Denuncio al mondo ed ai posteri con i miei libri tutte le illegalità tacitate ed impunite compiute dai poteri forti (tutte le mafie). Lo faccio con professionalità, senza pregiudizi od ideologie. Per non essere tacciato di mitomania, pazzia, calunnia, diffamazione, partigianeria, o di scrivere Fake News, riporto, in contraddittorio, la Cronaca e la faccio diventare storia. Quella Storia che nessun editore vuol pubblicare. Quelli editori che ormai nessuno più legge.

Gli editori ed i distributori censori si avvalgono dell'accusa di plagio, per cessare il rapporto. Plagio mai sollevato da alcuno in sede penale o civile, ma tanto basta per loro per censurarmi.

I miei contenuti non sono propalazioni o convinzioni personali. Mi avvalgo solo di fonti autorevoli e credibili, le quali sono doverosamente citate.

Io sono un sociologo storico: racconto la contemporaneità ad i posteri, senza censura od omertà, per uso di critica o di discussione, per ricerca e studio personale o a scopo culturale o didattico. A norma dell'art. 70, comma 1 della Legge sul diritto d'autore: "Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l'utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali."

L’autore ha il diritto esclusivo di utilizzare economicamente l’opera in ogni forma e modo (art. 12 comma 2 Legge sul Diritto d’Autore). La legge stessa però fissa alcuni limiti al contenuto patrimoniale del diritto d’autore per esigenze di pubblica informazione, di libera discussione delle idee, di diffusione della cultura e di studio. Si tratta di limitazioni all’esercizio del diritto di autore, giustificate da un interesse generale che prevale sull’interesse personale dell’autore.

L'art. 10 della Convenzione di Unione di Berna (resa esecutiva con L. n. 399 del 1978) Atto di Parigi del 1971, ratificata o presa ad esempio dalla maggioranza degli ordinamenti internazionali, prevede il diritto di citazione con le seguenti regole: 1) Sono lecite le citazioni tratte da un'opera già resa lecitamente accessibile al pubblico, nonché le citazioni di articoli di giornali e riviste periodiche nella forma di rassegne di stampe, a condizione che dette citazioni siano fatte conformemente ai buoni usi e nella misura giustificata dallo scopo.

Ai sensi dell’art. 101 della legge 633/1941: La riproduzione di informazioni e notizie è lecita purché non sia effettuata con l’impiego di atti contrari agli usi onesti in materia giornalistica e purché se ne citi la fonte. Appare chiaro in quest'ipotesi che oltre alla violazione del diritto d'autore è apprezzabile un'ulteriore violazione e cioè quella della concorrenza (il cosiddetto parassitismo giornalistico). Quindi in questo caso non si fa concorrenza illecita al giornale e al testo ma anzi dà un valore aggiunto al brano originale inserito in un contesto più ampio di discussione e di critica.

Ed ancora: "La libertà ex art. 70 comma I, legge sul diritto di autore, di riassumere citare o anche riprodurre brani di opere, per scopi di critica, discussione o insegnamento è ammessa e si giustifica se l'opera di critica o didattica abbia finalità autonome e distinte da quelle dell'opera citata e perciò i frammenti riprodotti non creino neppure una potenziale concorrenza con i diritti di utilizzazione economica spettanti all'autore dell'opera parzialmente riprodotta" (Cassazione Civile 07/03/1997 nr. 2089).

Per questi motivi Dichiaro di essere l’esclusivo autore del libro in oggetto e di tutti i libri pubblicati sul mio portale e le opere citate ai sensi di legge contengono l’autore e la fonte. Ai sensi di legge non ho bisogno di autorizzazione alla pubblicazione essendo opere pubbliche.

Promuovo in video tutto il territorio nazionale ingiustamente maltrattato e censurato. Ascolto e Consiglio le vittime discriminate ed inascoltate. Ogni giorno da tutto il mondo sui miei siti istituzionali, sui miei blog d'informazione personali e sui miei canali video sono seguito ed apprezzato da centinaia di migliaia di navigatori web. Per quello che faccio, per quello che dico e per quello che scrivo i media mi censurano e le istituzioni mi perseguitano. Le letture e le visioni delle mie opere sono gratuite. Anche l'uso è gratuito, basta indicare la fonte. Nessuno mi sovvenziona per le spese che sostengo e mi impediscono di lavorare per potermi mantenere. Non vivo solo di aria: Sostienimi o mi faranno cessare e vinceranno loro. 

Dr Antonio Giangrande  

NOTA BENE

NESSUN EDITORE VUOL PUBBLICARE I  MIEI LIBRI, COMPRESO AMAZON, LULU E STREETLIB

SOSTIENI UNA VOCE VERAMENTE LIBERA CHE DELLA CRONACA, IN CONTRADDITTORIO, FA STORIA

NOTA BENE PER IL DIRITTO D'AUTORE

 

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ABOLIZIONE DEI CONCORSI TRUCCATI E LIBERALIZZAZIONE DELLE PROFESSIONI

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WEB TV: TELE WEB ITALIA

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L’ITALIA ALLO SPECCHIO

IL DNA DEGLI ITALIANI

 

 

ANNO 2023

LO SPETTACOLO

E LO SPORT

OTTAVA PARTE


 

DI ANTONIO GIANGRANDE


 

L’APOTEOSI

DI UN POPOLO DIFETTATO

Questo saggio è un aggiornamento temporale, pluritematico e pluriterritoriale, riferito al 2023, consequenziale a quello del 2022. Gli argomenti ed i territori trattati nei saggi periodici sono completati ed approfonditi in centinaia di saggi analitici specificatamente dedicati e già pubblicati negli stessi canali in forma Book o E-book, con raccolta di materiale riferito al periodo antecedente. Opere oggetto di studio e fonti propedeutiche a tesi di laurea ed inchieste giornalistiche.

Si troveranno delle recensioni deliranti e degradanti di queste opere. Il mio intento non è soggiogare l'assenso parlando del nulla, ma dimostrare che siamo un popolo difettato. In questo modo è ovvio che l'offeso si ribelli con la denigrazione del palesato.


 

IL GOVERNO


 

UNA BALLATA PER L’ITALIA (di Antonio Giangrande). L’ITALIA CHE SIAMO.

UNA BALLATA PER AVETRANA (di Antonio Giangrande). L’AVETRANA CHE SIAMO.

PRESENTAZIONE DELL’AUTORE.

LA SOLITA INVASIONE BARBARICA SABAUDA.

LA SOLITA ITALIOPOLI.

SOLITA LADRONIA.

SOLITO GOVERNOPOLI. MALGOVERNO ESEMPIO DI MORALITA’.

SOLITA APPALTOPOLI.

SOLITA CONCORSOPOLI ED ESAMOPOLI. I CONCORSI ED ESAMI DI STATO TRUCCATI.

ESAME DI AVVOCATO. LOBBY FORENSE, ABILITAZIONE TRUCCATA.

SOLITO SPRECOPOLI.

SOLITA SPECULOPOLI. L’ITALIA DELLE SPECULAZIONI.


 

L’AMMINISTRAZIONE


 

SOLITO DISSERVIZIOPOLI. LA DITTATURA DEI BUROCRATI.

SOLITA UGUAGLIANZIOPOLI.

IL COGLIONAVIRUS.

SANITA’: ROBA NOSTRA. UN’INCHIESTA DA NON FARE. I MARCUCCI.


 

L’ACCOGLIENZA


 

SOLITA ITALIA RAZZISTA.

SOLITI PROFUGHI E FOIBE.

SOLITO PROFUGOPOLI. VITTIME E CARNEFICI.


 

GLI STATISTI


 

IL SOLITO AFFAIRE ALDO MORO.

IL SOLITO GIULIO ANDREOTTI. IL DIVO RE.

SOLITA TANGENTOPOLI. DA CRAXI A BERLUSCONI. LE MANI SPORCHE DI MANI PULITE.

SOLITO BERLUSCONI. L'ITALIANO PER ANTONOMASIA.

IL SOLITO COMUNISTA BENITO MUSSOLINI.


 

I PARTITI


 

SOLITI 5 STELLE… CADENTI.

SOLITA LEGOPOLI. LA LEGA DA LEGARE.

SOLITI COMUNISTI. CHI LI CONOSCE LI EVITA.

IL SOLITO AMICO TERRORISTA.

1968 TRAGICA ILLUSIONE IDEOLOGICA.


 

LA GIUSTIZIA


 

SOLITO STEFANO CUCCHI & COMPANY.

LA SOLITA SARAH SCAZZI. IL DELITTO DI AVETRANA.

LA SOLITA YARA GAMBIRASIO. IL DELITTO DI BREMBATE.

SOLITO DELITTO DI PERUGIA.

SOLITA ABUSOPOLI.

SOLITA MALAGIUSTIZIOPOLI.

SOLITA GIUSTIZIOPOLI.

SOLITA MANETTOPOLI.

SOLITA IMPUNITOPOLI. L’ITALIA DELL’IMPUNITA’.

I SOLITI MISTERI ITALIANI.

BOLOGNA: UNA STRAGE PARTIGIANA.


 

LA MAFIOSITA’


 

SOLITA MAFIOPOLI.

SOLITE MAFIE IN ITALIA.

SOLITA MAFIA DELL’ANTIMAFIA.

SOLITO RIINA. LA COLPA DEI PADRI RICADE SUI FIGLI.

SOLITO CAPORALATO. IPOCRISIA E SPECULAZIONE.

LA SOLITA USUROPOLI E FALLIMENTOPOLI.

SOLITA CASTOPOLI.

LA SOLITA MASSONERIOPOLI.

CONTRO TUTTE LE MAFIE.


 

LA CULTURA ED I MEDIA


 

LA SCIENZA E’ UN’OPINIONE.

SOLITO CONTROLLO E MANIPOLAZIONE MENTALE.

SOLITA SCUOLOPOLI ED IGNORANTOPOLI.

SOLITA CULTUROPOLI. DISCULTURA ED OSCURANTISMO.

SOLITO MEDIOPOLI. CENSURA, DISINFORMAZIONE, OMERTA'.


 

LO SPETTACOLO E LO SPORT


 

SOLITO SPETTACOLOPOLI.

SOLITO SANREMO.

SOLITO SPORTOPOLI. LO SPORT COL TRUCCO.


 

LA SOCIETA’


 

AUSPICI, RICORDI ED ANNIVERSARI.

I MORTI FAMOSI.

ELISABETTA E LA CORTE DEGLI SCANDALI.

MEGLIO UN GIORNO DA LEONI O CENTO DA AGNELLI?


 

L’AMBIENTE


 

LA SOLITA AGROFRODOPOLI.

SOLITO ANIMALOPOLI.

IL SOLITO TERREMOTO E…

IL SOLITO AMBIENTOPOLI.


 

IL TERRITORIO


 

SOLITO TRENTINO ALTO ADIGE.

SOLITO FRIULI VENEZIA GIULIA.

SOLITA VENEZIA ED IL VENETO.

SOLITA MILANO E LA LOMBARDIA.

SOLITO TORINO ED IL PIEMONTE E LA VAL D’AOSTA.

SOLITA GENOVA E LA LIGURIA.

SOLITA BOLOGNA, PARMA ED EMILIA ROMAGNA.

SOLITA FIRENZE E LA TOSCANA.

SOLITA SIENA.

SOLITA SARDEGNA.

SOLITE MARCHE.

SOLITA PERUGIA E L’UMBRIA.

SOLITA ROMA ED IL LAZIO.

SOLITO ABRUZZO.

SOLITO MOLISE.

SOLITA NAPOLI E LA CAMPANIA.

SOLITA BARI.

SOLITA FOGGIA.

SOLITA TARANTO.

SOLITA BRINDISI.

SOLITA LECCE.

SOLITA POTENZA E LA BASILICATA.

SOLITA REGGIO E LA CALABRIA.

SOLITA PALERMO, MESSINA E LA SICILIA.


 

LE RELIGIONI


 

SOLITO GESU’ CONTRO MAOMETTO.


 

FEMMINE E LGBTI


 

SOLITO CHI COMANDA IL MONDO: FEMMINE E LGBTI.


 


 

LO SPETTACOLO E LO SPORT


 

INDICE PRIMA PARTE


 

SOLITO SPETTACOLOPOLI. (Ho scritto un saggio dedicato)

L’Artista.

Il rapper, il trapper oppure del sottogenere dei «gangsta».

L’hip-hop.

L'Autotune.

Si stava meglio quando si stava peggio.

Laureati.

Gli Stadi.

Imprenditori ed Agenti.

Gli Autori.

I Parolieri.

Il Plagio.

Le Colonne Sonore d’Italia.

Le Fake news.

Le Relazioni astratte.

Le Hollywood d’Italia.

Revenge songs.

Achille Lauro.

Ada Alberti.

Adele.

Adriano Celentano.

Adriano Pappalardo.

Ainett Stephens.

Alain Delon.

Alan Sorrenti.

Alba Parietti.

Alberto Fortis.

Alberto Marozzi. 

Al Bano Carrisi.

Al Pacino.

Aldo Savoldello: Mago Silvan.

Aldo, Giovanni e Giacomo.

Ale e Franz.

Alec Baldwin.

Alena Seredova.

Alessandra Martines.

Alessandra Mastronardi.

Alessandra e Valentina Giudicessa.

Aleandro Baldi.

Alessandro Baricco.

Alessandro Benvenuti.

Alessandro Bergonzoni.

Alessandro Borghi.

Alessandro Cattelan.

Alessandro Cecchi Paone.

Alessandro e Leo Gassmann.

Alessandro Haber.

Alessandro Preziosi e Vittoria Puccini.

Alessia Fabiani.

Alessia Marcuzzi.

Alessia Merz.

Alex Britti.

Alex Di Luca.

Alexia.

Alfonso Signorini.

Alvaro Vitali.

Amadeus.

Amanda Lear.

Amara Rakhi Gill.

Ambra Angiolini.

Amedeo Minghi.

Amleto Marco Belelli, il Divino Otelma.

Andrea Bocelli.

Andrea Delogu.

Andrea Pucci.

Andrea Roncato.

Angela Cavagna.

Angela White.

Angelina Jolie.

Angelo Branduardi.

Angelo Duro.

Annalisa.

Anna Chetta alias Linda Lorenzi.

Anna Falchi.

Anna Mazzamauro.

Anna Tatangelo.

Anna Valle.

Antonella Clerici.

Antonella Elia.

Antonella Marino.

Antonino Cannavacciuolo.

Antonio Banderas.

Antonio Diodato.

Antonio Albanese.

Antonio Ricci.

Ariete si chiama Arianna Del Giaccio.

Arnold Schwarzenegger.

Articolo 31.

Arturo Brachetti.

Asia e Dario Argento.

Barbara Bouchet.

Barbara D’Urso.

Barbra Streisand.

Beatrice Fazi.

Beatrice Rana.

Beatrice Venezi.

Bebe Buell.

Belen Rodriguez e Stefano De Martino.

Beppe Convertini.

Beppe o Peppe Vessicchio.

Biagio Antonacci.

Bianca Balti.

Bob Dylan.

Bobby Solo: Roberto Satti.

Brad Pitt.

Brenda Lodigiani.

Brendan Fraser.

Brigitte Bardot.

Britney Spears.

Brooke Shields.

Bruce Willis.

Bruno Gambarotta.

Bugo.

Candy Love.

Carla Signoris.

Carlo Conti.

Carlo Freccero.

Carlo Verdone.

Carlotta Mantovan.

Carmen Russo.

Carol Alt.

Carole Andrè.

Carolina Crescentini.

Cate Blanchett.

Caterina Caselli.

Catherine Deneuve.

Catiuscia Maria Stella Ricciarelli: Katia Ricciarelli.

Cecilia Gasdìa.

Celine Dion.

Cesare Cremonini.

Capri Cavanni.

Charlize Theron.

Cher.

Chiara Claudi.

Chiara Francini.

Chiara Mastroianni.

Christian Clay.

Christian De Sica.

Christina Aguilera.

Christopher Walken.

Chu Meng Shu.

Cinzia Leone.

Cirque du Soleil.

Clara Serina.

Claudia Cardinale.

Claudia Gerini.

Claudia Koll.

Claudia Pandolfi.

Claudio Amendola.

Claudio Baglioni.

Claudio Cecchetto.

Claudio Lippi.

Claudio Santamaria.

Clint Eastwood.

CJ Miles.

Colapesce e Dimartino.

Colin Farrell.

Coma_Cose.

Corrado Tedeschi.

Costantino della Gherardesca.

Costantino Vitagliano.

Cristiana Capotondi.

Cristiano De André.

Cristiano Malgioglio.

Cristina Comencini.

Cristina D’Avena.

Cristina Scuccia.


 

INDICE SECONDA PARTE


 

SOLITO SPETTACOLOPOLI. (Ho scritto un saggio dedicato)

Dado.

Dalila Di Lazzaro.

Daniel Craig.

Daniele Luttazzi.

Daniele Silvestri.

Dargen D'Amico.

Dario Farina.

David Lee.

Den Harrow.

Dennis Fantina.

Diana Del Bufalo.

Diego Dalla Palma.

Diego Abatantuono.

Diletta Leotta.

Donatella Rettore.

Dredd.

Drusilla Foer.

Ed Sheeran.

Edoardo Bennato.

Edoardo Costa.

Edoardo Vianello.

Edwige Fenech.

Elena Di Cioccio.

Elena Santarelli.

Elenoire Casalegno.

Eleonora Abbagnato.

Eleonora Daniele.

Eleonora Giorgi.

Elettra Lamborghini.

Elisa Isoardi.

Elisabetta Valentini.

Elodie.

Ema Stockolma.

Emanuela Fanelli.

Emanuela Folliero.

Emanuela Trane: Dolcenera.

Emma Marrone.

Enrica Bonaccorti.

Enrico Bertolino.

Enrico Beruschi.

Enrico Brignano.

Enrico Lo Verso.

Enrico Ruggeri.

Enrico Silvestrin.

Enrico Vanzina.

Enza Sampò.

Enzo Braschi.

Enzo Ghinazzi, in arte Pupo.

Enzo Iacchetti.

Ernia.

Eros Ramazzotti.

Eugenio Finardi.

Euridice Axen.

Eva Elfie.

Eva Henger.

Eva Menta e Alex Mucci.

Eva Riccobono.

Eva Robin’s.

Ezio Greggio.

Fabio Concato.

Fabio De Luigi.

Fabio Fazio.

Fabio Rovazzi.

Fabrizio Bentivoglio.

Fabrizio Biggio e Francesco Mandelli.

Fabrizio Bracconeri.

Fabrizio Corona.

Fabrizio Moro.

Fanny Ardant.

Fedez e Chiara Ferragni.

Ferzan Ozpetek.

Ficarra e Picone.

Filippa Lagerbäck e Daniele Bossari.

Fiordaliso.

Fiorella Mannoia.

Fiorella Pierobon.

Fioretta Mari.

Francesca Alotta.

Francesca Michielin.

Francesca Neri.

Francesca Reggiani.

Francesco Baccini.

Francesco De Gregori.

Francesco Facchinetti.

Francesco Guccini.

Francesco Leone.

Francesco Nuti.

Francesco Pannofino.

Francesco Renga.

Francesco Salvi.

Francis Ford Coppola.

Franco Nero.

Francois Ozon.

Frank Matano.

Frankie Hi Nrg Mc.

Gabriel Garko.

Gabriele e Silvio Muccino.

Gabriele Salvatores.

Gabriella Golia.

Gabry Ponte.

Gaiè.

Gazzelle, all’anagrafe Flavio Bruno Pardini.

Gegia (Francesca Antonaci).

Gene Gnocchi.

George Benson.

Geppi Cucciari.

Gerry Scotti.

Ghali.

Gianna Nannini.

Gigi e Andrea.

Giampiero Ingrassia.

Giancarlo Giannini.

Giancarlo Magalli.

Gianluca Colucci: Gianluca Fru.

Gianluca Grignani.

Gianmarco Tognazzi.

Gianni e Marco Morandi.

Gigi D'Alessio e Anna Tatangelo.

Gigi Folino e il Gruppo Italiano.

Gigliola Cinquetti.

Gino Paoli.

Gino & Michele.

Giorgia.

Giorgia Surina.

Giorgio Mastrota.

Giorgio Pasotti.

Giovanna Mezzogiorno.

Giovanni Caccamo.

Giovanni Muciaccia.

Giovanni Pietro Damian: Sangiovanni.

Giovanni Scialpi.

Giuliana De Sio.

Giulio Rapetti Mogol.

Giulio Scarpati.

Giuseppe Tornatore.

Gli AC/DC.

Gli Inti-Illimani.

Gloria Guida.

Guendalina Tavassi.

Guillermo Mariotto.

Guns N' Roses.

Gwyneth Paltrow.

Henry Winkler.

Harry Styles.

Helen Mirren.

Heather Parisi.

Eva Herzigova.

Eva Longoria.

Iaia Forte.

Gli Skiantos.

I Baustelle.

I Cccp Fedeli alla Linea. 

I Cugini di Campagna.

I Gialappa' s Band.

I Guzzanti.

I Jalisse.

Il Volo.

I Maneskin.

I Marlene Kuntz.

I Metallica.

I Modà.

I Negramaro.

I Pooh.

I Righeira.

I Ricchi e Poveri.

I Rolling Stones.

I Santi Francesi.

I Sex Pistols.

Ilary Blasi.

Elena Anna, Ilona Staller: Cicciolina.

Irene Maestrini.

Isabella Ferrari.

Isabella Rossellini.

Isotta.

Iva Zanicchi.

Ivan Cattaneo.

Ivana Spagna.

Ivano Fossati.

Jack Nicholson.

Jane Fonda.

Jennie Rose.

Jeremy Renner.

Jerry Calà.

Jo Squillo.

John Malkovich.

Johnny Depp.

Johnny Dorelli.

Joss Stone.

Jude Law.

Julia Roberts.

Justine Mattera.


 

INDICE TERZA PARTE


 

SOLITO SPETTACOLOPOLI. (Ho scritto un saggio dedicato)

Kanye West.

Kasia Smutniak.

Kate Winslet.

Ke Hui Quan.

Kevin Costner.

Kevin Spacey.

Kira Noir.

Lady Gaga.

Laetitia Casta.

La Gialappa’s Band.

Lalla Esposito.

Lars von Trier.

Laura Chiatti.

Laura Freddi.

Laura Morante.

Laura Pausini.

Lavinia Abate.

Lazza.

Lella Costa.

Lenny Kravitz.

Leo Gullotta.

Leonardo DiCaprio.

Leonardo Pieraccioni.

Levante.

Lewis Capaldi.

Lia Lin.

Licia Colò.

Liliana Cavani.

Lily Veroni.

Lina Sotis.

Linda Evangelista.

Lino Banfi.

Linus.

Lisa Galantini.

Little Dragon.

Lizzo.

Lo Stato Sociale.

Loredana Bertè.

Lorella Cuccarini.

Lorenzo Cherubini: Jovanotti.

Loretta Goggi.

Lory Del Santo.

Luc Besson.

Luc Merenda.

Luca Argentero.

Luca Barbareschi.

Luca e Paolo.

Luca Medici: Checco Zalone.

Luca Miniero.

Luca Ravenna.

Lucia Mascino.

Luciana Littizzetto.

Ludovica Martino.

Ludovico Peregrini.

Luigi Lo Cascio.

Luisa Corna.

Luisa Ranieri.

Luna Star.

Madame.

Maddalena Corvaglia.

Madonna.

Mago Forest, alias Michele Foresta.

Mahmood.

Malena, all’anagrafe Filomena Mastromarino.

Malika Ayane.

Manila Nazzaro.

Manuel Agnelli.

Manuela Arcuri.

Mara Maionchi.

Mara Venier.

Marcella Bella.

Marco Bellocchio.

Marco Bocci.

Marco Columbro.

Marco Della Noce.

Marco Ferradini.

Marco Giallini.

Marco Masini.

Marco Mengoni.

Marco Predolin.

Marco Risi.

Margherita Buy.

Maria Giovanna Elmi.

Maria Grazia Buccella.

Maria Grazia Cucinotta.

Maria Sofia Federico.

Maria Teresa Ruta.

Marina Suma.

Mario Biondi.

Mariolina Cannuli.

Marisa Laurito.

Marisela Federici.

Martin Scorsese.

Mascia Ferri.

Massimo Boldi.

Massimo Ceccherini.

Massimo Ciavarro.

Massimo Ghini.

Massimo Ranieri.

Matilda De Angelis.

Matilde Gioli.

Mattia Zenzola.

Maurizio Battista.

Maurizio Ferrini.

Maurizio Milani.

Maurizio Potocnik, in arte Reeds.

Maurizio Seymandi.

Maurizio Vandelli.

Maurizio Zamboni .

Mauro Coruzzi alias Platinette.

Mauro Pagani.

Max Felicitas.

Max Laudadio.

Max Pezzali e gli 883.

Megan Daw.

Megan Gale.

Mel Brooks.

Melissa Stratton.

Memo Remigi.

Micaela Ramazzotti.

Michael Caine.

Michael J. Fox.

Michele Guardì.

Michele Placido.

Michele Riondino.

Michelle Hunziker.

Michelle Yeoh.

Mika.

Milena Vukotic.

Mina.

Minnie Minoprio.

Miranda Martino.

Mita Medici.

Monica Bellucci.

Morgan.

Myss Keta.

Mr. Rain.

Nada.

Nancy Brilli.

Nanni Moretti.

Natasha Stefanenko.

Naomi Campbell.

Neri Parenti.

Nicole Doshi.

Niccolò Fabi.

Nina Moric.

Nina Zilli.

Nino D'Angelo.

Nino Formicola: Gaspare di Zuzzurro e Gaspare.

Nino Frassica.

Noomi Rapace.


 

INDICE QUARTA PARTE


 

SOLITO SPETTACOLOPOLI. (Ho scritto un saggio dedicato)

Omar Pedrini.

Omar Sharif.

Orietta Berti.

Ornella Muti.

Ornella Vanoni.

Ozzy Osbourne.

Pamela Anderson.

Pamela Prati.

Pamela Villoresi.

Paola Barale e Raz Degan.

Paola&Chiara.

Paola Gassman e Ugo Pagliai.

Paola Perego.

Paola Pitagora.

Paola Turci.

Paolo Belli.

Paolo Calabresi.

Paolo Conte.

Paolo Rossi.

Paris Hilton.

Pasquale Petrolo in arte Lillo; Claudio Gregori in arte Greg.

Patty Pravo.

Patti Smith.

Peppino di Capri.

Peter Gabriel.

Pico.

Pier Francesco Pingitore.

Pierfrancesco Favino.

Pier Luigi Pizzi.

Piero Chiambretti.

Piero Pelù.

Piero Pintucci. 

Pilar Fogliati.

Pino Insegno.

Pino Scotto.

Pio ed Amedeo.

Playtoy Orchestra.

Povia.

Pupi Avati.

Quentin Tarantino.

Quincy Jones.

Raf.

Renato Pozzetto.

Renato Zero.

Renzo Arbore.

Ricky Martin.

Rita Pavone.

Ringo.

Robbie Williams.

Robert De Niro.

Roberta Lena.

Roberto da Crema.

Roberto Vecchioni.

Rocco Hunt.

Rocco Papaleo.

Rocco Siffredi.

Rocío Muñoz Morales e Raoul Bova.

Roman Polanski.

Ron: Rosalino Cellamare.

Ronn Moss.

Rosa Chemical.

Rosalba Pippa: Arisa.

Rosanna Fratello.

Rosario e Giuseppe Fiorello.

Rupert James Hector Everett.

Sabina Ciuffini.

Sabrina Impacciatore.

Sabrina Salerno.

Samuel L. Jackson.

Sandy Marton.

Sandra Milo.

Sara Diamante.

Sara Tommasi.

Scarlett Johansson.

Sean Penn.

Selen.

Selva Lapiedra.

Serena Grandi.

Sergio Caputo.

Sergio Castellitto.

Sergio Rubini.

Sergio Vastano.

Sergio Volpini.

Sharon Stone e Michael Douglas.

Shakira.

Simona Izzo.

Simona Tabasco.

Simona Ventura.

Simone Cristicchi.

Syusy Blady e Patrizio Roversi.

Sofia Scalia e Luigi Calagna, Sofì e Luì: Me contro Te.

Sonia Bruganelli e Paolo Bonolis.

Sophia Loren.

Stanley Tucci.

Stefania Orlando.

Stefania e Silvia Rocca.

Stefania Sandrelli.

Stefano Accorsi.

Susan Sarandon.

Susanna Messaggio.

Sylvester Stallone.

Sveva Sagramola.

SZA, vero nome Solána Imani Rowe.

Taylor Swift.

Tananai.

Terence Blanchard.

Teresa Mannino.

Teresa Saponangelo.

Teo Mammucari.

Teo Teocoli.

Tiberio Timperi.

Tim Burton.

Tinto Brass.

Tiziana Rivale.

Tiziano Ferro.

Tom Cruise.

Tom Hanks.

Tommaso Paradiso.

Toto Cutugno.

Tullio Solenghi.

U 2.

Uccio De Santis.

Ultimo.

Umberto Smaila.

Wanna Marchi.

Will Smith.

Woody Allen.

Valentina Lodovini.

Valeria Golino e Riccardo Scamarcio.

Valeria Marini.

Valeria Rossi.

Valeria Solarino.

Valerio Scanu.

Valerio Staffelli.

Vanessa Gravina.

Vasco Rossi.

Vera Gemma.

Veronica Maya.

Victoria Cabello.

Vincenzo Salemme.

Viola Valentino.

Vittoria Belvedere.

Vladimir Luxuria.

Zucchero Fornaciari.

Yuko Ogasawara.

Xxlayna Marie.


 

INDICE QUINTA PARTE


 

SOLITO SANREMO. (Ho scritto un saggio dedicato)

Sanremo 2024.

Sanremo. Sociologia di un festival.

La Selezione…truccata.

I Precedenti.

Il FantaSanremo.

Gli Inediti.

I Ti caccio o non ti caccio?

Gli Scandali.

La Politica.

Le Anticipazioni. Il Pre-Voto.

Quello che c’è da sapere.

I Co-conduttori.

I Super Ospiti.

Testi delle canzoni di Sanremo 2023.

La Prima Serata.

La Seconda Serata.

La Terza Serata.

La Quarta Serata.

La Quinta ed Ultima Serata.


 

INDICE SESTA PARTE


 

SOLITO SPORTOPOLI. LO SPORT COL TRUCCO. (Ho scritto un saggio dedicato)

Il Certificato medico sportivo.

Giochi Sporchi del 2022.

Quelli che…il Coni.

Quelli che…il Calcio. La Fifa.

Quelli che…La Uefa.

Quelli che…il Calcio. La Superlega.

Quelli che…il Calcio. La FIGC.

Quelli che…una Compagnia di S-Ventura.

Quelli che…i tiri Mancini.

La Furbata.

Quelli che…il Calcio. Gli Arbitri.

Quelli che…il Calcio. La Finanza.

Quelli che…il Calcio. I Procuratori.

Quelli che…il Calcio. I Tifosi.

Quelli che…il Calcio. I Figli d’Arte.

Quelli che…il Calcio. La Politica.

Quelli che…il Calcio. Gli Altri.

Quelli che…il Calcio. Lionel Messi.


 

INDICE SETTIMA PARTE


 

SOLITO SPORTOPOLI. LO SPORT COL TRUCCO. (Ho scritto un saggio dedicato)

Quelli che…il Calcio. Le Squadre.


 

INDICE OTTAVA PARTE


 

SOLITO SPORTOPOLI. LO SPORT COL TRUCCO. (Ho scritto un saggio dedicato)

Quelli che…il Calcio. Le Squadre.

Il Calcioscommesse.

Quelli che…I Traditori.

Quelli che…Fine hanno fatto.


 

INDICE NONA PARTE


 

SOLITO SPORTOPOLI. LO SPORT COL TRUCCO. (Ho scritto un saggio dedicato)

I 10 proprietari più ricchi nello sport.

Quelli che…I Superman.

Quelli che…è andato tutto storto.

Quelli che…la Palla Canestro.

Quelli che…la pallavolo.

Quelli che il Rugby.

Quelli che ti picchiano.

Quelli che…il Tennis.

Quelli che…il pattinaggio.

Quelli che…l’atletica.

Quelli che…i Motori.

Quelli che…la Bicicletta.

Quelli che…gli Sci.

Quelli che…il Nuoto.

Quelli che…la Barca.

Quelli che…l’Ippica.

Quelli che… il Curling.

Il Doping.


 

LO SPETTACOLO E LO SPORT

OTTAVA PARTE



 

SOLITO SPORTOPOLI. LO SPORT COL TRUCCO. (Ho scritto un saggio dedicato)

LA SAMPDORIA.

LA LAZIO.

LA ROMA.

IL SASSUOLO.

IL BOLOGNA.

IL PARMA.

IL PIACENZA.

LA REGGIANA.

IL PERUGIA.

LA TERNANA.

LA FIORENTINA.

IL NAPOLI.

LA SALERNITANA.

L’AVELLINO.

IL FOGGIA.

IL BARI.

IL TARANTO.

LA SAMBENEDETTESE.

IL PESCARA.

LA REGGINA.

IL PALERMO.

IL CAGLIARI.

LA SAMPDORIA.

Da gazzetta.it il 24 luglio 2023.

Lutto nel mondo del calcio, inglese e non solo, per la perdita di Trevor Francis. L'ex attaccante britannico, che aveva 69 anni, è morto a Marbella, in Spagna, colpito da infarto. Ha giocato anche in Italia per cinque anni: arrivato alla Sampdoria nel 1982, ci è rimasto quattro stagioni compresa la vittoria della Coppa Italia del 1984-85 da capocannoniere della manifestazione (9 gol) ma con sole 67 presenze per i tanti infortuni, per poi passare nel 1986-87 all'Atalanta. 

Prima di arrivare in Italia, era diventato una leggenda con la maglia del Birmingham City, con cui aveva debuttato a 16 anni, con 15 gol in 22 partite al primo anno. Ci resterà per otto stagioni prima di trasferirsi - per la cifra record per i tempi di 999.999 sterline - al Nottingham Forest, con cui ha vinto due coppe dei Campioni nel 1978-79 e nel 1979-80, la prima con un suo gol in finale. Arrivato in Italia dopo un anno al Manchester City, dopo l'Atalanta ha chiuso la carriera tra Rangers Glasgow, Qpr e Sheffield Wednesday: nelle ultime due tappe è stato giocatore-allenatore, avviando una carriera in panchina di 15 anni che ha toccato anche Birmingham City e Crystal Palace. Con la nazionale inglese ha giocato 52 partite, tra cui il Mondiale '82.

Lutto nel calcio, morto Trevor Francis. Giocò nella Sampdoria e nell'Atalanta. Leggenda del calcio inglese e, negli anni ’80, attaccante della Sampdoria per quattro stagioni e dell’Atalanta per un campionato, è morto a Marbella (Spagna) per un infarto. Orlando Sacchelli il 24 Luglio 2023 su Il Giornale.

I nostalgici del calcio anni Ottanta sicuramente ricorderanno bene Trevor Francis, elegante attaccante inglese classe 1954. In Italia giocò cinque stagioni nella Sampdoria ed una nell'Atalanta fra il 1982 e il 1987. Francis è morto a Marbella, in Spagna, colto da un infarto fulminante. Già 12 anni fa era stato colpito da un attacco cardiaco e per questo gli era stato applicato uno stent.

La Samp lo ha ricordato con un messaggio su Twitter postando una sua foto in campo con la maglia numero 9 della Sampdoria e con un cuore spezzato: "Rest in peace, Trevor". I tifosi blucerchiati meno giovani ricorderanno ancora il coro che accoglieva l'inglese: "Trevor walks on the water" (Trevor ammina sulle acque). Rimase sempre legato alla Samp, tornando allo stadiio Ferraris diverse volte, sempre accolto con affetto e gratitudine dai suoi ex tifosi.

Nato a Plymouth (sud ovest dell'Inghilterra), Francis si fece le ossa nel Birmingham City, debuttando in prima squadra a soli sedici anni. Fu una partenza col botto: quindici gol in ventidue partite. Otto le stagioni a Birmingham, con 279 partite disputate e 118 reti messe a segno. Nel 1979 il trasferimento al Nottingham Forest per un milione di sterline, cifra record per quei tempi. Fu l'apoteosi, con la conquista di ben due coppe dei Campioni consecutive, anche se la seconda non lo vide protagonista, bloccato per mesi da un fastidioso infortunio. Passato al Manchester City nel 1981, continuò a mostrare le proprie qualità, anche in Nazionale (Mondiali '82 in Spagna).

Finito il Mondiale si trasferì in Italia, alla Sampdoria. Al suo terzo anno vinse la Coppa Italia e segnò, nella competizione, nove reti. Purtroppo gli infortuni non lo aiutarono, tanto che in quattro anni in blucerchiato, giocò solo 68 gare (segnando 17 gol). Nel 1986 passò all'Atalanta disputando 21 partite e segnando un solo gol. Tornato in Gran Bretagna, andò a giocar nel Glasgow Rangers, in Scozia, e dopo un anno fece ritorno in Inghilterra, al Queen's Park Rangers, dove per un anno fece l'allenatore e il calciatore.

Portò avanti questa duplice attività - metà giocatore, metà tecnico - fino al 1994 con lo Sheffield Wednesday. Si tolse delle belle soddisfazioni, arrivando in finale in FA Cup e in Coppa di Lega, perdendole entrambe con l'Arsenal, e arrivando terzo in campionato. A 40 anni decise di appendere gli scarpini al chiodo e di proseguire come allenatore. Nel 2001 raggiunse la finale di Coppa di Lega con il Birmingham, perdendola con il Liverpool. Un triste episodio macchiò la sua carriera: durante una partita fu espulso per aver picchiato un suo giocatore in panchina.

Era "un calciatore leggendario e una persona estremamente gentile", scrive sui social la sua famiglia, parole condivise da quanti lo hanno conosciuto, non solo nel campo sportivo. Se avesse avuto meno problemi fisici avrebbe potuto fare molto di più di quanto ha fatto nel calcio. "Era così fragile che poteva rompersi un piede scendendo dal letto", disse di lui Don Revie, ct dell’Inghilterra che nel 1977 lo fece esordire in nazionale. Ma nonostante questo "tallone d'Achille" Trevor fece vedere di che pasta era fatto, giocatore di tecnica sopraffina che in campo mostrava cosa volesse dire avere piedi buoni (e cervello).

Nel 1994, poco prima dei 40 anni, si era ritirato, dopo aver giocato 632 partite realizzando 235 gol. Niente male per un giocatore considerato troppo fragile.

L' ORGANIZZATORE DELLA PARTITA "THE LEGEND GIANLUCA VIALLI" QUERELA PER DIFFAMAZIONE SELVAGGIA LUCARELLI IN SEGUITO ALLE SUE AFFERMAZIONI. Dagospia venerdì 8 settembre 2023. COMUNICATO STAMPA

A seguito delle osservazioni della giornalista Selvaggia Lucarelli, pubblicate sul suo profilo Facebook, Alessandro Arena, organizzatore della partita "The Legend Gianluca Vialli", che si terrà a Reggio Calabria, domenica 10 settembre, alle ore 21, nello Stadio Oreste Granillo, ha presentato ieri pomeriggio querela contro la giornalista ritenendo le sue frasi non veritiere, offensive, tendenziose, diffamatorie e lesive dell'immagine della sua Associazione, creando, altresì, un danno al buon esito della partita.

"Non è affatto vero che i calciatori scelti, facenti parte del progetto 'The Wine Of Champions' per la partita, come ha scritto Selvaggia Lucarelli,  percepiranno un compenso di 150 mila euro. Voglio sottolineare, altresì, che 'The Wine Of The Champions' ha contribuito economicamente per una parte dei costi. Calciatori, artisti, cantanti, i quali parteciperanno all'evento, non percepiranno alcun un compenso" ha dichiarato Arena, il quale ha aggiunto: "Desidero precisare, in modo marcato, che non abbiamo ricevuto dal Comune di Reggio Calabria e dall'Area Metropolitana compensi relativamente all'organizzazione della partita, ma solo patrocini non onerosi. 

Siamo un' Associazione no profit, la quale, attraverso eventi a scopo benefico, al netto delle spese per l'organizzazione, devolve interamente il ricavato a favore della realizzazione delle finalità dichiarate, come sempre, in questi anni, è stato fatto. Ciò può essere dimostrato. E non è affatto vero che non si può organizzare un memorial per commemorare la figura di un calciatore o di un artista senza l'autorizzazione dei familiari o di chi li gestisce.

Per quanto riguarda la raccolta fondi, desidero rimarcare che essi saranno destinati all'aiuto a favore dei bambini autistici. Da circa due anni, infatti, stiamo occupandoci, in maniera molto seria, dell'autismo. Mio figlio, che ha 7 anni, è autistico.  Abbiamo indicato, inoltre, il 5 per mille sul nostro sito per motivare gli imprenditori ad aiutarci a realizzare il  progetto, denominato WE AUT, teso a  realizzare un' oasi, al cui interno vi sia una struttura e un grande giardino.  

È un progetto che richiede tempo ed anche fondi.  Rimango a disposizione per un confronto con la giornalista Lucarelli al fine di sciogliere le sue perplessità in merito al nostro impegno umanitario. Ribadisco, inoltre, che ogni nostro evento è finanziato da fondi di benefattori. I dubbi della giornalista Lucarelli non sono assolutamente certezze.  E' certo, al contrario, che Selvaggia Lucarelli, le Istituzioni e chiunque voglia, potrà verificare l'attendibilità di ogni mia singola azione e parola".

Facebook. Selvaggia Lucarelli 7 settembre alle ore 13:45: Mi imbatto in questo evento che si dichiara benefico (una partita di calcio a Reggio Calabria) e che utilizza il volto di Vialli. Patrocinio del comune di Reggio, sostegno dell’Arcidiocesi, organizzato da “La Nazionale Azzurri” di Alessandro Arena (un musicista) con la collaborazione di Nicola Elia Alvaro, agente sportivo. Aderiscono tantissime persone tra calciatori e vip vari. Il comunicato stampa parla di Candela, Pippo Inzaghi, Giuseppe SCULLI, Pardo, Petrelli, Facchinetti, Materazzi e così via. (Pardo e Facchinetti mi dicono che alla luce delle cose sapute non andranno) L’evento è rilanciato da una società di scommesse sportive. Ma cos’è questa associazione Nazionale azzurri? A guardare il sito un’accozzaglia di cose. Un’organizzazione no profit che organizza partite a scopo benefico per un progetto destinato a bambini con autismo , WE OUT. Poche informazioni, dicono di voler costruire una struttura ricreativa, appunto, per bambini con autismo. Sul sito della Gazzetta c’è un articolo di un anno fa che racconta come tale struttura sarà operativa a Roma a fine 2022. Al momento non esiste alcuna struttura. Il sito no profit (!) raccoglie anche donazioni e cinque per mille, ma vende pure viaggi ai Caraibi. E già qui… Tra gli sponsor una concessionaria d’auto di Catanzaro. Chiamo amici di Vialli, nessuno sa nulla. Chiamo l’ufficio stampa del sito, che è la moglie dell’organizzatore Alessandro Arena. Si chiama Pamela Antonio Luna. Sono le 11,50 del mattino. Quando sente chi sono: “Perché m’hai chiamato a me? Io non parlo mai coi giornalisti”. Le spiego che sulla sua bio c’è scritto “ufficio stampa di Nazionale azzurri”. Allora replica: “Sì ma lei mi sta chiamando a mezzogiorno, io a mezzogiorno sto con mio figlio autistico”. Le spiego che sono le 11,54 e che è un orario di lavoro. Le chiedo se esistono bilanci dell’organizzazione e che progetto starebbe finanziando chi dona. Risponde che hanno fatto tre eventi (partite) ma che prima servono i soldi. Le spiego che prima serve un progetto. Al che mi dice che hanno avuto tanti appuntamenti con politici, sindaci e personaggi famosi e “sta pregando Dio per prendere una decisione finale” sulla città o regione dove sarà. Dico che sulla gazzetta c’è scritto che la struttura esiste già a Roma. No, non esiste, dice, ma Roma le piacerebbe tanto. Chiedo chi siano i politici e personaggi che hanno incontrato. “Lo dirà mio marito, è andato al comune, ha parlato con tante associazioni. Ma noi siamo a Monza quindi stiamo valutando perché non è che possiamo spostarci con facilità”. Segue un delirio, si innervosisce. “Lei parla di soldi come se chissà che stiamo raccogliendo! C’è un contabile, non pubblichiamo bilanci perché non siamo obbligati a farlo. Comunque mica sto chiedendo la carità, sto offrendo uno spettacolo, mica vado col cesto a chiedere elemosina. Ogni personaggio di questi che chiamo serve 150 000 euro per farlo venire”. “ Al che salto dalla sedia. Paga ospiti e calciatori che giocano per beneficenza? “Lei mi vuole istigare, io ho studiato il mestiere che lei fa, con me non riesce!”. “Non ho bisogno di spiegare questo progetto. Noi come famiglia sappiamo quello che viviamo. Il problema è che l’italiano è così invidioso che quando vede che altre persone che fanno del bene si accaniscono per stronzate mentre l’Italia cade a pezzi. Ribadisco che vorrei che facessero vedere il progetto visto che chiedono soldi e pure il 5 per mille. Che ci sono poche righe e nessun aggiornamento. Al che mi dice che mi richiamerà suo marito tra un’oretta, lui ha la conferenza stampa dell’evento. Al momento non mi ha chiamata nessuno. Mi dicono che anche nel comune di Arzignano, dopo la partita, qualcuno avesse chiesto chiarimenti sulla destinazione dei fondi. Ma forse non è neppure necessario. È necessaria una legge. Povero Vialli. Povera beneficenza seria.

LA LAZIO.

Igli Tare.

Paul Gascoigne.

Zeman.

Vincenzo D’Amico.

Ciro Immobile.

Gian Marco Calleri.

Sven Goran Eriksson.

Dino Baggio.

Umberto Lenzini.

Igli Tare.

Ivan Zazzaroni per il Corriere dello Sport - Estratti venerdì 17 novembre 2023.

Primatista assoluto di sopravvivenza a Claudio Lotito, Igli Tare si apre come mai in passato. Diciotto anni con - e contro e di nuovo con - il proprietario presidente senatore virologo avvocato esperto di tutto non sono uno scherzo, costituiscono un record difficilmente battibile. 

«Tre stagioni da giocatore e il resto da direttore» precisa «ho il rimpianto di non avere avuto, quando giocavo, la testa del manager, quella che fa capire tanto di più e, soprattutto, mostra le cose che ti sei perduto... Lotito è una grande mente, ha una determinazione e una forza di volontà pazzesche. Sono il suo pregio, ma anche il maggior difetto. Io gli sono grato per tutte le cose che ho imparato. Questa lunga storia è il mio orgoglio. Alla Lazio ho dato tutto me stesso, per lei ho addirittura rischiato la vita». 

 Dici sul serio? 

«Ho avuto grossi problemi di salute, anni fa. I medici mi suggerirono di allontanarmi, di pensare a me stesso e a salvare la pelle. Niente, non sono mai uscito, non ho mai voluto staccare. Per fortuna tutto si è risolto nel migliore dei modi, la società mi è stata vicina».  

Lasciarla a inizio giugno, una tua scelta? 

«Mia, di Lotito, che importa? Hanno detto che mi aveva mandato via, bugie. Io ho preso la decisione e lui l’ha condivisa, gli andava bene di cambiare percorso, interlocutore e fare altro. Un anno fa, a inizio stagione, gli anticipai che a giugno avrei chiuso, che quella appena cominciata sarebbe stata l’ultima. Chiesi solo di uscire con onore, con dignità. Così è stato. Come per un matrimonio che si consuma naturalmente».  

Si parlò anche di scazzi con Sarri. 

«Niente di più falso. Sarri non è mai stato un problema, ma una soluzione. Il suo carattere non era una novità. Mi ero informato prima di prenderlo, sapevo tanto e volevo che fosse lui ad allenare la Lazio. Prima della penultima partita dello scorso campionato, a Empoli, volle parlarmi. Siamo stati insieme tre, quattro ore. Ha usato parole di miele, di cuore, spero, mi ha riconosciuto un sacco di meriti».  

(…)

Pioli. 

«Grande uomo e grande allenatore. Ho avuto modo di apprezzarne il carattere, le capacità tecniche, l’onestà, appunto, la qualità umana. Stefano è sincero. Mi dispiacque l’esonero il secondo anno, lui stesso ha ammesso che è stato il dolore professionale più forte, gli piacevano l’ambiente e il progetto, un grande progetto. Per sua stessa ammissione, soffrì di meno quando fu costretto a lasciare la Fiorentina e l’Inter».  

L’eventuale affiancamento di Ibrahimovic potrebbe giovargli? 

«Stefano ha bisogno di confrontarsi con sincerità, senza retropensieri». 

Inzaghi. 

«Mio fratello. Diciotto, o forse vent’anni insieme. Credo che le nostre mogli ci conoscano meno bene. Un rapporto profondo, il nostro. Simone lo trovai nel 2009 al campo, allenava i Giovanissimi nazionali, pensai che avrebbe fatto una splendida carriera e lo dissi anche. È un predestinato». 

Cinque scelte tue. 

«Decidevamo insieme, io e Lotito. Ovviamente erano mie le prime segnalazioni».  

Hai portato decine di giocatori: quali hanno soddisfatto le aspettative? 

«Felipe Anderson, Milinkovic-Savic, Luis Alberto, Lucas Leiva, Klose, Lulic. Ma anche Brocchi, il mio primo acquisto. Sono molto legato a Cristian, da affetto autentico, un uomo onesto, perbene».  

(…)

A proposito di Immobile, non se la sta passando bene. 

«Quando stabilì il record di gol, gli dissi “Ciro, ti renderai conto di quello che hai fatto soltanto quando tutto sarà finito”. Lui è il più grande cannoniere della storia della Lazio. La sua umiltà è forza e insieme debolezza. Ha bisogno di sentire quotidianamente la fiducia di chi gli sta intorno. Qualche anno fa visse un periodo simile, io lo caricavo con una battuta, sempre la stessa: “chiama Ciro e manda a casa suo cugino”. Il centravanti della Lazio è un ruolo pesante, ma ho una stima illimitata nei suoi confronti, solo la sua onestà gli farà capire quando sarà il momento di chiudere».  

Il tuo futuro è ancora in Italia? 

«Sono cittadino del mondo, aperto a tutto. L’Italia è casa, a Roma io, la famiglia e i miei figli continueremo a vivere». 

Misurandoti ripetutamente con l’altra parte della città. 

(Ride). «La Roma ha una storia importante e una tifoseria pazzesca, ma mai bella come quella laziale. La nostra coreografia nell’ultimo derby era emozionante».  

Mourinho alla Roma te lo saresti mai aspettato? 

«Del calcio non mi sorprende più niente e nessuno. Mourinho è un bene, il numero uno della comunicazione mondiale. Nessuno sa gestire i momenti, le situazioni di calcio, come lui».  

Mou e Allegri sono criticatissimi per la qualità del gioco che esprimono. 

«La loro storia è inattaccabile, parlano i risultati. Contano i primi posti, dei secondi non si ricorda mai nessuno».  

La verità: ti sei mai negato a Lotito? Al telefono, intendo: ha mai trovato occupato? 

«Mi chiamava alle 2 di notte. “Stai dormendo?”. È successo qualcosa? rispondevo, e lui parlava per delle mezze ore».  

Da solo. 

«Quasi».  

In diciotto anni quante volte sei stato vicino ad andartene? 

«Sono state più le litigate che i momenti di pace. Ma lui ha una forza straordinaria, dimentica nel giro di dieci minuti».  

Si diceva che foste in affari. Soci, insomma. 

«So anche chi metteva in giro queste porcherie. Io e Lotito non abbiamo mai avuto società, mai affari insieme, nessun business. Dicevano dell’Albania. L’unico suo rapporto con l’Albania ha a che fare con il compleanno dei miei quarant’anni. Organizzai una festa a Tirana e lo invitai. Lui non poté venire perché aveva un impegno di lavoro, ma per rispetto si presentò il giorno dopo». 

Paul Gascoigne.

Gascoigne sparì per 24 ore (per recuperare un pallone). Nel 1990 "Gazza" si allena con il Tottenham: quando una palla finisce nel boschetto oltre la recinzione si offre di recuperarla. Tornerà soltanto il giorno dopo. Paolo Lazzari il 29 Luglio 2023 su Il Giornale.

Nord di Londra, 1990. Un giorno come tanti, per il Tottenham Hotspur Football Club. Al centro d'allenamento la palla scorre in mezzo al campo, contesa da frotte di calciatori intenti a disputare la partitelle di metà settimana. Alcuni indossano casacche fosforescenti, mentre quegli altri sono i maggiori indiziati per un posto da titolare nel prossimo match. C'è Gary Lineker, che vuole rifilarne almeno un paio alle spalle del portiere di riserva e resta sempre competitivo allo spasmo. Ci sono gli esperti centrali Terry Fenwick e Gary Mabbutt. E poi una distesa di giovani promesse e ragazzi che hanno già svezzato il loro talento. Tra questi ciondola, la maglietta stazzonata infilata soltanto per metà dentro ai pantaloncini, Paul Gascoigne.

Gioca negli Spurs da un paio d'anni, dopo il triennio aureo disputato a Newcastle. Terry Venables, il mister, stravede per lui. Del resto, "Gazza" è il tipo di giocatore che chiunque vorrebbe in squadra per quella sua fisiologica capacità di frangere le partite: mezzi tecnici ben oltre la media, l'incoscienza calcistica al potere, Paul è in grado di progettare numeri che divelgono le friabili certezze delle difese altrui. Però il prezzo per tutta quella abbondante innaffiata di genialità - per gli assist, i gol, le aperture di gioco visionarie - è monumentale. Venables lo sa bene e si stringe nelle spalle ad ogni nuova smattata del suo gioiello. Dentro e fuori dal campo. Ma certo fatica a immaginare che quell'irresistibile attitudine alla boutade spinta sgorghi anche in casa, durante un allenamento.

Succede tutto in una manciata di istanti. Palla rinviata che si alza a campanile. Traiettoria alla viva il parroco. Una parabola che, dopo essersi imbizzarrita, si deposita direttamente nel folto boschetto che cinge il training ground della squadra. Poco male, uno dirà. Chissà quanti palloni deve avere a disposizione il Tottenham. Eppoi ci andrà qualche inserviente, a recuperarla. Venables, di fatto, non si scompone. Dispone che si continui a giocare. Gazza però la pensa diversamente. "No ragazzi, vado io a recuperarla". Perché quella dinamica lo ingolosisce troppo. Perché il genio è notoriamente tempismo.

Corricchia dunque, Paul, verso la rete di recinzione. La scavalca e si inoltra tra le fronde, per andare a riprendere il pallone. Allenamento che si ferma appositamente. Venables perplesso, ma comunque si tratterà di un paio di minuti, pensa. Invece nemmeno per idea. Ne passano cinque e Gascoigne non ritorna. "Ma non la trova"? Mugugnano i compagni. Dieci minuti dall'inizio della missione di recupero. Nessun segno di Gazza. La squadra inizia a preoccuparsi. Scavalcano a turno per andare a vedere cosa stia facendo, ma di lui - come del pallone - non c'è traccia. Evaporato.

Passano i minuti. La seduta si ferma definitivamente. Le lancette che scorrono diventano presto ore. Mobilitazione generale. Apprensione alle stelle. Parte un fiume di telefonate a parenti e amici. "Ma avete visto Paul Gascoigne?". Nada. Nessuno sa dove sia. Il Tottenham cerca di non far trapelare la notizia. La tensione diventa quasi esasperante. Viene avvertita anche la polizia, che risponde di dover attendere almeno 24 ore prima di dichiararlo persona scomparsa.

Il giorno seguente il Tottenham torna ad allenarsi con la testa pesante. Devono farlo, ma pensano tutti a Gazza. I più pessimisti ipotizzano che possa essere stato rapito. Altri abbozzano un possibile omicidio su commissione. La squadra è distrutta. Dopo i carichi atletici torna il momento della consueta partitella. Palla che si muove mesta da una parte all'altra del campo. Poi però qualcosa si muove anche tra le frasche a bordo campo. E dopo un istante Gascoigne emerge, scavalca la recinzione e, con il pallone sotto braccio, corre da mister Venables esclamando: "L'ho trovata".

Compagni con le lacrime agli occhi, mister e società furenti. Ma il genio, è ben noto, non accetta le briglie della banalità. Gazza se la ride compiaciuto: un numero fuori dal campo come un gol sotto l'incrocio.

Zeman.

Zemanlandia pura, quando la Lazio ne fece 8 alla Fiorentina. Il 5 marzo del 1995, all'Olimpico, la squadra biancoceleste dilagò contro la Fiorentina di Toldo, Batistuta e Rui Costa: uno dei manifesti migliori della filosofia del tecnico boemo. Paolo Lazzari il 6 maggio 2023 su Il Giornale. 

Faustino Asprilla li ha appena castigati una giornata fa. Un due a zero di quelli contundenti e il pullman biancoceleste che sfila via mestamente, il Tardini che si dissolve in lontananza, come i sogni di gloria calcistica che parrebbero sul punto di sgretolarsi.

Perché la Lazio modello 1994/95 sa asfaltare il Milan (4-0), ma poi si smarrisce con il Torino. Seppellisce con sette reti il Foggia, quindi si incarta contro il Bari. Non sembrano esserci regole scolpite, con questa squadra qua. In panchina c'è un signore boemo dall'aria perennemente perplessa. Fuma come un turco e si gratta sovente la nuca. Sergio Cragnotti, il patron, l'ha ingaggiato dopo aver contemplato lo scintillio del suo Foggia, spostando Dino Zoff nel ruolo di presidente.

E quando prendi Zdenek Zeman lo sai, anche se lui in quella faglia temporale lì è sempre calcisticamente giovane: 4-3-3 dogmatico, spregiudicatezza come filosofia che riempie di senso le giornate, prodotto da consumarsi preferibilmente a stomaco vuoto e in carenza di paturnie cardiovascolari. Perché lo strapazzo emotivo è assicurato. Perché una cosa su questa Lazio comunque si sa: segna tanto, imbarca molto.

Davanti il trio fatidico è composto da Beppe Signori (sarà capocannoniere del club a fine stagione, con 17 centri), Pierluigi Casiraghi e Roberto Rambaudi, appena giunto dall'Atalanta retrocessa. Il primo e il terzo sono pupilli del boemo. Poi c'è Paul Gascoigne, all'ultima stagione romana. Dietro è arrivato il ruvido argentino Chamot e i pali li copre Marchegiani. Svolazzano dietro le punte Fuser e Venturin, Di Matteo e l'olandese Aron Winter. Nelle aree avversarie si può contare anche sul croato bionico Alen Boksic. Si affacciano inoltre in prima squadra terribili virgulti come Nesta e Di Vaio.

La stagione, si diceva, è un groviglio di saliscendi. Quella squadra alla fine arriverà seconda, sintomo che il vecchio adagio da circolino "se la palla ce l'hai te è già difendersi" funziona. Ma darà per tutto il tempo compresso del campionato l'impressione di essere un ordigno sul punto di esplodere, deflagrando i contendenti, ma innescando a volte anche il fuoco amico.

Nel suo senso più sfolgorante, il manifesto zemaniano appare forse il 5 di marzo. I biancocelesti aspettano all'Olimpico la Fiorentina, dopo avere appunto patito una sconfitta contro il Parma. Quasi 45mila persone appollaiate sugli spalti non sanno esattamente cosa aspettarsi. Ma se l'imprevidibilità è la cifra connaturata a questa ineffabile creatura pallonara, allora oggi deve per forza succedere qualcosa. E infatti succede, con modalità esagerate.

Premessa doverosa. Di fronte ci sono Gabriel Batistuta (finirà con 29 centri in stagione), Manuel Rui Costa, Ciccio Baiano, Toldo. Non esattamente una combriccola parrocchiale. Alla lunatica Lazio del condottiero boemo però frega niente. Quattro giri di lancette. Boksic scappa a sinistra e mette in mezzo: 1 a 0 obliterato da Casiraghi. Mezz'ora equilibrata, poi raddoppia Negro. Ancora ci sta. Altri cinque minuti e Cravero infila il tris su rigore.

Lazio luccicante, ma il meglio deve ancora venire. Casiraghi la spinge dentro a inizio ripresa, poi serve Boksic per la cinquina. Zeman gongola internamente in panchina, ma non muove un muscolo. Impassibile. I suoi stanno soltanto eseguendo il solito copione da utopia materializzata.

Ora accorcia la Viola, animata da un rigurgito d'orgoglio: Rui Costa e Bati. Quella parvenza di rientro in gara viene tuttavia sbriciolata da altri due gol di Casiraghi (fanno quattro, oggi) e dalla rete del ragazzino della primavera Marco Di Vaio. Ecco: 8-2. E se sembra abbastanza singolare già così, diventa ancora più surreale se pensi che alla giornata successiva questi qua perderanno a Napoli, poi asfalteranno il Genoa, quindi pareggeranno contro la Cremonese.

Un indecifrabile roller coaster emozionale. Può affossarti, certo. Ma che botta di vita quando funziona.

Vincenzo D’Amico.

CALCIO: MORTO VINCENZO D'AMICO

Da cinquantamila.it – la storia raccontata da Giorgio Dell’Arti

Latina 5 novembre 1954. Ex calciatore. Fantasista, con la Lazio vinse lo scudetto del 1974. Giocò anche con Torino e Ternana. Dopo piccole parentesi da allenatore ora è commentatore tv (Rai).

• «La più grande soddisfazione di calciatore? Facile dire lo scudetto, il primo della Lazio, ma ero talmente giovane che non l’ho capita bene. Allora preferisco dire 1982, quando evitai alla Lazio la retrocessione in C: all’Olimpico perdevamo 2-0 con il Varese, ma feci tre gol e... ci ritrovammo in serie B».

• Ha raccontato di essere stato sorvegliato durante il suo periodo alla Lazio: «Non ero sposato né fidanzato, vivevo solo. Un compagno di squadra mi rivelò che nell’appartamento di fronte al mio si nascondevano l’allenatore in seconda e un vicepresidente, che mi controllavano dallo spioncino. Allora io entravo da solo e a mia volta stavo dietro la porta e aspettavo che se ne andassero. Poi scendevo in garage e facevo salire la persona che avevo lasciato giù in macchina. La cosa durò un mese. Poi, un bel giorno, mentre loro se ne stavano uscendo aprii la porta e gli feci cucù».

• «Un talento puro. Eravamo compagni di stanza e passava tutto il tempo al telefono, ogni giorno una ragazza diversa» (Renzo Garlaschelli).

Morto Vincenzo D'Amico, campione d'Italia con la Lazio nel 1974, poi dirigente e commentatore tv. Ex centrocampista offensivo e bandiera della Lazio, con cui si era laureato campione d’Italia nel 1973-74, dopo aver smesso di giocare aveva fatto l'allenatore, il dirigente sportivo e, negli ultimi anni, il commentatore in tv. Era malato da tempo. Orlando Sacchelli l'1 Luglio 2023 su Il Giornale.

Ascolta ora: "Morto Vincenzo D'Amico, campione d'Italia con la Lazio nel 1974, poi dirigente e commentatore tv"

Mondo del calcio italiano in lutto. Vincenzo D’Amico, campione d’Italia con la Lazio nel 1973-74 (con Giorgio Chinaglia) è morto oggi. Avrebbe compiuto 69 anni il prossimo 5 novembre. Malato da tempo, lo scorso maggio aveva pubblicato un post in cui rendeva noto che stava lottando contro la malattia oncologica che lo aveva colpito un paio di anni fa.

Dopo diciotto lunghi anni di carriera come calciatore, aveva tentato una nuova vita come allenatore, nel settore giovanile, e poi come dirigente sportivo. In seguito si era visto spesso, in diverse tv, come commentatore sportivo, mettendosi in evidenza per acume tattico, nelle analisi, pacatezza e simpatia.

Centrocampista offensivo, con il "vizietto" del gol e degli assist, D'Amico in campo era molto apprezzato anche per il piede, ben educato, e la bravura nei calci di punizione. Per lui 358 presenze con le maglie di Lazio, Torino e Ternana, e 61 gol messi a segno.

L'esordio giovanissimo e lo scudetto a 20 anni

D'Amico esordì con la Lazio non ancora diciottenne, il 21 maggio 1972, nella partita casalinga contro il Modena. Dopo pochi mesi, il 5 ottobre, un terribile infortunio ai legamenti del ginocchio capitatogli durante un'amichevole lo costrinse a saltare tutta la stagione. Dopo il recupero tornò con più voglia e forza di prima e Tommaso Maestrelli, allenatore della Lazio, lo inserirì tra i titolari, dandogli un preciso compito: rifornire di assist il super bomber biancoceleste, Giorgio Chinaglia. Fu una grande stagione, per la Lazio (scudetto) e per D'Amico, che mise in fila 27 presenze e due reti. Il brutto infortunio era solo un ricordo. Gli anni successivi non si confermò agli stessi livelli. Dopo aver aiutato la Lazio a salvarsi, nel 1979-80, fu ceduto al Torino. Campionato di luci e ombre, poi il ritorno alla Lazio, finita nel frattempo in Serie B. Prima la grande fatica per salvarsi, in una stagione che vide segnare ben dieci gol, poi l'anno successivo la grande cavalcata e la conquista della Serie A. Chuse la carriera nella Ternana, in C2, dove giocò con la fascia di capitano per due stagioni. 

Quel calcio di Chinaglia per rimproverarlo

17 marzo 1974, a San Siro si gioca Inter-Lazio. Supersfida tra due bomber, Giorgio Chinaglia e Roberto Boninsegna. Non apprezzando il suo atteggiamento in campo a un certo punto il bomber della Lazio rifilò un calcio nel sedere a D’Amico. Più tardi D'Amico smentì, in parte: "Fu solo un incitamento".

Il ricordo commosso di Lotito

Il presidente Claudio Lotito e tutta la S.S. Lazio "apprendono con estremo dolore e profonda commozione la notizia della scomparsa di Vincenzo D’ Amico, protagonista indiscusso dello Scudetto 1973/74. Leggenda biancoceleste - sottolinea il club in una nota - e coraggioso capitano nei momenti difficili della Società, Vincenzino, come tanti lo hanno sempre continuato a chiamare, ha fatto innamorare i tifosi di diverse generazioni con le sue magie in campo e il suo infinito attaccamento alla maglia. D’ Amico ha giocato nella Lazio dal 1971 al 1980 e, dopo un anno al Torino, dal 1981 al 1986: mai ha fatto mancare passione, impegno e dedizione ai colori biancocelesti. Il presidente Lotito, a nome di tutto il Club, rivolge alla sua famiglia e ai suoi cari le più sincere condoglianze. Non ti dimenticheremo mai, Vincenzo!".

Da ilnapolista.it lunedì 3 luglio 2023.

Bruno Giordano racconta Vincenzo D’Amico in un’intervista a Il Messaggero. L’eroe dello scudetto della Lazio del 1974 è morto due giorni fa: era malato da tempo di tumore. 

«Non avete idea di quanto fosse forte D’Amico, il mio fratellino».

«Quante ne abbiamo passate insieme, non posso neanche dire che fosse un semplice amico perché ci vedevamo quasi tutti i giorni, proprio come fratelli. Prima in campo e poi fuori, nemmeno quando decise di andare in Portogallo, a Madeira, ci siamo allontanati. Appena atterrava a Roma, andavamo a cena, ovviamente anche con Giancarlo. Era una persona speciale, in tutto. Come in campo. Adesso vorrei che gli venisse riconosciuto il valore che Vincenzo aveva come giocatore perché non tutti lo hanno capito». 

Giordano lo mette un gradino appena sotto Maradona.

«Credetemi, soltanto Diego era più forte di lui e quando glielo dicevo non si arrabbiava. Riconosceva la grandezza di Maradona, ci mancherebbe, ma dal punto di vista tecnico anche D’Amico era un mostro. Non si arrabbino i talenti di quell’epoca, Antognoni, Causio, Sala e Beccalossi.

Lui aveva una classe incredibile, non gli mancava niente, neanche il carattere perché non era soltanto un guascone. Pensate a un ragazzo di 19 anni, che si affaccia nella Lazio, e forse nella squadra più folle di sempre, e si impone a tal punto da diventare titolare e protagonista dello scudetto. La società non era così forte da poter sostenere lui e un gruppo così strano, altrimenti avrebbe fatto un’altra carriera e avrebbe avuto una considerazione maggiore». 

Al Torino D’Amico non ci sarebbe andato se fosse dipeso da lui, racconta Giordano.

«Un anno solo, poi scappò. Avrebbe smesso se non lo avesse ripreso la Lazio. Fu messo alle strette e accettò il trasferimento perché quei 300 milioni avrebbero aiutato il club a sopravvivere. Lui era nato biancoceleste, era nato per giocare solo nella Lazio, di cui è stato una bandiera che non potrà mai essere ammainata, nemmeno dopo la morte. Rappresentava un calcio di altri tempi, senza malizia, fatto d’amore e di generosità.

Credetemi: lui non ha solo vinto uno scudetto, i suoi successi sono stati la salvezza in serie B, la promozione immediata, la conquista della fascia di capitano. A quei tempi, erano trionfi, soprattutto per noi che dopo il ’74 abbiamo iniziato a soffrire. Teneva tutto in piedi Maestrelli, nemmeno il più bravo allenatore del mondo dal punto di vista tecnico avrebbe conquistato quel titolo e mantenuto la squadra unita in mezzo alle liti e alle divisioni. Tommaso era unico e irripetibile, come ogni elemento di quella squadra».

Giordano racconta un aneddoto:

«Eravamo a Caserta, prima della partita Vincenzino era furibondo perché Maestrelli gli aveva sequestrato lo stipendio e lui sosteneva che non sarebbe andato avanti per troppo tempo con 300mila lire. Ad un certo punto finì il caffè e si mise a palleggiare con la tazzina, che non è mai caduta. Che talento, che uomo folle e meraviglioso». 

Una domenica, racconta Giordano, accadde qualcosa di incredibile durante Lazio-Napoli, la partita del rientro del centravanti dopo uno stop di cinque mesi.

«Agnolin fischiò un rigore, decisi di andare sul dischetto perché avevo bisogno di fare un gol. Ma sei sicuro? Te la senti? D’Amico mi venne sotto per calciare, io sbagliai ma l’arbitro fece ripetere l’esecuzione: Vincenzo mi disse ancora lascia fare a me… invece tirai un’altra volta e sbagliai di nuovo. 

Agnolin disse che il rigore andava ripetuto e allora si presentò il mio capitano: niente da fare, terza esecuzione fallita e naturalmente su quel ricordo siamo andati avanti per anni a prenderci in giro: l’errore è stato il tuo, perché era l’ultimo tiro, quello decisivo. Quanto coraggio aveva: una volta giocò con sette punti sul sopracciglio, che Ziaco gli mise durante l’intervallo. A quei tempi bisognava essere eroi per continuare e lui lo era».

Vincenzo D’Amico, chi è l’ex giocatore della Lazio che ha annunciato di avere un tumore. Storia di Salvatore Riggio su Il Corriere della Sera il 7 marzo 2023

L’annuncio della malattia Vincenzo D’Amico, 68 anni, campione d’Italia nel 1974 con la grande Lazio di Tommaso Maestrelli e Chinaglia, bandiera biancoceleste per 16 anni (dal 1971 al 1986 con solo una breve parentesi nel Torino) con ben 336 presenze e 49 gol, poi noto commentatore televisivo in particolare per la Rai, ha annunciato su Facebook di lottare contro un cancro. «Mi dicono che i malati oncologici – ha scritto D’Amico – tirano fuori forze inaspettate! Io ci sto provando!». Non ci sono altre notizie, se non l’affetto di tantissimi tifosi che stanno testimoniando la vicinanza all’ex calciatore. Che, infatti, è stata immediata. Genio e sregolatezzaTalento indisciplinato, sempre. Sia sul terreno di gioco sia nella vita. Centrocampista dalle attitudini offensive, D’Amico doveva sentirsi libero, senza catene, senza regole. Talento cristallino, tanto come mezzapunta quanto come ala. Abile uomo assist, era un ottimo tiratore di punizioni. Il calcio nel sedere da ChinagliaDurante una partita a San Siro contro l’Inter, D’Amico si prese un calcio nel sedere da Chinaglia perché l’attaccante non apprezzava il suo atteggiamento in campo (libero, spesso senza rispettare schemi o tatticismi): «Calcio? Ma no, fu solo un incitamento», disse D’Amico, che poi sul compagno avrebbe aggiunto: «Di Chinaglia la cosa che più mi fa male è che ne parlino senza averlo conosciuto. Si ricorda ancora il gesto a Valcareggi (il «vaffa» al c.t nei Mondiali del ‘74) ma la gente non sa perché Chinaglia fece quel gesto. Io lo giustifico, in Nazionale c’era realmente un clan. Giorgio aveva solo un problema: doveva fare gol altrimenti non era contento. Era una persona di una bontà fuori dal comune». Le lacrime Nella stagione 1979-80 D’Amico è stato visto piangere a Roma. La squadra era appena retrocessa in serie B (a tavolino a causa del calcioscommesse), ma le lacrime non erano dovute a quello. O almeno, non solo a quello. La Lazio, in gravissime difficoltà economiche, decise infatti di venderlo al Torino. Lui sì, la Lazio la salvò eccome (dal fallimento). Il ritorno. E quella tripletta...Un solo anno lontano dalla Lazio, poi D’Amico ritorna a vestire la maglia biancoceleste, salvando la squadra addirittura dalla serie C. Lo fa nella stagione 1981-82, realizzando una tripletta all’Olimpico contro il Varese di Eugenio Fascetti. Una dimostrazione incredibile d’amore per i suoi colori del cuore. La lite con BearzotNon riuscirà mai a indossare la maglia della Nazionale maggiore, anche a causa di incomprensioni di natura tattica con il commissario tecnico Enzo Bearzot e per la concorrenza di Franco Causio e Claudio Sala. D’Amico viene convocato per la prima e unica volta nel settembre 1980, in vista delle partite contro Lussemburgo e Danimarca, senza tuttavia mai scendere in campo; a causa di ciò, nel dicembre successivo attacca il c.t., colpevole secondo lui di averlo escluso senza spiegazioni.La carriera da opinionista Dopo il ritiro avvenuto nel 1988 con la Ternana (in serie C2), parallelamente all’attività di dirigente, D’Amico iniziò quella di commentatore sportivo in varie emittenti locali fino a quando, nel 1999, passò alla Rai come commentatore tecnico, partecipando a diverse trasmissioni tra cui Stadio Sprint.L’omaggio a Re CecconiTempo fa D’Amico ha ricordato Luciano Re Cecconi, suo compagno ai tempi della Lazio, morto a Roma il 18 gennaio 1977 (QUI la sua storia). «Mio figlio (avuto con la moglie Elena, ndr) ha di secondo nome Luciano proprio per Re Cecconi. Comunque quella non fu una sparatoria, ma un omicidio...».

Ciro Immobile.

(askanews il 17 luglio 2023) - Ciro Immobile passa al contropiede. Il legale del bomber della Lazio ha presentato una denuncia per lesioni gravissime in relazione all'incidente del 16 aprile scorso che ha visto coinvolte l'auto del calciatore ed un tram della linea 19. Il difensore di Immobile, l'avvocato Erdis Doraci, ha spiegato che la querela è stata presentata a tutela del suo assistito e delle bambine figlie dell'attaccante. 

"Questa è una vicenda che, per buon senso, doveva restare in ambito civilistico ma così non è stato - ha sottolineato il legale -Nell'incidente i miei assistiti hanno riportato ferite otto volte superiori, in termini di prognosi, a quelle dell'autista.

Tutti e tre, ma in particolar modo le due bambine, hanno subito lesioni importanti ai fini della querela, con prognosi del solo pronto soccorso rispettivamente di 20 per Ciro, 30 e 50 per le bambine". 

In seguito a quanto avvenuto in piazza delle Cinque Giornate, nel quartiere romano di Prati, l'autista del mezzo pubblico aveva deciso di presentare una querela. Gli accertamenti, sinora, degli inquirenti della Polizia Locale e dei carabinieri non hanno ricostruito in modo chiaro la responsabilità rispetto all'incidente. 

Estratto dell’articolo di Alessia Rabbai per fanpage.it il 17 luglio 2023.

Il conducente del tram coinvolto nell'incidente con il suv di Ciro Immobile ha denunciato l'attaccante della Lazio per lesioni stradali. Ad anticipare la notizia Il Messaggero. Il sinistro risale al 16 aprile scorso alle 8 in piazza delle Cinque Giornate. 

Un incidente che ha avuto un esito di dodici feriti: il tranviere e otto passeggeri, il calciatore e le sue due figlie. Una denuncia quella del dipendente dell'azienda che gestisce il servizio di trasporto pubblico in città, che arriva dopo la richiesta di risarcimento danni da parte di immobile ad Atac. Una vicenda che sembrava essersi conclusa senza colpevoli, ma che ora potrebbe finire in Tribunale.

Inizialmente pareva che l'incidente […] si fosse concluso con un concorso di colpa, in quanto dai rilievi svolti dagli agenti della polizia locale di Roma Capitale non sono emerse responsabilità attribuibili all'uno o all'altro conducente.

La mattina dell'incidente Ciro Immobile era alla guida del suv insieme alle sue due figlie quando, per cause non note, si è scontrato con il tram. Alla guida del mezzo […] c'era un uomo di cinquantasei anni che è rimasto ferito, soccorso e trasportato al Policlinico Umberto I, dove ha ricevuto le cure del caso e e una prognosi di una settimana. 

Successivamente i conducenti si sono accusati l'un l'altro: Immobile sosteneva che il tranviere fosse passato col rosso, mentre quest'ultimo ha detto di essere convinto che fosse verde e che il suv stesse procedendo a velocità elevata. […]

Ciro Immobile sull'incidente: «Sono passato con il semaforo verde e andavo sotto i 50 all'ora». Dubbi su tre testimoni. Rinaldo Frignani su Il Corriere della Sera il 20 aprile 2023

Secondo l'avvocato del calciatore della Lazio «un teste ha detto che era fermo al rosso quando il mio assistito è transitato sul lungotevere: è la conferma che aveva il via libera». Accertamenti sulla posizione del tram 

Alcuni testimoni dell’incidente stradale nel rione Prati in cui, domenica scorsa, è rimasto coinvolto il bomber laziale Ciro Immobile potrebbero non essere attendibili. E per questo motivo i vigili urbani incaricati delle indagini per far luce sulla dinamica dello schianto del suv Land Rover del calciatore contro un tram della linea 19 con alcuni passeggeri potrebbero sentirli di nuovo. In caso le contraddizioni nei loro racconti dovessero rimanere, i testi in questione — almeno tre — rischiano la denuncia per false dichiarazioni. 

Si complica, insomma, la ricostruzione di quanto accaduto alle 8.20 in piazza delle Cinque Giornate, dove dodici persone — fra le quali Immobile, le due figlie minori, il macchinista del convoglio, M.V., 43 anni, e otto viaggiatori — sono rimaste ferite, per fortuna con prognosi inferiori ai 10 giorni. Tranne lo stesso attaccante della Lazio, che ha riportato la frattura composta dell’XI costola destra e la figlia di 10 anni, trattenuta in osservazione in ospedale e poi dimessa ieri. 

«Immobile è passato con il semaforo verde e lo ribadisce con forza ancora una volta», sottolinea il legale del calciatore, Erdis Doraci, che nei giorni scorsi ha svolto con un professionista una perizia sul funzionamento dei semafori in quella piazza. «Uno dei testimoni ha riferito di aver assistito al passaggio dell’auto del mio assistito sul lungotevere delle Armi mentre si trovava fermo con il semaforo rosso su ponte Matteotti. Questo vuol dire, secondo la sequenza delle luci nel luogo dell’incidente, che sicuramente Immobile è transitato con il verde e che il semaforo che impegna il tram, ovvero quello successivo, era rosso».

Una posizione chiara, sebbene di contro ci sia quella del macchinista del convoglio Atac per il quale le sue luci (una coppia di semafori a distanza di quasi cento metri l’uno dall’altro), su viale delle Milizie e ponte Matteotti, quando è partito erano invece verdi. A bordo alcuni passeggeri hanno dichiarato che effettivamente il tram si è fermato all’incrocio, ma potrebbero essere anch’essi sentiti di nuovo per capire, in mancanza di video dell’incidente, a che altezza si fosse attestato il 19: al semaforo in viale delle Milizie, dal quale un tram impiega circa 13 secondi per raggiungere il punto d’impatto, o fra le due luci tramviarie, e allora il tempo di percorrenza fino al luogo dell’incidente è pressoché dimezzato. Al vaglio anche il racconto di chi avrebbe visto il macchinista, fermo al rosso, alzarsi dal suo posto di guida per aiutare una passeggera a obliterare il biglietto.

Altri accertamenti infine da parte dei vigili urbani del I Gruppo Prati sulla velocità effettiva dei veicoli al momento dello schianto, sulle loro condizioni e sulla possibilità che ci sia stato un guasto. Fra le ipotesi investigative quella che Immobile possa essere sopraggiunto all’incrocio con la luce gialla (che dura appena tre secondi) a una velocità superiore ai 50 all’ora previsti in quel punto. «Non è vero, andava entro i limiti — sostiene ancora il suo avvocato —, l’impatto c’è stato perché si è trovato davanti il tram all’improvviso. Il convoglio si è spostato non per la violenza dell’urto, ma perché colpito in una parte debole, vicina alla cabina di guida che lo ha sospinto fuori dai binari, in quel punto larghi appena quattro centimetri. Senza contare che vogliamo sapere se domenica scorsa i semafori funzionassero effettivamente o se sia stato segnalato qualche inconveniente».

Mario Landi per ilmessaggero.it il 17 aprile 2023. 

«Ricordo di aver passato il semaforo col verde e l'auto che sopraggiungeva a grande velocità». 

Questo il racconto ai colleghi dell'autista del tram 19 che […] si è scontrato con l'auto guidata da Ciro Immobile a bordo della quale c'erano anche le due figlie del calciatore. 

L'autista ricorda di essersi fermato alla fermata e di aver aiutato una passeggera a vidimare il biglietto. Poi sarebbe ripartito con il verde. «Subito dopo è arrivata una bomba a tutta velocità, sono svenuto e mi sono risvegliato in ospedale».

L’auto di Immobile intorno alle 8:30 di mattina si è scontrata con il tram numero 19 che stava attraversando Ponte Matteotti - che collega il quartiere Flaminio con quello di Prati - nelle vicinanze dello stadio Olimpico. 

Un impatto dal quale l’auto dell’attaccante è uscita distrutta: gli airbag sono scoppiati e i vetri andati in frantumi. Fortemente danneggiata anche la cabina di guida del tram con cui l'auto di Immobile si è scontrata: il mezzo è uscito dai binari e si è inclinato. Al momento dell'incidente il tram era carico di passeggeri: cinque di loro, oltre all'autista, sono stati portati in ospedale. 

Ma è giallo sulla dinamica. […] Il calciatore, intercettato sul luogo dell'incidente, ha puntato il dito contro il tram sostenendo che fosse passato con il rosso. Al momento però non c'è alcuna conferma […]. Forse un'errata intepretazione del semaforo perché al contrario,  […] a provocare il sinistro potrebbe essere stata l'alta velocità dell'attaccante […]

Estratto dell’articolo di Rinaldo Frignani per corriere.it il 17 aprile 2023. 

La ruota anteriore destra del Defender si è quasi staccata dall’asse. La parte anteriore del pesante suv della Land Rover non esiste più: la vettura è finita a una ventina di metri di distanza, su ponte Matteotti, mentre il muso del tram 19 ha addirittura scavalcato uno sparti-traffico: il convoglio pesa 18 tonnellate senza passeggeri, solo il blocco ruote almeno sei. 

Bastano questi numeri per avere un’idea di cosa è successo, e di quanto si è rischiato, ieri mattina in piazza delle Cinque Giornate, a Prati, nell’incidente che ha coinvolto il bomber della Lazio Ciro Immobile, 33 anni, in auto con le figlie Michela e Giorgia, di 10 e 8, e nove persone […] che si trovavano sul mezzo pubblico  […]. Fra loro anche il macchinista dell’Atac, di 45 anni, dimesso in mattinata dal Policlinico Umberto I con sette giorni di prognosi.

Il macchinista: «Sono passato con il verde»

«Sono passato con il semaforo verde - racconta - all’improvviso quella macchina ci è venuta addosso come un missile. Sono stato sballottato nella cabina, non ho capito più niente e sono svenuto. Ma il mio pensiero fisso è sapere come stanno quelle due bambine, le figlie del calciatore».

[…] Il calciatore: «Il tram è passato con il rosso»

«Il tram è passato con il rosso», sostiene fin dai primi istanti l’idolo dei tifosi laziali, che come il macchinista Atac, per atto dovuto, è stato sottoposto all’alcoltest e al drugtest. Gli agenti della polizia municipale hanno sequestrato i veicoli coinvolti che saranno sottoposti a perizie tecniche. 

Le telecamere di vigilanza non sarebbero utili: quelle che ci sono non funzionano. Al vaglio il sistema di sincronizzazione dei semafori, che sulla piazza funzionano a rotazione. Non si esclude che il tram abbia avuto il via libera e che il calciatore si sia ritrovato all’incrocio dopo essere passato con il giallo. Ma è solo un’ipotesi tutta da confermare. Fra i testimoni c’è un automobilista che ha raccontato di aver visto «Immobile passare l’incrocio da lungotevere delle Armi e cercare di evitare il tram, ma non ci è riuscito».  […]

(ANSA il 18 aprile 2023) Il semaforo presente all'incrocio in cui domenica scorsa è avvenuto a Roma l'incidente stradale che ha coinvolto l'auto guidata dal capitano della Lazio, Ciro Immobile e un tram è "perfettamente funzionante". A chiarirlo, in relazione ad alcune notizie di stampa, Roma Servizi per la Mobilità che in una nota "smentisce nel modo più categorico qualsiasi malfunzionamento". 

"Come hanno evidenziato le verifiche subito effettuate, l'impianto era ed è in piena efficienza. Le risultanze tecniche dei controlli sul funzionamento saranno messe a disposizione della Polizia locale", prosegue la nota. Lo schianto violentissimo è avvenuto intorno alle 8.30 di domenica mattina, tra il Suv, un Land Rover Defender, con a bordo il capitano della Lazio e le sue due giovani figlie, e un tram della linea 19, nella zona di piazza Cinque Giornate a Roma, all'incrocio con Ponte Matteotti tra i quartieri Prati e Flaminio. L'incidente ha provocato, complessivamente, 12 feriti, per fortuna nessuno in modo grave.

Estratto dell’articolo di Alessia Marani per ilmessaggero.it il 18 aprile 2023.  

Per me è davvero possibile che sia il capitano della Lazio Ciro Immobile con il suv, che il conducente del tram 19 siano passati entrambi con il verde». Ad affermarlo è il 52enne Marco S., tassista da vent’anni sulle strade della Capitale. Con base fissa o quasi a piazza Mazzini. Quel tratto tra piazza delle Cinque Giornate e Ponte Matteotti lo avrà attraversato migliaia di volte sulla corsia preferenziale. Eppure, giura che da almeno due tre giorni, prima dello scontro di domenica, evitava di passarci, «perché il semaforo non funzionava, c’erano delle anomalie evidenti che riguardavano le tempistiche». 

Marco lei è stato il primo a instillare il dubbio nella chat dei tassisti sul funzionamento dell’impianto ricevendo conferme dai colleghi. In che consisteva?

«L’anomalia che personalmente ho riscontrato riguardava il semaforo che regola la viabilità sulla preferenziale riservata a mezzi pubblici, disabili, Ncc e a noi tassisti». 

Si spieghi meglio...

«Un primo malfunzionamento consisteva nel segnalare il rosso per un lunghissimo tempo. E questo mentre erano intermittenti il rosso e il verde per chi proveniva dal lungotevere Oberdan. Quindi ho visto colleghi inchiodati davanti a me per minuti interminabili e qualcuno alla fine attraversare ugualmente l’incrocio con molta cautela pur di passare. Si stava fermi anche per venti minuti. Poi, però, succedeva anche qualcosa di opposto». 

Ossia?

«Che il verde durava appena due o tre secondi, poi ridiventava subito rosso. E così tu ti trovavi ad avere impegnato regolarmente l’incrocio ma di trovarti in mezzo alla strada con il rosso, mentre chi proveniva dal lungotevere Oberdan vedeva il segnale di via libera di fronte a sé e non frenava». 

(...)

Quindi, cosa può essere successo secondo lei domenica mattina?

«Oggettivamente rispetto alla dinamica dell’incidente, non essendo presente, non posso dire nulla. Però ho sentito le parole di Immobile che proveniva dal lungotevere e ho letto quelle del tranviere che arrivava dalla preferenziale ed entrambi sembravano molto determinati nel sostenere di essere passati con il verde. Visto quello che ho sperimentato io e anche altri miei colleghi che hanno risposto in chat, che possa essere accaduto realmente non mi stupirebbe. Anche se credo sia molto difficile dimostrarlo». 

(...)

Estratto dell’articolo di Elisabetta Esposito per gazzetta.it il 18 aprile 2023.

Domenica è stato il giorno della grande paura, quella che ti si incolla alle ossa e si riflette negli occhi, quella che ti riempie la testa, quella che non ti fa sentire il dolore. Ieri, per Ciro Immobile, è stato il giorno della consapevolezza. L’attaccante della Lazio, che nella mattina di due giorni fa ha distrutto il suo suv scontrandosi a velocità sostenuta contro un tram sul Lungotevere, ha capito quanto sia stato fortunato e ora questa fortuna la vuole afferrare, anzi abbracciare, più che può. 

Per questo ieri ha fatto più volte su e giù tra il reparto solventi in cui è stato trasferito dopo l’iniziale ricovero in quello di osservazione breve del Policlinico Gemelli e quello di terapia intensiva pediatrica dove si trova Michela, 10 anni, la più grande delle due figlie che erano in auto con lui al momento dello schianto. Giorgia, 8 anni, è stata dimessa ieri dall’ospedale Bambino Gesù. Indossa il collare, ma sta bene. Per Michela c’è qualche preoccupazione in più, legata a un leggero versamento al fegato, quindi resterà in osservazione ancora qualche giorno. Già oggi però dovrebbe essere trasferita in un normale reparto pediatrico. Gli ultimi controlli hanno dato esiti confortanti e questa è la notizia che più aspettava Immobile.

(…)

Alessandro Pinto per gazzetta.it il 18 aprile 2023.  

Paura domenica mattina a Roma per l'incidente tra il tram della linea 19 e la Land Rover Defender guidata da Ciro Immobile. Otto persone ferite con traumi più o meno leggeri, il macchinista dimesso con una prognosi di sette giorni, mentre per Immobile, invece, è andata leggermente peggio a causa un trauma distorsivo della colonna vertebrale e la frattura composta della XI costola destra che lo costringono ricoverato al Gemelli. 

Fortunatamente non ci sono state conseguenze gravi per nessuno, anche grazie alle caratteristiche dei mezzi coinvolti: un tram ed un fuoristrada che supera le due tonnellate di stazza come il Land Rover Defender.

Dal 1948, Land Rover Defender è uno dei fuoristrada più iconici del panorama automobilistico mondiale. L'ultima generazione non fa eccezione, per quanto decisamente rinnovata nel look e nella meccanica in osservanza alle norme anti-emissioni e sulla sicurezza. Il telaio a longheroni con carrozzeria separata è stato sostituito da un telaio monoscocca in alluminio denominato D7x e derivato dalla piattaforma Jaguar-Land Rover condivisa con altri modelli del gruppo, come la Discovery e la Range Rover Sport. Il telaio monoscocca in alluminio è tre volte più rigido rispetto al passato, oltre a permettere di montare sospensioni multi-link indipendenti più morbide senza pregiudicare la stabilità di marcia.

Come il telaio, presentano rinforzi strutturali nei punti sensibili per preservare l'integrità anche in caso di urto. Il peso di Land Rover Defender oscilla tra le 2,3 e le 2,6 tonnellate, in base alle tante motorizzazioni disponibili: il 2.0 4 cilindri turbobenzina da 300 Cv, due diesel 2.0 litri 4 cilindri da 200 o 240 Cv, la versione ibrida mild-hybrid con motore 3.0 V6 a benzina da 300 Cv, oltre alla plug-in da 400 Cv.

La sicurezza a cinque stelle di Land Rover Defender è stata certificata dal massimo punteggio ottenuto nei crash-test eseguiti dall'istituto Euro-Ncap. In particolare, il Suv/fuoristrada britannico ha dimostrato una elevata capacità di protezione degli occupanti, sia adulti che bambini, nelle prove di assorbimento dell'urto frontale e laterale (...)

Estratto dell’articolo di Rinaldo Frignani per roma.corriere.it il 18 aprile 2023.

Visibilità limitata dalla presenza di uno spiazzo con cipressi proprio al centro della piazza. Una sola telecamera di sicurezza accesa soltanto di notte, per sanzionare camion e pullman che imboccano il sottopasso verso il centro. Un intreccio di semafori sincronizzati in sequenza, con l’impianto sul lungotevere delle Armi nel quale il giallo dura poco più di tre secondi. Un tempo giudicato congruo secondo le regole del Codice della strada, ma che nel caso dello schianto di domenica mattina dell’auto di Ciro Immobile contro il tram della linea 19 potrebbe aver giocato un ruolo decisivo.

(...) 

Suv di Immobile a 80 all'ora

L’incidente che ha visto coinvolti il bomber della Lazio e altre 11 persone rimaste ferite con lui è al centro delle indagini dei vigili urbani del I Gruppo Prati che stanno valutando una serie di fattori. Il primo è la velocità tenuta dal calciatore: il sospetto è che fosse superiore ai 50 all’ora previsti in quel tratto di strada. Infatti, secondo i calcoli del sito cityrailways, il Land Rover Defender di Immobile correva a 80 all’ora. Gli accertamenti riguardano anche la condotta di guida dell’attaccante 33enne nell’impegnare l’incrocio, soprattutto per stabilire se il semaforo fosse verde, come sostengono il bomber e il suo legale, Erdis Doraci: «Il tram è passato con il rosso».

(...) 

Semaforo giallo solo 3 secondi

Un dettaglio importante perché nel primo caso - come abbiamo registrato ieri -, muovendosi con il verde, un convoglio Atac sui binari impiega circa 13 secondi (poco più di due dei quali soltanto per mettersi in movimento da fermo) per arrivare sul punto dello schianto e in quel momento il semaforo per chi proviene dal lungotevere è ormai rosso da altrettanti secondi. Nel secondo invece il tempo di percorrenza del tram è dimezzato: se per ipotesi Immobile è transitato con il giallo - una delle piste seguite fin dall’inizio delle indagini - potrebbe aver avuto meno di tre secondi prima di ritrovarsi in mezzo all’incrocio con il rosso e il mezzo Atac davanti. 

Perizie sui cellulari

Ma questa è solo una delle ricostruzioni al vaglio della polizia municipale, che è anche in attesa delle risultanze delle perizie che saranno effettuate sia sulla rete di semafori di piazza delle Cinque Giornate sia sui veicoli coinvolti nello schianto. Senza contare quelli sui telefonini di entrambi i conducenti - si tratta comunque di un atto dovuto, come l’alcoltest - per capire se siano stati utilizzati proprio nei momenti che hanno preceduto l’incidente.

Estratto dell’articolo di Rinaldo Frignani per roma.corriere.it il 3 maggio 2023.

Un video di qualche secondo che dimostra come l’impianto semaforico di piazza delle Cinque Giornate, a Prati - ieri sera peraltro in tilt -, sia interessato da improvvisi malfunzionamenti causati da problemi tecnici non meglio specificati. A fornirlo ai vigili urbani è stato un tassista che lo ha girato, dimostrando - secondo la sua versione dei fatti - che quell’incrocio è pericoloso proprio perché le luci per gli automobilisti e quella per il conducente del tram non sono coordinate fra loro. 

Potrebbe essere la svolta nell’accertamento delle responsabilità nell’incidente del 16 aprile scorso con 12 feriti, fra i quali il bomber della Lazio Ciro Immobile, le due figlie di 10 e 8 anni, il macchinista di un convoglio Atac della linea 19 e otto passeggeri. Nessuno di loro in modo grave, tanto che lo stesso attaccante biancoceleste è subito ritornato in campo. 

Proprio nella serata di martedì alcuni tram sono rimasti bloccati nella stessa piazza per un problema tecnico sulla linea. Sono state attivate linee sostitutive con i bus e sono stati svolti accertamenti sul funzionamento dei semafori. Non è escluso un contatto laterale fra due tram della linea 19 che si sono poi fermati all’altezza della piazzuola centrale. 

Fin dalle prime battute subito dopo lo schianto molto violento del suv Land Rover del calciatore contro la cabina del tram, entrambi i conducenti hanno confermato in diverse occasioni di essere passati con il verde. A rafforzare le loro posizioni anche un automobilista che aveva riferito di aver assistito all’incidente fermo con la sua vettura con il rosso su Ponte Matteotti (e Immobile allora avrebbe avuto il verde) così come i passeggeri del 19 che avevano detto di aver visto muoversi il convoglio con il verde. 

(...)

Estratto dell'articolo di Camilla Mozzetti per “il Messaggero” il 19 maggio 2023. 

«Ho detto la verità, sono passato con il verde», risponde così l'attaccante della Lazio Ciro Immobile dopo che i vigili urbani del I Gruppo Prati hanno chiuso i rilievi sull'incidente che l'ha visto protagonista su Ponte Matteotti. Non è stato possibile accertare di chi fosse la responsabilità: se del bomber o del macchinista del tram. Così l'incidente, avvenuto alle prime ore di domenica 16 aprile, resta senza "colpevoli". 

Ma del resto non spetta ai vigili diventare giudici, si limitano a "fotografare" quanto accaduto e lasciare poi intendere come sia avvenuto quell'incidente. Non sono stati in grado, tuttavia, di definire cosa sia successo e ora la "palla" passa alle assicurazioni.

Con il rischio che la vicenda sfoci in una causa civile, da un giudice chiamato alla fine ad esprimersi. Perché se Immobile, come trapela, non dovesse accettare il concorso di colpa o se dovessero pervenire richieste di risarcimento danni che né Atac né l'attaccante intendono saldare, si arriverà inevitabilmente in tribunale. Con una seguente trafila che potrebbe durare non mesi ma addirittura anni. 

Di fatto il lavoro dei caschi bianchi in mancanza di elementi terzi utili si è fermato senza poter lasciare ipotizzare anche soltanto un errore da parte di uno dei due conducenti. Che continuano a ribadire la loro versione ovvero quella di essere passati - entrambi - con il semaforo verde.

Ci sono poi i testimoni, tre, che per la posizione di Immobile hanno detto ai vigili di averlo visto passare con il semaforo a suo favore ma lo stesso macchinista dell'Atac ha riferito la stessa versione. Impossibile fare affidamento sulle telecamere: pur essendocene una sull'area, quell'impianto non ha registrato nulla. La chiusura dei rilievi è per la parte dell'attaccante della Lazio «una notizia, come tutte quelle succedute dal primo giorno dell'incidente, che non fa altro che confermare quanto sostenevo in tutte le dichiarazioni - spiega l'avvocato di Immobile, Erdis Doraci - Ciro passava con il verde e non era distratto vista la reattività che ha evitato lesioni più gravi.

Detto ciò, continuo a pensare a questo punto che anche il macchinista passasse col verde. L'operato degli agenti è correttissimo, in linea con le disposizioni di legge che impongono neutralità in caso di mancanza di elementi oggettivi incontestabili. 

L'incidente quindi, per fortuna, continuerà ad essere una questione civile da risolvere tra le parti e le Assicurazioni coinvolte». L'unica cosa certa, come ha accertato Agenzia per la Mobilità è che il semaforo, quella mattina, funzionava. E allora di chi è stata la colpa? Di uno dei due? Di entrambi? Di fatto l'episodio non ha avuto un rilievo penale perché fortunatamente non ci sono state vittime né feriti con prognosi lunghe. Può essere stata la velocità? I vigili questo non l'hanno escluso per via dei danni sia del veicolo di Immobile che del tram, uscito addirittura dai binari.

(…)

Estratto dell'articolo di Lorenzo D’Albergo per repubblica.it il 17 aprile 2023.

[…] Nella lunga sequenza di incidenti che negli anni ha avuto per protagonisti i calciatori di Roma e Lazio, ci sono episodi di tutti i tipi. Tanti da poter stilare una classifica, in cui i giallorossi sono nettamente in testa. Si parte, in ordine cronologico, dal 2000. 

Francesco Totti, il tamponamento sul Gra e la telefonata alla mamma

È il 18 luglio quando Francesco Totti, in coda sul Grande raccordo anulare, rimane coinvolto in un tamponamento a catena all'altezza dell'uscita Cassia. […] Totti aveva da poco riavuto la patente, sequestrata sei mesi prima per un sorpasso in corsia d'emergenza, sempre sul Gra. L'incidente si chiuse con la chiamata a mamma Fiorella: "Tranquilla, non mi sono fatto nulla".

La Ferrari distrutta di Zebina e Candela

È invece del 17 settembre 2002 l'incidente in cui rimasero coinvolti i francesi Zebina e Candela. Guidava il primo, ma la Ferrari distrutta era intestata al secondo. […] 

Zigzag sul Gra, la multa di Vincent Candela e Montella

A bordo della stessa auto, il 15 gennaio dello stesso anno, avevano collezionato una multa da 327 euro e una doppia sospensione della patente lo stesso Vincent Candela e Vincenzo Montella. […] facevano zigzag in corsia d'emergenza sul Grande raccordo anulare. 

Lamborghini contro muro, Keita Balde positivo al alcol test

Si arriva, poi, direttamente al 2014. Un anno partito con l'incidente di Keita Balde, attaccante della Lazio: alle 4,30 del mattino del 20 ottobre, uscito da un concerto di Snoop Dogg all'Eur, il biancoceleste finiva contro un muro a bordo della sua Lamborghini Gallardo. Neopatentato, risultò positivo al test dell'alcol. […]

Lo schianto della Smart di De Rossi  (guidata dal ladro)

Dello stesso anno, siamo al 14 dicembre, lo strano incidente occorso a Daniele De Rossi. Perché la Smart finita contro un muro a villa Borghese, in via del Muro Torto, era la sua. Ma alla guida c'era il ladro che aveva appena soffiato la vettura al romanista in corso Vittorio Emanuele.

Travolge Panda con l'Audi, El Shaarawy ai servizi sociali

Del 2016 è invece l'incidente di El Shaarawy. […] colpì una Panda con la sua Audi dopo un sorpasso azzardato. Il conducente dell'utilitaria finì in ospedale con una tibia rotta e l'attaccante della Roma, […] finì ai servizi sociali.

Tamponamento sulla Laurentina, l'addio alla Porsche di Perotti

L'anno successivo[…], toccò invece a Diego Perotti dire addio al suo bolide. […]una Porsche rimasta coinvolta in un brutto tamponamento sulla Laurentina.

Bruno Peres e lo schianto a Caracalla ubriaco

Anno 2018, quello di Bruno Peres. […] una Lamborghini. […] Il terzino brasiliano […] si mise al volante ubriaco e si schiantò in viale delle Terme di Caracalla: denuncia per guida in stato d'ebrezza, multa da 800 euro e ritiro della patente. 

Ora è la volta di Ciro Immobile e dell'incidente tra il suo suv e il tram numero 19. […]

Gian Marco Calleri.

Estratto da gazzetta.it l’8 marzo 2023.

È morto, all'età di 81 anni, Gian Marco Calleri, ex presidente di Lazio e Torino. Nato a Busalla il 10 gennaio 1942, dopo la carriera da calciatore, in Serie B con Novara, Monza e Lazio, si dedicò all'attività imprenditoriale e nel 1986, assieme al fratello Giorgio e al finanziere Bocchi, acquistò il club biancoceleste.

 Con lui al comando la Lazio ottenne nel 1986-87 una clamorosa salvezza in B nonostante i 9 punti di penalizzazione, si risanò e tornò nella massima serie. Calleri cedette quindi la Lazio a Cragnotti nel 1992. Due anni dopo, rilevò il Torino lasciando il club granata nel 1997. L'anno successivo Calleri si rivolse all'estero acquisendo il Bellinzona, ceduto nel 2001.

Sven Goran Eriksson.

Sven Goran Eriksson compie 75 anni: le donne, Mihajlovic, il no a Berlusconi. Salvatore Riggio su Il Corriere della Sera il 05 Febbraio 2023.

Con la Lazio vinse lo scudetto nel 2000: ha allevato una generazione di allenatori (da Mancini a Mihajlovic, ma anche Simeone, Lampard) e ora è dirigente del Karlstad BK, in Svezia

I 75 anni di mister Eriksson

Sven Goran Eriksson compie 75 anni. Oggi è un dirigente del Karlstad BK, club della sua Svezia, dopo una lunga vita in panchina. Ha iniziato al Degerfors e poi all’Ifk Goteborg (vincendo la Coppa Uefa nel 1982) e in Italia ha guidato la Roma (1984-1987), la Fiorentina (biennio 1987-1989), la Sampdoria (1992-1997) e la Lazio (1997-2001). E proprio con i biancocelesti (era l’epoca di Sergio Cragnotti presidente) nel 2000 ha vinto il secondo scudetto nella storia del club con cui si è tolto l’etichetta di perdente di successo (a Vienna con il Benfica nel 1990 perse contro il Milan di Arrigo Sacchi la finale di Coppa dei Campioni). Detto addio all’Italia, Eriksson ha allenato — tra Nazionali e club — Inghilterra, Manchester City, Messico, Costa d’Avorio, Leicester, Guangzhou, Shanghai, Shenzen e le Filippine.

Le tante donne

Oltre a scudetti e coppe, Sven Goran Eriksson è diventato celebre per le relazioni — tra scappatelle e amori importanti — con tante donne. Dal rapporto tribolatissimo, e finito a carte bollate, con l’avvenente avvocatessa romana Nancy Dall’Olio — «pretendeva troppe attenzioni» e alla fine il tecnico non ne poteva più — alla biondissima presentatrice svedese Ulrika Jonsson. E poi altre fiamme: il Daily Mail gli attribuisce storie con la segretaria della Federazione inglese Faria Alam, l’ex ginnasta romena Roxy, una hostess della Scandinavian Airlanes, una receptionist del Grand Hotel di Stoccolma. Ma anche l’attrice Debora Caprioglio e una docente universitaria italiana di nome Graziella.

L’invenzione del turnover e l’eredità tecnica

È stato uno dei primi a ricorrere al turnover e a creare una nuova generazione di allenatori. Da Roberto Mancini a Sinisa Mihajlovic, scomparso a causa della leucemia il 16 dicembre 2022. Fino a Sandro Nesta, Frank Lampard, Sergio Conçeicao, Diego Pablo Simeone e Steven Gerrard. In carriera ha vinto 18 trofei. Ma soprattutto ha influenzato generazioni successive di allenatori come pochi altri nel calcio moderno. Aveva i suoi dogmi tattici: difesa a quattro, pressing aggressivo, spinta sugli esterni. Ma anche la chiara identificazione di un leader tecnico per reparto: Vierchowod-Gullit-Mancini in blucerchiato, Nesta-Nedved-Salas nell’anno dello scudetto con la Lazio.

Lo sceicco che gli costò la panchina

Nel 2006 Eriksson fu licenziato dalla Federazione inglese che chiuse anzitempo la sua esperienza da c.t. dell’Inghilterra. L’allenatore, infatti, era stato avvicinato da un falso sceicco (il giornalista scandalistico Mazher Maahmood) e convinto a dire — mentre una videocamera nascosta registrava tutto — che avrebbe immediatamente abbandonato la guida della Nazionale se l’imprenditore arabo davanti a lui avesse comprato l’Aston Villa. Dieci anni più tardi Mahmood fu condannato per falsa testimonianza e ostruzione della giustizia.

Il dolore per Sinisa Mihajlovic

Grandissimo il suo dolore per la scomparsa di Sinisa Mihajlovic, il 16 dicembre scorso: «Ma ci pensate? A 53 anni avrebbe potuto fare ancora tantissime cose — aveva raccontato al Corriere—. Il mondo del calcio poteva arricchirsi ancora per 15-20 anni. Che dolore grande perderlo. Fa male, molto male. Non pensavo. Credevo vincesse ancora. Perché lui voleva sempre vincere. In allenamento, in partita, nella vita. Sempre. Ma mai con l’inganno, mai passando sopra agli altri. Un campione vero. Lo so, queste sono frasi scontate, ma Sinisa era proprio così. Cosa posso dire di più? Un leader, un campione un grande uomo, un amico».

Il no a Silvio Berlusconi

Nella lunga carriera da allenatore, Sven Goran Eriksson ha detto anche di no a Silvio Berlusconi: «Ho avuto un incontro segreto con lui. Nel cuore della notte, sono tornato a casa e nel parcheggio mi aspettava una vettura che mi ha portato all’appartamento di Berlusconi. È stato grandioso. Berlusconi mi ha guardato e visto che stavano sostituendo l’allenatore, mi ha chiesto se ero interessato. Ma era chiaro che non ero interessato», ha raccontato lo svedese.

Il consiglio ad Abramovich: «Compra il Chelsea»

Il tecnico svedese ha anche avuto un ruolo determinante nella storia recente del Chelsea, pur non avendo mai allenato i Blues. La prima volta che incontrò Roman Abramovich lo scambiò per un autista. Era il 2003 e il magnate russo si era rivolto a lui per una consulenza. È stato, infatti, l’allenatore svedese (all’epoca c.t. dell’Inghilterra) a consigliargli di acquistare il Chelsea. «Quando ci siamo incontrati a Les Ambassadeurs (un casinò di Londra, ndc), mi sono trovato davanti tre uomini. Uno di loro era vestito in modo adeguato alla circostanza d’affari, il secondo così-così e il terzo pensavo fosse l’autista che aveva accompagnato gli altri due, visto com’era conciato. Ovviamente, Roman era proprio quest’ultimo...», ha rivelato.

Il sosia in Messico

Nel 2008 la Federazione messicana lanciò un allarme. Nel paese si aggirava un sosia di Sven Goran Eriksson, all’epoca c.t. del Messico. «I club del calcio messicano sono stati avvertiti di questa situazione affinché non si lascino sorprendere da questo individuo», aveva reso noto la Federazione. La decisione di avvisare i club era arrivata dopo che la televisione messicana aveva intercettato il falso Eriksson, mentre arrivava allo Stadio Olimpico Universitario per parlare con il tecnico dei Pumas di Unam, Ricardo Ferretti.

La minaccia di Sir Alex Ferguson

Nel 2019 Sven Goran Eriksson raccontò un episodio con protagonista Sir Alex Ferguson, ex tecnico del Manchester United. I due litigarono a causa di Wayne Rooney, che Eriksson voleva convocare malgrado si fosse rotto un piede poco tempo prima, mentre Ferguson voleva che restasse fuori dai 23, tanto da ribadirlo personalmente allo svedese in una telefonata dai toni accesi e coloriti: «Saranno state le sette o anche prima, ma con lui era sempre così quando era arrabbiato e mai una volta che dicesse “Ciao Sven, come stai?”. Urlava subito e pensavo sempre volesse uccidermi. E in effetti quella volta mi disse: “Ti ammazzo, sei finito, non convocare Rooney, perché sto per ucciderti”, ma io rappresentavo l’Inghilterra e dovevo prendere posizione, così gli risposi “Fot..i, cosa ti sta succedendo?”. Ma lui continuava a urlare. Allora gli ho detto: “Alex, io convocherò Rooney. Ora ciao e buona vacanza”», il racconto.

Dino Baggio.

Da ilnapolista.it il 17 gennaio 2022.

A Tv7 l’ex calciatore Dino Baggio ha parlato della morte di Vialli e del doping nel calcio.

 “Bisognerebbe investigare sulle sostanze che abbiamo preso in quel periodo. Il doping c’è sempre stato. Bisogna capire se certi integratori col tempo hanno fatto male. Ho paura anch’io, sta succedendo a troppi calciatori”. Dino Baggio, ex centrocampista di Juventus, Inter, Parma e Lazio, ha parlato della scomparsa di Gianluca Vialli, lanciando preoccupanti timori. Baggio ha giocato con Vialli ai tempi della Juve, dal 1992 al 1994 e con la Nazionale. “Bisognerebbe risalire a quello che abbiamo preso in quei periodi – ha dichiarato ai microfoni di Tv7 -, bisognerebbe investigare un po’, sulle sostanze prese in quei periodi. Non so se sia dovuto a questo. C’è sempre stato il doping. Non si sono mai prese robe strane, perché c’è una percentuale che devi tenere. Però con il tempo bisogna vedere se certi integratori fanno bene oppure no”.

Dino Baggio lancia l’allarme sul doping: “Sta succedendo a troppi calciatori. Negli anni miei c’era il doping. Non prendevi robe strane, prendevi robe normali ma poi bisogna vedere se col tempo riesci a buttarle fuori o restano dentro. Poi tanti hanno parlato dell’erba dei campi e dei prodotti che utilizzavano che davano dei problemi”. Su Vialli e gli anni passati insieme: “Ho un ricordo meraviglioso di Gianluca, era un uomo spogliatoio e aveva voglia di far crescere i giovani. Ero in squadra con lui quando avevo 21 anni e spendeva sempre una parola buona nei nostri riguardi. È andato via troppo presto dalle nostre vite”.

Dino Baggio dopo la morte di Vialli: «In quegli anni troppa chimica. Ho il terrore di stare male». L’ex centrocampista di Juve, Inter e Nazionale: «I medici ci prescrivevano tanti integratori e i campi su cui giocavamo erano tutti trattati chimicamente». Andrea Pistore su Il Corriere della Sera il 17 Gennaio 2023.

Dino Baggio, 51 anni (foto archivio)

«Vialli? Se n’è andato troppo presto, bisognerebbe indagare sulle sostanze che abbiamo preso in quel periodo». Dino Baggio non fatica a ritornare sulle paure che lo attanagliano da quando ha smesso di giocare. Il cinquantunenne padovano, ex centrocampista della nazionale (due i mondiali disputati) e della Juventus, che ha vestito le maglie di Torino, Inter, Parma, Lazio, Blackburn, Ancona e Triestina, e che con Gianluca Vialli ha conquistato una Coppa Uefa, proprio dalla morte dell’ex compagno ha tratto lo spunto per una riflessione su ciò che i medici facevano assumere agli sportivi negli anni novanta.

Baggio, lei sostiene che bisognerebbe investigare sulle sostanze che prendevate trent’anni fa, che cosa significa?

«In quel periodo venivamo sottoposti a controlli ogni tre giorni, quindi l’antidoping ha funzionato. I prodotti che abbiamo assunto erano tutti leciti, altrimenti saremmo andati incontro a maxi squalifiche. Quello che mi piacerebbe capire, con approfondimenti scientifici, è se quei prodotti a lungo termine possano averci creato problemi di salute».

Chi vi consigliava cosa prendere?

«Il medico della squadra, nessun giocatore poteva assumere alcuna sostanza senza l’approvazione del dottore che seguiva la squadra».

Pensa di essere stato “dopato” a sua insaputa?

«No, ma il doping c’è sempre stato in tutti gli sport e anche i controlli sono stati efficaci. Nessun giocatore aveva interesse ad assumere sostanze illecite perché il rischio di non giocare più era tanto».

Ci fa il nome di qualche medico con cui ha lavorato in quegli anni?

«No, il mio è un discorso generale e non è di sicuro la Juventus il bersaglio delle mie perplessità. Tutti gli sportivi prendono integratori perché bruci talmente tanto che devi recuperare in qualche modo e sono sicuro che tutti abbiano fatto uso di prodotti leciti, il problema è capire se alla lunga quelle sostanze possano averci fatto del male. E poi c’è un’altra cosa che mi preoccupa».

Dino Baggio e i suoi 50 anni: «Roby era un fratello, Vialli è l’esempio. Il mio sogno? Correre in auto» (24 agosto 2021)

Quale?

«I campi su cui giocavamo erano tutti trattati chimicamente, non si sa bene con quali sostanze. Questo mi fa riflettere. Venivano impiegati disinfestanti per tenere in ordine i terreni di gioco e non sappiamo cosa abbiamo respirato. I campi avevano degli odori particolari».

Oggi la situazione com’è?

«Di sicuro c’è una conoscenza molto più ampia rispetto a 30 anni fa. Si usano tantissimi prodotti naturali, i nostri erano chimici. Io ho cercato di eliminare tutto, mangiando solo prodotti sani di cui conosco la provenienza».

Ha paura?

«Vorrei capire esattamente gli effetti dei prodotti che i medici ci consigliavano. Non sto accusando nessuno ma ho il terrore di stare male e di fare la fine di alcuni colleghi. Penso alle morti per tumore e leucemia di Gianluca (Vialli, ndr) o di Sinisa (Mihajlović, ndr) ma non solo. Ci sono stati giocatori uccisi dalla Sla come Borgonovo o Signorini. Come mai queste malattie colpiscono tanti ex atleti?».

Di Gianluca Vialli che ricordo ha?

«Un ragazzo esemplare, professionista al 100% sia fuori, sia dentro il campo. Aveva un cuore d’oro e il più bel ricordo è quello della vittoria della Coppa Uefa. Un uomo spogliatoio, un trascinatore. È andato via troppo presto, poteva ancora dare tantissimo al nostro calcio. La vittoria degli Europei nel 2021 è soprattutto merito suo. La sua morte è un dispiacere enorme».

Dino Baggio, allarme doping. Dopo Vialli il calcio ha paura. L'ex centrocampista: "Servirebbe indagare, in quegli anni troppa chimica". Allerta lanciata pure da Lotito. Marcello Di Dio il 18 Gennaio 2023 su Il Giornale.

Nessuna accusa alla cieca, ma una grande paura di fronte alla morte, prematura, di tanti suoi ex colleghi. L'ultima quella di Gianluca Vialli, suo compagno di squadra alla Juve trent'anni, di pochi giorni successiva a quella di Sinisa Mihajlovic. L'ex centrocampista Dino Baggio, 51 anni, oltre 300 presenze in serie A tra il 1990 e il 2004 e 60 con le Nazionali di Sacchi, Maldini e Zoff, in un'intervista tv si è detto preoccupato per i tanti calciatori della sua generazione scomparsi a causa di gravi malattie. In molti, sentendo le sue parole, avranno ripensato a quell'inchiesta sul doping che toccò la Juve dopo l'accusa di Zeman («fuori il calcio dalle farmacie»), portando sul banco dei testimoni lo stesso Vialli.

«Gianluca se n'è andato troppo presto, è stato terribile, ma il mio è un discorso generale e non è di sicuro la Juventus il bersaglio delle mie perplessità. Bisognerebbe indagare sulle sostanze che abbiamo preso in quel periodo, ho paura di star male anch'io...», le frasi di Dino Baggio. Preoccupato per la possibile correlazione tra sostanze assunte e appunto queste gravi malattie. «Il doping c'è sempre stato in tutti gli sport, io non ho mai usato sostanze proibite né mi sono state proposte, eravamo controllatissimi, dovevi passare dal medico sociale anche per curare una tonsillite...», ha detto ancora Baggio.

Troppa chimica in quegli anni, tra integratori e sostanze iniettate ai calciatori oltre ai diserbanti usati per la manutenzione dei campi di calcio. «Ricordo che l'erba del terreno dove giocavamo aveva un odore strano, non come quella del giardino di casa tua quando la tagli - la sottolineatura dell'ex centrocampista veneto -. Ecco, mi piacerebbe conoscere gli effetti a lungo termine di questi prodotti chimici sul mio corpo. Gli integratori non erano illeciti, ripeto, ma ora non si prende più quello che si prendeva negli anni '90».

La necessità di approfondimenti su alcune malattie troppo ricorrenti nel calcio era stata già sottolineata dal presidente della Lazio Claudio Lotito subito dopo la morte di Mihajlovic e negli ultimi, inutili, scampoli di resistenza al tumore di Vialli: «Potrebbero essere legate al tipo di stress, alle cure. Non c'è nessun discorso scientifico, ma ci dobbiamo chiedere perché sono così frequenti».

«Lasciate in pace Vialli, non sto pensando a lui come a un oggetto di indagine, ma come ha detto Dino Baggio ci sarebbero tante domande da fare... - ha detto il dirigente ed ex calciatore Walter Sabatini -. La moria di calciatori è lunghissima e i sospetti sono consistenti e giustificabili, legati ai metodi di una volta: non erano probabilmente sistemi di doping, ma un sistema di sostegno integrativo che portato a dosi eccessive. Ci si accorge dopo dei danni? Ci sono passato anche io quando avevo 18 o 20 anni, passavano i medici ti facevano punture e non sapevo quello che mi iniettavano, mi fidavo di loro. Per ora sono stato fortunato...».

Dal caso «madre» del viola Bruno Beatrice - «ucciso» da una serie killer di Raggi Roentgen per curare una pubalgia che gli provocò una leucemia linfoblastica acuta - centinaia sono state le morti misteriose nel calcio italiano. E nel 2005, ha ricordato Avvenire pochi giorni dopo la scomparsa di Vialli, l'ex giudice della Procura di Torino Guariniello che istruì il primo processo penale per doping nel pallone, affidò all'Istituto Superiore di Sanità la ricerca che venne effettuata su un campione di 24mila calciatori di serie A, B e C. La ricerca si chiuse con 350 giocatori morti per diverse patologie e l'allarme per l'incidenza raddoppiata di decessi per tumore al pancreas. Proprio quello fatale all'ex sampdoriano. In quello studio, inoltre, si denunciò per la prima volta anche l'incidenza della Sla (Sclerosi laterale amiotrofica). Male oscuro per il quale Vialli con Massimo Mauro aveva creato la Fondazione che reca i loro nomi al fine di finanziare la ricerca scientifica.

Umberto Lenzini.

Sor Umberto, il palazzinaro romantico che ricostruì la Lazio. Lenzini prese in pugno una squadra dissolta e pur scivolando spesso vinse il primo scudetto: per tutti i biancocelesti, per sempre, Il Presidente. Paolo Lazzari il 14 Gennaio 2023 su Il Giornale.

Se ne stava per giorni interi appollaiato dietro le vetrine appannate dell’emporio. Quel posto traboccante e colorato riceveva un andirivieni incessante di clienti. I signori Lenzini, che poi erano i suoi genitori, si sfregavano le mani. Erano emigrati poverissimi dall’Italia e, adesso, gli armadi di casa gli usavano per premerci dentro montagne di verdoni. Abbastanza per lasciare il Colorado, che li aveva accolti così benevolmente, per la voglia di rivalsa verso un paese che non aveva mai scucito niente.

Con tutti quei soldi convertiti in lire, i Lenzini, avevano iniziato a comprare terreni nei dintorni di Roma, e a tirar su palazzi. Il piccolo Umberto, cresciuto in mezzo a una selva di gru e calcestruzzo, ancora non poteva saperlo ma quell’eredità avrebbe fatto la sua fortuna. Mentre i suoi si davano all’edilizia, lui si dilettava con il pallone tra i piedi, sbocciando gradualmente. Era un prospetto abile e guizzante, ma non sarebbe stato quello il maggiore dei flirt con il calcio.

Molti anni più tardi, con suo fratello Carlo, si mette in testa di acquistare un club di Serie A. I soldi in cassa ci sono e l’impresa non pare peregrina. A dire il vero, tra i due, quello più convinto è Carlo: dice che la maggior parte del cash la verserà lui, lasciando a Umberto lo scranno da presidente. Solo che un giorno, mentre si trova a bordo di un piroscafo che lo sta conducendo in America, un infarto se lo porta via. D’un tratto Umberto si ritrova da solo con un sogno nato gemello. Così la faccenda sarà più intricata, rimugina, ma non improponibile.

Allora, quando scocca il 1965, diventa il padrone della Lazio. Afferra, a dire il vero, una creatura incandescente: il club si sta avvitando, soverchiato dai debiti. Lo spogliatoio è inciso da una faglia profondissima. Lui però conquista con un savoir faire disorientante: se non gli vai a genio sbatte quei grossi pugni sul tavolo. Se possiedi un carisma tracimante, lo patisce e diventa più mellifluo. A Roma abita in un super attico in Piazza Carpegna: luce in abbondanza e bici necessaria per spostarsi da una stanza all’altra. All’Olimpico, invece, fa il giro del campo con un bicchiere di rosso in mano, ammansendo anche i tifosi più recalcitranti. Sempre con un sorriso sornione, calato sotto un naso ingombrante e, volendo risalire più su, due gigantesche borse violacee sotto gli occhi.

Lenzini ci sa decisamente fare: smazza biglietti omaggio come fossero canditi. Organizza e paga trasferte gloriose, premendo nei bus anche orchestrine che improvvisano fanfare sgangherate. Oltre il gran battage che agita intorno a sé, però, alleva un sogno concreto: vincere il primo scudetto del club. L’incipit racconta l’esatto opposto: al secondo anno di presidenza sprofonda in serie B. Risale prontamente dopo un biennio, ma è soltanto per fare la spola. Di nuovo penosamente risucchiato giù, nel giro di quattro anni.

La svolta giunge ingaggiando il pisano Tommaso Maestrelli, anni 49. Segni particolari: specialista in imprese improbabili, avendo issato il Foggia in A e la Reggina in B. La Lazio torna subito in serie A e si popola di calciatori rampanti. Felice Pulici tra i pali, un giovane D’Amico dal vivaio, l’illuminato Frustalupi nel mezzo e il vigoroso Re Cecconi al suo fianco. Davanti gioca Giorgio Chinaglia, garanzia di grane multiple per le difese altrui. Lenzini ci crede, ma la squadra si vede scivolare via il primato tra le mani all’ultima giornata, giungendo terza.

Si tratta, comunque, del preludio ad un successo imminente. Un anno dopo la Lazio di Lenzini solleva il primo scudetto in assoluto, addomesticando la rincorsa furente del Napoli e intiepidendo le pretese della Juve di Bettega e Zoff. Una squadra, quella, di cristallo. La rosa conta soltanto sedici elementi effettivi, ma per fortuna nessuno si fa male. Lo spogliatoio è diviso in clan. Chinaglia ne è tuttavia il leader indiscusso, tanto a parole quanto nei fatti, dal momento che distribuisce pedate solenni a chi non corre. La zona è il mantra di Maestrelli. La Lazio afferra le briglie del campionato e non le molla più per 17 giornate.

Lenzini, munifico, distribuisce premi e finalmente gongola. La sera dello scudetto porta tutti in un celeberrimo night del centro, per bere e sollazzarsi. Durerà poco. Quello scudetto resta il capolavoro intonso del Presidente, prima che tutto cominci a franare. Nel giro di pochi anni, Umberto deve fare i conti con la morte di Maestrelli e quella, terribile, di Re Cecconi. Poi arriva l’infamia del calcio scommesse e gli arresti che piovono in sequenza, mentre Chinaglia è già volato negli States. Una discesa negli inferi che culmina con la retrocessione d’ufficio in serie B. Quella Lazio magnificamente ricostruita dalle sue macerie, torna a sgretolarsi di nuovo.

Lenzini mollerà la sua creatura dopo un’entropia lunga 15 anni ed un immenso patrimonio dilapidato. Il sogno romantico del primo scudetto pretende un contrappasso eccessivo. Oltre lo sfacelo che segue la gloria, però, Umberto ha conseguito un altro successo: rimanere, per sempre, "Il Presidente" dei laziali.

LA ROMA.

Carlo Mazzone.

Dino Viola.

Falcao.

Agostino Di Bartolomei.

Giuseppe Giannini.

Damiano Tommasi.

Francesco Totti.

Carlo Mazzone.

E’ morto l’ allenatore Carlo Mazzone, aveva 86 anni. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 19 Agosto 2023

I messaggi di commozione arrivano da tutta Italia, da giocatori e tifosi del passato e del presente che con lui hanno condiviso un pezzo di strada.

Si è spento all’età di 86 anni Carlo Mazzone, allenatore “storico” della Roma e di tante altre squadre di calcio arrivando a detenere il record di presenze di 792 partite in panchina nel massimo campionato di serie A . Nel 2019 gli è stata intitolata la nuova tribuna Est dello Stadio Cino e Lillo Del Duca di Ascoli Piceno, e nello stesso anno è stato inserito nella Hall of Fame del calcio italiano. Allenatore amatissimo dai tifosi e dai grandi campioni, da Francesco Totti a Roberto Baggio fino a Pep Guardiola e Andrea Pirlo, Carletto Mazzone lascia un vuoto enorme sopratutto a livello umano, nel calcio italiano.

Ha allenato dodici club, Ascoli, Fiorentina, Catanzaro, Bologna, Lecce, Pescara, Cagliari, Roma, Napoli, Perugia, Brescia e Livorno, alcuni dei quali a più riprese. Anche per questo oggi i messaggi di commozione arrivano da tutta Italia, da giocatori e tifosi del passato e del presente che con lui hanno condiviso un pezzo di strada. 

“Carlo Mazzone era un uomo genuino e verace, custode dei valori più sani dello sport. Un grande allenatore, amato da tutti perché ha rappresentato un calcio vicino al popolo e ai suoi tifosi. Mi stringo al dolore della famiglia e di tutti i suoi conoscenti. Ci mancherai Carletto”, scrive in un tweet il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni.

“Carlo Mazzone prosegue la sua corsa…nell’altra vita, lasciandoci i ricordi di un grande allenatore e del ‘suo’ calcio: appassionato, schietto, genuino e sano, con uno stile che non vorremmo mai definire di altri tempi, ma che facciamo fatica a ritrovare in questi. Ciao Mister!”, il tweet del ministro dello Sport, Andrea Abodi.

“La Figc si unisce al cordoglio del calcio italiano per la scomparsa di Carlo Mazzone, all’età di 86 anni. Nato a Roma il 19 marzo 1937, ha legato gran parte della sua carriera di calciatore all’Ascoli, dopo aver vestito anche le maglie di Latina, Roma, Spal e Siena”, scrive la Federcalcio sul suo sito. “Sempre con il club marchigiano iniziò ad allenare, portando l’Ascoli dalla Serie C alla Serie A (1974), prima di tornare a guidare i bianconeri dal 1980 al 1984. Mazzone è stato anche l’allenatore di Fiorentina, Catanzaro, Bologna, Lecce, Pescara, Cagliari, Roma, Napoli, Perugia, Brescia e Livorno, entrando nel 2019 a far parte della Hall of Fame del calcio italiano, istituita nel 2011 dalla FIGC e dalla Fondazione Museo del Calcio per celebrare giocatori, allenatori, arbitri e dirigenti capaci di lasciare un segno indelebile nella storia del nostro calcio“. 

“Carlo Mazzone rappresenta una icona calcistica che ha catturato il mio cuore – scrive Gigi Buffon sul suo profilo Instagram – La passione travolgente che riversava nelle squadre è stata davvero unica e irripetibile”. “A riprova del suo magnifico temperamento ho un aneddoto fantastico a margine di un Parma-Brescia finita 3-0. Sul punteggio di 1 a 0 ed a 15 minuti dalla fine ho fatto una tripla parata che ha salvato il risultato. A fine gara mi ha incrociato e in mezzo a una trentina di persone mi ha detto ‘A Buffon… ma che t’ho fatto?? Oggi me sembravi Lazzaro… che te rialzavi sempre!’. La notizia della sua scomparsa lascia un vuoto incolmabile, ma il suo impatto resterà per sempre vivo“

“Carlo Mazzone è stato un simbolo del calcio. Era il decano degli allenatori, con il record di quasi 800 panchine in serie A. Ha dato tantissimo a questo sport sotto ogni profilo, tecnico, sportivo e umano. La Lega Serie A si unisce commossa al cordoglio della famiglia e di tutti i tifosi italiani”, scrive in una nota il presidente della Lega di Serie A, Lorenzo Casini. 

“Ciao Mister. Ti vorremo sempre un bene immenso. Forza Roma!”, il saluto dell’As Roma. “L’Atalanta  esprime il suo cordoglio ai familiari per la scomparsa di Carlo Mazzone, avversario in campo di tante battaglie sportive”, scrive il club su Twitter. La famosa corsa sotto la curva di Mazzone era diretta contro la tifoseria della Dea durante il derby del settembre 2001, dopo il pareggio del suo Brescia a firma Baggio e il mantenimento della promessa di andare ad affrontare gli ultras dopo gli insulti a lui rivolti. 

“Sei e sarai sempre nel mio cuore. Grazie per tutto quello che hai fatto per me”. Sono le parole su Instagram di Francesco Totti per la morte di Carlo Mazzone, a cui Totti deve tanto, se non tantissimo. Un allenatore e un secondo padre, come ha sempre ricordato il numero 10 della Roma. Sotto la guida dell’allenatore trasteverino Totti ha cominciato a vivere la sua lunghissima favola con la maglia della Roma. Redazione CdG 1947

Biografia di Carlo Mazzone. Da cinquantamila.it – la storia raccontata da Giorgio Dell’Arti

Carlo Mazzone, nato a Roma il 19 marzo 1937 (85 anni). Ex allenatore di calcio. Ha il record delle panchine in Serie A, 795 (strappato nel 2006 a Nereo Rocco, che era arrivato a 787). «Io sono come Trap, solo che i miei scudetti sono le salvezze». 

Vita

Difensore, cresciuto nella giovanili della Roma, dopo una stagione con il Latina in Prima divisione tornò con i giallorossi ed esordì in Serie A il 31 maggio 1959 (Fiorentina-Roma 1-1). Due sole presenze con la Roma. Poi una stagione con la Spal e nove con l’Ascoli (219 partite e 11 gol)

• «È sbarcato il 17 ottobre 1960 a Ascoli da giovane calciatore. “Ero un ragazzo, mi chiamò il presidente della Roma, Anacleto Gianni. ‘Carlo devi andare a giocare a Ascoli, ti servirà per crescere, poi torni alla Roma’. Non sapevo neanche dov’era Ascoli. Attraversai Piazza del Popolo, rimasi colpito dalla sua bellezza e tra me e me dissi: Ao’, ma qui è bello come a Roma”» (Guido De Carolis)

• «La mia maestra è stata la sfortuna che ha mi troncato la carriera di calciatore dell’Ascoli facendomi fratturare la tibia e cambiare mestiere restando nel mondo che amavo. Il male fisico mi ha insegnato tanto, da uomo e da calciatore. Ma la mia fortuna fu Rozzi, il presidente bravo, serio, intelligente e buono che fermò la mia disperazione dicendo: “Carlo, non ti preoccupare, guarito o no starai sempre con me”, e mi dette la guida della squadra in Serie C, con piena responsabilità, “Fai tu”, e io feci C,B,A, che bella avventura, che soddisfazione...”» (a Italo Cucci)

• «Il suo mondo (anche oggi) è Ascoli, la stessa città di un altro grandissimo sanguigno allenatore, il professor Carlo Vittori, il mentore di Pietro Mennea. E infatti i due per un certo periodo lavorarono addirittura insieme nel calcio. Ad Ascoli e alla Fiorentina: Mazzone allenatore, Vittori preparatore. Il datore di lavoro di Mazzone è Costantino Rozzi, un costruttore rampante che va in panchina accanto a Mazzone, sobbalzando a ogni tiro, e con i calzini rossi perché portano fortuna. 

L’Ascoli di quegli anni torna a essere una roccaforte medievale, Rozzi e Mazzone sono due signori feudali che comandano e hanno potere, e vincono, e stanno lassù dispettosi e spudorati tra i grandi. Ad Ascoli, con Mazzone e subito dopo, arriva gente come Anastasi, Brady, Bruno Giordano, Dirceu, Casagrande, Bierhoff. Mazzone è il signore di un’Italia sfacciata e ambiziosa che va da Ascoli a Catanzaro, da Bologna a Lecce, da Pescara a Cagliari, da Perugia a Brescia a Livorno. Un’Italia che testardamente pretende e ottiene la Serie A con lui» (Fabrizio Bocca)

• «Ha messo assieme soltanto due promozioni in Serie A (Ascoli 1974 e Lecce 1988) e una promozione in B (Ascoli 1972). La grande occasione arrivò nel triennio alla sua amatissima Roma, dal 1993 al 1996: ma era solo una Rometta (“M’avete dato una Formula 1, sì: ma con le ruote sgonfie”, disse poi) e il miglior risultato furono due quinti posti. Anche a Perugia, nel 2000, non vinse lo scudetto (come avrebbe potuto?) ma lo veicolò alla Lazio, paradossale per un ultrà romanista come lui, battendo la Juventus sotto il diluvio» (Francesco Zucchini)

• «Un uomo capace di unire e lasciare un bel ricordo in ognuna delle 12 squadre allenate in Italia. Un signore pulito, in un calcio spesso torbido. Un mago delle salvezze impossibili, un eccezionale scopritore di talenti. 

Fu lui a lanciare un Francesco Totti appena sedicenne nella Roma, fu lui a spostare Andrea Pirlo davanti alla difesa, regalandogli poi una straordinaria carriera. Fu lui a recuperare Roberto Baggio, a donargli gli ultimi eccezionali anni di calcio. Un allenatore amato dai più grandi, anche dal miglior tecnico del mondo, Pep Guardiola che mentre vinceva tutto il possibile con il Barcellona, non si è mai dimenticato di invitarlo.

Mazzone era a casa, pochi giorni prima della finale di Champions 2009 tra Barça e Manchester United. “Nonno, corri c’è Guardiola al telefono – mi dice mio nipote –. Chi è? Chiedo. ‘Mister, sono Pep’. Sì e io Garibaldi. E invece era lui che mi invitava alla finale a Roma”, raccontò anni fa Mazzone. Quello di Guardiola erano affetto e riconoscenza per gli anni insieme a Brescia» (Guido De Carolis)

• «Nel 2001 il destino di Mazzone incrociò quello di un giovane Pirlo. Succedeva a Brescia, tappa intermedia di una carriera ancora incellophanata, cinque mesi di parentesi tra le incomprensioni all’Inter e l’esplosione al Milan. Pirlo passa al Brescia alla fine del mercato di gennaio, Mazzone ricorda: “Lo arretrai e lo piazzai davanti alla difesa, gli spalancai un mondo nuovo. Era il suo ruolo, era lì che doveva giocare. Prima era un trequartista come tanti, diventò il regista più forte del mondo. Ma non per merito mio, eh”» (Furio Zara)

• È passata alla storia la sua corsa sotto il settore occupato dai tifosi dell’Atalanta, dopo il 3-3 del Brescia, il 30 settembre 2001. «E chi se lo scorda quel derby, poi proprio io che certe sfide ne ho affrontate tante, a Roma e non solo. E quel giorno nun me lo dimentico, magari ve sembro rimbambito ma nella mia capoccia ce sta’ tutto... 

Noi andammo in vantaggio con Baggio, forse festeggiammo troppo e infatti l’Atalanta ce ribaltò e se portò sul 3-1. In campo era una battaglia, ma me dava più fastidio sentire già a fine primo tempo dalla curva dei bergamaschi i cori beceri che mi trafissero er core: “Carletto Mazzone romano de merda, Carletto Mazzone figlio di puttana” e altro ancora. Non lo accettai, soprattutto pensando alla mia povera mamma che mi era morta giovanissima fra le braccia.

Me venne il sangue agli occhi perché non era solo un’offesa nei miei confronti, si volevano colpire i miei affetti. Dissi al mio vice Menichini: “Nun ce sto, nun ce vedo più, me stanno a fa’ impazzì de rabbia. Mo’ vado e li meno... Andai dal quarto uomo e gli dissi: “Stamme bene a senti’, tu devi scrive’ tutto sul tuo taccuino, perché mo t’avviso che sto fori de testa. Se pareggiamo scrivi tutto. 

Proprio in quel momento Baggio segnò il 2 a 3 e già lì fu difficile sta’ zitto. Mi rivolsi alla curva dell’Atalanta e mi scappo una frase: “E mo se famo il 3 a 3 vengo sotto lì da voi…”. Me l’aspettavo, me stavo già preparando. Al gol del 3-3 cominciai a correre verso quella curva con il pugno chiuso, più correvo e più urlavo “Mo arivo, mo arivo…”. Il mio vice Menichini provò a fermarmi ma ormai nun ce stavo più colla capoccia, avevano toccano i miei sentimenti più cari.

Mi trovai davanti alla rete, fu allora che capii e mi fermai. Poi andai da Collina e gli dissi: “Buttame fori, me lo merito. Però sui giornali mi trattarono come un vecchio rimbambito, e io col sorriso dissi che era tutta colpa del mio fratello gemello. E pure de Baggio che aveva fatto tre gol» (a Giulio Mola). Per quella corsa fu squalificato per cinque partite 

 • «Io ho sempre fatto un calcio che chiamo “di conseguenza”. Mi spiego: il grande cuoco dà il meglio di sé preparando il grande piatto con quello che ha. Se avevo gente che sapeva giocare, giocavamo. Se avevo gente di corsa, si correva... Non puoi fare il 4-4-2 a prescindere se non hai gli esterni d’attacco. Ma poi quelli che inventano il calcio sono altri...» (a Tuttosport)

• Ha interpretato sé stesso nel film L’allenatore nel Pallone 2 (regia di Sergio Martino, 2008). con Lino Banfi

• Nel 2019 l’Ascoli gli ha intitolato la Tribuna Est dello stadio Del Duca

• Sposato dal 7 luglio del 1963 con Maria Pia. «Una donna sempre allegra da cui ha avuto Sabrina e Massimo, il figlio che l’accompagnava ovunque in giro per l’Italia: da Lecce a Brescia, passando per gli anni alla Roma e fino all’ultima tappa al Livorno nel 2006. Poi Carlo è diventato nonno con i nipoti Vanessa, Alessio (di fatto il suo social media manager) e Iole. Infine Cristian, l’ultimo arrivato che l’ha reso bisnonno» (Guido De Carolis). Mazzone e la moglie vivono ad Ascoli, nel quartiere Monteverde.

Processi

Dal 1975 al 1978 sulla panchina della Fiorentina, è finito tra gli indagati per la morte del calciatore Bruno Beatrice, avvenuta nel 1987, a soli 39 anni, per una leucemia che secondo una perizia disposta dal pm potrebbe essere stata causata da una terapia con raggi Roentgen fatta al giocatore nel 1976 per curare una pubalgia (accusa: omicidio preterintenzionale). 

Difesa di Mazzone: «Arrivai a Firenze che avevo solo 38 anni, ero un tecnico emergente che i raggi Roentgen non sapeva neppure cosa fossero. Solo 20 anni fa ne ho conosciuta l’esistenza. Non ho mai interferito con le scelte dello staff medico, se lo avessi fatto non sarei stato un buon allenatore, a Coverciano ci insegnano la tattica non la medicina». Nel gennaio del 2009 la procura di Firenze ha archiviato il caso, caduto in prescrizione. 

Soprannomi

«Alla vigilia di una difficile sfida contro la Juventus, il giornalista romano Alberto Marchesi, suo amico, inviato del Corriere dello Sport, va in Calabria a osservare gli allenamenti del Catanzaro. Al termine della seduta va da Mazzone e gli dice: “Ma sai che siete proprio bravi. Secondo me con la Juve potete pure vincere”. Carletto si illumina e parte la battuta: “Magara!”. “Magara – spiegherà poi – in romano significa ‘magari’, ma un ‘magari’ che dici di fronte ad una prospettiva davvero bella”. Tornato a Roma, Marchesi scrive l’articolo per il Corriere dello Sport, e fin dalle prime righe chiama l’amico Mazzone “Er Magara”. Il Catanzaro bloccherà sullo 0-0 la Juventus e quel soprannome da quel momento in poi accompagnerà Mazzone per il resto della carriera» (Paolo Camedda).

Frasi

«La tecnica è il pane dei ricchi, la tattica è il pane dei poveri»

• «Come diceva mio padre, me devono solo impara’ a mori’»

• «L’angoscia, lo stress, quelli li conosco solo io»

• «“Amede’, quante partite hai fatto?”. “350, mister”. “E quanti gol?”. “Quattro, mister”. “E allora ’ndo cazzo vai”» (al terzino della Roma Amedeo Carboni, che aveva la tendenza ad avanzare troppo)

• «Battere la Roma? È mio dovere provarci. Ma è come uccidere la propria madre»

• «Guardi, uno che ha fatto Ascoli-Sambenedettese credo che, sul piano dell’intensità emozionale, abbia provato tutto» (a proposito del derby di Roma)

• «Sono sempre stato un cane sciolto. Avanti tutta, come un navigatore solitario. Mai avuto padrini, né sponsor. Mai fatto parte di lobby di potenti dirigenti, mai goduto del favore di giornalisti condiscendenti o di raccomandazioni» (in uno storico litigio in diretta tv con Enrico Varriale). 

Social

Inattesa popolarità sui social network grazie al nipote Alessio che dal 2021 gestisce i profili Instagram, Facebook e Twitter del nonno. «Ha festeggiato gli 84 anni postando una foto davanti a un cabaret di zeppole alla crema, il dolce per la festa del papà. Il web è impazzito. L’immagine, come usa dire, è diventata virale. 

Sor Carletto si è commosso: “Grazie a tutti per gli auguri, grazie per esserci sempre anche a distanza di tanti anni! Il bello di questa pagina è sentire il vostro affetto nei miei confronti! Non smetterò mai di ringraziarvi! Grazie. Vi voglio bene”» (Guido De Carolis).

La storia della corsa di Mazzone sotto la curva durante Brescia-Atalanta, nel 2001. Storia di Salvatore Riggio su Il Corriere della Sera sabato 19 agosto 2023.

Carlo Mazzone , 19 agosto 2023. Aveva 86 anni e alle spalle una carriera impareggiabile da allenatore: suo il record di panchine in serie A. Ripubblichiamo l’articolo sulla storia di uno dei gesti che l’hanno consegnato alla storia del calcio: la corsa sotto la curva dell’Atalanta, nel 2001, quando allenava il Brescia. Sono passati più di due decenni – e tanto altro è accaduto – dalla corsa da centometrista di Carletto Mazzone in quel Brescia-Atalanta 3-3 del 30 settembre 2001. Una delle immagini epiche del nostro calcio, stampata in maniera indelebile di chi c’era. «Ho fatto 795 panchine in serie A e va a finire che verrò ricordato per quella corsa», disse il tecnico romano, innamorato del calcio e di Francesco Totti. «La rifarei. Perché i cori che l’avevano preceduta erano stati la cosa peggiore che si può sentire: la mamma è la cosa più importante», aggiunse in un’intervista celebrativa per il suo 80esimo compleanno, compiuti nel 2017. In quel pomeriggio di inizio autunno, la corsa di Mazzone riuscì a oscurare persino Pep Guardiola, in tribuna da giocatore del Brescia per assistere al derby lombardo, il più caldo. I fatti: l’Atalanta vince 3-1 e alla fine della partita mancano più o meno 15 minuti. Le Rondinelle accorciano con Baggio e Mazzone esulta. È teso e non vuole più sopportare gli insulti e le offese che gli piovono addosso contro la sua romanità, ma soprattutto contro l’amata mamma Jole scomparsa già da molti anni, dai tifosi bergamaschi. E invece di arrabbiarsi o rispondere con brutti gesti, dirà: «Se famo 3-3 vado sotto la curva». Tutti lo sentono, ma nessuno pensa che il Brescia possa portare a compimento la rimonta. Ma nessuno fa i conti con il 3-3 firmato ancora da Baggio. Detto, fatto. Accade l’incredibile. Carlo Mazzone fa uno scatto da centometrista (20 anni dopo, comparve anche in una meme nel quale l’allenatore superava al traguardo Marcell Jacobs e vince i 100 metri di Tokyo): «Ho provato a fermarlo, ma ho lasciato perdere», le parole dell’addetto agli ispettori di Lega Cesare Zanibelli, che presto desiste. Mazzone corre, non si ferma e non si fa raggiungere dal vice Leonardo Menichini e dal team manager Edoardo Piovani. Arriva sotto la curva dell’Atalanta e scarica lì, impavido, tutta la tensione che ha accumulato in quei 90 minuti più recupero. «Erano 20 anni che non facevo uno scatto del genere, sono arrivato con il cuore in gola. Le provocazioni erano tante. Mi è stata toccata mia madre e la mia città…», raccontò poi nel documentario «Come un padre». E il nipote — in un articolo apparso sulla Gazzetta dello Sport nel 2018 — ricordò: «Mi hanno raccontato che appena rientrato nello spogliatoio nonno telefonò a casa per tranquillizzare tutti. Poco tempo fa a San Benedetto l’hanno fermato tre tifosi dell’Atalanta per scusarsi e fargli i complimenti». Con l’avvento dei social è questa, forse, l’immagine del nostro calcio che circola di più, oltre 20 anni dopo.

Carlo Mazzone, un allenatore che rendeva umani gli errori: il suo calcio, da Totti a Baggio. Storia di Luca Valdiserri Corriere della Sera 20 Agosto 2023

«La tecnica è il pane dei ricchi, la tattica è quello dei poveri». Carlo Mazzone, morto ieri a 86 anni, quasi 40 dei quali vissuti da allenatore, ha avuto spesso a che fare con il pane duro. Le sue 792 panchine sono state figlie di una gavetta vera, non gli è stato regalato nulla. Però, ogni volta che ha potuto, ha intinto quel pane nel caviale del calcio più paradisiaco. Lo hanno spesso accusato di essere un difensivista, ma ha conquistato il cuore dei numeri 10 più raffinati — da Roberto Baggio a Francesco Totti — e ha dato qualche dritta a chi poi, con le idee e con i soldi, ha fatto davvero la rivoluzione del pallone: Pep Guardiola.

Carletto se ne è andato a 86 anni, proprio quando il campionato stava per cominciare. Le parole più belle non le ha dette un calciatore ma un musicista, Marco Conidi, grande tifoso giallorosso come Mazzone: «Forse sei voluto andare via prima di vedere un altro campionato così lontano dal calcio che hai insegnato tu, dove il rispetto e l’educazione erano tutto...Forse non volevi vederlo più questo calcio senza uomini, senza bandiere».

Francesco Totti ha esordito in serie A con Vujadin Boskov in panchina, su suggerimento di Sinisa Mihajlovic, ma è stato Mazzone a schierarlo per la prima volta da titolare in giallorosso: «Padre, mister e maestro. Eternamente grazie. Sei e sarai sempre nel mio cuore. Grazie per tutto quello che hai fatto per me». E Roberto Baggio, al Brescia, è tornato Divin Codino quando in tanti lo avevano scaricato: «Era un gigante di umanità. Per lui avrei fatto l’impossibile. Gli ho voluto bene perché è sempre stato un uomo puro. Con lui c’era un rapporto senza filtri di rispetto reciproco. Lui più di tutti aveva capito che persona sono. È andato oltre quello che gli avevano raccontato di me».

Mazzone ha girato l’Italia in panchina trentotto anni, di emozioni e risultati. Ha portato l’Ascoli in serie A; a Firenze ha dato la fascia di capitano a Antognoni e vinto un trofeo Anglo-Italiano; ha riportato il Cagliari in Europa dopo 21 anni di assenza; ha vinto una Coppa Intertoto con il Bologna; ha inventato Pirlo regista al Brescia; è stato il primo allenatore dell’era-Sensi alla Roma e ha lanciato Totti, che vale più di uno scudetto. La vittoria che più gli era rimasta nel cuore è stata il derby contro la Lazio del 27 novembre 1994: un 3-0 contro Zeman, che veniva presentato come il calcio moderno contro il suo calcio antico. Ai laziali, però, quando era sulla panchina del Perugia ha fatto un grande regalo: battere la Juve nel pantano e decidere il campionato 2000. «Ci voleva un romanista per far vincere lo scudetto alla Lazio», disse il sor Carletto. Anche i siti laziali, ieri, erano pieni di ricordi e ringraziamenti.

Era un uomo vero, che sapeva riconoscere gli errori che tutti commettiamo, rendendoli umani. Come la corsa folle del 30 settembre 2001, che gli costò 5 giornate di squalifica. Allenava il Brescia, perdeva 1-3 contro l’Atalanta e la curva nerazzurra lo scherniva. Poi il 3-2 e un pensiero in romanesco: «“Se famo er tre pari, je vado sotto la curva”». Pareggia Baggio, Carletto parte davvero. «Ma quello non ero io — dirà poi —. Era il mio gemello».

Chi era sor Carletto, i momenti cult di Carlo Mazzone

Lo chiamavano Er Magara perché alla vigilia di una missione impossibile con il Catanzaro contro la Juventus, un giornalista romano gi disse: «La tua squadra va forte, potete mettere in difficoltà la Juve?». Lui rispose: «Magari!». Poi il giornalista esagerò: «Potete pure vincere». E lì uscì il Mazzone vero: «Magara!». Che in romanesco è un magari moltiplicato cento.

Carlo Mazzone, 1937-2023

Da tempo era lontano da un calcio che non era più il suo. Un calcio senza riconoscenza, come Mazzone aveva capito quando Francesco Totti, il suo preferito, fu prima umiliato e poi praticamente costretto a smettere: «Non doveva finire così, non è stato giusto per chi ci ha fatto così tanto divertire». E anche noi, col Magara, ci siamo divertiti. Come in una corsa sfrenata contro l’ingiustizia.

Carletto Mazzone, il ricordo di Totti: "Un padre e un maestro. Grazie mister". Il tempo il 19 agosto 2023

Carletto Mazzone è stato per Francesco Totti "padre, mister, maestro. Semplicemente Carlo Mazzone". Questo il ricordo dello storico numero 10 della Roma nel giorno della morte dell'allenatore, all'età di 86 anni. "Eternamente grazie, mister", commenta oggi Totti. E dietro queste parole si celano motivazioni legate alle origini calcistiche del talento giallorosso.

Mazzone ha allenato la Roma tra il 1993 e il 1996 e proprio quando era alla guida del club di Trigoria lanciò in prima squadra Francesco Totti, che all'epoca era a un passo dall'essere ceduto alla Sampdoria. Ma oggi un altro big romanista ha voluto ricordare con affetto il verace mister. Si tratta di Bruno Conti, ala storica della Roma e campione del mondo di Spagna '82. "Buon viaggio Carletto, sempre nei nostri cuori". Ha scritto Conti, pubblicando sui social una foto di Mazzone allo stadio Olimpico con indosso la sciarpa giallorossa.

Carlo Mazzone, morto lo storico allenatore: aveva 86 anni. Nella Roma lanciò Totti in prima squadra. Estratto da ilmessaggero.it sabato 19 agosto 2023.

Il calcio piange la morte di Carlo Mazzone, allenatore anche della Roma. Aveva 86 anni. Conosciuto come Sor Carletto o Sor Magara, era il detentore di record di panchine in Serie A: 792 ufficiali, 797 considerando i cinque spareggi. Nel 2019 gli è stata intitolata la nuova tribuna Est dello Stadio Cino e Lillo Del Duca di Ascoli Piceno, e nello stesso anno è stato inserito nella Hall of Fame del calcio italiano. Amatissimo a Roma, squadra che ha allenato dal 1993 al 1996. I tre anni con i giallorossi furono caratterizzati da un settimo posto e due quinti posti. Durante la sua permanenza, lanciò in prima squadra Francesco Totti

G.B. Olivero per La Gazzetta dello Sport – 27 ottobre 2018 

Che bella invenzione i nonni. Uno sguardo a volte severo ma perennemente comprensivo; una parola adatta a ogni situazione; un sorriso che cancella le delusioni. Carlo Mazzone, oggi, è un nonno ma in realtà lo era anche quando allenava: «Tratto i miei nipoti come trattavo i calciatori: insegnando il rispetto e l’educazione». I calciatori se lo sono goduto per tanti anni, dal 1968 (debutto ad Ascoli) al 2006 (sipario a Livorno). Adesso tocca ai nipoti. Se volete scorgere la sagoma imponente di Mazzone dovete andare ad Ascoli o, in estate, a San Benedetto. Lo vedrete fare una passeggiata al mattino o lo incrocerete al pomeriggio mentre va al circolo per una partitina a carte con gli amici di sempre. Ma l’attività preferita è godersi la famiglia, a lungo lasciata… in panchina. 

Da 55 anni la moglie Maria Pia è l’inseparabile compagna di vita: la donna che spesso assorbiva un po’ delle tensioni del suo uomo. Da questo matrimonio sono nati Sabrina e Massimo. E poi i quattro nipoti: Vanessa e Alessio (rispettivamente 27 e 20 anni, figli di Sabrina), Iole (17, figlia di Massimo) e il piccolo Cristian (2, figlio di Vanessa). Non solo nonno, anche bisnonno. Tutta la famiglia abita ad Ascoli e da lì Mazzone non si muove rifiutando quasi ogni invito e dribblando le interviste: «Un po’ per non fare torto a nessuno e un po’ perché non vuole più sottrarre tempo a noi», racconta Alessio, la nostra guida nel mondo di un allenatore atipico e di un uomo schietto, leale, impulsivo, generoso. 

NIENTE TELEFONO- A qualche domanda, comunque, sor Carlettorisponde. Che poi nemmeno si tratta di domande: sono ricordi, viaggi nel tempo, immagini che si rincorrono, momenti che non si possono dimenticare. «Qualche giorno fa Guardiola ha parlato benissimo di me. Mi sono commosso. Per me Pep è come un figlio, seguo le sue partite in tv, faccio il tifo per lui: una persona rispettosa e meravigliosa che ha segnato la mia vita e la carriera». E che gli dedicò un pensiero stupendo quattro giorni prima della finale di Champions a Roma tra il suo Barcellona e il Manchester United (2009) 

«Squillò il telefono, andò a rispondere mio nipote. “Nonno, c’è Guardiola al telefono”. Io sbuffo, prendo la cornetta: “Pronto, chi è?”. E lui: “Mister, sono Pep”. “Sì, e io sono Garibaldi”. I miei amici di Ascoli mi fanno spesso degli scherzi, pensavo fossero loro. “No, mister, sono davvero Pep. Volevo invitarla alla finale”. “Pep, ma tu tra quattro giorni giochi la finale di Champions e pensi a me?”. “Sì, mister: penso a lei e la voglio in tribuna”. Ci andai. E lui vinse». A squillare fu il telefono di casa perché Mazzone non ha mai avuto un cellulare: quando deve mandare un messaggio a Totti o Baggio usa quello della moglie. A Natale, invece, parte la chiamata: «Anche Totti è come un figlio. Ho letto quello che ha scritto di me sul suo libro e mi sono venuti i brividi. Baggio era come Francesco: rispettoso, un grande uomo dentro e fuori dal campo. Se avessi potuto farli giocare insieme, avrei perso meno capelli. Quando li sento sono felice». 

VIDEOCASSETTE - Questa è una storia di calcio e di buoni sentimenti, di valori antichi e intuizioni tattiche: «In allenamento vidi che Pirlo avrebbe potuto esaltare la sua eccelsa tecnica arretrando la posizione. Quell’intuizione ha generato buoni frutti per me e per lui che è un ragazzo fantastico». Ragazzi, per Carletto sono ancora tutti ragazzi. Pure se loro hanno superato i 40 e lui ha festeggiato gli 80 nel marzo 2017 con una grande festa in famiglia. Per celebrare il nonno, Alessio ha aperto una pagina Facebook e Instagram a suo nome: «Così può ricevere i messaggi dei tifosi che gli vogliono bene. Ho pubblicato i video-auguri di Totti, Materazzi, Bonera e tanti altri. Al nonno piace stare in compagnia. Quando siamo tutti insieme, gli leggi negli occhi la felicità. Per tanti anni vedeva la nonna solo il lunedì perché lei non lo seguiva. E’ stata dura, anche perché nella giornata libera il nonno voleva rivedere le partite che faceva registrare. Mi hanno raccontato che c’erano tante videocassette a casa». 

QUELLA CORSA E LE SCUSE - Su youtube Alessio ha visto spesso la famosa corsa ai tempi del Brescia sotto la curva dell’Atalanta per rispondere agli insulti: «Mi hanno raccontato che appena rientrato nello spogliatoio nonno telefonò a casa per tranquillizzare tutti. Poco tempo fa a San Benedetto l’hanno fermato tre tifosi dell’Atalanta per scusarsi e fargli i complimenti. Che uomo, il nonno: con noi nipoti è sempre stato severo ma dolce e negli ultimi anni si è ulteriormente intenerito, ci concede qualcosa in più. Ha mandato me e la mia fidanzata Giulia a rappresentarlo all’addio di Pirlo: quella sera ho sentito racconti commoventi sul suo conto». 

Alessio ha giocato nelle giovanili dell’Ascoli, ma Mazzone non è mai andato a vederlo per evitare che qualcuno pensasse a una sua spintarella. In tv, invece, Carletto guarda tutte le partite: Serie A, Premier, Serie B, basta che il pallone rotoli. «E tifa per le sue ex squadre. A volte fa qualche commento tecnico, mi dice quali sostituzioni effettuerebbe». D’altronde, anche da nonno, Mazzone resta sempre un allenatore. E l’ultima frase che ci regala è anche uno splendido ritratto di se stesso: «Io sono sereno, mi godo la vita e i nipoti. Per me allenare era una grande passione; rendere felici i tifosi era una missione. Ho dato tutto me stesso, è stata una bellissima avventura». 

ORIGINALE Amedeo Carboni era un terzino della Roma che amava sganciarsi. In una partita del 1994-95 lo fece troppe volte e Mazzone sbottò: "Amede’, quante partite hai fatto?". "350, mister". "E quanti gol ?". "4, mister". "E allora ‘ndo caz... vai!!!". 

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 Francesco Persili per Dagospia – 07-11-2022

"Questo è il mio allenatore? Ma è matto?". Guardiola non credette ai suoi occhi quando vide Carletto Mazzone correre sotto la curva dei tifosi dell’Atalanta dopo il 3-3 del Brescia. All’allora direttore sportivo delle Rondinelle, Gianluca Nani, seduto in tribuna accanto a lui, l’attuale tecnico del Manchester City disse: “Ma le partite in Italia sono tutte così?”.

Si ride e ci si commuove con il docu-film su Prime Video di Alessio Di Cosimo, “Come un padre”, che racconta vita, carriera, incazzature e battute del “Sor Magara”, al secolo Carlo Mazzone. “La corsa sotto la curva dell’Atalanta? Erano 20 anni che non facevo uno scatto del genere, sono arrivato con il cuore in gola. Le provocazioni erano tante. Mi è stata toccata mia madre e la mia città…” 

Guardiola, a ripensare agli anni di Brescia con lui, Pirlo, Roberto Baggio, pennella: “Fu una lezione d’umiltà, che nella vita serve tanto. A Brescia si vinceva poco, ma quando si vinceva si godeva veramente". Calcio dai piedi buoni e valori umani. Le magie del “Divin Codino” e il premio salvezza devoluto al figlio di Vittorio Mero scomparso in un incidente stradale. 

Nella tutela e valorizzazione del talento calcistico Mazzone resta un punto di riferimento. Ha accompagnato l’esplosione di Totti (“Sapeva come gestirmi, se ci fosse stato lui, ancora sarei in campo”), reinventato Pirlo centrale davanti alla difesa, rilanciato Baggio e Signori, che ricorda quando si presentò negli spogliatoi del Bologna: “Ahò, 24 teste non riesco a capirle, famo che voi cercate de capì la mia”. 

Dopo la prima rete di Beppe gol in maglia rossoblù alla Roma, gli mormorò: “Per la prima volta so’ contento che un laziale fa un gol contro la Roma”. Il fedelissimo Enrico Nicolini: “Ogni anno Mazzone ha vinto lo scudetto dell’onestà”. Su di lui nemmeno una nuvola, un’ombra, un sospetto quando la serie A fu attraversata dallo scandalo scommesse: “Amava ripetere: ‘Posso dire di tutto a tutti ma non tutti possono dire di tutto a me”. Nel finale avvelenato della stagione 99-00, la vittoria del suo Perugia all’ultima giornata contro la Juve consegnò lo scudetto alla Lazio. Lui gonfiò il petto e piazzò la stoccatina: “C’è voluto un romanista per far vincere un campionato alla Lazio”.

“Difensore scivoloso, difensore pericoloso”, Marco Materazzi ricorda i moniti di Carletto e vede delle analogie tra il “Sor Magara” e Mourinho: “Entrambi creano un ambiente speciale in cui tutti sono pronti a buttarsi nel fuoco”. Il segreto per andare d’accordo con lui? “Vuoi essere il miglior amico mio? Gioca bene”.

Cappioli demolisce il luogo comune di Mazzone catenacciaro: “Ma che difensivista, al Cagliari attaccavamo come matti”. Nell’ultimo anno di Roma 3-4-3, e via andare. Solo un gol di Vavra ai tempi supplementari della partita di ritorno con lo Slavia Praga gli negò la semifinale di Coppa Uefa. Prima dell’addio alla sua Roma, si avvicinò negli spogliatoi a Di Biagio e gli sussurrò: “Ahò, non avemo vinto niente ma ammazza le risate che se semo fatti…”

Recordman di panchine, fu il primo a vedere Pirlo regista. Addio a Carlo Mazzone, l’allenatore papà di tanti giocatori. La ‘clausola’ di Baggio, l’esordio di Totti e l’accoglienza a Guardiola: “Io qui non ti volevo”. Ciro Cuozzo su Il Riformista il 19 Agosto 2023 

Fu uno dei primi giocatore-allenatore, lanciò Totti in prima squadra e si lanciò in una memorabile corsa sotto la curva dei tifosi dell’Atalanta nel derby ripreso dal suo Brescia, quello di Roby Baggio che nel suo contratto con il club dell’allora presidente Luigi Corioni fece mettere una clausola che prevedeva l’interruzione dell’accordo qualora il tecnico romano fosse stato esonerato. Il calcio e l’Italia piangono Carlo Mazzone, uno dei personaggi più schietti e carismatici degli ultimi decenni. Aveva 86 anni, se ne è andato nella sua città adottiva, Ascoli, dove viveva da tempo insieme alla moglie e ai figli.

Un allenatore primatista: Carletto ha allenato ininterrottamente per circa 38 anni (dal 1968 al 2006), stabilendo il record di panchine nella storia del calcio italiano, con 1.278 panchine ufficiali, di cui ben 792 partite (797, calcolando anche 5 spareggi) in serie A (altro record).

Un tecnico esperto di salvezze ma anche grande innovatore: fu lui a reinventare Andrea Pirlo nel ruolo che lo ha poi consacrato come uno dei migliori centrocampisti al mondo. Fu lui a lanciare Francesco Totti a 16 anni in prima squadra, vincendo anche le resistenze dell’allora presidente Franco Sensi che voleva acquistare, su indicazione dell’allora tecnico Carlo Bianchi, il finlandese dell’Ajax Jary Litmanen, cedendo Totti in prestito alla Sampdoria.

E’ stato un allenatore di provincia, esperto di salvezze e di quella cultura del lavoro giorno dopo giorno. Un allenatore che ha però ispirato Pep Guardiola, che Mazzone ebbe a Brescia per un breve periodo all’inizio del Duemila. “E’ stato un papà per me. Venivo dal Barcellona, dove ero stato capitano e bandiera e mi disse ‘Pep, io non ti volevo, non so che ci fai qua, ho preso Giunti dal Milan, ma tu sei molto fortunato, ti vorrò bene e ti farò giocare’“. Lo stesso Guardiola che nel 2009 invitò Mazzone alla finale di Champions League tra Barcellona e Manchester Utd e al termine della partita gli dedicò la vittoria.

Nato a Trastevere e cresciuto nelle giovanili della sua Roma, Mazzone esordì in serie A con la maglia giallorossa, poi venne ceduto prima alla Spal e poi in serie C (Siena). La svolta arriva con il trasferimento ad Ascoli dove, da difensore, giocò quasi nove anni, condizionati anche da un grave infortunio. Fu il presidente del club marchigiano, Costantino Rozzi, ad affidargli più volte la panchina a stagione in corso. E ad Ascoli il suo nome rimarrà per sempre legato alla prima storica promozione in Serie A, una delle prime in Italia a giocare un calcio totale ‘all’olandese’, come andava di moda in quegli anni ’70.

Indimenticabile il sesto posto conquistato in campionato alla guida del Cagliari e la celebre corsa sotto la curva bergamasca nel derby ripreso dal suo Brescia (3-3). Una corsa, anticipata con quel “se ve famo il terzo vengo sotto la curva”, per vendicare “le offese fatte a mia madre, a Roma quelle parole sono una cosa molto grave“. Oltre ad Ascoli, Cagliari, Roma e Brescia, ha allenato Fiorentina, Catanzaro, Bologna, Lecce, Pescara, Napoli, Perugia e Livorno.

Terminata nel 2006 la carriera di allenatore e stabilitosi nella sua Ascoli, ‘nonno‘ Mazzone nel 2008 appare in un piccolo cameo interpretando sé stesso nel film “L’allenatore nel pallone 2“, in cui dialoga a bordo di un treno con l’allenatore della Longobarda Oronzo Canà, interpretato da Lino Banfi.

Lo scorso novembre 2022 su Prime Video è stato diffuso il docufilm “Come un padre” di Alessio Di Cosimo (con la collaborazione di Iole Mazzone, nipote di Carletto). Un lavoro arricchito dalle interviste a tanti suoi ex giocatori come Roberto Baggio, Marco Materazzi, Pep Guardiola, Francesco Totti, Andrea Pirlo, Giuseppe Giannini, Giuseppe Signori, Dario Hubner, Gigi Di Biagio, Claudio Ranieri e i gemelli Antonio ed Emanuele Filippini. 

Ciro Cuozzo. Giornalista professionista, nato a Napoli il 28 luglio 1987, ho iniziato a scrivere di sport prima di passare, dal 2015, a occuparmi principalmente di cronaca. Laureato in Scienze della Comunicazione al Suor Orsola Benincasa, ho frequentato la scuola di giornalismo e, nel frattempo, collaborato con diverse testate. Dopo le esperienze a Sky Sport e Mediaset, sono passato a Retenews24 e poi a VocediNapoli.it. Dall'ottobre del 2019 collaboro con la redazione del Riformista. 

Ciao Sor Carletto, quella corsa è stata l’ultima immagine romantica del calcio che abbiamo amato. Massimo Mattei su Il riformista il 19 Agosto 2023 

Carletto Mazzone era patrimonio di quel calcio che abbiamo amato e che non riesce più ad appassionarci. Per questo oggi in tanti lo stiamo piangendo, sui social in poco tempo stiamo vedendo una marea di affetto, una volta tanto non divisivo, e in tutti i gruppi whatsapp che abbiamo qualcuno ci manda la notizia che l’allenatore con più presenze in serie A se n’è andato. Perché lui era altro.

Da chi accetta contratti miliardari e va a giocare in campionati finti e da chi, perfino la panchina più importante la baratta sull’altare di un ingaggio faraonico.

Mazzone no. Eppure di panchine ne aveva girate tante lasciando in ogni città il buon sapore delle cose oneste e genuine.

Carletto Mazzone trasteverino, che è un po’ come essere romano al cubo, è stato uno scopritore di talenti (Antognoni, ma anche Totti esplose definitivamente con lui) e rigeneratore di uomini emarginati da un calcio che già stava cambiando (Roberto Baggio), non è stato soltanto quello del “se ve famo il terzo vengo sotto la curva” (per poi andarci correndo quando il genio la palla in rete la mise dentro davvero); ma quella corsa è stata l’ultima immagine romantica del calcio che abbiamo amato, quello che da ragazzini ci teneva incollati alle radioline e che ci faceva aspettare Paolo Valenti alle 18,10, Domenica sprint alle 20 e ci teneva svegli almeno fino alla moviola di Carlo Sassi. Perché poi ci mandavano a letto.

Bearzot, la partita a scopone sull’aereo al ritorno da Madrid, Paolino Rossi, Novantesimo minuto, Martellini che per tre volte con la voce commossa dice “Campioni del mondo” in una notte di luglio, Ciotti, Vianello, Maradona, lo scudetto dell’Hellas e della Sampdoria. Le battute di Boskov e le sfuriate del Sor Carletto. Un tempo che non c’è più, che sa di nostalgia è vero. Ma la nostalgia si ha per le cose belle.

Aveva ancora senso guardare le partite e appassionarsi anche davanti alla TV. Perché c’erano persone come Mazzone morto nel giorno che comincia il campionato e non poteva essere altrimenti.

Ciao Sor Magara, ti piangeranno tutti gli sportivi e tutte le curve, al di là dei colori.

Davvero. Ed ogni curva oggi vorrebbe vederti correre sotto per l’ultima volta.

Non capita a tutti. Ai grandi come te sì.

Massimo Mattei

Patrizio Bati per “La Stampa – Specchio” - Estratti lunedì 28 agosto 2023

Negli ultimi vent'anni ogni volta che Carlo Mazzone passava di fronte alla sede dell'Ascoli Calcio, Corso Vittorio Emanuele 21, toccava la targa di travertino della società affissa sul muro del palazzo. Era il suo modo per mostrare affetto e riconoscenza verso la squadra con cui - grazie a una geniale intuizione del Presidente Costantino Rozzi - aveva esordito, nel 1968, come allenatore in Serie C. 

Affetto e riconoscenza anche verso la città che l'aveva amorevolmente accolto e che lui, romano, aveva scelto di rendere sua dimora stabile dove far crescere i figli e ritirarsi a fine carriera: l'anno scorso il Consiglio Comunale di Ascoli Piceno aveva perfino deliberato - all'unanimità - il conferimento della cittadinanza onoraria. Cerimonia. Emozione. Sindaco. Pergamena. Applausi. 

Lacrime. Palmo di mano su targa di travertino. Era un gesto che faceva sempre, anche quando la sua andatura era diventata più lenta, ormai solo lontano ricordo della liberatoria corsa dalla panchina del Brescia (di cui, anche, era stato allenatore) alla curva dell'Atalanta, dopo il 3 a 3 di Baggio a siglare una insperata rimonta. 

A un'altra corsa di Carlo Mazzone ho, però, assistito personalmente. Una corsa di cui solo io, alcuni miei amici e, forse, qualche raro automobilista di passaggio siamo stati testimoni.

Anni Novanta, Carletto allenatore della Roma. La squadra, prima delle partite casalinghe, alloggia sempre all'Hotel Cicerone (quartiere Prati), a pochi minuti dallo stadio. Passando davanti all'albergo una di quelle notti in cui, da ragazzini, vagavamo per la città senza obiettivi (e ormai quasi rassegnati a tornarcene a casa), lo riconosciamo - sigaretta in bocca - fuori dalla porta girevole dell'Hotel Cicerone. 

Siamo in otto: cinque in una Lancia Delta e tre in una Opel Corsa. Galvanizzati dall'occasione di interagire con il Mister ci fermiamo cento metri più avanti e, affiancate le auto, cominciamo a elaborare un piano. Tra di noi: romanisti, laziali e non interessati al calcio. Marco, laziale, terzo anno di sociologia, dice che sarebbe un'ottima occasione per verificare - in condizioni sfavorevoli e lontano dalle telecamere - il vero attaccamento di Mazzone alla maglia giallorossa. I laziali ridacchiano. I romanisti accettano l'esperimento.

I disinteressati al calcio diventano interessati alla sfida. Bisogna agire in fretta, prima della fine della sua pausa sigaretta. 

La Opel Corsa torna verso l'hotel, dove Carlo si sta godendo gli ultimi tiri in compagnia di un quarantenne con la tuta della squadra, probabile membro dello staff tecnico.

Io e gli altri due occupanti scendiamo dall'auto, proclamandoci accaniti romanisti.

Pacche sulle spalle. Complimenti. Sorrisi. Raccomandazioni. In quel momento passa la seconda macchina, con dentro i nostri complici. Affacciati ai finestrini urlano forza Lazio suscitando l'ira nostra e di Mazzone.

L'uomo in tuta, conoscendo l'irruenza del Mister, gli propone di rientrare in albergo per ragionare insieme sul piano di recupero di due infortunati. Mazzone risponde sbrigativo che preferisce stare ancora qualche minuto fuori a chiacchierare con i suoi tifosi. Altre pacche sulle spalle. Altri complimenti. Altri sorrisi. Altre raccomandazioni. All'improvviso, ancora quella Lancia Delta. 

Stavolta, però, i nostri amici insultano in modo pesante la Roma e i romanisti. Un paio di noi provano ad inseguirli ma la luce dei fari si fa sempre più piccola, fino a sparire nel buio.

Sbollita la rabbia, Carlo sta per congedarsi. Cerchiamo di trattenerlo ancora, con qualche domanda-esca, sapendo che i primi due passaggi sono stati preparatori e che al terzo, ormai imminente, scatterà la trappola. Quaranta secondi, trenta, venti: il profilo della Lancia di nuovo all'orizzonte. Nessuna parola, questa volta. Nessun insulto. Nessuna provocazione seguita da fuga.

Accostano. Cinte alla mano, scendono tutti e cinque. Si dirigono compatti verso una stradina secondaria da dove, ricominciando ad insultarci, ci invitano allo scontro. Noi tre "romanisti" partiamo alla carica. Fino a che punto il Mister sarà disposto a difendere l'onore della squadra di cui è attualmente allenatore e di cui - da sempre - si dichiara accanito tifoso? 

Una frazione di secondo dopo, scatta anche lui. Sfuggendo alla presa dell'uomo in tuta che - senza riuscirci - cerca di trattenerlo. Scatta, non si sa se con l'intento di sedare la rissa o di prendervi parte. Comunque schierato in prima fila. L'arco della pancia che anticipa la giacca, i mocassini che pattinano sul marciapiede. In una corsa che preconizza quella di quindici anni dopo verso la curva atalantina. Ci prepariamo allo scontro, un gruppo di fronte all'altro.

Un calcio da parte dei presunti nemici vibra, a vuoto, per intimorirci. Nessuno di noi, Mister compreso, indietreggia di un passo! Dalle finestre ci urlano di aver chiamato i carabinieri, ottimo pretesto per dileguarci a esperimento già concluso e a rissa non ancora iniziata. Mazzone ha confermato pure ai laziali che, per difendere l'onore della Roma, è pronto ad affrontare anche provocatori di trent'anni più giovani

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Allenatore di Roma, Brescia e Bologna, nella Capitale lanciò Francesco Totti in prima squadra. CorriereTv su Il Corriere della Sera il 19 agosto 2023

Recordman di panchine in Serie A, Mazzone inizia la sua carriera da allenatore all'Ascoli, in Serie C, nel 1968, portando i marchigiani fino alla massima serie. Dopo l'avventura, durata sette anni con un ritorno dal 1980 al 1984 il tecnico romano guida negli anni seguenti con alterne fortune Bologna, Lecce, Pescara e Cagliari.  Dal 1993 al 1996 allena la Roma, la sua squadra del cuore. Nei tre anni in giallorosso lancia Francesco Totti in prima squadra Nel 1998, dopo le parentesi negative di Cagliari e Napoli (dove lasciò dopo 4 giornate), riparte dal Bologna che conduce fino alla semifinale di Coppa Uefa e di Coppa Italia. Poi arriva il Perugia e soprattutto il Brescia nel 2000, dove trova Roberto Baggio con cui forma un connubio indimenticabile, portando le 'rondinelle' fino alle porte della qualificazione in Coppa Uefa. Di lui si ricorda ancora oggi a distanza di circa 20 anni la corsa sotto la curva dell'Atalanta quando guidava il Brescia al termine di un combattutissimo 3-3. Le ultime esperienze di una carriera lunghissima lo riportano a Bologna dal 2003 al 2005. Mazzone chiuderà la sua carriera a Livorno in quel calcio di provincia dove tutto era cominciato quasi 40 anni prima.

Estratto dell’articolo di Davide Chinellato per gazzetta.it domenica 20 agosto 2023.

È stata una festa all’Etihad Stadium. Eppure nella voce di Pep Guardiola c’è una vena di tristezza. Il City ha battuto 1-0 il Newcastle, ha festeggiato nella prima partita casalinga della stagione i trofei del triplete, più la Supercoppa Europea vinta mercoledì ai rigori col Siviglia. 

Pep si concede un giro d’onore dello stadio coi suoi giocatori, ma c’è sempre qualcosa che lo rattrista. Il motivo lo mostra quando incontra i giornalisti dopo la partita: addosso non ha il completo nero che aveva in panchina, ma una t-shirt bianca con un amico disegnato sopra: Carlo Mazzone. Un amico che oggi ha perso.

"È un giorno molto triste per me e la mia famiglia - spiega Pep […] -. Mister Mazzone (lo dice in perfetto italiano, anche se parla inglese, n.d.r.) è stato il mio allenatore a Brescia e oggi purtroppo è morto. Mando un grande abbraccio a tutta la la sua famiglia, a sua moglie e ai suoi figli e nipoti". 

Poi Pep apre il libro dei ricordi, per un allenatore a cui, da quegli anni assieme a Brescia, è rimasto molto legato. "Quando sono arrivato in Italia per me è stato un periodo duro. E lui è stato come un padre - racconta, illuminandosi -. Il calcio italiano ha perso una leggenda, una persona che ha avuto un impatto enorme su tutte le persone con cui è stato a contatto […]. Mando un grande abbraccio a tutta la sua famiglia".

[…]  "Mi sono ricordato che Edoardo Piovani un anno fa mi ha mandato questa t-shirt - ha detto con un sorriso, guardando la maglia che ha addosso -. Ho pensato che questo fosse il giorno giusto per indossarla".

Ivan Zazzaroni per il Corriere dello Sport domenica 20 agosto 2023.

“E morto Mazzone”. Secco, sintetico, definitivo come un ad- dio. E il messaggio che intorno alle 16 di ieri mi ha inviato Massimo Cellino, accompagnandolo con la foto in bianco e nero della presentazione al Cagliari nel ’91: Cellino giovanissimo, Mazzone sempre uguale a Mazzone, giusto un filo più magro. 

E morto Mazzone, il nostro Carletto, l’allenatore del Corriere dello Sport-Stadio, e che nessuno si offenda. Mazzone romano de Roma, calciatore a Latina, Roma, Ferrara, Siena, Ascoli; allenatore sempre nell’Ascoli di Rozzi, e a Firenze, Catanzaro, Bologna, Lecce, Pescara, Cagliari, Roma, Na- poli, Perugia, Livorno. Brescia l’unico sconfinamento.

Fatico a non parlare dei nostri tanti incontri: Carletto e stato una presenza continua, affettuosa. Ricordo quando, insieme a Filippo Galli, Gino Corioni e Vittorio Petrone, riuscimmo a convincere Baggio ad an- dare al Brescia. Non ci volle molto. Mazzone e stato l’allenatore che Robi ha amato di più, quello che ha capito anche l’uomo. Oppure quando in precedenza, dopo aver seguito il presidente Sensi e la moglie fino a Lugano, dove avrebbe incontrato Carlos Bianchi, telefonai a Menichini, il suo secondo, per informarlo che il presidente stava per cambiare allenatore. Mazzone mi richiamo dopo un secondo per dire che non ci credeva, che non era vero. Era turbato, angosciato: gli stavano togliendo la Roma.

E l’ultima intervista a Bologna, all’hotel Amadeus. La squadra, a gennaio, era a un passo dalla zona Uefa; gli parlavo d’Europa e lui: «Non e finita, mancano ancora troppi punti». Ebbe maledettamente ragione: a fine stagione l’unica retrocessione della sua storia, un fallimento mai elaborato, a nulla servirono le attenuanti (Calciopoli) ripetutamente elencate dal presidente Gazzoni.

Carlo Mazzone e stato tutto e tanto: sparate indimenticabili, battute fulminanti, passioni corrisposte. Ha insegnato calcio, ma anche vita. E stato moderno, in particolare nel rispetto degli obiettivi e delle caratteristiche dei giocatori. Totti e Baggio i figli più amati, ma anche Guardiola. «La tecnica e il pane dei ricchi, la tattica e il pane dei poveri», uno dei suoi classici. «Battere la Roma? E mio dovere provarci, ma e come uccidere la propria madre», perché lui era colore.

«Gestire Roberto Baggio e stata una passeggiata. Era un amico che mi faceva vin- cere la domenica». «Un giorno mi chiamo il presidente Sensi. “Carlo, mi consigliano di prendere Litmanen, che faccio?”. Gli risposi: “Perché buttare i soldi, abbiamo il ragazzino” (era Francesco Totti)». 

Per descriverlo ai più giovani potrei proseguire con le frasi cult: sarebbe divertente, strapperebbero un sorriso, ma risulterei riduttivo. Da ore scorrono le immagini della sua folle corsa verso la curva atalantina, inseguito da Edo Piovani, il team manager bresciano, era il 30 settembre del 2001: le offese alla madre («Mazzone figlio di puttana») al gol del pareggio di Baggio al 92esimo produssero la leggendaria risposta fisica. «Buttame fuori, me lo merito» disse alla fine rivolgendosi all’arbitro Collina.

Da anni Mazzone si era ritirato a Ascoli, il tempo gli aveva cancellato la memoria. Per tutti noi era diventato una domanda, in particolare ogni 19 marzo, il giorno del compleanno: “come sta, il Magara?”. O “Menaje”, l’invito ai suoi che gli avevano attribuito ma che aveva sempre rinnegato. La sua pelle era la Roma. In un mondo di tagli sartoriali e calzoni slim, Mazzone indossava la tuta e d’inverno - per anni - la cuffia a nascondere pelata e idee, come a dire: «Sto a lavora’, sono uomo di campo, io».

Quanto l’abbiamo amato.

Il lutto nel mondo del calcio. Sor Carletto e Roma: un tifoso giallorosso ricorda la leggenda Mazzone. Carlo Mazzone è stato un grande allenatore. Ma, soprattutto, era uno di noi, un pezzo di noi, il testimonial perfetto nell’ideale rincorsa al dogma dell’essere romano e romanista. Roberto Giachetti su Il Riformista il 22 Agosto 2023 

“Presidente Sensi, abbiamo il regazzino, non serve buttare i soldi per Litmanen”.

“Amedè, te quante partite e quanti gol hai fatto in serie A? 350 e 4 gol? Ecco allora vojo proprio sapé ndo c.. vai torna subito in difesa”.

Provate a chiedere a un tifoso della Roma (no meglio, chiedete a un tifoso qualunque) di cosa stiamo parlando e non ci sarà nessuno che non vi risponda subito “beh, vabbè, è Carlo Mazzone”.

Un nome e un cognome di quelli talmente rappresentativi di un’epoca sportiva che oggi, ricordandolo nel momento della sua scomparsa, tocca quasi fare uno sforzo “emotivo” per reimmergersi nell’atmosfera di un calcio nostalgico, romantico, autentico, di cui Mazzone fu uno degli indiscussi protagonisti.

Erano gli anni delle “Romette”, infarcite di onesti giocatori e prive di talenti veri. Era una “Rometta” quella che nel 1994 rifilò tre gol alla Lazio di Zeman in un memorabile derby (trasmesso peraltro in chiaro sulla Rai) che proprio perché in qualche modo sovvertì tutti i pronostici della vigilia resta lì, indelebile, come uno dei più belli che ogni romanista ricordi. Balbo Cappioli Fonseca di fatto è diventato una sorta di scioglilingua tramandato nel tempo e che, non a caso, reca la firma di un personaggio come Mazzone che nei tre anni di Roma portò la squadra due volte al quinto posto e una al settimo e quindi, uno direbbe, perché?

Perché a quest’uomo tutti noi romanisti abbiamo voluto cosi bene? Ok, quel derby. Sì, certamente il fatto di essere stato lui lo scopritore dell’immenso talento del giocatore più forte della nostra storia potrebbe anche questa essere un’ottima ragione. Ma non basta a spiegare perché a quest’uomo, come ha ben ricordato Antonio Conte, è riuscito il capolavoro di essere amato da tutti indistintamente, anche dagli avversari. Lo hanno amato persino i tifosi dell’Atalanta, sotto la cui curva, ai tempi di Brescia, Carletto sfogò la tensione accumulata per gli insulti all’indirizzo della genitrice e al suo essere romano liberando tutta la sua stazza in una corsa sfrenata, coi collaboratori che cercavano invano di trattenerlo, e lanciando i più coloriti improperi della tradizione nostrana che nemmeno Alberto Sordi e Tomas Milian e Carlo Verdone e Mario Brega tutti insieme avrebbero pronunciato tanto bene.

Fateci caso, il repertorio di parolacce della lingua del Belli e di Trilussa nella bocca di Carlo Mazzone non ha mai fatto rima con un giudizio di pura volgarità. In quel mondo quasi antico in cui Mazzone si è formato ed è cresciuto, tra le piazze di Trastevere, la sua veracità, i suoi modi spicci e sanguigni, la severità del formatore di talenti purissimi come lo sono stati Totti e Pirlo, la tigna nel voler rilanciare campioni affermati, come Signori e soprattutto Baggio, mi appaiono tutti dei tratti quasi consustanziali alla romanità nella sua versione migliore.

E mi sembrano queste sì, delle ottime ragioni tra le altre, per cui noi romanisti lo abbiamo amato così visceralmente, perché, al di là dei gusti personali o del giudizio sull’allenatore, Carlo Mazzone era uno di noi, un pezzo di noi, il testimonial perfetto nell’ideale rincorsa al dogma dell’essere romano e romanista che poi ha trovato in Claudio Ranieri, Francesco Totti, Daniele De Rossi – in ordine sparso – le incarnazioni segnatamente più importanti. E tuttavia pensare di ridurre il ricordo di Mazzone indugiando unicamente sul piano umano rischia di mettere in ombra, invece, le altre ragioni per cui dobbiamo celebrarlo. Dobbiamo farlo perché è stato certamente un padre per Totti, certamente un maestro per il maestro della panchina Pep Guardiola o per quello in mezzo al campo Andrea Pirlo.

Ma Mazzone è stato soprattutto un grande allenatore, come per la Roma e quindi per Roma, così con l’Ascoli dei record e quindi per Ascoli, dove adesso riposa. È stato Lecce, Bologna, Brescia. Conte, Signori, Baggio. Ha riconosciuto e valorizzato il talento, lo ha trattato mettendovi a servizio la squadra e mai il contrario, nella convinzione della eterna superiorità della tecnica, il pane dei ricchi, sulla tattica, quello dei poveri, come amava sempre ripetere. Non so se, parafrasando quello che gli diceva suo padre, Carletto abbia “imparato a morì”. Di sicuro a noi, tifosi e appassionati, qualcosa su come si possa vivere lo sport e quindi la vita, con passione entusiasmo e verità, da persona meravigliosa qual’era io credo proprio ce l’abbia insegnato.

Roberto Giachetti

Da ilnapolista.it martedì 22 agosto 2023.

“Al funerale di Carlo Mazzone, l’uomo del record di panchine in Serie A, non c’erano vertici della Federcalcio, ne della Lega, ne i campioni a lui più legati” 

Il racconto della cerimonia parla di un evento commovente e pieno di calcio, come sarebbe piaciuto all’ex tecnico. 

“C’erano Walter Novellino e Serse Cosmi, Vincent Candela e Beppe Iachini, Massimiliano Cappioli e Alessandro Calori, Roberto Muzzi, Giovanni Galli e Gianluca Pagliuca. E c’erano soprattutto le maglie da calcio. Le indossavano i bambini, quelli di Ascoli e i piccoli Dybala giallorossi in trasferta; ma le indossava anche chi bambino non e piu da molti e molti anni, come i “veterani del 1974” che ricordavano orgogliosi la promozione in Serie A dell’Ascoli guidato dall’allora 37enne Carlo Mazzone” 

Il presidente della Fifa, Gianni Infantino, aveva ricordato l’ex allenatore scomparso in una storia su Instagram 

“Sei stato un grande, un personaggio inarrivabile. Non sussurravi: urlavi, perché il tuo messaggio fosse forte e chiaro, anche quando correvi sotto le curve dei tifosi avversari”.

Dino Viola.

Dino Viola e la Roma: una lunga storia d'amore. Il presidente del secondo scudetto aveva sempre amato il giallorosso, anche prima di assumere le redini del club: cronaca di un sentimento irresistibile. Paolo Lazzari il 1 Luglio 2023 su Il Giornale.

Dino si aggancia ai respingenti del tram ogni pomeriggio. Poi sfila via fendendo la città, invisibile, silenzioso. La sua figura sottile si sgancia da quel passaggio gratuito soltanto in prossimità di Campo Testaccio. Scende già vestito per la partitella, scarpini un po' consunti ai piedi, indosso l'unica maglia giallorossa che il club gli ha fornito. Dietro ci vorrebbe scrivere "Viola", che poi sarebbe il suo cognome, ma non è ancora quello il tempo giusto, le casacche restano immacolate. Comunque quando gioca per i ragazzini di quella squadra lì, che poi sarebbe la Roma, è come se qualcosa lo facesse sussultare ogni volta. Toscano di nascita, romanista d'adozione.

Poi un giorno il suo amico Silvio Piola lo tira per un braccio. "Eddai, sei bravo, vieni a fare un provino alla Lazio". Dino Viola ci va pure. E lo passerebbe anche. Ma quella per lui è la metà sbagliata del cielo. Equivarrebbe ad ingerire una compressa di cianuro. No, non può accettare. Un rigurgito d'amore per la Roma lo costringe a declinare la gentile offerta. Un adolescente con i sentimenti già limpidi.

Certe volte le infatuazioni giovanili si distillano. Questa invece si propaga irresistibile. Dino pensa continuamente alla Roma. Rimugina sui sentimenti ancestrali che lo legano al club. Si sofferma spesso a fantasticare, pensando che magari un giorno potrebbe fare qualcosa anche lui per contribuire ad accrescerne la gloria. E nemmeno quando nella sua vita subentra un altro amore, quello per la moglie Flora - sposata nel 1942 - quella torcida interiore si dissipa. Anzi. Ad una manciata di giorni dalla luna di miele la convince a sciropparsi 40 km di bicicletta per raggiungere il campo del Livorno, dove gioca la formazione del suo cuore.

Viola nutre una passione viscerale. Lapilli emotivi che pervadono e ti disarmano. Continua a seguirla senza sosta, giurando a Flora che comunque lui ha due amori soltanto nella vita, lei e la squadra. E nel frattempo accorcia sempre di più le distanze dal posto che desidera abitare fin da bambino. Perché Dino fa il pilota collaudatore, ma l'atterraggio della sua vita dev'essere un posto differente dai campi dell'aviazione militare. Dev'essere la Roma.

Dapprima entra nel Consiglio d'amministrazione. Poi, con l'accavallarsi del tempo, riesce a scalare il suo sogno. Il 16 maggio 1979 acquisisce il pacchetto di maggioranza del club assieme al socio e amico di sempre Antonio Cacciavillani. L'impresa gli è riuscita grazie alle palanche che zampillano dalla sua azienda di macchinari di precisione per uso militare, ma appena si assesta dietro alla scrivania del club, capisce che deve dedicarcisi completamente e delega ad altri di curare gli affari di famiglia. Perché raggiunto un sogno, adesso Dino ne coltiva un altro: portare il secondo scudetto. 

Ci proverà cannando i primi tentativi, ma alla fine quel fervore verrà ripagato. Un settimo posto il primo anno, ma comunque la gente dagli spalti commenta benevola: "La rometta è finita, sta tornando la Roma". Percezione corretta. Quello di Viola è un maquillage irrefrenabile. Arriva un brasiliano che si chiama Paulo Roberto Falcão. Pensare che sarebbe pure una scelta di quarta mano, dopo le velleitarie suggestioni coltivate per Boniek, Rumenigge, Zico. Comunque Nils Liedholm pare soddisfatto. La stagione 1980/81 è quella dello "scudetto sfuggito per centimetri", come risolverà signorilmente la questione viola, dopo gli stracci che volano per gli arbitraggi pro Juve.

Appuntamento soltanto rimandato. Quel desiderio - che in fondo diventa più bello quando lo realizzi - diventa tangibile nel 1983. Vince lo scudetto con i Tancredi ed i Maldera, i Di Bartolomei e i Conti, gli Ancelotti e tutti quegli altri. Per lui è un ceffone al palazzo del potere, una spallata che crepa le torri d'avorio delle strisciate del nord. Di sogno in sogno, Viola lancia la volata per la conquista della Coppa dei Campioni, che sfuma con la più aspra delle modalità.

Dino scansa la delusione e moltiplica gli sforzi per il suo club. Acquista Cerezo, anche se non può perché si sono dissolti i termini della finestra di mercato. Fa sedere in panchina lo svedese Eriksonn, anche se non può, perché vige il divieto di tesserare allenatori stranieri. A sua moglie, dopo un ricovero urgente per un'ulcera, sussusserà dopo il risveglio in ospedale: "Meno male che non sono morto, ho da fare ancora tanto per la Roma".

Darà tutto quello che ha, fino alla fine dei suoi giorni, nel 1991. Una lunga storia d'amore. Quel bambino agganciato al tram non ha mai tolto la maglia giallorossa.

Falcao.

Paulo Roberto Falcao compie 70 anni. Storia di Redazione Sport su Il Corriere della Sera lunedì 16 ottobre 2023.

Il 16 ottobre del 1953 è nato Paulo Roberto Falcao, che oggi compie 70 anni. Uno dei più grandi campioni della nostra storia. Come Amadei, e come accadrà con Totti, anche Falcao fu l’ottavo Re di Roma. Ma di «Divino» c’è stato solo lui: Il suo soprannome non ha avuto eredi. Con i giallorossi vinse lo scudetto che mancava da 41 anni. Giocatore immenso, talento e forza fisica distribuiti in un corpo da sfilata di moda. L’incantesimo si spezzò la notte della finale di Coppa Campioni contro il Liverpool.

La pronuncia del nome Come si pronuncia esattamente «Falcao»? A Paulo Roberto lo chiedono subito, dopo lo sbarco a Roma il 10 di agosto del 1980, 43 anni fa, accolto da una folla festante . Il musicista brasiliano Jorge Ben ha una felice intuizione e costruisce su questo equivoco un curioso singolo. Il cantautore elenca tutte le pronunce che aveva sentito a proposito del connazionale fuoriclasse: «Faucaun», «Falzon», «Falcone».

La causa per l’affidamento del figlio

La sua burrascosa vita privata ha riempito per anni le cronache rosa del nostro Paese e non solo. Nel 2000 è stato al centro di un contenzioso con la ex moglie Rosane Damazio per l’affidamento del figlio, Paulo Roberto junior. La Damazio lo ha accusato pubblicamente di aver rapito il bambino e di averla ripetutamente tradita con molti...uomini. L’omosessualità di Paulo Roberto la causa — secondo la Damazio — della fine del matrimonio. In quegli anni Falcao è al centro di un’altra polemica giudiziaria relativa al riconoscimento di Giuseppe Frontoni, figlio di Maria Flavia Frontoni con cui il campione ebbe una tormentata relazione.

La leggenda della telefonata di Andreotti

Fra tanti interventi storici per lo sport italiano, si è inserita anche la leggenda di una telefonata, fatta da Andreotti, noto tifoso romanista, all’allora presidente dell’Inter, Fraizzoli nel giugno ’83. Attraverso il lavoro di Sandro Mazzola e Giancarlo Beltrami, Falcao aveva dato la propria disponibilità a trasferirsi all’Inter, dopo aver vinto lo scudetto con la Roma. Una storia di contatti che si era trascinata per mesi. Quando tutto era pronto, Fraizzoli avrebbe dovuto avviare la trattativa con la Roma (il giocatore era sotto contratto). Un giorno in lacrime, presenti Mazzola, Beltrami e la moglie, la signora Renata, raccontò: «Ho ricevuto una telefonata da molto, molto, molto in alto; Falcao non possiamo più prenderlo. E non chiedetemi perché. Tanto avete capito». Il «Divino» è rimasto a Roma, fino all’85, quando Viola (divenuto senatore Dc alle elezioni dell’83), ottenne la rescissione del contratto per il brasiliano, infortunato al ginocchio. Nel libro di Moana Pozzi Moana Pozzi in un suo libro annovera tra i suoi tantissimi flirt anche l’ex romanista a cui la pornodiva affibbia per le sue prestazioni un non lusinghiero 5 in pagella. All’alba dei 60, il ragazzaccio che faceva girare la testa alle donne ha trovato pace anche sul fronte sentimentale: dal 2003 è sposato con la giornalista brasiliana Cristina Ranzolin con cui ha avuto la terza figlia Antonia.

Lo scandalo molestie al Santos

Falcao, responsabile fino ad agosto scorso del coordinamento sportivo del Santos (ruolo simile al direttore sportivo in Italia) dice addio al club brasiliano. L’ex fuoriclasse è stato travolto da uno scandalo ed è stato costretto a salutare il club. In sostanza, all’ex giallorosso è piombata addosso una denuncia di molestie sessuali da parte di una receptionist del residence nel quale il brasiliano, viveva nella città di Santos, nel litorale dello stato di San Paolo. E in Brasile il reato di molestie sessuali è punito con la reclusione da uno a cinque anni.

Romolo Buffoni per “il Messaggero” - Estratti lunedì 16 ottobre 2023.

Mazinga, Goldrake e Jeeg Robot lo avevano anticipato di qualche anno, colorando le fantasie dei bambini della Generazione X. Ma i nati tra il 65 e l'80 tifosi della Roma, il 10 agosto del 1980 conobbero un ragazzo brasiliano di Xanxerê con i riccioli biondi, la fronte spaziosa e lo sguardo puntato ben oltre l'orizzonte, destinato a sedersi nel pantheon dei supereroi.

Quel ragazzo, Paulo Roberto Falcao, oggi compie 70 anni. Un compleanno che non potrà mai passare inosservato per chi ha a cuore le sorti della squadra giallorossa a cui il Divino cambiò il destino. Perché se Francesco Totti per la bellezza di un quarto di secolo ha incarnato il sogno del ragazzo romano e romanista arrivato a trionfare da capitano con la maglia della Roma, nei suoi cinque anni di permanenza nella Capitale Falcao, il ragazzo venuto dall'altra parte del mondo, scrisse il vecchio testamento del club di Trigoria prendendolo per mano e portandolo a conquistare lo scudetto del 1983.

LA SFIDA ALLA JUVE Tricolore vinto superando la Juve, in un duello che infiammò quegli anni di boom calcistico italiano. Una sfida che si giocò sui centimetri del gol annullato a Turone e di quello convalidato a Brio.  

(...) 

Falcao e quella squadra gigantesca formata da Di Bartolomei, Conti, Pruzzo, Tancredi, Nela, Maldera, in un pomeriggio di maggio allo stadio Marassi di Genova portarono dopo 41 anni di attesa i romanisti ad essere liberati "dalla schiavitù del sogno" come disse Viola, che a Roma lo portò a sorpresa al posto di Zico, acquistandolo dall'International di Porto Alegre seguendo il suggerimento dell'allenatore Nils Liedholm. Niente dribbling ubriacanti e colpi di tacco fatui: le "lame rotanti" e il "doppio maglio perforante" di Falcao erano il gioco a testa alta, con tocchi di prima, e il movimento senza palla che offriva ai compagni sempre un porto sicuro dove depositare il pallone.

La sua corazza era la maglia numero 5 che, prima di lui, in Italia era appannaggio esclusivo degli stopper, operai del pallone delegati a francobollare i centravanti avversari. Grazie a lui, Liedholm oltre al marcamento a zona brevettò la "ragnatela", una serie di passaggi fitti e corti che irretivano gli avversari. Una danza che li stordiva, fino alla capitolazione. 

LA RAGNATELA Se ai giovani questa descrizione ricorda qualcosa è perché c'è stato il Barcellona del tiki-taka, quello "illegale" messo su da Pep Guardiola, a riproporlo sbaragliando l'Europa. La Roma di Falcao (e di Liedholm) arrivò a un passo dal primo gradino del podio continentale, disputando la finale di Coppa dei Campioni all'Olimpico contro il Liverpool e perdendola però ai calci di rigore. In quella notte del 30 maggio del 1984 i mostri di Vega ebbero la meglio sul Divino, che non si presentò sul dischetto per cercare di battere Bruce Grobbelaar, il portiere-clown che ipnotizzò Ciccio Graziani e Bruno Conti. I tifosi, tramortiti dall'atroce delusione, gridarono all'alto tradimento. Qualcuno dimenticò o, meglio, mise nel conto il fatto che Falcao non era mai stato fra i rigoristi di quella squadra che, senza di lui, mai sarebbe giunta ai confini della stratosfera. Per qualcun altro, invece, l'amore si raffreddò irrimediabilmente. 

Ci pensò un ginocchio malconcio nella stagione successiva a rendere velocissimo e ancora più amaro l'addio: Paulo Roberto Falcao nell'estate del 1985 risalì sulla sua navicella spaziale e tornò sul suo pianeta, il Brasile, lasciando a Trigoria 22 gol in 107 partite; uno scudetto; due coppe Italia e quell'indimenticabile notte di sogni, di coppe e di campioni.

Quando Andreotti impedì la cessione di Falcao grazie al Papa. Il futuro ministro degli Esteri del governo Craxi ricorse ad un paio di astuti stratagemmi per scongiurare il passaggio dell’asso brasiliano all’Inter. Paolo Lazzari il 15 aprile 2023 su Il Giornale.

Ribolle l’estate del 1983. Quello che più ancora surriscalda gli animi italiani, più precisamente nella Capitale, è però il calciomercato. Anche perché Paulo Roberto Falcao – alias, l’ottavo re di Roma – si è lasciato andare ad una dichiarazione lapidaria da Porto Alegre, dove si trova in vacanza. La sinfonia, stonata per i cuori giallorossi, fa esattamente così: "Lasciare la Roma è stato un trauma". Coltre di depressione su mezza città. Ma com’è possibile che dica una cosa del genere? Dove se ne andrà?

Per capirlo bisogna stringere il campo su un ambrosiano doc. Si chiama Ivanoe Fraizzoli, è il patron dell’Inter e intende spingerla in alto con tutte le sue forze, anche perché la sua lunga presidenza sta per conoscere i titoli di coda. Capelli impomatati all’inverosimile, sguardo sempre vispo a dispetto di una carta d’identità sgualcita (è classe 1909), scribacchia quel nome luccicante su un foglio e lo consegna al dirigente Mazzola. "Vai Sandro, prendilo". E in effetti lui esegue, perché Falcao firma per i nerazzurri all’insaputa di tutti.

Solo che poi Fraizzoli, milanese autentico nella forma oltre che per la sostanza, decide di comportarsi da gentiluomo. Alza la cornetta, infila l’indice nella rotella e compone il numero di Dino Viola, proprietario della Roma, per informarlo che il fenomeno carioca ha l’accordo con loro. Dall’altro lato del telefono si spande un silenzio pesante come un grumo di cemento. Viola incassa, prende atto, ma non commenta. Nel momento stesso in cui aggancia, Fraizzoli comprende di aver commesso una colossale ingenuità. L’eccesso di garbo adesso può ritorcersi contro.

Touché. Trillano i telefoni di mezza Roma. L’affaire Falcao va gestito in fretta, ma per spuntarla serve l’artiglieria pesante. Il dossier passa di mano in mano, fino a quando a stringerlo sono i polpastrelli inumiditi dalla saliva di Giulio Andreotti, tifosissimo della Lupa. Vagamente ricurvo, gli occhiali calati in punta di naso, il futuro ministro degli Esteri del governo Craxi esamina le carte e poi le passa al fidato braccio destro Franco Evangelisti, romanista sfegatato pure lui. Il diktat è limpido: "A Fra', risolvi il problema". Si apre, a questo punto, un tourbillon di intrallazzi destinato ad assicurare la permanenza del campionissimo nella Capitale.

L’intricata operazione di moral suasion fa leva sui lati vulnerabili disseminati nell’accordo con l’Inter. Il primo e più evidente è sicuramente la mamma del calciatore, la senhora Azise, compita, osservante, in una parola religiosissima. Per raggiungere l’obiettivo ultimo – la vicenda è ormai assurta al grado di priorità nazionale – serve immergere il tutto in una abbondante tinozza di cinismo. Si scomoda, addirittura, il Santo Padre. Alla mamma di Falcao, infatti, viene fatto credere che Andreotti avrebbe direttamente parlato della questione con Papa Wojtyla, il quale avrebbe espresso tutto il suo rammarico per l’addio alla Roma, augurandosi in ogni modo che invece resti. Pare che la vicenda si nutra anche di un fondo di verità, debitamente addomesticata e sacrificata sull’altare dell’utilitarismo. Le cose, la raffica di condizionali resta d’obbligo quando si allude al sovrano dell’ambivalenza politica, sarebbero andate così: il sommo Pontefice incontra Andreotti e gli chiede se Falcao rimane. Giulio gli dice che probabilmente se ne va. Il Papa fa una faccia triste. Tutto qua. L’incontro, sapientemente rimodellato, finisce all’orecchio della Azise, che patisce un immediato dispiacere. Riavutasi, corre dal figlio per ammonirlo: "Non vorrai mica contrariare il Papa?".

Ma non basta. Per mettere in cassaforte la permanenza di Falcao serve un’altra gran mossa. Questa volta scende direttamente in campo Andreotti. Richiede uno scrupoloso dossier sulle attività di Fraizzoli, apprende che l’imprenditore rifornisce abitualmente tutti i ministeri con i suoi capi d’abbigliamento, quindi sorride sornione. Si fa comporre il numero e, subdolo come un rettile che non vedi arrivare, lo addenta: "Salve, ho saputo dell’affare Falcao. So anche che lei lavora molto con i ministeri, una commessa importante, mi dicono". Ora quello ammutolito è Fraizzoli. Capisce subito dove sta andando a parare il malandrino stratega. Si reca subito da Mazzola: "Strappa il contratto, Falcao non lo prendiamo più".

Andreotti congiunge tutti i polpastrelli e allarga i contorni delle labbra. Altro che Esteri: spuntarla per la Roma è tutta un’altra musica.

Agostino Di Bartolomei.

Di Bartolomei, il capitano triste che non voleva abitare nel presente. Leader della Roma di Liedholm, coraggioso, inflessibile. Ma per questo anche incapace di accettare uno scorrere del tempo che lo consegnava ad una vita diversa. Paolo Lazzari l’1 Aprile 2023 su Il Giornale.

Tabella dei contenuti

 Il capitano imperturbabile di una Roma magica

 Quella finale maledetta

 La vita dopo il calcio, un dribbling fallito

 Un dramma lungo dieci anni

È mattina presto, ma fuori si spande già un confortante tepore. Le assi della veranda scricchiolano docilmente. L’alba si distende placida nella lussureggiante San Marco Castellabate, campagna amena del salernitano. Si mette a sedere che ancora indossa il pigiama e contempla un’ultima volta quel panorama. È riuscito a non svegliare la moglie Marisa, una hostess che aveva conosciuto l’anno dello scudetto. Fuori è da qualche ora il 30 maggio 1994: esattamente 10 anni dopo quella partita. Forse una pura coincidenza, forse no. Magari ripercorre mentalmente quel match per qualche istante. Poi Agostino Di Bartolomei preme il grilletto.

Il capitano imperturbabile di una Roma magica

Aveva lo scudetto cucito dul petto, Diba. L’avevano vinto guidati dal genio svedese Nils Liedholm. Al fianco di Pruzzo, Falcao, Bruno Conti, Ancelotti e via andando. Una comitiva formidabile. Ne era diventato il capitano. Sapeva essere ruvido, ma possedeva una tecnica nitida e trovava spesso il gol con le bordate da fuori, meglio se su punizione. Più di tutto, però, gli avevano consegnato la fascia per via delle sue doti morali. Era un leader silenzioso, Agostino. Inflessibile, coraggioso, imperturbabile. Gli bastava uno sguardo per trasmetterti tutti questi sentimenti. Portava il mento alto perché si sentiva il simbolo di un popolo che amava e dal quale era ricambiato. Così non c’era partita che potesse infondergli agitazione. Nemmeno una finale di coppa dei campioni. Lui non si disuniva mai.

Quella finale maledetta

L’aria tiepida di una sera che anticipa l’estate. Trenta maggio 1984. Stadio Olimpico di Roma. Settantamila cuori frementi. Un’intera città paralizzata dalla tensione che potrebbe anticipare la gioia più grande o infliggere una delusione pazzesca. Perfino i cugini laziali la guardano, anche solo per gufare. Una finale di coppa dei Campioni giocata in casa è già il frutto di un inedito allineamento celeste. Se poi batti il Liverpool di Ian Rush, la storia che viene a comporsi sfuma in felicità tellurica. Diba scende in campo con la dieci sulle spalle. Lo sguardo è fermo. L’espressione risoluta. Anche se gli rimbalza dentro tutto il peso di quelle migliaia di anime appese alla squadra. Ci sarebbero tutte le premesse per una serata memorabile. Ma è proprio quando ti sembra tutto apparecchiato che la storia si diverte a sottrarti lo sgabello. La Roma perde ai rigori. Un pugno alla bocca dello stomaco che non si riassorbe.

La vita dopo il calcio, un dribbling fallito

Delusioni, certo, ma anche botte di felicità abbacinante. La carriera di un calciatore del suo lignaggio è un ascensore emotivo rimasto incantato. Ti passa frullati di vita elettrica, da sorseggiare avidamente. Quando però il sipario si abbassa, la musica rallenta fino a sfumare in sottofondo e le luci si dissolvono gradualmente, la prospettiva cambia d’un tratto. È come ritrovarsi bloccati tra un piano e l’altro. Non sei al primo e nemmeno al secondo. Sei fermo esattamente nel mezzo, costretto in un guado che fatichi a riconoscere. Quella vita lì non la senti più tua. Troppa la distanza tra quel che c’è e quello che vorresti. Troppo intricato il dribbling che consente di passare da star a uomo comune senza pagare un gigantesco dazio. Storia che ci aderisce addosso da quando è iniziato il mondo. Diba sembra l’Aiace di Sofocle. Meglio la morte di una non vita.

Un dramma lungo dieci anni

Così è di nuovo il 30 maggio, ma del 1994. Diba apre uno dei suoi cassetti. Estrae una Smith & Wesson calibro 38 e sfila lentamente verso la veranda. D’un tratto tutta quella pressione che aveva sempre respinto gli collassa all’interno come un orrendo buco nero. Una voragine incolmabile. L’unico sollievo coincide con la scelta più drammatica. Punta la canna fredda contro il petto, all’altezza del cuore. Socchiude le palpebre. Preme il grilletto. Il colpo risuona sordo nella campagna, facendo levare gruppi di uccelli. Marisa si sveglia di scatto. La Roma giallorossa patisce una ferita insanabile. L’intero paese è atterito. Ci si inizia a porre il problema della tenuta psicologica degli ex calciatori, privilegiati fragili. Agostino intanto non c’è più. Troppo distante, quel presente, dai sogni abitati poco prima. Meglio non essere che vivere senza riconoscersi.

Estratto dell'articolo di Giovanni Bianconi per il “Corriere della Sera” il 24 marzo 2023.

«Il 18 agosto dell’anno scorso io, Luca Di Bartolomei figlio di Agostino Di Bartolomei, sono diventato più vecchio di mio padre. Ho raggiunto e superato il tempo che lui ha vissuto, e ho avuto la forza di andare sulla sua tomba a San Marco di Castellabate, in provincia di Salerno, di fronte al mare, cosa che non faccio praticamente mai. Ed è stato un altro colpo di pistola, che non mi aspettavo».

 Come quello che il 30 maggio 1994 s’è sparato suo padre al petto, uccidendosi sul terrazzo della vostra casa di San Marco?

«Quello mi tolse il padre. Questo invece è riuscito a svegliarmi, a liberarmi da un senso di colpa che non doveva appartenermi ma mi ha accompagnato per quasi ventinove anni».

Perché un senso di colpa? Lei era solo un bambino di 11 anni quando suo padre si suicidò.

«Perché non sapevo come reagire a ciò che avvertivo come un rifiuto da parte di Agostino. Lui si è ucciso nonostante avesse me, oltre mia madre e mio fratello, e dunque pensai che dovessi avere anch’io una parte di responsabilità. Il suo gesto ha generato in me quel sentimento con il quale a un certo punto ho dovuto fare i conti, ma ha pure trasformato Agostino in un piccolo fenomeno collettivo per tante persone della sua generazione, in questo microcosmo che è Roma».

 Il capitano della Roma campione d’Italia del 1983, romano del quartiere popolare di Tormarancia che guidò la squadra a vincere il suo secondo scudetto e subito dopo arrivò alla finale di Coppa dei campioni, persa ai rigori il 30 maggio 1984. Che cosa c’è di collettivo dietro un suicidio avvenuto esattamente dieci anni dopo quella sconfitta?

«Credo che Agostino sia la rappresentazione del potenziale fallimento che interroga tutti, e di fronte al quale rimaniamo senza parole o senza fiato. Prenderne atto attraverso una persona mitizzata nel luogo più incontaminato della nostra infanzia, il gioco, considerato una sorta di eroe del mondo in cui siamo stati e ci fa sentire ancora bambini, è una circostanza che atterrisce, ma suscita anche tanta pietà».

Perché lo chiama Agostino, anziché papà?

«Perché fino ad ora l’incapacità di capire come vivere questa vicenda ha provocato una rabbia che ha eretto una specie di muro tra me e lui. Quasi invalicabile. Invece da simili esperienze bisognerebbe imparare ad avere la forza di accettare le proprie fragilità e non provare sempre a superarle spingendosi oltre; riempire ogni cosa di significati va bene, ma va bene anche non avere l’ansia di riempirle ad ogni costo perché altrimenti manca qualcosa».

 (...) Agostino è stata una persona di successo che da un quartiere umile è arrivata sul tetto d’Europa e poi è crollata, uccidendosi in quella stessa data dieci anni dopo, facendo un tonfo talmente rumoroso da andare oltre la sua vicenda personale.

 Trasformandola in collettiva. Quasi generazionale. In fondo la sua generazione, se non è stata più fortunata della mia ha avuto certamente prospettive migliori e più ampie di quelle che si dischiudono oggi; è come se per quelli della sua età sbagliare fosse meno giustificabile rispetto a coloro che sono arrivati dopo. Forse anche per questo il suo gesto interroga molti. Agostino è stato mio padre, ma è anche il fratello di tanti di voi».

In passato lei ha detto di voler credere che lo sparo nel decennale di «una stupidissima partita di calcio» persa ai calci di rigore fosse solo una coincidenza, non voluta. Ora sembra aver cambiato idea.

«È così. Ho accettato l’idea che ci si possa sentire manchevoli anche di fronte all’amore di un figlio e di una famiglia, che evidentemente non bastano a colmare le lacune del proprio animo». 

Quindi rievocare la sconfitta nella finale di Coppa dei campioni significava ammettere un fallimento personale?

«Direi di sì. Non ho certezze né prove, ma dovendomi basare su indizi penso che si debba accettare questo messaggio, farci pace e andare avanti. Smetterla di chiamarlo Agostino e farlo tornare papà. In fondo la mia rabbia verso di lui è derivata proprio dal suo considerarsi più Ago che papà; più il campione che aveva fallito l’appuntamento più importante della sua carriera del padre che poteva essere. Però sto capendo che le persone vanno amate come sono, non per come vorremmo che fossero. 

(...)

Suo padre s’è ucciso con una pistola che teneva in casa, insieme a un altro revolver e una carabina. Una passione per le armi, dice qualcuno, mentre lei è dichiaratamente contro la detenzione personale di pistole e fucili.

«Non so se fosse una passione o un’esigenza di protezione dettata dalla paura. Lui al Poligono non lo ricordo, ma immagino ci andasse. Di sicuro le armi le ha acquistate dopo aver subito una rapina e nel contesto delinquenziale degli anni Settanta e Ottanta che è stato parte della storia di Roma. Il possesso di un’arma aiuta a allontanare le insicurezze e le fragilità, che invece sono come le cuciture degli aerei: li rendono più forti perché più elastici. Le armi sono una risposta rigida: sì o no, sparo o non sparo, uccido o lascio vivere. Meglio le risposte flessibili. E meglio vivere, in ogni caso».

(...) Agostino è stato tenuto ai margini del mondo del calcio per responsabilità di entrambi. E con quel colpo di pistola sparato in quella data ha voluto lanciare un messaggio alla nostra famiglia ma anche al mondo dal quale si è sentito rifiutato. Non ha ammesso la propria fragilità, e ha dichiarato una sconfitta».

 Lei ha sempre detto di ricordare tutto di quel 30 maggio 1994. Vuole condividerne qualche frammento? (Luca Di Bartolomei resta in silenzio per lunghi secondi)

«Il 30 maggio è papà che scende dalla stanza dove dormiva con mamma e infila qualche moneta nella tasca dei miei pantaloni appesi alla ringhiera della scala; io lo vedo perché ero già sveglio, e quando entra in camera per salutarmi mi chiede se voglio andare con lui a Salerno. Io rispondo di no perché avevo una prova di latino a cui non volevo rinunciare. Poi mi vesto, preparo lo zaino, papà s’era seduto in terrazza al sole che batteva già alto, gli do un bacio. Vado a scuola. Dopo circa un’ora, con molto tatto, mi hanno avvisato di quello che era accaduto e sono tornato casa. Ago era già nella bara di zinco».

 Difficile perdonare.

«Molto. E alla fine dei conti, più che perdonare lui sarebbe bastato non colpevolizzare me stesso

Giuseppe Giannini.

Guendalina Galdi per il “Corriere della Sera” - Estratti venerdì 27 ottobre 2023.

Chi è Giuseppe Giannini ora? «Un aspirante intenditore di calcio». Così si autodefinisce oggi il «Principe» del calcio italiano degli anni ’80 e ’90, romano e romanista con il numero 10 sulle spalle, elegante in campo e genuino fuori. Un «Principe» che con la Nazionale avrebbe potuto ottenere di più e che, una volta chiuso con il calcio giocato, ha voluto provare ruoli ed esperienze diverse. Come chiamare Giannini adesso? Direttore? Mister? «Facciamo Beppe e basta. Sono “direttore” sì, ma è una parola che non mi fa proprio impazzire...». 

Si sente ancora «Principe»?

«A volte questo soprannome ha condizionato chi mi giudicava, ma se si pensa ai miei 22 anni di carriera è stato positivo. Non ce ne erano altri in giro. Mi piaceva. All’epoca davanti a me c’era Falcao che era “Il Divino”, io essendo arrivato dopo sono diventato “Principe”. Scelta azzeccata. Certo a guardarmi oggi...». 

Come si vede?

«Faccio fatica a rivedere vecchie immagini. Sono cambiato tantissimo e mi “rode” adesso che sono senza capelli. Mi dà un po’ fastidio sinceramente, quindi evito di guardarmi. La gente neanche mi riconosce per strada». 

Quanto le manca il calcio?

«Ormai ho smesso da talmente tanti anni che non ho più quel desiderio di tornare dove ero. Lo penso da qualche anno. Io se tronco qualcosa non torno indietro». 

(...) 

Lei è stato un giovane che ce l’ha fatta. Poi la carriera con la maglia numero 10, la più difficile da assegnare...

«Alla Roma l’hanno indossata da Di Bartolomei a Totti, oltre me. Giocatori che hanno lasciato qualcosa al calcio italiano. Ancora la “10” non si rivede in campo ma ritornerà perché ha un fascino senza paragoni. È un peccato che in questo momento non ci sia». 

Cosa le ha tolto il calcio?

«Non rifletto su quanto avrei potuto ottenere in più. Se fai così non vivi. O vivi male. In quel momento io ero quello, la Roma era quella, ho dato ciò che potevo dare».

Da giocatore avrebbe ceduto a un’offerta dall’Arabia Saudita?

«Ho sempre detto che avrei voluto chiudere la carriera a Roma ma non è potuto accadere per tanti motivi. Allora ho voluto iniziare a conoscere altre realtà e culture. Se avessi ricevuto una richiesta così l’avrei presa in considerazione come mi capitò con il Marsiglia, il Siviglia, con la Fiorentina l'ultimo anno ma che non accettai. Ora guardando le cifre e le età in cui Ronaldo e altri si sono spostati...». 

Un suo «grande rifiuto»?

«Io e Viola rifiutavamo qualsiasi offerta. In Nazionale ricevevo sempre i complimenti di Boniperti. Si avvicinava (era capo delegazione allora), faceva qualche battuta, diceva “Ti voglio alla Juve”. Per me finiva lì. Alla fine andai allo Sturm Graz pur di non restare in Italia. La situazione è cambiata quando è arrivato Sensi. Poi sono tornato al Napoli, ma solo perché mi chiamò Mazzone».

È stato Ct del Libano per due anni: rifarebbe quell’esperienza?

«Sì e la consiglierei. Sono stato bene a livello lavorativo, ne è valsa la pena. È stato un peccato non aver partecipato alla Coppa d’Asia per un gol. Mi avrebbero fatto una statua in piazza a Beirut se ci fossimo qualificati... è una città splendida anche se quando c’ero io era pericolosa, c’era un attentato dietro l’altro. Qualche volta ho temuto». 

Ci racconti.

«A volte quando passeggiavamo sul lungomare avevamo il timore che qualche macchina fosse piena di ordigni. Era normale pensarci visto quello che accadeva. Ma feci quella scelta in maniera consapevole. Volevo far vedere le mie competenze, farmi conoscere per poi magari andare in nazionali più importanti». 

La delusione più grande?

«La semifinale del Mondiale del ‘90 a Napoli non è paragonabile ad altro per importanza». 

Ha avuto poca fortuna con la maglia azzurra?

«Se penso a quella sera...basta una svista per segnare una carriera. Un conto è se arrivi in finale, un altro conto se perdi prima...». 

E con la Roma?

«I “se”, i “ma”... quanto contano nel calcio? Tornare indietro e pensare a cosa avrei potuto vincere non mi piace.Ho dato quello che potevo dare, ho ricevuto quello che potevo ricevere».

Aspettava una chiamata?

«Il primo pensiero, una volta smesso col calcio, è stato quello di tornare nell’ambiente in cui ho sempre vissuto per 15 anni. Da casa mia sarei arrivato sempre a Trigoria, anche bendato. Sono dodici minuti. Conosco ogni curva e ogni buca del tragitto. Il desiderio era di iniziare un percorso da dirigente o allenatore nella Roma. Non è stato possibile e ho guardato avanti. Ora sono contento qui al Monterosi». 

L’anno prossimo compirà 60 anni, con chi le mancherà festeggiare?

«Mi mancheranno gli auguri dei miei genitori. E quelli di altre persone con cui ho condiviso esperienze, penso a Vialli e a Mihajlovic che sono scomparsi da poco. E poi di qualche capo della tifoseria giallorossa che non c’è più e con cui ho condiviso trasferte, momenti belli e meno belli».

"Non doveva finire così": l'amaro addio al calcio del Principe Giannini. Nel duemila l’ex capitano giallorosso si congedò con una partita d’addio nella sua Roma, ma alcuni tifosi rovinarono tutto. Paolo Lazzari su Il Giornale il 25 Febbraio 2023

Allaccia gli scarpini, cosciente che quella è davvero l’ultima volta. Lo spogliatoio è un bacile di fenomeni. Giocherà un tempo con i vecchi compagni di nazionale e una frazione con la Roma formato amarcord. Sfilano, fra i molti, Baresi, Bergomi, Tacconi, Zenga, Schillaci e De Napoli. Poi ci sono quelli che portano la lupa incisa sul cuore. I Bruno Conti e i Prohaska. Tancredi, Voeller, Righetti, Maldera. C’è anche Odoacre Chierico, quello che gli ha affibbiato il soprannome fortunato che ancora gli sta incollato addosso. “Il Principe”, per via di quel portamento regale, di quel mento tenuto costantemente alto, dell’elegante capacità di leggere tra le smagliature calcistiche.

In panchina siedono, rispettivamente, Azeglio Vicini e Carletto Mazzone. Il primo lo ha fatto accomodare nel ventre del centrocampo azzurro già da giovanissimo. Il secondo è stato il suo ultimo tecnico alla Roma e ha spinto per averlo anche per un rapido inframezzo a Napoli. Migliaia di persone affollano l’Olimpico per omaggiare Giuseppe Giannini, il capitano. L’uomo da 318 partite e 49 gol. Il signore feudale della mediana giallorossa. Pare che ci siano tutte le premesse per una serata di gioia zampilllante. Non fosse per quel particolare non certo trascurabile.

Appena tre giorni prima, infatti, si è materializzata la iattura delle iatture. La Lazio ha vinto lo scudetto. È l’anno della delusione umida per la Juve, guarnita dalle pozzanghere del Curi di Perugia, concretizzata dall’improbabile siluro di Calori. C’è soltanto un altro club che può dirsi più avvilito per quel tonfo inatteso. Giubilano i biancocelesti per le strade della capitale. Schiumano acredine i romanisti.

Scende in campo, in questo vacillante salotto, il Principe Giannini. Fluttua verso il suo appezzamento emotivo, la mediana, con l’inevitabile sussiego, con quelle movenze aristocratiche. Primo tempo che fila via liscio. Uno a uno, squilli di Voeller e Carnevale. Mugugna intanto la Sud, convitata riottosa ad una festa che non riesce a diluire il fermento. Si levano i primi cori contro la società, rea di non avere fatto abbastanza per schivare lo sfacelo.

Nulla però farebbe ancora presagire il tribale tumulto che, da lì a poco, è destinato a deflagrare. Soverchiata dal risentimento, una nutrita frangia di tifosi rimugina pensieri tetri. Prima si levano cori contro la famiglia Sensi. Franco non c’è e se li sorbisce tutti la figlia Rosella. “Batistuta dov’è?”, abbaiano i tifosi. In realtà il fuoriclasse argentino arriverà nel giro di qualche settimana. Nel frattempo il pubblico è furente. Ripassa mentalmente in rassegna le immagini di tre giorni prima. L’insopportabile trionfo laziale. Intanto Nils Liedholm e Flora Viola, moglie dell’indimenticato Dino, premiano Giuseppe in campo.

Si apre, d’un tratto, una fenditura nei cancelli. Il lato è quello della tribuna Monte Mario. È questione di un amen. Migliaia di tifosi inferociti si riversano svelti verso il terreno di gioco. Non ce l’hanno con il Principe, ma sono accecati da sentimenti urticanti. Divelgono porte, bandierine, panchine e finanche zolle di campo. Giannini è atterrito, come chi lo circonda. Dovrebbe disputare la seconda parte di gara con l’amata maglia giallorossa, ma quel furore sabota la festa. Bruno Conti e Francesco Totti si stringono al suo fianco, tentando di sedare gli animi, senza successo.

Ci prova anche lui, impugnando un microfono: “Se non ve ne andate non possiamo proseguire con la nostra festa”, li implora sconcertato. Niente da fare. Quel secondo tempo non si giocherà mai. Le squadre sono costrette a rintanarsi negli spogliatoi, in attesa che la tempesta si sgonfi. Giannini è in lacrime. Mai si sarebbe aspettato questo dal suo stesso popolo. Da quella gente che lo aveva così intensamente amato. Si leva, tardivo e insufficiente, un raffazzonato striscione dalla curva: “Scusa”, la scritta che campeggia sopra. Lui prova ad appiccicare insieme due parole: “Scusate…sono emozionato, nervoso. Purtroppo per un eccesso d’amore, per uno sfogo della rabbia di questi giorni…vi ringrazio, non doveva finire così, ma con qualcosa di meglio”.

Soltanto un anno più tardi la Roma solleverà a sua volta lo scudetto. La ferita inferta dai rivali biancocelesti è rimarginata. Quella patita dal Principe, invece, fiotterà tristezza per sempre.

Damiano Tommasi.

Damiano Tommasi: «I colleghi sindaci mi compravano al fantacalcio. Il ruolo più difficile? Fare il marito». Claudio Bozza su Il Corriere della Sera il 29 Gennaio 2023.

Ex mediano della Roma, padre di 6 figli e preside della scuola che ha fondato, è sindaco di Verona da 7 mesi per il centrosinistra: «In giunta vorrei uno come “Pendolino” Cafu. Il ruolo più difficile? Fare il marito di Chiara. Ma è anche il più gratificante»

Damiano Tommasi, 48 anni, con la fascia tricolore davanti a Palazzo Barbieri, sede del Comune di Verona. A destra: Tommasi con la maglia della Roma

Da “calciatore operaio” a “sindaco antidivo”, l’essenza non cambia. E strappargli questa intervista è stata quasi un’impresa. Damiano Tommasi, a 48 anni, non ha la minima idea di attaccare le scarpette al chiodo: ogni domenica mattina continua a giocare in Seconda categoria nella sua squadra di paese. Il resto della settimana la sveglia è puntata all’alba: «Prima di andare in Comune vado a scuola, dove faccio qualche supplenza ai bambini, perché specie nelle prime ore, a volte, c’è da rimediare a qualche emergenza».

Tommasi, lei ha più eteronimi di Fernando Pessoa: padre di sei figli, ex calciatore con oltre 300 presenze in Serie A, ex capo del sindacato calciatori, ora preside di un suo istituto scolastico e sindaco di Verona da sette mesi. Qual è il ruolo più difficile?

«Essere marito di una moglie. Ma è anche il più gratificante. Chiara l’ho conosciuta in classe a Ragioneria e non ci siamo mai più lasciati».

La prima cosa fatta appena ha messo piede in Comune, dopo aver battuto a sorpresa la destra in una roccaforte che pareva inespugnabile?

«Ho fatto mettere la bandiera europea sopra Porta Nuova, all’ingresso della città. Verona è europea, deve essere aperta al mondo. Manca la consapevolezza di poter ambire a grandi obiettivi. È come quando alla Roma arrivò Batistuta: era la garanzia che potevamo giocarcela contro tutti. Fu uno stimolo enorme per tutti noi a fare meglio. Così vincemmo lo scudetto. Noi siamo Verona, e ora arriverà questa consapevolezza».

Lei è devoto a don Milani: come ha declinato quegli insegnamenti per questa sfida politica?

«Ho conosciuto i suoi valori durante la mia esperienza da obiettore di coscienza. È stato fondamentale per imparare la scelta delle parole, nel rapportarsi all’altro. Mi ha insegnato a badare alla sostanza, togliendo il superfluo. Su queste basi è nata l’esperienza di Rete, il nostro contenitore civico e politico che ha messo insieme tante persone, anche diverse, ma sulla base di “password” condivise».

Tanti suoi ex compagni calciatori, dopo carriere dorate, puntano su Dubai, immobiliare, finanza e lusso in generale. Lei hai invece investito i suoi guadagni nella costruzione di una scuola bilingue intitolata proprio a don Milani, che va dall’asilo alla scuola secondaria. Perché?

«Diciamo che, con sei figli, siamo particolarmente sensibili al tema. Dopo la mia esperienza con la maglia del Levante in Spagna, siamo tornati a Verona, dove mia moglie e sua sorella decisero di aprire un asilo, che poi si è ingrandito piano piano».

Ma quando è dietro la cattedra preferisce di più matematica o italiano?

«Mi piace provocare i bambini, le loro idee e le loro soluzioni. Si può fare con entrambe le materie».

Parliamo di politica. Che ex compagno di squadra vorrebbe in giunta?

«Come modo di stare in campo penso a Marcos Cafu (alla Roma ribattezzato “Pendolino” per via della sua velocità lungo la fascia, ndr ). Cafu ha una storia personale importante, ha sempre giocato per vincere, con umiltà. Siamo stati sempre a fianco in tutti gli anni alla Roma: era il compagno che aveva sempre la parola giusta. Quindi saprebbe prendersi le sue responsabilità in giunta».

Alla sua prima assemblea con tutti i sindaci d’Italia come è andata?

«Eh, mi sembrava di essere in curva Sud (ride, ndr). Mi hanno fermato tutti, in tanti mi hanno raccontato che mi compravano al Fantacalcio».

Lei è l’unico volto vincente del centrosinistra da molto tempo a questa parte. Sente il peso di questa investitura?

«No. Non mi sento investito. Il mio impegno è concentrato sulla mia città. Sono veronese al cento per cento».

Chi l’ha convinta ad accettare quella che sembrava una “mission impossible”?

«Beatrice, mia figlia, 25 anni, ama le Scienze politiche. Vedere la sua passione mi ha stimolato. La mia proposta era alternativa agli ultimi 15 anni di questa città, oltre la sinistra e la destra. Sono qui perché lo hanno scelto i cittadini».

La destra, in campagna elettorale, seppur divisa faceva le piazze piene con i leader nazionali, mentre lei faceva passeggiate, fino a 10 km al giorno...

«Esatto. Ci hanno dovuto letteralmente inseguire su tutto». In più lei è riuscito a tenere dentro tutti, incluso il Movimento. Per il futuro è un’alleanza obbligata? «Il Movimento ha diverse cose in comune con il centrosinistra. Negli anni si è personalizzato troppo. È vero, ci sono differenze, anche profonde, ma qui a Verona non si notano: abbiamo puntato su ciò che ci univa, per cambiare la città».

Ma lei votava i Cinque stelle?

«La prima versione: gli Amici di Beppe Grillo».

Il reddito di cittadinanza lo avrebbe lasciato?

«È una misura sicuramente migliorabile. Spesso, però, si dimentica che questo strumento sostiene anche chi proprio non può lavorare. Una risposta a chi è in difficoltà è doverosa».

Sta facendo rimuovere tutti i divisori che il suo predecessore aveva fatto installare su tutte le panchine della città.

«Era un impegno preso in campagna elettorale. Finora si era parlato di Verona per questa misura contro i clochard, cioè di una cosa che non siamo».

Ci spiega la differenza tra essere di destra o di sinistra?

«Il primo rappresenta un ideale che porta a chiuderti. Mentre credo che il secondo ti spinga in giro per il mondo, con orgoglio».

Cosa pensa di Giorgia Meloni?

«Ha l’attenuante di essere romanista (ride, ndr ). Non dimentica da dove arriva, ha fatto la gavetta. La politica ha vissuto finora di grandi ascese e rapidissime cadute. A me impressiona che tutti i giorni ci siano dei sondaggi: la politica si deve fare in prospettiva, vediamo un po’ come andrà la premier».

Alle primarie del Pd voterà Stefano Bonaccini o Elly Schlein?

«Entrambi mi hanno sostenuto in campagna elettorale. Sono due figure che hanno fatto bene. Ma è una discussione interna al Partito democratico, su cui non entro».

È sorpreso per questo doppio inciampo di Totti? Prima il clamoroso divorzio da Ilary Blasi, poi il caso dei soldi per le scommesse...

«Trapattoni diceva: “Più in alto vai e più il vento tira forte”. Francesco ha una grandissima visibilità e responsabilità, peraltro davanti a più di una generazione. Questa responsabilità abnorme viene caricata su una persona umana, non su un robot, e ciò non va dimenticato».

Lei da grande che vuole fare?

«Prima devo diventarlo, poi vediamo».

Si ricandiderà a sindaco?

«Sono qui da nemmeno sette mesi. Prima vediamo se so farlo (sorride, ndr )».

Ma almeno ci dica che allenatore servirebbe per risollevare la squadra del centrosinistra, ora in piena zona retrocessione.

«Nel calcio si parte sempre da zero a zero, applichiamo questa consapevolezza anche alla politica, senza guardare ossessivamente i sondaggi. Mi è capitato di giocare in squadre che arrivavano da un filotto positivo, così come negativo: l’importante è dare tutto fin dal primo minuto. Secondo me, più che un mister servirebbe un ex ct della Nazionale, il profilo migliore per accomunare e valorizzare al massimo giocatori che vengono da percorsi diversi, per metterli tutti assieme con l’obiettivo di vincere. E sicuramente Lippi sarebbe un vincente».

Cosa c’è dopo la morte...

«Ho la certezza che ci gireremo e diremo: “Pensa che nessuno la stava pensando ‘sta cosa”».

Vorrebbe un campo da calcio anche lì?

«Magari ci sarà qualcosa di più bello».

Francesco Totti.

Estratto dell'articolo di Katia Riccardi per repubblica.it domenica 3 dicembre 2023. 

La fine della storia tra Ilary Blasi e Francesco Totti, da qualunque punto di vista la si voglia vedere, è la storia della separazione di una famiglia. Le case vicine, quella della madre, e poi le sorelle di Ilary, Melory e Silvia, una famiglia grande, di cognati e nuore, amici, cuginetti cresciuti insieme.  [...] 

Ad eccezione dei tre figli Totti, Isabel, Chanel e Cristian, che meritano il rispetto globale già solo per la dignità e la forza con cui dedicano post social in pari numero a madre e padre, Roma invece si è divisa, separata, tra chi riscopre Blasi grazie a un docufilm, chi ‘c’è solo un capitano’ e chi ripete a denti stretti che ‘sono cose che capitano’. C’è anche, ancora, un ristretto e silenzioso gruppo che spera in una riappacificazione. Lo dice anche la mamma di Ilary, Daniela Blasi, nel docufilm Unica. Non si sa mai magari. Ma è una frase in mezzo ad altre, una maglietta allo stadio.

In questi mesi di dubbi, notizie su siti e giornali, tentazioni, accuse, Rolex, borsette e scarpe, e bugie da scoperchiare come il contro soffitto di un soppalco, anche la famiglia reale della capitale si è scissa. Giorgia Lillo Lori, per esempio.  [...] 

È la moglie di Angelo Marrozzini, lui e Francesco Totti sono cresciuti insieme, hanno frequentato le stesse scuole elementari e medie. L’ex capitano è stato il loro testimone di nozze. Grandissimo tifoso della Roma, per Totti sempre presente alle partite, alle cene di famiglia, alla vita. Si dice che l’ex capitano gli abbia dedicato il suo 200esimo gol perché all’epoca il cugino era in coma a seguito di un grave incidente.  [...]

È lei ad accompagnare Ilary Blasi sotto casa di Noemi Bocchi una volta che i sospetti non sono più tali. Nonostante tutto non lo racconta ad Angelo, “gli ho detto che venivo da te perché arrivava il tipo a leggerci tarocchi”, spiega. Forse il marito altrimenti le avrebbe fermate. E invece le due donne vogliono vedere, andare fino in fondo o comunque in fondo a Roma Nord. Il racconto che fanno le due cugine amiche è esilarante, ma sono loro due a colorarlo così. 

Giorgia fino alla fine spera che sia tutta una follia. “Non potevo crederci, oh. Quando me l’hai raccontato..” dice con la gola chiusa, “se capitava a me una cosa del genere mi ricoveravano in clinica”. Blasi le sorride: “Vabè dai ormai lo sapevamo, siamo andate dirette”. E Giorgia: “Eh no, io fino alla fine ho sperato che magari la macchina di Francesco non c’era, che non era andato”. E invece. 

Poi le lacrime, la scena di Ilary che scappa e prende un albero in retromarcia e loro due come ragazzine che hanno fatto l’avventura, corrono via, tornano a casa, ridono, ma sanno che non sarà più quella di prima. Giorgia nel film è un personaggio incredibile, bellissima. Ilary unica ma non sola. A circondarla nel film ci sono altre donne.

Angelo invece nel film non compare, gli unici uomini sono il tassista che rappresenta i sussurri di Roma (“Tutti in città lo sanno che a Totti je piacciono due cose, i maritozzi con la panna e le donne”) e il fabbro che scassina la porta della spa senza sapere perché.

Gli amici ci sono in una scena, seduti a tavola, Blasi brinda a chi le è stato vicino “nel periodo più diffic.. pazzo di tutta la mia vita”. [...]

Da corrieredellosport.it domenica 3 dicembre 2023. 

Ilary Blasi: "Perché ho fatto il documentario su Netflix"

Ilary Blasi ha svelato a Verissimo il motivo che l'ha spinta a raccontare la fine del suo matrimonio nel docufilm Unica su Netflix: "Sono stata un po' a osservare, capire cosa era successo, a leggere, sentire tutti i vari punti di vista, le varie opinioni. Però di fatto era la mia storia. Come sai io ho sempre messo la faccia in tutto quello che ho fatto e anche questa volta mi sembrava giusto metterci la faccia" 

Ilary Blasi: "Con Totti nessuna crisi prima della separazione"

Ilary Blasi ribadisce a Verissimo che non c'era alcuna crisi con Francesco Totti prima della separazione definitiva arrivata nell'estate 2022. "A novembre 2021 io inizio a vedere mio marito strano. Tra noi due non c'era alcuna crisi, abbiamo fatto anche dei viaggi insieme, non c'era nulla di grave", assicura. Silvia Toffanin mostra poi alcuni video tratti dal docufilm Netflix Unica 

Ilary Blasi e l'assurda richiesta di Francesco Totti

Ilary Blasi commenta con Silvia Toffanin la richiesta di Francesco Totti: il calciatore ha chiesto all'ex moglie di lasciare il lavoro, cancellarsi dai social network e non vede più la sua migliore amica nonché parrucchiera di fiducia Alessia Solidani. "Francesco è sempre stato geloso nei miei confronti, non era una novità la sua gelosia. Però non mi sento di paragonare questa cosa alle tragedie di oggi. Lui è il papà dei miei figli. Magari era confuso, spaventato, forse era una via di fuga più facile. Ho sempre cercato un dialogo, una speranza, provarci prima di mettere fine ad un matrimonio" 

Ilary Blasi a Verissimo chiede scusa alla stampa

Quando Silvia Toffanin ricorda l'intervista in cui Ilary Blasi ha attaccato la stampa che ha spifferato della liaison tra Francesco Totti e Noemi Bocchi la bionda conduttrice fa ammenda: "Chiedo scusa ai giornali e ai giornalisti. Ma anche loro dovrebbero chiedere scusa a me: io ho reagito così perché avevo una versione dei fatti che ho raccontato. Ero convinta. Avevo creduto a mio marito, come sempre. Ero in buona fede". Interviene Silvia: "Anche io ci credevo, hanno detto che ci eravamo messe d'accordo ma non era così" 

Ilary Blasi e l'aiuto della figlia Isabel con il tradimento

"Dopo quella smentita tra me e mio marito la situazione era strana, si faceva fatica a dialogare", aggiunge Ilary Blasi a Verissimo per poi parlare dell'incontro con la piccola Isabel e i due figli di Noemi Bocchi. "Quando poi ho chiamato l'investigatore privato io già lo sapevo ma volevo le prove. Lui aveva una storia parallela che tutti sapevano tranne io e la mia famiglia. Reazione? Delusione da una parte, sollevata dall'altra. Libera". E poi: "Quando l'ho affrontato ha continuato un po' a negare e alla fine si è arreso" 

Totti e la reazione dei genitori di Ilary Blasi

"I miei genitori non si aspettavano una cosa del genere: per loro Francesco era il quarto figlio, il figlio maschio mai avuto. Sono delusi ma gli vogliono ancora bene", afferma Ilary Blasi. "Se mi sono sentita tradita da Roma? Sì e no. Alla fine chi ti dice una cosa del genere? Solo una sorella può".

Ilary Blasi e i presunti tradimenti di Totti

"Dal chiacchierato gossip su Flavia Vento a Noemi Bocchi sospetti altri tradimenti in questi venti anni?", chiede Silvia Toffanin. "Da quello che mi ha fatto capire Roma, forse. A me non sono mai arrivate voci concrete ma solo illazioni. Non ho mai visto foto o messaggi. Nessuna è mai venuta da me a dirmi questo. Probabilmente sì ma non ho nessuna prova", risponde Ilary Blasi.

Marco Giusti per Dagospia il 27 Novembre 2023

Ok. Mi sono visto “Unica”, docu-confessione o, se volete, Ilary’s version o Netflix’s version, sulla fine di una delle coppie più amate d’Italia, quella formata da Ilary Blasy e Francesco Totti, diretta da Tommaso Deboni, ma orchestrata da una vecchia volpe dello spettacolo come Pepi Nocera, che funziona anche da intervistatore invisibile. Cosa dire? Intanto. Troppe lacrime. Poi.

Non c’è molto da vedere e da sentire. Il raccontino di 15-20 minuti di Ilary in uno studio rigorosamente nero stesa su una poltrona e molti momenti con la famiglia, la mamma e le sorelle per allungare il brodo. Con la supervisione narrativa di una voce autorevole come Michele Masneri. Ma non c’è nessuno, diciamo, che parla dalla parte di lui. Andando alla polpa, insomma, poca o pochissima. Questa storia del caffè, che Ilary assieme all’amica Alessia vanno a bere a casa di un misterioso amico che abita vicino alla Stazione Centrale di Milano e che darà il via alla folle gelosia di Totti verso la moglie, mi sembra un po’ troppo esibita.

Come non crediamo che Ilary non sapesse proprio nulla del modello di vita di Totti. Insomma. Non è che si dicono cose non vere, penso che siano vere anche le lacrime, ma si dice una realtà forse un po’ aggiustata. In fondo stiamo facendo tv. E non possiamo ovviamente credere che Ilary e Pepi Nocera non lo sappiano. E, occhio, non siamo più sui canali Mediaset, dove Ilary fino a poco fa era una star. Però, figurarsi se non si crede al dispiacere, dopo vent’anni di matrimonio, e vent’anni di tv, della fine di una grande storia d’amore popolare come questa. Con un Totti che, a detta di Ilary, l’ha desiderata fino all’ultimo (“facevamo sesso regolarmente, anche più regolarmente di una coppia sposata da vent’anni”), anche nei giorni dei tradimenti.

Vedendo il film o la docu-confessione non capivo bene a cosa dovessi sentirmi interessato di più. Alla storia d’amore, all’“ha ragione lui? ha ragione lei?”, alla storia delle corna. Alla fine, a parte le lacrime, che Ilary scaccia con l’unghia, mi sentivo più interessato semmai alla storia dei rolex, delle borse e delle scarpe. Finalmente qualcosa di palpabile. O alle case dove abitano la mamma e le sorelle di Ilary. Tutte vicine a lei. Già pronto per una miniserie americana. Al fatto che Ilary riconosca a Dagospia lo scoppio del casino mediatico, senza citare mai Mediaset o ricordarci di quel che disse a Verissimo.

A parte la richiesta-capestro di Totti, se lasci tutto, il lavoro, la tv, i social e l’amica infedele…  Ma non è che, malgrado la coincidenza dello scoppio della giusta rabbia delle ragazze in strada dopo l’omicidio della povera Giulia Cecchetin, Ilary sia un esempio così luminoso di donna martoriata dal patriarcato o dal marito. E non racconta nessuna storia terribile del marito, a parte il tradimento con Noemi Bocchi, che non è certo una novità. E alla fine, insomma, se mi chiedo a cosa mi devo interessare rispetto a questa docu-confessione, vi rispondo che non lo so. Però. Certo. L’ho visto.  

Da leggo.it il 27 Novembre 2023

Fabrizio Corona ha seguito attentamente la vicenda della separazione tra Francesco Totti e Ilary Blasi e sostiene che la conduttrice non abbia detto la verità ma abbia solamente voluto mettere in cattiva luce l'ormai ex marito. Nelle sue ultime storie Instagram, l'ex re dei paparazzi ha voluto anche rinfrescare la memoria agli utenti social ribadendo che tutto ciò che, in passato ha sostenuto, ovvero i presunti tradimenti da parte di entrambi (motivo per cui lui e Ilary litigarono in diretta al Grande Fratello), era fondato.

Fabrizio Corona ha registrato delle storie al veleno contro Ilary Blasi: sostiene che non abbia affatto raccontato la verità nel documentario Unica. L'ex re dei paparazzi ha detto: «In questi vent’anni di relazione, di matrimonio, di figli, ci sono varie cose certe che non vengono riassunte in questa storia (Unica, ndr), che dice in parte il falso. Totti amava da morire Ilary e credo che la ami tutt’ora ma l’ha sempre tradita, sempre. 

Ilary, a poco a poco, si è innamorata di Totti ed è diventata famosa e ha cominciato a lavorare grazie a Francesco Totti a cui deve tutto. Dovendogli tutto, lo ha sempre perdonato e ha sempre fatto finta di non vedere. La seconda cosa certa è che Ilary ha cominciato a tradire Totti, il caffè non è solo un caffè, e prima del ragazzo del caffè, ce ne sono stati altri che vi racconteremo.

Qual è stato il vero problema? Che Totti, avendo una concezione patriarcale della relazione, una volta scoperto il tradimento di Ilary, non è riuscito più ad accettarlo e a poco a poco ha consacrato quella relazione che era già da prima iniziata con Noemi Bocchi nell’agosto del 2021. A poco a poco ha deciso di sostituire la vecchia famiglia con la nuova famiglia». 

Infine, Fabrizio Corona ha concluso dicendo: «Ilary ormai indipendente, che i sensi di colpa non li ha mai avuti veramente, è rimasta a guardare la fine del matrimonio studiandosi le carte per vendicarsi e per cominciare la sua battaglia mediatica. Questa storia è veramente complessa e ve la racconteremo sul sito Dillinger News e dalle pagine del nostro Instagram, pezzo per pezzo, nome per nome. Adesso giochiamo noi!».

"Venivano qui spesso". I testimoni smentiscono Ilary Blasi sul presunto amante. Spuntano nuove indiscrezioni sul presunto amante di Ilary Blasi, l'uomo citato nel docufilm "Unica" con cui la conduttrice avrebbe preso solo un caffè. Novella Toloni l'1 Dicembre 2023 su Il Giornale.

Tabella dei contenuti

 Chi è l'uomo del caffè con Ilary Blasi

 La testimonianza dei camerieri

Nella serie "Unica", il docufilm di Ilary Blasi su Netflix, tutto ruota attorno a un caffè. "Uno solo", ha ribadito più volte la conduttrice nel racconto fatto sulla fine del suo matrimonio con Francesco Totti. Secondo le ultime indiscrezioni, però, di caffè ce ne sarebbero stati più di uno tra la Blasi e l'uomo misterioso, il cui nome nel docufilm non viene mai fatto. La testimonianza arriva da alcuni camerieri, che hanno servito i famosi caffè alla coppia proprio a Milano, a due passi dalla stazione; luogo citato dalla stessa Blasi nel suo docufilm.

Chi è l'uomo del caffè con Ilary Blasi

A svelare l'identità del giovane ci aveva già pensato - un anno fa - Fabrizio Corona. Mentre Totti e Ilary si preparavano a darsi battaglia in tribunale per la causa di divorzio, l'ex re dei paparazzi aveva rivelato il nome del presunto amante della conduttrice dell'Isola dei Famosi: Cristiano Iovino. Influencer con la passione per i viaggi, i tatuaggi e la Lazio, Iovino era finito al centro del gossip più caldo del momento e gli inviati di "Non è l'Arena" avevano provato a intervistarlo - senza successo però - per ottenere conferme sulla presunta relazione con Ilary. L'uomo era rimasto in silenzio ma attraverso i suoi avvocati aveva fatto sapere di essere estraneo ai fatti, parlando di "ricostruzioni false e strumentali". E a quel punto uscì fuori un secondo nome, quello di Alessio La Padula, che smentì a sua volta ogni coinvolgimento.

La testimonianza dei camerieri

A oltre un anno di distanza, e con l'uscita a sorpresa del docufilm "Unica", il nome dell'aitante influencer milanese è tornato alla ribalta della cronaca per quel fantomatico caffè, che Ilary Blasi avrebbe preso proprio con lui. Ma la verità potrebbe essere un'altra rispetto a quella raccontata dall’ex letterina su Netflix. A smentire le dichiarazioni di Ilary ci sono le testimonianze di alcuni camerieri del bar sotto casa di Cristiano Iovino, che hanno parlato di più di un incontro tra i due. A rivelarlo è il sito MowMag, che un anno fa si occupò della vicenda e inseguì - senza fortuna - Iovino fuori dalla sua abitazione in cerca di risposte. "I camerieri del ristorante che hanno visto tutta la scena di noi che inseguivamo Iovino, ci hanno dato la notizia: 'Cristiano e Ilary sono stati qui diverse volte, spesso'", riferisce il sito, ricordando che, nel docufilm, Ilary Blasi parla di un caffè preso nell'appartamento del misterioso uomo. "Invece quel giorno, quei camerieri, ci svelano - non sapendo di essere inquadrati dalla telecamera tenuta bassa - di incontri ripetuti, che sanno tanto di una relazione andata avanti per un po'", conclude il portale di informazione.

"Ha tradito anche Ilary". Corona fa i nomi degli amanti della Blasi. Attraverso Instagram Fabrizio Corona è tornato ad accusare Ilary Blasi di infedeltà, facendo il nome di uno dei presunti amanti della conduttrice. Novella Toloni il 27 Novembre 2023 su Il Giornale.

Tabella dei contenuti

 Le parole di Corona

 I presunti tradimenti di Ilary

 "Ecco con chi Ilary ha tradito Totti"

Il racconto fatto da Ilary Blasi nel suo docufilm "Unica"? Falso, almeno in parte. A sostenerlo è Fabrizio Corona, che poche ore fa ha rilasciato pesanti dichiarazioni sulla conduttrice e sul suo matrimonio con Francesco Totti. "Ci sono cose certe che non vengono riassunte in questa storia (Unica, ndr), che dice in parte il falso", ha detto in un video post Instagram l'ex "re" dei paparazzi, dichiarando nuovamente guerra alla Blasi con la quale anni fa si scontrò proprio sul tema dell'infedeltà.

Le parole di Corona

Fabrizio Corona ha sempre sostenuto che Ilary Blasi sia stata infedele tanto quanto Totti all'interno del loro lungo matrimonio, ma non ha messo indubbio l'amore del Pupone per la consorte: "Totti amava da morire Ilary e credo che la ami tutt'ora anche se l'ha sempre tradita, sempre". L'ex "re" dei paparazzi ha invece messo nel mirino Ilary Blasi: "A poco a poco si è innamorata di Totti ed è diventata famosa e ha cominciato a lavorare grazie a Francesco Totti a cui deve tutto. Dovendogli tutto, lo ha sempre perdonato e ha sempre fatto finta di non vedere". Secondo Corona, insomma, la conduttrice avrebbe sempre saputo delle "scappatelle" del capitano della Roma ma avrebbe taciuto.

I presunti tradimenti di Ilary

Fabrizio Corona ha rivelato che nel corso della loro relazione anche Ilary Blasi avrebbe avuto relazioni extraconiugali, delle quali il Pupone però non sapeva nulla, almeno fino al fantomatico caffè. "La cosa certa è che Ilary ha cominciato a tradire Totti, il caffè non è solo un caffè, e prima del ragazzo del caffè, ce ne sono stati altri che vi racconteremo", ha raccontato su Instagram l'ex di Nina Moric, che poi ha parlato dei motivi che avrebbero portato all'addio: "Totti, avendo una concezione patriarcale della relazione, una volta scoperto il tradimento di Ilary, non è riuscito più ad accettarlo e a poco a poco ha consacrato quella relazione che era già da prima iniziata con Noemi Bocchi nell'agosto del 2021".

"Ecco con chi Ilary ha tradito Totti"

Prima di concludere il suo video, Corona ha lanciato altre accuse contro Ilary Blasi: "Lei ormai indipendente e i sensi di colpa non li ha mai avuti veramente. È rimasta a guardare la fine del matrimonio studiandosi le carte per vendicarsi e per cominciare la sua battaglia mediatica". Fabrizio ha parlato di una storia complessa, promettendo nuove scottanti rivelazioni che sono arrivate subito con tanto di nome e cognome di uno dei presunti amanti della Blasi: "Durante le riprese del programma Star in the star avrebbe avuto un flirt con il cantante e ballerino Alessio la Padula proveniente dal talent show Amici di Maria De Filippi". Già un anno fa Corona fece questo nome, ma Padula smentì tutto su Instagram così oggi Fabrizio è tornato alla carica: "Ho incontrato Alessio nella palestra di un famoso hotel a Poltu Quatu, e mentre scherzava e rideva, ironizzava sul tradimento di Ilary fatto proprio con lui". Tutto, sostiene Corona, documentato con prove audio.

Corona fa il nome dell'ex ballerino di Amici: "Blasi ha tradito Totti con lui". Libero Quotidiano il 28 novembre 2023

Fabrizio Corona torna a parlare della coppia Ilary Blasi-Francesco Totti. L'ex re dei paparazzi smentisce la versione della conduttrice sulla separazione dal fu capitano della Roma. Nel documentario sulla sua vita, Unica, la Blasi ha detto: "Totti non mi ha trovata che sco***o con un altro. Lui mi faceva sentire in colpa per un caffé". Eppure per Corona le cose non sarebbero andate così. "Ilary Blasi avrebbe tradito Totti con Alessio La Padula, ancor prima del ragazzo del caffè, di cui domani vi diremo nome e cognome, raccontando la storia che si cela dietro", è la bomba sganciata dall'imprenditore.

E ancora: "Ilary Blasi durante le riprese del programma Star in the Star avrebbe avuto un flirt con il cantante e ballerino Alessio La Padula proveniente dal talent show Amici. La notizia era stata data già da Fabrizio Corona nel 2022, ma il ballerino aveva smentito attraverso una storia Instagram". L'ex paparazzo avrebbe infatti un rapporto abbastanza stretto con La Padula e con i suoi conoscenti.

Qual è stato il vero problema per Corona? "Che Totti, avendo una concezione patriarcale della relazione, una volta scoperto il tradimento di Ilary, non è riuscito più ad accettarlo e a poco a poco ha consacrato quella relazione che era già da prima iniziata con Noemi Bocchi nell’agosto del 2021". Da qui l'accusa conclusiva al volto di Mediaset: "Ilary ormai indipendente, che i sensi di colpa non li ha mai avuti veramente, è rimasta a guardare la fine del matrimonio studiandosi le carte per vendicarsi e per cominciare la sua battaglia mediatica".

La letterina e il campione. “Unica” è la storia di Ilary, ma è anche uno scaldamutande di documentario. Guia Soncini Linkiesta il 25 Novembre 2023

Il docufilm Netflix sulla Blasi, ex moglie di Totti, non dice nessuna delle cose che fa venir voglia di sapere, l’unico pregio è che lei sa essere stronzissima e conosce l’importanza di regalare citazioni citabili. La speranza è che almeno ci sia un sequel al maschile con protagonista Pupone

«A riguardarmi, una cretina». “Unica” è a due terzi quando smette di essere il «non prendetevela: prendetevi tutto» di una città che al posto delle socialite di Park Avenue ha le vallette; quando non è più solo la storia arcitaliana d’una quarantenne che se sospetta che il marito la tradisca chiama la mamma in lacrime; quando diventa la storia di tutti gli adulteri.

La storia di tutte le smentite del fedifrago, e tu che ci credi, tu che decidi che sono pettegoli gli altri, mica cornuta tu, e tieni il punto e dici ma-che-ne-sapete-voi, solo che se sei Ilary Blasi coniugata Totti non vai a dirlo a cena con le cognate ma in tv.

È perfetto e inverosimile come sa sceneggiarlo solo la realtà che, dal programma con Gerry Scotti nel quale si sculettava in mutande, siano usciti due pezzi della classe dirigente del secolo successivo. È perfetto che le due Letterine rimaste famose abbiano sposato una Francesco Totti e una Piersilvio Berlusconi, e quando si è trattato di andare a dire «ma quali corna» in tv la prima sia andata dalla seconda.

Nella storia di tutti gli adulteri c’è anche il dettaglio che abbiamo vissuto se non tutte noi almeno una nostra amica (più spesso: decine di nostre amiche): la moglie che, a corna ancora smentite, scopre che la sua prole viene portata fuori, dal fedifrago, coi figli dell’altra donna. Tu a mia figlia la tua amante non gliela fai incontrare capitoooo.

Ilary passa “Unica” a fare l’unica cosa che facciano le donne di successo in questo secolo: a dirci che non è unica ma tale e quale a noi. A dire «metterci la faccia», a fare la vittima di sessismo che «lui lo chiamavano “campione” e me “ex Letterina”», a piangere: Ilary piange benissimo, sembra proprio una di noi cornute a reddito inferiore.

Netflix non pensa che io voglia vedere “Unica”: non me lo propone in nessun punto della pagina di apertura della app (definita da un critico americano «il più prezioso metro quadro che si possa affittare»: siamo pigri, clicchiamo su quel che ci propongono, mica insistiamo a cercare qualcosa per cui avevamo aperto la app, ammesso che quel qualcosa esista).

All’inizio penso che sia un limite – che diamine potrà mai voler vedere, un’italiana, il mattino in cui esce la versione di Ilary Blasi: veramente mi proponete “Suburra” e Zerocalcare e “Lidia Poët”? – poi mi viene il sospetto che si stiano tutelando.

Mi viene il sospetto che non vogliano rischiare che ci clicchi gente che qualche giornale straniero ogni tanto lo sfoglia, e sa come funzionano e sa che per fare più d’un articolo su qualcosa quel qualcosa dev’essere come minimo una guerra, e riderà in faccia a Netflix quando l’esperto italiano dirà senza ironia che il New York Times ha pubblicato «decine di articoli» sulla separazione Totti/Blasi (articoli pubblicati sul tema dal NYT: uno).

“Unica” è uno scaldamutande dei documentari: non mi dice nessuna delle cose che mi fa venir voglia di sapere. La premessa è che, prima del vero tradimento con Noemi Bocchi, Francesco Totti colpevolizza la moglie per aver preso un caffè con un tizio.

Il caffè Ilary l’ha preso, a casa di questo misterioso tizio, assieme ad Alessia, la sua parrucchiera (puoi togliere a una ragazza il costume da Letterina, ma non puoi farne una che non si scelga come amiche le sorelle, le cognate, la parrucchiera: non capisco cos’aspetti la sociologia a raccontarci lo schema sempre uguale degli arricchiti che frequentano solo il loro staff, staff perlopiù fatto di parenti).

Ci fanno vedere persino le schermate di WhatsApp, e sentire gli audio con cui viene concordato questo caffè, eppure non si capisce niente: chi è questo ragazzo? Dove l’hanno trovato? Dai messaggi scambiati con la parrucchiera, che gli chiede persino se sia italiano, è chiaro che vanno a casa sua a prendere un caffè senza averlo mai incontrato prima.

Una delle donne più famose d’Italia va a casa d’uno sconosciuto? È questo quel che succede quando ti circondi di parenti e parrucchieri invece che di consigliori che sappiano dirti cosa non fare?

Tutto questo nessuno ce lo spiega, così come non ci spiegano l’allontanamento di Totti dal cugino, cugino che era «come un fratello», e la cui moglie è una delle migliori amiche di Ilary. Quindi il documentario che sono riusciti a tenere segreto fin quando Netflix non l’ha annunciato ufficialmente (bravissimi: l’unico documentario che vorrei vedere è quello sull’impresa impossibile di tenere un segreto a Roma) è stato girato coinvolgendo la moglie d’un cugino di colui che meno di tutti doveva saperlo. Me lo volete spiegare, questo nodo? Macché.

A un certo punto Ilary e questa moglie di cugino e le altre vanno a Londra, dove finalmente possono girare per strada e Ilary può trasecolare perché la prendono per russa (e la vedete quarantenne e ripulita e con le unghie normali, cari passanti londinesi: aveste visto la french quadrata con cui si sposò ventiquattrenne, chissà per cosa l’avreste presa).

Giacché a Roma puoi miracolosamente tenere il segreto del documentario su Ilary, ma certo non puoi farlo portandola nei posti dove vi vedrebbero; sarebbe stato bello farla parlare di suo marito all’Olimpico, ma non si poteva fare: stiamo parlando della tizia il cui matrimonio in diretta televisiva segnò la fine d’un’epoca, anche se allora non lo sapevamo.

Nel 2005 mancavano tre anni alla diffusione di massa dei social, e cinque a Instagram: le nozze Blasi/Totti andarono in diretta su Sky, come si usava nel secolo scorso, come quelle della Diana Spencer che si poteva permettere un paese senza star system.

Per parecchio tempo è sembrato che la storia non finisse, o almeno non male come quella di Diana e Carlo, ma poi sono arrivati i Rolex, le borsette, la più ridicola trattativa di divorzio di queste sciamannate lande. La Blasi, che in “Unica” racconta di non aver ceduto subito alla corte di Totti perché non voleva essere «un nummmero», è diventata la rapitrice degli orologi del marito («Quindi praticamente non solo mignotta, pure ladra»: se c’è una cosa che emerge dal documentario è che Ilary Blasi conosce l’importanza di regalare citazioni citabili).

Totti è diventato quello che le aveva preso le Chanel (intese come borse). Nel frattempo su Instagram arrivavano il diciottesimo di Cristian, con un décor che faceva sembrare minimal i Casamonica, e la vita quotidiana di Chanel (intesa come figlia), le cui unghie fanno sembrare la madre una dilettante: Ilary è una Visconti di Modrone, in confronto alla seconda generazione di ricchezza dei Totti.

(Ma per fortuna non lo è, sennò non ci direbbe mai, raccontando dell’investigatore da cui fa pedinare il marito, che mentre quello la tradiva «il bello è che la sera prima mi cercava, sessualmente»: dio benedica le ragazze non particolarmente ben nate, perché da esse ci vengono le uniche storie che valga la pena ascoltare, quelle non particolarmente beneducate).

Ovviamente “Unica” è una biografia autorizzata, e quindi la carriera di Ilary, che inizia a condurre reality quando i reality muoiono, ci viene presentata come poco meno di quella di Raffaella Carrà, e come insanabile ferita all’ego del marito che contemporaneamente veniva pensionato dal calcio.

Ilary Blasi sa essere stronzissima, come ricorda chiunque vide in tv la sua tirata contro Fabrizio Corona; tirata che era, come un po’ è anche “Unica”, un interessante trattato sulle classi sociali: in quel caso, era uno scontro tra una burina ripulita e uno ben nato ma determinato a imburinirsi.

Ilary Blasi sa essere stronzissima, e ce ne ricordiamo quando rievoca l’addio al calcio del marito, una diretta televisiva che, ancora una volta, sostituiva la nostra mancanza d’uno star system, così disperante da farci accontentare dell’ultima partita d’un calciatore locale.

(Se Francesco Totti fosse uscito dall’utero romano, se fosse andato a giocare all’estero, se non avesse preferito essere un imperatore locale all’avere una vera carriera, Ilary Blasi sarebbe stata una Victoria Beckham? Non lo sapremo mai).

Ilary Blasi sa essere stronzissima, dicevo, e lo si capisce quando butta lì, in levare, come non fosse la frase che resta d’un’ora e venti di documentario, come non fosse l’immagine che d’ora in poi verrà associata a Francesco Totti sempre e per sempre, che per giorni, settimane, suo marito «era sul divano a vedere a loop l’addio».

È un’immagine più convincente di quella evocata dalla madre di Ilary, convinta che Totti sia un uomo raffinato, che spiega che all’inizio, quando lui aveva preso a frequentare la loro umile casa, era un po’ imbarazzata, pensandolo abituato ad ambienti più eleganti.

Speriamo che sia più vero l’identikit da ex povero di quello da ex principe, altrimenti non possiamo sperare nelle speculari rivelazioni dell’ex marito, in un prossimo “Unico” dal quale avere un’altra versione sui doppifondi in cui nascondere accessori di Hermès; ma, soprattutto, un’intervista in cui il marito ci sveli dove la moglie e la parrucchiera avessero trovato il misterioso tizio dell’inspiegabile caffè.

Ilary Blasi e Totti: «Volevo vedere con i miei occhi e avere delle prove, lui non l'avrebbe mai ammesso: ecco cosa è successo il 2 luglio». Renato Franco su Il Corriere della Sera venerdì 24 novembre 2023.

Su Netflix arriva «Unica», il docufilm in cui la conduttrice parla per la prima volta della fine della sua storia d’amore con Francesco Totti: «Una sera andiamo a cena e comincio a notare un marito diverso: da lì un disastro»

«Non potevo credere che l’uomo che è stato accanto a me per vent’anni, che ha sempre detto di amarmi, che giurava che senza di me non poteva vivere, avesse fatto una cosa del genere: mi sono sentita stupida, poi ho provato delusione, schifo, un po’ di rabbia»: Ilary Blasi racconta così, tra le lacrime, la fine del rapporto con Francesco Totti in Unica — il docufilm di Netflix prodotto da Banijay Italia dove la conduttrice accetta di parlare per la prima volta della fine della sua storia d’amore con l’ex capitano della Roma.

Il nodo centrale è il tradimento di Totti con Noemi Bocchi. Le famose foto rivelate da Dagospia che immortalavano l’attuale nuova fidanzata seduta allo stadio poche file dietro di lui, l’inizio del precipizio che porterà alla definitiva rottura.

Quando esce il nome di Noemi Bocchi, lei pensa a una bufala, del resto lui nega: «Giura davanti a me e davanti ai miei figli che era tutto inventato. Lo giura». Così quando Ilary va a Verissimo per lanciare l’Isola dei famosi non ha dubbi, attacca tutti, usa parole dure contro stampa e media: «Lui mi aveva rassicurato: puoi dire quello che vuoi, non ho niente da nascondere. E io sono andata lì come un kamikaze, a bomba: a riguardarmi una cretina».

I primi sospetti di Ilary cominciano quando Francesco Totti porta la figlia più piccola fuori a pranzo e la bambina torna casa con un mucchio di giochi nuovi. «Mi dice che sono dei regali, che ha conosciuto nuovi amichetti, mi fa i nomi e a quel punto mi ricordo dagli articoli di giornale che questa ragazza (Noemi, ovviamente) aveva due figli. Inizio a unire i puntini e faccio qualche chiamata per scoprire come si chiamavano i ragazzini: coincideva tutto. E prendo coscienza del fatto che è tutto vero».

La favola di Cenerentola e del Principe Azzurro sta venendo giù insieme a tutto il castello, ma Ilary vuole essere sicura: «Volevo vedere con i miei occhi e volevo avere delle prove, perché Francesco non l’avrebbe mai ammesso. La sera del 2 luglio dice che ha una cena. Io riesco a trovare il civico dove abitava la ragazza, arriviamo (si era fatta accompagnare da un’amica, Giorgia, moglie del cugino di Francesco) e c’era la macchina parcheggiata. Ho fatto una foto all’auto, ma sono stata zitta».

Per fugare ogni dubbio sull’infedeltà del marito infatti ingaggia un investigatore privato. «Ma l’investigatore si è fatto sgamare, siamo al tragicomico: quindi Francesco sa che io so. A questo punto gli dico: dai basta, so tutto. Lo metto all’angolo, ammette il tradimento ma ne parla come di una frequentazione leggera: era bravo a dire cazzate». Ilary non può accettarlo: «È stata un’umiliazione come donna e come madre».

Quella tra Francesco Totti e Ilary Blasi è stata una storia anche di Rolex e Chanel (le borse, i figli), ma era iniziata «per amore, non per soldi»: «Francesco l’ho difeso contro Spalletti e contro Corona, l’ho difeso perché ho sempre creduto a mio marito». Una rapporto sereno per 20 anni: «Mai grandi litigate, facevamo sesso regolarmente, forse anche di più rispetto a coppie che stanno insieme da tanto tempo».

Nota a margine. Il docufilm è una storia con tante donne protagoniste: Ilary ovviamente, ma anche la mamma, le due sorelle, le amiche sempre al fianco. Una storia che tra tanti retroscena ne svela uno più inquietante di tutti, quando Totti detta le sue condizioni per tornare ad avere fiducia in lei: «Non devo vedere mai più la mia amica Alessia, devo cancellarmi dai social e smettere di lavorare». Una parabola che rivela una mentalità che in questi giorni fa riflettere ancor di più: lui sempre chiamato l’ex capitano, lei definita con perfidia l’ex letterina…

Dai gossip al tribunale, dalla maglia «Sei unica» a due anni di liti: Totti e Ilary Blasi, cosa è successo. Giovanna Cavalli su Il Corriere della Sera venerdì 24 novembre 2023.

A febbraio 2021 le prime voci sulla crisi, le smentite e poi la separazione. Ecco che cosa è successo da allora a oggi

Ilary Blasi sarà pure «unica», invece le cause che la vedono in guerra con il suo ex Francesco Totti, da tre che erano, sono diventate quattro. Dopo quella di divorzio (prossima udienza il 24 gennaio 2024), la disputa sull’impianto sportivo della Longarina (restituito al Capitano) e il primo capitolo della saga dei Rolex (incentrato sul possesso dei preziosi orologi e risolto con un provvisorio affido congiunto), la conduttrice tv – che nel docufilm su Netflix si commuove per la crisi del suo matrimonio con Totti: («L’ho sposato per amore, non per soldi») - finite le lacrime, è tornata alla carica. 

Presentando una nuova istanza al tribunale civile con cui stavolta rivendica la proprietà dei Rolex e denuncia (ancora) la sparizione di abiti, accessori e gioielli. Prima udienza il 4 dicembre, stesso giudice, Francesco Frettoni, che non ha accolto le sue precedenti richieste. E via con la seconda stagione della serie che più appassiona i rispettivi sostenitori.

La fine del matrimonio dopo 17 anni

Un succoso spin-off della vicenda principale, ovvero la fine di un amore che pareva indistruttibile. Quello tra il Capitano e la Letterina più bella di tutte, 20 anni e quasi 17 di matrimonio, tre figli (Cristian, Chanel e Isabel), gol, dediche appassionate («Sei unica», appunto, scritto sulla maglietta mostrata dal numero 10 giallorosso dopo il pallonetto del 5 a 1 nel derby del 2002), foto al tramonto, estati a Sabaudia, quando non c’era Totti senza Ilary e viceversa.

La «bomba» di Dagospia

In quasi due anni è successo di tutto e di più. Da quando, il 21 febbraio del 2022, il sito Dagospia lanciò la bomba: «La favola Totti & Ilary alle battute finali? Durante una gitarella familiare al lago di Castel Gandolfo, sarebbe esploso l’ennesimo litigio tra l’ex capitano della Roma e la conduttrice del Biscione». Il giorno dopo Roberto D’Agostino pubblica la foto di Noemi Bocchi allo stadio Olimpico, seduta qualche fila dietro Francesco, presentandola come il suo nuovo amore. Segni particolari: una evidente somiglianza con Ilary, appassionata di padel e grande tifosa giallorossa. 

Prima la doppia smentita, poi le ammissioni

Il tempo di accusare il colpo e la conduttrice dell’Isola dei Famosi, per smontare il pettegolezzo, posta una foto di tutta la famiglia al ristorante, mentre Totti, cupo e spalle al muro, registra un video pubblicato sui social in cui accusa la stampa di diffondere false notizie senza curarsi della serenità dei minori coinvolti. Una doppia smentita poco convincente. In realtà, come ammetterà lui stesso mesi dopo («La nostra storia è iniziata dopo Capodanno 2022»), lui e Noemi già si frequentavano di nascosto. Ilary gli chiede spiegazioni, lui nega. E lei si avventura in un’intervista a Verissimo con cui rinfaccia ai giornalisti di aver fatto una gran brutta figura.

L'annuncio della separazione

A metà giugno – ma si apprenderà soltanto dopo – Ilary Blasi con un blitz porta via la collezione di Rolex del marito, del valore di oltre 1 milione di euro. L’11 luglio, con un doppio comunicato stampa (non si mettono d’accordo nemmeno su quello), Francesco e Ilary annunciano la separazione. Più fredda lei, più contrito lui. Il giorno dopo Ilary parte per la Tanzania e Zanzibar con la sorella Silvia e i ragazzi. Torna, riparte, torna, riparte, fino a fine agosto. Immortala ogni momento su Instagram. Scatti in bikini, stesa come una sirena sulla barca, in montagna, dalla nonna Marcella. Totti resta a Sabaudia. Noemi però viene avvistata al Circeo, poco lontano. Il suo ex marito, Mauro Caucci, da cui si sta separando, dichiara sarcastico: «Totti ha tutta la mia comprensione, io so bene cosa c’è dietro l’immagine di mia moglie».

Totti: «Non ho tradito io per primo»

 Gli avvocati preparano le carte bollate per la separazione Totti-Blasi. Alessandro Simeone per Ilary, Antonio Conte e Annamaria Bernardini de Pace per l’ex calciatore. L’11 settembre sul Corriere esce l’intervista-confessione del Capitano con Aldo Cazzullo. Con cui Francesco fa risalire l’inizio della crisi coniugale alla primavera del 2021 e ammette la love story segreta. Ma precisa: «Non ho tradito io per primo. Ho trovato messaggi compromettenti sul cellulare di Ilary, è stato uno choc». E racconta pure del “ratto dei Rolex”, che Ilary ha prelevato dalla cassetta di sicurezza cointestata con l’aiuto del padre Roberto. 

Il gelo tra Francesco e Ilary 

Lui, per rappresaglia, le ha nascosto cento paia di scarpe e costose borse griffate. Ritrovate, tempo dopo, negli sgabuzzini della mega-villa all’Eur da 1.500 metri quadrati, in cui a lungo continuano a vivere insieme da separati in casa. Comunicando il meno possibile, spesso soltanto via Whatsapp. I rapporti sono pessimi. A un certo punto lei farà cambiare la serratura di casa. Un detective sostiene di essere stato assoldato dalla conduttrice tv per pedinare e spiare Francesco Totti con Gps, camere a infrarossi, auto e moto civetta. Costo della parcella: 75 mila euro. Spuntano i nomi dei presunti flirt di Ilary.  Il più gettonato è Cristiano Iovino, personal trainer muscoloso e giramondo, pendolare tra Roma e Milano, che le sarebbe stato presentato dall’amica Alessia Solidani, la sua parrucchiera di fiducia dai tempi delle nozze all’Ara Coeli il 19 giugno 2005. 

La battaglia legale per i Rolex

La guerra borsette contro Rolex finisce in tribunale. Prima udienza il 14 ottobre 2022. Ilary intanto provoca: e si fa fotografare davanti a una boutique del marchio svizzero mentre mima il gesto di chi sgraffigna qualcosa. Francesco non si diverte per niente. Il 17 novembre, a Dubai per i Globe Soccer Awards, fa la sua prima uscita pubblica con Noemi, che al dito porta un vistoso anello di diamanti, con una gemma di 7 carati, valore stimato sui 300 mila euro. E si separa pure dall’avvocato Bernardini de Pace, affidandosi unicamente allo storico legale Antonio Conte.

Nella vita di Ilary entra Bastian Muller

Pochi giorni dopo appare all’orizzonte Bastian Muller, aitante imprenditore tedesco di 36 anni, nuovo compagno di Ilary Blasi. I due vengono fotografati a Zurigo, durante un weekend romantico. A Capodanno 2023 volano in Thailandia. Poi a Parigi, poi a Monaco di Baviera, in Brasile. Il “Vichingo” viene presentato in famiglia. Dorme nella villa coniugale, suscitando l’ira del Capitano, ma tant’è. Francesco fa le valige e si trasferisce in un attico di Roma Nord con Noemi e i suoi bambini, Sofia e Tommaso.

L'affido condiviso dei figli

 Ad aprile 2023 il giudice Simona Rossi emette i provvedimenti provvisori urgenti sulla separazione. Per il mantenimento dei figli Ilary riceve 12.500 euro al mese. Ne aveva chiesti almeno 24, sperava in 18, ne ottiene la metà. Le spese straordinarie (viaggi, svago, cure mediche) sono divise al 50 per cento. A parte quelle scolastiche, che per il 75 per cento dovranno essere sostenute da Totti. La super-villa dell’Eur (che ha costi di manutenzione stellari) è assegnata a Ilary e ai figli, per i quali però l’affido è condiviso. La prima udienza, il 20 settembre 2023, è solo tecnica. La seconda viene fissata per il prossimo 24 gennaio. I legali delle due parti hanno presentato voluminose memorie con prove, accuse, dossier, testimoni. Entrambi richiedono l’addebito per l’altro. Ilary punta il dito contro Noemi. Totti ribadisce che non è stato lui ad esserle infedele per primo. Ed è pronto a fare nomi e cognomi dei flirt di Ilary.

Longarina, il centro sportivo conteso

 La lite si sposta pure sul centro sportivo della Longarina, che ospita la scuola di calcio di Totti, gestito negli ultimi tempi da una società che fa capo a Silvia Blasi. L’ex 10 giallorosso pretende di rientrarne in possesso. La cognata, per ripicca, chiude i cancelli. Francesco ottiene lo sfratto forzoso. E procede al pignoramento dei beni della cognata per circa 190 mila euro di canoni di affitto non pagati. Lei presenta opposizione, non è ancora finita.

La battaglia infinita per i Rolex

 Il giudice che decide sulla sorte dei Rolex contesi alla fine stabilirà una sorta di affido congiunto. Ilary mesi dopo fa ricorso, sostenendo che fossero regali per lei, la corte di appello lo respinge. E le ordina di riportare indietro gli orologi, a disposizione di entrambi i contendenti. Si arriva ad agosto 2023. Dopo continui rinvii, a ottobre tre Rolex, tra cui l’esclusivo Daytona Rainbow, tornano a casa, in una nuova cassetta di sicurezza cointestata. Sono soltanto quelli, però. Secondo Totti ne mancano almeno altri 4/5. In realtà nella cassaforte ce ne sarebbero stati almeno 12. Non si sa bene che fine abbiano fatto. Non sono ancora ricomparsi. Ora Ilary ne rivendica la proprietà con una nuova causa. Nell’entourage di Totti qualcuno sospetta che stia cercando di prendere tempo. Il timore è che, per qualche motivo, non li abbia più.

E arriviamo a questi ultimi giorni. Mentre Netflix manda in onda il docufilm su di lei, Ilary vola a New York con Bastian, con cui festeggia un anno d’amore giusto giusto. Francesco, che è appena stato a ritemprarsi alle terme di San Quirico D’Orcia con Noemi e i figli acquisiti, si è riconciliato con Luciano Spalletti. Con Ilary invece sarà dura, ancora di più dopo la programmazione di «Unica». Nella sua più recente intervista a Veltroni il campione del mondo 2006 si augurava di trovare con l’ex moglie «un nuovo equilibrio». Ma per ora appare soltanto un pio desiderio.

Bernardini De Pace allo scoperto: "Perché non difendo più Totti contro la Blasi". Libero Quotidiano il 03 novembre 2023

Sulla carta, Annamaria Bernardini De Pace era l'arma (legale) segreta in mano a Francesco Totti per vincere la guerra in tribunale con l'ex moglie Ilary Blasi. Tra figli, eredità, borse e Rolex, si preannunciava uno scontro titanico a suon di veleni ma la regina degli avvocati divorzisti ha gettato la spugna già nel novembre del 2022: non sarà lei a difendere gli interessi dell'ex capitano della Roma e ora spiega per la prima volta il motivo. 

"È andata così perché c'era troppa gente intorno, io sono una prepotente e volevo comandare", ha commentato con un pizzico di ironia al settimanale Sette. Intervistato da Walter Veltroni per il Corriere della Sera, proprio giovedì lo stesso Totti aveva regalato parole inaspettatamente concilianti per la Blasi: "Noi due abbiamo passato venti anni insieme, con tanti momenti molto belli. Ora vorrei solo che trovassimo un equilibrio tra noi capace di proteggere i ragazzi che sono la più grande ragione, per ambedue, di amore". Forse insomma, dopo la rabbia successiva alla separazione, i due ex coniugi avrebbero intenzione di siglare la pace.

La Bernardini De Pace da tempo sostiene che in questo tipo di cause, oggi, la vera parte debole è l'uomo: "Sono loro le vere vittime. Quando ho cominciato a occuparmi del diritto di famiglia, nel 1987, le donne erano la parte debole: venivano trattate a qualsiasi livello sociale come baby sitter di lusso. Anche l’assegno che veniva dato loro era ridicolo, così a fine anni Ottanta ho sviluppato il concetto di tenore di vita che purtroppo l’anno scorso la Cassazione ha eliminato. Ma le donne nel frattempo hanno raggiunto gli uomini come capacità economiche – continua – Quindi no ha senso che vengano gratificate di qualcosa che possono fare da sole. Ora devo proteggere la parte debole. In questo momento ho il 70% degli uomini come miei clienti perché voi non avete idea di cosa sono diventate le donne. Prepotenti, arroganti, furbe".

Il primo obiettivo della divorzista-vip è pensare a bambini e ragazzini: "Ai miei clienti dico: voi grandi mi pagate, ma io difendo i vostri figli, non voi. Ho mollato un sacco di clienti rinunciando al mandato perché non rispettavano i loro figli". Di lei, aveva dato un commento durissimo Gabriele Muccino: "L'ho conosciuta bene. L'ho avuta come controparte in un divorzio orribile che ha rovinato un figlio e seminato veleno per 5 anni. Veleno che è rimasto radioattivo con strascichi mai più sanati. Un divorzio cadenzato da illazioni pericolose puntualmente riprese da Chi, un divorzio portato avanti a forza di denunce penali totalmente pretestuose e inventate: 8 in tutto. tutte archiviate senza fatica. Erano fumo, erano latrare di cani, armi per spaventarmi, erano la tattica e la strategia che questa nota avvocatessa romana adotta schiacciando vite di persone che si sono amate come fossero noci. I figli? Traumatizzati a vita".

Anna Maria Bernardini de Pace: «Volevo fare la mamma, dopo la separazione lavoravo pure la domenica. Oggi difendo più volentieri gli uomini: ecco perché». Maria Luisa Agnese e Greta Sclaunich su Il Corriere della Sera sabato 4 novembre 2023.

Due figlie da giovanissima, la separazione dal marito. L’avvocata divorzista più famosa d’Italia si racconta: «Le mettevo davanti alla tv. Ho ancora il senso di colpa. Oggi gli uomini sono il 70% dei miei clienti: le donne che incontro sono prepotenti, arroganti e furbe»

Temutissima e aggressiva come avvocata di famiglia («so che dicono che sono una strega”), Anna Maria Bernardini de Pace ha una storia di mamma a tempo pieno di due figlie molto amate: racconta della sua primaria vocazione materna nella casa di Ameglia, provincia di La Spezia, costruita tra il bosco e il mare, sede di uno dei suoi uffici. Qui hanno passato il primo lockdown, tutte insieme con le figlie e i nipoti: «Molte famiglie nelle stesse condizioni si sono sfasciate, per me è stato il periodo più bello della mia vita. Eravamo in nove e ci siamo anche scannati, ma li avrei tenuti lì per sempre».

Anna Maria Bernardini De Pace è nata a Perugia nel 1948. Sposata con Francesco Giordano dal 1970 al 1976, ha due figlie: Chiara e Francesca. È avvocata esperta in diritto di famiglia

È diventata mamma giovanissima.

«Sono rimasta incinta a 22 anni e Francesca è nata che ne avevo appena compiuti 23. Con mio marito era grandissimo amore, forse l’unico vero amore della mia vita, anche se ne ho avuti tanti. Ero così innamorata che, pur essendo molto libera e molto prepotente, mi ero messa nelle sue mani con il programma di avere 12 figli».

Agnese: Dunque, pur essendo la donna pubblica che tutti conoscono, non ha sofferto quell’ambivalenza fra maternità e carriera che oggi molte ragazze sentono.

«No assolutamente. Da quando ho conosciuto mio marito, all’università perché era il mio professore, immediatamente il mio sogno è stato quello di sposarmi con lui e l’ho fatto esattamente 9 mesi dopo. Lasciando l’università, e con gioia, perché me l’aveva chiesto».

Sclaunich: Quindi era pronta a fare la mamma e basta?

«Volevo fare la mamma e basta tutta la vita. Le mie figlie sono state in assoluto l’emozione più grande che abbia avuto. Sia le gravidanze, anche se difficili, sia il parto. Ho introdotto alla Macedonio Melloni il parto in piedi, la mamma attaccata alle sbarre del letto e la bambina fatta scendere, con le ostetriche che gridavano perché allora andava solo il parto sdraiata».

Sclaunich: Nella sua vita c’è un filo conduttore, mi pare: si è sempre molto fidata del suo istinto.

«Sempre, anche adesso che ho 75 anni. Sono convinta che noi donne abbiamo nella pancia - perché le decisioni nostre sono di pancia - una potenza superiore a quella del cervello».

Sclaunich: Quando sei incinta tutti dicono «devi fare questo e quello», però dicono anche «segui l’istinto».

«A me nessuno ha dato tante regole. Forse perché la mia esperienza di maternità era nata da piccola: ero la più grande con tre fratelli maschi, mia mamma insegnava e usciva la mattina presto per andare a scuola, vivevamo a Chiavenna, in Valtellina, dove mio padre era pretore, e anche lui usciva alle 8 e 30. Fin da quando avevo cinque anni portavo i miei fratelli all’asilo. Certo in un paese dove tutti ci conoscevamo era più facile, anche se mio padre mi aveva già insegnato a leggere perché io per la strada dovevo saper far fronte».

Agnese: È cresciuta con la maternità incorporata.

«Sì, i miei fratelli sono più figli miei che di mia madre. Quando finalmente ho potuto avere le mie figlie è stata un’esplosione di gioia fin dal momento in cui ho saputo di essere incinta».

Agnese: Se con questa sua propensione alla maternità non fosse riuscita ad avere figli?

«Non l’ho mai contemplato. Però da 40 anni faccio l’avvocato e tutti i praticanti che ho avuto, più di quattrocento, li ho trattati come figlie e figli. Quindi ho anche il senso della maternità non biologica. Per me normale è essere così, so che non potrei mai fare la politica. Per esempio io trovo Giorgia Meloni la vera femminista non tossica perché si mette al livello degli uomini: la apprezzo per questo, non ne sarei mai capace ma trovo che sia una forza che lei sia così».

Agnese: Sicura che possa essere quello il modello per le donne?

«Non lo so, ma la ammiro per questo. Io per essere esageratamente madre sono stata 5 anni da una psicanalista junghiana, che mi ha detto che sbagliavo a farmi coinvolgere troppo. Ero andata perché per il mio lavoro mi occupo di dolori familiari e non riuscivo più a distinguere il dolore dei clienti dal mio. Ho scelto una junghiana perché avevo sempre letto Jung come produttivo di aspetti benefici per il futuro, anziché come Freud indagatore degli aspetti malefici del passato. E lei ha subito notato in me questo esagerato esprimersi nella maternità, anche se poi mi sono fermata quando è finito l’amore. Per me è dall’amore che devono nascere i figli ed è con amore che devono crescere. Tanto che dico ai miei clienti: voi grandi mi pagate, ma io difendo i vostri figli, non voi. Ho mollato un sacco di clienti rinunciando al mandato perché non rispettavano i loro figli».

Agnese: È andata così nel caso Totti?

«È andata così perché c’era troppa gente intorno, e io sono una prepotente e volevo comandare».

Sclaunich: Ha detto che oggi difende più volentieri gli uomini perché sono il sesso debole.

«Oggi sono loro le vittime. Quando ho cominciato a occuparmi del diritto di famiglia, nel 1987, le donne erano la parte debole: venivano trattate a qualsiasi livello sociale come baby sitter di lusso. Anche l’assegno che veniva dato loro era ridicolo così a fine anni Ottanta ho sviluppato il concetto di tenore di vita che purtroppo l’anno scorso la Cassazione ha eliminato. Ma le donne nel frattempo hanno raggiunto gli uomini come capacità economiche e quindi non ha senso che vengano gratificate di qualcosa che possono fare da sole. Ora devo proteggere la parte debole: in questo momento ho il 70 per cento di uomini come miei clienti perché voi non avete idea di cosa sono diventate le donne. Prepotenti, arroganti, furbe».

Sclaunich: È arrivata al top della carriera e della realizzazione senza rinunciare a niente, alla fine?

«Ho rinunciato a tantissimo perché quando mi sono separata da mio marito è stato un grandissimo dolore, non avrei mai voluto rubare la famiglia alle figlie. Però mi sono detta: io sono un esempio per queste ragazze, che erano sui dieci anni, non possono crescere con me che accetto tutto per rimanere sposata. Ero una grande femminista perché combattevo, andavo a fare le dimostrazioni con Pannella, facevo cose forti per quegli anni».

Agnese: Ma con quel forte senso materno come è riuscita a lasciarle andare, poi?

«Mi costa ancora oggi, ogni volta che partono sto male. Sono stata solo mamma finché loro hanno avuto dieci anni: le ho allattate fino a quasi un anno, le ho cresciute e sono sempre stata con loro. Purtroppo mio marito era assente come padre e questo è stato uno dei motivi della separazione».

Agnese: Le sue figlie che mamme sono?

«Io me la tiravo sempre che ero stata una mamma brava e capace, il mio mito era la psicanalista francese Françoise Dolto che spiega come si debba essere con i figli in una posizione paritaria avendo però la severità dei comandi e delle regole. Ma le mie figlie verso i 17-18 anni sono diventate scatenate: discoteca, viaggi... Io dicevo di no, ma trovavano sempre il modo di uscirne: ho pensato che mai si sarebbero sposate e avrebbero voluto fondare una famiglia. Invece sono diventate poi delle madri che ti giuro, se penso che io quando ho ricominciato a lavorare ho fatto quello che non si dovrebbe fare: le ho lasciate sole a casa, da minorenni... E me ne vergognavo da morire».

Sclaunich: Se tornasse indietro, c’è qualcosa che farebbe in modo diverso per gestire l’equilibrio tra lavoro e figlie?

«Starei di più con loro. Mi sento ancora in colpa per averle lasciate sole, quando sono ritornata al lavoro non avevo nessuno che mi aiutasse. La domenica mi portavo il lavoro a casa e le piazzavo davanti alla televisione, in un’altra stanza».

Agnese: La sua psicologa junghiana che ne dice?

«Che sono stata una pazza ma siccome è venuto tutto bene, devo esserne contenta».

Sclaunich: Prima ha menzionato il senso di colpa. Non ho ancora conosciuto una mamma, me compresa, che non ce l’abbia. Ma i papà ce l’hanno?

«Ce l’hanno sì, non verso sé stessi ma verso i figli: ne avrei di esempi».

Agnese: Lei che è libertaria, che ha fatto le battaglie con Pannella, cosa pensa della maternità surrogata?

«Sono contraria, nell’interesse del bambino: mi fa orrore che un figlio venga cresciuto in una pancia per poi andare dall’altra parte del mondo, a maggior ragione se mantiene un rapporto con la madre originaria. Io sarei per cambiare la possibilità di adottare in Italia, che è gestita in modo vergognoso quando invece esiste la possibilità di partorire e lasciare il figlio in ospedale: già solo lì si dovrebbe poter adottare all’istante, dando la possibilità anche a single e coppie omogenitoriali. Per me, l’amore non ha sesso e non deve essere contaminato dall’idea della coppia del presepe. L’amore è amore. Non sapete quante mamme ci sono che non amano, non è vero che una mamma ha per istinto l’amore».

Sclaunich: Quindi cos’è che fa di una donna una madre?

«La responsabilità di esserlo. Responsabilità deriva dal latino responsum , quindi risposta: la risposta alla vita e se non gliela dai tu, un figlio è infelice per sempre. Penso alle mamme che non li seguono, che non dicono mai di no pur di toglierseli di torno. Tutti i no che ho detto alle mie figlie li ho sentiti come botte al mio fegato, ma l’ho fatto per far loro conoscere i limiti».

Sclaunich: Loro di questi no si ricordano? La ringraziano di averli detti?

«Non mi ringraziano, ma stanno dicendo gli stessi no ai loro figli. Per esempio mi avevano messo in croce perché volevano il motorino e ora una sta combattendo allo stesso modo. Le caramelle, invece, gliele davo sempre anche se non doveva essere una cosa sistematica. Avevo un mio modo di viziarle, perché a mia volta io non ero stata viziata: i miei genitori erano stati assenti, mia mamma aveva preferito la carriera diventando una delle prime donne avvocato e noi figli siamo stati in collegio. Io oggi sono felice di dare alle mie figlie tutto quello che vogliono, anche perché quando mi sono separata eravamo povere: se mi invitavano a pranzo chiedevo se potevo portare anche loro così almeno mangiavamo carne».

Sclaunich: Non immaginavo fosse così! Molto spesso noi donne seguiamo esempi di leadership al maschile, mi ha fatto piacere scoprire che si può essere leader anche mettendo avanti le proprie caratteristiche femminili, comprese quelle materne.

«Pensa che io non cucino mai, mangio spesso al ristorante. Ma se ci sono le mie figlie mi metto ai fornelli e nessuno si immagina che mentre sono al telefono per lavoro intanto sto preparando il ragù per tutti».

Francesco Totti: «Non ho accettato il distacco dal calcio. Spalletti? Fu unico. Con Ilary devo trovare un nuovo equilibrio». Walter Veltroni su Il Corriere della Sera il 2 novembre 2023.

Parola di Francesco Totti: «I gregari sono più importanti dei numeri dieci. Mi manca mio padre, mi basterebbe vederlo anche solo 10 secondi al giorno. Un rimorso? Lo sputo a Poulsen»

Francesco Totti, tu sei stato un leggendario numero dieci. Ti dispiace sia un genere in via d’estinzione?

«Sono spariti perché ora è un altro calcio. È un’altra visione, un altro modo di giocare. Ora prevale il fisico sulla tecnica. Nel tempo in cui giocavo io c’erano sempre, in ogni squadra in Italia o all’estero, uno o due giocatori di altissimo livello. C’erano uno o due numeri dieci potenziali. Insieme facevano il numero venti. Saremo stati fortunati, ma il calcio era più bello».

Tutto è cambiato con Sacchi?

«Vedi, il dieci era un giocatore diverso dagli altri dieci. Era uno che doveva correre meno ma sfruttare ogni occasione di talento: un assist, un tiro al volo, un dribbling difficile. Doveva essere lucido, sempre fresco. Per questo il dieci tornava di meno. Sacchi portò tutti a rientrare in difesa. E questo fece sparire lo spazio tecnico per il dieci considerato come il fulcro della squadra, l’elemento di sorpresa. Il calcio si è fatto più organizzato, ma meno sorprendente».

A te chiedevano di tornare?

«No. L’unico era Zeman, che faceva un gioco alla Sacchi. Con il suo 4-3-3 era previsto che io tornassi. Per fortuna su quella fascia c’erano Candela e Di Francesco che correvano anche per me».

Quanto contano i «gregari» dei numeri dieci?

«Per me sono più importanti i gregari dei numeri dieci. Nei novanta minuti sono loro decisivi. Senza gli uni non ci sarebbero gli altri. Pensa a Platini senza Bonini, a Rivera senza Lodetti. Gregario è una bellissima parola, non solo nel ciclismo o nel calcio. Tutti siamo gregari di qualcosa o di qualcuno, nella vita».

Oggi vedi un numero dieci nel calcio mondiale?

«No, non esiste più. Si è estinto, quel ruolo. E infatti non trovo una squadra che mi entusiasmi. Ma ti ricordi il Real Madrid, il Barcellona, il Liverpool, l’Inter del triplete...».

Quali sono le doti che deve avere?

«Tecnica, ovviamente. Ma soprattutto la velocità di testa. Se tu capisci le cose prima degli altri, se vedi i movimenti dei compagni di squadra, se tocchi la palla una volta meno del necessario, tu hai già fatto il tuo, da numero dieci. Direi che questa è la caratteristica: vedere prima e fare prima. Io ero fortunato perché avevo Perrotta, Delvecchio, Di Francesco che sapevano e capivano come giocavo io e, a loro volta, sapevano dove avrei messo la palla. Lo sapevano prima, anche loro. Se uno ha talento, cioè anticipa il normale, tutta la squadra gira più veloce».

Chi era il più forte che hai incontrato?

«Per me, sentimentalmente, era Giannini. Mi piaceva perché era il capitano della Roma, era il mio idolo, giocava davanti alla difesa e sapeva guidare tutta la squadra. Volevo diventare come lui, da bambino. Tra quelli con cui ho giocato direi Zidane. Era completo, aveva tutto. Tutti forti, ma ognuno diverso. Prendi me e Del Piero. Uguali e opposti. Lui più veloce nel dribbling, calciava a giro. Io mettevo le palle di prima, senza pensarci, d’istinto. Ognuno aveva la sua dote che lo ha reso, anche nella memoria dei tifosi, unico. Unico perché irripetibile».

Sono spariti i liberi e i numeri dieci, c’è meno pensiero nel football?

«Erano i numeri e i ruoli più belli. Chissà, forse anche io avrei dovuto fare come Di Bartolomei o come Beckenbauer. Avrei potuto rinunciare a fare gol e mettermi dietro a impostare il gioco. Ma mi piaceva troppo segnare. E Spalletti, nell’ultima fase, mi ha consentito di spostarmi più avanti per farlo e raggiungere il mio record. Alla mia età — premesso che se fosse per me giocherei ancora — o vai più indietro, in campo, o più avanti».

Con quali allenatori ti sei trovato meglio?

«Per primo Mazzone, che ricordo con grande affetto. Poi Zeman e il primo Spalletti. Lo devo dire. È la verità».

Spalletti. Ha dimostrato, di nuovo, di essere un grande allenatore. Vuoi dire qualcosa che chiuda la polemica tra voi?

«Se lo incontrassi lo saluterei con affetto, mi farebbe piacere. Credo che tra noi ci sia un profondo legame. Anche perché quello che abbiamo passato insieme, quando arrivò da Udine, è per me, nella mia vita, qualcosa di irripetibile. Sia in campo che nel quotidiano. Io uscivo una o due volte a settimana con lui a cena. Luciano era una persona piacevole, divertente, sincera. Nella fase finale il nostro rapporto è stato condizionato dall’esterno, specie dai dirigenti o consulenti della società, e non ci siamo più capiti. Anche io ho fatto degli errori, ci mancherebbe. Credo che tutti e due, se tornassimo indietro, non entreremmo più in conflitto».

Come vedi la Nazionale?

«Conoscendo lui, che è uno degli allenatori più bravi, se non il più bravo in Italia, sapevo che avrebbe impresso una svolta. La squadra sa come stare in campo, si vede che giocano più liberi, che si divertono. I risultati verranno, è comunque una fase difficile per il calcio italiano. Spero solo che riusciremo a qualificarci per Europei e Mondiali. Otto anni senza partecipare ai campionati del mondo sono stati duri, per chi ama il calcio».

I dieci e i nove e mezzo di cui parla Platini. Tu?

«Io ero un falso nove. No, in verità ero un misto. Non ho mai fatto la prima punta. L’intuizione di Spalletti è stata quella di inventare, con il mio ruolo, una figura di calciatore moderno. Un numero nove che diventava la fonte del gioco dalla trequarti in avanti. Avevo doti fisiche, andavo incontro alla palla e aprivo per Mancini, Perrotta, Taddei. Oppure, davanti alla porta, riuscivo a tirare e segnare. Ero imprevedibile. Per le mie caratteristiche tecniche, ma anche per il ruolo che Luciano si inventò. Forse sono stato un prototipo di numero dieci moderno».

Quanto è pesata la morte di tuo padre? Ora sono tre anni.

«Tanto, era il mio punto di riferimento, era il fulcro della mia vita. Mi mancano il suo sorriso, lo sguardo, la sicurezza che era capace di darmi. Anche oggi, se lo vedessi solo dieci secondi al giorno, mi basterebbe per stare meglio. Pure se non ci dicevamo una parola, ci capivamo. Lui parlava poco. Io peggio di lui. Ma quei silenzi erano pieni. Lui veniva la mattina a Trigoria, portava cornetti, pizza per tutti. Magari non ci incontravamo, ma sapere che c’era mi dava serenità».

Del calcio cosa ti manca?

«Tutto. Il ritiro, lo spogliatoio, la maglietta, la sala massaggi. Cavolate? No, erano la mia vita. Mi manca il bar e il caffè con i compagni di squadra, il viaggio in pullman da Trigoria allo stadio. Mi manca la routine che ha fatto la mia vita per decenni. Quando è finita le giornate si sono svuotate. Dopo mi sono sentito solo. Ma ci sta. Finiva una cosa che mi piaceva, che era la mia vita. Io però non pensavo che mi facesse così male smettere quella vita programmata, quella passione che nella mia mente avrei potuto continuare a vivere. Non ho accettato il distacco dal calcio».

E il modo in cui la Roma ti ha trattato?

«Io ho passato trent’anni nella Roma. Ho portato rispetto a tutti, rinunciato ad altri ingaggi senza farlo pesare. Ho detto no al Real e altri perché volevo quella maglia, solo quella maglia giallorossa che è stampata dentro di me. Il modo in cui è finita la mia storia con la Roma, sì, mi è dispiaciuto. La verità è che quando nel calcio non servi più non c’è più rispetto. Se Maldini, Del Piero, Baggio, io siamo fuori dal calcio significherà qualcosa, no?»

Mourinho ha detto che ti avrebbe voluto nella Roma. Ti piacerebbe?

«Certo che, con un ruolo definito, mi piacerebbe, per le ragioni che ho detto prima. E mi piacerebbe con Mourinho, è il numero uno, lo stimo molto. Mi dispiace non essere stato allenato da lui, nella mia carriera. Ma non voglio tornarci su. Non voglio chiedere. Alla Roma sanno che se hanno bisogno di me, per cose serie, mi fa piacere dare una mano. Altrimenti, amici come prima».

Il distacco da Ilary. Eravate una coppia molto bella.

«Noi due abbiamo passato venti anni insieme, con tanti momenti molto belli. Ora vorrei solo che trovassimo un equilibrio tra noi capace di proteggere i ragazzi che sono la più grande ragione, per ambedue, di amore. So che non è facile, ma quello che c’è stato tra noi, per tanti anni, è stato importante. Se troviamo questo equilibrio noi due, i ragazzi staranno bene e si sentiranno protetti».

La scelta di Mancini? E quella di ragazzi di venticinque anni che vanno a giocare nei Paesi arabi?

«Ha sbagliato tempi e modi. È una sua decisione e va rispettata. Poi vai a capire le dinamiche interne tra lui e la Federazione. La differenza tra i nostri venti anni e questi sta tutta nei soldi. Ma in fondo se tu non sei tifoso della squadra di cui indossi la maglietta cosa ti dovrebbe impedire di accettare la migliore offerta? È un calcio senza sentimenti, con giocatori sempre con la valigia in mano. È tutto freddo, portano le cuffiette invece di parlarsi, nello spogliatoio. Noi quando arrivavamo al derby da quindici giorni prima pensavamo a quello che dovevamo fare: le magliette da mostrare se vincevi, il modo più elegante per incassare una sconfitta... E lo stesso facevano i laziali. Per me e per Nesta, che eravamo amici, era un’occasione per gli stessi sfottò che circolavano in città. Questo clima ti creava un’adrenalina dentro... Quando scendevi in campo, avevi voglia di spaccare il mondo. Ora cosa vuoi che gliene freghi del derby...».

Cosa è stata per te la maglietta giallorossa?

«Tutto. Passione, amore, paura, divertimento, emozione. Era il mio sogno da bambino. La mia vita è stata fortunata. Devo solo onorarla e ringraziarla. Ci ho messo del mio. Ma non sempre basta».

Se tu incontrassi te stesso bambino, c’è un errore che gli diresti di non fare?

«No, gli errori servono. Ti fanno crescere, ti aiutano a non farli più. Io mi rimprovero lo sputo a Poulsen che, nonostante le immagini televisive, per me non è successo. Non posso immaginare di avere sputato a una persona, è la cosa più assurda e più lontana dal mio modo di intendere il calcio e la vita».

Lippi quanto è stato importante per te?

«Quando arrivava Lippi stavi sull’attenti. Con lui ho avuto un rapporto speciale. Lui mi ha portato per mano ai Mondiali. Quando venne in clinica, dopo l’incidente che poteva compromettere la mia partecipazione, io non ci credevo, mi prese un colpo. E poi mi ha seguito, veniva a Trigoria, telefonava. È lui che mi ha dato la forza e la possibilità di vivere uno dei due giorni più importanti della mia vita da calciatore: il Mondiale del 2006».

L’altro credo di saperlo...

«Lo scudetto del 2001. Eravamo una squadra fantastica e la città impazzì. Dei giorni indimenticabili».

Cosa pensi dello scandalo delle scommesse?

«Non voglio dare giudizi moralistici. Ma ci sono regole, come quella di non giocare sulle partite di calcio, e quelle vanno sempre rispettate. Aggiungo che i ragazzi più giovani vanno tutelati e bisogna stargli vicino perché non si rovinino».

Esiste la depressione nel calcio. Tu stesso hai mai rischiato?

«Come la riconosci? Io non credo che abbia mai fatto parte di me. Può darsi che l’abbia avuta, ma non l’ho individuata. So di miei colleghi che l’hanno vissuta. Ma credo ci sia ovunque, in questo tempo».

È ormai tutto in prescrizione. Ti ricordi una gigantesca litigata nello spogliatoio?

«Una volta un litigio tra Panucci e Spalletti. Due tipi che prendono fuoco facilmente. Cominciano a discutere nel campo, poi appena finita la partita tutti a correre per evitare che si menino. Si sono affrontati nello spogliatoio e per separarli si è messo in mezzo Bruno Conti, che è piccolo piccolo. A Bruno, nel trambusto, è andata di traverso una crostatina che stava mangiando. Manca poco muore».

Cosa speri per il tuo futuro?

«Il mio sogno è di realizzare un altro sogno. Prima ne avevo uno, e sono riuscito a trasformarlo in realtà. Vorrei averne un altro, lo sto cercando. Ora vorrei solo vivere la vita con più serenità e tranquillità, dopo tutti i problemi che ci sono stati».

Da laroma24.it giovedì 31 agosto 2023.

Ecco le parole in chiave giallorossa di Roberta Pedrelli, la famosa ex di Mancini (un tempo calciatore della Roma, ora al Milan), 29 anni, mamma da nove mesi, appassionata di moda e di lingue straniere, con un passato da ballerina a Piazza Grande e a Buona Domenica e il sogno di approdare al Grande Fratello. 

Lo senti ancora Mancini?

“No, anche perché ci siamo lasciati bruscamente. Come ho già ripetuto più volte, mi ha lasciata lui, facendomi rimanere malissimo. È stata una grandissima delusione. Era come un figlio per i miei genitori e non si è mai degnato di andarli a salutare dopo la nostra separazione. Non è finita per una questione di tradimenti, lui è tornato con la sua ex, si è sposato ed è felice così”. 

Da quando vi siete lasciati non è più lo stesso in campo. Ci hai mai pensato?

“Evidentemente gli portavo fortuna… Scherzi a parte, non ho idea del perché abbia avuto questo calo. Non me lo so spiegare, ma lui ha sbagliato, sputando sul piatto dove ha mangiato, preferendo l’Inter”.

Con Ilary Blasi?

“Non ci siamo mai presentate. A questo proposito ci tengo a dire una cosa…”.

Prego.

“Quando Francesco ed Alessandro (Totti e Mancini, ndr) discussero, finendo per non parlarsi per alcuni mesi, si scrisse molto e a sproposito sui giornali. Qualcuno raccontò che andai a letto con Francesco e che la mia storia con Alessandro finì proprio per questo episodio. Niente di più falso. 

È vero, lo ammetto, litigarono per me. Un giorno Francesco fece una battuta in mia presenza, che io riportai successivamente ad Alessandro per essere sincera col mio ragazzo, e lui la prese malissimo. Non fu una cosa grave, sapete com’è Francesco? È romano, è una persona schietta e gli piace scherzare. Io e Francesco, però, non ci siamo mai sfiorati. Ci tengo a sottolinearlo, anche per Ilary che non sarà stata contenta di leggere una storia simile. E poi sai cos’è successo quando ci siamo lasciati io ed Alessandro?”.

No, cosa?

“Che Alessandro si è riavvicinato immediatamente a Francesco, dando così agli altri la sensazione che davvero ci fosse qualcosa sotto, e invece non c’era niente”.

Cassano era il migliore amico di Mancini ai tempi della Roma.

“Vero, ad Antonio voglio un bene dell’anima, anche se quando mi sono lasciato con Alessandro non l’ho più sentito. Gli danno sempre dell’ignorante, ma non è uno stupido. Anzi…”. 

Nel suo libro ha dichiarato di aver avuto seicento donne. Possibile?

“Beh, diciamo che a Trigoria e dintorni aveva i suoi movimenti...

(...)

Estratto dell'articolo di Giovanna Cavalli e Ilaria Sacchettoni per il “Corriere della Sera” giovedì 3 agosto 2023.

E guerra sarà. Fino all’ultima velenosa ripicca, all’estremo rinfaccio: «Hai tradito per primo», «no sei stata tu». La separazione tra Francesco Totti e Ilary Blasi, che già non si presentava come delle più amichevoli, tutt’altro, sta per imboccare una via di non ritorno. 

Nei giorni scorsi la conduttrice tv (che in termini tecnici è la ricorrente), tramite i legali Alessandro Simeone e Pompilia Rossi, ha presentato al Tribunale civile di Roma una richiesta formale di addebito contro l’ex marito. Sostenendo che il loro matrimonio, durato quasi 17 anni, sarebbe finito per colpa di Noemi Bocchi, con cui l’ex 10 giallorosso l’avrebbe rimpiazzata.

L’atto è stato depositato e notificato alla controparte, che ha tempo fino al 10 agosto per rispondere. E lo farà. Gli avvocati Antonio Conte e Laura Matteucci, che assistono il Capitano (il resistente) starebbero preparando una dettagliata contro-richiesta. 

[…] 

Forse non negheranno che Francesco si sia innamorato di Noemi — fu lo stesso Totti ad ammetterlo nella celebre intervista al Corriere con Aldo Cazzullo: «La nostra storia è iniziata dopo Capodanno. E si è consolidata nel marzo 2022».

Metteranno nero su bianco anche una lista dei (presunti) flirt di Ilary. Con nomi e cognomi. Allegando i messaggini compromettenti scoperti sul cellulare della showgirl. («Non avevo mai spiato sul suo telefonino. Però quando mi sono arrivati avvertimenti da persone diverse, di cui mi fido, mi sono insospettito. Ho guardato. E ho visto che c’era una terza persona, che faceva da tramite tra Ilary e un altro»). 

Ovvero Alessia Solidani, fedele amica e parrucchiera di Ilary, che l’aveva pettinata anche per il giorno delle nozze all’Ara Coeli in diretta su Sky. 

Nel documento, che verrà consegnato in queste ore, si farebbe quindi esplicitamente il nome di Cristiano Iovino, il tatuato e palestrato personal trainer romano di cui tanto si è scritto la scorsa estate. E forse anche del fascinoso attore Luca Marinelli, amico di Melory Blasi, sorella di Ilary. Più altri di cui si è lungamente dibattuto su siti e giornali.

Il giudice del Tribunale civile Simona Rossi, che ha fissato la prima udienza per il 20 settembre, non subito, ma in seguito, potrebbe quindi decidere di convocare le persone chiamate in causa. Tra cui molto probabilmente Noemi Bocchi. Ma forse anche il prestante Iovino. […] 

Intanto però proprio ieri, nell’ormai epica contesa borsette contro Rolex, il collegio della VII sezione del Tribunale civile di Roma, presieduto dal dottor Cinque, ha respinto l’appello di Ilary Blasi contro l’ordinanza-sentenza del giudice Francesco Frettoni. Condannandola in più al pagamento delle spese legali per 4 mila euro. Una dura sconfitta.

L’appello è stato ritenuto infondato. I Rolex non sono considerati regali per lei. Anzi, il Tribunale le ha ordinato di riportarli con urgenza in una cassetta di sicurezza cointestata. Confermando il compossesso, finché altra causa non ne stabilirà la proprietà. 

Inoltre i giudici precisano che la stessa Blasi, nei verbali dell’istruttoria di primo grado, aveva ammesso di aver prelevato 6 o 7 Rolex. E quindi adesso non può sostenere di averne presi 2 o al massimo 4. Quelli erano e quelli deve riconsegnare, non uno di meno. […]

Blasi e Totti, il giudice scontenta Ilary: assegno da 12.500 euro per i figli (ne aveva chiesti 30 mila). Giovanna Cavalli su Il Corriere della Sera il 20 aprile 2023

Per la separazione tra Totti e Blasi il Tribunale ha deciso per l'affido condiviso e spese straordinarie (viaggi, svago, cure mediche) al 50%, a lui il 75% di quelle scolastiche. La villa resta alla showgirl 

In realtà Ilary Blasi sperava di averne il doppio: per il mantenimento dei figli la conduttrice dell’Isola dei Famosi aveva chiesto a Francesco Totti 24 mila euro al mese. E che tutte le spese straordinarie fossero accollate al suo ex marito. Per un totale di quasi 30 mila euro. Invece ne riceverà 12.500, appena più della metà. Questo ha deciso il giudice Simona Rossi, che ha emesso i provvedimenti provvisori urgenti sulla separazione tra la showgirl e l’ex 10 giallorosso. 

Affido condiviso: le spese per i figli

Stabilendo che le spese straordinarie (viaggi, svago, cure mediche) siano divise al 50 per cento. A parte quelle scolastiche, che per il 75 per cento dovranno essere sostenute dal padre di Cristian, Chanel e Isabel. La villa dell’Eur da 1500 metri quadri è assegnata a Ilary perché è lì che vivranno i ragazzi, per i quali però l’affido sarà condiviso, come richiesto da entrambi i genitori. I due più grandi potranno alternarsi tra le due case (Totti ne sta cercando una all’Eur dove trasferirsi con Noemi), per la più piccola, che ha 7 anni, invece il giudice ha stabilito che resti con la madre. Totti potrà vederla secondo un calendario stabilito dal tribunale. 

Accuse, dispetti, ripicche...

Abbastanza spesso, si suppone, considerando che Ilary sarà spesso a Milano per l’Isola dei Famosi per i prossimi tre mesi. Si chiude così la prima puntata del divorzio più mediatico degli ultimi tempi. Il rapporto tra i due Grandi Ex negli ultimi mesi è stato sempre più difficile. Con accuse, dispetti e ripicche a distanza. Come è successo lunedì sera, al debutto dell’Isola dei Famosi. La doppia frecciata di Ilary Blasi a Francesco Totti ha punto sì il destinatario, ma non più di tanto. 

Le ironie di Ilary Blasi in tv

La conduttrice del reality dei naufraghi, aprendo la prima puntata su Canale 5 (di lunedì 17 aprile, edizione numero 17, con 17 concorrenti, cabala non ti temo), al primo minuto aveva ironizzato così: «Dall’anno scorso le cose sono cambiate, non c’è più un uomo accanto a me». Pausa strategica (in cui tutti naturalmente hanno pensato al Capitano romanista). Dopo di che la precisazione: «Sto parlando di Nicola Savino». E infine la chiusa: «Per uno che va, c’è sempre uno che arriva…». Ovvero Enrico Papi, il nuovo opinionista. 

Francesco Totti non raccoglie la provocazione

Ma era inevitabile pensare all’alternanza, nella sua vita, tra l’ex marito Francesco e il nuovo compagno Bastian Muller, imprenditore tedesco, evocato anche alla fine dell’intervista a Verissimo di domenica 16 (“Ora Bastian così”). L’ironia di Ilary - una delle sue armi migliori nella vita e nel lavoro, ha diviso i social (chi apprezza, chi no) - ovviamente ha centrato il bersaglio. Non si sa se Totti stesse guardando la tv o se glielo abbiano riferito in tempo reale. Però non ha gradito, tantomeno riso. Si è dispiaciuto, certo, per quella che considera l’ennesima mancanza di tatto e di rispetto. Però non ha raccolto la provocazione – non la prima né l’ultima - se la lascia scivolare addosso. 

In sospeso la causa su borsette e Rolex

Convinto, pare, che sia soltanto una mossa per fare parlare del programma. E nonostante glielo abbiamo chiesto in tanti, ha deciso di non rispondere. Nemmeno con una battuta. Preferisce ignorare e fare finta di niente. Quanto alla vicenda dei Rolex di Francesco (il Capitano sostiene ed è pronto a provare che la collezione è sua e non un regalo per Ilary, che li ha presi dalla banca a sua insaputa e messi in un’altra cassetta di sicurezza) e delle borse e scarpe della showgirl (ritrovate quasi tutte in un ripostiglio della villa), anche qui il giudice Francesco Frettoni è tuttora in riserva. Sta valutando se sentire dei testimoni e quanti (la lista arriverebbe almeno a 24, più del cast di un reality) o se gli basta aver studiato la documentazione, corposa anche questa (solo la memoria difensiva di Totti conta 120 pagine). Probabile stesse aspettando le valutazioni della collega Rossi sulla causa principale. Idem per la disputa della Longarina. Come dice Ilary all’Isola: «Il meglio deve ancora venire». O il peggio, fate voi. 

DAGOREPORT il 18 aprile 2023

L’autogol del Pupone. Se Totti avesse chiuso sei mesi fa l’accordo consensuale proposto dal suo avvocato di allora, Annamaria Bernardini De Pace, e accettato dal legale di Ilary, Alessandro Simeone, oggi sarebbe già pronto per firmare il divorzio. 

Non solo. Come raccontano le amiche di Noemi, l’accordo Bernardini-Simeone era economicamente più vantaggioso per il portafogli dell’ex capitano giallorosso. Ma l’accanita Noemi lo bocciò perché lo riteneva troppo esoso (insisteva per 6 mila euro: 2 mila a figlio). A quel punto, dall’alto del suo magistero di scafata matrimonialista, la Bernardini girò i tacchi.

Le voci che circolarono sei mesi fa, al momento della rottura con l’avvocatessa, erano queste: Totti sborsava a Ilary 12 mila euro al mese (4mila per ogni figlio) e sulle spese straordinarie dei tre pargoli (rate scolastiche, costi imprevisti, eccetera) da suddividere 70% al padre e 30 alla madre. 

Invece, grazie alla vispa Noemi, l’importo che ogni mese Totti dovrà bonificare alla Blasi sarà di 12.500 euro con le spese straordinarie da suddividere in 75% e 25. Non basta: il giudice Benedetta Rossi ha deciso che i versamenti dovranno iniziare non da oggi ma da febbraio scorso, dal giorno che lui lasciò la villa coniugale all’Eur. Più autogol di così…

Giuseppe Scarpa per repubblica.it il 18 aprile 2023 

La villa all’Eur, un assegno da 12.500 euro mensili. E soprattutto la custodia dei figli. Il primo round del divorzio dell’anno va a Ilary Blasi. Francesco Totti quindi, letta la prima sentenza provvisoria formulata dal giudice civile, esce sconfitto dal confronto con l’ex moglie.

Alla conduttrice, come detto, va la casa coniugale. Cristian e Chanel, i figli più grandi, potranno vedere il papà quando vorranno, potendo muoversi autonomamente. Diversa la questione per quanto riguarda la più piccola di casa Totti. Per vedere Isabel, l’ex capitano della Roma dovrà rispettare il calendario dettato dal tribunale. 

C’è anche una parte economica: Francesco Totti dovrà versare 12.500 euro al mese a Ilary Blasi per il sostentamento dei figli. Una somma a cui vanno aggiunte le spese scolastiche: l’ex campione giallorosso e della Nazionale dovrà coprirle per una quota pari al 75%.

Così si è espresso il giudice, rigettando di fatto le proposte di Totti: l’ex calciatore chiedeva di tenere per se la casa e di poter tenere i figli per metà dell’anno. Sul fronte economico, il numero 10 aveva offerto prima 0 euro al mese. Poi 6 mila. Che alla fine sono diventati 12.500. E' un primo round anche per i super avvocati coinvolti in questa causa, da un lato Antonio Conte per l'eterna stella della Roma, dall'altro i legali Alessandro Simeone e Pompilia Rossi. 

Totti-Blasi, Ilary «vince» la mega villa all’Eur. Ma le costerà 30 mila euro al mese.  Giovanna Cavalli e Ilaria Sacchettoni su Il Corriere della Sera il 20 aprile 2023

A carico della conduttrice gran parte delle spese di gestione della casa che  include 25 stanze, due piscine, Spa, campi da tennis e da calcio

Voleva tanto la casa di famiglia e l’ha avuta. Perciò Ilary Blasi potrà disporre come più le piace della mega-villa all’Eur a cui aveva già cambiato le serrature. Però dovrà pure pagarne — almeno in parte — gli altissimi costi di gestione e si parla di 30 mila euro al mese, mica spiccioli. Proporzionati a una gigantesca proprietà da 1.500 metri quadri, valore stimato sui 18 milioni, con 25 stanze, campi da tennis e da calcetto, parco, Spa, due piscine, telecamere e sofisticato sistema di sicurezza, dotata persino di un macchinario per la separazione automatica della spazzatura. Un saldo a cui finora provvedeva quasi sempre Francesco Totti (a cui è intestata), che si fa carico anche del mutuo.

L'assegno di mantenimento per i figli

Non sarà più così. Nei 12.500 euro di mantenimento per i figli previsti nei provvedimenti provvisori d’urgenza emessi dal giudice Simona Rossi, della I sezione del tribunale civile — che ha fissato la prossima udienza per il 20 settembre 2023 — per legge sono compresi vitto, abbigliamento, babysitter, carburante e telefonia, ma anche il contributo per le spese domestiche. Quelle straordinarie, invece, sono divise al 50 per cento con l’ex 10 giallorosso che pagherà il 75 per cento di quelle scolastiche. Le ordinarie no. 

La super-bolletta del gas da 10 mila euro

E pare che una delle ultime bollette del gas, con i rincari, fosse di 10 mila euro, tanto per capirci. A cui si aggiungono gli altri consumi e gli stipendi di governanti, giardinieri, addetti alla sicurezza. «Adesso se li ritrova tutti lei sul groppone», riassume in romanesco una fonte molto ben informata.

Le richieste di Ilary Blasi

Anche per questo la conduttrice dell’Isola dei Famosi, nel ricorso, aveva chiesto 24 mila euro. E che le spese extra fossero tutte a carico dell’ex marito, per cui si arrivava intorno ai 28-30. Ha ottenuto meno della metà. E appunto la sospirata villa, almeno finché Isabel, 7 anni, non diventerà maggiorenne. Ma proprio i costi elevati potrebbero indurla a ripensarci e a spostarsi altrove. Lasciando la residenza a Totti, che proprio in questo spera.

Totti ora cerca casa all'Eur (con Noemi Bocchi)

Intanto il Capitano sta cercando casa all’Eur. Forse potrebbe tornare nel condominio di lusso in cui abitava prima, allargandosi all’appartamento accanto, visto che ci saranno anche Noemi Bocchi e i suoi due bambini. Di certo lascerà l’attico di Roma Nord per stare vicino ai figli, troppo scomodo fare avanti e indietro nel traffico. 

E il giudice ordina a Totti di tenere i figli il lunedì

Il giudice per Cristian (17 e mezzo), Chanel (16 a maggio) e Isabel, ha concesso l’affido congiunto, come chiesto dai genitori, con il collocamento presso la madre. E un calendario di visite, weekend e vacanze solo per la più piccola, a cui Totti si dovrà attenere. Si comincia subito. Da ora e fino al 23 giugno, ogni lunedì, così ha disposto il giudice Rossi, il padre dovrà tenersi a disposizione e prendersi cura dei ragazzi, visto che Ilary Blasi sarà a Milano, impegnata con il reality. 

Il caso dei Rolex e della borsette

Dopo questa prima manche della causa di separazione giudiziale, è molto probabile che seguano, a cascata, anche le due dispute accessorie: quella su borsette e Rolex e quella sul circolo sportivo della Longarina. I rispettivi avvocati — Antonio Conte e Laura Matteucci per lui e Alessandro Simeone e Pompilia Rossi per lei — sono allertati.

La famiglia Blasi sfrattata dal centro sportivo di Totti

Nel caso degli accessori griffati (ritrovati nei ripostigli della villa) e della collezione di orologi svizzeri di Francesco (che Ilary ha prelevato dalla banca e spostato in un’altra cassetta di sicurezza a lei intestata) il giudice Francesco Frettoni sarebbe sul punto di prendere una decisione : sentire o meno i testimoni. O procedere in base alla documentazione. Così come la questione del centro sportivo alla Longarina, creato e finanziato da Totti e negli anni poi passato in gestione parziale alla famiglia Blasi, che non ha ancora mollato la presa. A quel punto l’eterno 10 giallorosso ha intimato loro lo sfratto.

Da leggo.it il 6 gennaio 2023.

Bikini maculato e posa sexy. Chanel Totti si mostra nel suo splendore, a soli 15 anni, e i follower non restano indifferenti. In vacanza con tutta la famiglia, ma al posto di mamma Ilary Blasi c'è Noemi Bocchi, Chanel si sta godendo la crociera in America. Stavolta la tappa è alle Bahamas, come rivela la secondogenita dell'ex capitano della Roma che pubblica stories Instagram mostrando le belle spiagge e gli animali marini che sta ammirando. Ma il post che ha pubblicato sul suo profilo ha suscitato scalpore per la posa hot e il fisico in bella vista. «Ma perchè crescere così in fretta» si legge, «sei troppo piccola per fare questo tipo di pose» e così via.

 «E questa ha solo 15 anni.....» scrive un altro hater, «Quando Onlyfans?» si legge ancora. Sono tantissimi i commenti al veleno rivolti a Chanel, e si contano quelli più morbidi, tra cui: «Bellissima», «Non li ascoltare», «Il gol più bello di Totti».

 La chiacchierata Chanel

Poche ore fa, Francesco Totti ha voluto condividere una foto con i suoi tre figli durante la vacanza che sta facendo insieme a Noemi Bocchi. La foto, postata nelle stories, deve essere stata scattata proprio dalla compagna del Pupone  e per quello che è successo dopo sembra che la seconodogenita Chanel abbia deciso di prendere le parti della mamma Ilary Blasi. Lo scatto infatti è stato condiviso sui social da Christian ma non da Chanel. C'è chi ha interpretato questo gesto come un segno di solidarietà verso la mamma, visto che, è molto probabile che quella foto sia stata scattata dalla donna per la quale il padre avrebbe lasciato Ilary.

 Il relax

Intanto però Chanel si sta godendo le vacanze con la sua famiglia, lontano dalla madre che nel frattempo è volata Thailandia con il suo nuovo compagno di cui però continua non mostrare il volto nelle sue pagine social. Scegliendo di non condividere lo scatto Chanel sembra aver voluto indirettamente mandare un messaggio alla madre, che si sarebbe potuta infastidire per quell'immagine. Non è un segreto infatti che tra mamma e figlia ci sia un rapporto molto speciale.

Da leggo.it il 9 gennaio 2023. 

Francesco Totti e Noemi Bocchi sono da poco tornati da una lunga vacanza insieme ai figli di lui, ma continuano ad essere al centro del gossip e delle polemiche. Dopo le accuse dell’ex marito di Noemi, Mario Caucci, spuntano nuove ombre sulla 34enne compagna del campione della Roma. Una persona vicina alla Bocchi, che pare la conosca da diverso tempo, ha messo Francesco sull'allerta.

 «Noemi pur di ottenere ciò che vuole non guarda in faccia a nessuno, è cinica e non si fa troppi scrupoli», ha raccontato questa fonte anonima al settimanale Nuovo, «Ha obiettivi precisi, con l’ex ha sempre fatto la bella vita». Accuse molto simili a quelle fatte da Caucci. Ancora una volta Noemi viene descritta come una donna molto ambiziosa, a tratti opportunista, che avrebbe come unico interesse il vivere nel lusso.

Le continue accuse non sembrano scalfire però la nuova compagna di Totti che ha solo replicato alla lunga intervista dell'ex con una storia su Instagram in cui, con una musica da circo, ha scritto: «Grazie per questi 10 anni unici». Una frecciatina con cui ha voluto rispondere a Caucci con cui è in causa per maltrattamenti. Di pareri divergenti sembra essere invece Totti, che ha sempre speso belle parole per la Bocchi, così come il suo amico Nuccetelli e Tommaso Eletti, l’ex star di Temptation Island che frequentava la Bocchi con la stessa comitiva.

Estratto da liberoquotidiano.it il 17 gennaio 2022.

(...) Pupo, in una intervista al Quotidiano nazionale, ha confessato di aver avuto problemi di ludopatia, ovvero di dipendenza dal gioco, che peraltro che ha fatto perdere migliaia di euro. Le indiscrezioni su Totti sono uscite nel momento in cui sono arrivate le segnalazioni dell’antiriciclaggio. In particolare, l’ex Capitano è finito nel mirino della Banca d’Italia per alcuni sospetti movimenti di denaro, pare legati a casinò di Montecarlo, Londra e Las Vegas.

Pupo avrebbe giocato una partita a carte con Totti. E in quella occasione, ha detto il cantante, ha notato un dettaglio significativo: "Ho giocato a poker con Francesco Totti una sola volta, in occasione di un torneo di solidarietà organizzato per raccogliere fondi in favore dei terremotati dell’Aquila, che andò in onda su La7, ricordo che, guardandolo negli occhi, mi accorsi subito che il gioco lo appassionava molto", ha raccontato Pupo. "Totti, secondo me, è una persona buona, sensibile e generosa, caratteristiche che, purtroppo, sono quasi sempre presenti nei soggetti affetti da ludopatia", ha sottolineato.

 Pupo però si è detto convinto che nel caso in cui Totti fosse ludopatico potrebbe comunque superare la sua dipendenza dal gioco visto che anche lui ci è riuscito.

Giacomo Amadori François De Tonquédec per “la Verità” il 15 Gennaio 2023.

Nel circuito di Francesco Totti le auto devono essere proprio una passione. E non mancano le sorprese. La nostra storia riparte da D.M., l'amico poliziotto che tra luglio e ottobre 2016 ha ricevuto dal Pupone due bonifici per complessivi 160.000 euro come «prestito in amicizia con vincolo di restituzione entro 24 mesi». Soldi che in realtà non sono mai stati ridati all'ex capitano della Roma.

 Come gli ulteriori 80.000 euro inviati, nel novembre 2021, alla suocera dello stesso D.M.: un trasferimento «disposto da Francesco Totti con causale prestito infruttifero» e segnalato nell'agosto scorso all'Antiriciclaggio poiché i risk manager non conoscevano «i legami tra le parti». Ma D.M. ci ha spiegato di non aver avuto bisogno di quel denaro e che quei soldi non sarebbero usciti dal suo conto.

Nella segnalazione è indicato anche un bonifico estero da 27.000 euro per l'acquisto del telaio di un'auto da una ditta individuale italiana con conto in Belgio. Il titolare dell'azienda, secondo la banca dati della Camera di commercio, sarebbe gravato da protesti e pignoramento immobiliare.

 L'auto sarebbe una Porsche acquistata all'estero per essere immatricolata (nazionalizzata) in Italia. Si tratterebbe di una Porsche Cayenne S. Questo tipo di operazioni vengono controllate con particolare attenzione per evitare l'evasione dell'Iva. Certamente dietro all'acquisto di macchine fuori dall'Italia esiste un ricco mercato. Nei giorni scorsi avevamo scritto che D.M. nell'aprile 2021 aveva acquistato una Porsche Cayenne, probabilmente pure questa di importazione, che è stata rivenduta nell'ottobre scorso. Non è chiaro se sia la stessa al centro del bonifico attenzionato dalla banca.

Prima di disfarsi della Porsche, a fine settembre, il poliziotto aveva, però, messo in garage una Audi di grossa cilindrata seppur usata. Con noi D.M. aveva un po' balbettato a proposito della sua passione per le auto sportive: «La Cayenne? Vabbè, ma io quella ce l'ho. No, non ce l'ho, l'ho venduta ce l'ho, ma mica è per Francesco che l'ho venduta».

Nei mesi scorsi D.M. è stato avvistato anche su una Lamborghini Urus. E pure in questo caso il poliziotto ha barcollato: «È di Francescooo» ha esclamato inizialmente.

 Salvo poi fare un rapido dietrofront: «So' macchine praticamente sono delle persone che noleggiano è un noleggio, degli amici nostri hanno un noleggio e ogni tanto così». Ma adesso scopriamo che D.M. tra il 2020 e il 2021 aveva acquistato altre due Porsche successivamente cedute.

 Dunque un poliziotto con uno stipendio di poco superiore ai 2.000 euro al mese che vive in una bella villetta ad Anzio compra e vende bolidi da diverse decine di migliaia di euro. Nel maggio del 2019 aveva acquistato una Porsche che ha rivenduto nel giugno del 2020 a un autosalone con sede nella zona di Tor Vergata. Nel gennaio 2022 l'auto è stata esportata all'estero o rubata.

 Nel febbraio 2020, prima di cedere la prima Porsche, D.M. ne avrebbe comprata una seconda, rivenduta a un altro commerciante di autovetture nell'aprile del 2021, quando arriva il terzo esemplare della marca tedesca. Dai dati del Pubblico registro automobilistico risulta che dalla costruzione all'immatricolazione in Italia per queste fuoriserie è trascorso sempre un po' di tempo, il che lascia immaginare che possano essere tutte auto di importazione. L'ultima cessione è stata fatta a un salone a due passi dalla stazione Prenestina, Motocash.

Socio e amministratore unico è Massimo Torcolacci, che da questo mese controlla e amministra anche la Automotocash Srl. All'indirizzo dell'autosalone, specializzato anche nella compravendita di moto usate aveva la sede la Moto Incontro, di cui Torcolacci deteneva una quota del 33%. La vecchia società ha chiuso i battenti nel 2020. Ad accogliere i clienti nei giorni scorsi c'erano il titolare e un giovanotto che potrebbe essere l'amministratore unico. A ottobre avevano acquisito la Porsche di D.M. con il cosiddetto minipassaggio che costa circa 100 euro, poi, il 5 dicembre, è stato fato il passaggio ufficiale e la macchina è rimasta intestata all'autosalone.

Torcolacci nel 2016 era stato segnalato all'autorità giudiziaria dal compartimento Polstrada di Roma per riciclaggio di autovetture e nel 2015 dai carabinieri di Vico Equense per truffa. Ma l'imprenditore contattato dalla Verità replica: «La querela di Vico Equense è stata archiviata. Si trattava di una donna che aveva comprato una moto, dopo due anni le avremmo restituito la cifra che aveva pagato, ma lei voleva 5.000 euro di risarcimento. Ci stava facendo una sorta di estorsione e noi abbiamo denunciato lei».

 Nel procedimento per riciclaggio era accusato insieme ad altre due persone di aver tentato di «nazionalizzare» due veicoli di presunta provenienza illecita, noleggiati con falsa documentazione in Spagna. «Sono andato al processo come testimone perché la mia posizione è stata archiviata immediatamente» puntualizza anche in questo caso Torcolacci. «In 25 anni di questo tipo di lavoro può capitare qualsiasi genere di inconveniente» conclude l'uomo.

Una delle auto disponibili a noleggio della Motocash, una Ferrari Gtc4 gialla compare in molte delle foto scattate (sembra anche dalle forze dell'ordine) al funerale di Nicholas B., il giovane di origine rom che nel luglio scorso si è schiantato sul Gra a 294 chilometri orari con un'Audi R8 presa a noleggio (apparentemente da un'altra società), mentre l'altro passeggero stava girando un video probabilmente destinato alla pubblicazione su Tiktok. Su questo social anche dopo il funerale si trovavano i video con le folli corse del giovane.

 La famiglia del ragazzo sarebbe già nota alle forze dell'ordine perché coinvolta nello spaccio di cocaina e hashish nel quadrante sud di Roma e sarebbe legata ad alcune cosche della 'ndrangheta. Una circostanza smentita, però, dai legali dei genitori della vittima. «Molti dei noleggiatori, non le dico quasi tutti i noleggiatori di auto di grossa cilindrata per i funerali di quel ragazzo hanno fornito una o più macchine in forma di rispetto.

Poi magari sono state usate in modo un pochino esagerato, però» ci spiega Torcolacci a proposito della sfilata. Anche sul profilo Instagram di un altro personaggio controverso si trova traccia di una delle auto che la Motocash ha pubblicizzato attraverso i suoi profili social. È una Mercedes G63 Amg nero opaco, immortalata in una delle storie che Danilo V., il ventenne rapito (e poi rilasciato il giorno successivo) in un locale di Ponte Milvio, aveva pubblicato sul suo profilo Instagram poi disattivato. Danilo V. è il figlio di Maurizio, conosciuto come «il sorcio» uno dei boss dello spaccio di San Basilio, già oggetto di una gambizzazione qualche mese fa. Probabilmente per una coincidenza, Chanel Totti è andata nello stesso locale di Ponte Milvio proprio la sera del rapimento di Danilo. Dopo che questa circostanza è diventata di pubblico dominio i due ragazzi sono diventati follower l'uno dell'altra, salvo poi ripensarci.

Giacomo Amadori per la Verità il 7 gennaio 2023.

A Ilary Blasi alcuni articoli pubblicati dai media dopo lo scoop della Verità sulle segnalazioni dell'Antiriciclaggio sul suo ex compagno Francesco Totti non sono proprio piaciuti. In particolare le indiscrezioni in base alle quali «l'entourage di Totti» sospetterebbe che dietro alla nostra esclusiva e al relativo «nuovo scandalo» ci possa essere «lo zampino» della Blasi.

 Che avrebbe rifornito di notizie tanto succose un giornale con cui non ha mai avuto rapporti e che per la prima volta si è occupato delle presunte disavventure extracalcistiche dell'ex capitano della Roma.

E così l'avvocato milanese Alessandro Simeone, legale della showgirl, ha precisato con le agenzie che «la propria assistita nulla sapeva dei movimenti di denaro da e per l'estero evidenziati nell'inchiesta del quotidiano La Verità e segnalati come sospetti dagli organi competenti. È dunque impossibile che le notizie siano state fatte trapelare dalla signora Blasi, come malignamente ipotizzato nel tentativo maldestro di coinvolgerla in eventi a cui è estranea. D'altra parte, i conti oggetto di segnalazione erano di pertinenza esclusiva del signor Totti e la moglie, con la fiducia che contraddistingue ogni solido rapporto matrimoniale, non ha mai effettuato su di essi alcun tipo di controllo».

La Blasi è ritornata nelle scorse ore in Italia dopo aver trascorso il Capodanno in Thailandia.

Ieri un quotidiano sportivo si è sostituito all'ufficio stampa del Pupone e ha pubblicato un idilliaco articoletto di risposta alla nostra inchiesta. E ha scelto un titolo furbetto e acchiappa lettori: «Totti e il gioco d'azzardo, ecco la risposta del Capitano dal Messico». Risposta che in realtà non c'è. Ecco il seguito del «comunicato»: «Mentre continuano le indiscrezioni sull'indagine che lo riguarda, Francesco pubblica una foto al tramonto con i tre figli: "L'amore della mia vita"». L'ultima frase è una citazione della canzone di Arisa che fa da sottofondo al post.

Il testo prosegue: «Se la vacanza caraibica gli sia stata, davvero, rovinata, forse lo sa solo lui. Ma Francesco Totti, per il primo vero viaggio con i figli da papà separato, sta cercando comunque di mantenere il sorriso, dall'altra parte del mondo, per i suoi ragazzi. Ma di certo le notizie uscite ieri non gli hanno fatto piacere, per usare un eufemismo, perché hanno rappresentato l'ennesima bufera mediatica nei suoi confronti. Una bufera a cui, per ora, lo storico capitano della Roma non ha replicato ufficialmente: forse lo farà nei prossimi giorni, quando rientrerà in Italia, e intanto valuta il da farsi, anche dal punto di vista legale per tutelare la sua immagine. Nel frattempo, però, Totti sceglie di far parlare immagini e musica».

 In attesa delle spiegazioni «ufficiali» di Totti sulle operazioni finanziarie attenzionate dall'Antiriciclaggio, noi abbiamo deciso di portare avanti le nostre ricerche.

Da un conto su cui venivano versati gli stipendi dell'ex fuoriclasse, tra il maggio 2017 e il maggio 2018 è stata rilevata come critica l'emissione di cinque assegni bancari per 1,5 milioni di euro, tutti a favore della società che controlla il casinò di Monte Carlo. Sotto osservazione anche due bonifici datati luglio e ottobre 2016 disposti a favore di D.M. per totali 160.000 euro con causali «prestito in amicizia con vincolo di restituzione entro 24 mesi». Soldi che in realtà non sono mai stati ridati al Pupone. Come gli ulteriori 80.000 euro inviati, nel novembre 2021, alla suocera dello stesso D.M.: un trasferimento «disposto da Francesco Totti con causale prestito infruttifero» e segnalato nell'agosto scorso all'Antiriciclaggio poiché i risk manager non conoscevano «i legami tra le parti».

 Con noi il beneficiario dei finanziamenti ha negato di averne avuto davvero bisogno, ma ha anche escluso che quei soldi possano essere serviti per effettuare scommesse al posto di Totti attraverso alcune ricevitorie dei Castelli romani specializzate in scommesse sportive, poker e casinò online. Come abbiamo scritto ieri l'ex campione del mondo, essendo iscritto dal 23 marzo 2021 al registro federale degli agenti sportivi, non potrebbe in alcun modo puntare sul calcio e l'amico, lo ribadiamo, ci ha assicurato che questo non è accaduto.

 L'amico D.M., che nel 2022 ha incassato circa 87.000 euro di vincite sul proprio conto (20.000 sono arrivati anche su quello del suocero) e che sostiene di poter contare su 10.000 euro di entrate al mese grazie a stipendi e pensioni, lo scorso autunno ha venduto la Porsche cayenne acquistata nuova nell'aprile 2021. L'uomo non ci ha voluto spiegare se il motivo della cessione sia legata alla passione per il gioco, «vizio» che, però, aveva già smentito che avesse causato danni alle sue casse famigliari. L'autosalone sulla Prenestina che è diventato proprietario del bolide e che promette di comprare quattro ruote e motocicli «in contanti» ieri era chiuso.

 Ma sul profilo Facebook della società si può ammirare una foto risalente al gennaio del 2021 in cui i presunti titolari si sono fatti immortalare al fianco di uno degli ex calciatori della Roma più legato a Francesco, Vincent Candela. Dietro a loro campeggia proprio una maglia di Totti, il 20 della Nazionale, in versione opera d'arte. Per D.M. si tratta di un salone di amici. Lo stesso che noleggia la Lamborghini urus con cui D.M. è stato visto in giro. L'auto fa bella mostra di sé anche sul sito insieme a Ferrari, Maserati e Porsche.

Resta aperta la questione della grande quantità di denaro contante (centinaia di migliaia di euro) ritirato allo sportello da Totti e dal fratello Riccardo negli anni, prelievi attenzionati dai risk manager della loro banca. Infine non è ancora chiaro chi abbia ceduto e perché a un gioielliere di Monte Carlo, città molto amata dal Pupone per via del casinò, i due Rolex griffati Totti (uno sarebbe un regalo di Natale dell'ex presidente della Roma James Pallotta) rivenduti per circa 30.000 euro nell'estate del 2020.

Estratto dell’articolo di Niccolò Dainelli per leggo.it il 6 gennaio 2023. 

[…] «In merito alle illazioni mosse da alcuni organi di informazione, l'avvocato Alessandro Simeone, nell'interesse della signora Ilary Blasi, precisa - in una nota - che la propria assistita nulla sapeva dei movimenti di denaro da e per l'estero evidenziati nell'inchiesta del quotidiano La verità e segnalati come sospetti dagli organi competenti.

 È dunque impossibile - continua l'avvocato a nome di Ilary Blasi - che le notizie siano state fatte trapelare dalla signora Blasi, come malignamente ipotizzato nel tentativo maldestro di coinvolgerla in eventi a cui è estranea. D'altra parte, i conti oggetto di segnalazione erano di pertinenza esclusiva del signor Totti e la moglie, con la fiducia che contraddistingue ogni solido rapporto matrimoniale, non ha mai effettuato su di essi alcun tipo di controllo».

 Giacomo Amadori per “La Verità” il 6 gennaio 2023.

Chi trova un amico trova un tesoro. Per avere conferma citofonare D.M., compagno di zingarate di Francesco Totti, che ieri ci ha raccontato di aver ricevuto in prestito dall'ex capitano della Roma 160.000 euro (con due bonifici datati 8 luglio e 3 ottobre 2016) che non ha mai restituito e altri 80.000 nell'agosto scorso, questa volta inviati sul conto corrente della suocera, per non dare troppo nell'occhio.

 Nella versione di D.M. si tratterebbe di denaro che avrebbe ottenuto in un momento di difficoltà economica e non per altri motivi. Non certo, per esempio, per fare scommesse al posto di Totti. D.M. ci ha spiegato che la passione delle puntate, anche sul calcio, è sua e che le vincite per un totale di 87.000 euro in pochi mesi le ha fatte lui utilizzando i soldi della pensione dei suoceri.

 Ma l'intervista di questo quarantaseienne in presunta difficoltà ieri ha suscitato l'ilarità di chi conosce bene lui e la moglie A.M.. I due infatti non danno proprio l'impressione di passarsela male. Anzi l'uomo è stato avvistato più volte sotto l'ufficio della compagna, in zona Olimpico, a bordo della Porsche Cayenne che, almeno sino a qualche settimana fa, era intestata a suo nome.

 I nostri lettori arricceranno il naso nell'immaginare il povero D.M., bisognoso di ripetuti prestiti, che sgomma per le vie di Roma su un bolide da quasi 100.000 euro. E non solo su quello. Infatti sarebbe stato visto alla guida anche di una Lamborghini Urus gialla fiammante. «La Lamborghini? È di Francesco» ci ha spiegato ieri a caldo. Per poi correggersi parzialmente: «Degli amici nostri hanno un noleggio». La moglie viaggia, invece, su una Mercedes Glb 180 D del 2020.

Ma i due coniugi hanno anche molti soldi sui conti correnti e due villette adiacenti ad Anzio di 6,5 vani e 4,5 più alcune pertinenze. Come detto, i due hanno pure una buona disponibilità di liquidi. Quest' anno avrebbero fatto giroconti da 45.000 euro e 79.000 euro e avrebbero eseguito «traenze dirette» verso se stessi da 265.000 e 280.000 euro. Quasi mezzo milione di risparmi che D.M. ha giustificato così: «Sono sei anni che non tocchiamo gli stipendi, prendiamo 80.000 euro l'anno e poi abbiamo venduto la casa di mia suocera e ci sono arrivati 200.000 euro. Poi, siccome un periodo abbiamo litigato e non sapevamo come andava a fini', avemo deciso che dei soldi che c'avevamo facevamo metà per uno così abbiamo aperto due conti diversi».

D.M., per la precisione, ha parlato di 10.000 euro al mese di entrate tra emolumenti e pensioni dei suoceri e di 80.000 euro di stipendi annui che i coniugi accantonerebbero da brave formichine, vivendo con l'assegno di anzianità dei genitori della donna. L'unico fuori programma sarebbero gli acquisti con l'e-commerce della consorte: «Mia moglie spende circa 1500 euro al mese online». A.M., a partire dal gennaio 2022, è stata promossa quadro nella società Sport e salute (controllata dal ministero dell'Economia), l'ex Coni servizi, e lo stipendio è salito a circa 45.000 euro annui, più o meno 10.000 euro in più rispetto a quello del marito, dipendente del ministero dell'Interno.

Ma qualcosa non torna. Infatti, se è vero che i due coniugi portano a casa salari che corrispondono a quanto dichiarato da D.M., si tratta di emolumenti lordi che vanno decurtati almeno del 30%. Perché l'uomo avrebbe dovuto gonfiare con noi le entrate famigliari? Non ci è chiaro. D.M. ci ha pure assicurato che Francesco Totti non avrebbe bisogno di lui per scommettere, se volesse, sulle partite di calcio, non essendo più un giocatore professionista.

In realtà il Pupone resta un tesserato nel settore del pallone. Dal 23 marzo 2021 è iscritto al registro federale degli agenti sportivi domiciliati e, stando al nuovo regolamento, Totti può, quindi, operare nel mercato italiano, ma, ovviamente, non può scommettere. D.M. ci ha garantito, però, che i soldi che gli ha prestato l'ex campione del mondo non servirebbero per le puntate: «Io ce so' stato in difficoltà, purtroppo. Però adesso non ce sto più. Io sono un amico di Francesco da quindici anni e visto che io e mia moglie abbiamo avuto dei problemi, non mi vergogno a dirlo, gli abbiamo chiesto un prestito e ce l'ha fatto».

 Nonostante i presunti alti e bassi (per cui avrebbe ottenuto un finanziamento anche ad agosto) D.M. continuerebbe a scommettere nelle sale da gioco di un amico di Frascati, il trentaquattrenne C.M., investendo discrete sommette e portando a casa buone vincite.

Lui ha negato più volte che quelle puntate siano fatte per Totti, ma allora proprio non si spiegano quei prestiti infruttiferi a una persona con immobili, buono stipendio e una Porsche.

 D.M. giura di non aver restituito sotto qualsiasi forma i suoi soldi al Pupone, il quale era finito già al centro di segnalazioni per operazioni sospette per la gran quantità di contante prelevato allo sportello.

In una sos si ricorda che nel 2016 Francesco aveva emesso assegni bancari a favore del fratello Riccardo per complessivi 230.000 euro e che il consanguineo ne aveva chiesto il saldo in contanti dopo che, nel 2015, aveva effettuato due ulteriori prelievi allo sportello per un totale di 90.000 euro. Operazioni che sarebbero state «motivate con generiche esigenze personali in linea con l'alto tenore di vita». Nel 2015 lo stesso Francesco Totti era stato segnalato per il ritiro di 100.000 euro in contanti e il fratello Riccardo, nel 2012, per l'incasso di 170.000 euro complessivi.

D.M. ha spiegato che tutto questo cash servirebbe al Pupone per aiutare i molti amici e parenti in difficoltà. Sarà, ma qualcuno sospetta che quel denaro possa servire per giocare a poker e scommettere in ricevitoria senza lasciar traccia. Ovviamente non v' è certezza che queste ipotesi corrispondano alla realtà. L'amico ha escluso con forza che l'ex capitano della Roma frequenti bische «clandestine» o che possa puntare sulle partite di calcio.

 In ogni caso Totti sembra avere necessità di molto contante anche quando va in trasferta nell'amata Monte Carlo, dove ha un conto aperto e invia bonifici milionari. Per esempio 1,5 milioni tra maggio 2017 e maggio 2018 e 1,3 tra agosto 2018 e gennaio 2020. Ieri il sito Dagospia ha pubblicato le immagini di alcuni cronografi con questa didascalia birichina: «Nell'estate 2020 un gioielliere di Monte Carlo vendeva i Rolex d'acciaio griffati Totti a 15.000 euro: si trattava di due orologi, uno con un numero 10 nel cinturino e nel retro della cassa, dove è stata incisa anche una data, 9 dicembre 2013 (giorno della festa di Natale della Roma, quando il presidente James Pallotta fece il prezioso cadeau a tutti i giocatori, ndr).

Nell'altro, invece, si può vedere la scritta As Roma. Provenivano dalla collezione del Pupone, grande habitué del casinò del principato? Bene visto che per giocare al casinò non serve presentarsi con le valigie zeppe di contanti (basta la carta di credito) a che serviva e per cosa tutto quel denaro contante?». La solita domanda, per ora, senza risposta.

 Ieri abbiamo provato a contattare il titolare delle agenzie dei Castelli, senza fortuna.

Sappiamo solo che le vincite incassate da D.M. provengono dai negozi di scommesse Planetwin365 che è «il brand di punta di livello internazionale dei prodotti di betting e gaming del gruppo Sks365 Malta Ltd che sono autorizzati e regolamentati dall'Agenzia delle dogane e dei monopoli e dall'Mga maltese».

 L'azienda gestisce sia attività online che «terrestri», come pure le scommesse sportive, poker e casinò online. Ma D.M. con noi ha sempre negato di essere il puntatore ufficiale di Totti: «C'ho tutte le ricevute io! Ho scommesso io, sui Mondiali pure, e ho vinto io. Una volta 3.000, una volta 5.000 euro. Non potendomi paga' in contanti, mi fanno i bonifici. Capito? Fino a 1.999 me li darebbero cash, però, io me li faccio bonificare e quei soldi non li ho rigirati a nessuno».

Tutto questo gran chiacchierare sulle scommesse di Totti, in queste ore, avrebbe fatto aprire occhi e orecchie, al Comitato olimpico internazionale, essendo il campione «ambassador» ufficiale per le Olimpiadi invernali Milano Cortina 2026. Ricordiamo che il Cio aderisce all'Ipacs, la partnership internazionale contro la corruzione nello sport a cui aderiscono governi, organizzazioni intergovernative e organizzazioni sportive, tra cui il Coni.

 L'Ipacs contrasta anche le scommesse illegali e le frodi sulle scommesse. Ovviamente si tratta di problemi che, allo stato attuale, non coinvolgono in alcun modo Totti, ma la passione per il gioco d'azzardo dell'ex bomber è considerata molto negativa a livello d'immagine. Fari accessi anche a Sport e salute, società che ha un codice etico stringente sul tema del riciclaggio. E le sos svelate dalla Verità e riguardanti una loro dipendente non sono passate inosservate.

Da calciomercato.com il 5 gennaio 2023.

Nel post-gara più che il presidente della Roma, sembrava un bambino entusiasta. James Pallotta ha voluto attendere la squadra all’uscita dagli spogliatoi e ha salutato uno ad uno i protagonisti della bella vittoria sulla Fiorentina. Ha abbracciato Maicon, De Rossi e Destro.

 Come riporta Il Messaggero, ha pure richiamato bonariamente Totti che impegnato con i due figli non si era accorto della sua presenza. 'Che fai non mi saluti?' ha chiesto divertito l’imprenditore statunitense al capitano che con il piccolo Cristian che lo tirava per la giacca e Chanel che correva per la salita che porta poi all’uscita dallo stadio, ha trovato appena il tempo per abbracciarlo e rimandare l’appuntamento ad oggi. In serata in un noto locale di Testaccio andrà in scena la festa di Natale.

 Da pagineromaniste.com – dicembre 2013

Il Tempo – Serafini – «Totti ha detto che gli avrebbe fatto piacere se venissi meno spesso». Tranquilli, è soltanto uno dei soliti scherzi di James Pallotta, l’ultimo in senso cronologico prima di imbarcarsi nuovamente sul solito volo privato direzione Stati Uniti. Il presidente della Roma ha lasciato la capitale ieri di buon mattino e a Trigoria si sente già la sua mancanza. Sì, perché la presenza di Pallotta è diventata ormai un buon auspicio e fonte di serenità per la squadra, sempre più felice di sentire la vicinanza del proprio presidente. Quindi non fatevi ingannare dalle apparenze, come spiegato dal dg Mauro Baldissoni a margine della cena di Natale: «Purtroppo non possiamo portare con noi il presidente a San Siro. Ha detto ai ragazzi che vorrebbe passare più tempo con noi».

D’altronde il ruolo di portafortuna del patron romanista ha quasi sempre funzionato (la dura eccezione nel derby del 26 maggio scorso) nelle fugaci apparizioni all’Olimpico. Durante la cena organizzata dalla società, Pallotta ha voluto donare personalmente un orologio Rolex da circa 10mila euro a tutti i giocatori per un valore totale di 200mila euro che si aggiungono agli stipendi di ottobre appena pagati dalla società. (…)

Estratto dell'articolo di Daniele Autieri e Giuseppe Scarpa per “la Repubblica” il 5 gennaio 2023.

Il rettangolo verde lo ha reso celebre in tutto il mondo.

Francesco Totti negli stadi di mezza Europa calava i suoi assi, le sue giocate. Adesso, però, la passione dell'ex stella giallorossa si è trasferita anche su un altro campo, il tavolo verde dei casinò. Ma in questo caso la fama del Pupone, più che ai colpi da maestro, è dovuta al volume delle puntate. Milioni di euro.

 Tanto che l'Unità di informazioni finanziarie della Banca d'Italia, l'Uif, ha fatto scattare diversi alert. I bonifici verso l'estero partiti dai conti correnti di Totti hanno messo in moto la macchina dell'antiriciclaggio. Tecnicamente si chiamano Sos. Si tratta delle segnalazioni per operazioni sospette. Tuttavia gli investigatori, dopo aver lavorato al caso, escludono che si possa trattare di riciclaggio.

 Totti, nella sua lunga carriera da calciatore, ha incassato ingaggi a sei zeri. Insomma non ci sono dubbi che i soldi siano suoi, le Sos partono per qualsiasi cittadino quando si trasferiscono grosse quantità di denaro, senza che questo rappresenti per forza un reato.

Tuttavia la vicenda dell'alert della Banca d'Italia sulle movimentazioni dei conti del "Capitano" apre un nuovo scenario che va oltre la questione del denaro e riguarda il capitolo della passione per il gioco d'azzardo del fantasista di Porta Metronia, una passione che sembra contagiare i campioni del calcio con l'aggressività di un virus.

La febbre del gioco ha conquistato anche Totti e in molte occasioni lo ha convito a prendere un volo di linea, quando non un jet privato da Ciampino per raggiungere Monte Carlo, sogno proibito dei frequentatori di Bingo.

Proprio a Monte Carlo conducono le tracce finanziarie di alcune operazioni segnalate dall'Uif alla guardia di finanza, ovvero una serie di assegni bancari accompagnati da un bonifico per un totale di 1,3 milioni di euro intestati alla Société financière et d'encaissement con sede a Monte Carlo e giustificati dalla causale: «finanziare le giornate che il noto personaggio ama trascorrere nella casa da gioco del Principato ».

 L'ultima di queste - secondo quanto ricostruito a Repubblica da fonti qualificate del Principato - risale al 20 dicembre scorso e segue una serie di soggiorni lampo insieme a Noemi Bocchi, che ha accompagnato l'ex numero 10 della nazionale prima allo stadio di Luis II a vedere la partita del campionato francese tra il Monaco e il Clermont, quindi a cenare al Crazy Pizza di Flavio Briatore.

 A parte le recenti trasferte con Noemi, l'ultima delle quali giustificata dalla partecipazione di Totti alla Padel Net Cup, un torneo di padel organizzato dal brand di criptovalute DigitalBits, la routine monegasca dell'ex fuoriclasse inizia di norma con una cena presso il ristorante Louis XV dello chef Alain Ducasse all'interno dell'Hotel de Paris dove Totti ha soggiornato più di una volta nella "Principessa Grace", una delle due suite più belle e costose dell'albergo, e dove ha festeggiato i suoi 38 anni insieme all'ex moglie Ilary Blasi. (...)

Memorabili le notti di gioco di Totti, anche pochi giorni prima della finale di Conference League della Roma lo scorso 25 maggio. Molte le serate trascorse insieme all'ex compagno di squadra e amico Radja Nainggolan, altro appassionato dell'azzardo di lusso.

 A metà tra cronaca e leggenda ormai è il furto di un assegno da 180mila euro subito nel 2018 che avrebbe dovuto coprire proprio i debiti da gioco del campione belga. Una passione contagiosa, la loro, tanto da aver attirato in un'occasione anche l'ex portiere della Roma oggi numero uno della Juventus, Wojciech Szczsny. I croupier del casinò raccontano però che il più sobrio fuoriclasse polacco si sia tirato indietro a metà della serata, stupito dalle puntate dei compagni di spogliatoio, capaci di far arrossire persino le cortigiane di Gervais.

Francesco Totti e i guai con l'Antiriciclaggio, l'amico che ha ricevuto i soldi: «Io gioco. Avevo problemi, mi ha fatto un prestito». Clarida Salvatori su Il Corriere della Sera il 5 Gennaio 2023.

Il Capitano, secondo quanto afferma D. M., lo avrebbe soccorso in un momento di difficoltà. «Se gioca i soldi guadagnati onestamente, fatti suoi»

«I soldi dei bonifici? Mi ha aiutato quando io e mia moglie avevamo dei problemi. Se Francesco gioca al casinò? Se gioca i soldi suoi, che ha guadagnato regolarmente, quella è una questione sua». Queste le parole di D. M. (in una lunga intervista telefonica rilasciata a La Verità), amico di Francesco Totti, finito nel mirino dell'Antiriciclaggio per una serie di versamenti ritenuti poco chiari sui conti riconducibili alla case da gioco di Londra, Monte Carlo e Las Vegas. Ma anche per dei pagamenti a una pensionata di Anzio, suocera proprio di D. M.. Alla domanda se quei soldi siano serviti a Totti per scommettere online nega: «Noooo. Sono amico di Francesco da quindici anni. E quando io e mia moglie abbiamo avuto dei problemi, non mi vergogno a dirlo, gli abbiamo chiesto un prestito di 160mila euro. Lo ha fatto con me ma anche con i cugini e altri familiari».

Poi l'ammissione e la difesa dell'amico. «So' io che gioco, c'ho un amico che c'ha sei sale scommesse ai Castelli, ma i soldi che mi ha dato Totti non li ho mai prelevati e mandati a nessuno. Avrei dovuto prelevarli o girarli con bonifici, no? Io non li ho mai spesi, non sono mai usciti dal mio conto e ormai sono passati anni». Tra le passioni del Capitano ci sono le bische? «Ma quali bische - aggiunge ancora D. M. -. Lui ha un forte amore per il casinò di Monte Carlo. Ancora di più per quello di Las Vegas». E riguardo ai tanti prelievi di contante: «È molto generoso eh. Francesco proviene da una famiglia umile. Ha pagato 100mila di cure mediche a una bambina. Francesco aiuta tutti. Soldi che non ha mai chiesto indietro. È persona d'oro. Poi se si gioca pure qualche cosetta, saranno affari suoi, no?».

Secondo D. M., Totti frequenterebbe il casinò di Monte Carlo da oltre venti anni. «Se vai a Monte Carlo è pieno di giocatori. C'è Mbappé, c'è mezza Roma, ci vanno tutti: Nainggolan, Pjani». Smentisce anche che per colpa di questo vizio, Totti litigasse con Ilary, da cui si sta ormai separando dopo 17 anni. «Assolutamente no. Al casinò ci andava sempre con la famiglia, con gli amici. Forse la segnalazione l'ha fatta partire la moglie? Adesso che hanno litigato?». La sua preoccupazione ora è per le conseguenze che questa storia potrebbe avere sulla sua amicizia con Francesco. «Così mi fanno litigare con lui. Totti è un amico mio, che ha guadagnato, ha pagato le tasse, non c'ha mai avuto un accertamento fiscale. E oggi gli devono fare male».

Negli ultimi due giorni, da quando è scoppiata la bufera della storia dell'Antiriciclaggio, non è ancora riuscito a sentire lo storico numero 10 della Roma: «In questo momento non riesco manco a parlare con Francesco, perché sta in crociera, la è notte. Gli ho mandato un messaggio: "Mi chiami? Qua è un macello". Ancora non lo ha letto». «Francesco è peggio di me - conclude -, siamo gente così ancora neonati di testa, ma nessuno è un bandito».

Segnalazione dell’antiriciclaggio: “I milioni di Francesco Totti usati per scommesse”. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 4 Gennaio 2023

Il nome di Francesco Totti comparirebbe nel giugno 2020, attraverso l'esame di due conti e operazioni legate a casinò di Montecarlo, Londra e Las Vegas. "Permangono forti dubbi in merito alla reale destinazione del denaro inviato alle varie case da gioco internazionali", scrivono gli esperti dell'Antiriciclaggio

Nella complicata separazione tra Francesco Totti e Ilary Blasi arriva un colpo di scena destabilizzante: il gioco d’azzardo e le scommesse. Il quotidiano “La Verità” ha riportato oggi alcune segnalazioni di operazioni sospette degli addetti all’antiriciclaggio (sos) – che da tempo stanno addosso all’ex campione – che raccontano di come il patrimonio familiare negli ultimi tempi sia stato duramente colpito da un’ingente fuoriuscita di denaro dai conti bancari di famiglia per approdare nel Principato di Monaco.

Una puntuale attività di controllo “svolta dalle competenti strutture centrali” della banca a cui Totti ha affidato per anni i propri guadagni. Lo scorso agosto, secondo la ricostruzione, risulterebbe un prestito infruttifero di 80mila euro verso il conto cointestato di una pensionata di Anzio e della figlia A.M. dipendente della società Sport e Salute (ex Coni servizi, controllata dal ministero dell’Economia). Nello stesso giorno, la somma sarebbe transitata verso il conto cointestato con D. M. marito della 50enne, dipendente del ministero dell’Interno, che sarebbe amico di Totti, e poi verso un conto personale dell’uomo. 125mila euro sono stati dirottati sui conti personali dei due coniugi. In loro favore poi sono stati negoziati assegni bancari per un valore di 445mila euro. “Attività opaca con controparti operanti nel settore del bet online”, scrivono dall’Antiriciclaggio.

Secondo quanto riferito da La Verità in questa attività dell’Antiriciclaggio, il nome di Totti comparirebbe nel giugno 2020, attraverso l’esame di due conti e operazioni legate a casinò di Montecarlo, Londra e Las Vegas. “Permangono forti dubbi in merito alla reale destinazione del denaro inviato alle varie case da gioco internazionali”, scrivono gli esperti dell’Antiriciclaggio . Tra queste la Malta limited terrestre, la Malta limited online e la Sa.Pa. Srl. Sono stati segnalati 15 trasferimenti per un totale di circa 87 mila euro.

Ma di segnalazioni ce ne sono anche altre. Una riguarda due conti del giocatore. Uno cointestato con Ilary Blasi e l’altro con Manuel Zubiria Furest, ex team manager della A.S. Roma. Ci sono anche altri bonifici nei confronti di società proprietarie di casinò di Las Vegas. Qui i funzionari parlano di cinque assegni bancari e un bonifico intestati alla Société financière et d’encaissement (Sfe) con sede a Monte Carlo. Pagati tra agosto 2018 e gennaio 2020. Per complessivi 1,305 milioni di euro, “apparentemente per finanziare le giornate che il noto personaggio ama trascorrere nella casa da gioco del Principato“.

Poi un altro bonifico da 300mila euro a favore della società United London services limited, collegata con il casinò di Londra e un altro da 200mila alla società Belco, apparentemente collegata con il casinò di Las Vegas. Non solo: l’Antiriciclaggio ha analizzato anche un accredito da 201mila euro eseguito dalla Mgm resorts international, un albergo di Las Vegas con annessa casa da gioco. E l’elenco è lungo.  I movimenti sospetti riguardano anche i tanti prelievi in contanti del fratello Riccardo Totti, o un altro conto utilizzato per le raccolte di beneficenza, dove avrebbero versato denaro con la causale sanzioni e multe diversi ex compagni di squadra (Antonio Rudiger, Thomas Vermaelen, Radja Nainggolan, Juan Jesus, Edin Dzeko ed Emerson Palmieri).

L’attenzione sui conti di Totti risale al giugno del 2020, quando è stato segnalato un fido da 2,5 milioni di euro per una ristrutturazione. Secondo quando segnalano dall’ Antiriciclaggio “permangono forti dubbi in merito alla reale destinazione del denaro inviato alle varie case da gioco internazionali” in quanto la Sfe di Monte Carlo “sembrerebbe svolgere anche un’attività bancaria“, e “non è quindi chiaro se il denaro inviato sia destinato solo al gioco oppure ad altro“. In un altro passaggio puntualizzano anche che “la stessa società è stata nominata in alcuni recenti scandali che hanno coinvolto personaggi politici”.

C’è poi anche un’altra segnalazione del 2018, che porta a circa 3 milioni di euro la cifra “attenzionata”, e di due bonifici per complessivi 160mila euro inviati al solito D.M. con causale “prestito in amicizia con vincolo di restituzione entro 24 mesi”. “Il cliente” (cioè Francesco Totti n.d.r.) , spiegano all’ Antiriclaggio i risk manager della banca segnalante “ha riferito che trattasi di pagamenti che lo stesso effettua per le sue giornate trascorse al casinò di Monte Carlo essendo appassionato del gioco d’azzardo“. Sarebbe quindi lo stesso ex calciatore ad ammettere di essere un accanito scommettitore, giustificando così la continua necessità di contanti. Trasferiti come prestiti infruttiferi agli amici e ai loro parenti o quelli ritirati negli anni precedenti allo sportello.

Redazione CdG 1947

Giacomo Amadori per la Verità il 4 Gennaio 2023 

In passato era stato attaccato da chi combatte la ludopatia per la sua compagna «10eLotto» e per quelle a favore di siti come «Mostbet» e «Partypoker»: quest' ultimo offriva ai giocatori 10 euro per sfidarlo online.

Francesco Totti, in una finta conferenza stampa, recitava allegro: «L'allenatore dice "passa, passa, passa", ma posso passare con una scala in mano? Sennò passo per scemo».

Anche quest' anno, per lui, les jeux sont faits. Francesco e la nuova compagna Noemi Bocchi, con relativa prole e amici al seguito, sono in crociera tra Miami e le Bahamas a bordo della Symphony of the seas, gigante dei mari armata dalla Royal caribbean. Una nave celebre, oltre che per i molti servizi extralusso (dal golf al simulatore di onde da surf), anche per il suo casino royale.

Il tour a Monte Carlo. L'ex idolo dell'Olimpico, pochi giorni prima di Natale, aveva visitato una casa da gioco pure sulla terra ferma e precisamente a Monte Carlo, località che aveva scelto a ottobre anche per la sua prima mini-vacanza ufficiale con la nuova fiamma.

Inoltre, il 24 dicembre, il Pupone era stato ritratto mentre sposta delle fiches su un tavolo verde durante una presunta tombolata in famiglia.

Tutti indizi che svelano la grande passione del fuoriclasse romano per il gioco d'azzardo, inclinazione che, secondo i ben informati, sarebbe stata tra i motivi di dissidio tra Totti e la sua (quasi) ex moglie Ilary Blasi.

Una febbre confermata da alcune segnalazioni di operazioni sospette (sos) degli addetti all'antiriciclaggio, i quali, al pari della Blasi, da tempo marcano stretto l'ex campione per il suo dispendioso hobby. Una minuziosa «attività di controllo svolta dalle competenti strutture centrali» dell'istituto di credito a cui il «10» ha affidato per anni i propri guadagni e che La Verità è in grado di svelare in esclusiva.

Una montagna di soldi. Dal lavoro di analisi emerge il massiccio investimento di risorse finanziarie nelle scommesse, un «vizietto» che avrebbe mandato a gambe all'aria l'economia domestica della maggior parte delle famiglie, ma non i conti dell'«ottavo re di Roma», sufficientemente robusti per sopportare tale passatempo.

Anche se va precisato che nell'ultimo periodo di carriera Totti ha ricevuto dalla As Roma emolumenti che oscillavano da un minimo di 17.000 a un massimo di 85.000 euro mensili e dal luglio del 2017 (quando ha smesso la carriera professionistica) il conto cointestato con la Blasi è stato quasi esclusivamente rimpinguato con periodici disinvestimenti.

Scatta l'«allarme» Ma partiamo dall'ultima sos giunta agli uomini di Bankitalia. Il documento risale all'agosto scorso e riguarda un «prestito infruttifero» da 80.000 euro inviato sul conto di una pensionata di Anzio dallo stesso Totti.

I risk manager specificano che il rapporto della signora è cointestato con la figlia A. M., dipendente della società Sport e salute (già Coni servizi) controllata dal ministero dell'Economia.

 Lo stesso giorno la quarantacinquenne romana A.M. gira il denaro sul conto condiviso con il marito, D. M., e questi sul proprio. L'uomo è un dipendente del ministero dell'Interno considerato in stretti rapporti con il Pupone, anche se, scandagliando Internet, si capisce che deve essere una persona che preferisce rimanere sottotraccia, evitando la sovraesposizione mediatica.

Spuntano le scommesse Questo conto è alimentato oltre che dagli stipendi dei due, «da bonifici domestici (tutti in favore di D.M.) rivenienti da società operanti nel settore delle scommesse online». Tra queste la Malta limited terrestre, la Malta limited online e la Sa.Pa. Srl. Quindici trasferimenti per un totale di circa 87.000 euro. Da questo rapporto, nel periodo sotto esame, circa 125.000 euro sono stati dirottati sui rispettivi conti personali dei coniugi.

I risk manager annotano anche l'acquisto di un telaio per auto in Belgio e 20.000 euro inviati al padre di A.M. da una delle società di gioco online già citate.

Movimento di assegni Non è finita: sui conti di D.M. e A.M. sono stati «negoziati» assegni bancari in favore degli stessi per un valore di 445.000 euro. I 265.000 euro destinati al quarantaseienne D.M. sono stati stornati «per requisiti incompleti». Secondo l'Antiriciclaggio ci troviamo di fronte a una «attività opaca con controparti operanti nel settore del bet online e rilevante attività di trasferimento somme con traenze dirette e bonifici». I coniugi non avrebbero fornito «adeguati chiarimenti e giustificativi» e avrebbero mostrato «un atteggiamento evasivo e non collaborativo».

 Le altre segnalazioni. Ma andiamo indietro con le segnalazioni. Questa volta a essere chiamato in causa per il gioco è direttamente Totti.

I funzionari nel giugno del 2020 si concentrano su due conti del giocatore, uno cointestato con la Blasi e uno con Manuel Zubiria Furest, ex team manager della Roma. Oltre a segnalare un fido da 2,5 milioni di euro per la ristrutturazione di un immobile, i risk manager mettono sotto osservazione cinque assegni bancari e un bonifico intestati alla Société financière et d'encaissement (Sfe) con sede a Monte Carlo e pagati tra l'agosto 2018 e il gennaio 2020 per complessivi 1,305 milioni di euro «apparentemente per finanziare le giornate che il noto personaggio ama trascorrere nella casa da gioco del Principato». Ma non solo lì. Infatti i bancari rilevano anche un bonifico da 300.000 euro «a favore della società United London services limited collegata con il casinò di Londra» e un altro da 200.000 euro «a favore della società Belco apparentemente collegata con il casinò di Las Vegas».

 La sortita negli Usa In entrata viene invece segnalato un bonifico da 201.000 euro eseguito dalla Mgm resorts international, un albergo di Las Vegas con annessa casa da gioco. Nell'elenco delle operazioni è indicato un altro «prestito infruttifero» da 30.000 destinato alla mamma di A.M. e due assegni da 30.000 euro ciascuno indirizzati alla Skydiamond per «saldare l'acquisto di alcuni gioielli», di cui però in banca non avrebbero ricevuto «copia della relativa fattura di acquisto». In più il primo assegno sarebbe rimasto «impagato e stornato per girata irregolare».

 Dov' è finito il denaro? Per gli esperti dell'antiriciclaggio «permangono forti dubbi in merito alla reale destinazione del denaro inviato alle varie case da gioco internazionali», visto che la Sfe di Monte Carlo «sembrerebbe svolgere anche un'attività bancaria» e «non è quindi chiaro se il denaro inviato sia destinato solo al gioco oppure ad altro». In un altro passaggio puntualizzano anche che «la stessa società è stata nominata in alcuni recenti scandali che hanno coinvolto personaggi politici».

 In una segnalazione del 2018 si riparla di altri assegni alla Sfe per un importo complessivo di 1,505 milioni di euro (che aggiunti agli 1,3 che abbiamo già citato fa quasi 3 milioni) e di 160.000 euro spalmati su due bonifici inviati al solito D.M. con causale «prestito in amicizia con vincolo di restituzione entro 24 mesi».

 «Mi piace scommettere». In merito al denaro versato alla Sfe, «il cliente ha riferito che trattasi di pagamenti che lo stesso effettua per le sue giornate trascorse al casinò di Monte Carlo essendo appassionato del gioco d'azzardo» precisano i risk manager. Dunque, volendo ignorare le altre congetture dei funzionari (che tirano in ballo Francesco e Riccardo anche per alcune dichiarazioni dell'ex vicecapo di gabinetto del Comune di Roma Luca Odevaine nell'inchiesta Mafia capitale), è lo stesso Totti che si sarebbe definito un accanito scommettitore. E forse a chi gioca d'azzardo a volte servono i contanti. Magari quelli trasferiti come prestiti infruttiferi agli amici e ai loro parenti o quelli ritirati negli anni precedenti allo sportello, con conseguente tiratina d'orecchi da parte degli impiegati. Nella sos del 2018 si evidenzia un prelievo in tre tranche da 80.000 euro.

I versamenti al fratello. In una del 2017 si ricorda che Francesco un anno prima aveva emesso assegni bancari a favore del fratello Riccardo per complessivi 230.000 euro e che il consanguineo ne aveva chiesto il saldo in contanti dopo che, nel 2015, aveva effettuato due ulteriori prelievi allo sportello per un totale di 90.000 euro. «Al riguardo precisiamo che, già in occasione di queste operazioni di prelevamento contante, motivate con generiche esigenze personali in linea con l'alto tenore di vita, il cliente era stato sensibilizzato a un minor ricorso al contante» è precisato nella documentazione visionata dalla Verità.

 Nel 2015 lo stesso Francesco Totti era stato segnalato per il ritiro di 100.000 euro in contanti e il fratello Riccardo, nel 2012, per l'incasso di 170.000 euro complessivi.

Una provvista, quest' ultima, che sarebbe stata garantita dall'ex capitano della Roma attraverso un bonifico da 100.000 euro e un assegno da 70.000. Nonostante la provenienza del denaro venga considerata lecita (lo stipendio del calciatore), gli addetti ai controlli antiriciclaggio sono insospettiti dalla giustificazione offerta per tutti quei prelievi in contanti: soldi «necessari a spese di viaggio e versamenti a enti benefici».

 I compagni di squadra. E proprio sulla beneficenza si è concentrata un'altra sos del 2018. Su un conto aperto dal solo Totti e su cui lo stesso ha caricato 200.000 euro frutto di un disinvestimento, alcuni ex giocatori della squadra giallorossa hanno inviato bonifici con la causale «multe» e «sanzioni»: Antonio Rudiger 41.000 euro suddivisi in sei bonifici di cui due da 12.000 euro l'uno; Thomas Vermaelen 17.500; Radja Nainggolan e Juan Jesus 10.000 a testa; Edin Dzeko 5.000; Emerson Palmieri 4.000.

 Si legge nella sos: «In merito ai bonifici in entrata disposti dai calciatori dell'As Roma, il cliente afferma che si tratta di multe che gli stessi professionisti pagavano e il cui ricavato veniva devoluto in beneficienza».

In effetti nel giugno del 2017 dal conto di Totti sono partiti due bonifici da 77.000 e 70.000 euro destinati all'ospedale pediatrico Bambin Gesù e altri 7.000 euro sono andati all'Associazione famiglie italiane dei sordi per il bilinguismo. Tutto a posto dunque? Non proprio. I risk manager hanno obiettato quanto segue: «Non è chiaro il motivo per cui questo denaro non fosse raccolto direttamente dalla società sportiva anziché dal calciatore stesso».

 La valutazione finale. Per questo e altri motivi la sos si conclude così: «I clienti in segnalazione sono clienti anche della controllata Fideuram Spa e San Paolo Invest Spa. Si è provveduto ad innalzare ad alto il profilo di rischio dei clienti». Rien ne va plus. Quello che è stato fatto non si può più modificare. Adesso nella complessa separazione tra Totti e la Blasi anche il gioco d'azzardo potrebbe finire con l'avere un ruolo. In fondo, come diceva Fëdor Dostoevskij nel suo Giocatore «non solo alla roulette, ma dappertutto gli uomini non fanno altro che togliersi o vincersi qualcosa a vicenda». Una regola che vale anche nelle aule di tribunale.

Dagonews il 29 Dicembre 2022.

Chi è stato a fare la prima foto della love story tra Totti e Noemi Bocchi? L’eroe del Dago-scoop è Ferdinando Mezzelani che racconta come è nato lo scatto che ha aperto "il romanzo delle corna" tra il "Pupone" e la Blasi finito anche sul "New York Times". 

Quella foto l’ho fatta per caso”. 

Correva il 4 dicembre 2021, all'Olimpico la Roma affronta l’Inter. Era la serata in cui l’ex Capitano giallorosso tornava allo stadio a vedere la Roma dopo 2 anni. Il fotografo Mezzelani è nella sua solita postazione, in attesa dei vip della tribuna d’onore.

Ho visto questa bella donna che assomigliava a Ilary e ho iniziato a scattare. Clic! Quando Dago, a febbraio, mi ha chiamato per dirmi se avevo mai visto Noemi, mi sono messo a cercare in archivio. 

Quando ho ritrovato quei vecchi fotogrammi, ho fatto un salto sulla sedia. Era lei. La fortuna è che non butto mai niente. Ho lavorato 20 anni in cronaca e la storia mi ha insegnato che in tribuna d’onore all’Olimpico passa il mondo. C’è di tutto, dal futuro capo dei servizi all’assessore che finisce indagato. E magari lo scopri, come nel caso di Noemi, dopo qualche mese”. 

A quella foto ne sono seguite altre, sempre all’Olimpico. “Noemi arriva sempre 5 minuti prima dell’inizio della partita”, spiega Mezzelani. “Non ho mai capito per quale motivo dovesse andare in settima fila, dove la partita, tra l’altro, si vede malissimo. Ma tanto a lei quel che accade in campo interessa poco, passa il suo tempo incollata al telefonino…”. 

Il fotografo spiega anche di non essersi meravigliato più di tanto per il fatto che nessun giornale gli abbia mai chiesto foto di Noemi. “Erano tutti terrorizzati”. 

Totti ha goduto di coperture da parte della stampa italiana. “A Tirana metà dei giornalisti presenti ha visto lui e Noemi giocare insieme al casinò ma si sono ben guardati dal pubblicare le foto o scrivere qualcosa in merito”. Timore reverenziale nei confronti del “Pupone”. Del resto per anni si è detto che a Roma di Francesco ce ne è solo uno e non fa il Papa…

Da “tag24.it” il 27 dicembre 2022. 

Danilo Valeri e Chanel Totti. A poche ore dal suo rilascio, dopo essere stato sequestrato, il 20enne Danilo Valeri è ritornato alla sua vita di tutti giorni e ha deciso di festeggiare riprendendosi in un video in cui viaggia a 200 km all’ora sul Grande Raccordo Anulare. 

Nello stesso ristorante dove Valeri fu rapito, insieme ad altre cento persone, c’era anche Chanel Totti, la figlia dell’ex capitano della Roma. La giovane aveva postato sul suo profilo Instagram una foto della serata. Anche lei segue sui social Valeri e ha seguito il ragazzo su Instagram dopo la storia a bordo della Mercedes che sfrecciava sul Gra ben oltre i limiti di velocità… 

Il 20enne di San Basilio è stato rapito la notte del 22 dicembre dal ristorante Moku a Ponte Milvio e tenuto in ostaggio per circa 12 ore prima di essere rilasciato. La principale ipotesi investigativa, per ora, ruota attorno ai precedenti del padre, Maurizio Valeri detto il “sorcio”, che nel maggio scorso venne gambizzato nell’ambito di una faida per il controllo dello spaccio nel quartiere San Basilio. Il 20enne sarà riconvocato dagli inquirenti e se non dovesse aiutare le indagini, rischierebbe il favoreggiamento.

Totti: «Ilary? Non ho tradito io per primo. Ho trovato i messaggi sul suo telefono, è stato uno choc». Aldo Cazzullo su Il Corriere della Sera il 24 Dicembre 2022.

Francesco Totti racconta la rottura con Ilary: «Con Noemi stiamo insieme da dopo Capodanno. La crisi? Tutto è iniziato nel 2016, il mio penultimo anno da calciatore. E c’era una terza persona che faceva da tramite tra Ilary e l’altro». L’intervista esclusiva

Riproponiamo qui una delle interviste più lette del 2022, quella di Aldo Cazzullo a Francesco Totti, uscita sul Corriere del 12 settembre.

Francesco Totti, sa qual è l’argomento più cliccato e dibattuto in Rete nel 2022, più del Covid, della guerra, della regina…

«Si fermi. Questa storia per me non è gossip. Questa storia per me è carne e sangue. C’è di mezzo la mia vita. Ci sono di mezzo tre persone che amo più di me stesso: i miei figli, che voglio proteggere in ogni modo. E c’è un amore durato vent’anni. Tutto mi sarei aspettato, tranne che finisse così».

Resta il fatto che ne parlano tutti.

«Tutti, tranne me. Non ho ancora detto una parola. Avevo detto che non avrei parlato e non l’ho fatto. Ma ho letto troppe sciocchezze, troppe bufale. Alcune hanno anche fatto soffrire i miei figli. Ora basta».

Quali sciocchezze?

«Molte, in particolare una: che il colpevole della rottura sarei soltanto io. Che il matrimonio sarebbe finito per colpa del mio tradimento.

Non è così?

«Questo punto voglio chiarirlo: non sono stato io a tradire per primo. Poi tornerò a tacere. Qualunque cosa mi sarà replicata, starò zitto. Perché la mia priorità è tutelare i miei figli».

Lei e Ilary siete l’argomento dell’anno perché eravate bellissimi. Pareva una fiaba: il calciatore più amato, la star della tv.

«Le fiabe non esistono. Abbiamo avuto alti e bassi, come ogni coppia. Poi qualcosa si è rotto».

Quando?

«La crisi vera è esplosa tra marzo e aprile dell’anno scorso. Ma io soffrivo da tempo».

Perché?

«Tutto è iniziato nel 2016. Il mio penultimo anno da calciatore. Smettere non è facile. È un po’ come morire».

Lei aveva più di quarant’anni.

«Sì, ma giocavo in serie A da quando ne avevo sedici. E certe cose ti mancano. L’adrenalina, la fatica. L’ho anche detto, nel discorso di addio allo stadio: “ho paura, statemi vicino”. E i romanisti non mi hanno mai lasciato solo».

Lei in campo dava di sé un’immagine spavalda, quasi strafottente. «Mo je faccio er cucchiaio».

«Perché sapevo, in quella semifinale dell’Europeo, che il portiere dell’Olanda si sarebbe buttato a destra o a sinistra, e se facevo il pallonetto avrei segnato. Ma quel che mi aspettava dopo il ritiro, io non lo sapevo. E comunque il rigore che ricordo con più soddisfazione è quello ai Mondiali con l’Australia».

C’ero. Kaiserslautern, 26 giugno 2006. Ultimo minuto. Eravamo 10 contro 11, se lei avesse sbagliato non avremmo vinto la Coppa.

«C’era pure Ilary. Io segnai e inquadrarono lei, in mondovisione. Fu l’unica partita che venne a vedere in Germania, prima della finale».

Lei Totti mise in bocca il pollice, come un bambino.

«Come Cristian, il nostro primogenito. Aveva otto mesi. Ci tenevo: per la mia famiglia, per l’Italia, e per Lippi. Quando mi spezzarono la gamba, al risveglio dall’anestesia l’avevo trovato in clinica. Era venuto a dirmi: Francesco, ti aspetto e ti porto ai Mondiali».

Quando lei litigava con un altro allenatore, Spalletti, Ilary intervenne in sua difesa, lo definì «piccolo uomo».

«Fece tutto da sola. Voleva proteggermi, ebbe una reazione quasi materna. Di pallone non ha mai capito molto».

Lei lasciò il calcio.

«E dopo lasciai anche la Roma, dove avevo cominciato a lavorare come dirigente. La rottura con la vecchia proprietà fu traumatica: come dover abbandonare la propria casa. Ero fragile, mi mancavano i riferimenti, e Ilary non ha capito l’importanza di questo dolore. Poi è arrivato il 12 ottobre 2020».

Cos’è successo il 12 ottobre?

«È morto papà mio. Di Covid. E io l’ho visto l’ultima volta il 26 agosto. Sapevo che stava male, e non potevo fargli visita. Papà mio per me c’era sempre, non perdeva una trasferta. A me non faceva mai un complimento, ma con gli altri era fierissimo: Francesco è il numero uno, diceva. Poi ho preso il Covid pure io, in forma violenta: 25 giorni chiuso in casa, stavo per finire in ospedale. Insomma, per me è stato un periodo tremendo. Per fortuna c’erano i figli. Finalmente ho potuto stare più tempo con Cristian, Chanel e Isabel. Mia moglie invece, quando avevo più bisogno di lei, non c’è stata. Nella primavera del 2021 siamo andati in crisi definitivamente. L’ultimo anno è stato duro. Non c’era più dialogo, non c’era più niente».

E lei, Totti, non ha commesso errori?

«Certo. Quando si rompe, si rompe in due: 50 e 50. Avrei dovuto stare di più con lei, da solo. Invece nel week end organizzavo con gli amici. C’era anche Ilary; ma avrei dovuto portarla a cena, dedicarle più attenzioni».

Lei, Totti, aveva una storia con Noemi Bocchi.

«Non è così».

Dagospia ha pubblicato una foto in cui il 4 dicembre 2021 siete seduti poco distanti allo stadio.

«Noemi non era allo stadio con me. Siamo arrivati con auto diverse, avevamo posti diversi. Le pare che mi porto l’amante all’Olimpico? Un ambiente più intimo no? Comunque è vero che la conoscevo già. E la frequentavo come amica, con gli amici del padel. La nostra storia è iniziata dopo Capodanno. E si è consolidata nel marzo 2022. Ripeto: non sono stato io a tradire per primo».

Che cos’è successo?

«A settembre dell’anno scorso sono cominciate ad arrivarmi le voci: guarda che Ilary ha un altro. Anzi, più di uno».

E lei ci ha creduto?

«Mi pareva impossibile. Invece ho trovato i messaggi».

Lei spiava il telefonino di sua moglie?

«Non l’avevo mai fatto in vent’anni, né lei l’aveva mai fatto con me. Però quando mi sono arrivati avvertimenti da persone diverse, di cui mi fido, mi sono insospettito. Le ho guardato il cellulare. E ho visto che c’era una terza persona, che faceva da tramite tra Ilary e un altro».

Quando è successo?

«Me ne sono accorto in autunno, ma i messaggi erano di prima».

Chi era la terza persona?

«Alessia, la parrucchiera di Ilary, la sua amica».

E l’altro?

«Non mi faccia dire il nome. È una persona totalmente diversa da me, che appartiene a un mondo lontanissimo dal mio, e per fortuna. È stato uno choc. Non solo che Ilary avesse un altro; ma che potesse avere interesse per un uomo del genere. Eppure l’ha avuto».

Cosa dicevano i messaggi?

«Qualcosa tipo: vediamoci in hotel; no, è più prudente da me».

E lei come ha reagito?

«Mi sono tenuto tutto dentro. Non l’ho detto a nessuno, neppure a Vito Scala, l’amico che è al mio fianco da quando avevo undici anni. Io non sono uno che chiude un occhio, ma ho preferito far finta di niente. Ho mandato giù, per non sfasciare la famiglia, per proteggere i ragazzi. Soffrivo come un cane. Lei mi diceva: quest’anno rimango un po’ di più a Milano, torno meno a Roma, e io pensavo: ci credo, hai quest’altro… Ma speravo ancora che non fosse vero».

Totti, guardi che capita. Tutte le coppie sono esposte a tentazioni; a maggior ragione una coppia come la vostra. Sarà successo a Ilary. Sarà successo anche a lei. Non è che lei somiglia al classico maschio italiano, che si prende le proprie libertà ma si infuria se scopre quelle della moglie?

«Sono girate voci in passato. Su di lei e su di me. Ma erano appunto voci. Qui c’erano le prove. I fatti. E questo mi ha gettato in depressione. Non riuscivo più a dormire. Facevo finta di niente ma non ero più io, ero un’altra persona. Ne sono uscito grazie a Noemi».

Sa cos’hanno pensato tutti? Che Noemi ricorda molto la Ilary di qualche anno fa.

«Io non ci ho pensato proprio. Anzi, Noemi è l’opposto di Ilary, anche come carattere. Ma non mi piace fare paragoni».

Quando è cominciata la vostra relazione?

«Prima ci frequentavamo come amici. Poi, dopo Capodanno, è diventata una storia. Quando il 22 febbraio Dagospia ha pubblicato la foto allo stadio, quella scattata a dicembre, Ilary me ne ha chiesto conto».

E lei?

«Io ho negato. All’inizio non ho detto la verità, né a lei né ai figli; com’era inevitabile che fosse, visto che speravo ancora di salvare tutto. Ma a quel punto mi sono tolto un peso, e ho domandato a Ilary di quest’altro uomo. Anche lei sulle prime ha negato. Diceva di non averlo mai incontrato. Poi ha capito che sapevo, e mi ha raccontato che con quel tipo si erano visti solo per prendere un caffè. Abbiamo avuto un confronto a tre anche con Alessia, ed entrambe hanno negato. In realtà so che si erano conosciuti già nel marzo del 2021. E che lei ha frequentato lui e altri uomini un po’ troppo da vicino. Prima che nascesse la mia storia con Noemi».

Eppure con Ilary ancora poco fa vi siete fatti fotografare al ristorante, come se foste sempre una coppia. Avete provato a ricostruire il matrimonio?

«Un po’ ci abbiamo provato, ma non fino in fondo. Nessuno ha voluto tentare qualcosa di più. Diciamo che non è stato un grande tentativo. Io sapevo quel che aveva fatto lei, anche se non ho detto niente per non danneggiare la sua immagine, tanto più mentre stava facendo l’Isola dei Famosi. E lei probabilmente si era stufata. Perché in realtà il matrimonio era finito».

E avete annunciato la rottura. Con due comunicati separati.

«Avrei preferito un comunicato solo, firmato da tutte e due, per dire che avevamo provato a superare le difficoltà ma non ci eravamo riusciti. Ilary non ha voluto: perché era andata in tv a negare, ad assicurare che andava tutto bene; e non poteva rimangiarselo. Così ha scritto il suo comunicato, per sostenere che lei aveva fatto qualcosa per salvare il rapporto, e io no».

E siete andati per avvocati. Lei ha affiancato Annamaria Bernardini De Pace a un suo legale storico, Antonio Conte.

«Cercavo un accordo. Non volevo finire in tribunale. Così ho proposto: pensiamo prima ai figli, lasciamo la casa a loro, e noi ci alterniamo, facciamo tre giorni per ciascuno. Non volevo vedere i ragazzi con la valigia in mano, tra l’Eur e Roma Nord. Ma Ilary ha detto no. Allora le ho proposto di dividere la casa, in fondo è grande. Oppure di prenderne una tutta per lei. Niente da fare: in casa vuole restare soltanto lei, e basta. Poi non ci siamo più parlati, perché è partita con la sorella per la Tanzania. Una vacanza pagata da me».

Che sarà mai…

«Non è tutto qui. Con suo padre è andata a svuotare le cassette di sicurezza, e mi ha portato via la mia collezione di orologi. Non ha lasciato neanche le garanzie, neanche le scatole».

Gli orologi?

«Ci sono alcuni Rolex di grande valore. Sostiene che glieli ho regalati; ma se sono orologi da uomo… Mi rifiuto di pensare che sia questione di soldi. Semmai, è un dispetto».

E lei cos’ha fatto?

«E che dovevo fare? Le ho nascosto le borse, sperando in uno scambio… (Totti sorride) Ma non c’è stato verso. E non è finita».

Cosa c’è ancora?

«Mi ha fatto seguire da un investigatore privato. Persone a lei vicinissime mi hanno messo le cimici in macchina, e il gps per sapere dove andavo; quando bastava che me lo chiedesse. Altre persone si sono appostate sotto la casa di Noemi…».

In effetti «Chi» ha pubblicato la sua foto sotto la casa di Noemi.

«E dov’è lo scandalo? Ormai tutti sanno della nostra storia. Cerco di viverla con discrezione, sempre per non turbare i ragazzi».

Come sono i ragazzi?

«Li adoro, e mi adorano. Il mese scorso me li sono portati tutti e tre a Sabaudia. Cristian gioca a calcio: mezz’ala. Ha una grande passione, faceva su e giù tutti i giorni con Roma per allenarsi. Con le femmine mi sciolgo. Chanel ormai è un’adolescente, non è un’età facile, non voglio che soffra. Un po’ erano già abituati fin da piccoli a vedere mamma e papà uno per volta: eravamo entrambi molto impegnati con il lavoro, e i calciatori non hanno il week end libero... Isabel è ancora piccola, ma mi sa che ormai ha capito tutto. Anche perché a un certo punto lei me l’ha portata via».

Cos’è successo?

«L’accordo era: luglio con la madre, agosto con me. Poi Ilary si è preoccupata che Isabel sentisse la sua mancanza, ma io la tranquillizzavo: Isabel stava benissimo, e poi facevamo le videochiamate tutti i giorni. Invece lei è arrivata a Sabaudia e se l’è portata in barca in Croazia».

Sua madre Fiorella cosa dice?

«Nulla. Soffre in silenzio».

È vero che era contraria al suo matrimonio?

«Sciocchezze. Mamma ha sempre rispettato le mie decisioni. Al massimo, può aver provato la normale gelosia della mamma romana per il figlio maschio; che se le porti come nuora la Madonna, non le va bene manco lei…».

E adesso cosa succede?

«Non lo so. Temo che con Ilary finirà in tribunale. Spero ancora che si possa trovare un accordo e chiudere qui questa storia. Di sicuro, io adesso mi taccio. Non so se si è capito, ma questo pomeriggio mi è costato sei mesi di vita. Avrei preferito mille volte darle un’intervista per parlare di calcio e della Roma, che porto sempre nel cuore».

IL SASSUOLO.

Roberto De Zerbi.

Davide Frattesi.

Roberto De Zerbi.

Estratto dell'articolo di Salvatore Riggio per corriere.it lunedì 25 settembre 2023.

Missione non impossibile per Roberto De Zerbi che dopo aver conquistato la qualificazione in Europa League lo scorso anno, chiudendo la stagione al sesto posto (la sua miglior annata di sempre in Premier League) viaggia veloce anche in questa annata occupando la terza posizione della classifica, a tre lunghezze dal Manchester City di Guardiola. 

De Zerbi scelto con l’algoritmo

Roberto De Zerbi ha incantato la Premier con il suo Brighton al primo anno. Scrive il Mail che De Zerbi era in una rosa di tre allenatori per la successione di Graham Potter, era stato indicato dall’algoritmo prodotto da StarLizard. Dopo l’incontro, De Zerbi divenne l’unico candidato. Tanto da essere corteggiato dal Chelsea e dal Liverpool.

E anche l’Inter, oltre a Thiago Motta, per il dopo Simone Inzaghi aveva pensato a lui. Così come il Napoli. Inoltre, l’ex tecnico del Sassuolo ha ricevuto anche i complimenti del tecnico del Manchester City, Pep Guardiola: «Il Brighton è la squadra che costruisce meglio il gioco al mondo», aveva detto qualche mese fa l’allenatore catalano.

«Propongono uno stile di gioco a cui non siamo abituati». Valanga di complimenti anche da Jamie Carragher: «Il Brighton, in termini di qualità, ha il miglior possesso palla del campionato. È incredibile quello che sta facendo De Zerbi e come lo sta facendo. Spero che rimanga a lungo al Brighton perché mi piacerebbe continuare a guardarlo». 

L’ossessione per le sigarette

Forse non tutti sanno che le ossessioni di Roberto di De Zerbi sono due: il calcio e poi, per sua stessa ammissione, le sigarette. Sì, ne fuma un bel po’ e lo ha confessato in un’intervista al Daily Mail. 

«Il calcio è un hobby, un lavoro, una passione, è la mia vita. Il problema è quando non ci sono giochi. Adoro passare il tempo con il mio assistente guardando la Champions League, e per noi è un onore giocare in Europa League in questa stagione perché se vivi per il calcio e puoi giocare a metà settimana, è un onore, un piacere». L’altra ossessione? «Le sigarette». 

[…] 

L’amicizia con Guardiola

L’ossessione di Guardiola verso De Zerbi è ancora più antica, risale addirittura a quando l’allora allenatore del Sassuolo era stritolato dalle discussioni tra risultatisti e giochisti. Mentre era ospite all’edizione 2018 del Festival dello Sport di Trento stupì tutti nominando l’allenatore appena arrivato in Emilia da Benevento tra i tecnici che riteneva più interessanti. 

E dopo oltre cinque anni durante il quali maestro e allievo hanno avuto possibilità di incrociarsi, conoscersi e frequentarsi, la loro relazione è diventata sempre più ricca e profonda, di amicizia. E tra cene e sfide a bordo campo, i due hanno stretto una bromance da rom-com in nome del tiki taka. 

Il caffè col barbiere

Consapevole delle proprie capacità, resta però l’allenatore umile come quando ha iniziato. È un ragazzo amichevole che crea facilmente legami, sia con un barbiere di nome Mehmet che taglia i capelli in un negozio vicino al suo appartamento e con il quale prende regolarmente un caffè, sia con il personale, con il quale è popolare. «Penso di essere davvero fortunato nella vita perché il mio lavoro è la mia passione. Mi piace lavorare. Le persone che lavorano nel calcio hanno un grosso stipendio e per questo mi considero molto fortunato». 

De Zerbi da calciatore

De Zerbi, bresciano, da bambino ha iniziato a giocare nella squadra del suo quartiere, l’US Oratorio Mompiano. Le sue qualità tecniche non sono passate inosservate agli osservatori del Milan che lo ha voluto nel suo settore giovanile. Ha esordito da professionista nel 1998 nel Monza, in serie B. 

Dopo varie esperienze in serie C, si è messo in luce nella stagione 2004-2005 in B con l’Arezzo e ha poi giocato nel Catania, nel Napoli (con cui nel 2007 ha anche esordito in A), nel Brescia, nell’Avellino e anche in Romania con il Cluj. 

La carriera in panchina

Nel 2013-2014 De Zerbi ha iniziato la carriera in panchina, nel Darfo Boario. Ma è sulla panchina del Foggia dal 2014 al 2016, in C, che inizia a farsi conoscere a apprezzare in tutta Italia. Nel settembre del 2016 è stato chiamato ad allenare il Palermo in A, l’anno successivo ha guidato il Benevento ma è nel triennio al Sassuolo, dal 2018 al 2021, che si è consacrato come tecnico di spessore. 

Poi nella stagione 2021-2022 si è trasferito in Ucraina allo Shakhtar Donetsk. «Cerco di giocare contro tutti con lo stesso stile e lo stesso coraggio. In campo siamo tutti uguali e per vincere devi segnare un gol in più rispetto all’avversario. Non devi cambiare mentalità a seconda del rivale che hai davanti», il credo di De Zerbi. Che alcuni fa sembrò vicinissimo alla Liga, a Las Palmas. Ma non se ne fece nulla. 

La guerra e l’addio allo Shakhtar

Poi l’inizio della guerra nel febbraio 2022, i giorni di terrori passati chiuso in hotel a Kiev e l’addio doloroso allo Shakhtar. I giocatori stranieri riescono a lasciare il Paese ma restavano i calciatori ucraini. «Fra le 4 e le 5 siamo stati svegliati dalle esplosioni, è il giorno peggiore della mia vita. Siamo un gruppo con brasiliani, ucraini e noi italiani: non intendo tornare nel mio Paese prima dei miei giocatori», disse De Zerbi. E così fece, non senza difficoltà: per farlo rientrare si mobilitarono il ministro degli Esteri di allora Di Maio e il presidente della Figc Gravina. 

Il calciatore preferito di De Zerbi era Roberto Mancini, nonostante abbia avuto vicino al Milan gente come Franco Baresi, Paolo Maldini, Zvonimir Boban, Roberto Baggio: «Ma di quel gruppo ho portato con me la mentalità del collettivo più che la classe del singolo. Fu una fortuna incontrarli: la domenica vincevano, eppure il martedì si ripartiva da zero. A Milanello si respirava serietà, sacrificio a 360 gradi: quel Dna mi è restato» [...] 

Il rifiuto alla panchina del Bologna di Mihajlovic

Quando il Bologna esonera Sinisa Mihajlovic dopo quattro anni pensa subito a De Zerbi per sostituirlo. Ma arriva un no: Roberto pensava che la città, con cui Sinisa aveva stretto un legame particolare soprattutto negli anni della malattia, non lo avrebbe accolto bene. 

E, anche per rispetto a Mihajlovic, ha rifiutato l’offerta. Altro discorso sarebbe stato se il serbo si fosse dimesso. Un gesto particolarmente apprezzato dalla moglie di Sinisa, Arianna, che sui social scrisse: «Due grandi uomini. Spero che i giovani prendano esempio dagli insegnamenti di questi due giganti. Con i soldi non si può comprare tutto».

Davide Frattesi.

Estratto dell'articolo di Salvatore Riggio per corriere.it il 18 giugno 2023.

Tutti pazzi per Davide Frattesi, centrocampista del Sassuolo nato il 22 settembre 1999. L’Inter lo insegue da tempo, mentre Juventus, Lazio, Milan e Roma monitorano la situazione. Il Sassuolo ha già aperto l’asta, spiegando che le offerte più interessanti arrivano dalla Premier, ma il giocatore non vuole trasferirsi in Inghilterra. Adesso può anche diventare un punto fermo dell’Italia di Roberto Mancini. La Var gli ha annullato il gol del 2-1 nella semifinale di Nations League contro la Spagna di giovedì 15 giugno. E poi ha avuto anche un’altra bella occasione respinta da Simon, il portiere degli iberici.

Idee chiare

Frattesi adesso è pronto al salto dopo due stagioni al top in neroverde. «Ho detto al mio procuratore di chiamarmi solo se ci saranno proposte importanti», ha spiegato dal ritiro della Nazionale. «Nella mia scelta saranno decisivi il gioco del club e la tattica», ha detto. […] 

L’amicizia con Scamacca

Il suo migliore amico è Gianluca Scamacca, oggi al West Ham, corteggiato da Inter, Milan e Roma. I due hanno giocato insieme al Delle Vittorie, alla Lazio, alla Roma e anche al Sassuolo, l’anno scorso. Sono cresciuti entrambi nella borgata Fidene, periferia romana, e sono legati dal pallone, anche fuori dal campo. Tutto grazie alle tante partite alla Play. Insomma, sono inseparabili. 

[…] le passioni di Frattesi c’è pane e nutella. «In Svezia, in un torneo, segnò un paio di volte dopo essersi mangiato tre fette di pane e Nutella. Le avevo preparate per tutta la squadra. Scamacca era stato attento, lui si era abbuffato», il racconto di Emiliano Leva, primo allenatore di Frattesi alla Lazio.

Frattesi da piccolo non aveva solo il calcio in testa: giocava anche a tennis (due giorni a settimana, mentre al pallone tre) e tra gli sportivi il suo idolo era Roger Federer. Per Davide, arrivò poi il momento di scegliere. A far la differenza il fattore gruppo e l’importanza del rapporto con i compagni di squadra. 

Ai tempi della Roma aveva come idolo Kevin Strootman, spesso lo spiava in allenamento per rubare i segreti del centrocampista olandese. Tra i punti di riferimento anche Daniele De Rossi. 

A 7 anni era alla Lazio. Ci resta fino a quasi 15 anni. Finisce alla Roma, ma dopo tre anni è al Sassuolo. I giallorossi non lo riscattano e Frattesi gira in prestito ad Ascoli, Empoli e Monza. Ora è tornato a Reggio Emilia ed è protagonista con i neroverdi. 

Nel 2022 Frattesi è stato costretto a scusarsi pubblicamente dopo che alcune sue foto senza veli finirono sui social. Il centrocampista dichiarò di esser stato vittima di un attacco hacker. Ora sul proprio profilo Instagram ha 94.200 follower.

IL BOLOGNA.

Estratto dell’articolo di Marco Vigarani per corrieredibologna.corriere.it il 15 febbraio 2023.

A distanza di quasi due mesi dalla morte di Sinisa Mihajlovic, la vedova Arianna racconta il suo lutto. Lo fa con un post su Instagram in cui difende il sacrosanto diritto di vivere il dolore in modo personale. La fotografia la mostra sorridente a bordo piscina e la frase spiega tutto: «Faccio fatica a tirare fuori le mie emozioni.

 È il mio stile, il mio vissuto che nessuno di voi conosce. Preferisco sempre farmi vedere forte, truccata e ben vestita. In realtà il mio cuore piange specialmente quando sono sola. Questo è il mio modo di elaborare il lutto, non so se sia giusto o sbagliato ma questa sono io».

 Le critiche sui social e la replica della moglie di Mihajlovic

In una società schiava dei social network e del giudizio spietato basato sull'apparenza, la scelta di Arianna di mostrare in queste settimane anche il suo lato sorridente ha ricevuto più di una critica. Eppure in questi due mesi le fotografie e i ricordi del marito non sono mai mancati. L'ultimo risale appena a due giorni fa: un'immagine della coppia sorridente con la frase «Che giri fanno due vite» citando il testo della canzone di Marco Mengoni che ha vinto il Festival di Sanremo. E ancora la settimana scorsa Arianna aveva scritto: «Ogni notte per me è tempesta di pensieri».

(…)

 Da repubblica.it il 15 febbraio 2023.

Nel giorno di San Valentino una delle figlie di Sinisa Mihajlovic, l'ex allenatore del Bologna deceduto lo scorso 16 dicembre, ha pubblicato una fotografia con una dedica del papà di un recente San Valentino, già durante la sua malatti,a accompagnandola con alcune parole dal testo della canzone di Mr Rain presentata al Festival di Sanremo, "Supereroi".

"Perché siamo invincibili, vicini. E ovunque andrò sarai con me" ha citato Viktorija Mihajlovic.

 Nel biglietto pubblicato, Sinisa le aveva scritto: "Anche se non sono un tuo fidanzato, anche quello di papà è amore. E non ci sarà mai un uomo che ti amerà totalmente e senza condizioni come ti amo io".

IL PARMA.

Tino Asprilla.

Giampietro Manenti.

Alberto Malesani.

Hristo Stoichkov.

Tino Asprilla.

Estratto da corriere.it venerdì 10 novembre 2023. 

Dal Parma ai condom

Gol, capriole, donne e risate. Imprevedibile e divertente, salvato dal pallone. Tino Asprilla è nato a Tuluà, centro chilometri da Calì, 54 anni fa, il 10 novembre 1969. Per lui una vita da film tra calcio, armi da fuoco, narcotrafficanti, scherzi. Era nel Parma con un talento generale enorme, è passato dal Newcastle, con la sua Colombia come stella polare. Dopo il ritiro si è dato al mercato dei condom. Sì, questa è solo l’ultima attività, legata evidentemente alla passione più grande. Ma che fine ha fatto? Cosa fa oggi Asprilla? 

Nel 1993 Asprilla posa nudo per una rivista, la didascalia sotto la foto recita: «Quello che vedete qui sopra è il mio regalo per le donne colombiane. E spero che i mariti non ci rimangano male». 

Donne e sesso, anche prima delle partite. Come prima di una sfida contro il Napoli: «Il proprietario dell’hotel dove stavamo in ritiro era molto amico di Scala e aveva una figlia molto carina con cinque amiche che studiavano a Parma ed erano sempre lì. Una notte mi chiamano dicendo: “Vieni in questa camera’, sono andato. Non ricordo chi ci fosse con me, credo Crippa. Siamo stati fino alle 5 della mattina, ci siamo divertiti. Poi abbiamo giocato contro il Napoli e abbiamo perso 3-1. Non abbiamo dormito, abbiamo fatto festa tutta la notte, era impossibile vincere in quelle condizioni».

Asprilla ha anche salvato una vita, quella di José Chilavert. Il 2 aprile 1997 è ad Asuncion per Paraguay-Colombia, qualificazioni ai Mondiali di Francia. A fine partita litiga furiosamente con il portiere icona paraguaiano: uno sputo, pugni, rosso diretto per entrambi e lite che prosegue anche negli spogliatoi. Poi riceve una telefonata da Julio Fierro, narcotrafficante colombiano, uno degli uomini di Pablo Escobar. «Mi chiama e dice “Puoi venire qui al mio hotel?” —ha raccontato di recente l’ex attaccante del Parma —. Sono arrivato ed era con altre 10 persone, tutte ubriache e accompagnate da donne paraguaiane. Sono andato con Aristizábal e ci hanno detto “Abbiamo bisogno che tu dia l’autorizzazione perché questi due uomini rimangano qui ad Asunción, vogliono uccidere quel ciccione di Chilavert”. Gli ho detto che era pazzo. Quel che succede in campo finisce in campo».

Attore in film a luci rosse

Uomo dai sogni particolari, Asprilla: «La cosa più audace che ho fatto — ha raccontato in un’intervista a Cromos —è stata fare l’amore ad alta quota su un volo da Bogotà a Londra. Il mio sogno è farlo in un campo da calcio con le tribune piene: se la gente apprezza ti applaude altrimenti può lanciarti sassi e pomodori». Negli anni gli è stato chiesto più volte di partecipare a clip video e anche film a luci rosse. Anche di recente, nel 2017, quando a provocarlo è stata la pornostar colombiana Amaranta Hank. Asprilla ha sempre rifiutato

Vende preservativi

Nel 2014 l’ex attaccante di Newcastle e Parma si è trasformato in imprenditore: ha fondato la Tino Condones, una linea di preservativi. Promuove il suo marchio in uno spot con Valderrama con l’ironico slogan: «El Tamaño conta», ovvero «Le dimensioni contano». Un’idea nata per promuovere abitudini sessuali sane: «Consiglio a tutti i condom al sapore di guaiava. Quando ero piccolo avevamo nel nostro giardino un albero di guaiava e questo aveva un gusto e un sapore che s’addice tanto alle relazioni amorose». Oggi Faustino gestisce lo zuccherificio San Carlos, quello in cui suo padre ha lavorato per tutta la vita e ha la sua azienda di condom. Gira per il mondo, spesso torna a Parma ad incontrare i vecchi amici.

Giampietro Manenti.

Franco Vanni per repubblica.it - Estratti sabato 4 novembre 2023.

Fissa l’appuntamento al tavolo di un McDonald’s, periferia nord di Milano. «Qui la mattina non c’è nessuno, si sta tranquilli». Si presenta con un quarto d’ora d’anticipo, tuta di acetato nero e verde dell’Asd Serenissima di Limbiate. «Alleno i ragazzi dell’età di mio figlio più piccolo, il terzo. 

Ha 14 anni. La più grande lavora, quello di mezzo va all’università. Li ho avuti da tre donne diverse, sono stato un po’ sportivo, diciamo, con due di loro vado d’accordo». Campetti a parte, Giampietro Manenti non fa nulla. Se gli si pone la domanda di un tempo — «Scusi, ma lei che lavoro fa?» — risponde: «Avevo qualche soldo da parte, per il resto mi aiutano gli amici. Dopo quel che è successo a Parma, è cominciato il declino. Essere descritto come un delinquente ha creato diffidenza».

Manenti e il Parma a un euro

In questi anni il presidente più improbabile della Serie A è diventato un fenomeno social, un meme. Nel 2015 acquistò il Parma per un euro – anche se ha sempre contestato quella cifra, “molto più bassa rispetto a quella reale” – bypassando i controlli di Figc e Lega. Tre settimane dopo fu arrestato in un’inchiesta della procura di Roma sul riciclaggio. Si presenta meglio di allora, e non ci voleva molto. Non fosse per i capelli più radi, a 53 anni sembra più giovane rispetto alle fugaci apparizioni che lo hanno reso famoso. 

Una su tutte, un cult su Youtube: conferenza al Tardini, giornalisti che lo incalzano sulla consistenza dei suoi affari, lui che mastica la gomma, risponde male, svicola, snocciola le sigle del suo presunto impero, Mapi Ambiente, Mapi Energia, Mapi Channel, Mapi Group, con sede in una casa coloniale in Slovenia. Mapi, da Manenti Pietro. «Pesavo cento chili, venti più di oggi. Non dormivo la notte. Guidavo una Skoda nuova di pacca, ma dai giornali fu descritta come un catorcio. E dire che per il mio stile casual mi soprannominavano Marchionne.

Come provocazione, indossai una vecchia giacca di mio nonno. Mi mancava un dente, li stavo sistemando», ricostruisce ora, con un sorriso ordinato. Mapi è andata in liquidazione a gennaio 2022, al capitale minimo mancava un euro. E secondo le cronache dei tempi dell’acquisto del Parma, la Skoda non poteva circolare: multe non pagate, blocco amministrativo. Ma Manenti precisa: “In realtà a essere fermata era una Citroen C3”.

Chi è Giampietro Manenti

Prese il Parma «da capofila di una serie di imprenditori». I giornali scrissero che, pressato dai creditori, provò a scappare in Slovenia. Lui ripete la sua verità di allora. «Ero a Monaco di Baviera da possibili investitori. La proprietà precedente del Parma aveva lasciato solo debiti e portato via anche i materassi e le lenzuola. Di me si è scritto di tutto, ma sono una persona a posto. Ho studiato Agraria, lavorato in Eni e in Isagro. Parlo inglese, spagnolo e polacco, grazie alla mia compagna. Ho lavorato anche in Russia e Ucraina come consulente nella chimica».

Manenti e l’arresto per riciclaggio

E poi c’è il calcio. Manenti racconta di avere giocato da ragazzo «a livello semiprofessionistico», di aver provato a scalare il Brescia, il Bologna, e di essersi interessato al Genoa: «Avevo un piano per riqualificare lo stadio». Sì, ma con che soldi? «Facevo da tramite. Avevo la fiducia delle banche». Del Parma gli resta «una maglia autografata a mio figlio da Palladino, persona gentile». Fu arrestato per tentato riciclaggio con altre 21 persone. «Non so chi fossero, tranne un conoscente che voleva uno skybox per Parma-Juve. Lo portammo al Tardini per pagare con il pos 500 euro, ma non sapeva il codice della carta e lo allontanammo».

Secondo i pm Manenti, in cerca di soldi, si sarebbe affidato a una banda di hacker e clonatori di carte, che avrebbero promesso 4,5 milioni per salvare il Parma, poi fallito. «Dell’inchiesta non ho più saputo nulla. Il mio avvocato, al tempo già anziano, non esercita più. Nel 2016 la corte federale della Figc mi ha assolto da tutte le accuse. Intanto, però, mi sono fatto sei mesi ai domiciliari e 18 giorni a San Vittore, esperienza che non auguro nemmeno ai cani. Sono stato condannato solo una volta per aver menato uno che voleva estorcermi denaro».

(…)

Alberto Malesani.

Estratto dell’articolo di Stefano Semeraro per “la Stampa” domenica 13 agosto 2023.

Alberto Malesani, ovvero la favola del Chievo in Champions League e il miracolo del Parma delle tre coppe - Italia, Uefa e supercoppa - in 100 giorni. Di miracolistico in quei risultati, in realtà, c'era poco. Piuttosto un'idea di calcio diversa […] senza scendere a compromessi. Il prezzo da pagare è stata un'uscita precoce dal giro. Più subita che voluta. 

Malesani, il calcio le manca?

«Non tanto. Mi manca il lavoro sul campo […]».

Infatti lei è diventato produttore di vini, con la Giuva.

«L'azienda l'ho venduta. L'offerta era buona, e garantiva un futuro importante». 

La gente la ricorda con simpatia.

«Mi ricordano perché ho vinto. Se arrivi secondo o terzo, ti dimenticano in fretta. Poi qualche idea credo di averla avuta. La finale di Coppa Uefa con il Marsiglia è citata da tutti come l'esempio di un calcio all'avanguardia. […]».

[…] «Da imprenditore ho visto il mio vino dentro ristoranti importanti. Prima del calcio avevo creato un ufficio import export alla Canon Italia. Vengo da una famiglia di operai, sono stato operaio, geometra, impiegato. E da allenatore ho portato un piccolo borgo come Chievo dal nulla alla Champions league». 

Una favola ripetibile?

«[…] Le idee contano, certo, ma come dicevano l'avvocato Agnelli e il grande Silvio Berlusconi: se vuoi avere, devi spendere». 

[…] «Al Chievo […]Facevo di tutto. All'inizio distribuivo persino i biglietti agli amici, perché nessuno veniva al campo. Ma siamo arrivati a fare sold out per il derby con il Verona, per cui si scomodò anche la Cnn. Quelli sono successi».

[…] Poi c'è il capitolo esultanze.

«Le ho sdoganate. Quella del derby nacque da una scommessa con Gigi del Neri, gli dissi che se avessi vinto avrei corso sotto la curva del Verona. Io allenavo l'Hellas, eravamo sotto 2-0 e vincemmo 3-2. Era gioia, non uno sberleffo, l'avrei fatto ovunque. Ora vedo esultare per molto meno…». 

La conferenza stampa infuriata al Panathinaikos gira ancora su internet.

«Fu solo uno sfogo. Il vero Malesani non è quello lì. In Grecia fra l'altro mi trovai molto bene, la squadra la gestivamo io e il presidente: nessun direttore sportivo, niente procuratori…». 

Che cosa le ha fatto male?

«Vedere il Chievo ferito e abbandonato. C'è qualcosa di strano nel mondo in cui è stato fatto fuori, non hanno considerato la storia. […]». 

Quale squadra le sarebbe piaciuto allenare?

«La nazionale. E il Milan, di cui sono tifoso. Quello dell'epoca di Berlusconi e Galliani. A un certo punto le strade si sono anche incrociate. Ma non è successo» 

Che allenatori ammira? […]

«Ancelotti e Del Bosque. Hanno vinto tanto. […]Carlo ha vinto molto di più di tanti altri che sono molto reclamizzati, gli manca solo un Mondiale, gli auguro di cuore di vincerlo con il Brasile. Dopo Mancini, altro grande allenatore, meriterebbe la panchina azzurra».

Come allenatore Malesani ha dato il massimo?

«Di sicuro ci ho provato. Ho trasmesso quello che avevo da trasmettere. Tanti non ci riescono: per paura, timidezza, pigrizia. Io ho sempre avuto il coraggio di farlo e la gente, anche i campioni, mi ha seguito». […] 

Se arrivasse un'offerta per allenare?

«La rifiuterei. Serve una vigoria psicofisica spaventosa che non ho più». […]

Hristo Stoichkov.

Hristo non si è fermato a Parma: il flop di Stoichkov in Serie A. Un Pallone d'oro in Emilia: nell'estate 1995 il campione bulgaro Stoichkov si trasferisce ai Ducali e subito genera grandissime aspettative, poi brutalmente tradite. Paolo Lazzari il 15 Luglio 2023 su Il Giornale.

Atterra caracollando con la sicumera tipica di chi è eccessivamente infatuato dei propri mezzi. E subito distribuisce la sensazione, per quanto ancora epidermica, che in quell'atteggiamento ci debba essere qualcosa di stonato. Eppure, come faresti a dirlo? La gente si sfrega i polpastrelli. La salivazione aumenta. Mica ci arriva tutti i giorni, un Pallone d'oro in Emilia. Le cose stanno così: se sei a Parma ed è ancora l'estate 1995, sai benissimo che in città c'è soltanto un trending topic. Ma davvero arriva Hristo Stoichkov?

Sì, davvero. Calisto Tanzi si è frugato. In totale fanno 12 miliardi delle vecchie lire. Abbastanza per strapparlo al Barcellona di Cruijff, specie perché con l'olandese lui ci ha litigato di brutto. Irrimediabilmente insolente e incline alla rappresaglia, il bulgaro. Ma in fondo segna a manetta - 81 gol in patria, con la maglia del CSKA, 76 con i blaugrana in cinque anni - e distribuisce assist con cadenze liturgiche. "Il Pallone d'oro mica te lo danno per caso", commenta il talentino Gianfranco Zola, accogliendo il bizzarro compagno. Il lanciatissimo Parma di quell'epoca aurea ora lucida il sogno scudetto.

Lui, che ha disputato un Usa '94 da astro sfrigolante, trascinando la sua nazionale al miglior risultato nella storia - il quarto posto - è convinto di essere stato asperso da una benedizione celeste: "In questo mondiale noi bulgari siamo figli di Dio". Niente di meno. Beccatevi questa. Hristo arriva insomma sentendosi il migliore. E, in quanto tale, ritiene che tutto gli sia dovuto per legge naturale. Ma l'umana tracotanza, fin dai tempi di Antigone, viene puntualmente cazziata. E Stoichkov non ne rimane indenne. Perché la questione è che in Serie A i difensori mica si spostano al suo passaggio. Nessuna deferenza verso il campionissimo. Nessuna sudditanza. Il bulgaro rimbalza penosamente sulle retroguardie altrui, dopo un inizio promettente.

Lui però è certo: "Vinciamo lo scudetto perché siamo la squadra più forte. Io posso tranquillamente giocare ovunque, anche dietro le punte". Nevio Scala, il tecnico, lo coccola allo spasmo: "Costa la metà di Baggio e Signori ed è più forte di entrambi", vaticina in ritiro. "Argh" è il termine onomatopeico che forse rende meglio la reazione a questa sbilenca previsione. Perché Hristo di soprannaturale mostra poco o niente in Italia. Anzi, risulta talmente inconcludente che pare che a Parma non ci si fermi proprio. A fine stagione collezionerà soltanto 23 presenze in campionato, punteggiate da 5 reti. Più due gol in coppa delle coppe. E una presenza in coppa Italia. L'equivalente di un flop monstre per uno che si presentava con il globo d'oro stretto sotto l'ascella.

Eppoi, oltre che indolente, Stoichkov appare anche irascibile. In Spagna aveva accumulato cartellini, ma almeno segnava. Qua non sfonda, e si inalbera ancora di più. Cade puntualmente nelle provocazioni. Abbaia alla stampa nel post partita. E oltre agli avversari, patisce anche il carisma dei compagni, in primis di Zola e poi del giovanissimo Inzaghi. In sintesi: una disfatta.

Se ne tornerà in blaugrana dopo un anno soltanto, non prima di aver vomitato strali contro il calcio italiano: "L'Italia è una parentesi chiusa, un periodo in cui mi sono annoiato mortalmente". Figuriamoci i tifosi sugli spalti. Hristo ha imboccato un declivio scosceso. La sua carriera proseguirà al ribasso, dissolvendosi gradualmente. Nessun miracolo. Nessuna resurrezione. A Parma, di certo, la moltiplicazione dei gol non è riuscita nemmeno un po'.

IL PIACENZA.

"The italian Job": il miracolo del Piacenza senza stranieri. Paolo Lazzari il 28 Gennaio 2023 su Il Giornale.

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Per otto anni di fila il club si affida ad una scelta autarchica: sempre dati per spacciati, sempre sopravvissuti

Scorrono la lista dei papabili, ma scuotono subito mestamente il capo. Quando il rintocco della nuova stagione già vibra in vicinanza, loro sono ancora alle prese con un mercato inceppato. L’euforia per una stagione trionfale, culminata con la promozione in Serie A, pare già dilapidata. Il 1993 potrebbe recare sventure multiple. Leonardo Garilli si inumidisce pollice e indice, poi emette la sua sentenza: "Direi di fare con quelli che abbiamo". Gigi Cagni, seduto dall’altro lato della scrivania, quasi viene colto da un colpo apoplettico. Affrontare il campionato più intricato al mondo in quelle condizioni? Servirebbe un miracolo.

Il Piacenza è salito su specie per gli abbondanti squilli del suo bomber Totò De Vitis. La società lo conferma e, visti i prezzi debordanti dei calciatori stranieri, vira su due giovani italiani: Massimo Taibi tra i pali, Marco Ferrante in avanti. Tutto qua. Piazza che mugugna. Garilli che tenta di gettare acqua sullo scetticismo strepitante: "Niente fumo negli occhi, abbiamo deciso di puntare sul gruppo che ci ha portato alla promozione". Lapidario e tutt’altro che persuasivo.

A ribaltare un destino apparentemente avverso ci pensa Cagni. Schiera un 4-3-3 di sostanza e acume: quando i suoi non hanno la palla il centrocampo diventa a cinque. Spazi intasati che nemmeno alle sei della sera sul grande raccordo anulare. Maccoppi, Polonia, Lucci e Cannarante sono quel che passa il convento là dietro. Nel mezzo spiccano Suppa e Moretti. Davanti Ferrante scalza in fretta De Vitis, che si dissolve col salto di categoria. Fa coppia con Piovani.

Sulla scelta autarchica del club si addensano da subito nubi cineree. La squadra imbarca acqua contro il Torino e la Samp. Im molti pregustano una lenta mattanza. Poi alla terza c’è il Milan. Figurarsi. Invece agli allibratori sanguinano i polpastrelli: 0 a 0, contro ogni logica. Un risultato che diventa portatore sano d’autostima. La stagione però è un intruglio di arrampicate e declivi scoscesi. Cagni si toglie qualche vezzo in Coppa Italia. Si rimette in careggiata in campionato, ma poi perde aderenza. All’ultima giornata si consuma una beffa lacerante: il Milan, già campione d’Italia, si imbottisce di riserve e perde contro la Reggiana. Clangore metallico. L’utilitaria tutta italiana sbatte e sprofonda di nuovo in B, per la gioia dei menagrami professionisti.

Non è un affitto lungo. Un giovane predatore d’area guida i lupi verso una pronta risalita: si chiama Filippo Inzaghi e di gol in campionato ne fa 15. Motivo per cui diventa immediatamente sacrificabile alle porte del nuovo valzer. Se lo aggiudica il Parma, pagandolo quasi 6 miliardi di lire. L’assalto alla diligenza prosegue con le cessioni del senatori De Vitis, Iacobelli, Suppa e Papais. Per evitare di assomigliare a un calesse, Garilli reinveste prontamente: dentro sette nuovi calciatori, tutti rigorosamente italiani. Spiccano, nel debordante mucchio di connazionali, gli attaccanti Nicola Caccia e Massimiliano Cappellini. A centrocampo Corini e Di Francesco promettono di sprimacciare i piani avversari, alzando il livello della contesa. Agitando bene prima dell’uso, ne esce una stagione effervescente: Caccia ne fa quattordici, mentre quelli intorno rinsaldano, avvitando i bulloni. È la prima, storica, salvezza in Serie A.

L’incipit del nuovo corso è scandito da due notizie folgoranti. Cagni molla il timone a Bortolo Mutti, mentre la legge Bosman sgretola definitivamente le frontiere pallonare. La società prende nota, ma fa comunque spallucce. Avanti senza indugio con gli italiani. Ci fossero stati i social, l’Athletic Bilbao (ancor più rigidamente identitario) ci avrebbe di sicuro fatto un reel. Certo, la cessione di Caccia al Napoli getta nello sconforto più dilagante, ma al suo posto arriva un giovane centravanti di provincia. Si chiama Pasquale Luiso, danza la Macarena quando esulta e l’hanno soprannominato “Il toro di Sora”. A fine stagione ne farà 14, esattamente come il suo predecessore. In mezzo al campo, invece, la partenza di Corini viene alleviata da Giuseppe Scienza, un altro direttore d’orchestra. La scomparsa del presidente Garilli, colpito da un infarto il 30 dicembre, atterrisce l’ambiente. Al suo posto subentra il figlio. La salvezza, quell’anno, è questione che si dirime all’ultimo: convulso spareggio in campo neutro (Napoli) contro il Cagliari di Mazzone, 3 a 1 con doppietta di Luiso e lupi ancora aggrappati al vagone di prima classe.

Seguiranno anni di assestamento, conditi dagli arrivi di gente come Stroppa, Rastelli e Vierchowod, oltre alla promozione in prima squadra di Simone Inzaghi (futuro miglior marcatore in A della squadra) e Alessandro Lucarelli. Ci saranno ancora, prima del tramonto di questa missione italiana, una retrocessione e una riemersione, grazie al provvidenziale ritorno del figliol prodigo Caccia.

Nel 2001 il Piacenza cede alle lusinghe straniere, acquistando Matuzalem e Amauri. È la fine del miracolo autarchico di un coraggioso club di provincia. Un esperimento senz’altro estremo, eppure azzeccatissimo. A guardarlo con le pupille di oggi, appannate dalla indecorosa pletora di giovani connazionali marcenti in panchina o nelle serie minori, viene quasi una botta di nostalgia.

LA REGGIANA.

Paulo Futre alla Reggiana: troppo bello per essere vero. Un fuoriclasse che aveva vinto la coppa dei campioni e sfiorato il pallone d'oro arriva a Reggio Emilia: il sogno più breve di sempre. Paolo Lazzari il 22 Luglio 2023 su Il Giornale.

Quanta gente a sciamare intorno al logoro stadio Mirabello. La notizia, del resto, si è propagata in fretta. Là fuori, premuti contro gli ingressi o spalmati sulle pareti di calcestruzzo, basculano generazioni trasversali. Pensionati strapazzati emotivamente. Adulti con gli occhi luccicanti. Ragazzini sognanti. Perché quando torni in Serie A dopo aver cannato tutti gli appelli possibili per sessant'anni, la prima cosa da fare è passare all'incasso di quella felicità che pareva non arrivare mai, e adesso sgorga solenne. Che debito con il destino, a Reggio Emilia. Che rivalsa in quell'estate di trent'anni fa. Adesso ci sono. Adesso la Reggiana sguazza, finalmente, nella jacuzzi del calcio italiano.

E, siccome davvero nessuno ha voglia di tornarsene in apnea, c'è che la società ha im mente di allestire una squadra notevole. Ambiziosa. Che di sicuro non si lasci irridere da quei cuginastri del Parma. Più facile se al timone c'è Franco Dal Cin, azionista di maggioranza, guru del marketing calciofilo, nonché scultore di colpi irreali, come Zico a Udine. Eccoci dritti al punto. Squadra solida per mantenere la categoria, d'accordo. Ma servono le sferzate di un fuoriclasse. Urgono per tessere trame salvifiche sul campo. Si fanno pretendere per ringalluzzire ulteriormente il morale delle truppe cammellate del tifo.

Tourbillon di nomi. Ma certo nessuno attenderebbe un simile esito. Perché Dal Cin, consumato predatore carsico, d'un tratto se ne esce con una suggestione che stranisce i suoi vassalli: "Perché non ci prendiamo Paulo Futre?". Feudatari ammutoliti. Ma come? Quel Paulo Futre che ha vinto la coppa dei campioni con il Porto? Quello che si è piazzato secondo alle spalle di Ruud Gullit nella classifica del pallone d'oro del 1987? D'accordo. Va bene tutto. Oggi sono passati sei anni, lui è apparso un tantino appannato tra Benfica e Marsiglia, ma stiamo pur sempre parlando di un fenomeno. Un ventisettenne. Non esattamente una cariatide calcistica.

Però Dal Cin fa spallucce. Futre è tutt'altro che un progetto onirico. Lui sa come ammansire anche i campioni più recalcitranti. Sa damascare ogni provincia. Così ad autunno scoccato - visto che all'epoca era prevista una finestra di mercato intermedia - piazza il colpo. La Reggiana arranca penosamente in campionato: nemmeno una vittoria nelle prime undici partite. Quando il suo presidente glielo comunica, mister Pippo Marchioro deve pizzicarsi i polsi. "Sì, abbiamo preso Paulo Futre". l

Faccia da divo di hollywood, lusitano nelle vene, un metro e settantacinque di cadenze intricate, finte disorientanti, colpi da jackpot con quel mancino telecomandato. E la dieci sulle spalle, ovvio. A Reggio lo accolgono come un messia, facendo una gran folla di fronte al palazzo comunale. Un'intera città si aggrappa alle sue intuizioni calcistiche per tirarsi fuori dalla poltiglia delle retrovie. Il giorno da cerchiare in rosso è il 21 novembre 1993: il debutto di Futre sarà in casa, contro la Cremonese di Gigi Simoni.

E subito l'astro portoghese non tradisce le aspettative. Gioca davanti con Padovano e Mateut (anche lui appena arrivato). In mezzo c'è Scienza, tra i pali Taffarel. Futre non delude il popolo che ha riempito il Mirabello. Si smarca, esibisce il suo campionario di movenze, manda al bar avversari, suggerisce per i suoi. Tutto con l'eleganza vellutata dei giocatori d'alto lignaggio. La Cremonese resiste solo per sessanta minuti. Poi Morello lo serve al limite dell'area, lui converge, finta e spedisce alle spalle di Turci con un rasoterra chirurgico. Ora i tifosi trasecolano per la gioia. Ma dura pochissimo.

Scappa via di nuovo Paulo, al crepuscolo del match. Minuto 83. Fluttua imprendibile sulla destra, quando il terzino avversario Pedroni lo stende. Lui cade male e si infortuna. Deve uscire subito. Ma quel che è peggio è il responso: infortunio al tendine rotuleo del ginocchio sinistro. Tradotto: stagione finita. Adesso la gente trasale. Lui, dal letto d'ospedale, si affanna per dire che è caduto male da solo, che Pedroni non c'entra. Sta di fatto che la sua prima stagione in granata si chiuderà lì, con sessanta minuti al debutto. La Reggiana si salverà ugualmente e un anno dopo potrà contare su di lui, ma Paulo gioca poco e non pare essere più lo stesso. Anzi, è proprio smarrito. La squadra sprofonderà di nuovo in B.

L'immagine crepata è quella del miracolo di provincia abortito. Un sogno troppo bello per pensarlo vero.

IL PERUGIA.

Quando Gaucci cacciò Ahn perché ci segnò ai mondiali. Il 19 giugno 2002, un giorno dopo essere stati sbattuti fuori da Byron Moreno e dal suo attaccante, il patron del Perugia dichiarò irremovibile: "Questo qui non ci rimette più piede". Paolo Lazzari il 3 Giugno 2023 su Il Giornale.

Avvampa irrimediabilmente. Furente. Indignato. Costernato. Ha nutrito una serpe coreana inconsapevolmente e, adesso, quella si è ritorta contro. Il 19 giugno 2002, ormai più di vent'anni fa, il suggerimento migliore per chiunque è evitare Luciano Gaucci. E dire che c'erano tutte le migliori premesse. Aveva anche invitato a casa almeno una ventina di persone, tra cui Luciano Moggi. Tartine, vini pregiati e maxischermo sintonizzato su Corea del Sud - Italia, ottavi di finale della rassegna iridata in terra asiatica.

Si era sfregato le mani, pregustando una vittoria disinvolta. Aveva buttato un occhio di quando in quando, mentre si asciugava le labbra con l'angolo di un tovagliolo di stoffa merlettata, certo che quella fosse una questioncella secondaria. Macché. Vieri e compagni soffrivano maledettamente. Byron Moreno perpetrava una sequela di surreali nefandezze. Uno a uno alla fine dei tempi canonici. Supplementari, con incisa al loro interno la farsesca regola del golden goal. Al 118' sbucava la testa di Ahn Jung-Hwan. Azzurri a casa. Tartine di traverso.

Luciano prima non ci crede. Poi si inviperisce. Ma come? Proprio lui. Il suo attaccante. Uno che in due stagioni in prestito al Perugia ha collezionato trenta presenze e cinque gol. La costante seconda scelta di Serse Cosmi, anche se il secondo anno gli hanno affibbiato la dieci sulle spalle. Aveva sussurrato di essere meglio di Nakata il giorno della presentazione, ma l'impressione era stata sempre quella di un giocatore vaporoso e smarrito per tutto il tempo. Salvo poi redimersi proprio quando non avrebbe dovuto. E Gaucci erompe, incontenibile. Grandina rabbia intervistato dalla Gazzetta. «Sono indignato! Lui si è messo a fare il fenomeno soltanto quando si è trattato di giocare contro l'Italia. Io sono nazionalista e questo comportamento lo considero non soltanto una comprensibile ferita al mio orgoglio di italiano, ma anche un'offesa ad un Paese che due anni fa gli aveva spalancato le porte».

Clamoroso benservito al coreano. Che - particolare risibile per Lucianone - tra parentesi avrebbe soltanto svolto il suo dovere. Hiddink ha puntato su di lui. Lui ha segnato per il suo paese. Tutto qua. Non per Gaucci, ovviamente, che schiuma livore da ogni poro. E ingombra i salotti calcistici con la sua esuberante intemerata. Come quando si collega con il processo di Biscardi, rincarando la dose: "Io non lo riscatto, perché non è una persona che si comporta bene avendo visto il pane bianco in Italia". Giubila e lo accarezza Aldo nazionale: "Grazie Luciano, ecco come si reagisce. Luciano Gaucci perde dei miliardi per non vendere Ahn che avrebbe un grande mercato, non lo riscatta, ma è coerente!".

Siamo all'avanspettacolo puro. L'ignaro Ahn non sa cosa l'aspetta. Per Gaucci è la causa dello sfacelo calcistico italiano e non può perdonarsi di averlo allevato. «Da noi si è sempre comportato da modesto comprimario e poi torna a casa e si mette a fare l'extraterrestre. Mi pento anche come presidente: noi lo abbiamo fatto crescere nel nostro calcio e alla fine ci accorgiamo che ci siamo rovinati con le nostre stesse mani. Io non intendo più pagare lo stipendio a uno che è stato la rovina del calcio italiano».

La sfuriata lavica gaucciana trova sostegno nelle pronte dichiarazioni di corredo di Cosmi, che comunque non vedeva l'ora di liberarsene. "Chiederò di non riscattarlo". Effetti personali premuti in fretta in valigia e tanti cari saluti. Il coreano ingrato lascia Perugia e vola in Giappone, al Shimizu S-Pulse. Tartine a volontà e gran rosso da sbocciare. Stasera sì, Gaucci festeggia.

Lorenzo Giarelli per il Fatto Quotidiano - Estratti sabato 11 novembre 2023.

“Non farò il sindaco, ma ho il dovere comunque di dare una mano”. La pazza idea del centrosinistra a Perugia, dove in primavera si vota per le Amministrative, ha il nome di Serse Cosmi, amatissimo allenatore che attraverso il calcio ha girato il Paese, lasciando i ricordi migliori proprio nella squadra umbra della sua città. Martedì sera Cosmi ha presentato PlayTime Perugia, progetto sociale ideato da Alessandro Riccini Ricci con cui nei prossimi mesi l’allenatore parteciperà a iniziative di dibattito, di cultura e di sport.

“Una rete dentro cui la città possa essere ascoltata”, per dirla con le parole dei promotori. 

A sentire parlare Cosmi c’era pure il segretario del Pd umbro Tommaso Bori, lieto di trovare il Mister a disposizione nell’ardua impresa di riconquistare la città dopo dieci anni di destra.

Serse Cosmi, è pronto a dare una mano?

Purtroppo vedo una città sdraiata, alla deriva. E noi abbiamo voglia di fare qualcosa per rivitalizzare la comunità. Mi è sembrato un dovere nei confronti di Perugia mettermi a disposizione, restituendo un po’ di quello che ho avuto. Non è la prima volta che mi do da fare per Perugia e lo avrei fatto a prescindere. Inevitabilmente, trovandoci in un periodo elettorale, questo viene caricato di significato, essendo poi chiara l’area politica a cui mi ispiro. 

In molti, anche nel Pd, la vorrebbero candidata. Glielo hanno chiesto?

Sì, ma non me la sono sentita. Prima di tutto mi sento ancora un allenatore e vorrei decidere io quando smettere. Poi credo che per fare il sindaco servano risorse che non ho. Preferisco dare una mano in altro modo. 

Con un impegno civico, magari con un centrosinistra unito?

Alla mia età (65 anni, ndr) mi sento in dovere di dare una mano. Faccio un paragone sportivo: l’area di sinistra (eliminiamo il centro...) somiglia a quelle squadre che anche quando possono vincere facile e sono sopra 3 a 0 fanno di tutto per pareggiare o addirittura perdere. E in questo la sinistra è allenatissima, non è questione soltanto degli ultimi anni. 

Ha mai sentito Elly Schlein o Giuseppe Conte?

No, non ci ho parlato e non voglio esprimere giudizi.

Lei ha lanciato una frecciata a Bandecchi, criticando chi da Terni vuole indicare la via ai perugini. Bandecchi a Perugia candiderà Davide Baiocco, un suo ex giocatore. Un derby.

Non ho nulla contro Bandecchi né tantomeno contro Davide, che è come un mio figlio. Il mio era una tentativo di spronare la città ad abbandonare questo spirito individualista e a ricostruire qualcosa insieme. 

Da sindaco si sarebbe garantito un’imitazione di Crozza, come vent’anni fa.

Già mi immaginavo la gag con la fascia tricolore. Adoravo quell’imitazione, e invece nel calcio manca auto-ironia. Andai a Mai dire gol e passai dei problemi. Nel calcio hanno sempre provato a togliermi la poesia che avevo dentro.

Si è sentito emarginato?

Ho capito benissimo che pure nel calcio bisogna saper fare politica. Il mio carattere ha fatto sì che mi trovassi spesso in situazioni di disagio: non amo i compromessi, e nel calcio ho visto arrivismo, incompetenza.

(…)

Estratto da sportmediaset.it il 18 febbraio 2023.

Il calcio dice addio a Ilario Castagner: l'ex allenatore del cosiddetto "Perugia dei miracoli" aveva 82 anni e da diverse settimane era ricoverato all'Ospedale Santa Maria della Misericordia. Nato a Vittorio Veneto (Treviso), aveva giocato da centravanti con le maglie di Reggiana, Legnano, Perugia, Prato e Rimini.

 Da allenatore gli inizi con l'Atalanta precedono il miracolo con il Perugia, prima promosso in Serie A e poi portato al secondo posto nel 1978-79 con una stagione senza sconfitte. Castagner in carriera aveva allenato anche Lazio, Milan in Serie B (raggiungendo la promozione in Serie A) e Inter prima di chiudere nel 1999 proprio al Perugia.

 A darne la notizia il figlio Federico, che su Facebook ha postato questo messaggio: "Oggi se ne è andato il sorriso più bello del calcio italiano. Grazie a tutti i medici e al personale sanitario dell'Ospedale 'Santa Maria della Misericordia' di Perugia che in queste ultime settimane si sono presi cura di lui. Ciao papà...". […]

Addio a Ilario Castagner, guidò il “Perugia dei miracoli”. Il Quotidiano del Sud il 18 Febbraio 2023.

Si è seduto sulle panchine di Milan e Inter ma il suo nome resterà per sempre legato al Perugia. Si è spento a 82 anni Ilario Castagner: a darne notizia, sulla sua pagina Facebook, il figlio Federico. “Oggi se ne è andato il sorriso più bello del Calcio italiano”, ha scritto ringraziando “tutti i medici e il personale sanitario dell’Ospedale ‘Santa Maria della Misericordia’ di Perugia che in queste ultime settimane si sono presi cura di lui. Ciao papà…”.

Una carriera da centravanti negli anni Sessanta fra Reggiana, Legnano, Perugia (dove vince la classifica cannonieri in C), Prato e Rimini, Castagner muove i primi passi da allenatore nel settore giovanile dell’Atalanta prima della chiamata, nel 1974, del Perugia.

Il tecnico originario di Vittorio Veneto lancia giovani come Renato Curi e Paolo Sollier e, a sorpresa, alla sua prima stagione vince il campionato di B. Nel massimo campionato la squadra non sfigura, anzi, tanto da guadagnarsi l’appellativo di “Perugia dei miracoli”. Non mancano i momenti difficili, su tutti l’improvvisa morte nell’ottobre 1977 del giovane Curi, colto da infarto durante una partita contro la Juve, ma quel Perugia continua a stupire.

E nella stagione 1978-79 Castagner compie il suo capolavoro: la squadra chiude il campionato da imbattuta (impresa riuscita poi solo a Milan e Juve), con 11 vittorie e 19 pareggi, terminando al secondo posto, a tre lunghezze dai rossoneri campioni d’Italia. Dopo lo scandalo legato al Totonero, Castagner torna in B guidando prima la Lazio e poi il Milan, che riconduce nel massimo campionato facendo debuttare giocatori come Tassotti ed Evani.

Guiderà anche l’Inter, con cui arriverà fino alle semifinali della Coppa Uefa, e poi Ascoli (vittoria in Mitropa Cup), Pescara e Pisa, fino al ritorno a Perugia, che riporta dalla C1 alla serie A, esonerato poi nel corso della stagione 1998-1999 in quella che sarà la sua ultima stagione in panchina.

Al Grifone tornerà ancora qualche anno dopo, come presidente onorario dopo la gestione Gaucci, a riprova di un legame indissolubile, almeno fino ad oggi, quando la notizia della sua scomparsa gela lo stadio intitolato a Renato Curi, durante la gara con la Ternana.

Oggi è un giorno triste per lo sport. Ed è un giorno molto triste per la nostra città. Con Ilario Castagner se ne va una leggenda del calcio italiano”, il cordoglio del sindaco di Perugia, Andrea Romizi, che ricorda soprattutto l’uomo, “una persona rara, un gentiluomo d’altri tempi”.

La Lazio lo ricorda come “una figura cara agli appassionati di calcio, unanimemente associata a un modo serio, professionale e pacato di vivere lo sport” mentre Lorenzo Casini, presidente della Lega di A, lo definisce “un personaggio simbolo del nostro sport, un uomo mai sopra le righe, esempio e maestro per molti calciatori e allenatori”.

Ilario Castagner, morto l’allenatore del «Perugia dei miracoli». Redazione Sport su Il Corriere della Sera il 18 Febbraio 2023.

L’ex allenatore aveva 82 anni, ha guidato anche Lazio, Milan e Inter, ma in Umbria rimase imbattuto sfiorando lo scudetto 1979. Il figlio Federico: «Se ne va il sorriso più bello del calcio italiano»

È morto a 82 anni Ilario Castagner, allenatore del «Perugia dei miracoli». Lo ha annunciato il figlio Federico con un post sui social network.

Quel Perugia, nel 1979, concluse il campionato da imbattuto, classificandosi al secondo posto in classifica a soli tre punti dietro al Milan e sfiorando il sogno dello scudetto. Esattamente un anno fa aveva perso il suo capitano, Pierluigi Frosio.

Il saluto del figlio Federico: «Il sorriso più bello del calcio»

«Oggi se ne è andato il sorriso più bello del calcio italiano — scrive il figlio Federico su Facebook —. Grazie a tutti i medici e al personale sanitario dell’Ospedale Santa Maria della Misericordia di Perugia che in queste ultime settimane si sono presi cura di lui. Ciao papà».

Castagner, che era nato a Vittorio Veneto (Treviso), è rimasto molto legato al Perugia, dove arriva a 18 anni, fortemente voluto da Guido Mazzetti al centro dell’attacco, quando la squadra milita in serie C. Fu proprio in quel periodo che conobbe Liliana Monacchia la compagna di una vita, perugina doc, con cui ha avuto tre figli, oltre a Federico, Francesco e Laura che gli hanno dato dieci nipoti. E in città era rimasto a vivere.

Ad avviarlo alla panchina era stato Corrado Viciani che lo volle come suo vice all’Atalanta in serie A. A Bergamo restò dal 1969 al 1974 alla guida delle giovanili prima di passare appunto al Perugia del presidente Franco D’Attoma nel 1974: prima la promozione in A e poi appunto il secondo posto nel 1978-79 dietro al Milan del decimo scudetto.

Gli umbri li ha poi allenati anche negli anni Novanta in due occasioni (famose le dimissioni dopo l'ingerenza del presidente Luciano Gaucci addirittura negli spogliatoi). In mezzo esperienze in grandi piazze, sulle panchine di Lazio (voluto da Luciano Moggi nel 1980 in serie B, dove rimase due anni senza centrare la promozione, venendo esonerato nel 1982), poi Milan (sempre in B, dopo la retrocessione per lo scandalo scommesse, con cui vinse il campionato, ma senza essere riconfermato in A) e Inter, dove restò per due anni. Poi, sempre in serie A, divenne allenatore dell’Ascoli e, dopo tre anni, scese di categoria e allenò Pescara e Pisa in B. Prima appunto di tornare a Perugia nel 1993 in C.

La sua morte è avvenuta oggi, 18 febbraio, giorno in cui allo stadio dedicato a Renato Curi, che lui allenò, si gioca il derby Perugia-Ternana, con la notizia che si è diffusa allo stadio e ha fatto precipitare nella tristezza i tifosi, che però hanno visto il suo zampino nella vittoria per 2-0.

Lutto nel mondo del calcio. È morto Ilario Castagner, addio all’allenatore del Perugia dei miracoli entrato nella storia. Antonio Lamorte su Il Riformista il 18 Febbraio 2023

Ilario Castagner era alla guida, in panchina, di quel Perugia che nella stagione 1978/1979 di Serie A non perse neanche una gara. Non era mai successo. È morto, l’allenatore passato alla storia per quel “Perugia dei miracoli” ma anche sulle panchine di Lazio, Milan e Inter. Aveva 82 anni. A dare l’annuncio il figlio Federico su Facebook. “Oggi se ne è andato il sorriso più bello del Calcio italiano”, si legge nel post. “Grazie a tutti i medici e al personale sanitario dell’ospedale ‘Santa Maria della Misericordia’ di Perugia che in queste ultime settimane si sono presi cura di lui. Ciao papá…”.

Castagner era nato a Vittorio Veneto, in provincia di Treviso, nel 1940. Aveva vestito da calciatore le maglie di Reggiana, Legnano, Perugia, Prato e Rimini. Sulle panchine dell’Atalanta era rimasto dal 1969 al 1974, alla guida delle giovanili, prima di passare al Perugia del Presidente Franco D’Attoma nel 1974.

Prima la promozione in Serie A, poi lo storico secondo posto dietro il Milan del decimo Scudetto: a soli tre punti dal tricolore. Era il 1980 quando Luciano Moggi lo volle alla Lazio, in Serie B. Dal 1982, sempre in serie B, passò al Milan retrocesso dopo lo scandalo del totoscommesse. Con i rossoneri centrò la promozione vincendo il campionato. Non venne confermato e passò all’altra sponda della Milano del calcio, l’Inter, dove restò per due anni. Ha allenato anche Ascoli, Pescara, Pisa, di nuovo il Perugia. A causa della rottura con il Presidente Gaucci avrebbe rassegnato le dimissioni dopo venti giornate chiudendo la carriera da allenatore.

Sempre al club umbro sarebbe tornato da direttore tecnico e presidente onorario, in ricostruzione dopo il fallimento della gestione Gaucci e la nuova presidenza di Vincenzo Silvestrini. Castagner è stato anche un apprezzato commentatore televsivo per Telemontecarlo, Mediaset Premium e Rai Italia. “La più evidente – rispeondeva in un’intervista nel 2018 sulle differenze tra il calcio attuale e quello passato – è la velocità del gioco, che costringe i calciatori ad avere altrettanti fotogrammi veloci nella propria testa, per avere una visione globale dell’azione, ad intuire un attimo prima dell’esecuzione la giocata giusta”.

Alla notizia della morte di Castagner annunciata questo pomeriggio allo stadio Renato Curi, in occasione del derby Perugia-Ternana, è partito un lungo applauso in onore dell’allenatore.”Oggi e’ un giorno triste per lo sport – ha scritto il sindaco di Perugia Romizi sui suoi canali social- ed è un giorno molto triste per la nostra città. Con Ilario Castagner se ne va una leggenda del calcio italiano. Un allenatore che ha scritto la storia di questo sport, l’artefice del Perugia dei Miracoli, il primo tecnico a chiudere un campionato di Serie A imbattuto, ma anche la figura di riferimento, paterna e carismatica, sempre pronto a correre in aiuto del ‘suo’ Perugia, come in occasione della cavalcata alla conquista della serie A del 1998. In mezzo pagine di grande calcio, vissuto, fra le altre, sulle panchine di Inter e Milan”.

Antonio Lamorte. Giornalista professionista. Ha frequentato studiato e si è laureato in lingue. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Ha collaborato con l’agenzia di stampa AdnKronos. Ha scritto di sport, cultura, spettacoli.

LA TERNANA.

"IO MANESCO? SONO UNO CHE SI DIFENDE QUANDO GLI ALTRI ROMPONO I COGLIONI". Dagospia il 7 Settembre 2023. Da "La Zanzara - Radio24"

Bandecchi show a La Zanzara su Radio24: “Mussolini? Ha fatto anche cose giuste, fino alle leggi razziali che mi fanno schifo”. “Le bonifiche furono entusiasmanti, il lavoro, l’Eur, aiutava le persone bisognose. Prima le cose erano uno schifo. Sarei stato un fascista della prima ora, dopo le leggi razziali no”. “Rissa in Consiglio Comunale? Le parole spesso fanno più male delle botte, se uno mi insulta e mi dice buffone più volte, si merita anche una testata…”. 

“Stupratori? Bisogna fargli male, se serve anche la castrazione chimica…”. “Mi danno fastidio le donne che denunciano le violenze sette mesi dopo, oggi devi avere paura a fare un complimento a una ragazza”. “Oggi è pericoloso anche andare a letto con una…magari ti denuncia perché sono stato un’omaccione”.  “Lo stipendio da sindaco? Cinquemila e duecento euro al mese, adesso guadagno solo quello e non rinuncio”.

“Le mie aziende valgono tre miliardi, ho uno yacht da cinquantacinque metri, ma adesso mi sono rimasti solo i soldi che prendo da sindaco, non posso rinunciare. Chi lavora deve essere pagato”. “Il Perugia? Non lo volevo in serie C, ma era ingiusto togliere il posto a una squadra che aveva meritato…”. Poi si dichiara a favore della prostituzione legale: “Meglio i bordelli della strada, e poi ognuno del suo corpo fa quello che vuole”. E su droghe leggere e nucleare…   

Difende le guardie giurate ingaggiate dalla su Università per la sicurezza di Terni: “C’è un’esigenza reale di sicurezza, i vigili di Terni sono sotto di 87 persone. Da trent’anni tutte le Forze dell’Ordine sono sotto organico e Terni è immensa. Con tre volanti non la copri sicuro. Comunque il prossimo anno assumeremo sessanta vigili.

Milizia privata? Ma quando mai, sono istituti di vigilanza e se un ladro sta spaccando una fontana a martellate lo possono fermare. Possono controllare i nostri parchi, se c’è uno che violenta una ragazza possono intervenire. Sono l’unico politico d’Italia che dà i soldi ai cittadini e non li prende”. 

Bandecchi, lei è un uomo ricco. Prende lo stipendio da sindaco?

“Le mie aziende contano circa tre miliardi di patrimonio. La mia Università vale due miliardi e tre, quattro e con le altre aziende siamo intorno ai tre miliardi”. E lo stipendio da sindaco?

“Ne ho bisogno perchè non guadagno più quattro milioni ma cinquemila duecento euro al mese. Ci ho rimesso, fate voi il conto. Io lavoro, non rinuncio allo stipendio. Quando uno lavora si merita lo stipendio. Sono gli unici soldi che mi sono rimasti”.

Ma lei ha pure una barca: “Sì, e allora? Ho uno yacht da 55 metri intestato a un’azienda. Io do lavoro a più di duemila persone”. Se fosse ministro o premier che pena darebbe agli stupratori?

“Lo stupro è uno dei reati peggiori. Castrazione chimica? Serve fargli male. Gli stupratori non possono continuare a fare gli stupratori. Per me le ragazze ubriache si accompagnano a casa. La castrazione è un’idea, quello che lo fa una volta è un caso, quello che lo fa 150 volte non è un caso. 

Ci sono persone uscite di galera che hanno ricommesso il reato”. Ma Bandecchi dice anche: “Poi bisogna anche vedere se questi reati succedono veramente, a me danno noia le donne che si svegliano sette mesi dopo. Ai miei figli oggi non direi con tranquillità che possono dire a una donna che è una bella ragazza. E’ un rischio fare un complimento, ci vuole una delibera. Non si può neanche andarci a letto con una, dopo tre mesi lei dice che sono stata indotta perchè era un omaccione”. Lei è monogamo?

“Sì, e se mia moglie mi tradisse vorrei che non me lo dicesse.

Sono sposato da quaranta anni. Se ho mai tradito? Ho un amico avvocato che ha detto che se dovesse difendere mia moglie chiede un milione per il divorzio e gliene fa avere tre, se difende me vuole 20mila euro perchè tanto perde sicuro”. Una volta lei ha detto che la Finanza è come la Gestapo, conferma?

“Ho ancora 22 milioni sequestrati e non mi hanno fatto capire per quale motivo. La Finanza ha poteri che altri non hanno. Io sono sopravvissuto a questo sequestro e i miei dipendenti hanno continuato a prendere lo stipendio, altri al posto mio si erano già sparati alla testa.

Sull’accenno di rissa al consiglio comunale di Terni: “Io manesco? Sono uno che si difende quando gli altri rompono i coglioni. Mentre parlavo in Consiglio Comunale, dove la legge mi dà il diritto di esprimermi in modo democratico, mi hanno detto pagliaccio vieni qua. Mi hanno urlato che sarei stato il coglione di turno. Minacciato qualcuno di rompergli i denti? Ho detto attenzione che se ridi i denti volano via. Legittimo dare schiaffi? Ci sono tanti che si sono suicidati per le parole piuttosto che per uno schiaffo. Se uno mi dice buffone una volta non gli do una testata. 

Se insiste due giorni gliene do due di testate...”. E ancora: “Se uno non mi lascia parlare cosa ci vado a fare in Comune? Volevo menare quello di Fratelli d’Italia? Io gli ho solo detto di non rompere i coglioni. Sono stato indagato con venti persone che mettono le mani addosso a me e mi bloccano. Non si devono azzardare a fermare uno che non ha ancora commesso nulla”.

Bandecchi parla poi di Mussolini e del fascismo: “Non ho ammirazione, ma a volte ha fatto cose giuste. Era socialista, quando ha pensato di aiutare le persone assistendo quelli che morivano di fame, quando ha detto cerchiamo di sanare le paludi che non funzionano non ha fatto cose strane. Poi ha fatto cose schifose in un’altra epoca: le leggi razziali. Li lo trovo insopportabile. 

Se fossi vissuto in quell’epoca sarei stato fascista della prima ora, ma dalle leggi razziali non lo sarei stato più”. E continua sempre parlando di Benito Mussolini: “Bonifiche? Sono state entusiasmanti. L’Eur mi piace, mi piacciono anche i principi della sanità per tutti, perchè è un principio che ha cominciato a portare lui in quel tempo. Personalmente non so se avrei fatto la Marcia su Roma, ma so che a quei tempi le cose funzionavano da schifo, peggio di oggi. Se il Re avesse voluto impedire la marcia l’avrebbe fatto, hanno fatto una passeggiata”. Poi il Leader di Alternativa Popolare parla di Perugia: “Ci saranno le elezioni e vogliamo piazzare il nostro Sindaco. Io non volevo il Perugia in Serie C, non sono contento della C, li vorrei in Serie A con la Ternana. Però non potevano pretendere di andare in B buttando fuori una squadra che si era guadagnato la serie sul campo”. Vannacci?

“Sui gay ha detto cose da caserma. Se poi dice che si è stufato di vedere in televisione due uomini o due donne che si baciano e mai un uomo e una donna, ha anche ragione.

Però il Generale sbaglia dicendo che non sono uguali agli altri”. Legalizzerebbe la prostituzione?

“Sono per la prostituzione legalizzata, ma non sono mai stato a prostitute. Le ragazze non siamo riusciti a toglierle dalla strada, alcune sono in mano a delinquenza. Mi risulta che in Germania, Olanda e Svizzera ci sia la prostituzione e portano a casa quindici/ventimila euro al mese decidendo di fare ciò che vogliono. Del mio corpo potrò decidere io che farne o no?”. 

“Sono favorevole- prosegue – anche al nucleare. Io una centrale anche A Terni la farei subito perchè mi sono rotto le palle di comprare energia elettrica dalla Svizzera, dalla Spagna e dalla Francia. Le droghe? Mi sono fatto una canna volta da ragazzo, sembravo il bigotto che non voleva. Non siamo riusciti a eliminare nulla quindi sono per la legalizzazione”.

Estratto dell’articolo di Antioco Fois per repubblica.it sabato 2 settembre 2023.

Stefano Bandecchi, il sindaco che aveva auspicato cecchini contro il degrado porta in città i “suoi” vigilantes. Dopo avere sfilato sotto il palazzo comunale, a Terni ha preso servizio un plotone di guardie giurate private. Dieci autopattuglie, in livrea bianca con una pantera disegnata sulla fiancata, che di notte stazioneranno nei luoghi sensibili della città, contro microcriminalità e atti vandalici. La particolarità inedita è che i poliziotti privati saranno finanziati con 870mila euro da Unicusano, l’università telematica fondata dal primo cittadino. Per essere più chiari, i soldi per la sicurezza cittadina, come ha rimarcato lo stesso Bandecchi, “ce li mette il sindaco”.

“Le proprietà del comune di Terni sono luoghi più sicuri”, ha celebrato l’evento sui propri social il primo cittadino ed ex paracadutista, con un filmato della sfilata delle auto che si posizionavano nel parcheggio del palazzo comunale. “Ventiquattro occhi in più” a disposizione della sicurezza cittadina, che per un anno saranno puntati dalle 22 alle 7 su “cimiteri, fontane, borghi, palazzi storici, monumenti” e risponderanno alle indicazioni della centrale operativa dei vigili urbani, in attesa che l’amministrazione Bandecchi riesca a integrare l’organico della municipale con nuove assunzioni.

In pratica, oltre ad essere finanziati dal sindaco, i vigilantes saranno anche comandati dal sindaco. Bandecchi, infatti, aveva rimarcato che la polizia municipale dovesse rispondere direttamente ai suoi ordini, in forza della delega alla sicurezza che ha mantenuto per sé. Una sorta di milizia privata del sindaco, che avrà il compito di vigilare e segnalare alle forze dell’ordine spaccio di droga, furti o situazioni di degrado. 

[...] La sperimentazione [....] consiste in un progetto pilota per “una attività di ricerca - si legge nell’atto numero 78 dell’esecutivo - finalizzata ad analizzare l’impatto sulla sicurezza urbana e sull’ordine pubblico, attraverso iniziative di partecipazione da parte di terzi alla tutela dei beni e degli spazi pubblici”.

I “terzi” sono le guardie giurate, che saranno impegnate in un servizio di “vigilanza gratuito”, per una non meglio precisata ricerca universitaria interdisciplinare, mirata “ad acquisire dati scientifici”, [...]  

Vantaggi diretti per Unicusano? Nessuno, ammette lo stesso sindaco. “La mia università spenderà 870mila euro per fare questa ricerca - commenta Bandecchi a Repubblica - e il beneficio che avrà è praticamente zero. Lo stesso vale per me. Invece il beneficio per la città di Terni è mille”.

Sul possibile conflitto di interessi, di un sindaco che finanzia il controllo del territorio, Bandecchi allarga le braccia. “Non so se ci sia un conflitto di interessi, nel caso sposteremo il progetto a Roma o a Perugia”, replica il capo della giunta ternana, che assicura nessuna invasione di campo nei compiti delle forze dell’ordine. “Già da quando Roberto Maroni era ministro - dice - le guardie giurate possono contribuire al servizio della sicurezza, coordinandosi con la questura”. [...]

Le ipotesi di reato: minaccia, oltraggio a pubblico ufficiale e di interruzione di pubblico servizio. Bandecchi è indagato dopo la lite in Consiglio comunale. E, intanto, presenta un esposto. “Ci si deve rendere conto che le parole uccidono e avevo parlato con le autorità proprio per questo. Ora vediamo chi vince”, dice il sindaco che, come riportano i media locali, ha presentato, a sua volta, un esposto per le minacce di morte subite nei mesi scorsi. Bandecchi parla anche di insulti e minacce ricevuti via social. Redazione su Il Riformista il 31 Agosto 2023

Il sindaco di Terni Stefano Bandecchi è stato iscritto nel registro degli indagati dalla locale Procura nel fascicolo di inchiesta aperto dopo quanto accaduto nei giorni scorsi in Consiglio comunale, quando lo stesso sindaco si era scagliato contro l’esponente di Fratelli d’Italia Marco Celestino Cecconi, venendo bloccato dalla polizia municipale. Lo scrive oggi il Corriere dell’Umbria, specificando che si tratta praticamente di un atto dovuto.

Dopo il Consiglio le minoranze si erano infatti recate dal prefetto e gli esponenti di Fratelli d’Italia anche dai carabinieri, per segnalare quanto successo. Della vicenda, i parlamentari del Pd Walter Verini e Anna Ascani hanno invece interessato il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi. In particolare – secondo quanto risulta al Corriere dell’Umbria – nel fascicolo di indagine le ipotesi di reato al momento al vaglio sarebbero quelle di minaccia, oltraggio a pubblico ufficiale e di interruzione di pubblico servizio. Tra gli elementi da valutare ci sarebbe infatti anche la reazione del sindaco all’intervento di tre agenti della polizia locale presenti come prassi al Consiglio. Durante il dibattito c’era stato uno scambio di battute dai toni sempre più polemici tra Bandecchi e Masselli, assessore nella precedente Giunta e sconfitto nel ballottaggio per la guida di Palazzo Spada. “Mi devono chiedere scusa, perché quando parla un consigliere e a maggior ragione il sindaco, tutti gli altri devono stare zitti”, aveva, fra l’altro, commentato il sindaco dopo l’accaduto.

Il sindaco di Terni ha a sua volta presentato una querela in questura: “Ho presentato un esposto preciso – ha riferito – contro l’aggressione che ho subito in Consiglio comunale. Precisamente contro le parole rivoltemi da Masselli, sentite da testimoni, ovvero ‘pagliaccio vieni qua’. Dette sbeffeggiandomi e ridendo. E contro il consigliere Cecconi che si è alzato e ha iniziato a urlare, costringendo la presidente a richiamarlo più volte e me a dirgli di mettersi seduto. Per questo mi sono alzato, per farlo rimettere al suo posto. C’è stata una evidente interruzione dei lavori di un pubblico ufficiale, quindi un’interruzione di pubblico servizio”.

Interpellato dall’ANSA, il sindaco Bandecchi ha prima replicato con una battuta – “se mi hanno iscritto, non è la prima volta” – poi ha spiegato i passi giudiziari compiuti, spiegando di avere anche “sporto denuncia per le minacce di morte ricevute un mese fa (un fatto inizialmente descritto dal primo cittadino come un tentativo di rapina subìto a Roma il 25 luglio, ndr) ed erano minacce direttamente legate al mio ruolo di sindaco”. “Di questo – ha detto – avevo già informato il prefetto di Terni, il questore e il comandante provinciale dei carabinieri. Avevo parlato alla ‘nuora’ perché la ‘suocera’ intendesse, ma evidentemente non ha inteso e quindi ho denunciato tutto”.

“Quando dissi a tutti che non volevo sporgere denuncia per quelle minacce, spiegai che evidentemente qualcuno si era fatto ‘agitare’ dai continui atteggiamenti che Fratelli d’Italia ha nei miei confronti. Sono sette mesi, cioè dalla campagna elettorale, che pubblicano storie e leggende per cui dovrei essere un criminale, al punto da mettere in discussione quanto deciso liberamente e democraticamente dai cittadini. Da tre mesi poi il consigliere Cecconi mi prendere in giro con le sue dirette video, fomentando alcuni poveracci che poi gli vanno dietro. Ci si deve rendere conto che le parole uccidono e avevo parlato con le autorità proprio per questo. Ora vediamo chi vince”.

"Il Pd? Se ne possono andare a fare in c..." Terni, Bandecchi rincara la dose: “Non sono il cattivo, ho solo avvisato i consiglieri che se non mi fanno parlare gli fracasso la testa sul tavolo”. La replica: “Inadatto a fare il sindaco”. Redazione su Il Riformista il 28 Agosto 2023 

Il protagonista indiscusso di questo pomeriggio di fine estate è stato il vulcanico sindaco di Terni Stefano Bandecchi che durante la seduta del consiglio comunale di questa mattina ha decisamente perso le staffe. Dopo aver travolto una sedia e un consigliere si è scagliato contro un collega della minoranza con cattive intenzioni. Il video dello scontro tra Bandecchi e i consiglieri di opposizione di Fdi ha fatto il giro del web e in pochissime ore è diventato virale. Ma lui proprio non ci sta a passare per il cattivo di turno anche se le circostanze portano inevitabilmente a pensare il contrario. E nemmeno il placcaggio della polizia locale ha placato la furia di Bandecchi.

Nel suo profilo whatsapp non passa inosservata la testa di un lupo con i denti digrignati, per nulla rassicurante. “Mi sono avvicinato a Cecconi, è vero, ma certo non gli volevo dare due crocche…”, assicura all’AdnKronos, riferendosi allo scontro con il consigliere meloniano Marco Celestino Cecconi. “L’ho solo avvisato che se succede un’altra volta che non mi fanno parlare gli fracasso la testa sul tavolo”, aggiunge però subito dopo con un’espressione choc l’esponente di Alternativa popolare.

Su quanto accaduto stamattina dice: “Penso che le persone prima di parlare devono collegare il cervello, l’ordine dei lavori è che ci si prenota e poi si parla, parlano tutti, io ho ascoltato tutte le corbelleria del centrodestra, ma quando poi ho iniziato io a parlare, hanno iniziato a ridere, a inveire, a colpi di ‘pagliaccio’, ‘imbecille’, ‘non capisci nulla’, Cecconi si è pure messo a urlare come un matto, gli hanno detto di sedersi, ci sono i video, e io mi sono alzato per farlo sedere, per me chi si comporta così è un criminale, e come uno che fa una rapina, uno che violenta una donna… pensavano che gli avrei dato due crocche, ma non era la mia intenzione, gli ho solo detto che la prossima volta che parlo io deve ascoltare, altrimenti sono guai…”.

Le reazioni della politica

Ora però altri partiti come la Lega e il Pd accusano Bandecchi, con i dem che chiedono l’intervento del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, invitando il primo cittadino del capoluogo umbro a dimettersi: “Il Pd? Se ne possono andare a fare in c… – sbotta, chiedendo di scrivere anche questo – non sanno che dire neanche loro. Io di certo non mi dimetto, perché il mio unico torto è quello di fare politica, dopo 5 anni in cui ha governato il centrodestra, in cui si è solo rubato….”. “E del Pd non mi interessa nulla…”, dice poi l’ex parà della Folgore commentando la posizione del partito di Elly Schlein che per bocca di Anna Ascani e Walter Verini, parlamentari umbri del Pd, ha parlato di “comportamento indegno, da parte di un personaggio su cui pende, tra l’altro, una seria questione di incompatibilità e conflitto d’interessi”.

"Devono chiedermi scusa, volevo farli sedere". Terni, Bandecchi: “quando parla il sindaco devono stare tutti zitti, sono stato buono ma se rompono gli do due schiaffi davvero”. Richiesto intervento di Piantedosi. Redazione su Il Riformista il 28 Agosto 2023

A poche ore dalla bagarre che ha visto protagonista Stefano Bandecchi in consiglio comunale non mancano le reazioni di indignazione per l’atteggiamento definito “da picchiatore” del sindaco di Terni. Il diretto interessato a margine del suo show ha commentato all’Ansa: “Mi devono chiedere scusa, perché quando parla un consigliere e a maggior ragione il sindaco, tutti gli altri devono stare zitti. Non possono sbeffeggiarmi dicendomi delinquente o pagliaccio”.

“Quando mi sono alzato e mi sono diretto verso il consigliere Cecconi – ha spiegato – volevo soltanto farlo mettere seduto, infatti non l’ho nemmeno sfiorato”. “Le posso assicurare che sono stato buono – ha detto ancora Bandecchi -, se continuano a rompermi… diventerò cattivo e due schiaffi in faccia glieli do davvero. Fino a quel momento avevo ascoltato tutti gli interventi in silenzio poi quando è toccato a me parlare sono iniziate le interruzioni e gli sberleffi per altro su un tema, quello della carenza di vigili urbani, causato dalle precedenti amministrazioni e che io sto risolvendo con sessanta nuove assunzioni. So che la minoranza è andata dal prefetto a fargli perdere tempo, io invece sono qui a lavorare”, ha concluso Bandecchi.

Richiesto intervento del ministro Piantedosi

“Poco fa, come parlamentari dell’Umbria, abbiamo avuto un colloquio con il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi. A lui abbiamo espresso la più profonda preoccupazione per le ferite e le lesioni alla convivenza civile e democratica prodotte quotidianamente a Terni dai comportamenti del sindaco Bandecchi. Gli episodi di questa mattina sono di una inaudita gravità: configurano reati, insulti all’istituzione e al consiglio comunale, resistenza a pubblico ufficiale, minacce. E fanno seguito a numerosi episodi che nelle scorse settimane hanno visto sempre protagonista questo signore, contro funzionari comunali, giornalisti, consiglieri di opposizione.

2Un comportamento indegno, da parte di un personaggio su cui pende, tra l’altro, una seria questione di incompatibilita’ e conflitto d’interessi. Bandecchi non può continuare a fare il sindaco: avere preso la maggioranza dei voti non lo autorizza a tenere questi comportamenti che offendono la città di Terni, le istituzioni, i consiglieri di opposizione, cui va la nostra solidarietà. Ringraziamo il ministro Piantedosi per l’attenzione dimostrata. Ci auguriamo che si prenda atto di questa insostenibile situazione e che si possano adottare tutti i provvedimenti utili a ripristinare un clima civile e democratico nella città”. Così, in una dichiarazione congiunta, i parlamentari umbri del Pd Walter Verini e Anna Ascani.

Terni, Bandecchi: “ti volano via i denti dalla bocca” poi vuole la rissa. Il sindaco placcato dalla polizia in consiglio comunale. Richiesto intervento del prefetto. Redazione su Il Riformista il 28 Agosto 2023 

Un rientro dalla pausa estiva esplosivo in consiglio comunale a Terni. Rissa sfiorata stamani tra il sindaco Stefano Bandecchi e i consiglieri di minoranza di Fdi. Uno show placato solo dall’intervento della polizia locale che ha evitato il contatto, in particolare con Marco Celestino Cecconi, capogruppo del partito.  Dopo ripetuti episodi che hanno visto il neo sindaco protagonista di attacchi nei confronti di giornalisti e consiglieri comunali, nella seduta odierna dell’assise municipale Bandecchi si è ripetuto, scagliandosi contro i banchi dell’opposizione.

La furia è scattata dopo un intervento dell’opposizione, che criticava l’operato della Giunta in tema di sicurezza urbana, dagli insulti il primo cittadino e coordinatore nazionale di Alternativa popolare si è fatto contro due esponenti di FdI come se volesse passare alle mani. Un botta e risposta sui conti comunali tra Bandecchi e il consigliere Orlando Masselli, già suo sfidante alla guida di Palazzo Spada.

Il sindaco ha più volte ripetuto a Masselli di “vergognarsi nel dire che oggi servono i soldi”, ricordandogli che era stato l’ultimo assessore al bilancio prima dell’arrivo dell’attuale maggioranza. Il sindaco ha continuato dicendo allo stesso Masselli di smettere di ridere, “altrimenti gli volano via tutti i denti dalla bocca”. Una frase ha fatto andare su tutte le furie Cecconi il quale ha richiamato animatamente Bandecchi a un atteggiamento e a un linguaggio più moderato. È a questo punto che la situazione è sfuggita di mano, con il sindaco che ha lasciato la sua postazione per andare verso il consigliere Cecconi, travolgendo anche una sedia. Fermato dagli agenti di polizia presenti alla seduta, Bandecchi è stato accompagnato fuori dall’aula consiliare e la seduta è stata sospesa.

Si sono subito recate dal prefetto di Terni Giovanni Bruno tutti i rappresentanti dei partiti di minoranza dopo che in consiglio il sindaco Stefano Bandecchi si è scagliato Celestino Cecconi, capogruppo di Fratelli d’Italia. La seduta dell’Assemblea si è regolarmente conclusa. Quindi le minoranze hanno chiesto un incontro al prefetto, subito accordato.

“Bandecchi non è in grado di fare il sindaco e se non si tratta di una questione di incompatibilità degli incarichi, è una questione di incompatibilità morale e di comportamento. Anche oggi in aula di Consiglio comunale l’ennesimo scempio, l’ennesimo teatrino di un sindaco che invece di confrontarsi, minaccia pesantemente (‘le volano via tutti i denti dalla bocca’), insulta e cerca di aggredire fisicamente un consigliere di opposizione che sta solamente facendo il suo lavoro nell’incalzare l’amministrazione a fare il proprio”: a denunciarlo è Devid Maggiora, segretario comunale della Lega a Terni. “Solo grazie all’intervento degli uomini della polizia locale è stato evitato il peggio. L’atteggiamento di Bandecchi oggi in aula è da censura” aggiunge.

Estratto dell'articolo di Paolo Grassi per “il Messaggero” l'1 giugno 2023.

 Il presidente di una società di calcio, può fare anche il sindaco della città? A quanto pare, no. C'è il caso di Terni, dove al neoeletto, Stefano Bandecchi di Alternativa Popolare, è stato comunicato ieri proprio questo. Lui, infatti, è anche presidente della Ternana. E così, decide di mettere in vendita la società […] 

Fino alle elezioni, Bandecchi escludeva, leggi e sentenze alla mano, l'incompatibilità. Ma la realtà, ieri, alla convalida della sua elezione, è stata un'altra. Per lui, si tratterebbe di una "scherzetto" della precedente amministrazione, di centrodestra.

«Per me […]non c'erano problemi. Ma evidentemente, la giunta uscente ha lasciato dei documenti in cui il segretario comunale afferma che, a suo avviso, la legge è restrittiva e se io prendo lo stadio cittadino in utilizzo scattano conflitti di interesse per i quali non basterebbe nemmeno che io lasciassi la sola presidenza. Abbiamo trovato una serie di documenti ai quali hanno lavorato intensamente sabato e domenica scorsi e che abbiamo dovuto firmare. Per me, è assurdo che uno che paga uno stadio e ci spende 1,3 milioni l'anno, abbia incompatibilità con il Comune. Perché non mi sembra che il Comune ci abbia dato soldi. Resto sindaco e punto sempre sull'Umbria, vendo la Ternana e avrò risolto il problema alla destra».

[…] «Riceviamo chiamate ogni giorno, da chi sarebbe pronto a prendere la Ternana. Sarà ceduta a soggetti di livello e pronti a investirci».

Dagospia 30 maggio 2023. INTERVISTA A STEFANO BANDECCHI A “LA ZANZARA”.

Bandecchi vince a Terni e poi a La Zanzara su Radio 24 si confessa: “Non sono fascista, ma Mussolini ha fatto cose buonissime come le pensioni e la sanità per tutti”. “Gay pride? Lo possono fare serenamente, glielo finanzio”. “Troppi stranieri a Terni? No, per me possono venire tutti i neri da ogni parte del mondo”. Droghe? Ho un fratello morto per droga, ma la cannabis se la possono fare”. “I bordelli? Sono una cosa da paese civile”. “Centrale nucleare a Terni? Io le farei ovunque…” 

Il neoeletto Sindaco di Terni Stefano Bandecchi ha parlato a La Zanzara su Radio 24: “Mi danno del fascista - dice Bandecchi - ma ho sempre detto che ho fatto il paracadutista nella Folgore, ma non sono automaticamente fascista. Mussolini? Ha fatto cose buonissime come le pensioni, la sanità per tutti… ma ha fatto anche grandi puttanate come le leggi razziali ed allearsi con Hitler. Mussolini era uomo di sinistra, gestiva l’Avanti, e i mostri vengono da sinistra”

Sul futuro come presidente della Ternana ha aggiunto: “Non mollo proprio niente, perchè devo mollare? Nessun conflitto d’interessi”. “Il Gay Pride? Lo possono fare serenamente, non ho problemi con i gay. Mi diverte - continua Bandecchi a La Zanzara - glielo finanzio anche. Un primo bordello in Italia a Terni? Ho sempre pensato che siano una cosa civile. Dicevo giorni fa, ad un amico di sinistra, che se è possibile l’utero in affitto si possono riaprire i bordelli. 

Anche perchè con l’utero in affitto lo stato dovrebbe assumere un milione di donne per far partorire un milione di bambini”. Bandecchi, poi, è sempre stato a favore dell’energia nucleare: “Farei centrali da ogni parte, non solo a Terni. Non so quale sia il problema, abbiamo l’appennino desertificato con paesi spopolati. Poi parliamo di centrali nucleari anche perchè sennò i nostri figli dovranno andare a fare i camerieri a qualcuno tipo la Cina. Da qualche parte qualcosa deve cambiare”. A Terni ci sono troppi stranieri? “

Assolutamente no - commenta Bandecchi. Sono stato il primo a parlare di Eurafrica. Per me possono venire tutti i neri da ogni parte del mondo. Mi interessano le cose vere, non la pigmentazione”. Lei legalizzerebbe la droga leggera?: “Sulle droghe bisogna stare attenti, ho un fratello che si è impiccato per droga. Le canne so che non contano una mazza, mi sconvolge di più un onorevole che si fa di cocaina piuttosto che uno che si fa una canna. La cannabis se la possono fare”. Come sconfiggere la violenza negli stadi?: “I violenti dagli stadi devono sparire, vorrei vedere meno reti e meno gabbie e più persone libere di portare un bambino. In Inghilterra nessuno fa lo scemo, ben venga quello che ha fatto la Thatcher. Lo stadio deve essere punto d’incontro, di serenità, nessuna squadra deve stare sotto ultrà estremi. A Terni in curva c’è gente per bene, sono mammolette al confronto di altri”. Poi Bandecchi parla della guerra: “Per me i russi hanno sbagliato, chi invade sbaglia, fanno bene a difendersi gli ucraini.  

Quando sarò a Roma tra quattro anni e mezzo farò i decreti giusti e ci mando anche i paracadutisti. Se potessi, ci andrei tranquillamente a combattere con gli ucraini”. Poi parla della caccia: “Caccia? Non sono per la caccia, ma vado al poligono per tenermi in forma, non per uccidere gli animali. Non faccio il padel ma vado a sparare”.

“Tasse un pizzo di stato? Sì alcune lo sono. Bisogna aumentare il pil delle città, come dell’Italia, non risolvendo le cose con le tasse”. E sul futuro come presidente della Ternana ha aggiunto: “Non mollo proprio niente, perchè devo mollare? Nessun conflitto d’interessi”.

Estratto dell'articolo di Vanna Ugolini per “il Messaggero” il 30 maggio 2023. 

Stefano Bandecchi, Alternativa Popolare, 62 anni, sposato con due figli e due nipotini, cittadino onorario di Terni, è il nuovo sindaco.

(...)

E cosa farà con la Ternana? Resterà presidente?

«Sì, perchè dovrei lasciare la presidenza? Berlusconi è stato presidente del Consiglio mentre aveva il Milan. Lascerò la presidenza se e quando venderò la squadra».

I seggi che erano le roccaforti del Pd hanno votato per lei.

(...) 

Da umbriaon.it il 29 maggio 2023.

Lo spoglio è ancora in corso ma i numeri non lasciano spazio a particolari dubbi: il nuovo sindaco di Terni per il quinquennio 2023-2028 è il livornese Stefano Bandecchi (Alternativa Popolare). Superato il candidato del centrodestra Orlando Masselli. Bandecchi (62 anni), presidente della Ternana Calcio, succede a Leonardo Latini (centrodestra).

(ANSA il 31 maggio 2023) La Procura della Federcalcio - apprende l'ANSA - ha appena aperto un fascicolo sulle dichiarazioni del patron della Ternana e neo sindaco di Terni Stefano Bandecchi. "Hanno rubato (riferendosi alla Juve, ndr), Gravina? Cambi spacciatore", queste le frasi incriminate. Il presidente federale poco prima si era espresso con toni distensivi ('Ritrovata serenità') sul patteggiamento tra il club bianconero e la Procura Figc. "Gravina - trapela - intende chiedere l'autorizzazione per adire le vie legali, a tutela della sua immagine e di quella della stessa Federazione".

Estratto da gazzetta.it il 31 maggio 2023.

"Gravina meglio che cambi spacciatore". Non usa mezze parole il presidente della Ternana Stefano Bandecchi, 62 anni, cittadino onorario di Terni e da ieri nuovo sindaco della città umbra. Dopo il patteggiamento della Juventus sul caso stipendi, intervenendo ai microfoni di TvPlay, Bandecchi ha sparato a zero sui bianconeri e sul presidente federale Gravina. "Lo sport deve adattarsi alla giustizia regolare, se è dimostrato che hai rubato vai in galera, punto e basta. Secondo me la Juventus ha rubato? Sì, le indagini dicono questo". 

E poi: "Con tutto il rispetto per Gravina penso che debba cambiare spacciatore, ha detto qualcosa di gravissimo per un uomo con una carica come la sua. Ha sbagliato, quello che ha detto non ha né capo né coda, forse voleva dire qualcosa di diverso. Non esiste nessuno di considerabile sopra le leggi, perché sennò - scusate - io domani vado a fare una rapina in banca e con quei soldi risolvo i miei problemi. Il mondo del calcio deve allinearsi di più con le problematiche di tutti i giorni". 

Un fiume in piena, Bandecchi: "Io voglio bene ai tifosi della Reggina, ma il Chievo aveva una situazione simile ed è stato fatto fallire. Il mondo del calcio continuo a capirlo poco, la Juventus ha debiti incredibili come Milan e Inter, è un mondo che fa vivere molto bene calciatori, allenatori, ma poi massacra i presidenti. Parlare con Gravina? Ci sono sempre discussioni, la Serie A prende molto più denaro di noi e ci sono discussioni incredibili tra A e B, in B abbiamo spese incredibili e infatti chi sale in A poco dopo scende, non c’è molto dialogo ad oggi". 

(…) 

da domani comincerò a rubare per poter risparmiare qualcosa, poi mi aspetto di essere assolto perché faccio tanti soldi e sono nel mondo del calcio.

Estratto dell’articolo di Ilaria Sacchettoni per roma.corriere.it il 31 maggio 2023. 

Gennaio scorso, durante uno scampolo di quella campagna elettorale nella quale Stefano Bandecchi - diventato oggi, lunedì 29 maggio, il neo sindaco di Terni - si muoveva a proprio agio. 

Si parlava di partiti e lui, il patron della Unicusano, finita sotto inchiesta da parte della magistratura romana, lasciava filtrare una generosità tanto bipartisan quanto tracciabile e con Alessio D’Amato reo di avergli ricordato i guai con la giustizia, Bandecchi tuonava: «È triste che l’opposizione italiana cada su queste “minchiate”. Uno come me l’opposizione lo deve solo ringraziare. 

C’è già stata un’indagine nel 2019 sul fatto che la mia Università ha sostenuto Tajani e Ciocca alle Europee. Si è svolta un’indagine dettagliata e il magistrato ha archiviato tutto perché conosceva le leggi. I soldi utilizzati per il finanziamento della politica erano stati prelevati dai conti correnti delle rette universitarie. Erano soldi privati, dunque i finanziamenti erano leciti». 

(…)

Ora dalla Procura è partito un incarico agli esperti per rispondere all’interrogativo «ente no profit o commerciale?». La soluzione nei prossimi mesi. Mentre il 22 gennaio scorso gli sono stati sequestrati beni per venti miloni di euro, fra i quali una Rolls Royce.

Estratto dell'articolo di Marco Franchi per il “Fatto quotidiano” il 5 giugno 2023.

Il 10 maggio 2006 è l’ultimo giorno ufficiale del terzo governo Berlusconi, quello di “fine legislatura” iniziato con l’uscita dell’Udc ad aprile 2005 e concluso con le elezioni del 9 e 10 aprile 2006. L’esecutivo era in carica per gli affari correnti, l’indomani si sarebbe insediato il nuovo premier, Romano Prodi. Quel giorno, in Gazzetta Ufficiale venne pubblicato il decreto della ministra uscente all’Istruzione e Università, Letizia Moratti, che forniva il riconoscimento ad altre 5 università telematiche (oltre le 11 già autorizzate nei 3 anni precedenti). Tra queste, l’Università “Niccolo Cusano” di Stefano Bandecchi, dove fino ai giorni nostri si sono laureati (in maniera del tutto regolare) almeno 50 politici italiani, tra cui l’attuale ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida.

Questa sera, su Rai 3, Report ripercorre l’ascesa imprenditoriale e politica del nuovo sindaco di Terni e presidente della Ternana. Bandecchi è indagato dalla Procura di Roma per evasione fiscale. È accusato di aver finanziato, attraverso la sua università, tutta una serie di attività commerciali – compresa la società di calcio della Ternana – utilizzando agevolazioni fiscali applicabili solo ad attività connesse all’Ateneo. Per tale motivo la Finanza aveva sequestrato all’Università quasi 21 milioni di euro. 

Bandecchi, come illustra il servizio di Luca Bertazzoni, è diventato negli anni il più grande finanziatore di Forza Italia alle spalle solo di Silvio Berlusconi.

(...) Oltre al suo stesso partito – Alternativa Popolare, fondato da Angelino Alfano, che ha ottenuto dall’Unicusano oltre 100 mila euro – a quanto dichiara a Report ha contribuito alle campagne elettorali del neo governatore del Lazio, Francesco Rocca (che ha restituito l’erogazione), a quella del suo rivale di centrosinistra, Alessio D’Amato e, con 30 mila euro, a Impegno Civico di Luigi Di Maio. “Finanzio anche Di Maio come finanzio anche altri – racconta lui stesso – come ho finanziato anche persone del Pd. Io sono un uomo centrista, sono un popolare, sono una persona che pensa che al centro sta la virtù”. A un certo punto si avvicina pure al Terzo Polo: “Renzi disse ok e Calenda disse che ero un fascista. Ma io non sono mai stato fascista”.

The new "Mister B". Report Rai PUNTATA DEL 05/06/2023 di Luca Bertazzoni

Collaborazione di Marzia Amico

Stefano Bandecchi è il nuovo Silvio Berlusconi?

Imprenditore, presidente di una squadra di calcio, ha radio e un canale televisivo ed è appena diventato sindaco di Terni. Stefano Bandecchi è il nuovo Silvio Berlusconi? L’inchiesta racconta la vicenda dell’università telematica Niccolò Cusano, di cui Bandecchi è fondatore e presidente del Consiglio di Amministrazione. La Guardia di Finanza ha sequestrato 20 milioni di euro all’ateneo per presunta evasione fiscale. L’università Niccolò Cusano avrebbe utilizzato i soldi provenienti dalle rette universitarie, e quindi esentasse, in attività prettamente commerciali: una di queste è la Ternana calcio. Partendo dalla ricostruzione dell’inchiesta della magistratura, il racconto si sviluppa analizzando il fenomeno delle università telematiche, una realtà sempre più consolidata in Italia, mostra il loro funzionamento e la loro nascita nel 2006, quando furono autorizzate dall’allora Ministro dell’Istruzione Letizia Moratti.

IL PEZZO DI CARTA Di Luca Bertazzoni Collaborazione di: Marzia Amico Immagini di Giovanni De Faveri, Andrea Lilli, Marco Ronca e Paco Sannino Ricerca immagini: Alessia Pelagaggi Montaggio: Igor Ceselli Grafica: Giorgio Vallati

GIOVANNI NERI - RETTORE UNIVERSITA’ POPOLARE DEGLI STUDI DI MILANO – 23 APRILE 2023 – PARTITA NAZIONALE POETI VS NAZIONALE ATTORI BORIS Buonasera a tutti, sono Giovanni Neri e sono il rettore dell’Università Popolare degli Studi di Milano. Il nostro intervento oggi è semplicemente quello di esortare tutti voi a perorare questa causa anche con una piccola donazione. Grazie di essere venuti.

LUCA BERTAZZONI FUORI CAMPO In un campo a pochi chilometri da Ostia va in scena la sfida fra la Nazionale degli attori della serie tv Boris e la Nazionale poeti. A fare gli onori di casa è l’avvocato Giovanni Neri, Magnifico Rettore dell’Università Popolare degli studi di Milano, sponsor dei poeti calciatori.

LUCA BERTAZZONI Rettore Magnifico, piacere sono Luca Bertazzoni, sono un giornalista della Rai. Come sta?

GIOVANNI NERI - RETTORE UNIVERSITA’ POPOLARE DEGLI STUDI DI MILANO Molto lieto.

LUCA BERTAZZONI Volevo capire questa sponsorizzazione alla Nazionale poeti.

GIOVANNI NERI - RETTORE UNIVERSITA’ POPOLARE DEGLI STUDI DI MILANO Più che altro è una partnership, noi siamo legati a loro un po’ per le finalità e per la mission, dicevo, del nostro ateneo che è appunto quella di diffondere cultura.

LUCA BERTAZZONI Di poesia ce n’è anche dentro l’università vostra, no.

GIOVANNI NERI - RETTORE UNIVERSITA’ POPOLARE DEGLI STUDI DI MILANO Eh sì, qui c’è poesia.

LUCA BERTAZZONI Però volevo capire sono legalmente validi i titoli vostri

GIOVANNI NERI - RETTORE UNIVERSITA’ POPOLARE DEGLI STUDI DI MILANO Ma che c’entra questo con? Sì, è un’università di diritto internazionale e ci sono dei contenziosi aperti con...

LUCA BERTAZZONI Perché il Mur poi vi ha diffidato dicendo che state millantando.

GIOVANNI NERI - RETTORE UNIVERSITA’ POPOLARE DEGLI STUDI DI MILANO No, in realtà non è proprio una diffida di natura, diciamo… Perdonatemi che devo lasciare lei.

LUCA BERTAZZONI Ci mettiamo un secondo tanto.

GIOVANNI NERI - RETTORE UNIVERSITA’ POPOLARE DEGLI STUDI DI MILANO Riprendiamo fra un attimo, vi spiace?

LUCA BERTAZZONI Ok.

LUCA BERTAZZONI No, Rettore, ma come? Rettore, scusi, Rettore, un secondo. No, è scappato.

LUCA BERTAZZONI FUORI CAMPO Eppure, non tutti gli studenti che si iscrivono sono a conoscenza della controversia legale fra il ministero e l’Università popolare degli studi di Milano.

STUDENTE UNIVERSITA’ POPOLARE DEGLI STUDI DI MILANO Mi volevo laureare in Giurisprudenza, c’erano delle buone recensioni, quindi un’università seria.

GIOVANNI NERI - RETTORE UNIVERSITA’ POPOLARE DEGLI STUDI DI MILANO - CERIMONIA DI LAUREA - 14 GIUGNO 2022 Sta per avere inizio la cerimonia di consegna delle lauree dell’università Popolare degli Studi di Milano.

STUDENTE UNIVERSITA’ POPOLARE DEGLI STUDI DI MILANO Io mi iscrivo nel 2021.

LUCA BERTAZZONI Che esami ha fatto e che voti ha preso?

STUDENTE UNIVERSITA’ POPOLARE DEGLI STUDI DI MILANO Esami Diritto Costituzionale 28, Diritto del Lavoro 28, sono stato scarso in Diritto Privato Comparato del quinto anno che ho preso 20/30.

LUCA BERTAZZONI Ma lei li ha mai fatto questi esami?

STUDENTE UNIVERSITA’ POPOLARE DEGLI STUDI DI MILANO No, io non ho mai fatto un esame, facevo come delle interrogazioni.

LUCA BERTAZZONI Durata dell’esame?

STUDENTE UNIVERSITA’ POPOLARE DEGLI STUDI DI MILANO Potevano durare 10, 15 minuti.

LUCA BERTAZZONI FUORI CAMPO Dopo la fuga in macchina del Magnifico Rettore, il professor Grappeggia ci invita nella sede milanese dell’università telematica.

MARCO GRAPPEGGIA - PRESIDENTE UNIVERSITA’ POPOLARE DEGLI STUDI DI MILANO Io sono Presidente dell’Università Popolare degli Studi di Milano, sono il leader.

LUCA BERTAZZONI Lei è professore, giusto?

MARCO GRAPPEGGIA - PRESIDENTE UNIVERSITA’ POPOLARE DEGLI STUDI DI MILANO Sì, insegno.

LUCA BERTAZZONI Cosa insegna?

MARCO GRAPPEGGIA - PRESIDENTE UNIVERSITA’ POPOLARE DEGLI STUDI DI MILANO Materie umanistiche.

LUCA BERTAZZONI Io l’ho cercato, diciamo, nell’elenco dei professori universitari e non c’è.

MARCO GRAPPEGGIA - PRESIDENTE UNIVERSITA’ POPOLARE DEGLI STUDI DI MILANO No, non sono professore.

LUCA BERTAZZONI “Professore”, diciamo, così si chiama.

MARCO GRAPPEGGIA - PRESIDENTE UNIVERSITA’ POPOLARE DEGLI STUDI DI MILANO No, così, così no. Non lo accetto, Luca, non lo accetto.

LUCA BERTAZZONI No, così perché non risulta in nessun elenco.

MARCO GRAPPEGGIA - PRESIDENTE UNIVERSITA’ POPOLARE DEGLI STUDI DI MILANO Così cosa?

LUCA BERTAZZONI Allora pure io mi chiamo “professore” d’ora in poi.

MARCO GRAPPEGGIA - PRESIDENTE UNIVERSITA’ POPOLARE DEGLI STUDI DI MILANO Ma non ti permettere, ma cosa vuoi dire, Luca?

LUCA BERTAZZONI Mi ha contattato una persona che sostiene di aver, di essersi laureato con voi senza aver fatto neanche un esame.

MARCO GRAPPEGGIA - PRESIDENTE UNIVERSITA’ POPOLARE DEGLI STUDI DI MILANO Posso chiederti il nome?

LUCA BERTAZZONI Non posso dirglielo.

MARCO GRAPPEGGIA - PRESIDENTE UNIVERSITA’ POPOLARE DEGLI STUDI DI MILANO Allora facciamo un giochino, ti leggo nella mente. Posso andare un attimo di là?

LUCA BERTAZZONI Certo, prego

MARCO GRAPPEGGIA - PRESIDENTE UNIVERSITA’ POPOLARE DEGLI STUDI DI MILANO Con permesso, arrivo subito. Dai, dai! Yes!

LUCA BERTAZZONI Che gioco vuole fare?

MARCO GRAPPEGGIA - PRESIDENTE UNIVERSITA’ POPOLARE DEGLI STUDI DI MILANO Ho atti che viene a fare gli esami. Ha fatto dei bonifici? Sì, e abbiamo fatto le ricevute.

LUCA BERTAZZONI Lui sostiene che si è laureato in sei mesi.

MARCO GRAPPEGGIA - PRESIDENTE UNIVERSITA’ POPOLARE DEGLI STUDI DI MILANO Sì, si è laureato in sei mesi. Ma è logico che se mi arriva uno con una laurea, nella nostra giurisprudenza internazionale ti riconosco una serie di esami.

LUCA BERTAZZONI FUORI CAMPO Il libretto universitario dello studente, però, dice un’altra cosa: non risulta una precedente laurea, come sostiene il professor Grappeggia, ma solo quattro esami riconosciuti nel 2016. E poi, una serie di esami sostenuti nel corso di quattro anni, fino ad arrivare alla laurea del 2021, unico anno in cui c’è traccia dei bonifici.

LUCA BERTAZZONI Il primo bonifico che lei fa per questa università è datato?

STUDENTE UNIVERSITA’ POPOLARE DEGLI STUDI DI MILANO 2021. Sono partiti dall’anno 2016 per poter giustificare, poi, la laurea avvenuta nel 2021, io nel 2016 ancora non mi ero iscritto.

MARCO GRAPPEGGIA - PRESIDENTE UNIVERSITA’ POPOLARE DEGLI STUDI DI MILANO Siamo un’università internazionale, siamo affiliati con altre università.

LUCA BERTAZZONI Del Burkina Faso e della Costa d’Avorio.

MARCO GRAPPEGGIA - PRESIDENTE UNIVERSITA’ POPOLARE DEGLI STUDI DI MILANO Sì, perché? Perché devo sentire: “Mancano quelli del Congo, mancano quelli del Congo”, io li ho sentiti al ministero. Ma ragazzi, il mondo è cambiato, siamo nel 2023. È finita l’identità statica, l’immigrazione c’è, i barconi li vediamo. Ma avete un po’ di visione?

GIANGAETANO BELLAVIA - ESPERTO DI RICICLAGGIO Questa università popolare che sarà, immagino, un’associazione qualunque, è affiliata all’Università di Ouagadougou, non lo so, un’università del Burkina Faso. Ed è affiliata anche all’Università di Bouakè.

LUCA BERTAZZONI Costa d’Avorio.

GIANGAETANO BELLAVIA - ESPERTO DI RICICLAGGIO “Quest’università vuole contribuire a costruire un mondo migliore” anche tramite una società inglese.

LUCA BERTAZZONI Di questa società inglese cosa scopriamo?

GIANGAETANO BELLAVIA - ESPERTO DI RICICLAGGIO Ha tre sterline di capitale e non ha niente.

SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Università affiliate ad altre che hanno tre sterline di capitale sociale e vogliono, ambiscono, anche di cambiare e migliorare il mondo. Buonasera. Parliamo dell’Università popolare degli studi di Milano che però ha un contenzioso aperto con il ministero dell’Istruzione da quando è nata, ben 12 anni. Le università popolari hanno come mission divulgare la conoscenza, la cultura tra il popolo attraverso conferenze, dibattiti, libri, opuscoli. Il caso dell’Università popolare degli studi di Milano è un po’ particolare. Nasce con una presa d’atto da parte del sottosegretario all’Istruzione del 2011, governo Berlusconi, Guido Viceconte. Ecco, e secondo il ministero, essendo una presa d’atto, non un atto amministrativo, non potrebbe rilasciare titoli di studio scolastici né accademici sul territorio italiano. Di diversa opinione è l’Università popolare degli studi di Milano che dice: no, noi possiamo rilasciare titoli studi stranieri diversamente riconosciuti perché siamo affiliati a delle università del Burkina Faso e della Costa d’Avorio. Inoltre, abbiamo tra gli studenti molti che sono poi entrati nelle forze dell’ordine e molti anche nei servizi segreti. Ma che università è? Il nostro Luca Bertazzoni con la collaborazione della nostra Marzia Amico.

SIGLA LUCA BERTAZZONI FUORI CAMPO La sede romana dell’Università Popolare degli Studi di Milano si affaccia sul mare di Ostia e non è nient’altro che lo studio del Magnifico Rettore, l’avvocato Giovanni Neri. Nel Senato Accademico spiccano Sua Altezza Antonino D’Este Orioles, gran maestro dell’ordine dei santi Contardo e Giuliano, il professor Vincenzo Mastronardi, ex docente della Sapienza nonché esperto del Consiglio Superiore di Sanità, e il professor Robert Milne, per oltre quarant’anni collaboratore di Scotland Yard e ora preside della Corporate University. Nei siti dell’università risultano inoltre due codici fiscali.

LUCA BERTAZZONI Questi codici fiscali sono validi per l’Agenzia delle Entrate ma non per la Camera di Commercio, non risultano.

MARCO GRAPPEGGIA - PRESIDENTE UNIVERSITA’ POPOLARE DEGLI STUDI DI MILANO Ma non facciamo mica commercio.

LUCA BERTAZZONI Eh, siete un’associazione?

MARCO GRAPPEGGIA - PRESIDENTE UNIVERSITA’ POPOLARE DEGLI STUDI DI MILANO Associazione, assolutamente.

LUCA BERTAZZONI Quindi non possiamo sapere quali sono i vostri bilanci, per esempio

MARCO GRAPPEGGIA - PRESIDENTE UNIVERSITA’ POPOLARE DEGLI STUDI DI MILANO Basta chiederli.

LUCA BERTAZZONI Eh. Come vanno?

MARCO GRAPPEGGIA - PRESIDENTE UNIVERSITA’ POPOLARE DEGLI STUDI DI MILANO Fatturiamo sotto il milione di euro, siamo sui 900

LUCA BERTAZZONI Avete tanti studenti?

MARCO GRAPPEGGIA - PRESIDENTE UNIVERSITA’ POPOLARE DEGLI STUDI DI MILANO Credo 4mila.

LUCA BERTAZZONI FUORI CAMPO Sul fatturato dichiarato dal professor Grappeggia bisogna fidarsi, ma qualcosa non torna perché, per arrivare ai 900mila euro dichiarati, i 4mila studenti pagherebbero in media 225 euro a testa l’anno.

LUCA BERTAZZONI In tutto quanto ha pagato?

STUDENTE UNIVERSITA’ POPOLARE DEGLI STUDI DI MILANO 12mila euro. Questo è un bonifico di 6mila euro, addirittura è la fattura numero 428 del 2021, nonostante sia stata fatta agli inizi dell’anno. Questo è il diploma di laurea in cui c’è scritto “Università popolare dal 1901”, pergamena, velluto, Repubblica Italiana. Per me questa laurea è una laurea vera. Sono andato presso uno studio legale dicendo: “Guardi, io sono laureato in Giurisprudenza, vorrei iniziare il tirocinio”. Questo avvocato mi dice: “Guarda che la tua laurea non vale nulla perché non è riconosciuta dal Mur”.

LUCA BERTAZZONI Convenzione con lo Stato Maggiore del ministero della Difesa.

MARCO GRAPPEGGIA - PRESIDENTE UNIVERSITA’ POPOLARE DEGLI STUDI DI MILANO Certo.

LUCA BERTAZZONI Avete o avevate?

MARCO GRAPPEGGIA - PRESIDENTE UNIVERSITA’ POPOLARE DEGLI STUDI DI MILANO Avevamo.

LUCA BERTAZZONI Quanto è durata?

MARCO GRAPPEGGIA - PRESIDENTE UNIVERSITA’ POPOLARE DEGLI STUDI DI MILANO 12-13 anni.

LUCA BERTAZZONI FUORI CAMPO Questo è il documento che dimostra la convenzione fra l’Università e lo Stato Maggiore del Ministero della Difesa, che in una mail ci ha confermato di averla stipulata nel 2009 e poi disdetta qualche anno fa. Ma per un ministero che li ha formalmente riconosciuti, stipulando una convenzione, tanti altri non lo hanno fatto.

GIANGAETANO BELLAVIA - ESPERTO DI RICICLAGGIO È un contratto, uno scritto di tante pagine, forse alla fine si capisce che è un contratto di associazione perché dice che lo studente chiede lo status di socio non votante o di socio votante. Lo studente è studente, se è studente. Se è socio di un’associazione, è associato dell’associazione.

LUCA BERTAZZONI Lei nel contratto scrive: “Il titolo finale non sempre garantisce la spendibilità presso altro ateneo o il suo riconoscimento”.

MARCO GRAPPEGGIA - PRESIDENTE UNIVERSITA’ POPOLARE DEGLI STUDI DI MILANO Certo!

LUCA BERTAZZONI Cioè mette un attimo le mani avanti.

MARCO GRAPPEGGIA - PRESIDENTE UNIVERSITA’ POPOLARE DEGLI STUDI DI MILANO Ma cosa fareste voi? Gli dico: “Vuoi fare un concorso pubblico?”. Non ti garantisco nulla. “Vuoi essere preso da un altro ateneo?”. Faccio un passo indietro, anche se l’autorizzazione ce l’ho.

LUCA BERTAZZONI FUORI CAMPO L’autorizzazione di cui parla il professor Grappeggia è in realtà una presa d’atto ministeriale ottenuta dopo tanta fatica e tante porte chiuse in faccia.

MARCO GRAPPEGGIA - PRESIDENTE UNIVERSITA’ POPOLARE DEGLI STUDI DI MILANO Facciamo tre anni di istruttoria.

LUCA BERTAZZONI Al ministero.

MARCO GRAPPEGGIA - PRESIDENTE UNIVERSITA’ POPOLARE DEGLI STUDI DI MILANO Al ministero

LUCA BERTAZZONI Lei dopo tre anni riesce ad ottenere questo “ok” dal ministero, dal sottosegretario Viceconte. Lei come arriva a Viceconte?

MARCO GRAPPEGGIA - PRESIDENTE UNIVERSITA’ POPOLARE DEGLI STUDI DI MILANO Dalla segreteria, dal Direttore Generale, dalla Gelmini.

LUCA BERTAZZONI Lei ha stretto la mano a Viceconte quando le ha dato l’ok?

MARCO GRAPPEGGIA - PRESIDENTE UNIVERSITA’ POPOLARE DEGLI STUDI DI MILANO No.

LUCA BERTAZZONI FUORI CAMPO Il dottor Guido Viceconte, oltre a essere un prestigioso gastroenterologo, è stato un parlamentare di Forza Italia per 25 anni.

LUCA BERTAZZONI Dottor Viceconte, buonasera.

GUIDO VICECONTE - SOTTOSEGRETARIO MINISTERO ISTRUZIONE 2010 - 2011 Ehi, ciao.

LUCA BERTAZZONI Come sta? Tutto bene?

GUIDO VICECONTE - SOTTOSEGRETARIO MINISTERO ISTRUZIONE 2010 - 2011 Che ci fai qua?

LUCA BERTAZZONI Cercavo lei.

GUIDO VICECONTE - SOTTOSEGRETARIO MINISTERO ISTRUZIONE 2010 - 2011 Perché? Che è successo?

LUCA BERTAZZONI È tornato a fare il suo lavoro.

GUIDO VICECONTE - SOTTOSEGRETARIO MINISTERO ISTRUZIONE 2010 - 2011 No, io faccio il medico.

LUCA BERTAZZONI Eh, il suo lavoro intendevo il medico, non più il politico. Però prima si era occupato, fra le varie cose, anche di università, no

GUIDO VICECONTE - SOTTOSEGRETARIO MINISTERO ISTRUZIONE 2010 - 2011 Sì.

LUCA BERTAZZONI È stato sottosegretario, si ricorda?

GUIDO VICECONTE - SOTTOSEGRETARIO MINISTERO ISTRUZIONE 2010 - 2011 Sì, come no

LUCA BERTAZZONI Lei però ha firmato questo foglio, se lo ricorda?

GUIDO VICECONTE - SOTTOSEGRETARIO MINISTERO ISTRUZIONE 2010 - 2011 Che cosa?

LUCA BERTAZZONI Università Popolare degli Studi di Milano.

GUIDO VICECONTE - SOTTOSEGRETARIO MINISTERO ISTRUZIONE 2010 - 2011 Ma non mi ricordo proprio, guarda.

LUCA BERTAZZONI Grazie a questa sua firma, no, che c’è qua, sostiene che può rilasciare titoli accademici per conto di un’università con sede nel Burkina Faso e una nello Stato della Costa d’Avorio.

GUIDO VICECONTE - SOTTOSEGRETARIO MINISTERO ISTRUZIONE 2010 - 2011 Guarda, non mi ricordo niente.

LUCA BERTAZZONI No, vabè, siccome è un atto importante che lei ha firmato.

GUIDO VICECONTE - SOTTOSEGRETARIO MINISTERO ISTRUZIONE 2010 - 2011 Ma che anno era?

LUCA BERTAZZONI 2011, lei due giorni prima di finire il suo incarico da Sottosegretario firma questo pezzo di carta.

GUIDO VICECONTE - SOTTOSEGRETARIO MINISTERO ISTRUZIONE 2010 - 2011 Io credo che tutto quello che ho fatto, l’ho fatto in maniera regolare. Però qui non mi ricordo

LUCA BERTAZZONI La firma la riconosce, questo soltanto?

GUIDO VICECONTE - SOTTOSEGRETARIO MINISTERO ISTRUZIONE 2010 - 2011 La firma è la mia.

LUCA BERTAZZONI Lei firma cose a caso o firma cose leggendole?

GUIDO VICECONTE - SOTTOSEGRETARIO MINISTERO ISTRUZIONE 2010 - 2011 No, cose a caso mai. Tu sei una persona pure simpatica, non mi far fare cose inutili.

LUCA BERTAZZONI Ma non è inutile, è un foglio suo, che ha firmato lei.

GUIDO VICECONTE - SOTTOSEGRETARIO MINISTERO ISTRUZIONE 2010 - 2011 Ciao, statti bene.

LUCA BERTAZZONI Arrivederci

GUIDO VICECONTE - SOTTOSEGRETARIO MINISTERO ISTRUZIONE 2010 - 2011 Mi ha fatto piacere rivederti.

LUCA BERTAZZONI Anche a me, però volevo capirci qualcosa in più.

GUIDO VICECONTE - SOTTOSEGRETARIO MINISTERO ISTRUZIONE 2010 - 2011 Ma non c’è niente da capire, guarda, è tutto regolare.

LUCA BERTAZZONI Tutto regolare? Il ministero poi li ha diffidati questi dal dire che possono rilasciare titoli.

GUIDO VICECONTE - SOTTOSEGRETARIO MINISTERO ISTRUZIONE 2010 - 2011 Io imbrogli nella mia vita non li ho mai fatti.

LUCA BERTAZZONI Per riassumere la posizione del ministero, si sono resi conto che quella presa d’atto firmata dall’allora sottosegretario Viceconte per loro è una presa d’atto e non un’autorizzazione. Voi dite: “Noi siamo un’università”.

MARCO GRAPPEGGIA - PRESIDENTE UNIVERSITA’ POPOLARE DEGLI STUDI DI MILANO Un’università nella modalità che ci hanno dato loro.

LUCA BERTAZZONI La modalità che vi hanno dato loro, però, dice, prevede che non siano validi i vostri titoli.

MARCO GRAPPEGGIA - PRESIDENTE UNIVERSITA’ POPOLARE DEGLI STUDI DI MILANO Ma dove è scritto? Fammelo vedere.

LUCA BERTAZZONI Il ministero mi ha detto che c’è una controversia in corso.

MARCO GRAPPEGGIA - PRESIDENTE UNIVERSITA’ POPOLARE DEGLI STUDI DI MILANO Il ministero può dire quello che vuole, lui lo dice e io li denuncio.

LUCA BERTAZZONI Ci sta questa multa di 50mila euro dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato.

MARCO GRAPPEGGIA - PRESIDENTE UNIVERSITA’ POPOLARE DEGLI STUDI DI MILANO Oddio, oddio.

LUCA BERTAZZONI Spiccioli per voi, immagino. Però, loro sostengono che vi accreditate come un’università vera e propria e i titoli hanno lo stesso valore degli altri. Questo, cioè, io la riassumo come se fosse una pubblicità ingannevole.

MARCO GRAPPEGGIA - PRESIDENTE UNIVERSITA’ POPOLARE DEGLI STUDI DI MILANO Uno può pensare: “Sì, fate i furbetti”. Uno può pensare come gli pare.

LUCA BERTAZZONI Ma io non dico questo, sembra che ha la coda di paglia. Non ho mai detto che fate i furbetti, ho detto che giocate sull’ambiguità.

MARCO GRAPPEGGIA - PRESIDENTE UNIVERSITA’ POPOLARE DEGLI STUDI DI MILANO Volete farmi una revoca? Fatemi la revoca. Con 5mila studenti in giro per l’Italia…

LUCA BERTAZZONI Non si scherza.

MARCO GRAPPEGGIA - PRESIDENTE UNIVERSITA’ POPOLARE DEGLI STUDI DI MILANO Ma ragazzi, ma sai quanti sono in posti istituzionali? Nei Servizi Segreti quanti ne abbiamo? Al ministero della Difesa quanti ne abbiamo? La domanda è: “Puoi esercitare o non puoi esercitare”.

SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Già, bella domanda. Il sottinteso è “provate, adesso, a non riconoscere più un titolo che abbiamo assegnato a un uomo delle Forze dell’Ordine o a uno dei Servizi Segreti, che magari ha anche scalato e raggiunto incarichi apicali”. Ora, tra il ministero dell’Università e l’Università popolare degli studi di Milano c’è un contenzioso aperto da 12 anni, dopo che era stato, dopo che l’università era nata con una presa d’atto del sottosegretario all’Istruzione Guido Viceconte, governo Berlusconi, e non con un atto amministrativo. Per questo, il governo successivo, ministro Profumo, governo Monti, invia una diffida all’università: non potete rilasciare titoli accademici o scolastici sul territorio. Insomma, però, questo contenzioso dura da 12 anni. Perché dura così tanto? Perché non ci mettiamo una parola fine visto che nel frattempo, come ci ricorda il presidente dell’università, sono stati formati ben 5000 studenti che vantano questi titoli. È stata anche stipulata, nel frattempo, una convenzione con il ministero della Difesa: l’Università popolare degli studi di Milano inviava i propri iscritti a fare uno stage all’interno del ministero. E abbiamo chiesto: ma la convenzione prevedeva anche la possibilità, da parte del personale del ministero, di conseguire titoli dall’università? Ci hanno detto: no, non è così. Poi abbiamo anche però chiesto se il ministero, invece, riconosce i titoli di studio conseguiti presso l’università nell’ambito dei concorsi interni: ecco, su questo non ci hanno risposto, hanno detto che erano troppo impegnati nell’organizzazione della parata del 2 giugno. Quando ci risponderanno, daremo atto. Nel frattempo, insomma, passiamo, invece, a un’altra università telematica, la fucina dei cervelli politici: se ne sono laureati ben cinquanta, è l’Unicusano di Stefano Bandecchi, diventato appena sindaco di Terni, che utilizza quest’università come un pozzo senza fine a cui attingere soldi per le sue attività commerciali e anche per le carriere politiche, compresa la sua perché ambisce a diventare il nuovo Silvio Berlusconi. THE NEW “MISTER B” Di Luca Bertazzoni Collaborazione di: Marzia Amico Immagini di Giovanni De Faveri, Andrea Lilli, Marco Ronca e Paco Sannino Ricerca immagini: Alessia Pelagaggi Montaggio: Igor Ceselli Grafica: Giorgio Vallati

STEFANO BANDECCHI - PRESIDENTE CDA UNICUSANO – PRESIDENTE TERNANA CALCIO – SINDACO DI TERNI Aspetta, no, aspetta. Lui è di Report e non possiamo dirgli niente.

LUCA BERTAZZONI FUORI CAMPO A Terni va in scena il comizio finale di Stefano Bandecchi, candidato sindaco di Alternativa Popolare, il partito fondato nel 2017 da Angelino Alfano e ora nelle sue mani con tanto di finanziamento di 100mila euro da parte dell’Università Niccolò Cusano.

STEFANO BANDECCHI - PRESIDENTE CDA UNICUSANO – PRESIDENTE TERNANA CALCIO – SINDACO DI TERNI - COMIZIO TERNI 26 MAGGIO 2023 Io che non avevo nemmeno la bicicletta, io che non ho mai avuto nulla nella vita e che ho costruito per conto mio prima sognando, poi realizzando e poi mantenendo. Bisogna votare per qualcosa di diverso e di nuovo, bisogna votare per Stefano Bandecchi. Grazie. “Bandecchi io sto con te perché io sono il futuro di questa città”: fate un applauso a lui e a tutti i bambini come lui. Ora diranno che Bandecchi come Mussolini fa queste cose, qui poi oggi è venuto anche Report signori, dov’è il mio nemico di Report? È là seduto, sta preparandomi la festa per lunedì sera.

LUCA BERTAZZONI FUORI CAMPO E invece a far festa è stato proprio Bandecchi, diventato a sorpresa sindaco di Terni, battendo il candidato di centro-destra.

LUCA BERTAZZONI È il nuovo Berlusconi da oggi, ufficialmente, no

STEFANO BANDECCHI - PRESIDENTE CDA UNICUSANO – PRESIDENTE TERNANA CALCIO – SINDACO DI TERNI Berlusconi era Berlusconi, io sono io, ognuno ha la propria storia. Io ho cominciato da un comune.

LUCA BERTAZZONI Certo, no, però dicevo, la politica, la squadra di calcio, i mezzi di comunicazione, imprenditore…

STEFANO BANDECCHI - PRESIDENTE CDA UNICUSANO – PRESIDENTE TERNANA CALCIO – SINDACO DI TERNI Sa quante persone… Mettiamoci un avviso di garanzia, eh

SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Il coro da stadio che accompagna il neoeletto sindaco di Terni Stefano Bandecchi, insomma, la dice lunga sui segreti della sua vittoria. A guardare bene anche ciò che è alla base dell’avviso di garanzia. È indagato, Stefano Bandecchi, perché ha utilizzato i soldi, avrebbe utilizzato i soldi incassati dalla sua università, le rette degli studenti che sono esentasse, invece di riutilizzarli in attività connesse all’università, li avrebbe utilizzati in attività commerciali e anche per fare carriere politiche, compresa la sua. Ora, non è così campato in aria il paragone e l’ambizione di voler diventare il nuovo Silvio Berlusconi, perché entrambi sono imprenditori di successo, poi posseggono tv, radio, squadre di calcio. Li accomuna soprattutto la passione per la politica. Bandecchi è coordinatore nazionale del partito Alternativa Popolare, quello che era stato fondato da Angelino Alfano nel 2017. Bandecchi l’ha rivitalizzato e poi lo ha finanziato in poco tempo di 100mila euro, soldi prelevati da Unicusano di cui è fondatore e anche presidente del Consiglio di amministrazione. Ora, la politica è stata fondamentale nel moltiplicare le università telematiche nel nostro Paese e un ruolo l’ha avuto proprio il ministro dell’Istruzione del governo Berlusconi, Letizia Moratti, che ha dato il via. Insomma, l’idea era quella di poter rendere accessibile la formazione e l’istruzione anche a coloro che per motivi di lavoro o per motivi di logistica non potevano frequentare. Solo che tra aprile e maggio del 2006 la situazione è un po’ scappata di mano: ha approvato ben cinque università telematiche, tre l’ultimo giorno, quando Silvio Berlusconi si era già dimesso. Sul filo di lana è stato approvato, è stata approvata anche Unicusano di Stefano Bandecchi. Ecco, per questo Bandecchi sarà eternamente grato a Silvio Berlusconi. È diventato il maggior finanziatore del partito di Forza Italia dopo il Cavaliere, 150mila euro, altri 100mila euro a Tajani. E poi, insomma, ha anche allargato lo sguardo alla Scuola di alta formazione politica del Cavaliere, ha stretto una convenzione con Unicusano e la sua università, negli anni, si è trasformata nella più grande fucina di cervelli politici del Paese. LUCA BERTAZZONI Presidente Moratti buonasera, sono Luca Bertazzoni di Report. Senta, noi ci stiamo occupando delle università telematiche, che lei istituì con decreto ministeriale nel 2003. Volevo farle due semplici domande: perché nel 2006, con il governo Berlusconi, che era già caduto, nell’ultimo mese, lei firmò l’autorizzazione per cinque università telematiche? Glielo posso chiedere solo questo? Perché firmò le autorizzazioni quando il governo era già caduto?

LUCA BERTAZZONI FUORI CAMPO In Italia le università telematiche sono state istituite con un decreto firmato da Letizia Moratti nel 2003. Nei due anni successivi ne nascono cinque, la vera esplosione avviene però nel 2006 quando, come ultimo atto, il ministro Moratti firma l’autorizzazione per altre cinque.

STEFANO BANDECCHI - PRESIDENTE CDA UNICUSANO – PRESIDENTE TERNANA CALCIO – SINDACO DI TERNI La nostra pubblicazione in Gazzetta è del 10 maggio del 2006, il giorno dopo si insediò il governo di centro sinistra e il ministro Mussi.

LUCA BERTAZZONI Che situazione trovò nel 2006?

FABIO MUSSI - MINISTRO DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA 2006 - 2008 Trovai 11 università telematiche in esercizio e altre cinque in via di riconoscimento.

LUCA BERTAZZONI L’ex ministro Moratti le approvò quando il governo Berlusconi era già caduto.

FABIO MUSSI - MINISTRO DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA 2006 - 2008 Era già caduto, sì. E quindi fermai il riconoscimento delle ulteriori cinque.

STEFANO BANDECCHI - PRESIDENTE CDA UNICUSANO – PRESIDENTE TERNANA CALCIO – SINDACO DI TERNI Mi ricordo di aver detto che Mussi era di Piombino, io di Livorno e che non ho mai visto uno di Piombino più cattivo di uno di Livorno perché Mussi disse che ci avrebbe fatto chiudere tutti.

FABIO MUSSI - MINISTRO DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA 2006 - 2008 Io non è che per principio ce l’ho con le università telematiche, però non bisogna esagerare, perché l’università non è solo un cursus per prendere un pezzo di carta.

LUCA BERTAZZONI FUORI CAMPO Il professor Antonio Vicino è stato presidente del Consiglio Universitario Nazionale, organo consultivo del ministero dell’Università e della Ricerca, che si occupa delle università telematiche.

ANTONIO VICINO - PRESIDENTE CONSIGLIO UNIVERSITARIO NAZIONALE 2019 - 2023 Il processo di accreditamento è un processo in genere abbastanza complesso. Io nei quattro anni di presidenza Cun ho sempre cercato di lanciare questo messaggio al decisore politico: mettiamo pochi paletti, ma non aggirabili.

LUCA BERTAZZONI FUORI CAMPO Quando le regole sono confuse è il politico ad avere in mano un’ampia discrezionalità decisionale. Ed è a lui che si rivolge l’imprenditore.

STEFANO BANDECCHI - PRESIDENTE CDA UNICUSANO – REGISTRAZIONE RIUNIONE OTTOBRE 2021 Io lavoro per questa università, che debba andare a trovare il signor Silvio Berlusconi perché poi se no questa università viene chiusa o che debba andare a trovare Salvini o che debba andare a trovare… Ditemi il nome di un comunista, per favore? Letta, perfetto: ci vado uguale. Oppure un Cinque Stelle.

LUCA BERTAZZONI Volevo capire se secondo lei è opportuno che lei, che di fatto ha un’università, finanzi a destra e a sinistra la politica, che è quella che poi, alla fine, decide anche molto banalmente sulle questioni delle università telematiche.

STEFANO BANDECCHI - PRESIDENTE CDA UNICUSANO – PRESIDENTE TERNANA CALCIO – SINDACO DI TERNI Lei ha ragione. La politica non dovrebbe essere finanziata dai privati, per me la politica dovrebbe essere finanziata dallo Stato: quando i partiti sono finanziati dai privati, i partiti sono costretti a fare qualcosa.

LUCA BERTAZZONI Lei ha finanziato Forza Italia, no, nel 2019, 2020 e 2021.

STEFANO BANDECCHI - PRESIDENTE CDA UNICUSANO – PRESIDENTE TERNANA CALCIO – SINDACO DI TERNI Penso sia un vanto di essere stato dopo la famiglia Berlusconi il secondo finanziatore di Forza Italia. Attualmente il ministro dell’Università chi è, scusi? La senatrice Bernini, una persona che io conosco perfettamente, una persona che io stimo. Pensi che è l’onorevole Bernini ad avermi presentato a Silvio Berlusconi. LUCA BERTAZZONI In un’altra intervista ha detto che era Tajani, però...

STEFANO BANDECCHI - PRESIDENTE CDA UNICUSANO – PRESIDENTE TERNANA CALCIO – SINDACO DI TERNI L’onorevole Bernini ha stimolato Tajani, il giorno che Tajani mi ha chiamato, la Bernini e Tajani erano insieme a Silvio Berlusconi.

LUCA BERTAZZONI Noi ci stiamo occupando di Unicusano, l’università telematica. Lei ha ricevuto nel 2019 un finanziamento per 100mila euro, volevo capire quali sono i suoi rapporti con Bandecchi.

ANTONIO TAJANI - MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI E DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE Tutto regolare, tutto fatto nel rispetto assoluto della legge come ho fatto in tutta la mia vita.

LUCA BERTAZZONI Quello è chiarissimo però anche Forza Italia, il partito di cui lei è coordinatore, ha ricevuto nel corso degli anni 150mila euro di finanziamenti. Io mi domandavo… tutto lecito

ANTONIO TAJANI - MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI E DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE Tutto lecito, vedi la legge, l’importante è rispettare la legge nella Repubblica Italiana.

LUCA BERTAZZONI Le domandavo semplicemente sull’opportunità morale oltre che politica di ricevere finanziamenti da un’università su cui voi legiferate.

LUCA BERTAZZONI Nelle scorse regionali del Lazio aveva finanziato per 60mila euro Rocca, il candidato di centro destra.

STEFANO BANDECCHI - PRESIDENTE CDA UNICUSANO – PRESIDENTE TERNANA CALCIO – SINDACO DI TERNI Gliene volevamo dare 60mila, gli avevamo fatto un bonifico da 10mila. Rocca ce lo ha gentilmente rimandato indietro perché ha detto che se la Finanza ha detto che eravamo dei criminali, eravamo dei criminali. LUCA BERTAZZONI E lei, però, poi, diciamo, dopo che è uscita questa notizia, ha detto: “ma io volevo finanziare anche D’Amato del Pd”.

STEFANO BANDECCHI - PRESIDENTE CDA UNICUSANO – PRESIDENTE TERNANA CALCIO – SINDACO DI TERNI Sì, è vero. Ma anche D’Amato non ha voluto i nostri soldi.

LUCA BERTAZZONI Poi nel 2022 si butta più su Di Maio e a Impegno Civico gli dà 30mila euro.

STEFANO BANDECCHI - PRESIDENTE CDA UNICUSANO – PRESIDENTE TERNANA CALCIO – SINDACO DI TERNI Finanzio anche Di Maio come finanzio anche altri, come ho finanziato anche persone del Pd.

LUCA BERTAZZONI Non ha mai voluto dire i nomi, ma perché? Per privacy?

STEFANO BANDECCHI - PRESIDENTE CDA UNICUSANO – PRESIDENTE TERNANA CALCIO – SINDACO DI TERNI Perché non li so a memoria.

LUCA BERTAZZONI Uno generalmente finanzia, diciamo, una parte politica, no. E invece perché lei no?

STEFANO BANDECCHI - PRESIDENTE CDA UNICUSANO – PRESIDENTE TERNANA CALCIO – SINDACO DI TERNI Io sono un uomo centrista, sono un popolare, sono una persona che pensa che al centro sta la virtù.

LUCA BERTAZZONI E lei, infatti, si voleva candidare a un certo punto per le scorse politiche con il Terzo Polo. Renzi disse…

STEFANO BANDECCHI - PRESIDENTE CDA UNICUSANO – PRESIDENTE TERNANA CALCIO – SINDACO DI TERNI Renzi disse ok e Calenda disse che ero un fascista. Avevo una maglietta addosso, una maglietta dei paracadutisti, siccome io non sono mai stato fascista, non mi ero mai accorto che quelle frasi erano anche fasciste. Detto questo, però, le posso dire che ci sono tanti onorevoli che si sono laureati qua. Sì.

LUCA BERTAZZONI Tanti?

STEFANO BANDECCHI - PRESIDENTE CDA UNICUSANO – PRESIDENTE TERNANA CALCIO – SINDACO DI TERNI Credo molto più di cinquanta.

LUCA BERTAZZONI Molto più di cinquanta?

STEFANO BANDECCHI - PRESIDENTE CDA UNICUSANO – PRESIDENTE TERNANA CALCIO – SINDACO DI TERNI Hanno pagato tutti la retta, quindi…

LUCA BERTAZZONI FUORI CAMPO Uno dei politici che sicuramente ha pagato la retta a Bandecchi è l’europarlamentare della Lega Angelo Ciocca, famoso a Strasburgo per aver imbrattato con una scarpa il foglio del discorso in cui Moscovici bocciava la manovra finanziaria italiana.

LUCA BERTAZZONI A febbraio 2016 si è laureato e nel 2019 Bandecchi l’ha finanziata.

ANGELO CIOCCA - EUROPARLAMENTARE LEGA NORD L’università

LUCA BERTAZZONI L’università, scusi

ANGELO CIOCCA - EUROPARLAMENTARE LEGA NORD È un finanziamento di un’università privata…

LUCA BERTAZZONI …a un politico che si è laureato nella stessa università.

ANGELO CIOCCA - EUROPARLAMENTARE LEGA NORD Che finanzia uno studente in un percorso di ricandidatura, perché io ero un deputato uscente.

LUCA BERTAZZONI L’hanno finanziata in quanto politico, perché non è che finanziano tutti quanti gli studenti così, tutti quanti

ANGELO CIOCCA - EUROPARLAMENTARE LEGA NORD Secondo me è quello che fanno tutti gli imprenditori, cioè investono su un capitale che hanno conosciuto come studente.

LUCA BERTAZZONI Lei l’ha ringraziato Bandecchi dopo questo finanziamento?

ANGELO CIOCCA - EUROPARLAMENTARE LEGA NORD Io non ho ringraziato nessuno, nel senso che non c’è un motivo per il quale lui ha avuto un vantaggio da una mia attività. L’elemento di forza del finanziamento è finanziare uno studente.

LUCA BERTAZZONI Si è laureato nel 2016 e l’ha finanziata nel 2019.

ANGELO CIOCCA - EUROPARLAMENTARE LEGA NORD Ero iscritto come politico, ero studente come politico e quindi lui mi ha finanziato come studente e come politico.

LUCA BERTAZZONI FUORI CAMPO Alla fine, il politico Ciocca ha ricevuto finanziamenti per 80mila euro, sicuramente più di quanto abbia pagato lo studente Ciocca. È andata peggio al ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida che, nonostante una laurea ad Unicusano, non ha ricevuto finanziamenti.

LUCA BERTAZZONI Perché ha scelto di laurearsi in un’università telematica?

FRANCESCO LOLLOBRIGIDA - MINISTRO DELL’AGRICOLTURA E DELLA SOVRANITA’ ALIMENTARE Io ho iniziato i miei studi alla Sapienza e ho fatto un lungo percorso di studio e di militanza politica anche alla Sapienza conseguendo anche, diciamo, discreti risultati in termini di media, dopodiché ho messo al mondo dei bambini mentre lavoravo e quindi, come tanti altri italiani ho fatto un’università…

LUCA BERTAZZONI ha preferito, diciamo, continuare la telematica

FRANCESCO LOLLOBRIGIDA - MINISTRO DELL’AGRICOLTURA E DELLA SOVRANITA’ ALIMENTARE ho fatto un’università che mi permettesse di laurearmi anche mettendo insieme i soldi per mandare avanti la famiglia.

LUCA BERTAZZONI Si è trovato bene e alla luce di quest’inchiesta…

FRANCESCO LOLLOBRIGIDA - MINISTRO DELL’AGRICOLTURA E DELLA SOVRANITA’ ALIMENTARE Io non conosco gli esiti di quest’inchiesta, mi sono laureato ben prima e non conoscevo il signor Bandecchi.

LUCA BERTAZZONI Si è trovato bene comunque all’Unicusano?

FRANCESCO LOLLOBRIGIDA - MINISTRO DELL’AGRICOLTURA E DELLA SOVRANITA’ ALIMENTARE Era una delle università più prestigiose fra quelle telematiche.

LUCA BERTAZZONI FUORI CAMPO Talmente prestigiosa che ha allargato il campo anche a chi vuole entrare in contatto con la politica. A villa Gernetto, una delle tenute di proprietà di Silvio Berlusconi, ha sede l’Universitas Libertatis.

MARZIA AMICO Io chiamo per avere delle informazioni sul corso di alta formazione politica dell'Universitas Libertatis…

CALL CENTER UNIVERSITAS LIBERTATIS Per iscriversi è tutto online direttamente dal sito dell'Universitas Libertatis e l'erogazione del corso è tutta telematica.

MARZIA AMICO Quindi c’è una convenzione con l'università Niccolò Cusano?

CALL CENTER UNIVERSITAS LIBERTATIS Al momento c'è, la rinnovano mensilmente.

STEFANO BANDECCHI - PRESIDENTE CDA UNICUSANO – PRESIDENTE TERNANA CALCIO – SINDACO DI TERNI Berlusconi voleva ricreare una scuola politica, ho tutta una serie di lettere con lui interscambiate per dire facciamo questa cosa, anche perché io ho usato un nome che era suo da sempre, Universitas Libertatis, lui l’aveva proposta già dieci anni prima. Allora io costituii praticamente questa società, si chiama…

LUCA BERTAZZONI SB 2 Srl.

STEFANO BANDECCHI - PRESIDENTE CDA UNICUSANO – PRESIDENTE TERNANA CALCIO – SINDACO DI TERNI Bravissimo. Doveva entrarci dopo anche Berlusconi, poi le cose fra me e Berlusconi si sono un po’ raffreddate.

LUCA BERTAZZONI Dopo l’inchiesta?

STEFANO BANDECCHI - PRESIDENTE CDA UNICUSANO – PRESIDENTE TERNANA CALCIO – SINDACO DI TERNI Prima. Perché non stavo molto simpatico alla senatrice Ronzulli, e la senatrice Ronzulli allora ritenne evidentemente di dovermi allontanare dal gruppo.

LUCA BERTAZZONI FUORI CAMPO Tuttavia, Bandecchi continua ad avere un occhio di riguardo per il mondo azzurro di Forza Italia. CALL CENTER UNIVERSITAS LIBERTATIS Il corso ha il costo di 100 euro.

MARZIA AMICO Ma qui sul sito leggo che il costo è di 3000 euro l’anno.

CALL CENTER UNIVERSITAS LIBERTATIS No, può anche iscriversi tramite la modalità “studente azzurro” e il corso lo paga 100 euro.

STEFANO BANDECCHI - PRESIDENTE CDA UNICUSANO – PRESIDENTE TERNANA CALCIO – SINDACO DI TERNI Se uno vuole diventare studente azzurro, ma è chiaro che può essere un impiccio, voglio dire, lei potrebbe non voler diventare uno studente azzurro… Allora c’è una retta normale.

LUCA BERTAZZONI Da 3mila.

STEFANO BANDECCHI - PRESIDENTE CDA UNICUSANO – PRESIDENTE TERNANA CALCIO – SINDACO DI TERNI Da 3mila euro

LUCA BERTAZZONI Se no studente azzurro 100 euro, conviene.

STEFANO BANDECCHI - PRESIDENTE CDA UNICUSANO – PRESIDENTE TERNANA CALCIO – SINDACO DI TERNI Ma lei diventerebbe studente azzurro?

LUCA BERTAZZONI Io personalmente no, perché non ho più l’età, diciamo, per diventare studente azzurro.

STEFANO BANDECCHI - PRESIDENTE CDA UNICUSANO – PRESIDENTE TERNANA CALCIO – SINDACO DI TERNI Ma non è vero.

MARZIA AMICO Alla fine del corso quale titolo mi viene rilasciato?

CALL CENTER UNIVERSITAS LIBERTATIS È un attestato di frequenza. Trova tutto il materiale già sul corso, una volta che ha completato e visualizzato tutto il materiale, le appare questo test che è un test di autovalutazione che può fare quante volte vuole.

MARZIA AMICO Corso alta formazione politica, studente azzurro: richiesta di iscrizione inviata con successo.

LUCA BERTAZZONI FUORI CAMPO Durante il corso di formazione politica vari tutor si alternano per insegnare le strategie per diventare un candidato modello.

GABRIELLA ATTIMONELLI - PSICOLOGA Un personaggio politico ha la possibilità di diventare una celebrità, una star in politica. Ci sono anche le raccomandazioni, certo: ma nessun partito farebbe una lista di soli raccomandati.

LUCA BERTAZZONI FUORI CAMPO E poi si passa alla lezione sull’importanza del corpo nella politica.

SARA NEGROSINI - PSICOSESSUOLOGA Sono una psicologa, psico-sessuologa e psicoterapeuta ad approccio umanistico e bioenergetico. È bene aprire una conversazione con l’emozione della gioia facendo un sorriso sentito. Questa apertura, per esempio, di Putin ci dice: “ho paura di te”.

LUCA BERTAZZONI FUORI CAMPO Finalmente arriva il momento dell’esame.

MARZIA AMICO Che cos’è un partito politico? È un’associazione con finalità sportive senza scopro di lucro? È un ente che rappresenta le parti in un rapporto di lavoro? È un’associazione fra persone accomunate da una medesima visione? Direi che è questa. Invia tutto e termina: completato.

LUCA BERTAZZONI C’è tanta gente iscritta?

STEFANO BANDECCHI - PRESIDENTE CDA UNICUSANO – PRESIDENTE TERNANA CALCIO – SINDACO DI TERNI C’era tanta gente, ma poi le cose fra me e Berlusconi non sono andate bene, quindi gli iscritti sono scemati.

LUCA BERTAZZONI Ma quindi funziona ancora o no? Funzionicchia…

STEFANO BANDECCHI - PRESIDENTE CDA UNICUSANO – PRESIDENTE TERNANA CALCIO – SINDACO DI TERNI Funzionicchia. Sta per essere chiusa e io non l’ho ancora chiusa per rispetto a Silvio Berlusconi.

SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Il rispetto che deve a chi gli ha consentito di esistere. Per questo ha finanziato negli anni Forza Italia, il suo coordinatore Tajani, ha allargato lo sguardo su Villa Gernetto, che è la sede dell’Universitas Libertatis, che è il Corso di alta formazione politica voluto da Silvio Berlusconi. Insomma, lì trovi dei, con cui Bandecchi ha stretto una convenzione, trovi tutor per formarti come candidato modello. Se ti iscrivi come studente azzurro, quindi come possibile iscritto a Forza Italia, paghi 100 euro, altrimenti 3000. E tra i tutor che ti insegnano a diventare il perfetto candidato modello c’è anche una psico-sessuologa, psicoterapeuta ad approccio umanistico e bioenergetico, cioè serve a insegnarti a usare il corpo quando scendi, poi, in politica. È un vecchio pallino quello di Silvio Berlusconi di avere un’università di formazione liberale, politica, sul modello delle Frattocchie del vecchio Pc ma di destra. Ecco, a questa scuola avrebbe dovuto anche partecipare con una lezione Putin, poi ha invaso l’Ucraina ed è saltato tutto. Tornando, invece, a Bandecchi abbiamo visto che ha cercato un po’ di finanziare tutti, non sempre gli è riuscito, perché vuole essere, dice, un punto di riferimento del centro. Singolare, però, è l’episodio del finanziamento del leghista Angelo Ciocca, che è stato, insomma, uno studente, si è laureato a Unicusano, poi si è candidato alle Europee nel 2019, Bandecchi l’ha finanziato, con i soldi di Unicusano, per 80mila euro. Ora, Ciocca dice: è il gesto, quello di Bandecchi, di un imprenditore che punta, investe, sulle qualità umane che è riuscito ad apprezzare ai tempi di quando ero studente. Però, Bandecchi il vero capolavoro lo compie quando utilizza i soldi dell’università, esentasse, autorizzati dalla politica, per scendere in politica. Insomma, in poco tempo finanzia con 100mila euro Alternativa Popolare, di cui è diventato coordinatore nazionale. Poi aveva acquistato anche la Ternana per aumentare la sua popolarità e quella dell’università e ci ha investito circa 30 milioni di euro per coprire le perdite. Il problema, secondo la Guardia di Finanza, è che quei soldi sono stati incassati dall’università esentasse, sono le rette pagate dagli studenti, e andrebbero investite nelle mission dell’università, insegnamento, ricerca, ricerca applicata all’economia del paese. Qui, invece, sarebbero stati investiti in attività commerciali e per questo dovrebbe pagare le tasse. Ora, Bandecchi, però, gestisce anche la televisione, le radio di Unicusano e queste appartengono alla mission dell’università. E che idea ha dell’utilizzo dei mezzi di comunicazione il politico e manager Bandecchi e, soprattutto, del rispetto dei lavoratori che idea ha?

LUCA BERTAZZONI FUORI CAMPO L’università Niccolò Cusano è proprietaria di una radio e di un canale televisivo. E quando Bandecchi le ha comprate, aveva le idee ben chiare su come utilizzarle.

STEFANO BANDECCHI - PRESIDENTE CDA UNICUSANO – PRESIDENTE TERNANA CALCIO – SINDACO DI TERNI – REGISTRAZIONE RIUNIONE DICEMBRE 2019 La televisione e la radio sono i miei due punti di forza. È come una pistola, io non la devo usare per forza, però tu sappi che io ce l’ho. Te la posso sparare addosso, non mi frega un cazzo e lo faccio. Voglio far paura agli altri, cioè, queste cose mi devono servire per dire: “Caro ministro, io non chiedo un cazzo. Però non mi tratti di merda perché posso diventare stronzo, fine!”. LUCA BERTAZZONI FUORI CAMPO L’interesse di Bandecchi per i mezzi di comunicazione è nato tanti anni fa in un piccolo studio radiofonico di Roma.

SPEAKER ELLE RADIO Elle Radio, diversa e originale.

EZIO LUZZI - EX RADIOCRONISTA “TUTTO IL CALCIO MINUTO PER MINUTO” Un cordiale saluto gentili ascoltatori di Elle Radio, entriamo in collegamento con Tonino Raffa.

LUCA BERTAZZONI FUORI CAMPO Ezio Luzzi, storica voce della trasmissione “Tutto il calcio minuto per minuto”, era il proprietario delle frequenze da cui trasmette Radio Cusano Campus.

EZIO LUZZI - EX RADIOCRONISTA “TUTTO IL CALCIO MINUTO PER MINUTO” Bandecchi ha cominciato proprio qui, in questa emittente, che allora si chiamava Nuova Spazio Radio. Ci è stato dietro per mesi, voleva comprare la radio e alla fine gli ho detto: “guarda, la radio non te la posso dare tutta, semmai ti posso dare la frequenza”.

LUCA BERTAZZONI E poi che è successo?

EZIO LUZZI - EX RADIOCRONISTA “TUTTO IL CALCIO MINUTO PER MINUTO” Poi è successo che a un certo punto si è impossessato delle attrezzature e si è messo lì a trasmettere.

LUCA BERTAZZONI FUORI CAMPO Dopo tanti anni e tante cause in tribunale la situazione fra Luzzi e Bandecchi non è ancora risolta.

STEFANO BANDECCHI - PRESIDENTE CDA UNICUSANO – PRESIDENTE TERNANA CALCIO – SINDACO DI TERNI Dopo che abbiamo fatto l’ultimo versamento che il tribunale ci aveva ordinato, noi abbiamo fatto firmare un documento che dice: “Non ti dobbiamo nient’altro”, ma sono iniziate altre trenta cause. LUCA BERTAZZONI FUORI CAMPO Nata nel 2014, Radio Cusano Campus si è ormai ritagliata uno suo spazio nell’etere con programmi dedicati principalmente all’economia e alla politica ma Bandecchi non è soddisfatto.

STEFANO BANDECCHI - PRESIDENTE CDA UNICUSANO – PRESIDENTE TERNANA CALCIO – SINDACO DI TERNI – REGISTRAZIONE RIUNIONE OTTOBRE 2021 La radio e la televisione chiudono: voi da domani non avrete più un lavoro.

EX DIPENDENTE RADIO CUSANO CAMPUS A novembre del 2021 ci convoca Bandecchi in una riunione presso l’università nell’aula magna che si è svolta tra l’altro in filodiffusione.

STEFANO BANDECCHI - PRESIDENTE CDA UNICUSANO – PRESIDENTE TERNANA CALCIO – SINDACO DI TERNI – REGISTRAZIONE RIUNIONE OTTOBRE 2021 Sono incazzato con tutti voi per lo schifo che avete fatto fino ad oggi, per aver distrutto un mio progetto fantastico. Io credo che tutto questo possa battere la Fininvest, la Rai e Sky perché io sono bravo. Io vinco, dove cazzo vado, vado, io vinco: sono sveglio, intelligente, cattivo. Io nel mondo dell’editoria sono una potenza, Berlusconi come imprenditore mi dice: “complimenti perché tu hai due coglioni così”.

STEFANO BANDECCHI - PRESIDENTE CDA UNICUSANO – PRESIDENTE TERNANA CALCIO – SINDACO DI TERNI Li ho licenziati la sera alle sette e li ho riassunti la mattina dopo perché non avevano voglia di lavorare e avevano perso lo spirito del lavoro.

LUCA BERTAZZONI Nell’arco della notte mi sta dicendo che ci ha ripensato e li ha riassunti?

STEFANO BANDECCHI - PRESIDENTE CDA UNICUSANO – PRESIDENTE TERNANA CALCIO – SINDACO DI TERNI No, non ci ho ripensato, lo sapevano già. È un gesto per far capire che riparte un mondo nuovo.

EX DIPENDENTE RADIO CUSANO CAMPUS Ci licenziamo firmando una conciliazione sindacale con l’Ugl nella quale c’era scritto intanto che eravamo nella sede dell’Ugl

LUCA BERTAZZONI Non era vero?

EX DIPENDENTE RADIO CUSANO CAMPUS E invece ci trovavamo lì. Che avevamo avuto delle rimostranze nei confronti dell’azienda e non esiste una mia mail o di nessun altro che avesse mai scritto o detto una cosa del genere. E che rinunciavamo a eventuali cause per aver lavorato con contratti ovviamente non consoni. Ci davano dei soldi per ovviamente eliminare il pregresso che erano pari al nostro Tfr.

LUCA BERTAZZONI Cioè, avete rinunciato al pregresso in cambio del Tfr che era una cosa dovuta per legge…

EX DIPENDENTE RADIO CUSANO CAMPUS Comunque, era una cosa dovuta per legge. Alla fine, mi fanno un altro contratto peggiorativo, cioè andavo a lavorare più ore con uno stipendio uguale, ma solo grazie alla tredicesima spalmata, i bonus.

LUCA BERTAZZONI FUORI CAMPO Ma oltre alle clausole scritte nel nuovo contratto ce n’è una che Stefano Bandecchi comunica a voce ai suoi dipendenti.

STEFANO BANDECCHI - PRESIDENTE CDA UNICUSANO – PRESIDENTE TERNANA CALCIO – SINDACO DI TERNI – REGISTRAZIONE RIUNIONE OTTOBRE 2021 Potete rientrare tutti a lavorare, il presupposto è l’ubbidienza. Se non hai capito cosa vuol dire ubbidienza, non potrai fare un cazzo nella vita.

LUCA BERTAZZONI Perché avete firmato?

EX DIPENDENTE RADIO CUSANO CAMPUS Lì vivi in una bolla dove ci sono le leggi di Unicusano, le leggi di Bandecchi: e se lui la mattina dice che il cielo è rosa, il cielo è rosa anche se è blu.

STEFANO BANDECCHI - PRESIDENTE CDA UNICUSANO – PRESIDENTE TERNANA CALCIO – SINDACO DI TERNI – CHAT CON I DIPENDENTI 13/01/2022 Buongiorno, voi avete un problema: il problema è che si possono perdere i posti di lavoro da un momento all’altro. Vuol dire che noi patiremo la fame, o meglio voi, perché io sicuramente, ad oggi, ho denaro per mangiare, bere e dormire per i prossimi mille anni. Detto questo, o vi date una smossa o d’ora in poi comincerò a mandare a casa senza se e senza ma tutti coloro che non fanno il proprio lavoro con coscienza.

EX DIPENDENTE RADIO CUSANO CAMPUS Per anni siamo stati inseriti in una chat aziendale nella quale solo Bandecchi può mandare messaggi vocali.

STEFANO BANDECCHI - PRESIDENTE CDA UNICUSANO – PRESIDENTE TERNANA CALCIO – SINDACO DI TERNI – CHAT CON I DIPENDENTI 1/09/2021 Vi ho detto un miliardo di volte a tutti di vestirvi in maniera dignitosa e invece fate a gara a chi si veste più da coglione.

EX DIPENDENTE RADIO CUSANO CAMPUS Tutta una serie di vessazioni che, come delle goccioline, piano piano, piano piano, hanno scavato e hanno convinto me, così come anche altri, che al di fuori dell’Unicusano non c’era nulla.

STEFANO BANDECCHI - PRESIDENTE CDA UNICUSANO – PRESIDENTE TERNANA CALCIO – SINDACO DI TERNI – CHAT CON I DIPENDENTI 12/03/2020 La mail che vi parla delle ferie è azzerata, quella mail non conta un beato cazzo. Quando sarà finito questo periodo di crisi, riparleremo delle vostre maledette ferie di merda, adesso vanno in ferie soltanto quelli che lo stabilisco io. Grazie e buona serata.

LUCA BERTAZZONI FUORI CAMPO Oltre ai mezzi di comunicazione, l’università Niccolò Cusano è proprietaria anche della Ternana Calcio. In città c’è grande attesa per la partita contro il Benevento, ma soprattutto per il ritorno allo stadio di Stefano Bandecchi, che è anche presidente della squadra. Con la Ternana che galleggia a metà classifica del campionato di serie B, alla fine del precedente incontro casalingo perso contro il Cittadella, Bandecchi viene duramente contestato dalla curva.

TIFOSI TERNANA Pagliaccio! Sei un pagliaccio!

GIORNALISTA Presidente, ma è vero che ha sputato ai tifosi o no?

STEFANO BANDECCHI - PRESIDENTE CDA UNICUSANO – PRESIDENTE TERNANA CALCIO – SINDACO DI TERNI - CONFERENZA STAMPA 25/02/2023 Sì, hanno sputato a me e io ho sputato a loro. Perché, secondo lei, la seconda volta che mi arriva uno stronzo che mi sputa io sto qui a farmi sputare? Ma che siete rincoglioniti? Signori, cominciamo a snebbiarci la mente: prima di essere ogni cosa, io sono un uomo come gli altri. Se mi sputano in tre, io non solo gli risputo, ma se non c’era la fossa, gli davo due pizze in faccia. Ma di che cazzo stiamo a parlà? Signori, con calma: a me non dovete rompere il cazzo. Non penserete mica che mando affanculo i tifosi perugini e non riesco a mandare affanculo i tifosi ternani. Signori, a Livorno soffia sempre il vento per me perché io sono nato stronzo. Ma stiamo a giocà? Ma qui ogni scemo viene qua, lascia 30 milioni e voi pensate di sputargli? Ma che cazzo di piazza siete? Sveglia, che dove cazzo vado vado, a me mi prendono con i tappeti rossi.

LUCA BERTAZZONI FUORI CAMPO Nel 2017 la famiglia Longarini, proprietaria della Ternana, è in gravi difficoltà economiche e la squadra rischia di non potersi iscrivere al campionato. In suo soccorso arriva allora l’Università telematica Niccolò Cusano.

STEFANO BANDECCHI - PRESIDENTE CDA UNICUSANO – PRESIDENTE TERNANA CALCIO – SINDACO DI TERNI A me venne chiesto da parte di alcune persone importanti se potevamo interessarci…

LUCA BERTAZZONI Se poteva comprare.

STEFANO BANDECCHI - PRESIDENTE CDA UNICUSANO – PRESIDENTE TERNANA CALCIO – SINDACO DI TERNI Comprare è un parolone, perché noi ricordo sempre che abbiamo pagato un paio di milioni di debiti e non l’abbiamo comprata, cioè non abbiamo pagato questa squadra, l’abbiamo presa e l’abbiamo mantenuta.

LUCA BERTAZZONI Il giocattolino però costa, no.

STEFANO BANDECCHI - PRESIDENTE CDA UNICUSANO – PRESIDENTE TERNANA CALCIO – SINDACO DI TERNI Mah, il giocattolino costa l’ira di Dio.

LUCA BERTAZZONI 11 milioni di stipendi più o meno, no

STEFANO BANDECCHI - PRESIDENTE CDA UNICUSANO – PRESIDENTE TERNANA CALCIO – SINDACO DI TERNI Forse di più.

GIANGAETANO BELLAVIA - ESPERTO DI RICICLAGGIO Dal 2017 al 2020 questa Ternana Calcio ha perso 58 milioni di euro e l’università con i suoi soldi recuperati dagli studenti gli ha dato milioni di euro.

LUCA BERTAZZONI Lei in questi anni, ha messo, lei, Unicusano scusi, perché non sono soldi suoi, diciamo, ha messo 29 milioni di euro nella Ternana.

STEFANO BANDECCHI - PRESIDENTE CDA UNICUSANO – PRESIDENTE TERNANA CALCIO – SINDACO DI TERNI Ma secondo me sono sbagliati i suoi calcoli perché manca tutto il 2022. Andando avanti ci si mette di più. Quest’anno ci metteremo 16, 17

LUCA BERTAZZONI Ah, quindi cresce, tant’è che nell’ultimo bilancio c’è scritto che le previsioni per il futuro sono comunque negative e che l’azionista principale, cioè Unicusano, cioè lei, dovrà ancora intervenire per ripianare.

STEFANO BANDECCHI - PRESIDENTE CDA UNICUSANO – PRESIDENTE TERNANA CALCIO – SINDACO DI TERNI Unicusano, non io.

LUCA BERTAZZONI Ed è questo quello che le contesta quest’inchiesta fra le varie cose.

STEFANO BANDECCHI - PRESIDENTE CDA UNICUSANO – PRESIDENTE TERNANA CALCIO – SINDACO DI TERNI Quello che contesta quest’inchiesta è proprio una supercazzola, ma di quelle vere.

LUCA BERTAZZONI FUORI CAMPO La supercazzola di cui parla Bandecchi è un’inchiesta della Guardia di Finanza che ha portato al sequestro di venti milioni di euro a Unicusano per evasione fiscale. I soldi investiti dall’università nella Ternana non rientrerebbero nelle tre missioni fondamentali di un ateneo.

GIANGAETANO BELLAVIA - ESPERTO DI RICICLAGGIO L’università deve insegnare, deve fare ricerca e deve applicare la ricerca all’economia del Paese.

LUCA BERTAZZONI Come le viene in mente, in quanto università, di comprarsi una squadra di calcio?

STEFANO BANDECCHI - PRESIDENTE CDA UNICUSANO – PRESIDENTE TERNANA CALCIO – SINDACO DI TERNI Ci viene in mente perché l’università, che sta sul mercato come tutte le altre università, aveva bisogno di questa notorietà.

LUCA BERTAZZONI Le contestano anche il fatto che lei abbia seguito la squadra in trasferta: 110 mila euro per aerei privati pagati dall’università.

STEFANO BANDECCHI - PRESIDENTE CDA UNICUSANO – PRESIDENTE TERNANA CALCIO – SINDACO DI TERNI Hanno sbagliato, nel senso che penso di aver speso molto di più. L’università è proprietaria della Ternana e io sono il presidente della Ternana e dell’università. Come ci devo andare, con Air One, a vedere la partita? O ci posso andare come mi pare?

LUCA BERTAZZONI Ma perché con i soldi dell’università?

STEFANO BANDECCHI - PRESIDENTE CDA UNICUSANO – PRESIDENTE TERNANA CALCIO – SINDACO DI TERNI Perché io vado a lavorare, sono qui e potevo stare a casa al mare, sono a vedere la mia squadra di calcio e ci vado con i soldi dell’università perché l’università deve finanziare quest’operazione.

LUCA BERTAZZONI Così si fa confusione fra le società.

STEFANO BANDECCHI - PRESIDENTE CDA UNICUSANO – PRESIDENTE TERNANA CALCIO – SINDACO DI TERNI No, non si fa confusione. No, fa confusione solo chi non guarda i bilanci e chi non capisce questi passaggi.

LUCA BERTAZZONI Unicusano ha investito in questi anni milioni di euro esentasse.

GIANGAETANO BELLAVIA - ESPERTO DI RICICLAGGIO Investito? Ma se perde glieli ha regalati, l’investimento è qualcosa che uno mette lì al fine di produrre reddito, di produrre ricchezza. In una società di calcio si versano a fondo perduto i soldi, quindi ha preso i soldi dell’università, li ha dati alla Ternana e su questi soldi non ha pagato le tasse.

STEFANO BANDECCHI - PRESIDENTE CDA UNICUSANO – PRESIDENTE TERNANA CALCIO – SINDACO DI TERNI La nostra università non ha debiti e con le marginalità lo Stato italiano, in base all’articolo 41 della Costituzione, dice: “Ci fate quello che volete”. Meno che rubarli.

SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Non li avrebbe rubati, ma li avrebbe sottratti al welfare, non pagando le tasse. Avrebbe, dunque, non contribuito alla sanità, all’assistenza dei più fragili, all’insegnamento, non pagando le tasse su quei proventi sottratti all’università e investiti in presunte attività commerciali. Ora, stendiamo un velo sull’idea che ha Bandecchi dell’utilizzo dei mezzi di comunicazione da utilizzare come un manganello da sventolare contro quei politici che gli mettono i bastoni tra le ruote. Stendiamo un velo anche sui contenuti di quei messaggi vocali che inviava ai lavoratori che ha licenziato una sera, riassumendoli la mattina con condizioni peggiorative di qualità di lavoro e anche economiche. Il tema, semmai, è un altro: che Bandecchi è stato appena eletto sindaco e ha annunciato già l’idea di candidarsi tra tre, quattro anni al parlamento. Ecco, immaginiamo che il politico Bandecchi porterà queste sue filosofie di vita nella politica nazionale. Ecco, in un contesto come questo ne avevamo bisogno? Poi, insomma, tornando ai soldi, la procura di Roma ha chiesto il sequestro di oltre venti milioni di euro perché Unicusano si sarebbe comportata come una holding di partecipazioni societarie commerciali e imprenditoriali. Cioè, sarebbe venuto meno il presupposto per il quale, quando uno studente paga una retta all’università, è esentasse. Ecco, qui invece Bandecchi le avrebbe utilizzate non solo per scopi politici ma soprattutto, accusa la Guardia di Finanza, per attività commerciali. Quali oltre la squadra di calcio e le carriere politiche?

LUCA BERTAZZONI FUORI CAMPO La sede centrale dell’Università Niccolò Cusano è a Boccea, quartiere periferico di Roma Ovest. Per arrivarci con la metropolitana si scende al capolinea, fermata Battistini, sponsorizzata proprio da Unicusano.

STEFANO BANDECCHI - PRESIDENTE CDA UNICUSANO – PRESIDENTE TERNANA CALCIO – SINDACO DI TERNI Questo è l’ingresso principale, poi si entra nel nostro ateneo.

LUCA BERTAZZONI Quanti studenti avete?

STEFANO BANDECCHI - PRESIDENTE CDA UNICUSANO – PRESIDENTE TERNANA CALCIO – SINDACO