rare eccezioni, il costo medio di un biglietto per uno zoo di dimensioni medio-grandi è di 20 euro. Il che significa che 100 mila ingressi l’anno valgono due milioni di euro, senza contare gli annessi parchi divertimenti, gadget, bar, hotel, ristoranti... Il solo Bioparco di Roma conta 650 mila visitatori l’anno, al Natura viva (Verona) si arriva a circa 400 mila, 300 mila al Safari Park di Pombia, stessa cifra allo «Zoom» di Cumiana (Torino) e alle Cornelle, vicino Bergamo. La contropartita sono costi di gestione e mantenimento decisamente alti. Anche qui, un esempio: per tenere in piedi «Zoom», considerato il parco zoologico più moderno e all’avanguardia, servono ogni anno più o meno 4 milioni di euro. La voce di bilancio più alta è il personale, ovviamente, seguita dal cibo e cioè quintali e quintali di carne, pesce, ortaggi, frutta, erba, fieno, foglie. Tanto per capire: una tigre adulta può mangiare anche dieci chili di carne al giorno, servono carriole piene di frutta per sfamare una famiglia di scimpanzé, sono necessari una cinquantina di chili di verdura e fieno per nutrire un elefante adulto e ne servono 40 di erba per soddisfare un rinoceronte. E che sia cibo buono. La vita da reclusi è già dura.

RANDAGISMO ED ABBANDONI. L’UOMO ED IL CANE. CHI E’ L’ANIMALE?

Mezzo milione di cani senza padrone. Solo un quarto trova posto nei canili.

L'80% degli animali abbandonati perdono la vita in seguito ad incidenti stradali. Ma i canili non bastano, e fondi continuano a ridursi.

135.000 Il numero di animali che vengono abbandonati ogni anno in Italia.

80% La percentuale di animali abbandonati che perdono la vita in seguito ad incidenti stradali.

1144 Il numero di canili e rifugi in Italia, nel 2006.

590.549 Il numero di cani randagi.

149.424 Il numero di cani randagi nei canili.

2.604.379 Il numero di gatti randagi.

4.271.578 II fondi stanziati nel 2005 dal Ministero della Salute contro il randagismo.

3.086.085 Nel 2008.

Fonti: Lav, Ministero della Salute

I cani randagi in Italia sono circa 600mila, di cui un terzo nei canili. Un business che il ministero valuta sui 100 milioni di euro l'anno, ma che la Lav stima al doppio. Una rete di "prigioni" fuorilegge e spesso controllate dalle mafie dove 'il migliore amico dell'uomo' è ammassato, malnutrito, maltrattato; e da dove a migliaia partono per il Nord Europa per trasformarsi in cavie o animali da pelliccia. Sono circa 600 mila cani di «strada», di cui solo un terzo ospitati nei canili rifugio, e sarebbero 1.650 i comuni italiani fuorilegge che non hanno un canile comunale o una convenzione con un canile consortile o gestito dall'Asl o con un canile rifugio, dove ricoverare i cani abbandonati e randagi, scrive “Il Corriere della Sera”. I dati sono dell'associazione italiana difesa animali ed ambiente (Aidaa) e sono stati diffusi dopo la drammatica notizia di un bimbo azzannato da un gruppo di cani senza padrone che si aggirava nelle campagne del Beneventano. Che troppi enti locali disattendano le prescrizioni di legge in materia lo conferma anche il sottosegretario con delega alla Salute, Francesca Martini: «Le norme contro il randagismo non sono applicate» ha detto commentando la notizia della morte del bambino, annunciando una indagine dei servizi veterinari del ministero su quanto accaduto. Ma Martini parla con chiarezza di «degrado» e di responsabilità dei sindaci. Sempre secondo un rapporto dell'Aida sono infatti oltre 1.200 i comuni che non dispongono di un servizio di cattura dei cani randagi. Le maggiori irregolarità riguardano la Sicilia, la Campania e l' Abruzzo. Solo nei mesi luglio e agosto sarebbero stati abbandonati qualcosa come 11.500 cani e di questi solo un terzo sono entrati nei canili italiani. Lo scorso agosto è stata emanata una ordinanza che contiene una serie di misure proprio per prevenire abbandoni e randagismo. Tra le disposizioni prevede l'obbligo di applicazione del microchip sottopelle, che deve essere effettuata dai veterinari pubblici competenti per territorio o da veterinari libero professionisti abilitati ad accedere all'anagrafe canina regionale. Contestualmente all'applicazione del microchip i veterinari devono effettuare la registrazione nell'anagrafe canina dei soggetti identificati. Il certificato di iscrizione deve accompagnare il cane in tutti i trasferimenti di proprietà. Insomma: non dovrebbero esseri più casi di trovatelli di cui non si possa risalire all'origine. I Comuni devono identificare e registrare in anagrafe i cani rinvenuti o catturati sul territorio e quelli ospitati nei rifugi e nelle strutture convenzionate e i sindaci sono responsabili dell'osservanza di tali procedure. Ma in molti casi gli stessi agenti della polizia municipale non hanno in dotazione neppure un apparecchio per la rilevazione e la lettura del microchip. Intanto si fa luce anche un'altra possibilità nelle indagini sulla morte del piccolo Mattia: che ad azzannarlo possa essere stato un animale diverso da un cane, un lupo o un cinghiale. Una risposta certa potrà venire solo dopo l'autopsia disposta sul piccolo per martedì. Secondo quanto si è appreso, infatti, su uno dei sei cani sequestrati nei dintorni dell'abitazione della vittima sono state trovate ferite risalenti a meno di un mese fa e riconducibili ad uno scontro avuto con un cinghiale. L'altra pista, avanzata con molta prudenza, è quella del lupo, la cui presenza in zona non si può escludere. Ma non si scarta nemmeno la pista zoomafia, legata all'abbandono nella zona di cani addestrati per i combattimenti: un'ipotesi che troverebbe conferma nel recente ritrovamento di un setter da combattimento qualche giorno fa nel vicino comune di Paduli.

Il business dei cani randagi pagato con i soldi pubblici, scrive Marina Cavallieri su “La Repubblica”. Per ogni animale accalappiato e chiuso in un canile il comune di riferimento spende dai trecento ai mille euro l'anno. Ma nella gran parte dei casi questo flusso di denaro non evita che i cani siano malati, malnutriti, stipati in gabbie sovraffollate. E che alimentino un traffico imponente di finte "adozioni" che li deporta sui tavoli della sperimentazione del Nord Europa, come ha denunciato il portale "il respiro.eu". Vengono reclusi in strutture fatiscenti, maltrattati e dimenticati, a volte trasferiti clandestinamente in altri Paesi per finire nei laboratori della ricerca, oppure trasformati in cibo in scatola o pellicce. È il business del randagismo, l'affare dei canili, un traffico che si svolge con pochi controlli. È una storia dove s'intrecciano sperpero del denaro pubblico, malasanità, criminalità organizzata. Dove gli interessi in gioco sono più alti di quanto non si sappia e la legge viene sistematicamente ignorata. Alla fine il silenzio conviene a tutti. Sindaci, polizia, giudici, medici della Asl. Tutti complici, a volte senza neanche saperlo. È l'Italia dei canili, un paese degli orrori. Quanti sono i cani randagi e quelli nei canili e quanto costa allo Stato mantenerli? In tasca di chi vanno i soldi? E quanti animali dietro finte adozioni finiscono all'estero in una tratta illecita? Il business del randagismo e dei canili viene valutato intorno ai 200 milioni, anche se l'ultimo rapporto "Zoomafia" stima il giro complessivo del traffico di cani 500 milioni di euro. Valutazioni realistiche stimano i cani vaganti 600 mila, di cui 200 mila ricoverati nei canili, per ogni cane rinchiuso il comune di appartenenza spende dai 300 ai 1000 euro l'anno. Una spesa significativa che però non mette gli animali al sicuro. Il canile non sempre è l'ultima tappa. L'ultima denuncia parla di un traffico di cani e gatti all'estero, esportazione illegale mascherata da finte adozioni. Gli animali finiscono nei laboratori della sperimentazione, come cibo in scatola per i loro simili più fortunati, per fornire pellicce. É la denuncia che arriva dal portale "ilrespiro.eu", dove la giornalista Margherita D'Amico ha condotto un'inchiesta che dà corpo a dubbi e sospetti che da tempo si rincorrono. "Un processo che avrà inizio il 19 dicembre a Napoli sul traffico di cani e gatti da Ischia in Germania costringerà a non ignorare questa realtà agghiacciante", dice D'Amico. "Spediti in carichi su furgoni, station wagon, oppure affidati ai cosiddetti "padrini di volo", cani e gatti randagi provenienti dall'Italia, ma anche da Spagna, Grecia o Turchia, confluiscono ogni anno nei paesi del nord Europa, in Germania arrivano dai 250 ai 400 mila cani". Nell'inchiesta è citata la testimonianza di Enrica Boiocchi, vicepresidente del Gruppo Bairo, associazione molto attenta all'argomento: "Finché non vedi con i tuoi occhi non capisci. Partecipai al fermo di un carico al confine con la Svizzera: un trasportino per gatti di quelli piccoli, di stoffa, ne conteneva nove. I cani, come di prassi in queste spaventose spedizioni, erano sedati, imbambolati, nemmeno si tenevano seduti. Ogni giorno mezzi carichi di questi sventurati passano la frontiera svizzera, li vediamo, eppure non li ferma nessuno". Stipati nelle gabbie all'interno dei veicoli, gli animali attraversano l'Italia e oltrepassano i controlli superficiali. Si tratterebbe un giro di denaro enorme. "Sono finita in questa voragine a metà degli anni 90", racconta al sito ambientalista Francarita Catelani, fondatrice di UNA-Uomo Natura Animali Cremona. "Dal napoletano ci segnalarono che la titolare di un'associazione tedesca stava partendo con un carico di cani. Furono prima fermati a Barberino del Mugello, ma la Asl li lasciò passare. Poi, a Como, lo stop. Il capo veterinario della Asl di Como capì. Redasse tre verbali e il giorno dopo il furgone fu scortato fino all'imbocco dell'autostrada per Caserta". Ma la vicenda di Como non è l'unico caso di intervento delle forze dell'ordine. "Un paio d'anni fa ad Ancona sono stati bloccati 102 cani provenienti dalla Grecia. C'è stato un fermo ad Arezzo sei anni fa, e ancora a Padova. E a Verona, nel 1995, si aprì un'indagine per verificare nomi e indirizzi a cui erano stati dati in adozione 100 cani. Risultarono tutti falsi, dal primo all'ultimo". Ci sono poi le denunce dell'Enpa, sezione di Perugia, contro 40 cani di un canile umbro adottati in Germania. C'è infine il caso di Ischia. "Un piccolo gruppo di volontari di Ischia per anni si oppone alle massicce esportazioni organizzate dal canile di Forio. Solo nel 2006, a suon di denunce, gli animalisti riescono a ottenere il fermo di un furgone e l'avvio di un'indagine assai accurata da parte della Procura di Napoli condotta dal pm Maria Cristina Gargiulo, che si serve anche di intercettazioni telefoniche", racconta D'Amico. La fase preliminare dell'inchiesta si conclude con il rinvio a giudizio di cinque imputati per maltrattamento di animali, falsità ideologica e materiale, associazione per delinquere finalizzata all'illecito traffico di esseri senzienti. "Nel frattempo, però, il rifugio di Forio è stato ceduto alla Pro Animale Fur Tiere in Not e. V. con sede in Germania che ha 32 punti di raccolta e smistamento di cani e gatti in tutta Europa. Le spedizioni di animali vengono ufficialmente interdette solo nell'estate 2011, in attesa degli esiti del processo che avrà inizio presso il Tribunale di Napoli fra poco più di un mese". Adozioni all'estero fittizie, sulle quali dovrebbero vigilare le Asl. "É attraverso i loro registri, infatti, che scorrono a centinaia, migliaia, le pratiche. Come non insospettirsi davanti alle stesse persone che richiedono venti, trenta, cinquanta lasciapassare per volta?". I canili, l'orrore dietro l'angolo. Ma qualsiasi mercato illecito è possibile perché i canili italiani vengono gestiti senza controlli. Se il traffico verso l'estero può essere il caso limite, c'è poi l'indifferenza di tutti che rende possibile il degrado quotidiano. "Feriti, affetti da patologie e infezioni, malnutriti, relegati in spazi angusti e sovraffollati, trascurati e soli: questo lo stato in cui versano i "migliori amici dell'uomo" in molte strutture, pubbliche e private". Questo è scritto in un documento del Ministero della Salute che ha diffuso recentemente un video dei canili peggiori d'Italia, girato durante le ispezioni di 39 strutture da parte della task force per la tutela degli animali. Il filmato è visibile sul sito www.salute.gov.it. "I canili sono un sistema che serve a far soldi. La legge diceva che andavano creati dei rifugi e i canili dovevano rimanere solo come presidi sanitari e luoghi di transito. Così non è stato", spiega Rosalba Matassa, a capo della squadra formata da nove veterinari e due amministrativi. "Dove nasce il business? I comuni invece di creare canili municipali stipulano convenzioni con società private, spesso sono aste al ribasso, anche solo 50 centesimi al giorno per ogni cane. Fatto l'accordo, nessuno controlla. Il sindaco ha la tutela dei cani, quindi è il responsabile ma non risponde mai di fatto e noi non abbiamo il potere neanche di infliggergli una multa". La mappa del degrado attraversa tutta l'Italia, al Sud la situazione è peggiore perché il business è in mano alla criminalità ma ogni regione ha i suoi scheletri, nel senso letterale. Solo nel 2011 sono stati fatti 6 sequestri. È stato chiuso il canile di Somma Lombardo dove tra i cani malnutriti c'era anche una gabbia con due tigri e altri animali esotici. A Terni c'è stata un'ispezione dopo varie segnalazioni di maltrattamenti, una storia lunga e mai risolta, la Procura sta indagando. A Foligno segnalazioni per maltrattamenti. A Ceprano, Frosinone, il canile è sotto sequestro amministrativo. Chiuso Poggio Sannita: maltrattamenti. Aragona in Sicilia, una sorta di canile abusivo, senza legge e senza controlli, un caso di cui si parla da anni, solo ora si sta svuotando. Chiuso definitivamente ad aprile dopo anni di battaglie il lager per definizione, quello di Cicereale, in Campania, diventato un caso nazionale. Dentro duemila cani, per ciascuno la famiglia Capasso percepiva due euro al giorno. Ci sono stati anni di battaglie giudiziarie prima della chiusura. L'unico caso in cui il ministero si è costituito parte civile. Nei casi di sequestri la situazione che si presenta è sempre la stessa: cani scheletrici, malati, nessuna sterilizzazione, spesso promiscuità, a volte morti. Tra i reati più frequenti riscontrati, frode, medicinali scaduti, esercizio abusivo della professione medica.

Puglia, 360 canili da incubo."La Regione faccia qualcosa". La situazione sta diventando esplosiva: strutture fastiscenti, incuria nell'assistenza, degrado ovunque. Le associazioni in rivolta minacciano forme di boicottaggio. E dall'estero piovono accuse, scrive Margherita D’Amico su “La Repubblica”. Non c'è bisogno di essere zoofili per capire quanto strettamente le questioni che riguardano gli animali siano legate a economia, salute pubblica, sicurezza. Agli amministratori non si richiede dunque prova di sensibilità propria verso le altre specie - così moderna e sempre più viva presso la società civile internazionale - ma solo di assolvere a ovvi doveri verso la collettività. Gli orrori derivati dal randagismo, le immagini sconvolgenti dai canili che rappresentano il nostro Centro-Sud, in particolare la Puglia, come un terzo mondo barbarico, sarebbero evitabili con provvedimenti semplici. Non vederli attuati lascia spazio a poche ipotesi: inadeguatezza politica, timore di interferire con interessi equivoci, partecipazione delle istituzioni nel mantenere aperta una piaga che sgomenta le coscienze e svuota le casse dello Stato. Si formula tuttavia gentile e accorata la lettera aperta al governatore Vendola, firmata dal coordinamento di associazioni e singoli riunito da Aurora Paoli, Luigia Parco e altri volontari, sostenuta da centinaia di persone, che richiama l'attenzione su una situazione insopportabile. Sarebbero circa 360, fra censiti e abusivi, i canili pugliesi, di cui la maggior parte sembra animare il peggiore degli incubi. Il lugubre e nutrito elenco apre con il rifugio di Noha, ai cui ospiti si recidevano le corde vocali, per proseguire con il San Rafael di Taranto, sovraffollato e indisponibile agli affidi, fino agli stenti inflitti a Cassano delle Murge. Ignavia delle Asl, gare al massimo ribasso che assegnano le strutture a chi sostiene di accalappiare, nutrire, curare, sterilizzare, far adottare i cani con una diaria di pochi centesimi, mancanza di campagne educative e regole volte a sollecitare la sterilizzazione anche fra i privati, consegnano di fatto gli animali a sofferenze inaudite e causano lo sperpero di importanti risorse pubbliche. La progredita legge nazionale 281/91 vieta infatti di sopprimere cani e gatti randagi, come pure di destinarli alla sperimentazione, ma immagina i canili come luoghi di mero transito. Comuni e Asl, direttamente responsabili degli animali vaganti sul territorio, hanno perciò l'obbligo di provvedere a sterilizzazioni sistematiche, oltre a rispondere della permanenza nelle strutture, nonché del buon esito degli affidi. Compiti gravemente disattesi, considerato che, malgrado gli ingenti finanziamenti statali a lungo ricevuti, nel pubblico si sterilizza poco e all'utente si offrono tariffe esose. Alcuni dati amministrativi raccolti da Raffaela Vergine, presidente dell'associazione Zampa libera, parlano di 3.861 sterilizzazioni effettuate nel 2011 presso i canili sanitari regionali, contro 9.428 cani qui ufficialmente “recuperati, identificati e assistiti”. La riflessione sui numeri si somma all'inspiegabile inefficacia dei controlli nelle strutture, compito in primo luogo delle medesime autorità sanitarie. Non sembra quindi infondata l'ipotesi che si chiuda un occhio persino sui ripopolamenti operati da diversi canili, che reimmetterebbero con regolarità sul territorio soggetti pronti a riprodursi. Fonte di guadagni facili per troppi settori e categorie, il randagismo alimenta pure tanti traffici illeciti: lotte clandestine, vivisezione, macellazione, commercio di pelli, trasporto della droga. Giustificata dall'ostentato disgusto degli stranieri, la stessa tendenza a ritenere le adozioni all'estero una soluzione miracolosa conduce a movimentazioni sconsiderate, che avviano migliaia di cani e gatti a varcare in massa le frontiere del nord senza tutela né tracciabilità.

Cacciatori e vacanzieri, ecco l'identikit di chi abbandona "il migliore amico", continua Marina Cavallieri. Il trenta per cento degli abbandoni avvengono nel periodo della caccia, vittime i cani ritenuti non più abili. Il venticinque per cento d'estate, in concomitanza con le ferie. Da vent'anni esiste una legge, la 281, che vieta di sopprimerli e chiede di iscriverli a un'anagrafe canina e di dotarli di microchip, ma è largamente inapplicata. Intorno al business dei canili, a volte, si svolge una vera e propria guerra. "Avevo denunciato lo condizioni di un canile, mi hanno tagliato le ruote dell'automobile", dice una veterinaria che vive in Campania, "sono molte le strutture al Sud dove è difficile entrare e chi ci riesce per fare foto lo fa a proprio rischio". Le denunce sullo stato dei canili arriva dai volontari e dalle associazioni che sui siti, Facebook, YouTube, svelano le condizioni in cui vivono gli animali, è un esercito agguerrito, che combatte ogni battaglia a proprie spese, cure veterinarie, stalli, staffette per salvare gli animali più giovani o più malandati. S'incontrano su siti come www.cercapadrone.it o chiliamacisegua.it, l'agenzia Geapress, ma il muro di silenzio che circonda le loro denunce è più forte. "C'è nella Finanziaria del 2008 un articolo che stabilisce che le convenzioni possono essere stipulate solo con quei canili che consentono un'apertura al pubblico e ai volontari ma non viene rispettata perché le adozioni significherebbero una perdita economica", dicono le volontarie di Associzionecanililazio. Ma perché ci sono tanti cani randagi e rinchiusi e che fine ha fatto la legge sul randagismo e le sterilizzazioni? L'esercito di cani che affolla i canili è infatti il risultato degli abbandoni e delle mancate sterilizzazioni. "Sono circa 135 mila i cani e i gatti che ogni anno vengono abbandonati, il 30 per cento degli abbandoni avviene durante il periodo della caccia, quando i cacciatori si liberano dei cani che non sono più abili, il 25 per cento avviene d'estate nel periodo delle ferie", calcola la Lav. I privati abbandonano i propri cani in mezzo alla strada, legati ai lampioni, o davanti ai canili, i comuni dall'altra parte non realizzano le anagrafi canine e le campagne di sterilizzazione, i cani così vagano fino a quando non se ne occupano le cronache, succede quando aggrediscono qualcuno. Quando uccidono. Dal 2005 al 2008 il ministero ha stanziato circa 16 milioni di euro per combattere il randagismo. Ma molte Regioni non hanno nemmeno chiesto i fondi. "Dal 1991 esiste una legge, la 281, è una legge avanzata, stabilisce che i randagi non vanno soppressi, che deve esistere un'anagrafe canina, ogni animale deve avere un microchip per l'identificazione. Ma pochi comuni rispettano queste regole. Sono molte le norme disattese perché i reati che riguardano gli animali sono considerati da tutti di serie B", dice Rosalba Matassa. Disattese anche le ordinanze regionali. In Puglia, per esempio, esiste la norma per cui non ci possono essere più di 200 animali in ogni canile ma nessuno la rispetta. Il canile di Ostuni ne ha 1600, il Natura center di Cassano, ne ha 1400. Strutture che percepiscono somme ingenti. "Per combattere il degrado il randagismo è stato incluso nei piani di rientro di alcune regioni commissariate (Calabria, Molise, Campania) e quindi devono obbligatoriamente fare interventi, la gestione corretta dell'anagrafe canina adesso rientra nei Lea, livelli essenziali di assistenza". Intanto il tempo passa, è un tempo sempre uguale quello nei canili, che siano quelli inaccessibili dell'Irpinia o quelli senza fondi da anni di Catania, il tempo scorre monotono tra le reti arrugginite, alcuni cani è possibile vederli girare in tondo, ossessivamente su se stessi. É così a Borgo Hermada, Latina, canile sequestrato e sempre lì come in quello di Domicella, Avellino, andava messo a norma, aveva 60 giorni di tempo, sono passati mesi.

PARLIAMO DELLA MAFIA ANIMALISTA

In provincia di Lecce l’ennesimo sequestro di un canile abusivo. La proprietaria alla giornalista della tv locale che l’ha intervistata chiede: «Come mai chiudono un canile gestito da me sola e con i miei soldi, con cani che da sola vado in giro a prendere per le campagne e per le strade del paese? Cani segnati da un fine orrenda e certa. Perché nessuno mi dà una mano per portare avanti questa iniziativa? Le associazioni animaliste che hanno inoltrato l’esposto ed attivato il blitz della forestale sono poi quelle che per tenere gli stessi cani si fanno pagare dai comuni, che sì per loro si sobbarcano gli oneri di gestione dei cani randagi.»

Cani denutriti, malati, abbandonati, chiusi a vita in gabbiette miserabili, spenti. L’immagine è quella del canile-lager. Ogni tanto un servizio al tg racconta che la Forestale è arrivata e ne ha sequestrato uno. Già, ma perché? Perché dietro i cani randagi in Italia c’è uno sporco business. Anzi, sporchissimo. Come spesso succede con le storie italiane, si comincia animati dalle migliori intenzioni e si finisce in un buco nero. Con i cani randagi, ad esempio, nel 1991 si decide che non devono più essere soppressi, ma ospitati in strutture pubbliche, ben tenuti, sterilizzati, in attesa di una famiglia che li prenda in affidamento o che morte naturale sopravvenga. Anni dopo, ci sono circa 500 canili privati che tengono in gabbia 230 mila cani (dati della Sanità), stipulando grasse convenzioni con Asl o Comuni. Stima ufficiale del giro d’affari annuo, 500 milioni di euro. Un fiume di denaro pubblico se ne va dietro ai randagi. E il peggio deve ancora venire.

I CANILI LAGER sono:

·            Pubblici: Vengono finanziati con i soldi dei contribuenti;

·            Inaccessibili: Per la loro natura di strutture private non è possibile per esterni accedere e controllarle; 

·            Mal gestiti: L’interesse è il guadagno, non il cane. Gli animali vengono stipati in gabbie anguste, sono privi di cure veterinarie, malnutriti, malati;

·            Inutili: I cani non vengono dati in adozione. Rappresenterebbe una perdita economica.

Per amaro paradosso, più un cane è malnutrito, più il titolare del canile ci guadagna con la cresta sulle rette. Mangiano poco o niente, dando spese irrisorie a chi li gestisce. Prima un cane muore, meglio è: il titolare guadagna 50/75 euro ogni carcassa smaltita. Prima si libera un posto nel canile, e un altro cane viene accalappiato: il titolare del canile guadagnerà altri 30/45 euro per l’accalappiamento. Ci sono canili dove ogni anno muore la metà dei cani e subito li rimpiazzano. Ecco spiegato il giallo delle cifre stratosferiche. Il business dei canili è questo.  Più è veloce il turn-over, più c’è da diventare ricchi.

Nel novembre 2007 il Nirda (Nucleo investigativo per i reati a danno degli animali) ha sequestrato a Taranto uno di questi canili. Il 45% dei 600 cani «ospiti» era affetto da infezioni; una grande parte aveva tumori; quasi tutti i maschi non erano stati sterilizzati. E poi tantissimi erano zoppi, presumibilmente a causa del pavimento dei box, in terra e pietre affioranti. E ancora: reti sconnesse, punte acuminate, magazzino del cibo infestato da topi, nessun riparo contro le intemperie. In una fossa comune poco distante gli esperti della Forestale hanno trovato un centinaio di carcasse. Di veterinari, ovviamente, nemmeno a parlarne.

Occhi spenti, chiusi per le gravi forme di congiuntivite, pelle squamata, ossa sporgenti a causa dell’avanzato stato di denutrizione questo il ritratto dei cani rinchiusi nei lager nascosti nel nostro paese. Animali costretti a vivere in strutture fatiscenti, rinchiusi in gabbie sovraffollate realizzate con lamiere e reti, celle da cui non escono mai ed in cui vigono condizioni igienico-sanitarie pessime. La permanenza degli escrementi sul pavimento rende l’aria irrespirabile e favorisce il diffondersi di patologie e malattie, l’assenza di zone coperte in cui ripararsi dal freddo e dal caldo indebolisce i cani, la fame e la mancanza di spazio li rende aggressivi e determina casi di violenza e di cannibalismo. In alcune strutture i cani dormono sul cemento, mangiano crocchette che vengono gettate per terra e dividono la gabbia con 10 o più animali. In queste condizioni le leggi del branco sono durissime e solo i più forti riescono a mangiare e sono destinati a sopravvivere. Almeno fino a quando non venga accalappiato ed introdotto nel gruppo un cane più forte. I combattimenti e gli sbranamenti sono all’ordine del giorno e rappresentano una delle cause principali di morte. Grazie alla legge 189/04 questa gente rischia il carcere. Titolari di canili convenzionati indagati per diversi reati, dal maltrattamento alla detenzione di animali in condizioni inidonee, alla gestione di discarica abusiva e smaltimento illegale di rifiuti speciali.

Ma quante storie per un'adozione! Questo esclama l'associazione “La Cincia Onlus”. Ce lo siamo sentito dire, o l'abbiamo letto negli occhi della gente tante volte. A volte ce lo hanno chiesto esplicitamente: "ma perché è tanto difficile adottare un cane in canile?". Verrebbe da dire: "ma proprio nessuna storia, è solo che gli animali non sono cose"... ma la domanda è giustificata e merita una risposta un pò più complessa... anche se lunga. Una prima distinzione la dobbiamo fare tra canili e cani e gatti dati in adozione da rifugi e associazioni. Per legge tutti i comuni dovrebbero gestire in proprio o essere convenzionati con un canile. In realtà ci sono migliaia di comuni inadempienti, e anche dove una convenzione c'è non è detto che le cose funzionino come dovrebbero: cioè i cani dovrebbero transitare per il canile in attesa di sistemazione presso una famiglia. Scopo dei canili è quello di farli adottare e non certo quello di tenerli rinchiusi a vita dentro una gabbia. I comuni finanziano i canili sostanzialmente in due modi: riconoscendo un "forfait" per l'attività di cura, mantenimento, cattura dei randagi oppure attraverso una convenzione a pensione: cioè il comune paga un tanto al giorno per i cani presenti. Se tutti i gestori dei canili fossero persone oneste e che hanno a cuore il bene degli animali in loro custodia una soluzione varrebbe l'altra. Ma dato che così non è. Vediamo i risvolti delle due soluzioni. Quello che riceve un forfait ha tutto l'interesse a tenere meno cani possibile e quindi a rifiutarne il più possibile; quello che ha una convenzione a pensione ha invece tutto l'interesse ad avere il canile sempre pieno, e quindi a non far adottare proprio nessuno. Ci sono poi situazioni assurde in cui il gestore del canile è anche un allevatore. Pensate che questo si darà da fare per piazzare i randagiotti o che invece promuoverà la vendita dei suoi bei cani "di razza"? I comuni dovrebbero controllare come spendono i loro soldi, anzi i soldi dei cittadini, ma ben difficilmente lo fanno. Se hanno una convenzione si sentano già sufficientemente "a posto" e non si preoccupano certo di andare a fare i controlli per verificare l'attività del canile. Fin qui abbiamo parlato di canili gestiti da privati (o da cooperative non animaliste o pessime associazioni), da persone cioè che hanno fatto della gestione dei randagi il loro lavoro, la loro fonte di reddito. Sono i canili in cui spesso i volontari non mettono piede, che si guardano bene dal disporre di un sito, che hanno tutto l'interesse a condurre la propria attività al riparo da "rompiballe" vari. Non sono tutti, necessariamente "canili lager", anzi, ce ne sono di ben gestiti, ma non sono certo il massimo che ci si può aspettare. Ovviamente, e per fortuna, esistono anche tanti canili, rifugi, associazioni che operano bene nel campo dell'accoglimento e delle adozioni. Come funzionano le adozioni in questi casi? Se nei canili di cui abbiamo parlato prima c'erano proprietari/imprenditori e dipendenti qui ci sono volontari e i soldi che ci sono vanno ai cani o ai gatti. Là ci sono persone che non hanno particolare interesse per gli animali, qui ci sono persone che si impegnano concretamente e che hanno un forte coinvolgimento emotivo con gli animali. Non si sta dicendo che nei canili gestiti da associazioni funziona tutto bene e che dove c'è una gestione privatistica no. Di certo è diverso l'obiettivo, la motivazione delle persone che ci lavorano, e diversi sono i criteri di gestione. Se un cane lo hai raccolto per la strada, l'hai seguito come se fosse il "tuo" cane, o il tuo gatto, non è semplice darlo in adozione. La difficoltà nasce innanzitutto dal legame che si è instaurato con l'animale. Hai voglia a dire "non mi devo affezionare", quando lo allatti, lo curi, quando in tanti casi l'hai strappato ad una morte certa! Sei un negoziante che riceve uno scatolone con dei cuccioli da qualche allevamento. Firmi la bolla (quando c'è...) piazzi la merce nella gabbia in vetrina e aspetti i clienti. Prima li vendi meglio è: risparmi tempo, soldi e non hai il problema dell'invenduto. Apro una parentesi. Mi piacerebbe tanto che tutti i "bravi allevatori" e gli "onesti negozianti di animali" spiegassero in modo trasparente e credibile cosa fanno con i cuccioli invenduti visto che la L. 189/2004, che tra l'altro vieta l'uccisione degli animali dovrebbe valere anche per loro, e che i canili non ritirano cani di proprietà. Chiusa parentesi. Quegli animali sì, ti fanno un pò pena... ma devi vendere, che diamine! Devi pensare alla "famiglia", mica puoi farti intenerire da quei mostriciattoli miagolanti! State tranquilli che se chiedete un cucciolo in un negozio che vende animali in trenta secondi ve lo trovate bello impacchettato e con la bustina da 50 gr. di croccantini in omaggio...Se lo chiedete a noi o a una qualunque altra associazione seria no. Prima di dare un animale in adozione si cerca di capire chi è l'adottante, come lo terrà, come si comporterà quando andrà in ferie, se ha altri animali in casa, bambini, se ci sono pericoli, ecc. ecc. ecc. "...eccheballe 'sto terzo grado!" E' vero, è comprensibile che uno si senta a disagio di fronte a tante domande, però è necessario... Tutti quelli che fanno adozioni, che si sbattono per sistemare cani e gatti hanno delle brutte esperienze alle spalle: nessuno escluso purtroppo. Cani e gatti amati e curati e poi finiti chissà come per una leggerezza, per aver saltato un controllo, per "essersi fidati" o per essersi voluti fidare per stanchezza, per i troppi animali da sistemare. Quando ci chiamano per un'adozione e ci dicono che vogliono un gattino per un regalo di compleanno alla fidanzata, o per il nipotino, o per chi altro diavolo... è facile: con gentilezza, ma si dice no e fine della storia. In tanti altri casi è più difficile. Non sempre è facile capire chi ti sta di fronte, e magari un niente può farti pensare di trovarti di fronte ad una persona inaffidabile quando invece è la migliore del mondo...Se vi chiedono di mettere la rete sul balcone, o di tenere in casa il gatto per qualche tempo prima di farlo uscire, o come pensate di organizzarvi per le vacanze, o se vogliono venire a vedere la casa non prendetela come un'indebita intrusione nei fatti vostri: i rifugi non devono "sbolognare" animali. O si cerca di fare delle buone adozioni o tanto valeva lasciarli dove stavano. Non vi pare? Poi certo, so di persone che erano partite con le migliori intenzioni per adottare un animale in canile e sono finite a comprarne uno in negozio... Vuoi per l'eccessiva diffidenza che ha indisposto l'adottante, vuoi per i toni e le parole sbagliati... il risultato è stato quello, e chissà quante storie del genere ci sono. Sbagliare atteggiamento e fare la frittata è facile, e si fa un danno grave. La persona che si vede rifiutare un'adozione si farà l'idea che nei canili le adozioni non le vogliono fare e ci saranno altri, questa volta interessati, che useranno queste storie come materiale per la loro propaganda anti-canili e anti-animalista... Però... però quanto ci si rivolge ad un'associazione o ad un rifugio per adottare un animale si deve anche capire che non si sta entrando in un negozio per scegliere una camicia, pagare, e portarsi a casa il pacchetto. Si sta cercando un animale che ti accompagnerà per molti anni. Certamente uno deve trovare quel cane o quel gatto con cui scatta una sorta di speciale empatia, ma deve essere e anche dimostrarsi consapevole di cosa comporta la gestione di un animale. Non può, come spesso capita, assumere l'atteggiamento del "prendo quello e non mi faccia perdere tempo". Un rifugio non è un negozio dove c'è della merce esposta in vetrina.

Detto ciò ci troviamo di fronte a queste realtà. Prima denunciato per maltrattamento di animali e poi nominato affidatario degli animali che lui stesso maltrattava. Sembra impossibile, ma è accaduto ad Afragola, in provincia di Napoli, dove un allevatore clandestino di cani di piccola taglia, Chihuahua e York Shire principalmente, è stato denunciato per allevamento e detenzione illegale di animali, nonché maltrattamento, ma poi gli sono stati lasciati in custodia i cani per l’assenza di altra disposizione idonea. I primi ad arrivare sul posto, gli uomini della polizia municipale di Afragola e alcuni veterinari della Asl Napoli 2 di Caivano. Circa 22 cani di razza si trovavano in piccolissime gabbie simili a quelle per l’allevamento di galline in batteria, altri erano legati con delle catene estremamente corte che ne impedivano qualsiasi movimento. Una cagna gravida era in pessime condizioni e molti cuccioli ammalati si trovavano in una bacinella senza alcuna coperta che li riparasse dal freddo. L’uomo non ha voluto dire a chi fossero destinati i cuccioli e sebbene abbia ammesso di aver avuto un pitbull da combattimento non ha saputo giustificarne l’assenza. Purtroppo l’aspetto peggiore di questa storia sta nei provvedimenti presi, ossia nessuno. Nulla è cambiato, infatti, in seguito al blitz della polizia. Dal momento che nessuna associazione animalista si è proposta di prendere in custodia i poveri animali, il pm della Procura di Napoli Lucio Giugliano è stato costretto ad affidare gli animali allo stesso denunciato. Non è la prima volta che gli animali vengono affidati ai loro maltrattatori. Tutto questo accade perché lo stato italiano non ha strutture e personale preposto a far fronte a queste situazioni e deve fare affidamento ai rifugi e alle associazioni animaliste che non sempre ne hanno la possibilità. Molti rifugi, tra l’altro, come l’Adla di Ponticelli e la Leda di Acerra, hanno il problema dei fermi imposti dalle rispettive Asl veterinarie a causa di sequestri per abusivismo edilizio. Così non è possibile affidare gli animali sequestrati ai rifugi che non hanno le condizioni economiche per regolarizzare la propria struttura, ma è possibile lasciarli a persone senza scrupoli che continueranno nei loro traffici, protetti da una legge che sebbene indirettamente, finisce col tutelare chi non lo merita.

LA MAFIA DEI CANI.

La lobby del randagismo. Uno studio svela che da una cagna abbandonata in sette anni si possono ricavare ben 67mila cuccioli. La soluzione per sconfiggere il sovraffollamento di cani ci sarebbe. E' semplice, efficace ed è prevista dalla legge: la sterilizzazione degli animali. Ma né i Comuni né le Asl l'hanno applicata. Si preferisce creare migliaia di canili che hanno un costo enorme per la comunità, non risolvono il problema e finiscono per aggravarlo. In nome del denaro che favorisce un po' tutti, dal pubblico al privato, passando per le pseudoassociazioni intitolate genericamente  "amici degli animali". Un dossier denuncia il malaffare e svela chi e come ci guadagna, scrive Margherita D’Amico su “La Repubblica”.

Così funziona "il sistema". Qualcuno sa spiegarci perché il randagismo seguiti a essere una piaga della società contemporanea? Come una malattia invasiva si rigenera da sé, eppure la soluzione è talmente ovvia: contenere decisamente le nascite. Invece, la maggior parte dei paesi sterilizza senza convinzione, e si affronta piuttosto il problema uccidendo i milioni di animali in esubero. Camere a gas dal Giappone agli Usa (anche il principale canile municipale di New York è contestato per le iniezioni letali a 72 ore dall'ingresso, in aggiunta al sospetto che parecchi esemplari spariscano), e ancora soppressioni in quasi tutta l'Europa, dalla Spagna alla Svizzera; stragi sommarie per mondare le strade di Romania e Ucraina. La durezza tuttavia non paga: di animali vaganti che seguitano a moltiplicarsi è ancora pieno il mondo. Una politica diversa la intraprende ventiquattro anni fa l'Italia con una legge quadro civile e rara, la 281/91 , che vieta di sopprimere i randagi e pure di destinarli alla vivisezione. La missione possibile è debellare il randagismo attraverso sterilizzazioni a cura delle Asl, nonché educazione dei proprietari alla medesima pratica. Ma la norma è subito disattesa al punto di favorire incontrollabili movimentazioni di animali, battaglie feroci per ottenere la loro amministrazione diretta, un sistema lucrativo e corrotto dove, oggi più che mai, l'ultimo aspetto considerato è il benessere dei quattrozampe. Anche da noi, dunque, per ogni cane o gatto senzatetto che trovi casa ne nascono altri cento, mille. Uno studio dell'americana Doris Day Animal League stabilisce che un cane femmina vagante e non sterilizzato sia soggetto a una media di due parti l'anno, otto cuccioli ogni volta di cui almeno quattro femmine, se non di più, che in cinque anni portano a 4.372 cani, pronti, in sette, a diventare 67mila. Ma nel frattempo, anziché agire di conseguenza, Comuni e Asl (responsabili e garanti legali dei randagi)  rivaleggiano per sbarazzarsene, pronti a imboccare qualsiasi scorciatoia si prospetti. Non vanno incontro a epurazioni ufficiali di massa, i nostri animali, ma a crudeltà, traffici, movimentazioni e lauti interessi che rischiano di far rimpiangere non sia così. La lotta ad accaparrarsi la gestione di canili e rifugi in convenzione, finanziati con fondi pubblici, è senza quartiere, e c'è chi oggi denuncia vizi nelle gare d'appalto. I soldi sono parecchi, stanziati perlopiù dalle amministrazioni locali: fino a pochi anni fa comunità montane, unioni dei comuni e associazioni protezionistiche ricevevano cifre importanti anche dal ministero della Salute (nel triennio 91-93 stanziava cinque miliardi di lire, trasformati in cinque milioni di euro fra il 2005 e il 2010) nel 2014 ridotte al simbolico importo globale di trecentomila euro. Ridotta ai semplici materiali - bisturi, filo e anestetico - la sterilizzazione di un animale può costare 20-25 euro e garantisce che esso non si riproduca mai più. Perché, allora, non investire decisamente i denari in tale direzione? Impossibile che cani e gatti si estinguano del tutto arrecandoci un dispiacere, e si potrebbe così eliminare la loro condanna a una vita grama e, in parecchi casi, a morte ancor più atroce. I rapporti zoomafie della Lav-Lega antivivisezione sostengono che il randagismo frutti un giro di 500 milioni di euro l'anno. Di sicuro non c'è Comune italiano che non attinga alle proprie casse per la gestione, di solito indiretta, dei propri animali vaganti. "I Comuni rimangono responsabili degli animali, anche quando trasferiti in un'altra regione. Sono pertanto obbligati a provvedere a regolari controlli, sia per verificare le condizioni di mantenimento  e il rispetto delle condizioni previste dal capitolato d'appalto, che per sincerarsi dell'effettiva esistenza in vita degli animali all'interno delle strutture onde evitare di continuare a pagare con soldi pubblici le rette di mantenimento", ha chiarito Beatrice Lorenzin, ministro della Salute, in una recente intervista a Repubblica, mentre Piera Rosati, presidente della Lndc-Lega nazionale per la difesa del cane, considera: "I canili debbono essere costruiti dai Comuni, alle associazioni il ruolo di valore aggiunto a garanzia degli animali. Noi, d'abitudine, gestiamo strutture in convenzione con i comuni, ma tante nostre sezioni hanno rifugi di proprietà, mandate avanti con donazioni e sforzi autonomi". Per chi non si ponga scrupoli, il bene in gioco che frutta a più livelli è appunto il randagio, quello che in teoria nessuno vuole: conteso, sequestrato, scambiato, sballottato da una regione all'altra e oltrefrontiera, a opera di innumerevoli parti in causa. Tutti si dichiarano votati alla sua salvezza, ma è arduo districarsi fra sincerità, ingenuità, competenze, malafede. Un marasma, e le istituzioni alimentano le tentazioni peggiori. Non sono pochi i comuni che, invece di premiare l'adottante con visite veterinarie gratuite o forniture di mangimi, stanziano una tantum (400-500 euro) devolute talvolta nemmeno al cittadino che accoglie l'animale, ma all'associazione mediatrice. Grazie a volontari eccezionali e a chi opera correttamente nel settore, senz'altro nel nostro Paese migliaia di animali che senza colpa seguitano a nascere trovano affettuose soluzioni, ma di tantissimi altri, troppi, si perdono per sempre le tracce. Partono dai rifugi, vengono accalappiati per la strada, rubati nelle abitazioni, scambiati sul web, trasferiti in massa verso adozioni fuori regione o all'estero, simili a buchi neri. D'altronde, come verificare la sorte di tutti? Intanto a gestire i canili - miglior bacino di raccolta di questa merce vivente  -  sono, in conflittuale alternanza, associazioni, sedicenti tali e privati: gli uni accusano gli altri, troppo spesso dimentichi della ragion prima di cui vogliono essere arbitri: la tutela degli animali.

Canili, ecco il dossier-denuncia. "A dispetto di una buona legge, dopo vent'anni di sovvenzioni al randagismo, ci ritroviamo in un sistema equivoco e confuso che non garantisce nessuno, tantomeno animali e gli autentici volontari. Bisogna lavorare in direzione dell'abolizione dei canili così come sono intesi oggi e bisogna incominciare con il punire abusi e disonestà, chiunque ne commetta". Michele Visone, presidente di Assocanili, Associazione nazionale gestori strutture di ricezione di animali domestici, ha consegnato alle autorità giudiziarie un dossier fatto di denunce e documenti riguardo le gare per l'assegnazione di gestioni dei randagi in convenzione con i comuni. Stando al fascicolo, si verificano rilevanti leggerezze nello scambio fra amministrazioni e assegnatari delle convenzioni pubbliche, siano essi privati o stimate associazioni protezionistiche. Corsie preferenziali, promettenti appalti tradirebbero gli animali, subordinando i loro interessi alla corsa al finanziamento. I casi sono parecchi, individuati fra le realtà locali, visto che le regioni recepiscono la legge nazionale sul randagismo 281/91 e i comuni dirimono la questione sul territorio. "In Toscana, per esempio, l'Enpa conta su numerosissime gestioni degli animali ben sovvenzionate dal pubblico", dice Visone. "L'Enpa di Pistoia, presieduta da un vigile sanitario della locale Asl3 e componente della Commissione regionale, ha con dodici comuni un appalto da centinaia di migliaia di euro, elargiti previo affidamento diretto. In tal modo infatti, nel 2010, il Comune di Pistoia assegnò all'Enpa il servizio di mantenimento dei cani randagi e l'accudimento del canile sanitario, per un importo complessivo di circa 600mila euro valido tre anni, salvo rivalutazione Istat. Ma in ordine alla cifra elevata, l'affidamento diretto non è consentito dalla legge 163/2006 (che prevede un tetto di 40mila euro, mentre sopra i 200mila la gara assume rilevanza europea) e dalla Direttiva UE del 2014 che regolamenta la certezza giuridica nel settore e l'assicurazione di un'effettiva concorrenza e condizioni di parità tra gli operatori economici".  

Numero di canili sanitari, 2013

17.171 **

N° totale di cani presenti al 1 gennaio 2013

97.859 *

N° totale di cani entrati nel 2013

23.264 **

N° totale di cani trasferiti dal canile sanitario al canile rifugio
nel corso del 2013

29.163 **

N° totale di cani usciti dal canile sanitario e restituiti al proprietario
nel corso del 2013

21.525 **

N° totale di cani usciti dal canile sanitario e adottatati da privati
nel corso del 2013

378 **

N° totale di cani nati nel canile sanitario nel corso del 2013

5.878 **

N° totale di cani deceduti nel canile sanitario nel corso del 2013

15.757 **

N° totale di cani presenti al 31 dicembre 2013

* I dati sono stati forniti da 21 Regioni e Provincie Autonome
** I dati sono stati forniti da 17 Regioni e Provincie Autonome

Come spiegano dal Comune di Pistoia, l'appalto coinvolge due canili adiacenti: "Il canile sanitario, gestito per tutti i comuni coinvolti da Enpa, e il canile rifugio di proprietà della stessa associazione". In questi vasi comunicanti confluiscono i cani accalappiati in ulteriori comuni fra cui Scandicci, che delibera nel 2012 lo stanziamento di 10.450 euro soltanto per "visita veterinaria d'ingresso, eventuale tolettatura e trasporto" di 14 cani in arrivo dall'Allevamento del Pratesi, distante pochi chilometri. Mentre il Comune di Fucecchio, che peraltro non ha canile municipale, a inizio 2014 suggella una convenzione sempre con Enpa, in cui  si stabilisce (come nel caso di Scandicci) una retta di 5 euro al giorno per il mantenimento di ciascun cane, in aggiunta a 220 cadauno all'entrata, salvo conguaglio, per prestazioni veterinarie, nonché una somma forfettaria qualora vi sia penuria di animali: "300 euro mensili per tutti i giorni in cui il numero di cani è pari a 0", 200 in presenza di un solo cane, 120 quando gli esemplari sono due. "E' per risparmiare" chiariscono dal Comune di Fucecchio: "Negli anni precedenti la convenzione era con altri, e spendevamo molto di più". 

Numero di canili rifugio, 2013

91.799 **

N° totale di cani presenti al 1 gennaio 2013

40.099 **

N° totale di cani entrati nel 2013

25.507 **

N° totale di cani dati in adozione a privati nel corso del 2013

279 **

N° totale di cani nati nel canile rifugio nel corso del 2013

13.868 **

N° totale di cani deceduti nel canile rifugio nel corso del 2013

91.437 **

N° totale di cani presenti al 31 dicembre 2013

** I dati sono stati forniti da 17 Regioni e Provincie Autonome

"La no profit Amici a Quattro Zampe di Pontedera ha invece stretto una quantità di convenzioni fra le giunte della provincia di Pisa. E' recente l'aggiudicazione dell'appalto dei cani dei dieci comuni dell'Unione Valdera per circa 170mila euro" segnala ancora Visone "ma la struttura di proprietà della suddetta associazione  è autorizzata per circa 40 posti, quando il numero dei cani previsti si aggira sugli 80". Secondo il dossier, anche il Comune di Montecatini, aggiudicata la gara di accalappiamento all'associazione Amici degli Animali, avrebbe omesso di verificare che fra gli scopi dell'assegnataria mancava l'attività oggetto di gara". "La legge regionale della Toscana indica senza dubbio che la gestione dei canili pubblici va assegnata preferibilmente ad associazioni d'impronta protezionistica, ma spesso, in mancanza di strutture municipali (soprattutto al Sud) la gara assume un connotato diverso e  si svolge solo per il servizio di mantenimento dei randagi che non rientra in tale privilegio" prosegue Visone. "E ora la Corte Costituzionale, a seguito del ricorso  -  perso  -  di un gestore privato al Tar della Puglia, si è storicamente pronunciata esprimendo dubbi sulla legittimità della normativa rispetto a tale vantaggio".  Passiamo alla Puglia, allora; una regione fra le peggiori, quanto a colpevole mala gestione del randagismo, teatro di alcuni paradossi. "Nove anni fa l'associazione La Nuova Lara ottiene in appalto la gestione del canile sanitario di Lecce. Ma nel 2013 denuncia in Procura il sovraffollamento della struttura medesima (benché municipale)  assicurandosi, attraverso una procedura negoziata, l'affidamento del servizio di trasferimento di ricovero, custodia e mantenimento dei cani randagi per il Comune di Lecce, che prevede il trasloco di 160 esemplari nel proprio rifugio privato, appena aperto". Al punto 5 il bando recita: "Valore dell'appalto, per tre anni, pari a 963.600 euro per 400 cani". Ribatte Florana Catanzaro, vice presidente de La Nuova Lara:  "Più volte e da molti anni la nostra associazione e gli stessi servizi veterinari avevano segnalato all'amministrazione comunale lo stato di assoluto degrado del canile sanitario e le gravi carenze strutturali, non ricevendo mai alcuna risposta". C'è poi chi, col supporto istituzionale, rinasce dalle proprie ceneri. Vedi il gestore del canile lager di Marigliano (Napoli) sequestrato nel 2010. Oltre a circa trecento animali maltrattati e sofferenti, furono ritrovati corpi seppelliti che presentavano tagli sul collo, per probabile asportazione del microchip. Ma la Asl non revocò mai l'autorizzazione sanitaria alla struttura, consentendo così al titolare di partecipare, qualche anno dopo, alla gara di appalto per i randagi del Comune di Pompei, affidatagli in base a un considerevole ribasso.  "Seppur reclamato da innumerevoli petizioni e proteste, il trasferimento degli sfortunati ospiti di Marigliano non ha ancora avuto luogo" riferisce Visone "e ci risulta che l'avvocato del gestore del canile, presidente dell'associazione Cani Felici Onlus, sia la moglie del veterinario della Asl di Marigliano,  competente per il canile in questione. Il gestore ha poi realizzato un'altra struttura, La Sfinge, nel vicino comune di Brusciano, di competenza della medesima Asl. Fra le varie anomalie abbiamo appreso, nel far richiesta di accesso agli atti, che misteriosi ladri avrebbero rubato i registri di protocollo nella sede della Asl di Marigliano. A oggi,  intanto,  La Sfinge ha acquisito appalti per circa 900 cani, superando di gran lunga la propria autorizzazione di ricettività". In generale, l'assenza dei necessari requisiti fra i partecipanti ai bandi di gara sarebbe molto frequente: "Non a caso associazioni e gestori privati pugliesi si sono riuniti nel consorzio Cpa completandosi a vicenda con scambi di competenze". Anche a Laterza (Taranto), sia Assocanili che un'associazione locale trasmettono segnalazione all'Autorità di vigilanza per i contratti pubblici, contestando la legittimità dell'affidamento del canile municipale: "Malgrado la rilevanza europea del bando, da 714mila euro, si è proceduto con modalità e criteri di un appalto sotto la soglia comunitaria e omissioni delle dichiarazioni previste". Nel Lazio, addirittura, "un'associazione specializzata esclusivamente in adozioni all'estero impone ai canili contratti di esclusiva dell'immagine dei cani, al pari di un'operazione di marketing. Inspiegabile, quando il cane deve andare in famiglia" conclude Visone: "dobbiamo insomma distinguere chi dall'amore per gli animali si inventa un progetto da chi, per il progetto, s'inventa l'amore".

A centinaia spediti verso le regioni del Nord. La promessa di un benefico Nord dove i randagi troverebbero un porto sicuro è colma di insidie. Innegabile che le regioni del nostro Settentrione abbiano attuato politiche migliori, sterilizzando di più e controllando con maggior attenzione le strutture. Se per esempio in Puglia, Sicilia, Campania, si incontrano animali in difficoltà a ogni angolo di strada, a Milano o Torino questo non avviene. Ma la quantità di animali che l'Italia e l'Europa del Nord dovrebbe assorbire appare strabiliante e illogica. Basta guardare le movimentazioni: quelle verso l'estero si possono, solo in parte, desumere dal cumulo di passaporti richiesti alle Asl da associazioni e privati esportatori; di quelle nell'ambito del territorio nazionale danno un'idea le quotidiane staffette annunciate sul Web. Da principio iniziative virtuose, evolute poi in redditizie manovre, queste ultime consistono in viaggi perlopiù a pagamento. Per molti animali funziona, ma tantissimi altri si perdono nel corso di inaccertabili passaggi. Smarriti nei fumosi scambi ai caselli autostradali, possono morire in viaggio o poco dopo. I rari fermi dei furgoni a opera di guardie zoofile e polizia stradale hanno rivelato esemplari ammassati nelle gabbie e narcotizzati, anche 80 per ciascuna tratta, scoprendo spesso che le schede di adozione erano intestate a prestanome. Ma finisce lì e presto gli animali vengono riconsegnati a chi li ha fatti partire, pronti a essere nuovamente imbarcati. Due anni fa un breve incidente fra onlus vide Marco Caterino, coordinatore delle guardie zoofle Oipa di Caserta, fermare per un controllo con la polizia stradale una discussa staffettista professionale, in arte Mamma Chiara. La donna si dichiarò volontaria dell'Enpa, il cui coordinatore nazionale delle guardie zoofile, Antonio Fascì, addirittura la scortava con un altro veicolo. "In rarissime occasioni abbiamo collaborato con la signora, la quale, sul suo automezzo, ha utilizzato senza alcuna autorizzazione il nostro logo e, per questo, è stata formalmente diffidata", puntualizza Michele Gualano, direttore generale dell'Enpa. "Qui in Sicilia viviamo un momento drammatico, c'è una corsa incredibile ad assicurarsi randagi da inviare al Nord", commenta Antonino Giorgio, coordinatore regionale e presidente della sezione di Trapani della Lndc-Lega nazionale per la difesa del cane. "Non solo non si ha idea di dove questi animali realmente finiscano, ma così facendo si deresponsabilizzano le istituzioni, già tanto manchevoli quanto a controlli, sterilizzazioni. Ovunque spuntano sezioni locali di grandi associazioni; tutte mandano fuori i randagi. Un sindaco del trapanese si è persino vantato con la stampa di spedire i suoi in Germania". Sedicenti volontari si contendono gli animali, li arraffano contro la legge e il buon senso. L'Italia intera è afflitta da furti di cani e gatti, rapiti dentro abitazioni e giardini, per tacere dell'indiscriminato prelevamento per strada dei randagi, e nemmeno esiste (come per le automobili) una banca dati centralizzata che consenta agli inquirenti di analizzare il sinistro fenomeno. Ma dove finiscono, a decine di migliaia, questi indifesi? Ecco che il virtuoso Nord si trasforma in zona d'ombra, dove gli animali vengono smistati, reindirizzati, depositati in stallo, vale a dire in collocazione temporanea prima del successivo spostamento. Magari su un comodo divano, ma si temono anche obiettivi atroci. Mercato di carni e pelli, lotte clandestine, vivisezione occulta, zooerastia (abusi sessuali sulle altre specie), trasporto della droga, sadismi e rituali di vario genere.  Laika è una barboncina bianca di undici anni e vive in famiglia ad Avola (Siracusa) vicino al mare. D'estate segue in spiaggia i padroni, e quando ne ha abbastanza rientra da sé. Il 20 agosto 2014 svanisce nel nulla, purtroppo non è microchippata. Giuseppina Nuccio, la proprietaria, diffonde disperati annunci per tutta la contrada e su Facebook. Su una pagina di presunto volontariato scopre una fotografia di Laika pubblicata alcuni giorni prima della scomparsa. Per lei si richiedono fondi, definendola abbandonata: cure, stallo e adozione. Giuseppina scrive chiedendo che le venga restituita, ma la reazione è sbalorditiva: "E il cane nn ce più e adesso ti attacchiiii al tram". Giuseppina denuncia alla polizia di Avola: "Confido in una rapida indagine che mi riporti Laika". E le volontarie replicano: "Ahahah anche la denuncia per aver salvato una cagnolina gente di m...". Date le disastrose gestioni del Sud e la mole di sequestri in tutta la Penisola -  Trani, Catania, Roma... la lista dei canili-rifugio indegni lascia sbalorditi  -   e a volte si fatica sul serio a sistemare gli animali sul territorio dove continuano a moltiplicarsi, o comunque gli spostamenti trovano spiegazioni. "Per garantire esecuzione all'ordine del Magistrato - in un'inchiesta che finalmente sta portando alla luce i misfatti avvenuti fra silenzi e complicità  -  in mancanza di alternative abbiamo trasferito 40 cani e 20 gatti in strutture fuori dal Lazio" spiega Gianluca Felicetti, presidente della Lav-Lega antivivisezione dalla cui denuncia è scaturito il sequestro del Canile Parrelli di Roma.  Riguardo poi i trasferimenti all'estero la Lav, che tramite la sua sezione capitolina ha appoggiato nel 2011 l'invio in Germania degli inquilini del canile di Rieti, anch'esso sequestrato, dichiara una posizione ecumenica: "A questo tipo di adozioni non siamo favorevoli, né contrari a prescindere". In realtà, a dispetto di crisi e cattive abitudini, l'italiano dimostra ovunque grande disponibilità all'adozione. Ciò nonostante, movimentare gli animali è pratica comune, lo asserisce Sara Turetta, attiva in Romania con il progetto Save the Dogs e paladina delle adozioni internazionali, in una lettera alla stampa in cui contesta una voce dissenziente: "Ci sono tante persone serie, qui, che si occupano di cani, ma per tua sfortuna, tutte ne mandano all'estero".  Presidente da due anni della Lndc-Lega nazionale per la difesa del cane, Piera Rosati ha invece commissariato o chiuso con il suo Consiglio alcune sedi locali: "Abbiamo riscontrato qualche gestione poco accorta e soprattutto c'era chi inviava animali in adozione all'estero, una pratica a cui sono contrarissima. Per carità, nessun dubbio sulla generosità straniera, ma tutto quanto non sia ben verificabile costituisce un inaccettabile rischio per gli animali". Una volta varcata la frontiera cani e gatti sono irrintracciabili. Secondo le associazioni che si dedicano al profluvio di adozioni all'estero (Germania, Austria, Svizzera, Belgio, Svezia) di cui sono oggetto i nostri randagi e quelli di Grecia, Turchia, Spagna, Romania, le altre cittadinanze sarebbero ricche e magnanime, pronte a fare incetta dei nostri animali meno attraenti. Invece di salvare gli esemplari che nei patri canili vengono soppressi, i cittadini svizzeri preferirebbero cani pugliesi o siciliani malati, mutilati, paralizzati, coperti di rogna, avidi di importare malattie endemiche a rischio di contagio umano come la leishmania. Lo stesso varrebbe per i tedeschi, i quali non dispongono di anagrafe canina unitaria e per adottare sborserebbero ingenti contributi. Ancor prima di partire i cani sono in offerta, ciascuno abbinato a una tariffa che varia dai 150 ai 450 euro, su siti stranieri, come pure negli appelli diramati da una cordata di associazioni ramificata in tutta Europa. Queste lanciano appelli e raccolgono in tutta Europa fondi sollecitati da immagini angosciose: animali miserandi nei canili lager. L'unico, importante processo scaturito da un'indagine sulle  -  appurate  -  false adozioni all'estero langue in attesa di prescrizione presso il Tribunale di Napoli. Questo, a dispetto della circolare 33 con cui già nel 1993 il ministro per la Salute Maria Pia Garavaglia registrava con preoccupazione l'irrintracciabile flusso di randagi in uscita dal nostro Paese e, fra le altre cose, raccomandava di "non  cedere  cani  conto  terzi,  ma  direttamente all'interessato". Il contrario di quanto solitamente avviene, visto che tante associazioni  si intestano gli animali e poi li collocano presso strutture di transito donde ripartiranno in seguito. Una piccola associazione pugliese, Occhi Randagi, persegue un modello di trasparenza che finora non ha emuli in virtù del paravento della privacy: pubblicano luogo di provenienza e città di destinazione dell'animale, con il nome dell'adottante.

Quelle false associazioni che celano il business. Nella coscienza comune, per comprensibili ragioni, le associazioni animaliste si distinguono meritevolmente da chi, sulla gestione dei randagi, fa impresa. All'occorrenza, però, bisogna saper rovesciare la medaglia e, di volta in volta, distinguere. Chiunque in definitiva, e con estrema facilità, può costituirsi in associazione e avvalersi del marchio di fabbrica, mentre cercare di far quadrare un bilancio (affiancando di solito altre attività alla cura dei randagi, come assistenza veterinaria o pensione per cani privati) non significa necessariamente rifarsela sugli animali. Partendo dal presupposto che i canili non dovrebbero esistere, se non per accogliere transitoriamente animali destinati in famiglia o custodire malati terminali, casi difficili, nello stato dei fatti la valutazione dovrebbe basarsi su modi, criteri, qualità della gestione. La normativa prospetta parametri sanitari per le strutture, ma non obbliga alla presenza di educatori, né puntualizza con la debita severità le prassi di affido e successiva rintracciabilità degli animali. Una vicenda paradigmatica ha luogo in Puglia, dove il sequestro di canili indegni, in cui gli animali sono detenuti in condizioni atroci se non maltrattati fino alla recisione delle corde vocali, non fa quasi notizia. Capita pure, però, che la stigmatizzazione si rivolga a strutture decentissime. È il caso I Giardini di Pluto a Carovigno (Brindisi), canile-rifugio convenzionato con diversi comuni della zona, contro cui nel 2013 un'indagine sollecitata dall'associazione La Nuova Lara e seguita da un esposto della società Dog Service si appunta sul sovraffollamento e sfocia in sequestro. I 730 cani ospiti superano il limite di 200 fissato dalla Legge regionale pugliese del 2006, ma la struttura è stata autorizzata prima dell'entrata in vigore della norma, che non agisce retrospettivamente. "L'associazione denunciante La Nuova Lara si era già presentata giusto al fianco della Dog Service con un contratto di avvalimento concesso a titolo oneroso nella gara d'appalto a San Vito dei Normanni, per la custodia di randagi oggi affidati a I Giardini di Pluto. Vendendo quindi a un privato il proprio requisito di onlus, senza cui il medesimo non avrebbe potuto partecipare" dice Michele Visone, presidente di Assocanili. "Non ci stupiamo poi se rappresentanti di misconosciute associazioni risultano disoccupati e invece si scoprono titolari di società immobiliari. A danno dei veri volontari c'è un fiorire di associazioni falsamente animaliste". Contro la tradotta forzata di 151 cani proprio nel canile della Dog Service, non autorizzato ad accogliere randagi, si sollevano proteste e un'interrogazione parlamentare che lasciano indifferente il gip Maurizio Saso, caso non isolato di una magistratura all'apparenza dimentica del benessere degli animali. È recente la richiesta di archiviazione firmata dai sostituti procuratori Assunta Musella e Alessia Minicò del fascicolo riguardante due strutture private nel catanese, gestite da un veterinario con appalti milionari in convenzione con molti comuni. Qui, secondo il report dell'Unità operativa per la tutela degli animali, lotta a randagismo e maltrattamenti del ministero della Salute, la cui ispezione portò al sequestro dei canili (seguito da un rapido dissequestro), aggrediti da malattie gli animali erano stipati in recinti fra feci, cibi avariati e fango. A volte, privati e associazioni decidono di unire le forze per assicurarsi il successo. L'appalto di circa 94mila euro per i cani del Comune di Collesalvetti (Livorno) è andato a un privato che si è avvalso dei requisiti di un'associazione animalista "senza che si tenesse conto della mancata presenza di un contratto fra le parti, obbligatorio quando si ricorre all'avvelenamento, pena esclusione dalla gara". Lo scorso anno una volontaria siciliana, Elena Caligiore, dichiarò a una tv locale i propri dubbi riguardo il proposito di spostare decine di cani del siracusano in Emilia Romagna da parte dell'Enpa-ente nazionale protezione animali, la più antica associazione animalista italiana (la fondò Garibaldi): "La loro sezione locale ha chiesto randagi anche ai comuni di Priolo, Floridia, Lentini. Propongono di trasferirli al canile San Prospero di Modena, dove ne perderemmo le tracce: perché? Il randagismo si risolve solo sterilizzando". Smentisce secco Michele Gualano direttore generale dell'Enpa: "La circostanza non risponde a verità". D'altro canto è sempre più difficili operare distinzioni di merito fra le associazioni, legate talvolta da intrecci inaspettati. Come per esempio suggerisce la lettera di credenziali (di cui esistono due copie diversamente datate, forse un uso disinvolto da parte del beneficiario) con cui Carla Rocchi, presidente nazionale dell'Enpa, garantisce l'affidabilità di un'associazione locale, già contestata dal commissario prefettizio Aldo Lombardo, per la gestione del canile di Manduria (Taranto) che è oggi in via di smantellamento. "Enpa non promuove la gestione di terzi" commenta Gualano: "In alcuni casi però sosteniamo, con l'obiettivo del miglioramento della gestione e del benessere degli animali, la soluzione di situazioni critiche". Se per operare a tutto campo è utile appartenere a una categoria di settore, c'è chi, per non sbagliare, le garanzie di qualità vede di acquisirle tutte. E'  ad esempio il caso del gestore di Dog's Town a Pastorano, in provincia di Caserta: veterinario, guardia zoofila Enpa e membro di Assocanili; oltre a gestire gli ospiti del canile-rifugio in convenzione, accalappia per conto dei comuni e si occupa persino di animali esotici, ma sul sito associativo i cani proposti in adozione si contano sulle dita di una mano.

Appalti e omissioni, le colpe dei Comuni. Per la grande maggioranza degli amministratori italiani occuparsi del randagismo è una scocciatura marginale, se non fosse che la tenerezza dell'elettorato verso gli animali si fa sempre più intensa. Ma ancora, a meno che sindaco o assessore delegato non siano sensibili e competenti in prima persona  - fenomeno raro - la questione viene sbolognata in toto alle (spesso) incanaglite Asl, oppure gestita  -  a volte in buona fede, altre, si direbbe, meno  -  affidando il destino degli animali a interlocutori terzi. A Roma, per dirne una, è in ballo il rinnovo della gestione dei tre canili municipali (il quarto, un piccolo e centralissimo presidio, è stato chiuso nel novembre scorso) affidata dal 1997 all'Associazione volontari canile Porta Portese, che in circa vent'anni hanno sistemato in casa circa trentamila cani e gatti. "Abbiamo partecipato a ben tre gare d'appalto e, non certo per responsabilità dei partecipanti, nessuna è andata buon fine", spiega Simona Novi, presidente di Avcpp: "l'ultima è stata addirittura sospesa a causa della presenza della Cooperativa 29 Giugno, priva di qualsiasi specifica competenza in materia di benessere animale e coinvolta nello scandalo Mafia Capitale. In vista della quarta gara, ci auguriamo che la giunta Marino prenda in considerazione l'unico parametro sensato e previsto dalle normative vigenti: la capacità di fare adozioni certificate, garantire il benessere degli ospiti e di trasformare i canili in un semplice luogo di passaggio". Parecchie amministrazioni cercano di svuotare i canili non già incoraggiando adozioni consapevoli, con l'eventuale offerta di visite veterinarie o mangime gratuito per premiare l'accoglienza di cane o gatto nella realtà domestica, ma proponendo denari a chiunque ritiri un animale. Nell'aprile 2012 il comune di Oristano (Cagliari), a fronte del costo annuo di 914 euro pubblici stanziati per il mantenimento di ogni cane presso il Canile di Sandro Piras, delibera di corrispondere  "in favore dell'associazione firmataria della convenzione un contributo una tantum di 450 euro per ciascun cane di cui venga realizzata con successo l'adozione". Se già appare illogico e diseducativo corrispondere denari a casaccio a fronte dell'animale sbolognato, è doppiamente assurdo pagare il mediatore. Una cittadina racconta di aver telefonato alla suddetta associazione per adottare un cane: "L'operatrice mi suggerì di non recarmi al canile in prima persona. Disse che il gestore non gradiva gli ingressi al pubblico, dunque se ne sarebbero incaricati loro. Mi chiesero di compilare un questionario molto fitto, assieme a cui avrei dovuto versare loro 50 euro". Somma che, in aggiunta all'una tantum comunale, portava l'incasso dell'associazione a quota 500. "Gli stessi animali che avevano messo in adozione erano pubblicizzati su Facebook, e si chiedevano per loro donazioni in denaro. Mi domando quanto fruttasse ogni singolo cane". "L'iniziativa non ha funzionato, si è spenta da sola" dichiarano oggi dal Comune di Oristano: "Abbiamo in programma di rilanciare altrimenti le adozioni". Dalla loro, quegli amministratori attenti al fenomeno randagismo non possono esimersi dall'esprimere preoccupazione verso la generale confusione in cui si pensa di affrontare il problema animali vaganti. Secondo Andrea Guido, assessore all'Ambiente del Comune di Lecce con delega al randagismo, "si sono innescati meccanismi perversi in un sistema costellato da associazioni che appaiono concentrate più sugli appalti che sulla ricerca del benessere degli animali, nella cui gestione si manca di avviare azioni serie e concrete. Occorre maggiore attenzione all'iscrizione delle associazioni nel relativo albo regionale, come pure sulla delicata materia delle adozioni". La virtù, in questo ambito, non paga. Per essersi opposto all'imprudente e non conforme adozione all'estero di un singolo cane all'estero, dopo aver ottenuto soddisfazione dal Tar, il Comune di Terni si ritrova denunciato alla Procura della Repubblica e alla Corte dei Conti da una motivatissima signora tedesca che a ogni costo vuole acquisire un animale malato di epilessia e già adottato in Umbria. Emergenza e randagismo, oppure emergenza randagismo: la percezione di una situazione fuori controllo non abbraccia solo la tutela degli animali, ma i più vari interessi pubblici. Dispendio di denaro e risorse umane, pericoli (non tanto nel merito degli occasionali branchi di cani che insieme organizzano la sopravvivenza, quanto per gli incidenti stradali causati da soggetti vaganti o abbandonati), sofferenza che dilania ogni specie a partire dalla nostra, nelle persone dei volontari che spesso spendono l'intera vita a tamponare tale, evitabile disastro. Malauguratamente, il contenimento delle nascite non è praticato che a parole. Salvo luminose eccezioni, al bisturi le Asl preferiscono l'ufficio, dove si timbrano montagne di passaporti perché i cani possano sloggiare all'estero. Non ci s'interessa neppure affinché i proprietari evitino le cucciolate e gli allevatori soggiacciano a limiti. E quando ai comuni viene tesa una mano da chi offra sterilizzazioni gratuite o a poco prezzo per tamponare le pubbliche inadempienze, la risposta è quasi sempre no. "Esistono eccome gruppi di medici veterinari indipendenti e generosi, i quali si propongono di intervenire con il solo rimborso dei materiali. Si possono sterilizzare, se ben organizzati, anche cento animali al giorno. In un paio di settimane si potrebbe arginare il randagismo in una città come Bari" spiega il veterinario Antonio De Simone, il quale ha già sterilizzato pro bono a Ventotene e in Puglia. "Ma ci si sente rispondere no grazie, sia per non indispettire gli ordini professionali, preoccupati della concorrenza e a volte in rapporti di collaborazione con le Asl, che per logiche, chiamiamole così, di ordine burocratico". Aggiunge Claudio Locuratolo, guardia zoofila Enpa di lungo corso: "Per avversare il randagismo si sente sempre parlare dell'importanza del microchip, con cui almeno i cani sono inseriti nell'anagrafe regionale, che dovrebbe confluire in quella nazionale: sacrosanto, ma i controlli sono inesistenti e le sanzioni per chi contravviene ridicole. Le cinture di sicurezza, per fare un esempio, hanno iniziato a funzionare quando fioccavano le multe. Bene la prevenzione quindi, ma è inevitabile passare per una fase che inculchi l'obbligo con severità".

I CANILI DELL'ORRORE. Il business dei randagi. La mafia dei canili e il business del randagismo. La denuncia su “Affari Italiani”. del Dr. Angelo Troi, Veterinario presidente dalla Sivelp (Sindacato italiano Veterinari Liberi Professionisti). «I costi della sanità sono uno dei punti critici di bilancio per il nostro Paese, fin qui nulla di nuovo. L'Italia garantisce infatti un livello di assistenza che non è affatto scontato nei paesi industrializzati, pur con picchi di eccellenza e gravi cadute di tono. Non tutti i cittadini sono al corrente di finanziare in questo capitolo anche la sanità animale, intesa in origine come un complesso di interventi pubblici di grandissima rilevanza, volti a garantire che gli animali non trasmettano malattie all'uomo e che gli alimenti di origine animale siano salubri. Ma nel nostro Paese si sta costruendo un'altra veterinaria, quella del randagismo, che prevede canili e spostamenti di animali e vorrebbe anche ospedali e persino una mutua: il tutto nell'inconsapevolezza generale di costi che gravano sulle casse pubbliche. Purtroppo l'idea della salute pubblica è relegata a mero accessorio, nel senso che la diffusione di malattie infettive (ad esempio la leishmaniosi, pericolosa per l'uomo) in tutto il Paese attraverso questi animali, non è certo il problema prioritario. Con un'etica dai risvolti discutibili. Esiste un'etica della tortura? Del carceriere? Delle sofferenze inflitte? Ripensare il sistema del randagismo vuol dire praticare un difficile esercizio anche contro l'ipocrisia e i luoghi comuni, vuol dire scontrarsi contro la disneyzzazione della nostra cultura, cercando di praticare l'Etica affrontando interrogativi scomodi. Che esista un sistema del randagismo è cosa sicura: arriviamo al paradosso dell'esistenza di un Assessorato al Randagismo (Comune di Lecce). Ma non solo questo ce lo dimostra. Ci sono anche le decine di milioni di euro spesi dallo Stato italiano - solo per il mantenimento-, ci sono migliaia di associazioni, cooperative, movimenti, spesso con un fortissimo contatto politico, sempre con una grande risonanza mediatica, a dimostrare che esiste un vero e proprio Sistema del randagismo. Fino a qui, sarebbe ancora il meno. In fondo esistono sistemi nella gradazione dal legittimo al corrotto per molti altri aspetti della travagliata vita italiana. Non ci muoveremmo più di tanto contro l'ormai consueta demagogia spesa per la ricerca nemmeno della poltrona, a volte un semplice sgabello comunale, nemmeno per i soldi spesi male. Il problema è che ci sono sofferenze inaudite, indicibili, inflitte con colpevole noncuranza a migliaia di animali prigionieri di questo Sistema. Ripensare il sistema dei canili vuol dire riflettere con serena e spietata autocritica sui risultati pratici creati da una legislazione demagogica nazionale unita ai piccoli poteri e alle grandi negligenze locali. Forse è arrivato il momento. I cani nei canili soffrono. Ce lo dicono molte inchieste a volte sincere, a volte interessate più all'audience che al miglioramento reale delle cose, ce lo dicono i veterinari, ce lo conferma una semplice valutazione diretta delle cose. Ma anche qui, si potrebbero accettare sofferenze finalizzate alla realizzazione di un benessere futuro dei cani, cosa che invece non avviene. I cani sono imprigionati nei canili, vittima di un Sistema che ha tutto l'interesse a mantenerli in prigionia per poter prosperare, per mantenere un potere, per ricevere denaro da distribuire senza doverne rendere conto. Non occorre arrivare alle situazioni dei canili lager, purtroppo così diffuse, per vedere queste sofferenze. Anche nei canili milionari, tirati su a suon di cemento e consulenze, i cani soffrono comunque, perché il Sistema non è incentrato su di loro, ma sui carcerieri che ne traggono ancora l'ultimo guadagno, quello di presentarsi come anime pie nascondendo la realtà delle cose. I cani soffrono perché, oltre alle situazioni di carenze igieniche e strutturali assolutamente comuni, vengono privati del diritto ad un'esistenza concretamente corretta, in nome di un astratto diritto ad un'"esistenza". Nessuno ha interesse a favorirne le adozioni, tanto meno un'esistenza almeno serena. Ancora peggiore è la teoria del "liberiamoli tutti", togliendo ai proprietari quella responsabilità penale personale, tanto invocata e declamata, quanto platealmente aggirata dal cane di quartiere, dalle colonie, dai mille artifici per dare questa responsabilità a tutti e quindi a nessuno, persino spacciando il fenomeno per "profonde radici della tradizione" e scaricandolo sugli amministratori locali. Animali in branco nella migliore delle ipotesi accattoni o spazzini, nella peggiore spietati, quanto improvvisati assassini. Se solo questi animali avessero la possibilità di una vera rappresentazione, se solo qualcuno facesse (qualche volta è successo) una vera inchiesta sulle loro condizioni di vita da prigionieri del Sistema, se solo una commissione indipendente e dotata di poteri valutasse serenamente il rapporto costi-benefici dell'approccio italiano al randagismo dell'ultimo ventennio, non ci andrebbe molto per scoprire il velo sulle sofferenze, gli sprechi, le bugie che sommergono questo angolo buio della società italiana. Ripensare il sistema dei canili vuol dire progettare meccanismi virtuosi che evitino alla base il sistema randagismo. Non occorrerebbe molto, le esperienze di altre nazioni potrebbero esserci utili. Ad esempio, immaginare un modello in cui il proprietario veramente identifichi il proprio animale e che le banche dati siano reali e non oggetti misteriosi ed applicati a macchia di leopardo, senza comunicazione tra loro. Dobbiamo arrivare anche all'estrema domanda, se sia meglio continuare a soffrire in una gabbia o accettare l'eutanasia come estremo, pietoso, coraggioso, ultimo atto di affetto e rispetto verso animali che hanno diritto a non essere strumenti di biechi interessi, come pacificamente accettato nella quasi totalità degli Stati. Le Zoomafie non sono solo quelle dei combattimenti clandestini o del traffico di animali, ma le appoggiano anche quelli che agitano frequentemente questi spauracchi per distogliere gli sguardi dalla vera realtà. Andate in un canile, e non chiedete di fare uscire il cane per una passeggiata. Fate di meglio: chiedete di entrare nella loro gabbia, restateci cinque minuti di orologio e quando uscirete allora sarete pronti per discutere veramente di randagismo.»

Sempre su “Affari italiani” gli risponde Massimo Comparotto, presidente dell'Organizzazione internazionale per la Protezione degli Animali. «E' certamente importante sottolineare la drammatica situazione conseguenza del business legato al fenomeno del randagismo e dei canili lager. Non bisogna tuttavia commettere l'errore di non considerare le possibili strade percorribili per contrastare e arginare il problema a favore di soluzioni drastiche ed eticamente scorrette come quella di sopprimere gli animali piuttosto che lasciarli vivere nei canili o gattili. Si sente spesso parlare del fatto che le nostre carceri sono sovraffollate, ma come soluzione al problema non viene certo presa in considerazione quella di uccidere i detenuti! Il paragone può sembrare forte, ma è senza dubbio calzante. La presa di coscienza della dignità di ogni animale e del rispetto della vita degli esseri viventi ha portato all'entrata in vigore nel 1991 della legge quadro per la prevenzione del randagismo (n.281/91) che riconosce il diritto alla vita per cani e gatti che fino a quel momento venivano soppressi o ceduti ai laboratori di vivisezione appena dopo tre giorni di detenzione. L'uccisione è quindi un reato e questa legge deve essere considerata un punto di partenza imprescindibile per migliorare la situazione presente: non avrebbe alcun senso quello di fare passi indietro, se non quello di mettere in discussione il diritto alla vita di altri esseri viventi. Tuttavia, tale diritto deve garantire un'esistenza che soddisfi i bisogni propri della specie, condizione non sempre soddisfatta in canili definiti lager. Purtroppo infatti la legge 281 si è rivelata valida nei principi ma insufficiente nell'attuazione pratica tanto che, approfittando dell'incapacità delle amministrazioni locali nel mettere in atto soluzioni che tengano conto del benessere degli animali, alcuni privati hanno lucrato sulla gestione dei randagi stipulando convenzioni con i comuni e creando canili dove più le gabbie sono stipate più è alto il profitto. Per contrastare il fenomeno del randagismo come business è importante agire alla base di questo sistema, incentivando ogni comune a creare un proprio canile che, avvalendosi della collaborazione con le associazioni animaliste, abbia come obiettivo quello di favorire le adozioni garantendo nel contempo condizioni di vita idonee agli animali ospitati. La realtà del canile non deve essere necessariamente quella di un lager: la presenza di operatori e volontari preparati affiancati da esperti del settore cinofilo e un efficace programma di adozioni, possono offrire ai cani una vita degna di questo nome. Per il comune inoltre si tratterebbe di sostenere un costo pari, se non inferiore, a quello a cui è necessario far fronte per appoggiarsi ad un canile convenzionato gestito da un privato. Elemento fondante affinchè questo processo diventi virtuoso è ovviamente l'educazione delle persone ad un corretto rapporto uomo-animale, educazione che passa anche attraverso forme di adozione come quella del cane di quartiere o delle colonie feline. Non si tratta infatti di una deresponsabilizzazione del singolo cittadino, ma di un modo attraverso cui garantire anche ad animali che vivono in libertà di essere tutelati e di prevenire quindi tutte quelle forme di sopruso e maltrattamento a cui vanno spesso incontro i randagi.»

Come risponde a Massimo Comparotto. Il presidente dell'Organizzazione Internazionale Protezione Animali non è d'accordo con l'eutanasia degli animali. «La mia è chiaramente una provocazione. Non mi piacciono i paragoni bambini-animali, carcerati-animali. I livelli di discussione sono ovviamente diversi. Io ho voluto sollevare un problema per l'opinione pubblica. E vorrei che questo tema venga affrontato come viene fatto negli altri paesi civili». Che cosa contesta all'Italia? «Non possiamo pensare di essere i migliori solo perché abbiamo fatto una legge che è buonissima dal punto di vista delle intenzioni ma in pratica allarga il randagismo in tutto il paese. Questa è oggi la realtà. In 20 anni di normativa si è arrivati alla situazione attuale, in cui anche zone che erano prive di randagi si sono trovate piene di cani vaganti. Io non ho proposto la soluzione, ho voluto aprire una discussione su un problema». Chi c'è dietro il business del randagismo? «La 'ndrangheta per prima, ma anche tantissime altre persone. In questi casi va sempre cercato chi ci guadagna. Ed è semplice capirlo, basta vedere dove arrivano i soldi pubblici. Chiaramente le associazioni criminali sono più veloci di altri a trovare il modo per recuperare i fondi che dovrebbero andare invece agli animali». C'è un coinvolgimento politico? «La politica è come tutto il resto della società. Ci saranno cento politici che votano una legge in piena buona fede e con il massimo della trasparenza, ci sarà un politico che ha a che fare con associazioni che non usano come dovrebbero i fondi per gli animali. La politica sicuramente ha cavalcato la questione mediatica. Ma a guadagnarci, inutile nasconderlo, sono anche alcuni veterinari pubblici di alcune regioni». Puglia e Sicilia sono al collasso per il numero di cani randagi… «Per questo vorrei portare gli italiani a una riflessione. Tempo fa lessi un articolo in cui un cittadino di Palermo che torna nella sua città, in mezzo ai randagi. E la vede come una cosa normale. Tornare a Palermo corrisponde a tornare in mezzo ai randagi. Nel resto dell'Europa sono considerati un problema, qualcosa fuori posto. E invece ci si abitua alla normalità del patologico. Vedere i cani per strada in Italia sta diventando, troppo, qualcosa di normale. Ma non può e non deve essere così». Lo Stato spende almeno mille euro per ogni cane randagio. E' una cifra spropositata? «Sì, si spendono almeno mille euro, ma anche di più. Una cifra assurda se si considera che il problema non viene risolto». A chi vengono dati i soldi? «I soldi vanno per il mantenimento del cane nel canile alle associazioni o ai privati cittadini che decidono di aprire una struttura. Il problema è poi come vengono utilizzati questi soldi, se per i cani o per altri scopi. E poi i mille euro non sono sufficienti, perché bastano solo per il mantenimento dei cani. Da fonte ministeriale sappiamo che in Italia ci sono 600mila randagi. Mi domando: l'Italia si è fatta i conti sul fatto che deve spendere mille euro per ognuno di questi cani. O non si è resa conto dell'impatto economico?» E ci sono anche problemi sanitari e per l'ambiente... «Certo, i danni sanitari sono pazzeschi, soprattutto se si decide di spostare un animale. Un esempio. Se un cane siciliano malato di leishmania viene portato al nord diventa un problema. Primo perché ci vogliono tantissimi soldi per curarlo e poi perché se la malattia non viene curata, può trasmettere la leishmania a un altro cane o a una persona. Non mi sembra, questa, un'etica del randagismo». Quando parliamo di randagi parliamo dunque di un problema di salute? «Assolutamente sì, ed è per questo che sono stati creati i canili. E' il motivo per cui consiglio di guardare anche che cosa si fa in molti paesi europei, dove sono state trovate soluzioni diverse, anche come l'eutanasia. Io ritengo che un cane in una gabbia non stia bene, magari altri la pensano diversamente da me. Occorre una soluzione, e il sindacato che presiedo si batte per questo. Non vogliamo l'eutanasia, è una soluzione estrema. Eppure viene utilizzata da moltissimi paesi europei. A volte è il sistema più umanitario».

Truffe e assenza di controlli nel fallimento delle politiche di protezione e vigilanza sui cani abbandonati. Così come un’inchiesta de La Stampa. Cinque mesi fa era toccato a un bimbo nel beneventano: era stato azzannato dai cani randagi. Allora il sottosegretario con delega alla Salute aveva parlato di «degrado» e di responsabilità dei sindaci. Cinque mesi dopo nulla sembra cambiato, e un bimbo in più è stato ucciso. «Se il governo taglia i fondi per la lotta al randagismo è normale che ci si trovi davanti a questi episodi», denuncia Lorenzo Croce, presidente dell’Aidaa, l’Associazione per la difesa degli animali. Già da questo anno infatti i fondi caleranno del 20%, di oltre un milione di euro: dai 4.945.000 euro previsti dalla finanziaria dello scorso anno a 3.819.000 euro con una riduzione complessiva di circa 5 milioni di euro in tre anni. «Già era difficile prima affrontare il problema dei cani randagi, lo sarà ancora di più ora», sostiene Croce. E nei casi di ferite o morti causate da cani senza padrone non è ancora ben chiaro di chi sia la responsabilità. A volte del comune, altre dell’Asl, a seconda dei casi, a giudicare dalle sentenze dei tribunali ordinari e della Cassazione.  Sono circa 600 mila i cani randagi in base alle cifre del ministero della Salute, cifre ufficiali in una materia che di ufficiale non ha proprio nulla, ed infatti secondo Bruno Mei Tomasi, presidente dell’Anta (Associazione Nazionale per la Tutela degli Animali) sarebbero più del doppio, un milione e mezzo, i cani abbandonati. Solo in circa 150 mila quelli ospitati nei canili rifugio, gli altri sfuggono ad ogni controllo. E i controlli da fare sarebbero molti come stabiliscono le leggi, ma sarebbero 1.650 i comuni italiani fuorilegge che non hanno un canile comunale o una convenzione con un canile consortile o gestito dall’Asl o con un canile rifugio, dove ricoverare i cani abbandonati e randagi. L’80% di questi comuni si trova al Sud.  La maglia nera spetta a Sicilia, Puglia e Lazio anche per la spesa. «Su un miliardo e mezzo di finanziamenti la Puglia da sola ne spende circa il 10%, 150 milioni l’anno. E Sicilia e Lazio poco di meno», spiega Bruno Mei Tomasi. «In Puglia c’è un canile quasi in ogni comune e in ogni canile ci sono dai 3 ai 400 cani. Soltanto Taranto spende 1 milione e 200 mila euro l’anno per la lotta al randagismo. Intorno ai canili c’è un giro di affari e truffe vertiginoso. Da poco sono stati trovati 170 cani randagi in una azienda di Matera che si occupava di servizi sanitari, sequestrata per fallimento. Quando ci si trova di fronte a situazioni simili è lecito pensare che questi cani venissero usati per sostituire gli animali morti nel canile in modo da mantenerne inalterato il numero e quindi i finanziamenti». Un’inchieste di “La Repubblica”. I cani randagi in Italia sono circa 600mila, di cui un terzo nei canili. Un business che il ministero valuta sui 100 milioni di euro l'anno, ma che la Lav stima al doppio. Una rete di "prigioni" fuorilegge e spesso controllate dalle mafie dove 'il migliore amico dell'uomo' è ammassato, malnutrito, maltrattato; e da dove a migliaia partono per il Nord Europa per trasformarsi in cavie o animali da pelliccia. Il business dei cani randagi pagato con i soldi pubblici. Mezzo milione di cani senza padrone. Solo un quarto trova posto nei canili.

L'80% degli animali abbandonati perdono la vita in seguito ad incidenti stradali. Ma i canili non bastano, e fondi continuano a ridursi.

135.000 Il numero di animali che vengono abbandonati ogni anno in Italia.

80% La percentuale di animali abbandonati che perdono la vita in seguito ad incidenti stradali.

1144 Il numero di canili e rifugi in Italia.

590.549 Il numero di cani randagi.

149.424 Il numero di cani randagi nei canili.

2.604.379 Il numero di gatti randagi.

4.271.578 I fondi stanziati nel 2005 dal Ministero della Salute contro il randagismo.

3.086.085 Nel 2008. Fonti: Lav, Ministero della Salute.

Per ogni animale accalappiato e chiuso in un canile il comune di riferimento spende dai trecento ai mille euro l'anno. Ma nella gran parte dei casi questo flusso di denaro non evita che i cani siano malati, malnutriti, stipati in gabbie sovraffollate. E che alimentino un traffico imponente di finte "adozioni" che li deporta sui tavoli della sperimentazione del Nord Europa, come ha denunciato il portale "il respiro.eu". Vengono reclusi in strutture fatiscenti, maltrattati e dimenticati, a volte trasferiti clandestinamente in altri Paesi per finire nei laboratori della ricerca, oppure trasformati in cibo in scatola o pellicce. È il business del randagismo, l'affare dei canili, un traffico che si svolge con pochi controlli. È una storia dove s'intrecciano sperpero del denaro pubblico, malasanità, criminalità organizzata. Dove gli interessi in gioco sono più alti di quanto non si sappia e la legge viene sistematicamente ignorata. Alla fine il silenzio conviene a tutti. Sindaci, polizia, giudici, medici della Asl. Tutti complici, a volte senza neanche saperlo. È l'Italia dei canili, un paese degli orrori. Quanti sono i cani randagi e quelli nei canili e quanto costa allo Stato mantenerli? In tasca di chi vanno i soldi? E quanti animali dietro finte adozioni finiscono all'estero in una tratta illecita? Il business del randagismo e dei canili viene valutato intorno ai 200 milioni, anche se l'ultimo rapporto "Zoomafia" stima il giro complessivo del traffico di cani 500 milioni di euro. Valutazioni realistiche stimano i cani vaganti 600 mila, di cui 200 mila ricoverati nei canili, per ogni cane rinchiuso il comune di appartenenza spende dai 300 ai 1000 euro l'anno. Una spesa significativa che però non mette gli animali al sicuro. Il canile non sempre è l'ultima tappa. L'ultima denuncia parla di un traffico di cani e gatti all'estero, esportazione illegale mascherata da finte adozioni. Gli animali finiscono nei laboratori della sperimentazione, come cibo in scatola per i loro simili più fortunati, per fornire pellicce. É la denuncia che arriva dal portale "ilrespiro.eu", dove la giornalista Margherita D'Amico ha condotto un'inchiesta che dà corpo a dubbi e sospetti che da tempo si rincorrono. "Un processo che avrà inizio il 19 dicembre a Napoli sul traffico di cani e gatti da Ischia in Germania costringerà a non ignorare questa realtà agghiacciante", dice D'Amico. "Spediti in carichi su furgoni, station wagon, oppure affidati ai cosiddetti "padrini di volo", cani e gatti randagi provenienti dall'Italia, ma anche da Spagna, Grecia o Turchia, confluiscono ogni anno nei paesi del nord Europa, in Germania arrivano dai 250 ai 400 mila cani". Nell'inchiesta è citata la testimonianza di Enrica Boiocchi, vicepresidente del Gruppo Bairo, associazione molto attenta all'argomento: "Finché non vedi con i tuoi occhi non capisci. Partecipai al fermo di un carico al confine con la Svizzera: un trasportino per gatti di quelli piccoli, di stoffa, ne conteneva nove. I cani, come di prassi in queste spaventose spedizioni, erano sedati, imbambolati, nemmeno si tenevano seduti. Ogni giorno mezzi carichi di questi sventurati passano la frontiera svizzera, li vediamo, eppure non li ferma nessuno". Stipati nelle gabbie all'interno dei veicoli, gli animali attraversano l'Italia e oltrepassano i controlli superficiali. Si tratterebbe un giro di denaro enorme. "Sono finita in questa voragine a metà degli anni 90", racconta al sito ambientalista Francarita Catelani, fondatrice di UNA-Uomo Natura Animali Cremona. "Dal napoletano ci segnalarono che la titolare di un'associazione tedesca stava partendo con un carico di cani. Furono prima fermati a Barberino del Mugello, ma la Asl li lasciò passare. Poi, a Como, lo stop. Il capo veterinario della Asl di Como capì. Redasse tre verbali e il giorno dopo il furgone fu scortato fino all'imbocco dell'autostrada per Caserta". Ma la vicenda di Como non è l'unico caso di intervento delle forze dell'ordine. "Un paio d'anni fa ad Ancona sono stati bloccati 102 cani provenienti dalla Grecia. C'è stato un fermo ad Arezzo sei anni fa, e ancora a Padova. E a Verona, nel 1995, si aprì un'indagine per verificare nomi e indirizzi a cui erano stati dati in adozione 100 cani. Risultarono tutti falsi, dal primo all'ultimo". Ci sono poi le denunce dell'Enpa, sezione di Perugia, contro 40 cani di un canile umbro adottati in Germania. C'è infine il caso di Ischia. «Un piccolo gruppo di volontari di Ischia per anni si oppone alle massicce esportazioni organizzate dal canile di Forio. Solo nel 2006, a suon di denunce, gli animalisti riescono a ottenere il fermo di un furgone e l'avvio di un'indagine assai accurata da parte della Procura di Napoli condotta dal pm Maria Cristina Gargiulo, che si serve anche di intercettazioni telefoniche», racconta D'Amico. La fase preliminare dell'inchiesta si conclude con il rinvio a giudizio di cinque imputati per maltrattamento di animali, falsità ideologica e materiale, associazione per delinquere finalizzata all'illecito traffico di esseri senzienti. «Nel frattempo, però, il rifugio di Forio è stato ceduto alla Pro Animale Fur Tiere in Not e. V. con sede in Germania che ha 32 punti di raccolta e smistamento di cani e gatti in tutta Europa. Le spedizioni di animali vengono ufficialmente interdette solo nell'estate 2011, in attesa degli esiti del processo che avrà inizio presso il Tribunale di Napoli fra poco più di un mese». Adozioni all'estero fittizie, sulle quali dovrebbero vigilare le Asl. «É attraverso i loro registri, infatti, che scorrono a centinaia, migliaia, le pratiche. Come non insospettirsi davanti alle stesse persone che richiedono venti, trenta, cinquanta lasciapassare per volta?» Ma qualsiasi mercato illecito è possibile perché i canili italiani vengono gestiti senza controlli. Se il traffico verso l'estero può essere il caso limite, c'è poi l'indifferenza di tutti che rende possibile il degrado quotidiano. “Feriti, affetti da patologie e infezioni, malnutriti, relegati in spazi angusti e sovraffollati, trascurati e soli: questo lo stato in cui versano i "migliori amici dell'uomo" in molte strutture, pubbliche e private". Questo è scritto in un documento del Ministero della Salute che ha diffuso recentemente un video dei canili peggiori d'Italia, girato durante le ispezioni di 39 strutture da parte della task force per la tutela degli animali. Il filmato è visibile sul sito www.salute.gov.it. «I canili sono un sistema che serve a far soldi. La legge diceva che andavano creati dei rifugi e i canili dovevano rimanere solo come presidi sanitari e luoghi di transito. Così non è stato - spiega Rosalba Matassa, a capo della squadra formata da nove veterinari e due amministrativi - Dove nasce il business? I comuni invece di creare canili municipali stipulano convenzioni con società private, spesso sono aste al ribasso, anche solo 50 centesimi al giorno per ogni cane. Fatto l'accordo, nessuno controlla. Il sindaco ha la tutela dei cani, quindi è il responsabile ma non risponde mai di fatto e noi non abbiamo il potere neanche di infliggergli una multa». La mappa del degrado attraversa tutta l'Italia, al Sud la situazione è peggiore perché il business è in mano alla criminalità, ma ogni regione ha i suoi scheletri, nel senso letterale. Solo nel 2011 sono stati fatti 6 sequestri.

È stato chiuso il canile di Somma Lombardo dove tra i cani malnutriti c'era anche una gabbia con due tigri e altri animali esotici.

A Terni c'è stata un'ispezione dopo varie segnalazioni di maltrattamenti, una storia lunga e mai risolta, la Procura sta indagando.

A Foligno segnalazioni per maltrattamenti.

A Ceprano, Frosinone, il canile è sotto sequestro amministrativo. 

Chiuso Poggio Sannita: maltrattamenti.

Aragona in Sicilia, una sorta di canile abusivo, senza legge e senza controlli, un caso di cui si parla da anni, solo ora si sta svuotando.

Chiuso definitivamente ad aprile dopo anni di battaglie il lager per definizione, quello di Cicereale, in Campania, diventato un caso nazionale. Dentro duemila cani, per ciascuno la famiglia Capasso percepiva due euro al giorno. Ci sono stati anni di battaglie giudiziarie prima della chiusura. L'unico caso in cui il ministero si è costituito parte civile.

Nei casi di sequestri la situazione che si presenta è sempre la stessa: cani scheletrici, malati, nessuna sterilizzazione, spesso promiscuità, a volte morti. Tra i reati più frequenti riscontrati, frode, medicinali scaduti, esercizio abusivo della professione medica. Il trenta per cento degli abbandoni avvengono nel periodo della caccia, vittime i cani ritenuti non più abili. Il venticinque per cento d'estate, in concomitanza con le ferie. Da vent'anni esiste una legge, la 281, che vieta di sopprimerli e chiede di iscriverli a un'anagrafe canina e di dotarli di microchip, ma è largamente inapplicata. Intorno al business dei canili, a volte, si svolge una vera e propria guerra. «Avevo denunciato lo condizioni di un canile, mi hanno tagliato le ruote dell'automobile - dice una veterinaria che vive in Campania - sono molte le strutture al Sud dove è difficile entrare e chi ci riesce per fare foto lo fa a proprio rischio». Le denunce sullo stato dei canili arriva dai volontari e dalle associazioni che sui siti, Facebook, YouTube, svelano le condizioni in cui vivono gli animali, è un esercito agguerrito, che combatte ogni battaglia a proprie spese, cure veterinarie, stalli, staffette per salvare gli animali più giovani o più malandati. S'incontrano su siti come www.cercapadrone.it o chiliamacisegua.it, l'agenzia Geapress, ma il muro di silenzio che circonda le loro denunce è più forte. «C'è nella Finanziaria del 2008 un articolo che stabilisce che le convenzioni possono essere stipulate solo con quei canili che consentono un'apertura al pubblico e ai volontari ma non viene rispettata perché le adozioni significherebbero una perdita economica», dicono le volontarie di Associzionecanililazio. Ma perché ci sono tanti cani randagi e rinchiusi e che fine ha fatto la legge sul randagismo e le sterilizzazioni? L'esercito di cani che affolla i canili è infatti il risultato degli abbandoni e delle mancate sterilizzazioni. "Sono circa 135 mila i cani e i gatti che ogni anno vengono abbandonati, il 30 per cento degli abbandoni avviene durante il periodo della caccia, quando i cacciatori si liberano dei cani che non sono più abili, il 25 per cento avviene d'estate nel periodo delle ferie", calcola la Lav. I privati abbandonano i propri cani in mezzo alla strada, legati ai lampioni, o davanti ai canili, i comuni dall'altra parte non realizzano le anagrafi canine e le campagne di sterilizzazione, i cani così vagano fino a quando non se ne occupano le cronache, succede quando aggrediscono qualcuno. Dal 2005 al 2008 il ministero ha stanziato circa 16 milioni di euro per combattere il randagismo. Ma molte Regioni non hanno nemmeno chiesto i fondi. «Dal 1991 esiste una legge, la 281, è una legge avanzata, stabilisce che i randagi non vanno soppressi, che deve esistere un'anagrafe canina, ogni animale deve avere un microchip per l'identificazione. Ma pochi comuni rispettano queste regole. Sono molte le norme disattese perché i reati che riguardano gli animali sono considerati da tutti di serie B - dice Rosalba Matassa - Disattese anche le ordinanze regionali. In Puglia, per esempio, esiste la norma per cui non ci possono essere più di 200 animali in ogni canile ma nessuno la rispetta. Il canile di Ostuni ne ha 1600, il Natura center di Cassano, ne ha 1400. Strutture che percepiscono somme ingenti. Per combattere il degrado il randagismo è stato incluso nei piani di rientro di alcune regioni commissariate (Calabria, Molise, Campania) e quindi devono obbligatoriamente fare interventi, la gestione corretta dell'anagrafe canina adesso rientra nei Lea, livelli essenziali di assistenza». Intanto il tempo passa, è un tempo sempre uguale quello nei canili, che siano quelli inaccessibili dell'Irpinia o quelli senza fondi da anni di Catania, il tempo scorre monotono tra le reti arrugginite, alcuni cani è possibile vederli girare in tondo, ossessivamente su se stessi. É così a Borgo Hermada, Latina, canile sequestrato e sempre lì come in quello di Domicella, Avellino, andava messo a norma, aveva 60 giorni di tempo, sono passati mesi. Avevano escogitato un metodo tanto efficace quanto terribile. Un finto sistema di adozioni attraverso cui decine di cani randagi venivano spediti da Ischia fino in Germania, la destinazione però non era un nuovo padrone ma un altro canile dove venivano sottoposti a sperimentazioni. Il sito web ilrespiro.eu racconta dell'accusa dei Pm napoletani ai danni degli ex responsabili del canile di Panza, sull'isola di Ischia, a processo dal prossimo 19 dicembre per maltrattamento di animali, falso ideologico e materiale e associazione per delinquere. Il sistema era semplice. Secondo ilrespiro.eu nei moduli di richiesta delle adozioni venivano fatti firmare in bianco ai richiedenti più fogli di quanti ne fossero necessari. Firme utilizzate invece per compilare multiple, e false, richieste di affidamento che autorizzavano la partenza di decine di cani dal canile dell'isola. Una piccola percentuale dei quattrozampe finiva realmente nelle case di nuovi padroni, i restanti erano invece destinati a canili tedeschi. Ad insospettire gli abitanti dell'isola, erano stati proprio i furgoni in partenza dal porto con all'interno decine di gabbie. Dubbi che avevano trovato un primo riscontro dalle indagini dei pm, che durante un controllo nel 2006 avevano scoperto che gran parte delle firme che accompagnavano le richieste di adozioni erano in realtà contraffatte. I cani venivano destinati a prestanome, cittadini tedeschi residenti in Italia, e poi inviati in aereo verso destinazioni sconosciute. Nelle successive indagini della procura, il sistema criminale aveva trovato nuovi riscontri, tra cui una serie di bonifici internazionali, dell'ordine di 10mila euro, ricevuti con cadenza regolare dalla fondazione che aveva in gestione il canile e che avevano fatto pensare che le somme potessero provenire dai reali destinatari degli animali. Il traffico illegale di cuccioli di migliaia di cani e gatti arriva principalmente da paesi membri come Slovacchia, Ungheria e Romania. E' dunque necessario il coinvolgimento delle istituzioni comunitarie e dell'Europol. La proposta è stata avanzata dal ministro degli Esteri Franco Frattini, nel corso della presentazione, alla Farnesina, del manuale "Procedure per l'esecuzione dei controlli nella movimentazione comunitaria di cani e gatti". L'Italia ha tradotto in legge (n. 201/2010) la Convenzione europea per la protezione degli animali da compagnia, che inasprisce le pene e introduce il reato di traffico illecito di animali da compagnia. Adesso, il ministero della Salute, in collaborazione con la federazione veterinari (Fnovi) e la Lega Antivivisezione (Lav), ha messo a disposizione dei veterinari e delle forze dell'ordine un manuale che dà indicazioni sui nuovi strumenti per contrastare i traffici illeciti di animali domestici. «Negli ultimi anni - spiega Ilaria Innocenti della Lav - la movimentazione illecita di cuccioli di cane e gatto è fortemente cresciuta, rendendo necessari interventi normativi specifici: il manuale costituisce lo strumento pratico affinchè le norme trovino piena applicazione sul campo». Nel giugno del 2011, la prima sentenza di condanna in applicazione della Legge 201/2010 è stata emessa dal Tribunale di Pistoia verso tre persone, con il patteggiamento di pene fino a 3 anni e 1 mese di reclusione. I tre, padre e figlio e una donna ungherese, furono arrestati a conclusione dell'indagine denominata Kutya (in ungherese: cane), a opera del Corpo Forestale dello Stato di Pistoia e Prato e coordinata dalla Procura della Repubblica di Pistoia, nell'ambito della quale furono sequestrati 27 cuccioli importati illegalmente dall'Europa dell'Est, oltre a 175 documenti comprovanti la vendita degli animali, 130 passaporti ungheresi di cani e altro materiale fra cui documenti sanitari, cellulari, computer, medicinali veterinari, microchip e siringhe per il loro inserimento. I risultati di questa battaglia sono incoraggianti: i sequestri si moltiplicano (1.000 in un anno) e arrivano anche le prime condanne dall'entrata in vigore della legge, ma il fenomeno rimane degno di attenzione, con un business da 300 milioni di euro l'anno, che sfrutta la domanda di animali a basso costo ma di razza. Per questo, secondo Frattini, bisogna coinvolgere anche la Commissione europea ed inserire la movimentazione degli animali da compagnia «tra le priorità di Europol», in modo da riuscire ad ottenere la «tracciatura delle rotte dei traffici».

Infine l'essere legati fin oltre la morte. In molti hanno sepolto nel giardino di casa, il cane o il gatto compagni di una vita: un gesto d'affetto, ma illegale. Ora non lo è più. Lo prevede, infatti, in molti paesi il «Regolamento comunale di affidamento, conservazione e dispersione delle ceneri»: ceneri di defunti umani, ma anche resti dei loro amici animali. Il regolamento, infatti, autorizza non solo il seppellimento del «fu» Fido o Micio in aree di proprietà del padrone, ma pure che si potrà disperderne le ceneri in natura, nelle stesse aree cimiteriali o aree riservate dal regolamento agli umani. Tale fatto prima vietato a breve non lo sarà più, né per gli umani né per gli animali (cavalli esclusi, che non rientrano tra gli animali di «compagnia e d'affezione».

RANDAGISMO: SOLDI MAL SPESI E LEGGI DISATTESE.

Soldi mal gestiti e leggi disattese. La Lorenzin: "Le mie risposte agli animalisti". Intervista al ministro della Salute sul fenomeno del randagismo, il business dei canili, le adozioni non sempre tracciabili all'estero, i traffici illegali, il rispetto delle regole negli allevamenti da reddito, scrive Margherita D’Amico su “La Repubblica”. Si dice che Beatrice Lorenzin non coltivi personale tenerezza verso gli animali, ma al riguardo il ministro della Salute preferisce non puntualizzare rendendosi invece disponibile ad approfondire per i lettori di Repubblica alcune questioni circa la tutela delle altre specie affidata al suo dicastero.

Il randagismo continua a essere in Italia una piaga a dispetto della legge quadro 281/91 che richiede misure preventive, prima fra tutte la sterilizzazione. A lungo lo Stato ha stanziato milioni di euro l'anno (ridotti oggi a 300mila) ma le inadempienze della sanità pubblica risultano gravi.

"Il randagismo è un problema rilevante, soprattutto in alcune regioni del centro-sud, anche a causa del ritardato recepimento della legge quadro n. 281/91 in materia di animali d'affezione e prevenzione del randagismo e della disomogenea applicazione delle norme vigenti.  Tra gli obiettivi prioritari della legge quadro vi è in effetti il controllo delle nascite e con la Legge finanziaria del 2007 è stato stabilito di destinare il 60% del fondo stanziato per la lotta al randagismo alle sterilizzazioni degli animali senza proprietario. Altro strumento fondamentale per la lotta al randagismo e per il possesso responsabile degli animali d'affezione è l'Anagrafe; identificazione e registrazione in un database di tali animali (valido solo per i cani ndr) per evitarne l'abbandono e garantirne la tracciabilità".

Sì, ma le Asl si sono sottratte al compito di sterilizzare a tappeto, né si ha notizia di valide politiche educative presso i privati. Come intende contrastare il randagismo?

"Convocando un tavolo di coordinamento con le organizzazioni dei medici veterinari e tutte le categorie interessate per affrontare congiuntamente il problema e valutare i termini di un aggiornamento della legge 281/91. Comunque, Il Ministero della Salute in questi ultimi anni ha promosso campagne contro l'abbandono e iniziative volte a favorire il possesso responsabile degli animali e la prevenzione dei reati contro gli stessi, ha inoltre sostenuto progetti ed eventi organizzati a livello locale da Enti pubblici e Associazioni protezionistiche aventi analoghe finalità. Tali attività sono ancora tra le priorità della Direzione generale competente che attraverso i suoi uffici e dal 2010 mediante un'apposita Unità Operativa, monitora il fenomeno del randagismo su tutto il territorio nazionale".

Nei mesi scorsi, associazioni e privati segnalavano con preoccupazione un fermo della suddetta Unità. Perché?

"Smentisco assolutamente che la task force abbia interrotto la propria attività. Questa unità operativa ha supplito in una fase di emergenza alle carenze di alcune autorità locali, ma occorre in tempi rapidi  uscire dalla fase di emergenza e promuovere le capacità delle autorità locali di affrontare e governare il problema".

Sul fronte internazionale, la nostra 281/91 è fra le poche leggi che vietino di sopprimere i randagi e cederli alla vivisezione. S'intendeva che i canili fossero meri luoghi di passaggio, non è andata così. La norma indica chi debba occuparsi dei randagi (comuni, Asl, associazioni, gestori di strutture) ma non come.

"Ribadisco, i tempi sono maturi per una possibile revisione della Legge, concordata con tutti gli attori coinvolti, che preveda anche l'introduzione di parametri univoci e omogenei nella valutazione della tutela del benessere animale nei canili/rifugi".

Molti comuni cedono i randagi ad associazioni che li trasferiscono nel nord Europa, lì verrebbero adottati a migliaia. Come verificarne la sorte, in paesi senza anagrafe canina, le cui diverse leggi prevedono la soppressione dei randagi o ne legittimano la cessione ai test di laboratorio?

"La problematica è nota da molti anni, basti pensare che già nel 1993 il Ministro Maria Pia Garavaglia diramò la circolare n.33 con la quale venivano date indicazioni utili a contrastare tale fenomeno".

La Garavaglia indicava di "non  cedere  cani  conto  terzi  ma  direttamente all'interessato", contrariamente a quanto spesso avviene.

"Ultimamente si è assistito a un incremento delle segnalazioni relative alle adozioni internazionali, in particolare verso Paesi quali Germania, Austria, Svizzera e Svezia. Di conseguenza, abbiamo deciso di coinvolgere le regioni maggiormente interessate dal fenomeno e le Associazioni di protezione degli animali, per definire una procedura operativa volta a garantire il benessere e la tracciabilità di questi animali. Questa procedura è adottata in via sperimentale nelle regioni Lazio e Umbria da circa un anno e mezzo".

La procedura non è operativa, mancano le commissioni incaricate: un funzionario del comune di partenza, un veterinario Asl e un animalista dovrebbero girare l'Europa controllando a campione cani sconosciuti: a spese di chi, con quale attendibilità?

"L'applicazione uniforme di questo approccio su tutto il territorio nazionale e la raccolta di dati per monitorare il fenomeno presuppongono l'adesione di tutte le regioni e un flusso informativo centralizzato al Ministero. La condivisione con le altre autorità regionali è quindi necessaria e in tal senso mi farò promotrice delle iniziative necessarie  per rendere inderogabili tali attività, al fine di tenere sotto controllo le movimentazioni e assicurare la piena tracciabilità degli animali".

La gestione dei canili motiva ricchi business. Non di rado gli appalti per le convenzioni con i comuni vengono assegnati al massimo ribasso.

"Premetto che la materia della salute e del benessere degli animali d'affezione è di stretta competenza regionale, mentre i bandi di gara per la gestione dei canili sono regolamentati dalle norme sugli appalti pubblici. Tuttavia in questi casi, trattandosi di animali e quindi di esseri senzienti, già nel 2001 con la Circolare n. 5 il Ministero della salute aveva chiarito che il "criterio dell'economicità che legittima la scelta della concessione della gestione dei canili da parte dei comuni non deve essere valutato unicamente come criterio di vantaggio economico per il comune ma deve essere inteso in riferimento all'art. 1 della legge 281/91". Deve quindi tener conto della tutela degli animali".

Invece vige una dannosa confusione fra gestione di associazioni animaliste vere o sedicenti tali, e privati.

"Il Ministero è intervenuto più volte per far rispettare i criteri fissati dalla circolare, richiamando i comuni che attribuiscono il servizio unicamente in base al minor prezzo senza sufficienti garanzie di benessere animale. In diverse circostanza le gare di appalto sono state riviste alla luce di quanto indicato dal Ministero della salute".

Chi controlla quindi l'operato del controllore (Comuni-Asl)?

"I Comuni rimangono responsabili degli animali, anche quando trasferiti in un'altra regione. Sono pertanto obbligati a provvedere a regolari controlli, sia per verificare le condizioni di mantenimento e il rispetto delle condizioni previste dal capitolato d'appalto, che per sincerarsi dell'effettiva esistenza in vita degli animali all'interno delle strutture onde evitare di continuare a pagare con soldi pubblici le rette di mantenimento".

Secondo associazioni protezionistiche l'Italia disattenderebbe molte regole europee pro animali negli allevamenti da reddito.

"Una simile affermazione desta quantomeno perplessità. E' distante dalla realtà e non tiene conto degli ingenti sforzi del Servizio Veterinario pubblico e dalle aziende zootecniche per ottenere il pieno rispetto delle norme".

La ong Compassion in World Farming segnala che se da noi 700mila scrofe sono in linea UE, oltre 10 milioni di suini all'ingrasso mancano dei dovuti arricchimenti ambientali e hanno la coda mozzata.

"Circa il livello di allineamento degli allevamenti suini nazionali alla normativa di riferimento (d. lgs.122/2011, atto di recepimento della direttiva 2008/120/CE), stante i dati in possesso del Ministero della Salute inoltrati dai Servizi veterinari regionali, praticamente la totalità degli allevamenti si è adeguata a quanto previsto".

La normativa UE sulle ovaiole è del 1999, concedeva 13 anni per conformarsi: a inizio 2012 diversi stati membri erano ancora inadempienti, ma a fine anno rimanevano indietro solo Italia e Grecia.

"Le gabbie fuori norma delle galline ovaiole dal 1° gennaio 2012 hanno visto diminuire progressivamente il loro numero sul territorio nazionale, giungendo in poco più di un anno e mezzo ad un valore pari a zero. Gli allevamenti di galline ovaiole di questo Paese infatti sono a norma dal mese di novembre 2013".

Per aver rinviato al 2013 il termine di adeguamento, la Corte di Giustizia europea ci ha condannati.

"Il ritardo è derivato da un periodo di transizione che, progressivamente, dal giorno dell'entrata in vigore del divieto di utilizzo di gabbie "non modificate" ha visto adeguare gli impianti a quanto richiesto dalla normativa europea. Anche gli altri Stati membri dell'UE, peraltro, si sono trovati impreparati alla scadenza del 1° gennaio 2012, denunciando a vario grado di incidenza la presenza di gabbie non in regola".

Ogni anno il Ministero della Salute sottoscrive parecchi permessi in deroga per test sugli animali senza anestesia: con quali criteri e motivazioni?

"Siamo particolarmente attenti alla concessione di simili autorizzazioni, pone come condizione essenziale la protezione degli animali utilizzati a fini scientifici e per questo compito si avvale dell'Istituto superiore di sanità e del Consiglio superiore di sanità per gli aspetti di valutazione scientifica. Le richieste sono attentamente esaminate in ordine all'indispensabilità dell'esperimento, alla mancanza di metodi alternativi e all'inutile duplicazione degli esperimenti stessi".

Ma il Comitato nazionale incaricato di vigilare su un qualche rispetto delle cavie è composto solo di esponenti della sperimentazione animale: con quale credibilità?

"Tre R: Replacement, Reduction e Refinement, ovvero sostituzione con tecniche alternative, riduzione al minimo del numero degli animali impiegati e perfezionamento delle procedure per limitarne la sofferenza: l'applicazione rigorosa di questi tre criteri costituisce l'elemento centrale per valutare l'ammissibilità dei progetti presentati dai centri di ricerca".

Si legge sul decreto che recepisce la Direttiva UE sulla sperimentazione animale: "informazioni sull'effettiva gravità delle procedure" non devono essere pubblicate "quando  afferiscono  ad  interessi commerciali, industriali, nonché  alla  riservatezza  delle  persone fisiche e giuridiche"...

"Il decreto legislativo 4 marzo 2014, n. 26 che recepisce la direttiva 2010/63/UE sulla protezione degli animali utilizzati ai fini scientifici prevede il rafforzamento della protezione degli animali e ha come obiettivo finale la completa sostituzione di queste procedure attraverso la promozione e lo sviluppo di metodi alternativi".

Appunto: altrove crescono gli investimenti sui metodi alternativi sostitutivi, considerati da tanti scienziati più attendibili, predittivi e moderni. Perciò lo scorso anno la Gran Bretagna ha stanziato 6,5 milioni di euro. L'Italia, invece, divide 500mila  euro l'anno fra 10 istituti zooprofilattici.

"Il Decreto legislativo 26/2014 individua per lo sviluppo e la ricerca di nuovi metodi alternativi precise risorse, pari a 1 milione di euro/anno per il triennio 2014-2016, di cui la metà destinata agli Istituti Zooprofilattici sperimentali e l'altra metà alle Regioni e Province autonome per corsi di formazione e di aggiornamento agli operatori del settore".

Trattasi del settore che utilizza animali, però, non certo quello delle alternative.

"Al conto si sommano le entrate derivanti dall'applicazione delle nuove sanzioni pecuniarie amministrative di spettanza statale. È opportuno precisare che il finanziamento per lo sviluppo di metodi alternativi citato per il Regno Unito, pari a 6,5 milioni di sterline, è per l'80 % erogato dal settore privato".

Veramente l'istituto britannico NC3Rs, fondato sulle cosiddette 3R,  riceve per la quasi totalità fondi governativi e solo in minima parte privati. Da noi le alternative non sono neppure inserite nei corsi di laurea. Perché il settore privato dovrebbe essere invogliato a investire?

"Il mio Ministero ha intrapreso l'individuazione e la designazione del Centro di referenza nazionale per i Metodi alternativi, benessere e cura degli animali da laboratorio presso l'Istituto zooprofilattico sperimentale della Lombardia e dell'Emilia Romagna, la stretta collaborazione con il Laboratorio di referenza europeo EURL-ECVAM, sito  a Ispra (Varese), l'individuazione e la nomina, in collaborazione con la Commissione UE, di laboratori nazionali che concorrono a costituire un network europeo denominato EU-NETVAL, disponibili a partecipare, a sviluppare o effettuare studi di validazione di metodi alternativi. A oggi sono stati nominati tre laboratori nazionali su un totale di 26 laboratori europei".

Eppure i laboratori italiani sono migliaia, diversi gli istituti di ricerca specializzati, un settore per cui si lamentano pochi sostegni e fuga di cervelli. Perché, allora, non investire nel concreto sviluppo dei promettenti metodi sostituitivi alla vivisezione?

ANIMALI SELVATICI. MATTANZA E BUROCRAZIA.

5 motivi per cui non si dovrebbero adottare animali selvatici come se fossero domestici, scrive Lorenzo De Ritis. A chi di voi non è mai capitato, durante una passeggiata in un bosco o in un parco cittadino, di imbattersi in un piccolo uccellino caduto dal nido o in un animale ferito? Il primo istinto è di avvicinarsi per vedere quali sono le condizioni della sventurata creatura e spesso il desiderio di aiutarlo si trasforma nella voglia di portarlo a casa con noi. So che può sembrare crudele ma questa non è la cosa giusta da fare. Quello che veramente possiamo fare nel pieno rispetto della natura è contattare il più vicino centro per il recupero e la riabilitazione della fauna selvatica e segnalare l’accaduto. Quante volte abbiamo sentito di persone che hanno cercato di tenere in cattività animali selvatici sperando che diventassero domestici per poi doversene disfare, nei casi più fortunati, per gli evidenti atteggiamenti di insofferenza mostrati? Gli animali selvatici non sono domestici, come i cani ed i gatti, e dovrebbero essere trattati come tali nel pieno rispetto delle loro esigenze biologiche. Ecco dunque cinque buone ragioni per non adottare un animale selvatico.

1. La detenzione è illegale (secondo la normativa vigente, in particolare la legge sulla caccia). La detenzione di animali selvatici è illegale. Questo vale per i baby coccodrilli, come per le molte specie di scimmie vittime del commercio illegale ma anche per un piccolo pettirosso, per un leprotto o per una lucertola muraiola.

2. Non è possibile addomesticare un animale selvatico. Il processo di addomesticamento di una specie animale richiede secoli. Cani e gatti hanno vissuto accanto all’uomo per migliaia di anni prima di diventare domestici. Non basta il nostro amore per loro perché questo processo si compia.

3. Gli animali selvatici sono spesso portatori di numerose malattie. Sapevate che molti animali selvatici come le volpi, i tassi, le moffette possono essere portatori sani di rabbia e non mostrare alcun sintomo? Ogni anno centinaia di persone contraggono la salmonellosi da rettili e anfibi selvatici con cui entrano in contatto. Quindi prima di portare in casa un animale selvatico pensateci bene: eviterete così di esporre voi stessi e la vostra famiglia a possibili contagi.

4. Non resteranno sempre cuccioli. Tutti i cuccioli di animale sono irresistibili: goffi, sproporzionati e dolcissimi. Ma non resteranno così in eterno e nel giro di qualche mese oltre alle loro dimensioni crescerà il loro istinto naturale e il desiderio di tornare alla libertà. Potranno mordere, graffiare, distruggere i mobili e molto altro ancora. Generalmente quando questo accade la maggior parte delle persone se ne libera in tutta fretta, rimettendo in libertà l’animale. Purtroppo però il loro destino è segnato: la vita in cattività gli ha impedito di sviluppare il naturale istinto alla caccia e alla difesa e difficilmente una volta tornati in libertà potranno sopravvivere.

5. Spesso non hanno bisogno del nostro aiuto. Molti animali in cui possiamo imbatterci possono sembrarci abbandonati ma spesso può non essere così. Molti roditori ad esempio durante il giorno si mantengono a debite distanze dai loro piccoli o dalla tana per non attirare l’attenzione dei predatori su di loro. I piccoli, dunque, sono lasciati da soli per la maggior parte del tempo. Può sembrare crudele ma questa è la legge della natura ed è quel che serve per insegnare ai cuccioli a stare al mondo. Se veramente vogliamo aiutare la natura, impariamo a rispettarla e se troviamo un animale ferito contattiamo senza esitazione il più vicino centro di recupero e riabilitazione. Loro sapranno certamente cosa fare.

Tutto ciò è condivisibile, ma poi ti vai a scontrare con i paradossi tutti italiani.

Sulla strada la burocrazia assurda può anche uccidere, scrive Licia Colò su “Il Salva Gente”. “Come è possibile che un veterinario libero professionista non possa prestare il primo soccorso a un animale selvatico investito da un’auto? È giusto far soffrire l’animale per due ore in attesa del veterinario Asl? Ma noi per cosa abbiamo studiato? Per vedere soffrire gli animali in attesa che l’iter burocratico si muova?”. Sono i pesanti interrogativi che ci arrivano da Annunziata Salines, medico veterinario, e dalla sua assistente Martina Pirondi, che non sono potute intervenire per soccorrere un giovane capriolo investito vicino  a Montecchio ( Reggio Emilia).  Letta la notizia, e vista la morte dell’animale, mi chiedo: chi non può intervenire e perché? Essendo animali di “proprietà” dello Stato, e per sua delega della Regione e quindi della Provincia, ora chi citeranno per danni visto che, come ha detto la veterinaria libera professionista, l’animale con un tempestivo intervento, a disposizione, forse si sarebbe potuto salvare? Da una parte la Regione che ha in gestione le Asl (presidente Errani, cosa mi dice?) e dall’altra la Provincia con la responsabilità dell’animale (presidente Masini, cosa mi dice?). Sotto, morto, un animale. “Abbiamo cercato di tranquillizzare l’animale coprendolo con una coperta e confortandolo ‘a parole’, perché l’iter burocratico vieta a noi veterinari liberi professionisti di prestare il primo soccorso ad animali selvatici”, racconta la dottoressa Salines alla “Gazzetta”. “Dopo un’ora circa è arrivato il responsabile del Centro recupero fauna selvatica, che ci ha aiutate a tranquillizzare l’animale. Anche lui, vedendo l’animale soffrire e non potendo far niente, era molto dispiaciuto di dover aspettare il veterinario della Asl. Quest’ultimo è arrivato dopo quasi due ore dalla chiamata”. Purtroppo, l’animale è morto per i traumi riportati. Ma se anziché di un capriolo si fosse trattato di un essere umano e se, trovandosi sul posto un medico, quell’ipotetico dottore non avesse prontamente soccorso il ferito, si sarebbe trattato certamente di “omissione di soccorso”, reato punito penalmente per chi lo commette. Un medico potrebbe finanche essere radiato dall’Albo, perché per gli animali non è così? Perché il cucciolo di capriolo non ha potuto subito ricevere aiuto medico e soccorso dalla veterinaria che spontaneamente si era offerta di darlo? “Forse anche gli animali sono vittime di una burocrazia lenta, molto lenta e spesso illogica”.

I daini, ancora loro. È ripartita la protesta a fronte della notizia che ne saranno abbattuti 67 esemplari nella pineta di Classe a Ravenna. Ed ecco mail da tutta Italia una più scandalizzata dell’altra, animalisti in genere in sollevazione, amanti degli animali che si offrono addirittura di ospitarli. Tutto nobilissimo, la natura prima di tutto. Solo che non si capisce perché proprio quei 67 daini debbano diventare una sorta di panda della bassa e non, per esempio, i loro consimili che si trovano a nascere e vivere in altri luoghi. E questo vale anche per altre specie: lupi, cinghiali, volpi, ecc.

Ravenna, Provincia: “Abbattere 67 daini”. Industriale tedesca si offre di comprarli, scrive Davide Turrini su “Il Fatto Quotidiano”. E' stato deliberato il piano di abbattimento dei “bambi” in sovrannumero presenti nella pineta di Classe. Gli animali si sarebbero riprodotti in notevole quantità tanto che sarebbero diventati un pericolo per la popolazione, per i campi coltivati e gli automobilisti. E’ corsa contro il tempo per salvare i 67 daini che la Provincia di Ravenna vuole abbattere. Eleonora Schonewald, una ricca industriale di origine tedesca, che tra Castiglione (Ra) e Piacenza possiede tre tenute zeppe di animali da compagnia, come del resto tigri, leoni e cavalli, ha fatto un appello agli organi istituzionali ravennati responsabili del controllo e selezione dei daini: “Li prendo io e pago ogni spesa”. La Provincia di Ravenna ha infatti deliberato pochi giorni fa il piano di abbattimento dei “bambi” ravennati in sovrannumero – 67 su 235 – presenti nella pineta di Classe. Motivo? I daini inseriti in località Fosso Ghiaia qualche decennio fa proprio dall’uomo si sarebbero riprodotti in notevole quantità, a poche centinaia di metri dalla spiaggia e dal mare, tanto che sarebbero diventati un pericolo per la popolazione, per i campi coltivati e gli automobilisti. Dopo aver sentito i pareri dell’Ente Parco del Delta del Po e l’Ispra (Istituto per la prevenzione e la tutela ambientale), la Provincia ha predisposto il piano di abbattimento che verrà effettuato da alcune decine di selezionati “selecontrollori” (cacciatori con apposito patentino per abbattere animali ndr) fino alla fine di febbraio 2015. A nulla sembrano essere valse le proteste e le proposte degli animalisti locali tra cui Essere Animali: i metodi ecologici del controllo della fertilità mediante sterilizzazione chirurgica e/o la somministrazione di farmaci contraccettivi. Tempi troppo lunghi, il problema è adesso, hanno spiegato dalla Provincia: quindi nulla potrà fermare una battuta di caccia con tanto di postazioni alte quattro metri su cui posizionarsi per poter prendere la mira più comodamente al passaggio dei daini. Anche se poco prima della scadenza per la selezione dei selecontrollori è intervenuta con un’intervista al Resto del Carlino la signora Schonewald che ha ribadito la volontà di acquistare i 67 daini e caricarsi di tutte le spese di trasporto, coprendo e seguendo tutto le procedure e le spese veterinarie del caso. A lei si è aggiunto Osvaldo Paci, direttore del Parco Safari di Ravenna, disposto ad aiutare la donna a catturare in modo non cruento i daini per poi portarne alcuni all’interno dello zoo. “Gli sparano e poi li eviscerano sul posto, una sorta di rito satanico e barbaro, quasi fossimo in Africa”, spiega la donna al fattoquotidiano.it riferendosi all’abbattimento dei daini predisposto dalla provincia, “i cacciatori sono persone sessualmente impotenti; comodo per loro starsene lì appollaiati per massacrare i daini. Vorrei vederli mentre li uccidono a mani nude”. Eleonora Schonewald è disposta a spendere quei 20mila euro che la Provincia ha sostenuto di non poter disporre, per poi inserire nelle sue tenute i daini salvati: “Già nel 1987 con la chiusura di un circo Orfei presi con me un leone, alcune tigri e un’orsa. Poi tra le mie tre tenute ho 30 cavalli completamente liberi, 45 cani e gatti. Le due tigri che hanno spesso dormito in camera mia hanno perfino sventato una rapina in casa”. La Schonewald è comproprietaria del quotidiano tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung e minaccia ritorsioni “editoriali”: “Farò pubblicare articoli su quello che hanno fatto qui a Ravenna, sul sangue dei “bambi” che scorre sulle spiagge dove tanti turisti tedeschi vengono in vacanza. In Germania sono sensibili a queste cose e risolverebbero per legge e in modo non cruento la questione che qui diventa una specie di massacro”. “Già un anno fa ci offrimmo per portare nel nostro Zoo Safari i daini in eccesso accollandoci le spese”, spiega Paci, “da noi possono vivere in libertà, ma la Provincia non vuole saperne”. Uno dei tanti aspetti tecnici su cui molte associazioni animaliste chiedono chiarezza è il metodo di controllo, visto che i daini non hanno collari e non sono stati numerati; ma soprattutto non è ancora chiaro come avverrà l’abbattimento. Domande a cui la Provincia di Ravenna, più volte contattata dal fattoquotidiano.it, ha risposto con una nota: “La legge prevede l’assegnazione a privati solo a determinate condizioni; privati che devono essere detentori di apposite autorizzazioni. A tutt’oggi nessun privato in possesso di tali autorizzazioni ha presentato domanda”.

"Vietato adottare quei daini" La burocrazia li mette a morte. Fa discutere la decisione della provincia di Ravenna di abbattere 67 esemplari. Una ricca signora tedesca si è offerta di ospitarli nella sua villa: niente da fare, scrive Gianpaolo Iacobini su “Il Giornale”. A Ravenna troppi daini. La Provincia li vuol togliere di mezzo perché fonte di incidenti stradali, un'imprenditrice tedesca vuole adottarli, ma la burocrazia dice no. L'Italia pare essere sempre più un Paese contro natura. E contro la natura. Perché se gli orsi sbranano una mucca, o un lupo una pecora, vanno fermati. Se i cormorani si ingozzano di pesce (ma va?) sono da tenere sotto controllo. E se le oche senza pedigree si imbattono in quelle autoctone vanno messe a morte, per preservare la purezza della razza, in una sorta di Terzo Reich da zoo. Eleonora Schonwald alle bizzarrie italiche credeva d'essersi abituata, dopo anni vissuti in Riviera. Ma proprio la sua Romagna le ha regalato la più amara delle delusioni: quando ad ottobre la Provincia di Ravenna ha ordinato l'abbattimento di 67 daini, lei s'è fatta avanti. «Li prendo con me, nel parco della mia villa, garantendone il mantenimento», ha fatto sapere. «Per adesso non si può. In futuro, chissà», ha ribattuto la Provincia, per la quale resta prioritario «eliminare i pericoli per la viabilità, in quanto l'attraversamento della statale Adriatica da parte dei daini ha provocato diversi sinistri». Così, ironia del destino, uno degli enti che avrebbero dovuto essere davvero abbattuti, e per legge, s'è messo a dispensare giudizi divini, decidendo chi (nel mondo animale) debba vivere e chi no. Ma la dama di Germania non s'è persa d'animo, ed oltre ad annunciare che in caso di mancato accoglimento della sua proposta scatenerà la stampa teutonica (tra l'altro, è comproprietaria di un quotidiano), col suo avvocato ha messo mano alle carte, formalizzando la disponibilità all'adozione dei daini e chiedendo nel frattempo - insieme a migliaia di cittadini - la sospensione della fucilazione di Stato. Quella alla quale, la scorsa estate, non era scampata Daniza, l'orsa trentina uccisa dalla dose di narcotici sparatale in corpo per facilitarne la cattura dopo che aveva osato predare alcuni animali domestici e spaventato escursionisti a spasso nei boschi, prima di arrivare a ferire un cercatore di funghi. Per cattiveria? No. «L'uomo ha sorpreso l'orsa con i cuccioli, entrando nello spazio vitale di una madre e dei suoi piccoli. E questo ha scatenato un'istintiva reazione di difesa», spiega Joanna Schönenberger, esperta del Wwf. Vallo a spiegare ai vigili urbani di Vigevano che gli animali non sono nemici: loro al titolare di un bar che all'ingresso teneva una vaschetta per l'acqua riservata ai cani in cerca di refrigerio hanno appioppato una multa da 168 euro. La motivazione? Occupazione abusiva di suolo pubblico. Per un paio di vaschette di plastica. Il sindaco Andrea Sala se n'è vergognato talmente tanto da pagare di tasca sua il verbale mentre in paese era già partita una colletta di indignati. Chapeau. Peccato che l'esempio sia rimasto isolato. Subito le cronache sono tornate a riempirsi di progetti di selezione da brivido: a Bologna sarà caccia alle oche ibride, che mettono a repentaglio la sopravvivenza di quelle locali. A Belluno, invece, dalla Provincia via libera al tiro al cormorano: ne vanno tirati giù dal cielo almeno venti. «Si corre il rischio di veder estinguersi la trota mormorata», confermano senza fare una piega i tecnici provinciali. Magari sarà così, ma s'è mai visto un cormorano che non mangi pesce? Nessuno risponde, tutti sparano. Amen.

I boschi sono anche suoi: non catturate l'orsa Daniza. Non ha senso pretendere che un animale predatore, reintrodotto per libera scelta dall'uomo, non difenda i suoi cuccioli, scrive Gianluca Felicetti, Presidente Lega anti vivisezione (Lav), su “Il Giornale”. È grande la mobilitazione popolare di questi giorni in difesa dell'orsa Daniza in Trentino. Una bella prova di senso civico, buon senso, in favore del diritto di una mamma a vivere libera con i suoi figli. Non lo ha purtroppo capito il Ministro dell'Ambiente Galletti che ha avallato al telefono dalle sue vacanze la condanna all'ergastolo del plantigrado, l'ennesimo, in 100 metri per 100 spacciati come un «rifugio naturale». Dando peraltro un colpo in testa alla politica ambientale del suo stesso Ministero, di rinaturalizzazione del territorio e tutela della biodiversità. Ora speriamo che le vie legali diano ragione a noi che, con la stragrande maggioranza degli italiani, chiediamo semplicemente che Daniza possa continuare a fare l'orsa e che i suoi cuccioli non vengano fatti crescere solo per essere catturati e imprigionati fra qualche anno. D'altronde l'orsa non è andata in Trentino di sua spontanea volontá. Da una quindicina d'anni, con il Progetto «Life Ursus», pagato fior di milioni dalla ora colpevolmente silenziosa Unione Europea (Commissario Potocnick, se ci sei batti un colpo) diversi plantigradi sono stati portati dalla Slovenia sul nostro arco alpino. Per ripopolare quelle zone con un abitante presente da migliaia di anni e poi sterminato dalla nostra specie. Non è il caso di tornare qui sulla vergognosa Provincia di Trento, Autonoma tanto da decidere per conto proprio due mesi fa una modifica unilaterale dell'Accordo interregionale sulla protezione dell'orso, inserendo grazie al proprio Assessore-veterinario-amministratore unico del macello Alta Valsugana (sic), Dallapiccola, la definizione di animale «nocivo» cancellata dalla legislazione nazionale dal 1977. Una premessa importante, per quanto poi successo con Daniza. La morale di questi giorni, a mio avviso, è che sulla pelle di questi animali si gioca l'incompetenza di Amministratori pubblici, l'inconsistenza di uffici cosiddetti tecnici e scientifici e operazioni di marketing turistico dal corto respiro fondate proprio su una classica accusa che si fa a noi animalisti. Quella di pensare che il mondo, il mondo degli altri animali, selvatici, sia come quello disegnato da Disney. Dove i conflitti fra specie non esistono, dove tutto «finisce bene». I Servizi faunistici provinciali, i biologi dell'Ispra, non avevano messo in conto che un cercatore di funghi (la cui sicurezza sta a cuore anche a noi) avrebbe potuto mai incappare in un orso? E che il diritto, per entrambi, all'autodifesa con i propri mezzi (artigli o gambe levate) non sia naturale? Quanti fungaioli muoiono ogni anno per colpi di fucili da caccia eppure non si chiudono, purtroppo, i cacciatori in un recinto? No, è che anche in questo caso, vogliamo imporre, come la nostra specie ha fatto sempre, alle prime normali difficoltá e peraltro evitabili, la legge «del più forte» e vogliamo di fatto che i boschi siano silenziosi, artificiali. Per poi esclamare stupore alla visione del primo documentario sulla savana africana che, però, è lì ben lontana... Gli orsi dunque vanno bene solo in tv, nei cartoni animati, nei manifesti turistici, come pelouche. Un po' come i lupi in Maremma: viva l'immagine di natura incontaminata solo fino a che è sulle foto pubblicitarie e sui social network. Guai però se i predatori, concorrenti di una categoria umana con prolungamento metallico, fanno i predatori.

Ma è un parco naturale o una “macelleria ecologicamente sostenibile”? Si chiede il Gruppo d’Intervento Giuridico onlus, Lega per l’Abolizione della Caccia. Al Parco naturale regionale “Porto Conte”, gestito dall’omonima Azienda speciale del Comune di Alghero (SS), hanno avuto un’ideona: realizzare un piccolo impianto di macellazione degli altri animali catturati nel corso delle operazioni dei piani di contenimento della fauna selvatica ritenuta in eccesso. Finora il Parco ha catturato dal 2008 un migliaio di Cinghiali (Sus scrofa meridionalis), molto spesso porcastri, cioè ibridi maialexcinghiale, come accade anche nel Parco nazionale dell’Arcipelago della Maddalena, grazie a dissennate operazioni condotte a fini venatori degli anni passati. Ora, così “la carne di cinghiale entrerà a far parte di quei prodotti del Parco certificato dal Marchio delle aree protette. E contestualmente consentirà al Parco di produrre economia e reddito da una risorsa faunistica che oggi sta creando molti danni”, afferma il presidente dell’Azienda speciale Stefano Lubrano, già sindaco di Alghero. E dopo, secondo l’intendimento di questo difensore della natura, sarà il turno del Daino (Dama dama), per cui chiede anche la modifica della legge regionale n. 23/1998 e s.m.i. in quanto oggi specie non cacciabile. Un parco naturale non può trasformarsi in una macelleria ecologicamente sostenibile. La sola ipotesi è un’idiozia. “Nei parchi naturali regionali e nelle riserve naturali regionali l’attività venatoria è vietata, salvo eventuali prelievi faunistici ed abbattimenti selettivi necessari per ricomporre squilibri ecologici. Detti prelievi ed abbattimenti devono avvenire in conformità al regolamento del parco o, qualora non esista, alle direttive regionali per iniziativa e sotto la diretta responsabilità e sorveglianza dell’organismo di gestione del parco e devono essere attuati dal personale da esso dipendente o da persone da esso autorizzate scelte con preferenza tra cacciatori residenti nel territorio del parco, previ opportuni corsi di formazione a cura dello stesso Ente” (art. 22 della legge n. 394/1991 e s.m.i.): piaccia o no, “prelievi faunistici” e “abbattimenti selettivi” in un area naturale protetta sono l’extrema ratio in presenza di accertati “squilibri ecologici” e, in particolare per il Daino, presente nella Foresta demaniale di Porto Conte, gli eventuali esemplari in eccesso possono benissimo essere catturati e trasferiti in altre Foreste demaniali della Sardegna. L’Azienda speciale, anziché preoccuparsi di bistecche di Daino e salumi di Cinghiale, dovrebbe preoccuparsi di predisporre il piano del parco, strumento fondamentale di gestione dell’area naturale protetta tuttora assente. Naturalmente ci opporremo con ogni mezzo legale a tali intendimenti a dir poco assurdi per un parco naturale.

Dal sito web istituzionale del Parco naturale regionale “Porto Conte”, 27 giugno 2014. Entro settembre le autorizzazioni sanitarie necessarie all´avvio del piano di contenimento dei cinghiali. Entro settembre arriveranno le tanto attese autorizzazioni sanitarie necessarie all'avvio operativo del nuovo piano triennale di contenimento della popolazione del cinghiale nell'area del Parco di Porto Conte. Lo ha garantito lo staff tecnico dell'Assessorato regionale alla Sanità alla dirigenza dell'Ente Parco che finalmente dopo circa un anno di attesa ha ottenuto nei giorni scorsi a Cagliari le risposte attese, grazie ad un incontro tecnico operativo finalizzato a rimuovere le criticità e quindi lavorare per il decollo del nuovo piano di controllo. Ma non è tutto, il Parco di Porto Conte è andato oltre concordando sia con l'Assessorato regionale alla Sanità che con quello della Difesa dell'Ambiente, per superare qualsiasi ulteriore difficoltà burocratica di ordine sanitario, la realizzazione in proprio di un piccolo impianto polivalente di macellazione della fauna selvatica (oggi assente in Sardegna) che consentirà all'Ente di lavorare le carni direttamente in loco e aprendo la strada a quella filiera produttiva tanto auspicata ossia: la carne di cinghiale entrerà a far parte di quei prodotti del Parco certificato dal Marchio delle aree protette. E contestualmente consentirà al Parco di produrre economia e reddito da una risorsa faunistica che oggi sta creando molti danni. Il nuovo piano triennale predisposto dallo scorso anno, presto operativo con le autorizzazioni sanitarie che arriveranno entro settembre, contiene diversi elementi di novità tra cui un coinvolgimento molto più attivo dei coadiutori della fauna selvatica recentemente formati e qualificati dall'Ente Parco e dei privati proprietari dei poderi, che saranno chiamati in alcuni periodi a gestire anche le catture con gabbia all'interno dei terreni, qualora ne facciano richiesta. Una risposta decisamente forte ai disagi manifestati dagli abitanti di Maristella e delle altre zone appoderate e che era già stata comunicata ai residenti in diversi incontri, ultimo quello pubblico nella borgata di Fertilia. Grazie al coinvolgimento della Provincia di Sassari e degli altri Enti preposti, la volontà è quella di agire efficacemente anche su altre specie invasive come la cornacchia e il daino. Per quest'ultima specie il percorso è più articolato in quanto sarà necessario che si esprima il consiglio regionale per inserire questo ungulato tra le specie cacciabili, ma l'iter è già stato avviato. Al momento infatti, la Regione Sardegna è tra le pochissime regioni che ancora non ha eseguito questa modifica alla normativa sulla caccia. Non appena il piano sarà operativo l´Ente Parco chiederà la collaborazione dei comitati di borgata e delle associazioni degli agricoltori al fine di perfezionare le azioni di cattura nelle aree appoderate più sensibili e più danneggiate dagli animali. Sarà infatti necessaria la disponibilità degli agricoltori affinché possano essere installate le gabbie di cattura. 'Speriamo che con questo piano arrivino concretamente quei risultati al quale l'Ente Parco sta lavorando dal 2008 e che la popolazione residente nell'agro attende – commenta il presidente del Parco Stefano Lubrano – solo rimuovendo queste criticità la gente dell'agro probabilmente si avvicinerà con maggiore convinzione al Parco vedendone il potenziale di sviluppo non solo in termini di economia turistica, ma anche di gestione delle risorse naturali. Ci piace comunque sottolineare ancora una volta che dal 2008 ad oggi il Parco ha eliminato oltre un migliaio di cinghiali che a quest´ora sarebbero il triplo senza la gestione dell'area protetta ed inoltre occorre sempre ricordare come evidenziato dal tavolo regionale che il problema cinghiale riguarda drammaticamente l´intera regione Sardegna e non solamente l'area di Porto Conte.

Da La Nuova Sardegna, 28 giugno 2014. Alghero, carne di cinghiale e daino con il marchio del Parco. In autunno partirà la cattura selettiva e la macellazione dei dannosi suini. Per le altre specie invasive occorre la modifica della legge regionale sulla caccia. (Pinuccio Saba). Prosciutti, salami e salsicce, pancetta (magra), tocchi di carne di cinghiale e forse anche di daino da spadellare a piacere. Con il valore aggiunto del marchio del Parco regionale di Porto Conte. No, non è un sogno di chef e buongustai ma più semplicemente il piano di contenimento della fauna selvatica, varato dal Parco di Porto Conte che ha ottenuto il via libera dall’assessorato regionale alla Sanità. Entro settembre arriveranno le tanto attese autorizzazioni e a ottobre partirà la campagna di cattura e abbattimento dei cinghiali e la carne verrà inserita fra i prodotti certificati del parco. Ma questa non sarà l’unica novità: sempre con l’assessorato regionale alla Sanità e con quello alla Difesa dell’Ambiente è stato deciso che il Parco realizzerà un piccolo impianto per la macellazione della fauna selvatica (sarà il primo in Sardegna), che consentirà la lavorazione della carni in loco, attivando così per il Parco una piccola fonte di approvvigionamento economico e aprendo la strada a quella filiera produttiva tanto auspicata. Grazie al coinvolgimento della Provincia e degli altri enti preposti, la volontà è quella di agire efficacemente anche su altre specie invasive come la cornacchia e il daino. Per quest’ultima specie il percorso è più articolato in quanto sarà necessario che si esprima il consiglio regionale, ma l’iter è già stato avviato. Non appena il piano sarà operativo l’Ente Parco chiederà la collaborazione dei comitati di borgata e delle associazioni degli agricoltori al fine di perfezionare le azioni di cattura nelle aree più danneggiate dagli animali. I problemi causati dalla presenza dei cinghiali (e ora anche dai daini) sono di vecchia data e risalgono all’istituzione della vecchia oasi “Arca di Noè” e non va dimenticato che negli ultimi sei anni il parco ha eliminato un migliaio di suini. «Speriamo che con questo piano arrivino concretamente quei risultati al quale l’Ente Parco sta lavorando dal 2008 e che la popolazione residente nell’agro attende – commenta il presidente del Parco Stefano Lubrano –. Solo rimuovendo queste criticità la gente dell’agro probabilmente si avvicinerà con maggiore convinzione al Parco vedendone il potenziale di sviluppo non solo in termini di economia turistica, ma anche di gestione delle risorse naturali».

Dall’altra parte della campana.

Nessuno pretende che i Boschi ed i terreni coltivati siano "decontaminati" da Animali Selvatici di ogni genere. Certamente l'Agricoltura può creare problemi all'Avifauna ed agli Insetti Utili, vedi le Api, con l'uso indiscriminato di Pesticidi e dalla caccia incontrollata, quindi anche i Cinghiali in numero controllato possono e devono essere presenti sui terreni. Ma da qualche anno sembra che in tutta Italia, dal Nord al Sud, si sia manifestata una enorme proliferazione di Ungulati ai quali negli anni passati era proibito sparare. Adesso ne paghiamo le conseguenze, spiega una nota della Coldiretti di Novara-VCO che ne sottolinea il disagio derivante da questa situazione.

Il pastore è l’unico uomo che – a differenza degli altri – conta le pecore anche dopo aver dormito. E qualche volta gliene mancano davvero tante...scrive “Quale Formaggio”. Ancora una strage di pecore, a Tragliatella di Fiumicino in provincia di Roma, dove alcune notti fa un branco di cani randagi ha seminato morte e terrore in un gregge reduce da una transumanza di tre ore (una transumanza in camion, che comunque stanca le bestie, ndr) uccidendo una sessantina di capi e ferendone quaranta. A Domenico Stocchi, pastore reatino di Albaneto, proprietario degli animali, non è rimasto che sporgere denuncia e contattare l’Asl locale per salvare il salvabile. Un’impresa che ha «poche speranze» di riuscita - dice affranto l'interessato - perché «le ferite da morso portano spesso all’abbattimento dei capi». Casi come questo arrecano alle residue attività pastorali danni difficilmente sostenibili: oltre alla perdita degli animali uccisi si aggiunge quella del latte delle bestie in terapia antibiotica, da cui per ovvi motivi non si può produrre formaggio. Eppoi c'è lo stress patito dal resto del gregge, che ha comportato una forte riduzione della resa lattea: «il trauma è stato così grande», incalza il pastore, «che il giorno seguente le pecore ci hanno dato 130 litri di latte appena, vale a dire la metà del solito (trecento litri, ndr), con cui produciamo appena 22 chili di pecorino e ricotta al giorno». Un rimborso parziale, certo, arriverà prima o poi dagli enti regionali, ma il problema immediato è quello della liquidità: «Una pecora costa sui 200 euro, ma il calcolo da fare è un altro», insiste Stocchi. «Ho cresciuto le bestie sino a oggi per poter produrre latte e formaggio; ora che l'animale non c'è più devo ricominciare un ciclo da zero. E poi questi soldi mi arriveranno tra due o tre anni, e io le pecore le devo ricomprare adesso». Qualche certezza per ora il pastore ce l'ha, e non è certo positiva: le uscite, visto che l’affitto dei terreni lo dovrà pur pagare, e i ridotti livelli produttivi. Una situazione grave, quindi, in quanto non esistono tutele per chi subisca incidenti come questo, che sono sempre più frequenti, a causa del randagismo (cani, appunto, ndr) e dell'inadeguata gestione della fauna selvatica (lupi, orsi, etc., ndr). Lo stesso Stocchi, nel 2001, si era già trovato nei guai mentre era in transumanza all'interno del Parco del Veio, nel comune di Sacrofano, a nord di Roma. Allora furono animali selvatici, e si trattò di una vera e propria mattanza, con oltre duecento ovini uccisi, e il pastore che si vide costretto lui stesso a pagare le spese per l’incenerimento delle carcasse. «Senza contare la morte degli animali, la spesa fu di quindici milioni di Lire, a fronte del quale arrivò un risarcimento del Ente Parco di dieci milioni». Il livello di esasperazione cresce quando si percepisce una burocrazia distante anni luce dalla realtà pastorale: le autorità competenti si limitano, in casi come questo, a provvedere alla castrazione dei predatori. Ma un animale affamato, sterilizzato o meno che sia, rimane pur sempre un animale in cerca di cibo e in grado di portare morte e devastazione all'interno di un gregge. Come denuncia ormai da tempo Nunzio Marcelli, presidente dell’Arpo (Associazione Regionale Produttori Ovicaprini abruzzesi), in Italia non esiste un preciso piano di difesa a favore delle attività pastorali, a differenza di altri Paesi comunitari in cui esso è considerato per quello che è: un patrimonio da valorizzare e difendere, tanto da riconoscere un compenso al pastore, se non altro, per la sua opera di pulizia dei terreni dalle erbacce. Un barlume di speranza potrebbe però arrivare a breve da una nuova discussione alle Camere su alcuni disegni e proposte di legge relativi alla riforma sulla caccia. All’interno di essi verranno trattate le questioni inerenti i risarcimenti dei danni all'agricoltura provocati dalla fauna selvatica, che oggi sono stimati dalla Coldiretti in circa settanta milioni di Euro l’anno. Ma un dubbio ci assale: si ricorderanno della pastorizia?

Come la giri giri, ti rimane lo scoramento che fa tutti scontenti. Mai qualcuno con un po' di cervello che sappia saggiamente adottare gli opportuni provvedimenti ed applicarli con oculata ed efficiente gestione? 

FIDO COME UN FIGLIO.

A chi affidare “Fido” quando ci si separa? L’eccessivo amore per Fido o Micio è al 5° posto nella classifica delle motivazioni della separazione…scrive “Leggi Oggi”. Molti non sanno che in Italia l’amore per Fido o Micio è al 5° posto nella classifica delle motivazioni della separazione, attribuendo ai mariti “l’addebito” nel 70% dei casi di dedicare più cure al cane che alla moglie. La causa della separazione è, a parere dell’etologo Danilo Mainardi, la rivalità scatenata dalla presenza dell’animale : “Il cane si inserisce moltissimo nelle dinamiche familiari, un partner lo difende e l’altro no, si creano rivalità. Peggio ancora quando si è costretti a rinunciare alle vacanze, perché non si sa a chi affidarlo.” Il pet può dunque diventare un vero e proprio “rivale in amore”, alimentando sentimenti di gelosia in uno dei due coniugi per le attenzioni che riceve dall’altro. Ciò accade, soprattutto, nei casi in cui il cane o gatto apparteneva già ad uno dei due partner prima del matrimonio o della convivenza mentre, nel caso in cui la decisione di prendere il cucciolo sia stata comune, diventa più semplice mediare e trovare un accordo. In attesa che sia portata all’attenzione delle Camere la proposta di legge presentata dall’ “Intergruppo Parlamentare Animali”, volta a raccordare le norme vigenti con quelle già adottate in materia in sede europea, cominciano ad essere numerose le sentenze in materia di affido del cane o del gatto, muto testimone della fallita unione coniugale e non. Se, in ambito penale, si è posto rimedio al vuoto normativo, con l’approvazione della Legge 189 del 2004, in ambito civilistico sono evidenti le carenze ancora senza rimedio nella legislazione in tema di animali. Più di una famiglia su due in Italia vive con un animale domestico e sempre più nella vita di tutti i giorni si verifica che i cosiddetti “animali d’affezione”, cani, gatti, conigli, furetti e C., divengano loro stessi materia del contendere. Queste le novità di cui si chiede l’approvazione.

(Introduzione del titolo XIV-bis del libro primo del codice civile). 1. Dopo il titolo XIV del libro primo del codice civile è aggiunto il seguente:

«Titolo XIV-bis degli animali. 

Art. 455-bis. - (Diritti degli animali). - Gli animali sono esseri senzienti. Gli animali che sono d'ausilio al lavoro dell'uomo hanno diritto ad un adeguato nutrimento, al riposo, alle cure e, in generale, ad un trattamento che ne salvaguardi l'integrità fisica. Le disposizioni relative ai diritti civili delle persone si applicano anche agli animali, in quanto compatibili e non in contrasto con le leggi speciali in materia di animali. Agli animali si applicano, altresì, le leggi speciali in materia e le disposizioni del presente codice, in quanto applicabili.

Art. 455-ter. - (Affido degli animali familiari in caso di separazione dei coniugi). - In caso di separazione dei coniugi, proprietari di un animale familiare, il tribunale, in mancanza di un accordo tra le parti, a prescindere dal regime di separazione o di comunione dei beni e a quanto risultante dai documenti anagrafici dell'animale, sentiti i coniugi, i conviventi, la prole e, se del caso, esperti di comportamento animale, attribuisce l'affido esclusivo o condiviso dall'animale alla parte in grado di garantirne il maggior benessere. Il tribunale è competente a decidere in merito all'affido di cui al presente comma anche in caso di cessazione della convivenza more uxorio.

Art. 455-quater. - (Animali familiari detenuti in abitazioni private). - Nel regolamento di condominio non possono essere inserite disposizioni che, in qualunque modo, limitino il diritto di ciascun condomino a possedere o a detenere un animale familiare, nonché la facoltà o le modalità del proprietario o del detentore di ospitarlo nella sua abitazione. Tali limitazioni non possono essere previste neanche da deliberazioni assembleari assunte all'unanimità. Ogni eventuale clausola che contrasti con le disposizioni del presente comma si considera come non apposta. Nessun accordo tra le parti contraenti, pubbliche o private, può avere ad oggetto limitazioni al diritto di possedere o di detenere un animale familiare o alla facoltà del proprietario o del detentore di ospitarlo nella sua abitazione. Tali limitazioni comportano la nullità dell'accordo per illiceità della causa. Le clausole inserite, in violazione delle disposizioni del primo comma, nei contratti di locazione, di usufrutto di abitazione, di comodato d'uso e di vendita di immobili, se destinati ad uso abitativo, sono nulle a tutti gli effetti di legge. Il transito e la permanenza di animali familiari nelle parti comuni degli edifici ad uso abitativo o in aree private sono sempre consentiti e devono avvenire sempre in presenza o sotto la responsabilità del proprietario o del detentore, che garantisce la pulizia degli spazi comuni eventualmente sporcati dal proprio animale. Nel caso in cui si tratti di cani, il transito è consentito con l'ausilio del guinzaglio. Non è consentito ostacolare il transito e la permanenza, per il tempo necessario, alle persone che accudiscono gli animali familiari. Resta ferma la responsabilità civile del proprietario o del detentore, ai sensi dell'articolo 2052, per qualunque danno cagionato dall'animale.

Art. 455-quinquies. - (Affidamento degli animali familiari in caso di morte del proprietario o del detentore). - In caso di decesso del proprietario o del detentore di un animale familiare, il curatore, previo assenso dell'erede o del legatario onerato, sentiti tutti gli eredi e i legatari e previo assenso del tribunale, ne attribuisce la custodia temporanea, fino alla devoluzione definitiva, all'onerato o, in mancanza, a chi ne fa richiesta potendo garantire il suo benessere. In mancanza di accordo, decide il tribunale che provvede, altresì, sentiti gli enti e le associazioni individuati con decreto del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali ai sensi dell'articolo 19-quater delle disposizioni di coordinamento e transitorie per il codice penale, di cui al regio decreto 28 maggio 1931, n. 601, per l'affidamento definitivo, emanando i provvedimenti necessari.

È legittima la devoluzione di beni mobili o immobili a una persona, a un ente o a un'associazione con il vincolo che tali beni servano alla miglior custodia del proprio animale.

Art. 455-sexies. - (Pignoramento di animali familiari). - Gli animali familiari non possono essere messi all'asta giudiziaria. Lo scopo patrimoniale o lucrativo del pignoramento di un animale familiare deve risultare esclusivamente da idonea e attendibile documentazione fornita dal creditore istante all'ufficiale giudiziario all'atto della richiesta del pignoramento o da univoca documentazione altrimenti reperita dall'ufficiale giudiziario nei luoghi di pertinenza del debitore esecutato in sede di pignoramento. La documentazione di cui al secondo comma, ove presente, concorre, in originale o in copia, in caso di pignoramento positivo, unitamente al relativo verbale dell'ufficiale giudiziario a formare il fascicolo dell'esecuzione. In mancanza della documentazione di cui ai commi secondo e terzo, nessun animale può essere assoggettato a pignoramento o a procedura esecutiva di alcun genere, né a sequestro conservativo ai sensi degli articoli 2905 e seguenti del presente codice e degli articoli 671 e seguenti del codice di procedura civile né essere comunque oggetto di vendita o di espropriazione forzate.

Art. 455-septies. - (Accesso dei cani e dei gatti in locali pubblici e privati e ai mezzi di trasporto pubblico). - Nei locali pubblici e privati aperti al pubblico, nei locali dove si esercita attività per i clienti e nei mezzi di trasporto pubblico o che forniscono un servizio aperto al pubblico, l'accesso con cane al guinzaglio e disponibilità di museruola, da utilizzare su richiesta del responsabile del locale o del servizio stesso, è sempre consentito. È altresì consentita la conduzione del cane o del gatto nell'apposito trasportino. Sono nulli eventuali divieti o altri tipi di limitazioni vigenti alla data di entrata in vigore della presente disposizione.

Art. 455-octies. - (Obbligo di segnalazione di animali abbandonati). - Chiunque trovi un animale vagante considerato non di proprietà è tenuto a darne avviso, anche tramite la polizia municipale, al sindaco del luogo in cui è effettuato il ritrovamento, indicando le relative circostanze. Chiunque trovi un animale familiare o comunque domestico ferito o altrimenti in pericolo, è tenuto, se in grado, a prestargli l'assistenza occorrente, in ogni caso, a darne immediato avviso all'autorità competente.

Art. 455-novies. - (Animali delle Forze di polizia). - Gli animali utilizzati per servizio dalle Forze di polizia nazionale o locale non sono classificabili in base al loro valore economico. Se riformati e comunque al termine dell'impiego o del servizio devono essere ceduti immediatamente a titolo gratuito a chiunque ne faccia richiesta potendone assicurare il benessere e, in caso di animali da reddito, ne è vietata la macellazione.

Art. 455-decies. - (Vendita di animali). - Nella vendita di animali la garanzia per i vizi è regolata dalle leggi speciali in materia di animali o, in mancanza, dalle norme previste dagli articoli 1490 e seguenti. La vendita, o la cessione a qualsiasi titolo, di un animale è sempre effettuata con contestuali certificazione veterinaria scritta e certificazione della precedente proprietà e del luogo di provenienza. La proprietà di un cane transita dal venditore al compratore solo dopo la registrazione dell'animale all'anagrafe canina e l'inoculazione del microchip o dopo la modifica della precedente registrazione.

Gli articoli 1520 e 1521 non si applicano agli animali.

Art. 455-undecies. - (Divieto di marchiatura, di conchectomia e di caudotomia). - La marchiatura a fuoco di animali è vietata anche se effettuata per attestazione di proprietà. La conchectomia e la caudotomia costituiscono pratiche di maltrattamento degli animali e sono vietate. È vietata l'esposizione di animali marchiati a fuoco o che abbiano subìto conchectomia o caudotomia».

Attualmente, in caso di separazione o cessazione di convivenza, non vi sono norme ad hoc che disciplinino la materia, lasciando alla sensibilità di pochi magistrati il compito di dirimere controversie roventi sull’argomento. Basta l’intestazione del microchip o è chi lo cresce e se ne occupa a dimostrare di avere più titolo a tenerlo con sé dopo il naufragio dell’unione? In materia, la prima sentenza in assoluto cui riferirsi è quella emessa dal Tribunale di Cremona l’11.6.2008, secondo cui: ”valgono le regole per l’affido congiunto” come sei i due cani in questioni fossero i “figli” della coppia. In realtà, se per un figlio questo è , quando funziona, il regime più idoneo per crescere, stante la separazione dei genitori, per i cani non vale lo stesso principio. Il cane è, per sua natura un gregario che elegge in uno soltanto dei componenti della famiglia il suo “capobranco” che diventa il suo riferimento principale per tutta la vita. Anche per lui, come per i figli, occorre gestire il “trauma da separazione” a causa dei cambiamenti di vita che la separazione impone. Non è infrequente riscontrare casi di animali che “somatizzano” tale ansia , manifestando gravi sintomi per la perdita o l’allontanamento dal loro padrone e va in questa direzione l’aver affermato il principio che, a prescindere dal titolo di proprietà, il cane o il gatto sarà affidato a chi sia in grado di garantire la migliore sistemazione, garantendogli il benessere psico-fisico necessario. Insomma, tra moglie e marito non mettere il… micio.

I cani come figli minori. Secondo i dati Euriseps, il 55,3% delle famiglie italiane, ospita almeno un animale domestico,  il cane è l’animale più comune nelle nostre case, a questo riguardo è importante sapere, in caso di separazione dei coniugi, con chi questi animali vivranno?

Il tribunale ordinario è competente a decidere, ai sensi del primo comma, in merito anche in caso di cessazione della convivenza more uxorio.

Il tribunale di Milano ha così sentenziato il 13 marzo del 2013: : "L’animale non può essere più collocato nell’area semantica concettuale delle “cose” dovendo essere riconosciuto come “essere senziente”. Non essendo l’animale una «cosa», bensì un essere senziente, è legittima facoltà dei coniugi – in sede di separazione – quella di regolarne la permanenza presso l’una o l’altra abitazione e le modalità che ciascuno dei proprietari deve seguire per il mantenimento dello stesso". Gli animali domestici, sono visti dai tribunali come figli minori, quindi devono essere lasciati con chi hanno più uno stretto rapporto, ed entrambi i coniugi devono provvedere al suo mantenimento, tale raggiungimento di civiltà permette di poter considerare gli animali, esseri  senzienti, capaci di provare emozioni, esseri tutelati e rispettati, non possiamo che essere felici di poter vedere non solo rispettati gli animali ma anche il rapporto uomo-animale rispettato e tutelato.

Non solo figli, casa e assegni di mantenimento. Quando si deve affrontare una separazione o un divorzio, c'è anche questo dilemma da risolvere: a quale degli ex coniugi va affidato il cane, il gatto o l'animale domestico di turno? Se ne sta discutendo in Francia proprio in questi giorni, cercando di chiarire l'argomento a livello legislativo, scrive “Affari Italiani”. Famoso, Oltralpe, è il caso di Aubépine (Biancospino), una Cavalier King Charles che si è ritrovata al centro di una battaglia giudiziaria. Il giudice del tribunale di Alès aveva affidato la bestiola al suo padrone, con una multa di 50 euro al giorno in caso di ritardo nella consegna da parte della padrona. E' l'incertezza giuridica sullo status dell'animale a complicare le cose. Secondo qualcuno va considerato un bene materiale, qualcun altro dice che andrebbe applicato lo stesso principio seguito per l'affidamento dei figli. In genere, se la bestia è stata acquistata prima delle nozze, è logico farla tornare a vivere con il suo proprietario iniziale. Se invece è stata acquistata dai coniugi insieme, la decisione si complica. In genere sono gli ex a trovare l'accordo, almeno su questo aspetto. Ma se così non succede, è il giudice che deve intervenire, guardando al benessere dell'animale. Al di là del dibattito filosofico, che cosa prevede la legge in Italia? Lo spiega ad Affaritaliani.it Sara Severini, avvocato matrimonialista e autrice della rubrica "Comunione e Separazione", commentando: "L'animale domestico nel corso della separazione può essere gestito come un figlio". "La questione è stata oggetto di un recente disegno  di legge (nr. 3231 della XVI legislatura)  che propone di introdurre dopo il titolo XIV del libro primo del codice civile il “Titolo XIV-bis degli animali” di cui l’art. 455-ter (Affido degli animali familiari in caso di separazione dei coniugi) così dispone: In caso di separazione dei coniugi, proprietari di un animale familiare, il Tribunale, in mancanza di un accordo tra le parti, a prescindere dal regime di separazione o di comunione dei beni e a quanto risultante dai documenti anagrafici dell'animale, sentiti i coniugi, i conviventi, la prole e, se del caso, esperti di comportamento animale, attribuisce l'affido esclusivo o condiviso dall'animale alla parte in grado di garantirne il maggior benessere. Il tribunale è competente a decidere in merito all'affido di cui al presente comma anche in caso di cessazione della convivenza more uxorio. In ambito europeo (Convenzione per la protezione degli animali da compagnia firmata a Strasburgo il 13 Novembre 1987) e secondo l'opinione dei nostri tribunali, l'animale non puo' più essere assimilato ad un semplice bene-oggetto della coppia, ma diventa un essere "senziente " titolare di diritti, anche dopo lo scioglimento del matrimonio dei suoi padroni. E' quindi legittima la facoltà dei coniugi di regolarne la permanenza presso l’una o l’altra abitazione e, insieme ad essa, le modalità che ciascuno dei proprietari deve seguire per il mantenimento. In altri termini - conclude Severini - l'animale domestico nel corso della separazione può essere gestito come un figlio!".

ANIMALI COME I FIGLI, MA VANNO ALL'ASTA. 

Equitalia: ora anche i cani vanno all'asta. I nostri animali domestici, dal punto di vista giuridico, sono considerati una “res”, una cosa, dunque possono essere pignorati come si fa con i divani e le automobili..., scrive “Rai News”. All’asta come un televisore. Pignorati come l’automobile. Sono i cani, i migliori amici dell'uomo che finiscono nell'elenco dei beni 'oggetto di pignoramento'. A confermarlo un ufficiale giudiziario intervistato nella trasmissione Ballarò del 16 aprile: “Si possono pignorare anche i cani” aveva detto. Notizia che ha suscitato non poco scalpore tra il pubblico ma anche negli ambienti animalisti. Un cane è certo una ricchezza, questo è vero ma per la legge ora è anche un "res", un bene. In Italia, nel 42% delle famiglie italiane, un cane è di grande aiuto soprattutto per quegli anziani soli per cui l'amore incondizionato di un animale riesce a compensare tante ferite in cambio solamente di un tetto sicuro, un po' di affetto e una ciotola. Una funzione sociale ed emotiva fondamentale ma non riconosciuta dalla legge italiana. Da un punto di vista strettamente procedurale, infatti, le parole dell’Ufficiale Giudiziario risultano essere veritiere: gli animali (vivi o morti) sono considerati un” bene” e nessuna tutela in quanto esseri dotati di sentimenti è loro riconosciuta; tanto che, in caso di maltrattamento, il reato individuato dalla Legge è solo quello in funzione del “sentimento per gli animali” e non “degli animali stessi”; in pratica l’oggetto da tutelare è il sentimento dell’uomo verso il proprio animale che può essere scosso da un eventuale maltrattamento. In realtà la pignorabilità degli animali domestici è poco applicabile e riconosciuta (almeno nel caso di animali da compagnia come i cani, i gatti i conigli ecc..). Il Codice di Procedura Civile dichiara pignorabili tutte le cose del debitore, quindi i beni suscettibili di valutazione economica; bisognerebbe quindi attribuire innanzitutto un valore economico agli animali (cosa fattibile per animali da stalla, come i cavalli, o da pascolo, ma assolutamente improbabile nel caso di animali da compagnia che hanno solamente un valore squisitamente affettivo). Inoltre esiste l’elemento non trascurabile della “ritorsione sull’affetto”  in materia di pignoramento: per evitare che il pignoramento dei beni di un proprietario possa tramutarsi in una forma indiretta di ritorsione psicologica sul debitore, la Legge esclude il pignoramento di tutti quei beni che abbiano un valore affettivo (le fedi nuziali, le lettere e gli scritti di famiglia, gli oggetti sacri, etc…). E’ stata una vicenda molto complicata, con un aspetto tecnico ed una prassi abbastanza differente. Il punto è questo nell’elenco dei beni “oggetto di pignoramento” del riscossore, come Equitalia, ci finiscono, comunque, anche gli animali domestici. Dunque, in ogni caso possono essere sottoposti a sequestro, in quanto, come abbiamo visto, sono considerati fonti di reddito. A conferma di tutto ciò, risponde un ufficiale giudiziario intervistato nella trasmissione  di Raitre “Ballarò”, il 16 aprile 2014 “Si possono pignorare anche i cani” aveva affermato. La nostra è una legislazione più complessa per il codice civile, gli animali sono “res”, proprio come un’auto o un vestito e non detentori di diritti o sentimenti. Non dimentichiamo, però, che una cosa perché possa essere sottoposta a pignoramento deve poter essere valutata. Non può essere assegnato, dunque, un valore economico a un animale domestico, cosa invece possibile per gli animali da stalla. Questo accade in quanto il suo valore è esclusivamente affettivo ad eccezione dei casi in cui si ha a che fare con animali che sono di razza o campioni del settore. In questo caso il pignoramento può farsi su carta ma nella pratica non avviene mai. C’è un rischio preciso, ovvero, quello della ritorsione sull’affetto che vieta a un ufficiale giudiziario di pignorare tutto ciò che può avere un valore affettivo (come ad esempio le fedi nuziali o gli oggetti sacri) per evitare che l’azione di pignoramento si trasformi in una sorta di ritorsione psicologica sul debitore.

"Giù le mani dai nostri animali. Equitalia fermi i pignoramenti". L'ex ministro Brambilla capeggia la rivolta contro chi vorrebbe equiparare cani e gatti a "beni" sequestrabili in caso di contenziosi, scrive  Oscar Grazioli su “Il Giornale”. Non molto tempo addietro, durante un talk show politico, ricordo che erano stati invitati degli Ufficiali Giudiziari per chiarire i poteri di Equitalia e delle sue frequenti «entrate a gamba tesa» verso i debitori (spesso presunti) nei confronti dello stato. Alla domanda specifica sulla possibilità di pignoramento per gli animali, l'invitato chiariva che, non solo quelli da reddito, ma anche «cani, gatti e canarini», compresi dunque quelli d'affezione, erano potenzialmente e legalmente pignorabili. Immagino che milioni di persone all'ascolto siano trasalite nel sentire queste parole, prova ne sia che, il giorno dopo sui social network, si riversavano migliaia di messaggi provenienti non solo dagli ambienti animalisti, ma anche dal semplice cittadino che possedeva Fido, Silvestro o Titti, considerati bersagli per le vendette dei creditori statali. Se ci fosse ancora qualche dubbio vedo di chiarirlo. Gli animali, vivi o morti, da reddito o d'affezione, sono considerati un «bene» e non gli è concessa alcuna tutela in quanto esseri dotati di sentimenti. Si pensi solo che in caso di maltrattamento, il reato che viene individuato dalla legge è quello in funzione del «sentimento per gli animali» e non «degli animali stessi». In altri termini, l'oggetto da tutelare è il sentimento dell'uomo che può essere scosso da un eventuale maltrattamento nei confronti del proprio animale. Del dolore psichico e fisico provato dall'animale stesso alla legge nulla cale. In realtà va detto che il pignoramento degli animali d'affezione risulta poco applicabile e del tutto eccezionale, anche se possibile. Ne fa fede l'episodio, avvenuto non molto tempo fa, di cuccioli di cane sequestrati e messi all'asta dalla Guardia di Finanza. La legge dichiara pignorabili i beni cui si può attribuire un preciso valore economico e questo è certamente agevole per due vacche da latte, ma decisamente ostico per due gatti che hanno un valore squisitamente affettivo. Del resto la stessa legge, per evitare che il pignoramento possa trasformarsi in una sorta di ritorsione psicologica verso il debitore e per salvaguardarne la dignità, esclude il pignoramento di alcuni beni, quali oggetti di culto, fedi nuziali, letti, decorazioni al valore, armadi, vestiti, frigo e lavatrice ecc. Difficile dunque che il pignoramento, nei confronti di animali d'affezione, venga effettuato, ma obbiettivamente possibile, in quanto considerati dei «beni». La battaglia per rendere anche questi «beni» non pignorabili è capitanata da Michela Vittoria Brambilla ex ministro del turismo e considerata universalmente e trasversalmente una «pasionaria» dalla parte del benessere animale. L'onorevole di Forza Italia, scende ancora una volta sul campo con una delle tante proposte di legge di segno animalista che la deputata ha presentato dall'inizio della legislatura. «Ormai - spiega la Brambilla - si è affermata una nuova sensibilità collettiva. Gli animali domestici sono considerati alla stregua di veri e propri componenti della famiglia. Le loro esigenze vanno rispettate. Purtroppo, però, negli ultimi anni, in più di una vertenza giudiziaria, molti animali domestici sono stati pignorati e messi all'asta e sono finiti nelle mani di chiunque, esattamente come succede per auto e mobili o per qualunque altro oggetto superfluo». La Brambilla si appella alla Convenzione di Strasburgo e al Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea che considera gli animali domestici esseri senzienti e come tali meritevoli di tutela Da qui la proposta di aggiungere al codice civile l'articolo 2911 bis, che mette al riparo tutti gli animali dal pignoramento e dall'asta giudiziaria. Azzerata la popolazione di Firenze. Ma potreste sostituire con Bari o Venezia, o comunque con una città la cui popolazione sia tra i 300 e i 370 mila abitanti. È questo il dato statistico degli animali abbandonati nel 2012 alla vigilia delle ferie, per quella scellerata abitudine di prendere un essere vivente e vincolarlo a un contratto di affetto a termine senza domandarsi che ne si farà poi al momento della partenza per le vacanze. Il dato è molto variabile perché non riguarda solo cani e gatti ma tartarughe, pesci, conigli, criceti. Nessuno scrupolo insomma nel mollare per strada quello che è solo considerato un vezzo o un oggetto. Al di là di ogni considerazione morale, la legge è ben chiara nello stabilire che abbandonare un animale è reato. Se state leggendo questo post è molto probabile che siete sensibili all'argomento e sia superflua ogni raccomandazione, vi chiedo anzi scusa per il tempo che vi sto prendendo. Proprio per questa sensibilità però, invito, ma consideratela più una preghiera, a non aver paura a denunciare lo scellerato che sta compiendo il gesto se vi capita di assistere all'abbandono. Si può denunciare chiedendo l'anonimato al Corpo Forestale dello Stato o ai Carabinieri. Si può addirittura prevenire se, conoscendo qualcuno che sospettate capace del gesto, decidete di impegnare pochi minuti del vostro tempo per mostrare delle immagini di animali abbandonati in rete. Una foto vale più di 1000 parole, anche solo per un criceto.

CHI NON AMA GLI ANIMALI, NON AMA IL PROSSIMO.

Rendono più lieta l'esistenza e noi li ricambiamo col nostro affetto. Che però a volte non basta: per accudirli bisogna capirli., scrive Vittorio Feltri su "Il Giornale". Ho l'impressione che chi non ama gli animali difficilmente riesca ad amare il prossimo, non dico come se stesso, ma neppure come le proprie scarpe. Sono altresì convinto che l'amore sia un bene divisibile in parti disuguali. Una scala di valori esiste anche negli affetti. Forse sbaglia chi si affeziona maggiormente al gatto che alla suocera, ma va capito: già, al cuore non si comanda, gli si può dare solo qualche consiglio, di norma inascoltato. Ciascuno di noi, quando apre la porta della propria abitazione a un animale domestico, è persuaso di sapere come agire per dargli un minimo di benessere. In realtà non è così semplice, come pensiamo, essere sempre all'altezza della situazione. È vero che i felini, per esempio, hanno fama di cavarsela da soli e di non avere bisogno di molte attenzioni per campare: sanno regolarsi col cibo e, se hanno un malessere, si appartano, si acciambellano in un angolo e non si muovono da lì finché non sono di nuovo in forma. Eppure non basta affidarsi alle chiacchiere popolari (che comunque hanno un fondamento) per essere sicuri di comportarci correttamente col nostro micio. Che merita di essere conosciuto meglio. Non occorre essere veterinari allo scopo di avere del feeling col gatto e col cane, ma serve imparare alcune nozioni fondamentali.

PREMIO HITLER PER CHI AMA GLI ANIMALI PIU' DELL'UOMO.

Il Premio Hitler manda in bestia gli animalisti. Da Federfauna riconoscimento a chi difende cani e gatti intitolato al Führer che varò una legge per difenderli. Ma è una provocazione, scrive Gianpaolo Iacobini su “Il Giornale”. Gli animalisti? Come i nazisti. E Federfauna li insignisce del premio Hitler. Un anno fa di questi tempi la Confederazione che riunisce allevatori, commercianti e detentori di animali l'aveva presentata come «un'iniziativa provocatoria», per uno scherzo del destino nata nella rossa Bologna. Obiettivo: «Riaffermare l'idea che gli animali, pur con i loro diritti, restano sempre funzionali all'uomo». Tesi abbinata al volto ed al nome del dittatore germanico, carnefice rigorosamente vegetariano che il 24 novembre del 1933 aveva varato una delle prime leggi a sfondo animalista, la Tierschutgesetz, ispiratagli dalla passione per i deutscher schäferhund, i cani da pastore tedesco. Travolto dalle polemiche, il premio «Adolf Hitler», «riservato a personalità distintesi nell'animalismo», sembrava destinato a un rapido tramonto. E invece no: due giorni fa Federfauna ed il suo presidente, Massimiliano Filippi, sono tornati alla carica fissando alla simbolica data del 24 novembre, proprio nella città delle due torri, la consegna del riconoscimento. «Durante la cerimonia verrà rivelato il nome del vincitore, al quale andrà una targa ricordo con l'immagine del Fuhrer che accarezza amorevolmente due caprioli sullo sfondo del campo di concentramento di Auschwitz, sovrastata dalla scritta «Animal Rights» corretta in «Animal Reich», si legge nel sito ufficiale della Confederazione, nel quale si precisa che «col vincitore verrà concordato il calendario di pranzi e cene a base di prodotti di origine animale che costituisce il resto del premio». In testa alla classifica (ma la graduatoria, radicata nel voto via mail di associati e semplici internauti, è da ritenersi ufficiosa) ci sarebbero l'ex sottosegretario Michela Brambilla ed il filosofo australiano Peter Singer, famoso per le sue teorie sulla negazione del consumo di carne e sulla liceità di aborto ed eutanasia. Più staccati i leader delle principali associazioni animaliste. Tra essi Gianluca Felicetti, numero uno della Lav, per nulla soddisfatto del risultato dell'equazione che lo accomuna ai nipotini del Fuhrer. «Sono contento che si divertano così: se non altro, si distrarranno dall'andare a caccia. Se invece sono alla ricerca di querele, sono sulla strada giusta», dice, senza glissare sul merito: «C'è chi ritiene che gli animali siano solo dei mezzi per soddisfare i propri bisogni. Noi pensiamo l'esatto contrario. I cambiamenti culturali al riguardo in atto ci confortano: continueremo ad impegnarci perché possano trovare accoglienza pure in sede legislativa». Sulla stessa lunghezza d'onda l'Enpa, che con la sua presidente Carla Rocchi striglia i federfaunisti col nerbo dell'ironia letteraria: «Questi signori hanno il diritto di vivere e di pensare, ma non di essere presi in considerazione. Se avessimo tempo da perdere, traendo spunto dalle novelle boccaccesche, potremmo organizzare per loro il premio Cacasenno». Serio e amaro, al contrario, il commento tutto politico del presidente dell'Anpi bolognese, Lino William Michelini: «Avevamo invitato Federfauna a recedere da un'iniziativa che rischia di marginalizzarla. La nostra protesta per l'utilizzo della figura di un sanguinario dittatore è rimasta inascoltata. Restano le critiche per una vicenda incresciosa che coinvolge anche Bologna, medaglia d'oro della Resistenza». Adesso condannata a far da sfondo al premio dedicato all'uomo che tanto amava gli animali da chiamare i suoi nemici «suini» e «sporchi cani». Senza dubbio, un'animalista. Premio Hitler" a chi ama gli animali più dell'uomo, scrive Rino Cammilleri. Riporta «Il Giornale» dell’8 novembre 2013 che la Federfauna ha istituito il premio «Adolf Hitler» per coloro che nel corso dell’anno si sono particolarmente distinti nell’amore per gli animali. Pare che favoriti siano l’ex sottosegretario Michela Brambilla e il filosofo australiano Peter Singer, arcinoto fautore di vegetarianismo, aborto, eutanasia e «amore libero» nel senso più ampio possibile. Il vincitore riceverà una targa con la foto del Führer che accarezza i caprioli (sullo sfondo, Auschwitz e la scritta “Animal Rights” corretta in “Animal Reich”). Luogo e data: la rossa Bologna, 24 novembre. Perché il 24 novembre? Perché in quel giorno, nel 1933, Hitler fece varare la prima legge al mondo a favore degli animali, detta Tierschutgesetz. Hitler era infatti, oltreché vegetariano, astemio e odiatore fanatico del fumo, un acceso animalista e sotto di lui la Germania fu la prima nazione a vietare la vivisezione negli istituti di ricerca. Il Terzo Reich arrivò a proibire il fumo nelle caserme della Luftwaffe (come ho più ampiamente riferito nel mio libro I mostri della Ragione, Ares) negli anni in cui tutto il pianeta fumava con gusto e gli Usa erano costellati di cartelloni in cui si invitava a fumare perché «faceva bene». Cosa sarebbero i films degli anni Trenta senza Humphrey Bogart e la sua perenne sigaretta accesa? Hitler adorava la sua cagna Blondie, un pastore (va da sé) tedesco (deutscherschäferhund), da cui non volle separarsi nemmeno nel bunker finale e che condivise con Eva Braun la pozione avvelenata. I giornali italiani anteguerra riportavano vignette satiriche in cui Hermann Goering (che condivideva le passioni di Hitler) passava tronfio in rivista tra due file di cani che gli facevano il saluto nazista. Il Reich costrinse gli scienziati tedeschi a studiare gli effetti del fumo e questi furono i primi a evidenziare il rapporto tra fumo e cancro ai polmoni. Insomma, l’attuale trend di pensiero ha tutto il suo apparato salutista, animalista, vegetariano, abortista, eutanasico ed eugenetico già presente nel Terzo Reich. È un’ascendenza imbarazzante, certo, ma carta canta. L’amore sviscerato della filosofia nazista per le bestie dimostra che il vecchio detto «chi non ama gli animali non ama gli uomini» non è altro che una emerita fesseria. La Federfauna, confederazione italiana di allevatori, commercianti e detentori di animali, intende col premio Hitler «riaffermare l’idea che gli animali, pur con i loro diritti, restano sempre funzionali all’uomo». Ovviamente, i favoriti al premio e gli animalisti in toto si sono infuriati per l’evidente presa di fondelli. Ma il presidente della Federfauna, Massimiliano Filippi sembra deciso ad andare fino in fondo, tant’è che al premiato verrà imbandita una cena di gala «a base di prodotti di origine animale, che costituisce il resto del premio». Gli animalisti, ripetiamo, non hanno gradito e hanno risposto per le rime. Ma certi loro metodi - taglio di reti, distruzione di gabbie (e conseguente morte per fame di visoni “liberati”), vernice sulle pellicce delle signore, vetrine di pelletterie spaccate, blitz nei centri di ricerca - ricordano alla lontana, piaccia o no, quelli delle camicie brune. Notizia recente: la morte di decine di cani da caccia in Valtrompia, storica zona di doppiette, letteralmente disseminata di bocconi avvelenati per opera di ignoti. Le autorità hanno dovuto mettere sull’avviso i proprietari di cani, perché il rischio è realmente alto (anche i cani da compagnia possono imbattersi nei nefasti bocconi, magari passeggiando nei boschi). Certo, non è giusto puntate il dito sulle associazioni animaliste, perché nessuno ha rivendicato il gesto. È però vero che gli uccellini del bresciano quest’anno potranno stare tranquilli. Ormai i cani, anche di grossa taglia, e ogni altro animale da compagnia possono salire sui treni, entrare nei negozi e aggirarsi tra gli ombrelloni. Ciò, certo, darà (e già dà) luogo a infiniti litigi con strascichi negli intasatissimi tribunali italiani, perché non tutti proprietari di animali sono educati o almeno non egoisti. Ma gli animalisti sono una minoranza aggressiva e ideologizzata. E, come tale, non si fermerà finché non avrà imposto i suoi diktat a tutta la nazione. Comprensibili le tasche piene della Federfauna, che, a differenza di altri, ha scelto l’innocua arma dello sberleffo.

Il mondo alla rovescia. Quando l'animalismo mette le bestie prima dei bambini, scrive Carlo Bellieni. Arriva l’estate e arriva il tormentone, peraltro apprezzabile, di non abbandonare i cani sulle autostrade o nei boschi. Appello encomiabile, ma fatto da una cultura malata, anzi in fin di vita. L’appello è giusto perché nessun essere vivente deve essere maltrattato. Ma la cultura è malata perché guarda i gatti e scorda i bambini. Oggi si parla di “adottare le balene”, mentre l’idea di adottare un bambino è passata ad “opzione di serie B” rispetto alla fecondazione in vitro tanto pubblicizzata. Le pubblicità di cibi per animali sono diventate incombenti e addirittura raffinate, mentre tanti piccoli muoiono di fame. Addirittura esistono cliniche estetiche per gatti e cani, mentre un tempo il veterinario era esclusivamente (ed etimologicamente) quello che si prendeva cura degli animali vecchi (“vetus”, in latino), per non lasciarli in preda alle malattie. Ma il problema grave è che mentre i bambini non nascono più, proliferano i cagnolini da compagnia. E le bambine sono addestrate dalla TV a prendersi cura di cani e gatti, oggi anche nella versione-bambolotto (così non sporcano) o virtuali così i bambini si rincitrulliscono ma i genitori stanno in pace. E contemporaneamente sono scomparsi i bambolotti-bambino, tanto che ormai le bambine e i maschietti sono rassegnati a scordarsi l’idea di avere un fratellino e orripilanti a quella di diventare mamma un giorno (ma siamo matti!) mentre invece si vedono bene come ammaestratrici di gatti o come dog-sitters. Ma la cultura verso gli animali cambia, rendendoci incapaci di chiamare i cani-cani e i bambini-bambini. Con conseguenze fatte solo per salvare l’apparenza (si fanno gare di pesca in cui il pesce viene ributtato vivo in acqua dopo esser stato esibito come trofeo e tutti sono contenti senza pensare che per essere pescato il palato del pesce è stato sbranato con un amo di acciaio, che lui è stato strappato a forza dal suo ambiente) o paradossali: è capitato di sentire un giornalista che, commentando un fatto di cronaca in cui un pastore aveva ucciso un lupo per difendere un agnellino, si esprimeva così: “Come era bello quel povero lupo. E come era brutto il pastore”.  E’ un amore per gli animali che nasce dalla consapevolezza che l’amore per gli uomini/donne non è meccanico, che si può essere traditi, che bisogna sacrificarsi per esso, che non è detentivo, e dal rifiuto - per paura, per debolezza - di quest’evidenza, con conseguente ricaduta del nostro bisogno di amare sui quadrupedi che invece tante pretese in apparenza non ne hanno, non possono scappare se non a loro scapito, e possono essere tenuti loro malgrado chiusi in casa mentre sarebbero ben lieti di correre lontano mille miglia, ma non sanno lamentarsi o perlomeno non si fanno capire. Insomma, non abbandonate il cane, sareste degli stupidi insensibili, ma non perché lasciate in campagna un cane, ma perché finora gli avete detto che era vostro figlio, lo avete imbastardito con le vostre coccole e i vostri cibi ricercati, e ora lo lasciate come un pesciolino abbandonato sulla spiaggia. Il dramma non è l’abbandono: è la trasformazione del vostro cane in vostro figlio.

MA DANNO COSI' FASTIDIO I CANI?

Ma danno così fastidio, i cani? Si chiede  Valeria Rossi.  Mi scrive una lettrice che non chiede consigli o suggerimenti, ma ha solo bisogno di sfogarsi: succede spesso, ahimé, ma trovo particolarmente triste questo sfogo rivolto all’intolleranza e – come se non bastasse – al menefreghismo verso i diritti (sì: diritti) di chi ha cani educati e civili. Passo la parola alla nostra amica, che conclude dicendo di aver scritto "per potersi confrontare con altre esperienze e perché no, imparare qualcosa che ancora non sa". Mi chiamo Barbara,  vivo in una cittadina della “civile ” pianura padana. Un paesotto, alcune cascine, molti prati fuori dal paese, dove una volta al giorno mi reco con il cane. Per il resto, magari lo porto nei pressi del paese, o in centro. Ecco un sunto delle mie avventure cittadine. Ore 8.30 di mattina, circa. Esco con Gino, per il nostro giretto mattutino della serie “va’ dove ti porta il cane” cioè senza alcuna meta. Il quadrupede decide che vuole fare un giro in centro (a 50 metri da casa) e quindi via verso la direzione scelta. Fin qui, nulla di strano direte voi: vero. Ma nell’ombra, nelle ombre delle persiane, ci sono loro, le moderne vedette lombarde: una pletora di donne soprattutto, età media 70 anni, che aspetta i possessori di cani per sfogare la repressione di non so cosa  e romperti le palle. Il cane fa pipì, il cane fa la cacca. Il cane mi sporca il muro, mi sporca la strada. Il cane piscia sul pilastro a 10 metri da casa mia. Il cane non deve passare davanti al mio cancello perchè poi fa i suoi bisogni e li schiaccio con le gomme dell’auto. Ok, lo so che hanno ragione, perchè non è a) educato b) piacevole trovarsi escrementi davanti a casa; tuttavia, mi chiedo se tutta questa rabbia che buttano fuori, serva davvero. Stamattina ne sento una nuova: hanno lasciato, in diversi paesi vicino al mio, esche/bocconi/polverine avvelenate nei pressi di alcune strade. Poi leggo di vicini di casa che avvelenano il cane della persona che scrive. Leggo di persone che a momenti vanno a botte, perchè il cane (ahimè) ha fatto pipì vicino alla macchina di non so chi. CHE TRISTEZZA INFINITA. Sì, perchè io – pur essendo animalista convinta – non rompo le scatole a nessuno per il fatto che abbia una pelliccia addosso, perchè mangia carne o quant’altro. Scelte loro. Io sono educata, gentile, rispettosa. Il mio cane anche. Ho cercato di educarlo il più possibile, insegnandogli di non fermarsi mai a fare bisogni davanti a porte, portoni, garage etc. Ma ogni giorno, sono nelle condizioni di avere timore a passare da qualche parte, davanti a qualche casa, per la cattiveria della gente. Una mattina sono stata persino aggredita verbalmente, perchè una signora non voleva che il cane passasse di lì (perchè la sera prima diceva di averlo visto a fare i bisogni nella strada – comunale- davanti alla propria abitazione). La signora non si è presentata, non mi ha detto nulla se non che mi denunciava. Io sono rimasta lì come un’ebete, perchè dopo 5 minuti ancora non avevo capito cosa fosse successo. MORALE: MA DANNO COSI’ FASTIDIO I CANI? DANNO COSI’ FASTIDIO I PADRONI? Voi ditemi se è normale che una persona debba essere costretta a cambiare strada perchè due rimbambite (e non per l’età) insultano e rompono da mattina a sera. Risposta: MA ANCHE NO! Non è nè normale, nè giusto; io sono libera di andare dove mi pare, così anche il cane che c’è con me. Eppure, nessuno tutela fatti simili. Poi ci sono quelli che, con cagnolone di 50 kg al guinzaglio, ti lasciano delle belle torte davanti a casa ma nessuno dice niente a loro, perchè sono a) anziani – i padroni, non i cani; b) si conoscono, magari è lo zio del cugino del fratello…Sinceramente, dopo averli mandati a quel paese mille volte, adesso avrei anche finito gli improperi sottovoce. E sono anche stanca di uscire già esaurita da casa, perchè so che sicuramente, se passo di lì, la sciuragina di turno mi insulterà in mezzo alla strada e quell’altra mi minaccerà. Ditemi voi cosa c’è da fare: la cultura cinofila, qui è lontana mille miglia davvero. Le leggi, nessuno le comprende: inutile fermarmi a spiegarle. Quello della lettrice è stato solo uno sfogo, l’ho premesso: ma potremmo provare a discuterne perché le cose, dopotutto, non succedono mai per caso. Barbara dice che forse, parlandone con noi, potrebbe imparare “qualcosa che non sa”. A me sembra che a “non sapere” siano queste sciuregine: non sanno tollerare, non sanno capire, forse non sanno neppure amare… però, a monte, probabilmente c’è anche qualche problema di educazione anche da parte dei proprietari dei cani. Anche molti di noi “non sanno” bene come si vive in una società civile. Quante cacche si trovano ancora sui marciapiedi, in città? Tante. Inutile negarlo. Quanta gente non si preoccupa minimamente di dove alzino la zampa i loro cani, perché “sono cani” e quindi, secondo loro, autorizzati a pisciare automaticamente dove gli pare, quando a volte basterebbe un minimo invito col guinzaglio per far sì che lo zampillo colpisca bersagli non “a rischio di mugugno”? Preferendo di gran lunga le femmine, io non ho avuto molti cani maschi: ma quando li ho avuti ho sempre cercato di fare un po’ di attenzione. La pisciata sulla ruota della macchina magari si può evitare. Quella sul portone di un’abitazione è proprio una brutta cosa: a nessuno fa piacere trovarsi il portone di casa spisciazzato, quando c’è pieno – ovunque – di pali, alberi e affini che non fanno inalberare nessuno. Ma immagino già i lettori di “Ti presento il cane” che pensano: “Eh, ma certo, anch’io faccio così! Raccolgo le cacche, evito le pisciate su “bersagli sensibili”, sto attento a non causare né danni né fastidi”. Perché  il problema, purtroppo, è che ce la cantiamo e ce la suoniamo tra di noi, proprietari educati di cani civili. Ma le sciuregine non fanno distinzioni, purtroppo: come al solito, la gente tende a fare di tutta l’erba un fascio, e un proprietario ineducato fa odiare tutti i proprietari di cani. Che a loro volta si indignano – a ragione – perché accusati ingiustamente (quando non addirittura fatti oggetto di atti criminali). Il fatto è che ai proprietari incivili non possiamo arrivare con un articolo su “Ti presento il cane”: chi se ne infischia di dove sporca, di quanto abbaia, di quali danni possa fare il proprio cane, ovviamente è la persona meno interessata del mondo a un sito di cultura cinofila. Probabile che il solo termine lo faccia sogghignare: il cane è un cane, che c’entra la cultura? Ma allora, quali potrebbero essere le soluzioni? A me viene in mente sempre la stessa: il famoso “patentino”, di cui tanto spesso si parla riferendosi  alla gestione dei cosiddetti “cani pericolosi”, ma che in realtà potrebbe essere ancor più utile alla diffusione di proprietari di cani bene educati, che almeno imparerebbero a tirar su le cacche. E poi le leggi: quelle che già ci sono ma non vengono rispettate, perché non ci sono i soldi neppure per pagare la benzina alle Forze dell’Ordine… e figuriamoci se possiamo permetterci, in Italia, di “sprecare” vigili o poliziotti per verificare che la gente raccolga le cacche o che non molli cani senza guinzaglio praticamente ovunque. E sempre, ultima ma non ultima (anzi, primissima, secondo me), l’informazione scolastica. Un’ora alla settimana dedicata agli animali e all’ambiente, che ovviamente non ci sarà mai perché bisognerebbe pagare nuovi docenti, mentre la scuola versa già in condizioni disastrate. Già i cani “vengono dopo” tutto in condizioni normali: figuriamoci in tempi di crisi. Figuriamoci quando questa nostra politica del menga non riesce neppure ad affrontare temi come quelli del lavoro, dell’immigrazione, della povertà. Andarle a chiedere di occuparsi di cani? Ahah, che ridere. E intanto i cani fanno sempre più parte della vita degli italiani, nel bene e nel male: ma nessuno, tranne noi quattro gatti di cinofili, si rende conto di quanto stiano diventando importanti. Nell’immaginario collettivo (e politico) restano “solo cani” (a meno che non ammazzino qualcuno, ovviamente: allora ci si pensa, promulgando in quattro e quattr’otto leggi che ci fanno ridere dietro da mezzo mondo, come è successo con l’ordinanza Sirchia) e nessuno fa assolutamente nulla. Così a noi quattro gatti che ci rendiamo conto dell’importanza del problema non resta che scambiarsi solidarietà e inutili pacche sulle spalle. E ogni tanto ci fa bene anche solo sfogarci, per quanto amari (e non risolutivi) restino questi sfoghi.

LA LEGGE E' DALLA PARTE DEGLI ANIMALI.

La riforma del condominio ha ottenuto luce verde dall’aula di Montecitorio. Dopo un’attesa lunga quasi 70 anni, insomma, siamo dunque a un passo dalla legge di ridefinizione dei rapporti di buon vicinato tra inquilini dello stesso complesso residenziale, ma l’ultimo ok del Senato sembra a questo punto, una pura formalità. Una delle norme più attese, oggetto di infinite questioni tra “confinanti di pianerottolo“, quando non di cortile, è quello sugli animali domestici: una questione che torna ciclicamente nelle dispute condominiali, sia che la diatriba riguardi l’igiene, l’inquinamento acustico, o la semplice antipatia per l’incolpevole bestiolina. Bene, ora la Camera l’ha messo nero su bianco: non si potrà in alcun modo vietare a priori la presenza dei piccoli amici a quattro zampe, anche se l’assemblea condominiale avesse, nel frattempo, assunto un regolamento che preveda una disposizione in senso opposto. Insomma, la signora anziana che si lamenta dei guaiti del cane nell’appartamento attiguo, o il maniaco delle piante che protesta perché il gatto del vicino disperde terriccio sulle parti in comune, dovranno farsene una ragione: d’ora in avanti, non ci saranno più divieti a priori  alla presenza di animali da compagnia in condominio, siano essi a quattro zampe o, ad esempio, canarini. La norma è inserita nel testo approvato alla Camera sulla riforma del condominio, dove si mette in chiaro come, all’articolo 1138 del Codice civile, dal titolo “regolamenti di condominio”, come in nessun modo possa essere bandita la presenza degli animali domestici. Viene, a questo proposito, inserito un comma nuovo di zecca all’articolo sopracitato, laddove si pone in risalto all’articolo 16 della riforma del condominio come “Le norme del regolamento non possono porre limiti alle destinazioni d’uso delle unità di proprietà esclusiva né vietare di possedere o detenere animali da compagnia”. Soddisfazione bipartisan per un testo che è passato ottenendo un solo voto contrario. Sugli scudi la “pasionaria” in difesa degli animali, ed ex ministro del Turismo, Michela Vittoria Brambilla, che dichiara: “Lo considero un altro passo avanti a tutela dei cittadini che convivono con gli amici a quattro zampe e che d’ora in poi potranno farlo senza rischiare di incorrere in assurdi tentativi di limitare la loro libertà e la serena convivenza con quelli che sono diventati dei veri componenti della famiglia“. Per il Pd, prende la parola Rodolfo Viola, esponente della Commissione Giustizia che ha ritoccato la riforma prima di mandarla a Montecitorio, completando anche la parte relativa agli animali domestici: “Abbiamo contribuito al miglioramento del testo originale per affermare il principio che i regolamenti condominiali non possano vietare a priori la detenzione di animali domestici”.

Cani e disturbo della quiete pubblica: cosa dice la legge? Si chiede  Emanuela Murdaca. In un altro articolo, qualche tempo fa, abbiamo fatto un breve cenno al disturbo della quiete pubblica causata dal continuo abbaiare del nostro amico a quattro zampe, ma riteniamo di dover approfondire tale argomento per una maggiore informazione. Capita infatti spesso che i nostri vicini di casa, infastiditi dal continuo abbaiare del nostro cane, minaccino di denunciarci per disturbo della quiete pubblica. Ma quando si configura esattamente il reato di disturbo della quiete pubblica? Per poter gestire al meglio dette situazioni è preferibile conoscere bene le leggi, in questo caso l’articolo 659 codice penale, che al primo comma recita testualmente: "Chiunque, mediante schiamazzi o rumori, ovvero abusando di strumenti sonori o di segnalazioni acustiche, ovvero suscitando o non “impedendo strepiti di animali, disturba le occupazioni o il riposo delle persone, ovvero gli spettacoli, i ritrovi o i trattenimeni pubblici, è punito con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a € 309". Con tale articolo il legislatore ha voluto tutelare la tranquillità pubblica o privata della collettività. I disturbo della quiete pubblica si realizza mediante una condotta che può essere attiva o omissiva, cioè che susciti o non reprima rumori idonei a provocare una sensazione psichica di disagio ed intolleranza, tale da determinare un turbamento della pubblica quiete. Affinché si possa parlare di disturbo della quiete pubblica è necessario che i rumori o gli schiamazzi superino i limiti della normale tollerabilità e siano obbiettivamente idonei ad incidere negativamente sulla tranquillità di un numero indeterminato di persone. La potenzialità lesiva di tali rumori non e deve necessariamente incidere su di un numero rilevante di persone, ma è sufficiente che si arrechi disturbo alla generalità di coloro che si trovano a diretto contatto con il luogo ove i rumori si manifestano.

Cosa si intende per limiti della normale tollerabilità? La valutazione del criterio della normale tollerabilità va effettuata con parametri che si riferiscono alla media sensibilità delle persone che vivono nell’ambiente ove i rumori fastidiosi si percepiscono.

Ma chi stabilisce quando viene superata la soglia della normale tollerabilità ed in base a quale criterio viene stabilito tale superamento? Organo giudicante è un giudice ordinario, il quale in alcuni casi basa la sua decisione sui risultati provenienti da una perizia fonometrica o consulenza tecnica; altre volte, invece, può basare il suo convincimento sulle dichiarazioni di coloro che sono in grado di riferire le caratteristiche e gli effetti dei rumori percepiti. Quanto detto sopra è, in linee generali, il contenuto dell’art. 659 I° comma. Ma passiamo ora a quella che potrebbe essere definita una spina nel fianco per i nostri vicini di casa: i latrati notturni dei nostri amici a quattro zampe…

Se il nostro cane abbaia e disturba il vicino dí casa possiamo essere denunciati per violazione dell’art.6.59 cp.? La giurisprudenza è ricca di pronunce a nostro favore. La Suprema Corte di Cassazione è sempre stata sensibile a tale problematica, tant’è che si riscontrano sentenze già nel 1995. Tra le sentenze più recenti troviamo la n° 1394 del 04 Febbraio 2000 secondo la quale è inutile querelare il vicino di casa per disturbo della quiete pubblica se il cane abbaia continuamente. Tale sentenza si basa sul principio secondo cui per la configurazione del reato “disturbo della quiete pubblica”, ai sensi dell’art.659 c.p., i rumori devono essere tali da infastidire un pluralità di persone; pertanto, se gli ululati di Fido disturbano solo il vicino di casa e non un numero indeterminato di persone, il reato non sussiste (cioè non viene commesso nessun reato). Con tale sentenza è stato assolto il proprietario di un cane i cui ululati disturbavano solo il suo vicino di casa e non una pluralità di persone, come stabilito dall’art. 659 c.p. Già un anno prima la suprema Corte di Cassazione si era pronunciata in merito ad un caso analogo annullando, con sentenza n° 1109 del 09 Dicembre del 1999, una sentenza della Corte di Appello di Bologna la quale condannava al pagamento di un’ammenda di 300.000 lire (allora in vigore), e a 3 milioni di lire di risarcimento del danno, il proprietario di un cane resosi responsabile, agli occhi della Corte di Appello di Bologna, di non aver impedito al proprio cane di abbaiare, evitando quindi, di disturbare il riposo delle persone dimoranti nei pressi della sua abitazione. In questo caso la Cassazione ha annullato la sentenza della Corte di Appello di Bologna “perché il fatto non sussiste”, cioè non costituisce reato, ed ha stabilito, inoltre, che “per la configurazione del reato di disturbo del riposo e delle occupazioni, è necessario che i lamentati rumori abbiano attitudine a propagarsi ed a costituire un disturbo per una potenzialità di persone, ancorché non tutte siano state poi disturbate”; è necessario, continua la sentenza, “che i rumori siano obbiettivamente idonei ad incidere negativamente sulla tranquillità di un numero indeterminato di persone”. Per ciò che riguarda il comportamento omissivo del proprietario del cane, il quale non è intervenuto per far cessare Fido di abbaiare, la Cassazione ritiene che si possa parlare di illecito civile e non certo di reato penale. Restando in tema di responsabilità del proprietario di fido, il quale con atteggiamento omissivo non interviene prontamente a far cessare il cane di abbaiare, la giurisprudenza compie passi avanti. Mi piace citare, in merito, una importantissima sentenza del tribunale di Trapani, questa volta datata anno 2002, la quale ha rovesciato quella che fino ad oggi era una prassi seguitissima dai giudici di mezza Italia i quali, spesso, ritenevano il proprietario di Fido responsabile per il disturbo arrecato ai vicini dal suo continuo abbaiare. Il Giudice del Tribunale di Trapani Dr. Franco Messina con una sentenza che ha dell’incredibile, ha stabilito che non si può impedire ad un cane di abbaiare! Con tale sentenza è stato assolto il padrone di un cane che era stato querelato dal suo vicino di casa per non aver impedito al suo cane di abbaiare. Una vecchia sentenza della Corte di Cassazione datata 1998 n° 1406 stabilisce che: “per essere penalmente sanzionabile ex art. 659 c.p., la condotta di chi produce rumori e schiamazzi deve incidere sulla tranquillità pubblica” pertanto, continua la sentenza “il reato non sussiste ove i rumori disturbino i soli occupanti di un appartamento all’interno del quale sono percepiti, e non da altri abitanti del condominio in cui è inserita detta abitazione, ovvero da persone che si trovano nelle zone circostanti. In questo caso non sí ha un effettivo disturbo della tranquillità e del riposo di un numero indeterminato di persone, ma soltanto quello di un numero ben definito, sicché si può parlare, se mai, di illecito civile e non certo di reato penale”. Per concludere vi lascerò un piccolissimo elenco di sentenze della Corte di Cassazione (sez. penale) che negli anni hanno affermato il diritto di abbaiare dei nostri amici a quattro zampe; ma per non essere ripetitiva, citerò il numero e l’anno in cui sono state emesse: sentenza n° 3348 del 28 marzo del 1995; sentenza n° 5578 del 04 Giugno 1996; sentenza n° 3000 del 28 Marzo 1997. Se state pensando che si tratti di vecchie sentenze e per tale motivo non abbian alcun valore, vi sbagliate! Una sentenza della Corte di Cassazione, per quanto vecchia essa possa essere, avrà sempre un peso nel convincimento di un giudice. Spero di essere stata di aiuto a quanti di voi si trovino in tali situazioni; vorrei ricordare, però, a tutti i proprietari di Fido, che un cane che abbaia incessantemente non è un cane sereno. Prestate più attenzione al modo di comunicare del vostro amico; non lasciatelo per troppo tempo da solo, magari chiuso sul balcone; fatelo correre nei parchi, sulle spiagge; lasciate che socializzi con altri cani. Spesso il cane che abbaia al solo muoversi di una foglia o alla vista di un altro suo simile è un cane annoiato e stressato. Non ho altro da aggiungere, se non augurarvi buona fortuna; non è facile educare un animale, ma con un po’ di buona volontà, amore e tanta, tanta pazienza si possono raggiungere buoni risultati.

L’IPOCRISIA ANIMALISTA.

San Francesco contro l'ipocrisia animalista, scrive Fabio Spina su “La Nuovabq”. «Tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri», questa è la famosa frase scritta da George Orwell nel romanzo La fattoria degli animali. Uno slogan che centinai di migliaia di polli e tacchini urlerebbero in questi giorni, essendo pronti ad essere sacrificati a causa dell’aviaria. L’obiettivo delle loro grida sarebbe l’ipocrisia di tanti animalisti pronti a farsi pubblicità davanti alle telecamere per liberare i “commoventi” cani destinati alla sperimentazione e che invece spariscono quando si tratta di difendere le galline dall’abbattimento o liberare i topi destinati allo stesso destino. Polli e tacchini purtroppo però non possono aiutarci a vedere la realtà, lo potrebbero solo se umanizzati come nei film di Walt Disney. In poche righe non vogliamo descrivere l’intero mondo animalista, in cui ci sono anche aspetti positivi. Polli e tacchini probabilmente avrebbero probabilmente indicato quelli della squadra di Michela Brambilla o gli altri – rappresentanti del Movimento 5 stelle – che non vogliono far partecipare Silvio Garattini al Festival della Mente a Sarzana (il prossimo 1° settembre) in quanto accusato di essere a favore della sperimentazione di farmaci sugli animali. Le stesse medicine che in parte adoperano molti animalisti per curare i propri animali di compagnia. Insieme alle discussioni sul movimento di “liberazione animale”, che occupano grandi spazi sui mass-media, si sta procedendo all’eliminazione di polli, galline e tacchini per “difenderci” dalla diffusione dell’aviaria. Ad esempio, con un'ordinanza che ha solo valore preventivo, il Comune di Occhiobello ha disposto il sequestro e l'abbattimento di un allevamento locale di galline ovaiole. Questo benché abbiano dato esito negativo le indagini sierologiche e virologiche e non sia stato evidenziato alcun sospetto di malattia, né la presenza di mortalità anomale. Il ministero della Sanità ha già ordinato, dove è stata rilevata la presenza di animali malati, l’uccisione di 128.000 galline a Forlì e addirittura 500.000 a Bologna. A Bologna il ritmo di uccisione rasenta i 50mila capi al giorno. Nei prossimi giorni l’azione di abbattimento andrà avanti, nessuno è contento di farla però se non c’è altro rimedio occorre procedere. Pur amando gli animali, quando la realtà tristemente ci costringe a dover decidere tra la vita umana e la vita animale, si sceglie la prima. Quando dalle parole si passa ai fatti nessuno sembra più sostenere il biocentrismo (che va invece per la maggiore nei salotti radical-chic e nei programmi televisivi). Paradossalmente, forse, in futuro, sperimentando medicinali sull’aviaria sarà possibile curarla? Vedrete però che finita l’emergenza, dopo le ferie, gli animalisti torneranno a farsi sentire e sfrutteranno quanto accaduto per attaccare gli allevamenti intensivi, non dicendo che le malattie partono proprio da quelle zone orientali di sottosviluppo dove gli allevamenti sono “ultra” tradizionali. Tutti siamo d’accordo, come scritto nel Catechismo, nel rispetto dell'integrità della creazione mediante l'uso prudente e moderato delle risorse minerali, vegetali e animali che sono nell'universo, con speciale attenzione verso le specie minacciate di estinzione. L'uomo deve trattare gli animali con benevolenza, evitando il loro uso indiscriminato, soprattutto per sperimentazioni scientifiche effettuate al di fuori di limiti ragionevoli e con inutili sofferenze per gli animali stessi. Questo però non è da confondere con il buonismo che ipocritamente li pone ad un piano superiore all’uomo, in una nuova teoria del “buon animale selvaggio”. Questa si fonda sul dogma che, essendo tutti gli esseri casualmente nati dalla materia, non ci sono differenze nei diritti tra virus, la zanzara, il pollo e l’uomo, anzi spesso è l’uomo ad essere l’unico intruso tale da potersi definire “cancro del pianeta”.

Tale comportamento porta a comportamenti incoerenti che raramente i mass-media mettono in risalto. Ad esempio, perché per sperimentare un nuovo medicinale per una potenziale malattia futura non si possono “eliminare” un centinaio di animali, mentre per difenderci dal rischio di una malattia presente se ne consente l’abbattimento di centinai di migliaia? Perché dell’abbattimento di animali alieni, come lo scoiattolo rosso in Liguria, come i cinghiali, etc., gli ecologisti non ne parlano in TV ed alcune associazioni ambientaliste sono addirittura favorevoli ? Quale posizioni prenderebbero gli animalisti se gli scoiattoli “liguri” fossero impiegati per la sperimentazione invece di gasarli? La domanda principale su cui interrogarsi è quando si può ritenere lecito per l’uomo eliminare un animale e quando no. Quale è la linea di confine? La risposta mette in discussione la visione antropologica dell’uomo, la sua posizione nella Creazione. L’emergenza attuale è proprio di restituire l’uomo a se stesso, alla sua altissima dignità. Occorre tornare a considerare la sacralità dell’uomo e nello stesso tempo dire con forza quali sono le sue responsabilità e doveri. Doveri: una parola in estinzione. Gli animali non hanno diritti dei quali gli ecologisti si auto-eleggono a unici difensori, ma è un dovere dell’uomo rispettarli discernendo nelle varie situazioni con prudenza e ragionevolezza, senza assumere sempre gli stessi comportamenti estremi ed ideologici. La vera sfida del Cristiano è la ricerca responsabile della giusta misura.

A tal riguardo Papa Benedetto XVI, per la celebrazione della XLIII giornata mondiale della pace 1° gennaio 2010, scriveva: «D’altra parte, una corretta concezione del rapporto dell’uomo con l’ambiente non porta ad assolutizzare la natura né a ritenerla più importante della stessa persona. Se il Magistero della Chiesa esprime perplessità dinanzi ad una concezione dell’ambiente ispirata all’ecocentrismo e al biocentrismo, lo fa perché tale concezione elimina la differenza ontologica e assiologica tra la persona umana e gli altri esseri viventi». San Francesco, icona troppo spesso non correttamente presentata dai movimenti ecologisti come il WWF, credeva che l'essere umano avesse un primato di valore su tutto il Creato. Rispettare l'ambiente non vuol dire considerare la natura materiale o animale più importante dell'uomo. Vuol dire piuttosto non considerarla egoisticamente a completa disposizione dei propri interessi, perché anche le future generazioni hanno il diritto di trarre beneficio dalla creazione, esprimendo in essa la stessa libertà responsabile che rivendichiamo per noi. Quando San Francesco parlò con il lupo di Gubbio disse: «Frate lupo, tu fai molti danni in queste parti, ed hai fatto grandissimi malefici, gustando e uccidendo le creature di Dio sanza sua licenza. E non solo hai uccise e divorate le bestie, ma hai avuto l’ardimento d’uccidere e guastare gli uomini fatti alla immagine di Dio». (da “I Fioretti di S.Francesco”).

Ipocrisia onnivora e narcisismo animalista. Premessa: si consideri implicita e sottintesa, per ogni categoria descrittiva utilizzata, l’espressione “nella maggior parte dei casi”, scrive Valentina Chianese su “Improvearts”. Ennesimo viaggio dal veterinario, ennesima riflessione sulla scarsa lucidità di pensiero che ci coinvolge un po’ tutti, soprattutto quando si tratta di pensare a se stessi e analizzare i propri comportamenti. Che c’entra il veterinario? C’entra. Capita molto di frequente, soprattutto su Facebook, nei tg nazionali o equivalenti amenità, che ci si scagli contro quello che ha ucciso il cane tenendolo legato alla macchina in corsa, contro i cinesi che mangiano i gatti, contro i rumeni che gasano i cani, contro la sperimentazione animale. Da un bel po’ sono passati di moda quelli che sfondavano a bastonate i crani dei cuccioli di foca. Non credo di essere stata l’unica bimba traumatizzata dalla scena, all’epoca. In questi giorni il popolo della rete si è scatenato con una violenza verbale simile a quella usata contro i molestatori di bambini nei confronti di una donna il cui hobby è la caccia grossa. Questi anatemi sono ovviamente leciti: ognuno ha la propria etica e ognuno stabilisce il suo personale confine fra giusto e sbagliato. Spesso, emotivamente, reagiamo molto male a certe scene, soprattutto a quelle di sevizie gratuite. Ma fondare la propria etica sulle proprie reazioni emotive è un’azione sensata?  Lecita? O quando si tratta di emotività l’etica non c’entra niente? In questo caso specifico il problema, per me, sorge quando cerco di comprendere il sistema di valori di chi impalerebbe fuori dalle mura della città il cuoco cinese di gatti, ma vive perennemente nell’eccezione e nella contraddizione dei valori professati, usando come alibi un’inconsapevole e arbitraria preferenza personale, e qui l’etica un po’ si offende. Mi riferisco, nello specifico, agli animalisti che però sono anche onnivori. Quelli che stanno male per i cani legati con una catena corta, che si disperano al pensiero dei cinesi che mangiano i gatti, che avvampano di furore quando si sperimenta sui topi e che considerano una donna che va a caccia di leoni e zebre una “troia” e una “puttana” che meriterebbe di morire, ma che non hanno nulla da eccepire sulla vita e la morte degli animali di cui si nutrono. Si sa, è noto: l’agnello è figlio di puttana. Le poche volte in cui, vagamente, argomentano una risposta, questa è “vabbè ma che c’entra, quelli sono animali da compagnia” o, come nel recente caso del leone, “quello è un animale nobile”. Beh, certo, la natura o il padreterno o chi per loro hanno generato diversi tipi di animali: quelli da mangiare, quelli da eliminare con la disinfestazione e quelli da amare e/o nobili. Sono fini propri delle specie. Il gatto è nato per essere amato, il cane per essere un amico, il leone per essere re, e ne sono consapevoli. Di conseguenza, quando li tratti male, soffrono molto per questa reductio esistenziale, molto più degli altri. La gallina invece affronta il proprio sgozzamento del tutto tranquillamente, consapevole di esistere per essere mangiata. È in relazione alla loro diversa natura di animali speciali che si applica diversamente l’etica. Ovviamente sfugge all’onnivoro animalista il semplice fatto che la compagnia dell’animale è monodirezionale: nessun animale ha come obiettivo finale nella vita quello di avere/fare compagnia come attività fine a se stessa, al limite l’animale fa branco per scopi piuttosto pratici. La compagnia emotiva è un desiderio dell’uomo, e per averla usa l’animale. Lo sta usando. Lo dimostra la costante e ragionata selezione di razze canine e feline, modellate in modo da andare incontro ai desideri del padrone. L’alternativa è andare a cercare compagnia fra i lupi in qualche bosco di conifere dell’Europa orientale. Provateci e fatemi sapere. Mi spiace, per quanto voi possiate chiedere al vostro gatto quanto vi voglia bene e se, lasciato a se stesso, riuscirebbe a trovare un senso alla propria vita, il vostro gatto risponderà sempre la stessa cosa: niente. Lo ha detto bene Werzog: “the overwhelming indifference of nature”. Sì, ci sarebbe forse un discreto approfondimento da fare sui cani, perché c’è chi può affermare quanto siano bisognosi di un padrone, quanto siano affettuosi e compagnia cantante. Questo però renderebbe eccessivamente lunga la divagazione. Voglio limitarmi a sottolineare che: 1) le razze attuali sono – appunto – selezionate per varie attività, fra cui fare compagnia e questa caratteristica è stata accentuata da un nostro intervento; 2) i cani randagi formano, quando possono, branchi che soddisfano le loro esigenze sociali; 3) in ogni caso, se anche dovesse esistere una cosa chiamata “amore puro e disinteressato”, il mondo animale non sa cosa sia. E dire “ma non è vero! Le mamme coi cuccioli! Il mio cane mi ama!” è un ennesimo attribuire connotazioni umane a comportamenti che si sono sviluppati sempre con fini evolutivi. Mamma gatta e mamma cagna, in certe condizioni, mangeranno i proprio cuccioli e, sempre se serve, mangeranno anche voi, alle strette. È brutto? È orribile? No, è naturale. L’ animalista onnivoro giudica: il cacciatore che si disfa di un cane non più utile oppure che uccide un leone: una bestia; il biologo che fa test sui sorci: un sadico; il cinese che mangia gatti: abominevole. E invece pensa di sé, che adora il barbecue e fa tagliare le palle al gatto, di essere una persona nobile di cuore. Tutti i succitati stanno usando l’animale, ma uno fra di loro non è un criminale, bensì un’anima bella. Perché? Perché quando si tratta di applicare alla realtà dei fatti il proclama per cui gli animali avrebbero dei diritti e non andrebbero usati per propri fini, l’animalista onnivoro fa di se stesso un’eccezione, perché l’uso che lui ne fa è amorevole, puccioso, nobile e, nel caso dell’alimentazione, indispensabile. Ovviamente è un enorme, immensa balla per autogiustificarsi e contemporaneamente autospompinarsi, ma di quelle di bassa lega, tipo “sì è vero che ho stuprato quella ragazza, ma l’ho fatto per lei, era tanto sola”. Far asportare l’utero a una gatta non è un fatto di per sé oggettivamente nobile, che quindi vale come giustificazione; è l’inverso: ci si giustifica attribuendo nobiltà al gesto compiuto. Uno dei meccanismi psicologici più meschini che ci siano, il padre del moralismo e il fratello carnale dell’ipocrisia. L’ animalista sente chiaramente di fare del bene. Nel dare un tetto al micio vagabondo è travolto da enormi ondate di energie positive e amore cosmico, ma il fatto che stia facendosi questo gargantuesco pippone a due mani non è necessariamente una prova del fatto che lui sia davvero così nobile. Del resto, se si tratta di nobiltà d’animo e amore disinteressato, perché non adotta una capra, di quelle che ti mangiano i mobili in mezza giornata e ti prende a cornate lo scroto? Perché su Facebook non si legge mai “biscia cerca casa” o “salviamo questa gallina da un destino atroce”? Forse perché la capra, la biscia e la gallina non sono animali abbastanza pucciosi? Po esse. Questa contraddizione la vivo anche io. Ho sempre avuto molti gatti, li amo, li mangerei – forse – solo se si trattasse di vita o di morte, e quando stanno male li curo. Quindi faccio una differenza fra loro e gli animali allevati e uccisi a scopo alimentare, di cui quotidianamente mi nutro. Questa differenza è arbitraria ed è dovuta ad un mio capriccio. Non potrei mai, io che uso il maiale da morto per fare pasquetta e i gatti da vivi perché mi fanno sentire stranamente bene, eccepire i gusti alimentari e l’uso che si fa degli animali nel resto del mondo, né tantomeno elevare un mio capriccio a legge universale. Emotivamente la storia è diversa. Quando il mio compaesano mi porta un coniglio depezzato, lo ringrazio e lo pago. Se mi portasse un mio gatto depezzato gli sparerei alle gambe, di questo ne sono certa. Però ritengo che la promulgazione di leggi generali e universalmente applicabili dovrebbe essere il più possibile svincolata da questo tipo di meccanismi. Anche perché altrimenti quelli che considerano il coniglio un animale da compagnia sarebbero autorizzati a venirmi a sparare. Certo, si dirà, ma gli animali torturati? Gli animali seviziati? Beh, caro animalista onnivoro, allora non sei mai andato nell’allevamento intensivo da cui provengono la carne e il latte che compri a pochissimo al supermercato, dove il pollo costa meno dei peperoni fuori stagione. Soprattutto non sei mai stato in certi mattatoi. E qui devo introdurre la categoria secondo me più irritante, nella quale ho saltuariamente marciato in passato: gli onnivori che fanno dell’essere onnivori un punto d’onore. A me piace la carne, assai, si intuisce credo anche dalla mia foto in basso. Da qui a pontificare sulle azioni del prossimo facendone una questione di merito ce ne corre. Se confronto un forum di vegetariani ragionevoli e un qualsiasi forum anti-vegetariano per me è immediatamente evidente che i vegetariani sono, fra i due gruppi, i più coerenti. Professano di amare gli animali, tutti, e oltre ad accudirli non li mangiano. Non entro nel merito del se sia giusto o meno, sensato o meno, e comunque ci sarebbe da verificare dove arriva realmente questa volontà di non nuocere, ma intanto una certa coerenza etica c’è. Sui vegetariani/vegani esaltati non c’è niente da dire, è puro narcisismo anche quello. Pensare che un porcellino separato dalla scrofa soffra come un bambino mandato in orfanotrofio è un sintomo patologico di proiezione narcisista. E il forum anti-vegetariano? Tipicamente formato da frustrati che, con le stesse argomentazioni che userebbero in curva allo stadio o alla gara di chi piscia più lungo, si autoincensano, cercando di dare di sé una immagine cinica, dura, vera, maschia, di chi ha ben chiaro cosa vuole  - gli arrosticini – e come averlo: comprarli già fatti. I vegetariani, invece, quelle checche isteriche, pateticamente stanno lì a dispiacersi per l’agnello e la capretta, smidollati senza palle che saranno schiacciati come miserabili pulci dal guerriero onnivoro di Facebook. Ovviamente questo castello di carte cade miseramente quando questi sanguinari guerrieri si trovano davanti le foto della suddetta cacciatrice con la bestia morta a fianco: si stracciano le vesti urlando improperi e chiedendo all’altissimo una feroce vendetta per una simile ingiustizia: un animale è stato ucciso! Inaccettabile. “Beh ma che c’entra”, ti diranno sputando veleno, “lei lo uccide per sport, non ne ha veramente bisogno, quella troia maledetta”. Beh certo, tu invece moriresti in 2 giorni se rinunciassi ai torcinelli. Prendete uno di questi superuomini onnivori e cucinategli il loro gatto. La maggior parte piangerà per due anni, gli altri si toglieranno la vita. Oppure portateli al mattatoio. Oppure ditegli che se questo inverno vogliono le salsicce devono scannare e macellare il porco con le loro mani. Si tatuerebbero EAT ME, LEAVE THE PIG ALONE sul culo. E ancora: diffidate da chi vi dice che fa ciò che fa “per il bene della bestiola”. La bestiola non ha un bene, la bestiola nasce, prova a crescere e riprodursi, poi muore. Non ha altri obiettivi, né glieli si può spiegare o insegnare. Zero, nada, non hanno standard troppo elevati sulla loro qualità della vita né hanno particolari questioni esistenziali da dirimere, gliele si possono solo attribuire. Chi, come me, dedica soldi, tempo e fatica alla cura del proprio animale domestico (e questo vale tanto per gli onnivori che per i vegetariani) lo fa per sé e basta, per una serie di motivi. Perché ama quella bestiola e soffrirebbe se la bestiola schioppasse. Perché considerandosi un amante degli animali si applica un upgrade etico. Perché ha un vuoto affettivo. Perché amare le persone è complicato ed è mille volte più facile prendere un gatto e poi elevarlo a status di persona (poi che questo sia un delirio non ditemelo, sto bene così). Pensare che sterilizzare un gatto o un cane sia per lui un bene significa implicare che c’è uno scollamento fra la vita naturale della bestiola e quella che invece la bestiola dovrebbe vivere per essere felice. L’animale che va a caccia per mangiare e lotta per riprodursi è un animale che verrà morso, verrà investito nel suo vagabondare, prenderà malattie e infezioni. Per una certa tipologia di amanti degli animali tutto ciò è crudele, ingiusto, sbagliato; l’animaletto, per essere felice, deve fare una vita comoda, domestica, umana, non deve lottare per mangiare né per riprodursi né per difendere i propri cuccioli. Prendersi la responsabilità di attuare questa trasformazione è per loro un gesto estremamente nobile, si tratta di noblesse oblige. Amare un animale significa allora svincolarlo dalle leggi di natura. Ma questo significa amare un ideale di animale, una versione fantasiosa e inesistente dell’animale. L’animale è totalmente, completamente saturato dalla natura. Siamo noi umani quelli che vivono col piede in due staffe, dentro e fuori dalla natura a seconda di come ci conviene, dandoci di quando in quando le nostre leggi autonomamente dalla vita naturale. Siamo sicuri che anche gli animali debbano farlo? Posso dire che sfugge completamente il senso della cosa? Posso dire che non c’è niente di giusto o sbagliato in natura? Posso dire che gli animali, per come li conosciamo, sono così proprio perché si sono evoluti seguendo le leggi di natura? Ora dovrebbero smettere di seguirle? Perché? Dovremmo riprodurre in vitro tutte le specie? Dovremmo portare le crocchette ai leoni nella savana per salvare le povere gazzelle dal loro atroce destino? E le pantegane? E le blatte? QUALCUNO PENSI ALLE BLATTE! Chi sterilizza il cane o il gatto: 1) vuole un animale ma non vuole farsi rompere i coglioni dai calori, dalle cucciolate e dall’urina, e non vuole lo scazzo di portarlo dal veterinario per i mille malanni che si procura un animale “animale” oppure 2) ha una concezione dell’animale come soprammobile. Non eccepisco, non entro nel merito, ognuno decide per sé, semplicemente non accetto la balla del “è per il suo bene”. Non mi pare vi abbia mai comunicato questa sua esigenza. Se ritenete di fare il suo bene tirandolo fuori dalla sua natura allora dovete essere ben saggi, a livelli divini.

Torniamo alla visita dal veterinario. Nelle sale d’attesa dei veterinari si vede chiaramente il distacco patologico dalla realtà di molti padroni di animali domestici, dovuta all’antropomorfizzazione della bestiola. Nella mente di questi tipi di padrone la percezione del proprio cucciolotto è passata da tempo da “animale” a “creaturina pelosa che in fondo è come me o al massimo come un bambino, anzi no è proprio un bambino figlio mio”. Di conseguenza questo padrone non sente l’esigenza di avere il cane al guinzaglio o il gatto nel trasportino. Tanto basta parlargli e quello capisce. Ovviamente la tragedia è sempre dietro l’angolo con questi cani e gatti tenuti a freno solo dai marziali “fai il buonino!” dei loro accompagnatori umani, però poi a sciarro avvenuto “che strano, è sempre stato così buono!”. Sì, nella tua testa lo è sempre stato e lo sarà ancora, per sempre, peccato che sia un animale, che non è di per sé né buono né cattivo.

Credo che si tratti come sempre della solita questione di come ci si rapporta ai propri oggetti d’amore. Quanto ci si può spingere nell’idealizzarli, dominarli, tutelarli? Fin dove è lecito essere ciechi di fronte alla realtà dell’altro, in nome dell’amore? Fin dove è lecito giustificare le proprie azioni in base ad un – vero o presunto è lo stesso – amore per l’altro, quando in realtà le stiamo giustificando solo perché sono le nostre di azioni? E noi non vogliamo farci rompere i coglioni. Sottoporre un gatto ad un’operazione chirurgica che gli salva la vita fin dove è un’azione fatta per noi che lo vogliamo vivo, bello, sano e felice, e quando inizia ad essere un’operazione fatta per lui? E sopprimerlo, fin dove è un gesto che ci toglie dall’insopportabile posizione di vederlo soffrire e quando inizia ad essere un nobile gesto nei suoi confronti? E siamo sicuri che lo sia, in fondo? Personalmente, non lo so. Nel dubbio, non impalerei quasi nessuno.

I CANI NON SI COMPRANO?

“I cani non si comprano!” Allevatori vs animalisti: chi ha ragione?, scrive Valeria Rossi. Come i miei lettori più “anziani” ben sanno,  un po’ alla volta sto rimettendo su questa nuova versione di “Ti presento il cane” tutti i vecchi articoli che reputo ancora di attualità: comprese, ovviamente, le schede – o le presentazioni, se preferiamo chiamarle così – delle varie razze, che aggiorno di volta in volta con i nuovi standard, se esistono, e soprattutto con nuove foto.
Dopodiché le metto su Facebook, perché tra i miei “amici” virtuali ci sono tanti cinofili a cui penso che possa interessare ritrovare l’articolo X o Y, o vedere le nuove foto dei cani W e Z. L’ho fatto anche oggi con la scheda del Border collie, come sempre ci sono stati  un po’ di commenti…e, come spesso accade, è apparsa anche un’amica animalista a sostenere che “i cani non si comprano“, perché sono esseri viventi e non oggetti, e che non si dovrebbe neppure pensare ad acquistare un cane “con tutti quelli che muoiono nei canili“, perché “chi ama gli animali sul serio se ne frega della razza e adotta quelli che ne hanno più bisogno“. Subito sotto, ovviamente, allevatori e proprietari di cani di razza pura hanno risposto per le rime…e per la millesima volta (almeno) due “tipi diversi di cinofili” (non i cinofili contro quelli che odiano i cani, non i cinofili contro i catofili, ma proprio due tipi di persone che amano entrambe i cani!)  si sono messi a litigare un po’. Il che mi ricorda tanto quei politici che vorrebbero liberarsi tutti di Berlusconi, ma passano le loro giornate a scannarsi perché uno vorrebbe che per cambiare si votasse il partito X, l’altro che si votasse  il partito Y, l’altro ancora il movimento Z: tutta gente che spesso dice le stesse identiche cose, ma con parole diverse. Risultato? Berlusconi sta lì da quindici anni, e non è detto che sia ancora finita. E purtroppo stanno ancora lì anche i canili, i cagnari e i cani che soffrono. Quindi, PUNTO PRIMO: cerchiamo di capire che scannarsi sul modo giusto di amare gli animali in generale, e i cani in particolare, fa solo il gioco di chi sugli animali ci specula.
E a  speculare, purtroppo, sono in tanti:  partendo dagli pseudoallevatori che in realtà sono cagnari o “canivendoli”, ed arrivando agli altrettanto “pseudo” animalisti che si arricchiscono chiedendo la carità per i poveri cagnolini abbandonati (o gestendo canili lager) e che poi si fanno le ville, mentre i cani vivono a pane e acqua (quando va bene). Perché si fa il loro gioco? E’ molto semplice: prendiamo una qualsiasi sciura Maria che ha visto “il cane della pubblicità del telefono” e se ne è innamorata. Così, a prima vista, senza sapere neanche che cane è. Cosa farà? Partirà alla ricerca di quel cane lì, e SOLO di quel cane lì: e girerà tanto finché non ne troverà uno che, almeno ai suoi occhi, sia proprio uguale a quello. Ora, mettiamo che la sciura Maria legga l’appello di un animalista che decreta che  “i cani non si comprano”. A quel punto, come pensate che reagisca? Credete, per caso, che si chieda anche solo per un secondo che tipo di cane è quello della pubblicità?  Che si domandi anche solo vagamente se sarà mai in grado di gestire un cane con quelle caratteristiche? Pensate forse che dica a se stessa:  “E’ vero, sono proprio una deficiente, non ho alcun bisogno di un cane come quello”?  Che arrivi a capire che a lei, dopotutto, serve solo un amico, un compagno…e che le doti di un cane di razza con lei sarebbero probabilmente sprecate, mentre ciò di cui ha bisogno può trovarlo benissimo in qualsiasi canile? Bene: scordatevelo! Se vi siete illusi che la sciura Maria ragioni così, significa che non avete capito un accidenti della razza umana. Magari conoscete i cani, ma gli umani proprio no! Quello che penserà la sciura Maria sarà qualcosa di questo tipo:  “Uhhhh…ma hanno proprio ragione, gli animalisti! Ho telefonato a un allevatore che alleva i cani del telefono e mi ha chiesto millecinquecento euro! E’ proprio vero, gli allevatori sono dei disgraziati! Sono tutti dei ladri! Meno male che la settimana prossima c’è la Fiera del cucciolo al mio paese, almeno il cane lo compro lì! Che la sorella della cugina della zia del mio parrucchiere, che di cani se ne capisce, ne ha preso uno lì  l’anno scorso e l’ha pagato solo trecento euro!”. E andrà a comprarsi un cane che a lei sembra di razza, ma non lo è: che magari ha qualche bella tara ereditaria. Che non ha mai visto una vaccinazione e che potrebbe ammalarsi e morire a pochi giorni dall’acquisto.

Ma non è finita qui. Perché  una volta che si sarà comprata il suo cane dell’Est alla fiera del cucciolo, sempre che il cucciolo riesca a crescere senza ammalarsi e/o morire prima, la sciura Maria scoprirà improvvisamente che il cane fa la pipì, che va portato fuori anche quando piove, che non si raccoglie da solo le cacche (lei ci sperava), che se gli viene mal di pancia vomita sul tappeto e non corre nel bagno a sentirsi male in privato e dignitosamente. Magari, se si è comprata proprio “il cane del telefono”,  scopre anche che è un border collie e che ha un bisogno sfrenato di correre, di lavorare e di giocare, mentre lei sperava di tenerselo tutto il giorno sul divano. Se invece “il telefono” era un altro, potrebbe scoprire che un Dogue de Bordeaux mangia cinque euro buoni di cibo al giorno, dissipandole la pensione.
A quel punto la sciura Maria penserà: “Porca miseria, ma che fregatura che è ‘sto cane (non lei, sia chiaro: il CANE. I proprietari inadeguati, ignoranti e imbecilli danno SEMPRE e SOLO la colpa al cane, quando non riescono a gestirlo). Meno male che ci sono quegli animalisti tanto bravi che se lo prendono di sicuro e lo danno a qualcun altro”. Dopodiché telefona al rifugio, chiede se  può portargli il cane: e regolarmente si sente rispondere che non c’è posto, che ne hanno già millemila, che lei in fondo ha da piazzarne UNO, mentre loro devono sistemarne una marea. Quindi, perché non si sforza di trovare LEI un nuovo padrone al suo ex beniamino? Il ragionamento non fa una grinza, ovviamente. Ma le grinze, la sciura Maria, ce l’ha nella testa. Dal momento in cui ha deciso che “il cane della pubblicità” (che oltretutto è proprio una sola, perché non risponde neanche al telefono!) è diventato un peso e non più un piacere, la sciura Maria DEVE assolutamente levarselo dai piedi in un massimo di dodici ore. Quindi fa un paio di telefonate agli amici (che cortesemente declinano l’offerta di beccarsi un cane adulto, di dubbie origini e probabilmente anche maleducato), decide che “non c’è altro da fare” e, a seconda del suo grado di stronzaggine, può decidere di: a) legarlo fuori dal rifugio che l’ha rifiutato (“tanto, dove si mangia in millemila si mangia in millemila e uno”); b) mollarlo per strada (“tanto è bello, è simpatico, qualcuno se lo piglierà di sicuro”); c) portarlo dal veterinario chiedendogli direttamente di sopprimerlo (scelta purtroppo rara – anche se non COSI’ rara – non perché la sciura Maria si senta una merda all’idea di uccidere un cane sano e un amico che la adora, ma solo perché il veterinario va pagato). Ora chiediamoci: quante sciure Marie ci sono, al mondo? Per quello che mi dice un’esperienza cinofila ormai quarantennale, ahimé, un buon 70% della popolazione italiana è costituita da personaggi di questo tipo (e temo che siamo più vicini all’ottanta per cento…ma voglio essere ottimista). Che non sempre sono persone  veramente cattive (esclusi quelli che veramente pensano di ammazzare il cane): sono semplicemente ignoranti. Ma proprio di un’ignoranza totale, globale, che parte dall’inconsapevolezza di che cos’è realmente un cane (per molti è ancora “solo una bestia”: ma non stupiamoci troppo, visto che per altrettante persone gli immigrati “sono solo negri”…) e arriva alla beata ingenuità di credere davvero che un cane abbandonato “troverà sicuramente una nuova famiglia”. E a quel punto lì, le cifre da incubo sciorinate dalle associazioni  (che a volte vengono leggermente gonfiate, è vero:  ma neanche poi tanto), che parlano di tutti i cani che fanno fini atroci investiti dalle auto, torturati da esseri sub-umani che parlano e camminano su due zampe, catturati per essere ceduti a vivisettori e affini… guarda caso, non la convincono più. Gli animalisti “avevano proprio ragione” quando parlavano male degli allevatori: ma adesso che le dicono che il suo cane ha 90 probabilità su cento di finire malissimo, “sono tutti un po’ fanatici”. E attenzione: questo scenario da incubo va moltiplicato per dieci se la sciura Maria NON ha comprato il suo cane (neanche pagandolo poco), ma l’ha ricevuto in regalo. C’è perfino un detto che recita: “Cane regalato, presto abbandonato”… e purtroppo la saggezza popolare, in questo caso, non sbaglia. Tant’è vero che nei canili la percentuale di cani di razza (o presunti tali) è infinitesimale rispetto a quella dei meticci, frutto di “libero amore” spesso propagandato – e messo in pratica sui propri cani – dagli stessi animalisti, secondo cui il “rispetto per gli esseri viventi” consiste anche nel lasciarli riprodurre a spron battuto. Dopodiché i cuccioli si regalano a destra e a manca con grandi sorrisi, in attesa di vederli approdare ai vari canili (perché il 70% dei cani regalati “a tradimento” finisce esattamente lì). Dunque, serve a qualcosa sputtanare chi alleva cani di razza? Fa davvero il bene dei “poveri cagnolini che languono nei canili”? La risposta, a tutte lettere, maiuscolo e grassetto, è NO. Sputtanare gli allevatori, e soprattutto metterli sullo stesso piano dei canivendoli, serve solo ad ingrassare questi ultimi, che non spendendo un centesimo per allevare possono praticare prezzi leggermente più bassi di chi invece si danna per produrre solo cuccioli belli e soprattutto SANI, ben tenuti, socializzati, pronti ad entrare in una nuova famiglia portando tanta gioia e pochissimi problemi. Ma ora veniamo alla domanda-chiave, al punto base di questa discussione: è giusto vendere un essere vivente? La risposta è di nuovo un NO a tutte lettere, maiuscolo e grassetto, se per “vendere” si intende “speculare sulla pelle di questi esseri viventi, allo scopo di arricchirsi”. Ma  NON E’ QUESTO che fa un allevatore serio. Un allevatore serio si prodiga per rendere la sua razza del cuore sempre più diffusa ed amata: e per questo si sforza di produrre cuccioli BELLI, SANI e DI BUON CARATTERE: ovvero quel tipo di cane che non viene praticamente MAI abbandonato.  Peccato che i cani belli, sani e di buon carattere non nascano dalle uova di pasqua. Sono il frutto di un lavoro duro, costosissimo e maledettamente appassionante che si chiama selezione: e che consiste, tanto per cominciare, nel passare le notti a studiare gli accoppiamenti migliori, ad imparare la genetica canina, a farsi mille chilometri di viaggio per trovare lo stallone giusto per la cagnetta giusta. POI consiste nel sottoporre i riproduttori a tutti i possibili test sanitari (costosissimi) che servono ad identificare la presenza di eventuali malattie genetiche. POI consiste nel far valutare i propri soggetti da giudici esperti (nel campo della bellezza e in quello del lavoro, per le razze selezionate a questo scopo), per capire se davvero ci si sta avvicinando al traguardo cinotecnico che tutti sognano, ovvero il cane “assolutamente” bello, bravo e sano. E pure qui, son soldi che volano via: e tutto questo PRIMA che la cucciolata sia nata, perché dopo ci sono altre mille cose da fare (e altri euro da spendere): non vi faccio tutta la lista, ma vi invito a leggere questo articolo in cui viene descritto il lavoro di un buon allevatore per produrre una cucciolata DOC. A questo punto gradirei prevenire un’altra accusa classica degli animalisti: quella secondo cui gli allevatori sarebbero delle specie di NAZISTI che vogliono la “razza pura” esattamente come Hitler voleva la razza ariana. Purtroppo devo smentirvi e spernacchiarvi, amici miei: perché Hitler, per ottenere la “sua” razza pura, ha pensato bene di far fuori qualche milione di persone che non rientravano nei suoi canoni.
Un allevatore serio non fa fuori proprio nessuno (i cagnari a volte sì: e quelli vi autorizzo a pieno titolo a chiamarli nazisti…ma non è che loro vogliano il cane perfetto. Vogliono solo cani che garantiscano un guadagno. Quindi sono pure nazisti di serie B). Un allevatore serio fa tutte le indagini e gli esami del caso per  prevenire la nascita di cuccioli  malati, che potrebbero vivere una vita infelice. Se succede lo stesso (e purtroppo succede, perché la genetica non è una scienza esatta), l’allevatore serio regala il cucciolo che mostra un piccolo problema, mentre si tiene e si prende cura personalmente  (spendendoci altri soldi) di quelli che i problemi li hanno più gravi. Se questi allevatori sono nazisti, allora sono nazisti anche tutti i medici che si sbattono da decenni per debellare malattie come la sindrome di Down o tutte le altre patologie genetiche umane che portano a vite difficili, bloccate su sedie a rotelle, impossibilitate a relazionarsi con gli altri e così via. Se poi pensate che non si dovrebbe cercare alcuna cura, che chi nasce così dev’essere accettato con grande gioia (e magari fare pure lui stesso i salti di gioia per essere nato così, sempre ammesso che abbia gambe su cui saltare), allora stavolta sono IO a  considerarvi  “pazzi fanatici”. Ma mi auguro che siate tutti d’accordo con me sul fatto che cercare di prevenire malformazioni, dolore, vite “da cani” nel vero senso della parola non soltanto sia un’opera buona, ma che dovrebbe essere un preciso DOVERE di chi alleva (sia cani che  umani). Bene, questo è quanto fa un allevatore serio. E siccome per farlo deve sostenere costi elevati, mi sembra anche corretto che ottenga un rimborso di questi costi quando cede un cucciolo. E se poi a questo lavoro di selezione e di cura decide di dedicare la propria vita, vi sembra così “immorale” che ricarichi sul prodotto di questo lavoro anche una piccola quota che, moltiplicata per il numero di cuccioli che metterà al mondo, gli permetta di vivere decorosamente? Non so a voi, ma a me sembra MOLTO più immorale che gli alti papaveri di associazioni protezionistiche (alcuni dei quali beccati e condannati, altri purtroppo no…) si siano messi in tasca i lasciti delle vecchiette che pensavano di “lasciare tutto agli animali abbandonati”, o che si siano intestati le case che le stesse vecchiette lasciavano in eredità a quelle associazioni. Attenzione, NON sto parlando dei volontari: i volontari sono, nella quasi totalità dei casi, persone dall’immenso cuore, spesso a loro volta sfruttati biecamente (e immoralmente) dai soliti alti papaveri che fingono di “non avere soldi”, perché intanto i bilanci non può vederli nessuno, e che li usano per mantenere in vita canili e rifugi in cui gli animali vivono malissimo, mentre loro si arricchiscono. E non è successo una volta, né due, né tre. Succede continuamente, in ogni parte d’Italia, in modo più o meno eclatante. Ma succede. E spesso gli stessi ingenui volontari che vanno a scopare merda gratis per gente che si fa lo yacht sulla loro pelle sono gli stessi che poi accusano gli allevatori di essere “ladri” o “speculatori”. SVEGLIA, signori miei. Le cose non stanno esattamente così. Certo, i cagnari esistono. Ce ne sono mari, anzi oceani. Gente che fa finta di allevare, che inalbera il cartellone “Allevamento di Pincopallo”, quando in realtà importa cuccioli dell’Est e li rivende dopo aver buttato nella spazzatura i (molti) cadaveri che arrivano con il camion della settimana. Gente che alleva “in batteria”, con i cani tenuti in varikennel stivati uno sopra l’altro; gente che fa coprire le cagne ad ogni calore; gente che non fa neanche una vaccinazione ai cuccioli, altro che esami per le patologie ereditarie. Gente che vende “cuccioli di tutte le razze, sempre disponibili, spedizioni in tutta Italia isole comprese”, come Aiazzone (che non è finito troppo bene neanche lui, stando alle cronache degli ultimi giorni). Ma c’è un piccolo, piccolissimo particolare: questi NON SONO ALLEVATORI. Sono, appunto, cagnari. Canivendoli. Commercianti di carne canina. Chiamateli come volete, purché non li confondiate con chi alleva con passione, serietà, competenza e AMORE. Perché chi alleva con e per amore non favorisce MAI il randagismo: anzi, è il peggiore nemico dell’abbandono e del randagismo. Perché i cani che vengono abbandonati sono, nel 99% dei casi, cani problematici. Cani malati. Cani che mordono. Cani che scappano. E anche, ahimé,  cani che non sono stati capaci di svolgere il loro lavoro: questa è una quasi-esclusiva dei cacciatori, che trovano normalissimo buttare in autostrada il cane che ha paura della fucilata (sempre che la fucilata non la tirino direttamente a lui). Se togliessimo dai canili di tutta Italia tutti i cani da caccia, il problema del sovraffollamento svanirebbe in un attimo. Ma per quanto io detesti  caldamente la caccia e tutti i cacciatori, una considerazione devo anche farla: i cani da caccia bravi non li abbandona mai nessuno. Il cacciatore medio, purtroppo, non è un cinofilo nel senso di “amante dei cani”: è uno che utilizza il cane come strumento, che lo considera alla stessa stregua del fucile. Se funzioni, bene. Se non funzioni, ti caccio via. Ma anche in questo caso, guarda un po’, è difficilissimo trovare soggetti di alta genealogia nei canili. E perché? Perché chi seleziona con cura i cani da caccia, esattamente come chi seleziona cani da difesa, da compagnia e o da pastore, mette al mondo cani sani e con le doti caratteriali giuste per il lavoro che devono svolgere. I cani da difesa bene allevati (e qui intendo anche “ben gestiti nelle prime settimane di vita”) non scappano davanti a un tizio che minaccia il loro umano: i cani da caccia bene allevati non scappano se sentono un colpo di fucile. E questi cani NON vengono quasi mai  abbandonati. Forse non sono amati nel modo giusto, sicuramente non nel senso che intendiamo noi, noi che diciamo al nostro cane “vieni dalla mamma” o “vai a vedere se arriva papà”: ma almeno sono rispettati. Anzi, a volte sono portata a credere che siano quasi “più” rispettati dei nostri, che a volte umanizziamo oltre il lecito. Di sicuro, comunque,  non vengono “gettati via”. I cani che riempiono i canili sono  i meticci frutto del “libero amore” (e poi dell’impossibilità di piazzare i  cuccioli), o di accoppiamenti sciaguratamente VOLUTI perché gli umani credono a leggende metropolitane tipo quella che “la cagna deve partorire almeno una volta nella vita” (balla stratosferica, leggete questo articolo se per caso ne siete convinti anche voi); sono i cani da caccia che non sanno cacciare; sono i cani di di “più o meno razza” comprati in negozio, o alle fiere del cucciolo, o dall’amico del cugino del cognato che ha un maschio e una femmina in casa e spara fuori una cucciolata ogni sei mesi, che vende su Ebay; sono i cani prodotti – e in questo caso il termine è più che mai appropriato – da tutti i livelli di cagnari e canivendoli di cui l’Italia è fin troppo ricca, alcuni dei quali possono pure fregiarsi di un affisso ENCI (il che è il fondo dei fondi, davvero il massimo della vergogna). I CANI NON SI VENDONO? Per lucro, no. Eticamente, sarebbe molto bello poter dire di no. In pratica, se la loro nascita è stata programmata e seguita come avviene in un allevamento davvero serio, i cani si DEVONO vendere per forza. non per specularci sopra ma per rifarsi delle spese necessarie per mettere al mondo cani con alte speranze di un futuro felice, sano e lontano dai canili  (e/o, se vogliamo, per vedere onestamente retribuito un onesto lavoro svolto con impegno, passione e competenza). I CANI NON SI COMPRANO? Be’…dipende. Se si vuole semplicemente “un cane” da amare, coccolare, accudire (e dal quale ricevere il quattromila per cento circa di quello che gli daremo) NO, non si devono comprare: anzi, è un dovere civile e morale quello di svuotare i canili che tanti sciagurati hanno contribuito a riempire. Ma di questo parlerò tra pochissimo. Prima, invece, vorrei gridare ai quattro venti qualcosa di cui sono profondamente convinta: I  CANI NON SI REGALANO! Non si regalano con lo scopo di levarseli dal groppone, ma non si regala neppure il cane (né meticcio, né “griffato”, né microscopico né gigante) a qualcuno che non è profondamente e responsabilmente preparato a riceverlo. La scelta di un cane dovrebbe essere ponderata quasi quanto quella di un figlio: ci vogliono i presupposti giusti, la “testa” giusta, le condizioni economiche giuste, l’amore giusto. E ci vorrebbe anche un po’ di  competenza, un po’ di consapevolezza di quello che si sta facendo: ma questa, tutto sommato, la si trova più facilmente tra gli aspiranti proprietari di cani che tra gli aspiranti genitori. Purtroppo non è diffusa quanto dovrebbe, ma lo è più che nel campo umano, dove tutti fanno figli random. E’ sbagliato fare figli?  Sto finendo di nuovo sul terreno “nazista”? No, non direi proprio! Non mi sento nazista se mi auguro che la gente cominci a capire che avere un figlio, dopotutto,  non è obbligatorio, e che si cerchi di mettere al mondo solo bambini che possano almeno sperare in un futuro decente (senza parlare del fatto che anche negli “umanili” ci sono anche tanti cuccioli a due zampe in attesa di una famiglia… ma quello delle adozioni è un discorso talmente complesso che non è certo possibile liquidarlo in due righe, tantomeno in un articolo sui cani). Sta di fatto che sull’argomento “fare figli” ci sono un sacco di condizionamenti: spirituali, religiosi, culturali e chi più ne ha più ne metta. Sull’”avere un cane”, grazie al cielo, tutti questi problemi non esistono.
Non c’è nessuna religione che ti obblighi ad averne uno; non ci sono donne che vanno in depressione perché non riescono ad esaudire il proprio desiderio di “caninità”; nessun Dio ha mai detto  “crescete, moltiplicatevi e prendetevi un labrador”. Per scendere più terra-terra… non ce lo ordina neanche il dottore, di avere un cane. Quindi è possibile, STRApossibile compiere scelte responsabili, oculate, intelligenti, ragionate. E’ possibile ed è assolutamente lecito, a mio parere,  avere passione per l’agility e volere un cane che abbia buone probabilità di saper saltare un ostacolo senza rompersi una zampa; o essere anziani, o disabili, o semplicemente pigri, e volere un cane che possa starsene otto ore al giorno su un divano senza che gli venga la smania irrefrenabile di distruggere la casa. A questo servono i cani di razza pura, i cani selezionati: non a fare gli “status symbol”, ma a poter svolgere un compito, o anche solo un “ruolo”, come quello del cane da compagnia,  nel modo più soddisfacente possibile, sia per loro che per gli umani che li circondano. E’ assolutamente lecito, a mio parere, volere un cane che arrivi in buona salute a un’età più longeva possibile. Ed è lecito anche volere un “bel” cane, anche se questa  dovrebbe essere l’ultima delle priorità se la bellezza viene intesa solo in senso “estetico”; mentre diventa importante quando – come dovrebbe SEMPRE avvenire in cinofilia – la “bellezza” si intende in senso funzionale. Ovvero, un cane da slitta costruito in modo da poter tirare una slitta con la minor fatica possibile. Un cane da caccia costruito in modo da poter galoppare per ora senza schiattare d’infarto.  Un cane da compagnia che non pesi 120 chili. E così via. Ovvio che quando si vuole un “cane-e-basta”, ovvero un amico, un simpatico compagno di vita, un membro della famiglia e niente più (che poi è un “niente più” assai relativo, perché un “cane-e-basta” ti dà già moltissimo)…allora il cane di razza non serve letteralmente a niente. E in questo caso gli animalisti hanno non ragione… DI PIU’! Perché la sciura Maria del mio esempio è un’emerita pirla: perché, sempre in quell’esempio, si mette in casa un cane che ha un bisogno VITALE di sfogare le sue immense energie, quando a lei sarebbe servito un cane tranquillo, pacioso, magari anziano, senza particolari esigenze di moto. La sciura Maria sarebbe stata la “cliente” ideale del più vicino rifugio: avrebbe risparmiato i soldi (che le sono serviti a comprare una pallida imitazione del cane che cercava, per quanto lei sia convinta di aver “risparmiato” e di essere stata molto furba) e avrebbe potuto scegliere un cane davvero vicino alle sue esigenze, salvandolo da una vita di prigionia in canile. Ma adesso chiediamoci: PERCHE’ ci sono così tante sciure Marie, al mondo? Una delle risposte (non certo l’unica, purtroppo) è sicuramente questa: perché gli animalisti, tutti presi dal sacro fuoco dell’amore ma spesso sprovvisti delle conoscenze base, proprio dell’ABC del mondo cinofilo, spendono il loro tempo e le loro energie a contrastare l’”allevamento di cani” in generale, anziché darsi da fare per combattere i cagnari. Se scegliessero questa seconda strada, avrebbero gli allevatori seri al loro fianco, e non certo come avversari: perché anche agli allevatori seri piange il cuore nel vedere certi loro “sedicenti” colleghi che allevano cani come polli  (ammesso e per nulla concesso che sia giusto allevare in batteria anche i polli), che sfruttano le cagne, che non selezionano un accidenti e che, per questo, vendono “un po’ a meno”  cuccioli il cui reale valore è ZERO, perché ZERO è stato speso per la loro nascita e per il loro allevamento: eppure passano da “venditori onesti”, e gli allevatori seri sono “quelli cari” agli occhi della gente comune. Ma non è tutto qui: gli allevatori seri, che come tali sono anche CINOFILI nel vero senso della parola (e infatti hanno molto spesso una bella compilation di cani adottati, insieme ai propri campioni!), sono i primi a spedire  verso il rifugio i clienti che appaiono spinti da motivazioni inesistenti: personalmente ne ho spediti via a decine, e non perché sia una santa, ma perché non volevo che uno dei miei cuccioli finisse in mano a qualcuno che non poteva essere più lontano dal padrone ideale di un siberian husky. A queste persone ho sempre detto “andate al canile: a voi serve un “cane”, non questo cane”. Molti ci sono andati e hanno trovato il loro compagno ideale: specie dopo che, magari, avevo passato un intero pomeriggio a sfatare leggende metropolitane sul fatto che “i cani adulti non si affezionano più”, “i cani adulti sono pericolosi per i bambini” e così via. Invece di gettar fango su chi alleva, gli animalisti potrebbero, per esempio, fare campagne informative sull’adozione dei cani adulti: mentre spesso sono loro stessi ad accogliere i visitatori dicendo “cuccioli non ne abbiamo”, come invitandoli a tornarsene pure a casa. Altra faccia della medaglia, anche l’ENCI e i Club di razza avrebbero il sacrosanto DOVERE di combattere i cagnari, sponsorizzare gli allevatori seri e dirigere verso canili e rifugi coloro che cercano un “cane-e-basta”: ma purtroppo l’ENCI (i Club dipende…non sono tutti uguali) è uno di quegli istituti che pensano più a guadagnare sui cani che a fare il loro bene. Mi fa male al cuore doverlo dire  (specie visto che l’ENCI ha in mano tutto il mondo “ufficiale” del cane di razza), ma è così e sarebbe stupido rifiutarsi di ammetterlo. “ENCI” non è sinonimo di “buon allevamento”: quel ruolo se l’è giocato da tempo. L’ENCI rilascia i pedigree: tutto qua. E’ un ufficio burocratico e va preso soltanto come tale. Tutto quello che lui non fa, però, possiamo farlo noi… ma per farlo nel modo giusto (e cioè, innanzitutto, diffondendo una vera cultura del cane e di tutto il mondo che gli ruota intorno) non serve fare guerre tra poveri. Serve confrontarsi, informarsi reciprocamente: e serve anche denunciare tutto ciò che di sbagliato c’è dall’una e dell’altra parte, perché di sbagliato c’è moltissimo. Però, se un animalista dice “l’allevatore X cede i cuccioli a 40 giorni senza vaccinazioni”, gli allevatori seri dovrebbero essere al suo fianco a firmare la stessa denuncia. E se un allevatore dice “il canile Y vende il mangime che gli viene regalato” (perché succede anche questo, ahinoi), gli altri animalisti dovrebbero correre a controllare e fare un mazzo così al gestore di canile truffaldino. E naturalmente si dovrebbero portare avanti, tutti insieme, le campagne fondamentali sulla responsabilizzazione di chi vuole un cane, sulla sterilizzazione, sulla NON produzione di cuccioli casuali e indesiderati. Invece, spesso, ci si chiude nel comporativismo e si vedono gli altri come nemici, quando dovremmo essere i primi alleati. Così i rifugi restano pieni, i cagnari continuano ad arricchirsi… e i cani, come al solito, sono quelli che ci rimettono di più.

VIETARE GLI ALLEVAMENTI DI ANIMALI DA PELLICCIA.

Vietare gli allevamenti di animali da pelliccia. E' la richiesta che arriva dalla Lav, in piazza a Milano ieri con l'onorevole Michela Vittoria Brambilla. La Lega Antivivisezione è stata infatti impegnata per il secondo week end consecutivo, nella campagna "Apriamo le gabbie, chiudiamo gli allevamenti". Sono già migliaia, sottolineano i promotori dell'evento, le firme raccolte per chiedere che le Camere prendano in considerazione il problema e finalmente decidano, com'è avvenuto in altri Paesi europei. "Il Parlamento ascolti la voce dei cittadini - ha spiegato l'ex ministro Brambilla - la Camera dei deputati esamini ed approvi la mia proposta di legge per vietare l'allevamento di animali da pelliccia. E' inaccettabile che in nome del lucro, del capriccio e della vanità di pochi, milioni di animali soffrano nelle gabbie degli allevamenti intensivi o siano strappati al loro ambiente naturale, e uccisi".

ALLE PECORE IMPEDISCONO LA TOSA.

Pecore a Milano ma gli animalisti impediscono la tosa. La wool week italiana si svolge a Milano dal 10 al 16 settembre. Oggi erano presenti anche le pecore. Venivano da Seregno (quindi con un breve trasporto) e in piazza Duomo, a farsi ammirare, sono state benone, peccato che gli animalisti abbiano impedito la tosatura, scrive Michele Corti. La lana dal 2010 sta aumentando di prezzo in relazione ad un rinnovato interesse della moda ma anche grazie alla bioedilizia. È importante comunicare al pubblico che la lana , in quanto fibra animale, è una materia prima rinnovabile ottenuta in sistemi a basso impatto ambientale e possiede molte proprietà utili per il benessere e la salute. La settimana della lana fa parte di una campagna mondiale per promuovere l'uso della lana. Si è svolta in varie città con greggi di pecore nelle piazze principale a fare da testimonial del loro prodotto. A livello mondiale questa campagna è sostenuta dalla Woolmark company organizzazione di allevatori australiani mentre a livello nazionale ad essa si affiancano sponsor locali. In Italia, dove non ci sono organizzazioni di allevatori di pecore da lana (la produzione ovina principale in Italia è rappresentata dal latte), la campagna è sostenuta da marchi di moda e scuole di design che non mancano a Milano, capitale della moda. Anche a Milano, e in Lombardia, però, ci sono sono pecore e pastori. Pochi, ma ci sono e con i loro spostamenti continuano a frequentare le periferie della metropoli seguendo rotte di transumanza ininterrotte da mille anni. Così quando gli organizzatori hanno pensato di portare le pecore in Piazza Duomo non è stato difficile "ingaggiarle". È bastato contattare Tino Ziliani, tosatore professionista (già pastore e di famiglia di pastori) nonché presidente dell'Associazione pastori lombardi e molto conosciuto anche in altre regioni. Tino ha organizzato il trasporto del gruppo di pecore da Seregno (cittadina a Nord di Milano) dove si trovava una parte di un gregge che è ancora in alpeggio in Valle Camonica. Il breve trasporto (meno di 30 km) è stato agevolato dalla Polizia Locale milanese. Appena il camion si è fermato dalle parti del Centro Direzionale per chiedere informazioni sulla strada da seguire la pattuglia - evidentemente a conoscenza dell'arrivo di un carico di pecore diretto nel cuore della città - si è offerta di scortare il trasporto pecoreccio sino a destinazione. Le pecore hanno trovato in piazza Duomo una più che confortevole sistemazione. Un perfetto tappeto erboso naturale delimitato da una staccionata che consentiva piena visibilità agli animali (e pensare che per le mostre c'è chi usa i tubi Innocenti...). Le pecore hanno potuto restare al fresco riparate dall'ombra della Cattedrale non disturbate per nulla dalla presenza dei curiosi. Quanto all'acqua era mantenuta fresca e pulita grazie al frequente trasporto (con innaffiatoio) dalla "vedova" ai piedi della Cattedrale (sotto verniciata di minio in attesa della mano di verde regolamentare). Due comodi abbeveratoi consentivano alle pecore di dissetarsi senza problemi. A completare il quadro di una situazione di pieno comfort e sicurezza vi era la presenza di un veterinario venuto appositamente da Sovere e pratico di greggi che - tranne qualche paesa caffè - ha garantito una presenza continua a fianco del recinto. E se non bastasse tre persone dell'organizzazione sostavano permanentemente presso il recinto per controllare che nessuno aprisse il cancelletto. Eppure, pur con tutte queste precauzioni agli animalisti molesti dell''ENPA la cosa non è gradita. Sostengono che la città non è un ambiente "naturale" per gli animali e che chi desidera conoscerli se ne andasse alle Fattorie didattiche. Bontà loro che non hanno fatto ostruzionismo ad un evento che rispettava ad abundantiam tutti i requisiti del già rigido regolamento comunale (nel quale essi pur hanno messo ampiamente il becco). I guastafeste hanno comunque ottenuto che: 1) le pecore invece che 100 si riducessero a 50; 2) i giorni di presenza del gregge da 2 a 1; 3) la dimostrazione di tosatura saltasse del tutto. Comune di Milano e Woolmark company hanno calato le braghe immediatamente. Tanto è il timore delle ritorsioni degli animalisti che godono di ottimi agganci nelle redazioni. Se per il comune di Milano sono in ballo i voti per la Woolmark company c'è l'esigenza di evitare al massimo gli attriti con gli animalisti dal momento che è già in atto una campagna mondiale contro la lana merino australiana per ottenere l'abolizione della pratica cruenta del mulesing a danno delle agnelle. Peccato che ad andarci di mezzo siano stati i bambini milanesi cui è stato negato di assistere alla tosatura. Una pratica che, specie e eseguita con tosatrici elettriche da professionisti, non provoca alcuna sofferenza alla pecora. È curioso che appena prima di parlare con me (e spigarmi che avevano preferito non contrariare gli animalisti anche in punto di dimostrazione di tosatura) la rappresentante del Woolmark company ricevesse da un bimbo proprio questa domanda: "ma ci fate anche vedere a tosare le pecore?" Erano numerosi i bimbi che si avvicinavano al recinto. Senza chiedere nulla a nessuno prendevano delle brancatine di fieno e le porgevano alle pecore che di buon grado accettavano l'offerta. Per fortuna che nessun animalista iperzelante è intervenuto per proibire di dar da mangiare alle pecore. Una mamma ha commentato nel contesto di una piccola discussione su queste esperienze educative: "ma chi ha oggi i soldi di andare a fare le gite e portare i bimbi alle Fattorie didattiche? Le scuole di gite non ne fanno quasi più, non ci sono i soldi". Avrebbe dovuto dirlo all'Enpa che imporrebbe di limitare queste "occasioni" di incontro con gli animali al luogo deputato istituzionalmente: nelle Fattorie didattiche. Alla faccia della spontaneità. Viene da pensare che agli animalisti non faccia affatto piacere che i bimbi si avvicinino agli animali domestici. L'esperienza di un animale con il quale puoi avere anche la semplice interazione di una carezza non porta acqua al mulino di un animalismo che alla pecora predilige il lupo. L'Enpa di Cuneo - dove il conflitto tra animalisti e pastori è più acuto - si è distinta per antipastoralismo sino a polemizzare con il sindaco di Vinadio che aveva ripristinato con poche spese una capanna in pietra per consentire a dei margari di poter ricoverarsi di notte e custodire la mandria dai lupi. Per l'Enpa era una spesa clientelare, i pastori devono restare all'aperto anche di notte a sorvegliare le pecore. E se non lo fanno non venissero a lamentarsi delle stragi dei lupi. È curioso, o forse rivoltante, che chi non vuole che i milanesi assistano alla tosatura ("troppo brutale") trovi del tutto accettabile che pecore, capre, asini, vitelli, manze, vacche vengano sbranate vive e muoiano tra atroci sofferenze senza magari essere nemmeno consumate da orsi e lupi che devono essere liberi di dar sfogo ai loro istinti uccidendo in serie. Senza che il pastore possa torcere loro un pelo. Questo è l'animalismo.

GLI ANIMALISTI CONTRO GLI ALLEVATORI.

Quando gli animalisti attaccano gli allevatori, scrive Stefania Carboni su “Giornalettismo”. La vita difficile di chi avvia una impresa di visoni e non: tra bombe al cancello, fienili in fiamme e colleghi evasori. Mentre si chiudono attività per colpa di vuoti normativi e cattiva pubblicità. Reti tagliate, animali “liberati” ma anche incendi in fienile. A volta la vita dell’allevatore italiano non è semplice lungo lo stivale. A dare il colpo di grazia, a volte, associazioni animaliste che in nome dei diritti della fauna spesso fanno blitz che aggravano l’attività di aziende ed esportatori. Oltre mille partite Iva, oltre un milione di dipendenti nella filiera zootecnica, 5 mila operatori nei circhi. Colpire un settore a volte può assumere un effetto domino, creando problemi a tutti gli altri. Giovanni Boccu è Presidente Aiav, nonché allevatore di Cremona. E’ da sempre nel “mirino” degli animalisti: “I miei associati hanno avuto problemi, io li chiamerei più terroristi che animalisti”. “Da me hanno liberato gli animali nel 2003. Hanno fatto danni e piazzato una bomba davanti all’ingresso della mia attività”. Uno degli allevatori della zona ha subito un incendio nel fienile, fiamme che hanno lambito anche la casa, creando non pochi danni: “Ha rischiato di bruciare dentro, hanno incendiato le cucine dei colleghi e avvelenato un cane due giorni prima della cosiddetta liberazione degli animali”. La persona che ha rivendicato della sua ditta a Capralba non ha passato gravi conseguenze legali in aula: “Dovrebbero non fare passare gesti del genere come terroristici non vandalici. Il problema di queste azioni è che si ripercuotono su tutta la filiera, sui dipendenti, sull’hinterland”.  - “Fra venti giorni chiudo l’attività”. Mauro Merlo alleva cani ungheresi. Fa questo mestiere da 20 anni. “Ma ormai per la gente io sono un cagnaro” aggiunge. Racconta tassello per tassello cosa ha infranto la sua passione, tra servizi tv nocivi al settore ed evasione alle stelle: “tutelata” a colpi di nuove normative. Lui, ha sempre lavorato correttamente, sempre fornendo il passaporto europeo: “Amo gli animali. E’ mio interesse vendere cani sani, i cani più belli sono in Ungheria. Ma mi accorgo ora come ora che le persone non acquistano più cani dell’est. Io paradossalmente mi trovo fregato, chi invece carica 4 cuccioli sulla sua macchina continua ancora a sopravvivere”. Tutti hanno creato attorno al cane ungherese una generalizzazione pericolosa. “Ho cercato di fare servizi, di raccontare che non è così. Il loro benessere è anche il mio. Purtroppo c’è stata anche stupidità commerciale, rivendite senza Iva. Alcuni miei colleghi non hanno fatto altro che peggiorare, in un certo senso, la situazione”. E’ iniziato tutto dal 2009. “Un calo mostruoso, causato anche sull’ondata mediatica dei sequestri. Il 30 per cento dei cani sequestrati sono stati poi restituiti, altri vengono sequestrati in Sud Italia e rivenduti in Lombardia. Sono tutti dati che non escono. La lobby animalista è molto forte, anche a livello politico”. Mauro spiega come i cani vengano importati ugualmente in nero: “Con un danno enorme, senza microchip. Si fa prima a metter al muro una persona piuttosto che cercare invece di scoperchiare questi circuiti”. Basta pensare allo strano calo dei “pedigree”: “Settanta mila fatti nel 2003 e 6 mila e 500 nel 2008″. Eppure Merlo è da 13 anni che chiede una regolamentazione del settore: “Io sono stato tra i primi a richiedere il microchip. Ora è troppo tardi ma mi creda io vent’anni fa ho iniziato questo mestiere, facendolo correttamente. Paradossalmente ho trovato più violazioni in un importatore italiano piuttosto che in quello ungherese. Quelli ufficiali oggi sono rimasti in quattro, cinque”. E tutti gli altri? “Eh… illegalmente. I quattro zampe arrivano ugualmente in Italia. Senza fatture. Basta guardare le partite Iva e vedere invece chi si spaccia per ‘amatoriale’”. Ricorda la sentenza dell’allevamento Morini: “Ha chiuso e ora lo Stato rimborsa l’azienda per i danni avuti dagli animalisti. Ha vinto la causa. E chi paga i danni altrui? Noi”. “Gli animalisti danno risposte semplici a problemi complessi. Non è detto che però la risposta semplice sia quella giusta. Le parole spesso fanno presa sulle emozioni, grazie anche ad immagini d’impatto. Noi non facciamo i comunicatori. Ecco perché loro, nell’arco di pochi anni, hanno comunque convinto così tanto l’opinione pubblica”. Massimiliano Filippi, segretario nazionale di FederFauna, commenta così un fenomeno preoccupante, dove spesso l’allevatore rimane da solo. Le istituzioni ricevono pressioni dalle associazioni animaliste? “Molto spesso sì. Quando ci sono le mail bombing, per esempio, mi rendo conto che anche i politici cedono. Questo perché non hanno una concezione della realtà degli allevamenti italiani. Noi le consultazioni con le istituzioni le abbiamo di continuo, anche a livello europeo. Partecipiamo agli incontri in modo molto civile, senza colori politici”. A volte, secondo il segretario, si parla troppo ma si agisce poco: “Spesso la politica si riempie la bocca vantandosi delle nostre magnificenze culinarie o turistiche, come il palio di Siena, ma di fatto non tutelano gli allevatori danneggiati. Noi non abbiamo colore politico, ma sono davvero pochi i parlamentari che ci ascoltano. Spesso trattiamo con i ministeri, chiediamo una maggiore tutela della legalità in un sistema che premi il lavoro”. “Gli animali vengono visionati una volta al giorno (in alcuni periodi anche più)”. Filippi mostra, filo per segno, le bugie sugli allevamenti di pelliccia in Italia. Parte dai mangimi: “Non viene però specificato, che la cosiddetta poltiglia è in realtà una miscela di prodotti di origine animale, con dosi bilanciate a seconda della stagione. Con alcuni animali (con i denti aguzzi ndr) non possiamo mettere una ciotola del cane”. Ecco perché la posizione del cibo sulla rete è creata apposta in modo tale che “l’animale non ingurgiti tutto il cibo in una sola grande dose”. Tra le accuse spuntano anche le camere a gas, ultima tappa prima dell’abbattimento: “Falso. La pelliccia non può esser surriscaldata. Perciò non possiamo mettere i capi in stanze sovraffollate. Si utilizza poi il monossido di carbonio che, con percentuali basse, addormenta l’animale, il quale, ovvio, poi non si risveglierà più. Ma il dolore, con questa tecnica, non viene nemmeno percepito”. Angelo Troi è veterinario ed è segretario nazionale del Sivelp (Sindacato Italiano Veterinari Liberi Professionisti). Ha di recente scritto un post a favore dell’attività nei delfinari, spesso mirino di campagne estive non proprio “edificanti”: Chiudendo le attività produttive con animali, rendendo sempre più complicato detenere un animale e puntando ad una sanità pubblica per gli animali da compagnia (superstiti), appare evidente che lo spazio occupazionale e reddituale dei veterinari liberi professionisti non lascia intravvedere grandi prospettive.
I delfinari, con i medici veterinari che vi operano garantendo la salute di quegli animali, sono un tassello delle produzioni animali e dell’allevamento. Chi oggi afferma che i delfini ospitati non ridono, -l’espressione felice sarebbe da attribuire unicamente all’anatomia-, qualche tempo fa affermava che è dimostrato che piangono. “L’ho scritto per la difesa della professione veterinaria – spiega – sta diventando difficile produrre con gli animali in Italia. Tutto su base ideologica. Non scientifica. Una cosa che non si può condividere”. Le posizioni animaliste secondo il veterinario: “Hanno ripercussioni abbastanza drammatiche su tutto il settore zootecnico”. Il business delle onlus è alto: “I cani randagi di Pompei per esempio nonostante i contributi sono ancora là. Si tratta di spostare i cervi del Cansiglio, quando in realtà si porta il problema da un’altra parte”. “Un allevatore di animali – spiega – ha un rapporto stretto con gli animali. Nelle piccole realtà c’era un legame serio. Le faccio un esempio. Ora non si possono tenere le vacche legate a catena. Nel gruppo esistono capi Alfa, l’animale stesso senza questa modalità subisce dei traumi, che comportano al conflitto intercapi”.  Intanto ieri si è firmato un primo accordo di collaborazione tra il Corpo forestale dello Stato e la Federazione italiana associazioni diritti animali e ambiente (Fiadaa). Obiettivo? Potenziare il controllo “degli animali d’affezione, esotici e d’allevamento”. Il protocollo d’intesa è stato siglato tra il capo della Forestale, Cesare Patrone e la parlamentare Michela Vittoria Brambilla che rappresenta la Federazione. Le normative d’altronde ci sono. “In realtà però – spiega Filippi – le norme vengono interpretate in maniera penalizzante per chi fa una attività lavorativa”. Cita la legge 189/2004: “Gli articoli in sequenza fanno in modo che le associazioni animaliste, abbiano un ruolo di primaria importanza: attraverso le guardie zoofile, possono interagire nel sequestro, costituirsi parte civile ai processi.Noi, per troppi anni, abbiamo difeso posizioni ignorando politica e comunicazione. Certo le nostre colpe le abbiamo. Da lì in poi però, è stata una escalation verso il peggio”.

LA GUERRA CIVILE ANIMALISTA.

La guerra civile animalista, scrive Marco Maurizi. Una brutta parola. Pare che l’espressione “animalismo” sia stata inventata da Alberto Pontillo, storico fondatore della LAV. Si tratta di una pessima eredità: una parola che non ha corrispondenza in altre lingue dove si parla, più correttamente, di “attivisti per i diritti animali” (ARA), “liberazionisti” o “antispecisti”. Ognuna di queste “etichette” indica qualcosa di preciso, la parola animalismo no. Ecco perché piace, perché permette di sguazzare nel vago, è un concetto comodo che non dice niente e anzi, come dirò, ciò che dice è privo di senso e pericoloso. La parola è anzitutto priva di senso perché nasce con tutta evidenza come una contrapposizione all’ “umanismo” e quindi riproduce l’opposizione rigida tra Uomo e Animali che è stata demolita in sede teorica da lungo tempo. Anzi, chi dice di lottare “per gli animali” dovrebbe avere tra i suoi obiettivi primari proprio quello di contribuire a smontare quell’opposizione: cioè smettere anzitutto di riprodurla dicendo di lottare “per gli animali” come se l’umano fosse una specie di virus extra-terrestre (ma in realtà molti animalisti è proprio questo che pensano e il loro linguaggio li tradisce). La parola è poi molto comoda per coprire un pensiero privo di coerenza e di serietà. Mentre infatti chi parla di “diritti animali”, di “liberazione/i”, di “antispecismo” è costretto oggi a confrontarsi con una riflessione che ha problematizzato questi concetti, mostrandone le contraddizioni e le difficoltà, l’animalismo ti permette di dire tutto ciò che vuoi. Che quei concetti siano contraddittori non vuol dire che sia inutile impegnarsi in una lotta che ponga fine al sistema di dominio in cui siamo presi, semplicemente esige che lo si faccia senza farsi catturare da meccanismi concettuali che si riproducono nella sfera del pensiero in modo inconsapevole (il concetto di diritto, ad .es, implica un certo modello di “soggetto” che sia capace di esercitarlo o di goderne passivamente, il che è possibile solo se tale soggetto possiede certe caratteristiche e non altre: dunque esige una “demarcazione” tra ciò che va protetto e ciò che non va protetto che istituisce una gerarchia e tale gerarchia, essendo compiuta dall’umano, verrà inevitabilmente eretta a partire da ciò che ci “assomiglia” escludendo il “dissimile” ecc.). Con questo non si vuole dire che possano esistere costrutti concettuali totalmente non-contraddittori. Si tratta di vedere la contraddizione inevitabile per imparare a starci dentro, usandola come spia e come sponda, come bussola di orientamento. Non fare finta che non esista.

La superbia dell’animalismo. Ma l’animalismo non indica solo una brutta parola: questa parola è anzi perfetta per definire la quintessenza di tutto ciò che c’è di pericoloso in chi dice di lottare “per gli animali”. Anzitutto, continuando a porre l’ottusa distinzione tra Uomo e Animali ecco che l’animalista si crea la propria nicchia identitaria all’interno dell’Umano: “io sono l’Uomo che lotta per l’Animale, sono diverso dagli altri umani, l’unico che veramente faccia qualcosa di Altruistico”. Avendo proiettato l’Altro fuori di sé nella forma fantasmagorica dell’Animale (perché l’Animale è l’astrazione speculare all’Uomo, come non esiste l’Uomo non esiste l’Animale; inoltre non si capisce perché l’Uomo non debba essere incluso tra gli Animali) ecco che l’animalista diventa un Eroe senza macchia e senza paura. Una specie di Don Chisciotte contro il mondo armato che però dell’eroe di Cervantes non possiede né la poesia, né l’umorismo. Anzi, l’animalista è tremendamente serio e si prende tremendamente sul serio: lui che si occupa del dolore degli Animali non ci trova niente da ridere a fargli notare che sbaglia. Anzi, di solito, s’incazza. È troppo compiaciuto del ruolo che si è cucito addosso. E quando provi a fargli notare che umano e non-umano sono intrecciati non solo da un punto di vista concettuale ma anche economico e politico per cui non c’è via di lottare per la liberazione dell’uno senza contestualmente lottare per quella dell’altro trova quest’osservazione alquanto fastidiosa. Di solito le strategie reattive sono due ma convergenti: o si chiude a riccio e insiste nel dire che per lui è più importante lottare per gli Animali oppure dice che lui lotta anche per gli Umani ma all’atto pratico continua a considerare prioritaria la lotta per gli Animali. All’animalista di entrambe le specie, per esempio, la lotta contro il TAV apparirà qualcosa di estraneo che non ha nulla a che vedere con la sua lotta. Il manifestante No TAV bastonato dalla polizia gli apparirà semplicemente come uno che “mangia il panino al prosciutto”. Se poi il cantiere TAV porterà allo sterminio di migliaia di animali chissenefrega, mica posso mescolarmi con gente che mangia panini al prosciutto, mi macchierei di una forma intollerabile di “discriminazione” verso i maiali. E l’animalista vuole essere anzitutto coerente con la propria auto-rappresentazione di eroe che lotta “per gli animali”, l’efficacia della sua azione è cosa che lo riguarda solo da lontano.

 La guerra civile immaginaria. Ma, d’altronde, l’animalista non sa contro cosa combatte, conosce solo contro chi combatte: l’Uomo che non ha fatto la scelta di lottare per gli Animali. E in questo senso ho parlato di “platonismo pasticcione” che non era un battuta sarcastica ma una cosa serissima: il nemico per gli animalisti è l’Uomo che uccide gli Animali – cioè un’idea universale, eternamente uguale a se stessa – ma poiché tale nemico appare solo nella forma dei singoli esseri umani, ecco che per una forma di strabismo, il vicino di casa diventa rappresentante dell’Uomo Oppressore Degli Animali e l’unico con cui potrò prendermela (visto che l’Uomo in generale non esiste e non lo incontrerò mai) sarà lui. Ecco perché per l’animalismo i nemici vengono identificati solo dal fatto di essere o non essere vegani/vegetariani (che è l’unico marchio di fabbrica con cui l’animalista riconosce il proprio simile facendo scattare il meccanismo identitario che rende visibile il proprio gruppo di appartenenza) e tutto il resto passa in secondo piano. Purtroppo, invece, la struttura gerarchica del mondo che abbiamo di fronte rende centrale e fondamentale proprio ciò che l’animalista mette “in secondo piano”. Di fronte a questo tipo di obiezioni l’animalista risponde “a te non importa abbastanza degli animali” oppure “non hai il coraggio di parlare solo di animali, devi per forza metterci dentro anche gli umani” ecc. Tutte affermazioni che implicano il loro rovescio:  “a me che importa invece” e “io vado solo contro tutti e tutto” ovvero: tu non sei morale come me, tu non sei eroico come me (variante sfiziosa: tu sei ancora antropocentrico). Come se di questo eroismo straccione che confonde concettualmente le cose e si getta nella lotta a casaccio in un mondo di cui ignora le dinamiche elementari ci fosse davvero bisogno. Come se ne avessero bisogno “gli animali”. Ma chi soffre sotto il giogo di una società ingiusta (umani  e non-umani) non ha bisogno di eroi immaginari: ha bisogno di metodo di analisi e di strategie di cambiamento. Una volta sentii il rappresentante di una associazione animalista dire testualmente: “siamo dei vigliacchi! Se prendessimo sul serio le cose che diciamo dovremmo imbracciare il fucile e iniziare la guerra civile!”. Ed in effetti se uno pensa veramente che gli Umani siano Nazisti che stanno perpetrando l’Olocausto Animale (sul blog c’è un intero dossier che mostra i limiti e i pericoli di questo concetto) il simpatico signore di cui sopra avrebbe ragione. Perché con i Nazisti non si tratta e non si discute, si imbracciano le armi. Sicuramente molti animalisti la pensano così ma sono appunto troppo pochi o troppo poco seri per trarre le conseguenze del proprio eroismo immaginario. Altri invece sono teorici radicali della non-violenza e quindi indietreggiano di fronte a questo (speriamo di non trovarceli come amici il malaugurato giorno in cui si instaurerà un regime fascista, ci farebbero sgozzare allegramente per non sporcarsi le mani). Ma anche questi ultimi stanno in realtà lottando una Guerra Civile Immaginaria perché vedono la società umana divisa in due: Noi che “lottiamo per gli animali” e Loro “gli assassini”. E solo la poca serietà permette loro di non trarre le conseguenze di ciò che pensano e dire apertamente che chi lotta per sottrarre dalle bombe i propri figli è un assassino che vuole salvare altri assassini. Ah beh, no, qualcuno serio tra gli animalisti in realtà c’è: anche qui infatti una volta mi è capitato di sentire in tutta serietà un’animalista dire che tra il Presidente Americano che butta le bombe e il bambino che ci crepa sotto non c’è alcuna differenza “rispetto agli animali”. Rimossa l’animalità del bambino (e del Presidente), come osserva Claudia Ghislanzoni, non c’è più alcuno spazio per l’empatia. E l’eroe immaginario dal cuore d’oro si rivela per ciò che è: un misantropo autocompiaciuto.

L’animalismo, malattia infantile dell’antispecismo. Si dirà che oggi l’animalismo è stato superato dall’antispecismo. Ma io ne no sono affatto sicuro. Ho avuto modo di argomentare che l’antispecismo come teoria e come pratica di fatto non esiste. Perché possa esistere bisognerebbe avere delle risposte credibili a domande che rimangono tuttora senza risposta: cos’è lo specismo? Cosa lo produce? Come lo si combatte? Le risposte tradizionali a queste domande (lo specismo è un pregiudizio, lo specismo nasce naturalmente nell’uomo e poi si diffonde nella società, lo specismo va combattuto attraverso la diffusione di uno stile di vita ecc. ecc.) sono state tutte messe in discussione e il meno che si possa dire è che quelle risposte tradizionali fanno acqua da tutte le parti (certo a meno che uno non ignori ciò che è stato detto da trent’anni a questa parte dentro e fuori il movimento animalista…). Chi ricorda questo semplice fatto viene avversato come uno jettatore. Come se il problema fosse sollevare dubbi e non avere certezze mal riposte. Gli animalisti invece hanno troppe certezze e se le confermano a vicenda: d’altronde frequentano solo se stessi, come potrebbero darsi torto? E come dice Melanie Joy, anzi Palmiro Togliatti, “bisogna stare dalla propria parte anche quando si sa di sbagliare”. Perché altrimenti “ci si divide”. Dal che si evince che l’unità dei ciechi aumenta la vista dei singoli.

L’animalismo è una malattia infantile di un antispecismo che non nasce perché continuamente ricacciato indietro da questa tara ereditaria. Militanti antispecisti seri combattono ogni giorno non solo per gli animali (tutti, umani compresi) ma anche contro gli animalisti (anche contro l’animalista che ognuno si porta inevitabilmente dentro) per far nascere una teoria e una prassi adeguate al mondo che si trovano di fronte. Questi militanti avranno senz’altro riconosciuto nella descrizione che ho dato sopra dell’eroismo immaginario animalista le mille polemiche che devono affrontare ogni giorno. Se c’è qualche speranza che la questione animale occupi un giorno il posto che le spetta in una lotta che ponga fine allo sfruttamento integrale di cui siamo tutti vittime lo dobbiamo solo ed esclusivamente a loro.

ANTISPECISMO E SPECISMO SPECULARE.

Antispecismo e “specismo speculare”: una distinzione sommersa, scrive Filippo Schillaci. Ripubblichiamo un articolo di Filippo Schillaci uscito qualche tempo fa ma ancora utile al dibattito sull’antispecismo. Sul sito dell’autore è possibile seguire l’interessante dibattito che ne è seguito con Aldo Sottofattori.

1. Le due giornate di Brugherio. In occasione dell’edizione 2007 di Veganch’io svoltasi a Brugherio fra l’8 e il 10 giugno vi furono due giornate di discussione che, nelle intenzioni degli organizzatori, avrebbero dovuto essere dedicate a una riflessione sul mondo com’è (prima giornata) e su come dovrebbe essere (seconda giornata). Fui invitato a partecipare alla seconda giornata, dalla quale mi aspettavo che venisse delineato se non il progetto quanto meno un modello di massima dell’assetto dell’umanità sulla Terra secondo l’ottica antispecista. Nulla di tutto ciò accadde. Risultò anzi che né il pubblico né la maggior parte dei relatori si poneva il problema, o per non averlo mai considerato parte del proprio impegno antispecista o per aver già bollato il problema come improponibile. Esemplari a questo proposito sono stati gli interventi di Aldo Sottofattori e Valerio Pocar. Il primo ha ribadito la sua proposta di un metodo di lotta fatto di “situazioni fortemente conflittuali”, senza tuttavia descrivere la meta cui queste lotte dovrebbero giungere, anzi enunciando, sia pur come posizione puramente soggettiva e solo in risposta a una domanda del pubblico, una visione intrinsecamente negativa della presenza dell’uomo sulla Terra, giungendo ad auspicarne l’estinzione e ricavando dal pubblico un sentito applauso. Pocar dal canto suo, nel delineare il tipo di rapporto ideale fra l’uomo e le altre specie ha auspicato una “reciproca indifferenza” che non si vede come possa essere possibile nell’ambito di una casa comune quale dovrebbe essere la biosfera secondo una visione antispecista ma che al contrario diventa comprensibile e perfino auspicabile se si concepisce l’uomo come corpo estraneo, se si ribadisce, sia pur da un punto di vista diverso, il dualismo uomo-animale tipico del pregiudizio specista. Singolarissima infine, nella seconda giornata, la presenza di Sara D’Angelo, creatrice di un rifugio per animali provenienti da situazioni di sfruttamento. Singolarissima per l’evidente motivo che realizzazioni come la sua sono necessarie e importanti in questo mondo, mentre in un mondo liberato persone come lei dovrebbero essere felicemente disoccupate. Pochissime le eccezioni a questa tendenza, fra cui cito Marco Maurizi nella prima giornata, che ha delineato le linee generali della formazione dell’ideologia e della prassi specista e ha tracciato un abbozzo di una visione alternativa, ed Enrico Giannetto nella seconda giornata, che ha auspicato un ritorno all’assetto delle società preagricole che avrebbe meritato ben altro approfondimento, se non altro per sottrarlo all’apparenza di favolistico primitivismo di cui invece è apparso erroneamente ammantato (si pensi che il metodo permacolturale mira appunto a una coltivazione interamente fusa nell’ecosistema e autoperpetuantesi nel tempo, dunque al superamento dell’attuale concezione fortemente interventista dell’agricoltura proprio nella direzione indicata da Giannetto). Quanto a me, sarebbe stata mia intenzione descrivere il modello produttivo della Decrescita Felice, che rappresenta a mio avviso nient’altro che la prassi perfettamente corrispondente alla teoria antispecista, ma ciò non è stato possibile perché i numerosi interventi del pubblico hanno deviato il discorso – complice la maggioranza dei relatori – su argomenti tipici dell’animalismo convenzionale mentre ciò di cui si sarebbe dovuto discutere come da programma, mi sono reso ben presto conto, risultava per gran parte del pubblico nella migliore delle ipotesi privo di interesse. Basti dire che quando ho domandato quanti conoscessero il Movimento per la Decrescita Felice pur essendo davanti a me non meno di 150 persone, si sono alzate al massimo una mezza dozzina di mani. Riassumendo, la tendenza largamente condivisa fra relatori e pubblico si può delineare nei due seguenti elementi: assenza di un atteggiamento progettuale e conseguente assenza di analisi oggettiva tendente a risalire alle cause del presente (conseguente perché se non c’è un progetto da portare avanti è ovvio che non serve alcuna analisi). In particolare, con la sola eccezione della psicologa Anna Maria Manzoni (prima giornata), nessun tentativo è stato fatto per analizzare la genesi dei comportamenti socioculturali del “signor Rossi”, dell’uomo qualsiasi, su cui è basata tanta parte dell’attuale sistema. Né c’è da meravigliarsi di ciò poiché un progetto di ampio respiro e un’analisi del presente implicano come condizione preliminare il pensare a un assetto ideale dell’umanità sulla Terra come eventualità appartenente alla sfera del possibile, in contrasto con la ferma visione nihilista della presenza dell’uomo sulla Terra che è invece emersa in entrambe le giornate. E’ questo l’antispecismo? O non è forse una visione parziale di esso, una fra le tante possibili? Oppure è una visione distorta di esso? Secondo me non è nulla di tutto ciò. Secondo me non è antispecismo. Siamo in altre parole di fronte a un enorme, direi quasi storico equivoco mai fin qui percepito come tale e che è invece fondamentale chiarire. Chiariamolo dunque.

2. Antispecismo e “specismo speculare”: definiamoli teoricamente, … Tutti abbiamo imparato a distinguere fra “animalismo protezionista” (che mira a tutelare gli animali all’interno del sistema esistente che non viene messo in discussione) e “animalismo radicale” (che invece mette in discussione il sistema in quanto tale). Nell’ambito di quest’ultimo, spesso assimilato all’antispecismo, non è fin qui sembrata necessaria alcuna ulteriore distinzione teorica. Ci si è limitati al più a constatare una certa molteplicità di posizioni. L’equivoco, quale è emerso dalle due giornate di Veganch’io, consiste nel considerare come posizioni diverse ma interne a uno stesso contesto etico-ideologico (animalismo radicale) quelle che sono invece posizioni appartenenti a contesti diversi e fra loro contrastanti, ripeto, a livello teorico, ovvero profondo. Da una parte abbiamo l’antispecismo, che è quello espresso ad esempio da autori come Mason. L’antispecismo considera la biosfera secondo un modello orizzontale: una rete di relazioni di cui l’uomo è un nodo con pari dignità rispetto a tutti gli altri. Il male consiste nell’ipertrofia di questo nodo, conseguente a scelte che la specie umana ha fatto nel corso della sua evoluzione. L’uomo non è al di fuori della “natura” poiché ne è inestricabilmente parte (l’antispecismo nega la dicotomia uomo-natura) ma ha assunto lo status di una specie infestante all’interno della biosfera di cui è e rimarrà parte. L’attuale stato di cose cioè non è congenito ma è frutto di una, sia pur schiacciante, congiuntura storica, ed è pertanto potenzialmente reversibile. L’antispecismo porta a un’estensione del rispetto dovuto alla vita umana includendo in esso la totalità degli esseri senzienti. Non è alternativo al rispetto dovuto alla vita umana. L’interesse dell’antispecismo per la decrescita è congenito perché il problema è progettare e realizzare un corretto insieme di relazioni fra il nodo-uomo e tutto il resto della rete. L’antispecismo è dunque per sua natura progettuale, propositivo, sistemico. Esso è inoltre non violento per sua stessa natura, oltre che per numerose altre ragioni tattiche, strategiche e culturali. L’antispecismo infine porta con sé un notevole salto paradigmatico perché implica il passaggio dall’attuale visione verticale e gerarchica della biosfera (l’uomo sopra e tutto il resto ammucchiato sotto i suoi piedi), a una visione orizzontale ed egualitaria (la rete di relazioni). Dimenticavo: ha tutte le potenzialità per inserirsi a pieno titolo all’interno del movimento alternativo di cui costituisce il naturale e necessario completamento. Dall’altra parte abbiamo ciò che potremmo chiamare lo “specismo alla rovescia” o, con economia di sillabe, lo “specismo speculare” (nel senso che ne rappresenta l’esatta immagine speculare). Esso non mette in discussione il paradigma specista, semplicemente lo vede ribaltato: l’uomo nella sua visione si trova a essere sotto anziché sopra; sotto a una biosfera di cui continua a non far parte, di fronte alla quale è soltanto un corpo estraneo, un elemento di disturbo. Lo specismo speculare considera l’attuale stato di cose congenito alla presenza umana sulla Terra e vede nell’estinzione dell’uomo uno stato ideale, l’unica via d’uscita auspicabile. E’ in altre parole irrimediabilmente nihilista. L’interesse eventuale dello specismo speculare per la decrescita è da intendersi solo come soluzione di ripiego, vista l’impossibilità di raggiungere lo stato ideale di cui sopra. Lo specismo speculare manca di una visione ecosistemica perché essa può derivare solo dal problema di una corretta relazione dell’uomo con il resto della biosfera. Ma se questa corretta relazione è impensabile non serve sapere come funziona la biosfera. Lo specismo speculare non ha un progetto e non è propositivo: cosa c’è da progettare, cosa c’è da proporre di fronte a un’umanità che deve solo levarsi dai piedi? Lo specismo speculare è antitetico al rispetto dovuto alla vita umana ritenendo che ciò sia incompatibile con il rispetto dovuto alla totalità degli altri esseri senzienti. Esso è estraneo al concetto di bene comune ritenendolo impraticabile. Ovviamente è conflittuale. Lo specismo speculare infine non implica alcun salto paradigmatico perché il paradigma è ancora quello specista, solo visto da un punto di osservazione diverso. Esso è in ultimo antitetico e congenitamente isolazionista di fronte al movimento alternativo come a tutto il resto dell’umanità. In estrema sintesi, per concezione del mondo e per metodi di lotta preferenziali è contiguo allo specismo convenzionalmente inteso, non all’antispecismo. Volendo usare la terminologia di Edward Goldsmith, che trovo estremamente appropriata a questo caso, ovvero volendo ragionare in termini di omeotelia (situazione in cui il comportamento di una parte nel perseguire il proprio interesse è in sintonia con l’interesse del tutto) ed eterotelia (situazione in cui una parte persegue il proprio interesse parziale prescindendo dall’interesse del tutto) possiamo dire che specismo e specismo speculare sono contigui nel loro considerare l’uomo come intrinsecamente eterotelico rispetto alla biosfera. L’antispecismo invece considera l’attuale eterotelia dell’uomo come frutto di una congiuntura storica e ne indaga la genesi e i meccanismi allo scopo di individuarne i punti di reversibilità. L’antispecismo è omeotelico e pertanto tende ad agire all’interno di relazioni di cooperazione amplificandone la portata e gli effetti. Non accetta relazioni di competizione perché anche quando sono inserite in un contesto omeotelico prescindono dal rispetto dovuto all’individuo (digressione: quest’ultima è, fra l’altro, la differenza fra antispecismo ed ecologia profonda).

3. …differenziamoli praticamente, …Antispecista e specista speculare partono da uno stesso punto: la constatazione del dolore animale. In considerazione di ciò assumono un certo numero di comportamenti comuni (il più vistoso dei quali è il veganismo) e di istanze comuni (di difesa e correzione – vedi sotto). Ma dopo di ciò le loro strade divergono immediatamente. Da ciò la situazione di disgregazione presente all’interno di ciò che fino a oggi abbiamo erroneamente percepito come movimento “antispecista”: “è diviso”, “è disorganizzato”, “è litigioso”, “è emotivo”, “è contraddittorio”, “non esiste”. Non esiste, soprattutto. Perché tutto lascia credere che in realtà quella parvenza di movimento che a volte si manifesta sia in realtà non antispecista ma specista speculare. E a questo punto tutto torna. Vorrei ora esemplificare la differenza fra antispecismo e specismo speculare con una circostanza reale in cui mi sono imbattuto di recente, che mi ha colpito molto in profondità perché mi coinvolge di persona. Riassumo i miei precedenti per chi non li conosce: il mio argomento specifico è da alcuni anni la caccia vista come problema sociale. Ed è un argomento che conosco non per sentito dire ma per “intensa” (diciamo così) esperienza personale. Io sono una di quelle persone che sa quale suono hanno i pallini quando fischiano nel giardino di casa a due metri dalla propria testa, so cosa significa aver paura a uscire all’aperto, sentire i pallini che colpiscono i muri della propria casa, so cosa significa stare attento a non avvicinarsi troppo alle finestre. Un mio vicino sa cosa significa vivere da anni con un pallino nella testa (i chirurghi non sono riusciti a levarglielo). Io sono una persona la cui vita è stata deviata dalla caccia e, per alcuni anni, trasformata in un incubo. Io sono per l’esattezza una delle innumerevoli persone che ogni anno vivono questo incubo. E so che non è ancora finita. Nel 2003 ho scritto Se la caccia fosse un lavoro in cui analizzavo per la prima volta la caccia come problema di pubblica sicurezza e violazione dei diritti dell’uomo. Due anni dopo è venuto il libro Caccia all’uomo. Mentre di quest’ultimo nessuno sembra ancora essersi accorto (sorvoliamo) il primo ha avuto una certa diffusione sul web. Lo ha pubblicato fra gli altri Rinascita Animalista, il sito web di Aldo Sottofattori. Un paio di mesi fa scrivevo a lui e Marco Maurizi che questo fatto lo interpretavo come indice della consapevolezza di Aldo che la questione dei diritti dell’uomo e la questione animale fossero due aspetti sinergici di uno stesso problema. La raggelante risposta di Aldo (rispetto alla quale Marco tenne a esprimere il suo dissenso) è stata: quel testo è stato pubblicato su Rinascita Animalista perché è stato ritenuto un valido argomento strumentale. Ora, premesso tutto ciò che ho premesso, rendermi conto che per qualcuno la mia vita non è un valore in sé ma è solo un argomento strumentale in funzione di tutt’altri fini (di ciò che egli percepisce come tutt’altri fini) lasciatemelo dire, mi ha colpito moltissimo. Potrei citare altri esempi ma credo che possa bastare. Credo che la differenza e l’incompatibilità fra antispecismo e specismo speculare a questo punto sia chiara. Siamo così giunti al nodo centrale della faccenda: ogni iniziativa, ogni progetto, ogni qualsiasi cosa è prematura se prima non si è fatta chiarezza su questo punto, se prima non si è operata sui piani teorico e operativo, la necessaria separazione fra antispecismo e specismo speculare. Le due strade, ripeto, divergono fortemente ed è solo per un equivoco, diciamolo meglio, per una grave carenza di analisi, che ha potuto trascinarsi fino a oggi questa situazione ibrida e ovviamente paralizzante perché i due contesti parlano linguaggi reciprocamente incomprensibili (e fra l’altro è chiaro ora perché sia risultato incomprensibile e privo di interesse al pubblico di Veganch’io ciò che io avevo da dire: non parlavo ad antispecisti ma in prevalenza a specisti speculari, come si è ben visto).

4. …e ipotizziamo parziali parallelismi. Ultima questione: pur nella enorme differenza di posizione, sono possibili momenti di lotta comune fra A (antispecisti) e SS (specisti speculari… faccio solo ora caso che l’acronimo è piuttosto inquietante)? Francesco Gesualdi nel libro Sobrietà (che non a caso appartiene al contesto della decrescita, non dell’antispecismo) ha indicato due categorie di azioni: la desistenza (tirarsi fuori dal sistema e dunque non sostenerlo con i propri consumi) e la resistenza, a sua volta suddivisa in tre livelli: difesa (impedire che le cose peggiorino), correzione (migliorare aspetti parziali) e riforma (progettare un cambiamento globale). Dubito che gli SS siano disposti a pratiche di desistenza, proprio perché esse presuppongono la fattibilità di un sistema sostitutivo ed eticamente sostenibile che appunto, ripeto, essi negano. Quanto alla resistenza, è possibile che, caso per caso, si possano valutare azioni comuni sui primi due livelli di lotta, fermo restando che occorre ogni volta avere precise garanzie che le forme di lotta siano compatibili con i principi dell’antispecismo, oltre che con ovvi criteri di opportunità. Sul terzo livello invece direi che non vedo quale collaborazione possa essere possibile, e analogamente per tutto ciò che è elaborazione teorica.

Concludendo, queste riflessioni mirano a dividere ulteriormente o ad unire? Credo innanzi tutto che sia impossibile immaginare uno stato di disgregazione più perfetto di quello che caratterizza oggi in Italia coloro che si occupano della cosiddetta “questione animale”. Ebbene, io credo che una parte non trascurabile di questa disgregazione sia dovuta proprio all’equivoco che queste riflessioni mirano a chiarire, oltre che alla mancata distinzione fra i diversi livelli di lotta (*). Il vedere in maniera amorfa una situazione che al contrario è internamente differenziata conduce inevitabilmente a confusione, fraintendimenti, aspettative che vengono puntualmente disattese, con conseguente e inevitabile decadimento dei rapporti che con ciò fanno presto a divenire conflittuali. Comprendere le reciproche differenze dunque può essere utile a delimitare a priori gli ambiti comuni di lotta e portare avanti, almeno quelli, in maniera piana e, auspicabilmente, efficace. E adesso possiamo cominciare.

ANIMALI E POLITICA.

Uomini trattati da animali dai perbenisti di maniera. Politici inetti, incapaci ed ipocriti che si danno alla zoologia.

Anatra – Alla politica interessa solo se è zoppa. Una maggioranza senza maggioranza.

Asino – Simbolo dei democrat Usa. In Italia ci provò Prodi con risultati scarsi.

Balena – La b. bianca fu la Dc. La sua estremità posteriore è rimasta destinazione da augurio.

Caimano – Tra le definizioni correnti di Berlusconi. Dovuto a un profetico film di Nanni Moretti.

Cignalum – Sistema elettorale toscano da cui, per involuzione, nacque il porcellum (v.).

Cimice – Di provenienza statunitense, di recente pare abbia invaso l’Europa.

Colomba – Le componenti più disponibili al dialogo con gli avversari. Volatili.

Coccodrillo – Chi piange sul latte versato. Anche articolo di commemorazione redatto pre-mortem.

Delfino – Destinato alla successione. Spesso è un mistero: a oggi non si sa chi sia il d. del caimano (v.).

Elefante – Simbolo dei republican Usa. L’e. rosso fu il Pci. La politica si muove “Come un e. in una cristalleria”.

Falco – Le componenti meno disponibili al dialogo con gli avversari. Amano le picchiate.

Gambero – Il suo passo viene evocato quando si parla della nostra economia.

Gattopardo – Da Tomasi di Lampedusa in poi segno dell’immutabilità della politica. Sempre attuale.

Giaguaro – Ci fu un tentativo di smacchiarlo. Con esiti assai deludenti.

Grillo – Il primo fu quello di Pinocchio. L’attuale, però, dice molte più parolacce.

Gufo – Uno che spera che non vincano né i falchi né le colombe.

Orango – L’inventore del Porcellum (vedi Roberto Calderoli Cecile Kyenge) ne ha fatto un uso ributtante confermandosi uomo bestiale.

Piccione – Di recente evocato per sé, come obiettivo di tiro libero, da chi disprezzò il tacchino (v.).

Porcellum – Una porcata di sistema elettorale che tutti vogliono abolire, ma è sempre lì.

Pitonessa – Coniato specificatamente per Daniela Santanchè. Sinuosa e infida, direi.

Struzzo - Chi non vuol vedere e mette la testa nella sabbia. Un esercito.

Tacchino – Immaginato su un tetto da Bersani, rischiò di eclissare il giaguaro.

Tartaruga – La t. un tempo fu un animale che correva a testa in giù. Ora dà il passo alla ripresa.

Dopo l'uomo-animale maltrattato ed abusato dai suoi simili si passa agli abusi sugli altri animali.

ANIMALI MALTRATTATI.

Animali maltrattati, boom di denunce: un nuovo fascicolo aperto ogni ora. Il rapporto zoomafia: in crescita il numero di procedimenti per i reati contro gli animali. Abbandoni, maltrattamenti e uccisioni. Arrivano, come ogni anno, i dati del rapporto di Zoomafia, della Lega antivivisezione, sulle denunce per i reati contro gli amici a quattro zampe. E, purtroppo, come ogni anno, questi dati parlano chiaro. Tante, troppe le violenze sugli animali. Ma un dato positivo c'è: aumentano infatti le denunce, sui maltrattamenti, sul traffico illecito, sulle macellazioni abusive e su tutto quello che viola i loro diritti. Nel 2012, in riferimento ai dati provenienti da 105 procure italiane ordinarie e 22 minorili, sono 6.245 i faldoni aperti. In media, 24 al giorno, uno ogni ora. In totale, il 15% in più rispetto al 2011. Nel 2013 la situazione si è aggravata ulteriormente: migliaia di cani sono vittime innocenti delle più atroci violenze. Picchiati, bruciati vivi, gettati dalle auto in corsa nelle strade trafficate, lasciati morire, denutriti e sofferenti nei canili, abbandonati dai loro stessi padroni per le vacanze estive. Le denunce però sono in continuo aumento. "Ciò non significa che la risoluzione del problema sia vicina, anzi. Siamo ancora lontani da un'adeguata risposta repressiva", spiega Ciro Troiano autore dello studio. "Le denunce presentate sono solo una minima parte rispetto ai reati effettivamente commessi. Inoltre, se è pur vero che non tutti i casi segnalati corrispondono a situazioni di reale maltrattamento, rimane comunque una grande differenza tra denunce e condanne, tipica della giustizia italiana". A finire per primo sul banco degli imputati è proprio la "zoomafia", da cui trae il nome il rapporto, ossia la rete illegale di traffico animale: dalle corse clandestine di cavalli - scommesse incluse - alla macellazione clandestina, dal bracconaggio di specie rare alle lotte illecite. E le violenze, in questo tipo di affari, sono all'ordine del giorno. Per non parlare poi delle atrocità che i quattrozampe subiscono nei canili e ne viaggi illegali dall'est Europa verso l'Italia, in pessime condizioni sia igieniche che fisiche. Un business che si sta ampliando, sempre secondo il rapporto: 13.600 i piccoli sequestrati lo scorso anno, per un valore di circa un milione di euro, ventinove le persone denunciate (di cui 14 straniere). "Il commercio  -  dichiara Troiano  -  cresce perché ci sono sempre più acquirenti. In Italia è molto diffusa l'idea che l'animale sia una sorta di oggetto da portare in borsa, privo di qualsiasi dignità. Spesso si compra un cane e solo dopo ci si accorge che ha dei bisogni, lo dimostrano le violenze domestiche, le meno note ma anche le più diffuse, e gli abbandoni frequenti soprattutto in questo periodo". "L'unica soluzione è un'evoluzione culturale della civiltà", commenta Marco Avanzo, del Nucleo investigativo per i reati in danno agli animali del Corpo forestale (Nirda). "Il discorso sanzionatorio serve, invece, a contrastare la criminalità organizzata e gli imprenditori senza scrupoli che sono dietro buona parte dell'importazione clandestina e si servono di nuovi strumenti". Ma purtroppo il web non aiuta: scommesse clandestine, acquisti illegali, diffusioni di immagini e video di violenze a testimonianza di come il mondo di oggi sia una grande vetrina della brutalità, in cui i "bruti" si vantano delle loro assurde "prodezze", scrive “Libero Quotidiano”. Secondo il rapporto Zoomafia 2013 aumenta il numero di procedimenti per reati contro gli amici a quattro zampe. Sono 6245 i faldoni aperti nel 2012 in 127 Procure italiane, con un balzo del quindici per cento rispetto al 2011, scrive Rosita Rijtano su “La Repubblica”. Sono in migliaia. Animali vittime di violenza: picchiati, dopati, persino uccisi. Non hanno pace. Dalle mani dei criminali ai maltrattamenti silenti tra le mura domestiche. In un'escalation di brutalità dai numeri vertiginosi che coinvolge soprattutto i più deboli e vanta al suo fianco un nuovo e potente alleato, la Rete. È in costante aumento il numero di denunce per reati contro gli amici a quattro zampe, rivela il rapporto Zoomafia 2013 della "Lega antivivisezione", alla sua quattordicesima edizione. Un dossier che ha analizzato i dati provenienti da 105 Procure italiane ordinarie e ventidue minorili su un totale, rispettivamente, di 165 e ventinove. Con risultati sorprendenti: sono 6245 i fascicoli aperti nel 2012. Ventiquattro, in media, al giorno, uno ogni ora, per un balzo del quindici per cento a fronte del 2011. "Ciò non significa però che la risoluzione del problema sia vicina, anzi. Siamo ancora lontani da un'adeguata risposta repressiva", spiega Ciro Troiano autore dello studio. "Le denunce presentate sono solo una minima parte rispetto ai reati effettivamente commessi. Inoltre, se è pur vero che non tutti i casi segnalati corrispondono a situazioni di reale maltrattamento, rimane comunque una grande differenza tra denunce e condanne, tipica della giustizia italiana". Sul principale banco degli imputati la "zoomafia". Una rete illegale dai traffici milionari e con diramazioni in tutto il mondo. Corse di cavalli clandestine con conseguente giro di scommesse, il mercato più ambito. Poi: traffico di droga, macellazione clandestina, lotte illecite, bracconaggio di specie rare e mercato del pesce. Sono solo alcune delle principali fonti di guadagno e violenze. Per non parlare dei canili dove si compiono i più grandi abusi. A Viterbo, in una struttura privata, furono decine i cani affogati dopo la nascita, e poi gettati nella spazzatura. Sorte simile per i randagi trovati in provincia di Napoli, a Monza, in Brianza. Non solo. Pessime le condizioni cui sono costretti i cuccioli durante i viaggi illegali dall'est Europa verso l'Italia. Un vero business che, dopo una fase calante, vive una nuova stagione d'entusiasmo. Come si legge nel rapporto, sono 13600 i piccoli sequestrati l'anno scorso dal valore di circa un milione di euro, ventinove le persone denunciate, di cui quattordici cittadini stranieri. "Il commercio  -  prosegue Troiano  -  cresce perché ci sono sempre più acquirenti. In Italia è molto diffusa l'idea che l'animale sia una sorta di oggetto da portare in borsa, privo di qualsiasi dignità. Spesso si compra un cane e solo dopo ci si accorge che ha dei bisogni, lo dimostrano le violenze domestiche, le meno note ma anche le più diffuse, e gli abbandoni frequenti soprattutto in questo periodo". "L'unica soluzione è un'evoluzione culturale della civiltà", commenta Marco Avanzo del Nucleo investigativo per i reati in danno agli animali del Corpo forestale (NIRDA). "Il discorso sanzionatorio serve, invece, a contrastare la criminalità organizzata e gli imprenditori senza scrupoli che sono dietro buona parte dell'importazione clandestina e si servono di nuovi strumenti". Come Internet. È sul web, infatti, che è possibile scommettere su qualsiasi competizione d'animali, acquistare belve d'ogni genere: dai cardellini alle tartarughe. Traffici difficili da monitorare, che si affiancano al ruolo svolto dalla Rete nella diffusione d'immagini e video di violenze. Un'enorme vetrina della brutalità umana dove far diventare "universali" le proprie "prodezze", in grado di assicurare anonimato, popolarità e, in alcuni casi, la prigione. Ben 56 giorni per Allan Staughton, 23enne britannico, reo di aver postato sul Tubo il video in cui metteva il gatto della fidanzata in lavatrice.

SULLA PELLE DEI RANDAGI.

La strana storia di Remi, vittima delle finte adozioni, scrive Margherita D’Amico su “La Repubblica”. "All'inizio dell'autunno 2012 con mia figlia vediamo un cagnolino tenuto alla catena corta in un androne, nel centro storico di Sassari. Ci avviciniamo e notiamo che è escoriato, piagato, costretto com'è su un angolo di cemento", racconta Maria Antonietta, "lo accarezziamo e lui risponde giocosamente, è molto affettuoso e si capisce che desidera attenzioni".  A quel punto le donne scorgono un uomo seduto sui gradini della chiesa accanto. "È suo?", gli chiedono. "È di mia figlia", risponde lui, "ma ora ha preso un gatto e non lo vuole più". Viene fuori che la giovinetta in questione è minorenne, eppure il veterinario le ha intestato libretto e microchip. Dal portone esce una straniera in abiti succinti che suggerisce la presenza di un bordello, di cui forse l'uomo è il tenutario. Passando, per insofferenza assesta un calcio a Remi, così si chiama il cane. A maggior ragione le donne cercano di convincere il loro interlocutore a cedere l'animale, ma non c'è niente da fare. Così, rincasate, chiamano una guardia zoofila amica che promette di recarsi sul posto l'indomani. Remi però non c'è più. Maria Antonietta e la figlia non si danno pace, per oltre un mese cercano di capire cosa gli sia accaduto. Finalmente scoprono che attraverso complicati passaggi il meticcio è stato rilevato dalla Asl e portato nel canile municipale Qua la zampa. "Ci siamo precipitate e l'abbiamo visto chiuso in una gabbietta, ci ha fatto le feste. Facciamo subito domanda di adozione ma l'impiegata è titubante. Chiama qualcuno al telefono e poi : 'mi dispiace, è già in lista di adozione'. 'A Sassari?' chiediamo noi. 'Non posso dirvelo'." È il 3 dicembre e Maria Antonietta ribadisce la disponibilità a prendersi in carico Remi inviando raccomandate al sindaco, all'assessorato alle Politiche Ambientali, al veterinario responsabile presso la Asl.  "Mi risponde l'assessore al Verde, Monica Spanedda. 'Desolata, se fosse venuta prima gliel'avremmo dato. Abbiamo stipulato una convenzione con la proTier e. v. e adesso va in Germania" ricorda Maria Antonietta.  In effetti, il Comune ha siglato un accordo con tale associazione straniera, avallando l'espatrio di un certo numero di animali ogni mese. "La pregai allora di segnalare alla proTier la presenza di adottanti a Sassari, che avrebbero risparmiato al cane un lungo viaggio e conseguenti stress. Mi sono sentita dire:  'No, i tedeschi l'hanno richiesto e sono precisi. Mi salterebbero le altre adozioni'". Maria Antonietta non si dà per vinta, e pretende una risposta scritta con motivazioni chiare e approfondite. La lettera arriva pochi giorni dopo, a firma della dottoressa Cannas che è il funzionario preposto. Si sostiene che il cane non può esserle assegnato perché di salute precaria e bisognoso di cure. Anche comportamentali, si precisa, perché si è dimostrato mordace. Incredula, Maria Antonietta scopre che Remi è stato spedito in Germania il 9 dicembre, ma già un mese prima - il 9 novembre - la sua foto è stata pubblicata sul sito della proTier dov'è proposto in vendita a 275 euro, abituale dazio giustificato come rimborso spese. Non è quindi partito verso uno specifico adottante ma, come spesso capita, per essere sistemato in un canile di stallo all'estero. Scoppia un piccolo caso, la stampa locale mette in luce i sospetti che accompagnano queste iniziative. Basta il web a dimostrare che altri cani sono stati trasferiti ben prima di avere l'adesione di una famiglia. Vedi il caso di Lola, minuta  femmina di tre: anche lei viene da Sassari e online costa 355 euro. Una delle principali difficoltà nel ritrovare i randagi trasferiti all'estero, al pari di quelli spostati da una regione all'altra, sta nel poterli riconoscere. Quale valore hanno le foto - spesso palesemente ritoccate - inviate da Svizzera o Germania a qualche amministratore che non ha mai messo piede in canile? Cani nel prato o sul divano, ben di rado adottanti a volto scoperto. D'accordo la privacy, ma perché la famiglia non dovrebbe mostrarsi orgogliosamente? "Piccola taglia", "bianco e nero" sono caratteristiche comuni a migliaia di animali; i microchip si possono sempre reimpiantare. Gli animali sono quindi identificabili solo da chi ne abbia avuto esperienza diretta. I volontari che se ne sono presi cura, per esempio, o il cittadino che vorrebbe adottare, cui si preferisce chissà perché la famiglia straniera. "La proTier mi ha contattata privatamente, via Facebook", dice ancora  Maria Antonietta "Mi hanno inviato alcune foto di Remi. Nelle prime, era in braccio alla stessa signora grassa che ogni mese si reca al canile comunale a scegliere gli animali. In seguito, hanno mandato un'immagine con un'altra persona. Poi più nulla. Il cane su un cuscino a mio parere non dimostra molto, né spiega perché non abbiamo potuto adottarlo noi". Nel maggio 2013, tuttavia, è proprio Monica Spanedda ad annunciare la sospensione dell'accordo con la proTier. "Non abbiamo nulla da recriminare, hanno agito per il meglio e i nostri volontari si sono recati a controllare i quarantotto cani già partiti per la Germania, trovandoli in buona salute," dichiara l'assessore. "Tuttavia, abbiamo sentito parlare del sospetto di un traffico internazionale di randagi, forse appoggiato dalla malavita. Per essere tranquilli, preferiamo dunque attendere che gli inquirenti traggano le loro conclusioni".

Fra i volontari e le associazioni c'è chi giudica i trasferimenti un'ottima e affidabile soluzione e considera i sospetti solo frutto di pregiudizi e fanatismo. "S'incontrano turisti tedeschi, olandesi in vacanza col cane. Basta chiedere 'da dove viene?' per sentirsi rispondere 'Grecia', 'Spagna', 'Italia'- dice Edgar Meyer, presidente di Gaia Animali & Ambiente - È un giochino che consiglio a chi dubita di questi affidi e li chiama deportazioni", continua Margherita D’Amico. Le adozioni internazionali degli animali sono controverse e persino la posizione delle nostre principali associazioni animaliste non è omogenea. "Il tema è molto delicato", ammette Ilaria Innocenti, responsabile nazionale Cani e Gatti per la LAV: possibilista ma con prudenza, in qualche occasione la onlus, a livello locale, si è dimostrata favorevole a queste soluzioni. "Il randagismo dev'essere contrastato sul territorio, trasferire gli animali all'estero deresponsabilizza le istituzioni competenti dall'attuare le obbligatorie misure di prevenzione - ed è necessario accrescere la cultura dell'adozione in Italia. Qualora però l'adozione internazionale sia per un animale l'unica possibilità di trovare una famiglia, riteniamo debba essere eseguita secondo procedure trasparenti e conformi alla normativa vigente". Ma sono appunto le norme ad essere poco chiare, poiché il principio della libera circolazione contrasta ad esempio con l'effettiva possibilità, da parte di Asl e Comuni responsabili degli animali, di effettuare controlli pre e post affido, di solito delegati a chi cura gli espatri. Non si può contare nemmeno sulla condizione di reciprocità giuridica, visto che gli animali partono alla volta di paesi perlopiù muniti di leggi assai meno garantiste della nostra. In ogni caso, fra volontari e associazioni, c'è chi giudica le adozioni internazionali un'ottima e affidabile soluzione e considera i sospetti solo un frutto di pregiudizi e fanatismo. Tanti ripongono speranze e gratitudine verso una disponibilità inesauribile, provvidenziale. "Ho madre svizzera, padre tedesco, ma sono nato e cresciuto in Italia. I diritti animali purtroppo trovano Germania e in generale il Nord Europa molto più progrediti del nostro Paese", racconta Edgar Meyer, presidente di Gaia Animali & Ambiente: "Siamo favorevoli alle adozioni internazionali, ma non invitiamo certo a mandare animali in giro senza controllo. Non siamo direttamente impegnati su questo fronte ma abbiamo ottimi rapporti con associazioni operative: da Save The Dogs (la fondatrice Sara Turetta, prima di avviare una straordinaria avventura in Romania, è stata nostra volontaria) a Diamoci La Zampa che in 25 anni di volontariato ha contribuito a far adottare circa 7.000 cani: il 95% in Italia e il 5%  fuori". "In Germania la sterilizzazione è prassi indiscutibile", prosegue Meyer,"da noi un'eccezione. Ho visto animalisti tedeschi di lunga esperienza piangere visitando canili italiani (del Nord, tra l'altro) convenzionati con strutture pubbliche: in patria non avevano mai visto cose simili. Lì il randagismo in sostanza non esiste. S'incontrano  turisti tedeschi, olandesi in vacanza col cane. Basta chiedere 'da dove viene?' per sentirsi rispondere 'Grecia', 'Spagna', 'Italia'. È un giochino che consiglio a chi dubita di questi affidi e li chiama deportazioni". "Noi non abbiamo mai svuotato canili interi, ma sento di persone che portano di continuo animali all'estero. Non so proprio come facciano, visto che dopo tanti anni di generosa accoglienza anche la Germania e altri paesi del Nord Europa iniziano a essere saturi", dice Xenia Prelz, presidente della Fondazione Prelz a Campagnano di Roma. "Qui sterilizziamo ogni anno 1.300 animali, offrendo prezzi molto competitivi (gatto femmina a 35 euro). Abbiamo così indotto anche i veterinari di zona ad abbassare un po' le tariffe. In Italia la situazione randagismo sta scoppiando; tutti vogliono il cucciolo, salvo poi abbandonarlo quando cresce. Così da tempo curiamo le adozioni, anche all'estero. Quelle internazionali, però, sono andate scemando. Negli ultimi anni ne avremo fatta appena qualche decina. Appoggiandoci, nei paesi riceventi, a piccoli gruppi, stalli familiari e accompagnando noi stessi gli animali con un mezzo omologato". "Ho smesso di portare cani e gatti all'estero perché non voglio essere disturbata, e venti cani in meno non risolvono il grave problema del randagismo italiano, dei canili affollati. Quello comunale di Venezia ha 650 ospiti e non riesce a farli adottare: paesi civili come la Germania offrono una possibilità", afferma Dorothea Friz, veterinaria tedesca trasferita nel 1983 nel nostro Paese, dove ha fondato la Lega Pro Animale con sede a Castel Volturno, in provincia di Napoli. Da tempo gira la Campania sterilizzando randagi a bordo di un camper attrezzato: "L'anno scorso abbiamo operato e iscritto gratuitamente  all'anagrafe 626  cani". Anche secondo lei, il punto cruciale è l'educazione, che rende alcuni popoli sensibilissimi: "La Germania è una nazione di grande coscienza animalista. Il canile di una città media contiene al massimo trenta cani e al massimo della capienza è considerato affollato. Di solito vi sono tenuti cani mordaci, problematici, di grossa taglia, gli altri vengono tutti adottati. Data la disponibilità delle famiglie tedesche, adottare soggetti che nei canili italiani vivono una realtà terribile significa dare loro una chance. C'è soprattutto richiesta di cani piccoli, così il tedesco ne adotta uno o più da fuori e rinuncia a comprare il cane di razza in allevamento". La prima obiezione a queste tradotte è però l'impossibilità di verificare l'effettiva sistemazione in famiglia. "Per un problema di privacy, i privati non possono andare a verificare la destinazione finale di questi animali", conferma la Friz, "ma le autorità competenti sì. Asl e Comuni hanno l'elenco dei microchip e conoscono le destinazioni. Hanno ogni interesse a verificare. Con il Traces, poi, la Asl di partenza ottiene un riscontro da quella di arrivo. Sono procedure perfettamente legali cui anch'io mi attengo. Pure i gatti, per essere mandati in adozione all'estero, devono per legge essere dotati di passaporto e microchip". Come altri promotori delle adozioni internazionali, anche Dorothea Friz si è spesso scontrata con sospetti e contestazioni. "Dal 1995 in poi ho querelato per diffamazione diversi organi di stampa, inclusa la Rai, e le sentenze mi hanno dato ragione, condannandoli anche a risarcimento danni. Mi hanno accusata di assurdità come praticare vivisezione su animali e persone e c'è ancora chi diffida di me. Spostare i cani costa: cure, indagini, sverminazione, vaccinazione, sterilizzazione, microchip, libretto (lo paghiamo 21 euro a cane), trasporto: quale malintenzionato ci guadagnerebbe?". Sui siti tedeschi, però, ogni animale è offerto previo il pagamento di una tassa che varia fra i 150 e i 400 euro, che rimborserebbe le spese sostenute dall'importatore. E la fase istruttoria del processo ai gestori del canile di Panza, a Forio d'Ischia, in corso presso il Tribunale di Napoli, nel 2006 rivelò falsi adottanti, cani scomparsi e giri di denaro. Annemarie Ernst, la signora che a lungo aveva gestito il rifugio, tre anni prima aveva tentato un drammatico suicidio. "Non sono a corrente della faccenda, ma finché non arriva la sentenza, non si possono stabilire colpevolezze. Quanto alla signora Ernst, per anni li mandò a sterilizzare gratuitamente da me, i cani di Panza. La povera donna dedicò la vita a questi animali e provò a uccidersi perché aveva speso tutti i suoi soldi ritrovandosi senza aiuti". Helga Wallrath, fondatrice di Sos Animali International, gestisce da vent'anni un rifugio vicino Grosseto dove si raccolgono meticci disabili, malati, in condizioni estreme. "Abbiamo anche molti gatti, qui vivono come in paradiso. Mai un centesimo dalle autorità italiane, tuttavia i nostri animali stanno bene. Sono nata nell'alta Baviera, mi sono trasferita in Toscana con la famiglia; siamo credenti, amiamo il prossimo. Molte cose che qui ancora esistono, in Germania non ci sono, come i cacciatori che non hanno amore né rispetto per i propri cani. Inoltre, niente canili lager, tantomeno gestori che pensano di poter intascare i soldi dei Comuni parlando degli animali come fossero merce". Nel 1996 i Nas visitano la struttura di Helga a causa di un certo numero di cani provenienti dal Sud e destinati a passare la frontiera. "Ospitandoli per un giorno, avrei fatto un piacere a certi adottanti tedeschi referenti della volontaria pugliese Anna Mezzapesa, che inviava gli animali con regolari documenti. Il controllo arrivò a seguito della denuncia di qualcuno che sospetta dietro ogni tedesco un criminale".

Ecco come cani e gatti adottati all'estero sono vittime del traffico internazionale, scrive Margherita D’Amico su “La Repubblica”. Trasferiti da Sud a Nord e anche oltreconfine spesso si perdono le tracce degli animali. L'accusa: invece di essere affidati a delle famiglie finiscono nei giri dei combattimenti clandestini, usati nel traffico di droga e per la vivisezione. La polemica sulla mancanza dei controlli. La Lega nazionale per la difesa del cane si dichiara per la prima volta contraria alle adozioni all'estero e annuncia un nuovo regolamento interno anche per i trasferimenti in Italia. In una folle giostra di scambi, trasferimenti di massa, furgoni, treni e persino aerei, accompagnati dalla distrazione delle istituzioni, i randagi italiani girano la Penisola o varcano le sue frontiere in cerca di un migliore altrove. Spesso, grazie all'opera di una straordinaria rete di volontari, trovano casa e affetto. Ma altrettanto di frequente bene e male si sovrappongono e confondono e gli animali, di cui si perde traccia, finiscono a lotte clandestine, vivisezione, bordelli in cui vengono abusati sessualmente (con tanto di video), macellazioni, commercio di pelli e pellicce, traffico di droga. Buone e pessime intenzioni sembrano mescolarsi in un rompicapo troppo faticoso per la giustizia, comodamente secondario per la politica. L'idea che il randagismo non sia debellato per avallare il business dei canili finanziati dallo Stato è rafforzata dall'impressione, sempre più insistente, che gli animali vengano riciclati per ulteriori commerci. Sistema ramificato. Si tratterebbe di un vero sistema ramificato, forse non lontano da interessi malavitosi. Nulla di comprovato, solo una quantità di episodi e numeri impressionanti. Nessuno indaga a fondo, malgrado la pioggia di segnalazioni e le disperate denunce di volontari che in  tutta Italia vedono svuotare i canili verso illogiche destinazioni, siano esse in altre regioni che verso l'Europa settentrionale. Fa eccezione un processo a rischio prescrizione presso il Tribunale di Napoli, istruito grazie alla tenacia di un minuscolo gruppo animalista e a una pm capace di portare in giudizio il traffico dei randagi di Ischia, camuffato da affettuose adozioni in Germania. Si fanno intanto frequenti, su iniziativa di attivisti e guardie zoofile, i fermi di furgoni stracolmi di animali drogati, addormentati, ammucchiati in carichi diretti a Nord. Tant'è che la Lega nazionale per la difesa del cane si dichiara per la prima volta contraria alle adozioni all'estero e annuncia un nuovo regolamento interno riguardo i trasferimenti in Italia. Legge ottima ma inutile. A dispetto di una legge nazionale sul randagismo fra le più avanzate al mondo, la 281/91, che correttamente applicata consentirebbe la risoluzione di una profonda piaga sociale, sanitaria e morale, le ingenti somme stanziate dallo Stato italiano - fra i 200 milioni calcolati dichiaratamente per difetto dal ministero della Salute e i 500 stimati da un dossier dell'Ugda, Ufficio garante dei diritti animali, sortiscono pessimi risultati e incoraggiano gestioni inefficienti, se non criminali. Al contrario di quanto avviene nella maggior parte degli altri paesi, la nostra normativa proibisce la soppressione dei randagi e vieta che siano ceduti alla sperimentazione, ma richiede di prevenire contenendo le nascite attraverso sterilizzazioni sistematiche, identificando ogni soggetto con il microchip. Ciò nonostante l'Italia è una fabbrica di cani e gatti. Laddove le autorità fanno a gara per sbarazzarsene, mani avide raccolgono una materia biologica inerme, fruttuosa, abbondante soprattutto nelle regioni del centro-sud. Il motto è emergenza. Una condizione perenne e condivisa da chi si batte civicamente per la salvezza degli animali e gli enti preposti a garantirli. Realtà intollerabili inducono a sperare in soluzioni avventurose, ispirano provvedimenti superficiali, ancorché illegittimi.  Esistono dunque gli strumenti ma non la volontà di sconfiggere un malessere di cui è persino impossibile definire le proporzioni. Una pioggia di soldi. "Nel 2011 è stata ratificata la presenza di 904 strutture fra canili sanitari e rifugi privati o convenzionati in tutta Italia: una palese sottostima da cui sono escluse le numerosissime strutture abusive", spiega Rosalba Matassa, coordinatrice dell'Unità operativa per la tutela degli animali, lotta a randagismo e maltrattamenti del ministero della Salute, "Ma i nostri dati vanno letti con drastica approssimazione. Si basano sulle parziali, contraddittorie comunicazioni delle Regioni.  In teoria vi sarebbero accolti 143mila animali. Ma già il ritmo ufficiale degli ingressi, 102mila nel 2011 e 104mila nel 2012, non è conforme alla valutazione globale. Va considerata una percentuale di animali smarriti, identificati e restituiti ai proprietari di cui peraltro non abbiamo certificazione ufficiale. I contributi erogati alle strutture variano fra 0,50 e 12 euro al giorno, se facciamo una media di 4 e la moltiplichiamo per i 143mila esemplari di cui si ha nozione raggiungiamo i 572mila euro quotidiani; in realtà si spende molto di più". Da questo calcolo è escluso il sostanziale contributo privato; tempo, denaro, energie di tutti coloro che hanno a cuore gli animali e prestano opera gratuita nei canili, sterilizzano a proprie spese le colonie feline, acquistano cibo e medicine, si adoprano per trovare buone adozioni. Rimane però la sensazione di scrivere sulla sabbia, mentre la sofferenza, umana e animale, si rinnova ogni minuto. Strutture lager. Destinatari di maltrattamenti, cibi avariati e medicinali scaduti, in prevalenza al Centro-Sud i randagi sono sovente rinchiusi a gruppi nei putridi box di canili indecorosi. Non è sempre così, naturalmente, ma queste immagini prevalgono con prepotenza sui risultati di chi lavora con coscienza e impegno, sui progetti generosi, virtuosi, di cui l'Italia è piena. Gli abbandoni vincono dunque sulla forte disponibilità nazionale ad accogliere in casa un meticcio e negli occhi custodiamo creature coperte di piaghe o ricucite col filo da pesca, assegnate attraverso ignobili appalti a quei gestori che propongono la propria ospitalità al massimo ribasso. 50-80 centesimi al giorno per accalappiare, sterilizzare, nutrire, curare ciascun esemplare e persino smaltirne la carcassa. Il contributo viene incassato e i cani se ne vanno al diavolo Custodiamo in un angolo della coscienza le ombre di Cicerale del Cilento, il più famoso canile lager che per decenni ha inghiottito i randagi di 97 comuni, come pure la catasta di corpi, incisi sul collo per estrarne il microchip, rinvenuta a Somma Lombardo. Da qualche parte riecheggiano i latrati soffocati del rifugio di Noha, in Puglia, dove si folgoravano le corde vocali; più recenti le mostruosità di Poggio Sannita, mentre confidano ancora nella giustizia, benché il processo napoletano langua, i cani di Forio d'Ischia. Per loro, spediti in Germania con la scusa di adozioni internazionali rivelatesi false e al centro di una movimentazione di denaro, cinque rinviati a giudizio sono oggetto di gravi imputazioni. "In tre anni abbiamo sequestrato 12 strutture, negli ultimi mesi compiuto 14 ispezioni con immancabili le prescrizioni", aggiunge la Matassa. Mentre Marco Avanzo, responsabile del Nirda-Nucleo investigativo reati in danno agli animali del Corpo Forestale dello Stato osserva: "Riscontriamo di tutto, dai canili lager fino a strutture d'eccellenza. Problema comune sono le mancate sterilizzazioni". Partenze sospette. "Com'è possibile che da Campania e Puglia partano in staffetta 1.200 cani ogni mese, per tacere dei gatti?", si chiede frattanto Marco Caterino, coordinatore delle guardie zoofile Oipa di Caserta e Provincia. Le staffette sono viaggi ideati dai volontari per facilitare le adozioni di animali da Sud a Nord. Le autorità non se ne curano, le Asl di partenza non chiedono riscontri da quelle d'arrivo, irrilevanti i controlli delle forze dell'ordine. Alle spedizioni solidali, organizzate anche a costo di grandi sacrifici, si accavalla uno sregolato viavai. "Fermiamo carichi diretti a settentrione, quando sappiamo che anche lì hanno i canili pieni. Animali accatastati, sedati, a bordo di mezzi irregolari. A seguito dei sequestri, poi, andiamo di persona a consegnare cane o gatto ai destinatari, ma questi sono prestanome. Sostengono di aver fatto richiesta per accontentare qualcun altro. La documentazione che accompagna i furgoni prevede scarichi e ricarichi lungo  l'intera Penisola, fino alle frontiere. Talvolta sono già indicati approdi esteri, ad esempio la Svizzera". Chi controlla il controllore? "È uno schifo. E nessuno controlla il controllore. I rappresentanti di enti locali e Regioni, che dei randagi sono responsabili, non ne rispondono mai personalmente", accusa Paola Suà, presidente dell'Ugda che sul randagismo ha curato un duro dossier consegnato al Parlamento della scorsa legislatura. "Ad aggravare ignavia e incompetenza di troppe Asl, le polizie municipali non hanno altro diretto superiore che il sindaco; se questi è indifferente o connivente con gli appetiti delinquenziali, è la fine", aggiunge Carla Rocchi, presidente dell'Enpa, Ente nazionale protezione animali: "Comuni e soprattutto Asl si trincerano dietro l'obbligo di dimostrare il dolo da parte dell'eventuale denunciante". La 281/91 descrive i canili come luoghi di mero transito nell'attesa di adozioni controllate, e i fondi pubblici (4 milioni l'anno scesi a 300mila euro) sono assegnati alle Regioni per prevenzione e educazione. Ma nelle pieghe della normativa si annida il difetto. Affidate alle Regioni le competenze territoriali, ciascuna ha sotto-legiferato a sé, distribuendo soldi e autonomia a una miriade di realtà locali. Sembrerebbe un paradosso, ma non è raro che gli animali siano incoraggiati a riprodursi negli stessi canili, quindi di nuovo abbandonati sul territorio, affinché continuino ad alimentare il sistema. In un simile far west tante strutture che si assicurano il contributo pubblico - in base al numero degli ingressi, se non a densità di popolazione umana - non hanno interesse a favorire le adozioni, né una vita decente ai cani. In mani sbagliate. "Anche nelle regioni più avanzate, dove oggigiorno si sterilizzano perlomeno le femmine, il business dei canili è nelle mani sbagliate. I rifugi privati hanno di solito origine da cacciatori e allevatori: nel '91 avevano già i serragli, col tempo li hanno sanati. Hanno un approccio assai diverso dalle associazioni animaliste, che si adoperano perché gli animali trovino al più presto casa", racconta Sara D'Angelo, fondatrice della onlus Vita da Cani che vanta in Lombardia un parco canile modello e un santuario dove si riabilitano soggetti mordaci o riscattati ai test di laboratorio. "La prevenzione va affiancata dalla buona  gestione. Per un periodo bisognerebbe proibire la nascita di nuovi cani e gatti, bastano quelli che abbiamo! E quanti allevamenti clandestini ovunque; pure le periferie del milanese sono piene di pitbull in vendita". Affari su internet. Soluzione imprudente per tanti Comuni che non si sognano di adempiere ai controlli pre e post affido, massicce adozioni internazionali - che nulla spartiscono con lo slancio occasionale del turista mosso a compassione o l'interessamento del singolo - sono praticate da specialisti che svuotano canili interi alla volta del Nord Europa. Lassù con gli animali s'interrompe ogni contatto, salvo ricevere qualche foto su un anonimo cuscino. I volontari che non rinunciano a cercarli li ritrovano a volte in vendita sui siti stranieri. 150-400 euro ciascuno, per rimborsare le spese di trasferta. Facendo una media bassa sui numeri del solo ZERGportal - Happy Endings  (uno dei moltissimi portali dedicati) si arriva nel 2008 a un totale di 3.549.800 euro per i 17.749 esemplari di cui si annuncia la sistemazione, contro i 15.114 del 2012. Preferibile ma arduo credere che tutti gli animali, provenienti ogni anno a centinaia di migliaia da Italia, Grecia, Turchia, paesi dell'Est, approdino presso gentili famiglie straniere che pongono in secondo piano la salvezza dei propri randagi, di regola soppressi. "Ci siamo battuti a lungo contro le esportazioni, ma resta un punto dolente", prosegue Sara. "Niente in contrario alla libera circolazione comunitaria, ma solo a parità di normativa e con una tracciabilità oggi inesistente. I nostri canili sono più affollati perché noi non uccidiamo." Come se i randagi non viaggiassero abbastanza, molti Comuni all'improvviso optano per l'assegnazione dell'appalto randagi fuori regione. Trasporti a spese dei cittadini e gli animali chi li rintraccia più? Battaglie all'ultimo sangue si sono consumate per opporsi al trasferimento a Crotone dei cani di Grosseto (impedito infine grazie a una sentenza del Tar), oppure da Volterra a Matera, dalla Basilicata alla Calabria, da Sarzana a Bologna. Isolare i corrotti. "Occorre isolare le associazioni corrotte", avverte Paola Suà. "Stringono accordi con i piccoli canili, coinvolgono volontari in buona fede esasperati da tanta sofferenza. Si guardano bene, però, dal denunciare i cattivi gestori. Scattano foto agli animali più malridotti e ottengono di portarli fuori. Divulgano poi le immagini horror pilotando lo sdegno, pubblicizzando il rifugio, su cui così convergono aiuti". Cambiare strategia. Un'associazione come la Lega nazionale per la difesa del cane, circa 200 sedi in tutta Italia, sta deliberando provvedimenti interni molto restrittivi. "Dobbiamo tutelare gli interessi ma anche la vita stessa degli animali, combattendo meccanismi inquietanti e privi di misura", dice la neo presidente Piera Rosati. "Siamo contro le adozioni all'estero e personalmente caldeggio gli affidi sul territorio, supportati da adeguate politiche. Capisco però che casi disastrati rendano ancora necessario sistemare i cani del Sud nelle regioni del Nord Italia. Per quanto ci riguarda, questo deve avvenire passando per ferrei controlli pre affido e successivi riscontri. Nuove linee guida richiederanno alle nostre sezioni massimo rigore e un migliore coordinamento".

Migliaia di animali trasferiti in Germania e in altri paesi senza che sia neppure precisato il nome di chi li adotta. Poi  se ne perdono le tracce e si aprono gli scenari più foschi. Il caso è finito anche all'Europarlamento, a Ischia è in corso un processo. Le associazioni animaliste chiedono un intervento deciso e nuove regole, scrive ancora Margherita D’Amico. Agli occhi di svizzeri, tedeschi, svedesi, belgi, austriaci, francesi, inglesi, in tema di rispetto per gli animali noi siamo terzo mondo. Contrassegnati da corruzione, brutalità, canili lager. Ci ritroviamo perciò sullo stesso piano delle perreras comunali spagnole assimilate a mattatoi, parenti delle stragi autorizzate in Romania o delle miserie e violenze di Grecia e Turchia. Una situazione che motiva imponenti tradotte sotto il nome di adozioni private, anche se a puntare l'indice sono nazioni che effettuano le loro epurazioni legali nel riserbo: invisibili camere a gas, cani e gatti ceduti alla vivisezione, bordelli in cui se ne abusa sessualmente. E non basta. In un'interrogazione del 2011 dell'europarlamentare Cristiana Muscardini, vicepresidente della Commissione commercio internazionale, si chiedevano lumi sulla movimentazione internazionale di randagi ipotizzandone la macellazione. Il sospetto più diffuso, motivato anche dal forte incremento di intolleranze alimentari fra gli animali domestici. è che la carne di cani e gatti possa servire alla produzione di mangimi destinati ai loro simili più fortunati. Fra i controlli cosiddetti di qualità sembra mancare quello adatto a stabilire a quale specie appartenga la carne, dando per buone le autocertificazioni aziendali. Quanto al traffico della droga, anche nelle pinete tirreniche sono stati rinvenuti i corpi squartati di cani usati come inconsapevoli corrieri, né si può escludere che parecchi randagi finiscano alla produzione di pelli e pellicce. La contraddizione. Gli animali partono verso regioni del Continente dove, ci viene spiegato, il randagismo non è mai esistito perché oltre a uccidere si sterilizza a dovere. Qui una pietà diffusa indurrebbe i cittadini a incamerare orde di meticci paralizzati, malati, anziché evitare l'eutanasia ai propri. Molti dubbi e poche prove, ma considerando l'argomento minore, o scomodo, a dispetto di segnalazioni e denunce da tutta Italia si archivia con facilità, o si omette di indagare a fondo. Forse anche scoraggiati dalla scarsa collaborazione oltrefrontiera. Una delle due rogatorie internazionali avanzate durante la fase istruttoria di un processo - unico sull'argomento - in corso a Napoli riguardo i randagi di Ischia a lungo esportati e volatilizzati in Germania, è rimasta senza riscontro. A Verona, nel 1995, si indagò per verificare nomi e indirizzi a cui erano stati inviati cento cani. Gli intestatari risultarono tutti falsi o morti, ma la faccenda  fu presto dimenticata. Gli animali in uscita sono così numerosi, e da tanti anni, che, pure ve ne fosse l'intenzione, è utopistico verificare che abbiano davvero trovato famiglia. Migliaia, centinaia di migliaia; non esistono risorse né condizioni materiali per effettuare regolari tour del nord Europa, entrando nelle abitazioni private. In alcuni casi, chi esporta intasca pure i contributi erogati da alcuni Comuni italiani per promuovere  le adozioni; alcune Asl poi concedono gratuitamente passaporti che di solito hanno un costo. Per i cani, s'intende, poiché i gatti, privi di anagrafe, viaggiano senza nemmeno il microchip: invisibili. Spesso, ormai, non ci si perita neppure di indicare l'adottante straniero, nome e cognome; l'associazione esportatrice s'intesta direttamente gli animali, per trasbordali in canili fuori patria e proporli su siti specializzati ancor prima del loro arrivo: la tassa di riscatto che dovrebbe servire a rimborsare le spese può arrivare fino a 400 euro. "Si fomenta lo sdegno verso i nostri canili, avallando continui trasferimenti di animali. C'è chi s'impegna in demonizzazioni che vanno ben oltre l'effettiva criticità di certe situazioni", dice Maria Teresa Corsi, presidente della Lega nazionale per la difesa del cane di Galatone, in provincia di Lecce. "I luogotenenti dei trafficanti arruolano ragazzi giovani, che desiderano un futuro migliore per gli animali. I volontari offrono accoglienza provvisoria, ripuliscono i cani dalle zecche, ma non appena vogliono sapere con maggior precisione dove sia finito l'esemplare che hanno accudito subentra  'la privacy dell'adottante'. Se insistono sono fuori". "Come prova mandano solo foto, fatte in serie. Sul cuscino, nell'erba, mai la faccia della persona che ha adottato", aggiunge Maria Teresa. "Oppure qualcuno se li intesta in Italia per prenderli dal canile e subito dopo li cede. A Lecce c'è chi oggi avrebbe decine di cani, si va  avanti per deleghe: è illegale. Dal 2003, con l'ausilio delle forze dell'ordine, siamo riusciti a bloccare quattro grandi trasferimenti". La scoperta. Giuseppe Moscatelli, guardia zoofila Enpa a Terni, da anni si scontra con il fenomeno delle adozioni internazionali. "Ho iniziato con il canile Colle Arpea a Rieti. Lì 282 cani ridotti come larve facevano da copertura al movimento dei randagi, catturati e trasferiti in Germania ogni settimana. La struttura aveva convenzioni con almeno 80 Comuni laziali, ai cani neppure si controllavano i microchip per appurare che non fossero smarriti tanto da far sospettare furti su commissione. In seguito Colle Arpea fu chiuso, gli ospiti residui trasferiti a Nord. Quindi la partita si è spostata in Umbria, al rifugio privato di Stroncone", continua Moscatelli, "nel marzo 2012 la struttura finì sotto sequestro amministrativo e fui nominato custode aggiunto. Mi adoprai per arginare la fuoriuscita di animali pretendendo documentazione rigorosa. Per questo ho subito intimidazioni, pedinamenti, assurdi esposti". Anche i coniugi Viotti, titolari un rifugio in convenzione vicino Tivoli, raccontano quel che assomiglia a un assedio intanto che alcuni comuni da quasi un anno hanno smesso di pagare: "Si verifica quanto minacciato da chi insiste per mandare all'estero i nostri cani: 'Vi faremo chiudere'. Da principio ci fidavamo di queste persone, provenienti da diversi gruppi. Si presentavano col placet delle autorità. Poi qualcosa non quadrava. Hanno iniziato portandoci via una ventina di cani, quindi hanno seguito altrettanti gatti, consegnati a una signora di Terracina. Quando l'abbiamo richiamata ha detto che erano già andati a riprenderseli: 'Non mettetemi in mezzo, ho dovuto farlo'. Ci hanno diffamati facendo circolare su internet che teniamo male gli animali: niente di più falso e riteniamo che le successive ispezioni sanitarie l'abbiano dimostrato". L'inchiesta. Nel 2006, grazie alle denunce animaliste e alla determinazione della pm Maria Cristina Gargiulo, si apre un'inchiesta sfociata nell'unico procedimento giudiziario mai istruito su un caso del genere. Un processo che procede vergognosamente a rilento - si avvicinano i tempi di prescrizione - presso il Tribunale di Napoli. Nella fase delle indagini si appurò che i presunti adottanti dei randagi che partivano dal canile di Panza, a Forio d'Ischia, non esistevano. I tanti animali partiti per la Germania erano spariti sullo sfondo di loschi movimenti di denaro. I cinque responsabili della struttura furono rinviati a giudizio con gravi capi d'accusa, mentre ai rappresentanti delle Asl fu imputato il semplice falso ideologico.  A dispetto dello scandalo, nel 2007 il rifugio passò a una nuova associazione tedesca che vanta decine di punti di raccolta e smistamento cani e gatti in Europa. "La fresca gestione rinunciò a un credito di 62.500 euro in cambio di 51 cani, per riprendere indisturbata l'invio di animali all'estero", racconta Maria Pagano, attivista di Una - Uomo natura animali - di Ischia, che  assieme a Pass Pro Natura ha condotto la lunga battaglia contro le tratte del canile ischitano. Chi dovrebbe controllare. "Spetterebbe all'Unione europea stabilire regole secondo cui gli animali non siano considerati merce", dichiara Paola Tintori, presidente dell'Enpa di Perugia e docente di Matematica Finanziaria presso l'ateneo dell'università umbra. "L'Enpa dice un no netto ai trasferimenti da canile a canile. Ma non possiamo opporci, come cittadini comunitari, alle adozioni individuali. Con la delega dei Comuni, in base all'art 998 UE, si possono portare via fino a cinque cani a testa, anche in auto". Oltre però le regole Traces (Trade Control and Export System, piattaforma informatica veterinaria comunitaria che dovrebbe segnalare, certificare e verificare esportazioni, importazioni e scambi di animali e prodotti di origine animale) prevedono che al momento del rilascio della documentazione necessaria al viaggio per un numero di cani superiore a cinque l'autorità sanitaria di un paese mandi comunicazione per via informatica all'autorità omologa del paese di destinazione. "Poiché in ambito europeo le norme su animali d'affezione e randagismo sono diverse, è la stessa UE che dovrebbe lavorare a un'omologazione normativa e farla poi rispettare". "Non c'è da meravigliarsi se in Germania i canili non sono mai affollati, dato che l'eutanasia per i randagi è applicata in modo ben meno restrittivo che in Italia" commenta Maria Pagano. "La  Tierschutzgesetz, legge tedesca per la protezione degli animali, ne permette la destinazione alla sperimentazione a dispetto dei riconosciuti protocolli che circoscrivono genere e provenienza dei soggetti da impiegare. Si deroga nel caso di indisponibilità delle specie richieste, ripiegando su  cani e gatti importati dall'estero. Norme applicative permettono inoltre ai privati la cessione di animali malati ai test di laboratorio".
Non vige, in ogni caso, condizione di reciprocità giuridica fra le regole di gran parte degli altri paesi occidentali e la nostra 281/91, che vieta di uccidere i randagi e di cederli alla vivisezione. "Abbiamo preparato una proposta di legge che proibisca le adozioni all'estero, puntando proprio sull'illegittimità di mandare i nostri animali in paesi dove rischiano soppressione e torture" dice Walter Caporale, presidente degli Animalisti Italiani, mentre Susanna Chiesa, presidente di Freccia45, aggiunge: "Siamo in disaccordo con chi trasferisce cani dall'Italia verso stati stranieri, non ve n'è alcun bisogno. Varie volte abbiamo appreso che l'invio di cani in Svizzera si era concluso con la loro soppressione. Senza tener conto dell'incubo vivisezione, attuale e da tenere sempre presente. A maggior ragione dal 2010, quando in Europa è stata ratificata la sperimentazione sui randagi, da noi proibita". Serve una legge. "Per opporci ai trasferimenti all'estero non abbiamo lo strumento giuridico" dice Rosalba Matassa coordinatrice dell'Unità operativa per la tutela degli animali, lotta a randagismo e maltrattamenti del Ministero della Salute. "Sulla scia delle nostre proteste la Svizzera si è attivata per prevedere, come noi, l'obbligatorietà di iscrizione dei cani all'anagrafe. Abbiamo quindi fatto richiesta di istituire un tavolo di lavoro con i ministeri degli Esteri e degli Interni, che serva a regolamentare questa circolazione problematica, a garantirne le procedure". Dal profondo Sud alle Marche, non c'è regione che non veda partire flussi massicci di animali. Quotidianamente i randagi oltrepassano le frontiere senza incontrare fermi o controlli. Benché così progredita e garantista, la nostra 281/91 non impone in modo abbastanza perentorio le sterilizzazioni. "E' un disperante circolo vizioso. II canili si riempiono a spese della collettività.  Si arricchiscono i gestori delle strutture e insieme prosperano i trafficanti, che le svuotano permettendo al sistema di perpetuarsi" sottolinea Maria Pagano. "Un perfezionamento normativo dovrebbe punire in modo severissimo chi fa business con gli animali oltre Comuni e Asl inadempienti. Suonerà impopolare, ma andrebbe pure ridimensionato lo strapotere concesso alle associazioni. Buone o cattive, dovrebbero  fornire la loro collaborazione senza gestire il problema randagismo in sostituzione delle istituzioni assenti". Di fatto, solo chi ha conosciuto da vicino gli animali è in grado di riconoscerli in un momento successivo, così i volontari meno ingenui vengono estromessi dalle strutture, espugnate in tutta Italia da chi organizza gli esodi. Sono terreno fertile strutture malviste, in odore di sequestro, e in generale i rifugi in convenzione: si propongono ai Comuni liberatorie scorciatoie con la possibilità di alleggerire la spesa per i randagi, anche a costo di non saperne più niente.

SESSO CON GLI ANIMALI: L'ULTIMA FRONTIERA.

Sesso con gli animali, l'ultima frontiera dell'abuso, continua Margherita D’Amico. Uno dei sospetti sul traffico dei randagi è che vengano utilizzati per pratiche maniacali e nei video porno. Si chiama zooerastia, in Germania si vorrebbe proibire, in Svezia sarà ammessa fino all'anno prossimo. I bordelli dove si pratica sesso, anche estremo, con gli animali, proliferano a quanto pare in Germania, tanto che l'inverno scorso il Parlamento tedesco ha discusso la possibilità di proibire tali pratiche, sempre più diffuse. La normativa vietava infatti i film porno in cui siano coinvolte altre specie, ma non le pratiche dirette. L'eventualità di nuovi provvedimenti è stata però accolta dalla ribellione di alcune associazioni dedite alla zooerastia, cui sono dedicati pure "zoo erotici" dove i clienti possono abusare di lama, pecore, cavalli, cani. La bestiality sembra radicata anche in altri paesi europei, come Belgio e Danimarca. Decisa la Svezia, che a giugno ha messo al bando il sesso con animali (il provvedimento entrerà in vigore nel 2014) giudicando inaccettabile sottoporre creature inermi a sofferenze gratuite, motivate dal diletto personale. Finora la legge svedese aveva ammesso simili accoppiamenti purché gli animali non soffrissero, ma segnalazioni e verifiche seguitavano a portare alla luce vittime di soprusi, creando tra l'altro preoccupazione circa l'entità del fenomeno. Fra tutte le specie i cani, leali nei confronti dell'uomo, sono i più addestrabili o comunque quelli che maggiormente si sforzano di sopportare orrende sevizie. "Gli antropologi ci spiegano che il sesso con animali è un fenomeno antico, ma la scienza lo classifica come parafilia, ovvero manifestazione patologica", dice lo psicologo Giorgio Nardone, fondatore con Paul Watzlavick del Centro di Terapia Strategica di Arezzo. "Il vero problema è che nel corso di tali esercizi, il più delle volte crudeli, c'è una vittima: l'animale. Evidenze di ricerca non troppo divulgate dimostrano che questo genere di parafilie non comporta semplici manie ossessive, ma si lega a un grave disturbo della personalità. Chi fa queste cose è di solito disposto a farne altre". In Italia la zooerastia non è mai uscita alla luce del sole, con l'eccezione di qualche episodio. Dappertutto però, attraverso Internet, si può  accedere a video pornografici in cui il malessere degli animali è lampante. Drogati, rincitrulliti, incapaci di reagire, alani o meticci sopportano sodomie, se non stanno infelicemente sdraiati su un fianco mentre c'è chi ne utilizza e martirizza il membro quasi fosse un oggetto a sé. Si tratta di abusi inequivocabili, eppure tollerati dalla comunità internazionale più evoluta. Nessuno si pone inoltre il problema della provenienza degli animali, di certo non concessi per l'uso da proprietari amorevoli. Chi rifornisce i bordelli, il cinema porno, di sempre nuovi esemplari? Alle indagini animaliste, poche e rese difficili da una fitta omertà, seguono sempre immagini sconvolgenti. Cani incaprettati, torturati, evirati, uccisi per divertimento. Il sesso con gli - altri - animali è una fantasia che accompagna l'uomo fin dalle origini; ce lo racconta la mitologia a partire da Giove che si trasforma in toro o cigno per sedurre Europa e Leda, ritroviamo accoppiamenti interspecifici negli antichi bassorilievi. Le moderne consapevolezze non sembrano aver dissuaso i nostri simili, al contrario capaci di trasformare la perversione in attivo mercato. "A vario titolo la zooerastia si pratica in Nordafrica, Oriente, Europa", dice Nardone. "Un mio vecchio amico, durante i lavori di ristrutturazione di un casale, scoprì che i suoi operai stranieri violentavano a turno, ogni sera, la scrofa di un vicino. Ne rimase sgomento e dovette pure risponderne".

I REGOLAMENTI PER IL BENESSERE DEGLI ANIMALI.

Regolamento per la detenzione degli animali domestici.

Buone notizie per gli animali domestici. La sottoscrizione di un regolamento-tipo da parte del presidente di Anci (Associazione nazionale comuni italiani) Alessandro Cattaneo e dell'on. Vittoria Brambilla in rappresentanza di Fiadaa (Federazione Italiana Associazioni Diritti Animali e Ambiente), con cui tutti i comuni avranno maggiori strumenti per garantire i diritti degli animali da compagnia. Nessun divieto o disposizione potrà più impedire ai nostri amici animali di accompagnarci nei luoghi pubblici, bar, biblioteche, ospedali e case di riposo e naturalmente nelle spiagge della penisola dove la loro presenza sarà più tutelata. Il regolamento in questione ha una norma base: l'animale domestico può accompagnare il padrone ovunque, purché non leda i diritti di nessuno. Chiaramente i proprietari dovranno assumersi ogni responsabilità del loro comportamento ed evitare che lascino tracce poco gradite: sono infatti previste multe salate e addirittura, in casi estremi, la confisca dello stesso animale. Ora tocca ai comuni accettare e rendere operativo questo regolamento che elenca anche doveri del detentore di cani e gatti come la custodia, il controllo della riproduzione, le precauzioni contro danni a terzi o aggressioni. E alcuni divieti come quello di legare gli animali alla catena, di venderli a minorenni, di detenerli se si sono riportate condanne o è stato accolto il patteggiamento per maltrattamento o uccisione, di lasciarli cronicamente soli, di condurli al guinzaglio da qualsiasi mezzo di locomozione, di usarli per l'accattonaggio, di offrirli in omaggio o in premio come purtroppo ancora accade in molte lotterie di paese.

Presentato a Roma il regolamento tipo per la tutela degli animali, scrive “QZ Life”. La detenzione di cani e di gatti secondo standard minimi (con il divieto assoluto di usare la catena o di lasciare i pet a lungo soli), il libero accesso degli animali domestici sulle spiagge, nei luoghi pubblici, nei luoghi aperti al pubblico (compresi case di riposo, ospedali, cimiteri) e sui mezzi di trasporto pubblico, la tutela della fauna selvatica, la detenzione di animali esotici, e tutti gli altri aspetti della convivenza tra uomini ed animali nelle città sono disciplinati nel regolamento tipo per la tutela degli animali e la loro convivenza con i cittadini presentato il 13 giugno a Roma dall’Associazione nazionale Comuni italiani (Anci) e dalla Federazione italiana associazioni diritti animali e ambiente. Il presidente di Anci, Alessandro Cattaneo, e l’on. Michela Vittoria Brambilla, in rappresentanza della Federazione, hanno quindi sottoscritto un accordo quadro che impegna l’associazione dei comuni alla massima promozione del regolamento per la sua adozione da parte dei sindaci italiani. Le parti promuoveranno anche l’apertura di un ufficio per i diritti degli animali in ogni città, un più serrato confronto sul tema del randagismo e le migliori sinergie tra le amministrazioni comunali e le associazioni animaliste. Sono intervenuti all’evento anche il Presidente di Lav, Gianluca Felicetti, il Presidente di Enpa, Carla Rocchi, il Presidente di Oipa, Massimo Comparotto, il presidente della Lega del Cane, Piera Rosati, Dario Oriani di SOS Levrieri e Alessia De Paolis, delegata Anci al randagismo.

Regolamento tipo per la tutela degli animali: i punti salienti.

Il regolamento tipo per la tutela degli animali affronta tutte le principali questioni attinenti alla convivenza uomo-animale nelle città e, per la prima volta, si occupa di tutti gli animali, dal gatto, all’iguana, all’elefante del circo. E’ un testo fortemente innovativo, che ribalta la tradizionale prospettiva proibizionista e punta a migliorare la qualità della vita di tutti, proprietari di animali o meno. “Il nostro auspicio – spiega l’on. Michela Vittoria Brambilla, in rappresentanza della Federazione degli animalisti e ambientalisti – è che possa essere adottato, o utilizzato come modello, nel maggior numero possibile di Comuni. Questo regolamento rovescia completamente l’impostazione adottata finora: si parte non dai divieti, ma dall’idea che – in linea generale, con motivate eccezioni – l’animale domestico possa accompagnare il proprietario dovunque, senza ledere i diritti di nessuno. L’intento è quello di migliorare la qualità della vita di tutti: i cittadini e i loro piccoli amici”. Secondo il testo proposto, il Comune riconosce “la valenza sociale” del rapporto tra esseri umani e animali d’affezione ed opera perché il rispetto verso i nostri amici a quattro zampe sia promosso anche nel sistema educativo, a partire dalla scuola dell’infanzia ed elementare. Il regolamento tipo per la tutela degli animali elenca doveri e responsabilità del detentore di cani e gatti – ad esempio, la custodia, il controllo della riproduzione, le precauzioni contro danni a terzi o aggressioni – e alcuni significativi divieti come quello di legare gli animali alla catena, di venderli a minorenni, di detenerli se si sono riportate condanne, o è stato accolto il patteggiamento, per maltrattamento o uccisione, di lasciarli cronicamente soli, di condurli al guinzaglio da qualsiasi mezzo di locomozione, di utilizzarli per l’accattonaggio, di offrirli in omaggio o in premio (come ancora accade in molte lotterie di paese). Qualora il detentore, “per seri e comprovati motivi”, non sia più in grado di tenere l’animale, è previsto che ne dia comunicazione all’Asl e al Comune affinché le strutture pubbliche o private convenzionate possano gestire l’accoglienza. I titoli sul libero accesso degli animali riprendono ed approfondiscono il testo delle ordinanze-tipo presentate l’anno scorso e già fatte proprie da molte amministrazioni. La regola generale è che l’accesso è libero ovunque la legge non lo vieti, purché i cani siano muniti di guinzaglio e, solo all’occorrenza, di museruola e i gatti viaggino in trasportino. Viene concessa la facoltà di non ammettere gli animali negli esercizi pubblici che, presentata documentata e motivata comunicazione al Sindaco, predispongano appositi e adeguati strumenti di accoglienza, atti alla custodia degli stessi durante la permanenza dei proprietari all’interno del medesimo esercizio. Con guinzaglio e museruola, è consentito ai cani l’accesso alle case di riposo e in “apposite aree” degli ospedali, dove potranno “far visita” ai proprietari ricoverati, e nei cimiteri. Sono dettate regole anche per affrontare i momenti più spiacevoli: l’eventuale fuga o smarrimento dell’animale domestico, la soppressione, ammessa soltanto se gli individui sono gravemente malati e non più curabili e previo benestare dell’Ufficio competente per la tutela degli animali, e l’inumazione. Articoli specifici sono dedicati alla macellazione di suini, ovi-caprini, volatili e conigli per uso privato familiare (autorizzata solo con stordimento), alla pet therapy, alla tutela degli animali allevati per fini sperimentali. Su tutto il territorio comunale si propone il divieto di esposizione, spettacolo o di intrattenimento pubblico o privato effettuato con o senza scopo di lucro che contempli, in maniera totale o parziale, l’utilizzo di animali, sia appartenenti a specie domestiche che selvatiche. Tra le eccezioni sono ammessi i circhi, tutelati dalla legge del 1968, purché osservino le linee guida “per il mantenimento degli animali nei circhi e nelle mostre itineranti” emanate dalla Commissione Scientifica CITES del Ministero dell’Ambiente. Sono prescrizioni severe e dettagliate, specie per specie, che formano l’allegato B. A danno dei contravventori è disposta la sospensione immediata dell’attività. Per le violazioni del regolamento, non punite dalla legge, sono previste sanzioni amministrative da 150 a 500 euro e, nei casi previsti dalla legge, la confisca degli animali.

E dato che tocca ai comuni accettare questo tipo di regolamento, le eccezioni si moltiplicano. E ci troviamo di fronte, sempre, a divieti assurdi.

Regolamento per la detenzione degli animali domestici nei condomini.

Cani e gatti: diritto d'asilo in condominio. Dal 18 giugno 2013 non sono più valide clausole e regole che vietino di tenere in casa un animale domestico scrive ADNKRONOS su “Panorama”. Più facile la vita degli animali in casa con la nuova legge sul condominio che entrerà in vigore dal 18 giugno prossimo. Non potranno infatti essere più inserite, nè ritenute più valide, all'interno dei regolamenti condominiali clausole che vietino di tenere in casa un animale domestico. Infatti l'articolo 16 della Legge 220/12 (GU n.293 del 17 dicembre 2012), integra l'articolo 1138 del Codice Civile con la disposizione: ''Le norme del regolamento condominiale non possono vietare di possedere o detenere animali da compagnia''. Le principali novità della riforma e le risposte ai quesiti più frequenti, sono state illustrate dalla LAV nel corso di una conferenza stampa organizzata nel condominio di Roma dove ha Sede l'Associazione. La norma si applica a cani e gatti e a tutti gli animali domestici come conigli, galline, etc. nel rispetto della normativa vigente e va a incidere sui regolamenti esistenti di natura contrattuale e assembleare facendo cadere tutte le limitazioni o divieti al possesso di animali domestici. La nuova legge di fatto autorizza l'uso delle parti condominiali comuni. Sono sanzionabili, però, le condotte che provocano il deterioramento, la distruzione, o che deturpano o imbrattano cose mobili o immobili altrui. E' quindi importante educare l'animale ad avere una condotta rispettosa degli spazi comuni e seguire nei rapporti con i condomini le regole della civile convivenza. Non è possibile catturare e allontanare le colonie feline dalle aree condominiali, a meno che non si tratti di interventi sanitari o di soccorso motivati. La legge prevede infatti per le colonie feline il diritto alla territorialità e vieta qualsiasi forma di maltrattamento nei loro confronti. Resta la libertà del locatario di inserire nel contratto d'affitto (che è un patto tra privati) il divieto a detenere un animale domestico, una volta firmato il contratto la clausola diventa vincolante. La portata di questa riforma è rilevante: secondo l'Eurispes la metà delle famiglie italiane, il 55,3%, ha infatti in casa uno o più animali domestici, un dato in netta crescita rispetto al 2012 quando la percentuale si attestava al 41,7% (+13,6). L'animale più diffuso nelle case degli italiani è il cane, presente nelle dimore del 55,6% degli italiani, seguito dal gatto (49,7%), dai pesci (9,7%), dai volatili (9%), dalle tartarughe (7,9%), dai conigli (5,3%), dai criceti (4,6%), dai rettili (1,1%), fino ad arrivare agli animali esotici (0,8%). Negli ultimi anni, le Associazioni di amministratori di condomini hanno rilevato un aumento di liti derivanti dalla presenza degli animali. Secondo una di queste associazioni, l'Anammi, il 92% dei suoi soci amministratori dichiarava di aver affrontato almeno una volta una disputa sugli animali, dalle deiezioni (30%), ai rumori (27%), alla presenza in spazi comuni (23%), agli odori di animali da casa (20%). Il 61% delle volte gli amministratori sono riusciti a chiudere il contenzioso, per il 36% il problema non sussisteva. "La rimozione dei divieti che rendono difficile la convivenza con i quattro zampe, come i divieti condominiali, è importante anche nell'ambito di un'efficace attività di prevenzione del reato di abbandono di animali: agevolare la convivenza può essere un incentivo ad accogliere in famiglia un animale, meglio se adottato da un canile, spiega Ilaria Innocenti, responsabile LAV Settore Cani e Gatti, salutiamo con entusiasmo la nuova norma che tutela gli animali nei condomini, da noi fortemente voluta, segnale di una relazione più consapevole con gli animali non umani." Quella degli abbandoni degli animali domestici è un piaga difficile da sanare e che tende ad aggravarsi con l'arrivo dell'estate. "Gli animali continuano ad essere abbandonati afferma Ilaria Innocenti responsabile LAV del Settore Cani e Gatti, perché la scelta di vivere con loro non è stata ponderata con responsabilità, perché ritenuti 'impegnativi' o costosi. Per contrastare questa piaga, continua, proponiamo alcune misure tese a riformare la Legge 281/91 (Tutela animali d'affezione e prevenzione del randagismo) attraverso, ad esempio, il libero accesso di cani e gatti nei luoghi pubblici e nelle strutture turistiche, detrazioni fiscali su cibo e spese veterinarie per chi adotta un cane o un gatto, l'inserimento di cani e gatti nel certificato di "stato di famiglia". Oltre a essere un reato, l'abbandono porta a un dispendio di soldi pubblici che ricade sull'intera collettività: considerando che per ogni cane ospitato in canile ogni Comune paga circa 1.000 euro all'anno, e nei canili italiani ci sono circa 150.000 quattro zampe, le proporzioni del fenomeno sono rilevanti". I punti chiave della petizione per la riforma della legge 281/91, che si potrà firmare on line su lav.it e anche su www.erbolario.com grazie al sostegno offerto da L'Erbolario, storica azienda amica degli animali, prevedono l'accesso libero nei luoghi pubblici o aperti al pubblico, nelle strutture turistiche (alberghi, campeggi, spiagge, mezzi di trasporto pubblico) a cani e gatti. Prevedono ancora di introdurre detrazioni fiscali su cibo e spese veterinarie per chi adotta un quattro zampe, riconoscimento del farmaco equivalente in veterinaria, adeguamento dell'IVA a livelli europei per alimenti e farmaci per animali tenuti non a scopo di lucro. Incentivi alla sterilizzazione di cani e gatti. Potenziamento dell'anagrafe felina e inserimento di cani e gatti nel certificato di "stato di famiglia". La petizione prosegue chiedendo l'istituzione di un 118 unico a livello nazionale per il pronto soccorso veterinario, previsione del ''cane libero accudito'' in aree identificate. Si auspica ancora la stipula di convenzioni tra canili e Comuni con precisi standard di qualità e tariffa minima senza la possibilità di aste al ribasso, numero massimo di 200 cani per canile, presenza obbligatoria all'interno delle strutture di almeno un'associazione di volontariato, apertura quotidiana al pubblico per almeno sei ore per favorire controlli e adozioni. Infine, per prevenire e reprimere maltrattamenti e abbandoni la petizione chiede che sia previsto il divieto di detenzione di animali a coloro che abbiano riportato una condanna per reati contro di essi.

Regolamento per la detenzione degli animali nei circhi.

Il benessere degli animali ''è scientificamente accertabile e, attenendosi a precisi criteri, può essere garantito e certificato'', scrive “ADNKronos”. E' il nuovo 'Regolamento per l'educazione e l'esibizione di animali nei circhi' a fare riferimento specifico alle condizioni degli esemplari impiegati negli spettacoli. Il Regolamento è stato presentato in occasione della prima 'Giornata professionale del Circo', svoltasi a Roma. Dopo circa un anno di approfondimento e confronto, anche con la regolamentazione vigente in Europa, il protocollo siglato dall'Ente Nazionale Circhi è approdato alla stesura definitiva che ha visto l'apporto di una equipe formata da veterinari, etologi, docenti ed esperti del benessere animale, con l'ausilio di competenze giuridiche e del patrimonio si esperienza fornito dagli ammaestratori. Si tratta del primo strumento del genere ad essere predisposto in Italia: di tutte le specie presenti nei circhi vengono precisate le regole di gestione, alimentazione, trattamento medico, trasporto, ammaestramento. Il Regolamento contempla anche l'introduzione di un 'patentino' per tutto il personale che, a vari livelli, entra a contatto con gli animali, oltre a controlli eseguiti da una commissione di esperti. ''Lecito, ovviamente, che qualcuno professi visioni del mondo che prevedono il paradiso terreste in terra, un ritorno allo stato di natura (anche se - va detto - la natura non è benigna nei confronti degli animali) nel quale ogni essere debba vivere libero e senza vincoli di sorta. Ma allora - si legge nel documento - si dovrebbe avere la coerenza di vietare ogni forma di utilizzo e convivenza fra uomo e animale: non solo allevamenti, gare sportive ed esibizioni di animali (ippica e mostre di cani e gatti compresi), impiego di cani da parte delle forze dell'ordine e dell'esercito, ma anche assoluto divieto a detenere cani e gatti spesso costretti, non certo per scelta, a vivere in angusti appartamenti ai piani alti di palazzi e condomini delle nostre città, e quindi totalmente dipendenti dai loro padroni anche per espletare bisogni elementari connessi alla loro natura''. Il documento elenca una serie di disposizioni in tema di sicurezza, gestione degli animali, trattamento medico, sistemazioni e trasporto, addestramento ('Nessuno strumento deve essere utilizzato in modo tale da infliggere dolore, danno fisico o sofferenza all'animale'), interazioni con gli animali e contatto con il pubblico. Capitoli a parte sono dedicati alle varie specie utilizzate per gli spettacoli, con prescrizioni specifiche per i vari tipi di animali. ''Se gli animali presenti oggi nei circhi italiani, non superano le 1.500 unità circa, le statistiche ci assicurano invece che tutti gli altri animali che convivono con l'uomo superano i 40 milioni. Gli animali presenti nei circhi - precisa il Regolamento - non provengono da catture in natura ma sono nati in cattività da più generazioni. Da molti decenni la pratica dell'importazione degli esemplari dai paesi d'origine non viene praticata per ragioni etiche, legislative (la Convenzione di Washington è stata recepita anche in Italia), di antieconomicità ed anche perché quasi tutte le specie presenti nei circhi si riproducono in cattività''. Gli animali nei circhi ''vengono addestrati facendo leva sulle loro tendenze naturali al gioco. Un addestratore degno di tale nome, ovvero un bravo addestratore, mai farebbe uso della prepotenza, delle punizioni e della violenza. Gli errori di pochi - e ciò vale in ogni settore dell'agire sociale - non possono condizionare l'operato dei tanti che lavorano con la massima dedizione per garantire il maggior benessere possibile ai propri animali. Purtroppo non mancano episodi di maltrattamento degli animali in ogni settore, e da questa casistica non sono esclusi nemmeno gli animali da compagnia, ma non per questo si chiede che cani e gatti vengano banditi dalla quotidiana vicinanza con l'uomo''. Nel caso degli animali presenti nei circhi, la valutazione del benessere ''deve essere riferita non a un teorico ambiente naturale, ma a quel determinato tipo di ambiente che l'addomesticamento e la cattività hanno reso loro abituale''. La ragione per la quale in Italia continuano ad operare oltre cento circhi ''trova sostanzialmente fondamento nell'ampio gradimento del pubblico verso gli animali presentati negli spettacoli e non certamente, come sostiene qualcuno, negli irrisori contributi pubblici che, nel migliore dei casi, consentirebbero ad un circo di grandi dimensioni meno di un mese di sopravvivenza''. Gli spettacoli con animali, sottolinea il documento, ''insegnano il rispetto verso la natura e il profondo legame fra gli esseri viventi; in maniera molto maggiore delle teorie darwiniane, i circhi testimoniano che sono più gli elementi che uniscono uomo e animale di quelli che li separano''. Specie sempre più minacciate nei loro habitat d'origine ''trovano nei circhi ambienti di salvaguardia e, allo stesso tempo, di familiarità con l'uomo: per quanti bambini i circhi continuano ad essere l'unica possibilità di vedere da vicino gli animali esotici e non? Per la stragrande maggioranza, ed è anche per questo motivo - si legge nel Regolamento - che il circo continua ad essere lo spettacolo dal vivo per eccellenza, enormemente radicato a livello popolare''. Il futuro degli animali nei circhi non è quindi quello di ''un ritorno impossibile, per quanto poetico possa apparire, a un mondo selvaggio che non hanno mai conosciuto e in cui non potrebbero mai sopravvivere. Per garantire il rispetto nei confronti degli animali non servono divieti, ma regole. E su questa strada anche il circo vuole camminare facendo tesoro di un bagaglio di conoscenza ed esperienza accumulato di generazione in generazione''. Dalla Lega Antivivisezione arrivano però critiche al nuovo Regolamento definito un "goffo e illusorio tentativo di sviare i controlli sulle normative e di nobilitare la figura del domatore del circo, che cambia nome ma non sostanza a mansioni: un'operazione di 'maquillage lessicale' che non può illudere né ingannare il pubblico definendo 'educazione' l'addestramento coercitivo degli animali usati per gli spettacoli''. "Ci sembra davvero una missione impossibile convincere le famiglie italiane a considerare 'educazione' le piroette e la prigionia che elefanti, tigri o cavalli sono ancora costretti a fare e a subire sul palcoscenico dei circhi", commenta Nadia Masutti, responsabile Lav settore Circhi, zoo e esotici, sul sito della Lav. Di tutt'altro avviso Flavio Togni, tra gli artisti circensi più conosciuti e premiati al mondo, per il quale ''il nuovo Regolamento è un documento rivoluzionario''. ''Si tratta di un documento importantissimo - ha spiegato -: così come chi vuole guidare un'auto deve possedere una patente, allo stesso modo la proposta punta ad istituire anche in Italia una certificazione, come del resto già avviene attualmente in Francia''.

QUANDO GLI ANIMALI VENGONO DA NOI. PRIGIONIERI PER BUSINESS.

Elefanti, cammelli, tigri, dromedari, scimpanzé, lemuri. Sono così vicini che, in alcuni casi, si possono anche toccare. Guardare negli occhi. Dargli da mangiare, scrive Beatrice Montini su “Il Corriere della Sera”. Non ci troviamo (come è ovvio) in mezzo alla savana africana, o in una giungla tropicale, bensì allo zoosafari di Ravenna. Un luogo che – come si può leggere sul sito - promette a bambini e famiglie un’esperienza unica, quella di poter osservare «da vicino e senza barriere» oltre 40 specie di animali esotici «come non potresti mai fare in un normale bioparco». Un sogno? Non proprio. Almeno secondo l’associazione noprofit Essere Animali che ha realizzato una video inchiesta e un sito web per mostrare che a Ravenna gli animali «vengono usati prima di tutto per fini commerciali». A circa un anno dalla sua inaugurazione la struttura, che ospita 450 animali torna dunque al centro delle polemiche (ma non è la prima volta che gli animalisti criticano il progetto, tra proteste e ricorsi al tar bocciati dal tribunale amministrativo dell'Emilia Romagna). Nel piccolo documentario di Essere Animali- realizzato nella primavera 2013 – gli attivisti girano nel parco in auto, proprio come accade ai comuni visitatori, accompagnati da un etologo che commenta quello che sta osservando. «Abbiamo filmato l’unico elefante detenuto più volte e in tutte le occasioni ha mostrato essere vittima di comportamenti stereotipati – sostengono gli animalisti - Un dondolio costante del corpo, segno di un grave malessere fisico e psicologico che sappiamo appartenere a quegli individui che hanno vissuto tutta la loro vita in uno spazio eccessivamente limitato». Secondo gli attivisti di Essere Animali sono diversi i problemi che devono affrontare gli animali chiusi a Ravenna: mancanza di sufficienti ripari dove nascondersi se vogliono e carenza di vegetazione («L’ambiente si presenta completamente spoglio e gli animali – dicono gli attivisti - possono ripararsi dal sole o dalle intemperie solo stazionando sotto alcune tettoie»), mancanza di stimoli e conseguente «apatia» degli animali, clima «inadatto» per la maggior parte degli ospiti («Lo zoo safari di Ravenna non potrà offrire condizioni climatiche ideali per gli animali esotici ospitati poiché il luogo non è quello di origine»). «Insomma- spiega il coordinatore di Essere Animali Francesco Ceccarelli - non è vero che quello è un luogo dove bambini e famiglie possono imparare qualcosa di istruttivo sugli animali che li sono dei prigionieri, anzi». In sintesi l’obiettivo di Essere Animali è quello di mostrare che a Ravenna gli «ospiti» sono tutt’altro che liberi e felici e che «inseriti in un contesto di certo a loro non consono» sono «condannati, in un susseguirsi del tempo monotono e senza stimoli, a quella vita priva di senso che gli zoo riservano». Come spiegano gli stessi animalisti, nello zoo safari «non è stato trovato niente di illegale e la struttura ha tutte le autorizzazioni necessarie per continuare ad esistere». Nessun comportamento fuori norma, insomma, piuttosto una sofferenza psicologica degli animali comunque prigionieri e il «loro sfruttamento a fini economici». «La zoosafari di Ravenna appartiene agli stessi proprietari dello zoosafari di Fasano, in Puglia (ndr, una struttura immensa, la più grande in Italia e tra le maggiori in Europa) – dice ancora il coordinatore di Essere Animali Francesco Ceccarelli – Sono luoghi il cui unico scopo è quello di fare soldi, business, non c’è nessuna finalità didattica o scientifica o protezionistica, nonostante quello che viene dichiarato a scopo di marketing. Il nostro obiettivo, con questa video inchiesta, è semplicemente quello di sensibilizzare l’opinione pubblica, di far riflettere le persone sullo sfruttamento e la sofferenza di questi animali, di disincentivare le persone a visitare lo zoosafari di Ravenna e fare pressing affinché in futuro non aprano altre strutture simili». Da parte sua la proprietà dello zoo respinge al mittente le accuse. Anche se non è stato possibile parlare direttamente col direttore generale dello zoo safari di Ravenna, Osvaldo Paci, «in viaggio all'estero», nella dichiarazione arrivata tramite l'ufficio stampa si parla di «falsità». «Nella conferenza tenutasi a Ravenna il 21/06/2013 e nel video in cui parla l’etologo Roberto Marchesini, Essere Animali dichiara il falso - dice il comunicato di Osvaldo Paci - Le loro illazioni sono già state smentite dal Tar dell’Emilia Romagna, dalla Comunità Europea e dagli organi di controllo sul benessere animale. Per questo motivo sono in fase di elaborazione le relative querele». Impossibile saperne di più. Il dibattito etico su zoo (ma anche delfinari e acquari) intanto continua. «Oggi si parla di bioparchi, zoo safari e parchi faunistici – spiegano da Essere Animali - e la legislazione in materia è andata a braccetto con gli interessi di questa industria dell’intrattenimento, insignendo queste strutture di finalità educative e conservazioniste al fine di rassicurare il pubblico». In Italia, secondo il dossier pubblicato dall’organizzazione, il ministero dell’Ambiente pur non avendo reso noto un elenco ufficiale degli zoo esistenti nel nostro Paese ha comunque varato una lista di circa 50 strutture attive, con circa 30.000 esemplari rinchiusi. Nel mondo, secondo la World Zoo Conservation Strategy, i «giardini zoologici» sono almeno 10mila con oltre un milione di esseri viventi prigionieri.

CARNI STRAZIATE. PARLIAMO DELLE SOFFERENZE DEGLI ANIMALI MACELLATI.

Parliamone con una inchiesta di Margherita D’Amico su “La Repubblica”. Carni straziate: vivere e morire tra torture. In Italia troppi allevamenti-inferno. Da noi ci si adegua con lentezza alle modeste regole comunitarie per garantire gli animali: 17 milioni galline sono tuttora prigioniere di strutture vietate. Il consumo di carne è enormemente aumentato: si stima che il fabbisogno annuo di proteine animali si aggiri sui 35 kg all'anno: noi abbiamo superato i novanta. Un danno anche per l'ambiente, come spiega Carlo Petrini di Slow Food. "Ma voi, uomini d'oggi, da quale follia e da quale assillo siete spronati ad aver sete di sangue, voi che disponete del necessario con una tale sovrabbondanza?", scrisse Plutarco in uno dei suoi Moralia poco meno di duemila anni fa.

Eppure oggi gli animali terrestri di allevamento (i pesci raddoppierebbero il totale) destinati alla macellazione si quantificano in 70 miliardi, di cui 55 sono polli. Da loro, derivano ogni anno 280 milioni di tonnellate di carne. Sempre più famelici, i mercati spingono sui grandi numeri attraverso strategie intensive di allevamento e consumo, spazzando via anche l'ultima possibilità di riconoscere che il prodotto è un essere vivente. Ma oltre a rendere atroce la breve esistenza degli animali destinati al mattatoio, la prassi della mega quantità pone pesanti interrogativi circa la salute umana, l'impatto ambientale, una sistematica mancanza di informazione che impedisce di scegliere consapevolmente. Ne è prova recente il scandalo internazionale sulla carne di cavallo, spacciata per manzo in una gamma di prodotti di larga diffusione: qui la fiducia del consumatore si vorrebbe tradita dallo scambio fra specie, quando in realtà dietro a un utilizzo tanto ampio degli equini si accredita con forza l'ipotesi della macellazione clandestina e massiccia di esemplari scartati dallo sport perché anziani o malati, quasi sempre contaminati da farmaci. Difficile ragionare, quando tutto preme verso un consumo sfrenato e stabulazioni di massimo concentramento. Nel primo Dopoguerra l'italiano medio consumava 18 kg di carne l'anno, oggi è arrivato a 92, cui se ne sommano 23 di pesce, 7 di uova e 100 litri di latte, quando l'eventuale fabbisogno di proteine animali - in condizioni di benessere - si stima in 35 kg complessivi. Le vacche all'ingrasso risalgono agli anni 60, ma la vera accelerazione della zootecnia intensiva si avvia negli anni 80.

Attualmente, delle 150mila tonnellate di pesce che si consumano annualmente nel mondo, 65 provengono dall'allevamento intensivo, che a breve raggiungerà il 50% degli affari ittici. Ovunque si assiste a una progressiva scomparsa delle piccole imprese divorate dalle grandi. Stando a dati Fao, da noi nel 2011 sono stati allevati e macellati 9.321.120 maiali,7.900.020 ovini, 5.832.460 bovini, 300mila cavalli, 365.086 bufali, 24mila asini, 9mila muli, 982.918 capre e 150 milioni di conigli. Nello stesso anno Eurostat ci attribuisce pure 508,8 milioni di polli. "Ci adeguiamo alle indicazioni della Banca Mondiale, agli interessi delle multinazionali di semi, farmaci e fitofarmaci. Almeno il 74% del pollame mondiale, il 68% delle galline ovaiole e il 43% dei bovini è radunato ormai negli allevamenti intensivi", spiega Enrico Moriconi, dirigente SSN e consulente su etologia e benessere animale. In Italia poi ci si adegua con inaudita lentezza alle modeste regole comunitarie stabilite per garantire gli animali, cosicché buona parte degli allevamenti è fuori regola. Vedi i 13 anni non sufficienti, da noi, ad applicare la normativa che nel 1999 che ha proibito le vecchie gabbie di batteria per le galline ovaiole in favore di soluzioni un po' meno micidiali. Quasi tutti gli stati hanno compiuto sforzi per adeguarsi, tranne l'Italia: dei 20 milioni di galline ancora prigioniere nelle strutture vietate, 17 sono nel Bel Paese e 3 in Grecia. Ma sul rispetto di queste e altre misure, che possono alleviare solo leggermente i patimenti di conigli, mucche da latte, maiali, tacchini e tanti altri animali, si chiude un occhio. "Ben pochi sanno cosa avvenga negli allevamenti" dicono da Nemesi Animale, gruppo specializzato in dossier informativi e investigazioni: "Documentiamo che la sofferenza è lo standard, mostriamo sguardi tristi e atterriti, contestiamo la comoda idea che gli animali siano oggetti." "E' vero, sugli adeguamenti delle strutture siamo indietro, ma mettere a norma ha un costo che le aziende non sostengono. Mancano contributi per un piano di sviluppo rurale", dice Mario Guidi, presidente di Confagricoltura, che indica le erogazioni 2011 alla zootecnia comunitaria da parte del Fondo europeo agricolo di garanzia in 1.141,8 milioni di euro di pagamenti diretti e 1.390,8 milioni di euro di interventi di mercato: "la produzione europea rende però oltre 150 miliardi". Le imprese godono di altri importanti aiuti: contributi locali, sostegno agli impianti di biogas fatti con i liquami, sovvenzioni ai seminativi - destinati questi ultimi agli animali per il 42% della produzione europea: 13 milioni di tonnellate. E quattro regioni italiane - Emilia Romagna, Lombardia, Veneto, Piemonte - fruiscono di una speciale deroga alla direttiva comunitaria che protegge le acque dai nitrati agricoli, benché si stimi che in Pianura Padana si allevi il 65% dei bovini e il 75% dei suini nazionali. "Non esistono più barriere fitosanitarie," lamenta Guidi. "Ci tocca resistere all'ingresso libero di carni da paesi come l'Argentina, mentre importiamo l'80% della soia necessaria al nostro bestiame". Si ovvierà quindi con il contestato ritorno alla somministrazione di farine animali negli allevamenti, a 13 anni dall'allarme mucca pazza. "Siamo contrari", afferma Stefano Masini, responsabile Ambiente e Territorio di Coldiretti. "Bisogna puntare su prodotti migliori e più cari. Al contrario di Francia o Sudamerica abbiamo territori limitati: no alla tendenza ad aumentare i numeri e ridurre i costi". "Reintrodurre le farine di carne significa riciclare proteine nobili, scarti di macelleria e sangue, che altrimenti andrebbero distrutti. L'Efsa ha espresso pareri che aprono nuovamente, sebbene con cautela, al loro impiego zootecnico", ribatte Umberto Agrimi, direttore del Dipartimento di Sanità pubblica veterinaria e sicurezza alimentare dell'ISS-Istituto superiore di sanità. Riguardo la Bse, dal 2000 a oggi i controlli sui bovini sono andati diminuendo, e pure quelli istituzionali per individuare le sostanze proibite, ormoni e antibiotici, sono irrisori. Si testano 12 polli ogni milione di esemplari uccisi, confidando nelle autocertificazioni aziendali, sulla cui attendibilità bastano le disonestà scoperte sulle quote latte a suscitare sospetti. "Si continua a parlare di rispetto della legalità, quando ci collochiamo in Europa fra i peggiori trasgressori alle principali norme protezionistiche. Il concetto di qualità del risultato finale viene scisso dalla qualità di vita degli animali. Mentre il loro benessere dovrebbe essere considerato sia in termini fisici che psicologici. Dovrebbero essere liberi dal dolore e nella condizione di esprimere comportamenti naturali", dice Annamaria Pisapia, direttore della sede italiana di Compassion in World Farming, ong fondata nel 1967 da un allevatore inglese intenzionato a promuovere pratiche più rispettose degli animali. "Mi chiedo come i nostri politici possano giustificare tanta inadeguatezza. Riconosciuti esseri senzienti dalla Costituzione Europea gli animali provano gioia, dolore, paura, stress e devono essere trattati con rispetto. E la trasparenza verso il cittadino imporrebbe marchi e certificazioni chiari sui metodi di allevamento di ogni animale o derivato in commercio: è una delle nostre prime richieste". Invece, numeri per il sistema, avvolti dall'ombra gli esemplari da carne scorrono lungo la filiera a loro riservata. Subiscono maltrattamenti terribili e inutili, dalle condizioni di vita nelle stalle fino ai viaggi verso il mattatoio, spesso lunghissimi e crudeli. Spintonati e percossi per scendere dai camion, storditi sommariamente prima di essere fatti a pezzi o scuoiati, persino immersi ancora vigili nell'acqua bollente. Se una sola azienda del Lazio, vicino Latina, dichiara sul proprio sito di macellare e scuoiare fra i 500 e i 700mila capi l'anno, tenendone fino a 15mila insieme nelle stalle di sosta, per "lavorarne" al ritmo di mille all'ora, quale garbo si può ipotizzare nei loro confronti? "Nei nostri macelli non è così", obietta Davide Calderone, direttore di Assica-Associazione industriali delle carni e dei salumi. Secondo i suoi dati le imprese maggiori macellano tremila suini al giorno: "Gli animali non rimangono mai più di 24 ore nelle stalle di sosta, e c'è l'obbligo di registrare lo stordimento avvenuto: se non fossero immobili, si agiterebbero durante il taglio della giugulare. Gli operai sono quasi tutti stranieri, per gli italiani è diventata manovalanza troppo dura". Dall'Aia-Associazione italiana allevatori confermano: "Anche in stalla, per il 90% lavorano immigrati". Sofferenza, farmaci, produzione all'eccesso, sono stati individuati anche responsabili di epidemie quali Bse, Sars, Aviaria, Suina, una varietà di batteri killer. Non di rado, i genitori di bambine cui a quattro, cinque anni inizia a svilupparsi il seno, si sentono rispondere dal pediatra di abolire il pollo: come per magia, le fattezze della piccola tornano infantili. Per chi abbia letto The China Study, bestseller frutto della ricerca trentennale di T. Colin Campbell, è lampante la correlazione che può crearsi tra il consumo di proteine di origine animale e patologie degenerative fra cui tumori, diabete, malattie cardiovascolari. Ciò nonostante, per incrementare ancora produzione e consumo di carne, l'UE si avvia a introdurre nella catena alimentare esemplari clonati, mentre l'utente è sollecitato da pubblicità poco realistiche: gioiose mucche da latte - la maggior parte di esse non ha accesso al pascolo e soffre di spaventose mastiti - garruli galletti, oltre a un'armata di programmi tv sulla cucina. "Basta scansare nervi e grasso, mangiare carne è un processo a 360 gradi" afferma Sergio Capaldo, consulente veterinario di Slow Food, il cui slogan recita "cibo buono e giusto". Qual è allora, verso gli animali, la linea di confine fra giusto e ingiusto? "Eccettuate pratiche estreme, non è facile definirla", risponde il fondatore Carlo Petrini. "Da anni invitiamo a consumare meno carne. Per produrre un chilo di manzo in allevamento intensivo serve un'energia sufficiente a tenere accesa 20 giorni una lampadina da 100 watt, in aggiunta a 15.500 litri d'acqua; si immettono inoltre nell'atmosfera 36,4 chili di CO2, la stessa prodotta da un'auto media per percorrere 250 chilometri". La carne rimane in ogni caso un alimento riservato al nord industriale del pianeta, mentre un miliardo e mezzo di persone non vi ha accesso. Per nutrire gli animali si usa più del il 50% della produzione agricola planetaria, che da sé sfamerebbe i paesi poveri. Gli allevamenti intensivi inaridiscono il territorio e, con aggressivi pompaggi, provocano cunei salini sulle coste (in Italia la compromissione di falde dolci con acqua di mare interessa 450mila ettari); esalano gas serra, inquinano terra, corsi e bacini con liquami e escrementi pregni di sostanze tossiche. Ma tornando all'oggetto del business, gli animali, "nel momento in l'uomo dispone della loro esistenza, è arduo parlare di benessere. Speriamo in un passo indietro, numeri contenuti e condizioni migliori", conclude Enrico Moriconi. "Chiediamo una scelta, non essere più complici di tanto orrore", aggiungono da Animal Equality, attivisti noti soprattutto per i filmati rivelatori sulla mattanza dei tonni in Sardegna o le fabbriche viventi di foie gras: "ma se informando otteniamo piccoli progressi, è già qualcosa". Recita una famosa massima di Tolstoj: "Se i macelli avessero le pareti di vetro saremmo tutti vegetariani". Lui lo diventò nel 1875, sia perché la carne era un alimento inaccessibile ai suoi contadini, sia persuaso dalla possibilità di stare al mondo senza sacrificare nessun altro.

Dalla pista al maneggio fino al macello: il cavallo declassato ad hamburger. Carni equine spacciate per bovine. Altre che rivelano tracce di fenilbutazone, un antinfiammatorio pericoloso per l'uomo. Da dove provengono le carni equine che finiscono sulle nostre tavole? Che fine fanno, a fine carriera, gli animali utilizzati nello sport? E perché si rinnovano tanti furti, veri o simulati? Il protocollo dei controlli in Italia è severo. Ma aggirarlo non è così difficile. Lo scandalo internazionale della carne di cavallo spacciata per manzo o altro e ritrovata in un elenco ogni giorno più nutrito di prodotti distribuiti dalle grandi catene alimentari - lasagne, polpette, hamburger - ancora non ha messo davvero in luce la seria ipotesi di una quantità industriale di macellazioni clandestine di animali provenienti dallo sport. Ne sono chiare rivelatrici le tracce di fenilbutazone, un infiammatorio somministrato con enorme frequenza ai cavalli dsa corsa e da diporto, pericolosissimo se ingerito nelle carni e mai utilizzato - se non occasionalmente - con gli equini allevati per il macello. Non tutti sanno infatti che i cavalli non possono soggiacere ai moderni metodi intensivi di allevamento. Delicati, richiedono una qualche manodopera specializzata e soprattutto spazi aperti dove camminare poiché la loro complessa assimilazione del cibo - hanno un apparato digerente lungo trentasette metri e sono privi della facoltà di rigurgitare: qualsiasi cosa entri nella bocca di un cavallo deve uscire dalla parte opposta dopo un tortuoso percorso - li rende soggetti a coliche fatali e letali guai articolari in caso di immobilità totale, come quella inflitta ad altre specie. Poiché gli orientamenti generali mirano alle alte concentrazioni di capi, sempre meno questi animali vengono allevati per la filiera alimentare, mentre gli stud-book di trotto, galoppo, salto ostacoli, dressage, raining, endurance registrano, solo in Italia, varie centinaia di migliaia di individui. Non è dunque inutile domandarsi da dove provenga la valanga di carne equina che, scopriamo di colpo, invade prodotti assai diffusi incrinando la fiducia dei consumatori. Dapprima, sono stati ipotizzati traffici con la Romania, anche riguardo soggetti da sport che sarebbero stati venduti all'Est e poi riciclati sulle tavole occidentali. Ma si tratta di una teoria irragionevole, visto che da Romania, Polonia, Ungheria, la stessa Italia già importa ogni anno (sia ufficialmente che clandestinamente) un numero molto rilevante di cavalli e asini. Si tratta di animali caricati sui camion anche una settimana prima di partire, trattati in modo ignobile e spesso trasportati evadendo i controlli alle frontiere. Nei paesi da cui provengono sono tra l'altro conclamate l'AIE-Anemia infettiva equina, contagiosa fra gli equidi, e la trichinosi, pericolosa per l'uomo. Non sarebbe dunque logico, né redditizio, che questi paesi prelevassero da noi, dalla Francia, dall'Inghilterra, animali da portare indietro dopo qualche tempo. Di cavalli che nessuno vuole più mantenere sono infatti colme le scuderie di mezza Europa: che fine fanno i milioni di cavalli utilizzati nel mondo per lo sport quando sono vecchi o infortunati? "Pochissimi di loro, a fine carriera, vengono pensionati dai proprietari" - spiega Roberto Consumati, cavaliere e preparatore ippico - da noi in particolare, di questi tempi, eccezionali pressioni fiscali che inseriscono i cavalli nel redditometro stanno ispirando movimentazioni irregolari. Fra proprietari e operatori del settore c'è una corsa per liberarsi di pesi ormai insostenibili: gli animali vengono consegnati a non meglio identificati commercianti, si simulano furti, anche quando i loro documenti ne vietino l'uccisione per la carne". In Italia infatti, sui documenti di ciascun soggetto, vige l'obbligo di indicare la sua destinazione ultima: DPA, ovvero macellabile, non-DPA (su invito di federazioni e anagrafi sportive) significa al contrario non macellabile. Sia per ragioni etiche - non pretendere dallo stesso individuo una vita di lavoro e pure di essere mangiato - sia perché agli animali impiegati nelle differenti discipline sono somministrati farmaci di ogni genere, a partire da infiammatori, cortisonici, antibiotici e antidolorifici, che imporrebbero lunghi e garantiti tempi di sospensione prima dell'abbattimento. Sono senz'altro in netta minoranza gli animali anziani o malati di cui qualcuno si prenda cura", conferma Susanna Cottica, giornalista esperta di sport equestri e caporedattore di Cavalli&Campioni. "La maggior parte dei quadrupedi atleti viene progressivamente declassata. Dalle gare di livello il cavallo è venduto dal professionista all'amatore, poi al ragazzino, quindi passa di mano in mano per finire nelle scuole sperdute, nei maneggi che organizzano le passeggiate: di lì, se non prima, se ne perdono le tracce". L'eutanasia di un cavallo per ragioni di comodo del proprietario da noi è fuorilegge, costoso poi lo smaltimento della carcassa. Un accanimento fiscale che indica questi animali perlopiù come beni di extralusso, oggi più che mai induce vendite sconsiderate. I cavalli vengono ceduti a pochi spiccioli, abbandonati, regalati, pur di sbarazzarsene. Da sempre tuttavia esistono mercanti che raccolgono i soggetti di minor valore e sottobanco li conducono al mattatoio. "In Canada per esempio non esiste nemmeno la distinzione fra Dpa e non Dpa: il proprietario firma la dichiarazione 'no drug' e può far macellare un cavallo che ha corso la settimana prima, con tutto quel che comporta - spiega Antonio Nardi-Dei da Filicaja, presidente di IHP-Italian horse protection association - ciò nonostante la carne equina canadese gira il pianeta. In Italia, notiamo inquietanti discrepanze. Un cavallo vive 20-30 anni; se confrontiamo il numero degli animali legalmente macellati con la marea di soggetti anziani o scartati dello sport che nessuno vuole più mantenere, avanzano i dubbi". Non mancano infine i furti di equini, che nel periodo dell'allarme mucca pazza registrarono da noi un'impennata tale da veder rubare animali persino nelle scuderie dell'Esercito. Causando disperazione fra i proprietari che considerano il cavallo un amico, poco perseguiti dalla giustizia - gli animali sono considerati res, cose, e il loro furto è valutato come quello di una bicicletta - i banditi non si preoccupano di escludere dalle razzie i soggetti d'affezione o da sport, sovente contaminati da farmaci. I cavalli vengono macellati subito, a bordo dei camion o presso locali clandestini. Altrimenti sono immessi di frodo, ancora vivi, nei mattatoi ufficiali. La loro carne, quindi, entra in qualche modo nel circuito regolare, ma, salvo incappare in rari controlli, nessuno potrà distinguerla.

"Solo prodotti che rispettano gli animali". Anche le aziende contro le sofferenze. Tra le più virtuose la Coop, ma anche Barilla e Calvè. Le scelte delle società per evitare di vendere uova che vengano da galline non allevate a terra. Piccole ma significative, le scelte promosse da alcune aziende nella direzione di un maggior rispetto di animali e ambiente, da cui è difficile prescindere nell'ottica di salvaguardare pure gli interessi delle persone. Esistono dunque imprese, anche in Italia, che si muovono verso il compromesso sostenibile e persino interloquiscono costruttivamente con le organizzazioni attive per il benessere animale. È probabile che, da noi, la palma della virtù vada alla Coop, che da un decennio si impegna nello sforzo di escludere dai propri listini quanto provenga da eccessive e gratuite sofferenze. Anche grazie alla collaborazione con Compassion World Farming, o prendendo in considerazione i filmati-denuncia di Animal Equality, a partire dal 2010 tutte le uova in vendita nei supermercati della catena provengono esclusivamente da allevamenti di galline a terra (anche al chiuso, ma comunque meno costrittivi delle gabbie da batteria) o biologici, e di recente si è stabilito di abolire il foie-gras. Ma non solo: "I nostri prodotti cosmetici sono garantiti secondo lo Standard Internazionale 'Non Testato su Animali'; siamo anche la prima catena distributiva italiana ad aver esposto la certificazione Dolphin safe, un progetto creato dall'Earth Island Institute per contrastare il sistema di pesca del tonno messo in pratica dalle flotte che battono il Pacifico Orientale, causa di un alto tasso di mortalità fra i delfini", dice Claudio Mazzini, referente della Qualità aziendale. "Abbiamo inoltre escluso dal banco del pesce i crostacei tenuti in vita sul ghiaccio, cancellato dalla nostra offerta pellicce o capi realizzati con piume d'oca e d'anatra, visto che le consuete spiumature degli animali ancora vivi sono assai dolorose". Anche Calvè, per la sua maionese, utilizza oggi solo uova di galline allevate a terra, e la stessa misura è stata adottata dalla Barilla per le paste fresche all'uovo, i prodotti Mulino Bianco e Pavesi: "Solo in Europa", specificano dall'azienda,"negli Usa è più difficile. Ma anche sulle altre filiere siamo interessati a sviluppare sostenibilità". Dalla sua, Ben & Jerry's è stata acquistata da Unilever "con l'impegno di preservare la social mission immaginata dai fondatori, che si basa sul principio di ricambiare la comunità". Così il marchio sostiene una campagna promossa da Compassion in World Farming e World Society for the Protection of Animals, che chiede di migliorare gli standard di vita dei 23 milioni di mucche da latte europee. Rifornendosi soprattutto in Olanda, per comporre il famoso gelato l'azienda utilizza solo latte munto in allevamenti dove il trattamento riservato agli animali sia giudicato accettabile.

"Stop alla castrazione senza anestesia". Europa e animalisti contro la crudeltà. Una campagna choc lanciata dall'organizzazione tedesca Deutscher Tierschutzbund E. V. invita a mettersi nei panni di un porco evirato, mentre Compassion In World Farming chiede di migliorare tutte le condizioni negli allevamenti dove i maiali finiscono per mordersi tra di loro. La direttiva Ue contro le pratiche feroci è entrata in vigore da noi a inizio 2013. "SENTITI UN PORCO! Ponete fine insieme a noi alla castrazione dei suini senza anestesia. Gli animali soffrono come noi" è lo slogan stampato sopra uno splendido ragazzo nudo che preme sul pube un fazzoletto intriso di sangue. È la campagna lanciata dall'organizzazione tedesca Deutscher Tierschutzbund E. V. per sensibilizzare l'opinione pubblica sulla castrazione senza anestesia riservata d'abitudine ai maiali, ai quali inoltre, sempre da svegli, viene tagliata la coda e si strappano i denti. Intelligenti, curiosi e sensibili, questi animali infatti patiscono ferocemente lo stress da allevamento intensivo, l'impossibilità di grufolare alla ricerca di cibo o di giocare e comunicare in modo naturale, e arrivano a mordersi a vicenda. "A noi queste pratiche non risultano, almeno non fra i nostri aderenti", dice Stefano Masini, responsabile Ambiente e Territorio di Coldiretti e membro del comitato etico, mentre secondo Sergio Capaldo, consulente veterinario di Slow Food, "il problema non è nella castrazione, i testicoli possono dare cattivo odore alla carne. E la qualità non sta nemmeno nello spazio riservato agli animali - salvo rendere più accettabile la loro vita di relazione - ma in quello che mangiano". Tuttavia, i metodi riservati a questa specie, interattiva con l'uomo quanto il cane, che foraggia produzioni di vanto per l'Italia, lasciano strabiliati e con l'intento di cambiarli è nata l'attuale campagna di Compassion in World Farming: "Chiediamo di migliorare le condizioni di allevamento dei suini italiani. Cominciando dalle scrofe, che devono essere allevate in gruppo e fornite almeno dello spazio previsto per legge. Hanno diritto pure a mangimi ricchi di fibre per calmare la fame e a materiali manipolabili, come la paglia, che permettano loro atteggiamenti naturali. Per quanto riguarda i suini da ingrasso, basta con le dolorose mutilazioni di routine", dice Annamaria Pisapia direttore per l'Italia della ong. "Riteniamo che gli allevatori debbano ricevere una giusta gratificazione economica, ma per un prodotto giusto a sua volta. Il benessere animale ha un costo, i prezzi stracciati nascondono spesso condizioni di allevamento lesive del benessere animale e umano. I costi in più vanno ripartiti tra ogni protagonista della filiera, dal produttore fino alla grande distribuzione, arrivando al consumatore". Un metro quadrato di spazio (al massimo) fornito a ciascun esemplare all'ingrasso rende ben difficile muoversi, e impossibile il coricamento contemporaneo di tutti i reclusi. "Le scrofe poi sono per la maggior parte del tempo confinate in stalle individuali, e benché le norme intendono essere più garantiste, le criticità permangono", spiega Enrico Moriconi, veterinario dirigente SSN. L'Italia infatti si è dichiarata conforme per il 99% al Decreto Legislativo Europeo n.53 del 20 febbraio 2004 sui suini, entrato da noi in vigore a inizio 2013. Ma è un po' arduo credere a questa autocertificazione, non fosse che per le recenti indagini compiute negli allevamenti da gruppi attivisti come Nemesi Animale. In quelli nostrani, secondo l'Istat, si affollano 9,3 milioni di esemplari, di cui 700mila sono femmine da riproduzione, rivelano strutture così vetuste da non utilizzare nemmeno la paglia a terra per non intasare i condotti di scolo, quindi i maiali dormono sul cemento. In tutte le aziende, in base alla nuova legge, il livello di rumorosità andrebbe contenuto entro gli 85 decibel e l'utilizzo delle gabbie che d'abitudine imprigionano le scrofe impedendo loro anche solo di girarsi, per esempio durante l'allattamento, andrebbe limitato. "Allevavo suini nella mia azienda biologica in Calabria", racconta Carlo Priori, imprenditore agricolo. "Vivevano all'aperto, in uno spazio di trenta ettari; li nutrivo solo con alimenti prodotti da noi. Ma negli ultimi anni quell'attività è andata in perdita, tanto da dovervi rinunciare, sia a causa della concorrenza del prodotto industriale a basso costo, sia per le ingenti importazioni da paesi dell'Est, che si avvantaggiano di trasporti economici. Inoltre, al mattatoio nemmeno me li prendevano più: gli animali sono ormai concepiti in serie, come i bulloni. Devono avere quel tanto di coscia, di grasso, parametri fissi e assoluti". "Il macello italiano è attrezzato per il suino pesante, 170 kg circa, e l'uniformità del prodotto è assai importante per l'industria", ribatte Davide Calderone, direttore di Assica-Associazione industriali delle carni e dei salumi, che riunisce i macellatori suini. Ma al solito, nella corsa ai grandi numeri, non è chiaro come si possano garantire agli animali termini più gentili. Sempre secondo le nuove norme entrate in vigore, eventuali interventi chirurgici "dovranno essere praticati da un veterinario o da persona formata che disponga di esperienza nelle tecniche da usare e, se il mozzamento della coda o la castrazione sono effettuati dopo il settimo giorno di vita, per l'intervento è necessaria l'anestesia gassosa". Anestesia che non è ancora richiesta per i cuccioli, che pure soffrono come e quanto gli adulti persino secondo gli esperti dell'Efsa. I quali nel 2007 hanno concluso: "Le mutilazioni arrecate ai suinetti come il mozzamento della coda e la la troncatura dei denti sono associati a dolore".

"Mai più di 8 ore per un tragitto". La battaglia degli Animals' Angels. L'associazione fondata da una teologa tedesca soccorre gli animali assetati e maltrattati che spesso muoiono durante il trasporto. Raggiunte più di un milione di firme per abbreviare i tragitti. Con l'adesione anche di quasi quattrocento europarlamentari. Mai più di otto ore di viaggio da allevamento a macello per qualsiasi specie animale: è la richiesta di 8hours, campagna internazionale mirata a raggiungere un compromesso fra logiche del mercato e sofferenza. Lanciato dagli Animals' Angels, associazione fondata nel 1998 in Germania dalla teologa Christa Blanke e ramificata in tutto il mondo, assieme all'europarlamentare danese Dan Jørgensen, il movimento ha raccolto 1.103.428 firme e trovato l'appoggio di 395 eurodeputati. Ammassati all'interno dei camion, spaventati, assetati, maltrattati, milioni e milioni di animali affrontano attualmente insensati viaggi di giorni, anche settimane, prima di raggiungere i mattatoi. Mucche, cavalli, polli, buoi, maiali, pecore, capre, possono nascere in Polonia e morire in Sicilia. Tanti arrivano a destinazione già cadaveri, e vi sono ben poche garanzie che non vengano macellati lo stesso. Continuamente violate, anche perché impraticabili, le regole che vorrebbero vederli scendere in regolari soste dedicate a riposo e cibo. I pochi controlli e sanzioni si rifanno a una costosa, lenta burocrazia comunitaria. "D'estate i maiali soffrono molto il caldo. Hanno bisogno di ricevere sufficiente acqua, ma nei camion le tettarelle sono istallate solo su un lato, e gli animali che si trovano su quello opposto non riescono a raggiungerle", spiega Christine Hafner, in Italia a capo del settore investigativo di Animals' Angels, la cui missione è proprio assistere gli animali nell'ultimo tratto, intercettando i carichi illegali, abbeverando chi è allo stremo, pretendendo pause e controllando la regolarità dei mattatoi. "Non tutti poi capiscono come funzioni una tettarella, non ci sono abituati, e spesso l'impianto dell'acqua non viene nemmeno acceso oppure il serbatoio è vuoto. Per i cavalli è molto faticoso mantenere l'equilibrio durante il viaggio. Vitellini e agnelli non svezzati sulla lunga distanza avrebbero diritto a ricevere latte tiepido per un'ora ogni nove di cammino; peccato che gli impianti, già mal funzionanti, siano adatti solo all'acqua. Per rispettare l'attuale legge, il conducente allora dovrebbe entrare nel camion e far poppare a mano, uno ad uno, i 200 vitellini o i 700 agnellini a bordo". Ovviamente impossibile, mentre la soglia della pietà scende ancora verso gli animali che valgono poco, come polli, galline, regolarmente stipati con zampe e ali fratturate o incastrate fra le gabbie. Anche gli animali a fine sfruttamento, come scrofe o mucche da latte, sono costretti a questi infernali viaggi, benché il loro stato sia molto compromesso. Sfiniti, malati, non si riserva loro neppure l'abbattimento sul posto, in azienda. "Tempo fa abbiamo fatto una richiesta circoscritta alla Lombardia per conoscere il numero dei bovini giunti morti ai macelli regionali: 1.994 nel 2008," aggiunge Christine. "Siamo in attesa di una proposta legislativa da parte della Commissione europea", dice Andrea Zanoni, vice presidente dell'Intergruppo Benessere Animale al Parlamento Europeo. Ora sta infatti a Tonio Borg, commissario per salute e politica dei consumatori - succeduto al dimissionario John Dalli, che s'impegnò a modificare la normativa per poi rimangiarsi la parola - prendere atto dei numerosi pareri positivi verso un ragionevole ridimensionamento delle tratte. Otto ore consentono comunque un tragitto di 500 km e tale limitazione consentirebbe di vigilare assai meglio sulla provenienza degli animali (quanti dichiarano prodotto autoctono la carne di specie importate?). Tuttavia, l'eurocommissario in carica sembra opporre resistenza passiva, sostenendo che bisogna concentrarsi sull'applicazione dell'attuale normativa prima di modificarla. "Le pressioni delle lobby degli allevatori sono molto forti, a causa di esse anche parlamentari di solito attenti alle questioni animaliste possono accettare compromessi al ribasso. Ma noi stiamo dimostrando - osserva Adolfo Sansolini, coordinatore internazionale di 8hours - come troppi aspetti dell'attuale legge siano inattuabili, mentre il trasporto su lunga distanza comporta in ogni caso seri problemi agli animali".

Allevamenti: verifiche su 12 polli a milione, è polemica su controlli e carni clonate. Enrico Moriconi, dirigente SSN e consulente di etologia e benessere animale: "Il numero di verifiche attuate dalle istituzioni sanitarie è ridicolo". Replica Umberto Agrimi dell'Istituto superiore di sanità: "Possono sembrare pochi ma sono dentro una strategia che tocca tutta la filiera". L'Europa e l'inserimento nel commercio alimentare degli animali nati da genitori clonati. Carne clonata, reintroduzione delle farine animali negli allevamenti, controlli rarefatti: spesso la sicurezza del sistema intensivo viene contestata, ma alla fine a spuntarla sono le industrie. A dispetto dell'opposizione netta del Parlamento Europeo e di sondaggi che hanno mostrato la contrarietà dei cittadini - sia per timori sanitari che per ragioni morali - l'UE sembra per esempio decisa a introdurre animali clonati e i loro derivati nella catena alimentare. Senza etichettatura distintiva sul prodotto, oltretutto, perché questo ostacolerebbe le importazioni da Usa, Brasile, Argentina, dove la progenie di soggetti creati in laboratorio è già da tempo sul mercato. Cagionevoli di salute, particolarmente sofferenti, forse avviati a mutazioni genetiche, questi animali rappresentano un punto interrogativo: se mangiare le loro carni sia pericoloso lo dirà probabilmente il tempo, visto che la scienza sembra saperne poco. Una perplessità l'ha espressa persino dall'Efsa, l'Agenzia Europea per la Sicurezza Alimentare con sede a Parma, che ben difficilmente si oppone alle strategie del mercato. Non sono state sollevate obiezioni decisive, invece, circa il ritorno delle farine di carne negli allevamenti, a tredici anni dall'epidemia di mucca pazza. "Già oggi è possibile somministrare farine di pesce -immune ai prioni che causano la malattia della mucca pazza - ai bovini giovani. La reintroduzione sarà progressiva ma lascerà invariato il divieto di somministrare farine ottenute da ruminanti", dice Umberto Agrimi, direttore del Dipartimento di Sanità pubblica veterinaria e sicurezza alimentare dell'ISS-Istituto superiore di sanità. "Si inizierà con le farine di carne in acquacoltura, è in discussione la possibilità di revocare le misure prese ai tempi dell'allarme anche su polli e suini. Si eviterà però il cannibalismo; dare a una specie farine derivate dalla carne dei suoi simili. Nell'eventualità che dentro gli impianti di miscelazione e durante i trasporti entrino in contatto fra loro farine destinate a specie diverse, l'Efsa ha stimato che una minima contaminazione non determinerebbe la ricomparsa della malattia". Al contempo, però, i controlli per individuare possibili contagi di Bse sono andati via via assottigliandosi. Nel 2000 si effettuava un prelievo dell'encefalo di ogni bovino di 12 mesi morto in stalla, quindi si è progressivamente ridotto fino a verificare i soggetti di 48 mesi in allevamento e di 72 al mattatoio, e i controlli diminuiranno ancora: "La Bse è alle nostre spalle, il programma di eradicazione messo in piedi dall'Europa è stato efficace ma estremamente costoso". Ma negli animali morti incidentalmente o macellati, in teoria, si ricercano pure i vietatissimi ormoni, irregolarmente somministrati per accelerare la crescita e gonfiare i corpi, oltre a antibiotici e altri farmaci indispensabili a mantenere in vita, fino al momento della macellazione, animali che morirebbero anzitempo nella mischia delle stalle intensive. Spiega Enrico Moriconi, dirigente SSN e consulente di etologia e benessere animale: "Le sostanze proibite si dividono in due categorie: la A comprende i principi ad azione anabolizzante, ormoni beta agonisti, antitiroidei, steroidi e simili; la B include tutte le altre molecole farmacologiche cui si riferisce il dl 16/03/2004 che attua la direttiva 2003/74/CE. Per quanto concerne la somministrazione di antibiotici, si prevede che l'allevatore registri l'uso del farmaco e attenda un congruo tempo prima di macellare. Ma il numero di verifiche attuate dalle istituzioni sanitarie è ridicolo". In effetti, pare di veder lanciare una moneta in aria. Per i bovini si prevede un prelievo pari allo 0,4% calcolato in base al numero degli animali macellati nell'anno precedente. Quattro bovini su mille, e su metà di loro si ricercano le sostanze A, sugli altri le B. Per suini, montoni e capre, i prelievi scendono allo 0,05%: circa 5 campioni ogni 10mila animali uccisi. "Possono sembrare pochi", ribatte Agrimi, "ma sono inseriti in una strategia d'insieme svolta dai servizi veterinari e dai NAS sull'intera filiera alimentare: verifiche delle procedure di autocontrollo da parte delle aziende e ispezioni dirette". Sarà, intanto fra polli, galline ovaiole a fine carriera, tacchini, se ne analizza uno ogni 200 tonnellate di peso morto. Calcolando quest'ultimo attorno a una media di 2,5 kg, si evince un pollo analizzato ogni 80.000, o piuttosto 12 polli ogni milione, sempre suddivisi a metà fra A e B. Per gli equini, ogni stato membro stabilisce i controlli in funzione di eventuali problemi individuati. Per i pesci di allevamento si deve osservare un campione ogni 100 tonnellate di produzione annua mentre per quelli prodotti in alto mare la perizia può essere sostituita da campionature dei mangimi.

Petrini: "Attenti ad allevamenti esasperati. Slow Food dice di consumare meno carne". Per il fondatore dell'associazione non bisogna dimenticare che l'epidemia della Mucca pazza nacque a causa di un allevamento che voleva solo massimizzare i profitti. Non preoccupandosi minimamente del benessere animale. Secondo Carlo Petrini, fondatore dell'associazione gastronomica Slow Food il cui slogan è "cibo giusto", la linea di confine fra quanto sia giusto o ingiusto nei confronti degli animali "non è facile da definire, soprattutto quando si parla di allevamenti. Questo non perché manchino norme da seguire, ma perché sono moltissime le variabili di cui tener conto: dall'alimentazione degli animali alle condizioni in cui vivono, fino alle modalità di trasporto".

Spesso, quando si parla di qualità del cibo, si tende a non considerare le condizioni di vita e morte del prodotto, ovvero l'animale. Attraverso quali parametri essenziali Slow Food definisce la qualità della carne? "Quando compriamo la carne, dobbiamo davvero fare attenzione a moltissimi elementi: innanzitutto preferire quella proveniente da consorzi, associazioni o aziende con disciplinari rigorosi su alimentazione e benessere animale; poi ovviamente fare attenzione al prezzo: spesso troviamo al supermercato bistecche che costano meno di un peperone, com'è possibile? Quindi, attenzione: prezzi troppo bassi sono di solito indice di sfruttamento animale e/o ambientale. Impariamo anche a leggere bene le etichette, controllando che siano indicati i dati dello stabilimento di provenienza, la data di scadenza e le modalità di conservazione".

I grandi numeri del sistema intensivo sembrano prevalere su chi cerca di allevare in modo più rispettoso degli animali, del territorio e delle persone. Cosa si può fare concretamente per sostenere una riduzione della quantità a favore di una qualità complessiva? "Credo che la parola d'ordine sia 'educazione'. Solo favorendo una maggiore conoscenza dei sistemi di allevamento possibili e dei rischi che ciascuno può comportare, si può sperare di cambiare le abitudini delle persone e le loro scelte alimentari. L'invito che come Slow Food rivolgiamo da anni alle persone è di consumare meno carne. In linea di massima se ne consuma troppa stimolando allevamenti intensivi che sono, perlopiù, poco rispettosi sia dell'animale sia dell'ambiente. Non va dimenticato che la mucca pazza è nata per un'esasperazione dell'allevamento rivolta a massimizzare gli utili. Già all'epoca, infatti, avevamo suggerito alcuni punti fermi per affrontare l'emergenza: informarsi, prendere le dovute precauzioni, moderare i consumi, prestare maggiore attenzione al benessere animale e alla tracciabilità del prodotto. Solo cosi eviteremo altre situazioni simili".

Come mai sull'alternativa vegetariana, che per differenti motivi sempre più si afferma presso i cittadini, non si investe mai davvero in termini di educazione e comunicazione, né è mai stata considerata nei vertici Fao? "Slow Food investe da sempre su educazione e comunicazione, proprio per aiutare i consumatori nelle scelte quotidiane e permettere loro di curare lo stile alimentare che preferiscono. A tale proposito abbiamo pubblicato una serie di guide al consumo responsabile, in cui si approfondiscono le questioni relative al consumo di carne e pesce, si affronta la lotta allo spreco e si danno consigli per una dieta amica del clima. Sono scaricabili gratuitamente su Slow Food".

Tra tacchini e mattatoio in centro la gran lite di Magliano Sabina. In provincia di Rieti la vicenda dell'impianto di compostaggio autorizzato a sorgere accanto a un'importante impresa avicola preesistente. Le battaglie legali e l'allarme sull'acqua dei pozzi. Se non il buon senso, piani regolatori accorti dovrebbero considerare la particolare natura delle aziende di carne e la loro influenza su ambiente e umanità. Non sempre è così e ci s'imbatte in casi paradossali, come quello del comune di Magliano Sabina, provincia di Rieti, che accoglie un allevamento intensivo di tacchini posto di fianco a una discarica di rifiuti dichiarati altamente tossici, nonché un mattatoio fra le case del centro cittadino. Attiva da parecchi anni con cambi di gestione, l'impresa avicola preesisteva all'impianto di compostaggio che la Masan fu incredibilmente autorizzata a realizzare nel terreno confinante. La struttura divenne tristemente famosa poiché un'indagine dimostrò la presenza di rifiuti pericolosi trasformati in concime che compiacenti aziende agricole biologiche smaltivano a pagamento sulle proprie coltivazioni. Nel 2004 fu posta sotto sequestro per volontà della Procura e l'incidente probatorio dimostrò che nel sito della Masan, società che risultava infiltrata da personaggi equivoci fra cui membri del clan dei Casalesi, finivano residui di concerie e ospedali, derivati dall'abbattimento dei fumi di acciaieria, fanghi con presenza di idrocarburi e di origine industriale e scarti di fibre tessili di origine animale. Le perizie sull'acqua effettuate dal Tribunale di Rieti rivelarono subito che quasi tutti i pozzi della zona, in un raggio piuttosto vasto, erano compromessi da metalli pesanti chiaramente riconducibili all'impianto e destinati, col tempo, a penetrare nelle falde più profonde aumentando l'inquinamento. Da allora, a lungo e invano, cittadini e associazioni hanno protestato per la contiguità fra la discarica e i capannoni, ricoperti in parte di eternit, dove si ricoverano decine di migliaia di tacchini. Al riguardo, di recente, anche l'Enpa-Ente nazionale protezione animali ha richiesto un accesso agli atti. "Ormai ho rinunciato a vederci chiaro", racconta un giovane della zona, "ma abbiamo assistito a morie sospette di animali, ammucchiati fuori in pile di corpi e ossa. E ancora ne vediamo, prima che vengano portati via. Il pozzo dell'allevamento pesca proprio accanto all'impianto di compost, chiuso grazie al sequestro giudiziario ma con una quantità di rifiuti pericolosi ancora lì, sul terreno, coperti e ammassati. Inoltre, a tutt'oggi manca un serio censimento di questi depositi, che potrebbero essere in parte sotterrati e ricoperti di cemento". Per un certo periodo la battaglia va avanti a suon di denunce, interrogazioni, ricorsi al Tar. Nel gennaio 2006 la parlamentare Loredana De Petris presenta un'interrogazione in cui chiede di verificare se esistano o meno le condizioni per poter immettere sul mercato le carni provenienti da questo allevamento, visto che le analisi fornite dalla Asl per dimostrare la salubrità delle acque sono prodotte dai laboratori della ditta Amadori, famosa nel commercio del pollame e legata all'impresa da un contratto. La risposta del Ministero della Salute è evasiva. "L'allevamento rispetta in modo impeccabile ogni norma, l'autocertificazione delle acque da parte di un'impresa seria come Amadori è più che attendibile, ma siamo confortati anche dal buon esito delle perizie dell'Arpa Lazio", risponde Massimo Di Tommaso, incaricato della Asl competente, alle istanze dubbiose. Il gestore dell'attività, Francesco Martini, specifica: "Io qui sono in affitto solo da qualche anno. Ricordo che tempo fa fu proposto al proprietario della struttura un cambio di destinazione, ma poi non se ne fece niente: il Comune non era disposto a contribuire". "Amministro appena dal 2009, la Asl mi ha sempre confermato che l'allevamento opera in regola", dichiara Alfredo Graziani, sindaco di Magliano Sabina, che in pieno centro urbano, come s'è detto, vanta pure la presenza di un mattatoio municipale - industria insalubre di prima classe - protestato dai cittadini fin dai primi anni 90. A febbraio Graziani ha deliberato di affidarne la gestione a una società esterna, per mezzo di una gara d'appalto aperta al miglior offerente, incaricando una società napoletana di pubblicare il bando sulla Gazzetta Ufficiale. "Sentiamo gridare gli animali anche di notte, con l'acqua di scarico scorrono lungo la strada rivoli di sangue, si ammassano escrementi; ne siamo sconvolti, io e i miei bambini" racconta un abitante, e una ragazza aggiunge: "Ho visto scaricare mucche riottose a colpi di rostro, ferite e terrorizzate: quando ho provato a intromettermi poco ci mancava che gli operai colpissero anche me". Benché le norme vigenti prevedano che i macelli siano collocati a adeguata distanza dai centri abitati "per spostare questa struttura, indispensabile agli allevatori di zona, servirebbero 600mila euro almeno: non li abbiamo", spiega il sindaco Graziani. "Per ora, l'unica soluzione è una civile convivenza. E poi, qualche casa lì intorno è stata costruita anche successivamente al macello; i proprietari avrebbero potuto scegliere altrimenti". O, forse, le autorità non avrebbero dovuto permetterlo? Fatto sta che in un attestato datato aprile 2007, emesso dal Corpo Forestale dello Stato a seguito dell'esposto di un cittadino, si legge che il mattatoio non è più in linea con la normativa comunitaria e la sua presenza "anacronistica e inadeguata ha scadenza nell'anno 2011".

TORTURE SUGLI ANIMALI.

Torture animali, il rapporto shock di Michele Sasso su “L’Espresso”. Maiali buttati nei camion con le zampe spezzate. Cavalli lasciati nei propri escrementi per mesi. Cani costretti a far sesso con umani per filmini porno. Succede in Italia, ogni giorno, di nascosto. Il trasporto avviene nella notte, sperando di non incappare nei controlli. Quaranta femmine di maiali di 250 chili l'uno stipati in un autocarro con graffi e morsi ovunque, qualche capo non aveva più la coda, mangiata dagli altri suini. In un altro carico due mucche con vistose necrosi abbattute nel più vicino macello per evitare ulteriori sofferenze. Sono gli "animali a terra", che non sono più in grado di affrontare il viaggio in piedi perché hanno le gambe spezzate oppure perché sono in fin di vita. Questo è apparso agli occhi delle pattuglie della stradale di Verona, che hanno intercettato un trasporto maledetto a gennaio. Non sono (purtroppo) episodi sporadici i maltrattamenti durante il trasporto dei capi destinati alla macellazione, così dallo scorso dicembre sono iniziate operazione ad hoc della Polizia con controlli su tutta la filiera. A Torino, Cuneo, Modena, Cremona, Brescia fino a Rovigo sono stati fermati 200 veicoli, oltre cento violazioni contestate e 51 mila euro di multe. «Trasportare in questo modo non è solo eticamente inaccettabile, ma illegale», commenta il vicepresidente della Lega antivivisezione (Lav) Roberto Bennati, aggiungendo che i «numerosi episodi di mucche a terra e di maltrattamento emersi durante i controlli lasciano intendere purtroppo che nel Nord-Est, e più in generale in Italia, fenomeni di sfruttamento siano ancora radicati e capillari». Per mettere un freno ai "trasporti maledetti" l'Unione Europea già dal 2005 ha tracciato delle linee guida in materia, invitando i Paesi a rispettare le regole per ridurre al minimo lo stress a cui sono sottoposti tutti gli esseri viventi, riconosciuti nel trattato di Lisbona come dotati di sensibilità. Tutto rimasto sulla carta. Bestie sofferenti per le condizioni climatiche viaggiano a temperature inferiori ai 5 gradi sotto zero; mucche a fine carriera trasportate con mezzi che non rispettano la legge e che causano loro gravi ferite, e ancora capi spossati e gravemente stressati dalle condizioni di affollamento. Ma è solo la punta dell'iceberg di un universo di violenze. Furti e uccisioni, fino alla macellazione abusiva. Questa la triste fine che fanno ogni anno centinaia di migliaia di bestie nelle mani, soprattutto, della criminalità organizzata. E lo sanno bene le Procure: dai dati del Ministero della Giustizia emerge che ogni ora viene aperto un nuovo fascicolo per reati contro di loro (circa 24 al giorno), mille indagati ogni anno e settecento provvedimenti solo per i maltrattamenti. Ecco allora l'emergenza delle corse ippiche clandestine con decine di persone denunciate e quasi cento cavalli sequestrati ogni anno. Eppure mettere in piedi un ippodromo abusivo non è uno scherzo. Anche i combattimenti tra cani sono violenza gratuita, come la diffusione del traffico di cuccioli: nel 2011 sono stati bloccati alle frontiere 750 cani appena nati, per un valore complessivo dei sequestri di circa mezzo milione di euro. E in campo sanitario, sono elevati i rischi per quella che la Lav chiama la "cupola del bestiame": macellazioni clandestine e sofisticazioni alimentari con tentativi di controllare la filiera della carne con pericolosi risvolti per la sicurezza di quello che arriva sulle nostre tavole. Gli animali sono al centro di un giro d'affari per le attività illegali controllate dalle organizzazioni criminali che vale 3 miliardi di euro ogni anno. E' il business delle "zoomafie". «In Italia, spiega Ciro Troiano, responsabile dell'osservatorio zoomafia dalla Lav, si presenta sempre più come un fenomeno parcellizzato tra illegalità ormai "storiche" e nuove frontiere criminali: in particolare i traffici di specie esotiche e non via Internet». La crudeltà e lo sfruttamento di cani, cavalli e tante altre specie vanno a braccetto e nelle cronache finiscono solo come curiosità. Eppure sono centinaia: un pacco con oltre mille tartarughe d'acqua dolce, arrivato per posta dagli Stati Uniti, è stato intercettato la scorsa estate alle porte di Milano nell'ufficio di un corriere. Un macaco del Giappone, specie protetta dalla convenzione di Washinghton e considerata pericolosa, è stato ritrovato che vagava nelle campagne del Chianti dopo essere stato abbandonato. Cavalli lasciati nei propri escrementi da stallieri senza scrupoli. Niente, non ce la facciamo. Gli amici dell'uomo sono figli di un Dio minore e noi possiamo farne quello che vogliamo. Eppure la Cassazione ha pronunciato lo scorso marzo una sentenza storica in cui chiarisce che i "delitti di maltrattamento e uccisione sono sempre applicabili a qualunque specie, anche in presenza di leggi speciali (previste per i circhi, sperimentazione e allevamento)", confermando che la legge sul maltrattamento "non tutela soltanto cani e gatti". Così l'Ente nazionale protezione animali ha avvisato cacciatori, circensi, vivisettori, pescatori e allevatori: «nel caso in cui si rendano responsabili di delitti contro ogni specie, non potranno più nascondersi dietro un dito e invocare l'immunità connessa alla natura dell'attività che essi svolgono». Perché non mancano ambiti "inusuali" in cui il maltrattamento comincia ad essere giudicato per quello che prevede la legge. Ecco il caso del professore milanese che ha ucciso due conigli in un'aula di un istituto superiore, durante la lezione di biologia, oppure la veterinaria di uno stabilimento in cui si praticava clandestinamente la sperimentazione animale, che ha patteggiato due mesi di reclusione. E poi l'orrore di cani costretti a fare sesso con donne che ha portato la Cassazione a pronunciarsi lo scorso 13 dicembre 2012 contro un allevatore di Bolzano: «anche se non esiste una legge che espressamente lo vieta, la zooerastia costituisce reato».

L'egoismo non consiste nel vivere secondo i propri desideri, ma nel pretendere che gli altri vivano a quel modo che noi vogliamo. L'altruismo consiste nel vivere e lasciar vivere.  OSCAR WILDE

Perchè tutto ciò che viene portato all'estremo diventa irrazionale. Perchè spesso ci si trova davanti ad ambientalisti ed animalisti talmente convinti che sanno solo accusare senza cercare di capire.. tanto da finire col dire eresie che non stanno ne in cielo ne in terra...dedicato ai tanti animalisti e ambientalisti che 'difendono' l'ambiente seduti davanti al pc in un appartamento del centro della loro città... e poi non sanno distinguere un'olmo da una quercia o un camoscio da un capriolo...dedicato

TU CHIAMALI, SE VUOI, ANIMALISTI.

Chi è l’animalista? Una persona che ama gli animali? Oppure che odia chi ama gli animali? Una filosofia di vita o una ideologia violenta, sulla scia di un po’ tutti gli “ismi”? Se ne discute da decenni, ormai, e si continuerà a farlo ancora a lungo. Di certo fra questa schiera ci sono anche tanti violenti che se ne vanno in giro a gridare il loro odio, inneggiando al disprezzo altrui, con slogan che definire offensivi è solo un eufemismo. Ed ecco la presa di posizione dei lavoratori del circo Darix Togni in merito alla “offensiva animalista” davanti al Circo Darix Togni domenica 27 novembre 2011 pubblicata su “Circo.it”: “I lavoratori del Circo Darix Togni desiderano aprire una riflessione sul comportamento tenuto dalle Autorità nei confronti del gruppo di estremisti che in data 27/11/2011 ha manifestato contro persone con pensieri e valori differenti dai loro, nello specifico famiglie con bambini che hanno deciso di recarsi allo spettacolo del Circo Darix Togni domenica 27/11/2011 in P.le Cuoco. Questi estremisti che si nascondono dietro presunti principi di giustizia e morale sociale hanno agito esercitando violenza verbale nei confronti di cittadini che altro non hanno fatto se non scegliere liberamente di assistere ad uno spettacolo e portare con sè i propri figli, e che per questo sono state apostrofate con epiteti gravi, e volgarità che non possono essere ripetute in questa sede. Ciò che stupisce è come questi atteggiamenti offensivi rivolti a normali cittadini (nello specifico, sottolineiamo ancora una volta, genitori con bambini) siano stati messi in atto alla presenza delle Autorità costituite, che non hanno di fatto reagito nè sono intervenute quantomeno a moderare i toni.

Com’è possibile che le stesse Autorità preposte alla difesa e alla tutela dei diritti dei cittadini non abbiano preso una posizione netta nei confronti di suddetti atteggiamenti di violenza? C’è forse una volontà politica dietro tutto questo? Il Circo Darix Togni è un’impresa che dà occupazione a oltre 150 persone e che negli ultimi 20 anni ha lavorato in più di 20 differenti Paesi e nelle maggiori capitali europee: dappertutto, a Parigi come ad Amsterdam, Dublino, Bruxelles e altrove, gli animalisti hanno protestato mantenendo sempre un comportamento civile, non violento e non offensivo. Vogliamo sottolineare che il nostro Circo si muove sempre adempiendo tutti gli obblighi di legge, che si tratti di regolamenti locali, nazionali e internazionali, specie per ciò che concerne la legislazione che tutela gli animali esotici. Nel rispetto delle scelte dei liberi cittadini, ci chiediamo quindi perchè le Autorità non siano intervenute a mitigare il comportamento di un gruppetto di estremisti violenti, quantomeno per tutelare i diritti e le libertà delle famiglie, dei minori e dei cittadini in genere. Il lavoro dell’uomo con gli animali – e quindi anche l’addestramento nel circo – è un patrimonio della cultura occidentale da salvaguardare e stimolare al miglioramento, non da criminalizzare come sembrano fare le frange più oltranziste e ottuse del pensiero animalista”.

ANIMALI ED ANIMALISMO: ESTREMISMO PATOLOGICO.

A chi non piacciono gli animali? Si chiede Marco Bazzato. Forse sembra una domanda banale e retorica, ma nell’odierna società tecnologica, la bestia da compagnia, sia esso, cane, gatto, canarini o altre cose varie, abbia superato da tempo, il limite della decenza, scivolando nello spregio alla miseria, e alla dignità, ormai perduta del Homo sapiens sapiens. Il fenomeno più aberrante, a cui si sta assistendo, specie in questi anni, è l’umanizzazione disumana delle bestie, portandole ad essere quasi al rango degli esseri umani, od abbassando quest’ultimi al rango di bestie. D’altronde basta guardare le varie pubblicità televisive, con prelibatezze, che farebbero ammazzare cane e famiglia, ad un povero cristo, costretto a centellinare il pranzo con la cena, se per qualche disgraziata sfortuna, vedesse la tv italiana da un paese del terzo mondo. Abiti firmati, cappottini, occhiali da sole, cucce con aria condizionata, e quanto l’amenità umana, del narcisismo, di chi, ormai con il cervello riempito solo da sciocchezze, ama passare il tempo in compagnia della fida bestia, parrucchieri per cani e cagne, accessori, per rendere la fida creatura umanizzata, più confacente al narcisismo frustrato del padrone. L’horribilus è che questa pratica incivile, sta contaminando come un virus, spinta dai media, e dal business che sfrutta l’ignoranza, il Paese. Ma, l’animale è umano, oppure l’umano, complice anche i gruppi animalisti estremisti che hanno bruciato le cellule neurali degli italiani, oltre alle consueta bestialità innata, vedi guerre, genocidi, stragi, si è così abbassato nella scala evolutiva, da amare più la bestia più simile al suo essere, che non l’uomo in tutte le sue sfumature e diversità? Gli esempi di ideologico fanatismo animale, non mancano, basta sfogliare qualche giornale, per leggere della ricca ereditiera che lascia al povero cagnolino una cospicua fortuna, oppure le signore impellicciate, che dopo aver comprato peli di cadavere di visone, si mostrano accorte e cerimoniose, con l’ammasso peloso a quattro zampe che tengono in braccio,come se fosse un trovatello, acquistato nella boutique dell’animale ad un prezzo stratosferico, salvo poi trovare i soliti incivili prima delle ferie, che abbandonano la pulciosa bestia su strade ed autostrade, per prenderne un’altra, al rientro, perché la “la signora” si sente sola nel grande appartamento. San Francesco, il poverello d’Assisi visse un mondo diverso, da quello odierno, oggi ammazzerebbe bestemmiando, cani e padroni, se vedesse lo sfregio ala miseria, alla fame, e alle sacche di ghetti sociali, di medioevale memoria, di cui l’umano del ventunesimo secolo, non ha saputo o voluto far fronte, impegnato, a difendere la bestia da compagnia, in modo ideologico e barbaramente disumano. Trovo, sotto certi aspetti, più civile la cultura cinese, filippina e vietnamita, che da secoli si ciba della carne di cane, affermando che essa è simile al coniglio per sapore e prelibatezza, e avendo, come riscontrato in alcuni locali milanesi gestiti da cinesi, l’abitudine di far scegliere al cliente, l’animale da degustare, e ucciso davanti ai loro occhi dei clienti, a patto, che vengano rispettate le leggi igenico-sanitarie per la macellazione degli animali, come si fa per il rito della macellazione rituale nelle macellerie islamiche ed ebree, e nessuno si scandalizza, rispettando questa tradizione religioso-culturale. Si può detestare la crudeltà verso le gli animali che renderebbe simili a loro, ma allo stesso modo, andrebbe condannata, l’elevazione delle bestie al rango umano, ormai fatto, il più delle volte, non per affetto nei confronti degli stessi, ma per semplice tornaconto economico.

CERVELLO DA ANIMALISTI.

Oggi non sopporto gli animalisti, scrive Roberto Quaglia. Non ce l'ho con gli animali, sia bene inteso, che anzi gradisco vedere e riconoscere attorno a me nella più variegata gamma possibile. Chi non sopporto, poiché ragguardevolmente assurdi nella loro ossessione, sono gli animalisti convinti, gli estremisti animalisti. Ma ancor più fastidio mi danno gli animalisti moderati, che potremmo chiamare gli animalisti qualunquisti, che sottoposti a qualsiasi analisi logica palesano di essere ancor più assurdi, nella loro confusa posizione, degli animalisti estremisti. Tanto per iniziare, distinguiamo: Chi sono gli animalisti estremisti, e chi sono gli animalisti qualunquisti? I perfetti animalisti estremisti si identificano visceralmente con tutti gli animali, dal visone al gatto, dalla foca monaca alla zanzara, dall'orso grizzly al totano. Cosa significa che si identificano con loro? Significa che attribuiscono a tutti gli animali i propri sentimenti. Non mi piace essere ucciso, dice l'animalista estremista, quindi non piace neanche all'animale. L'animalista estremista non si ciba mai di animali morti (né vivi), non uccide la zanzara che sta per pungerlo, ma si limita a scacciarla (se invece la uccide, è un animalista estremista imperfetto). Non beve il latte di mucca, poiché così facendo lo sottrarrebbe al vitello, non mangia uova, cioè futuri pulcini (quando poi l'uovo, come spesso accade, è già fecondato, è a tutti gli effetti - tecnici e morali - un aborto di gallina), non indossa visoni, montoni, giacche scamosciate, calzature di cuoio, portafogli di pelle. L'animalista estremista si identifica con tutte le forme di vita animale, ma non con quelle vegetali, di cui si nutre senza rimorsi. Talvolta non s'identifica neanche con l'essere umano, soffrendo per la morte di un animale assai di più che per quella di un individuo umano. L'animalista qualunquista, invece, si identifica visceralmente con tutti gli animali di aspetto conforme ai propri archetipi interiori. In altre parole: si identifica in un gatto, un visone, un coniglio, un cane, ma non in un ratto, una mosca, un serpente, un verme. Si identifica in quelle poche bestie che il caso e la selezione naturale hanno voluto morbide e di aspetto gradevole per l'occhio umano, ma non in tutti gli altri animali. L'animalista qualunquista è forse una delle massime espressioni d'ipocrisia che si possano descrivere, e completamente deliranti e contraddittorie sono tutte le sue argomentazioni. Una delle più tipiche manifestazioni è il suo avercela a morte con chi indossa pellicce di visone. "Animali vengono uccisi" recita il pio animalista "per poterne indossare la pelliccia! (Orrore!)", e dice questo con il patetico fervore di chi ha appena scoperto che l'acqua calda è calda. Se volete punire un animalista qualunquista che abbia appena proferito tale sproloquio, cercate su di lui (o lei) i brandelli di cadavere d'animale che quasi certamente sta indossando senza neanche pensarci. Fategli notare come lui (o lei) cinicamente e senza verecondia calpesti con i propri piedi (puzzolenti?) il cuoio delle proprie scarpe, che fu la pellaccia di un animale che venne ammazzato affinché lui (o lei), adesso la usi per camminare sotto la pioggia, inciampare nei marciapiedi e calpestare le cacche di cane. Fategli notare quale fu l'identità del suo portafogli o borsetta di pelle, pelle che fu di un animale, ucciso affinché lui (o lei) mettesse i propri soldi in un involucro prestigioso che abbia odore di pelle anziché di plastica. Chiedetegli perché non s'infervora e non si scandalizza con uguale foga con chi indossi un giubbotto di pelle, un "chiodo", un montone rovesciato. Chiedetegli se lui (o lei) possegga tali indumenti nel proprio armadio, e nel caso li abbia, se di ciò non si vergogni. E se non si vergogna, perché dovrebbe vergognarsi chi ha una pelliccia di visone? Ha certamente da vergognarsi chi abbia una pelliccia di leopardo, poiché il leopardo sta estinguendosi, e la cosiddetta "biodiversità" è un'innegabile ricchezza del mondo che andrebbe da noi salvaguardata anziché distrutta, come stiamo invece facendo. Ma il visone non rischia di estinguersi, viene allevato per farne pellicce, viene allevato come i buoi, i montoni, i polli vengono allevati per mangiarli e farne di tutto. Messo alle strette, l'animalista qualunquista, pur di non ammettere la propria ipocrisia, vi dirà: "Ma se gli animali vengono allevati per mangiarli, non è immorale..." Siamo nella farneticazione totale. A parte il fatto che i vegetariani dimostrano che senza carni si può benissimo vivere, e che quindi chi mangia carne lo fa perché gli piace, e non perché ne ha bisogno (proprio come chi compra un visone lo fa perché gli piace, e non perché ne ha bisogno), non è quella di mangiarli, anziché un'attenuante, invece un'aggravante? Specialmente se si considera che mangiare carne è tutt'altro che obbligatorio, essendo l'essere umano onnivoro? Non è macabro assassinare un animale a sangue caldo, un animale che ha un cervello, una vita sessuale, allo scopo di cibarci dei suoi testicoli, della sua lingua, del suo cervello, del suo cuore, del suo fegato, dei suoi reni, del suo intestino, dei suoi muscoli, masticandoli lungamente in bocca per godere del sapore che quel cadavere ci da? Non è ciò anche più macabro di chi dell'animale morto ami indossare l'involucro, cioè la pelliccia? Non nego che indossare la pelle di mammifero morto possa essere un gesto di cattivo gusto, per uno spirito nobile. Ma divorarne lussuriosamente le interiora non lo può essere di meno. Per demolire allora definitivamente l'incauto animalista qualunquista che della propria ipocrisia ha appena cercato di farne un vanto ai vostri e soprattutto ai propri occhi, trafiggetelo con una nozione banalissima che pochi sanno, perché a pochi interessa: Dalle ginocchia dei buoi (morti e disossati) viene estratta una sostanza che viene utilizzata per fare l'emulsione delle pellicole fotografiche.

Il cappio della logica è ormai stretto al collo dell'animalista. Quante volte ha fotografato, quante volte ha consumato ossa di buoi assassinati anche per permettere a lui (o a lei) di fare delle fotografie? Quante fotografie ha sprecato, sbagliando la messa a fuoco? Quante ginocchia di buoi sacrificate invano, per il suo dilettantesco gratuito diletto? Sembra ridicolo. E lo è, infatti. E' ridicolo come è ridicolo che qualcuno si scandalizzi perché una fanciulla si abbellisca e riscaldi con una pelliccia. Se il vostro interlocutore animalista è intelligente, dopo quanto gli avrete fatto notare si renderà conto di quanto è ridicolo, e su di ciò mediterà. Se non è intelligente, farfuglierà incoerenti giaculatorie animaliste, che vi convinceranno, se voi siete intelligenti, di abbandonarlo al più presto al vacuo autoconforto dei suoi preconcetti. Capisci qual è il nocciolo del problema dell'animalismo? Il nocciolo è che l'animalismo si fonda sulla discriminazione razzista. Gli animalisti si ergono a difesa delle razze "elette" tra le specie viventi, secondo criteri che assomigliano molto al credo razzista che fu dei nazisti. Una delle discriminazioni: NON TUTTE LE SPECIE VIVENTI MERITANO LO STESSO RISPETTO. Gli animalisti estremisti "eleggono" le specie viventi appartenenti al solo mondo animale. I Vegetali vadano a farsi friggere, come infatti avviene nella cucina cinese. Solo perché gli animali sono più simili a noi dei vegetali, vanno salvaguardati a dispetto dei secondi. A tutti gli animalisti estremisti dico solo una cosa: fra 50 o 100 anni sulla terra non esisterà che qualche albero sparso, non più giungle, non più boschi. Sarà invece sempre più pieno di buoi, visoni, polli e montoni. Solo se mai vietassero, in tutto il mondo, la pelliccia di visone, il visone, non più allevato, si estinguerebbe in un battibaleno. Pensate al genocidio degli alberi, ogni volta che lacerate un foglio di carta, ogni volta che gettate via decine di chili di giornali appena sbirciati. Ma io so che mi illudo. Non ci penserete, perché siete animalisti. Altra discriminazione: NON TUTTI GLI ANIMALI VANNO PRESERVATI: Gli insetti, per esempio, morissero tutti non sarebbe poi male. Nessuna emozione uccidendo una mosca. Grandissima pena per il gatto al quale il monello tira la coda. La discriminazione razzista è spietata. Gli animali sono "eletti" e meritano di vivere se per esempio casualmente presentano il maggior numero dei seguenti caratteri: Occhi grandi, testa grossa in rapporto al corpo, fronte arrotondata, morbida peluria, arti brevi, naso piccolo e all'insù, guance paffute, orecchie grandi, voce acuta. Perché? Perché tali caratteristiche, se ci pensate, sono quelle proprie di ogni bambino umano. Ci piacciono gli animali nei quali istintivamente riconosciamo i caratteri tipici dei bambini piccoli, nei quali ritroviamo tutte quelle caratteristiche che ci fanno piacere i bambini piccoli. E quali sono gli animali che hanno il maggior numero di queste caratteristiche? Il gatto, il cane, l'orsacchiotto, il panda, ma anche il canarino e molti uccellini. Non il verme, non il serpente, non il pesce. In piena analogia ai criteri nazisti, gli animalisti approvano o tollerano la morte degli animali considerati di razza inferiore, ed eleggono a razza superiore e quindi degna di vivere gli animali che rispondono a determinati requisiti estetici. Qualcuno obietta che si vuole tutelare gli animali dotati di maggior intelligenza, quindi più in grado di comprendere la morte che ad essi si infligge? Ipocriti! Uno dei più intelligenti tra tutti i mammiferi è il ratto, e cosa ha fatto l'animalista che per le mie parole s'indigna, contro gli umani stermini di ratti? Quale animalista ha chiesto pari diritti per ratti e visoni? Tra l'altro il ratto presenta tutte quelle caratteristiche estetiche che ne dovrebbero fare un beniamino di tutti. Si dice che è grosso, ma è più piccolo di un gatto. Si dice che è aggressivo, ma è una menzogna. I felini sono carnivori, aggressivi e crudeli, mentre topi e ratti sono onnivori e pacifici. Certo possono mordere se qualcuno cerca di ucciderli, ma come si può biasimarli? Il ratto ha tutte le caratteristiche per piacere, tanto è vero che cartoni animati e fumetti pullulano di eroi positivi a forma di topolini. Perché allora il ratto non piace? Non piace perché non interpreta fino in fondo il ruolo del "bambino da coccolare", perché non si assoggetta al dominio dell'Uomo. Tutti gli animali non domestici sono animali incapaci di assoggettarsi al dominio dell'Uomo, e per questo l'Uomo li stermina ed estingue. Il ratto è particolarmente odiato perché non si assoggetta e contemporaneamente non si lascia sterminare ed estinguere. Chi s'è mai commosso per la morte di una formica? I formicai sono strutture misteriose ed organizzatissime, come potrebbero apparire le nostre città ad un gigantesco extraterrestre che ci osservasse dall'altro. Gli scienziati concordano che le società delle formiche e delle api sono organismi che funzionano in modo intelligente, ma sono così diverse da noi che non ci capiamo niente.

E non assomigliano ad un piccolo bambino umano, e quindi non ce ne commuove la morte. La vita è una manifestazione della materia che ci appare affascinantissima, poiché ne facciamo parte, ed al livello più alto, secondo quelle che sono le nostre conoscenze attuali. Ma tutti i valori che assegniamo sono proiezioni dei nostri archetipi, dei nostri preconcetti, del nostro pensare per categorie. E tutti i limiti della coscienza che abbiamo di ciò che esiste e di ciò che vive, sono proporzionali allo spazio mentale di cui disponiamo. I valori assoluti sono chimere, e chi li professa inganna sé e gli altri. L'azione di proiettare i propri valori umani sul ciò che del mondo umano non è, ha un nome preciso: Antropomorfismo. Gli animalisti sono i perfetti guerrieri dell'antropomorfismo. Non sono i soli, purtroppo. Oggi abbiamo parlato di loro. Chissà se si sono incazzati.

LE BUGIE DEGLI UOMINI E LE BUGIE DEGLI ANIMALI.

Se le bugie fossero in vendita mi piacerebbe aprire un negozio che chiamerei (ispirandomi a una nota ditta di divani) «bugie & bugie», scrive Danilo Mainardi su “Il Corriere della Sera”. Questo perché di bugie ce n' è un' offerta straordinaria: avrei il reparto di quelle delle specie, quello delle bugie degli individui, infine quello delle bugie esclusivamente umane, il più ricco e il più diversificato. Le bugie della prima categoria le troviamo nel mimetismo. C' è la rana pescatrice, un grosso pesce che ne attrae altri con una lenza costituita dal primo raggio della pinna dorsale. L' esca è un lembo carnoso che simula un vermetto in movimento. Muovendo la sua canna, la rana pescatrice inganna le prede che finiscono a portata della sua bocca. C' è poi la messinscena di un serpente nordamericano, Heterodon nasicus, che, se si trova di fronte a un predatore, si immobilizza con la bocca spalancata e l'apertura cloacale estrusa, il cui colore sembra quello della carne marcescente. Il fenomeno, detto tanatosi, ha lo scopo di evitare predazioni, giacché molti sono i predatori che non attaccano prede morte. Due esempi tra i molti che il mimetismo offre. Ciò che tutti li accomuna è l' assenza, da parte di chi inganna, d' ogni consapevolezza. Ben più interessanti sono le bugie animali escogitate da singoli individui. Queste, è evidente, implicano una buona dose di intelligenza. Un animale, perché possa mentire al di fuori di ogni istruzione genetica, è necessario che percepisca, con l'esperienza, qual è l' effetto del suo comportamento su quello altrui.

Solo così può usarne, poi, in modo truffaldino. Bella esemplificazione di queste bugie è l' uso improprio dei segnali d'allarme. Molte sono le specie che, altruisticamente, hanno evoluto segnali che allertano i conspecifici in caso di pericolo. Esistono uccelli che, compreso l' effetto di questi segnali allarmanti, li usano poi in modo ingannatorio. Si tratta di iniziative individuali o, al massimo, di tradizioni locali. La migliore documentazione si ritrova in due specie della foresta amazzonica, l' averla ad ali bianche e il formicaride blu ardesia, che hanno un sistema di sorveglianza basato su turni di vigilanza. Opportunamente le sentinelle si mettono al coperto prima di lanciare il segnale d' allarme, se un predatore è presente, ma se barano avendo avvistato una fonte alimentare, non si curano di prendere questa precauzione. L' importante è che gli eventuali predatori se ne fuggano via. Analogo uso truffaldino dei segnali d' allarme lo fanno anche certi piccoli corvidi, i gracchi, che troviamo sulle nostre Alpi e sull' Appennino.

Altri interessanti casi li ritroviamo nelle volpi e nei coyote che fingono, standosene sdraiati immobili, di essere morti, destando l'attenzione interessata di corvi e gazze: appena questi s'avvicinano, con uno scatto i finti cadaveri li catturano. E' così che quelli che venivano per mangiare finiscono mangiati. E' a ogni modo indubbio che sono i primati i più abili a inventare sofisticate menzogne, dimostrando tutta la flessibilità, complessità e varietà di inganni che è loro consentita dalle sviluppate capacità cognitive. Un esempio tra i tanti è l'ingegnoso caso di un giovane babbuino che, avendo scoperto che una femmina aveva trovato una ricca fonte alimentare, per allontanarla s' era messo a strillare come se la femmina lo stesse malmenando, richiamando così la propria madre, che subito allontanava la femmina. Non c' è dubbio però, e c'era da aspettarselo, che il mentitore più ingegnoso e raffinato sia l' essere umano. Le bugie per noi, ben lo sappiamo, fanno talora perfino della buona educazione. A ogni modo ciò che è esclusivamente umana è la capacità di autoinganno. Infatti, spesso e volentieri, noi le bugie le raccontiamo a noi stessi, e quel che è peggio è che poi ci crediamo. L'autoinganno, sostengono gli psicologi, è un meccanismo salutare. Perciò non raramente escogitiamo giustificazioni per i nostri fallimenti. E' inoltre un meccanismo utile perché, se abbiamo già mentito a noi stessi, sembreremo sinceri e perfino attendibili con gli altri. I venditori periodicamente fanno addirittura opera di autoconvinzione sulla buona qualità del loro prodotto. E' noto infine che molti assistenti di volo, dovendo mostrarsi educati con un passeggero insopportabile, cercano innanzitutto di autoconvincersi che si tratta di una persona simpatica. Danilo Mainardi Stranezze e «intrighi» Le lucciole predatrici del genere Photuris sono in grado di imitare perfettamente il linguaggio a flash luminosi delle femmine del genere Photinus. Ciò inganna i maschi di queste ultime che vengono così attratti, catturati e mangiati. Uno scimpanzé subordinato, vedendo un ricercatore nascondere dei pompelmi, fa finta di nulla per il timore che il predominante se ne possa accorgere. Solo quando è sicuro che quest' ultimo si sia allontanato, finalmente si affretta a prelevare i frutti desiderati. Esiste un piccolo insetto, l'Amphotis marginata, che scopre e segue i tragitti delle formiche e quando finalmente ne incontra una, le chiede, usando esattamente il suo sistema di comunicazione, un po' di cibo. Ci sono alcuni uccelli che quando scoprono nelle vicinanze del loro nido un animale predatore, fingono di avere un'ala rotta così da apparire più deboli e attrarre così la sua attenzione. In realtà questa tattica serve per depistare il predatore, e mentre volano con apparente difficoltà, lo allontanano dal nido proteggendo i piccoli.

Quelle tematiche "verdi" ignorate dalla sinistra. Un’inchiesta di Anna Mannucci pubblicata su “L’Occidentale”.

La nascita dell'animalismo in Italia si deve solo alla morte del comunismo

Bertolt Brecht scriveva nel 1939: “Davvero vivo in tempi bui / ma che mondo è mai questo / dove parlare di alberi è quasi un delitto / perché su troppe stragi comporta il silenzio?". Senza dubbio quegli anni erano tremendi, ma perché mai parlare di alberi dovrebbe comportare il silenzio su troppe stragi? Usiamo questa frase di Brecht per evidenziare un atteggiamento comune tra le persone e i movimenti socialmente impegnati, tra cui il comunismo, un’impostazione molto diffusa soprattutto in Italia: ci sono sempre drammi, tragedie sociali, che tolgono ogni importanza all’occuparsi di problemi considerati secondari (cosa tutta da dimostrare, oltretutto), come gli alberi o la natura. Figuriamoci poi gli animali, argomento neanche minimamente preso in considerazione da Brecht. Sembra un po’ banale definire questa impostazione catto-comunista, ma funziona. Un famoso predecessore di questo Brecht potrebbe essere considerato Giuseppe Parini con la sua “vergine cuccia” nel poemetto Il giorno. Tutti l’abbiamo letto a scuola, ma riassumiamo la storiella: il servo colpisce con un calcio la cagnetta della sua padrona che gli ha morso un piede. La nobile, sensibile verso gli animali e dunque insensibile verso gli umani, lo “licenzia” immediatamente (non c’erano i sindacati!) ed egli finisce nudo, gli ha tolto pure la divisa, sulla strada insieme a moglie e figli. Vale la pena ricordare che nella stessa opera viene irriso il nobile vegetariano, perché, anche lui, è sensibile alla sofferenza e alla morte degli animali e ovviamente insensibile ai problemi sociali. Tratti che caratterizzano tuttora molta della cultura italiana, basta ricordare le recenti dichiarazioni di Don Mazzi contro le offerte agli animali che tolgono, toglierebbero, risorse alle associazioni per i vari diseredati, messi tutti insieme, ex-assassini e persone con handicap.

Nella cultura protestante, invece, è invece il contrario (stiamo riassumendo e banalizzando molto): una persona “buona”, una brava persona, rispetta anche gli animali. C’è continuità e non opposizione tra le diverse forme di vita (e qui verrebbe fuori l’immenso dibattito sulla differenza di grado o di qualità tra umani e non umani).

Voglio vedere nel comunismo - non solo il Pci, ma tutta una grande e anche nobile tradizione culturale - un ostacolo allo sviluppo di tematiche animaliste in Italia. Nel 1989 cadeva il muro di Berlino, evento storico dalle innumerevoli conseguenze. Qui, ne evidenziamo una sola: il fiorire dell’animalismo o forse è meglio dire della zoofilia in Italia. Tesi alquanto audace, lo sappiamo, ma di sicuro le grandi leggi di riforma riguardanti gli animali risalgono agli anni ‘90. Post quem non significa propter quem, questo è noto. Però...

Con animalismo - parola che ancora alla fine degli anni ‘80 non esisteva neanche nei vocabolari - intendo un movimento e una teoria, anzi, vari movimenti e varie teorie (dall’utilitarismo alla difesa dei diritti) che lottano per tutti gli animali in nome di un senso di giustizia universale e implicano necessariamente il vegetarismo. Con zoofilia, termine storico, si intende l’amore per cani e, secondariamente, per i gatti.

Dunque, 1989, fine del comunismo, fine della guerra fredda (anche se in Italia, in realtà, si parlava di “compromesso storico” già dal 1973). I blocchi contrapposti stritolavano, cercavano di stritolare ideologicamente e culturalmente molte e varie iniziative non ben definibili in quanto a schieramenti e dunque sospetti. Ricordiamo poi il vecchio problema della sinistra dell’egemonia, egemonia che spesso toglieva spazio a iniziative personali o tematiche considerate non in linea. O le soffocava annettendole obbligatoriamente a uno schieramento, come è successo per le tematiche “verdi”, spesso inglobate assurdamente dalla sinistra più estremista.

La zoofilia ha una lunga tradizione di destra, aristocratica e antiprogressista soprattutto nelle sue origini inglesi, ma un po’ anche in Italia. Soprattutto la tematica antivivisezionista è stata, fin da fine ‘800, tipica della destra antiprogressista e forse anche antimoderna. Ricordo che per quasi un secolo l’animale più usato nei laboratori è stato il cane. Perché era gratis. I cani abbandonati o anche solo vaganti venivano catturati dalla trista figura dell’accalappiacani, portati nei canili (che erano e in alcuni casi sono ancora di fianco al macello), dopo tre giorni ammazzati in modi brutali o ceduti alla vivisezione. Ciò era legale fino al 1991 (parlo solo dell’Italia). Ora, purtroppo, nel resto d’Europa, questo uso dei randagi è stata di nuovo autorizzato dalla revisione della Direttiva del 2010 sulla “protezione” dell’animale da laboratorio. Nel 1991 in Italia è stata promulgata la legge 281 che ha dato il “diritto alla vita” a cani e gatti anche se senza padrone. Una legge rivoluzionaria e unica al mondo. Voluta da due donne, Carla Rocchi e Annamaria Procacci (tuttora attive), deputate dei Verdi che non venivano dalla sinistra né dalla politica.

Tra i politici, pochissimi, che ben prima del 1989 si occupavano di animali (ma non di selvatici) bisogna citare Cristiana Muscardini (www.cristianamuscardini.it Attività di partito: 1971 Dirigente del FUAN, 1972 Dirigente nazionale del Movimento sociale italiano (MSI), 1995 Membro dell'Esecutivo nazionale di Alleanza nazionale (AN) 2007 Coordinatore regionale di AN) che da decenni combatte ed è attiva contro la vivisezione e ancora nel settembre 2010 si è fortemente opposta alla revisione della Direttiva Ue al riguardo. Più nota e più giovane è Michela Vittoria Brambilla, ministra del turismo del governo Berlusconi da maggio 2009, che ha fatto molte iniziative, partecipando anche a manifestazioni di piazza, a favore degli animali, contro maltrattamenti anche nell’allevamento (una novità per la tradizione zoofila), vivisezione e finalmente contro la caccia (lotta anche questa che non apparteneva alla tradizione zoofila). Brambilla ha lanciato, nel 2010, insieme a Umberto Veronesi, personalità “di sinistra”, il sito/associazione www.lacoscienzadeglianimali.it, ricevendo molti insulti, spesso volgari e sessisti, dai cacciatori e da altri “nemici” degli animali. Anche Francesca Martini, sottosegretaria al Ministero della Salute nel 2010, eletta nella liste della Lega Nord (il partito dei cacciatori!), si è data molto da fare per i cani e poi per gli altri animali da compagnia. Sono solo alcuni esempi di donne, a favore degli animali, elette nelle liste di destra. Destra politica, non culturale e di certo non aristocratica, che, non interessandosi minimamente agli animali e avendo molto altro a cui pensare, ha lasciato un certo spazio all’animalismo e soprattutto alla zoofilia.

Nelle nicchie della tolleranza, nel senso minimale del termine, è fiorito l’animalismo. Una tolleranza che purtroppo la sinistra non ha mai avuto. Un esempio molto realistico è raccontato nel libro del 1967 di Milan Kundera Lo scherzo (1986, Adelphi). Il protagonista, uno studente, invia una cartolina a un’amica scrivendo: «L'ottimismo è l'oppio dei popoli! Lo spirito sano puzza di imbecillità! Viva Trockij!». Ma a causa di questo scherzo la sua vita è rovinata, viene espulso dal partito e dall’università, e finisce di disgrazia in disgrazia. Un’intolleranza per le “piccole cose” che purtroppo la sinistra comunista italiana ha sempre avuto (precipitando poi nella tolleranza per le più gravi, ma questo è un altro discorso).

Tornando alla fine del comunismo, in Italia, a partire dagli anni ‘90, oltre alle grandi riforme legislative, sono nate centinaia e centinaia di associazioni animaliste, forse migliaia (anche se alcune associazioni esistevano anche prima, ovviamente), ben oltre la protezione del cane, per decenni l’unico animale preso in considerazione dagli zoofili. A favore di gatti, conigli, ratti, furetti, contro il bracconaggio e contro la caccia, per la difesa degli uccelli migratori, delle cicogne, dei cavalli, degli asini, delle balene, dei rospi, delle tartarughe, contro il traffico di animali selvatici ed esotici, e così via. E, grande novità storica, a favore del vegetarismo, che dopo il 2000 in alcuni casi diventa addirittura veganismo. Associazioni che non sono più solo pietistiche, come nella zoofilia tradizionale, ma quasi sempre fanno anche politica, per esempio, muovendosi come lobby in parlamento. Ottenendo, finora, grandi risultati per cani e gatti, molto meno per gli altri animali. Caccia, allevamenti intensivi, vivisezione comportano interessi economici giganteschi. E qui la tolleranza, di destra, di sinistra e di centro, finisce.

A proposito della Brambilla,  Maurizio Ceravolo, ingegnere,  tra i titolari di "ideativi", la società che supporta Wall Street Italia sul fronte IT. il 10 maggio 2012 scopre che è stata indetta una conferenza stampa a Palazzo Chigi, in cui erano presenti il sottosegretario alla Salute Adelfio Elio Cardinale e l’ex ministro del Turismo Michela Vittoria Brambilla in qualità di presidente anche Federazione Italiana Associazioni Diritti Animali e Ambiente. Lo scopo era di presentare ai media un nuovo portale per il turismo in compagnia degli animali, Vacanze a 4 Zampe. In 40 minuti è stato presentato l’innovativo progetto in cui elencare tutte le strutture ricettive in Italia che accettano gli animali. È stato pensato a tutto anche ad una colorata vetrofania per le strutture aderenti e alla presenza entusiasta di rappresentati di associazioni di categoria. Il tutto dimenticando un misero particolare. Il sito è la copia di buona parte di Turisti a 4 Zampe, portale realizzato nel 2010 dal Ministero del Turismo su idea dell’allora Ministro Michela Vittoria Brambilla e parte del tristemente noto portale del turismo italiano Italia.it (tristemente noto perché ci vollero anni per la sua apertura e svariati milioni di euro, ben 100 in tre periodi diversi). Il sito è identico, a parte una grafica leggermente cambiata, stesse strutture, stesse informazioni, stesse pagine. La domanda è come la Brambilla abbia avuto la faccia tosta di presentare per nuovo e per suo, qualcosa che è già funzionante da due anni è che è stato pagato con i soldi degli italiani. La parlamentare PDL ha così beneficiato di uno spot elettorale, regalato dal governo (che avrebbe al contrario dovuto chiedere i danni di immagine) e che ha rafforzato l’immagine di paladina degli animali, attraverso giornali e televisioni. Cosa che stona con il canile-lager gestito negli anni scorsi, tramite la sua associazione Leida. Ricevuta la gestione con l’assegnazione di oltre 500 mila euro di fondi e, senza alcun appalto, non è riuscita a fare buon lavoro, con numerosi animali morti, problemi evidenti di igiene, cibo di bassa qualità e box umidi e bagnati. Ma come, la Brambilla predica bene e razzola male? Si fa vedere in televisione con cagnolini in mano, invocando la civiltà per gli animali, e poi con un budget di oltre 500 mila euro fa rimanere nel degrado un canile pubblico? Questa nuova iniziativa viene portata avanti anche questa volta sulle spalle del contribuente italiano. La Brambilla ha realizzato questa "sua" iniziativa sfruttando un bene dello Stato Italiano e piazzandoci sopra i loghi di "sponsor" come Trenitalia ed Alitalia. Ma lo fa al costo per lei di una piccola pitturata grafica, visto che ha sfruttato in tutto e per tutto il database di Turisti a 4 Zampe. E questo fa nascere una serie di domande:

La Brambilla vuole ergersi a paladina degli animali davanti agli occhi degli italiani, facendosi bella di qualcosa finanziato con i soldi degli italiani?

1.         Pensa che nessuno si ricordi che il progetto sia lo stesso di quando era ministro?

2.         Chi ha pagato la conferenza stampa a Palazzo Chigi, che in pratica è stato un suo spot elettorale?

3.         Chi le ha dato i sorgenti ed il database di Turisti a 4 zampe, visto che è di proprietà dello stato? C'è stata una intrusione informatica o l'amministratore di sistema è stato compiacente a fornire all'ex ministro una copia di tutto il sito?

4.         Come mai il governo italiano e l'attuale Ministro del Turismo invece di difendere l'investimento fatto (immagino non meno di svariate decine di migliaia di euro) hanno concesso alla Brambilla una importante vetrina per il suo spot elettorale?

5.         La Brambilla sembra aver puntato il tutto per tutto su questa iniziativa e tutti i domini a lei intestati, utilizzati prima per diversi scopi, ora puntano al nuovo portale per animali: il sito della vecchia associazione animalista Leida, il sito dei Promotori della libertà, addirittura il suo sito web personale.

Anche le testate hanno la stessa struttura, scelta dei colori e design. Ovviamente l’iniziativa non poteva rimanere nascosta ai mille occhi della rete, alcuni blogger se ne sono accorti, hanno iniziato a diffondere la notizia ed il tam tam e lo sdegno hanno raggiunto sempre più persone. Tanto che nella giornata di ieri Vacanze a 4 Zampe e tutti i domini che ridimensionavano verso di esso sono stati messi in manutenzione e quindi non più raggiungibili. Per chi volesse approfondire e conoscere maggiori dettagli, può leggere il post originale La Brambilla copia Turisti a 4 Zampe dai blog della community di WSI dal quale questo articolo è stato tratto. Dopo una intera giornata offline Vacanze a 4 Zampe è tornato on line. C’è stata una operazione di ripulitura del database di tutti gli articoli di Turisti a 4 Zampe ancora presenti nel database. L’archivio delle strutture è ancora offline. Probabilmente stanno ripulendo anche quello per rendere meno evidente le somiglianze. Evidente che avevamo colto nel segno. Gli altri domini, quello della Brambilla e quello dei Promotori delle libertà che ridirezionavano verso Vacanze a 4 Zampe, sono tuttora offline in manutenzione.

Gli animali sono esseri viventi, che con noi condividono sentimenti ed emozioni, ma che pure per molti versi non ci somigliano e non sappiamo capire. Tendiamo spesso ad antropomorfizzare un cane pensando di viziarlo, in realtà lo stiamo maltrattando. E se mentre accarezziamo il gatto in modo insistente, quasi fosse un peluche, lui si volta e ci graffia non è per maleducazione felina, ma in risposta alla stupidità umana. Non solo, spesso ci spingiamo oltre, negando agli animali la loro natura, i loro bisogni e desideri, per asservirli alle nostre esigenze e ai nostri piaceri. Fino ad arrivare alla crudeltà: combattimenti tra cani, corse di cani e cavalli, caccia e pesca come sport, carcerazione negli zoo e nei circhi, sperimentazione farmaceutica, abbandoni, allevamenti intensivi e macellazione a catena di montaggio.

Ma se tante sono le facce in cui si dipana il nostro rapporto con gli animali, per lo più imbevuto di una crudeltà e di una violenza di cui non sembriamo nemmeno essere consapevoli, è giunto il momento di prendere posizione, di non più negare o misconoscere le ingiustizie di cui siamo responsabili o testimoni.

Entriamo ora più nei particolari del discorso dei diritti degli animali e dei doveri dell'uomo, citando ovviamente il principale decreto giuridico internazionale emesso a tutela dei diritti animali e riferimento fondamentale per denunciare i tanti e diversi gradi di sfruttamento degli animali. L'articolo n.1 della Dichiarazione Universale dei Diritti degli Animali, elaborata dall'Unesco nel 1978, recita: "Tutti gli animali nascono uguali davanti alla vita e hanno gli stessi diritti all'esistenza".

E' triste constatare come spesso questo enunciato sia disatteso.

Ripartendo dalla semplice considerazione delle necessità naturali proprie di ogni specie, in termini di spazio, alimentazione, socialità tra gli individui, comunicazione e habitat, a volte appare difficile considerare compatibili gli ambienti e i trattamenti riservati a buona parte degli animali da noi detenuti.

L'uccisione (art. 544 bis), il maltrattamento (art. 544 ter), lo sfruttamento in spettacoli (art. 544 quater), il combattimento (art. 544 quinquies), l'abbandono (art. 727) di un animale è considerato in Italia un reato. Un comportamento cioè non accettato dalla società e considerato tanto grave da dovere essere valutato da un magistrato.

Tutto ciò non determina però con certezza le corrette regole da seguire per assicurare condizioni di benessere a tutte le specie animali. C'è quindi un po' di confusione quando si devono valutare alcune situazioni.

Alcuni esempi.

Uccidere un cane giovane e sano è maltrattamento.

Uccidere animali giovani e sani appartenenti ad altre specie per poi mangiarli è invece una pratica accettata.

Non dare da mangiare a sufficienza ad un animale è sicuramente sbagliato ed è, nei casi più gravi, un reato.

Dare da mangiare ad un animale fino a farlo diventare obeso è altrettanto sbagliato (accorciamo la vita al nostro cane anche del 30%) ma non è considerato un reato.

Se tagliassi senza motivo la zampa ad un cane mi renderei colpevole di vivisezione. Se taglio le orecchie ad un cucciolo di cane senza alcuna ragione se non per conferire un aspetto più aggressivo non sono altrettanto colpevole?

Ci vuole ancora tempo e, soprattutto, impegno da parte di noi tutti perché si possano definire e far condividere a tutti le azioni considerate come maltrattamento di animale.

Non facciamoci scoraggiare...Le ultime leggi sulla tutela di alcune specie sono molto precise (vitelli a carne bianca, suini, galline ovaiole, animali da esperimento, trasporto di animali) e vengono fatte applicare ma... non basta. Devono comunque cambiare alcuni comportamenti che forse appartenevano a ragione all'uomo primitivo, ma che purtroppo sono ancora incoraggiati da molti organi di informazione.

Esempio: l'istinto di addomesticamento che ci fa sentire attratti dai cuccioli di qualunque specie. I cuccioli stanno meglio con i loro genitori...

L'istinto della caccia come fonte di alimento. Se proprio non c'è altro da mangiare...

Il desiderio di possedere animali insoliti da mostrare agli altri. ("Vieni ti faccio vedere il coccodrillo che ha mangiato mia nonna...").

Cambiare il cane di razza come si fa con le automobili e i vestiti seguendo le mode.

LA LOBBY DEGLI ANIMALISTI.

"Cacciatori? Ora idoneità A molti trema la mano". Il Movimento animalista di Michela Brambilla apre già la campagna elettorale e ha un obiettivo chiaro: fermare la caccia, scrive Luca Romano, Sabato 16/09/2017, su "Il Giornale". Il Movimento animalista di Michela Brambilla apre già la campagna elettorale e ha un obiettivo chiaro: fermare la caccia. E così in occasione dell'assemblea "Difendi la vita", la Brambilla lancia l'appello al mondo politico: "Siamo in perfetto orario - ha detto Brambilla - per fare tre cose: protestare contro l’apertura della caccia, cominciare ad illustrare il nostro programma, fare il punto sull’organizzazione del Movimento. Perchè oggi? Perchè da domani, in quasi tutte le Regioni italiane, centinaia di migliaia di cacciatori apriranno il fuoco su milioni di creature indifese, perchè questa mattina, nella prima direzione nazionale, abbiamo approvato le linee principali del programma, e perchè oggi diamo il via alla maratona che avrà come traguardo l’elezione di un nuovo Parlamento". E ancora: "Non si tratta solo dell’indifferenza verso le condizioni degli animali selvatici dopo un’estate di siccità e incendi, verso gli accorati appelli delle associazioni e perfino verso i suggerimenti dell’Ispra, solitamente di manica larga con il mondo venatorio, ma di un’intera politica espressa in questa legislatura: dallo scioglimento del Corpo forestale dello Stato, ai regali per le doppiette (in particolare quelle del Trentino-Alto Adige), al folle piano per la caccia selettiva al lupo, alla prima uccisione deliberata di un orso (KJ2) da quando è iniziato il programma di ripopolamento". Poi la Brambilla propone la sua ricetta: "Per togliere alla lobby della caccia e delle armi la protezione di cui gode - sottolinea l’ex ministro - non c’è altra via che mandare a casa chi svende a pochi il patrimonio di tutti. Ecco il perchè di una grande novità: un partito che per la prima volta, nell’agenda di governo, dà priorità alla tutela degli animali e dell’ambiente".

GLI ANIMALISTI AI CACCIATORI: «QUEST’ANNO NON AGGIUNGETE AL FUOCO DEGLI INCENDI QUELLO DEI FUCILI», scrive il 23.08.2017 la Redazione di "Giornalettismo.com". «Cacciatori, quest’anno non sparate», è l’appello di una cordata di associazioni animaliste – LAV, Lipu, Lndc-Lega nazionale per la difesa del cane – agli appassionati di arte venatoria. Lo rivolgono in una lettera aperta, indirizzata in modo particolare ad Arcicaccia e Federcaccia. Una richiesta, quella rivolta dagli animalisti ai cacciatori, che arriva al termine di una stagione in cui a causa degli incendi gli animali hanno già sofferto molto. Ci ritroviamo da sempre su fronti opposti ma tutti quanti, oggi, siamo davanti a un’emergenza naturalistica senza precedenti. Appellandoci al vostro senso di responsabilità vi chiediamo, quest’anno, di rinunciare alla caccia. Non sparate, non aggiungete il fuoco dei fucili a quello che ha devastato tanta parte d’Italia. La caccia in queste condizioni sarebbe davvero un ecocidio. Non sono solo gli incendi ad aver messo a rischio la fauna italiana: l’inverno scorso è stato segnato da temperature particolarmente rigide e l’estate che ne è seguita è stata tra le più calde e meno piovose di sempre. «Diverse regioni, di questi tempi, hanno richiesto lo stato di calamità naturale. Possibile che nessuna istituzione – si chiede su Repubblica la presidente LNDC Piera Rosati – abbia ancora messo in dubbio i calendari venatori, che rischiano addirittura di incombere con le preaperture concesse in deroga da tanti amministratori?». Una settimana le associazioni animaliste e ambientaliste – Enpa, Italia Nostra, Lac, Lav, Lipu e Mountain Wilderness – hanno inviato al premier Gentiloni, ai ministri dell’Ambiente, dell’Agricoltura e dell’Interno, una lettera per chiedere di annullare la stagione di caccia 2017/2018 «alla luce dei danni provocati anche alla situazione degli animali selvatici dagli incendi boschivi che ormai da settimane tanno interessando gran parte del Paese». Gli incendi hanno distrutto più di 85mila ettari di territorio e uniti alla gravissima siccità che ha investito la nostra penisola, stanno creando enormi danni all’economia nazionale e all’ambiente, comportando anche difficoltà per l’approvvigionamento idrico e alimentare delle città. Una situazione che non ha eguali in Europa e che sta determinando gravissime ricadute sulla vita degli animali selvatici. È intollerabile che in un contesto nazionale di tale drammaticità, nel quale diverse Regioni hanno richiesto o si accingono a richiedere lo stato di calamità naturale, nessuna istituzione abbia messo in dubbio l’apertura della caccia; e come se non bastasse le Regioni aggiungono danno al danno concedendo tre settimane in più di caccia grazie alle preaperture. La lettera delle associazioni animaliste e ambientaliste seguiva quella inviata in precedenza dal Wwf al ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti e ai presidenti delle Regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Lombardia, Marche, Molise, Piemonte, Puglia, Sardegna, Sicilia, Toscana, Trentino Alto Adige, Umbria, Valle D’Aosta e Veneto per chiedere che la stagione di caccia quest’anno non fosse aperta come al solito in maniera anticipata a partire da settembre. La cordata di associazioni che si è rivolta al governo spiega che lo ha fatto «considerato il perdurante sbilanciamento delle Regioni a favore della lobby venatoria» e sottolinea che il governo «ha piena competenza amministrativa per poter intervenire con adeguati atti contingibili e urgenti ai sensi della Legge 59/1987, allo scopo di tutelare gli animali selvatici, gli habitat e l’ambiente in generale così come disposto dalla nostra Carta Costituzionale».

La scissione animalista, il nuovo partito spacca destra e sinistra. Diverse sigle storiche aderiscono al movimento fondato da Brambilla e Berlusconi. Gli ambientalisti: "Ci siamo fatti sfilare un tema nostro", scrive Monica Rubino il 22 maggio 2017 su "La Repubblica". Il lancio del nuovo partito in difesa degli animali di Michela Brambilla, fondato assieme al leader di Forza Italia Silvio Berlusconi, ha creato scompiglio e aperto spaccature nel variegato mondo animalista. Le associazioni sono divise, infatti, fra chi sostiene con entusiasmo l’iniziativa della deputata azzurra e chi invece la respinge come inopportuna se non addirittura dannosa per il volontariato. Per quanto, poi, il “Movimento animalista” sia stato dipinto dai fondatori come una forza «trasversale» e «indipendente», il colore politico dell’iniziativa, promossa dal Cavaliere in persona, sembra difficile da confondere. E allora la questione diventa anche stabilire se l’animalismo, e più in generale l’ambientalismo, in Italia guardi ancora a sinistra o se piuttosto, in questa fine legislatura, la destra stia riuscendo a cavalcare il tema con più abilità a fini elettorali. Perché secondo le stime dei sondaggisti, il bacino di voti degli animalisti potrebbe avere un peso non trascurabile (dal 5% fino addirittura al 20%) nelle alleanze per le prossime elezioni. «Di certo per il Pd l’animalismo è un’occasione mancata», afferma la giornalista e scrittrice impegnata per i diritti degli animali Margherita D’Amico: «Sui voti degli animalisti Matteo Renzi ci ha letteralmente sputato sopra, preferendo il consenso della lobby dei cacciatori». Insomma per D’Amico il centrosinistra ha dato per scontato che «la sensibilità ambientalista fosse una sua proprietà, ma di fatto ora non è più così». Per la scrittrice presidenti ed esponenti di spicco delle associazioni dovrebbero pensarci bene prima di entrare nel partito della rossa amazzone berlusconiana: «Potrebbero appoggiare dall’esterno qualunque buona iniziativa politica a favore degli animali. Mi viene da pensare che l’unica aspirazione per qualcuno possa essere ottenere un seggio in Parlamento». Contrario è anche Michele Visone, presidente di Assocanili: «Il movimento di Brambilla farà danni al vero volontariato, che ha tutt’altra identità e non usa gli animali come strumento politico di propaganda, facendosi fotografare con cuccioli in grembo. Lo sa che, quando studiamo lo stress animale, nove volte su dieci usiamo filmati o foto di cani in braccio a politici o persone famose?». Per Visone, sarebbe stato più opportuno «fare una lista contro le false associazioni», che oggi controllano il 75% del business del randagismo. «Non serve un partito - conclude - ma stabilire regole chiare per affrontare problemi come il traffico illegale di animali o i canili lager». Di diverso avviso è invece Carla Rocchi, presidente Enpa (Ente nazionale protezione animali) e parlamentare dei Verdi negli anni ‘90: «Sono totalmente favorevole al movimento di Brambilla, finalmente si apre uno spazio nelle istituzioni per gli animali, vista la completa inerzia dei partiti da vent’anni a questa parte». Quanto al posizionamento politico dell’animalismo, Rocchi non ha dubbi: «Non è di destra né di sinistra. Del resto appena i Verdi si sono fatti etichettare a sinistra, sono finiti. A me basta che al prossimo giro chi è in Parlamento si confronti con qualcuno che metta temi animalisti in calendario». Infine c’è chi per il momento sta a guardare. Come Stefano Fuccelli, presidente del Partito animalista europeo: «Finché non vedo i nomi di chi c’è dentro, non mi esprimo sulla credibilità di questo nuovo soggetto politico. Non vorrei fosse il solito specchietto delle allodole in una campagna elettorale già iniziata».

La lobby degli animalisti, scrive Bruno Modugno il 18 maggio 2016 su "Cacciapassione.com". Questo mese avrei bisogno di molte dita (o diti?) da ficcare nell’occhio di tutti quelli che credono alle buone intenzioni di chi guida i movimenti animalisti, di quelli che li considerano eroici e disinteressati Robin Hood impegnati nella difesa dei diritti dei poveri animali maltrattati, allevati in batteria, per essere poi ammazzati e spellati ancora vivi. E allora sono anch’io animalista. Anch’io mi indigno contro chi procura inutili sofferenze agli animali, siano allevatori, macellai. E anche cacciatori. Ricordo un mio carissimo amico, Riccardo Fellini, fratello del più famoso Federico. Attore in venti film, l’abbiamo visto nei Vitelloni. Riccardo era anche regista. Cito il suo primo e unico film “Storie sulla sabbia”. Era amico degli animali e nemico della caccia. Ma non abbiamo mai litigato, perché capiva il mio modo di essere cacciatore. Riccardo realizzò col mio aiuto una bellissima serie per la Rai Tv dal titolo “Quegli animali degli Italiani” dove per primo denunciò quegli allevamenti in batteria che producevano a basso costo (in spazi ristretti, senza alternanza tra giorno e notte, con dosi assai alte di ormoni e antibiotici) polli da rosticceria e da bancone di supermercato, bistecche, braciole, salsicce e culatelli. Per la prima volta la cinepresa entrò nelle camere della morte dei mattatoi, nelle catene di montaggio del pollo da supermarket, dove le povere bestie entravano vive e ne uscivano morte e spennate. Una serie durissima, spietata, da me condivisa e sostenuta, che riuscì a migliorare le condizioni di vita e di morte degli animali dei quali ci nutriamo. Ma intanto continuavo ad andare a caccia. Legittimamente perché mi consideravo e mi considero carnivoro e predatore. A caccia anch’io uccido un animale, ma libero, con infinite possibilità di salvarsi, uno fra i tanti, con la consapevolezza che quella fucilata, non casuale ma indirizzata a quell’animale e non a un altro, servirà anche a “potare” quella popolazione di ungulati e conservarla e addirittura migliorarla. E poi godrò delle sue carni insieme ad amici e persone care rinnovando un antico rito di amicizia e solidarietà. Basta con le digressioni. A me l’occhio. Torniamo ai difensori, spesso violenti, dei diritti degli animali. Sono i crociati di una nuova religione, già condivisa da Hitler e dai suoi gerarchi. Tutti animalisti, vegetariani e precursori dei vegani. Tutti tranne Goering, grande e appassionato cacciatore. Gente oltranzista, violenta. Seguaci di una ideologia estrema, pronti a tutto, dal picchiare chi non la pensa come loro, a far saltare i tralicci, ad aprire le gabbie dei visoni e di altri animali da pelliccia che si sono ormai diffusi sul territorio con grave danno per le specie autoctone. Pronta a dar la caccia a ricercatori e sperimentatori di farmaci. A minacciare personaggi come me che difendono la buona caccia, al punto che il porto di pistola che mi fu rilasciata dalla Digos negli anni ’70 ai tempi degli “anni di piombo”, mi era stato mantenuto anche dopo che le BR erano state sgominate. Poi, tre anni fa, il questore ha ritenuto che non corressi più alcun pericolo. Se lo dice lui…Sono estremisti, seguaci di una religione, di una ideologia? Dei forsennati idealisti? Forse qualcuno lo è. Ma certo che tutti fanno parte di una lobby assai potente, più di quella dei petrolieri, del tabacco, dei farmaceutici, delle armi (che poi in Italia è la più debole, non potente come negli USA). Lo denunciano Virginia Della Sala e Stefano Feltri in un articolo pubblicato su “Il Fatto Quotidiano” e sul blog di Pierluigi Piccini, dove si legge che “l’Italia rischia una procedura d’infrazione europea perché due anni fa ha vietato di allevare i cani da laboratorio anche se è ancora lecito usarli per la ricerca biomedica. Ma date tempo alla Lega Anti-Vivisezione (Lav) e anche questa incongruenza sarà risolta: alla Luiss il professor Pier Luigi Petrillo, massimo esperto di lobby in Italia, apre i suoi corsi sui rapporti tra interessi e politica parlando del gruppo più efficace, la Lav. Il 29 marzo del 2014 la Lega ottiene un decreto legislativo in contrasto con la direttiva comunitaria che il Parlamento italiano doveva recepire, prodotto di un’azione di lobbying di successo”. Alla fine la politica non può che adeguarsi. La lobby animalista è riuscita a modificare anche il codice civile: ogni regolamento condominiale che vieta il possesso di animali è illegittimo. Insomma, una lobby potente, più di quella della petrolchimica, anche se non è detto che non siano collegate fra loro. Date un’occhiata alle pubblicazioni di questa o quella associazione ambientalistica. Talvolta vi capita di leggere “Questa pubblicazione è stampata su carta riciclata ed stata realizzata grazie al contributo di…” e segue il nome di un’industria che raffina petroli o fabbrica prodotti chimici. Insomma non è un mistero che tra gli sponsor di alcune associazioni ambientalistiche vi siano i grandi inquinatori. Ai tempi dei referendum c’era il sospetto che i finanziatori fossero ancora loro perché, puntando il dito contro la caccia, si sarebbe distratta l’opinione pubblica dai loro misfatti. Lo scrissi più volte, indicando nomi delle ditte e ragioni sociali, lo ripetei in televisione e non presi una querela. Massimiliano Filippi, segretario generale di Federfauna scrive in un suo articolo, a proposito di sospetti collegamenti: “… la lobby animalista punta a sostituire pelle, pellicce, seta e lana con prodotti sintetici, quasi tutti derivati dal petrolio…” Ma questo è un cattivo pensiero! La prima azione della lobby delle associazioni animaliste risale al 1991, anno di promulgazione della legge 281 sul randagismo, contrabbandata come una “battaglia di civiltà”. Ma in 25 anni, il problema anziché essere risolto si è aggravato. La spesa per affrontarlo, a carico di tutti noi, ha superato quanto previsto per una normale “finanziaria”. E, guarda caso, il 70% dei canili è gestito dalle associazioni animaliste. Anche la legge 189 del 2004 sul maltrattamento degli animali è frutto del lavoro di lobby. Detta così, sembra una cosa santa e giusta perché si volevano contrastare i combattimenti tra cani. Ma la legge è diventata uno strumento di potere per le associazioni animaliste. E’ l’unica in tutto il mondo che consenta ad un unico soggetto di denunciare un reato (o presunto tale) , collaborare al sequestro degli animali, diventare affidataria degli stessi, costituirsi parte civile ed essere destinataria delle eventuali sanzioni. Ma le spese per le indagini, i sequestri, i processi le paghiamo noi. E sono sempre i cittadini a pagare le spese dei ricorsi ai diversi Tribunali Amministrativi Regionali contro le leggi che riguardano la caccia, i circhi, gli allevamenti. Di buone intenzioni è lastricato il pavimento dell’Inferno. E se ancora credete ai predicatori, vi meritate un dito nell’occhio.

Il Sindacato Venatorio Italiano chiede aiuto per le battaglie legali contro le lobby animaliste. La richiesta si è resa necessaria dopo che il Tribunale di Padova ha respinto la denuncia contro un leader animalista, scrive Simone Ricci su "Cacciapassione.com" il 12 dicembre 2017. Il Sindacato Venatorio Italiano ha reso nota la bocciatura di una denuncia presentata al Tribunale Ordinario di Padova contro il leader di una nota associazione animalista. SVI ha ora bisogno di tutti i cacciatori italiani, in quanto la scritta solenne “La legge è uguale per tutti” è diventata sempre più una ammonizione paradossale. La richiesta di archiviazione è un istituto del diritto processuale penale del nostro paese: gli scenari possibili sono sempre due, vale a dire l’esercizio dell’azione penale da parte del Pubblico Ministero tramite uno dei modi previsti dalla legge oppure la richiesta dell’archiviazione delle indagini. Il controllo sull’archiviazione è fondamentale per garantire l’obbligo dell’esercizio dell’azione penale. A questo punto il Sindacato ha individuato nell’opposizione l’unico strumento da sfruttare per far valere le proprie ragioni, un esercizio che è però molto costoso. SVI ha chiesto quindi aiuto ai cacciatori per sostenere in qualche modo i costi dell’opposizione, nell’attesa che “qualcuno tra i potenti possa risvegliarsi da un lunghissimo sonno”. I contributi serviranno a far proseguire le battaglie contro le lobby animaliste, ormai puntualmente impunite. Il Sindacato aveva alzato la voce anche qualche giorno fa contro un servizio del tg satirico “Striscia La Notizia”.  

LA LOBBY DEI CACCIATORI.

Il potere forte di pochi, scrive "Caccia il Cacciatore".

Norme regionali e nazionali a favore della caccia. Una vergognosa norma, l'art. 842 del codice civile mussoliniano, introdotta nel 1942 per facilitare la preparazione militare dei soldati italiani, e mai abrogata, dà ai cacciatori la possibilità di entrare armati nelle proprietà private, anche senza il consenso dei proprietari. Sicché, se uno entra in un fondo privato solo per passeggiare, può essere sbattuto fuori, se ci entra un cacciatore armato, per sparare, lo può fare impunemente. Nel 2002, carta bianca alle Regioni, con la legge d'iniziativa governativa, la n. 221, che le autorizza alla caccia a uccelli protetti dalle direttive comunitarie (passeri, storni, fringuelli e peppole).  Si tratta di una legge anticostituzionale, giacché la Costituzione attribuisce al Governo, e non alle Regioni, la competenza legislativa sull'ambiente, e quindi anche sulla caccia. Numerosi ricorsi al TAR vengono inoltrati ogni anno dalle associazioni anticaccia, per le varie norme improprie che le Regioni tentano di applicare. Regione Lazio: una proposta di legge intende autorizzare i cacciatori a sparare alla selvaggina d'allevamento per tutto l'anno all'interno delle zone dove vengono allenati i cani, nonostante questa attività sia già stata condannata in altre Regioni sia dai TAR sia dalla Corte Costituzionale. Nel 2002, una proposta di legge nazionale intende ammettere la caccia nei Parchi nazionali, nei Parchi regionali e nelle riserve naturali, con la sola esclusione delle riserve integrali. Ogni provincia non potrà avere più del 25% del territorio al riparo dalle doppiette. La fauna selvatica non sarà più patrimonio indisponibile dello stato e la fauna migratrice diverrà res nullius, roba di nessuno: si potrà cacciare anche lungo le rotte di migrazione, fino ad ora protette da una direttiva CEE del 1979. Sempre nel 2002, ben otto proposte di legge della maggioranza intendono: ampliare l'elenco delle specie cacciabili, includendovi specie anche protette dalle norme comunitarie; estendere la stagione venatoria ai mesi di agosto e febbraio, in periodi vietati dalle norme comunitarie perché interessati dalla riproduzione e dalla migrazione degli uccelli; ridurre i perimetri delle aree protette; depenalizzare i reati venatori, che oggi sono considerati invece bracconaggio, come: l'uccisione di orsi, falchi, aquile, stambecchi, l'attività venatoria fuori stagione di caccia, la caccia nei giardini urbani, la detenzione di fauna protetta.

Il potere dei cacciatori. I cacciatori sono pochi, sempre meno, ma sempre più potenti, soprattutto perché sostenuti dai produttori di armi. Meno cacciatori ci sono, minore è il giro d'affari di queste aziende, capaci solo di vendere morte. Ditte come la Beretta, o la Fiocchi (che produce proiettili) ce la mettono tutta per allargare i diritti dei cacciatori e aumentare le specie cacciabili. Gli interessi economici in gioco sono notevoli. Dai dati UNAVI, risulta che il giro d'affari annuale legato alla caccia è di 3 miliardi di euro (2002). All'Italia sono già state inflitte quattro condanne dalla corte di giustizia del Lussemburgo (una nel 1987, due del 991, una nel maggio 2002) per violazione delle direttive sugli uccelli selvatici. Ma i politici italiani (di tutti gli schieramenti), temono di più le ritorsioni della lobby dei cacciatori e il loro ricatto politico che non le condanne dell'Unione Europea. Per la caccia, l'uso del termine "sport" non è certo giustificabile. Eppure, fino a poco tempo fa la Federcaccia faceva parte del CONI (Comitato Olimpico Nazionale Italiano) allo stesso titolo dell'atletica, e riceveva da esso contributi economici. Di recente, la Federcaccia è stata estromessa dal CONI, ma solo per rientrare con un altro nome, Federazione Sportiva Armi da Caccia (FIDASC), con tanto di gare internazionali (cosa che con la Federcaccia non era possibile).

Brandelli di psicologia del cacciatore. Un punto è molto importante per capire cosa significa la presenza di 800.000 cacciatori (armati) in mezzo a noi: capire cosa è la caccia per il cacciatore. Cominciamo col leggere questo messaggio apparso il 7 maggio 2002 sul forum del sito web della LAC, Lega Abolizione Caccia: "Buonasera nemici della caccia, sono un cacciatore sfegatato e mi sembra molto giusto che nelle scuole bresciane insegnino la CACCIA. L' uomo fin dall'antichità è cacciatore ed è grazie alla caccia che è sopravvissuto. Sono contento perchè voi non riuscirete mai a chiuderla. E' una cosa troppo importante!!!!" "E' una cosa troppo importante!!!!" Con 4 punti esclamativi. Che cosa? La "CACCIA". Scritto interamente in caratteri maiuscoli. Il tono generale di queste poche righe non è quello di un appassionato, di un entusiasta ma di un esaltato. Di un esaltato a mano armata, non dimentichiamolo. Per un cacciatore la caccia non è un hobby, una passione o, come dicono loro, uno "sport", è qualcosa di molto più pervadente e viscerale: è una ragione di vita. L'atteggiamento del cacciatore più che a quello dell'appassionato, del patito, è simile a quello del tifoso ultras, quando non addirittura dell'integralista religioso.

Tragica battuta di caccia: uccise il collega solo per paura che il capriolo scappasse. Avviata la fase conclusiva dell'inchiesta giudiziaria sulla battuta di caccia conclusasi tragicamente a metà novembre dello scorso anno nelle vicinanze del villaggio di Zazid, a una ventina di chilometri da Capodistria. (...) I primi dati delle indagini hanno fatto capire che nel corso della tragica battuta di caccia il 61-enne cacciatore Ciril Miklavcic, residente a Dol, il quale si trovava a un centinaio di metri dal 32enne collega Eugen Franca, avvistato il capriolo, avrebbe sparato anzitempo ferendo mortalmente il giovane cacciatore. (Il Piccolo, 2/1/1999)

L'incidente, perfino mortale, è fatto di secondaria importanza di fronte alla caccia, anzi alla "CACCIA", perché la caccia, anzi la "CACCIA" viene prima di tutto, la caccia, anzi la "CACCIA" è al di sopra di tutto, la caccia, anzi la "CACCIA" è tutto. Chi avesse qualche dubbio può andare a guardare il sito web del parlamentare europeo Sergio Berlato. Fra gli argomenti che troverete elencati sulla home page al primo posto troverete proprio la caccia. Dopo di essa, sotto di essa, viene tutto il resto. Ma innanzi tutto la caccia. Perché per un cacciatore la caccia viene al primo posto sempre e ovunque. Anche nel supremo organismo legiferante europeo, lì dove è stato mandato per curare gli interessi dell'intera collettività, di tutti noi. E Sergio Berlato è appunto un cacciatore. Perfino gli atteggiamenti apparentemente meno deliranti denotano una simile visione abnorme della caccia. Quando nel novembre 2001 in Umbria si verificò un incidente mortale dietro l'altro, Fausto Prosperini, presidente nazionale della Federazione italiana caccia dichiarò: "Proibire la caccia? Assurdo, non si aboliscono le autostrade per via degli scontri d'auto". Si noti l'assurdità del paragone in cui la caccia viene posta, per importanza, sullo stesso piano dei servizi stradali. Qualche considerazione su quest'ultima affermazione. Non c'è dubbio che per risolvere il problema dei morti sulle strade il metodo migliore sarebbe vietare il traffico stradale. Non c'è dubbio che questa "soluzione" sia impensabile. Allo stesso modo non c'è dubbio che per risolvere il problema dei morti sul lavoro il metodo migliore sarebbe vietare qualsiasi attività lavorativa. Nuovamente, non c'è dubbio che questa "soluzione" sia impensabile. Non c'è infine dubbio che per risolvere il problema dei morti, dei feriti, dei danni al turismo e all'agricoltura provocati dai cacciatori il metodo migliore sarebbe vietare la caccia. Non c'è altrettanto dubbio che questa soluzione sia impensabile? Per un cacciatore ovviamente non c'è dubbio. Chiunque altro, chiunque non appartenga al mondo della caccia, anzi della "CACCIA" ma all'altro mondo, quello normale, quello di tutti noi, dia da sé la propria risposta. 

Maxi-multa a chi disturba i cacciatori, scrive Cristina Giacomuzzo l'11.01.2017 su "Ilgiornaledivicenza.it". Vietato disturbare il cacciatore. Possono volare multe da 600 a 3.600 euro. Questa è la prima legge dell'anno che ha votato ieri il Consiglio regionale. Oltre alle solite battute dei consiglieri sulla caccia, ormai diventata uno dei tormentoni di palazzo Ferro Fini, ieri non sono mancati i colpi, anche di artiglieria pesante, tra i protagonisti dell'eterno duello cacciatori-animalisti. Da una parte il vicentino Sergio Berlato (FdI) che ha proposto la norma. Dall'altra il trevigiano Andrea Zanoni (Pd), sostenuto stavolta anche da Cristina Guarda (Lista Moretti). L'opposizione ha dato battaglia presentando oltre 60 emendamenti. Il provvedimento è stato approvato ieri nel tardo pomeriggio dalla maggioranza di centrodestra compatta; astenuti i tosiani assieme a Franco Ferraro (Lista Moretti) e Pietro Dalla Libera (Veneto Civico). Contrari: Pd e M5s.

«DISPARITÀ». Uno dei nodi più contestati, denunciato dall'opposizione riguarda la disparità di trattamento tra «cittadini di serie A, i cacciatori e pescatori, super tutelati anche attraverso la legge ad hoc della Regione, e il resto dei veneti». La legge modifica la norma vigente regionale sulla caccia e aggiunge due articoli. Il primo. «Chiunque, con lo scopo di impedire intenzionalmente l'esercizio dell'attività venatoria ponga in essere atti di ostruzionismo o di disturbo che turbino o interrompano l'attività, sarà punito con una sanzione amministrativa». Secondo. «L'accertamento e la contestazione spetta alla polizia». Tradotto vuol dire, per esempio, che il proprietario di un campo non poteva già da ieri, per legge nazionale, bloccare l'ingresso alle doppiette nel proprio terreno. Adesso (salvo che non sia un imprenditore agricolo a tutti gli effetti) non potrà neppure impedire la caccia creando disturbo perché oltre a rischiare una denuncia penale (lo prevede la legge nazionale) può beccarsi una multa per la nuova disposizione regionale. Va registrato un tentativo di mediazione, poi fallito, per abbassare l'ammontare dell'ammenda.

LE CRITICHE E LA QUESTIONE DELLA DIFFERENZA TRA NULTE. Il grillino Simone Scarabel condanna: «Questa norma è un doppione del codice penale. Provoca una scompensazione tra due mondi che non si capiscono ed è destinato a istigare ancora di più comportamenti estremisti. Meglio ritirarla. E per evitare gli incidenti da caccia (nel 2015: 18 decessi e 71 feriti) basta una applicazione per i cellulari che avvisi della vicinanza tra cacciatori ed escursionisti per esempio». Interviene Alessandra Moretti (Pd): «L'aula è ostaggio di Berlato che punta a trattare argomenti che non rappresentano i veri problemi del Veneto come il lavoro, l'attività culturale, il turismo. Questi sono temi di cui si occupa la commissione presieduta da Berlato che fino ad oggi ha già investito fin troppo tempo solo sulla caccia». Zanoni poi ricorda altre incongruenze della norma come lo "scudo" per chi esercita un'attività agricola: «Se invece si tratta di un semplice proprietario di un orto, un pensionato che passeggia col proprio cane, o un ciclista, questi rischiano di essere multati fino a 3.600 euro di multa. Invece, il cacciatore che viene trovato in fallo a sparare in luoghi dove non è concesso è multato solo con 400 euro. Una disparità anche sulle sanzioni». LA REPLICA DI BERLATO. Berlato però demolisce: «Zanoni potrebbe essere uno dei fratelli Grimm. Qui sento favole non fatti. La legge sul disturbo venatorio vuole punire solo chi intenzionalmente e illecitamente ostacola la caccia e la pesca con azioni violente. La sanzione amministrativa non si va a sommare, ma è alternativa all’erogazione di sanzioni penali. E a chi mi rimprovera di tenere in ostaggio il Consiglio sulla tematica della caccia, ricordo che la mia commissione ha licenziato 113 provvedimenti, di cui solo otto sulla caccia».

Caccia: vince la lobby dei cacciatori. Zanoni: “Sanzioni spropositate. E’ Zaia che promulga le leggi, lui è il primo responsabile”, scrive il 10 gennaio 2017 "Bellunopress.it". “Non c’è stata la minima apertura da parte della maggioranza, che ha bocciato tutti i miei emendamenti a tutela di agricoltori, proprietari di terreni, sportivi, ciclisti, escursionisti e cercatori di funghi. Inspiegabilmente questa maggioranza continua ad essere ostaggio e prigioniera di un consigliere che rappresenta il mondo venatorio più estremista, e minoritario, del Veneto”. È quanto afferma Andrea Zanoni del Partito Democratico al termine dei lavori in aula sul pdl 182, attaccando Berlato e chiamando in causa direttamente il presidente Zaia. “È Zaia che promulga le leggi ed è lui il primo responsabile di questo provvedimento che sancisce la depravazione e la deriva in materia venatoria. La Lega ha votato contro il diritto dei proprietari di decidere cosa fare nei loro terreni, bocciando un emendamento che avevo presentato a loro tutela. Con che faccia si presenterà poi agli elettori? Queste sono sanzioni spropositate, vessatorie e intimidatorie, creano cittadini di serie A e di serie B, punendo 10 volte tanto chi usa la voce per difendersi dagli abusi rispetto a chi abusa delle armi. I cittadino veneti che verranno sanzionati – chiude Zanoni – vadano a lamentarsi direttamente da Zaia”. “Una legge inutile e sbagliata che va a sanzionare chi potrebbe impedire l’attività venatoria. Non sono certo queste le emergenze dei veneti ed è assurdo che ancora una volta l’aula debba essere ostaggio del consigliere Berlato”. Lo affermano Andrea Zanoni, consigliere del Partito Democratico e Cristina Guarda della lista AMP, commentando il progetto di legge 182 “Norme regionali in materia di disturbo all’esercizio dell’attività venatoria e piscatoria”. “C’è già il codice penale per punire comportamenti estremi, che in Veneto non si sono mai verificati come testimonia la mail-autogol del consigliere Berlato, mentre qua si vuole approvare un provvedimento che va a colpire in maniera pesante un elenco lunghissimo di soggetti, per favorire una piccola lobby i cui interessi vengono portati a valore assoluto. Abbiamo presentato numerosi emendamenti per tutelare i proprietari terreni, chi svolge attività ricreative o sportive all’aperto e anche le stesse guardie venatorie, messe a rischio da un provvedimento sbagliato, pericoloso e probabilmente illegittimo. Non dimentichiamo che c’è già una sentenza, la 6309 del 10 maggio 2005, del Tribunale di Milano, che ha annullato le sanzioni comminate sulla base di una Legge simile della Lombardia, facendo prevalere il diritto di riunirsi in maniera pacifica e manifestare liberamente il proprio pensiero, garantito dagli articoli 21 e 17 della Costituzione”.

Incidente di caccia, Wwf: «Tra morti e feriti è ecatombe», scrive il 21 dicembre 2017 10:16 "Il giornaledelcilento.it". Ogni anno alla fine della stagione venatoria si contano oltre un centinaio di vittime “umane”. L’ultimo omicidio della caccia risale a pochi giorni fa (18 dicembre) a Sala Consilina, nel Salernitano, dove un cacciatore ha ucciso il fratello di 34 anni, scambiandolo per un cinghiale. Dopo la morte del giovane cacciatore i Verdi della Campania hanno chiesto di chiudere la caccia: "Assurdo morire così nel 2017. Continuiamo a sprecare soldi ed energie per gente che ancora si diverte a sparare agli animali. Il prossimo Parlamento vieti la caccia in tutta Italia”. Non sempre i cacciatori si sparano tra di loro: tra i “fucilati” all’improvviso, senza colpa o diritto di replica, anche un cercatore di funghi, un bambino, una nonna, il ciclista di passaggio, l’anziano che raccoglieva castagne nel bosco o i bambini che giocavano in cameretta con la finestra aperta. Tempo fa fece scalpore l’omicidio di un prete, accampato con i ragazzi della parrocchia in un bosco e freddato all’alba perché scambiato per il solito ungulato. Secondo le statistiche dell’Associazione Vittime della Caccia al 31 ottobre sono 44 le VITTIME di armi da caccia e cacciatori, (4 i morti e 7 i feriti tra i non cacciatori, tra cui una bambina), 27 i feriti 17 i morti in totale. A questi vanno aggiunti gli incidenti da novembre ad oggi: altre 19 vittime (morti e feriti) a causa di detonazione di armi da caccia e/o ad opera di cacciatori. Totale: 63 vittime e siamo nel pieno della stagione venatoria. “Ci fosse un TG che ne parla - dichiara Claudio d’Esposito del WWF Terre del Tirreno -  l'unico è stato Edoardo Stoppa con Striscia la Notizia … e poi la recente puntata di “Indovina chi viene dopocena” su RAI3 che ha scatenato l’ira compatta di tutte le associazioni venatorie. Ma tutti gli altri non se la sono sentita di "sparare" sulla lobby dei cacciatori ... rei di tante (troppe?) distrazioni nella mira, con morti e feriti all'ordine del giorno! Di solito tali fatti (omicidi colposi) vengono derubricati come “incidenti possibili” della caccia e se ne legge in blog e cronache locali. E’ una cosa gravissima!!!Poi ci sono i danni al patrimonio naturale. In oltre 30 anni di operazioni antibracconaggio col WWF ne abbiamo viste tante … troppe!!! Tra uccisioni, ferimenti e abbattimento di specie protette è un vero schifo. L’ultimo rapace recuperato dai volontari del WWF, una stupenda Poiana, è stata impallinata sulle colline di Moiano, in piena Area del Parco Regionale dei Monti Lattari. La Poiana ha un’apertura alare di oltre un metro e non è possibile confonderla con specie cacciabili. Assieme alla poiana i volontari del WWF in penisola sorrentina hanno documentato, da inizio mese, ben 6 rapaci protetti morti e feriti a causa della caccia.”

Ai “prevedibili” danni alla Natura si aggiungono le fucilazioni di umani. Le più pericolose sono le battute di caccia al cinghiale: si spara con fucili potentissimi a “palla unica” con una gittata di 1,5 chilometri e ad altezza d’uomo. Tale situazione è da sempre esistita ma solo oggi, grazie ai nuovi mezzi di comunicazione, emergono dati mai considerati prima. “Ci vogliono maggiori controlli e più stringenti sulle licenze e soprattutto a distanza più breve con l'avanzare dell'età - aggiunge Piernazario Antelmi delegato del WWF Campania -  andrebbe rivista la durata delle licenza di caccia per le persone anziane che dura 6 anni. La patente auto agli anziani viene rinnovata praticamente di anno in anno, mentre un 80enne può andare tranquillamente in giro col fucile fino a 86 anni senza subire controlli? Siamo il paese delle barzellette. Dei colleghi del WWF hanno trovato in un capanno di caccia nel bresciano un 92enne che naturalmente aveva abbattuto un uccello protetto ... ci vedeva poco ed era malfermo: vi sembra razionale rinnovare a un tizio del genere la licenza fino a 98 anni? Anche il tizio fermato di recente dalle guardie WWF a Massa Lubrense era un anziano che si era dimenticato che il giorno in cui è stato beccato la caccia era chiusa … ma si era anche dimenticato di pagare le tasse e l’assicurazione venatoria e del fatto che la caccia con i fonofili e su zone percorse dalle fiamme fosse vietata! Di certo tutti quei cacciatori che "colposamente" hanno colpito cose e persone, sbagliando il bersaglio, evidentemente non sono questi geni della balistica o hanno problemi con la vista? Eppure per andare in auto ci obbligano a non bere, mettere le cinture, fare attenzione alla nebbia, non parlare al cellulare, ecc. non vedo perchè tanto astio e opposizione da parte dei "seguaci di Diana" quando si parla di voler ridurre gli incidenti mortali durante la pratica dello sport (?) più pericoloso che c'è ... ahimè ... non solo per chi lo pratica!”. Spesso accade che si conceda fucile e porto d'armi a personaggi che piuttosto che cacciatori si manifestano tutt'altro. Se poi c'è chi spara senza porto d'armi, o con fucili a matricola abrasa (vedi Monte Comune, Faito e paraggi) e allora la situazione è ancora più drammatica. A chi spetta il controllo di costoro? In Sicilia di recente sono stati sottoposti ad esame numerosi cacciatori e diverse guardie venatorie appartenenti ad associazioni ambientaliste. La cosa che ha fatto discutere è stata la "differenza" di esame per le due categorie: esame orale con molto tempo a disposizione per i neo-cacciatori e quiz blindati con pochi secondi per decidere per i futuri-controllori. “E mentre dissertiamo sulla caccia e i suoi “limiti e danni” – conclude Claudio d’Esposito - i fonofili ogni primavera echeggiano sui monti, il martedì e il venerdì qualcuno armato di fucile continua a sparare, anche su aree percorse di recente dalle fiamme, le reti vengono issate, i cardellini catturati e venduti sul mercato clandestino, i pallini rimbalzano sulle case, chi protesta viene minacciato: a Sant’Agata dopo aver protestato per i pallini che hanno colpito prima il padre e poi il figlio, un’intera famiglia è stata sequestrata con un catenaccio messo al cancello di casa da un bracconiere “incazzato per le reiterate denunce” fatte ai carabinieri. La verità è che si è forzata la mano riuscendo ad ottenere un controllo quasi inesistente dell'attività venatoria. Se questa non è anarchia? Quotidianamente riceviamo al WWF segnalazioni di atti di bracconaggio reiterati e continui e spesso arroganti e violenti ai danni di cittadini inermi, ma oltre ad un pugno di uomini, volontari WWF ed ex-Forestali con i quali lavoriamo da sempre, non sembra ci siano tutte queste guardie venatorie attive e sensibili sulle tracce di tali cacciatori erranti? E cosa dire della vigilanza affidata proprio alle associazioni venatorie? Sarebbe interessante conoscere quanti e quali verbali e/o sequestri siano stati redatti in penisola sorrentina negli ultimi 10 anni? Infine sarebbe ora che le associazioni venatorie si decidessero a mettere alla porta i vari bracconieri che affollano le file dei possessori di licenza di caccia!”.

Il potere della lobby dei cacciatori, scrive su "Il Mattino (Salerno)" il 17 luglio 2017 Francesco Maria Mantero. Spesso i giornali riportano notizie su incidenti di caccia in cui, spesso si registrano vittime umane. Leggo le date delle notizie e resto allibito. Aprile, maggio, giugno... Ma se la caccia è chiusa da fine gennaio! Non si scrive che cacciare fuori dei tempi previsti e spesso all'interno di aree protette si chiama bracconaggio e può costituire un reato dai risvolti penali. È gravissimo che si uccidano animali in fase riproduttiva, si smercino carni senza controlli sanitari e si espongano turisti e amanti (veri) della natura a rischi mortali da parte di pallottole vaganti. I politici fanno di tutto per accontentare i cacciatori: aperture anticipate e chiusure posticipate, abbattimenti selettivi di tante specie animali e tentativi di aprire alla caccia anche parchi e riserve naturali, dopo aver demolito i corpi di vigilanza, instaurando un regime di caccia permanente ed effettiva per tutto l'anno. Le lobby sono potenti e quella dei cacciatori lo è particolarmente. È recente la notizia che i cinghiali in Veneto potranno essere cacciati con il fucile a pallettoni oppure con arco e freccia senza alcun limite temporale. Non è quindi necessario sottostare al calendario venatorio, ma sarà possibile organizzare battute dodici mesi all'anno. Non è una concessione per deliziare gli amanti della doppietta, ma un piano di controllo del cinghiale, giacché negli ultimi dieci anni c'è stato un moltiplicarsi fuori controllo di questi animali in tutto il Veneto e in particolare nel parco dei Colli Euganei. Tempo fa passavo l'estate in Maremma, dove al cinghiale si spara da piattaforme su gli alberi, molto pericolose. 

La politica soccombe ai cacciatori, scrive richiamo della foresta blogautore su "la Repubblica.it" il 2 settembre 2017. Chi ha paura dei cacciatori? Gli animali di certo, ma pure la nostra intera classe politica. Tanto da arrivare, per favorire gli interessi di una piccolissima e accanita lobby, a contravvenire alle leggi nazionali e agli accordi internazionali, a calpestare il buon senso e l’opinione pubblica. In cambio di una manciata di voti le regioni italiane stanno facendo carta straccia del parere dell’Ispra-Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, che decreta la grave emergenza in cui volgono i nostri ecosistemi, e indica di sospendere alcuni tipi di caccia e rinviarne altri con forti limitazioni. Impossibile ottenere una spiegazione nel merito di tale inadempienza da parte, per esempio, di governatori come Nicola Zingaretti per il Lazio o di Rosario Crocetta per la Sicilia. Benché presiedano due fra le regioni più massacrate da caldo, mancanza d'acqua e incendi, i cacciatori locali si sono visti accordare persino le giornate di preapertura. Altrettanta mancanza di considerazione è stata universalmente riservata alla circolare del ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti, a quanto pare troppo timido per tutelare la fauna selvatica (quel patrimonio indisponibile dello Stato affidato al suo dicastero) vietando per quest’anno la caccia attraverso il legittimo strumento di un’ordinanza contingibile urgente ai sensi dell’articolo 8 della legge 59/1987, o esercitando i poteri sostitutivi. Ancora più sconcertante il silenzio del premier Gentiloni, al cui senso di responsabilità si appellano da settimane associazioni protezionistiche e singoli cittadini, chiedendo la concessione di una tregua alla natura vessata da un inverno estremamente rigido, quindi da temperature estive elevatissime, siccità e roghi. Mutismo poi dei parlamentari sia di destra che di sinistra, con rare eccezioni fra cui la senatrice Sel Loredana De Petris. Indifferenza anche da parte degli esponenti M5S, che in fase elettorale sono sempre tanto vegani e animalisti, se si esclude la mozione per un anno di moratoria della caccia depositata a fine luglio dal parlamentare Paolo Bernini. Ugualmente inefficaci le pasionarie animaliste selezionate dalla politica, dalla Brambilla alla Prestipino, che hanno diramato comunicati tardivi e non incisivi, vedi un appello alle regioni di venerdì pomeriggio, a 12 ore dagli spari. Cosicché appare sempre più chiaro che le eventuali buone intenzioni non trovano sponda nei movimenti di appartenenza, e rimangono solo, per usare una metafora purtroppo in tema, specchietti per le allodole. “Siamo rammaricati e sbalorditi nel prendere atto della mancanza di attenzione che il Governo Gentiloni ha riservato alla nostra richiesta in favore di animali, ambiente e persone. Benché oggi abbiano preso tristemente il via le preaperture della stagione venatoria 2017/2018 seguitiamo a chiedere un intervento responsabile affinché animali e habitat possano godere di una tregua di un anno” dicono Enpa-Ente nazionale protezione animali, Lav, Lipu-Birdlife Italia e Lac che seguitano a rivolgere appelli allo Stato, e finanche, assieme alla Lndc-Lega nazionale per la difesa del cane, hanno indirizzato una lettera aperta ad associazioni venatorie e cacciatori in cui si invocava, invano, una presa di posizione intelligente. “Vorrei ricordare che la caccia non è un diritto né tantomeno un dovere” ricorda Piera Rosati, presidente Lndc: “si tratta di una concessione, nel merito di un patrimonio pubblico qual è la fauna selvatica. Cacciare è il crudele intrattenimento di seicentomila individui, meno dell’uno per cento della popolazione italiana. E’ vergognoso che per garantire il loro ripugnante divertimento si ignorino le leggi e i principi di una nazione”.  E questa sinistra evidenza, che in tanti – inclusi i personaggi della cultura e dello spettacolo - si permettono di ignorare perché all’apparenza riguarda la vita di altri, colpisce le basi della democrazia rivelando una classe politica autoriferita, irresponsabile, incurante delle leggi, dell’opinione pubblica, dei valori condivisi. In altre parole, pericolosamente simile a una dittatura: oggi tocca agli animali, domani a noi?

Uccelli da richiamo, la vergogna del Pd subalterno alla lobby dei cacciatori, scrive il 24/07/2014 su "Huffingtonpost.it" Fulvio Mamone Capria, Presidente LIPU-Birdlife Italia. Bisogna innanzitutto ricordare ai lettori cosa è accaduto: in Commissione congiunta Ambiente e Industria del Senato della Repubblica, con 22 voti a favore e 18 contrari (tutto il PD, tranne la sen. Laura Puppato, ha votato a favore) è stato approvato un emendamento "illeggibile" e "incredibile" che non risponde a quanto l'U.E. chiedeva all'Italia in materia di infrazione per la cattura con le reti di "richiami vivi". Un provvedimento assurdo e inaccettabile che tenta altresì di aggirare l'ostacolo creando un caos normativo "ben studiato" su tutta la materia in questione, con passaggi legislativi confusi tipici della vecchia Repubblica. Il problema è che questi uccelli migratori ora continueranno ad essere nascosti nei garage, nei sottoscala, al buio, al freddo, nello sporco. Uccelli nati in libertà e catturati per renderli prigionieri. Una barbarie infinita, che continuerà! Non è colpa della LIPU, né delle centinaia di migliaia di persone che hanno sottoscritto le petizioni per fermare l'uso dei "richiami vivi" nella caccia se l'Europa ci farà pagare una pesante multa per infrazione alla normativa europea. Non è colpa di Laura Puppato, senatrice coerente del Partito Democratico unica a votare contro la cattura dei migratori, se il suo gruppo in Commissione Ambiente (congiunta con quella Industria) ha favorito la lobby delle tradizioni medioevali: quelli che da veri snob vanno a caccia con qualche decina di merli e tordi prigionieri in gabbie/celle luride e puzzolenti per abbattere con più facilità i consimili. Una caccia definibile da vigliacchi. È colpa di Matteo Renzi se il suo partito non ha una linea progressista, riformista, innovativa, coerente con la tutela della biodiversità e il rispetto degli animali selvatici. È anche colpa di Luigi Zanda, capogruppo dei senatori del PD, se il suo gruppo presenta e vota emendamenti capestro, con inutili sotterfugi e parole studiate a tavolino e suggerite dalla lobby venatoria, che non risolvono il contenzioso comunitario ma, anzi, favoriscono la pratica della caccia con i richiami nel nostro Paese. Sarà colpa, sicuramente, del PD se allontanerà i cittadini dalle istituzioni, perché sarà accusato di essersi trasformato nella "casa del cacciatore fraudolento" lasciando fuori la porta la Nazione civile ed europeista che ha creduto di recente nel messaggio riformista del premier e di chi lo ha preceduto. È arrivata però l'ora di decidere. Non vogliamo che in Italia si parli solo di riforma costituzionale, di Costa Concordia, di elezioni, di crisi economica. Noi desideriamo che il Presidente del Consiglio e capo del PD ci rassicuri sulla fauna, sull'ambiente, sui parchi, sul paesaggio, su quel punto di Pil di bellezza che l'Italia ha nel suo scrigno di nazione ricca di biodiversità che va tutelata, non distrutta. O si sta in Europa abbandonando pratiche vecchie, becere, brutali, violente, e si sposa il rispetto per gli esseri viventi, o si dice chiaramente al cittadino-elettore che di natura, rispetto degli animali, al PD non interessa niente. Ora basta, siamo stufi di vedere il partito di maggioranza - che si definisce "democratico" - così lontano dalla maggioranza del Paese, che fa accordi con una minoranza di cacciatori e uccellatori. Se qualcuno "autorevole" vorrà degnarci di una risposta saremo pronti ad accogliere le voci di tutti.

Soldi alla caccia, anche il segretario della Lega dice stop: «Troppi». Da Re si schiera con Donazzan. Ma Forcolin: «Già dimezzati», scrive il 20 dicembre 2017 "Il Corriere della Sera”. Acque agitate, in consiglio regionale, all’indomani delle critiche affidate a Facebook dall’assessore al Lavoro Elena Donazzan, contraria all’idea che altri fondi siano dirottati per il tramite del Collegato sulle associazioni dei cacciatori come chiesto dal capogruppo di Fratelli d’Italia Sergio Berlato, paladino delle doppiette venete. «Bilancio esangue? Certo, finché non avremo maggiore autonomia - ha scritto Donazzan -. Ma poi la rabbia esplode quando vengo a sapere che ci sono emendamenti che darebbero 700 mila euro alle associazioni venatorie per fare formazione, educazione, cultura. O forse campagna elettorale?».

Le critiche. Alcuni consiglieri della Lega, chiusi nelle stanze di Palazzo Ferro Fini, contestano la «libertà di manifestazione del pensiero» concessa dal governatore Luca Zaia al suo assessore, «una libertà di cui nessun altro può godere, né in giunta né tanto meno in consiglio e che crea disagio tra gli alleati mettendoci in difficoltà». Assessore e governatore non si sono sentiti e il vice di Zaia, Gianluca Forcolin, prova a gettare acqua sul fuoco, riconducendo tutto alla tenzone infinita tra Donazzan e Berlato: «La cifra non sarà quella chiesta dal capogruppo di Fratelli d’Italia - dice Forcolin - ma la metà, circa 350 mila euro a cui si aggiungeranno 100 mila euro per il software dedicato alla gestione della mobilità venatoria. Si tratta di soldi provenienti dalla tassa di concessione pagata dai cacciatori, circa il 10%. Lo stesso avviene da anni con i pescatori, attraverso il Tavolo Blu e nessuno ha da ridire». Il capogruppo della Lega Nicola Finco fa sfoggio di realpolitik («Ci sono sempre “altre priorità” ma in una logica di maggioranza vanno considerati anche gli equilibri interni») ma il suo segretario, Gianantonio Da Re, si schiera con Donazzan: «Avevo avvertito i miei, a quanto pare non mi hanno ascoltato. Non sarà semplice spiegare fuori dal Palazzo che in un momento in cui si taglia tutto, a volte perfino il Sociale, vengono trovate centinaia di migliaia di euro per non meglio precisati progetti di promozione e comunicazione dei cacciatori».

Il parere di Berlato. Berlato, che in molte solitarie iniziative pro-caccia può contare sul convinto appoggio dei leghisti vicentini (nella provincia berica la lobby delle doppiette è fortissima), tira dritto: «Ogni cacciatore paga ogni anno 173 euro allo Stato e 84 euro alla Regione. Si tratta di utilizzare una parte ridottissima di queste tasse per iniziative contro il bracconaggio, che stanno a cuore ai cacciatori perché i bracconieri ne ledono l’immagine, e per un aggiornamento delle regole che cambiano di continuo. Tutti i progetti, ovviamente, saranno rendicontati fino all’ultimo centesimo». E lo scontro con Donazzan? «Donazzan chi? Il suo assessorato può contare su un budget di 194 milioni. E il problema sono 350 mila euro?». 

Dalla caccia alla scienza. Attività venatoria, danni all’agricoltura e gestione degli ecosistemi, scrive Massimo Tettamanti su "Caccia il Cacciatore".   L’incremento demografico [del cinghiale] registrato negli ultimi anni, dovuto soprattutto a immissioni a scopo venatorio, pone seri problemi agli ecosistemi” La vita segreta del bosco (De Agostini, Novara, 2004).

Introduzione. Esiste un’attività che ogni anno uccide, nella sola Italia, parecchie decine di persone, e molte altre ne lascia mutilate o sfigurate. Che diffonde nelle campagne e sui prodotti agricoli immense quantità di una sostanza responsabile di gravissime intossicazioni. Che ha portato all’estinzione di più di duecento specie di mammiferi e uccelli, e che minaccia la sopravvivenza di altre quattrocento. Quest’attività, del tutto legale e anzi oggetto di generose sovvenzioni da parte dello Stato e degli enti locali, è la caccia. Anche le persone in linea di principio contrarie a essa spesso non riescono neppure a immaginare quanto sia dannosa; i danni della caccia riguardano infatti territori talmente estesi, e fenomeni così complessi, che per averne una visione d’insieme è necessario riunire un’enorme quantità di dati, e analizzarli con gli strumenti più sofisticati delle moderne metodologie scientifiche, dalla valutazione d’impatto ambientale all’ecologia delle popolazioni. In queste pagine ci concentreremo soltanto su un aspetto della nocività della caccia: il suo impatto devastante sulle popolazioni animali. Gli altri danni sono oggetto di trattazione approfondita in altri documenti.

Il mito della caccia sostenibile. Dopo l’introduzione delle armi da fuoco, che hanno dato inizio alla caccia come oggi la conosciamo, si sono estinte sul pianeta più di 200 specie di mammiferi e uccelli; più di 400 sono attualmente minacciate di estinzione. Questi dati allarmanti hanno indotto gli scienziati a studiare l’azione della caccia sulle popolazioni animali: il loro obiettivo era elaborare strategie capaci di conciliare gli interessi dei cacciatori con la conservazione delle specie selvatiche. Questo lavoro, durato diverse decine di anni, non ha dato risultati: tutte le teorie elaborate allo scopo di sostenere la compatibilità tra caccia e conservazione dell’ambiente naturale e delle specie selvatiche si sono dimostrate infondate. Esamineremo ora brevemente i tre principali gruppi di teorie favorevoli alla caccia; potremo così renderci conto, in una prospettiva lucidamente scientifica, di come ogni forma di caccia, anche severamente regolamentata, abbia necessariamente un impatto devastante sia sugli ecosistemi che sulla sopravvivenza delle specie animali.

1. La teoria dell’eccedenza. Questa teoria parte dall’ipotesi che in ogni popolazione animale esista una “eccedenza” che è possibile eliminare senza minacciare la sopravvivenza della popolazione stessa. Quest’eccedenza è costituita dagli individui che non arrivano a riprodursi e che quindi non contribuiscono alla conservazione della popolazione. Il punto chiave di questa teoria è l’ipotesi che le uccisioni dovute alla caccia non incidano sul numero di animali in grado di riprodursi. Ovviamente quest’ipotesi è sostenibile soltanto se si ammette che gli animali uccisi dai cacciatori siano gli stessi che cadrebbero vittime della mortalità naturale. Purtroppo le cose non stanno affatto così. La mortalità naturale, che sia dovuta a malattie o all’azione di predatori, colpisce in genere gli individui vecchi, malati o comunque deboli mentre la mortalità dovuta alla caccia non fa distinzione tra giovani e vecchi o tra sani e malati: la grande maggioranza degli animali uccisi dai cacciatori sono individui giovani e in buona salute; la loro perdita va ad aggiungersi a quella degli individui anziani e malati, che muoiono per cause naturali. Questo aumento della mortalità distrugge l’equilibrio delle popolazioni selvatiche e le spinge verso l’estinzione. Ma come è potuta nascere l’idea che la mortalità dovuta alla caccia compensasse quella naturale? Si tratta di un’interpretazione scorretta di un fatto comunemente osservabile: quando in una zona una specie viene decimata dai cacciatori, altri individui della stessa specie si spostano verso quell’area, dove la densità della popolazione è diventata minore e dove quindi è diminuita anche la competizione per il cibo e il territorio. È questo afflusso di nuovi individui da zone limitrofe a creare l’impressione che le popolazioni di animali selvatici restino costanti nonostante le gravissime perdite causate dalla caccia.

2. La teoria della curva sigmoide. Una seconda teoria elaborata allo scopo di affermare la sostenibilità ecologica della caccia è la cosiddetta teoria della curva sigmoide, che studia i meccanismi di accrescimento delle popolazioni selvatiche. La crescita di una popolazione animale non è mai illimitata perché viene condizionata da fattori ambientali come ad esempio la disponibilità di cibo. In un ambiente naturale le popolazioni animali non si accrescono né diminuiscono ma sono in uno stato di equilibrio dove la natalità compensa la mortalità. Se una popolazione in stato di equilibrio viene cacciata la mortalità comincerà a superare la natalità, e questo avrà come conseguenza una diminuzione della densità della popolazione; questo renderà disponibili maggiori risorse ambientali, per cui la crescita della popolazione potrà riprendere, e la popolazione risalirà di nuovo verso il punto di equilibrio. In teoria sembrerebbe una soluzione perfetta. Purtroppo decenni di studi condotti su specie selvatiche in tutto il mondo hanno dimostrato che quando una popolazione di animali viene cacciata il suo punto di equilibrio si sposta a un livello che è circa la metà di quella che sarebbe se non venisse cacciata. Ma una popolazione dimezzata diventa debole e vulnerabile: se la sua consistenza scende accidentalmente al di sotto di un minimo (come può facilmente avvenire, ad esempio, per un’epidemia) essa può diminuire fino all’estinzione. Anche gli ecosistemi vengono drasticamente squilibrati dalla riduzione numerica di una singola popolazione: all’improvviso i suoi predatori non trovano più niente da mangiare e vanno anch’essi verso l’estinzione. Alla luce di queste considerazioni non è sorprendente che tante specie si siano estinte a causa della caccia, e che un numero ancora maggiore sia minacciato di estinzione oggi.

3. La teoria della predazione La terza teoria che afferma la possibilità di una caccia ecologicamente sostenibile è la teoria della predazione. Secondo questa teoria, con la scomparsa dei grandi predatori le specie di cui essi si nutrivano sarebbero soggette a un accrescimento incontrollato e pertanto dannoso per gli ecosistemi. Questa teoria, a differenza della teoria dell’eccedenza e analogamente alla teoria della curva sigmoide, ammette che la caccia è causa di una riduzione nelle popolazioni di animali selvatici ma, a differenza della teoria della curva sigmoide, considera questa riduzione non dannosa ma benefica per l’ecosistema. La teoria della predazione si basa su due premesse. La prima è che una popolazione animale, lasciata a se stessa, possa accrescersi in maniera incontrollata. Ma, come abbiamo visto quando abbiamo esaminato la teoria della curva sigmoide, la crescita di qualsiasi popolazione è limitata non soltanto dalla presenza di predatori ma anche da fattori ambientali. Questa prima premessa è dunque infondata. La seconda premessa è che i predatori naturali e i cacciatori esercitino su una popolazione animale un’azione simile. Anch’essa è del tutto insostenibile: il modo di operare dei predatori naturali è completamente diverso da quello dei cacciatori. Infatti i predatori si trovano a “competere” con le proprie prede sul terreno della forma fisica e pertanto eliminano gli individui più deboli; i cacciatori invece uccidono in maniera indiscriminata. Inoltre, il numero delle prede disponibili limita il numero dei predatori presenti su un territorio: il risultato è una situazione di equilibrio. Ma il numero dei cacciatori operanti in un territorio non viene in nessun modo influenzato dalla disponibilità di prede, per cui è perfettamente possibile che una specie venga cacciata fino all’estinzione. E infatti, come abbiamo visto, le specie portate all’estinzione dalla caccia sono state diverse centinaia nel corso di soli quattro secoli.

La realtà della caccia e i suoi effetti. Abbiamo visto che, anche se la caccia si svolgesse in maniera pianificata e razionale, sarebbe comunque incompatibile con la conservazione dell’ambiente e delle popolazioni animali. Ma la realtà della caccia ha ben poco in comune con la pianificazione e la razionalità. Ed è proprio sulla maniera aberrante in cui la caccia viene praticata oggi in Italia che ci concentreremo adesso. Se la caccia fosse un’attività basata su criteri razionali, i dati scientifici disponibili sulle popolazioni di animali selvatici dovrebbero determinare la scelta delle specie cacciabili, la delimitazione dei periodi di caccia e l’entità del prelievo venatorio: permettere la caccia senza disporre di stime precise sul numero e le specie di animali presenti in una determinata zona è come firmare assegni senza preoccuparsi di controllare se si hanno soldi sul conto. Ma in realtà le conoscenze scientifiche sulle popolazioni selvatiche non hanno alcuna influenza sulla regolamentazione della caccia nel nostro paese, che è determinata unicamente dall’influsso delle lobbies venatorie. Di fatto le normative sulla caccia trascurano non solo i fattori scientifici, ma anche il semplice buon senso. Basta pensare alla questione dei cosiddetti carnieri: per salvaguardare specie considerate “a rischio” viene posto un limite al numero di animali che possono essere uccisi. Ora, un semplice calcolo basato sulle normative in vigore e sul numero di cacciatori attivi dimostra che, per le specie per cui sono previsti dei limiti, il numero di animali abbattibili supera quello degli animali effettivamente esistenti. È più o meno come fissare per il traffico autostradale un limite di velocità di cinquecento chilometri l’ora.

La farsa delle “specie protette”. Come in tutti i paesi, anche in Italia alcune specie a rischio di estinzione sono protette dalla caccia; il numero di queste specie è molto piccolo, e l’Italia ha subito per questo motivo numerosi richiami dall’Unione Europea; ma il problema vero è un altro. Non è possibile limitare la caccia a determinate specie se i cacciatori, prima di sparare, non sono in grado di distinguere gli animali di una specie da quelli di un’altra. Se però si considerano le condizioni in cui viene normalmente esercitata la caccia ci si rende subito conto che questo è praticamente impossibile: un cacciatore che esce all’alba di una giornata nebbiosa o si apposta in un capanno da cui la visibilità è molto limitata, se vuole portare a casa qualcosa non ha altra scelta che sparare letteralmente a tutto quello che si muove; questa è del resto l’origine dei frequentissimi incidenti che ogni anno nel nostro paese durante il periodo di caccia causano la morte o l’invalidità di centinaia di esseri umani. Per gli animali le cose non vanno certo meglio: i centri di soccorso ad animali selvatici accolgono ogni anno molte migliaia di animali di specie protette gravemente feriti dai cacciatori; molti di più restano semplicemente ad agonizzare in un campo. E non si tratta solo di incidenti: un’indagine condotta tra i tassidermisti di varie città italiane ha rivelato che tra gli animali che più comunemente vengono imbalsamati ci sono uccelli di specie rare e protette. Le scuse presentate dai cacciatori a cui vengono contestate le infrazioni sono particolarmente istruttive: un cacciatore che aveva abbattuto una cicogna bianca (specie rarissima in Italia) si giustificò affermando di averla scambiata per un gabbiano; peccato che anche il gabbiano sia una specie protetta!

Come uccide la caccia. Non si deve pensare che gli animali colpiti dagli spari (in Italia centinaia di milioni ogni anno) siano le sole vittime della caccia. Al contrario, l’impatto delle doppiette è molto più ampio, e coinvolge intere popolazioni animali, a qualunque specie appartengano. Basta pensare a quello che succede in una normale giornata di caccia: al primo sparo tutti gli animali fuggono per lo spavento e si nascondono, restando nascosti anche per molte ore. Ma moltissimi animali, soprattutto d’inverno, hanno bisogno di cercare cibo praticamente senza interruzioni; la caccia impedisce loro di mangiare. In casi estremi ma non rari, la conseguenza è la morte per fame; ma anche gli animali che in qualche modo riescono a sopravvivere rimangono più deboli: le popolazioni animali che vivono nelle regioni in cui la caccia è permessa sono più soggette a malattie epidemiche, e meno capaci di riprodursi. Altrettanto devastanti sono le conseguenze psicologiche: è noto che alci e caprioli muoiono anche di crepacuore durante l’inseguimento. Un altro fattore di distruzione legato alla caccia è l’inquinamento da piombo. Questo metallo velenosissimo contamina le falde acquifere e i prodotti agricoli, e avvelena in massa gli animali selvatici. Si calcola che in Italia i cacciatori sparino ogni anno circa 700 milioni di cartucce diffondendo così nell’ambiente circa venticinquemila tonnellate all’anno di una delle sostanze più tossiche della Terra, che, sotto forma di piccolissimi pallini, viene a mescolarsi al cibo consumato dagli animali. L’avvelenamento che ne consegue è lento e atroce. Nello stomaco della selvaggina uccisa vengono comunemente ritrovati pallini di piombo: da questo si può capire che la diffusione dell’avvelenamento da piombo è altissima e, visto che il piombo disperso nell’ambiente aumenta ad ogni stagione di caccia e non viene mai smaltito, è destinata certamente ad aumentare.

La beffa del ripopolamento. Di fronte a questo scenario di distruzione è naturale porsi una domanda: Come possono le popolazioni animali resistere a questa guerra su tutti i fronti? Come fanno a esistere ancora animali vivi da cacciare? La risposta è che non ne esistono praticamente più. Tuttavia gli enti pubblici vengono incontro ogni anno alla smania di uccidere dei cacciatori con massicce campagne di ripopolamento che coinvolgono decine di milioni di animali e hanno costi molto ingenti. Ma l’impatto negativo del ripopolamento non è soltanto economico: gli animali da ripopolamento, a causa delle condizioni in cui vengono allevati, sono portatori di malattie diffuse negli allevamenti e sconosciute presso le popolazioni selvatiche, che quindi cadono spesso vittime di epidemie. Inoltre, data la difficoltà di far riprodurre gli animali selvatici in cattività, i ripopolamenti tendono ad essere effettuati con specie simili ma non identiche a quelle naturalmente presenti in un ecosistema, la maggior parte delle quali sono il risultato di ibridazioni tra specie selvatiche e domestiche. Il ripopolamento rappresenta dunque una fonte devastante di inquinamento del patrimonio genetico delle specie selvatiche e in genere una minaccia per l’ambiente. Uno dei casi più seri è quello del cinghiale: il cinghiale da ripopolamento è un ibrido tra il cinghiale e il maiale Large White, un animale assai più grande e prolifico del cinghiale selvatico. Per quanto queste caratteristiche risultino gratificanti per i cacciatori, che possono contare su una preda di dimensioni eccezionali, i cinghiali da ripopolamento, con i dieci-dodici piccoli che generano in ogni cucciolata, causano danni rilevanti ad attività economiche anche molto pregiate, come la coltivazione dei tartufi; ovviamente questi danni vengono usati dalle lobbies venatorie per sostenere la tesi della “nocività” degli animali selvatici e quindi la necessità della caccia, che porta inevitabilmente con sé la necessità di nuovi e sempre più massicci ripopolamenti.

Conclusioni. Si sente spesso dire che la caccia, purché condotta secondo determinate regole, è compatibile con una corretta conservazione delle specie, degli ecosistemi e dell’ambiente, o addirittura necessaria per l’eliminazione degli esemplari “in eccesso”. Questo è completamente falso. La caccia è un massacro operato in maniera casuale e indiscriminata che ha conseguenze devastanti per i singoli animali, uccisi, feriti a morte, presi nelle trappole, avvelenati con esche o intossicati dal piombo, per le popolazioni selvatiche, che si assottigliano sempre di più, e per gli ecosistemi, i cui equilibri vengono sovvertiti dall’immissione di specie estranee e dalla diffusione di materiali nocivi. Per la stragrande maggioranza delle specie cacciabili (quelle non incluse nel “carniere”) le autorità competenti non effettuano alcun calcolo scientifico del prelevamento da operare; di conseguenza la politica del nostro paese in materia di caccia viene decisa in pratica dai rappresentanti delle lobbies venatorie. Abbiamo visto che le teorie e le norme che avrebbero lo scopo di conciliare le esigenze della tutela delle specie animali e dell’ambiente e la voglia di uccidere dei cacciatori sono insostenibili o inapplicabili e che pertanto il concetto di caccia eco-sostenibile è privo di valore scientifico.

Valutazione di impatto ambientale di un anno di caccia in Italia, scrive Massimo Tettamanti su "Caccia il Cacciatore".

Introduzione La valutazione di impatto ambientale è ormai diventata una metodologia diffusa nell’ambiente scientifico, riconosciuta a livello giuridico e supportata a livello sociale. La stessa terminologia connessa, che si basa sui concetti di “consumo delle risorse», «effetto serra», «danni agli ecosistemi” è ormai entrata a fare parte del vocabolario corrente. In questo lavoro è stato analizzato l’impatto ambientale di un anno di caccia in Italia utilizzando la metodologia denominata Life Cycle Assessment (LCA) definita come: “un procedimento oggettivo di valutazione dei carichi energetici ed ambientali relativi ad un processo o un’attività, effettuato attraverso l’identificazione dell’energia e dei materiali usati e dei rifiuti rilasciati nell’ambiente. La Valutazione include l’intero ciclo di vita del processo o attività, comprendendo l’estrazione ed il trattamento delle materie prime, la fabbricazione, il trasporto, la distribuzione, l’uso, il riuso, il riciclo e lo smaltimento finale”. La LCA è l’unico strumento, per il raggiungimento dei suddetti obiettivi ambientali, che possieda un riconoscimento scientifico tale da essere inserito all’interno di numerose normative

• Il Regolamento europeo EMAS (Environment Management and Audit Scheme) e la Norma ISO 14001 (norma quadro sull’Environmental Management System) definiscono la LCA come strumento scientificamente adatto per l’identificazione degli aspetti ambientali significativi.

• Il Regolamento CEE N. 880/92 (concernente un sistema comunitario di assegnazione di un marchio di qualità ecologica) e il Regolamento Ecolabel (Norma ISO 14024, riguardante l’etichettatura ecologica) propongono la LCA come unico strumento con il grado di scientificità necessario per garantire la veridicità dei marchi e delle dichiarazioni ambientali di prodotto.

• Il “Decreto Ronchi” ha inserito a livello normativo, per la prima volta in Italia, la richiesta esplicita dell’analisi del ciclo di vita per l’esecuzione dei piani di smaltimento dei rifiuti. Inoltre, questa metodologia è accettata dalla comunità scientifica internazionale ed è riconosciuta:

- idonea per imprese che vogliono diventare ambientalmente efficienti;

- utile agli organismi pubblici per la gestione di politiche ambientali.

Quando si parla di impatto ambientale della caccia normalmente si pensa ai danni alla salute umana causati dal piombo, metallo tossico altamente cancerogeno, e al suo accumulo sul fondo dei laghi, stagni e acquitrini, che provoca negli animali il saturnismo, una grave intossicazione, pericolosa per gli animali e per chi se ne ciba. Un’analisi di impatto ambientale invece, anche quando vuole analizzare un caso abbastanza semplice, in questo caso la produzione e l’impatto di cartucce da caccia, è sempre un procedimento notevolmente complesso. Le categorie di danno considerate in questo studio sono quelle connesse:

• alla salute umana; • alla qualità degli ecosistemi;

• alle risorse. La parte più soggettiva di una LCA è sicuramente la fase in cui tutte le diverse tipologie di impatto vengono riunite sotto un unico indice (single score) che permette di dare un “punteggio” finale. Quanto più elevato è il valore del single score, tanto maggiore è il danno causato. Il confronto fra tipologie di danno così diverse tra loro, danni all’uomo, all’ecosistema o alle risorse, presuppone l’assegnazione di “priorità” individuali che rappresentato, a loro volta, diversi approcci socio-culturali. I tre diversi approcci al problema sono:

• Individualistico (Individual perspective – I): questo approccio considera solo le sostanze i cui effetti dannosi, sul breve periodo (100 anni al massimo), sono dimostrati.

• Gerarchico (Hierarchical perspective – H): questo approccio considera tutte le sostanze sui cui effetti dannosi c’è consenso, anche se non sono dimostrati, e si esplicano sul medio periodo.

• Egalitario (Egalitarian perspective – E): questo approccio considera tutte le sostanze che possono provocare effetti dannosi, anche se su tali effetti non c’è consenso, e li considera sul lungo periodo. Per evitare che criteri personali soggettivi influenzino pesantemente i risultati dello studio, questa LCA è stata compiuta tre volte scegliendo ogni volta un diverso approccio e i risultati verranno presentati in maniera indipendente.

Ipotesi su un anno di caccia. Per quantificare il numero di cartucce utilizzate in un anno, e il successivo impatto ambientale, sono state effettuate le seguenti ipotesi:

1) Numero di cacciatori in Italia: 700.000.

2) Numero di giornate di caccia in un anno: 74 (solo domeniche: 24).

3) Ogni cacciatore caccia solo in una giornata permessa ogni tre.

4) Ogni cacciatore raccoglie il bossolo e non lo abbandona nell’ambiente di caccia ma lo butta nell’apposito raccoglitore di rifiuti.

5) Ogni cacciatore spara un solo colpo ogni giornata di caccia.

6) I pallini di piombo non finiscono mai sul fondo di laghi o acquitrini. Non viene quindi considerato il problema dell'accumulo di pallini di piombo sul fondo dei laghi, stagni e acquitrini.

7) Il bossolo può essere composto da diversi materiali: dato che solitamente si utilizza il Polietilene, è stato considerato un impatto medio di tutti gli impianti di polimerizzazione di cui erano disponibili dati.

8) Come metallo per il rivestimento della parte inferiore del bossolo è stato considerato il lamierino di ferro.

Queste ipotesi non pretendono di descrivere l’attuale situazione della caccia in Italia ma solo di descrivere il sistema considerato. Le analisi, i risultati e i confronti effettuati in questo studio si riferiscono esclusivamente alla situazione presentata e non pretendono di avere valore assoluto. La scelta delle suddette ipotesi è stata effettuata per cercare di valutare l’impatto ambientale di quella che viene normalmente definita, anche dalle associazioni ambientaliste, la “buona caccia”. Quella caccia che ha il minore impatto ambientale possibile ed è effettuata dal cacciatore che è:

1) regolarmente registrato

2) rispettoso del calendario venatorio legalizzato

3) non desideroso di cacciare ogni volta che può

4) attento a raccogliere i bossoli

5) attento a sparare solo “a colpo sicuro” e non più di una volta al giorno

6) attento a non indirizzare il colpo verso zone d’acqua.

Qualsiasi modifica peggiorativa delle suddette ipotesi aumenta conseguenzialmente e proporzionalmente l’impatto sull’ambiente. Come accennato nel paragrafo precedente, il risultato finale di una LCA è un single score, un “valore finale” dell’impatto ambientale. Più è alto questo numero e maggiore è l’impatto ambientale. Per un non specialista di valutazioni di impatto ambientale questo numero è praticamente privo di significato. Ad esempio: un single score di 10.000 cosa rappresenta? È un numero alto o basso? Per una maggiore divulgazione di questo lavoro e per semplicità di spiegazione, parte della presentazione dei risultati verrà effettuata tramite un confronto con una discarica di rifiuti solidi urbani. Questo confronto ha l’unico scopo di offrire un termine di paragone dell’impatto ambientale di un anno di caccia con un “sistema” molto più conosciuto, sia a livello sociale sia a livello di documentazione scientifica; un sistema semplice che può facilmente aiutare nella spiegazione dei risultati ottenuti.

Conclusioni. L’approccio scelto per questa valutazione di impatto ambientale si può schematizzare nella formula “dalla culla alla tomba”, ovvero la valutazione è stata effettuata tenendo conto dell’intero ciclo di vita della cartuccia. Ciascuno di questi processi può dar luogo ad una varietà di emissioni che provocano effetti differenti sull’ambiente. Utilizzando l’approccio Individualistico si evidenzia che il consumo delle materie prime, nello specifico il consumo dei minerali di piombo, è in assoluto l’impatto maggiore. Altri impatti ambientali significativi sono i danni causati alla respirazione da composti chimici inorganici e gli impatti sul cambiamento climatico entrambi dovuti ai processi di estrazione, trasporto e lavorazione del piombo. Riunendo tutte le diverse tipologie di impatto sotto un unico indice si ottiene un impatto finale di 8.14 106 Pt che corrisponde all’impatto dovuto allo smaltimento in discarica di 600.000 tonnellate di rifiuti solidi urbani. In pratica, secondo questo approccio, un anno di caccia, secondo le ipotesi minime effettuate, corrisponde all’impatto che si ottiene portando direttamente in discarica i rifiuti prodotti da una grossa provincia come Brescia, Firenze o Catania. Utilizzando l’approccio Gerarchico oppure l’approccio Egalitario si evidenzia che il consumo delle materie prime è, come nell’approccio Individualistico, in assoluto l’impatto maggiore. In questo caso risultano importanti sia il consumo dei minerali, dovuto fondamentalmente all’estrazione del piombo, sia il consumo di combustibili fossili, dovuto alla produzione della plastica, alla produzione del piombo, alla produzione del ferro e alla fase di smaltimento dei bossoli. Altri impatti ambientali significativi sono, in ordine decresente di importanza:

• I danni causati alla respirazione da composti chimici inorganici: dovuti principalmente alla produzione di piombo e secondariamente alla produzione di plastica e allo smaltimento dei bossoli.

• Gli impatti sul cambiamento climatico: dovuti principalmente alla produzione di piombo e secondariamente alla produzione di plastica e allo smaltimento dei bossoli.

• L’acidificazione e eutrofizzazione degli ecosistemi: dovuti principalmente alla produzione di piombo e secondariamente agli altri processi in maniera più o meno equivalente. • Il consumo del territorio: dovuto quasi esclusivamente all’estrazione del piombo. Riunendo tutte le diverse tipologie di impatto sotto un unico indice si ottiene un impatto finale di 4.17 105 Pt (approccio Gerarchico) oppure 3.52 105 Pt (approccio Egalitario) che corrisponde all’impatto dovuto allo smaltimento in discarica di 20.000 tonnellate di rifiuti solidi urbani. In pratica, secondo questi approcci, un anno di caccia, secondo le ipotesi minime effettuate, corrisponde all’impatto che si ottiene portando direttamente in discarica i rifiuti prodotti da un comune come Rimini o Campobasso. Come si può facilmente notare, i risultati finali variano molto in funzione dell’approccio utilizzato e delle ipotesi di partenza. Per quanto riguarda l’approccio iniziale, i risultati indicano che l’impatto ambientale corrisponde allo smaltimento in discarica di tutti i rifiuti di un piccolo comune (nel caso minimo) o di una grossa provincia (nel caso massimo). In tutti i casi, si tratta di impatti significativi considerando che sono stati calcolati con ipotesi di partenza molto limitate. Se cambiano le ipotesi di partenza analizzando l’impatto dovuto a cacciatori che non vanno a caccia un giorno solo, ma magari la domenica e un altro giorno, e non sparano un singolo colpo ma ad esempio cinque, l’impatto aumenta drasticamente e proporzionalmente. Anche considerando il caso di impatto minore, i risultati sarebbero confrontabili con lo smaltimento in discarica di tutti i rifiuti prodotti da una grossa provincia italiana senza quelle metodiche di riutilizzo, recupero di materia e recupero energetico dai rifiuti che sono obbligatori per legge (Decreto Ronchi). Un impatto che verrebbe considerato insostenibile dall’opinione pubblica. Cambiando ancora scenario e valutando l’impatto che si potrebbe avere seguendo i limiti legislativi ma sfruttando tutte le giornate a disposizione della caccia, si ottengono valori di impatto ambientale insostenibili. In altre parole, la legge permette un’attività venatoria che potrebbe, anche rimanendo nei limiti imposti, creare un impatto ambientale annuale paragonabile allo smaltimento diretto in discarica di tutti i rifiuti prodotti in un anno dalla regione a maggior carico di rifiuti, la Lombardia, e al contemporaneo smaltimento nell’ambiente di circa 500.000 batterie d’auto. Entrambi gli impatti citati, smaltimento diretto in discarica di rifiuti e smaltimento nell’ambiente delle batterie d’auto sono vietati per legge. In particolare la Legge 475/88 stabilisce che “È obbligatoria la raccolta e lo smaltimento mediante riciclaggio delle batterie al piombo esauste” mentre la diffusione diretta del piombo nei boschi a causa della caccia è ammessa e finanziata a livello statale. Anche senza considerare gli effetti dovuti al saturnismo e all’uccisione diretta di esseri umani, impatti definibili “danni collaterali” della caccia, l’impatto ambientale permesso dall’attuale normativa è assolutamente insostenibile. Anche il caso di minore impatto calcolato corrisponde comunque a un impatto che, se riferito ad esempio allo smaltimento dei rifiuti, sia l’opinione pubblica in generale, sia alcune associazioni ambientaliste attualmente a favore della caccia, definirebbero non accettabile in rapporto al numero dei cacciatori e a un hobby che viene effettuato nel nostro territorio, nei nostri parchi, nei nostri cortili.

Entriamo nel dettaglio della tematica.

Per esempio: AL CIRCO NON TUTTI SI DIVERTONO!!!

Avete mai pensato a come vivono gli animali del circo?

È giusto tenere un animale in prigione per tutta la vita?

Nel loro elemento naturale leoni ed elefanti vivono e si muovono sulle grandi distese africane. Quelli del circo arrivano a passare in gabbia o in zone confinate fino a 23 ore al giorno, viaggiano costantemente in tutte le situazioni atmosferiche ed in situazione di stress.

È giusto negare agli animali il loro comportamento naturale?

In libertà gli elefanti sono intelligenti, curiosi e con una forte struttura sociale; i leoni sono cacciatori che controllano un vasto territorio. Nel circo tutto questo viene represso e conseguentemente si sviluppano comportamenti "neurotici" (come dondolamenti, gesti ripetitivi e "pacing").

È umano negare agli animali il giusto esercizio?

In natura gli elefanti camminano fino a 50 km al giorno per cercare acqua e cibo. Nel circo gli elefanti non hanno mai libertà di movimento, essendo chiusi in recinti (spesso elettrificati).

È giusto che la gente venga incoraggiata a ridere degli animali?

Originariamente il circo si basava esclusivamente sulle capacità degli esseri umani. Alcuni dei circhi più apprezzati ed a più alta redditività al mondo non fanno uso di animali (Cirque du Soleil, Circus Oz, the New Pickle Circus, e Cirque d'Hiver).

I circhi sono sicuri?

Il circo è un business pericoloso. Ogni anno molti animali muoiono o rimangono feriti, così come i loro addestratori.

Cambiare si può?

Le pubbliche amministrazioni dovrebbero avere il coraggio di disincentivare queste pratiche crudeli nei confronti degli animali, un cambiamento radicale è possibile come lo dimostra il Comune di Pioltello (Milano). Nei circhi, gli animali, oltre ad essere prigionieri come negli zoo (spesso in condizioni ancora peggiori), sono costretti ad addestramenti crudeli ed umilianti. Per un orso è naturale ballare o per le foche giocare con un pallone? Per i grandi felini è naturale saltare attraverso un cerchio infuocato, considerato anche il terrore atavico degli animali per questo elemento? Obbiettivamente, crediamo che non sia naturale! Per stravolgere completamente l'istinto di un animale, è necessario ricorrere alla violenza. Per far alzare alternativamente le zampe ad un orso si utilizzano piastre e pungoli elettrici (nel passato erano braci ardenti), per far "sorridere" un pony lo si punge ripetutamente sul muso con uno spillone.

Liana Orfei, nota circense, spiega che "La iena non la domi mai perché non capisce. Puoi punirla cento volte e lei cento volte ti assale e continua ad assalirti perché non realizza che così facendo prende botte mentre, se sta buona, nessuno le fa niente." E ancora, la signora Orfei afferma che le foche "possono essere ammaestrate solo per fame e non si possono picchiare perché la loro pelle, essendo bagnata, è delicatissima. Ma con un pò di pesce ottieni quello che vuoi". Anche per insegnare alle tigri a salire sugli sgabelli, si usano la fame e le botte, continua la signora Orfei: "...poi ricomincia la storia con la carne finché la belva si rende conto che se va su riceve dieci-dodici pezzettini di carne, se va giù la picchiano, e allora va su".

Alcuni circhi come gli australiani "Flyng Fruit", i canadesi "Cirque du soleil", i francesi "Les Colporteurs", gli americani "Minimus", hanno scelto di non utilizzare più gli animali, valorizzando al meglio la bravura di giocolieri, trapezisti, clown, comici, mimi, contorsionisti. Il circo senza animali è la direzione da seguire, l'unica in sintonia con una società che si autodefinisce civile.

Il CIRCO: esperienza educativa o esercizio alla crudeltà?

“ Per decidere che è sbagliato tenere gli animali nei circhi è sufficiente pensare al terrore che devono provare quando sono catturati, il togliere loro la libertà, la possibilità di muoversi, di fare parte di un branco.”

“ Durante l’addestramento gli animali vengono ‘addomesticati’ con scariche di corrente, per non parlare dei forconi e degli uncini usati per far fermare gli elefanti: sulle gambe e su altre parti molto più sensibili. I metodi crudeli vengono utilizzati dall’addestratore proprio per far capire all’animale chi è che comanda, cosa impossibile con un semplice ‘premio’ a fine esercizio.”

“ Non vado mai allo zoo perché non sopporto la miserevole vista degli animali in cattività. Aborro l’esibizione di animali ammaestrati. Quanta sofferenza e punizioni devono sopportare quelle povere creature per dare pochi momenti di piacere a uomini privi di ogni sensibilità.”

Sembrano frasi pronunciate da “intransigenti” animalisti e invece appartengono rispettivamente a Milady Orfei, figlia di Paolo (il primo degli Orfei a fondare un circo), a Paride Orfei e, cambiando totalmente genere, ad Albert Schweitzer. Né mancano numerosi altri esempi di lucide considerazioni sull’utilizzo degli animali nei circhi di tutto il mondo.

A nessuno sfuggono difatti le motivazioni che possano indurre una tigre a saltare attraverso un cerchio infuocato, essendo noto il terrore che i felini provano per il fuoco. Così come l’elefante che rischia la vita assumendo un’innaturale posizione a testa in giù, con l’enorme peso dell’intestino che grava sul cuore o ancora la simpatica scimmietta vestita da marinaretto che “sorride” al proprio addestratore. Provateci voi con la promessa di un delizioso bocconcino o di una carezza a fine esercizio. Si tratta allora di particolari doti di coraggio o di telepatia con gli animali da parte degli addestratori? Macché, costoro adoperano i medesimi mezzi con cui non troppo tempo fa, l’uomo bianco impose all’uomo nero di coltivare le proprie piantagioni di cotone, strappandolo alla propria terra, sradicando le sue radici, privandolo non solo della libertà ma anche della dignità di essere senziente e della voglia di vivere. Eppure quegli uomini vissero. Forse perché tutto sommato non andava poi tanto male? No. Probabilmente perché esiste un istinto di sopravvivenza che prevale sulla più misera esistenza, perché esiste la speranza che l’incubo un giorno finirà, perché il suicidio è una finezza metafisica, intellettuale. Così l’uomo nero subì ogni tipo di vessazione per paura della minaccia costante della morte qualora non avesse soddisfatto le più ignobili pretese del padrone. Così l’animale, essere senziente e quindi capace di provare sensazioni quali la gioia, il dolore, la paura, il terrore, la solitudine, l’angoscia del distacco, l’amore per i propri cuccioli, accetta di indossare un’ insulsa bardatura e di ballare una ancor più insulsa marcetta sotto applausi scroscianti, urla scomposte, luci accecanti di riflettori, fruste sibilanti. In quel momento sarà più forte il ricordo della quiete della foresta, dell’appartenenza ad un gruppo interrotta dal rapimento seguito all’uccisione dei genitori (unico modo per catturare i piccoli) o delle torture subite durante l’addestramento?

“La prima cosa che gli scimpanzé devono imparare è che l’uomo è il padrone assoluto. Nessuno scimpanzé, all’inizio sopporta di essere vestito, solo le punizioni lo porteranno alla sottomissione e alla perfetta obbedienza. Quando l’animale, al termine dell’esercizio, getta le braccia al collo di chi lo ammaestra è come se dicesse: "Ho fatto quello che volevi, per favore non mi castigare" Parola di addestratore.

E se il babbuino osasse ribellarsi e mordere l’addestratore? Il signor Munslow, ex dipendente di un grande circo internazionale, ci spiega come risolsero la questione: strappandogli i denti con una pinza, senza anestesia. Le urla di dolore e l’impossibilità di mangiare durarono diversi giorni e la lezione servì perfettamente allo scopo.

Il famoso “sorriso” che lo scimpanzé rivolge all’addestratore, non è altro che una smorfia di ansia e tensione. Parola di Desmond Morris, il più famoso etologo vivente.

Si potrebbe continuare con numerosi, agghiaccianti, esempi. Basti citare quello più lampante: la fretta impaziente con cui gli animali escono dalla pista al termine del loro numero. Perfino la prigionia delle loro minuscole celle è preferibile all’agonia dello spettacolo. E durante le trasferte? Centinaia di chilometri asserragliati in vagoni chiusi, senza né luce né acqua. Questi viaggi non portano forse alla mente quelli analoghi causati, non più di sessant’anni fa, dall’altrettanta follia di una parte di uomini e dalla complice indifferenza di altri?

“La crudeltà sugli animali è il tirocinio della crudeltà sugli uomini” ammonisce Orazio. Ed è a questo tirocinio che si vogliono introdurre gli studenti delle scuole italiane?

E’ a tutti noto come i circhi che sfruttano gli animali si garantiscano la sopravvivenza. Non certo con i biglietti degli spettatori, dal momento che cresce il rifiuto del pubblico di assistere a spettacoli frutto della tortura e della sopraffazione nei confronti degli animali. Campano grazie ai cospicui contributi statali (Fondo Unico per lo Spettacolo, e si parla di molti miliardi), e grazie anche alla collaborazione delle maggiori agenzie educative dello Stato: le scuole, che danno ai circensi agio di distribuire agli studenti (operazione della quale a volte si occupano direttamente i docenti nelle classi) biglietti con la riduzione del costo. Tali strazianti spettacoli, per colmo di indifferenza, ignoranza ed ipocrisia, vengono quindi inseriti tra le attività extracurriculari, sebbene si svolgano spesso in orario di lezione, sotto forma di “opportunità educativa”. Perché non considerarle, a questo punto, “educazione all’ambiente?”

Cosa può esserci di educativo in un’attività basata sulla coercizione, sulla violenza, sulla privazione della libertà e della dignità di un essere vivente? Cosa dovrebbero imparare gli inconsapevoli alunni, che per ottenere qualunque aberrante obiettivo, basta applicare la legge del più forte? Che la schiavitù è contemplata dalla nostra società quale fonte di divertimento? O vogliamo convincerli, con buona pace di qualunque principio di onestà, che gli animali si divertono? O che semplicemente in una società antropocentrica, anzi “occidentalcentrica”, il parere ed il rispetto per chi è diverso (per nazionalità, religione, razza, cultura o specie) non conta nulla? A questo è deputata la scuola? Pare di no.

In considerazione difatti, dell’enorme importanza che riveste la tutela dell’ecosistema, in una società “globalizzante” e indifferente ai danni perpetrati nei confronti di flora e fauna, il Ministero dell’allora “Pubblica” Istruzione, ha siglato con la LAV, principale associazione animalista in Italia, riconosciuta Ente Morale e organizzazione Non Lucrativa di Pubblica Utilità Sociale, un protocollo d’intesa (01/10/1999) con lo scopo di “promuovere la diffusione e l’approfondimento dei temi dell’educazione al rispetto di tutti gli esseri viventi nelle scuole di ogni ordine e grado”, sottolineando come, creare consapevolezza sui diritti, doveri e responsabilità nei riguardi degli animali, costituisca una base formativa per un corretto rapporto anche con gli umani. Oggi il Ministero dell’Istruzione promuove l’attività circense nelle scuole. Prendiamo atto della totale inversione di tendenza di questo governo riguardo al rispetto per gli esseri più indifesi del pianeta (che non hanno voce né mezzi per difendersi) a favore invece, di quanti traggono profitto dal loro sfruttamento, maltrattamento, dalla loro coercizione, strazio, morte. La gente comincia a capire. A poco servono dunque le bugie dei circensi circa le ottimali condizioni dei “loro” animali o circa il fatto che vivano nelle loro gabbie da più generazioni: un qualunque documentario super partes dimostra come sia difficilissimo riuscire a indurre gli animali della foresta a riprodursi in stretta cattività, ma anche quando fosse (e non è) l’istinto alla libertà e ai grandi spazi è comunque innato ed enorme resta la sofferenza per la loro negazione. E pensare che uno dei più etici articoli del nostro Codice Penale punisce chiunque adoperi gli animali in giochi o spettacoli insostenibili per la loro natura o li detiene in condizioni incompatibili con la loro natura, valutata secondo le loro caratteristiche etologiche, prevedendo in caso di recidiva anche il ritiro della licenza o l’interdizione dall’esercizio dell’attività. Come è possibile che dall’osservanza dell’art.727 del codice penale (già tanto ignorato) siano esonerati circhi e zoo? Che ricevano altresì lauti finanziamenti statali?

E’ indispensabile impedire l’utilizzo delle strutture scolastiche per diffondere la cultura dello sfruttamento degli animali. Sarebbe auspicabile che, così come già succede in qualche provincia del territorio nazionale, gli assessori alla Pubblica Istruzione e all’Ambiente e le Istituzioni preposte al settore educazione, inviino circolari in tal senso a tutte le scuole del Comune o della Provincia di pertinenza, con buona pace di qualche impellicciatissima insegnante che ancora oggi, sensibilizzata sull’argomento, esclama “ma è l’unico modo affinché i ragazzi possano vedere da vicino le belve!” Ci permettiamo ancora una volta di rispondere con una citazione, questa volta di un noto medico e scrittore svedese, Axel Munte: “Se volete rendervi conto di quale razza di barbari veramente noi siamo, dovete soltanto entrare nella tenda di un serraglio ambulante. La crudele bestia feroce non è dietro le sbarre, ma davanti!” E aggiungiamo che è istruttivo osservare gli animali nei contesti naturali, ottimamente rappresentati, a livello didattico, dai sussidi audiovisivi, a meno di non voler maturare il convincimento che sia naturale per un cavallo sorridere alle battute del domatore. Fingendo magari di non accorgersi dello spillone con cui, abilmente nascosti, gli si punge il muso.

Cosa chiediamo, in nome della “civiltà”, di mettere sul lastrico un’intera categoria? Soprassedendo sulla malafede dell’argomentazione a difesa della barbarie e ricordandoci che con la stessa logica si muove guerra ad un popolo al solo fine di soddisfare i biechi interessi di alcune “categorie”, rispondiamo che un circo può sopravvivere con acrobati, giocolieri, prestigiatori, clown, contorsionisti, e tutti gli altri artisti umani che si dedicano a tale attività per loro libera scelta.

Il Maltrattamento nei confronti degli animali, un affare da 3 miliardi di euro all’anno.

Le ragioni per cui gli animali sono sfruttati, torturati e uccisi sono tante. Ma ognuno di noi ha il potere di fermare questo sterminio con un consumo consapevole: con le sue scelte di ogni giorno. Tutte le nostre scelte hanno una ricaduta sugli animali. Quando mangiamo qualcosa. Quando compriamo un qualsiasi prodotto. Quando assistiamo ad uno spettacolo. Quando sosteniamo un’iniziativa o un’associazione. Possiamo fermarci a riflettere e capire se quello che facciamo implica morte e sofferenza per gli animali: perché la CONOSCENZA E' POTERE. La società umana moderna di basa sullo sfruttamento dei più deboli, i vantaggi dei pochi privilegiati corrispondono allo sfruttamento di una moltitudine sterminata i cui fondamentali diritti non vengono riconosciuti. Lo sfruttamento degli animali è una costante della nostra società, essa trae profitto dalla sofferenza altrui quotidianamente, nascondendo le pratiche crudeli spesso anche a coloro che ne traggono direttamente o indirettamente giovamento. Il Rapporto Zoomafia della LAV è un’analisi sistemistica, di natura socioeconomica e criminologica, dello sfruttamento degli animali da parte della criminalità organizzata e non. Il Documento analizza i vari filoni della zoocriminalità cioè:

*         combattimenti tra cani

*         i cavalli e le corse clandestine

*         la “cupola del bestiame

*         il business dei canili e del traffico di cani

*         il contrabbando internazionale di animali 

*         il bracconaggio & la criminalità

*         il traffico di fauna selvatica

*         il malandrinaggio di mare. 

Il Maltrattamento nei confronti degli animali, un affare da 3 miliardi di euro all’anno. Questo è il guadagno della Zoomafia, un fenomeno fatto di truffe, barbarie e sofisticazioni a spese di cavalli, cani e tante altre specie. In più, l’era digitale ha portato anche Internet ad avere un ruolo decisivo in questo genere di crimini, con il supporto agli scambi illegali e la pubblicazione di video sempre più cruenti e scaricati. L’ultimo rapporto Zoomafia la LAV disegna un quadro che va ben oltre reati “classici” come le corse clandestine di cavalli e i combattimenti tra cani. Traffico internazionale di cuccioli e animali esotici sono all’ordine del giorno, così come il business di canili abusivi, il bracconaggio e la pesca di frodo oltre agli illeciti alimentari. Guardando il fenomeno più da vicino, ci si accorge che i reati collegati alle competizioni clandestine o a quelle “regolari” truccate ricavano ben un terzo della torta. Un miliardo guadagnato sulla pelle di animali costretti a correre su terreni inadatti e su strade in cattivo stato, spesso uccisi dopo le corse o abbattuti perché gravemente feriti dopo un incidente in corsa. Il fenomeno è ampio e ramificato: solo in un anno bloccate 12 gare per un totale di 62 cavalli sequestrati e 129 persone denunciate. A 300 milioni ammontano i guadagni di chi organizza combattimenti tra cani, mentre addirittura a 500 milioni quello dei canili abusivi (frutto di convenzioni con alcuni Comuni) e del traffico internazionale di cuccioli. Una struttura sofisticata quest’ultima, che ha portato al sequestro di centinaia tra certificati e libretti sanitari, microchip e farmaci. Altro fenomeno che non conosce sosta è quello delle macellazioni clandestine e dell’alterazione dei certificati di provenienza. Oltre che a danno degli animali, questo particolare crimine mette in serio pericolo anche quegli ignari consumatori che dovessero entrare in possesso delle carni così ottenute. Un giro d’affari che in questo caso renderebbe 400 milioni di euro ai trafficanti di bestiame. A questi reati ricordiamo si aggiungono quelli a danno di animali esotici, richiesti persino come “nascondiglio” per la cocaina (come accaduto a un raro pitone bianco), per non parlare della pesca con esplosivi e del traffico di datteri e ricci di mare, destinati a ristoranti compiacenti. Infine sono stimati sui 500 milioni di euro gli introiti illegali per i trafficanti di animali e piante rare: un fenomeno che secondo il Corpo Forestale dello Stato sarebbe pericolosamente in aumento. I dati giunti dalle Procure, quindi limitati all’emerso, danno visione di un quadro piuttosto esteso: ben 2.160 le denunce, pari a circa un reato a danno degli animali ogni due ore. Ciro Troiano, criminologo e responsabile per l’Osservatorio LAV sulle zoomafie, sottolinea come: «Il numero dei reati ufficiali rappresenta solo una parte di quelli effettivamente compiuti. Molti reati, infatti, pur essendo stati commessi restano, per motivi vari, nascosti e non vengono registrati. Naturalmente, la quota di reati nascosti sul totale di quelli reali – il cosiddetto numero oscuro – varia a seconda del tipo di reato, soprattutto in funzione della sua gravità. Il reato di maltrattamento di animali per sua natura ha un numero oscuro altissimo.»

Il rapporto redatto dalla Lav sottolinea l'importanza di Internet per la vendita illegale di cuccioli, la raccolta di scommesse, le truffe e i raggiri che coinvolgono gli animali. Muove un business illegale di tre miliardi di euro. Tutto basato su corse clandestine di cavalli, combattimenti, "Cupola del bestiame" e sofisticazioni alimentari. Ma non solo: contrabbando di fauna esotica, pesca illegale, traffico di cuccioli e business dei canili. A fotografare il fenomeno è il Rapporto Zoomafia 2011 redatto da Ciro Troiano, criminologo e responsabile dell'Osservatorio della Lav sul tema. La Zoomafia si presenta sempre più come un fenomeno parcellizzato tra ormai "storiche" illegalità - truffe nell'ippica e corse clandestine di cavalli, macellazioni clandestine, abigeato, bracconaggio e pesca illegale, lotte tra cani, business canili - e nuove frontiere criminali: in particolare, i traffici di animali via internet e il traffico di cuccioli. Il Rapporto della Lav fa il punto su ogni capitolo della complessa realtà delle zoomafie. Partendo da un "classico" crimine che assorbe ben un terzo del giro d'affari complessivo: le corse clandestine di cavalli con relative scommesse, un business da ben un miliardo di euro. Dodici le corse clandestine di cavalli bloccate dalle forze dell'ordine, 129 persone denunciate, 62 cavalli sequestrati: un'emergenza zoomafiosa ancora più impressionante se, oltre ai dati, si prende in considerazione il fenomeno nel lungo periodo. In tredici anni da quando la Lav ha iniziato a raccogliere i dati per il Rapporto Zoomafia, sono state denunciate 2.997 persone, sequestrati 1.032 cavalli e 92 corse clandestine bloccate. Cavalli massacrati, macellati, fatti a pezzi e gettati nella spazzatura o uccisi sulla strada dopo una gara illegale. Dietro le corse clandestine di cavalli c'è anche questo, la strage di cavalli morti sulle strade o feriti gravemente a seguito di incidenti e finiti sul posto. Ma cavalli e corse clandestine viaggiano anche sul web: in rete ci sono centinaia di video con le sfide tra cavalli costretti a correre su fondi stradali disagiati. Molti video hanno addirittura la colonna sonora di canzoni neomelodiche dedicate ai cavalli e alle corse clandestine. Migliaia i contatti. Il business dei canili e del traffico di cani ammonta invece a 500 milioni di euro. Resta stabile, confermando l'allarme lanciato da tempo, il business legato alla gestione di canili «illegali» (strutture spesso sovraffollate e inadeguate sotto l'aspetto igienico-sanitario e strutturale) così come il business sui randagi, che garantisce agli sfruttatori di questi animali introiti stimati intorno ai 500 milioni di euro l'anno, grazie a convenzioni con le amministrazioni locali per la gestione dei canili. Nel 2010 sono stati sequestrati numerosi canili abusivi: da Bari a Rieti, da Taranto a Napoli, da Caserta a Messina. Gli interventi e le operazioni di contrasto contro l'importazione illegale di cuccioli dai paesi dell'Est hanno portato in due anni, solo in base alle notizie di stampa, al sequestro di oltre mille cuccioli, centinaia di microchip-trasponditori e libretti sanitari, farmaci, dispositivi medici. L'importazione illegale di cuccioli, infatti, vede attivi gruppi organizzati, che fanno uso di modalità operative raffinate, e che hanno reti di appoggio e connivenze. Intanto sono arrivate le prime sentenze di condanna contro i trafficanti. La "Cupola del bestiame" muove invece un malaffare da 400 milioni di euro, con falsificazione di documenti sanitari, associazione per delinquere, contraffazione di sostanze alimentari, macellazione clandestina, abigeato e doping: sono solo alcuni dei reati accertati nel corso dell’ultimo anno per un business che non sfugge al controllo della criminalità organizzata. Si attesta invece sui 500 milioni di euro il contrabbando di fauna e la biopirateria, che vede un traffico di animali e piante rare che non si ferma, anzi: secondo l'ultimo rapporto del servizio Cites del Corpo Forestale dello Stato, sarebbe addirittura in aumento. Proseguono, poi, i combattimenti tra animali, un crimine dal valore di 300 milioni di euro, denuncia il Rapporto. E non si ferma l'uso di animali a scopo intimidatorio, che vede tra i suoi ignari protagonisti addirittura un pitone albino di tre metri, usato per nascondere cocaina purissima e minacciare i rivali. Altro capitolo delle Zoomafie il 'malandrinaggiò di mare, un malaffare da 300 milioni di euro che vede il mare saccheggiato da organizzazioni criminali dedite, ad esempio, alla pesca di frodo con esplosivi, alla raccolta di datteri e ricci di mare destinati al mercato clandestino di ristoratori e consumatori compiacenti, alla pesca illegale di tonno rosso. Altro protagonista del Rapporto Zoomafie, con un ruolo di prim'ordine inevitabile nell'era digitale, il web: i numeri sono allarmanti e i principali modi di utilizzo di internet per attività illegali contro gli animali sono la diffusione di immagini e video relativi ad uccisioni e atti di violenza, il commercio e traffico di animali, la raccolta di scommesse su competizioni, la promozione di attività illegali a danno di animali, le truffe e raggiri con il loro uso fittizio. I dati delle Procure italiane attestano un nuovo fascicolo ogni due ore per reati a danno di animali, con 2.160 procedimenti sopravvenuti in un anno nel 40% delle Procure che hanno risposto alla Lav. I reati più diffusi sono quelli previsti dalla normativa sulla protezione della fauna selvatica e per il prelievo venatorio. Ma si tratta di fattispecie diverse non riconducibili tutte, stricto sensu, all'attività venatoria, poichè sono compresi, oltre ai classici reati commessi nella caccia o nel bracconaggio, anche i reati di vendita e commercio di fauna selvatica, di detenzione di specie particolarmente protette, di detenzione di animali appartenenti alla tipica fauna stanziale alpina della quale è vietato l'abbattimento, di detenzione di specie nei cui confronti la caccia non è consentita. Stilando una classifica dei reati, dai dati si evince che la Procura con meno procedimenti per reati contro gli animali è quella di Mondovì (Cuneo) con un solo procedimento per maltrattamento di animali. La Procura con il maggior numero di procedimenti sopravvenuti nell’ultimo anno, sempre in base al campione del 40% analizzato, è invece quella di Bergamo, con ben 73 procedimenti per uccisione di animali, 31 per maltrattamento, 34 per abbandono e detenzione incompatibile e 67 per reati venatori. Ciò non vuol dire, ovviamente, che in quella provincia si maltrattino più animali, ma solo che sono stati aperti più fascicoli. La cupola del bestiame. Grande preoccupazione desta anche il fenomeno della cosiddetta "cupola del bestiame" e dei reati connessi, che vanno dalle truffe ai danni dell'Erario, dell'Unione europea e dello Stato, al traffico illegale di medicinali, dal furto di animali da allevamento, alla falsificazione di documenti sanitari, fino ai gravissimi reati di procurata epidemia e diffusione di malattie infettive, attraverso la commercializzazione di carni e derivati, provenienti da animali malati. La Lav stima il relativo giro d'affari con un fatturato annuo di almeno 400 milioni di euro. Accanto al mercato clandestino di carne, il rapporto annovera tra le attività criminali legate agli animali, l'abigeato (il furto di bestiame), che interessa circa 100mila animali l'anno, e le sofisticazioni alimentari. Assume sempre più i connotati dell'attività criminale organizzata il fenomeno del bracconaggio sia di animali vivi, con introiti vicini a 250mila euro, sia di animali morti, che muovono un giro d'affari di circa 5 milioni di euro. Molto fiorente il traffico illecito di fauna esotica protetta (avorio, pappagalli, tartarughe, ma anche caviale e farmaci cinesi contenti sostanze derivanti da animali protetti), che interessa circa un terzo di quello legale, con un business quantificabile in circa 500 milioni di euro l'anno. Il traffico dei cuccioli. Cresce il traffico di cani importati dai Paesi dell'Est: circa 30mila cuccioli importati illegalmente ogni anno in Italia. Stabile, ma sempre allarmante, il business legato alla gestione di canili "lager" e quello sui randagi che garantisce agli sfruttatori di questi animali introiti stimati intorno ai 500 milioni di euro l'anno, grazie a convenzioni con le amministrazioni locali per la gestione dei canili. Il fenomeno della cinomachia è animato da nuovi e pericolosi intereressi come l'esportazione dei cani verso i Paesi dell'Est dove le leggi su tale materia sono meno severe. Il mare saccheggiato. Senza dimenticare, da ultimo, il mare, letteralmente saccheggiato dalle organizzazioni criminali, con un giro di affari di circa 300 milioni di euro l'anno attraverso il traffico di datteri di mare, o di ricci, destinato al mercato clandestino di ristoratori compiacenti, o per l'uso delle «spadare», reti lunghe anche 20 chilometri, al bando dal 2002, che fanno strage di pescespada e di specie protette come delfini, tartarughe, capodogli. Reti usate ancora a centinaia.

LA DISUGUAGLIANZA DEI CAVALLI TRA I DPA (DESTINATI ALLA PRODUZIONE ALIMENTARE) E NON DPA.

I cavalli tra (non) tutela e sfruttamento. Uno frustato nel maneggio di Capalbio, uno “abbattuto” nella corsa sul ghiaccio a St Moritz, scrive Anna Maria Manzoni il 16 marzo 2017 su "L’Indro”. In questi ultimi giorni i cavalli sono divenuti protagonisti di almeno un paio di situazioni di interesse mediatico: e, visto il trattamento che devono subire, davvero ne avrebbero fatto volentieri a meno. Una notizia, riportata su alcuni media stranieri, ma non risulta su quelli italiani, riguarda la corsa ippica (in data 27 febbraio 2017) del White Turf di St Moritz, interrotta in seguito alla caduta rovinosa di un cavallo, Boomerang Bob: secondo consolidata norma, il fantino ferito è stato trasportato in elicottero in ospedale, il cavallo più sbrigativamente è stato soppresso. Stava correndo al galoppo sul ghiaccio, perché questo è il White Turf. Si potrebbe disquisire a lungo sul senso del costringere cavalli a correre su un tale genere di “terreno” e ancora di più sull’abitudine di risolvere le immancabili tragiche cadute con un colpo di pistola, che sembra spazzare via ogni responsabilità, poco cambia se ad essere teatro delle sconsiderate corse sono le nobili curve di Siena, i ghiacci elitari di St Moritz o le strade di una malfamata Catania.  Senza entrare ulteriormente nel merito, l’episodio è utile a sottolineare che questa è la norma per i cavalli fortunati, quelli cioè non destinati alla macellazione. Si, perché è necessario prima di tutto ricordare la posizione del tutto particolare che occupano i cavalli nella nostra società e anche dal punto di vista della zooantropologia, vale a dire della disciplina relativa al rapporto uomo-animale: nella grande maggioranza dei casi sono considerati ‘animali da reddito‘, tanto che esiste addirittura una inequivocabile sigla a definirne la sorte: DPA, vale a dire Destinato alla Produzione Alimentare. Altri, come lo sventurato Boomerang Bob, vengono destinati a scopi diversi, connessi a corse, equitazione, pet therapy…  È facoltà del proprietario (mai termine fu più adeguato) decidere quindi se non DPA oppure DPA: pollice alto o pollice verso. Differenza certo non di poco conto perché nel primo caso  i cavalli godono, almeno relativamente ad alcune situazioni, di pur pallide tutele quali per esempio, se considerati animali di affezione,  il non essere soggetti a pignoramento alla stregua di oggetti (già: è solo grazie alla recentissima legge di Stabilità per il 2016 che cani, gatti e pet in generale non vanno a pagare con la loro stessa esistenza debiti del loro padrone, insieme a frigoriferi, televisione e affini) e, almeno teoricamente, non finiranno le loro disgraziate vite in un mattatoio. Per gli altri, tutti gli altri, le protezioni sono quelle pressochè inesistenti riservate agli ‘animali da reddito‘, la cui esistenza è subordinata per definizione alla produzione di guadagni, che, come da sempre risaputo, sono tanto più cospicui quanto più è possibile risparmiare su qualche elemento della catena produttiva, elemento scelto diligentemente tra coloro che, privi di diritti, sono in questo caso anche privi di parola. I cavalli vengono così importati ed esportati da un paese all’altro con inenarrabili viaggi della morte che percorrono migliaia di km in un susseguirsi di giorni e di notti infernali, sulle navi provenienti dall’Argentina o sui tir in viaggio da Romania e Polonia, per finire nei mattatoi italiani. Mattatoi inevitabilmente numerosi sul territorio nazionale, in quanto deteniamo il per nulla inebriante primato del maggiore consumo pro capite di carne di cavallo in Europa. Sì, perchè le particolari proprietà nutritive che taluni dietologi esaltano la rendono irrinunciabile per i mai appagati appetiti di una popolazione che, per quanto satolla, pare sempre in crisi di astinenza alimentare. Ecco: il cavallo riassume in sé tanti aspetti della relazione umano-non umano, in cui l’assoluto antropocentrismo che ne è la base detta ogni regola. Non bastasse, sono relazioni soggette ad improvvisi rovesciamenti di paradigma nell’esclusivo interesse umano. È stato il caso per esempio delle nutrie, che, quando non sono state più considerate utili, sono divenute oggetto di una legge che, da un giorno all’altro, le ha trasformate da specie da tutelare a specie da eliminare, sorta di nemico pubblico da punire per la sua novella nocività, e la pena è stata pena di morte, senza appello e senza pietà. Oppure si può trattare del lupo, animale da tutelare in quanto in pericolo di estinzione, e noi umani vogliamo un contesto variegato e ricco intorno, perché così ci piace, ma quando si permette di nutrirsi con agnelli o pecore, che avevamo stabilito essere prede di nostra sola competenza, ecco allora esplodere rabbiose e rancorose convinzioni sulla necessità di piani di abbattimento, però “selettivi”: a pallettoni ovviamente. In questo caso, il passaggio all’atto è stato almeno per il momento scongiurato da una levata di scudi compatta che ha dato ai politici la misura di un feed back temibile a livello di consenso elettorale, vera matrice ossessiva di ogni loro pensiero. Pure in questo discutibile contesto, il cavallo è anomalo in quanto occupa posizioni bivalenti, in virtù delle quali non necessita neppure di un’evoluzione del proprio stato per essere oggetto di trattamenti inconciliabili: lui nello stesso momento può essere compagno di vita, da amare e difendere, seppure in modi altamente discutibili, oppure carne da macello, a seconda delle necessità. Come si diceva, basta una dichiarazione, l’etichetta di DPA oppure di non DPA e in lui verrà visto ciò che ognuno considererà opportuno vedere. Dimostrazione inconfutabile di come sia la cornice cognitiva in cui poniamo l’altro a determinarne il valore, il senso, e quindi il destino. Lo facciamo regolarmente con tutti i non-umani, che consideriamo inferiori a noi, autoposizionatici in quel centro dell’universo, in cui si accentrano diritti e privilegi, che sono di fatto squisita espressione del diritto del più forte. Lo facciamo per altro, in modo solo lievemente meno esplicito, anche con gli umani, detentori del diritto al rispetto e all’attenzione in funzione della loro provenienza, della loro (presunta)razza, del loro genere, del loro reddito. Con i cavalli raggiungiamo l’apice dell’illogicità, che rendiamo sostenibile non a suon di ragionamenti, che non sarebbe possibile, ma a suon di leggi che affossano, oltre alla logica, il senso di giustizia. Risulta esemplificativo il secondo degli episodi  a cui si faceva riferimento,  reso di pubblica conoscenza grazie a Edoardo Stoppa, entrato per conto di Striscia La Notizia (il 7 marzo 2017) in un centro di equitazione a Capalbio, provincia di Grosseto, a seguito di una segnalazione corredata da video: un giovane cavallo si rifiuta, spaventato, di saltare un ostacolo perché evidentemente non si sente in grado di farlo, oltrechè presumibilmente perché non ne capisce il senso: e come dargli torto? In risposta, la giovane fantina procede a fustigarlo per un tempo che se a chi guarda sembra infinito (vengono contati l’uno dopo l’altro 13 colpi di frusta, inferti su muso e collo) a chi lo subisce deve risultare insostenibile. Ad incitarla è l’istruttrice con dei reiterati «Giusto! Giusto! Giusto», che esprimono approvazione, ma anche una soddisfazione, che, frutto del male inferto, non merita di essere definita altro che sadica. I gesti e l’atteggiamento controllati testimoniano la sua dimestichezza con la dinamica in atto, dimestichezza di cui sono ulteriore prova provata le reazioni sue e del padre alla richiesta di spiegazioni del giornalista. Il padre si difende e attacca con un «e allora? Ha fatto bene!», lei, dopo qualche maldestro tentativo di negare l’innegabile, assicura che non è che lo fa quotidianamente. Davvero un sollievo: quindi, non proprio tutti i giorni? Qualche volta si astiene? È del tutto evidente che né lei né tanto meno il padre ritengono il fustigare in quel modo il cavallo azione stigmatizzabile, indecente, vergognosa: anzi. Fanno “scuola”, insegnano ad altri: in questo caso ad un’altra giovane donna, che impara ciò che l’autorità, che loro in quel contesto rappresentano, le insegna, impara bene e presto: e chi lo sa se qualcuno dei colpi che infligge ad un animale indifeso rimbomba almeno un po’ nelle sue corde. Chi lo sa se almeno un pensiero sulla crudeltà di quello che sta facendo prende forma in lei. Certo, la ragazza ha delle scusanti, perché sta andando a scuola e agli insegnanti va concesso il pregiudizio positivo di “sapere”. Anche se, giova rifletterci, la sua reazione obbediente non era scelta obbligata: il rischio connesso ad una condotta non compiacente, ad una possibile flebile insubordinazione alle esortazioni autorevoli poteva comportare, nella più estrema delle ipotesi, un’interruzione del suo percorso “formativo”: non una tragedia, insomma, anzi: alla luce dei fatti una benedizione. Esistono di certo adolescenti capaci di un giudizio critico in grado di bypassare il principio di autorità in nome del primato di emozioni e sentimenti di segno contrario, di una capacità critica coniugata con una evoluzione etica diversi, che in qualche caso sono alla radice di ben più radicali rivolte giovanili. Al suo posto, avrebbero detto NO, cosa che lei non ha fatto forse per diligenza, forse per debolezza, forse per un’abitudine già troppo consolidata al conformismo. Ora se lo stesso cavallino (indifeso) fosse stato frustato nello stesso modo (pesantemente e ripetutamente) senza colpa alcuna (era terrorizzato) in un contesto pubblico, anzichè al riparo dell’autorità di una scuola di equitazione, i protagonisti non avrebbero esibito la stessa sicumera: è il contesto in cui agiscono che li rassicura perché consente di spacciare la crudeltà in atto per intervento educativo. La violenza viene così legittimata, organizzata, integrata nel sistema, giustificata da uno scopo socialmente accettato; viene attribuita al male in atto una giustificazione morale: il cavallino va educato. Ennesima applicazione della teoria del fine che giustifica i mezzi, in nome della quale storicamente i peggiori crimini sono stati commessi, e della consuetudine per cui, quando le persone fanno del male, lo fanno in nome del bene. Della grande schizofrenia in atto paga il prezzo l’unico innocente sulla ‘scena del delitto’, il giovane cavallo: per lui l’ingiustizia è dolore, lo spaesamento per una violenza selvaggia ne doma la vitalità, le ferite sulla pelle bruciano davvero. Così impara! Impara la legge del più forte, che è sempre l’umano, anche nella sua versione femminile, carina, compita e controllata, che non si scompone nell’impartire ordini crudeli. Tanto non occorre forza fisica: l’unica imprescindibile condizione è l’assenza di empatia, di quella risorsa, cioè, in grado di arricchire l’essere umano con la risonanza dell’eco dolorosa del dolore altrui, schermo e barriera all’infliggerlo quel male. Lei non ce l’ha. E per quanto ridondante rispetto alla imprescindibile condanna, un’altra considerazione richiama alle ripercussioni di tutto questo, sulle onde lunghe con cui si propaga: chi frusta o incita a frustare violentemente, ripetutamente, a freddo, senza compassione un animale indifeso perché vuole domarlo di certo è in grado di riproporre la stessa dinamica in altra situazione: magari alla luce di altre motivazioni, che dilagano da quelle pseudoeducative, ad un semplice desiderio di potere o magari rispondono all’urgenza di sfogare una rabbia che preme. Quando i gesti entrano a comporre il nostro patrimonio comportamentale come tali, finiscono per appartenerci; se l’empatia è assente o zittita, se la filosofia di base giustifica i mezzi pur di perseguire un fine, è reale il rischio che un altro fine, giudicato buono perché funzionale al proprio interesse, apra la strada a comportamenti altrettanto crudeli, risvegliati da nuovi scopi, dall’inclinazione del momento, da una motivazione propulsiva. Insomma il discorso va a toccare il grosso link che congiunge la violenza legale a tutte le altre forme di violenza, link mai abbastanza preso in seria considerazione. Sullo sfondo di questa vicenda, c’è l’urgenza di un interrogativo, che ci coinvolge tutti: davvero è lecito ignorare la realtà dell’ippica in generale, delle scuole id equitazione e di tutto quello che concerne l’addestramento dei cavalli? Qualche cosa la sappiamo tutti, per esempio che l’equipaggiamento minimale di ogni allievo, l’armamentario di ordinanza prevede frusta e speroni. Strumenti pacifici? E che dire dei morsi da mettere in bocca al cavallo, delle briglie, dei paraocchi, degli zoccoli, delle selle se non che sono mezzi di contenzione, di sopruso, di imprigionamento, di limitazione della libertà di movimento e di esplorazione? Un mondo che ama celebrare la retorica dell’amicizia tra l’uomo e il cavallo rimuove il significato di doma, che è precondizione all’instaurarsi di una relazione che definire amicale è davvero mistificatorio: domare, to break the spirit dicono gli anglosassoni, rompere lo spirito, eliminare lo slancio vitale, cancellare l’afflato verso la libertà, è fondamentale per ‘addestrare’ il cavallo a comportamenti estranei alla sua natura. È singolare come nella rappresentazione di questo animale, nell’immaginario che lo definisce, si celebrino forza, vitalità, prorompenza, e come la relazione con lui venga edificata sulla metodica regolare soppressione di tutto questo, sulla negazione dei suoi bisogni e desideri: insomma «Quella vita che fu tenuta a freno» nelle suggestioni di Emily Dickinson. Alcune associazioni animaliste hanno dichiarato che sporgeranno denuncia per maltrattamento animale contro i protagonisti di questa brutta storia: l’auspicio è che sia l’occasione per alzare il velo sulle tantissime realtà che riguardano la vita (e la morte) dei cavalli, quei “figli del vento” indomiti e coraggiosi, ogni giorno resi schiavi da quel bisogno di dominare la natura, che pare essere paradigma costitutivo del pensiero moderno.

Un hamburger per stomaci forti: quello di pony scartati dal parco divertimenti. Succede in Olanda: alla "Cucina degli animali indesiderati" sono pragmatici, e vogliono combattere ogni tipo di spreco. Gli hamburger in menù sono quelli ricavati dai pony che non possono più lavorare per il parco divertimenti di Slagharen, scrive Maria Cristina Magri il 16 dicembre 2016. Va bene, gli olandesi sono allevatori. Grandissimi allevatori. Di ogni specie animale, che sia DPA o meno - ma molti sono allevati per scopo alimentare, vedi vacche suini eccetera. Gli allevatori sono onestamente pragmatici, ed è giusto così. Ma ugualmente, pur consapevoli di tutte le problematiche relative alle conseguenze che ha avuto qui in Italia la  legislazione per i Non DPA (quanti sono i cavalli vecchi o ammalati, che non posono più essere montati o mantenuti dai proprietari che spariscono nel nulla con i loro documenti e vengono poi macellati clandestinamente  e la loro carne (non controllata e non adatta al consumo umano) allegramente venduta sotto mentite spoglie?....) rimaniamo stupiti davanti alla logica ferrea di questo ristorante: il Keuken van het on Ewenst Dier. Tradotto in italiano sarebbe "La cucina degli animali non graditi", in menù anche i piccioni viaggiatori. Ma il piatto che ci lascia basiti è l'Hamburger di My LIttle Pony - sì, è chiamato proprio così. Si tratta di carne ottenuta dai pony del parco giochi di Slagharen: quelli ormai anziani che non possono più lavorare coi bambini vengono macellati, la Cucina degli animali indesiderati acquista la carne per fare i suoi hamburger. Tra gli obiettivi dichiarati dal ristorante c'è quello di non sprecare risorse alimentari preziose, una filosofia anche ecologica se vogliamo. Però 'sta cosa, lasciatecelo dire, un po' di amaro in bocca ce lo lascia. Anche se è una delicatezza filosofico/morale, per la carità, e quei pony piuttosto che languire senza nessuno che si occupi di loro chissà dove forse (come tanti animali anziani senza cure adeguate) evitano tanti problemi. Insomma, è un po' hard la dichiarazione così esplicita e chiara? certe volte l'ipocrisia è piacevolmente soft. Ma è sempre ipocrisia.

BUROCRAZIA. Il cavallo in regola. Quando affidiamo o prendiamo in carico un cavallo, è importante che tutto quanto sia in regola. Con questa sezione vogliamo aiutarvi a farvi capire quali documenti servono, in che uffici andare e il loro significato, scrive Anima Equina.

ANAGRAFE EQUINA: l’anagrafe equina è stata istituita dalla Legge n.200 del 1 agosto 2003 e successivamente regolamentata dai D.M. 5 maggio 2006 e 9 ottobre 2007 del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali di concerto con il Ministero della salute ed ha le seguenti finalità:

a) tutela della salute pubblica e tutela del patrimonio zootecnico (costituzione e  funzionalità della rete di epidemiosorveglianza);

b) tutela economica e valorizzazione del patrimonio zootecnico;

c) fornire il basilare supporto per trasmettere informazioni al consumatore di carni di equidi e consentire un’etichettatura adeguata e chiara del prodotto;

d) assicurare la regolarità delle corse dei cavalli nonché garantire efficienza ed efficacia nella gestione dei controlli sulle corse stesse;

e) prevenire e controllare il fenomeno dell’abigeato.

Al fine di accelerare l’attivazione dell’anagrafe nazionale degli equidi, sia pure in forma temporanea e semplificata, con circolare n. 1 del 14 maggio 2007 il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali ha incaricato l’AIA di procedere con le attività di identificazione degli equidi. Per gestire correttamente tale attività su tutto il territorio nazionale, l’AIA ha sviluppato procedure informatiche tra cui questo sito.  Questo sito consente la consultazione dei dati raccolti dall’anagrafe temporanea e dai Libri genealogici e Registri anagrafici tenuti dalla stessa AIA e da talune ANA sue socie.

AZIENDA: la legge la definisce come qualsiasi luogo, anche all’aperto dove vengano custoditi animali; l’Azienda viene codificata attraverso un codice ISTAT attribuito dai sevizi veterinari delle ASL. Il codice stalla va richiesto prima di inserire gli animali in anagrafe. Il costo varia a seconda dalla zona.

REGISTRO/I AZIENDALE DEI TRATTAMENTI e dei FARMACI: obbligatori dal 2000 per tutte le aziende che detengano animali DPA o che producano alimenti potenzialmente destinati al consumo umano; devono essere vidimati dall’ASL. In caso di specie animali diverse, (ad es. bovini ed equini) o di proprietari diversi presenti nella stessa azienda, il registro o i registri dei farmaci sono unici per tutte le specie. Se non si hanno animali DPA (nemmeno uno neanche temporaneamente) il registro potrebbe non essere necessario (c’è ancora qualche parere discordante); in ogni caso vanno conservate le ricette.

REGISTRO AZIENDALE di CARICO e SCARICO EQUIDI: deve essere vidimato dall’ASL e deve rispettare le caratteristiche minime previste dal manuale operativo sull’anagrafe. Nel caso in cui l’azienda ospiti equini appartenenti a proprietari diversi, (ad es. maneggi, circoli ippici o aziende con equini in pensione) il registro sarà unico ma ogni proprietario dovrà avere una o più pagine a lui intitolate. In questi casi la copertina del Registro riporterà solo i dati dell’azienda e del legale rappresentante, mentre le pagine interne dovranno riportare i dati dei diversi proprietari (Nome, Cognome e Cod. Fiscale). Nel registro vanno riportati tutti gli equidi presenti in azienda riportandone anche gli eventi (acquisto o nascita, vendita o morte). In caso di acquisto o vendita, oltre alla data di carico o scarico vanno riportati anche i codici aziendali delle aziende di provenienza o di destinazione. Diventa quindi indispensabile verificare anche la correttezza dei documenti di accompagnamento (mod. 4) che vanno conservati assieme al registro. Nel caso in cui gli equidi vengano spostati per un periodo limitato di tempo dall’azienda di origine ma non cambiano proprietario (ad es. per andare ad un concorso o alla stazione di monta o in malga), il movimento dovrebbe essere considerato come spostamento temporaneo (analogamente a quanto si fa con i bovini); quindi dovrà essere compilato il mod. 4 ma non scaricare o caricare gli animali dal registro. In ogni caso poiché si tratta di un’interpretazione, per quanto diffusa e concordata, ma il particolare non è previsto dalle norme, è opportuno consultare la propria ASL. È possibile anche tenere un registro di carico-scarico informatizzato; in questo caso deve sempre essere reso disponibile in caso di controllo.

PROPRIETARIO: colui che dichiara la proprietà dell’equide e risulta tale sul passaporto e in archivio.

DETENTORE: colui che custodisce l’equide e, se diverso dal proprietario ma da costui delegato ufficialmente, può agire in suo nome e per conto. Nel caso specifico dei cavalli ospitati nei centri ippici, normalmente si considera come detentore (in questo caso senza delega) il responsabile del maneggio. Ai fini della responsabilità civile costui è comunque responsabile dell’equide solo quando questo si trova fisicamente nelle strutture aziendali (box o paddock) nel corso della normale gestione (alimentazione, pulizia e cura) da parte del conduttore o del personale del centro e non quando viene utilizzato o accudito dal proprietario. Si consiglia comunque di interpellare la propria ASL.

PASSAPORTO: tutti gli equidi con più di 7 mesi d’età debbono avere un PASSAPORTO a norma UE che deve sempre seguire l’animale nei suoi spostamenti e durante i trasporti. Le norme sono chiarissime: il passaporto deve sempre seguire l’animale anche in caso di spostamento a piedi qualora non si concluda entro la giornata: significa che se un cavallo va in passeggiata che duri meno di 1 giorno non è necessario averlo al seguito ma se il cavallo partecipa ad un trekking di più giorni, si deve avere il passaporto al seguito. Il passaporto viene rilasciato dopo l’identificazione dell’animale e deve contenere:

I dati identificativi dell’equide (data di nascita, sesso, mantello, eventuale genealogia, eventuale microchip, ecc..);

Lo spazio per il segnalamento grafico (pupazzetto);

I dati identificativi del primo proprietario e dei proprietari successivi (spazi per i passaggi di proprietà);

Gli spazi per le vaccinazioni;

Gli spazi per le prove sanitarie ed eventualmente per i controlli anti doping;

Gli spazi per i visti delle dogane;

Gli spazi per la somministrazione di ben determinati farmaci (il vostro veterinario deve esserne a conoscenza) e l’indicazione della DESTINAZIONE FINALE (D.P.A. o non D.P.A.).

N.B. Ai fini dell’identificazione dell’equide un passaporto si considera valido anche se risultano compilati solo una delle possibili modalità d’identificazione: microchip e mantello base oppure la descrizione completa del mantello con i dati segnaletici. Il segnalamento grafico (pupazzetto) è accessorio alle prime 2.  

DESTINAZIONE FINALE: si deve indicare quanto prima e la scelta va riportata e vidimata sul passaporto (anche per gli equini registrati prima dell’avvio dell’anagrafe); con questo si deve scegliere se l’animale potrà:

•in un prossimo o lontano futuro essere Destinato al macello per la Produzione di Alimenti per consumo umano (D.P.A.): con questa scelta il proprietario o il detentore diventa responsabile nella filiera alimentare e l’azienda che ospita l’equide deve avere il registro dei farmaci. N.B. L’equide potrà essere destinato alla macellazione non prima che siano trascorsi 6 mesi dalla data della vidimazione del passaporto.

•non essere destinato al macello per la produzione di alimenti per consumo umano (non D.P.A.). Questa opzione è irreversibile anche per i proprietari successivi; quando sarà giunta la sua ora l’animale dovrà essere obbligatoriamente avviato alla distruzione. I proprietari successivi devono essere informati della scelta.

N.B. La prima opzione è reversibile, ossia può essere cambiata volontariamente in qualsiasi momento o imposta dalle autorità sanitarie se decadono i requisiti affinché l’animale possa essere considerato D.P.A. Ad esempio se un cavallo viene rubato o comunque scompare dall’anagrafe senza che sia possibile ricostruire tutto il percorso, verrà escluso dalla macellazione in modo definitivo. 

MICROCHIP (o transponder): piccola apparecchiatura elettronica (circa 4mm x 1mm) che viene iniettato circa a metà della lunghezza del collo, sotto la criniera, normalmente sul lato sinistro. Il codice del microchip viene archiviato i banca dati e riportato sul passaporto; questo consente di identificare in modo praticamente sicuro e senza errori gli animali e stabilire a chi appartengono.

COGGINS TEST: il Coggin Test non è un vaccino, ma si tratta di un'analisi del sangue per controllare che il cavallo risulti indenne dall'anemia infettiva equina; questa malattia è virale ed è spesso causata da insetti che succhiano il sangue al cavallo e la trasmettono andando a pungere altri soggetti. Il Coggin Test, assieme ai certificati di vaccinazione, viene richiesto per permettere l'accesso di un cavallo ad una scuderia, ad una manifestazione pubblica ed anche per il trasporto del cavallo. L'esame deve essere fatto da un veterinario dell'ASL d'appartenenza o da un veterinario di fiducia autorizzato dall'ASL. Prima di qualsiasi trasferimento del nostro cavallo è bene informarci presso l'Unità sociosanitaria di zona per appurare le disposizioni su questo test e chiedere informazioni su eventuali altre normative. Gli esami richiesti possono variare a seconda della nostra regione di appartenenza e delle sue recenti regolamentazioni vigenti.

DOCUMENTO DI ACCOMPAGNAMENTO (Il modello 4): E’ importante procurarsi i modelli 4 nel formato previsto dal Decreto ministeriale del 16 maggio 2007. I modelli vanno compilati in modo completo riportando i dati d’identificazione dell’animale, il codice aziendale di partenza e quello di destinazione. Il mod. 4 va compilato per ogni spostamento dell’equide (anche per andare alla monta o a una gara) e una copia va conservata in azienda. Poiché anche nel registro di Carico Scarico equidi vanno indicati i codici stalla di partenza e di destinazione, si sconsiglia di movimentare o accettare animali non accompagnati dal mod. 4. Sono previste sanzioni sia per le irregolarità formali nella compilazione sia, e ben più pesanti, per la mancanza del mod. 4 durante il trasporto. 

MORBO COITALE MALIGNO: Test Morbo Coitale Equini. In seguito alla recente nota del Ministero della Salute “Dipartimento per la sanità Veterinaria, la Nutrizione e la Sicurezza degli Alimenti”, del 7 Febbraio 2012, avente per oggetto: Morbo Coitale Maligno. Misure sanitarie di controllo anno 2012 si informa che nelle Regioni a rischio quali: Lazio – Campania – Abruzzo – Molise – Basilicata – Puglia – Calabria – Sicilia per l’anno 2012 è reso obbligatorio il controllo sierologico per Morbo Coitale Maligno (di seguito MCM) di tutti gli equidi oggetto di compravendita entro 30 giorni dallo spostamento degli animali, fatta eccezione per eventi sportivi, gare e mostre. Pertanto:

1. In caso di compravendita con spostamento del cavallo: è obbligatorio emettere il mod. 4 esclusivamente con modalità elettronica. Il proprietario dovrà informare con debito anticipo il servizio veterinario dell’ASP dell’intenzione di spostare il cavallo. Il servizio veterinario provvederà all’esecuzione dei prelievi di sangue sugli animali oggetto di spostamento ed all’emissione del mod. 4 con modalità elettronica in caso di esito favorevole per MCM. Il costo dell’esame è a carico del proprietario del cavallo da movimentare.

2. Controllo sierologico di tutti gli equidi Quando a seguito di controlli, effettuati da parte dei servizi veterinari presso gli allevamenti o al macello, si riscontrino irregolarità nella loro identificazione e nei documenti di accompagnamento.

3. Controllo sierologico di tutti i cavalli che presentano alla visita ante mortem al macello una sintomatologia riferibile a MCM. In caso di riscontro sierologico positivo, i controlli devono essere estesi alle aziende di provenienza dell’equide macellato.

La cavalla Ieri Roby salvata dal macello grazie alle “Iene”. La segnalazione alla trasmissione televisiva ripropone il tema del destino dei quadrupedi dopo le corse, scrive Martina Trivigno il 4 maggio 2017 su “Il Tirreno”. Gli occhi della cavalla Ieri Roby, 12 anni, di Montecatini, devono averne viste davvero troppe di cose sbagliate nel corso di questi ultimi mesi. Adesso, però, è al sicuro e presto la sua vita riprenderà un corso naturale. Ma la sua storia, raccontata in prima serata, martedì, dalla trasmissione televisiva di Italia Uno, “Le Iene”, getta inevitabilmente un’ombra sul triste destino che forse, troppo spesso, tocca ai cavalli una volta fuori dal circuito delle corse. «Il lungo viaggio di Ieri Roby – spiega l’inviato Luigi Pelazza – inizia a Montecatini quando la proprietaria Federica, nell’ottobre scorso, capisce di non potersene più occupare». La giovane donna decide quindi di regalare la cavalla, di sua proprietà, a un agriturismo di Pisa. Ma Ieri Roby, in quell’agriturismo, non ci arriverà mai. Federica è tranquilla perché la cavalla è non Dpa (non destinata alla produzione alimentare): in sostanza non può essere macellata. Ma quando riceve una raccomandata da parte di un macellaio di Palermo, che le chiede il certificato di proprietà della sua cavalla, capisce che è in pericolo di vita e contatta Le Iene. «Come è possibile – chiede Pelazza – che una cavalla non macellabile sia stata data prima a delle persone di Palermo e poi addirittura sia finita in un macello, senza che la proprietaria ne sapesse niente?». E questa stessa domanda l’abbiamo posta a Sonny Richichi, presidente di Ihp (Italian horse protection), che è stato uno dei protagonisti del servizio andato in onda su Italia Uno. Nel corso della sua lunga esperienza, infatti, di casi simili ne ha visti parecchi. Con la sua associazione, che si occupa del salvataggio e del recupero di equini maltratti – ospitati poi in un centro di recupero a Montaione – si è attivato in prima persona per trovare un’adeguata sistemazione anche a Ieri Roby. «Stiamo facendo una selezione di strutture – spiega – in cui la cavalla, con il benestare della proprietaria, potrà vivere il resto dei suoi giorni. Possibilmente ad un passo da casa sua». Ciò che Richichi spiega, nel corso della nostra intervista, è che la storia di Ieri Roby, purtroppo, non è un caso isolato. Anzi. «Questa – afferma – è una delle modalità con cui si fanno sparire, ogni anno, migliaia di cavalli che non servono più. Succede per colpa di una normativa sull’anagrafe inconsistente, di controlli inadeguati, di collusioni e di interessi commerciali da parte di molti addetti ai lavori. Da tempo chiediamo una profonda revisione dell’anagrafe equina, nuove norme per una tracciabilità trasparente e controlli ancora più orientati alla tutela degli animali, oltre che uno stop alla macellazione dei cavalli. Ma quello che più di tutto deve cambiare, ed in fretta anche, è la cultura della maggior parte dei proprietari di cavalli, che vedono nel loro uso la sola ragione per averli». «Finché questa mentalità non cambierà – conclude Richichi – ogni anno continueranno a esserci migliaia di equini dismessi che nessuno potrà accogliere. La loro macellazione, quindi, è una comoda valvola di uscita per tanti».

DPA o non DPA? La scelta è irreversibile. Chi detiene un cavallo DPA è per legge un Operatore del Settore Alimentare tenuto a fornire garanzie sulla sicurezza. Scrive Thomas Abbondi. Fonte: SEF Italia. Chi ama i cavalli inorridisce all'idea che possano essere destinati al macello, un sentimento condiviso anche dal Legislatore che ci offre strumenti certi per determinare il destino dei nostri amici. Quando scegliamo di non destinare il cavallo alla produzione di alimenti, lo facciamo in maniera irreversibile, neanche vendendolo è possibile revocare questa scelta! Il Ministero della Salute specifica chiaramente nella circolare del 21 dicembre del 2007 che chiunque, soggetto pubblico o privato, che detiene con o senza fini di lucro un equide destinato alla produzione di alimenti (DPA) diventa necessariamente Impresa Alimentare e quindi ricade nella rigida Legislazione Alimentare! Di conseguenza chi detiene un cavallo DPA sia esso un Maneggio, una Associazione o un privato cittadino, per la legge è un Operatore del Settore Alimentare tenuto a fornire garanzie sulla sicurezza alimentare dettate dai rispettivi regolamenti. I veterinari dell'ASL devono quindi effettuare controlli sull'igiene (niente ragnatele, polvere, disinfezione stalle, locale mangimi a norma, ecc.) e sul benessere animale (ventilazione, spazi, altezze soffitti, lotta agli insetti ecc.); vanno registrate anche le partite di fieno e di mangime con relative analisi, si complica anche la gestione del registro medicinali e relative scorte, bisogna registrare le somministrazioni di farmaci, smaltirli dopo 28 giorni dall'apertura della confezione, chiamando un'apposita ditta. Insomma tutto diventa molto scomodo e complicato: tanta burocrazia che crea fastidio! Le multe se si sbaglia sono salatissime, poiché per il Ministero è in gioco la salute umana! Il cavallo DPA non può nemmeno essere trasportato su un trailer privato poiché non può essere escluso dall'ambito del regolamento 1/2005 CEE ed è pertanto sempre da considerarsi trasporto a fine di lucro! Bisogna chiamare un trasportatore professionista per spostare un cavallo DPA, con relativo esborso! Il Ministero della Salute è ben conscio di queste problematiche e infatti la circolare prosegue: "Visto che la peculiarità degli allevamenti per affezione, ippico-sportivi, ecc. non pone gli allevatori stessi nella condizione ottimale per assolvere a tali obblighi è consigliabile che in questa circostanza gli allevatori optino per la esclusione dei loro animali dalla produzione di alimenti per uso umano." Sul passaporto di ogni cavallo viene riportata la destinazione finale, dobbiamo verificare che il nostro cavallo abbia la dicitura non DPA, in caso contrario sarà sufficiente contattare la locale sede dell'APA (Associazione Provinciale Allevatori) che gestisce l'Anagrafe Equina, compilare la richiesta per l'esclusione dalla macellazione per la produzione di alimenti (equide non DPA) (scelta irreversibile) e pagare una modesta cifra per l'aggiornamento del passaporto! Ancora meglio, la verifica si può fare all'atto dell'acquisto del cavallo, quando comunque bisogna rivolgersi all'APA per il passaggio di proprietà!

"Uno stratagemma e il cavallo da corsa finisce al mattatoio". Italian Horse Protection commenta il servizio de Le Iene che ha messo a nudo una terribile realtà del mondo equino, scrive il 3 maggio 2017 “Il Quotidiano.net". Cavalli NON DPA che finiscono al mattatoio: svelato da Le Iene e da IHP uno dei sistemi più usati. La storia della cavalla Ieri Roby, raccontata in un servizio de Le Iene andato in onda su Italia1, è la storia di migliaia di cavalli che ogni anno escono dai circuiti dell’utilizzo ludico-sportivo per andare a finire al mattatoio. In questo caso, la storia di una ragazza che in perfetta buona fede aveva cercato una sistemazione per la sua cavalla, scoprendo poi che in realtà era finita nelle mani di un macellaio. L’Italia è il Paese europeo che macella più cavalli, sebbene i dati forniti siano molto contraddittori: nel 2016, secondo il Ministero della Salute, sarebbero stati macellati 50.123 equidi, mentre secondo l’Istat 42.793. Questi numeri così diversi ci danno l’idea della totale incertezza nella raccolta dei dati presso i mattatoi: incertezza dovuta a falle nella normativa e a controlli non adeguati sulla filiera. E' quanto riferisce un comunicato di Italian Horse Protection. "Andando più nel dettaglio, sappiamo che quasi la metà dei cavalli macellati proviene dall’estero, in particolare Polonia e altri Paesi dell’est Europa; e che i cavalli allevati appositamente a scopo di macellazione sono stimati in poche migliaia ogni anno. Tutti gli altri, e quindi una cifra che ragionevolmente oscilla tra i 15.000 e i 25.000, non possono che provenire dai circuiti dell’ippica e delle varie discipline equestri in cui i cavalli sono impiegati". "Animali che, quando non sono più utilizzabili perché iniziano a essere anziani o perché non sono più “performanti”, evidentemente rappresentano solo un peso che nessuno vuole più: né il proprietario, che non è disposto a mantenere un cavallo “senza farci nulla”, né eventuali centri ippici o privati che non potrebbero “usarli”, sottolinea ancora IHP. E’ qui, nel concetto di uso, che purtroppo risiede il destino di moltissimi cavalli nel nostro Paese - accusa IHP - sebbene sempre più persone oggi li considerino animali d’affezione, da curare e rispettare anche nella vecchiaia, purtroppo la maggior parte li vede solo sotto forma di impiego. Cessato l’impiego, bisogna darlo via in qualche modo. E qui entra in scena uno dei paradossi riservati dalle nostre leggi agli equidi, l’unica specie animale sottoposta sia alle normative sugli allevamenti e sulle produzioni zootecniche, sia a quelle sugli animali d’affezione. Ogni singolo cavallo, per la normativa, deve essere dichiarato dal proprietario DPA oppure NON DPA: nel primo caso può essere destinato alla macellazione (DPA = Destinato alla Produzione Alimentare), mentre nel secondo caso non potrà mai finire la sua vita in un mattatoio ma dovrà essere accudito fino a morte naturale (o eutanasia, possibile solo per evitare gravi sofferenze date da una malattia o da un incidente), spiega la nota di IHP. Attenzione: questa scelta imposta per legge non ha alcuna base etica, perché la sua ragione risiede nella futura possibilità di somministrazione dei farmaci. Per un cavallo DPA i controlli sull’uso dei farmaci sono molto più stringenti, ci sono dei tempi di attesa da rispettare e alcune molecole non si posso usare. Per un NON DPA non c’è ragione di porre queste limitazioni, visto che per legge quell’animale non potrà mai essere macellato per il consumo delle carni, spiega ancora Italian Horse Protection. Da quanto detto, si deduce facilmente che per il proprietario di un cavallo a uso sportivo è molto più conveniente dichiararlo NON DPA, in modo da poter curare eventuali patologie senza troppi problemi e senza troppi controlli. Ma che succede quando il cavallo diventa anziano o si infortuna seriamente, il proprietario non trova nessuno a cui darlo e non può nemmeno mandarlo al macello perché è NON DPA? In teoria, responsabilmente, dovrebbe mantenere l’animale per il resto dei suoi giorni senza poterlo usare. Invece, nella pratica, si trova spesso un modo per eliminarlo, sfruttando le falle normative, la scarsità di controlli e una vera e propria filiera criminale che riesce a far sparire il cavallo nel nulla. Una delle conseguenze, accertate dalle ormai numerose inchieste giudiziarie, è introdurre in commercio carni di cavalli contaminate da farmaci assunti durante il loro impiego sportivo, sottolinea ancora IHP. "La vicenda raccontata nel servizio de LE IENE non è un caso isolato, anzi è una delle modalità con le quali si fanno sparire ogni anno migliaia di cavalli che non servono più – dichiara Sonny Richichi, Presidente di IHP - Succede per colpa di una normativa sull'anagrafe inconsistente, di controlli inadeguati, di collusioni e di interessi commerciali da parte di molti addetti ai lavori. Infatti da tempo chiediamo una profonda revisione dell’anagrafe equina, nuove norme per una tracciabilità trasparente dei cavalli e controlli maggiormente orientati alla tutela degli animali, oltre che uno stop alla macellazione degli equidi. Ma quello che più di tutto deve cambiare e in fretta è la cultura della maggior parte dei proprietari di cavalli, che vedono nel loro uso la sola ragione per averli. Finché questa mentalità non cambierà, ogni anno continueranno a esserci migliaia di cavalli dismessi che nessuno potrà accogliere. Di fatto oggi come oggi la macellazione dei cavalli è una comoda valvola di uscita per tanti", conclude Richichi.

La verità sulla carne di cavallo: una brutta storia collegata al commercio illegale di animali sportivi non macellabili, scrive Roberto La Pira il 15 febbraio 2013. La vicenda delle lasagne condite con carne di cavallo anziché carne bovina non è una semplice frode commerciale. Gli arresti in Inghilterra e i provvedimenti adottati in Francia contro alcune aziende fanno pensare a una storia molto seria che le autorità fanno fatica ad ammettere. Riscontri positivi sono stati rilevati in Germania, Irlanda, Norvegia e Svizzera. Il fatto alimentare prova a raccontarvi cosa si nasconde dietro le lasagne di cavallo inglesi della Findus. Il primo elemento che insospettisce in questa storia è la decisione della Food Standard Agency di condurre un esame approfondito sulle carcasse di cavalli macellati, alla ricerca di sostanze estranee alla catena alimentare.  Secondo quanto riferisce il Guardian le analisi hanno evidenziato otto casi di positività al Fenilbutazone, un medicinale veterinario con funzione antidolorifica e antinfiammatoria somministrato spesso ai cavalli sportivi. L’altra notizia è la decisione presa mercoledì 13 febbraio dalla Commissione europea, di invitare tutti gli Stati membri ad eseguire test del DNA nei prodotti alimentari che contengono carne bovina come ingrediente per verificare l’assenza di carne di cavallo. Le analisi dovranno essere condotte in marzo e i risultati saranno resi noti in aprile. Il terzo fatto è un comunicato dell’Efsa datato 11 febbraio che evidenzia il problema della falsa etichettatura dei prodotti contenenti carne di cavallo, e l’assenza di tracciabilità di questa carne, anche se non rileva “sino ad ora” problemi di sicurezza alimentare. Questi elementi lasciano intuire l’ipotesi che la carne di cavallo nelle lasagne provenga da cavalli non destinati alla produzione alimentare. Si tratta di animali da corsa, trotto o utilizzati come animali da compagnia appartenenti a privati cittadini che arrivati a fine carriera vengono macellati in modo fraudolento per essere inseriti sempre in modo fraudolento nel circuito della carne di cavallo alimentare. Prima di andare avanti bisogna dire che per i cavalli esiste un doppio circuito. Il primo comprende animali da reddito (classificati dagli addetti ai lavori come “dpa” ovvero destinati alla produzione alimentare), allevati per essere macellati sottoposti a regole precise (una dieta composta solo da alcuni mangimi, cure solo con alcuni farmaci, rispetto dei tempi di sospensione prima della macellazione per metabolizzare eventuali medicinali, una scheda di filiera per registrano tutti i trattamenti veterinari e i vari spostamenti effettuati dalla nascita al macello  proprio come avviene per i bovini). In Italia ogni anno si macellano 6.000 cavalli provenienti da questi allevamenti destinati a trasformarsi in bistecche (si tratta di una cifra pari al 10 % circa di tutti i capi macellati). Esistono poi 800mila cavalli sportivi che possono essere allevati in due modi. Il primo gruppo comprende quelli che rispettano le regole alimentari, classificati come destinati alla produzione alimentare (dpa). Sono il 40% circa e a fine carriera finiscono nei macelli per essere trasformati in bistecche. In Italia se ne macellano 35.000 capi all’anno, la restante quota proviene da altri Paesi europei. I cavalli sportivi non destinati alla produzione alimentare e classificati come non dpa, sono la maggioranza (oltre il 60%) e vengono trattati spesso con antinfiammatori e antibiotici necessari per curare le patologie tipiche da sforzo. La legge europea è severa e il cavallo sportivo non-DPA quando va in pensione a fine carriera (all’età di 8-9 anni) oltre a non poter essere macellato non può essere abbattuto. E’ vietato dal codice penale e dal 2006 le pene sono state inasprite. Per legge la carne non può essere utilizzata nemmeno come mangime per cani o gatti. L’unica soluzione per il proprietario è mantenere l’animale fino alla morte (almeno 8-10 anni) con costi molto elevati sia per il vitto e l’alloggio.  Il cavalli “in pensione” sono tanti, quelli riciclati in maneggi e altre strutture sportive sono pochissimi. In questa situazione i proprietari degli animali hanno due possibilità: mantenere un cavallo che non fa niente fino alla morte e sobbarcarsi poi anche le spese di “incenerimento” quando muore, oppure trovare soluzioni più facili anche se illegali. La strada più conveniente è cedere l’animale ad un macello clandestino, oppure riuscire a trasformare il cavallo non dpa in animale da reddito con documenti falsi, e avviarlo nei macelli per venderlo e inserire carne probabilmente contaminata da farmaci vietati nel circuito alimentare. In Europa i controlli non sono così ricorrenti, le pene non sono così severe e il guadagno è interessante. Diventa quindi probabile la commercializzazione di questa carne in modo fraudolento, mischiandola a carne di bovini. La decisione di Bruxelles di invitare gli Stati a ricercare nella carne di cavallo tracce di fenilbutazone è legato proprio al forte sospetto di inserimento di carne di cavalli non dpa nel circuito alimentare. L’Italia dovrà effettuare 500 test di questo tipo perché noi consumiamo e macelliamo molta carne di cavallo fresca, e 200 per la ricerca del DNA di cavallo in preparati a base di carne. Al Ministero della salute non sono per niente contenti, perché le analisi costano 400 euro l’una e l’UE ne rimborsa il 75%. La posizione è chiara, il nostro servizio veterinario funziona e le carni italiane di cavallo provengono da allevamenti regolari o da circuito dpa, perché dobbiamo sobbarcarsi le spese degli animali che arrivano dalla Francia, dalla Polonia e da altri Paesi per essere macellati da noi? Spetta a questi Paesi garantire che gli animali siano sani e provengono solo dal circuito dei cavalli sportivi dpa. In veterinari che operano in altri Paesi sono pochi rispetto a quelli italiani e i controlli nella filiera del cavallo non sono così diffusi. «Il problema – sostiene Daria Scarciglia, avvocato esperto di legislazione sanitaria – non è di facile soluzione. L’Unione Europea dovrebbe disciplinare la sorte dei cavalli non-dpa a fine carriera sportiva in tutti gli Stati membri, in modo da regolamentarne l’impiego in altre attività laddove possibile, oppure l’abbattimento. C’è un altro elemento da regolamentare ed è l’estensione delle regole di tracciabilità dei farmaci utilizzati per i cavalli dpa anche agli animali sportivi non-dpa, per evitare facile confusione. Le norme europee sull’identificazione dei cavalli prevedono solo il censimento degli animali, non la registrazione in una banca dati di tutte le informazioni relative ai trattamenti medici o agli spostamenti.  Si tratta di una carenza che rende difficili e lacunosi anche i controlli. In mancanza di norme chiare ed univoche, i singoli Stati hanno pochi strumenti per controllare il mercato. Siamo di fronte a uno scandalo che ha fatto emergere problematiche legate sia alla tutela della salute umana che alla tutela del benessere animale».  Roberto La Pira giornalista, tecnologo alimentare

Aberrante presa di posizione della Federazione Europea dei Veterinari, scrive il 16 settembre 2011 IHP Italian Horse Protection Onlus. La FVE, Federazione dei Veterinari Europei, ha recentemente pubblicato una presa di posizione che sta facendo molto discutere. Come sappiamo, dal punto di vista legale in tutta Europa, Italia compresa, il cavallo è una specie che, semplificando, possiamo considerare intermedia tra l'animale d'affezione e l'animale da reddito. Infatti ad ogni singolo equide il proprietario dà una “destinazione”. Destinato alla Produzione Alimentare (DPA) o non-Destinato alla Produzione Alimentare (non-DPA). Di fatto se il proprietario decide di dichiarare il proprio cavallo DPA, esso sarà liberamente macellabile ma dovrà sottostare a determinate regole in tema di farmaci; una via di compromesso tra la cura delle eventuali malattie o incidenti e la teorica salubrità delle carni per il consumo umano. Qualora invece il proprietario decida che il proprio cavallo sia non-DPA, allora dopo questa scelta, che è irreversibile, non potrà mai macellare il suo animale e sottostarà a norme diverse per quanto riguarda i medicinali, potendo curare al meglio il proprio animale. A chi scrive sembra chiaro il processo culturale che è alla base di questa normativa: il cavallo pur essendo stato considerato per tanto tempo un animale da reddito, viene ora sempre più considerato un animale d'affezione e per sempre più proprietari di cavalli, specialmente in alcune zone del continente, la possibilità di macellare il proprio compagno di vita è una possibilità che provoca solo orrore. Il passo che la logica vuole che venga fatto nel tempo è l'escludere a priori la possibilità di macellazione in modo che la normativa possa seguire fedelmente i canoni morali della maggioranza dei cittadini. Secondo la presa di posizione ufficiale della Federazione Europea dei Veterinari, viceversa, la “macellazione dei cavalli è la naturale conseguenza del possesso di cavalli per sport, piacere e/o produzione alimentare”. Se già una istituzione veterinaria che esprime concetti così distanti dalla sensibilità comune potrebbe dare adito a censura, ciò che lascia interdetti è la motivazione: “l'eliminazione dell'opzione macellazione per consumo umano (…) è probabile che porti ad abbandonare gli animali o a trascurarli”. E' chiarissima la logica aberrante che si sottintende: invece che educare al rispetto per la vita e con questo prevenire reati (ricordiamo ai membri del Consiglio della FVE che l'abbandono di un animale è un reato in tutti i Paesi della UE così come lo è la sua uccisione immotivata), invece che reprimere, anche duramente, le attività eventualmente criminose, invece che procedere in un percorso di civilizzazione che ormai abbiamo già intrapreso, si preferisce tornare indietro nel tempo e nella sensibilità per paura che qualcuno delinqua. La piaga dell'abbandono e/o dell'uccisione dei cani prima dell'estate e ad inizio della stagione venatoria in Italia è inquietante. Perché non permetterne allora la macellazione? In questo modo la famigliola che vuole andare in vacanza senza il peso del proprio compagno peloso (o il cacciatore che non vuole mantenere un cane che si è rivelato non adatto al suo “sport”) può tranquillamente macellarlo e magari ricavarci anche qualche spicciolo invece che delinquere abbandonandolo o affogandolo.

MACELLARE CAVALLI DA CORSA (NON DESTINATI AL MATTATOIO) È REATO. Molti cavalli da corsa sono non DPA (non macellabili) e non possono essere destinati al mercato dei mattatoi, scrive LAV il 21 febbraio 2014. La regola, che certo vorremmo vedere applicata, ma per etica, a tutti gli equidi, è fatta per evitare che nella filiera alimentare finiscano animali che possono essere stati sottoposti a trattamenti farmacologici...ma siamo sicuri che questo avvenga? Ciò che spesso succede, al riparo di occhi indiscreti, è ben diverso: dopo una vita passata al trotto e al galoppo, fra ostacoli, gare e, in molti casi, anche doping, i cavalli da corsa (anche non DPA, cioè non macellabili) devono fruttare qualcosa anche a fine carriera. Il Tribunale di Varese, chiamato a giudicare il caso di un proprietario di cavalli che, falsificando i certificati, destinava al macello i suoi cavalli da corsa non DPA, ha però fornito un precedente esemplare nella giurisprudenza sui cavalli, e ha confermato un importante principio sull’art 544 bis c.p. ‘uccisione non necessitata’ in caso di macellazione clandestina di animali non destinati "al consumo" alimentare, condannando l’imputato ad un anno e sei mesi di reclusione, oltre a 640 euro di multa. Carla Campanaro, avvocato e responsabile del nostro Ufficio legale, ci ha spiegato per filo e per segno perché questa sentenza è così importante, e perché giocherà un ruolo fondamentale per difendere i nostri amici cavalli: leggi il suo commento!

Macellazione clandestina, Onorevole Brambilla: “Riconoscere gli equidi come animali d’affezione”, scrive Lorena Coppola il 3 marzo 2017. L’Onorevole Brambilla ribadisce la necessità di una legge che tuteli gli equidi, li protegga dalle varie forme di sfruttamento e li riconosca come animali d’affezione. L’operazione condotta nel siracusano dai carabinieri dei Nas e del Noe contro la filiera illegale della carne equina non solo ferma un traffico pericoloso per la salute umana, ma rafforza le ragioni di chi, come noi animalisti, ritiene necessaria una legge che tuteli effettivamente gli equidi e li metta al riparo dallo sfruttamento totale cui questi animali sono soggetti: dalle corse, alla trazione, al macello. Lo afferma l’Onorevole Michela Vittoria Brambilla, Presidente della Lega italiana per la Difesa degli Animali e dell’Ambiente, prima firmataria di una proposta di legge che, tra le altre cose, riconosce gli equidi come animali d’affezione e ne vieta la macellazione. Bisogna dire chiaramente – sottolinea l’Onorevole – che abusi come quelli portati alla luce oggi sono favoriti dall’ambiguità che caratterizza lo status degli equidi nel nostro paese: a volte trattati come animali d’affezione, più spesso come animali da reddito con tutti gli annessi e connessi legati a questa scomoda situazione. Oggi il cavallo continua a essere sfruttato in mille maniere: sotto i tendoni dei circhi, negli ippodromi ufficiali, nelle corse clandestine, sui sampietrini dei centri urbani a trascinare carrozzelle sotto la pioggia o con il caldo torrido, lanciato a folle velocità sui tracciati dei palii di tradizione medievale. E nella maggior parte dei casi, spesso grazie a triangolazioni o certificazioni compiacenti che consentono di aggirare i divieti, il cavallo utilizzato per le corse diventa “dpa” destinato alla produzione alimentare, e la sua ultima stazione è il macello, per lo più dopo avere affrontato interminabili viaggi dall’est in condizioni inenarrabili. Mentre nel mondo anglosassone mangiare il cavallo è un vero e proprio tabù, in alcuni Stati americani è addirittura illegale, in Italia la specie è letteralmente “utilizzata fino all’osso”. Il nostro Paese detiene il triste primato di maggiore consumatore di carne equina (cavalli, asini, muli, bardotti) tra i grandi paesi europei: circa un chilo di carne all’anno pro capite. Il numero di capi macellati, secondo l’ISTAT, è in costante declino da anni (da 167.139 nel 2006 a 35.368 nel 2015), ma proprio l’anno scorso si è registrata una risalita (42.739).