Denuncio al mondo ed ai posteri con i miei libri tutte le illegalità tacitate ed impunite compiute dai poteri forti (tutte le mafie). Lo faccio con professionalità, senza pregiudizi od ideologie. Per non essere tacciato di mitomania, pazzia, calunnia, diffamazione, partigianeria, o di scrivere Fake News, riporto, in contraddittorio, la Cronaca e la faccio diventare storia. Quella Storia che nessun editore vuol pubblicare. Quelli editori che ormai nessuno più legge.
Gli editori ed i distributori censori si avvalgono dell'accusa di plagio, per cessare il rapporto. Plagio mai sollevato da alcuno in sede penale o civile, ma tanto basta per loro per censurarmi.
I miei contenuti non sono propalazioni o convinzioni personali. Mi avvalgo solo di fonti autorevoli e credibili, le quali sono doverosamente citate.
Io sono un sociologo storico: racconto la contemporaneità ad i posteri, senza censura od omertà, per uso di critica o di discussione, per ricerca e studio personale o a scopo culturale o didattico. A norma dell'art. 70, comma 1 della Legge sul diritto d'autore: "Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l'utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali."
L’autore ha il diritto esclusivo di utilizzare economicamente l’opera in ogni forma e modo (art. 12 comma 2 Legge sul Diritto d’Autore). La legge stessa però fissa alcuni limiti al contenuto patrimoniale del diritto d’autore per esigenze di pubblica informazione, di libera discussione delle idee, di diffusione della cultura e di studio. Si tratta di limitazioni all’esercizio del diritto di autore, giustificate da un interesse generale che prevale sull’interesse personale dell’autore.
L'art. 10 della Convenzione di Unione di Berna (resa esecutiva con L. n. 399 del 1978) Atto di Parigi del 1971, ratificata o presa ad esempio dalla maggioranza degli ordinamenti internazionali, prevede il diritto di citazione con le seguenti regole: 1) Sono lecite le citazioni tratte da un'opera già resa lecitamente accessibile al pubblico, nonché le citazioni di articoli di giornali e riviste periodiche nella forma di rassegne di stampe, a condizione che dette citazioni siano fatte conformemente ai buoni usi e nella misura giustificata dallo scopo.
Ai sensi dell’art. 101 della legge 633/1941: La riproduzione di informazioni e notizie è lecita purché non sia effettuata con l’impiego di atti contrari agli usi onesti in materia giornalistica e purché se ne citi la fonte. Appare chiaro in quest'ipotesi che oltre alla violazione del diritto d'autore è apprezzabile un'ulteriore violazione e cioè quella della concorrenza (il cosiddetto parassitismo giornalistico). Quindi in questo caso non si fa concorrenza illecita al giornale e al testo ma anzi dà un valore aggiunto al brano originale inserito in un contesto più ampio di discussione e di critica.
Ed ancora: "La libertà ex art. 70 comma I, legge sul diritto di autore, di riassumere citare o anche riprodurre brani di opere, per scopi di critica, discussione o insegnamento è ammessa e si giustifica se l'opera di critica o didattica abbia finalità autonome e distinte da quelle dell'opera citata e perciò i frammenti riprodotti non creino neppure una potenziale concorrenza con i diritti di utilizzazione economica spettanti all'autore dell'opera parzialmente riprodotta" (Cassazione Civile 07/03/1997 nr. 2089).
Per questi motivi Dichiaro di essere l’esclusivo autore del libro in oggetto e di tutti i libri pubblicati sul mio portale e le opere citate ai sensi di legge contengono l’autore e la fonte. Ai sensi di legge non ho bisogno di autorizzazione alla pubblicazione essendo opere pubbliche.
Promuovo in video tutto il territorio nazionale ingiustamente maltrattato e censurato. Ascolto e Consiglio le vittime discriminate ed inascoltate. Ogni giorno da tutto il mondo sui miei siti istituzionali, sui miei blog d'informazione personali e sui miei canali video sono seguito ed apprezzato da centinaia di migliaia di navigatori web. Per quello che faccio, per quello che dico e per quello che scrivo i media mi censurano e le istituzioni mi perseguitano. Le letture e le visioni delle mie opere sono gratuite. Anche l'uso è gratuito, basta indicare la fonte. Nessuno mi sovvenziona per le spese che sostengo e mi impediscono di lavorare per potermi mantenere. Non vivo solo di aria: Sostienimi o mi faranno cessare e vinceranno loro.
Dr Antonio Giangrande
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(pagine) GIANGRANDE LIBRI
WEB TV: TELE WEB ITALIA
NEWS: RASSEGNA STAMPA - CONTROVOCE - NOTIZIE VERE DAL POPOLO - NOTIZIE SENZA CENSURA
L’ITALIA ALLO SPECCHIO
IL DNA DEGLI ITALIANI
ANNO 2023
LO SPETTACOLO
E LO SPORT
QUINTA PARTE
DI ANTONIO GIANGRANDE
L’APOTEOSI
DI UN POPOLO DIFETTATO
Questo saggio è un aggiornamento temporale, pluritematico e pluriterritoriale, riferito al 2023, consequenziale a quello del 2022. Gli argomenti ed i territori trattati nei saggi periodici sono completati ed approfonditi in centinaia di saggi analitici specificatamente dedicati e già pubblicati negli stessi canali in forma Book o E-book, con raccolta di materiale riferito al periodo antecedente. Opere oggetto di studio e fonti propedeutiche a tesi di laurea ed inchieste giornalistiche.
Si troveranno delle recensioni deliranti e degradanti di queste opere. Il mio intento non è soggiogare l'assenso parlando del nulla, ma dimostrare che siamo un popolo difettato. In questo modo è ovvio che l'offeso si ribelli con la denigrazione del palesato.
IL GOVERNO
UNA BALLATA PER L’ITALIA (di Antonio Giangrande). L’ITALIA CHE SIAMO.
UNA BALLATA PER AVETRANA (di Antonio Giangrande). L’AVETRANA CHE SIAMO.
PRESENTAZIONE DELL’AUTORE.
LA SOLITA INVASIONE BARBARICA SABAUDA.
LA SOLITA ITALIOPOLI.
SOLITA LADRONIA.
SOLITO GOVERNOPOLI. MALGOVERNO ESEMPIO DI MORALITA’.
SOLITA APPALTOPOLI.
SOLITA CONCORSOPOLI ED ESAMOPOLI. I CONCORSI ED ESAMI DI STATO TRUCCATI.
ESAME DI AVVOCATO. LOBBY FORENSE, ABILITAZIONE TRUCCATA.
SOLITO SPRECOPOLI.
SOLITA SPECULOPOLI. L’ITALIA DELLE SPECULAZIONI.
L’AMMINISTRAZIONE
SOLITO DISSERVIZIOPOLI. LA DITTATURA DEI BUROCRATI.
SOLITA UGUAGLIANZIOPOLI.
IL COGLIONAVIRUS.
SANITA’: ROBA NOSTRA. UN’INCHIESTA DA NON FARE. I MARCUCCI.
L’ACCOGLIENZA
SOLITA ITALIA RAZZISTA.
SOLITI PROFUGHI E FOIBE.
SOLITO PROFUGOPOLI. VITTIME E CARNEFICI.
GLI STATISTI
IL SOLITO AFFAIRE ALDO MORO.
IL SOLITO GIULIO ANDREOTTI. IL DIVO RE.
SOLITA TANGENTOPOLI. DA CRAXI A BERLUSCONI. LE MANI SPORCHE DI MANI PULITE.
SOLITO BERLUSCONI. L'ITALIANO PER ANTONOMASIA.
IL SOLITO COMUNISTA BENITO MUSSOLINI.
I PARTITI
SOLITI 5 STELLE… CADENTI.
SOLITA LEGOPOLI. LA LEGA DA LEGARE.
SOLITI COMUNISTI. CHI LI CONOSCE LI EVITA.
IL SOLITO AMICO TERRORISTA.
1968 TRAGICA ILLUSIONE IDEOLOGICA.
LA GIUSTIZIA
SOLITO STEFANO CUCCHI & COMPANY.
LA SOLITA SARAH SCAZZI. IL DELITTO DI AVETRANA.
LA SOLITA YARA GAMBIRASIO. IL DELITTO DI BREMBATE.
SOLITO DELITTO DI PERUGIA.
SOLITA ABUSOPOLI.
SOLITA MALAGIUSTIZIOPOLI.
SOLITA GIUSTIZIOPOLI.
SOLITA MANETTOPOLI.
SOLITA IMPUNITOPOLI. L’ITALIA DELL’IMPUNITA’.
I SOLITI MISTERI ITALIANI.
BOLOGNA: UNA STRAGE PARTIGIANA.
LA MAFIOSITA’
SOLITA MAFIOPOLI.
SOLITE MAFIE IN ITALIA.
SOLITA MAFIA DELL’ANTIMAFIA.
SOLITO RIINA. LA COLPA DEI PADRI RICADE SUI FIGLI.
SOLITO CAPORALATO. IPOCRISIA E SPECULAZIONE.
LA SOLITA USUROPOLI E FALLIMENTOPOLI.
SOLITA CASTOPOLI.
LA SOLITA MASSONERIOPOLI.
CONTRO TUTTE LE MAFIE.
LA CULTURA ED I MEDIA
LA SCIENZA E’ UN’OPINIONE.
SOLITO CONTROLLO E MANIPOLAZIONE MENTALE.
SOLITA SCUOLOPOLI ED IGNORANTOPOLI.
SOLITA CULTUROPOLI. DISCULTURA ED OSCURANTISMO.
SOLITO MEDIOPOLI. CENSURA, DISINFORMAZIONE, OMERTA'.
LO SPETTACOLO E LO SPORT
SOLITO SPETTACOLOPOLI.
SOLITO SANREMO.
SOLITO SPORTOPOLI. LO SPORT COL TRUCCO.
LA SOCIETA’
AUSPICI, RICORDI ED ANNIVERSARI.
I MORTI FAMOSI.
ELISABETTA E LA CORTE DEGLI SCANDALI.
MEGLIO UN GIORNO DA LEONI O CENTO DA AGNELLI?
L’AMBIENTE
LA SOLITA AGROFRODOPOLI.
SOLITO ANIMALOPOLI.
IL SOLITO TERREMOTO E…
IL SOLITO AMBIENTOPOLI.
IL TERRITORIO
SOLITO TRENTINO ALTO ADIGE.
SOLITO FRIULI VENEZIA GIULIA.
SOLITA VENEZIA ED IL VENETO.
SOLITA MILANO E LA LOMBARDIA.
SOLITO TORINO ED IL PIEMONTE E LA VAL D’AOSTA.
SOLITA GENOVA E LA LIGURIA.
SOLITA BOLOGNA, PARMA ED EMILIA ROMAGNA.
SOLITA FIRENZE E LA TOSCANA.
SOLITA SIENA.
SOLITA SARDEGNA.
SOLITE MARCHE.
SOLITA PERUGIA E L’UMBRIA.
SOLITA ROMA ED IL LAZIO.
SOLITO ABRUZZO.
SOLITO MOLISE.
SOLITA NAPOLI E LA CAMPANIA.
SOLITA BARI.
SOLITA FOGGIA.
SOLITA TARANTO.
SOLITA BRINDISI.
SOLITA LECCE.
SOLITA POTENZA E LA BASILICATA.
SOLITA REGGIO E LA CALABRIA.
SOLITA PALERMO, MESSINA E LA SICILIA.
LE RELIGIONI
SOLITO GESU’ CONTRO MAOMETTO.
FEMMINE E LGBTI
SOLITO CHI COMANDA IL MONDO: FEMMINE E LGBTI.
LO SPETTACOLO E LO SPORT
INDICE PRIMA PARTE
SOLITO SPETTACOLOPOLI. (Ho scritto un saggio dedicato)
L’Artista.
Il rapper, il trapper oppure del sottogenere dei «gangsta».
L’hip-hop.
L'Autotune.
Si stava meglio quando si stava peggio.
Laureati.
Gli Stadi.
Imprenditori ed Agenti.
Gli Autori.
I Parolieri.
Il Plagio.
Le Colonne Sonore d’Italia.
Le Fake news.
Le Relazioni astratte.
Le Hollywood d’Italia.
Revenge songs.
Achille Lauro.
Ada Alberti.
Adele.
Adriano Celentano.
Adriano Pappalardo.
Ainett Stephens.
Alain Delon.
Alan Sorrenti.
Alba Parietti.
Alberto Fortis.
Alberto Marozzi.
Al Bano Carrisi.
Al Pacino.
Aldo Savoldello: Mago Silvan.
Aldo, Giovanni e Giacomo.
Ale e Franz.
Alec Baldwin.
Alena Seredova.
Alessandra Martines.
Alessandra Mastronardi.
Alessandra e Valentina Giudicessa.
Aleandro Baldi.
Alessandro Baricco.
Alessandro Benvenuti.
Alessandro Bergonzoni.
Alessandro Borghi.
Alessandro Cattelan.
Alessandro Cecchi Paone.
Alessandro e Leo Gassmann.
Alessandro Haber.
Alessandro Preziosi e Vittoria Puccini.
Alessia Fabiani.
Alessia Marcuzzi.
Alessia Merz.
Alex Britti.
Alex Di Luca.
Alexia.
Alfonso Signorini.
Alvaro Vitali.
Amadeus.
Amanda Lear.
Amara Rakhi Gill.
Ambra Angiolini.
Amedeo Minghi.
Amleto Marco Belelli, il Divino Otelma.
Anastasia Bartoli.
Andrea Bocelli.
Andrea Delogu.
Andrea Pucci.
Andrea Roncato.
Angela Cavagna.
Angela White.
Angelina Jolie.
Angelo Branduardi.
Angelo Duro.
Annalisa.
Anna Chetta alias Linda Lorenzi.
Anna Falchi.
Anna Mazzamauro.
Anna Tatangelo.
Anna Valle.
Antonella Clerici.
Antonella Elia.
Antonella Marino.
Antonino Cannavacciuolo.
Antonio Banderas.
Antonio Diodato.
Antonio Albanese.
Antonio Ricci.
Ariete si chiama Arianna Del Giaccio.
Arnold Schwarzenegger.
Articolo 31.
Arturo Brachetti.
Asia e Dario Argento.
Barbara Bouchet.
Barbara D’Urso.
Barbra Streisand.
Beatrice Fazi.
Beatrice Rana.
Beatrice Venezi.
Bebe Buell.
Belen Rodriguez e Stefano De Martino.
Beppe Convertini.
Beppe o Peppe Vessicchio.
Biagio Antonacci.
Bianca Balti.
Bobby Solo: Roberto Satti.
Brad Pitt.
Brenda Lodigiani.
Brendan Fraser.
Brigitte Bardot.
Britney Spears.
Brooke Shields.
Bruce Willis.
Bruno Gambarotta.
Bugo.
Candy Love.
Carla Signoris.
Carlo Conti.
Carlo Freccero.
Carlo Verdone.
Carlotta Mantovan.
Carmen Russo.
Carol Alt.
Carole Andrè.
Carolina Crescentini.
Cate Blanchett.
Caterina Caselli.
Catherine Deneuve.
Catiuscia Maria Stella Ricciarelli: Katia Ricciarelli.
Cecilia Gasdìa.
Celine Dion.
Cesare Cremonini.
Capri Cavanni.
Charlize Theron.
Cher.
Chiara Claudi.
Chiara Francini.
Chiara Mastroianni.
Christian Clay.
Christian De Sica.
Christina Aguilera.
Christopher Walken.
Chu Meng Shu.
Cinzia Leone.
Cirque du Soleil.
Clara Serina.
Claudia Cardinale.
Claudia Gerini.
Claudia Koll.
Claudia Pandolfi.
Claudio Amendola.
Claudio Baglioni.
Claudio Cecchetto.
Claudio Lippi.
Claudio Santamaria.
Clint Eastwood.
CJ Miles.
Colapesce e Dimartino.
Colin Farrell.
Coma_Cose.
Corrado Tedeschi.
Costantino della Gherardesca.
Costantino Vitagliano.
Cristiana Capotondi.
Cristiano De André.
Cristiano Malgioglio.
Cristina Comencini.
Cristina D’Avena.
Cristina Scuccia.
INDICE SECONDA PARTE
SOLITO SPETTACOLOPOLI. (Ho scritto un saggio dedicato)
Dado.
Dalila Di Lazzaro.
Daniel Craig.
Daniele Luttazzi.
Daniele Silvestri.
Dargen D'Amico.
Dario Farina.
David Lee.
Den Harrow.
Dennis Fantina.
Diana Del Bufalo.
Diego Dalla Palma.
Diego Abatantuono.
Diletta Leotta.
Donatella Rettore.
Dredd.
Drusilla Foer.
Ed Sheeran.
Edoardo Bennato.
Edoardo Costa.
Edoardo Vianello.
Edwige Fenech.
Elena Di Cioccio.
Elena Santarelli.
Elenoire Casalegno.
Eleonora Abbagnato.
Eleonora Daniele.
Eleonora Giorgi.
Elettra Lamborghini.
Elisa Isoardi.
Elisabetta Valentini.
Elodie.
Ema Stockolma.
Emanuela Fanelli.
Emanuela Folliero.
Emanuela Trane: Dolcenera.
Emma Marrone.
Enrica Bonaccorti.
Enrico Bertolino.
Enrico Beruschi.
Enrico Brignano.
Enrico Lo Verso.
Enrico Ruggeri.
Enrico Silvestrin.
Enrico Vanzina.
Enza Sampò.
Enzo Braschi.
Enzo Ghinazzi, in arte Pupo.
Enzo Iacchetti.
Ernia.
Eros Ramazzotti.
Eugenio Finardi.
Euridice Axen.
Eva Elfie.
Eva Henger.
Eva Menta e Alex Mucci.
Eva Riccobono.
Eva Robin’s.
Ezio Greggio.
Fabio Concato.
Fabio De Luigi.
Fabio Fazio.
Fabio Rovazzi.
Fabrizio Bentivoglio.
Fabrizio Biggio e Francesco Mandelli.
Fabrizio Bracconeri.
Fabrizio Corona.
Fabrizio Moro.
Fanny Ardant.
Fedez e Chiara Ferragni.
Ferzan Ozpetek.
Ficarra e Picone.
Filippa Lagerbäck e Daniele Bossari.
Fiordaliso.
Fiorella Mannoia.
Fiorella Pierobon.
Fioretta Mari.
Francesca Alotta.
Francesca Michielin.
Francesca Neri.
Francesca Reggiani.
Francesco Baccini.
Francesco De Gregori.
Francesco Facchinetti.
Francesco Guccini.
Francesco Leone.
Francesco Nuti.
Francesco Pannofino.
Francesco Renga.
Francesco Salvi.
Francis Ford Coppola.
Franco Nero.
Francois Ozon.
Frank Matano.
Frankie Hi Nrg Mc.
Gabriel Garko.
Gabriele e Silvio Muccino.
Gabriele Salvatores.
Gabriella Golia.
Gabry Ponte.
Gaiè.
Gazzelle, all’anagrafe Flavio Bruno Pardini.
Gegia (Francesca Antonaci).
Gene Gnocchi.
George Benson.
Geppi Cucciari.
Gerry Scotti.
Ghali.
Gianna Nannini.
Gigi e Andrea.
Giampiero Ingrassia.
Giancarlo Giannini.
Giancarlo Magalli.
Gianluca Colucci: Gianluca Fru.
Gianluca Grignani.
Gianmarco Tognazzi.
Gianni e Marco Morandi.
Gigi D'Alessio e Anna Tatangelo.
Gigi Folino e il Gruppo Italiano.
Gigliola Cinquetti.
Gino Paoli.
Gino & Michele.
Giorgia.
Giorgia Surina.
Giorgio Mastrota.
Giorgio Pasotti.
Giovanna Mezzogiorno.
Giovanni Caccamo.
Giovanni Muciaccia.
Giovanni Pietro Damian: Sangiovanni.
Giovanni Scialpi.
Giuliana De Sio.
Giulio Rapetti Mogol.
Giulio Scarpati.
Giuseppe Tornatore.
Gli AC/DC.
Gli Inti-Illimani.
Gloria Guida.
Guendalina Tavassi.
Guillermo Mariotto.
Guns N' Roses.
Gwyneth Paltrow.
Henry Winkler.
Harry Styles.
Helen Mirren.
Heather Parisi.
Eva Herzigova.
Eva Longoria.
Iaia Forte.
Gli Skiantos.
I Baustelle.
I Cccp Fedeli alla Linea.
I Cugini di Campagna.
I Gialappa' s Band.
I Guzzanti.
I Jalisse.
Il Volo.
I Maneskin.
I Marlene Kuntz.
I Metallica.
I Modà.
I Negramaro.
I Pooh.
I Righeira.
I Ricchi e Poveri.
I Rolling Stones.
I Santi Francesi.
I Sex Pistols.
Ilary Blasi.
Elena Anna, Ilona Staller: Cicciolina.
Irene Maestrini.
Isabella Ferrari.
Isabella Rossellini.
Isotta.
Iva Zanicchi.
Ivan Cattaneo.
Ivana Spagna.
Ivano Fossati.
Jack Nicholson.
Jane Fonda.
Jennie Rose.
Jeremy Renner.
Jerry Calà.
Jo Squillo.
John Malkovich.
Johnny Depp.
Johnny Dorelli.
Joss Stone.
Jude Law.
Julia Roberts.
Justine Mattera.
INDICE TERZA PARTE
SOLITO SPETTACOLOPOLI. (Ho scritto un saggio dedicato)
Kanye West.
Kasia Smutniak.
Kate Winslet.
Ke Hui Quan.
Kevin Costner.
Kevin Spacey.
Kira Noir.
Lady Gaga.
Laetitia Casta.
La Gialappa’s Band.
Lalla Esposito.
Lars von Trier.
Laura Chiatti.
Laura Freddi.
Laura Morante.
Laura Pausini.
Lavinia Abate.
Lazza.
Lella Costa.
Lenny Kravitz.
Leo Gullotta.
Leonardo DiCaprio.
Leonardo Pieraccioni.
Levante.
Lewis Capaldi.
Lia Lin.
Licia Colò.
Liliana Cavani.
Lily Veroni.
Lina Sotis.
Linda Evangelista.
Lino Banfi.
Linus.
Lisa Galantini.
Little Dragon.
Lizzo.
Lo Stato Sociale.
Loredana Bertè.
Lorella Cuccarini.
Lorenzo Cherubini: Jovanotti.
Loretta Goggi.
Lory Del Santo.
Luc Besson.
Luc Merenda.
Luca Argentero.
Luca Barbareschi.
Luca e Paolo.
Luca Medici: Checco Zalone.
Luca Miniero.
Luca Ravenna.
Lucia Mascino.
Luciana Littizzetto.
Ludovica Martino.
Ludovico Peregrini.
Luigi Lo Cascio.
Luisa Corna.
Luisa Ranieri.
Luna Star.
Madame.
Maddalena Corvaglia.
Madonna.
Mago Forest, alias Michele Foresta.
Mahmood.
Malena, all’anagrafe Filomena Mastromarino.
Malika Ayane.
Manila Nazzaro.
Manuel Agnelli.
Manuela Arcuri.
Mara Maionchi.
Mara Venier.
Marcella Bella.
Marco Bellocchio.
Marco Bocci.
Marco Columbro.
Marco Della Noce.
Marco Ferradini.
Marco Giallini.
Marco Masini.
Marco Mengoni.
Marco Predolin.
Marco Risi.
Margherita Buy.
Maria Giovanna Elmi.
Maria Grazia Buccella.
Maria Grazia Cucinotta.
Maria Sofia Federico.
Maria Teresa Ruta.
Marina Suma.
Mario Biondi.
Mariolina Cannuli.
Marisa Laurito.
Marisela Federici.
Martin Scorsese.
Mascia Ferri.
Massimo Boldi.
Massimo Ceccherini.
Massimo Ciavarro.
Massimo Ghini.
Massimo Ranieri.
Matilda De Angelis.
Matilde Gioli.
Mattia Zenzola.
Maurizio Battista.
Maurizio Ferrini.
Maurizio Milani.
Maurizio Potocnik, in arte Reeds.
Maurizio Seymandi.
Maurizio Vandelli.
Maurizio Zamboni .
Mauro Coruzzi alias Platinette.
Mauro Pagani.
Max Felicitas.
Max Laudadio.
Max Pezzali e gli 883.
Megan Daw.
Megan Gale.
Mel Brooks.
Melissa Stratton.
Memo Remigi.
Micaela Ramazzotti.
Michael Caine.
Michael J. Fox.
Michele Guardì.
Michele Placido.
Michele Riondino.
Michelle Hunziker.
Michelle Yeoh.
Mika.
Milena Vukotic.
Mina.
Minnie Minoprio.
Miranda Martino.
Mita Medici.
Monica Bellucci.
Morgan.
Myss Keta.
Mr. Rain.
Nada.
Nancy Brilli.
Nanni Moretti.
Natasha Stefanenko.
Naomi Campbell.
Neri Parenti.
Nicole Doshi.
Niccolò Fabi.
Nina Moric.
Nina Zilli.
Nino D'Angelo.
Nino Formicola: Gaspare di Zuzzurro e Gaspare.
Nino Frassica.
Noomi Rapace.
INDICE QUARTA PARTE
SOLITO SPETTACOLOPOLI. (Ho scritto un saggio dedicato)
Omar Pedrini.
Omar Sharif.
Orietta Berti.
Ornella Muti.
Ornella Vanoni.
Ozzy Osbourne.
Pamela Anderson.
Pamela Prati.
Pamela Villoresi.
Paola Barale e Raz Degan.
Paola&Chiara.
Paola Gassman e Ugo Pagliai.
Paola Perego.
Paola Pitagora.
Paola Turci.
Paolo Belli.
Paolo Calabresi.
Paolo Conte.
Paolo Rossi.
Paris Hilton.
Pasquale Petrolo in arte Lillo; Claudio Gregori in arte Greg.
Patty Pravo.
Patti Smith.
Peppino di Capri.
Peter Gabriel.
Pico.
Pier Francesco Pingitore.
Pierfrancesco Favino.
Pier Luigi Pizzi.
Piero Chiambretti.
Piero Pelù.
Piero Pintucci.
Pilar Fogliati.
Pino Insegno.
Pino Scotto.
Pio ed Amedeo.
Playtoy Orchestra.
Povia.
Pupi Avati.
Quentin Tarantino.
Quincy Jones.
Raf.
Renato Pozzetto.
Renato Zero.
Renzo Arbore.
Ricky Martin.
Rita Pavone.
Ringo.
Robbie Williams.
Robert De Niro.
Roberta Lena.
Roberto da Crema.
Roberto Vecchioni.
Rocco Hunt.
Rocco Papaleo.
Rocco Siffredi.
Rocío Muñoz Morales e Raoul Bova.
Roman Polanski.
Ron: Rosalino Cellamare.
Ronn Moss.
Rosa Chemical.
Rosalba Pippa: Arisa.
Rosanna Fratello.
Rosario e Giuseppe Fiorello.
Rupert James Hector Everett.
Sabina Ciuffini.
Sabrina Impacciatore.
Sabrina Salerno.
Samuel L. Jackson.
Sandy Marton.
Sandra Milo.
Sara Diamante.
Sara Tommasi.
Scarlett Johansson.
Sean Penn.
Selen.
Selva Lapiedra.
Serena Grandi.
Sergio Caputo.
Sergio Castellitto.
Sergio Rubini.
Sergio Vastano.
Sergio Volpini.
Sharon Stone e Michael Douglas.
Shakira.
Simona Izzo.
Simona Tabasco.
Simona Ventura.
Simone Cristicchi.
Syusy Blady e Patrizio Roversi.
Sofia Scalia e Luigi Calagna, Sofì e Luì: Me contro Te.
Sonia Bruganelli e Paolo Bonolis.
Sophia Loren.
Stanley Tucci.
Stefania Orlando.
Stefania e Silvia Rocca.
Stefania Sandrelli.
Stefano Accorsi.
Susan Sarandon.
Susanna Messaggio.
Sydne Rome.
Sylvester Stallone.
Sveva Sagramola.
SZA, vero nome Solána Imani Rowe.
Taylor Swift.
Tananai.
Terence Blanchard.
Teresa Mannino.
Teresa Saponangelo.
Teo Mammucari.
Teo Teocoli.
Tiberio Timperi.
Tim Burton.
Tinto Brass.
Tiziana Rivale.
Tiziano Ferro.
Tom Cruise.
Tom Hanks.
Tommaso Paradiso.
Toto Cutugno.
Tullio Solenghi.
U 2.
Uccio De Santis.
Ultimo.
Umberto Smaila.
Wanna Marchi.
Will Smith.
Woody Allen.
Valentina Lodovini.
Valeria Golino e Riccardo Scamarcio.
Valeria Marini.
Valeria Rossi.
Valeria Solarino.
Valerio Scanu.
Valerio Staffelli.
Vanessa Gravina.
Vasco Rossi.
Vera Gemma.
Veronica Maya.
Victoria Cabello.
Vincenzo Salemme.
Viola Valentino.
Vittoria Belvedere.
Vladimir Luxuria.
Zucchero Fornaciari.
Yuko Ogasawara.
Xxlayna Marie.
INDICE QUINTA PARTE
SOLITO SANREMO. (Ho scritto un saggio dedicato)
Sanremo 2024.
Sanremo. Sociologia di un festival.
La Selezione…truccata.
I Precedenti.
Il FantaSanremo.
Gli Inediti.
I Ti caccio o non ti caccio?
Gli Scandali.
La Politica.
Le Anticipazioni. Il Pre-Voto.
Quello che c’è da sapere.
I Co-conduttori.
I Super Ospiti.
Testi delle canzoni di Sanremo 2023.
La Prima Serata.
La Seconda Serata.
La Terza Serata.
La Quarta Serata.
La Quinta ed Ultima Serata.
INDICE SESTA PARTE
SOLITO SPORTOPOLI. LO SPORT COL TRUCCO. (Ho scritto un saggio dedicato)
Il Certificato medico sportivo.
Giochi Sporchi del 2022.
Quelli che…il Coni.
Quelli che…il Calcio. La Fifa.
Quelli che…La Uefa.
Quelli che…il Calcio. La Superlega.
Quelli che…il Calcio. La FIGC.
Quelli che…una Compagnia di S-Ventura.
Quelli che…i tiri Mancini.
La Furbata.
Quelli che…il Calcio. Gli Arbitri.
Quelli che…il Calcio. La Finanza.
Quelli che…il Calcio. I Procuratori.
Quelli che…il Calcio. I Tifosi.
Quelli che…il Calcio. I Figli d’Arte.
Quelli che…il Calcio. La Politica.
Quelli che…il calcio. Gli Altri.
Quelli che…il Calcio. Lionel Messi.
INDICE SETTIMA PARTE
SOLITO SPORTOPOLI. LO SPORT COL TRUCCO. (Ho scritto un saggio dedicato)
Quelli che…il Calcio. Le Squadre.
INDICE OTTAVA PARTE
SOLITO SPORTOPOLI. LO SPORT COL TRUCCO. (Ho scritto un saggio dedicato)
Quelli che…il Calcio. Le Squadre.
Il Calcioscommesse.
Quelli che…I Traditori.
Quelli che…Fine hanno fatto.
INDICE NONA PARTE
SOLITO SPORTOPOLI. LO SPORT COL TRUCCO. (Ho scritto un saggio dedicato)
I 10 proprietari più ricchi nello sport.
Quelli che…I Superman.
Quelli che…è andato tutto storto.
Quelli che…la Palla Canestro.
Quelli che…la pallavolo.
Quelli che il Rugby.
Quelli che ti picchiano.
Quelli che…il Tennis.
Quelli che…il pattinaggio.
Quelli che…l’atletica.
Quelli che…i Motori.
Quelli che…la Bicicletta.
Quelli che…gli Sci.
Quelli che…il Nuoto.
Quelli che…la Barca.
Quelli che…l’Ippica.
Quelli che… il Curling.
Il Doping.
LO SPETTACOLO E LO SPORT
QUINTA PARTE
SOLITO SANREMO. (Ho scritto un saggio dedicato)
Sanremo 2024.
La 74esima edizione del Festival. Sanremo 2024, Amadeus annuncia l’addio: “Mio ultimo festival, scelti 27 big su 400 canzoni arrivate”. Redazione su Il Riformista il 3 Dicembre 2023
Foto Matteo Rasero/LaPresse02-02-2022 Sanremo, ItaliaSpettacoloFestival di Sanremo 2022, photocall Amadeus e Lorena CesariniNella foto: AmadeusPhoto Matteo Rasero/LaPresse February 02, 2022 Sanremo, Italy Entertainment Festival di Sanremo 2022, photocall Amadeus and Lorena CesariniIn the photo: Amadeus
“Sarà il mio ultimo Festival” annuncia Amadeus subito dopo aver ufficializzato i nomi di 27 big in gara per la 74esime edizione di Sanremo 2024 in programma dal 6 febbraio. E lo fa in un vero e proprio blitz a ‘Domenica In’, la trasmissione condotta da Mara Venier. “Noi ci vediamo a Sanremo perché se non ci sei tu in prima fila per me non è festival. Poi la domenica, siccome è il mio ultimo festival e non sono mai passato da te la domenica, dopo la serata finale verrò a salutarti nella Domenica In dopo il festival”.
Dopo cinque Festival consecutivi, il celebre conduttore e direttore artistico potrebbe fermarsi anche se i rumors dicono che è molto corteggiato per una prosecuzione alla guida della kermesse. In precedenza aveva annunciato al Tg1 i 27 Big in gara a Sanremo 2024. A chi si preoccupa che l’orario del festival possa dilatarsi troppo con 30 Big in gara, rassicura: “Spero vi piacciono i cantanti e poi vorrei tranquillizzare chi è preoccupato per la fine delle serate troppo tardi con 30 cantanti. L’orario non verrà prolungato perché io non ho superospiti: i miei superospiti sono i cantanti in gara”. Mara Venier chiede lumi su Maninni, l’unico che non conosce e Amadeus spiega: “Io amo scoprire dei giovani e portarli al festival. L’anno scorso lui era tra i giovani, così come Big Mama. Poi quest’anno li ho seguiti, ho ascoltato le canzoni che mi hanno proposto, mi sono piaciute e quindi sono direttamente tra i Big”, sottolinea.
I nomi dei 27 big in gara a Sanremo 2024
Da Fiorella Mannoia ai Negramaro, da Loredana Bertè ad Annalisa, passando per il ritorno di diversi vincitori di passate edizioni come Mahmood, Diodato, Il Volo, Renga ed Emma. dal 6 febbraio prossimo proponendo un cast stellare e pieno di novità. Amedeus ha elencato come promesso un roster ricchissimo, stilato dopo aver modificato all’ultimo minuto il regolamento stesso della rassegna variando da 23 a 27 i Big in gara e portando così gli artisti complessivi sul palco da 26 a 30, comprensivi dei 3 artisti vincitori di Sanremo Giovani Edizione 2023.
Questi i nomi big in gara ‘promossi’ da Amadeus: Fiorella Mannoia, Geolier, Dargen D’Amico, Emma, Fred De Palma, Angelina Mango, La Sad, Diodato, Il Tre, Renga & Nek, Sangiovanni, Alfa, Il Volo, Annalisa, Gazelle, Negramaro, Irama, Rose Villain, Loredana Bertè, The Kolors, Big Mama, Ghali, Annalisa, Mr Rain, Mannini e I Ricchi e Poveri. “Ho ricevuto e ascoltato oltre 400 brani, una quantità enorme di proposte che sottolinea ancora una volta l’appeal del Festival per il mercato discografico. La scelta è sempre difficile, ma, mi auguro di ripetere i risultati delle ultime edizioni che hanno visto per mesi i brani di Sanremo in testa alle classifiche di ascolto e di vendita. Quest’anno più che mai i miei super ospiti sono in gara. Viva Sanremo”, ha commentato al Tg1.
Dopo aver annunciato alla Milano Music Week che Paola&Chiara saranno le conduttrici del Prima Festival (arrivano anche i TikToker Mattia Stanga e Daniele Cabras) e dopo aver scoperto i nomi dei co-conduttori – Marco Mengoni, Giorgia, Teresa Mannino, Lorella Cuccarini e Fiorello, si è dunque entrati ufficialmente nel vivo della gara.
Giovanni Gagliardi per “la Repubblica” - Estratti lunedì 4 dicembre 2023.
Musica per tutti i gusti e per tutti i (buoni) sentimenti. Dal rap al rock, dalla tradizione melodica al cantautorato indie, senza punte estreme di trasgressione. Eccolo il cast del Festival di Sanremo 2024, quinto ed ultimo dell’era Amadeus - o almeno lui così dice - che andrà in scena dal 6 al 10 febbraio.
Come da tradizione, è stato lo stesso conduttore e direttore artistico, impeccabile in smoking, ad annunciarlo al Tg1 delle 13.30. Un cast intergenerazionale, portato in extremis a 27 Big. Altri tre concorrenti saranno selezionati nella finale di Sanremo Giovani il prossimo 19 dicembre. Un totale di 30 artisti, che non dovrebbero — ma, come sempre, il condizionale è d’obbligo — riservare colpi di scena particolari, come le scenografie distrutte nella scorsa edizione da Blanco o il bacio fra Rosa Chemical e Fedez, che ha provocato scandali politici e una quasi crisi coniugale fra i Ferragnez.
E fra debutti e ritorni (più o meno eclatanti) i bookmakers si sono già messi in azione: sul podio, secondo gli allibratori, al momento ci sono Mahmood e i Negramaro, pagati 4 volte la posta, in un testa a testa che vede in piena corsa anche Annalisa, data a cinque.
Il cast disegnato da Amadeus copre tutto il panorama della musica di casa nostra, per un pubblico multigenerazionale: «Ho ricevuto e ascoltato oltre 400 brani, una quantità enorme di proposte», ha raccontato. «La scelta è sempre difficile, ma mi auguro di ripetere i risultati delle ultime edizioni che hanno visto per mesi i brani di Sanremo in testa alle classifiche di ascolto e di vendita».
E allora via fra rap, trap, rock, melodie e cantautorato, con tanto di ritorno di diversi vincitori di passate edizioni come Mahmood, Diodato, Il Volo, Ricchi e poveri, Renga ed Emma. E poi ci sono debutti di lusso: Alessandra Amoroso, il rapper Ghali, il cantautore simbolo dell’indie pop Gazzelle, il rapper Geolier. E ancora: Angelina Mango, la rockband milanese La Sad. E altri rapper, come Il Tre, Rose Villain, Big Mama e Fred De Palma. E poi Alfa, che ha trascorso un’estate ad altissima rotazione radiofonica con Bellissimissima.
E a proposito di tormentoni: all’Ariston ci saranno ci sono anche i The Kolors che hanno sbancato con Italodisco . E tanti altri, a comporre una scaletta molto densa, un melting pot di ritmi e stili musicali che agita e preoccupa Fiorello: «Che Cast! Bravo Ciccetto! Sono felice di andare in onda con VivaRai2 alle 6 del mattino!», ha scherzato su X lo showman, con evidente riferimento al timore che, con una schiera simile di cantanti in gara, le serate del Festival potrebbero allungarsi a dismisura e lui, con il suo programma in diretta da Sanremo su Rai 1, potrebbe andare in onda alle prime luci dell’alba.
Ma su questo Amadeus, che a sorpresa ha fatto la sua apparizione negli studi di Domenica in di Mara Venier ha rassicurato (si fa per dire) tutti: non si sforerà oltre le 2 di notte: «Non avrò superospiti — ha garantito — sono i cantanti in gara i veri superospiti. E poi avrò Fiorello».
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Andrea Silenzi per “la Repubblica” -Estratti lunedì 4 dicembre 2023.
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Amadeus, che aumenta a sorpresa di uno il numero dei partecipanti (e questo dei numeri crescenti è un tema ricorrente che meriterebbe un’analisi a parte), affida la sua fotografia dello spirito del tempo a una pattuglia di artisti sostanzialmente allineati a una visione dell’esistenza magari malinconica, sicuramente sentimentale, a tratti arrabbiata e inquieta ma mai violenta.
Era questo in fondo il tema della vigilia, ma il direttore artistico aveva già preso le distanze dai testi violenti o sessisti. Ha buttato un occhio alle classifiche recenti, chiamando i nomi più cliccati e più amati della scorsa estate (The Kolors, Geolier e Annalisa), ha ripescato le anime più modernamente sentimentali del pop di queste stagioni (due nomi su tutti: Mr. Rain e Sangiovanni) e ha stuzzicato la curiosità dei cacciatori di aneddoti targati Ariston con scelte imprevedibili come Maninni e i La Sad.
Il resto è roba da big, più contemporanei o più “classici”, tutti sufficientemente popolari per montare un grande spettacolo che appassionerà ancora una volta famiglie e gruppi di ascolto, oltre che i media tutti, e nessuno si senta escluso. Già la scenografia, presentata oggi in versione digitale, preannuncia una confezione grandiosa per questo ennesima gara tra giganti: chi va caccia di campioni dovrà solo scegliere la fascia di età a cui rivolgersi, le rappresentanze di epoche diverse non mancano.
Il colpo a sorpresa potrebbe venire da due artiste che, in modo diverso, sparigliano anche a livello di contenuti: Rose Villain, raffinata e internazionale, e Big Mama, forse l’esponente più sincera e più politicamente tosta della scena rap. Non quote rosa, ma quote di intelligenza e talento. Poi c’è Loredana Bertè, che come sempre farà storia a sé. Una che libertà e consapevolezza le insegnava già quaranta e passa anni fa, e tutte hanno preso un po’ da lei. Amadeus lo sa.
Sanremo 2024, i cantanti big in gara: Maninni, Il Tre, Big Mama, Gazzelle. Renato Franco su Il Corriere della Sera domenica 3 dicembre 2023.
Amadeus ha annunciato la lista dei cantanti in gara al Festival di Sanremo 2024. Tra i cantanti: Fiorella Mannoia, Negramaro, i Kolors, Ghali, Annalisa, Emma, Ricchi e Poveri, Dargen D’Amico, Diodato, Irama
Al Tg1 delle 13.30 di domenica 3 dicembre Amadeus ha annunciato la lista dei cantanti big in gara al Festival di Sanremo 2024.
La 74ª edizione del Festival si terrà dal 6 al 10 febbraio.
Chi sono i big in gara
Ecco la lista dei big in gara:
- Fiorella Mannoia
- Geolier
- Dargen D’Amico
- Emma Marrone
- Fred De Palma
- Angelina Mango
- La Sad
- Diodato
- Il Tre
- Renga e Nek
- Sangiovanni
- Alfa
- Il Volo
- Alessandra Amoroso
- Gazzelle
- Negramaro
- Irama
- Rose Villain
- Mahmood
- Loredana Bertè
- The Kolors
- Big Mama
- Ghali
- Annalisa
- Mr Rain
- Maninni
- Ricchi e Poveri
Le scelte dell’alchimista Amadeus
Un cast trasversale, che mescola generi ed età, carriere affermate e altre in partenza, lanciate o tramontate. L’alchimista Amadeus in queste settimane si è chiuso nella sua bolla musicale, ha ascoltato, vagliato, soppesato, tagliato (non troppo) e deciso: alla fine sono 27 i cantanti in gara nel prossimo Festival di Sanremo (a cui andranno aggiunti i 3 che arriveranno da Sanremo Giovani). In totale fanno 30, un record. Il numero massimo nella storia del Festival era stato 28. Ovviamente sempre Amadeus, un anno fa, che quindi oggi batte — ancora una volta — se stesso. Il format è quello collaudato delle ultime stagioni, un po’ di tutto: i nomi che rassicurano il pubblico meno giovane; i volti che catturano l’occhio e soprattutto l’orecchio di adolescenti e ragazzi. Fiorella Mannoia, Loredana Bertè, i Ricchi e Poveri, Renga & Nek (in coppia) rientrano nel novero dei cantanti conosciuti anche dalle generazioni più adulte. Il grosso del gruppo è invece composto da artisti che vengono ascoltati da quel magma di persone che va dai 15 ai 45 anni e che vengono definiti comunque ragazzi: Il Tre, Alfa, Geolier, Angelina Mango, Sangiovanni, Irama, The Kolors, Big Mama, Rose Villain, La Sad, Fred De Palma, Gazzelle, Mr Rain (rappresentanti di generi che spaziano su tutto l’arco musicale, dall’emo al reggaeton, dalla trap al pop). Il Volo fa categoria a sé, ex giovani già da giovani che cantano a un pubblico rimasto fermo a sonorità del passato ma famosi in tutto il mondo. La quota «chi è?» è appannaggio di Maninni (di nome fa Alessio), cantautore barese che ha fatto impennare le ricerche online per capire di chi si trattasse (era nella playlist di Spotify Scuola Indie...). Poi ci sono i grandi colpi (Negramaro e Ghali), gli artisti che hanno una carriera lanciata come Diodato e Mahmood (già vincitori del Festival), Emma e Annalisa. Infine quelli che sono un po’ tra coloro che son sospesi come Dargen D’Amico (ora giudice di X Factor) e Alessandra Amoroso: per lei si tratta di una prima volta.
Candidature senza precedenti
Se Big Mama è la a rapper della body positivity, Amadeus non sembra essere stato guidato nelle sue scelte da ragionamenti «furbi» o di convenienza: le donne sono meno di un terzo (8 su 27), al netto che non sappiamo sul totale delle canzoni arrivate quale fosse la proporzione. «Ho ricevuto e ascoltato oltre 400 brani, una quantità enorme di proposte che sottolinea ancora una volta l’appeal del Festival per il mercato discografico. La scelta è sempre difficile, ma mi auguro di ripetere i risultati delle ultime edizioni che hanno visto per mesi i brani di Sanremo in testa alle classifiche di ascolto e di vendita», la riflessione del conduttore e direttore artistico.
I cinque co-conduttori
Quello che è certo è che si farà tardi, perché un treno di 30 vagoni di canzoni accumula inevitabilmente tempi di percorrenza non indifferente. Fiorello ci ha già scherzato su: «Che cast! Sono felice di andare in onda con VivaRai2! Sanremo alle 6 del mattino». Amadeus però ha cercato di tranquillizzare chi ha la palpebra pesante facile: «L’orario non verrà prolungato semplicemente perché non ho i superospiti: i miei superospiti sono i cantanti in gara». Assicura pure che, spente le luci dell’Ariston, saluterà tutti: «Sarà il mio ultimo Festival». Il cast ormai è definito. Perché mercoledì Amadeus aveva chiuso anche la pratica dei conduttori che saranno al suo fianco nelle cinque serate (dal 6 al 10 febbraio). La giornata di apertura tocca al vincitore dello scorso anno, Marco Mengoni. Quindi tre donne: Giorgia, Teresa Mannino e Lorella Cuccarini nelle serate centrali. Il finale non poteva che essere con Fiorello che in questi quattro anni di Festival lo ha sempre sostenuto: due volte come conduttore, due volte con le sue incursioni, a celebrare un’amicizia che nemmeno il lavoro — spesso fonte di stress e discussioni — è risuscito a mettere mai in discussione.
Chi è Maninni, il cantante tra i big di Sanremo 2024. Da Bari alla conquista dell'Ariston. «Ancora non ci credo». Rosarianna Romano su Il Corriere della Sera domenica 3 dicembre 2023.
Il musicista barese si è avvicinato alla musica sin da piccolo imbracciando la chitarra
«Venticinquesimo cantante in gara tra i Big di Sanremo: Maninni». Ad annunciarlo è Amadeus, leggendo l’elenco dei concorrenti del prossimo festival. Ma chi è questo cantante?
Classe 1997, nato e cresciuto a Bari, Alessio Mininni, in arte Maninni, ama la musica da quando era un bambino: chitarra alla mano e tanti sogni nel cassetto, è cresciuto nel capoluogo pugliese ascoltando i suoi artisti preferiti: dagli U2 agli Oasis, dai Pink Floyd ai Radiohead, passando anche per gli italiani Vasco Rossi, Ligabue, Cesare Cremonini. La musica è la sua ragione di vita e cerca di farsi strada e far conoscere il suo nome nello star system. È per questo che, giovanissimo, prova a farsi conoscere nella scuola di Amici nel 2016.
L'esordio
Dopo questa esperienza, tra vecchie influenze musicali e il suo brillante estro personale, Maninni nel 2017 esordisce con “Parlami di te”. E, nel 2019, arriva “Peggio di ieri”. Resta in silenzio due anni; poi, nel 2021, il primo singolo del suo nuovo progetto discografico è un successo: il brano “Senza” entra nelle playlist di Spotify Scuola indie e New Music Friday. Ma sono tante le canzoni che brillano nelle classifiche: «Vaniglia», per esempio, resiste otto settimane nella playlist di Spotify Scuola indie e supera i 400 mila stream.
Gli ultimi brani e l'exploit
Dello scorso anno, invece, è il singolo “Bari NY”, seguito da “Irene” e da “Caffè”. E poi, con “Mille porte” si guadagna un posto tra gli otto finalisti di Sanremo Giovani lo scorso anno. Insomma, una carriera in salita per il ragazzo barese che, dal palco delle promesse arriva a quello dei Big del festival, selezionato tra oltre 400 proposte. «Non ci posso credere, non riesco neanche a scrivere questa descrizione, ma una cosa posso dirla: andiamo a Sanremo 2024», ha scritto il cantante sul suo profilo Instagram, condividendo la sua gioia con i suoi 66 mila follower.
Estratto da davidemaggio.it
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Tra gli artisti scartati, che non parteciperanno al Festival di Sanremo, c’è Arisa, che poco prima dell’annuncio di Amadeus al TG1 aveva messo una storia con le dita incrociate, che ha prontamente rimosso appena ha scoperto che non rientrava nel cast. Una delusione che è proseguita nelle ore successive: la giurata di The Voice Kids ha postato la frase “E invece me ne frega parecchio“, che sembra riferirsi proprio all’esclusione dalla gara.
Niente da fare nemmeno per Michele Bravi, che ha postato sui social un video in cui, al termine della lista dei big, si faceva consolare da un’amica sulle note di All by myself.
I Jalisse, scartati per il 27esimo anno di seguito dalla vittoria con Fiumi di Parole, hanno invece postato una loro foto sorridenti, con la didascalia: “27 no! Cadi dalla bici, ti sbucci il ginocchio, ti rialzi togliendo la polvere e riparti“. No di Amadeus anche per Ermal Meta, che soltanto qualche giorno fa aveva annunciato a Viva Rai2!, da Fiorello, l’invio di un suo brano per partecipare. Nessuna reazione da parte del cantante, così come ha fatto Marcella Bella, che ha preferito promuovere via social il firmacopie di Etnea, il suo nuovo album.
Atteggiamento elegante anche da parte di Alexia che, pur non essendo stata selezionata, ha abbracciato Amadeus da Fiorello e, intuendo le varie proteste, gli ha detto (come svelato dallo showman siciliano): “Non vorrei essere nei tuoi panni“.
Era nella shortlist, come vi avevamo anticipato ma non ce l’ha fatta, Patty Pravo. Niente da fare nemmeno per Bresh e, pare, Tedua.
Tra gli esclusi, come riportato da Il Messaggero, ci sarebbero poi Al Bano, che avrebbe potuto festeggiare i 40 anni dall’unica vittoria nella kermesse avvenuta nel 1984 con Ci Sarà, Francesco Gabbani, Malika Ayane, Alan Sorrenti con i Calibro 35 e, per finire, gli Zero Assoluto (con un brano scritto da Franco126).
Dagospia giovedì 7 dicembre 2023. Da “Un giorno da Pecora – Radio1”
«La mia canzone più che esclusa non è stata neanche ascoltata. Onestamente un po’ di dispiacere c’è ma ero già stato avvertito da Amadeus mesi prima che mandassi la canzone, però io non mi arrendo mai. Mi spiace per il brano: è dedicato allo Spallanzani. L’idea è stata dello stesso Vaia, (Francesco Vaia, il direttore generale dello Spallanzani, ndr) che ha partecipato alla creazione.
Secondo me Amadeus non ha neanche ascoltato la canzone perché non mi voleva come concorrente visto il grande successo che ho avuto come superospite nel 2023 con Morandi e Ranieri. Però Sanremo, da sempre, è nato come gara, in gara hai l’adrenalina. A fare il superospite mi sono divertito ma la gara è un’altra cosa. E presentare il festival? Non ho L’età». Così Al Bano ai microfoni di Un giorno da pecora, il programma condotto da Geppi Cucciari e Giorgio Lauro su Rai Radio1.
Sanremo 2024, lo sfogo di Povia: “Fatto fuori per non disturbare l'equilibrio ideologico”. Il Tempo il 04 dicembre 2023
Non le manda a dire Povia e, in un’intervista con l’Adnkronos, all’indomani dell’annuncio dei big del Festival di Sanremo 2024 fa alcune considerazioni, confermando di essere stato scartato dal direttore artistico Amadeus: «Certo che ho mandato il brano, lo faccio ogni anno. Io sono pronto per Sanremo da 14 anni, ma Sanremo non è ancora pronto per me e per i miei brani sociali. Quest’anno ho fatto più di 110 concerti e il 2024 sarà simile perché ci sono già tante richieste, quindi il gradimento su di me c’è. Tuttavia viviamo un’era dove si devono ascoltare solo canzoni d’amore magari belle ma innocue da non disturbare l’equilibrio culturale e ideologico di nessuno».
«Nei festival viene perdonato tutto a tutti, mentre a Povia che porta messaggi positivi e sempre con rispetto, no - scandisce il cantautore -. Nei quattro festival a cui ho partecipato ho sempre portato argomenti particolari ma appunto positivi e mai trattati da nessuno e hanno sempre avuto successo proprio perché erano incoraggianti e straordinari in mezzo a tante canzoni ordinarie». Il pubblico, spiega Povia «le ha notate subito e ancora oggi le canta e le richiede come bis. Ho sempre partecipato da solo senza appoggi ed è sempre stato difficile entrare, poi dipende dalla volontà delle persone che lavorano al festival».
Oltre a ciò, «mettici anche che sono un libero battitore, non ho parrocchie e amicizie influenti, non ho potere di scambio, mi autoproduco, non ho mai avuto una major che fa pressioni e neanche la voglio, e infine ho le mie idee e le espongo spesso con canzoni e dichiarazioni quindi capirai... Senza nulla a togliere alle tante canzoni in gara, il ’fattore Povia’, che mi tiene fuori dal festival da quasi 15 anni, non dipende dalla canzone brutta o bella, anche se è più facile far pensare questo», è lo sfogo del cantante. «Sono scelte e le rispetto… Magari ci riprovo il prossimo anno», conclude Povia sorridendo. L’ultima volta che Povia è stato al festival, dopo averlo vinto nel 2006 con ’Vorrei avere il becco’, è stato nel 2009 con il controverso brano ’Luca era gay’.
Jalisse a Sanremo, ancora un altro ‘no’: la coppia esclusa 27 volte dal Festival. A cura della redazione Spettacoli La Repubblica il 3 Dicembre 2023
Quella del 1997, dove ottennero la vittoria, continua a restare la loro unica partecipazione
Ventisette. Tanti sono i 'No' collezionati dai Jalisse per partecipare a Sanremo. Anche l'edizione 2024, infatti, non vede il duo fra i partecipanti, che vinsero il Festival nel 1997 con la canzone Fiumi di parole. A 27 anni di distanza, per Alessandra Drusian e Fabio Ricci, moglie e marito, quella continua a rimanere la loro unica partecipazione nel concorso maggiore. L’anno scorso avevano preso parte a Sanremo Giovani.
Un brano cult
Dal 1997, Fiumi di parole è diventato un brano cult, tanto da diventare nel 2009 protagonista di Ex, il film di Fausto Brizzi nel quale Fabio De Luigi interpreta un fan talmente appassionato dei Jalisse che pur di vederli esibirsi dal vivo inganna la fidanzata e compie un lungo viaggio.
L’isola dei famosi
A nulla sono valsi gli appelli ad Amadeus. E non è servita nemmeno la partecipazione di Fabio e Alessandra al surviving show di Mediaset L'Isola dei famosi. L'anno prima, per i Cugini di campagna il reality aveva ottenuto l'effetto sperato, ma i Jalisse non hanno avuto lo stesso destino. E anche quest'anno, il Festival lo guarderanno dal divano di casa.
Intanto sui social si scatenano i meme sulle possibili reazioni all’ennesima esclusione. Quest’anno le voci si erano fatte più intense che il duo potessero entrare nella lista di Amadeus ma evidentemente erano voci infondate.
Sarà il Festival di Sanremo più innocuo degli ultimi tempi. Dopo le polemiche dello scorso anno, l'annuncio delle co-conduzioni sembra andare in direzione di uno show tutto intrattenimento e poca attualità. E forse è meglio così. Beatrice Dondi su L'Espresso il 30 novembre 2023
Nessuno aveva veramente pensato, dopo le polemiche dello scorso anno, che avevano persino scosso la poltrona di Amadeus, di vedere chissà quali sconvolgenti presenze sul palco dell’Ariston. E la conferma è arrivata dal Tg1 quando il conduttore super star in un annuncio in puro stile hollywoodiano ha svelato i nomi delle co-conduttrici del prossimo Festival di Sanremo. Giorgia, Teresa Mannino e Lorella Cuccarini.
Tre donne che hanno un mestiere forte sulle spalle rigorosamente inserito nel mondo dello spettacolo. E che in quanto tale almeno sulla carta prevede che l’esibizione dedicata non si azzarderà a sconfinare nel monologo di rito e dei relativi rischi di incursioni nell’attualità.
Giorgia, la voce più bella d’Italia, che a Sanremo ha partecipato cinque volte (l'ultima nel 2023 con "Parole dette male") e uno l'ha pure vinto (nel 1995 con "Come Saprei"), è plausibile che si esibirà regalando note del suo mirabile repertorio anziché una dolenza al femminile. Lorella Cuccarini, in qualche modo in quota De Filippi (da diversi anni siede al tavolo dei giudici di "Amici"), è una show girl che tanto ha dato al piccolo schermo tutto. Nella scorsa edizione, quando da ospite nei duetti ha ballato tra le piume "La notte vola" con l’intreccio di mani che ha fatto impazzire telespettatori e platee, ha confermato di essere a tutti gli effetti un’inesauribile fonte di spettacolo puro. E nonostante in un recente passato si sia fregiata dell’etichetta di sovranista dell’ultima ora, ha prontamente ritratto la candidatura tornando a essere inquadrata a buon diritto nella splendida cornice del revival anni Ottanta. E poi Teresa Mannino, una comica eccezionale che non ha mai, nella sua lunga e luminosa carriera, inserito una battuta di satira politica in repertorio. Irresistibile e assai amata, l’attrice siciliana usa la sua potenza addentrandosi nelle differenze tra milanesi e palermitani, nelle scaramucce tra mogli e marito e così via. E portandosi puntualmente a casa ovazioni in forma di risata, ha sempre preferito evitare di convertire il suo talento per smuovere le coscienze.
Quindi, in sintesi, quello che ci si aspetta da questa edizione numero 24 del Festival di Sanremo sarà l’intrattenimento allo stato puro. Si comincia con Mengoni, poi le tre artiste e gran finale con Fiorello a cui toccherà la chiusura, con la proclamazione del vincitore del Festival. A meno che il 3 dicembre quando verranno annunciati i i cantanti non spuntino nomi di ex parlamentari convertiti alla musica, difficile aspettarsi scossoni, polemiche, ire funeste, baci gender, monologhi sul razzismo e altre amenità. E non è detto che sia un male.
Marco Zonetti per Dagospia domenica 3 dicembre 2023.
Angelina Mango, ex allieva di Amici e artefice della hit estiva Ci pensiamo domani, gareggerà nella 74ma edizione del Festival di Sanremo in onda dal 6 al 10 febbraio 2024.
E la sua partecipazione al Festival presenta una peculiarità: Angelina è la terza della sua famiglia a calcare da protagonista il palcoscenico dell'Ariston. La giovane è infatti figlia di Laura Valente, cantante dei Matia Bazar, e del compianto Pino Mango. Quest'ultimo partecipò per ben sette volte al Festival di Sanremo, mentre Valente si esibì all'Ariston sia con i Matia Bazar, sia in coppia con il marito Mango nel 2007 con Chissà se nevica.
Tale peculiarità, tuttavia, non è soltanto appannaggio della famiglia Mango, ma anche del clan Celentano, che ha visto addirittura partecipare a Sanremo tutti i membri del nucleo familiare.
Sia Adriano sia Claudia Mori, vincitori in coppia dell'edizione del 1970 con Chi non lavora non fa l'amore, sia i loro figli Rosita (come presentatrice nel 1989 assieme agli altri figli d'arte Paola Dominguin, Francesco Quinn e Gianmarco Tognazzi), sia Rosalinda nel 1990 e sia Giacomo nel 2002 (questi ultimi come cantanti) hanno infatti partecipato al Festival della Canzone Italiana.
E non è finita: a Sanremo partecipò anche il nipote di Adriano, ovvero Gino Santercole, che nel 1966 a fianco dell'illustre zio si presentò con la canzone Il ragazzo della Via Gluck.
E che dire della famiglia Morandi? Gianni vi ha regnato sovrano sia come cantante (per sette volte, vincendolo nel 2007 in trio con Enrico Ruggeri e Umberto Tozzi) sia varie volte come ospite e co-conduttore. Ma la kermesse canora ha visto anche protagonista l'ex moglie Laura Efrikian, che presentò il Festival nel 1962, e il loro figlio Marco Morandi che vi partecipò per due volte come cantante in seno ai Percentonetto nel 1998 e, come solista, nel 2002, lo stesso anno di Giacomo Celentano.
E il buon Gianni e la ex moglie Laura hanno visto partecipare al Festival di Sanremo non solo il figlio Marco, ma anche il nipote Paolo. Oltre a Marco, infatti, Gianni Morandi e Laura Efrikian hanno un'altra figlia, Marianna Morandi, madre di Paolo Antonacci, che ha partecipato alla kermesse canora nel 2022 come autore della canzone di Tananai, Sesso Occasionale. Brano che quell'anno gareggiava proprio contro quello dell'illustre nonno, Apri tutte le porte.
Sanremo. Sociologia di un festival.
Sanremo, la Rai multata dall’Agcom per pubblicità occulta a Instagram. Richiamo per l’esibizione di Blanco. Il Domani il 15 giugno 2023
«Le violazioni accertate», si legge in una nota, «riguardano cinque episodi di mancata indicazione dell'inserimento di messaggi pubblicitari e il caso della pubblicità occulta del social network Instagram e del profilo del conduttore Amadeus»
Ricordate la scena dell’ultimo Sanremo, con Amadeus che accetta di aprire un suo profilo su Instagram, seguendo l’invito di Chiara Ferragni? Secondo l’Agcom, la Rai così ha fatto pubblicità occulta al social network e al profilo personale del conduttore (che teoricamente potrebbe sfruttare tanta visibilità e il ritorno in termini di “follower”).
Lo ha sancito l’agenzia, giovedì, in una riunione della Commissione per i servizi e i prodotti. La stessa commissione ha poi deciso di richiamare la Rai per l’esibizione di Blanco: il cantante aveva preso a calci la scenografia, a causa dei problemi audio.
LA MULTA
In una nota, la commissione ha spiegato che per la pubblicità occulta la Rai è stata multata per più di 170mila euro, con un solo voto contrario, «per la violazione delle disposizioni relative alla corretta segnalazione dei messaggi pubblicitari durante il "73mo festival della canzone italiana di Sanremo"».
«Le violazioni accertate», si legge ancora nella nota, «riguardano cinque episodi di mancata indicazione dell'inserimento di messaggi pubblicitari e il caso della pubblicità occulta del social network Instagram e del profilo del conduttore Amadeus».
Egidio Lorito su Panorama l’08 Febbraio 2023.
Come e perché la kermesse sonora, giunta alla 73esima edizione, non conosce i segni della crisi. Parola di studiosi
Ci siamo, anzi ci risiamo. Parte il Festival di Sanremo e per una settimana l’Italia tutta sarà attratta dall’immarcescibile tubo catodico firmato Rai Uno -con il sempre più invasivo corredo social-mediale- a seguire le gesta della musica nostrana: discuteremo di quel testo, di quell’abito di scena, di una battuta poco felice ma, alla fine, ciò che conta è esserci stati, aver iscritto il proprio nome nella lista delle canzoni partecipanti. E cosa vuoi che sia sfiorare l’ultimo posto (chiedetelo a Vasco Rossi di Colpa di Alfredo e Vita spericolata) se poi proprio dalla Riviera dei Fiori parte una carriera sfolgorante. Di sicuro c’è che il Festival fa parte della storia del costume italico, profondamente mutato nell’ultimo settantennio: modernizzazione tumultuosa e crisi politico-economiche hanno accompagnato un Paese da sempre maledettamente diviso su ricostruzione e boom, crisi energetiche e contestazioni, terrorismo e mafia, politica ballerina e rigurgiti anarchici. Ma il Festival per antonomasia ha letteralmente accompagnato il faticoso cammino della nostra Italia, in cui politica, giornalismo, editoria, radio, televisione e social media continuano a plasmare la società: senza dimenticare, almeno una settimana all’anno, la musica. Canzoni o canzonette, testi impegnati o versi scanzonati spiccheranno il volo dalla Riviera ligure, le cui amenità paesaggistiche hanno imparato a fare coppia, nel tempo, con lo spazio culturale che l’appuntamento è riuscito a conquistarsi. Anche con l’immancabile spietata analisi sociologica, tanto da spingere Pier Paolo Pasolini a definire “Il Festival di Sanremo e le sue canzonette (sono) qualcosa che deturpa irrimediabilmente un società (…)”. Altri tempi, altre analisi. Ne siamo sicuri? Panorama.it ha chiesto aiuto a Ercole Parini, sociologo che si occupa dei fenomeni mediali e a Massimo Scaglioni, storico dei media, per cercare di capire perché, tra le incertezze del nostro tempo, il Festival di Sanremo resiste indomito. Al passaggio del tempo, ovviamente…. Professor Parini, “Sanremo è Sanremo”… «Sempre: un’istituzione nazionale che segna un raccordo tra diverse generazioni, capace di cambiare pelle come è cambiata la nostra società, garantendone una sorta di continuità, in particolare tra le generazioni più giovani. In più la kermesse ha contribuito a costruire la memoria, la fisionomia culturale di questo Paese». Una rassegna diventata lo specchio della nostra società, ben oltre la semplice esibizione canora. «La musica c’è, è importante, anche se a fasi alterne. Il drammatico episodio del suicidio di Luigi Tenco, nel 1967, dimostra come, al di là del dato prettamente canoro, questa vetrina canora rappresenti ancora quel grande contenitore medial-culturale capace di assemblare accadimenti ed azioni non direttamente riconducibili alle note musicali. E’ anche un momento per tastare il polso del Paese su temi diversi da quelli musicali. La società italiana non può certamente rimanere sullo sfondo di questo evento». E’ compito dei sociologi indagare in questo senso… «Sanremo si presta all’indagine sociale su come la società italiana si sia rapportata al Festival nei vari anni, quelli della contestazione e quelli del riflusso, quelli dell’avvento della televisione e quelli dell’esplosione dei social media. Si tratta di comprendere la stessa evoluzione del fenomeno musicale in rapporto alle mode e ai gusti sociali, perché -alla fine- tutti finiscono per sbirciare il Festival con diverse modulazioni». Sull’appuntamento canoro sembra focalizzarsi la teoria dei media come agenti della socializzazione. «Il Festival stesso è diventato elemento socializzante. Registro la pratica degli adolescenti che usano ritrovarsi in casa per assistere insieme alle serate canore. Ebbene, il dato è estremamente fecondo per noi studiosi sociali, perché dimostra come la generazione che definisce la propria identità prevalentemente sui social media si ritrovi compatta oggi per Sanremo molto più di quanto non capitasse alla nostra generazione, che mostrava qualche atteggiamento più snob». Il Festival come collante generazionale, allora. «Oltre ad essere intergenerazionale e transgenerazionale, l’appuntamento festivaliero sembra aver assunto proprio la caratteristica di omogeneizzare la nuova generazione, che vive il Festival come un rito, molto più di come l’abbiamo vissuta noi poco più che cinquantenni».
Professor Scaglioni, ci definisca il Festival di Sanremo!
«Senza ombra di dubbio l’evento mediale per antonomasia della televisione italiana. Non solo in termini numerici, come programma più seguito dell’anno, ma anche come capacità di mettersi in connessione col “sentire” del Paese. Lo scorso anno si è superata la soglia dei 13 milioni di spettatori medi, con una share elevatissima, e quest’anno credo che saremo su livelli analoghi (se non superiori almeno per quanto riguarda la share)».
Evento mediale in che senso?
«Si tratta di un’espressione teorica coniata dagli studiosi dei media (in particolare nel famoso testo di Daniel Dayan ed Elihu Katz) per eventi di grande rilevanza per una comunità nazionale, anche in grado di “celebrare” valori comuni, non fosse altro il senso di condividere un grande rituale condiviso. Nel caso di Sanremo la musica è indubbiamente l’ingrediente portante, ma con esso si mescolano costume, moda, politica, attualità…».
Il Festival, nel tempo è divenuto un contenitore, in pratica…
«Sarebbero tali e tanti gli esempi dei casi “politici” in senso largo da ricordare che faremmo fatica a sottolineare come spesso la musica rappresenti un punto di partenza e un ingrediente di un evento mediale».
A proposito, il caso della partecipazione del presidente ucraino Zelensky sembrava andare in questa direzione…
«La partecipazione di Zelensky sarebbe stata sorta di evento mediale nell’evento mediale: certamente uno dei momenti più seguiti e attesi. La scelta poi di fare marcia indietro sulla presenza di Zelensky ha generato confusione, e la scelta della lettera da leggere ha del tutto depotenziato il suo valore». E’ per questo che un appuntamento come Sanremo è destinato a non andare mai in crisi? «Per la sua capacità di rappresentare, anche solo per una settimana, i temi portanti della comunità nazionale: dalla musica all’attualità, dalla moda alla cultura. E’ come un grande contenitore di tante cose, non solo di canzonette, come qualcuno ha detto. Dunque anche un momento per ricordare una guerra nel cuore dell’Europa».
Ercole Giap Parini, calabro-milanese, classe 1968, è professore ordinario di Sociologia generale e direttore del Dipartimento di Scienze politiche e sociali della Università della Calabria, dove insegna, tra l’altro, Sociologia e ricerca sociale presso il corso di laurea in Media e società digitale. Studioso del rapporto tra letteratura e strumenti di comunicazione, ha in uscita con i colleghi Olimpia Affuso e Alfonso Amendola “L’odore della vita. Pier Paolo Pasolini. L’opera, la conoscenza, l’impegno pubblico”. Massimo Scaglioni, milanese, classe 1974, è professore ordinario presso la Facoltà di Scienze Linguistiche e Letterature Straniere dove insegna Storia dei media ed Economia e marketing dei media e delle industrie creative nell’Università cattolica di Milano. Direttore del CeRTA (Centro di ricerche sulla televisione e gli audiovisivi), ha di recente pubblicato “Total tv. Intrattenimento, fiction, informazione e sport frabroadcasting e streaming”, Milano 2022.
Non sono solo canzonette. Storia di Alessandro D’Avenia su Il Corriere della Sera il 12 febbraio 2023.
Festival è l’antico termine francese che indicava un evento sacro e popolare, arricchito da musica e danze. Nasceva dal bisogno di interrompere la fatica del lavoro quotidiano e condividerne i frutti. Dettata dal calendario liturgico e dai ritmi stagionali di terra e cielo, la festa dava senso agli altri giorni: riposare e gioire insieme del lavoro fatto, con musica e danza che sono i simboli umani della libertà dalle necessità dei giorni feriali. I Greci interrompevano anche le guerre per i loro festival. La città pagava il biglietto a tutti, anche ai più poveri, perché potessero partecipare a ciò che permetteva di riposare e di esistere come comunità. La polis, città in greco, da cui «politica», non era un contenitore di corpi, ma un progetto di vita da creare insieme: un’armonia che tutti erano chiamati a realizzare, per andare oltre il mero stato di necessità e vincere un po’ la morte. Il tutto si è poi trasferito nelle feste liturgiche cristiane, qualcosa rimane nei nostri sabati del villaggio, ma nel «villaggio globale» tutto questo accade in tv. Nella cultura secolare e nella società di massa ciò che crea comunità si è trasferito sullo schermo. Il Festival della canzone è infatti un’occasione (un’altra è la Nazionale di calcio) per riposare e rifondarsi come comunità. Ci basta? Funziona?
Per l’evento, famiglie, amici e parenti si radunano in soggiorno e, se non è possibile, in chat. Si commenta, si danno voti, si demolisce, si osanna, in perfetto stile tribale social. Ma da dove viene questo potere unificante? È un rito culturale: riscopriamo la nostra lingua che, con le sue vocali finali e il suo ritmo, è fatta per il canto. È un rito sociale: riesce a unire, come la Nazionale, tutte le generazioni, da Mattarella a Madame. È un rito religioso, dal testo sacro della Costituzione alle omelie nei monologhi, un rito che ha per fortuna anche le sue «eresie»: la profanazione dei Fiori simbolo del festival è stata interpretata dai ministranti come un sacrilegio, ed era invece l’istintivo smascheramento dell’ipocrisia (ipocrita in greco era l’attore), per ricordarsi che è solo una messa in scena, la verità è altro. È un rito politico, con i suoi voti: nei festival antichi l’autore vinceva raccontando Antigone, Prometeo o Alcesti, miti in cui il popolo si riconosceva e grazie ai quali si interrogava sul senso della vita. E i nostri quali sono? Quest’anno si è cantato quasi solo del mito dell’Amore, in tutte le sue declinazioni (famiglia, coppia, amicizia): relazioni spezzate, finte, stanche, tradite, finite, ma anche riparate... Ogni comunità si unisce per curare le sue ferite e in un Paese dalle relazioni (col corpo, con se stessi, con gli altri, con le cose) fragili e frantumate si è levato un canto piuttosto lugubre, una lunga malinconica preghiera perché l’amore torni a darci gioia e non solo fallimenti. La parola (anche quella dei monologhi) non sempre è riuscita a in-carnarsi (farsi carne) e in-cantarsi (farsi canto), ed è suonata a volte artificiosa, in questi casi la musica è diventata un pre-testo, ma è il rischio che l’arte corre quando entra in tv. Ci sono stati però anche momenti in cui gli artisti sono riusciti a tradurre il loro incontro, doloroso o meravigliato, con la realtà, in note originali sgorgate dalla fonte da cui nasce ogni autentico gesto creativo: la vita spirituale, che, comune all’umano di ogni latitudine, è ciò che unisce veramente le persone. La si riconosce quando, ascoltando un pezzo, qualcosa in noi si trasforma, la pelle d’oca lo manifesta, come fa la bellezza se non è un cartonato della vita, una comunicazione senza comunione, un incantesimo senza incanto. Forse è un po’ inevitabile a causa del sistema che mette in competizione e in discussione l’ispirazione artistica: Tenco si è tolto la vita anche per questo, proprio a Sanremo, e del potere della tv di svuotare i linguaggi e falsificare i bisogni della gente ha detto tutto Pasolini negli stessi anni. Comunque sia noi di Sanremo abbiamo bisogno perché è San Remo: se manca il patrono un Paese non esiste, manca ciò che unisce gli uomini, il sacro, cioè, fuor di metafora, ciò che riceviamo dal passato e con cui dobbiamo fare i conti per rinnovarci. Che cosa fonda la nostra comunità e ci fa appartenere a questo Paese tanto da volerlo custodire e far crescere insieme? In un tempo in cui, individualisticamente slegati, ci sembra di non appartenere a nulla e nessuno, abbiamo ancor più bisogno di simboli (parola che significa «unire ciò che è separato»). Quali sono i nostri? Lo sport e le canzoni, in tv. È sempre più difficile trovare unità e gioia negli spazi dove la vita si svolge ogni giorno (città, scuola, cultura...) e non appartenere soltanto a supermercati, piattaforme streaming o social. Sarebbe bello fare città, civitas, comunità e civiltà, in posti in cui ci si trattiene e non solo ci si intrattiene, in cui si costruisce e non solo si consuma. Ma se ci uniamo per qualche sera, disposti a tardare davanti al teleschermo pur lavorando l’indomani, è perché ne abbiamo bisogno, o almeno ne ha avuto bisogno un italiano su sei, gli altri cinque cercano altrove. Ma, quando lo spettacolo è finito, quell’italiano aveva più vita o più sonno? Torna a lavorare, come dice amaramente la canzone dei miei conterranei, «per non stare» con chi ama, o invece ha ricevuto energie nuove per amare meglio chi ha accanto? Abbiamo fatto comunità o solo ascolti? Comunque sia ci aggrappiamo ancora all’arte per sapere se c’è un altro mondo, bello e unito, a cui appartenere, un mondo ancora da fare e in cui si può ancora cantare insieme per spostare la morte più in là.
Sanremo non sono solo canzonette. Lo dicono le neuroscienze. Lorenzo Dornetti su Panorama il 12 Febbraio 2023.
Le neuroscienze dimostrano che la musica ha impatto su molti aspetti della vita quotidiana ed è per questo che ce ne innamoriamo
Le neuroscienze hanno dimostrato l’impatto della musica sulle performance sportive, mentali e persino nel guidare i comportamenti d’acquisto. Iniziamo dallo sport. Nel solo 2020, 139 esperimenti hanno dimostrato che ascoltare musica durante l’attività sportiva cambia la fisiologia, migliorando ossigenazione e resistenza alla fatica. Per questo molti atleti ascoltano musica durante le sessioni di allenamento più intense, per prepararsi al meglio in vista di una gara. Anche i testi hanno importanza, canzoni che contengono parole riguardanti il movimento o affermazioni motivazionali attivano la corteccia prefrontale che è la parte di cervello che determina gli schemi motori. Per questo è vietato ascoltare musica durante maratone ed altre gare agonistiche, è considerata “doping mentale”. La musica ha un impatto sulle performance mentali. Nel 2005 venne realizzato un esperimento passato alla storia della psicologia come “effetto Vivaldi” , anche se lo stesso risultato si è raggiunto con molti compositori. Le persone quando ascoltano canzoni rispetto a quando nella stanza è presente rumore bianco, una specie di suono senza ritmo e melodia, realizzano prestazioni mentali migliori. Quando ci sono note nell’aria si ricorda meglio una lista, si è più veloci nella contabilità mentale e nel recuperare parole specifiche. Cosa si nasconde dietro questa influenza della musica sul cervello? I ricercatori hanno dimostrato che dipende dal tono dell’umore, alcuni generi musicali alzano lo stato emotivo trascinando un miglioramento nelle prove di memoria e concentrazione. Funziona con tutti? Se fosse così, perché non avere una filodiffusione di musica in scuole e uffici? Gli effetti sono molto soggettivi. Le persone distraibili tendono a funzionare meno bene quando c’è musica nell’aria. Al contrario, le persone brave a concentrarsi traggono il massimo dall’effetto Vivaldi. Per la maggioranza delle persone, si può affermare scientificamente che la musica fa funzionare meglio il cervello nelle sue attività complesse. La musica influenza inconsapevolmente anche i nostri comportamenti di acquisto. I BPM (battiti per minuto) della colonna sonora di sottofondo determinano il movimento dei clienti in un negozio o in un ristorante, determinando il tempo di permanenza. Canzoni sopra i 100 BPM, quindi con ritmi sostenuti, tendono a far muovere i clienti rapidamente e realizzare acquisti e modalità di consumo rapide. Musiche sotto i 100 BPM, caratterizzate da una maggiore lentezza, si associano a clienti più tranquilli e tempi di permanenza più dilatati. I brand scelgono la musica in funzione dell’esperienza che vogliono far vivere ai loro clienti. È come se il movimento d’acquisto si allineasse al sottofondo musicale. Le neuroscienze dimostrano che la musica ha impatto in molti aspetti della vita quotidiana. Mina aveva intuito tutto: «la musica, bella o brutta, seria o ignorante non ti abbandona. È il rumore dell’anima. E ti si attacca alla pelle e al cuore per non lasciarti più».
Se il Festival di Sanremo parla a ciascuno di noi. Quest’anno come non si sente che qualcosa è cambiato, che il mito ha voltato pagina e ben poco di sacro è rimasto. Erica Mou su La Gazzetta del mezzogiorno il 12 Febbraio 2023.
Più che un programma televisivo è un rito, più che una gara canora è lo specchio del momento in cui ci troviamo. Sanremo divide sempre ma unisce da sempre. E così oltre le canzoni, gli artisti in gara, gli abiti, i monologhi, i conduttori, quello che si brama per tutta la settimana è una bella polemica che possa consentirci di schieraci l’uno contro l’altro la mattina seguente al bar o istantaneamente commentando sui social.
Scrivo questo articolo quando ancora non so come è andata la finale e chi ha vinto la gara, e ora che lo state leggendo siete senza dubbio voi i più aggiornati sui fatti e sapete in che stanza di albergo il Leone rampante poggiato alla Palma sta dormendo.
In gara ci sono canzoni che mi piacciono, alcune che non capisco, voci stupende e miti della mia infanzia. E, da cantautrice, mi si riempie il cuore a pensare che per una settimana in Italia si parli di canzoni, che le si vivisezioni sui tavoli delle nostre cucine, che si tifi per loro imparandole già a memoria. Ma quest’anno come non mai sento che qualcosa è cambiato, che il mito ha voltato pagina e che ben poco di sacro è rimasto oltre la palpabile emozione degli artisti in gara che comunque hanno, quasi tutti, usato il palco anche per le community del Fantasanremo, come ad esempio con i «cinque» battuti a Morandi, che nella gara parallela portano bonus ai cantanti.
E quanti di noi hanno visto il Festival con il telefono in mano ad aspettare che ogni abito piallettato, ogni espressione, ogni difetto si trasformasse in un meme da ricondividere?
È come se Sanremo avesse paura di essere serio e non credo sia un caso che una delle frasi che abbiamo più ascoltato pronunciata dai cantanti sia stata «mi sono divertito/a», sente il dovere di sdrammatizzare su ogni scala scesa con difficoltà, di «buttarla in caciara» come dicono a Roma, però poi vuole essere serioso nel racconto di sentimenti buoni. La leggerezza e la serietà devono essere per forza dissonanti? Questo, oltre le incursioni pubblicitarie in ogni singolo dettaglio, è ciò che quest’anno mi ha colpito con forza. Perché, come sempre, il Festival parla di noi, è la voce del nostro tempo e, per questo, lo amiamo.
La vera Italia non è quella raccontata a Sanremo. Andrea Soglio su Panorama il 12 Febbraio 2023.
Per 5 giorni sul palco dell'Ariston è stato presentato un paese più vicino ad un regime opprimente che ad una nazione moderna. Colpa di personaggi alla ricerca solo di visibilità che vivono in un mondo a parte
Mentre l’eco delle canzoni va spegnendosi quello che resta, a volume sempre più alto, sono le polemiche politiche per tutto quanto successo al festival di Sanremo. I fatti li conoscete tutti: in prima fila ovviamente Fedez, di certo non nuovo a uscite politiche. Un conto però è farlo sui suoi social, altro invece è utilizzare il palco dell’Ariston, cioè il massimo della visibilità del servizio pubblico che, andrebbe ricordato al rapper, è di tutti, non solo di coloro che la pensano come lui. E su questo i vertici della Rai dovrebbero quantomeno fare delle riflessioni per evitare certe esagerazioni in futuro. Ma andando oltre alle foto di viceministri strappate, agli inviti alla liberalizzazione ed al consumo della cannabis e agli atti sessuali sul palco che fanno arrabbiare la moglie c’è una cosa che non torna dopo queste 5 serate di Festival. A sentire le parole, le dichiarazioni degli ospiti, dei cantanti e delle co-conduttrici saremmo un paese pieno di difetti e problemi. Un paese dove per le donne è difficile fare carriera (Chiara Ferragni); un paese «razzista» (Paola Egonu); un paese dove una madre spererebbe di non avere figli gay «perché avrebbero una vita difficile» (Chiara Francini); un paese dove non esistono libertà sessuali (chiedere a Rosa Chemical); un paese dove sono a rischio le sue stesse fondamenta, la Costituzione (Roberto Benigni). Insomma, siamo in un brutto paese, soffocato da un brutale regime. E, nessuno lo dice ma quello che ne traspare in maniera silenziosa è molto chiara, ovviamente siamo un brutto paese perché siamo governati da un esecutivo di destra. Tutto questo nella settimana di due fondamentali elezioni regionali dove la sinistra parte sfavorita. A tutti coloro che hanno evidenziato i mali ed i difetti, senza evidenziare un pregio che sia uno del Belpaese, si potrebbe ricordare che la sinistra, per cui loro tifano, per cui lavorano, per cui parteggiano, è stata al governo per molto più tempo negli ultimi 30 anni rispetto alla destra e la in Italia le cose vanno davvero così male forse la responsabilità è dei loro politici, quelli che dovrebbero difendere soprattutto quelle da sempre presentate come le loro battaglie. La realtà, semplice, è che non è così. L’Italia non è questa. Chiara Ferragni dovrebbe capire da sola come le donne stanno raggiungendo la parità a grandi passi; basterebbe ricordare alla Regina dei social che a Palazzo Chigi da pochi mesi per la prima volta nella storia della repubblica siede una donna. E, non è un caso, ce l’ha messa la destra, non la sinistra. Paola Egonu dovrebbe capire da sola che in un paese razzista una ragazza di colore non salirebbe sul principale palco della tv pubblica e non sarebbe portabandiera olimpica del suo paese. Chiara Francini dovrebbe capire che una madre, ed un padre, non fanno mai distinzioni pre parto. L’amore per il figlio o figlia sarà totale, a prescindere da tutto quello che succederà prima e dopo. L’amore di due genitori va oltre ogni paura. Roberto Benigni capirà che il Presidenzialismo non significa portare il paese in chissà quale regime, ma solo modernizzarlo, proteggendolo dai mille giochetti della politica e rendendolo addirittura più democratico di quanto sia oggi. Fossimo nel centrodestra eviteremmo voci grosse e proteste ufficiali contro i vertici Rai. Non cadremmo in quella che rischia di essere una trappola. Il silenzio, oggi, è la mossa migliore contro chi è alla ricerca (giocando con i diritti di tutti) solo di visibilità. Persone brave a dipingere l’Italia come un paese nelle mani di chissà quale regime ma che dovrebbero spiegarci cosa sia l’Iran, la Russia, la Cina.
La Selezione…truccata.
La selezione. Report Rai PUNTATA DEL 22/05/2023 di Emanuele Bellano
Collaborazione di Greta Orsi
Come si accederebbe veramente a Sanremo?
Il Festival di Sanremo consente ogni anno a otto giovani cantanti di accedere al palco dell'Ariston e di cantare in diretta TV davanti a milioni di spettatori in tutto il mondo. La selezione degli otto talenti avviene attraverso due strade: una organizzata direttamente dalla commissione RAI, l'altra attraverso un concorso chiamato Area Sanremo organizzato dal comune di Sanremo. Come rivela uno dei giudici che hanno fatto parte più volte della commissione giudicatrice di Area Sanremo, le pressioni sui giudici e sull'organizzazione sono molto forti e sarebbero finite anche in tentativi di corruzione. Nel 2014 di fronte all'esclusione dalla fase finale, due concorrenti di Area Sanremo fanno accesso agli atti e scoprono che la loro esclusione è anomala e che ci sarebbero state circostanze oscure nella selezione dei finalisti.
LA SELEZIONE di Emanuele Bellano Collaborazione di Greta Orsi Immagini di Giovanni De Faveri Ricerca immagini di Paola Gottardi AMADEUS Vince Sanremo giovani 2022, con “La città che odi”, Gianmaria!
EMANUELE BELLANO Qual è il percorso per arrivare al Festival di Sanremo per i giovani?
MICHELE MARAGLINO – PROMOTER MUSICALE Un musicista emergente può giocarsi la strada Sanremo attraverso due concorsi, uno è Sanremo Giovani gli altri vengono scelti da un altro concorso che si chiama Area Sanremo.
EMANUELE BELLANO FUORI CAMPO I giovani selezionati con questi concorsi partecipano al Festival di Sanremo in gara con i big. Per partecipare ad Area Sanremo è sufficiente avere meno di 30 anni e una canzone inedita da proporre.
LIVIO EMANUELI – PRESIDENTE AREA SANREMO 2019-2020 Diciamo che noi in questo ambito possiamo essere definiti come una costola di Rai, li aiutiamo a selezionare dei ragazzi attraverso un percorso alternativo completamente diverso da quello che si segue con Sanremo giovani.
EMANUELE BELLANO FUORI CAMPO Ogni anno la Rai acquisisce dal Comune di Sanremo i diritti del Festival per circa 5 milioni di euro. In cambio il Comune organizza le manifestazioni necessarie allo svolgimento dell'evento. Tra queste c’è Area Sanremo. L’Ex discografico Franco Zanetti è uno dei maggiori esperti di rock in Italia e ha fatto parte della giuria di Area Sanremo per quattro volte e, per la prima volta, racconta le pressioni che ha subito.
FRANCO ZANETTI – EX COMPONENTE COMMISSIONE AREA SANREMO Beh, io ho ricevuto un'offerta esplicita, credo fosse il 2007 o il 2008. Uscendo dal luogo in cui si svolgevano le selezioni, mi si è avvicinata una persona mi ha detto ma quell'automobile li, quella sulla quale sta per salire, non è un po' una brutta automobile per uno che ha il suo ruolo, non le piacerebbe avere un'automobile nuova? Ho detto, si mi piacerebbe ma non ne ho bisogno. No, perché sa se lei tenesse d'occhio un ragazzo che volevo segnalarle potrebbe cambiare l'automobile prima di tornare a Milano. Io sono tornato a Milano con la mia automobile di prima che ho avuto ancora per qualche anno… EMANUELE BELLANO È stato proposto un bene in cambio di
FRANCO ZANETTI – EX COMPONENTE COMMISSIONE AREA SANREMO Mi è stato proposto un bene in cambio di un favore sì.
EMANUELE BELLANO Cioè di far passare un concorrente
FRANCO ZANETTI – EX COMPONENTE COMMISSIONE AREA SANREMO Si
EMANUELE BELLANO FUORI CAMPO Nel 2015 quando Franco Zanetti torna ad Area Sanremo la situazione che trova è la stessa.
FRANCO ZANETTI – EX MEMBRO COMMISSIONE AREA SANREMO Io ero un giurato, uno dei componenti della Commissione.
EMANUELE BELLANO Lei aveva ricevuto delle pressioni, delle raccomandazioni, delle telefonate?
FRANCO ZANETTI – EX MEMBRO COMMISSIONE AREA SANREMO Telefonate, telefonate di segnalazione, telefonate di raccomandazione.
EMANUELE BELLANO Da quali soggetti arrivano queste pressioni?
FRANCO ZANETTI – EX MEMBRO COMMISSIONE AREA SANREMO Arrivano da persone che ti conoscono perché sono i produttori, perché sono gli autori, perché sono i discografici.
EMANUELE BELLANO Risulta che ci siano pressioni, raccomandazioni sulla giuria e su chi deve selezionare i concorrenti?
ALBERTO BIANCHERI – SINDACO DI SANREMO (IM) Io sono sorpreso e sicuramente se fosse così, se questa è la realtà che non la metto in dubbio però io vado in Procura, faccio un esposto, vado alla Guardia di Finanza, mi tutelo perché sono cose molto gravi.
SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO E infatti alla fine qualcuno è andato in procura. E allora, se qualche giovane cantante accarezza il sogno di salire sul palco dell’Ariston ha due strade: una è quella di partecipare a Sanremo Giovani che è quello organizzato direttamente dalla Rai, l’altro è quella di partecipare ad Area Sanremo, che è organizzata dal Comune di Sanremo, per conto della Rai. Partecipano alla selezione dai 400 ai 900 ragazzi cantanti da tutte le parti d’ Italia. Ora a prescindere dalle dichiarazioni di Zanetti, che è stato membro della commissione giudicante più volte, anche nel ruolo di presidente della commissione, della giuria, Zanetti è massimo esperto in Italia di Beatles e insomma, a prescindere da tutto questo, nel 2014 qualcosa di anomalo deve essere accaduto se si è mossa la procura di Imperia. Che cosa è successo? Che ci è stata una selezione di cantanti che dovevano accedere alle finali, ch’avevano due giovani, Michelangelo Giordano e Aurora Pacchi, fanno la loro prova, ricevono commenti bellissimi, dei voti altissimi, tuttavia vengono esclusi. Che cosa è successo? Il nostro Emanuele Bellano
INVIATA Che cosa significherebbe per te salire sul palco dell'Ariston?
CANTANTE La realizzazione di un grande sogno.
CANTANTE L'inizio di una di una carriera importante.
EMANUELE BELLANO FUORI CAMPO Seguito dal Sud America al Giappone, con decine di milioni di telespettatori ogni sera, il Festival di Sanremo è la vetrina perfetta per chi sogna di diventare una stella della musica italiana e iscriversi ad Area Sanremo è il modo per provare ad arrivarci.
ALBERTO BIANCHERI – SINDACO SANREMO (IM) Sino al 2014, il Comune di Sanremo dava un finanziamento, dal 2015 non sono stati più dati contributi e si è sempre mantenuto con le quote di iscrizione dei ragazzi. Dal 2016 mi pare è stato praticamente finanziato dallo sponsor.
EMANUELE BELLANO FUORI CAMPO Nel 2014 il Comune finanzia Area Sanremo con 65 mila euro altri 100 mila provengono dalle quote dei concorrenti che pagano un'iscrizione di circa 350 euro a testa. La prima prova seleziona 40 finalisti tra i 380 concorrenti iniziali e consiste in un'esibizione dal vivo.
AURORA PACCHI – CANTANTE Naturalmente porte chiuse, roba super segreta, questo brano non si doveva assolutamente sentire né pubblicare. Quindi insomma una cosa seria.
EMANUELE BELLANO FUORI CAMPO La Giuria di area Sanremo era composta da cantanti di primissimo piano della musica italiana.
MICHELANGELO GIORDANO - CANTANTE Quell'anno lì era formata dal noto cantante dei Pooh, Roby Facchinetti, che era presidente di commissione, dalla cantante Giusy Ferreri e dal rapper Dargen D'Amico. Durante l'audizione era presente anche il direttore responsabile di Commissione, il giornalista Paolo Giordano.
ROBY FACCHINETTI – TASTIERISTA E VOCE DEI POOH Sentiamo molto forte questa responsabilità. Fra l'altro questa mattina che è stata la prima, un primo ascolto, devo dire che ci sono due tre personaggi, abbiamo ascoltato due tre personaggi estremamente interessanti.
EMANUELE BELLANO FUORI CAMPO Le audizioni a porte chiuse dei concorrenti vanno avanti per tre giorni e a ogni cantante i giudici attribuiscono una votazione segreta.
AURORA PACCHI – CANTANTE I commenti furono molto positivi, la presenza scenica, ah poi finalmente un curriculum di una persona che ha studiato, insomma tanti complimenti che…
EMANUELE BELLANO Da parte della Commissione?
AURORA PACCHI – CANTANTE Da parte la Commissione, soprattutto da parte di Facchinetti.
MICHELANGELO GIORDANO - CANTANTE Il primo commento è stato di Roby Facchinetti e mi disse Michelangelo ci hai raccontato una bellissima favola nera. Non posso fare altro che dirti bravo bravo bravo bravo mi hai fatto venire i brividi
EMANUELE BELLANO FUORI CAMPO Tra i 40 concorrenti che vanno alla fase finale, non ci sono né Aurora Pacchi, né Michelangelo Giordano che ricevono per mail la comunicazione dell'esclusione.
AURORA PACCHI – CANTANTE Dopo tre giorni, ricevo la mail con scritto: “Ci dispiace la sua esperienza a Sanremo finisce qui. Un grande in bocca al lupo” E dico, ok va bene, è finita è andata…
MICHELANGELO GIORDANO - CANTANTE “Ciao, siamo spiacenti di comunicati che questa volta non hai superato la fase eliminatoria. Un caro saluto in bocca al lupo Area Sanremo.”
EMANUELE BELLANO FUORI CAMPO Come da regolamento l'organizzazione invia a ogni cantante i voti che i tre componenti della giuria hanno assegnato alla sua performance durante le audizioni.
AURORA PACCHI – CANTANTE Da 0 a 10, intonazione voce, presenza scenica, performance, brano, testo e musica, quindi giustamente valutavano anche il brano e il giudizio complessivo.
MICHELANGELO GIORDANO – CANTANTE Il presidente Roby Facchinetti mi aveva dato per tutte le voci presenti in scheda e anche su quella complessiva, sulla voce del complessivo, tutti 10 cioè il massimo. La cantante Giusy Ferreri, intonazione e voce otto e mezzo, presenza scenica nove e mezzo, performance nove e mezzo, brano inedito otto e mezzo. Giudizio complessivo 8 - 9.
AURORA PACCHI – CANTANTE Ho preso 9 intonazione voce, presenza scenica 9, performance 9, brano 9 più, giudizio complessivo 9 più, l'altra scheda intonazione voce 9 e mezzo, presenza scenica 9 e mezzo, performance 9 e mezzo, brano 9 e mezzo. Giudizio complessivo 9 e mezzo.
MICHELANGELO GIORDANO - CANTANTE La domanda ricorrente era: “Ma gli altri 40 concorrenti passati in finale, possibile che abbiano preso voti, tutti quanti voti superiori a questi?”
SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Allora due giovani cantanti, Michelangelo Giordano e Aurora Pacchi, sono stati esclusi dalla competizione e, siccome era stata organizzata dalla Sanremo Promotion, società però oggi in liquidazione, hanno chiesto l’accesso agli atti, hanno scoperto che loro avevano raggiunto una votazione più alta di altri cantanti che sono finiti poi in finale. Allora si sono chiesti: ma come funziona la selezione? Hanno chiesto ufficialmente una spiegazione. Cosa hanno risposto?
EMANUELE BELLANO FUORI CAMPO Passa alla fase finale chi sommando i singoli voti totalizza un punteggio più alto. E il criterio era stato applicato a partire dalle precedenti edizioni del 2011, 2012, 2013. Ma, quando Aurora Pacchi e Michelangelo Giordano chiedono alla Sanremo Promotion i documenti relativi alla loro gara nel verbale c’è scritto che il criterio adottato per passare alle finali è del tutto diverso, i voti non sono in alcun modo vincolanti per la scelta dei finalisti.
DIRIGENTE SANREMO PROMOTION E allora a cosa servono domanda? Questi verbali qua sono stati fatti ad hoc.
SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Allora, bentornati. Parliamo di due giovani cantanti che avevano l’ambizione di salire sul palco dell’Ariston a Sanremo, hanno partecipato nel 2014 alla selezione di Area Sanremo, organizzata per conto della Rai da Comune e hanno organizzare una società partecipata, la Sanremo Promotion, che oggi è in liquidazione. I due cantanti sono stati esclusi nonostante avessero raccolto dei voti altissimi e anno fatto accesso agli atti. Perché la società è partecipata e quindi dovrebbe renderli ostensibili. Si sono resi conto i due che avevano voti più alti di altri cantanti che sono andati poi in finale e hanno chiesto spiegazioni. Ecco, secondo un ex dirigente della Sanremo Promotion, ci sarebbe una frase che sarebbe stata inserita ad hoc proprio dopo la richiesta di spiegazioni.
EMANUELE BELLANO FUORI CAMPO Come ogni concorso pubblico il regolamento prevede la possibilità per i concorrenti di fare accesso agli atti di gara. Sia Aurora Pacchi che Michelangelo Giordano chiedono le schede di valutazione dei concorrenti passati in finale.
AURORA PACCHI – CANTANTE Scopro che persone con il voto più basso del mio hanno avuto l'accesso alla fase successiva.
LIVIO EMANUELI – PRESIDENTE AREA SANREMO 2019-2020 La cosa francamente stupisce anche me, nel senso che non capisco come sia potuta avvenire.
EMANUELE BELLANO FUORI CAMPO Livio Emanueli, come presidente dell’Orchestra Sinfonica di Sanremo, è stato per due anni responsabile delle selezioni di Area Sanremo e conosce perfettamente il regolamento del concorso.
EMANUELE BELLANO Queste selezioni come avvengono? Qual è il criterio sul quale, sul quale si basano?
LIVIO EMANUELI – AREA SANREMO 2019-2020 Il criterio è solo uno, è quello legato all'ascolto dei brani da parte di una commissione che è una commissione tecnica, sulla base di queste votazioni, noi facciamo accedere al livello successivo i ragazzi.
EMANUELE BELLANO Cioè quindi la graduatoria viene stabilita sulla base di cosa? Dai voti che hanno avuto?
LIVIO EMANUELI – AREA SANREMO 2019-2020 Dai voti che hanno avuto dai giurati durante le audizioni. Sicuramente quelli che passano hanno dei voti superiori rispetto a quelli che sono stati eliminati.
MICHELANGELO GIORDANO Il senso delle schede di valutazione qual è?
DIRIGENTE SANREMO PROMOTION SRL Le schede di valutazione inventate proprio dalla Sanremo Promotion. Cioè va da sé che se tu prendi totale 40 e io prendo 36, è normale che sei tu quello che va avanti. Perché comunque si creava quell'imparzialità a tutti i ragazzi, a tutti i partecipanti.
EMANUELE BELLANO FUORI CAMPO Passa alle fasi finali chi sommando i singoli voti totalizza un punteggio più alto. E Il criterio era è stato applicato a partire dalle precedenti edizioni del 2011, 2012 e 2013. Ma quando Aurora Pacchi e Michelangelo Giordano chiedono alla Sanremo Promotion i documenti relativi alla loro gara, nel verbale c’è scritto che il criterio adottato per passare alle finali è del tutto diverso: “I voti non sono in alcun modo vincolanti per la scelta dei finalisti”.
MICHELANGELO GIORDANO Però tu hai visto i verbali?
DIRIGENTE SANREMO PROMOTION SRL I verbali no non li ho letti.
MICHELANGELO GIORDANO Guarda lì. DIRIGENTE SANREMO PROMOTION SRL La Commissione stabilisce che le valutazioni contenute nelle suddette schede non determineranno la classifica finale dei candidati e quindi non saranno in alcun modo vincolanti in ordine alla scelta dei finalisti. E allora a cosa servono, domanda? Questi verbali qua sono stati fatti ad hoc.
DIRIGENTE SANREMO PROMOTION SRL No, ma li è una frase proprio ad hoc
MICHELANGELO GIORDANO Fatta per rattoppare la mia richiesta.
DIRIGENTE SANREMO PROMOTION SRL Fatta per rattoppare la tua richiesta, sì. Quello mi sembra un verbale rifatto.
EMANUELE BELLANO FUORI CAMPO Il verbale è firmato dai tre membri della giuria, i cantanti Giusy Ferreri, Dargen D'Amico e il presidente Roby Facchinetti.
EMANUELE BELLANO Nel verbale che io vedo di selezione, diciamo di chiusura della selezione, viene detto che i candidati non sono stati selezionati realmente sulla base dei voti che poi voi avete stilato.
ROBY FACCHINETTI – TASTIERISTA E VOCE DEI POOH Non mi risulta
EMANUELE BELLANO Non le risulta
ROBY FACCHINETTI – TASTIERISTA E VOCE DEI POOH Posso parlare io? È stata fatta una valutazione, dopo di che abbiamo alla fine degli ascolti, abbiamo, ci sono stati dei risultati chi ha avuto più voti sono stati poi selezionati, punto. Questo è stato il criterio che abbiamo adottato, credimi, e non può che essere così. Punto. Credimi.
EMANUELE BELLANO Ecco, invece la Sanremo Promotion ha redatto un documento ufficiale, perché questo qui è stato preso agli atti da uno dei ragazzi che ha fatto il ricorso perché è stato escluso pur avendo dei voti più alti. La Sanremo Promotion dice
ROBY FACCHINETTI – TASTIERISTA E VOCE DEI POOH Non mi risulta.
EMANUELE BELLANO Dice, diciamo compila questo documento, io vorrei
ROBY FACCHINETTI – TASTIERISTA E VOCE DEI POOH Ma perché se questo ragazzo ha avuto dei voti più alti non è stato selezionato? No no non è così, non è così.
EMANUELE BELLANO Quindi lei mi conferma che voi in realtà avete valutato e fatto, scelto i 40 finalisti sulla base dei voti che sono stati dati alla fine delle audizioni e le schede di valutazione.
ROBY FACCHINETTI – TASTIERISTA E VOCE DEI POOH Dei voti che sono stati dati alla fine degli ascolti. Chiaramente c’è stata una classifica in base ai voti, chi ha avuto più voti è stato selezionato.
EMANUELE BELLANO FUORI CAMPO Invece nel verbale inviato dopo la richiesta dai cantanti esclusi c’è scritto il contrario che i voti non determinano la classifica finale, e sotto c’è anche la firma di Facchinetti.
ROBY FACCHINETTI – TASTIERISTA E VOCE DEI POOH Qui c'è la mia firma.
EMANUELE BELLANO Qui c'è la sua firma.
ROBY FACCHINETTI – TASTIERISTA E VOCE DEI POOH Ti dico io ho ragionato e mi sono comportato, come del resto tutti i miei colleghi, che hanno che hanno, insieme a me selezionato. Se poi a nostra insaputa sono state fatte altre cose, questo non lo posso dire.
EMANUELE BELLANO Però, se sono state fatte a sua insaputa, forse vale la pena andare a fondo, io vorrei approfondirla con lei questa cosa. Cioè potremmo rimanere in contatto via mail. Io posso mandarle via mail o lasciarle questo documento e lo vediamo insieme.
ROBY FACCHINETTI – TASTIERISTA E VOCE DEI POOH Va bene.
EMANUELE BELLANO FUORI CAMPO Abbiamo contattato gli altri due giudici Giusy Ferreri e Dargen D'Amico che hanno preferito non rispondere. La direzione artistica di Area Sanremo nel 2014 era affidata al giornalista musicale Paolo Giordano. EMANUELE BELLANO Volevo sapere se è possibile avere una mano per capire la questione di questo verbale, il verbale numero 1. Perché nel verbale c’è scritto che la commissione non ha utilizzato i voti che sono stati dati durante le audizioni per definire la graduatoria dei 40 che sono passati in finale. Però io ho parlato con il presidente di giuria che mi diceva tutt’altro cioè che invece si sono basati su questo. PAOLO GIORDANO - GIORNALISTA Non vedo qual è il contrasto, cioè non sono vincolanti perché non viene fatta una somma, è ovvio che sia così, non può essere fatta una somma.
EMANUELE BELLANO Cioè i 40 finalisti sono stati scelti a seguito dei voti che hanno preso in audizione, dei voti che gli sono stati dati o no?
PAOLO GIORDANO - GIORNALISTA No, non è possibile, non è stata fatta, non credo che neanche Roby, magari preso all’improvviso, preso così può aver detto in questo modo ma non credo che abbia detto, abbia sottointeso che sia stato un computo matematico. EMANUELE BELLANO Il fatto che ci siano due concorrenti che abbiano avuti dei voti maggiori ma che sono rimasti esclusi dalla fase finale?
PAOLO GIORDANO - GIORNALISTA Questo non lo so, è una cosa alla quale io non posso rispondere.
SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Paolo Giordano, che è un bravo collega esperto di musica, è stato nel 2014 il direttore responsabile dell’Area Sanremo. Però dice: non so spiegarmi come mai coloro che avevano avuto i voti più altri non sono passati. Ci ha scritto anche Roby Facchinetti, al quale abbiamo mandato il verbale, come avevamo promesso nel corso dell’intervista, e dice: scusate ho detto una cosa non esatta. Mi sono consultato anche con gli altri membri della giuria, in realtà, dopo aver formulato, dopo aver, un primo ascolto, dopo aver formulato dei voti, siamo stati costretti a risentire, riascoltare tutti i brani e riformulare i giudizi. Insomma, questa è la loro versione, ovviamente. Quella dell’ex dirigente della Sanremo Promotion, l’abbiamo sentita, secondo lei invece quella frase era stata messa ad hoc, quella sui criteri di selezione dove si diceva che i voti alla fine non erano l’unico elemento per valutare, era stata messa ad hoc, dopo che Giordano aveva chiesto spiegazioni. Ora, su questo deciderà la Procura di Imperia. Noi, da parte nostra, non possiamo far altro, come giornalisti, sottolineare come pochi mesi prima della selezione, nel 2014 Area Sanremo aveva messo sul proprio sito i criteri di valutazione e insomma, e si basavano sulle graduatorie dei voti ottenuti nelle prestazioni richieste. Ecco oggi a organizzare Area Sanremo è l’Orchestra Sinfonica di Sanremo, e ha messo sul sito, in segno di trasparenza tutti i voti dei giudici e si valuta esclusivamente in base a quelli. Viva la trasparenza.
I Precedenti.
I momenti imbarazzanti.
Chi ha vinto Sanremo Giovani e si è consacrato tra i big.
Le meteore di Sanremo.
Le contestazioni.
Le più belle.
I Vincitori.
Vittorie sorprendenti e indimenticabili.
Vittorie immeritate.
I Flop.
Festival di Sanremo: le cadute dalle scale e i momenti imbarazzanti. La farfallina di Belen, l'intervista a Robert De Niro, il volo plateale della Impacciatore: i siparietti incresciosi della storia del Festival. Massimo Balsamo il 7 Febbraio 2023 su Il Giornale.
Belle canzoni, qualche chiacchiericcio, le solite polemiche. Il festival di Sanremo è uno degli appuntamenti più attesi dell'anno e i perchè sono molteplici. Certo, non sempre è stato un successo. Alcune edizioni sono finite dritte dritte nel dimenticatoio per una qualità imbarazzante, per l'assenza di glamour/vip e così via.
Ma ci sono anche i siparietti imbarazzanti, episodi che hanno segnato - in negativo - la storia della kermesse canora. In questa categoria possiamo sicuramente annoverare le cadute dalle scale, sempre più frequenti e sempre più (in)dimenticabili. Non a caso la scalinata del teatro Ariston è tra i passaggi più temuti da conduttori, concorrenti e ospiti. Per questo e molto altro è arrivato il momento di andare a ricordare i momenti poco edificanti o quantomeno incresciosi della storia del festival di Sanremo.
Non solo Bugo e Morgan: i 5 scandali più famosi della storia di Sanremo
Roberto Benigni marpione
Prima di dedicarsi alla Divina Commedia e al Cantico dei Cantici, Roberto Benigni è stato protagonista al festival di Sanremo con siparietti hot. Dagli assalti a Pippo Baudo al bacio a Olimpia Carlisi, fino alla sbirciatina sotto il vestito di Manuela Arcuri nel 2002. Tempi lontani dal #MeToo...
La caduta di Michelle Hunziker
Una delle cadute più celebri del festival di Sanremo è quella di Michelle Hunziker nell'edizione 2007. Nel corso della serata finale, la conduttrice svizzera viene tradita dal proprio abito, ritrovandosi sdraiata a terra di punto in bianco. Repentino il soccorso del padrone di casa Pippo Baudo, nulla di grave per l'elvetica se non un brutto ricordo.
L'intervista a Robert De Niro
La presenza di un super ospite non sempre coincide con un siparietto stellare. Nel 2011 il big atteso all'Ariston è Robert De Niro, leggenda del cinema. Ma l'organizzazione è tutt'altro che perfetta: intervista di Gianni Morandi e traduzione simultanea di Elisabetta Canalis. Risultato? Domande a dir poco agghiaccianti e dialogo elefantiaco.
La farfallina di Belen
Festival di Sanremo 2012, Belen Rodriguez insieme alla già citata Elisabetta Canalis al fianco di Gianni Morandi. Una bellezza raggelante ma anche al centro della bufera per le mise audaci. Fino ad arrivare al farfallina-gate: in una serata la showgirl argentina sfodera uno spacco a mostrare il tatuaggio sull'inguine. Social impazziti, rete in subbuglio: immagini virali e polemica servita sul piatto d'argento.
Lo scivolone di Bianca Balti
In tema di cadute memorabili, impossibile non citare la disavventura di Bianca Balti nel 2013. Tradita dai tacchi, la modella scivola e si accascia, per poi ritrovare quasi subito l'equilibrio. Nulla di grave, se non l'intervento "simpatico" di Luciana Littizzetto, portavoce della "normalità".
Ornella Vanoni premiata (ma con cosa?)
Festival di Sanremo 2018, Ornella Vanoni tra le grandi protagoniste. Nella serata finale, il padrone di casa Claudio Baglioni consegna il premio come miglior interprete alla cantante meneghina. Ma lei non sembra aver capito molto: "Che premio è? Ma cosa mi state dando?", la sua reazione spontanea e allo stesso tempo incredibilmente divertente.
Il crollo plateale della Impacciatore
Non una caduta dalle scale, ma uno scivolone piuttosto plateale quello di Sabrina Impacciatore nel 2018. Vestita con abito principesco, l'attrice riesce a evitare voli dalla scalinata, ma non evita la gaffe una volta terminati i gradini. Una figuraccia difficile da dimenticare.
Il volo di "Ghali"
C'è chi ha temuto il peggio, giustamente. Al festival di Sanremo 2020 la caduta dalle scale più rovinosa della storia della kermesse, per fortuna senza conseguenze. "Vittima" la controfigura di Ghali in un siparietto organizzato dall'ospite per tenere il pubblico col fiato sospeso. Missione riuscita.
Eros, Gabbani, Ultimo: ecco chi ha vinto Sanremo Giovani e si è consacrato tra i big. Sono diversi i cantanti che hanno vinto tra le nuove proposte del Festival e poi si sono affermati a livello nazionale. Ecco i talenti sfornati da giovani. Luca Sablone il 6 Febbraio 2023 su Il Giornale.
Tabella dei contenuti
Eros Ramazzotti
Marco Masini
Laura Pausini
Fabrizio Moro
Francesco Gabbani
Mahmood
Ultimo
Da Alex Britti a Irama
Per alcuni è stata una semplice tappa di passaggio, per altri invece è stata una vetrina che ha rappresentato la base di partenza della propria esperienza a livello nazionale. Sono diversi i cantanti che prima hanno vinto Sanremo Giovani e poi si sono consacrati tra i big, diventando oggi tra gli artisti più apprezzati e affermati in Italia e non solo. Da Eros Ramazzotti a Ultimo passando per Francesco Gabbani, in molti casi la sezione delle nuove proposte ha sfornato talenti che hanno fatto breccia nel cuore del grande pubblico.
Sanremo 2023: i cantanti in gara che hanno già vinto in passato
Eros Ramazzotti
Nel 1984 Eros Ramazzotti trionfa con il brano Terra promessa e, solamente due anni più tardi, riesce a portare a casa la vittoria tra i big con Adesso tu. Due colonne portanti del suo successo che in seguito hanno consentito di promuovere l'immagine della musica italiana anche all'estero. Il cantautore romano può vantare una serie di collaborazioni di assoluto rilievo, ad esempio con Luciano Pavarotti, Tina Turner, Anastacia, Andrea Bocelli e Ricky Martin. La prossima settimana si esibirà nella serata del cover con Ultimo.
Marco Masini
Ad aver spiccato il volo è stato anche Marco Masini, che nel 1990 vince tra le nuove proposte grazie a Disperato. Il Festival dei grandi riesce a conquistarlo nel 2004, precisamente dopo 14 anni, con la canzone L'uomo volante. Nel suo repertorio rientrano alcuni classici della musica italiana come T'innamorerai e Ci vorrebbe il mare. L'ultima partecipazione a Sanremo risale al 2020 quando portò Il confronto, classificatasi al 15esimo posto nonostante avrebbe meritato un posizionamento ben più alto.
Laura Pausini
Non si può non citare Laura Pausini, che riesce a imporsi tra i giovani nel 1993 con La solitudine. La sua carriera è piena di grandi successi: ha raggiunto il mercato discografico internazionale, ha inciso diversi brani in lingua straniera e ha collaborato con i grandi dell'estero. La sua voce potente è tra le più importanti e apprezzate anche al di fuori del nostro Paese. Tra le altre cose può vantare il Golden Globe del 2021 come miglior canzone originale grazie a Io sì.
Fabrizio Moro
Con il suo Pensa nel 2007 rende omaggio ai tanti uomini e alle donne che si sono sacrificati per ottenere una società più giusta contro la criminalità che dilaga. Fabrizio Moro 11 anni più tardi incassa la vittoria tra i big al fianco di Ermal Meta con Non mi avete fatto niente, brano partorito in seguito ai vari attentati che hanno innescato la comprensibile paura del terrorismo. Nel 2022 prende parte al Festival con Sei tu, collocandosi al 12esimo posto e ottenendo il premio Sergio Bardotti per il miglior testo.
Francesco Gabbani
Un grande successo ha travolto anche Francesco Gabbani, che fin dal trionfo tra i giovani nel 2016 con Amen anticipa la freschezza e la novità che gli hanno consentito di conquistare il pubblico. Non a caso può vantare il premio Emanuele Luzzati, il premio della Critica Mia Martini e il premio Sergio Bardotti per il miglior testo. L'anno successivo si presenta in gara tra i big con Occidentali's karma (6 dischi di platino, oltre 263 milioni di visualizzazioni su YouTube e più di 350mila copie vendute in Italia). Gabbani detiene il primato come unico cantante ad aver vinto per due anni consecutivi il Festival di Sanremo.
Nel 2020 torna in gara con Viceversa, attestandosi secondo e sfiorando dunque il tris. Il suo stile è molto riconoscibile e vincente: scatta una fotografia sulla società attuale e sul tempo di oggi - tra riferimenti culturali, citazioni e provocazioni - spingendo gli ascoltatori a riflettere senza essere mai banale. Il grande pubblico apprezza di lui non solo le melodie coinvolgenti, ma anche le canzoni più intimiste e introspettive.
Mahmood
Nel 2018 Mahmood vince con Gioventù bruciata (ma in quell'anno il concorso a parte sostituisce la sezione Nuove Proposte del Festival). Nel 2019 si classifica al primo posto con Soldi tra i big. Anche il cantautore italiano non delude mai quando torna al Festival: nel 2022 porta a casa il trionfo in accoppiata con Blanco con il brano Brividi.
Le 7 vittorie più immeritate al festival di Sanremo
A colpire è lo stile musicale innovativo che, proprio per la sua particolarità, è difficilmente etichettabile con un genere musicale ben definito. Sperimenta sonorità interessanti con richiami al pop, hip hop, trap e R&B. Non fa mancare frasi in lingua araba. La scrittura usata nei testi è caratterizzata da un lessico accessibile, similitudini e metafore.
Ultimo
Non può mancare assolutamente Ultimo, tra i cantanti più seguiti in particolar modo dai ragazzi. Nel 2018 trionfa con Il ballo delle incertezze tra le vuove proposte e riceve il premio Lunezia "per le parole in perfetto equilibrio con un crescendo musicale che tiene sospesi fino alla fine". L'anno successivo si classifica al secondo posto con I tuoi particolari. Dopo la finale scoppia una lite tra Niccolò Moriconi e alcuni giornalisti presenti in conferenza stampa che fanno polemica poiché il cantautore utilizza la parola "ragazzo" per riferirsi a Mahmood.
Il suo successo è sotto gli occhi di tutti, anche perché è il più giovane cantante italiano di sempre a esibirsi negli stadi. In occasione dei Tim Music Awards 2022 riceve ben quattro premi: disco multiplatino per l'album Solo; singolo multiplatino per Solo; live Diamante per Ultimo Stadi 2022; premio Assomusica. Spicca il biglietto di diamante per gli oltre 600mila spettatori del tour Ultimo Stadi. Quest'anno partecipa a Sanremo con Alba.
Da Alex Britti a Irama
Ovviamente ci sono anche altri artisti che meritano di essere menzionati per il loro successo nella categoria dei giovani. Tra questi rientrano Alex Britti (Oggi sono io), i Neri per caso (Le ragazze), Michele Zarrillo (La notte dei pensieri), Paola & Chiara (Amici come prima) e Anna Tatangelo (Doppiamente fragili). Nel periodo più recente vanno ricordati anche Arisa (Sincerità) e Rocco Hunt (Nu juorno buono). Non hanno vinto tra i giovani ma hanno comunque conquistato il pubblico Irama ed Ermal Meta. Quest'anno i giovani in gara tra i big sono Shari, Colla Zio, gIANMARIA, Sethu, Will e Olly: saranno in grado di seguire le orme dei loro predecessori?
Le meteore di Sanremo: da Fran Cionfoli a Joe Chiarello, i cantanti esplosi poi spariti dalla scena. La lista degli artisti finiti nel dimenticatoio, dagli anni 70 ai 90. ALICE PENZAVALLI su Io Donna il 07 Febbraio 2023
Dal 1951 a oggi, al Festival di Sanremo si sono esibiti moltissimi cantanti. Se per un artista già affermato, partecipare, può corrispondere a un revival come a un passaggio tra l’opaco e il medio, spesso senza particolari conseguenze; per un esordiente c’è il rischio di un boom clamoroso duraturo (e contenti tutti), come del resto di un effetto-meteora. Cioè colpire con una canzone e poi scomparire. Addirittura dopo avere conquistato il podio. Ma sparire non vuol dire solo fallire, significa anche fare altro, cambiare, lavorare ancora nella musica con un altro ruolo.
Mino Vergnaghi vinse Sanremo 1979 con Amare. Dopo una parentesi nel Regno Unito perché la sua casa discografica aveva chiuso, tornò in Italia occupandosi di musiche e testi. Lavorando con grandissimi. Per esempio Zucchero e Mina (sua la musica di Diamante e di Succhiando l’uva, 2002) e Giorgia per Di sole e d’azzurro e Via col vento.
Nel 1981 Marinella, all’anagrafe Marinella Bulzamini conquista il settimo posto con Ma chi te lo fa fare, vestita da Sbirulino. Passa poi a firmare la prima sigla di Bim Bum Bam, forse il punto di non ritorno perché si dice sia il momento in cui perda a favore di Cristina D’Avena il ruolo di cantante di sigle dei cartoni animati. Dopo un album uscito nel 1985 se ne perdono le tracce.
Tiziana Rivale, vincitrice di Sanremo 1983 con Sarà quel che sarà, non sparisce, in realtà continua a lavorare in modo continuo in Italia e all’estero ma senza raggiungere la fama del Festival. Spazio anche in generi diversi, dalle colonne sonore alla Italo disco. Partecipa anche a programmi tv, compresi diversi di Rai Notte. Nel 2019 partecipa a Tale e quale show.
Nello stesso anno di Tiziana, a Sanremo partecipano anche Sibilla e Barbara Boncompagni. La prima, nata nel 1954 in Zimbabwe, è in gara con Oppio, canzone prodotta e scritta da Franco Battiato, presente in qualità di corista. L’esibizione è però un disastro per colpa della base preregistrata, che per errore è quella con la voce della cantante. L’effetto è stridente, e piovano le critiche. Ritorno nel 1990 con una collaborazione all’album Parole d’amore di Paolo Conte. Boncompagni, figlia ovviamente di Gianni, partecipa invece con Notte e giorno. Il successo non è quello sperato e successivamente diventa autrice televisiva.
Il debutto di Fra’ Cionfoli
Gli anni 80 sono anche gli anni di Jo Chiarello, al secolo Maria Concetta Chiarello. Dopo aver vinto a 17 anni la fascia di Miss Teenager, l’anno successivo partecipa a Sanremo 1981 con Che brutto affare, scritta per lei da Franco Califano. Esibizione e testo assolutamente camp che e nel periodo del Festival tornano sempre in superficie per la lunarità del risultato. Joe ritorna nel 1989 con Io e il cielo, ma poco dopo la carriera si arena.
Il 1981 è anche l’anno di Sterling Saint Jacques. Dopo una breve carriera da attore, diventa celebre per essere l’unico uomo nero con gli occhi azzurri. In realtà, indossa delle lenti a contatto colorate, ma lo stratagemma gli consente di attirare l’attenzione, diventare modello e ottenere un posto al Festival di Sanremo con Tutto è blu. Anche in questo caso, un paio di anni dopo si perdono le sue tracce e nel 1984 si diffondono voci sulla sua morte.
Tra i cantanti spariti dopo Sanremo c’è anche Giuseppe Cionfoli, in arte Fra’ Cionfoli, frate cappuccino con la vocazione artistica. Quando debutta all’Ariston è il 1982, porta Solo grazie e si classifica quarto. Torna l’anno successivo con Shalom e nel 1994 con Squadra Italia. La canzone è Una vecchia canzone italiana. Nel 2006 partecipa a L’isola dei famosi e, infine, intraprende la carriera politica. Oggi fa il nonno.
A Sanremo 1982 Gruppo Italiano, dopo il successo di Tropicana
Nel 1982 esplode Stefano Sani con Lisa. Dopo alcuni album, ritorna sulle scene nel 2018, quando partecipa a Ora o mai più, su Rai 1. Il talent show condotto da Amadeus ha visto nel cast anche Donatella Milani, autrice di Su di noi di Pupo in gara a Sanremo 1983 con Volevo dirti. Successo clamoroso. Giorgia Fiorio – che suona in un gruppo rock da quando aveva 12 anni e ha una voce particolarissima, roca e bassa – partecipa a Sanremo per 3 volte: nel 1983 con Avrò e nel 1984 con Se ti spogli. Nel frattempo è nel cast di Sapore di mare e Sapore di mare 2. Lascia la carriera di cantante dopo l’insuccesso di Io con te, in gara a Sanremo 1988. Oggi è una fotografa affermata e vive a Venezia.
«Mentre la tv diceva, mentre la tv cantava, bevila perché è Tropicana ye». È il ritornello di Tropicana, celeberrima canzone di Gruppo italiano, composto da Roberto Del Bo, Patrizia Di Malta, Gigi Folino, Raffaella Riva e Chicco Santulli. Insieme a Vamos a la playa dei Righeira, conquistano l’estate del 1983. Nel 1984 sbarcano all’Ariston con Anni ruggenti, per poi scomparire negli anni successivi.
Lena Biolcati partecipa a Sanremo nel 1985 tra le Nuove proposte con Innamoratevi come me, nel 1986 è nella stessa categoria ma vince con Grande grande amore. Ritorna nel 1987 con Vita mia e nel 1990 con Amori. Dopo una carriera nei musical, oggi lavora come vocal coach.
Flavia Fortunato e Franco Tozzi
Presenza quasi fissa in tutti gli anni 80, Flavia Fortunato esordisce nel 1983 con Casco blu. Replica nel 1984 con Aspettami ogni sera, nel 1986 con Verso il 2000, nel 1987 con Una bella canzone e nel 1992 con Per niente al mondo. In quest’ultimo caso, partecipa in coppia con Franco Fasano. Successivamente conduce due edizioni di Giochi senza frontiere insieme con Mauro Serio. È ospite fissa di Tappeto volante, programma storico condotto da Luciano Rispoli e, poco dopo, si ritira dalle scene.
C’è anche chi cambia del tutto la carriera. Dopo la gavetta in Inghilterra, John Foster partecipa al Festival di Sanremo 1965 con Cominciamo ad amarci e nel 1966 con Se questo ballo non finisse mai. Qualche anno dopo intraprende la carriera giornalistica con il vero nome, Paolo Occhipinti.
Nel 1965 arriva sul palco anche Franco Tozzi, fratello di Umberto, in coppia con Johnny Tillotson con Non a caso il destino (ci ha fatto incontrare). Ritorna a Sanremo 1966 con Io non posso crederti, eseguita insieme con Bobby Vinton. Continua a pubblicare album, ma non replica il successo di quegli anni.
Annarita Spinaci
Il 1967 è l’anno di Annarita Spinaci. Dopo aver vinto Castrocaro, accede al Festival con Quando dico che ti amo, in coppia con il gruppo Les Surfs. Nel 1968 canta Stanotte sentirai una canzone, riproposta in Francia da Mireille Mathieu. Anni dopo si ritira dalle scene e torna alla sua vecchia professione: insegnante di scuola materna.
Vittorio Inzaina ha partecipato a Sanremo 1965 con Si vedrà, anch’egli in gara con il gruppo Les Surfs. Nello stesso anno ottiene un buon successo con Ti vedo dopo messa, ma poco dopo sparisce. Muore nel 2019 dopo una lunga malattia. Delia Gualtiero, in arte Delia, ottiene un posto a Sanremo 1970 con il brano Per amore ricomincerei. Nel 1978 incontra il bassista dei Pooh Red Canzian, che diventa prima suo produttore e poi suo marito. Negli Anni 80 pubblica quattro album, ma abbandona poco dopo. Ha una figlia, Chiara Canzian.
Nel 1970 il palco accoglie anche i Domodossola, gruppo formato famiglia, composto dai fratelli Laura, Maura e Urbano Miserocchi, Dal cugino Riccardo Miserocchi, dallo zio Franco Bertagnini e da Renzo Reami e Pierluigi Saccani. Partecipano in coppia con Rosanna Fratello e la canzone Ciao anni verdi. Ritornano nel 1974 con Se hai paura, ma la carriera si arresta poco dopo. Urbano Miserocchi prosegue da solista, incidendo le sigle di Anna dai capelli rossi, Hazzard e Ufo Robot.
Emy Cesaroni, Franco Lionello e Daniela Davoli
Nel 1974 Emy Cesaroni arriva a Sanremo con Amore mio, ma scoppia la polemica perché avrebbe portato una canzone non inedita. Viene prima esclusa, poi riammessa, ma la vicenda si conclude solo nel 1981, quando viene effettivamente dichiarata non inedita. Prosegue la carriera di cantante, prevalentemente in Germania, poi torna in Italia e si dedica al teatro, ma alla fine degli Anni 80 si ritira dalle scene. La figlia Tharita Catullé è sposata con l’attore Dermot Mulroney.
Franco Lionello è uno dei cantanti in gara al Festival di Sanremo 1973 con Straniera straniera. Incide album fino al 1975, per poi ritirarsi dalla scene. È scomparso nel 1988. Il 1976 segna il debutto di Linda Lee, all’anagrafe Rossana Maialina Barbieri, con Linda bella Linda, in coppia con i Daniel Sentacruz Ensemble. Tornano insieme nel 1977 con Allah, Allah.
Nel 1980 partecipa come solista con Va’ pensiero, scritta da Pippo Caruso. Successivamente prende parte con Keith Emerson al brano Mater Tenebrarum, incluso nella colonna sonora di Inferno di Dario Argento. A metà degli Anni 80 abbandona la carriera artistica. Daniela Davoli, al secolo Annamaria Fiorillo, partecipa a Sanremo 1977 con E invece con te…, con cui ottiene un discreto successo. Dopodiché lavora all’estero, ma si ritira dalle scene nel 1987.
Alessandro Canino e il tormentone Brutta a Sanremo 1992
Laura Luca, all’anagrafe Laura De Luca, esordisce a Sanremo 1978 all’età di vent’anni. Il brano con cui gareggia si intitola Domani domani. Partecipa come corista al brano Ricominciamo di Adriano Pappalardo e negli Anni 80 lavora all’estero, in particolare negli Stati Uniti, in Canada e in Giappone. Poi abbandona la carriera artistica per dedicarsi alla famiglia.
Nella lista dei cantanti spariti dopo il Festival di Sanremo rientra anche Luis Miguel. In realtà, si tratta di una sparizione inerente solo alla manifestazione prettamente italiana. Miguel è uno dei simboli della discografia messicana. Arriva nella Città dei fiori nel 1985 con Noi, ragazzi di oggi, scritta da Toto Cutugno e diventata un vero e proprio cult.
Anche gli Anni 90 hanno regalato canzoni cult, eseguite da cantanti diventati famosissimi, ma poi scomparsi dai radar. È il caso di Alessandro Canino, classificatosi sesto tra le Nuove Proposte di Sanremo 1992 con la canzone Brutta. Seguono le partecipazioni nel 1993 e nel 1994 rispettivamente con Tu tu tu e Crescerai. Torna in auge nel 2017 grazie alla vittoria del talent show The winner is, condotto da Gerry Scotti e in onda su Canale 5. Nel 2018 partecipa a Ora o mai più.
La vittoria di Aleandro Baldi e Francesca Alotta a Sanremo 1992
Il 1992 è l’anno della vittoria tra le Nuove Proposte di Aleandro Baldi e Francesca Alotta con Non amarmi. Un vero successo, ripreso anche da Jennifer Lopez e l’ex marito Marc Anthony. Aleandro Baldi vince il Festival di Sanremo 1994 con Passerà e torna nel 1996 con Soli al bar, classificandosi all’ottavo posto. Successivamente si dedica al jazz, alla musicoterapia e nel 2014 è ospite fisso di Domenica in.
Anche per Francesca Alotta i riflettori si sono spenti abbastanza presto. Dopo il successo di Non amarmi, torna a Sanremo nel 1993 con Un anno di noi. Negli Anni 2000 partecipa a Music Farm, a Ora o mai più, fino ad arrivare nel 2021 a Tale e quale show. Infine, Alessandro Mara. Partecipa al Festival di Sanremo 1996 con Ci sarò, cui segue nel 1997 Attimi. Porta avanti in parallelo la carriera forense. Oggi, infatti, svolge l’attività di avvocato in Svizzera.
iO Donna
Fischi, urla e caos: le contestazioni più forti del pubblico a Sanremo. Da Renato Zero a Loredana Bertè, passando per Noemi e Francesco Renga: ecco le 4 proteste più eclatanti del pubblico dell'Ariston contro la classifica del Festival. Luca Sablone il 7 Febbraio 2023 su Il Giornale.
Tabella dei contenuti
1993: Renato Zero con Ave Maria
2010: Noemi con Per tutta la vita
2014: Francesco Renga con Vivendo adesso
2019: Loredana Bertè con Cosa ti aspetti da me
Il dissenso da parte del pubblico contro la classifica finale del Festival di Sanremo è ormai un classico: gli spettatori presenti all'Ariston quasi ogni anno si rendono protagonisti di forme di protesta verso il posizionamento dei cantanti in gara in occasione dell'ultima serata. Nella storia della kermesse della canzone italiana sono state quattro le contestazioni più forti che di certo non sono passate inosservate e che ancora oggi sono bene impresse nelle nostre menti come se fossero avvenute ieri.
1993: Renato Zero con Ave Maria
Nel 1993 a impressionare è la posizione di Renato Zero, che non riesce neanche a imporsi tra i primi tre cantanti che partecipano al Festival. Con la sua sublime Ave Maria gli viene attribuito solamente il quinto posto, scatenando così l'ira del pubblico che non manda giù il risultato e non nasconde la propria disapprovazione. Davanti a lui finiscono i Matia Bazar con Dedicato a te, Rossana Casale e Grazia Di Michele con Gli amori diversi, Cristiano De Andrè con Dietro la porta. Trionfa Enrico Ruggeri con Mistero, canzone che comunque resterà alla storia.
Pippo Baudo annuncia la quinta posizione per Renato Zero e i presenti non ci stanno. Partono fischi indirizzati alla giuria. Qualcuno si alza e grida: "Vergogna". La situazione torna apparentemente calma ma poco dopo, specialmente quando viene svelata la terza posizione occupata dalla coppia Casale-Di Michele, l'Ariston si infiamma di nuovo e a gran voce quasi tutti urlano: "Renato, Renato, Renato!". Il cantautore romano viene acclamato per il brano che poggia su un dialogo con Maria.
2010: Noemi con Per tutta la vita
Tra i Festival più controversi rientra senza alcun dubbio quello del 2010. Antonella Clerici riceve la busta contenente i nomi dei tre finalisti. Prima di renderli noti però vengono proiettati uno dietro l'altro dei frammenti delle esibizioni dei big esclusi dal podio. Fin da subito si capisce che tira un'aria di dissenso molto accentuata. Fuori Povia con La verità e via con i fischi. Idem per i bassi posizionamenti di Arisa (Malamorenò), Irene Grandi (La cometa di Halley) e Simone Cristicchi (Meno male).
Sull'esclusione di Malika Ayane (Ricomincio da qui) anche l'orchestra sbotta e diventa palese la divergenza dei giudizi. "Ha protestato come non mai, sono arrabbiatissimi", afferma incredula Antonella Clerici. L'orchestra, tramite il maestro Marco Sabiu, chiede di rendere pubblico il proprio voto. Tuttavia l'azione non viene contemplata dal regolamento e di conseguenza non si può realizzare.
In realtà tutto ciò è solamente un piccolo antipasto di ciò che sta per avvenire. Infatti l'Ariston viene giù quando si ufficializza la non ammissione di Noemi con il pezzo Per tutta la vita. Il disaccordo è totale. Si scatena il putiferio. L'orchestra non ne può più: accartoccia e lancia gli spartiti per aria. Il caos si prende la scena dell'Ariston. Dalla galleria si alzano in molti per esprimere contrarietà: "Venduti, venduti, venduti!". Infine una valanga di fischi ricopre il codice del televoto per Pupo, Emanuele Filiberto e il tenore Luca Canonici in gara con Italia amore mio.
2014: Francesco Renga con Vivendo adesso
Un altro Sanremo dagli animi turbolenti è stato quello del 2014. Il podio è occupato da Arisa (Controvento), Raphael Gualazzi (Liberi o no) e Renzo Rubino (Ora). C'è un dettaglio che non sfugge: Francesco Renga è solamente quarto. Il brano Vivendo adesso, scritto da Elisa, era considerato il favorito del Festival ma invece clamorosamente finisce fuori dai primi tre.
La questione fa litigare Paolo Limiti e Marco Mangiarotti in occasione della diretta di Domenica in. Del caso si occupa anche Massimo Giletti: "Voi mi potete dire tutto, ma l'avete visto... Renga è stato uno dei più votati in assoluto. Era il candidato alla vittoria e inspiegabilmente non era nella terna dei vincitori". Il cantante accetta l'invito come ospite a L'arena e viene accolto da una marea di applausi e da un boato. Giletti decide di fare un test: "Ve l'aspettavate tra i primi tre o no?". Il pubblico risponde con calore: "Sì!".
2019: Loredana Bertè con Cosa ti aspetti da me
Anche nel 2019 i presenti all'Ariston sono in totale disaccordo con la classifica annunciata. Con l'esclusione di Simone Cristicchi (Abbi cura di me) partono i primi fischi ma la vera rivolta arriva per il quarto posto di Loredana Bertè in gara con Cosa ti aspetti da me. Claudio Baglioni e Virginia Raffaele provano a smorzare gli animi sollecitando l'intervento di Claudio Bisio: "Vai, scatenati!". Ma tutto ciò non placa i bollenti spiriti.
Il pubblico continua a inveire per la mancanza del podio della cantautrice e grida: "Loredana, Loredana, Loredana!". Bisio trova un modo per calmare il pubblico: "Mi assumo personalmente una responsabilità: il Teatro Ariston di questa sera elegge Loredana Bertà. Le daremo un premio". In galleria applaudono. Infine interviene Claudio Baglioni visibilmente irritato: "Un po' di rispetto anche perché i cantanti erano 24, tutti hanno diritto ad essere ascoltati".
Festival di Sanremo: le 30 canzoni più belle di sempre. Gianni Poglio su Panorama l’1 Febbraio 2023.
I brani dell'Ariston che hanno lasciato un segno indelebile nella storia della musica italiana: da Lucio Battisti a Vasco Rossi Festival di Sanremo: le 30 canzoni più belle di sempre
Sul palco dell'Ariston in decenni di Festival si è sentito proprio di tutto: canzoni straordinarie, brani improponibili, veri e propri orrori musicali, e decine, forse centinaia di pezzi totalmente insignificanti.
La stessa cosa si può dire per gli artisti, un mix eterogeneo, tra geni della musica, dilettanti allo sbaraglio, finti cantanti, vecchie glorie alla frutta, giovani talenti e giovani bidoni. Di tutto questo, quel che rimane, per fortuna, sono una manciata di canzoni che hanno lasciato un segno indelebile nella storia della musica italiana. Questa è la nostra TOP 30:
1) Luce (tramonti a Est) - Elisa
2) Vita spericolata - Vasco Rossi
3) Nel blu dipinto di blu - Domenico Modugno
4) Lucio Battisti - Un'avventura
5) 4-3-1943 - Lucio Dalla
6) Chi non lavora non fa l'amore - Adriano Celentano e Claudia Mori
7) Spalle al muro - Renato Zero
8) Per Elisa - Alice
9) Ricomincio da qui - Malika Ayane
10) Gli uomini non cambiano - Mia Martini
11) Il cuore è uno zingaro - Nada e Nicola Di Bari
12) Ornella Vanoni - La musica è finita
13) Gianna - Rino Gaetano
14) Un'emozione da poco - Anna Oxa
15) Mina - Le mille bolle blu
16) Ciao amore ciao - Luigi Tenco
17) Jesahel - Delirium
18) Donne - Zucchero
19) Una lacrima sul viso - Bobby Solo
20) Salirò - Daniele Silvestri 21) Perdere l'amore - Massimo Ranieri
21) Chiamami ancora amore - Roberto Vecchioni
22) Fai rumore - Diodato
23) Come saprei - Giorgia
24) E dimmi che non vuoi morire - Patty Pravo
25) Ancora - Eduardo De Crescenzo
26 - La terra dei echi - Elio e Le Serie Tese
27) Marcella Bella - Montagne verdi
28) Una storia importante - Eros Ramazzotti
29) Ti regalerò una rosa - Simone Cristicchi
30) Controvento - Arisa
Sanremo 2023. Sanremo, ecco tutte le canzoni che hanno vinto negli ultimi 10 anni. Da "L'essenziale" di Marco Mengoni a "Brividi" del tandem Mahmood-Blanco: dieci anni di successi al teatro Ariston. Massimo Balsamo su Il Giornale l’11 Gennaio 2023
2013: "L'essenziale", Marco Mengoni
2014: "Controvento", Arisa
2015: "Grande amore", Il Volo
2016: "Un giorno mi dirai", Stadio
2017: "Occidentali's Karma", Francesco Gabbani
2018: "Non mi avete fatto niente", Ermal Meta e Fabrizio Moro
2019: "Soldi", Mahmood
2020: "Fai rumore", Diodato
2021: "Zitti e buoni", Maneskin
2022: "Brividi", Mahmood e Blanco
Vittorie ampiamente pronosticate, vittorie a sorpresa, vittorie sconvolgenti. Negli ultimi dieci anni al Festival di Sanremo ne abbiamo viste di tutti i colori. Abbiamo assistito alla consacrazione di talenti con la purezza di un diamante grezzo come i Maneskin, ma anche al successo di progetti estremamente singolari come i duetti Meta-Moro e Mahmood-Blanco. E, a proposito di Mahmood, abbiamo fatto i conti con una delle vittorie più sconvolgenti della storia della kermesse: quella di "Soldi" nel 2019. Andiamo a ripercorrere, e perchè no a riascoltare, le canzoni premiate all'Ariston negli ultimi dieci anni.
2013: "L'essenziale", Marco Mengoni
Quattordici concorrenti in gara al festival di Sanremo 2013, edizione con un'importante novità nel regolamento: ogni artista ha presentato non un solo brano, bensì due; di questi ne è stato selezionato uno con poi cui l'artista ha proseguito la gara. Non una genialata, insomma. "L'essenziale" di Mengoni ha stregato critica e pubblico dal primo ascolto, superando "La canzone mononota" di Elio e le Storie Tese e "Se si potesse non morire" dei Modà.
2014: "Controvento", Arisa
Anche nel 2014 quattordici artisti in gara, ancora doppia canzone. Un cast discretamente amalgamato tra volti noti e giovani promesse, senza canzoni indimenticabili. Ad avere la meglio "Controvento" di Arisa - a testimonianza del livello medio - seguita da "Liberi o no" di Raphael Gualazzi e The Bloody Beetroots e da "Ora" di Renzo Rubino. Quest'ultima avrebbe meritato molta più considerazione.
2015: "Grande amore", Il Volo
Terminata (per fortuna) l'era Fazio, l'edizione 2015 ha posto la parola fine alla doppia canzone. Venti i Campioni individuati da Carlo Conti, un mix vincente considerando anche la qualità media dei brani portati in gara. Come da pronostico, Il Volo ha avuto la meglio con "Grande amore". Niente da fare per la sorprendente "Fatti avanti amore" di Nek e per "Adesso e qui (nostalgico presente)" di Malika Ayane.
2016: "Un giorno mi dirai", Stadio
Sulla stessa lunghezza d'onda del Festival del 2015, Sanremo 2016 ha coniugato nomi illustri del panorama italiano a scommesse audaci. Il podio a dir poco emblematico: trionfo degli Stadio con "Un giorno mi dirai", poi "Nessun grado di separazione" dell'allora esordiente Francesca Michielin e (inspiegabilmente) "Via da qui" del duo Giovanni Caccamo-Deborah Iurato. Vittoria tutto sommato giusta, ma a dir poco incredibile è stato l'elenco dei brani esclusi dalla finalissima: "Semplicemente" dei Bluvertigo, "Sogni e nostalgia" di Neffa e "Di me e di te" degli Zero Assoluto.
2017: "Occidentali's Karma", Francesco Gabbani
Terzo e ultimo Festival diretto e presentato da Conti, Sanremo 2017 è stata un'ottima kermesse. Canzoni di buona fattura e qualche picco, quasi nessun flop. La classifica finale ha sorpreso tutti: "Occidentali's Karma" di Francesco Gabbani canzone vincitrice, superata la favoritissima "Che sia benedetta" di Fiorella Mannoia. Medaglia di bronzo per "Vietato morire" di Ermal Meta.
2018: "Non mi avete fatto niente", Ermal Meta e Fabrizio Moro
Prima edizione diretta e presentata da Claudio Baglioni, Sanremo 2018 non ha presentato grosse sorprese rispetto ai Festival precedenti. Grandi ritorni - Decibel e Facchinetti&Fogli - ma anche giovani di prospettiva. Nessuna sorpresa sulla canzone vincitrice: "Non mi avete fatto niente" di Ermal Meta e Fabrizio Moro, successo assolutamente meritato nonostante la querelle canzone nuova. Secondo posto per "Una vita in vacanza" de Lo Stato Sociale e terzo posto per "Il mondo prima di te" di Annalisa.
2019: "Soldi", Mahmood
L'edizione 2019 del festival di Sanremo ha avuto un grande cast, buonissime canzoni e parecchie polemiche. Contro qualsiasi aspettativa e contro qualsiasi pronostico, "Soldi" di Mahmood ha superato "I tuoi particolari" di Ultimo e "Musica che resta" de Il Volo, senza dimenticare altri brani di spessore come "Abbi cura di me" di Simone Cristicchi e "Argentovivo" di Daniele Silvestri. Un successo clamoroso (e inspiegabile), reso possibile dal voto della critica e non privo di tensioni, basti pensare alla conferenza stampa a dir poco muscolare di Ultimo.
2020: "Fai rumore", Diodato
Ultima edizione pre-Covid, Sanremo 2020 è stato il primo dell'era Amadeus: 24 Big in gara, canzoni mirate al successo radiofonico e qualche chicca. Tutti ricorderanno il caso Bugo-Morgan, ma anche la canzone vincitrice della kermesse: la bellissima "Fai rumore" di Diodato. Niente da fare per "Viceversa" di Francesco Gabbani e "Ringo Starr" dei Pinguini Tattici Nucleari, rispettivamente al secondo e al terzo posto.
2021: "Zitti e buoni", Maneskin
Il festival di Sanremo 2021 passerà alla storia come l'edizione che ha visto nascere la stella dei Maneskin. "Zitti e buoni" ha superato "Chiamami per nome" di Fedez-Michielin e "Un milione di cose da dirti" di Ermal Meta, ma non solo: ha regalato alla band di Damiano David l'Eurovision Song Contest e il relativo successo internazionale. Una vittoria meritatissima, lapalissiano.
2022: "Brividi", Mahmood e Blanco
L'ultima edizione della kermesse canora in programma all'Ariston ha visto protagonisti grandissimi nomi del mondo della musica: tra grandi ritorni e prime volte, uno dei cast più importanti degli ultimi anni. Fin dall'inizio s'è parlato del duello per la vittoria tra "Brividi" di Mahmood e Blanco e "O forse sei tu" di Elisa: un testa a testa che ha visto prevalere i primi, che torneranno a Sanremo nella prima serata come super ospiti.
Lo slalom di Tomba che fermò il Festival di Sanremo. Lo slalom speciale dell'Olimpiade di Calgary ferma il Festival di Sanremo, perché Alberto Tomba può portare a casa un altro oro per l'Italia. Una pagina indimenticabile di sport e tv. Tommaso Giacomelli il 29 Agosto 2023 su Il Giornale.
Tabella dei contenuti
La scelta coraggiosa della Rai
Oro per Tomba, vittoria per Ranieri a Sanremo
È il 27 febbraio del 1988, gli italiani sono incollati allo schermo della televisione perché impazza la finale del Festival di Sanremo. Le famiglie si schierano in modalità "curva da stadio" tra chi vorrebbe sul gradino più alto del podio Massimo Ranieri con la sua intensa "Perdere l'amore", e chi vuole l'immortale Toto Cutugno davanti a tutti con il brano "Emozioni". Ovviamente non mancano le frange di tifosi dei Ricchi e Poveri, di Franco Califano, di Raf e, a sorpresa, di Francesco Nuti. L'attore e regista toscano entra in un campo che non gli appartiene con la dolcissima canzone "Sarà per te", ma piace. Certo, a dividere il cuore degli italiani non esiste soltanto la più celebre kermesse della musica leggera, infatti in quei giorni si punta più di un occhio alle Olimpiadi Invernali di Calgary (Canada), in cui la "valanga azzurra" sta facendo faville. Inoltre, tutti quanti hanno scoperto un nuovo idolo da venerare, Alberto Tomba la "Bomba". Nel pomeriggio di quel 27 febbraio si è disputata la prima manche dello slalom gigante, in cui Alberto ha registrato il terzo tempo. La seconda prova, invece, è in concomitanza con le ultime battute della rassegna canora. Come si divideranno gli spettatori?
La scelta coraggiosa della Rai
Lo sci è divenuto sport nazionale e vive in quel momento storico una fase di popolarità enorme, paragonabile a quella del calcio, fenomeno di massa per eccellenza all'interno dello Stivale. La Rai possiede - ovviamente - i diritti sul Festival di Sanremo e trasmette in chiaro anche le gare delle Olimpiadi Invernali, dunque, che cosa fare? Per mettere tutti d'accordo, durante le fasi calde della finalissima canora, Rai 1 manda le immagini da Calgary in cui Alberto Tomba ha una grossa chance di mettere in bacheca un altro oro olimpico. I conduttori di quell'anno, Miguel Bosé e Gabriella Carlucci, fanno il loro annuncio e sospendono per qualche minuto la loro attività e insieme agli altri spettatori dell'Ariston, che esplodono in urlo di frenesia, si godono la discesa di Tomba la Bomba.
Oro per Tomba, vittoria per Ranieri a Sanremo
Il 21enne Alberto Tomba da Bologna, scansonato e smargiasso, è già un divo assoluto. Dietro alle spalle di una giovane carriera ha messo in fila una bella schiera di trofei e riconoscimenti, e a Calgary ha già collezionato un oro. L'Italia tifa per lui e desidera ardentemente che al suo collo venga poggiata un'altra medaglia dal metallo più prezioso. Lo slalom speciale è una disciplina in cui ci vogliono concentrazione, coraggio e un pizzico di follia, che non mancano a Tomba. Quando scende per la sua prova decisiva, l'italiano usa tutta la sua potenza, abbinata a una precisione chirurgica, e sotto al traguardo mette al sicuro almeno il bronzo. Dopo di lui scendono Jonas Nilsson (Svezia) e Frank-Christian Worndl (Germania), che non riescono a scendere sotto al tetto cronometrico fissato dalla "Bomba". È un trionfo, Tomba vince e a Sanremo (come nel resto del Paese) scatta la frenesia collettiva.
Scelta azzeccata quella della Rai di concedere una decina di minuti per la visione di un evento sportivo così catartico. Un pezzo di storia dello sport e della televisione italiana, senza dubbio irripetibile. Una pagina assolutamente memorabile. Per la cronaca a vincere la 38esima edizione di Sanremo sarebbe stato Massimo Ranieri, con un brano che è ormai una pietra miliare del repertorio romantico italiano.
Sanremo ieri e oggi: i 15 vincitori più sorprendenti e indimenticabili del Festival (e perché). Elisa, Giorgia, ma anche Domenico Modugno e i Jalisse. GISELLA DESIDERATO su Io Donna il 4 Febbraio 2023.
Mentre impazza il toto vincitore di Sanremo 2023 (secondo i bookmaker vince Marco Mengoni seguito da Ultimo, Giorgia e pure Paola e Chiara), facciamo un ripasso dei cantanti che al Festival hanno segnato la storia della nostra musica, a volte con la canzone a volte con una vittoria inaspettata. A volte con tutt’e due insieme al look. Come la Giovane Proposta che nel 1993 ha fatto boom con La solitudine.
Mahmood, Soldi (Sanremo 2019)
Ha vinto per la prima nel 2019 con Soldi, canzone servita anche a spiegare a tutti chi era quel Mahmood, fino ad allora conosciuto solo tra i giovani “di strada”, un po’ arrabbiati con la vita. Perché quel brano racconta lui figlio di un emigrato egiziano (la mamma è sarda), che ha sofferto la distanza dal padre-padrone che pensava solo ai soldi (il brano non è un inno all’avidità, ma al contrario una richiesta disperata e totale di amore, non di denaro).
Da allora Mahmood è uscito dalla nicchia rapper, per entrare nella cultura pop collettiva. L’anno scorso ha replicato la vittoria all’Ariston duettando con Blanco nel bellissimo Brividi. In questo prossimo Sanremo lui e Blanco partecipano in qualità di ospiti.
Eros Ramazzotti, Adesso tu (Sanremo 1986)
Come non ricordare «il ragazzo nato ai bordi di periferia» che culmina con l’acuto «e ci sei, adesso tuuuuuuu». Un brano generazionale che trasuda voglia di riscatto. E che sembra il sequel raffinato di Terra Promessa, in vetta alla Giovani Proposte nel 1984.
A vincere, Eros, ci aveva provato l’anno prima con Una storia importante (scandalosamente solo sesta). Ma nel 1986 sbaraglia tutti conquistando poi di anno in anno una popolarità immensa, soprattutto nel mercato spagnolo (la sua vera terra promessa).
Domenico Modugno, Nel blu dipinto di blu (Sanremo 1958)
Il titolo ufficiale della canzone è Nel blu dipinto di blu, ma tutti nel mondo la conoscono semplicemente come Volare. A interpretarla a Sanremo 1958 è Domenico Modugno in coppia con Johnny Dorelli.
La canzone è diventata un successo planetario, che ancora oggi, all’estero è considerata come uno dei simbolo dell’italianità. All’epoca della sua uscita fu un brano di rottura rispetto alle sonorità tradizionali melodiche che andavano di moda. Fu infatti considerato l’inizio dello stile degli “urlatori”. A rendere celebre il brano ha
Al Bano e Romina Power, Ci sarà (1984)
Erano gli anni della rinascita di Sanremo, degli ascolti mai più come allora. Al Bano e Romina Power sono una presenza fissa.
Riescono a vincere dopo robetta come Felicità con Ci sarà. Canzone di molto successo, inferiore però a Felicità, brano famoso in tutto il mondo che due anni prima arriva secondo dietro Storie di tutti i giorni di Riccardo Fogli. Ma è la vittoria è la consacrazione per la coppia simbolo dell’amore puro con nidiata di figli, tenuta a contatto con la natura e promozione di valori universali.
Alice, Per Elisa (Sanremo 1981)
A Sanremo 1981 (condotto da Claudio Cecchetto), trionfa la voce sofisticata e irruente di Alice.
Per Elisa – musica di Franco Battiato e testo di Alice e Battiato – richiama l’omonima bagatella di Beethoven (che compare nell’incipit) ma si sviluppa per contrasto. Il risultato è una canzone pop-rock irresistibile che ha sorpreso per innovazione e i doppi sensi del testo nati immediatamente. Poi per Alice, modernissima e aliena che relegò Loretta Goggi con Maledetta primavera (brano altrettanto, se non di più, gigante) al secondo posto.
Gigliola Cinquetti, Non ho l’età (1964)
Una ragazza di 16 anni che canta Non ho l’età (per amarti). E vince. La canzone, inno appassionato all’amore “composto”, è diventata uno dei più grandi successi in Europa e nel resto del mondo.
La Cinquetti ha vinto un altro Sanremo, nel 1966 con Dio come ti amo, assieme a Domenico Modugno. Una canzone che non è rimasta nella memoria come Non ho l’età.
Morandi Ruggeri Tozzi, Si può dare di più (Sanremo 1987)
Gianni Morandi Enrico Ruggeri Umberto Tozzi hanno stili diversissimi, ma hanno in comune la passione per il calcio. E conquistano tutti con una canzone nata nello spogliatoio della Nazionale di calcio Cantanti: Si può dare di più, inno alla solidarietà e alla tenacia.
Il brano, sentito e travolgente, è poi diventato l’inno della stessa Nazionale Cantanti. Ed è entrato nella cultura popolare come esortazione a non mollare mai.
Iva Zanicchi, Zingara (Sanremo 1969)
Nel 1969 una Iva Zanicchi neanche trentenne conquista e convince l’Ariston con Zingara. Il Festival lo vince insieme a Bobby Solo con cui presenta il brano. Ma è soprattutto la sua interpretazione quella che rimane nei cuori.
Ancora oggi, la Zanicchi, che di Sanremo ne ha vinti tre (oltre a quello del ’69, anche nel ’67 con Non pensare a me cantata con Claudio e Villa e nel ’74 con Ciao cara come stai?) è ricordata come la cantante di Zingara.
Povia, Vorrei avere il becco (Sanremo 2006)
La canzone di Povia non rientra tra le migliori della storia della nostra musica, ma merita di essere ricordata per l’effetto sorpresa che ha suscitato.
Provocatorio, dissacrante e disarmante per la sua semplicità, Vorrei avere il becco esalta l’amore fedele, usando il linguaggio “dell’uomo comune”. E per descrivere la fiducia tra partner, fa il paragone con un piccione che si fida di chi gli tira il pane. La vittoria è arrivata, probabilmente anche perché Povia ha sfruttato l’onda lunga della notorietà ottenuta l’anno prima sempre a Sanremo, dove, tra mille polemiche, ha presentato I bambini fanno Ooh…, canzone che ha avuto una grande eco.
Jalisse, Fiumi di parole (Sanremo 1997)
A Sanremo 1997, condotto da Mike Bongiorno, trionfano i Jalisse con Fiumi di parole. Nel corso del tempo, del duo canoro composto dai coniugi Fabio Ricci e Alessandra Drusian, si sono perse le tracce ma non i tentativi annuali di partecipare ancora una volta al Festival. Oltre a quelli di denuncia di una macchinazione per tenerli fuori dalla manifestazione. La canzone è tuttavia rimasta popolarissima.
Un tormentone pop reso ubiquo da Striscia la notizia che, l’anno successivo, lo inserì come sigla interna di una sezione del tg satirico.
Adriano Celentano e Claudia Mori, Chi non lavora non fa l’amore (Sanremo 1970)
Provocatorio, Adriano Celentano si presenta al Festival del 1970 con Chi non lavora non fa l’amore, un brano sostanzialmente di protesta contro gli scioperi che infiammavano gli animi dell’epoca. Manco a dirlo: solleva le ire di tutti, beccandosi ogni tipo di appellativo (tra cui fascista e reazionario).
Fatto sta che il brano convince la giuria di Sanremo che consacra lui e la moglie Claudia Mori (con cui Celentano si è esibito all’Ariston) vincitori. La canzone è stata un trionfo anche all’estero.
Elisa, Luce – Tramonti a nord est (Sanremo 2001)
Nell’edizione condotta da Raffaella Carrà (seconda donna alla guida del Festival dopo Loretta Goggi), trionfa a 24 anni Elisa con un tributo alla sua Trieste, dove è nata. La prima versione in inglese – Come speak to me («Vieni a parlarmi») – diventa Luce – Tramonti a nord est con una traduzione a cui contribuisce Zucchero.
Ancora oggi risulta la canzone più premiata a Sanremo (ha vinto sei premi: oltre a quello dei big, ha ricevuto il premio Critica Mia Martini, quello Volare per la miglior interpretazione, quello Radio e Tv, quello Autori e l’altro per la miglior interprete del Festival istituito quell’anno per volontà di Gino Paoli presidente della Giuria di Qualità).
Giorgia, Come saprei (1995)
Una ballad melodica che mostra tutta la potenza vocale della cantante romana. Difficilissima da eseguire. E la perfezione di Giorgia – 26 anni – le fa conquistare il primo premio, assieme a quello della Critica. La canzone è sua e di Eros Ramazzotti.
In gara con Parole dette male a Sanremo 2023, la speranza è di rimanere folgorati ancora una volta dalla virtuosità di Giorgia.
Marco Carta, La forza mia (2009)
Reduce dalla vittoria ad Amici nel 2008, il giovanissimo Marco Carta si presenta a Sanremo l’anno successivo con La forza mia ed è un trionfo. È il primo cantante proveniente da un talent che vince il Festival.
Il brano piace e ha un consenso enorme. Il cantante ha uno stuolo di fan, e la sua canzone è poi risultata una delle più scaricate nel 2009. Quella stessa edizione di Sanremo viene ricordata anche perché, tra le Nuove Proposte, vince una timida Arisa con Sincerità.
Maneskin, Zitti e buoni (Sanremo 2021)
La rock band stupisce per i look e l’energia che, con Zitti e buoni, sovvertono l’atmosfera pop del Festival.
I Maneskin (Damiano David, Victoria De Angelis, Thomas Raggi ed Ethan Torchio) si stavano già imponendo nel panorama musicale (anche per la loro personalità “fuori le righe”), ma con la vittoria di Sanremo sono diventati star assolute. La consacrazione definitiva l’hanno ottenuta vincendo poi anche l’Eurovision (l’ultimo italiano ad averlo vinto prima di loro è stato Toto Cutugno nel 1990).
Laura Pausini, La solitudine (Sanremo 1993)
Non ha vinto il Festival come big in gara, ma è come se l’avesse fatto. Perché con La solitudine Laura Pausini ha conquistato il primo posto tra le Nuove Proposte e una popolarità immensa.
La canzone è ancora il suo brano più conosciuto. E la vittoria a Sanremo fa ancora tenerezza per la sua interpretazione passionale e la timidezza di una giovane ragazza che fino ad allora cantava assieme al papà nei pianobar della Romagna. iO Donna
Le 7 vittorie più immeritate al festival di Sanremo. Il dibattito è sempre aperto quando si parla dell'amata kermesse, ma alcuni trionfi hanno scatenato polemiche incredibili. Massimo Balsamo il 25 Gennaio 2023 su Il Giornale.
Tabella dei contenuti
1992. “Portami a ballare”, Luca Barbarossa
1994. “Passerà”, Aleandro Baldi
1996. “Vorrei incontrarti fra cent’anni”, Ron e Tosca
2003. “Per dire di no”, Alexia
2008. “Colpo di fulmine”, Giò di Tonno e Lola Ponce
2014. "Controvento", Arisa
2019. “Soldi”, Mahmood
Sanremo è sinonimo di polemica, questo è ormai noto. Il Festival si conferma sempre l’evento televisivo-musicale più atteso dell’anno, come testimoniato dal battage, e le diatribe non mancano mai. Dalle rivalità ai gesti plateali, passando per gli atti politici: i motivi di contesa non mancano mai. E con l’avvento dei social come dimenticare gli scontri sulla canzone vincitrice della kermesse: pochi brani sono riusciti a mettere tutti d’accordo, il più delle volte abbiamo assistito a discussioni animate.
Da “Non lo faccio più” di Peppino di Capri a “Bella da morire” degli Homo Sapines, gli anni Settanta hanno regalato aspre polemiche. Ma mai come gli anni Novanta, stagioni ricche di vittorie immeritate. Brani anche di buon livello, ma non tale da strappare. Anche negli ultimi anni non sono mancati trionfi discussi, con tanto di dispute a livello politico. Insomma, è capitato più di una volta di dover fare i conti con scelte discutibili e con giurie forse non calibrate: andiamo a scoprire i 7 casi più eclatanti
1992. “Portami a ballare”, Luca Barbarossa
Sanremo 1992 è il classico esempio di Festival ricco di ottime canzoni, ma vinto da un brano piuttosto dimenticabile. “Portami a ballare” non è certamente la migliore canzone di Luca Barbarossa, anzi: insipidi, melensa e piuttosto retorica. Ma a gridare vendetta è il secondo posto de “Gli uomini non cambiano” di Mia Martini, capolavoro.
1994. “Passerà”, Aleandro Baldi
A rileggere la classifica di Sanremo 1994 la sensazione è strana. Vittoria di “Passerà” di Aleandro Baldi, preferita a “Signor tenente” di Giorgio Faletti e a “Strani amori” di Laura Pausini. E ancora, superate “Cinque giorni” di Michele Zarrillo” e “I soliti accordi” di Enzo Jannacci e Paolo Rossi. Inspiegabile.
1996. “Vorrei incontrarti fra cent’anni”, Ron e Tosca
“Vorrei incontrarti tra cent’anni” di Ron e Tosca è una bella canzone, sia chiaro. La vincitrice morale di Sanremo 1996 è però “La terra dei cachi” di Elio e le Storie Tese, frenata da qualcuno per la sua natura anticonformista. Un brano precursore dei tempi, tra l’ironia sulle canzoni sanremesi e la denuncia contro mafia e malasanità. Impossibile non menzionare le mise degli Elii, ogni esibizione un grande show: dai costumi da alieno al braccio finto, spettacolo allo stato puro.
2003. “Per dire di no”, Alexia
Anni Novanta deludenti dal punto di vista del podio, ma anche i primi anni Duemila non scherzano. Nel 2003 ha avuto la meglio “Per dire di no” di Alexia, tutt’altro che indimenticabile. Terzo e quarto posto per due brani di un’altra categoria: “Tutto quello che un uomo” di Sergio Cammariere e “Nessuno tocchi Caino” di Enrico Ruggeri e Andrea Mirò. Incomprensibile.
2008. “Colpo di fulmine”, Giò di Tonno e Lola Ponce
Senza timore di essere contraddetti, Sanremo 2008 è stata una delle edizioni più carenti a livello qualitativo degli ultimi vent’anni. Pochi ricorderanno il brano vincitore: “Colpo di fulmine!” di Giò Di Tonno e Lola Ponce. A dir poco sottovalutate due canzoni: “Eppure mi hai cambiato la vita” di Fabrizio Moro e, soprattutto, “Il solito sesso” di Max Gazzè, rispettivamente terza e dodicesima.
2014. "Controvento", Arisa
La bravura di Arisa è innegabile, ma “Controvento” non rientra esattamente nel novero dei suoi brani migliori. Anzi. Da “Bagnati dal sole” di Noemi a “Nel tuo sorriso” di Francesco Sarcina, sono diversi i brani che avrebbero meritato qualcosa in più.
2019. “Soldi”, Mahmood
Anche in questo caso la precisazione è doverosa: non si tratta di una brutta canzone, anzi. Ma "Soldi" di Mahmood difficilmente può essere definito il brano migliore del Festival del 2019. Perfetta per la radio, trampolino di lancio di un artista con qualità innegabili ma da qui a vincere Sanremo… Esagerata ma comprensibile la reazione di Ultimo, solo secondo con “I tuoi particolari”. Dirla tutta, anche “Abbi cura di me” di Simone Cristicchi e “Argentovivo” di Daniele Silvestri avrebbero meritato più di “Soldi”. Sicuramente, comunque, non si tratta di un trionfo scandaloso: abbiamo visto di peggio.
Sanremo, le 10 canzoni "flop" che poi hanno avuto un grande successo. La lista delle canzoni sottovalutate al festival di Sanremo è piuttosto ricca: brani bocciati ma poi esplosi, anche a livello internazionale. Massimo Balsamo il 14 Gennaio 2023 su Il Giornale.
“Ciao amore, ciao”, Luigi Tenco
“Vita spericolata”, Vasco Rossi
“Almeno tu nell’universo”, Mia Martini
“Con te partirò”, Andrea Bocelli
“E dimmi che non vuoi morire”, Patty Pravo
“Tutti i miei sbagli”, Subsonica
“Salirò”, Daniele Silvestri
“Il Paese è reale”, Afterhours
“Nanì”, Pierdavide Carone e Lucio Dalla
“Glicine”, Noemi
La storia del festival di Sanremo è punteggiata da canzoni sottovalutate, “bocciate” durante la kermesse ma poi entrati a fare parte della vita di tutti noi. Ci sono brani che avrebbero meritato la vittoria, pensiamo a “Signor tenente” di Giorgio Faletti nel 1994 e a “La terra dei cachi” di Elio e le Storie Tese nel 1996. Oppure brani esclusi a dir poco ingiustamente dal podio finale della competizione: è il caso di “Nessuno tocchi Caino” di Enrigo Ruggeri e Andrea Mirò nel 2003, di “Per tutta la vita” di Noemi nel 2010 o di “Abbi cura di me” di Simone Cristicchi nel 2019. E poi ci sono canzoni incredibilmente sottostimate nella settimana di Sanremo, per poi esplodere in Italia e a volte a livello internazionale.
“Ciao amore, ciao”, Luigi Tenco
“Ciao amore, ciao” è la canzone tristemente nota per il suicidio di Luigi Tenco, avvenuto il 27 gennaio 1967 a Sanremo, dopo l’esclusione dalla finale del festival di Sanremo. Il brano, tra amore e critica verso la società moderna, ha avuto un grande successo con il passare degli anni e oggi è considerato un punto di riferimento della musica italiana.
“Vita spericolata”, Vasco Rossi
Avere lo stesso successo di “Vita spericolata” è l’augurio degli artisti che si piazzano agli ultimi posti della classifica di Sanremo. Il brano di Vasco Rossi si classificò al penultimo posto nell’edizione del 1983, ma ottenne un incredibile boom a livello radiofonico, diventando un inno per migliaia di giovani. Ancora oggi.
“Almeno tu nell’universo”, Mia Martini
Solo il nono posto. Sì, solo il nono posto per una delle canzoni più belle della storia della musica italiana. “Almeno tu nell’universo” a Sanremo 1989 fu considerata inferiore alla dimenticabile “Ti lascerò” di Anna Oxa e Fausto Leali e alla ancor più dimenticabile “Le mamme” di Toto Cotugno. Unica magra soddisfazione per Mimì il Premio della critica.
“Con te partirò”, Andrea Bocelli
Niente podio per la canzone che ha reso celebre in tutto il mondo Andrea Bocelli. “Con te partirò” si fermò al quarto posto di Sanremo 1995, poco male per l’artista toscano: pochi mesi dopo entrò nel Guinness dei primati come primo cantante ad avere contemporaneamente tra album ai vertici della classifica statunitense.
“E dimmi che non vuoi morire”, Patty Pravo
Nell’anno della vittoria dei Jalisse con la contestatissima “Fiumi di parole”, Patty Pravo con un capolavoro come “E dimmi che non vuoi morire” finì ottava. Scritta da Vasco Rossi, è una delle canzoni più belle mai cantate dalla “Divina”, nonché tra le più straordinarie della musica italiana.
“Tutti i miei sbagli”, Subsonica
Solo un undicesimo posto a Sanremo 2000 – edizione alquanto obliabile – per “Tutti i miei sbagli” dei Subsonica. Una canzone troppo avanti per quei tempi, almeno per il Festival: il brano è ancora oggi uno dei più grandi successi – anche commerciali – della formazione torinese.
“Salirò”, Daniele Silvestri
Poche canzoni di inizio millennio possono vantare l’affetto di “Salirò” di Daniele Silvestri, eppure l’esperienza all’Ariston fu piuttosto negativa. Nonostante il Premio della critica, solo un quattordicesimo posto. Il successo non tardò ad arrivare: tre premi all’Italian Music Awards e un incredibile risultato a livello radiofonico.
“Il Paese è reale”, Afterhours
Prima e unica partecipazione degli Afterhours al festival di Sanremo del 2009, con la bellissima “Il Paese è reale”. La canzone si aggiudicò il Premio della critica, ma non arrivò alla serata finale. Ancora oggi, è uno dei brani più belli della straordinaria produzione della band di Manuel Agnelli. Ah, nel 2009 vinse Marco Carta con “La forza mia”…
“Nanì”, Pierdavide Carone e Lucio Dalla
Lucio Dalla direttore d’orchestra (e compositore) per Pierdavide Carone e la sua “Nanì”, in gara al festival di Sanremo 2012. L’ultima apparizione alla kermesse per l’artista bolognese, morto poche settimane dopo, per un brano su una prostituta in “un mondo senza eroi”. Solo quinto posto, inspiegabile.
“Glicine”, Noemi
Una delle canzoni più sottovalutate della storia della kermesse canora risale ad appena due anni fa. Parliamo di "Glicine" di Noemi, il miglior brano della fase recente della carriera dell'artista romana ma piazzatosi solo al quattordicesimo posto della classifica finale. Per capirci, è finito dietro all’insipida “La genesi del tuo colore” di Irama (quinta!!!) e alla scialba “Combat pop” de Lo Stato Sociale.
Gli Inediti.
Estratto dell’articolo di open.online il 14 gennaio 2023.
«La pubblicazione di un’opera inedita protetta, senza aver ottenuto idonea autorizzazione dai titolari dei diritti, viola il diritto d’autore come tutelato dalla legge». Gli editori del brano di Giorgia Parola dette male, con il quale la cantante parteciperà al Festival di Sanremo, pubblicano una nota subito dopo la diffusione in rete del testo.
[…] «Auspichiamo che tale diritto venga rispettato da tutti, su qualsiasi supporto fisico o digitale, anche e soprattutto data l’eccezionalità del momento, a tutela dell’artista, invitando chiunque, nel rispetto dei diritti sopra citati, a cessare la diffusione del testo dell’opera e a rimuovere il materiale protetto illecitamente riprodotto e diffuso», si conclude la nota.
La pubblicazione del testo prima dell’esibizione sul palco dell’Ariston è vietata dal regolamento del Festival, pena la squalifica. Ma la cantante non sembra responsabile di quanto accaduto, e già in passato si sono verificati casi simili che non hanno portato alla squalifica degli autori coinvolti. […]
I Ti caccio o non ti caccio?
I Ti caccio o non ti caccio? Il caso Madame è antico quanto il Festival di Sanremo. Gino Castaldo su L’Espresso il 16 Gennaio 2023.
Da Claudio Villa a Fedez: una lunga storia costellata di squalifiche eccellenti e soluzioni benevole
Espellere o non espellere, squalificare a norma di regolamento o soprassedere, fare finta di nulla? Se ci si accontenta di questioni di poco conto per distrarsi dagli orrori del mondo, il tema della squalifica dal festival, rilanciato alla grande in questi giorni dal caso Madame, ha il suo fascino e non è affatto nuovo, anzi è antico quanto il festival.
Un esempio, antichissimo: nel 1955, a festival ancora bambino, Claudio Villa inventò un geniale escamotage. Era affetto da forte laringite, la sua ugola dorata era a pezzi, e allora pensò bene di non presentarsi sul palco, ma di fare mettere al suo posto un giradischi con l’ascolto del disco della canzone in gara che era “Buongiorno tristezza”. Visto che, preso alla lettera, il regolamento non proibiva un simile misfatto, l’esperimentò non solo passò, ma fece vincere il festival a Claudio Villa.
Poi corsero ai ripari, corressero l’errore marchiano e quando nel 1964 Bobby Solo, superfavorito, cantò in playback “Una lacrima sul viso”, perché anche lui affetto da pesante laringite, fu squalificato senza pietà, malgrado, almeno a fare finta in scena si fosse presentato, con tanto di ciuffo impomatato e occhio bistrato. Insomma i regolamenti si aggirano, o meglio si aggirano alcune volte e altre no, molto spesso a discrezione degli organizzatori.
Quando Fedez nel 2021 si lasciò scappare su Instagram un frammento della sua canzone in gara scoppiò una bufera, ma la direzione del festival decise che era un peccatuccio veniale, una distrazione, e si poteva perdonare. E del resto perdersi Fedez per strada sarebbe stato disdicevole e poco conveniente.
Al contrario Riccardo Sinigallia nel 2014, quando si scoprì che una volta aveva eseguito la sua “Prima di andare via” in un locale davanti a una ventina di amici si decise di essere inflessibili e di squalificarlo, tranne poi concedergli di cantare il suo pezzo alla finale di sabato, fuori concorso.
Ma il caso più clamoroso e più spettacolare rimane quello del 2020, quando Morgan a sorpresa cambiò il testo della canzone in gara facendo infuriare il suo partner Bugo che scappò via dal palco in preda a incontenibile furore. Furono squalificati perché in quel caso non c’era cavillo a cui appellarsi. Cambiare la canzone in corso d’opera non si può proprio fare. Alcune norme di buon senso vanno seguite: non si possono rubare portafogli al pubblico in sala, non si possono palpare donne fuori e dentro il palco, non si può usare la n-word. Per tutto il resto una soluzione la si trova sempre.
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ROCK
I Baustelle, che sono tornati a fare i Baustelle, ed è già molto di questi tempi, con un pezzo che, udite udite, parla del presente con un ironico e gioioso ritornello che dice «criticare il grande vuoto, la sinistra che non c’è, farsi di yoga e qualche droga, supplicare di esser popolari uh uh uh uh uh».
LENTO
Passi per i self-video da adolescente picchiatella in cui balla e piroetta senza un vero perché, ma se Britney Spears comincia, come ha fatto, a farli col marchio Coca-Cola sul reggiseno, verrebbe da annullare tutte le circostanze attenuanti invocate finora per spiegare la sua confusa condizione esistenziale.
Gli Scandali.
Sanremo 2023. Non solo Bugo e Morgan: i 5 scandali più famosi della storia di Sanremo. Il caso Morgan-Bugo ma non solo: la storia del Festival è costellata da imprevisti, performance oscene e indecenze. Massimo Balsamo il 23 Gennaio 2023 su Il Giornale.
Tabella dei contenuti
1. Mise da bufera
2. Il suicidio (?) sventato da Pippo Baudo
3. Placebo, fischi e chitarre sfasciate
4. L'orchestra in rivolta
5. Il caso Morgan-Bugo
Belle canzoni, sicuramente. Tanto glamour, non c’è dubbio. Ma la storia del festival di Sanremo è segnata anche da tantissimi scandali, tra incidenti imprevisti, gesti plateali discutibili e topiche clamorose. La kermesse in programma al teatro Ariston ha sempre regalato polemiche, aumentate esponenzialmente con il passare degli anni anche grazie all’avvento dei social media. L’edizione 2023 ha già regalato qualche dibattito degno di nota, a partire dal caso Madame: la giovane cantante è coinvolta nell’inchiesta sui green pass falsi dei pm veneti, che l’hanno iscritta nel registro degli indagati per falso ideologico.
Tra gli intoppi più celebri del festival di Sanremo rientra sicuramente quello dell’edizione 1992. “Cavallo Pazzo” Mario Appignani si presentò sul palco dell’Ariston per gridare: “Questo festival è truccato, lo vince Fausto Leali”. Silenzio e panico in teatro. Una profezia poi rivelatasi errata, con la vittoria di Luca Barbarossa con “Portami a ballare”. Altro incidente singolare quello del 1998: a causa di problemi con il traduttore in cuffia, il padrone di casa Raimondo Vianello liquidò in fretta e furia la super ospite Madonna, scatenando le ire dei suoi fan. Anche i comici hanno dovuto fare i conti con polveroni e simili: Roberto Benigni criticato per il bacio alla francese di 30 secondi a Olimpia Carlisi e per le sue prese di posizione discutibili, oppure Maurizio Crozza subissato di fischi per la sua satira. Andiamo ora a scoprire l’elenco dei 5 più grandi scandali della storia di Sanremo.
1. Mise da bufera
Molte le discussioni festivaliere legate alle miss di cantanti, presentatori e vallette. Partiamo da quasi quarant'anni fa: la performance di Loredana Bertè a Sanremo 1986 ha suscitato enorme scandalo. La cantante ha interpretato la sua “Re” affiancata da due ballerine: tutte e tre sul palco con un finto pancione. Nel 1999, invece, è stata la volta di Anna Oxa, nota per i suoi look lontani dal tradizionale: il suo tanga in vista ha suscitato parecchi dibattiti. E come dimenticare invece l’ormai leggendaria farfallina di Belen Rodriguez? L’argentina, valletta nel 2012, ha sfoggiato il suo tatuaggio nell’interno coscia grazie a un abito a dir poco audace.
2. Il suicidio (?) sventato da Pippo Baudo
Pippo Baudo è stato uno dei grandi protagonisti della storia del Festival e diversi imprevisti-incidenti sono stati registrati in una delle sue tredici edizioni. L’episodio più clamoroso risale al 1995: il disoccupato Pino Pagano minaccia di lanciarsi dalla balconata perché disperato e pieno di debito. A evitare il peggio super Pippo, con una trattativa-negoziato da record di ascolti: 17 milioni di spettatori. Un episodio controverso, considerando una dichiarazione dello stesso Pagano di qualche tempo dopo: “Era una messinscena, volevo diventare famoso. Non ero nemmeno disoccupato”. Sceneggiata o meno, intramontabile.
3. Placebo, fischi e chitarre sfasciate
Neanche Ronaldo al derby Inter-Milan del 2007 ha preso i fischi ricevuti dai Placebo all’Ariston nel 2001. Sfasciati chitarra e amplificatori al termine di un’esibizione non apprezzata dal pubblico presente, con il frontman Brian Molko pronto ad affrontare i contestatori con un atteggiamento piuttosto spavaldo.“Cretino” e “buffone”, gli insulti più soft ricevuti. Caustico Piero Chiambretti nel voltare pagina: “Con quella faccia può andare allo Zecchino d’Oro”.
4. L'orchestra in rivolta
Il festival di Sanremo 2010 è passato alla storia come l’edizione della sollevazione dell’orchestra. Scene mai viste prima, con fischi e partiture stracciate e lanciate sul palco in segno di protesta. Una protesta veemente legata alla classifica finale - nel mirino giuria e televoto - con l’esclusione dal podio di Malika Ayane in favore del trio Pupo-Luca Canonici-Emanuele Filiberto, già fischiatissimo nelle serate precedenti. Minuti difficili da gestire, con un’Antonella Clerici visibilmente imbarazzata.
5. Il caso Morgan-Bugo
Le brutte intenzioni, la maleducazione, la tua brutta figura di ieri sera... Il caso dei casi. La bufera delle bufere. Il litigio che diventa arte. Il caso Morgan-Bugo sarà un classico dei racconti della storia di Sanremo e non potrebbe essere altrimenti. Uno scontro frontale, culminato nel corso della diretta dall'Ariston: Morgan che improvvisa una canzone anti-Bugo, quest'ultimo che prende e se ne va. "Che succede?", il colpo di genio di Castoldi, consapevole di averla combinata grossa. Poi l'arrivo di Amadeus e Fiorello, alla ricerca del Bugo perduto. Poesia.
La Politica.
Un Festival Nazional Comunista.
La fluidità.
Il Caso Zelensky.
I Precedenti.
Dagotraduzione da economist.com il 16 febbraio 2023.
Tutti i paesi hanno riti annuali che confondono gli stranieri. Ogni anno, migliaia di uomini seminudi corrono per le gelide strade di Inazawa in Giappone. E ogni anno, più o meno nello stesso periodo, l'Italia ospita il festival della canzone di Sanremo. Per cinque notti, milioni di italiani restano svegli fino a tarda notte per assistere al suo cammino come una lumaca verso il gran finale. E per cinque giorni le provocazioni delle serate precedenti monopolizzano il dibattito sui media, nei caffè e nei bar d'Italia.
Sanremo una volta era solo una competizione canora. Il vincitore continua a rappresentare l'Italia all'Eurovision. Ma nel corso degli anni si è trasformato in qualcos'altro. Intervallato da monologhi, è diventato una piattaforma per la messa in onda di rimostranze per lo più progressiste. Così, il 9 febbraio, Paola Egonu, pallavolista che ha portato il tricolore all'apertura delle Olimpiadi del 2021, ha denunciato il razzismo. La co-conduttrice della serata finale ha indossato un abito appariscente per protestare contro la repressione delle donne.
Ma quest'anno, con un nuovo governo guidato da Giorgia Meloni e dominato dal suo partito di destra Fratelli d'Italia (Fdi), Sanremo è stata coinvolta nella politica come mai prima d'ora. Il presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, ha partecipato alla serata di apertura il 7 febbraio e ha ascoltato un omaggio alla costituzione italiana pronunciato da Roberto Benigni.
Ma il suo monologo è stato preso male dall'alleato della Meloni, il leader della Lega, Matteo Salvini, il cui partito ha visto le parole di Benigni come un velato attacco ai suoi piani per una maggiore autonomia regionale. La notte seguente, un rapper, Fedez, ha strappato sul palco una fotografia che mostrava un ministro di Fratelli d’Italia vestito da nazista da giovane. Alla fine del festival, membri del governo hanno chiamato i capi della Rai che organizzano l'evento.
Ciò che ha reso la politicizzazione di Sanremo ancora più delicata è che è arrivata nella settimana prima che il governo affrontasse il suo primo test alle urne. Il 12 e 13 febbraio si sono svolte le elezioni nelle due regioni più popolose d'Italia, la Lombardia, che comprende Milano, e il Lazio, che comprende Roma. La destra ha ottenuto vittorie facili in entrambe le gare. Forse questo calmerà i critici.
No, la Rai non è la Bbc e non sarà mai liberata dalla politica. Il caso Sanremo riapre il dibattito. Ma come funziona la governance dell’emittente inglese, ed è vero che è una realtà del tutto autonoma dal mondo politico britannico? Non proprio...Daniele Zaccaria su Il Dubbio il 13 febbraio 2023.
«Bisognerà compiere una riflessione sulla Rai» hanno tuonato all’unisono Matteo Salvini e Giuseppe Conte al termine di un Festival di Sanremo record di ascolti e di polemiche. Lo hanno fatto per motivi diversi, ma entrambi fedeli alla regola aurea dell’ingerenza politica. Non sono stati primi e non saranno certo gli ultimi a voler imporre lo sgraziato verbo dei partiti tra i corridoi di Viale Mazzini.
Il servizio pubblico televisivo è da sempre terra di conquista e spartizione, un’arena da occupare manu militari e dove sistemare i fedelissimi, spesso con scarsa attenzione alle professionalità. Si chiamava e si chiama ancora lottizzazione, un sistema che raggiunse la “perfezione” negli anni 80 del secolo scorso quando Rai1, Rai2 e Rai3 erano i rispettivi bastioni e ripetitori di Dc, Psi e Pci. La fine della prima repubblica a colpi di avvisi di garanzia e la scesa in campo di Silvio Berlusconi e del suo conflitto d’interessi hanno rotto l’antico equilibrio e sparigliato le carte in tavola, ma la Tv di Stato è rimasta sempre quel campo di battaglia tra le forze politiche. Anzi, nell’ultimo ventennio un clima di isteria censoria e deteriore ha caratterizzato continuamente lo scontro digitale tra destra e sinistra.
Non è un bel vedere e, in forme più o meno ipocrite, in molti nel corso degli anni hanno chiesto alla politica un deciso passo indietro e una riforma complessiva che dia più autonomia alla Rai liberandola dall’abbraccio fatale. Il modello che viene tirato in ballo con ossessiva regolarità è quello della gloriosa Bbc, il servizio radiotelevisivo britannico, noto al mondo per l’imparzialità della linea editoriale e la qualità assoluta dei suoi prodotti. Un’evocazione che fa quasi tenerezza se uno pensa al nostro Paese.
Ma come funziona la governance della Bbc ed è vero che è una realtà del tutto autonoma dal mondo politico britannico?
Non proprio, almeno dal punto di vista formale. Il broadcast è infatti controllato da due organismi, il Trust e l’Executive Board. Il primo stabilisce la linea editoriale in base all’interesse pubblico ed è diretto da ’professionisti che hanno grande esperienza manageriale, giornalistica e artistica nel settore audiotelevisivo e inoltre ha il compito di nominare l’Executive Board. Che si occupa della realizzazione degli obiettivi editoriali e industriali e anche dell’aspetto amministrativo. Ma a nominare i membri del Trust non è un ente autonomo, bensì la stessa Casa reale che tira fuori i nomi sotto suggerimento dei ministri interessati. Applicato al nostro paese questo modello potrebbe mai funzionare? Immaginiamo una sorta di comitato scientifico che abbia gli stessi poteri del Trust britannico nominato dal Capo dello Stato in base alle indicazioni del ministero competente e sovrapponiamo questa configurazione alla situazione italiana. Beh, non cambierebbe assolutamente nulla, i partiti continuerebbero a imperversare mettendo il becco un po’ ovunque, proprio come accade adesso. Tv e radio di Stato britanniche sono indipendenti dal potere politico per propria formazione culturale: mai conservatori e laburisti oserebbero nominare dirigenti e amministratori in base alla loro supposta fedeltà ed è ugualmente impensabile che i membri del governo o dell’opposizione chiedano la sospensione di quel programma, di quel conduttore, di quel giornalista. No, la Rai non è la Bbc e ,lasciate ogni speranza, non lo sarà mai.
Estratto dell’articolo di Giovanni Orsina per “la Stampa” il 13 febbraio 2023.
Non mi pare che il vero problema del Sanremo «politico» stia tanto nel suo esser stato sbilanciato a sinistra. Il mondo dello spettacolo è notoriamente schierato quasi per intero da quella parte, ed era da immaginarsi che lo squilibrio emergesse, tanto più governante Meloni. No, il vero problema del Sanremo «politico» consiste nell'immagine della cultura progressista che ne è uscita fuori. Lamentosa, conformista, stantìa, ripetitiva.
Mi si obietterà che Sanremo non può essere un luogo di produzione di pensiero politico, che al massimo può far da cassa di risonanza a concetti e valori che sono ormai stati metabolizzati dal dibattito pubblico. È vero, ma fino a un certo punto. Perché il pensiero politico si produce ovunque, e l'arte è spesso stata all'avanguardia.
[…] Non siamo di fronte allo specchio popolare nuovo di una produzione culturale vecchia, insomma, ma allo specchio popolare vecchio di una produzione culturale decrepita.
[…] Il discorso di Chiara Ferragni può essere annoverato fra quelle che lo storico americano Daniel Rodgers ha chiamato retoriche alla gabbiano Jonathan Livingston – dal celebre romanzo di Richard Bach, pubblicato nel lontano 1970.
Che in Italia ci sia razzismo è stato detto tante volte, ormai. E le riflessioni delle donne che non hanno figli, in un Paese nel quale un quarto delle donne nate alla fine degli anni Settanta farà quella scelta e che è in calo demografico da più di quattro decenni, assomigliano molto all'accanimento di Maramaldo su un uomo già morto.
Per non parlare delle trasgressioni a sfondo sessuale, della fluidità di genere, dell'antifascismo a un tanto al chilo: lungi dall'essere épaté, il povero borghese, rotto ormai a tutte le provocazioni, sbadiglia rassegnato. […] è lecito dubitare che la reiterazione di fruste petizioni di principio sia il modo migliore per educare un pubblico […]
È molto probabile, allora, che la ripetizione di quelle parole d'ordine piaccia alla minoranza che già le condivide, accresca ulteriormente l'ostilità della minoranza che le detesta, e finisca per essere […] ignorata da una maggioranza di spettatori agnostici. […] Sono concetti che circolano ormai da decenni […] Cara cultura progressista, prenditi pure tutto il Festival del 2024, 2025 e 2026. Però, per pietà, uno straccio d'idea nuova che sia una, da qui ad allora, prova a tirarla fuori.
Estratto dell'articolo di Filippo Ceccarelli per “la Repubblica” il 13 febbraio 2023.
Ci risiamo, doveva accadere prima o poi e Sanremo era l’occasione perfetta per “cambiare narrazione sulla Rai”, come suggerito dal sottosegretario alla Cultura, fratello d’Italia e manager musicale Gianmarco Mazzi. Ed è un irresistibile omaggio al lessico dei tempi e insieme all’ipocrisia quest’uso di “narrazione” per intendere conquista, predazione, saccheggio, spoglio, razzia - ciò che finora Meloni non ha fatto, ma sta per fare.
Perché molto semplicemente dalla fine della Prima Repubblica la Rai è bottino di guerra e chi vince se la prende
(...)
Tramanda la più recente storia politica e leggendaria di Sanremo che nel 1981, l’anno più buio della storia del festival, il giovane Berlusconi prese contatto con l’amministrazione comunale per comprarsi, insieme con i diritti televisivi, l’intero baraccone dell’Ariston. Ma i furbi e saggi democristiani, a cominciare dall’indimenticabile sindaco Leo Pippione, gli risposero no, grazie.
Anche a piazza del Gesù il festival, come del resto la Rai, erano vissuti, più che come un campo di battaglia irti di sterpi, come un vivaio in fiore per alleanze e combinazioni. Ogni capotribù aveva d’altra parte il suo impresario di fiducia della canzonetta, Aragozzini stava con De Mita, Ravera con Forlani, Radaelli con Andreotti, per cui a Sanremo, come negli studi televisivi e nelle case degli italiani, arrivavano misteriosi e ancor più misteriose cantanti, spesso napoletani, di cui s’ignorava il patronage. Durò fino al fatidico 1989. Una volta defenestrato De Mita, in sincronia con il festival Forlani attaccò “la Piovra” - poi venne giù tutto.
Così, oltre che terra di conquista, ora la Rai è scatola nera del potere e theatrum mundi, nel senso che nell’ormai compiuto spappolamento delle culture politiche i vincitori di turno si ritengono in dovere di manifestare il comando attraverso nomine, consacrazioni, promozioni, manipolazioni, omissioni e censure, favoritismi, marchette, sviluppi sentimentali e d’alcova (mai sfuggiti peraltro ai servizi segreti).
Da tale premessa, ieri e oggi, traggono origine le interviste in ginocchio la domenica pomeriggio, le illustrazioni di grandi opere e firme di contratti in seconda serata, le dirette negate o concesse a quello o a quell’altro evento, gli spazi imposti a reti unificate, a parte qualche flebile lamento in Commissione di Vigilanza, ma quasi sempre con la spontanea complicità di dirigenti e funzionari che, bravi come nessun altro ad annusare il cambio di vento, da un trentennio cercano di indovinare, anticipare o comunque assecondare i desiderata dei nuovi padroni – pur disponendosi a cogliere per tempo l’arrivo dei nuovi.
Da questo punto di vista un buon metro rivelatore resta la fiction, cui i leader e i loro staff, non di rado piuttosto arruffoni, attribuiscono una specie di potere magico nella costruzione del senso con immediata ricaduta elettorale, per cui eccoti quella sul Carroccio e quella su Di Vittorio, quelle sui santi, i papi e le suore, o sui futuristi, il Risorgimento, Edda Ciano, però anche Nenni, la mafia, l’antimafia, i gay, gli immigrati, le foibe...
Di tale grossolana impostazione il festival di Sanremo rappresenta la continuazione con fantasmagorici mezzi, più o meno subliminali, dal bacio lesbico al capriccio imperiale di far esibire Apicella, dal Povia di “Luca era gay”, ma è guarito, alle inquadrature di riguardo per Scajola, dall’ostensione della famiglia più numerosa d’Italia (16 figli, 2015) alla richiesta leghista di canzoni in dialetto veneto. Ma poi tutto regolarmente si abbassa e l’addomesticamento della Destra, per dire, si disvelò nel 2003 grazie a supposte raccomandazioni di An proprio a Sanremo e poi a un giro di piccanti interrogazioni che portarono Luca Barbareschi, deputato di quel partito, a riconoscere amaramente: «Siamo stati capaci di portare in video solo delle zoccole».
Per la verità, sempre da quell’area che oggi si scatena contro l’ultimo Sanremo si avvertirono anche le pressioni dei “Tullianos”, cioè dei parenti della donna del capo improvvisatisi produttori. Ma tutto questo è accaduto più o meno anche con Berlusconi, con l’Ulivo e i dalemiani, di nuovo con Berlusconi, di nuovo con l’Unione e poi ancora con Berlusconi, quindi con Renzi e compagnia cantante in un’ininterrotta saga all’italiana che tiene assieme la lobby di San Patrignano e la terrazza gauchiste, l’editto di Sofia e l’imperdibile saga legaiola del “Barbarossa”, coeva al finto spostamento di Rai2 a Milano, fino all’entusiasmo riformatore, all’ottimismo di Stato e al nuovo rinascimento propagato dal giovane premier rottamatore, secondo cui la Rai andava «restituita al paese», figurarsi.
Fedez leader della sinistra. Alza lo share, non i voti. Alessandro Gnocchi il 14 Febbraio 2023 su Il Giornale.
Fluidità e antirazzismo: a Sanremo l'unica vittoria dei progressisti. Ma il Paese reale è un'altra cosa
La sinistra riparta dal Festival di Sanremo, l'unico luogo dove ha ottenuto una vittoria in questi giorni di tornata elettorale. Ora sulle primarie del Partito democratico aleggia lo spirito di Fedez, a questo punto è il candidato più autorevole, l'unico capace di compattare la sinistra italiana che vanta il più alto numero di scissioni nella storia.
L'agenda dei Ferragnez è perfetta, sembra fatta apposta per gli eredi del comunismo. Abbandonata ogni rivendicazione sociale, il Partito democratico, fedele ai compagni della grande industria e dell'alta finanza, infedele ai lavoratori e agli scocciatori della piccola-media impresa, ha un programma da partito radicale di massa, peggiorato dall'assenza di garantismo e dalla presenza ossessiva del politicamente corretto. Il Partito democratico, ma anche il Terzo polo, vede tutto attraverso il filtro della pattumiera dei social network, che ormai confonde con la realtà.
Fedez, meglio di Elly Schlein e Stefano Bonaccini, incarna tutte le lotte care ai progressisti: la fluidità (capirai che novità, leggetevi Platone, altro che Rosa Chemical), l'antirazzismo (nell'epoca meno razzista della storia d'Italia), l'antifascismo (in mancanza di fascismo, se non come nostalgico folclore). Tutte battaglie giuste, praticamente scontate. Così scontate da non interessare a nessuno, come dimostra il cappotto subito dal centrosinistra dalle politiche alle regionali.
Già, incredibile a dirsi, almeno per i cervelloni del Partito democratico, impegnati a difendere i diritti di Amadeus e Gianni Morandi: la massa o il popolo, come volete voi, ha altri problemi. La bolletta, i trasporti, lo stipendio, le tasse, la sanità. Tutte cose di cui non frega niente ai Ferragnez, che le persone comuni sono abituati a guardarle dall'alto di un grattacielo di City Life a Milano, famoso per costare al metro quadro quanto lo stipendio annuale di un italiano medio. Sanremo dunque non rispecchia altro che le manie di una sedicente élite, a dire il vero tanto ignorante quanto conformista. Sanremo è una rappresentazione lunare del pensiero dominante, ovvero del pensiero che occupa i media e le posizioni di potere nel mondo culturale. Anche se bisogna ammettere che scrivere Sanremo e cultura nella stessa frase è un ossimoro.
I baci tra ragazzi, i monologhi autoreferenziali, le supercazzole sulla complessità, le vecchie foto da stracciare, le libere canne in libero Paese, brutte melodie, brutti testi, i post su Twitter, le storie su Instagram... Se l'Italia fosse quella roba lì, il Partito democratico, che in questa mediocrità ci sguazza, avrebbe dovuto prendere almeno il 66 per cento di share, pardon: di voti e vincere in tutte le Regioni a man bassa.
Invece, guarda il caso, l'elettore, dopo essersi divertito grazie a giullar* e cantant*, va dritto in cabina a votare chiunque ma non i candidati del centrosinistra.
La sinistra è minoranza nel Paese (nonostante Sanremo). Dopo una settimana di Festival, tra fluidità, antirazzismo e femminismo, gli elettori danno una scoppola alla sinistra. Giuseppe De Lorenzo su Nicolaporro.it il 13 Febbraio 2023.
Molte analisi si possono fare sul risultato delle elezioni regionali in Lombardia e Lazio. Si può ragionare sull’affluenza bassissima, ovviamente. Su quanto questo incida o meno nella vittoria del centrodestra. Ma se occorre realizzare una riflessione a “caldo”, sull’unghia diciamo, una considerazione viene in automatico: la sinistra ha perso. E perso male. Perché non è riuscita a mobilitare i suoi elettori, perché è divisa fino alla morte, perché non riesce a intercettare le istanze dei cittadini. E tutto questo nonostante il più grande evento culturale dell’anno, Sanremo, che peraltro andava in onda nella stessa settimana del voto, abbia nell’ordine: strappato la foto di un ministro vestito da nazista, lodato fino allo stremo la Costituzione “intoccabile”, descritto il Paese come razzista, cantato l’amore fluido e il gender.
All’Ariston insomma è andato in scena il solito film, molto chic e molto poco in linea con i risultati delle urne. Sì, è vero: lo share di Amadeus è stato senza dubbio incredibile. Tenere incollati alla tv 10 o 12 milioni di telespettatori (peraltro con musica scandente) non è cosa da tutti. Ma il risultato in Lombardia e Lazio dimostra che poi gli elettori votano con la matita diversamente da come usano il telecomando. Tony Damascelli, sul Giornale, ha definito il Festival un “carnevale” che “ha stretto a coorte milioni di italiani per share” ma “non per condivisione”. Verissimo. E quando Stefano Coletta dice che “la televisione deve rappresentare tutta la società, nella sua interezza” ha ragione, ma c’è un problema: qui si sono dimenticati di una grossa fetta di Italia, quella conservatrice e di destra, che di atti sessuali simulati in prima serata non vuole vederne; che di sentirsi additare come “Paese razzista” ne ha le palle piene; che l’agguato di Fedez a un ministro del governo lo ha trovato sbagliato e non “espressione artistica”; che di generi ne conosce due (maschio, femmina) e non centomila; che di prediche sul femminismo fatte da un’influencer con una vita perfetta ne fa anche a meno, così come di monologhi lagnosi di attrici affermate che non hanno avuto figli.
Insomma: inutile dire che la “narrazione” del Festival non è stata esattamente la narrazione del Paese reale. Ha strizzato l’occhio a sinistra e bacchettato, molto, il centrodestra. Ma come avevamo già avuto modo di dire, alla fine Fedez e Sanremo nuocciono gravemente alla sinistra. E si vede. Il Pd ha preso una scoppola alle politiche, ne ha rimediata un’altra alle regionali e in 6 mesi non è ancora riuscito a darsi un segretario. I rapporti col resto del centrosinistra sono ai minimi storici, tant’è che nelle due regioni si sono presentati con coalizioni differenti. Manca un progetto politico comune tra Pd, M5S e Terzo Polo. I punti di contatto tra queste tre forze sono molti meno di quelli dei tre tenori del centrodestra, al netto delle normali divisioni interne. Alla sinistra manca tattica politica, mancano le alleanze, i leader e pure le proposte politiche. Oltre ovviamente agli elettori. Una situazione disastrosa. E Sanremo non li salverà. Giuseppe De Lorenzo, 13 febbraio 2023
Estratto dell’articolo di Fabrizio Roncone per il “Corriere della Sera” il 12 febbraio 2023.
La ministra Daniela Santanché dice — tra sarcasmo e rassegnazione — che il Festival di Sanremo è un po’ comunista […] Però, calma: non saltare subito alle conclusioni. […] In via Solferino, nella sala Albertini, il Festival di Sanremo è sempre stato […] un evento gestito dagli Spettacoli. Riunione con liturgia classica, tipo: che pezzi scriveranno gli inviati Renato Franco e Andrea Laffranchi, c’è un video di Nino Luca, Aldo Grasso manda un commento. Quest’anno ci siamo dovuti adeguare: avete letto le dichiarazioni di Matteo Salvini? Qualcuno senta Palazzo Chigi, è arrivata una nota del Pd […]
Il rumore della politica ha (quasi) coperto le canzoni. Così, di botto. Con il centrodestra di governo che ha cominciato a guardare il Festival come se fosse una convention dell’opposizione. Cinque giorni francamente pazzeschi. Con le polemiche per la presenza del presidente ucraino Zelensky come sigla di apertura e di chiusura.
[…] Roberto Benigni, magnifico folletto di settant’anni che — con un’esibizione geniale, appassionata, piena di antifascismo, citando l’articolo 21, sulla libertà d’espressione, e l’11, sul ripudio della guerra — celebra tutta la bellezza della nostra Costituzione, mentre il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, appare d’incanto accompagnato dalla figlia Laura.
D’incanto, esatto: la sua presenza così clamorosa — prima volta di un nostro Capo di Stato al concorso musicale — è tenuta infatti nascosta fino all’ultimo; trattative segrete tra il Quirinale, Amadeus e il suo agente Lucio Presta (che oltre agli interessi del direttore artistico, cura pure quelli di Benigni e Gianni Morandi); informato solo l’ad Carlo Fuortes; i consiglieri del Cda Rai eletti in Parlamento (Agnes, Bria, Di Blasio, Di Majo, Laganà), tenuti all’oscuro di tutto, scrivono una rovente lettera di protesta. […] lo sapete che la riforma a cui tiene maggiormente la premier Giorgia Meloni è proprio quella della Costituzione? E che la sua predilezione per il «presidenzialismo» è forte tanto quanto quella di Mattarella per il «parlamentarismo»? Polemiche durissime.
Alfredo Antoniozzi, vice-presidente dei deputati di FdI: «Benigni non è un costituzionalista, sul palco avrei preferito Sabino Cassese». Vittorio Sgarbi, sottosegretario alla Cultura: «Ricordo solo che Mattarella fu iscritto al Pd, Benigni prese in braccio Berlinguer, Morandi ha sempre votato Pci e Pd». E ancora Salvini, collegato a Rtl 102,5 (ma cinque anni fa al Teatro Ariston con la fidanzata dell’epoca, l’indimenticata Elisa Isoardi, che gli scattava selfie mentre dormiva): «Mattarella? Era lì per svagarsi».
È a questo punto che Amadeus si scoccia di brutto — «Sono quattro anni che Salvini critica il Festival, si guardi un film» — e così ad alcuni osservatori viene il sospetto che le primarie del Pd siano inutili: perché un vero leader, l’opposizione, forse già ce l’ha. E guida un partito televisivo che sta al 66% di share con oltre 11 milioni di spettatori (i dati della serata di venerdì). La politica s’accorge che il simpaticone dai modi cortesi e le occhiate ingenue, capace di indossare giacche terrificanti (Ama, perdoni: ma dove le trova?) e fare umilmente la spalla a Fiorello, è diventato — di colpo — molto sicuro e molto potente.
Non solo ha liquidato Salvini con un sorriso di ferro, ma ha schierato sul palco quattro donne che, con i loro monologhi, sono state capaci di scaldare i cuori di una sinistra da tempo disorientata, remissiva e perdente. Chiara Ferragni: puro femminismo […] Francesca Fagnani: splendida sulle carceri; Paola Egonu: netta sul razzismo, molto meglio lei di certi sinistrorsi alla Nicola Fratoianni, responsabile dell’elezione di Soumahoro, quello che «anch’io ho diritto all’eleganza»; Chiara Francini: coraggiosa sulla maternità. […] i due numeri del signor Ferragni (cioè Fedez) sono stati incendiari. Prima, durante un freestyle, ha strappato la foto del vice-ministro Galeazzo Bignami, il tipo che va alle feste di addio al nubilato vestito da ufficiale delle SS (un altro di FdI, il famoso Giovanni Donzelli, ha raccontato d’essersi travestito da Minnie: e quindi sì, certo, boh). Poi, cantando con gli Articolo 31, Fedez ha urlato: «Giorgia, legalizzala!» (si suppone la droga leggera). […]
Estratto dell’articolo di Adriana Logroscino e Renato Franco per il “Corriere della Sera” il 12 febbraio 2023.
Sanremo in trincea. I vertici Rai fanno muro agli attacchi della politica. Nel mirino ancora Fedez e il gesto, durante la sua esibizione di mercoledì, di strappare la foto del viceministro Galeazzo Bignami in uniforme nazista. «In Rai sapevano ma nessuno ha fatto nulla, rendendosi di fatto complici del soliloquio politico di Fedez e del suo attacco a un viceministro della Repubblica», è l’attacco sferrato in batteria da tutta la prima fila di Fratelli d’Italia. Il sottosegretario alla Cultura Gianmarco Mazzi, avverte: «Esprimeremo nuovi dirigenti».
Stefano Coletta, direttore intrattenimento Prime Time, però assicura che a Sanremo tutti erano all’oscuro del contenuto dell’intervento del rapper. «Non sapevamo che Fedez avrebbe strappato la foto. Avevamo ricevuto un testo del suo freestyle con largo anticipo ma non era quello che lui ha portato in scena. Abbiamo saputo nell’imminenza della messa in onda che aveva deciso di modificarlo e che si era rifiutato di consegnare il nuovo testo».
Eppure il rapper era stato avvisato: «Rispetto a tutte le esibizioni — ha sottolineato — il nostro invito è stato sempre di non fare riferimenti politici, pur non essendoci obbligo di par condicio. E questo è il motivo per cui il giorno dopo mi sono dissociato». Le possibilità erano due: «O una censura preventiva o la sollecitazione a evitare qualunque cenno politico, la strada che abbiamo scelto». Poi Coletta sbotta: «Se un dirigente deve rispondere di tutto ciò che accade in diretta, dovremmo dimetterci tutti.
Starei attento a usare un termine come l’omesso controllo in modo strumentale».
Gli argomenti, però, non spengono la polemica a Roma, concentrata soprattutto sull’attacco a Bignami, ma che riguarda anche l’invito a legalizzare la cannabis, lanciato da Fedez dal palco, venerdì. «La pezza è peggio del buco», sostiene il senatore meloniano Marco Lisei. «Coletta non smentisce che durante le prove pomeridiane Fedez aveva già strappato la foto, tenuta a testa in giù, di Bignami, come riferito da La Verità, che avrebbe prove granitiche al riguardo». […]
Estratto dell’articolo di Monica Guerzoni per il “Corriere della Sera” il 12 febbraio 2023.
Voltare pagina, in fretta e possibilmente senza traumi. Perché i vertici della Rai «hanno passato il segno» e la cautela con cui Giorgia Meloni si era accostata ai piani alti di viale Mazzini, nei giorni di Sanremo è mutata in «stupore». […] La performance di Fedez, con la foto del viceministro Galeazzo Bignami in maschera da nazista strappata in diretta, è giudicata «inopportuna» e anche «pericolosa». «Prima o poi qualche squilibrato potrebbe passare dalla violenza verbale a quella fisica e colpire uno di noi», è il timore condiviso da diversi esponenti della destra di governo.
[…] Il partito della premier rimprovera ai vertici di aver «perso il controllo dell’azienda», violato la pluralità del servizio pubblico e trasformato l’Ariston in «una tribuna elettorale» alla vigilia del voto. Un coro che invoca le dimissioni dell’ad Carlo Fuortes, concertato via chat e rafforzato dalle parole dei due presidenti dei capigruppo di Senato e Camera, Tommaso Foti e Lucio Malan. Segno che la linea è decisa. […] Se dovesse dar seguito alla rabbia di queste ore, Meloni vorrebbe mandar via Fuortes anche subito. Per i messaggi di Fedez su cannabis e governo, per come è stata gestita la presenza di Mattarella, perché «la figuraccia su Zelensky ce la potevamo risparmiare».
Nei mesi scorsi la premier si era mossa con prudenza, sforzandosi di non rompere i rapporti con Fuortes e con la presidente Marinella Soldi. «Ho troppi fronti aperti, in primavera ci sono le nomine, non posso aprire anche il fronte Rai», […] Sul budget Palazzo Chigi avrebbe potuto aprire la crisi, ma ha preferito prendere tempo.
Ora quel tempo è scaduto. Meloni si sarebbe pentita di aver aspettato troppo e convinta che il momento di accelerare il benservito sia arrivato. E se nel governo molti sperano nel passo indietro di Fuortes, a Palazzo Chigi sembra non crederci nessuno: l’ad ha rifiutato la guida del Maggio Fiorentino e il Teatro alla Scala, dove gli piacerebbe approdare, non è disponibile.
Nelle stanze dove si prendono le decisioni ci sarebbe anche un piano B: non assumersi il rischio di silurare Fuortes, per non farne l’eroe della resistenza anti-governativa e però sfilargli la delega della direzione generale per affidarla a Gianpiero Rossi, fedelissimo di Meloni. Ma è chiaro che sarebbe un pareggio, non una vittoria. […] La questione è squisitamente politica.
In FdI lamentano che la Rai non abbia dato spazio a Meloni quando era all’opposizione e giudicano «un’anomalia gigantesca» che nella governance della tv di Stato «non ci sia un solo esponente del principale partito di maggioranza». Ovviamente non è tutto. Meloni ha fatto capire pubblicamente quanto seccata sia per il trattamento riservato al presidente ucraino Zelensky, prima invitato a parlare in videomessaggio e poi ridimensionato attraverso la lettera, declamata da Amadeus.
[…] i meloniani, […] credono alla ricostruzione del quotidiano La Verità : la Rai sapeva che Fedez avrebbe fatto a pezzi la foto di Bignami, sapeva perché il rapper «aveva fatto le prove dello show». Secondo i dirigenti di FdI, che avrebbero ascoltato anche delle registrazioni, il rapper aveva deciso di mostrare la foto del viceministro a testa in giù per evocare piazzale Loreto. Ma l’idea non è piaciuta alla Rai e Fedez ha scelto di strappare la foto. […]
Estratto dell’articolo di Silvia Fumarola per “la Repubblica” il 12 febbraio 2023.
[…] sul caso Fedez il direttore dell’Intrattenimento Prime time Stefano Coletta sbotta: «Non posso rispondere di ogni gesto che fa un artista in diretta. Allora dovrei dimettermi ogni giorno. Non è civile. Stiamo qui solo a parlare di questo, degli attacchi della politica, non di un festival che sfiora il 70% di share. Non è normale». Lavora in Rai dal 1991. Da redattore a inviato a capoprogetto, a direttore di Rai3 poi a Rai 1, è un uomo di prodotto. […]
[…] Dicono che questo sia il festival “più politico”.
«[…] non faccio mai valutazioni di natura politica. Nel momento in cui Amadeus ha la libertà editoriale, che condivide con me, è la libertà assegnata a ogni artista […] a segnare il percorso. […]».
Come mai Amadeus passa per il simbolo dell’opposizione?
«Non ne ho idea. Non ha mai letture politiche del suo lavoro, si è formato con la musica, in radio e in televisione. Una maniacalità ammirevole nell’impegno, sa incarnare il ruolo di direttore artistico: non ha letture ideologiche».
Lei invece?
«Io penso che la televisione debba rappresentare tutta la società, nella sua interezza. Che sia interessante la complessità».
La destra è sul piede di guerra. Sente la sua poltrona a rischio?
«Rispetto alla mia poltrona mi auguro fortemente che chi fa un discorso tecnico non sia valutato politicamente. Sarebbe un errore per l’azienda perché le persone sanno discernere l’operato di un dirigente: chi conosce la mia storia conosce la mia trasparenza».
Fratelli d’Italia chiede le dimissioni dei dirigenti per il caso Fedez.
«Allora torno a spiegare. Io e la mia vicedirettrice Lentini abbiamo saputo nell’imminenza della messa in onda che Fedez non avrebbe più portato il testo che ci era stato consegnato da giorni. Il segmento legato alla nave è una parte di sei ore di programma, controlliamo tutto. Abbiamo saputo solo nell’imminenza che si era rifiutato di consegnare il nuovo testo. […] Solo Fedez ha cambiato all’ultimo minuto».
Aveva detto qualcosa agli artisti?
«La mia richiesta era sempre stata quella di non fare riferimenti politici, essendoci domenica due votazioni importanti nel Lazio e in Lombardia. Per questo quando Fedez ha strappato la foto di un viceministro mi sono dissociato il giorno dopo. Un prodotto televisivo non è necessariamente sempre il risultato di strumentalizzazioni politiche».
[…] Cosa l’ha ferita di più degli attacchi subiti?
«Poiché credo non sia stato mai rintracciabile un vulnus nella mia professionalità — e non parlo di perfezionismo, ma di un ruolo che ho cercato di incarnare con imparzialità e impegno — la ferita più grande è essere stato attaccato sul privato, dal punto di vista sessuale. Ho pensato che se fossero stati vivi i miei genitori — che mi hanno educato al rigore, al rispetto, al dialogo, che mi hanno insegnato che bisogna sempre ascoltare tutti — avrebbero sofferto. Essere attaccati per l’orientamento sessuale, per demolire la professionalità con letture omofobe è una ferita e niente ti può risarcire. Tutti gli anni di sacrificio, impegno, di giornate fatte di solo lavoro, saltano in un istante perché nella vita si ha un compagno e non una compagna? […]».
Estratto dell'articolo di Paola Italiano per “la Stampa” il 3 Febbraio 2023.
La deputata di Fratelli d'Italia Maddalena Morgante si dice «sconcertata» dalla notizia che Rosa Chemical in gara al prossimo Sanremo «porterà, e chiedo scusa per i termini che sto per usare, il sesso, l'amore poligamo e i porno su Onlyfans. Trasformare il Festival di Sanremo, un appuntamento che ogni anno tiene incollati allo schermo famiglie e bambini, emblema della tv tradizionale convenzionale, nell'appuntamento più gender fluid di sempre, è del tutto inopportuno».
(...)
Quella della deputata Morgante è solo l'ultima di una lista di interrogazioni parlamentari lunga quasi quanto la storia del Festival. Curioso: c'era una fiamma tricolore anche nel simbolo del partito del primo parlamentare che nel 1957 apre le danze dei politici indignati, Bruno Spampanato, protagonista del fascismo dalla marcia su Roma alla Repubblica Sociale, e nell'Italia Repubblicana eletto alla Camera per il Movimento Sociale Italiano.
(...)
Oggi è quasi raccapricciante la richiesta di abolire il Festival avanzata dal democristiano Giovanni D'Antonio nel 1967. È l'anno della tragedia di Luigi Tenco, contro il quale D'Antonio si scaglia, mettendo in mezzo pure Mike Bongiorno, chiedendo di accertare «se il cantante Luigi Tenco fosse dedito agli stupefacenti, se fosse davvero entrato in scena spinto dal presentatore Mike Bongiorno che "pure sapeva che il cantante era drogato"».
Tra la fine degli Anni 80 e l'inizio dei 90 «la questione morale» investe anche la Riviera canterina. Nel 1989 sono ancora dei deputati del Msi-Dn a lamentare la poca trasparenza nei processi di selezione dei cantanti in gara, chiedendo «se risponde al vero che gli organizzatori del Festival patteggiano con le case discografiche il numero dei cantanti, prescindendo dalle qualità degli stessi, che nel patteggiamento risultano merce di scambio i cantanti stranieri e che soprattutto per le nuove leve e per gli emergenti esiste una forte penalizzazione».
Nel 1993 il bersaglio cambia, non più le case discografiche, ma la Rai: il Msi vuole che si verifichino le affermazioni dell'allora organizzatore Ezio Radaelli che dice che «la Rai comanda e ricatta, e gli organizzatori possono solo dire sì» (questa Rai è già più riconoscibile). A chiederlo è la missina Adriana Poli Bortone, che l'anno dopo, nel 1994, torna alla carica, perché stavolta la politica non può fare finta di niente: perché Franco Simone non è stato incluso nel cast?
Ed è ancora la destra, questa volta An, nella persona di Vito Cusimano, che nel 1999 punta il dito contro i cachet, «vergognoso sperpero di denaro pubblico per scritturare personaggi noti». Per l'onorevole era forse meglio scritturare emeriti sconosciuti.
La palma della protesta più bizzarra va però all'onorevole Mario Borghezio dell'allora Lega Nord, indignato per una frase nientepopodimeno che di San Paolo. Questa è da spiegare: nel 1999 Fabio Fazio invita Ivano Fossati che canta Mio fratello che guardi il mondo, un inno alla fratellanza e all'accoglienza; per l'occasione manda in onda una frase tratta dalla Lettera di San Paolo agli ebrei: «Non dimenticate di essere ospitali con gli stranieri, perché alcuni hanno ospitato degli angeli senza saperlo». Sospettiamo che a Borghezio non sia mai capitato.
Come si vede, a portare Sanremo in Parlamento è stata soprattutto la destra, ma anche il Pd ha dato insperati segnali di vita nel 2020, pretendendo spiegazioni sul carrozzone Rai inviato al Festival: 624 dipendenti, un centinaio in più dell'anno prima.
Al seguito però - lamentavano i dem - figuravano anche mogli, figli, accompagnatori.
«Chi li ha autorizzati? Quanto è costata la loro trasferta? Era necessaria la presenza di tutti quei dirigenti?».
Non potevano mancare i Cinquestelle. Lontani i tempi in cui Beppe Grillo a Sanremo ci andava da comico e se la prendeva con i socialisti, un cavallo di battaglia (1989): vent'anni dopo esatti è l'allora capogruppo Gianluigi Paragone a presentare un'interrogazione parlamentare «sul possibile conflitto di interessi» del conduttore Claudio Baglioni. Il resto è storia recente.
Un anno fa Achille Lauro si autobattezzava sul palco e La Rappresentante di Lista alzava un pugno chiuso a fine dell'esibizione. «Oltraggio alla religione cattolica, inneggio al comunismo» secondo Salvini, e la Lega se la prendeva anche contro «i pericolosi ammiccamenti alla liberalizzazione delle droghe» di Ornella Muti. Ricordate? Probabilmente no, ma così è Sanremo: dal giorno dopo restano solo - se restano - le canzoni. E meno male.
Sanremo, Zelensky e il mistero delle interferenze politiche sul video diventato lettera. Antonella Baccaro su Il Corriere della Sera il 07 Febbraio 2023
In merito alla partecipazione del leader ucraino al Festival di Sanremo, Viale Mazzini sostiene che «non corrisponde al vero che la Rai si è rifiutata di mandare in onda un suo video»
Chi ha deciso che la partecipazione del presidente ucraino Volodymyr Zelensky al Festival di Sanremo non consistesse più in un video di due minuti ma in un testo letto da Amadeus? La spiegazione fornita dal direttore del Prime Time Stefano Coletta, che sarebbe stata una scelta di Zelensky riferita all’ambasciatore ucraino in Italia, accrediterebbe la pista diplomatica. E cioè che sarebbe stato davvero il leader ucraino a preferire un’apparizione più discreta in una sede come il Festival, essendo prevista una sua presenza più incisiva a Bruxelles, nel consiglio Europeo, giovedì prossimo.
Ma leggendo tra le righe delle dichiarazioni di giornata emergono quei mal di pancia nella maggioranza, sopiti ma mai placati, che secondo alcuni avrebbero prodotto la decisione comune di «abbassare i toni». Paventa questa interpretazione Maurizio Lupi (Noi moderati) quando dice: «Siamo stupiti da questa scelta che, ci auguriamo, non sia dovuta a motivi “politici” perché, ricordiamolo: in questa guerra c’è un aggressore e c’è un aggredito».
Chi non si nasconde dietro un dito è il vicepresidente del Senato, Maurizio Gasparri (Forza Italia) che sembra proprio rivendicare alla politica decisioni che finora sarebbero planate su altri tavoli: «Sinceramente — dichiara — sarebbe stato meglio che la Rai non si fosse infilata in questa vicenda». E poi: «Non ho capito come sia nata. Forse dalla volontà di qualche autorevole esponente della galassia Rai, più che da una decisione dei suoi vertici, che mi sono sembrati più coinvolti nell’iniziativa altrui, che promotori di iniziative proprie».
Insomma Gasparri rilancia l’interpretazione secondo cui la Rai, ma anche il governo, sarebbero stati travolti dall’altrui attivismo, e poi costretti a gestire un invito che ormai non si poteva più ritirare, alla fine ridimensionandolo . Ma che forse, alla fine, è stato ridimensionato. La decisione finale solleva perplessità, come quella dell’ex presidente della Camera, Pier Ferdinando Casini: «Credo che Biagio Agnes (ex direttore generale Rai, ndr) si rivolti nella tomba a pensare a come si sia ridotta la tv pubblica».
A sera ce n’è abbastanza per una replica della Rai: «Non corrisponde al vero che la Rai si è rifiutata di mandare in onda un suo video. Al contrario, la Rai si è sempre dichiarata disponibile a raccogliere un intervento in forma video o audio. È stato l’ambasciatore dell’Ucraina a Roma ad avanzare la richiesta di far leggere un testo scritto del presidente».
Zelensky a Sanremo solo con un testo. Il compromesso dopo le polemiche. Giovanna Vitale su La Repubblica il 07 Febbraio 2023
In Rai assicurano che la decisione di inviare una lettera e non un videomessaggio è stata presa dall'Ucraina
In Rai assicurano che no, loro non c'entrano: la decisione di inviare un testo scritto al Festival di Sanremo, anziché il videomessaggio che Volodymyr Zelensky avrebbe dovuto registrare per la serata conclusiva, è stata presa dalle autorità ucraine. Comunicata giovedì scorso dall'ambasciatore in Italia, Yaroslav Melnyk, al direttore dell'Intrattenimento Prime time Stefano Coletta, che con il diplomatico aveva già qualche giorno intavolato una trattativa sul tenore del contributo previsto al clou dell'evento nazionalpopolare più atteso della tv.
"Sono un sostenitore dell'Ucraina, ma non è giusto associare la guerra alle canzonette". Il leader del Terzo polo, Carlo Calenda, a Metropolis precisa la sua posizione sull'intervento a Sanremo del presidente ucraino, che invierà un testo tradotto e letto da Amadeus: "Prima il video sì, poi il video ce lo guardiamo, come se il burocrate Rai potesse tagliarlo, poi il testo. Sconcertante".
Mario Maffucci. Estratto dell'articolo di Alessandro Ferrucci e Stefano Mannucci per il “Fatto quotidiano” il 6 febbraio 2023.
(...)
Torniamo a Sanremo: lei ha portato Gorbaciov.
Oggi qualcuno potrebbe obiettare: quindi è giusto Zelensky. Peccato per la differenza: Gorbaciov veniva dal Nobel per la Pace e soprattutto a quel tempo non eravamo in mezzo a una guerra sanguinosa.
Ha conosciuto Gorbaciov...
Non tanto, non parlava neanche inglese, eravamo affidati solo all’interprete e a Giulietto Chiesa (giornalista, ndr), amico dell’ex leader comunista e garante della qualità dell’impegno televisivo; (sorride) quell’anno il direttore del Festival era Fabio Fazio e lo convinsi a prendere Letizia Casta: “Va benissimo, ha un carattere forte, ci stupirà”.
Ed è andata così.
Peccato che l’anno dopo, Fazio, abbia dato retta alla moglie e abbia scelto Ines Sastre, ragazza bella, ma che non esprimeva nulla, un pezzo di legno. Mica come la Casta.
Insieme alla Casta c’era il premio Nobel Dulbecco: per molti lo avete svilito.
Lui non si sentiva svilito, era felicissimo; la decisione di coinvolgerlo è nata durante una riunione preliminare, quando uno di noi ha sentenziato: “Il regolamento di Sanremo è talmente complicato che ci vorrebbe un Nobel per capirlo”. “Bene! E allora prendiamo un Nobel”.
(...)
E la Carrà?
Un anno è stata lei a condurre, ma non è andata bene, era stanca, non aveva preparato bene il Festival; dopo la prima puntata ci riuniamo e Raffaella tenta una carta: “Chiamo Banderas, è un mio amico, verrà”. Lo contatta, ci accordiamo sulla cifra, arriva e si fa accompagnare da uno spilungone vestito di nero, uno che sembrava uscito da una puntata della Famiglia Adams. Baci e abbracci tra Banderas e la Carrà.
Però...
Andiamo sul palco per provare e Iapino propone un duetto tra i due con i brani spagnoli di Raffaella. A quel punto l’uomo nero alza la mano: “Non si può fare e per due motivi. Uno perché non è previsto dal contratto. Due perché è una cagata”.
Lei è svenuto.
Aveva ragione l’uomo nero. E neanche Banderas è riuscito a risollevare la situazione; (pausa) Banderas lo abbiamo pagato bene.
(...)
In quanto a super ospite lei ha avuto Madonna...
Nell’anno di Vianello, ma non andò bene; (ride) Raimondo la trattò malissimo, subito dopo la sua esibizione l’ha mandata via dal palco, quando poteva scambiarci due battute.
Cosa era accaduto?
Non lo so, forse lo aveva infastidito il suo ruolo da mega diva; il bello è che tutti hanno interpretato quel saluto frettoloso come una gag costruita, mentre anche noi rimanemmo stupiti.
Nel 1989 avete affidato la conduzione ai “figli di...”: Rosita Celentano, Paola Dominguín, Danny Quinn e Gianmarco Tognazzi.
Un disastro, una tragedia.
Senza se e senza ma.
L’anno prima era andata benissimo con Gabriella Carlucci, mentre con quei quattro non è andato bene nulla.
(...)
L’anno di Bongiorno e il primo con Fazio, mentre ho il rimpianto di non aver lavorato con Renzo Arbore.
Insieme qualcosa avete combinato...
Le otto puntate di Aspettando Sanremo, con anche Lino Banfi e Michele Mirabella; (sorride) una sera, mentre preparavamo il programma, Arbore mi dice: “Dobbiamo prendere uno veramente antipatico”. E allora scegliemmo Mirabella che in realtà è una persona deliziosa.
Arbore è una colonna della tv...
Con lui mi sono divertito da matti: le riunioni preparatorie si svolgevano a casa di Renzo, ed erano il vero show, qualcosa di unico, ancora più divertente del programma stesso.
Cosa accadeva?
Arbore dava le poche linee dentro le quali ognuno poteva sbizzarrirsi con la sua creatività; il bello è che la fantasia dell’uno stimolava quella dell’altro, e in mezzo a questi fenomeni potevi venir stupito da chi meno te l’aspettavi.
Come mai Arbore non ha mai condotto il Festival?
Perché certi ruoli non sono compatibili: il comico come Benigni o l’ironico alla Arbore non sono adatti a guidare uno show come Sanremo. Il Festival è una cosa serissima. È sacerdotale.
Il Festival cancella il video di Zelensky: solo un messaggio. Sberleffo di Mosca: "Poteva vincere..." Sanremo Dietrofront. Un mezzo passo indietro. Un po' di Zelensky ma non troppo. Niente video messaggio, ma una letterina letta da Amadeus. Laura Rio il 7 Febbraio 2023 su Il Giornale.
Sanremo Dietrofront. Un mezzo passo indietro. Un po' di Zelensky ma non troppo. Niente video messaggio, ma una letterina letta da Amadeus. Insomma, la solita soluzione all'italiana. Dopo tutte le polemiche, le prese di posizione, le raccolte di firme, le petizioni di intellettuali contro l'intervento del presidente ucraino al Festival di Sanremo, la Rai ha trovato una soluzione che accontenta tutti e nessuno. Lo ha annunciato ieri mattina il direttore dell'intrattenimento prime time Stefano Coletta nella prima conferenza stampa che dà il via alla settimana festivaliera.
«Siamo in contatto quotidiano con l'ambasciatore ucraino Melnyk - ha spiegato il direttore - Siamo giunti alla definizione dell'intervento del presidente ucraino: non invierà un video, ma un testo scritto» che sarà letto sul palco dal presentatore Amadeus. L'ipotesi iniziale, ovvero che Zelensky intervenisse con un collegamento o con un messaggio registrato come già accaduto in altre occasioni simili (ai Golden Globes, alla Mostra del Cinema di Venezia e a quella di Cannes) e come annunciato da Bruno Vespa che ha fatto da intermediario, è stata quindi accantonata. Secondo la versione ufficiale dei vertici Rai, sarebbe stato il leader in guerra con Putin a preferire inviare una lettera. «Così ci è stato comunicato dall'ambasciatore nel pomeriggio del 2 febbraio», ha precisato Coletta. Ma è evidente, anche se i vertici di viale Mazzini smentiscono, che si è trovato di comune accordo questa soluzione dopo le fortissime polemiche - da Salvini a Grillo a un gruppo di intellettuali che si sono schierati contro - suscitate dall'intervento.
«Quindi Zelensky non vincerà questo concorso con un rap», interviene sarcastica la portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova. Insomma, la guerra tra i due paesi passa anche per le canzoni: il Festival è sempre stato ascoltatissimo in Russia, anche ai tempi dell'Unione Sovietica. E si riesce pure a scherzare su una situazione così drammatica. Amadeus - ribattezzato da Fiorello «lo Swiffer delle polemiche» - commenta la vicenda sorridendo: «Leggerò il testo in ucraino» e aggiungendo che «una lettera è più romantica».
La brutta figura, in tutta questa storia, la fanno i vertici della tv di Stato che per tenersi in equilibrio, cedono alle pressioni. L'impatto di un testo letto e contestualizzato da Amadeus ovviamente avrà un impatto meno violento sul pubblico rispetto al faccione di Zelensky che sarebbe apparso in mezzo alle canzoni a chiedere armi e sostegno all'Occidente.
Su quanto scriverà nella lettera il leader ucraino è ancora riserbo, ma il direttore Coletta assicura che non ci sarà alcun controllo preventivo sul testo inviato, come era stato paventato dopo che i consiglieri del Cda Rai avevano chiesto chiarimenti sulla questione. «Mi sembra complicato poter censurare il presidente - ha risposto a una domanda - Il controllo di noi dirigenti è preventivo alla messa in onda di ogni programma, ma sorrido all'idea di un dirigente Rai che possa censurare un presidente».
Comunque sia, la soluzione non piace a nessuno. «Stiamo parlando di un contesto completamente diverso rispetto a quello dove ha già parlato, cioè il Parlamento, che era la sede più opportuna e giusta», ha commentato il presidente del Movimento 5 Stelle Giuseppe Conte. «Resto convinto che il massacro degli ucraini non meritava di essere mischiato con il televoto», ha commentato il vicepresidente del Senato Maurizio Gasparri.
Non ha dubbi Carlo Calenda: «Capisco la logica dell'invito a Zelensky, ma ci sono luoghi che non si prestano in termini di gravitas. Poi quello che ha fatto la Rai è davvero il peggio. Nel momento in cui dici che lo vuoi a Sanremo, non ti metti poi a fare la censura al presidente di un Paese in guerra».
Il pasticciaccio Rai: lettere, telefonate e lo stupore dell'ambasciata. Dall'annuncio di Vespa a "Domenica in" all'imbarazzato compromesso con Kiev. Laura Rio il 7 Febbraio 2023 su Il Giornale.
Forse l'ambasciatore d'Ucraina in Italia, Yaroslav Melnyk, sarà rimasto attonito nel vedere le prime pagine dei giornali italiani pieni di articoli sulla presenza del suo presidente a Sanremo piuttosto che sotto le bombe in Donbass. E, invece, da noi accade pure questo: fa molto più clamore scannarsi politicamente sul Festival che sull'opportunità o meno di sostenere con le armi il paese invaso da Putin. Dunque, ecco che, dopo l'annuncio - fatto in diretta da Bruno Vespa a «Domenica In» - di uno spazio nell'ultima serata del Festival concesso al presidente ucraino, scoppia il bubbone, partono le telefonate tra i vertici Rai e l'ambasciata ucraina a Roma. Melnyk, unico referente della televisione italiana, chiede di incontrare nella capitale il direttore dell'intrattenimento Prime Time Coletta e il presentatore Amadeus, che però sono già nella città ligure. Dopo varie chiamate e varie proposte, si giunge alla soluzione di compromesso: evitare il «pericoloso» video messaggio per una più controllabile e tranquilla lettera. E, per salvare la faccia, i vertici Rai sostengono che non si era mai espressamente parlato di un videomessaggio, ma di una «modalità partecipativa» ancora da definire che - secondo le precisazioni di Coletta - sarebbe potuto essere in «video, in collegamento, escludendo invece la presenza fisica sul palco». Peccato, però, che Bruno Vespa - che ha fatto da tramite tra viale Mazzini e il leader ucraino quando è andato a intervistarlo a Kiev - aveva detto tutt'altra cosa nell'annuncio fatto nel salotto domenicale di Mara Venier: «Sapevo che Zelensky voleva venire a Sanremo in collegamento - ha detto espressamente - Dopo aver parlato con Amadeus, gli ho potuto dire: Caro presidente, la aspettiamo nella serata finale'». Insomma, l'idea iniziale era quella addirittura di un collegamento o di un video messaggio, poi per smorzare le polemiche si è passati al più semplice testo scritto che verrà letto da Amadeus sabato dopo che si saranno esibiti tutti i 28 cantanti in gara più i tanti e vari ospiti. Quindi a tarda notte, quando molta parte del pubblico sarà già assopita. E l'altra parte, annebbiata dal sonno, non si renderà ben conto se sta ascoltando qualche brano contro la guerra o un presidente in guerra.
Tra l'altro è singolare pure la modalità con cui è stato comunicato l'evento. Vespa lo ha detto mentre scorrevano i titoli di coda di «Domenica In» il 15 gennaio senza avvisare né i vertici di viale Mazzini né Amadeus che lo avrebbe fatto in collegamento in diretta da Kiev con Mara Venier. E il presentatore, nella stessa giornata, poche ore prima, aveva fatto uno dei suoi annunci al Tg1 delle 13 (dove aveva presentato le due co-conduttrici Chiara Francini e Paola Egonu) senza fare alcuna menzione della notizia più importante e clamorosa che in breve ha scatenato una montagna di polemiche. Accadano pure queste cose in una Rai, dove una mano non sa cosa fa l'altra oppure lo sa fin troppo bene. Tanto - come sostiene Amadeus - le polemiche si «sgonfiano» appena parte la prima nota del festival. Che siano stonate o meno, non fa nulla.
Se la tragedia sfocia nell'avanspettacolo. Poteva essere una cosa seria. È diventata una farsa. Amadeus ventriloquo di Zelensky, siamo ai massimi dei minimi, l'appello alla pace si trasforma in una recita a soggetto esterno. Tony Damascelli il 7 Febbraio 2023 su Il Giornale.
Poteva essere una cosa seria. È diventata una farsa. Amadeus ventriloquo di Zelensky, siamo ai massimi dei minimi, l'appello alla pace si trasforma in una recita a soggetto esterno, nessun video messaggio ma una lettera, scritta dal premier, il testo verrà prima tradotto dall'ambasciatore ucraino e poi letto, con dizione improbabile, dal direttore artistico del festival davanti a spalti gremiti, un teatro scintillante di pubblico pagante e ingioiellato e almeno quindici milioni di italiani davanti al televisore aspettando il nome del vincitore. Peggio di così non poteva finire ma è soltanto l'inizio, la tragedia della guerra trasformata in una gag da avanspettacolo, la sofferenza di un popolo mescolata alle esibizioni dei cantanti, brividi ma non quelli della canzone vincitrice lo scorso anno ma un senso di fastidio e di rigetto a ciò che da dramma viene utilizzato come acchiappo e propaganda. Il capo di Rai 1, Coletta Stefano, ha spiegato che gli sembrerebbe complicato poter censurare il presidente «sorrido all'idea di un dirigente Rai che possa censurare un presidente», in verità ci sarebbe pochissimo da sghignazzare nel caso in cui pungesse vaghezza a Vladimir Putin di mettere giù due righe e spedirle a viale Mazzini perché vengano pubblicamente lette, assieme a quelle del rivale Zelensky, che accadrebbe nei piani alti e nelle parti basse del e dei dirigenti Rai? Applicherebbero la par condicio e si rifugerebbero nel canneto, come per abitudine sanno fare? Tutto ciò conferma come si sia superato il limite, la guerra o invasione è argomento delicato già nei dibattiti politici, figuriamoci quando viene messo in tavola a sera tarda, per di più diffuso da un presentatore che dovrà essere capace di passare dagli inquietanti interrogativi sull'esatta identità dello show Soliti Ignoti, all'annuncio di una canzone per concludere l'impegno contrattuale con i tank Abrams americani arrivati a Kiev. D'accordo, non sono soltanto canzonette ma qui stanno canzonando gli abbonati e i cittadini italiani tutti, riuscendo in quella che sembrava poter essere una mission impossible, rendere ancora più antipatico il premier ucraino e ridurne il messaggio a uno spot tra altri cento magari accompagnato da un restate con noi, non cambiate canale. Ma il peggio è fatto, non si può tornare indietro, il messaggio è stato inviato sulla linea dell'utente desiderato. Verrà l'ora della lettura e improvvisamente le luci del teatro Ariston si abbasseranno, calerà il silenzio, non si percepirà nemmeno il fiato di un cantante, quindi, dopo l'ultima parola, gli spettatori si alzeranno in piedi e scoppierà l'applauso. Coletta e la sua orchestra sperano tuttavia che il premier ucraino possa ripensarci. Volodymyr Zelensky, da attore era anche comico, non poteva però immaginare di finire in una pagliacciata.
Luigi Mascheroni per “il Giornale” il 7 febbraio 2023.
Roberto Dagospia è la coscienza critica di Sanremo. Anticipa le anticipazioni, presenta i presentatori, critica i leccazampe, esalta i critici, dà consistenza al gossip, sgonfia la retorica: sul suo sito Dagospia commenta, beffeggia, spiffera, ci racconta scena, proscenio e retroscena del festival.
D'Agostino: prima la Rai annuncia un video di Zelensky, poi arriva una bufera di polemiche, adesso non è un video ma una lettera; Mosca che si fa beffe del Festival e una cosa seria come la guerra diventa una mezza pagliacciata Cosa sta succedendo a Sanremo?
«L'ho scritto una settimana fa, il 1° febbraio, sul mio sito. Le demenziali polemiche sull'intervento di Zelensky a Sanremo sono arrivate all'orecchio dei funzionari di Kiev, e il presidente ucraino che pure è un ex comico e conosce le regole dello show è rimasto sbigottito. Nessuno ha mai preteso che il suo discorso fosse sottoposto a lettura da parte di un funzionario televisivo. Ma che roba è?
Si è mai visto un direttore di rete che può esercitare una qualsiasi forma di controllo su un messaggio di un presidente di una nazione in guerra? Zelensky ha parlato all'Onu, alla notte degli Oscar, a Cannes, alla mostra del cinema di Venezia senza colpo ferire; però alla tv di Stato italiana vogliono sapere cosa dirà. Demenziale. Qualcuno dentro la Rai ha voluto sabotare l'evento».
E perché?
«Perché l'idea di portare Zelensky sul palco dell'Ariston è di un signore che si chiama Bruno Vespa, oggi accreditato come gran consigliori di Giorgia Meloni per le questioni Rai, e qualche nemico interno gli ha voluto fare lo sgambetto».
E adesso?
«Adesso Amadeus e Stefano Coletta, il direttore della prima serata Rai, invece di avere Zelensky si devono accontentare di Fedez... Il presidente di uno Stato in guerra, invaso e bombardato, aveva la possibilità di fare un legittimo appello in video, in prima persona, per chiedere aiuti militari ed economici, e invece se gli va bene può al massimo mandare una lettera... Dalla tragedia alla barzelletta».
La portavoce del ministero degli Esteri russo ha ironizzando sul mancato video del presidente ucraino. Ha detto: «Peccato per Zelensky, forse poteva vincere Sanremo».
«Siamo a un livello sotto la vergogna. C'è una guerra, neanche a troppi chilometri da qui, ci sono bombardamenti, morti, minacce nucleari, si poteva sfruttare un messaggio di pace, e questi stanno a ballare sul palco... Sembra la repubblica Weimar. Qui cantano, e là arrivano i nazisti... Pensa a Kiev cosa possono pensare... Saranno inferociti».
Amadeus ha detto che è più romantico leggere una lettera di Zelensky anziché mandare un video..
«Romantico?! Ma si rende conto? Ma stiamo parlando di una guerra! Non giochiamo con le parole. Posso farlo io, sul mio sito disgraziato, ma non la televisione di Stato... Senti, io la prima volta che sono andato a seguire il Festival di Sanremo era il 1978, ho fatto persino un Dopofestival... E ho capito una cosa in tutti questi anni. Il Festival peggio è, meglio è. Più riesci ad avere canzoni pessime, macchiette che salgono sul palco, stecche e polemiche, meglio funziona.
A Sanremo adesso stanno festeggiando. il Festival rappresenta l'identità di un Paese fatto di paesi, dove il divertimento maggiore è lo struscio: c'è chi passeggia e si mette in mostra, e chi guarda e giudica. Il Festival è quello: tu vai lì a farti guardare, io ti guardo e ti sbertuccio, tutto in tre minuti, il tempo di una canzone. Se porti solo belle persone, abiti eleganti e buoni brani, che divertimento c'è? Siamo un Paese di guardoni e pettegoli. E Sanremo è il Festival dei guardoni e dei pettegoli».
"Sabotaggio interno per colpire Vespa". Mister Dagospia: "Mai visto un direttore di rete che censura un leader in guerra". Luigi Mascheroni il 7 Febbraio 2023 su Il Giornale.
Roberto Dagospia è la coscienza critica di Sanremo. Anticipa le anticipazioni, presenta i presentatori, critica i leccazampe, esalta i critici, dà consistenza al gossip, sgonfia la retorica: sul suo sito Dagospia commenta, beffeggia, spiffera, ci racconta scena, proscenio e retroscena del festival.
D'Agostino: prima la Rai annuncia un video di Zelensky, poi arriva una bufera di polemiche, adesso non è un video ma una lettera; Mosca che si fa beffe del Festival e una cosa seria come la guerra diventa una mezza pagliacciata Cosa sta succedendo a Sanremo?
«L'ho scritto una settimana fa, il 1° febbraio, sul mio sito. Le demenziali polemiche sull'intervento di Zelensky a Sanremo sono arrivate all'orecchio dei funzionari di Kiev, e il presidente ucraino che pure è un ex comico e conosce le regole dello show è rimasto sbigottito. Nessuno ha mai preteso che il suo discorso fosse sottoposto a lettura da parte di un funzionario televisivo. Ma che roba è? Si è mai visto un direttore di rete che può esercitare una qualsiasi forma di controllo su un messaggio di un presidente di una nazione in guerra? Zelensky ha parlato all'Onu, alla notte degli Oscar, a Cannes, alla mostra del cinema di Venezia senza colpo ferire; però alla tv di Stato italiana vogliono sapere cosa dirà. Demenziale. Qualcuno dentro la Rai ha voluto sabotare l'evento».
E perché?
«Perché l'idea di portare Zelensky sul palco dell'Ariston è di un signore che si chiama Bruno Vespa, oggi accreditato come gran consigliori di Giorgia Meloni per le questioni Rai, e qualche nemico interno gli ha voluto fare lo sgambetto».
E adesso?
«Adesso Amadeus e Stefano Coletta, il direttore della prima serata Rai, invece di avere Zelensky si devono accontentare di Fedez... Il presidente di uno Stato in guerra, invaso e bombardato, aveva la possibilità di fare un legittimo appello in video, in prima persona, per chiedere aiuti militari ed economici, e invece se gli va bene può al massimo mandare una lettera... Dalla tragedia alla barzelletta».
La portavoce del ministero degli Esteri russo ha ironizzando sul mancato video del presidente ucraino. Ha detto: «Peccato per Zelensky, forse poteva vincere Sanremo».
«Siamo a un livello sotto la vergogna. C'è una guerra, neanche a troppi chilometri da qui, ci sono bombardamenti, morti, minacce nucleari, si poteva sfruttare un messaggio di pace, e questi stanno a ballare sul palco... Sembra la repubblica Weimar. Qui cantano, e là arrivano i nazisti... Pensa a Kiev cosa possono pensare... Saranno inferociti».
Amadeus ha detto che è più romantico leggere una lettera di Zelensky anziché mandare un video..
«Romantico?! Ma si rende conto? Ma stiamo parlando di una guerra! Non giochiamo con le parole. Posso farlo io, sul mio sito disgraziato, ma non la televisione di Stato... Senti, io la prima volta che sono andato a seguire il Festival di Sanremo era il 1978, ho fatto persino un Dopofestival... E ho capito una cosa in tutti questi anni. Il Festival peggio è, meglio è. Più riesci ad avere canzoni pessime, macchiette che salgono sul palco, stecche e polemiche, meglio funziona. A Sanremo adesso stanno festeggiando. il Festival rappresenta l'identità di un Paese fatto di paesi, dove il divertimento maggiore è lo struscio: c'è chi passeggia e si mette in mostra, e chi guarda e giudica. Il Festival è quello: tu vai lì a farti guardare, io ti guardo e ti sbertuccio, tutto in tre minuti, il tempo di una canzone. Se porti solo belle persone, abiti eleganti e buoni brani, che divertimento c'è? Siamo un Paese di guardoni e pettegoli. E Sanremo è il Festival dei guardoni e dei pettegoli».
Estratto dell’articolo di Silvia Truzzi per “il Fatto quotidiano” il 7 febbraio 2023.
[…] Carlo Freccero […]
È un compromesso al ribasso per la Rai avere la letterina di Zelensky al posto del consueto video?
[…] per la Rai Sanremo rappresenta un grande bottino di […] introiti pubblicitari: così si evitano potenziali defezioni di pubblico e investitori.
Secondo la Rai è stata una scelta di Zelensky.
Ho dei dubbi: questa soluzione si risolve in un depotenziamento del messaggio di Zelensky. Sanremo è uno spettacolo televisivo: chiaramente una lettera letta non ha lo stesso impatto di un filmato. […] Sanremo voleva fare C’è posta per te, ma il gioco non è riuscito.
[…] E dal punto di Vespa, il grande regista di quest’operazione?
Vespa ha fatto il Caschetto (Beppe, agente di personaggi dello spettacolo, ndr) di Zelensky, ma gli è andata male. […] Chiaramente una sconfitta, che può anche essere letta come un ridimensionamento di Vespa all’interno della Rai. In qualche modo, con l’invito a Zelensky e l’annuncio fatto personalmente, Vespa si era sostituito all'amministrazione delegato della Rai. Che […] non per nulla sarà a Sanremo. Fuortes batte Vespa sei-zero, sei-zero.
La lettera verrà letta da Amadeus, che di mestiere conduce I soliti ignoti.
[…] C'era molta attesa per il video del presidente ucraino. Dal punto di vista degli ascolti il depotenziamento e un boomerang? Sicuramente. […] Il depotenziamento […] agisce sul messaggio di Zelensky, ma anche sulla protesta contro la guerra. Sabato a Sanremo non ci sarà la tensione che ci sarebbe stata con il video messaggio.
Gio.Vi. per “la Repubblica” il 7 febbraio 2023.
In Rai assicurano che no, loro non c’entrano: la decisione di inviare un testo scritto al Festival di Sanremo, anziché il videomessaggio che Volodymyr Zelensky avrebbe dovuto registrare per la serata conclusiva, è stata presa dalle autorità ucraine.
Comunicata giovedì scorso dall’ambasciatore in Italia, Yaroslav Melnyk, al direttore dell’Intrattenimento Prime time Stefano Coletta, che con il diplomatico aveva già qualche giorno intavolato una trattativa sul tenore del contributo previsto al clou dell’evento nazionalpopolare più atteso della tv.
[…]
Matteo Salvini era stato il primo ad augurarsi che «il palcoscenico della città dei fiori rimanga riservato alla musica».
Seguito da Carlo Calenda — «Parrebbe molto strano vedere un presidente impegnato a difendere il suo Paese tra una canzone e l’altra» — e pure da Giuseppe Conte: «Non è necessario avere Zelensky in un contesto così leggero». Posizioni ostili, che non sono passate inosservate.
[…]
«Mi sembra complicato poterlo censurare. Il controllo di noi dirigenti è preventivo alla messa in onda di ogni programma», taglia corto Coletta, «ma sorrido all’idea di un dirigente Rai che possa censurare un presidente». […]
Giovanna Vitale, Tommaso Ciriaco per “la Repubblica” il 7 febbraio 2023.
Alla fine, è l’ambasciata d’Ucraina in Italia a chiudere il caso. E lo fa comunicando ai vertici Rai di aver deciso che la partecipazione di Volodymyr Zelensky a Sanremo si sarebbe risolta con una lettera del Presidente. Questa, confidano fonti diplomatiche ucraine, rappresenterebbe una soluzione condivisa, presumibilmente con il governo di Roma.
Con l’obiettivo, aggiungono le stesse fonti, di evitare di dividere l’opinione pubblica italiana sulla guerra in Ucraina. È l’ultimo tassello di una vicenda che oscilla come un pendolo tra l’incidente diplomatico e il caso politico. Un caso che in alcuni dettagli si tinge di giallo, chiamando in causa i vertici della televisione pubblica, l’esecutivo e le diplomazie di entrambi i Paesi. Vale la pena provare a ricostruirlo.
La versione della Rai ridimensiona l’accaduto a un’interlocuzione senza tensioni o sbavature.
Tutto nasce dalla missione di Bruno Vespa a Kiev, per intervistare il Presidente ucraino. Il direttore e conduttore di Porta a Porta ottiene la disponibilità a un intervento del leader ucraino al Festival. Tornato in Italia, riporta questa possibilità all’amministratore delegato della Rai Carlo Fuortes e al conduttore del Festival Amadeus.
[…] L’opzione su cui si tratta è quella di un video registrato della durata di due minuti. […]
Nel frattempo, però, in Italia scoppia una polemica politica durissima. Capofila degli scettici è Matteo Salvini, notoriamente vicino alle posizioni di Mosca. Mostrano dubbi anche Carlo Calenda e Giuseppe Conte. E va registrato tra l’altro anche l’intervento di Piersilvio Berlusconi. Finché, il 2 febbraio, la diplomazia ucraina comunica alla Rai che il format dell’apparizione sarebbe stato quello del testo scritto.
Le stesse fonti della tv pubblica sostengono che non sia credibile che dietro alla scelta si nasconda anche un fastidio di Zelensky, culminato nella mossa asettica di una lettera al posto del video, che certamente avrebbe garantito una resa televisiva migliore. A differenza degli ucraini, inoltre, le fonti di Viale Mazzini negano che ci sia stato un intervento della Farnesina per ricomporre il caso.
Tutte le fonti ufficiali, a sera, si attestano sostanzialmente su questa linea. Palazzo Chigi si tira fuori dalla partita, mentre il ministero degli Esteri è netto: non siamo intervenuti. [...]
Per un giorno intero, si rincorre un’altra ricostruzione dei fatti. La gestione della partecipazione di Zelensky sarebbe stata effettivamente portata avanti dall’ambasciata ucraina. Ma il polverone politico avrebbe fatto inceppare la trattativa. Gli ucraini non avrebbero gradito neanche la pianificazione, fin nei dettagli, dell’intervento del leader, così come l’eventualità di conoscere in anticipo le modalità, la durata e i contenuti dell’intervento.
Secondo alcune fonti, si sarebbe arrivati vicini alla defezione di Zelensky: non solo niente video, ma anche nessuna lettera. Un passo indietro capace di generare un vero caso diplomatico, soprattutto a pochi giorni dall’annunciata visita di Meloni a Kiev. La premier, d’altra parte, non può certo essere sospettata – a differenza di Lega e Forza Italia - di essere tra quelli che avrebbero frenato l’intervento del presidente ucraino. […]
Estratto dell'articolo di Antonella Baccaro per il “Corriere della Sera” il 7 febbraio 2023.
La spiegazione fornita dal direttore del Prime Time Stefano Coletta, che sarebbe stata una scelta di Zelensky riferita all’ambasciatore ucraino in Italia, accrediterebbe la pista diplomatica. E cioè che sarebbe stato davvero il leader ucraino a preferire un’apparizione più discreta in una sede come il Festival […]
[…] emergono quei mal di pancia nella maggioranza, sopiti ma mai placati, che secondo alcuni avrebbero prodotto la decisione comune di «abbassare i toni». Paventa questa interpretazione Maurizio Lupi (Noi moderati) quando dice: «Siamo stupiti da questa scelta che, ci auguriamo, non sia dovuta a motivi “politici” perché in questa guerra c’è un aggressore e c’è un aggredito».
Chi non si nasconde dietro un dito è il vicepresidente del Senato, Maurizio Gasparri (Forza Italia) che sembra proprio rivendicare alla politica decisioni che finora sarebbero planate su altri tavoli: «Sinceramente — dichiara — sarebbe stato meglio che la Rai non si fosse infilata in questa vicenda». E poi: «Non ho capito come sia nata. Forse dalla volontà di qualche autorevole esponente della galassia Rai, più che da una decisione dei suoi vertici, che mi sono sembrati più coinvolti nell’iniziativa altrui, che promotori di iniziative proprie».
Insomma Gasparri rilancia l’interpretazione secondo cui la Rai, ma anche il governo, sarebbero stati travolti dall’altrui attivismo […] A sera ce n’è abbastanza per una replica della Rai: «Non corrisponde al vero che la Rai si è rifiutata di mandare in onda un suo video. Al contrario, la Rai si è sempre dichiarata disponibile a raccogliere un intervento in forma video o audio. È stato l’ambasciatore dell’Ucraina a Roma a avanzare la richiesta di far leggere un testo scritto del presidente».
Andrea Parrella per fanpage.it il 7 febbraio 2023.
Il caso Zelensky a Sanremo accende la vigilia del Festival di Sanremo, in partenza martedì 7 febbraio al teatro Ariston, con la conduzione di Amadeus. Nel corso della tradizionale conferenza stampa del lunedì, è arrivato infatti l'annuncio del dietrofront sul video del presidente ucraino trasmesso in diretta nell'ultima serata del sabato.
Come comunicato nel corso della prima conferenza stampa di lunedì 6 febbraio, l'intervento di Volodymir Zelensky sarà solo in forma scritta, letto da Amadeus proprio nel corso dell'ultima serata. Una decisione che ha alimentato non poche perplessità, presa su richiesta esplicita dell'ambasciatore ucraino.
Tra i fautori di questo intervento, Bruno Vespa, conduttore di Porta a Porta che aveva intervistato Zelensky poche settimane fa e proprio in quell'occasione aveva annunciato la presenza del presidente ucraino a Sanremo. Raggiunto da Fanpage.it, Bruno Vespa ha chiarito come siano andate le cose: "Per chiarezza io ho fatto il postino. Zelensky mi ha fatto sapere che voleva intervenire a Sanremo come in altre occasioni. Ho trasmesso in azienda la richiesta e Amadeus lo ha invitato nella serata finale. Nella fase finale ho messo in contatto Coletta con l'ambasciatore ucraino per trovare la soluzione migliore".
Vespa, tuttavia, si mostra soddisfatto rispetto al fatto che il messaggio di Zelensky possa arrivare comunque alla platea e al pubblico del Festival: "Mi fa piacere che anche il pubblico sanremese possa essere messo a parte direttamente dell'atroce vicenda ucraina".
Intervenendo su uno dei temi più spinosi di questo Festival, il responsabile del genere intrattenimento Stefano Coletta ha chiarito che si è trattato diuna richiesta dell'ambasciatore ucraino: “Siamo in contatto con più colloqui al giorno con l’ambasciatore Melnyk. Siamo giunti alla definizione dell’intervento del presidente ucraino ieri. Il presidente non invierà un video ma un testo. Riguardo al controllo preventivo, ci sono sempre degli elaborati rispetto a talune affermazioni che sono vicini a delle boutade.
Ai nostri tempi è complicato censurare un presidente. Il controllo è relativo alla messa in onda di qualsiasi programma televisivo, siamo dirigenti per questo. Visioniamo tutto ciò che va in onda prima della messa in onda. Ma sorrido all’idea che un direttore Rai possa censurare un presidente. Riguardo ai contenuti del testo, saremo più puntuali nei prossimi giorni ma non abbiamo ancora contezza del contenuto e della forma. Sarà letto da Amadeus”. Quindi Amadeus ha aggiunto: "Il contenuto dell’intervento sarà letto esattamente come arriverà".
Giorgio Rutelli per formiche.net il 12 febbraio 2023.
Le 4.15. Era notte fonda a Mosca quando è andata in onda la lettera di Zelensky letta da Amadeus. Da noi erano le 2.15, una buona fetta di spettatori di Sanremo era già crollata. Non solo il tira e molla imbarazzante che aveva portato a cancellare il video del presidente in guerra e sostituirlo con un breve testo scritto (corredato dall’esibizione sul palco, sempre dopo tutti e 28 i cantanti in gara, di una band ucraina), anche lo smacco della collocazione più infelice di tutte, cioè quando il pubblico sopravvissuto vuole solo capire chi ha vinto e andare a dormire, e maledice ogni ulteriore motivo di ritardo.
Programmandolo a quell’ora si è azzerata la possibilità che in Ucraina (dove erano le 3.15) e in Russia qualcuno potesse vedere il più popolare spettacolo televisivo italiano schierato a sostegno di un popolo invaso e massacrato. Lo ha spiegato perfettamente Fulvio Abbate: il Festival in Russia è seguito da milioni di persone, lo adorano, e vedere Zelensky, descritto dalla propaganda putiniana come “a capo di una banda di drogati, satanisti e neonazisti” occupare la prima serata più importante dell’anno avrebbe mandato un messaggio potentissimo anche nelle province più remote dove arrivano solo le trasmissioni del regime.
Invece i vertici Rai sono riusciti a dare nuove munizioni alla disinformazia del Cremlino, con la portavoce fragole-e-limousine Maria Zakharova che ha subito colto l’occasione per fare battute, a riprova di come a Mosca lo spazio dedicato ai nemici fosse un tema cruciale, e abbiano festeggiato il trattamento umiliante riservato al presidente ucraino.
Ora che si è chiusa la kermesse, per usare un termine caro al direttore dell’Intrattenimento di prime time Stefano Coletta, crolla la scusa imbastita per giustificare l’aver relegato la crisi ucraina nel peggiore momento possibile e con l’immagine più moscia possibile: al Festival si parla di canzoni, non di cose serie come un conflitto in corso.
Un falso storico, visto che Sanremo è sempre stato iper-politico, e un falso pure contemporaneo: nelle cinque serate si è parlato di tutto e affrontato qualsiasi tema, a maggior ragione se in aperto contrasto con le posizioni dell’attuale maggioranza con un forte accento woke, l’aggettivo che connota chi si è “risvegliato” sulle discriminazioni del passato e del presente: Fedez ha strappato la foto di un viceministro, con gli Articolo 31 ha chiesto a Giorgia Meloni cannabis libera, dal rapper Rosa Chemical ha ricevuto una lap dance e un bacio appassionato.
E stiamo parlando del marito di Chiara Ferragni, la co-conduttrice più attesa di questa edizione, azionista di maggioranza di un duo che si muove all’unisono, vale milioni di follower e programma ogni selfie, non di un passante. Oggi Coletta ammette di aver chiesto l’ultima versione del testo di Fedez, e di non averla ricevuta. Quindi il controllo editoriale di Viale Mazzini c’era, ma hanno trovato il modo furbo di non assumersene la responsabilità.
Oltre ai Ferragnez, sul palco sono “passati” tutti i messaggi importanti, delicati, o controversi che ospiti, artisti in gara, monologhiste, hanno voluto far passare: razzismo, detenzione minorile, depressione, diritto alla non-maternità, misoginia e patriarcato, strage delle donne iraniane, poliamore, mafia, aborto, porno, fluidità sessuale (praticamente l’unico non fluido era Al Bano). Un mix tra Pasquino, Hyde Park Corner e open mic nights, il Festival è stata una serie di serate col microfono aperto in cui tutti hanno avuto a disposizione la più sofisticata macchina di produzione di luci, immagini e suoni strabilianti. Tutti, tranne Zelensky e i 44 milioni di ucraini. Un danno alla nostra immagine internazionale i cui effetti si sono visti immediatamente.
Estratto dell’articolo di Renato Franco per il “Corriere della Sera” il 12 febbraio 2023.
Dopo uno scontro politico che ha tenuto banco per giorni, ieri sera (o meglio ieri notte, quando le 2 erano già passate, televisivamente una follia) si è materializzata finalmente sul palco del Festival di Sanremo la lettera di Zelensky. […] L’attesa è stata lunga, con tanto di giallo in corsa. Perché l’intervento di Zelensky era stato messo in scaletta prima dello spareggio per la vittoria finale tra i cinque finalisti, invece è stato collocato in un secondo momento, più avanti, prima dell’annuncio del vincitore.
A molti la scelta di relegare a notte fonda l’intervento del leader ucraino è parsa un po’ pilatesca […], ma Amadeus ne ha spiegato così il senso: «Avevo detto fin dall’inizio che qualsiasi comunicazione, ben accetta, sarebbe avvenuta a fine gara. Mi è piaciuto mantenere questa scelta, che l’ambasciatore ha condiviso». […]
Prima della messa in onda e per evitare […] l’ambasciatore ucraino in Italia, Yaroslav Melnyk, e l’amministratore delegato della Rai, Carlo Fuortes, hanno voluto precisare congiuntamente che è stata una scelta condivisa. «La cultura non può stare fuori dalla politica in tempo di guerra. […] Il palco dell’Ariston è l’occasione di trasmettere la verità e il messaggio di sostegno di cui abbiamo bisogno perché la pace torni sul territorio europeo».
Parole che provano a sgombrare il campo dalle illazioni secondo cui l’intervento di Zelensky a Sanremo, con polemiche annesse, sarebbe diventato un caso internazionale in grado di pesare sui rapporti tra l’Italia e gli altri principali partner europei, nei giorni del disappunto della premier Meloni esclusa dall’incontro all’Eliseo tra il presidente Macron e il cancelliere tedesco Scholz con lo stesso Zelensky.
Cari partecipanti, organizzatori e ospiti del festival!
Da più di sette decenni, il festival di Sanremo si sente in tutto il mondo. Si sente la sua voce, la sua bellezza, la sua magia, la sua vittoria. Ogni anno sulle rive del Mar Ligure vince la canzone. Vincono la cultura e l’arte. La Musica vince! E questa è una delle migliori creazioni della civiltà umana.
Sfortunatamente, per tutto il tempo della sua esistenza, l’umanità ha creato non solo cose belle. E purtroppo oggi nel mio paese si sentono spari ed esplosioni. Ma l’Ucraina sicuramente vincerà questa guerra. Vincerà insieme al mondo libero. Vincerà grazie alla voce della libertà, della democrazia e, certamente, della cultura.
Ringrazio il popolo italiano e i suoi leader che insieme all’Ucraina avvicinate questa vittoria.
Auguro il successo a tutti i finalisti e dal profondo del mio cuore voglio invitare i vincitori di quest’anno a Kyiv, in Ucraina, nel Giorno della Vittoria. Nel Giorno della nostra Vittoria!
Questa Vittoria oggi viene creata e ottenuta in condizioni estremamente difficili. Grazie ai nostri difensori! Grazie al loro coraggio, indomabilità, invincibilità. Centinaia di canzoni sono già state scritte su questo, e ne ascolterete una oggi.
E sono sicuro che un giorno ascolteremo tutti insieme la nostra canzone della vittoria!
Cordiali saluti,
Presidente dell’Ucraina.
Sanremo, la lettera dell’ipocrisia e la vittoria di Instagram. Aldo Grasso su Il Corriere della Sera il 13 Febbraio 2023
Il testo della lettera di Zelensky è stato letto alle 2,15 (era già domenica) dopo l’esibizione di tutti i cantanti in gara.
Peccato, un Festival che era iniziato con l’avallo più prestigioso, la presenza del presidente Mattarella, è finito nel compromesso, nell’ipocrisia, nella pusillanimità. Il testo della lettera di Zelensky è stato letto alle 2,15 (era già domenica) dopo l’esibizione di tutti i cantanti in gara.
In tutta onestà, Amadeus faceva meglio a non leggerlo per non esporre il Festival di Sanremo a una figuraccia internazionale. I messaggi del presidente ucraino, il cui paese è stato invaso da Vladimir Putin, sono stati ospitati da manifestazioni come i Grammy Awards, la Mostra del cinema di Venezia, il Festival di Cannes, i Golden Globes. Il no era venuto soltanto dalla Fifa (nomen omen), durante i mondiali di calcio in Qatar. È finito negli inevitabili scazzi della politica.
Davvero si è deciso di accelerare il cambio della dirigenza di Viale Mazzini per la performance del marito della Ferragni? Perché ha strappato la fotografia di un sottosegretario che si era travestito da nazista? E le grandi richieste di cambiamento non vengono forse dal sottosegretario Gianmarco Mazzi, uno che ha già diretto il Festival di Sanremo, che ha organizzato trasmissioni tv e concerti all’Arena di Verona (persino con il «comunista» Gianni Morandi) senza che nessuno gli abbia chiesto conto della sua appartenenza politica?
Manca poco che contestino alla regia il numero di volte che ha inquadrato la famiglia di Amadeus seduta in prima fila (onestamente, un po’ troppe). Se questo è il modo di governare Sanremo, diventerà il festival dei partiti, dove a ogni apparizione corrisponderà un’interpellanza parlamentare. Oppure una festa di partito, così nessuno più si lamenterà.
Oltre a Mengoni, ha vinto Instagram, il territorio prediletto, la «bottega» di Chiara Ferragni: tramite un tutorial ad Amadeus, il social network ha goduto gratuitamente di una pubblicità che, monetizzata, avrebbe forse salvato i bilanci della Rai.
Zelensky unico senza voce. Ogni tanto viene da chiedersi se il "Made in Italy" sia una realtà culturale o una forzatura commerciale. Paolo Guzzanti il 12 Febbraio 2023 su Il Giornale.
Ogni tanto viene da chiedersi se il «Made in Italy» sia una realtà culturale o una forzatura commerciale. Purtroppo, insieme a tutto il buono del decantato genio italico c'è anche qualcosa di meno geniale e spesso imbarazzante che non riguarda l'abilità di sfornare cibi e vestiti e lo si è visto con il caso Zelensky a Sanremo. C'era un partito che non voleva offrire una tribuna al presidente ucraino e c'è un partito che considerava dovuto offrirgli quel diritto già avuto in quasi tutti i Paesi europei e negli Usa. Poteva essere detestabile questo il mio punto di vista dirgli semplicemente di no. Sarebbe stata un'idea onesta perché dichiarata di fronte a tutti. Invece non gli è stato detto un vero no, ma è stata trovata una formuletta, penosa per tutti e specialmente per l'onore collettivo: quella di affidare al conduttore Amadeus, con la sua voce e il suo volto le parole che lo stesso Zelensky ha fatto arrivare ovunque con la propria voce e il proprio volto.
Così il presidente ucraino non ha avuto il diritto di apparire, ma quello trascurabile di essere citato all'una di notte. Così si è evitata la responsabilità di dire sì o no alla sua richiesta di parlare del suo Paese che da un anno resiste nel sangue con i propri soldati, i propri morti e le armi inviate anche da noi. Poiché la faccenda era politicamente scomoda e poiché noi italiani siamo stati abituati a illuderci che solo a noi sia consentito svicolare sulle scelte morali perché siamo simpatici. Simpatici al punto di meritare l'esenzione dai doveri etici. Non è stato certamente per questo motivo che Giorgia Meloni non è stata invitata a cena da Macron insieme a Zelensky e al cancelliere tedesco Sholz: quella era infatti una cena gollista in cui Francia Germania proponevano a Zelensky una condotta militare diversa da quella di Stati Uniti e Regno Unito, cui anche l'Italia aderisce. La polemicuzza sul mancato invito non c'entra niente con Sanremo, ma siamo sicuri che l'incontro sul marciapiede tra Giorgia Meloni e Volodymyr Zelensky sia stato poco prestigioso anche a causa della modesta figura che abbiamo fatto. Si dovrebbe a questo punto dire che chi porta la responsabilità di questa scelta dovrebbe pagarne le conseguenze ma sappiamo che sarebbero tempo perso.
Di tutto, di Putin. La Rai merita di essere azzerata per come ha trattato Zelensky, non per i girotondi di Fedez. Mario Lavia su L’Inkiesta il 13 Febbraio 2023.
La sinistra delle provocazioni fesse ha servito alla destra di Meloni l’occasione per riprendersi la tv pubblica. E le pagliacciate di Berlusconi dimostrano che Viale Mazzini ha fiutato un vento filorusso nella maggioranza di governo
Non si è ancora capito bene perché la lettera di Volodymyr Zelensky sia stata letta sul palco di Sanremo alle due e passa di notte. Non lo si è spiegato perché è inspiegabile oltre che ingiustificabile. Un gesto di inaudita scortesia, relegare un momento così importante del Festival giusto un po’ prima della celebrazione di Marco Mengoni, una presa in giro nella massima opacità.
Poi ieri sera è apparso un improvvido squarcio di chiarezza, con Silvio Berlusconi che ha sostanzialmente preso le parti dell’amico Vladimir Putin e svillaneggiato Volodomyr Zelensky. E viene il sospetto che forse l’anziano padrone di Mediaset fiuti l’aria che tira e conti ancora qualcosa in Rai, nell’azienda pubblica che ha capito che il presidente ucraino non è gradito ai padroni del 25 settembre.
Si è tentato dall’inizio di boicottare il presidente ucraino e la sua battaglia, e infatti è verosimile che appena iniziate le polemiche sulla sua presenza personale al Festival egli stesso abbia chiesto di soprassedere e ripiegare sulla famosa lettera. È la gestione vergognosa di questa vicenda – trattata molto all’italiana, famose du’ spaghi che c’è Zelensky – che obbligherebbe a una protesta contro i vertici della Rai.
Altro che il bacio con la lingua e la foto del sottosegretario Galeazzo Bignami strappata. Il problema di questo Festival non si chiama Fedez, si chiama Zelensky. Se Giorgia Meloni e i suoi boys avessero protestato per questo atteggiamento irriguardoso verso un Paese invaso e massacrato avrebbero meritato un plauso, ma non avendolo fatto si vede che in fondo non gliene importa molto. E, come ha scritto qualcuno, la premier manda le armi ma senza farlo troppo a vedere perché in termini di consenso non rende: quant’è lontano Mario Draghi.
Invece i bravi ragazzi della “nuova” destra si stanno scatenando contro Fedez e Rosa Chemical, i quali come fanno sempre i “girotondini” vecchi e nuovi, con le loro provocazioni non sempre azzeccate non fanno altro che offrire il fianco ai soliti reazionari, anche loro vecchi e nuovi, come se la dannazione delle battaglie di libertà in questo Paese stesse esattamente nell’avvitamento tra lo sberleffo e la reazione, nel perpetuarsi dell’antica tenzone tra Pulcinella e il Gendarme del teatro dei burattini.
Ma certo, nessuno si illude che possa scaturire da un Festival canoro l’elevazione culturale e civile di un Paese, a pensarlo si rischia di fare del sociologismo della domenica, per quanto i nostri governanti dovrebbero riflettere senza stizzirsi su certe opinioni, su certi mutamenti di costume e di mentalità che l’Ariston non ha scagliato sul Paese ma ha recepito dal Paese.
Un Festival è un Festival e Amadeus non è Ferruccio Parri, così come Gianni Morandi non è Sandro Pertini. Che la destra meloniana, con la ruote di scorta portate da Matteo Salvini e Giuseppe Conte, pensi di espugnare la Rai come fosse la Barcellona della guerra di Spagna è penoso, essendo la verità molto più semplice: Giorgia Meloni, autoproclamatasi padrona d’Italia grazie al ventisei per cento del voti, dall’inizio della sua avventura a Palazzo Chigi è convinta che la Rai le spetti, solo che aveva in mente tempi più lunghi e azioni non traumatiche, come quelle che metteva in atto Silvio Berlusconi, per intenderci, un uomo che confondeva Rai e Mediaset.
Matteo Salvini, che come spesso gli accade non ha capito la situazione, agita lo spauracchio del taglio dei fondi con il canone fuori dalla bolletta, senza rendersi conto che per Giorgia la Rai va presa, non distrutta.
Ora, la premier pensava di agire chiane chiane, come si dice a Napoli, un pezzo alla volta. Solo che adesso i girotondini di Fedez le hanno offerto la testa di Carlo Fuortes su un piatto d’argento, e lei ha già l’acquolina in bocca per papparsi la direzione generale e il Tg1. E di Zelensky, nella Grande Commedia Sanremese, chi se ne frega. E meno male che c’era Tananai.
Libertà, fuoco e rabbia. Gli ucraini a Sanremo e lo spirito d’acciaio dei loro cuori. Yaryna Grusha Possamai su L’Inkiesta il 13 Febbraio 2023.
La grottesca gestione Rai della presenza di Zelensky commentata dal gruppo degli Antytila che si è esibito al Festival. Con la speranza che le parole del presidente, l’esibizione della band e la canzone di Tananai possano far riflettere chi ancora si proclama neutrale
Il messaggio del presidente ucraino Volodymyr Zelensky è arrivato sul palco di Sanremo, durante la finalissima, alle 2:12, in piena notte, letto da Amadeus e seguito dall’esibizione dalla band ucraina Antytila. Secondo la scaletta della Rai era lo slot migliore per l’Ucraina, perché dopo cinque ore di diretta tutti comunque avrebbero aspettato il nome del vincitore; secondo i commenti degli spettatori lo era un po’ meno perché dopo cinque ore di diretta si fa fatica a distinguere LDA da Sethu, figuriamoci cogliere il messaggio del presidente di un Paese che da un anno resiste alla barbarica invasione della Russia.
I più coraggiosi hanno resistito, i meno coraggiosi hanno messo la sveglia alle 1:45, quelli ancora meno coraggiosi hanno rivisto tutto la mattina dopo su RaiPlay.
Dopo che Amadeus ha cercato di interpretare Zelensky, finalmente è arrivata la voce degli ucraini, senza la mediazione delle lettere stampate né la partecipazione di terzi. Gli Antytila (gli anticorpi), il gruppo ucraino che si è esibito già sui palchi europei più importanti con Ed Sheeran e Bono, hanno portato a Sanremo la loro canzone appena uscita, “Fortezza Bakhmut”, sulla battaglia che si svolge oggi a Bakhmut, città sulla prima linea che d a mesi resiste a costanti attacchi russi.
«Peccato per la mancanza dei sottotitoli al testo della canzone, per il pubblico in sala e a casa», dice a Linkiesta il frontman del gruppo Taras Topolia, «ogni sillaba della nostra canzone trasuda la resistenza e la rabbia nei confronti dell’invasore russo». Alla fine si sono affidati alla musica, mood e flow, e sono riusciti a trasmettere l’ardore della resistenza del popolo ucraino di questi giorni, quando ormai ci stiamo avvicinando alla tragica data del 24 febbraio, che segna un anno dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina.
«Siamo arrivati in Italia con molti timori», dice Taras a Linkiesta la mattina dopo l’esibizione, in viaggio da Sanremo verso Nizza, dove la band ha preso il volo per tornare verso l’Ucraina, «abbiamo passato troppo tempo in prima linea e avevamo una visione approssimativa dell’atmosfera in Italia. Sapevamo delle ingerenze russe e della galoppante propaganda russa da queste parti, eppure gli organizzatori e tutta la gente con cui abbiamo avuto a che fare nelle ultime ventiquattro ore esprimevano il loro sostegno all’Ucraina. Sì, a volte dicevano “speriamo che questo incubo finisca presto”, cercando di slittare su una linea neutrale, e noi aggiungevamo ”con la vittoria dell’Ucraina”, e alla fine sembrava che il nostro messaggio arrivasse. Il pubblico ci ha applaudito calorosamente e noi oltre a cantare abbiamo avuto l’opportunità di dire qualche parola. Devo dire che non succede spesso. Capita che gli organizzatori si giustifichino con il format e i tempi stretti per non darti la possibilità di esprimerti, invece a Sanremo ho detto quello che mi sono sentito di dire».
Taras Topolia ha avuto anche l’occasione di ringraziare Tananai, il cantante italiano in gara con il brano “Tango” che racconta con parole e immagini la storia d’amore tra Olha, un’ucraina sfollata in Italia insieme a sua figlia Liza, e suo marito Maksym, che invece è al fronte a difendere il Paese. «Ho ringraziato Tananai da parte di tutti gli ucraini, mi sembrava emozionato, gli ho detto che come artista e come persona poteva rimanere in disparte, invece ha deciso di dare la voce agli ucraini e per noi è stato davvero prezioso».
Gli Antytila tornano in Ucraina per ripartire tra due settimane con i concerti in Gran Bretagna. Hanno prestato servizio in prima linea da febbraio fino ad agosto, prima in difesa di Kyjiv poi in difesa di Kharkiv, arrivando fino alla confine con la Russia. Ad agosto sono stati richiamati nelle retrovie dal generale Zaluzhnyy, ma tuttora sostengono il battaglione con il quale hanno liberato le città ucraine.
Con la partenza degli Antytila rimane un retrogusto amaro sull’intera gestione della presenza ucraina a Sanremo, dalle polemiche sul collegamento di Zelensky alla lettera degli intellettuali italiani contro il collegamento, dai commenti dei politici italiani sul non confondere la guerra con il festival delle canzonette al testo che ha voluto rivedere la Rai, dal messaggio scritto e mandato da Zelensky e letto da Amadeus fino ai sottotitoli mancanti della canzone e al microfono abbassato fin troppo mentre parlava Taras in ucraino sul palco dell’Ariston.
Eppure possiamo ancora sperare che la presenza fisica, la musica, la forza delle parole degli ucraini, come quella degli Antytila, possa cambiare l’ormai palpabile indifferenza (se non altro) verso la guerra, indifferenza che viene mascherata (male) da un’ipocrita neutralità.
Canto della resistenza. Il testo della canzone della band ucraina che la Rai, ops, ha scelto di non sottotitolare. L’Inkiesta il 13 Febbraio 2023.
Gli Antytila, ospiti nella finalissima di Sanremo e annunciati dal presidente Zelensky, si sono esibiti con un brano sulla battaglia che si svolge in questi giorni a Bakhmut (e non solo), senza che nessuno ne spiegasse il significato. Bakhmut è la fortezza sulla linea del fronte che ogni giorno regge gli attacchi russi spietati
Fortezza Bakhmut,
Tutte le nostre preghiere sono qui.
Lo spirito d’acciaio dei nostri cuori,
E gli indomiti Eroi della Battaglia di Kruty,
Dal cielo ci mandano forza,
Libertà, fuoco e rabbia!
Bruciano i muri in battaglia,
Mamma, io resisto,
Mamma, mi sono arruolato,
Mamma, io combatto!
Vincerò e tornerò!
Ora arriviamo alla base…
Dimentichiamo il dolore, i vecchi rancori,
Ecco la mia spalla, sono qui, brother,
Eccola di fronte che arriva: la peste.
Arriva di lato, una nuova fase.
Manteniamo la calma,
Come ci è stato insegnato.
Alle nostre spalle, c’è il nostro domani,
I nostri figli, i genitori, le famiglie sono lì,
I fratelli caduti e tornati “sullo scudo”
Anche loro sono alle nostre spalle.
Che salti il ratto cacciato in un angolo,
E che la nostra strada sia luminosa,
Quindi qui c’è lavoro per le nostre mani.
Qui! Qui!
Fortezza Bakhmut,
Tutte le nostre preghiere sono qui.
Lo spirito d’acciaio dei nostri cuori,
E gli indomiti Eroi della Battaglia di Kruty,
Dal cielo ci mandano forza,
Libertà, fuoco e rabbia!
Bruciano i muri in battaglia,
Mamma, io resisto,
Mamma, mi sono arruolato,
Mamma, io combatto!
Vincerò e tornerò!
Adesso arriva il buio.
Il demone insanguinato cade in agonia,
Allora non abbiamo combattuto invano,
Allora non era invano tutto questo ardore.
Allora va tutto secondo i piani, poi arriva il mattino,
E con lui la Vittoria!
Infine dico solo una cosa: avere paura non è un peccato,
Tradire i propri invece lo è.
Fortezza Bakhmut,
Tutte le nostre preghiere sono qui.
Lo spirito d’acciaio dei nostri cuori,
E gli indomiti Eroi della Battaglia di Kruty,
Dal cielo ci mandano forza,
Libertà, fuoco e rabbia!
Bruciano i muri in battaglia,
Mamma, io resisto,
Mamma, mi sono arruolato,
Mamma, io combatto!
Vincerò e tornerò!
Traduzione presentata dal gruppo Antytila e rivista da Yaryna Grusha Possamai
Non è mai lunedì. La storia della coppia ucraina che ha ispirato la canzone di Tananai. Yaryna Grusha Possamai su L’Inkiesta l’11 Febbraio 2023
Mentre l’Italia polemizzava su Zelensky a Sanremo, il cantante ha portato all’Ariston Olha e Maksym Rastieriaiev, separati a causa della guerra imperialista russa. La fuga in Italia con la figlia quattordicenne, mentre il marito liberava Kherson. In attesa della vittoria finale
La polemica sull’intervento di Volodymyr Zelensky a Sanremo ha superato qualsiasi limite di logica e di umanità. Mentre il presidente dell’Ucraina raccoglieva applausi in tutta Europa, suscitando emozioni forti dalla Westminster Hall di Londra all’Aula del Parlamento Europeo di Bruxelles, in Italia c’era chi spiega che la guerra non c’entra niente con il festival della canzone, probabilmente nel timore che Zelensky potesse fare, in diretta tra i fiori sanremesi, l’elenco delle armi che servono all’Ucraina per proteggersi da un’altra invasione russa oppure che facesse vedere i video delle vittime dell’invasione barbarica russa, o chissà cos’altro. Sembrava che la voce degli ucraini fosse stata negata su quel palco, con l’eccezione di una lettera del presidente letta da Amadeus.
Sembrava, ma poi ci ha pensato Tananai con una dolcissima canzone d’amore, Tango, accompagnata da un video che in un solo giorno ha raccolto 750 mila visualizzazioni e che ha fatto assumere un significato del tutto diverso rispetto a una semplice canzone d’amore.
«Amore tra le palazzine a fuoco / la tua voce riconosco / noi non siamo come loro», incanta il ritornello. A non essere come loro sono una coppia di ucraini, Olha e Maksym Rastieriaiev, della regione di Kropyvnyts’kyy in Ucraina. Olha e Maksym quasi da un anno vivono nel cellulare uno dell’altro a causa dell’aggressione russa. Una delle tante storie d’amore nella guerra e la nuova realtà che tutti gli ucraini si sono trovati a vivere dopo il 24 febbraio 2022.
Linkiesta ha contattato Olha per farsi raccontare la loro storia, la loro «notte in cui ti ho conosciuta». Maksym Rastieriaiev, marito di Olha, è un militare di professione, già difensore dell’Ucraina durante la prima invasione russa nel Donbas nel 2014, dove ha trascorso un anno e mezzo al fronte.
Nel febbraio del 2022, l’invasione russa è stata più ampia, più feroce e più crudele. Maksym è stato chiamato alla fine di febbraio a riprendere il servizio e Olha è rimasta da sola a casa con la loro quattordicenne figlia Liza. Alla fine di aprile, la paura ha fatto mettere in moto Olha e sua figlia verso la Toscana e, alla fine di agosto, sono arrivate a Milano, dove Olha ha trovato un lavoro, una sistemazione e la scuola per la figlia.
Nel video montato dalla squadra di Tananai si vedono le scene della comunità ucraina che a Milano si raduna in piazza Duomo ogni sera e ogni fine settimana non solo per ricordare ai cittadini e ai turisti la grande tragedia che vivono gli ucraini ogni giorno, ma anche per stare un po’ tutti insieme. Lontani da casa, in un paese dove non si conoscono né la lingua né le regole, ritrovarsi in piazza Duomo è una specie di terapia di gruppo necessaria a superare ancora un altro giorno, il giorno che la connessione sul fronte si ristabilisca, il giorno che arriva un messaggio, qualsiasi messaggio, come segno di un altro giorno da sopravvissuti.
Una delle produttrici del video di Tananai è nata a Kyjiv, così la storia di Olha e Maksym è arrivata a Tananai e l’ha aiutato a far nascere un testo molto più profondo di un semplice amore vissuto a distanza. Olha nel frattempo ha lasciato tutte le cose che ha saputo mettere in piedi a Milano ed è tornata a casa sua, perché il marito e l’Ucraina le mancavano tanto, troppo, proprio perché quel lunedì in cui finalmente suo marito tornerà sembra non arrivare mai.
Dopo sette mesi di vita attaccata a un filo telefonico, dopo la gioia della liberazione di Kherson cui ha preso parte Maksym, finalmente Olha ha rivisto Maksym per 2 giorni. È dovuta andare fino alla più grande città vicina alla linea del fronte, ma è pronta a tutto pur di abbracciare suo marito «lo so quanto ti manco / Ma chissà perché Dio / Ci pesta come un tango».
La comunità ucraina in Italia ha ringraziato Tananai e la sua squadra per aver dato forma alle emozioni degli ucraini. Su YouTube, Twitter e Instagram, i commenti pullulano di ringraziamenti e cuori gialloblù che si fondono negli sms con il codice 06 assegnato a Tananai nella terza serata del festival di Sanremo. Tananai ha buone prospettive per la serata finale, gli ucraini sicuramente non smetteranno di dargli il sostegno. Sono, siamo, alquanto tenaci nel perseguire i nostri giusti obbiettivi.
La storia di Olha e Maksym è la tenera illustrazione di una vita bruscamente interrotta, una condizione che tutti gli ucraini vivono ogni giorno ormai da un anno: «È un anno che mi hai perso / E quel che sono non volevo esserlo».
Nella polemica pompata dalla propaganda russa sull’escalation, sugli ucraini guerrafondai che non vogliono fermarsi né cedere alla Russia le proprie terre, sugli ucraini che chiedono solo più e più armi, l’amore di Olha e Maksym restituisce il volto umano a un intero popolo che ogni giorno combatte insieme e unito per far arrivare quel lunedì.
'Tango', il testo della canzone di Tananai a Sanremo 2023
Alberto Cotta Camusino ha scelto un nome d'arte che, in dialetto bolognese, significa 'fracasso'. E di casino, dalla partecipazione dello scorso anno al Festival (dove è arrivato ultimo) fino a oggi, ne ha fatto parecchio. Star in rete, la sua 'Sesso occasionale' è…
Tango di A. Cotta Ramusino - D. Simonetta - P. Antonacci - A. Raina - A. Cotta Ramusino - D. Simonetta
Non c’è un amore senza una ragazza che pianga
Non c’è più telepatia
È un’ora che ti aspetto
Non volevo dirtelo al telefono
Eravamo da me, abbiamo messo i Police
Era bello finché ha bussato la police
Tu, fammi tornare alla notte che ti ho conosciuta
Così non ti offro da bere e non ti ho conosciuta
Ma ora addio, va bene amore mio
Non sei di nessun altro
E di nessuna io
Lo so quanto ti manco
Ma chissà perché Dio
Ci pesta come un tango
E ci fa dire
Amore tra le palazzine a fuoco
La tua voce riconosco
Noi non siamo come loro
È bello, è bello, è bello
È bello stare così
Davanti a te in ginocchio
Sotto la scritta al neon di un sexy shop
Se amarsi dura più di un giorno
È meglio, è meglio
È meglio che non rimani qui
Io tornerò un lunedì
Come si salva un amore se è così distante
È finita la poesia
È un anno che mi hai perso
È quel che sono, non volevo esserlo
Eravamo da me, abbiamo messo i Police
Ridevamo di te che mi sparivi nei jeans
Tu, fammi tornare alla notte che ti ho conosciuta
Così non ti offro da bere e non ti ho conosciuta
Ma ora addio, va bene amore mio
Non sei di nessun altro
E di nessuna io
Lo so quanto ti manco
Ma chissà perché Dio
Ci pesta come un tango
E ci fa dire
Amore tra le palazzine a fuoco
La tua voce riconosco
Noi non siamo come loro
È bello, è bello, è bello
È bello stare così
Davanti a te in ginocchio
Sotto la scritta al neon di un sexy shop
Se amarsi dura più di un giorno
È meglio, è meglio
È meglio che non rimani qui
Io tornerò un lunedì
Ma non è mai lunedì
Qui non è mai lunedì
Amore, tra le palazzine a fuoco
La tua voce riconosco
Noi non siamo come loro
È meglio, è meglio
È meglio che non rimani qui
Io tornerò un lunedì
Ma non è mai lunedì
Ci facciamo sempre riconoscere. Le ore piccole riservate a Zelensky, la Meloni indispettita e il Festival dei farisei. Giuliano Cazzola su L’Inkiesta il 13 Febbraio 2023.
La scelta della Rai fa il paio con le dichiarazioni della premier, irritata per non essere stata invitata a Parigi da Macron
Prevista per le ore 1:52 del 12 febbraio, la lettura del messaggio di saluto di Volodymyr Zelensky al Festival di Sanremo ha subito il ritardo di una decina di minuti. A quanti hanno criticato l’orario in cui era stata fissata la cerimonia, la direzione aveva risposto che si sarebbe comunque effettuata prima della proclamazione dei vincitori e quindi nel momento clou del Festival.
In verità, con un po’ di malizia e di faccia tosta in più, sarebbe stato “politicamente corretto” sostenere che la scelta dell’ora – nel palinsesto dello spettacolo – teneva conto dei fusi orari che ci separano dall’Ucraina (e dalla Russia) e che pertanto le parole del presidente ucraino – lette da Amadeus, che per l’occasione non aveva indossato lo smoking mimetico – sarebbero arrivate in quelle lande (che sembrano essere molto interessate al Festival) quando la notte era ancor giovane.
Nel frattempo da alcune ore in Italia era aperto un dibattito sui risultati che Giorgia Meloni ha vantato di aver ottenuto nella riunione del Consiglio europeo del 9 e 10 febbraio, ma soprattutto per l’onta subita dalla presidente di non essere stata invitata a Parigi da Emmanuel Macron alla cena con Zelensky. Indispettita, Meloni si è intrattenuta a lungo sullo sgarbo subito durante la conferenza stampa. Ma è sembrata la volpe della favola che se la prendeva con l’uva acerba soltanto perché non era riuscita a raggiungerne, saltando, i grappoli dorati.
Si dice, negli ambienti informati, che “Io sono Giorgia” si sia posta a lungo, adattandolo alle circostanze, il dubbio di Nanni Moretti: «Mi si nota di più se protesto per l’esclusione dell’Itala o se critico l’esistenza di una gerarchia degli Stati e mi erigo a paladina di tutti quelli che giocano nella serie cadetta?». Ovviamente questa seconda scelta può apparire più generosa, ma ha indotto Meloni a mostrarsi più realista del re, dal momento che nessun altro governo di un Paese di serie B ha protestato per l’iniziativa franco-tedesca, mettendosi a rivendicare – come mai in passato – la regola esclusiva della collegialità.
Meloni poi – per ritorsione? – si è attorniata dei governi del gruppo di Visegrad. Ma questo non è stato un errore, perché la posizione di quei Paesi (tranne l’Ungheria, che comunque fa la sua parte nell’accoglienza dei profughi ucraini) è molto importante per quanto riguarda la partita della vita che l’Unione europea sta giocando con Vladimir Putin. Il ruolo e l’impegno, in prima linea, della Polonia sono fondamentali là dove tuona il cannone; le altre controversie possono attendere.
Poi, la premier ha capito che non avrebbe potuto sottrarsi, in conferenza stampa, a una domanda relativa al caso Sanremo e alla linea di condotta bizzarra della Rai sull’invito al presidente ucraino. «Io avrei preferito che Zelensky fosse stato presente a Sanremo», ha affermato Meloni aggiungendo di aver «apprezzato» la scelta del presidente ucraino di inviare poi la lettera. «Mi dispiace più che altro che si sia creata una polemica: non è mai facile far entrare la politica in una manifestazione come Sanremo, anche se poi ci entra sempre», ha aggiunto.
E, in effetti, incaricare Roberto Benigni di celebrare l’anniversario della Costituzione è stata una scelta politica; non solo per l’impostazione generale della poetica di Benigni («la Costituzione più bella del mondo») quanto piuttosto per una declamazione molto contingente e legata all’attualità; indirettamente anche all’aggressione russa dell’Ucraina.
Se si legge, infatti, solo la prima parte dell’articolo 11 della Costituzione (l’Italia ripudia la guerra) e non si va oltre il punto e virgola, e se non si fa neppure cenno di quanto disposto dal successivo articolo 78 (le Camere deliberano lo stato di guerra), si compie una scelta di campo truffaldina rispetto al conflitto in corso in Ucraina e si valorizzano le tesi immonde dei pacifisti nostrani che da un anno coniugano, come un disco rotto, il verbo ripudiare.
Meloni ha poi insistito su Zelensky: «Credo che fosse comunque importante una sua presenza». Non sappiamo se questa premurosa raccomandazione servisse a sgomberare il campo da un dato di fatto inconfutabile. Sembra un paradosso, ma il presidente Zelensky, ricevuto trionfalmente nelle capitali europee e altrove, sarebbe stato accolto a pernacchie (nella manifestazione annunciata dei farisei pacifisti) soltanto a Sanremo. Ci facciamo sempre riconoscere.
L’alleato che imbarazza. Berlusconi torna a fare il filo-putiniano e Meloni deve mettere l’ennesima toppa. su L’Inkiesta il 13 Febbraio 2023.
Il Cavaliere ha detto che «a parlare con Zelensky non ci sarei mai andato», provando anche a convincere la premier a non mettersi in viaggio per Kyjiv. Dura la nota di Palazzo Chigi, che ribadisce ancora una volta la posizione atlantista e di sostegno all’Ucraina del governo
«A parlare con Zelensky non ci sarei mai andato». Silvio Berlusconi, dopo aver votato alle regionali lombarde, ha criticato con queste parole la settimana di incontri europei di Giorgia Meloni, reduce dal Consiglio Ue e dal bilaterale con il presidente ucraino in visita a Bruxelles. «Stiamo assistendo alla devastazione del suo Paese, alla strage dei suoi soldati e dei suoi civili. Bastava che smettesse di attaccare le repubbliche del Donbass e questo non sarebbe accaduto», ha detto il leader di Forza Italia senza freni, tra i volti preoccupati del suo entourage.
Tra i flash dei fotografi e i fan, l’ex premier ha proseguito. «Giudico molto negativamente il comportamento di questo signore», ha incalzato riferendosi a Zelensky che, a suo parere, dovrebbe arrendersi e ricostruire l’Ucraina con Biden. «Se fossi il presidente Usa, gli direi: “Dopo la fine della guerra sarà a tua disposizione un Piano Marshall da 9mila miliardi di dollari per la ricostruzione. A una condizione: che ordini il cessate il fuoco, anche perché non ti daremo più né soldi né armi”. Soltanto una cosa del genere potrebbe convincerlo».
A stretto giro, è arrivata anche la dichiarazione della portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova: «Non spetta a me giudicare Berlusconi. Mi limito ai fatti: dal 2014 la Russia ha insistito perché fossero applicati gli accordi di Minsk per la pace in Ucraina. Ma questo non era quello che l’Occidente aveva in mente».
Dichiarazioni che in pochi minuti scatenano giustamente il terremoto politico. La prima reazione della maggioranza – racconta il Corriere – è un rumoroso silenzio, telefoni sempre occupati o staccati ad arte per non parlare con i giornalisti. Con la paura che le parole dell’ex premier possano provocare conseguenze sul voto regionale in Lombardia e Lazio.
Meno di un’ora dopo le parole di Berlusconi, Palazzo Chigi dirama una nota in cui il nome di Berlusconi non compare e che rivela la distanza abissale tra la posizione del capo di Forza Italia e quella del capo dell’esecutivo: si ribadisce che «il sostegno all’Ucraina del governo è saldo e convinto, come previsto nel programma e come confermato in tutti i voti parlamentari della maggioranza che sostiene l’esecutivo». Come dire che, se Berlusconi vuole restare dentro il perimetro della coalizione che ha vinto le elezioni il 25 settembre, deve muoversi nel solco atlantista e deve smetterla di strizzare l’occhio a Putin. «La nostra posizione in politica estera non cambia e il governo non è a rischio», rassicura la premier.
Antonio Tajani, ministro degli Esteri e vicepresidente di Forza Italia, chiarisce: «Siamo da sempre schierata a favore dell’indipendenza dell’Ucraina, dalla parte dell’Europa, della Nato e dell’Occidente. In tutte le sedi continueremo a votare con i nostri alleati di governo rispettando il nostro programma».
«Pessimo. Ricomincia con i suoi vaneggiamenti putiniani», twitta il leader di Azione Carlo Calenda. Parole «imbarazzanti», le definisce invece il presidente del Copasir ed ex ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, Pd.
L’ex Cavaliere non è nuovo a simili sortite. Non è il primo incidente. Durante la formazione del governo, lo aveva inguaiato un audio registrato durante una riunione a porte chiuse in cui raccontava la «vera versione» del conflitto secondo cui «Putin era stato costretto a intervenire in Ucraina su richiesta delle repubbliche del Donbass dopo che Zelensky aveva triplicato gli attacchi alle frontiere ignorando i trattati». Pochi giorni dopo quell’audio, aveva raccontato di aver ricevuto come dono di compleanno da Putin «20 bottiglie di vodka e una lettera dolcissima» e di aver ricambiato con del Lambrusco e «una lettera altrettanto dolce», in barba ai divieti internazionali di import-export con la Russia. Dopo aver presentato le candidature per le regionali lombarde, aveva addirittura rimproverato l’Ue per il mancato ingresso della Russia nell’Unione: «Un’Europa forte con l’entrata della Federazione Russa non siamo riusciti a costruirla. Dobbiamo lavorarci».
Secondo quanto riporta il Corriere, la nuova scossa all’unità della maggioranza non arriva del tutto in attesa: per giorni Berlusconi avrebbe provato indirettamente a convincere la presidente del Consiglio a desistere dall’intenzione di mettersi in viaggio verso Kyjiv. Ma a invertire la marcia, rinunciando alla missione, Giorgia Meloni non ci pensa proprio. Ha promesso a Zelensky che andrà in visita nella capitale del Paese martoriato dai russi e vuole fortissimamente mantenere l’impegno di partire «in tempi strettissimi», possibilmente prima del doloroso primo dell’invasione che cade il 24 febbraio.
Sanremo 2023: “Su Zelensky esito salomonico, ora si rifletta su politica e tv”. Marco Follini su Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 12 Febbraio 2023
E’ questo lo sfondo del 'caso' Sanremo. Che non avrebbe meritato tutte le polemiche di questi giorni. Ma che rende ancora più evidente la deriva di una comunicazione politica che non rispetta più i vecchi confini e insiste a mescolare il sacro e il profano in modi che ai più attempati tra di noi suonano lievemente impropri
E’ sembrato quasi salomonico l’esito della presenza di Zelensky al festival di Sanremo. Non più un video per dare voce alla tragedia del popolo ucraino. Ma una lettera più discretamente affidata al conduttore Amadeus. Così da dar soddisfazione a chi riteneva doverosa la sua presenza, sia pure a un evento canoro. E contemporaneamente a chi suggeriva di non far troppa mescolanza tra la guerra e le canzonette.
Ci si potrebbe consolare pensando che le vie di mezzo hanno il merito di accontentare un po’ tutti. Ma è una contentezza del tutto “fasulla”. Salomone infatti in questo caso è stato letteralmente capovolto. Nel senso che alla fine tutti si sono dichiarati insoddisfatti e che il nostro servizio pubblico ha fatto una pessima figura -tirato di qui e di là per giorni e giorni in una contesa che non sembrava avere né troppo capo né troppa coda.
Il fatto è che sono anni e anni che su viale Mazzini si esercita una pressione politica che pretende di farsi sempre più dettagliata e prescrittiva. Chi scrive, sia chiaro, non può professarsi più innocente di tanto, avendo fatto parte in anni lontani del consiglio di amministrazione della Rai in nome e per conto del suo partito, la Dc. Ma temo che da allora ad oggi le cose siano cambiate in peggio, e che magari sia arrivato il momento in cui si possa aprire una riflessione meno ovvia e scontata sul rapporto tra politica e televisione.
Infatti, da quegli anni remoti di perfetta e quasi scientifica lottizzazione (copyright Alberto Ronchey) sono cambiate molte cose. Due in particolare. La prima è che si sono mescolati i generi televisivi fino a farne una gelatina indistinguibile (e anche indigeribile, il più delle volte). La seconda è che l’invadenza dei partiti si è miniaturizzata fino a perdere il senso dei vantaggi che pretende di ricavarne. Così per un verso la politica si è espansa di qua e di là, convinta di ricavare profitto dalle trasmissioni più spettacolari e fantasiose. E per un altro verso la sua influenza si è frammentata in mille e mille schegge rese ingombranti e irrilevanti dalla loro stessa continua e irrefrenabile moltiplicazione.
Un tempo i partiti sceglievano i direttori di rete e di testata. E poi però si affidavano alle loro cure, il più delle volte appagati, qualche altra volta più pretenziosi, talvolta perfino scontenti. Il messaggio politico era scarno, attento a presidiare i confini dell’ufficialità. Poi, pian piano, quei confini si sono dilatati. E la macchina dello spettacolo ha cominciato a macinare argomenti pubblici sempre più vari e sempre più strategici. Se al tempo di Ettore Bernabei la questione poteva essere quella delle gambe delle gemelle Kessler, negli anni seguenti ogni trasmissione di varietà, di fiction, di spettacolo è diventata una sorta di tribuna politica surrettizia. I leader e i loro spin doctor hanno preso atto che la loro influenza faceva meglio a passare attraverso canali inediti. Fino al festival di Sanremo, per l’appunto.
Sono i codici della comunicazione politica moderna, che è sempre più fantasiosa e sempre meno canonica. Un gigantesco e variegato palcoscenico che una classe dirigente più incerta di sé e del suo insediamento nel cuore del pubblico ha preso a calcare con una disinvoltura sempre più intraprendente. Con l’effetto di ampliare ancor più i margini della propria presenza e influenza. Ma senza il ritorno di popolarità che ci si sarebbe aspettati. Il fatto è che quanto meno ci si sente ben accolti nel tinello di casa dei propri elettori, tanto più li si va a cercare con le scuse più varie. E anche magari, con quelle più improprie. Salvo scoprire l’indomani che forse il gioco non valeva la candela.
E’ questo lo sfondo del ‘caso’ Sanremo. Che non avrebbe meritato tutte le polemiche di questi giorni. Ma che rende ancora più evidente la deriva di una comunicazione politica che non rispetta più i vecchi confini e insiste a mescolare il sacro e il profano in modi che ai più attempati tra di noi suonano lievemente impropri. Già, perché tutta quella politica che ai nostri giorni si affanna, e si irradia di qua e di là, e coglie ogni occasione per suscitare la curiosità del pubblico, si rivela infine suo malgrado come un gigante dai piedi d’argilla. Sempre più imponente, ma anche sempre più fragile. Redazione CdG 1947
Il disagio di Meloni per le dichiarazioni di Berlusconi: 90 minuti di tensione, poi Tajani media. Monica Guerzoni su Il Corriere della Sera il 13 Febbraio 2023
Le parole di Silvio Berlusconi su Zelensky — «Da premier non gli parlerei» — sono fonte di tensione per il governo di Giorgia Meloni. Ma la premier assicura che sarà in Ucraina «in tempi strettissimi»
Le pallottole verbali di Silvio Berlusconi contro il presidente ucraino Volodymyr Zelensky piombano su Palazzo Chigi di domenica sera, quando le luci di Sanremo (ma non ancora le polemiche) si vanno spegnendo. La prima reazione della maggioranza è un rumoroso silenzio, telefoni sempre occupati o staccati ad arte per non parlare con i giornalisti. Imbarazzo, tensione, paura che le clamorose parole dell’ex premier possano provocare conseguenze sul voto regionale in Lombardia e Lazio o, ancor peggio, incrinare pericolosamente la stabilità del governo.
Giorgia Meloni è colpita, dispiaciuta a dir poco. A caldo, la premier confida ai ministri che le sono più vicini tutto il disagio nei confronti di un leader della sua maggioranza che sembra, sussurra un esponente di primo piano del governo, «vittima della propaganda di Mosca e delle fake news russe, che riescono a permeare le posizioni di tanti, in Italia e in Europa».
Meno di un’ora dopo che le esternazioni berlusconiane hanno preso a rimbalzare sui siti online, Palazzo Chigi batte un colpo. Una breve nota, in cui il nome di Berlusconi non compare e che in estrema sintesi rivela la distanza abissale tra la posizione del capo di Forza Italia e quella del capo dell’esecutivo. Nel ribadire che il sostegno del governo a Kiev è «saldo e convinto» Meloni mette l’alleato-avversario in fuorigioco, richiamando il programma elettorale e ricordando che la maggioranza si è espressa a favore dell’Ucraina in «tutti i voti parlamentari». Come dire che, se Berlusconi vuole restare dentro il perimetro della coalizione che ha vinto le elezioni il 25 settembre, deve muoversi nel solco atlantista di Washington, Bruxelles e Roma e deve smetterla di strizzare l’occhio a Putin. «La nostra posizione in politica estera non cambia e il governo non è a rischio», rassicura i suoi la premier.
Non è il primo incidente. E a Palazzo Chigi non è certo sfuggito che Berlusconi si era schierato platealmente con Putin già alla vigilia delle elezioni politiche. «Le truppe russe dovevano entrare e in una settimana sostituire il governo di Zelenksy con persone perbene», aveva affermato l’uomo di Arcore il 23 settembre, aprendo una polemica infinita che aveva avuto un’ampia eco anche fuori dall’Italia. Ora ci risiamo. E a quanto rivelano fonti di governo la nuova scossa all’unità della maggioranza non arriva del tutto in attesa: per giorni Berlusconi avrebbe provato indirettamente a convincere la presidente del Consiglio a desistere dall’intenzione di mettersi in viaggio verso Kiev.
A invertire la marcia, rinunciando alla missione, Giorgia Meloni non ci pensa proprio. Ha promesso a Zelensky che andrà in visita nella capitale del Paese martoriato dai russi e vuole fortissimamente mantenere l’impegno di partire «in tempi strettissimi», possibilmente prima del doloroso primo anniversario dell’invasione che cade il 24 febbraio. Affermare, come ha fatto Berlusconi, «io a parlare con Zelensky se fossi stato il presidente del Consiglio non ci sarei mai andato» è uno schiaffo difficilmente tollerabile. Come è difficile per Meloni digerire l’accusa falsa al leader ucraino di aver attaccato il Donbass, la minaccia di non mandare più le armi e la richiesta a Biden di ordinare a «questo signore» (Zelensky, ndr) di cessare il fuoco. «Il nostro sostegno all’Ucraina è granitico — rimarca il sottosegretario Giovanbattista Fazzolari dopo aver affrontato la crisi assieme alla premier —. Chiarissimo è il programma di governo, chiarissima la posizione della presidente Meloni, del ministro degli Esteri e di tutti i membri dell’esecutivo».
L’allarme investe anche i ministri azzurri, i quali non si aspettavano un nuovo attacco così diretto del loro leader al capo della resistenza ucraina e alla presidente del Consiglio. Il trambusto dura novanta minuti. Meloni parla più volte con Antonio Tajani, che certo non può rompere con il fondatore di FI. Il ministro degli Esteri si attiva per ottenere il dietrofront dell’ex premier, chiama Arcore, parla con Berlusconi e lo convince a mettere nero su bianco la rassicurazione che il suo «sostegno in favore dell’Ucraina non è mai stato in dubbio».
La fibrillazione è forte, tra gli azzurri, dentro la maggioranza e nel rapporto con le opposizioni. E la sottolineatura che Forza Italia non è mai venuta meno all’adesione alla coalizione di governo — oltre che alla Nato, all’Europa e agli Usa — è la conferma di quanto ieri sera la coalizione meloniana abbia ballato sull’orlo del burrone. Sanremo, Benigni, Mattarella, Zelensky, Fedez, la tensione con i vertici della Rai. «Non ci facciamo mancare nulla», è la battuta amara di un ministro.
Da lastampa.it il 12 febbraio 2023.
«Io parlare con Zelensky? Se fossi stato il presidente del Consiglio, non ci sarei mai andato perché stiamo assistendo alla devastazione del suo paese e alla strage dei suoi soldati e dei suoi civili. Bastava che cessasse di attaccare le due repubbliche autonome del Donbass e questo non sarebbe accaduto, quindi giudico, molto, molto negativamente il comportamento di questo signore». Lo ha detto Silvio Berlusconi dopo aver votato per le regionali lombarde a Milano.
Guerra in Ucraina, Berlusconi contro Zelensky: se fossi premier non parlerei con lui. Il Tempo il 12 febbraio 2023
Silvio Berlusconi attacca Volodymyr Zelensky. Appena uscito dal seggio elettorale, il presidente di Forza Italia si è lasciato andare a un giudizio negativo sul ruolo del presidente dell'Ucraina. «A parlare con Zelensky? Se fossi stato il presidente del Consiglio non ci sarei mai andato perchè stiamo assistendo alla devastazione del suo paese e alla strage dei suoi soldati e dei suoi civili. Bastava che cessasse di attaccare le due repubbliche autonome del Donbass e questo non sarebbe accaduto, quindi giudico, molto, molto negativamente il comportamento di questo signore». Il leader di Forza Italia Silvio Berlusconi non usa mezzi termini parlando con i cronisti all’uscita del seggio, dopo aver votato a Milano per le Regionali. A pochi giorni dall’incontro tra la premier Meloni e il presidente ucraino Zelensky a Bruxelles, il Cavaliere attacca. E suggerisce: nel conflitto russo-ucraino «per arrivare alla pace penserei che il presidente americano dovrebbe prendersi Zelensky e dirgli che è a sua disposizione dopo la fine della guerra con un piano Marshall per ricostruire l’Ucraina. Un piano Marshall dai 6 ai 9mila miliardi di dollari, a una condizione: che tu (Zelensky, ndr) domani ordini il cessate il fuoco, anche perchè noi da domani non vi daremo più dollari e non ti daremo più armi. Soltanto una cosa del genere potrebbe convincere questo signore ad arrivare a un cessate il fuoco».
Berlusconi: «Da premier non avrei parlato con Zelensky». Berlusconi: «Io da premier non avrei mai parlato con Zelensky. Non doveva attaccare il Donbass». Palazzo Chigi: «Convinto sostegno all’Ucraina». Claudio Bozza su Il Corriere della Sera il 12 Febbraio 2023
Il leader di Forza Italia attacca dopo l’incontro tra la premier Meloni e il leader ucraino. Il governo risponde con una nota immediata: «Appoggio confermato da tutti i voti parlamentari della maggioranza»
Silvio Berlusconi vota a Milano per le Regionali in Lombardia. A sinistra: il presidente ucraino Zelensky saluta la premier Giorgia Meloni
Per porre fine alla guerra tra Russia e Ucraina «penserei che il signor presidente americano, Joe Biden, dovrebbe prendersi Zelensky e dirgli: "È a tua disposizione, dopo la fine della guerra, un Piano Marshall per ricostruire l’Ucraina da 9 mila miliardi di dollari, a una condizione, che tu domani ordini il cessate il fuoco, anche perché noi da domani non vi daremo più dollari e non ti daremo più armi”». Perché «soltanto una cosa del genere potrebbe convincere questo signore ad arrivare ad un cessate il fuoco». Lo ha affermato oggi il leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi, dopo aver votato per le Regionali in via Ruffini, a Milano, rispondendo alle domande dei giornalisti in merito alla situazione ucraina.
E dopo l’incontro tra Giorgia Meloni e lo stesso Zelensky al Consiglio europeo straordinario, il leader di Forza Italia va nella direzione politica opposta: «Io parlare con Zelensky? Se fossi stato il presidente del Consiglio, non ci sarei mai andato, perché stiamo assistendo alla devastazione del suo paese e alla strage dei suoi soldati e dei suoi civili». Il motivo? Berlusconi è categorico: «Bastava che cessasse di attaccare le due repubbliche autonome del Donbass e questo non sarebbe accaduto, quindi giudico, molto, molto negativamente il comportamento di questo signore».
Parole che costringono Palazzo Chigi a una immediata nota di precisazione: «Il sostegno all’Ucraina da parte del governo italiano è saldo e convinto, come chiaramente previsto nel programma e come confermato in tutti i voti parlamentari della maggioranza che sostiene l’esecutivo».
Interviene anche Mosca: «Non spetta a me giudicare e dare i voti a Berlusconi, queste sono cose che riguardano gli italiani. Mi limito ai fatti, e i fatti dicono che per otto anni, dal 2014, la Russia ha insistito perché fossero applicati gli accordi di Minsk per la pace in Ucraina. Ma questo non era quello che l’Occidente aveva in mente», dice all’Ansa la portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, commentando le dichiarazioni di Berlusconi. E poi: Zelensky «è ormai un’immagine usata per una campagna pubblicitaria» allo scopo di «far vedere che la Russia è cattiva e l’Occidente è buono». Sempre la portavoce di Zakharova ha poi concluso: «Ormai è un’immagine che appare ovunque, dalle partite di calcio al vostro Festival di Sanremo. È una cosa assolutamente ridicola».
Dure le reazioni dell’opposizione: «La premier Meloni è d’accordo con le parole inquietanti pronunciate da Berlusconi sulla guerra in Ucraina? — chiede polemicamente Simona Malpezzi, capogruppo del Pd al Senato —. Oggi di fatto si è schierato ufficialmente con la Russia di Putin. Con questi alleati di governo la premier non si lamenti di come viene trattata in Ue». Mentre il leader di Azione Carlo Calenda va giù duro: «Berlusconi ricomincia con i suoi vaneggiamenti putiniani, in totale contrasto con Ue, il governo di cui fa parte e il ministro degli Esteri che è anche espressione del suo partito. Pessimo».
Berlusconi trova anche il tempo per scherzare: «Ho votato per l’Inter», ha detto dopo mentre imbucava la scheda elettorale al seggio elettorale della scuola Giovanni Pascoli di Milano.
Ma a tarda sera serve una nota ufficiale di Forza Italia per provare a tappare la falla, prima che rischi di diventare una voragine politica: «Il sostegno del presidente Berlusconi in favore dell’Ucraina non è mai stato in dubbio. Ha solo espresso la sua preoccupazione per evitare la prosecuzione di un massacro e una conseguente grave escalation della guerra, senza venire mai meno all’adesione di Forza Italia alla maggioranza di governo, alla posizione della Nato, a quella dell’Europa e degli Stati Uniti».
(ANSA il 12 febbraio 2023) - "Non spetta a me giudicare e dare i voti a Berlusconi, queste sono cose che riguardano gli italiani. Mi limito ai fatti, e i fatti dicono che per otto anni, dal 2014, la Russia ha insistito perché fossero applicati gli accordi di Minsk per la pace in Ucraina. Ma questo non era quello che l'Occidente aveva in mente". Lo ha detto all'ANSA la portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, commentando le dichiarazioni di Silvio Berlusconi sul presidente ucraino Volodymyr Zelensky.
"La questione - ha detto Zakharova - non riguarda l'opinione dei politici italiani, ma quelli che sono i fatti. E i fatti dicono che per molti anni l'Occidente, in particolare gli Usa, hanno interferito in Ucraina per i loro interessi, non per l'interesse del popolo ucraino. Questo ha creato un'enorme crisi che è precipitata a partire dal 2014, con il secondo movimento di Maidan". Dopo di allora, ha proseguito la portavoce, l'Ucraina si è divisa tra "una parte filo-occidentale e un'altra che pensava agli interessi del proprio Paese".
"Noi russi - ha affermato ancora Zakharova - abbiamo cercato di attirare l'attenzione dell'Occidente sul fatto che il Paese si sarebbe potuto spaccare se fossero continuate le pressioni occidentali su di esso. Per otto anni abbiamo insistito per l'applicazione degli accordi di Minsk". La portavoce ha sottolineato che questa però non era l'intenzione dell'Occidente. E a questo proposito ha citato recenti dichiarazioni dell'allora cancelliera Angela Merkel e dell'allora presidente francese Francois Hollande, secondo i quali gli accordi di Minsk furono appunto un modo per dare all'Ucraina il tempo di armarsi e prepararsi a un eventuale conflitto con la Russia.
Berlusconi e le tappe dell’escalation pro Putin: dagli audio alle casse di Lambrusco. Fabrizio Caccia su Il Corriere della Sera il 13 Febbraio 2023
Prima delle Politiche, il leader di Forza Italia disse: «Il presidente russo è stato costretto a questa “operazione speciale”»
Il suo pensiero su Zelensky e la guerra in Ucraina si era già manifestato chiaramente il 20 maggio scorso, a tavola da «Cicciotto» a Marechiaro, il ristorante con splendido affaccio sul golfo di Napoli: «Io credo che l’Europa unita deve fare una proposta di pace, cercando di far accogliere agli ucraini le domande di Putin», disse Silvio Berlusconi rivolto a Marta Fascina e Licia Ronzulli, in una pausa dei lavori della convention napoletana di Forza Italia, tra un piatto di scialatielli alle vongole e un’insalata di calamari.
Il disagio di Meloni per le dichiarazioni di Berlusconi: 90 minuti di tensione
Allora al governo c’era ancora Mario Draghi e il Cavaliere si mise per la prima volta di traverso: «Per portare Putin al tavolo delle trattative non bisogna fare le dichiarazioni che sento da tutte le parti». Salvo poi, scoppiata la polemica, ribadire la sua fedeltà all’Europa, alla Nato, all’Occidente e agli Stati Uniti e dirsi d’accordo sull’invio delle armi a Kiev. Da quel giorno comunque è stata un’escalation, fino alle parole di ieri a Milano.
Il 22 settembre, alla vigilia delle elezioni che portarono Giorgia Meloni a Palazzo Chigi, Berlusconi andò ospite da Bruno Vespa a Porta a Porta e rafforzò il concetto giustificando l’amico Volodia. In quell’occasione fornì per la prima volta la sua ricostruzione «revisionista» del conflitto iniziato un anno fa. «Putin è caduto in una situazione drammatica — disse — perché le due repubbliche filorusse del Donbass sono andate da lui dicendo: Zelensky ha aumentato gli attacchi contro di noi, siamo arrivati a 16 mila morti, difendici.
E Putin perciò è stato spinto a inventarsi questa operazione speciale. Ma le truppe dovevano entrare, in una settimana raggiungere Kiev, sostituire con un governo di persone perbene il governo di Zelensky e poi tornare indietro. Invece hanno trovato una resistenza imprevista poi foraggiata con armi di tutti i tipi dall’Occidente».
Una difesa a spada tratta: del resto, oltre 20 anni di feeling con il capo del Cremlino non si possono cancellare di colpo. Dal vertice di Pratica di Mare, 28 maggio 2002, quando Berlusconi fece stringere la mano a Putin e George Bush, fino alle tante vacanze trascorse insieme tra la Costa Smeralda e la dacia di Zavidovo col colbacco di pelliccia in testa. Ed ecco così che il 18 ottobre scorso, il Cavaliere si mette di nuovo a parlare a ruota libera in una riunione con i deputati di Forza Italia.
Ma l’intervento, che doveva restare riservato, viene registrato da una manina rimasta ignota e l’audio viene poi trasmesso in esclusiva dall’agenzia LaPresse: «Io non vedo come possano mettersi a un tavolo di mediazione Putin e Zelensky. Zelensky, secondo me, lasciamo perdere, non posso dirlo…».
La responsabilità della guerra, secondo lui, ricade tutta sull’uomo di Kiev. E ai deputati confida pure che quel telefono rimasto muto a febbraio, quando provò inutilmente a chiamare Putin dopo l’invasione russa, ora finalmente ha ripreso a funzionare: «Ho riallacciato con Putin che mi considera il primo tra i suoi 5 veri amici», rivela. Poi il dettaglio delle 20 bottiglie di vodka inviate da Mosca per il suo compleanno (il 29 settembre) con tanto di letterina «dolcissima» vergata dal presidente russo in persona. E infine la «dolce» missiva spedita in risposta da Arcore, accompagnata da qualche cassa di Lambrusco.
(ANSA il 13 febbraio 2023) - "Berlusconi è un agitatore vip che agisce nel quadro della propaganda russa, baratta la reputazione dell'Italia con la sua amicizia con Putin. Le sue parole sono un danno per l'Italia".
Lo dice Mykhailo Podolyak, consigliere del presidente ucraino Zelensky, commentando a Repubblica le dichiarazioni di ieri del leader di Forza Italia. "Getti la maschera e dica pubblicamente di essere a favore del genocidio del popolo ucraino", aggiunge Podolyak citato ancora da Repubblica.
Lo scontro diplomatico. Kiev ‘bombarda’ Berlusconi, l’attacco di Podolyak al Cav: “Agitatore per conto di Putin, danneggia l’Italia”. Redazione su Il Riformista il 13 Febbraio 2023
Silvio Berlusconi? Un “agitatore vip che agisce nel quadro della propaganda russa, baratta la reputazione dell’Italia con la sua amicizia con Putin. Le sue parole sono un danno per l’Italia”. Le parole durissime sull’ex premier e leader di Forza Italia arrivano da Mykhailo Podolyak, consigliere del presidente ucraino Volodymyr Zelensky, che commenta così l’uscita di domenica sera del Cav sul numero uno di Kiev.
All’uscita del seggio della scuola milanese dove era andato a votare per le elezioni regionali in Lombardia, Berlusconi aveva attaccato duramente il presidente ucraino e di fatto anche la premier Giorgia Meloni e la sua linea schiacciata su Kiev.
“Io a parlare con Zelensky, se fossi stato il presidente del Consiglio, non ci sarei mai andato perché stiamo assistendo alla devastazione del suo paese e alla strage dei suoi soldati e dei suoi civili. Bastava che cessasse di attaccare le due repubbliche autonome del Donbass e questo non sarebbe accaduto, quindi giudico, molto, molto negativamente il comportamento di questo signore”, erano state le parole di Berlusconi, che hanno provocato un caso e forte imbarazzo nella maggioranza e in particolare a Palazzo Chigi e alla Farnesina, guidata dal suo fedelissimo Antonio Tajani.
A distanza di poche ore arriva dall’Ucraina la risposta al veleno del fidato consigliere di Zelensky. “Berlusconi deve smetterla di mascherare il suo vero desiderio e dichiarare pubblicamente di essere a favore del genocidio degli ucraini. E di considerare possibile, nel 21esimo secolo, guerre di occupazione in Europa“, il commento di Podolyak a Repubblica.
Secondo il fedelissimo di Zelensky, Berlusconi “chiaramente non comprende il contesto della guerra che la Russia ha mosso in Europa e non ha alcuna influenza sull’agenda politica globale. Inoltre le sue parole ripetono il messaggio chiave della propaganda del Cremlino, che è: ‘non interferite con noi russi mentre uccidiamo gli ucraini’. Ogni persona, incluso Berlusconi, che ha il privilegio di vivere in un Paese europeo libero può ovviamente esprimere la propria opinione, persino sostenere la violenza di massa, la guerra, l’autoritarismo russo. E tuttavia penso che la sua visione misantropica causa danni alla impeccabile reputazione dell’Italia. Perché lui baratta la reputazione del vostro Paese con la sua amicizia col dittatore Putin“.
Alla freddezza della Meloni e di Fratelli d’Italia, che si sta spendendo sul campo internazionale su una posizione di deciso atlantismo, si aggiunge l’agitazione e l’imbarazzo del ministro degli Esteri Antonio Tajani. Il braccio destro di Berlusconi in Forza Italia già domenica sera ha provato a “mettere una pezza” alle parole del suo leader con un tweet pochi minuti dopo le dichiarazioni del Cav.
“Forza Italia – scriveva il titolare della Farnesina – è da sempre schierata a favore dell’indipendenza dell’Ucraina, dalla parte dell’Europa, della NATO e dell’Occidente. In tutte le sedi continueremo a votare con i nostri alleati di governo rispettando il nostro programma”.
Ma gli affondi ucraini su Berlusconi non si fermano a Podolyak. Con le “assurde accuse” del leader di Forza Italia al presidente ucraino Volodymyr Zelensky, Berlusconi “tenta di baciare le mani insanguinate di Putin” come fece con Gheddafi e “incoraggia la Russia a continuare i suoi crimini“. Questo il commento del portavoce del ministero degli Esteri ucraino Oleg Nikolenko, che invece esprime “apprezzamento per la pronta risposta di Giorgia Meloni” a sostegno di Kiev.
Forza Italia! Berlusconi, Zelensky, il concorso esterno in associazione putinista, e noi. Christian Rocca su L’Inkiesta il 13 Febbraio 2023
Le ripugnanti fandonie dell’ex capo del centrodestra contro il presidente ucraino sono il finale tragico di una storia italiana, cui è arrivato il momento di mettere un punto. Un appello ai figli, agli amici e alle badanti del disorientato ex leader di Arcore
La Russia è il paese che ama. Lì Silvio Berlusconi non ha le sue radici, ma forse le sue speranze e i suoi orizzonti, perché in fondo soltanto gli amici criminali del Cremlino possono ancora fingere di dargli ascolto.
Gli occidentali che pendevano dalle labbra della propaganda russa, in Unione Sovietica venivano chiamati «utili idioti», oggi il paradosso è che a guidare questo preciso girone di babbei italiani ci sia l’ex imbonitore della rivoluzione liberale, sceso in campo trent’anni fa perché non voleva vivere «in un paese illiberale».
Conoscere le ragioni della grottesca fascinazione berlusconiana per Vladimir Putin è importante (lettone a parte), ma mai quanto evitare che questo flagrante concorso esterno in putinismo possa creare ulteriori danni alla credibilità internazionale dell’Italia e all’incolumità del favoloso popolo ucraino che si difende con coraggio ammirevole dalle tenebre nazibolsceviche di Putin.
Le oscene dichiarazioni berlusconiane contro il presidente ucraino Volodomyr Zelensky, indicato come il responsabile della guerra in Ucraina e non come la vittima, sono una tragedia nazionale e un imbarazzo perfino per l’attuale, maldestro, governo di destra (senza considerare quanto le parole di Berlusconi siano diventate indistinguibili da quelle di Travaglio, di Santoro e dei pochi nostalgici del comunismo).
L’Italia è stata certamente contagiata dal putinismo, una patologia che ci espone alle due grandi tragedie del Novecento, ma non è ancora diventata una distopia prodotta dalla fabbrica dei troll di San Pietroburgo.
Oltre a Retequattro, alle agiografie di Putin firmate per Mondadori dall’attuale ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano e alla stravagante università berlusconiana di Villa Gernetto che affida acrobaticamente la lectio magistralis sulla libertà proprio a Putin, esiste anche un’altra Italia. Un’Italia senziente e responsabile che aiuta il governo di Kyjiv a resistere all’aggressione imperialista russa e che lo fa insieme con gli alleati europei e occidentali.
L’Italia non è quella di Berlusconi (o di Salvini o di Conte), l’Italia è quella del ventottenne cantante milanese Tananai che è stato capace di orchestrare una raffinata operazione politica e culturale per portare al Festival che si è reso ridicolo su Zelensky una canzone d’amore dedicata agli ucraini che si battono contro la barbarie russa. «Noi non siamo come loro», canta Tananai in “Tango”. Non siamo come loro, dicono gli ucraini dei russi. Non siamo come loro, come gli «utili idioti» di Putin, nemmeno noi italiani.
I figli, gli amici e le badanti di Silvio Berlusconi intervengano, mettano un punto a questo strazio. Abbiano pietà di lui, e di tutti noi.
Forza Italia!
Baci sinistri in bocca. Storia di Massimo Gramellini su Il Corriere della Sera il 13 febbraio 2023.
Tra i vantaggi del vivere a lungo vi è quello di fare in tempo ad assistere alla propria beatificazione: non da parte degli amici, spesso ingrati, ma dei nemici. Nessuno in Italia ha collezionato più odio di Silvio Berlusconi: a sinistra gli hanno veramente detto e augurato di tutto. Anche la sua amicizia con Putin è stata oggetto di allusioni oscillanti tra l’affaristico e il pecoreccio. Poi è arrivato l’amerikano Zelensky, con quella sua idea assurda di non volersi arrendere alla prepotenza del più forte. E il quadro è miracolosamente cambiato: Santoro, per dire, che contro Berlusconi aveva costruito decine di requisitorie televisive fino a diventarne o comunque a sentirsene una vittima, da quando Silvio fa il portavoce di Putin gli ha riconosciuto un cambio di passo da statista. E l’altra sera, da Giletti, persino un comunista rotto a tutte le intemperie come Vauro, che nelle sue vignette ritraeva Berlusconi nei panni del mafioso, è arrivato a dire che lo avrebbe baciato volentieri sulla bocca come i due cantanti che hanno fatto scandaletto a Sanremo. Ma, almeno nel caso di Vauro, l’amore non c’entra: per lui Zelensky è un nemico di classe ancora più detestabile di Berlusconi. Perciò si fa fatica a vederlo nei panni di Rosa Chemical. Meno a immaginare Berlusconi in quelli di Fedez, trattandosi di due furboni con un talento naturale nel mettersi al centro dell’attenzione pur di oscurare le donne, siano esse la premier o la moglie.
Estratto da liberoquotidiano.com il 13 febbraio 2023.
Vauro, ospite di Massimo Giletti a Non è l'arena, su La7, nella puntata del 12 febbraio, si schiera dalla parte di Silvio Berlusconi: "Tra un po' Zelesnky ce lo troviamo sul citofono. Non perdiamo di vista Berlusconi. Se fosse qui lo bacerei in bocca, perché ha detto la sacrosanta verità. Non so per quale motivo ma ha detto la sacrosanta verità su questa guerra drammatica, tragica.
Ha detto che sicuramente c'è un invasore da condannare, Putin, ma c'è anche un pupazzo presidente che sta facendo massacrare il suo popolo per gli interessi americani e noi gli andiamo dietro come pecoroni", attacca il vignettista. "E se ci sarà una escalation e si arriverà a usare le armi nucleari tattiche esploderanno nei nostri Paesi", avverte Vauro, "perché noi abbiamo chiuso gli occhi per otto anni sul Donbass". […]
Estratto dell’articolo di Federico Novella per “La Verità” il 13 febbraio 2023.
Fausto Bertinotti, ex presidente della Camera e già segretario di Rifondazione Comunista: che impressione le ha fatto la standing ovation tributata a Zelensky dal Parlamento europeo?
«È stato uno spettacolo un po’ deprimente. L’Europa ha smarrito il senso di sé. Di fronte alla globalizzazione capitalistica, ha perduto quella tensione avuta nel dopoguerra tra l’appartenenza all’Alleanza atlantica e una certa vocazione all’autonomia. Dopo la colpevole invasione russa dell’Ucraina, quest’Europa ha creduto che Mosca fosse isolata, e che il mondo si identificasse nella risposta militare. Ma non è così: tanta parte del mondo la pensa diversamente, e ogni mese si aggiunge un tassello nuovo, nell’area asiatica e in quella africana».
Dunque l’Europa non è autonoma?
«È succube della Nato e della guida americana. Anche questa enfatizzazione di Zelensky la trovo contraddittoria, rispetto a un’istanza di trattativa per la pace che dovrebbe essere il motore dell’iniziativa europea. Insomma, io capisco il tributo di solidarietà a Zelensky: ma questa solidarietà non può trasformarsi in miopia politica. Cioè nell’incapacità di capire che l’unica soluzione possibile in questa contesa è la pace […]».
Però ammetterà che siamo in guerra perché c’è un colpevole: Vladimir Putin.
«[…] Dopo la guerra fredda doveva venir meno la ragion d’essere della Nato. […] è un fatto che la Nato abbia manifestato una tendenza a espandersi fino ai confini della Russia.
Covava nell’impero di Putin un’antica istanza permanente: quella della “grande Russia”, che si esprimeva con la richiesta legittima di essere riconosciuta come una potenza mondiale e non regionale. La strategia del contenimento dettata dall’Alleanza atlantica, invece, generò delle frizioni. Fino alla scelta, sciagurata, di Putin».
[…] Tornando all’oggi: considera il leader ucraino un prodotto mediatico?
«Sì, come tutto, del resto. Zelensky non è l’eccezione, è la regola. Guy Debord parlò tanti anni fa della “società dello spettacolo”. Oggi vi siamo immersi. Persino la tragedia della guerra è raccontata con il linguaggio dello spettacolo».
Sanremo 2023, ecco come la Rai è riuscita a silenziare Zelensky. Daniele Dell'Orco su Libero Quotidiano il 14 febbraio 2023
Chissà quanto volontariamente, il fatto che Amadeus dopo settimane di polemiche e dopo il lento e progressivo ridimensionamento del ruolo svolto dal presidente ucraino a Sanremo (prima doveva comparire in collegamento, poi in video registrato, infine in una missiva letta dal conduttore) abbia riservato a Zelensky la serata finale del festival è stato il modo perfetto per bruciarlo definitivamente. Il suo comunicato è stato letto dopo l’una di notte e soprattutto, come da prassi della finale, soverchiato dalle prodezze dei vari protagonisti che proprio perché all’ultima sera fanno la gara a monopolizzare il dibattito nei giorni successivi.
Lo scettro in questo senso se l’è aggiudicato Fedez e il suo show soft-porn con Rosa Chemical, ancora sulla bocca di tutti. Già di per sé, comunque, seppure fosse stato letto in prime-time, un messaggio scritto trasmesso per interposta persona da un conduttore è molto poco incisivo a prescindere dal contenuto.
MONDO LIBERO - Tra le altre cose, Zelensky ha “fatto dire”: «L’Ucraina sicuramente vincerà questa guerra. Vincerà insieme al mondo libero. Vincerà grazie alla voce della libertà, della democrazia e, certamente, della cultura. Ringrazio il popolo italiano e i suoi leader che insieme all’Ucraina avvicinate questa vittoria. Auguro successo a tutti i finalisti e dal profondo del mio cuore voglio invitare i vincitori di quest'anno a Kyiv, in Ucraina, nel Giorno della Vittoria. Nel Giorno della nostra Vittoria! Questa Vittoria oggi viene creata e ottenuta in condizioni estremamente difficili. Grazie ai nostri difensori! Grazie a loro coraggio, indomabilità, invincibilità». Probabilmente gli autori del festival hanno ritenuto che il pubblico a casa non avrebbe colto fino in fondo il senso del testo, inserito in una serata di intrattenimento e spensieratezza, anche perché è noto che non tutti gli italiani approvino le ragioni di questa guerra né la necessità del supporto italiano e occidentale.
Di contro, anche la manifestazione anti-Zelensky organizzata fuori dall’Ariston è stata un mezzo flop. Segno evidente che l'opinione pubblica italiana non vuole essere affatto battagliera. Un concetto ribadito in modo molto esplicito da Silvio Berlusconi, che ieri a margine del voto, ha addirittura rimproverato il premier Giorgia Meloni. «Se fossi stato il presidente del Consiglio a parlare con Zelensky non ci sarei mai andato perché stiamo assistendo alla devastazione del suo Paese e alla strage dei suoi soldati e dei suoi civili», ha detto. Tanto da costringere Palazzo Chigi a diramare una nota per rbadire «il sostegno saldo e convinto del governo italiano all’Ucraina».
La Rai ha poi lanciato un altro segnale di contenimento, evitanto di sottotitolare l’esibizione della band ucraina Antytila e la canzone Fortezza Bakhmut, il villaggio nel Donbass da mesi nella morsa dei russi. In questo c’è almeno un po’ di coerenza.
PRIMA LINEA - In Italia storicamente all’esercito vengono impedite esternazioni troppo combat nei suoi spot, e per decenni e ancora ogginon è possibile nemmeno parlare della Prima guerra mondiale (vinta) in senso patriottico. La Canzone del Piave non si canta più da una vita e a stento è stata sussurrata in occasione del centenario della vittoria. Il testo di quella canzone, quindi, non fa proprio parte della nostra cultura. E il contesto ancora meno. È stata registrata in prima linea, e mentre gli Antytila cantavano «Lascia che il topo con le spalle al muro salti e il demone insanguinato cadrà in agonia», laddove il topo è ovviamente il soldato russo, nel videoclip c’è un obice occidentale M777 che spara proiettili reali, con i passi del testo scritti sopra, contro obiettivi reali. È la prassi bellica più comune per ogni artigliere: dedicare al nemico messaggi di guerra mentre su di lui piove morte. Insomma, sarebbe stato un inno alla guerra davvero mai visto prima.
Welfare comunicativo. Sanremo è espressione dello stato sociale ed è ovvio che ci vada Zelensky (lo sa anche Salvini). Guia Soncini su L’Inkiesta il 28 Gennaio 2023.
Il Festival è la più fenomenale cassa di risonanza per paranoici e complottisti, e i paranoici e complottisti non lo capiscono
Sanremo è una forma di welfare comunicativo. Ogni anno garantisce due mesi di carro di visibilità su cui salire per avere il proprio titolo di giornale. Tre anni fa ne approfittarono le femministe dell’Instagram, quando Amadeus disse che la fidanzata di Valentino Rossi stava un passo indietro: poteva non approfittarne Matteo Salvini?
«Poi, se lei mi chiede se guarderò il festival di Sanremo per ascoltare una canzone o per vedere Zelensky, come milioni di italiani se avrò dieci minuti di tempo per guardarmi il festival di Sanremo mi ascolterò Giorgia, Ultimo, Grignani, perché dal festival della canzone italiana mi aspetto delle canzoni».
Di questa frase, che ho trascritto dalla puntata di “Otto e mezzo” di giovedì, vanno chiariti un paio di punti. Il primo è che nessuno glielo stava chiedendo: quando dice ad Alessandro De Angelis «se lei mi chiede», Salvini non sta rispondendo a un intervento su Sanremo, ma a uno sull’eventuale passaggio parlamentare dell’invio di armi. Ma, se Salvini avesse parlato di noiose procedure parlamentari, il Corriere non se lo sarebbe filato; così, invece, ha potuto titolare «Sanremo, il fronte contro Zelensky: da Matteo Salvini a Fabio Volo». Il welfare della visibilità funziona.
Il secondo punto è che la virgola dopo Zelensky l’ho messa io, in un impeto d’interpretazione caritatevole. Si potrebbe metterla dopo «italiani», e il senso diventerebbe che milioni di italiani lo guardano per Zelensky. Ma credo di rispettare le intenzioni comunicative di Salvini mettendola lì: credo che Salvini voglia dire che milioni di italiani aspettano Grignani, e non i vestiti della Ferragni. Credo che Salvini sia disposto a fingersi uno che non capisce Sanremo.
Milioni di italiani hanno le canzoni gratis su Spotify o altrove: non devono neanche comprarsi le musicassette come una volta. Milioni di italiani guardano Sanremo per le ragioni per cui si guarda un vero evento nel secolo che chiama “evento” a sproposito pure l’inaugurazione d’un negozio di frutta e verdura. Milioni di italiani, proprio come Salvini, capiscono Sanremo.
Elenco non esaustivo di momenti che vengono in mente ripensando ai Sanremo degli ultimi quarant’anni. Beppe Grillo che dice che i socialisti rubano. Beppe Grillo che tre decenni dopo, essendo una battuta sui socialisti che rubano una roba per cui la tua carriera di comico in Rai si arena, e avendo quindi montecristicamente dedicato la sua successiva vita a fare la politica del moralizzatore, compra un posto in platea all’Ariston, minacciando di intervenire in diretta per parlare degli sprechi.
Fabio Fazio che ospita Gorbaciov. Paolo Bonolis che ospita Mike Tyson. Carlo Conti che ospita una famiglia di Catanzaro con sedici figli. Pippo Baudo che ospita gli operai dell’Italsider. Pippo Baudo che salva il suicida. Pippo Baudo che scrolla via quello che dice che Sanremo è truccato e lo vince Fausto Leali.
Jovanotti che chiede a D’Alema di cancellare il debito dei paesi africani, assieme a Bono, Bono che poi scende in platea cantando e viene intercettato da Mario Merola, e la sera dopo Teocoli che fa la parodia di Lorenzo, «io mi rivolgo a lei, presidente Berlusconi, l’unico che ha vinto cinque coppe dei campioni».
Certo che Sanremo è fatto soprattutto di dettagli extramusicali, storici o frivoli ma comunque in grado di passare dallo schermo ed entrare nel lessico famigliare del pubblico: Gorbaciov vale quanto Anna Falchi che presenta nell’anno in cui il fidanzato Fiorello è in gara. Vale quello che catalizza l’attenzione del paese, e in questo senso non è affatto detto che un Nobel per la pace valga più che una seconda classificata a miss Italia.
E certo che è normale che Salvini si accolli il ruolo di paranoico complottista che finge di non capire il meccanismo e ne approfitti per far polemica politica: è Sanremo stesso che incoraggia il ruolo.
Nel 2000 ero a Sanremo a fare, nella settimana del festival, un programma per RadioRai. Questo dettaglio mi rendeva una privilegiata: avevo un pass Rai, che diversamente dai pass che hanno quelli dei giornali permetteva di accedere ovunque sempre. Quindi vidi le prove di Teocoli, e il ritornello della canzone in cui parodiava Lorenzo diceva «Gira la ruota» (se non sapete cosa fosse «gira la ruota», ormai per voi è troppo tardi: la cultura popolare del Novecento non la recuperate più).
La sera, «gira la ruota» non c’era. Restai per anni convinta d’una censura Fininvest: è Sanremo, mica accadrà qualcosa per caso. Anni dopo intervistai Teocoli e glielo chiesi. Mi disse che in diretta s’era dimenticato il ritornello. La realtà non è mai ben sceneggiata quanto le nostre paranoie.
Però la realtà imprevista a volte è meglio di quella programmata. Nel 2014, Grillo è su tutti i giornali perché ha comprato il biglietto in platea. È tornato ricco e spietato, come montecristicamente diceva di sé Nino Manfredi in un film (il titolo se l’avete visto lo sapete, altrimenti di nuovo: per voi ormai è tardi).
Quella sera, l’inizio della serata mette a dura prova i nervi di Fabio Fazio. Prima non si apre il sipario, un dettaglio che se lo metti in una commedia te lo bocciano per inverosimiglianza: è la serata più importante della tv italiana, e il sipario s’inceppa. Poi ci sono due millantatori di suicidio che minacciano di buttarsi da una balconata. Fabio Fazio, pur stremato, ha i tempi comici di uno che fa la tv da un secolo. Durante una pubblicità guarda il Montecristo seduto in platea e gli scandisce: «Beppe, puoi tornare a casa».
Quindi, figuriamoci se è un problema che a Sanremo vada un minuto o due di video di Zelensky, tradotto in italiano perché mica vogliamo distrarci dai sottotitoli come durante l’intervista a Letterman. Intervista a Letterman, su Netflix, su cui non c’è stata nessuna polemica giacché gli americani, non avendo Stato, quasi non hanno neppure televisione pubblica, e né i Salvini né le Vongola75 di lì possono recriminare che si faccia propaganda politica coi-soldi-del-canone.
Noi abbiamo il limite dei soldi pubblici e delle annesse polemiche, ma pure parecchi milioni in più di spettatori rispetto a un prodotto che andrà pure in tutto il mondo ma raccoglie le briciole della frammentazione dello streaming. Tra le poche cose rimaste immutate dal Novecento, il fatto che Sanremo e la finale dei mondiali li guardino tutti, li ricordino tutti, li capiscano tutti.
Persino Salvini, che è pur sempre la Ferragni della politica: simile al pubblico, cioè all’elettorato. Lo sa benissimo, che Zelensky a Sanremo è fisiologico quanto lo è Pupo (è come se vedessi le riunioni, «di’ a coso, Zelensky, di non sforare, abbiamo il tassativo»: che tu abbia in collegamento la guerra o i figli di Al Bano e Romina, comunque la pubblicità deve andare a quell’ora).
Lo sanno tutti, Salvini e Fabio Volo e tutti quelli che polemizzeranno nelle prossime settimane. Ma è giusto abbiano la loro risonanza: sono la prova che Sanremo è la migliore e più efficiente espressione dello stato sociale.
L’amore per il Festival. Zelensky a Sanremo è l’occasione per gli ucraini di riappropriarsi della canzone italiana. Yaryna Grusha Possamai. su L’Inkiesta il 28 Gennaio 2023.
L’intervento del presidente ha attirato polemiche inutili da chi non sa che per quel popolo i Toto Cutugno, gli Umberto Tozzi e i Riccardo Fogli sono parte della sua storia e della sua cultura pop
La polemica sulla partecipazione di Volodomyr Zelensky a Sanremo ha quasi superato quelle sulle accise e ha raggiunto il livello di quella sul servizio fotografico del presidente ucraino e della First Lady su Vogue. Tra l’altro l’Italia è stato l’unico Paese che si è indignato grazie al sostegno di troll russi che, con il loro scarso italiano via Google Translate, denunciavano un presidente «che al posto di fare la guerra, posa per un servizio su Vogue».
Zelensky non è un politico di professione, ma un attore, ed è giusto che lui parli anche al pubblico che conosce bene, quello che legge Vogue e quello che guarda Sanremo, per mantenere accesa l’attenzione sul suo Paese che da un anno vive la guerra. Lo ha fatto fin dal primo giorno della guerra con le dirette al festival di Cannes e a Venezia.
Per qualcuno tutto questo è uno scandalo, ma noi ucraini anche durante la guerra, soprattutto durante la guerra, troviamo il tempo per vestirci bene, per truccarci, per andare a mangiare al ristorante, per andare a un concerto del nostro gruppo preferito e allo stesso tempo doniamo soldi e compriamo il necessario per sostenere l’esercito al fronte, per acquistare i generatori di corrente e le connessioni Starlink. Siamo anche consapevoli che potrebbe essere l’ultima volta che lo facciamo ed è giusto sentire questa vita, anche breve, fino in fondo.
Al Trieste Film Festival, dedicato quest’anno all’Ucraina, ho incontrato una mia vecchia collega che mi ha detto che ogni volta che esce fuori dall’Ucraina abbraccia sua madre come se fosse l’ultima volta. Avrebbe preferito rimanere in Ucraina, ma è una brava produttrice cinematografica, quindi deve usare ciò che sa fare meglio per contribuire alla vittoria comune, anche se le costa una fatica morale enorme.
Una fatica morale che provano tutti gli ucraini che salgono sui palchi, che cantano e raccolgono fondi, che giocano a calcio, che scendono ogni giorno nelle piazze europee. Nonostante la stanchezza morale si va avanti proprio grazie a quello che ognuno di noi sa fare meglio.
Il presidente Zelensky è un ottimo comunicatore e anche lui sfrutta le sue doti e la sua esperienza. Da ucraina mi sono rallegrata quando ho saputo di Zelensky a Sanremo: finalmente il Festival di Sanremo sarà anche parzialmente restituito agli ucraini.
Il culto di Sanremo nella vecchia Unione Sovietica è noto. A casa mia ho ancora i vecchi dischi di Al Bano e Romina Power, di Riccardo Fogli, di Umberto Tozzi, di Toto Cutugno e di altre star di Sanremo. Imparavo l’italiano cantando “Felicità” e “Storie di tutti i giorni”.
Dopo lo scioglimento dell’Unione Sovietica, la Russia, in quanto centro imperialista, si è appropriata di tutto il patrimonio sovietico oscurando, come il suo solito, gli altri Paesi. Eppure Toto Cutugno veniva a suonare a Kyjiv ogni anno e ogni anno le sale erano piene, anche se le esibizioni davanti a Putin erano più clamorose e meglio pagate.
Nel 2021, un gruppo di artisti russi ha fatto un programma televisivo di fine anno intitolato “Ciao, 2021!”, girato addirittura in lingua italiana, imparata per l’occasione dagli attori, come modo per rinnovare il grande amore dei russi per la canzone italiana. Ne hanno scritto tutti, ripeto tutti, i giornali italiani ed è stata un’ottima operazione mediatica, dobbiamo riconoscerlo. Ora, finalmente, con Zelensky a Sanremo noi ucraini possiamo rinnovare l’amore per la canzone italiana che ha fatto così tanto per le generazioni cresciute negli anni Ottanta. E possiamo infine ribadire che il Festival è stato, ed è, anche un po’ nostro.
Zelensky stride col cazzeggio di Sanremo, me se fermiamo lui fermiamo tutti. Francesco Specchia su Libero Quotidiano il 27 gennaio 2023
Francesco Specchia, fiorentino di nascita, veronese d'adozione, ha una laurea in legge, una specializzazione in comunicazioni di massa e una antropologia criminale (ma non gli sono servite a nulla); a Libero si occupa prevalentemente di politica, tv e mass media. Si vanta di aver lavorato, tra gli altri, per Indro Montanelli alla Voce e per Albino Longhi all'Arena di Verona. Collabora con il TgCom e Radio Monte Carlo, ha scritto e condotto programmi televisivi, tra cui i talk show politici "Iceberg", "Alias" con Franco Debenedetti e "Versus", primo esperimento di talk show interattivo con i social network. Vive una perenne e macerante schizofrenia: ha lavorato per la satira e scritto vari saggi tra cui "Diario inedito del Grande Fratello" (Gremese) e "Gli Inaffondabili" (Marsilio), "Giulio Andreotti-Parola di Giulio" (Aliberti), ed è direttore della collana Mediamursia. Tifa Fiorentina, e non è mai riuscito ad entrare in una lobby, che fosse una...
Che poi, se proprio vogliamo, il faccione di Zelensky a riempire il palco dell'Ariston nella finale del prossimo 11 febbraio (dopo mezzanotte), be’, lo volevano in pochi.
Dicono che Amadeus se lo sia trovato come pacchetto regalo da Bruno Vespa. E, a quel punto, pareva scortese dire al Volodymyr in mimetica che non ci fosse più posto a tavola. Specie se la tavola è uno show musicale da 10 milioni e passa di spettatori, e tu, l’aggredito, vorresti offrire un vibrato pippone contro la guerra.
Detto ciò, oggi la fronda dei «No Zelensky al Festival di Sanremo» s’ingrossa e il presidente ucraino viene paradossalmente trattato come un invasore (lui!). E i grillini e i putinani d’Italia con Di Battista che lascia le sue partite di padel si preparano a un controfestival, al grido di «No alla propaganda di morte in tv». E molti s’indignano o fingono di farlo, attraverso attacchi assortiti alla Nato, chiedendosi «che cavolo c’entra Zelensky con Sanremo?». Che, poi, il dubbio non è peregrino. Dal servizio in posa con la moglie sulla copertina di Vogue all’ubiquità sugli schermi dell’Onu mentre chiede all’Occidente egoista nuovi Leopard e batterie antiaeree, la parabola dell’ex attore fattosi premier si è stinta un po’ nel narcisismo. Ma sì. Giusto.
Strappiamo via il giullare da quel palcoscenico fiorito. No alla politica in riviera. Mica siamo alla consegna dei Grammy Awards (dove il presidente, tra l’altro, s’è palesato). Eppure.
TUTTI GLI ALTRI Eppure, se vietiamo Zelensky al Festival, in fondo dovremmo anche ripudiare tutti gli altri. Perché, a ben vedere, lì la politica ha spesso fatto capolino. Tv Talk, il programma Rai di analisi del piccolo schermo lo ha ben ricordato in questi giorni. Il democristianone Pippo Baudo, nel 1984, fece salire sul palco i metalmeccanici dell’Italsider contro la chiusura dello stabilimento; e l’anno dopo sventò il leggendario tentativo di suicidio del disoccupato dalla balaustra, roba ben oltre il reddito di cittadinanza. Nel 1999 Fabio Fazio portò Mikhail Gorbaciov e signora – ben pagati- a rimarcare la nostalgia della Perestrojka, la più grande svolta del Novecento.
Nel 2000 Jovanotti con Carlinhos Brown chiese, rappando, di «cancellare il debito», ottenendo udienza dall’allora premier D’Alema. Nel 2016 tutti gli artisti, attraverso proclami o semplici nastri arcobaleno al microfono, spinsero per la volata alla Legge Cirinnà sulle unioni civili. La nostra memoria vaga nell’immemorabile.
Nel 1995 si ricorda una Sabina Guzzanti pepatissima antiberlusconiana che col suo gruppo Riserva Indiana inspiegabilmente piazzato in gara nella “sezione campioni”, aveva richiamato in servizio molti militanti a sinistra da Nichi Vendola, a Daria Bignardi e Mario Capanna; e li aveva sbrigliati in Troppo sole, canzone-protesta a sfondo generico-ecologista di stampo alla Latouche e grillino prima dei grillini. Uno spettacolo tutt’altro che indimenticabile. E, infatti, il carrozzone sanremese se ne dimenticò. Ma fischi, urla, appelli, condanne, pantomime all’insegna dell’impegno civile hanno sempre accompagnato le canzoni. Anzi, a volte le canzoni stesse hanno fatto politica, come nel caso del rapper Junior Cally redattore d’un testo d’attacco contro sia Renzi che Salvini.
E che dire del 2020, edizione in cui una polemicissima Rula Jebreal- ora spara a palle incatenate contro il centrodestra al governo, ma anche prima non scherzava- si produsse in un j’accuse sul tema della violenza contro le donne? E come commentare, ancora, il Sanremo dell’anno scorso, quando, di fatto, la politica irruppe portando davanti alle telecamere Roberto Saviano uno dei commentatori più schierati e faziosi su piazza?
Saviano non era ancora sotto processo per aver vilipeso la Meloni; ma diede il suo particolare tocco al racconto, peraltro sentito, della Strage di Capaci. Senza citare i monologhi del passato (spesso fanno parte delle performance dei comici) o quelli del futuro (non oso pensare quale discorso sull’antirazzismo gli autori metteranno in bocca, alla pallavolista Paola Egonu) la politica scorreva sempre sotto la pelle del Festival. E noi giornalisti- confessiamolo- ci eccitavamo.
CAOS AGLI OSCAR A metà degli anni 2000, il clou fu l’edizione in cui trapelò la notizia dell’arrivo all’Ariston del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Le grandi testate giornalistiche rimodularono i loro inviati al fronte sanremese, mandandovi le grandi firme del politico. E quegl’inviati, all’astuto forfeit del Berlusca si trovarono spaesati a Sanremo come in guerra a Saigon. In realtà, i larghi palcoscenici dello spettacolo sono da sempre megafono della politica; basti pensare alle varie notti degli Oscar: Jane Fonda antnixoniana; Marlon Brando rifiutante il premio a favore della causa pellerossa; l’iraniano Asghar Farhadi in polemica con Trump; Jared Leto contro le forze russe in Crimea. Certo, Zelensky è un elemento stridente nel cazzeggio di Sanremo. Ma se fermiamo lui, in futuro dovremo fermare tutti.
Caso Zelensky a Sanremo 2023, ma quanta politica al Festival. Fischi, uova, appelli (con Gorbaciov sul palco e Salvini in platea). Edoardo Lusena su Il Corriere della Sera il 26 Gennaio 2023.
Le esibizioni, sempre discusse, di Roberto Benigni. Gli appelli ai vari governi per le emergenze. Ma anche i «superospiti» che hanno fatto la storia. La politica ha da sempre un posto d’onore al Festival di Sanremo
Dai comici fischiati per un’imitazione «troppo politica» alle uova promesse contro la satira e poi puntualmente tirate (ma allo schermo della tv). Dai leader sul palco ai leader in platea. Insomma, non è la prima volta che la politica irrompe a Sanremo, con buona pace del coro di no che si è levato contro l’intervento al 73° Festival del presidente ucraino Volodymyr Zelensky. Da nomi che hanno fatto la storia mondiale come il leader della Perestroika Mikhail Gorbaciov a siparietti che, più modestamente, hanno fatto la storia di un evento tv che vive anche - e soprattutto - di polemiche.
Il lunghissimo bacio in diretta tra Roberto Benigni e Olimpia Carlisi a Sanremo ‘80
1980 - Benigni e il «Wojtylaccio» finito in Parlamento
Gli anni Ottanta non hanno neanche fatto in tempo a cominciare che già l’Ariston «brucia». Il 30° Festival (gestione Claudio Cecchetto) ha sul palco un giovane e «indemoniato» Roberto Benigni. A un comico del suo calibro non può bastare un lunghissimo bacio alla francese sul palco e in diretta con l’attrice Olimpia Carlisi. Così finirà in Parlamento - con interrogazioni e discussioni - per aver apostrofato rispettivamente il Papa Giovanni Paolo II e il presidente del Consiglio, Francesco Cossiga con le «storpiature» Wojtylaccio e Kossigaccio.
Baudo con una delegazione dei 2000 metalmeccanici dell’Italsider in protesta davanti al Teatro Ariston contro la chiusura dello stabilimento di Genova
1984 - La protesta dei metalmeccanici dell’Italsider
La crisi dei grandi insediamenti industriali, come tutta l’attualità ha fatto puntualmente in 74 anni di storia del Festival, sale sul palco. Nel 1984 lo fa nelle vesti di alcuni metalmeccanici dell’Italsider di Genova: mentre i loro colleghi protestano in picchetto fuori dal teatro Ariston le tute blu rivendicano in Eurovisione al fianco di Pippo Baudo la loro battaglia contro la chiusura dello stabilimento nel capoluogo ligure.
Pippo Baudo salva, sulla balaustra dei fotografi, il disoccupato Mario Pagano che aveva urlato di volersi buttare in preda alla disperazione
1995 - Il tentato suicidio del disoccupato
La tragedia del lavoro tornerà altre volte a Sanremo: nel ‘95 indimenticabile il salvataggio dello stesso Baudo di un uomo che minacciava il suicidio dalla balaustra della galleria perché disoccupato. Un momento da record di ascolti ( e proprio per questo, secondo qualcuno, parte di un «fake» orchestrato dal Pippo nazionale).
1999 - La storia sul palco: Gorbaciov e signora da Fazio
Amanti dell’Italia, della canzone, ma soprattutto testimoni viventi della più grande svolta del Novecento. Il sì di Mikhail Gorbaciov e della moglie Raissa a Fabio Fazio nel 1999 — per parlare di geopolitica nel tempio della canzone leggera — lanciano il concetto del superospite di Sanremo nella stratosfera. Altro che Madonna e i Take That...
2000 - Jovanotti: «Cancella il debito»
È uno dei Jovanotti più politici quello che va ospite alla seconda serata di Sanremo. Rappa - al fianco percussionista sudamericano Carlinos Brown - e chiede ai governi di «cancellare il debito» dei Paesi del Terzo mondo. Non resterà lettera morta, almeno la richiesta di dialogo: qualche giorno dopo il premier Massimo D’Alema riceverà Lorenzo Cherubini col cantante degli U2, Bono Vox.
L’allora direttore del ‘Foglio’ Giuliano Ferrara lancia uova contro la tv mentre va in onda il monologo di Benigni a Sanremo
2002 - Ferrara e le uova a Benigni (dal salotto)
Torna Baudo e - dopo 19 anni - torna Benigni all’Ariston. Apriti cielo. Il governo Berlusconi II è nel suo pieno vigore e il premier è uno dei «core business» dell’attività comica di Benigni. Il direttore de Il Foglio, Giuliano Ferrara si scaglia contro l’ospite annunciato per la serata finale promettendo: «Saremo in platea e gli lanceremo le uova». Manterrrà parzialmente la parola dopo un tam tam di giorni: il lancio avverrà ai danni della tv che trasmette il monologo del comico.
2013 - Berlusconi-Crozza fischiato
Un Maurizio Crozza così in difficoltà difficilmente lo si era visto. Nei panni di un Silvio Berlusconi chansonnier scende dalla scala del Festival di Fabio Fazio con delle banconote nella pochette. Ma dopo settimane di polemiche del mondo politico sull’opportunità della sua partecipazione il pubblico in sala lo fischia: «Basta politica al festival» gli gridano interrompendolo. Dovrà rientrare Fazio sul palco a prendere le difese del comico genovese.
2014 - Grillo: comizio fuori dall’Ariston, spettatore dentro
Nel mirino ha l’allora presidente del Consiglio, Matteo Renzi, uno che da sempre - e lo dimostrerà di nuovo una volta lasciato il governo - ha il pallino della tv. Il fondatore del Movimento 5 Stelle, Beppe Grillo, si presenta a Sanremo. Tiene un comizio fuori dall’Ariston e poi entra a teatro, tra gli applausi, col biglietto regolarmente acquistato. Si siede in diciassettesima fila e si gode la serata. L’incursione che ha allarmato per giorni le forze dell’ordine e la security Rai è tutta qui.
2016 - La volata alla legge Cirinnà
Se a maggio 2016 la prima vera legge italiana sulle coppie di fatto diventa realtà forse un po’ lo si deve anche a loro. Gli artisti che - anche con un semplice nastro arcobaleno al microfono - hanno lanciato un messaggio pro Cirinnà dal palco più importante d’Italia. Da Enrico Ruggeri a Noemi ad Arisa sono in tanti a portare un pezzettino di diritti civili alla seconda edizione condotta da Carlo Conti.
2018 - Salvini (onorevole fidanzato) in platea
È il first gentleman e non gli dispiace. Matteo Salvini, all’epoca leader della Lega all’opposizione di un governo di centrosinistra, è all’Ariston come compagno di uno dei volti di punta della rete ammiraglia Rai. La fidanzata Elisa Isoardi (si lasceranno qualche mese più tardi dopo 4 anni insieme), infatti, è protagonista dell’aspra staffetta con Antonella Clerici alla conduzione de La prova del cuoco.
Le Anticipazioni. Il Pre-Voto.
Giuseppe Candela per Dagospia il 18 gennaio 2023.
Quanto valgono le pagelle dei critici musicali a Sanremo? Poco, sia per le promozioni sia per le bocciature. O comunque è facile notare come i voti bassi siano arrivati per i nomi meno protetti, perfetto il caso Cugini di Campagna bocciati con molti due o addirittura senza voto. Non hanno radio forte alle spalle, non hanno società importante che organizza tour, non hanno ufficio stampa che paga trasferte.
Non tutti i giornalisti ascoltavano i brani per la prima volta, nei giorni precedenti qualcuno è stato "convocato" da case discografiche o da uffici stampa musicali per far ascoltare in anteprima qualche brano. La ragione? Arrivare a lunedì 16 con un ascolto alle spalle e con un giornalista felice del privilegio.
Sanremo 2023, per i giornalisti vincerà Marco Mengoni. Ecco la classifica completa. DANIELE ERLER su Il Domani il 17 gennaio 2023
I critici hanno ascoltato per primi, e una sola volta, le canzoni del Festival. Abbiamo fatto la media dei voti fra le 17 pagelle pubblicate da altrettanti giornali e siti. E questo è il risultato
Lunedì 16 gennaio i giornalisti hanno potuto ascoltare per la prima volta le canzoni di Sanremo e hanno potuto leggerne i testi. Un ascolto unico, come vuole il regolamento, sulla base del quale poi hanno pubblicato le loro classifiche, dando in genere un voto da 0 a 10. Lo ha fatto per noi Annalia Venezia, ad esempio.
Domani ha confrontato le principali classifiche pubblicate sui giornali e sui siti, per un totale di 17 pagelle. Per ogni concorrente, sono stati tolti il voto più basso e il voto più alto (per cercare di eliminare alcune esagerazioni in un senso o nell’altro).
Poi è stata calcolata la media, che ha portato alla classifica che trovate qui sotto. Secondo i giornalisti, sul podio dovrebbero arrivare dunque Marco Mengoni, Madame e Colapesce Dimartino. Subito dopo: Ariete, Giorgia e Lazza.
I GIORNALISTI
Le valutazioni che abbiamo considerato, oltre ovviamente a quelle di Domani, sono quelle di Corriere della Sera, Repubblica, La Stampa, Sole 24 ore, Gazzetta dello Sport, All Music Italia, DavideMaggio.it, SkyTg24, il Mattino, il Messaggero, Vanity Fair, Ansa, Libero, SuperGuidaTv, Gay.it e Oggi.
Sono state compilate rispettivamente da: Andrea Laffranchi, Ernesto Assante, Luca Dondoni, Francesco Prisco, Elisabetta Esposito, Fabio Fiume, Mattia Buonocore, Fabrizio Basso, Federico Vacalebre, Mattia Marzi, Valentina Colosimo, Claudia Fascia, Fabrizio Biasin, Giulia Bertolini, Giuliano Federico e Dea Verna.
Secondo i risultati, 17 concorrenti su 29 raggiungono la sufficienza. Gli ultimi – Sethu, Will e Olly – sono tre dei giovani che si sono classificati per competere alla vittoria finale.
LA CLASSIFICA COMPLETA
Marco Mengoni – 7,63
Madame – 7,03
Colapesce Dimartino – 6,90
Ariete – 6,75
Giorgia – 6,67
Lazza – 6,63
Levante – 6,60
Coma Cose – 6,58
Ultimo – 6,55
Elodie – 6,50
gIANMARIA – 6,47
Mara Sattei – 6,47
Tananai – 6,42
Rosa Chemical – 6,38
Leo Gassman – 6,33
Gianluca Grignani – 6,15
Paola & Chiara – 6,02
Colla Zio – 5,93
Shari – 5,80
Articolo 31 – 5,62
Modà – 5,60
Anna Oxa – 5,55
Cugini di Campagna – 5,55
Mr. Rain – 5,33
Lda – 5,28
Sethu – 5,25
Will – 5,25
Olly – 5,15
Sanremo 2023, abbiamo ascoltato le 28 canzoni. Ecco la nostra classifica. ANNALIA VENEZIA su Il Domani 16 gennaio 2023
Sarà un festival d’alta qualità, o almeno questa è l’impressione al primo ascolto. Fra testi malinconici e tormentoni, in sala stampa i giornalisti hanno ballato
Si è ballato in sala stampa, e questa è la novità. Alla sede Rai di Milano e Roma, alla presenza di Amadeus, sono stati svelati ai giornalisti i testi dei 28 brani in gara al Festival di Sanremo 2023. E anche se si è trattato di un solo ascolto - “e poi riconsegnateci il tomo coi testi che vi abbiamo dato all’entrata” - alcuni brani li consumeremo, è una certezza.
La qualità è alta, scrittori e arrangiatori sono i migliori sulla scena, per citarne alcuni Dardust, Salmo, Davide Petrella e poi ancora, Damiano David per Mara Sattei e La rappresentante di lista per i Cugini di Campagna. Tanti testi malinconici di quelli che fai tre giri in macchina a cercare parcheggio solo per piangere e altri che appena parte il ritornello rischi di ballare in metropolitana all’ora di punta (non ridete, qualcuno lo farà).
ECCO LA NOSTRA PAGELLA:
GIANLUCA GRIGNANI canta QUANDO TI MANCA IL FIATO (Falco a metà)
La sua voce è sempre quella di Ti raserò l’aiuola quando ritorni da scuola, ma stavolta la canzone la dedica a suo padre, tema perfetto per Sanremo. Grignani è rock’n’roll per davvero e sta provando a rimanere in pista. Questa potrebbe essere la sua buona occasione, abbinata a un po’ di esercizio fisico. Voto 6, d’incoraggiamento.
COLAPESCE DIMARTINO cantano SPLASH (Sony - Numero Uno)
Mentre cantavano mi tornava in mente la serie Love Boat e la canzone Mare profumo di mare. Sono due poeti prestati alla musica e quando pensi si averli capiti, sono già altrove, “travolti dall’immensità del blu”. Balliamo vieni qua, splash è l’ultima frase del testo. Solo per questa, Voto 8.
ARTICOLO 31 canta UN BEL VIAGGIO (Sony Columbia)
Non volevamo crescere ma è successo tutto a un tratto, e poi tutte le cose che giuravi avresti fatto. Il ragazzo di periferia è diventato adulto e dopo aver riempito San Siro con Fedez e aver inanellato vari tormentoni, è ancora vivo e lotta insieme a noi. Mamma mia J-Ax quanta malinconia (forse troppa). Voto 6 e mezzo.
gIANMARIA canta MOSTRO (Sony Epic)
Ha vinto Sanremo Giovani 2022 ma era già molto amato a XFactor 2021, nel team di Emma. Che mi sono perso ero solo distratto, da me. Ma che ti sembro un mostro, guarda che sono a posto. Ci piacerà con l’ascolto. 6 1/2
ANNA OXA canta SALI (Oxarte)
È sempre lei, Anna Oxa, coi suoi acuti che spaccano i vetri. Sali donna e resuscita. 6 per il rispetto.
MR RAIN canta SUPEREROI (Warner)
Nel testo ci sono supereroi, nuvole e uragani. Chi conosce Mattia, in arte Mr Rain, sa che le sue non sono canzoni ma viaggi mentali. La musicalità è la stessa dei Fiori di Chernobyl, ideale per giornate in cui si desidera fortemente piangersi addosso (che male c’è?). Voto 7 perché lo volevo a Sanremo già due edizioni fa.
ROSA CHEMICAL canta MADE IN ITALY (Universal Music)
Il ministro Lollobrigida potrebbe sceglierla come colonna sonora alle convention europee dell’agricoltura: su Made in Italy si salta, ma proprio di gusto. Manuel Franco Rocati, 24 anni, è tra le rivelazioni del Festival. Tra la frase “Ti piace che sono perverso e non mi giudichi, se metto il rossetto in ufficio lunedì”, e la trombetta finale tipo Capodanno (e poi i suoi look) Voto 7.
GIORGIA canta PAROLE DETTE MALE (Microphonica)
“Alla fine eri una bella canzone, che non si può ascoltare a ripetizione, maledizione”. L’ascolterete fino alla nausea se avete un amore finito, che un po’ vi manca ma siete già oltre. Senza voto, a Giorgia che je voi dì. Non si giudica.
LDA canta SE POI DOMANI (Ggd Edizioni)
Luca D’Alessio, ultimo figlio di cotanto Gigi, classe 2003 ci dice “dimmi che mi ami ma non so poi domani”. Ascolto ideale, sotto casa della ex che sperate torni con voi. E comunque “sempre sperando non sia un’altra bugia”. Voto 6, e vediamo.
LAZZA canta CENERE (Universal Music - Island)
È suo l’album più venduto dell’anno, e non stupisce che a scrivere il testo col rapper Lazza ci siano Dardust e Petrella. Insomma, la triade. Si balla come negli anni 90 in discoteca, appena entrava la canzone di Corona The Rhythm of the night. Ma poi ci sono le parole, e sembra di sentirlo al pianoforte, “Aiutami a sparire come cenere”. A quelli che dubitavano di Lazza, troppo presto a Sanremo, io dico vai ragazzo vai, regalaci questo testosterone. Voto 9.
ARIETE canta MARE DI GUAI (Bomba dischi)
Ariete non è più la ragazzina dell’Ultima Notte, anche se la voce rimane inconfondibile. A scrivere c’è anche Calcutta e la musica è di Dardust. “Amore incerto, vorrei sapere se vado o se resto. Mi sa che resto”, Voto 6 e mezzo.
SETHU canta CAUSE PERSE (Carosello)
Quando i Green Day cantavano Basket Case lui, Sethu, al secolo Marco De Lauri, 26 anni, non era ancora nato. Forse neppure i suoi genitori si conoscevano ancora. Eppure lui ci prova, e un po’ li ricorda. Solo per questo, Voto 7
TANANAI canta TANGO (Universal Music)
Dopo essersi classificato ultimo, torna e questa volta lo attende il bagno di folla. Chi non ama Tananai mente. In questo Tango, è romantico ma non malinconico, ascolta i Police con lei ma la storia è finita. “Addio amore mio, tra le palazzine a fuoco” (ma nessuno si farà male). Voto 7.
LEVANTE canta VIVO (Warner)
Dopo la gravidanza torna più sexy che mai e lo dice: “Vivo un sogno erotico, la gioia del mio corpo è un atto magico”. E ci regala un gemito. Che fa dimenticare tutti quei perché (che gli uomini odiano). Voto 6 e mezzo.
LEO GASSMANN canta Terzo cuore (Universal Music - Capitol)
“Ci siamo presi e lasciati come i trapezisti del Cinque du solei, ma non ci siamo mai arresi”. E ancora, “Penso di avere talento per trasformare le sfide in sfighe”, Leo Gassman ha lavorato al testo con Riccardo Zanetti dei Pinguini Tattici Nucleari. E la canzone va. Voto 6.
MODÀ cantano LASCIAMI (K1078 Edizioni Musicali)
“Ma che giorno è? È il primo giorno senza te. Lasciami con la nostra canzone e un bicchiere con dentro un tramonto”. Non è questione d’amore ma anche di fragilità. Si piange in silenzio, in macchina cercando parcheggio. Ci sei mancato Checco. Voto 8
MARCO MENGONI canta DUE VITE (Sony Music - Epic)
Pensieri notturni, pensando a se stessi e all’altro. Testo di Davide Petrella e Mengoni. Mengoni è sempre Mengoni, come Giorgia. Senza voto.
SHARI canta EGOISTA (Sony Music - Columbia)
Al primo ascolto ricorda Sabbie d’Oro di Massimo Pericolo ed è il meglio che potrei augurare a Shari, classe 2002 tra le giovani di Sanremo. La musica è di Salmo, la benedizione sembra quella giusta. Voto 7.
PAOLA E CHIARA cantano FURORE (Sony Music - Columbia)
Paola e Chiara (Foto Gian Mattia D'Alberto - LaPresse)
Vamos a bailar, esta vida nueva. In fondo lo sappiamo tutti che rivolevamo solo questo, il testo allegro, le sorelle di nuovo insieme e anche la nostra adolescenza. Si balla, “in questa notte di sole, furore, furore con te”. Anzi, fate attenzione se siete in metro, che è un attimo che vi alzate di scatto e vi trovate a ballare in mezzo alla folla. Voto 6 e mezzo, solo per i ricordi.
CUGINI DI CAMPAGNA cantano LETTERA 22 (Starpoint Corporations)
“Io senza di te non sono altro che la parola amore, non lasciarmi solo, non lasciarmi qui”. Ricordano un po’ i Pooh, un po’ i Cugini di campagna della prima ora. Testi e musica de La rappresentante di lista. Li canteremo. Voto 7.
OLLY canta POLVERE (Sony Music - Epic)
Federico Olivieri, rapper genovese del 2001, qui apre con un pezzo dance e un po’ di sano Auto-tune. “Stavo sotto a un nuvolone e poi mi sono accorto che più lontano c’era il sole”. Quell’autocommiserazione che a 20 anni perdoni. Voto 6.
ULTIMO canta ALBA (Ultimo Records)
Testo e musica di Ultimo, molto Ultimo.“Se non dovessimo parlare per conoscersi, se non amassimo solo i nostri simili, perché uno sguardo in fondo basta per dipingerci”. Sarà hit. Voto 7.
MADAME canta IL BENE NEL MALE (Sugar)
Ha fatto casino coi vaccini e questo lo sappiamo. Ma quando si esibisce, alziamo le mani. Madame sarà in gara, stavolta si balla “Tanto tanto tanto tanto”. Voto 8
WILL canta STUPIDO (Universal Music - Capitol)
Arriva da Sanremo Giovani William Busetti, 21 anni. “Siamo ferite che ballano, io non sopporto chi parla no, siamo dolori che canterò e so che se torni non basterò”. A novembre, al suo primo concerto in Santeria, a Milano, nel parterre c’erano le Tik Toker Marta Losito ed Elisa Maino con tutte le rispettive crew. Tutti cantavano a squarciagola Le cose più importanti, Da tenere d’occhio. Voto 7.
MARA SATTEI canta DUEMILA MINUTI (Me Next)
Mara Sattei (Foto Gian Mattia D'Alberto - LaPresse)
“Lividi sopra il mio corpo erano solo segni, che quel male che ti porti non andrà più via”. Fa male questa canzone. Testo di Damiano David con la voce unica di Mara Sattei. Voto 9.
COLLA ZIO cantano NON MI VA (Woodworm)
Ricordano Lo Stato Sociale, si balla, poi lo ammetto: dovevo andare alla toilette e li ho sentiti per venti secondi. Ricordo un "quelli che puliscono i cessi” nel testo. Comunque ci piaceranno. Voto 6.
COMA COSE cantano L’ADDIO (Sony Music - Epic)
“Se ti ricordi di te com’eri, quando non c’ero tra i tuoi pensieri”. Sono sempre loro, Fausto Lama e California, Le fiamme negli occhi sono insuperabili ma “comunque andrà, l’addio non è una possibilità”. Credo nel secondo ascolto. Voto 6 e mezzo.
ELODIE canta DUE (Universal Music - ISLAND)
Foto Gian Mattia D'Alberto - LaPresse
Dopo essersi affidata ad altre penne, stavolta il testo lo ha scritto lei. "Per me le cose sono due, lacrime mie o lacrime tue”. Qui c’è un amore che finisce, c’è la depressione, c’è subbuglio. Per me racconta la sua relazione con Marracash anche se ora sta con Iannone. "E se a quest’ora mi cerchi, perdonami dimmi, come mai?”. Perché ti ama ancora Elodie, come te lo devo dire? Dai, fateci sognare. Voto 7.
ANNALIA VENEZIA. Giornalista.
Sanremo 2023: le pagelle delle canzoni in anteprima dopo i pre-ascolti. Andrea Laffranchi su Il Corriere della Sera il 16 Gennaio 2023.
Gianluca Grignani - «Quando ti manca il fiato» (Voto 6,5)
Gianluca si mette a nudo con un testo sulla dolorosa relazione con il padre assente. Una telefonata («quando accadrà, verrai al mio funerale?») dopo anni di silenzio scatena un terremoto interiore di riflessioni e commozione, lacrime e dolore e il fiato del titolo lo toglie veramente. Ma alla fine questa power ballad al profumo delle chitarre rock è una dichiarazione d’amore al padre.
Colapesce e Dimartino - «Splash» (Voto 7)
Se «Musica leggerissima» raccontava il «buco nero» della depressione alleggerendola con una chiave da tormentone, anche questa volta siamo nella testa di qualcuno che non sta bene ma gli arrangiamenti e le atmosfere ci portano verso il Battisti dei primi anni Settanta (ma c’è anche con un pizzico di eleganza alla Moroder) : c’è il senso di solitudine della metropoli, il peso delle aspettative , un fallimento personale che porta a lavorare «per non stare con te» e dimenticare una storia finita. E lo splash finale nel mare lascia pensare al peggio.
Articolo 31 - «Un bel viaggio» (voto 6)
La reunion di J-Ax e Dj Jad passa per un brano autobiografico: dagli esordi nel quartiere al successo, dai dissapori alla rottura comprese le meschinità confessate da Ax del godere delle disgrazie dell’altro. Strofa rap e ritornello alla Max Pezzali-883..
gIANMARIA – «Mostro» (6,5)
Al di là della pronuncia sbiascicata - quasi verso il corsivo - che è un codice di riconoscimento per i millennial, il vincitore di Sanremo Giovani centra un altro tema della sua generazione, l’incomunicabilità, il non accorgersi degli altri perché «ero solo distratto da me». Un arrangiamento in cui i vuoti creano atmosfera.
Anna Oxa - «Sali (Canto dell’anima)» (voto 4,5)
E’ tutto troppo: un arrangiamento pomposo e un eccesso di retorica e di spinta nell’interpretazione. Il testo poetico scritto con Francesco Bianconi e Kaballà ne esce appesantito.
Mr. Rain - «Supereroi» (voto 4,5)
Lui è un rapper anomalo, nel senso che è lontano dalla vita di strada e dell’ego trip. Se il racconto a base di droga, brand e donne è banale lo è anche quello di una coppia che si aiuta nel momento della difficoltà che l’unione fa la forza e ci trasforma in supereroi.
Rosa Chemical - «Made in Italy» (voto 7)
Inno alla libertà sessuale, agli uomini col rossetto in ufficio, all’amore «che più siamo meglio è». Cassa dritta e unz unz balcaneggiante, una divertente fuga per una serata alle giostre.
Giorgia: Le parole dette male (voto 6,5)
I bei ricordi di una storia finita, anche, per delle parole dette male. Una ballad in cui Giorgia non esagera (ma sul palco aggiungerà qualcosa) e la riporta in una classicità soul anni Novanta.
Lda - «Se poi domani» (voto 5)
Il figlio di Gigi D’Alessio ha la melodia nel dna. Qui va sul semplice con una ballad al pianoforte in cui anche il testo sta dove l’acqua e bassa.
Lazza - «Cenere» (voto 7)
Guardarsi allo specchio e non piacersi. Anche se sei il rapper con il disco dei record di quest’anno. Lazza molla i cliché della trap (non l’autotune) e va verso un urban sofisticato alla The Weeknd in cui si sente l’esperta mano di Dardust.
Ariete - «Mare di guai» (voto 7,5)
Un elegante racconto minimal, spezzoni di vita quotidiana per una ballad dove la delicatezza di Ariete si appoggia a piano e archi per aprirsi in ritornello romantico. Brano firmato con Calcutta e Dardust.
Sethu - «Cause perse» (voto 5,5)
Anche lui arriva da Sanremo Giovani, impostazione rap, velocità del punk, rabbia post-adolescenziale.
Tananai - «Tango» (voto 6,5)
La sorpresa dell’anno scorso, da ultimo in classifica a tormentone con «Sesso occasionale», mostra il suo lato romantico, quello che in radio lo ha messo al numero 1 dei più trasmessi in questi giorni con «Abissale»): ballad al miele d’orchestra, certe storie d’amore è meglio che non comincino nemmeno.
Levante - «Vivo» (Voto 7)
Cassa dritta da ballare (ma senza spegnere il cervello) per raccontare la gioia della riscoperta del proprio corpo e del sesso dopo il parto.
Elodie - «Due» (voto 8)
Un amore appena nato ma già finito male, delle telefonate interrotte... a qualcuno verrà in mente Mina (o Maurizio Costanzo). Ma qui gli anni 70 restano una suggestione sulla quale portare suoni urban, percussioni pulsanti e un ritornello circolare che ti gira intorno senza mollarti
Modà - «Lasciami» (voto 5,5)
Lo sfogo liberatorio del primo giorno senza di te. Uno pensa a una donna, ma invece è la depressione. Le canzoni non andrebbero spiegate, ma senza l’interpretazione dell’autore il senso sarebbe troppo nascosto.
Mara Sattei - «Duemilaminuti» (voto 6,5)
Una ballad con piano e orchestra che oscilla fra la classicità di Elisa e una metrica contemporanea, quella del fratello thasup che co-firma il pezzo con Damiano dei Maneskin. L’amore non è solo cuoricini o lacrime, qui ci sono anche alcol e lividi.
Leo Gassmann - «Terzo cuore» (voto 6)
Leo, figlio e nipote di, è un bravo ragazzo. Riccardo Zanotti, il front man dei Pinguini Tattici Nucleari che co-firma il brano (e si sentono i suoi giochi di parole), pure. Non ne poteva che uscire una canzone educata e romantica. Però con anche voglia di divertirsi.
I Cugini di Campagna - «Lettera 22» (voto 4,5)
Una melodia da Sanremo 1981 che non fa il paio con la contemporaneità dance del ritornello. Deludente. Ancora di più al pensiero che la canzone è firmata da La rappresentante di lista
Marco Mengoni - «Due vite» (voto 8)
Chi entra Papa esce... e il resto lasciamolo ai gesti scaramantici di Marco. Una ballad classica che dosa bene melodia e ritmo e ci porta in una camera da letto dove i pensieri di uno si rincorrono mentre l’altro dorme. Il ritornello è da cantare a braccia e cuore aperti.
Paola & Chiara - «Furore» (voto 5)
Sei firme più due per la reunion delle sorelle Iezzi. Uno sforzo non proporzionato al risultato… Non bastano la parola «rumore» nel testo e una cassa dritta per essere Raffaella Carrà.
Madame - «Il bene nel male» (voto 7,5)
Un incontro fra una, la parola è nel testo, «puttana» e un cliente fra paure, sentimenti e contatto fisico. Ritmo e metrica con incastri perfetti, autotune e profumi esotici per creare un’atmosfera da club. Amadeus ha confermato che esclude provvedimenti per la sua finta vaccinazione, ma questa è un’altra storia.
Coma Cose - «L’addio» (voto 6,5)
Coppia artistica e nella vita, California e Fausto portano la loro storia, anzi quella della loro crisi. Per fortuna sentimentale e non artistica.
Ultimo - «Alba» (voto 7)
Voce e pianoforte per un racconto cinematografico fra sogno e realtà con una struttura che al classico ritornello preferisce un crescendo intenso sia nell’interpretazione che nell’arrangiamento.
Olly – «Polvere» (voto 5,5)
Anche qui cassa dritta (sembra essere diventata l’unica alternativa alla ballad) e un ritornello dove la melodie è fin troppo elementare.
Will - «Stupido» (voto 5)
Lasciamo la parola testo: «del resto divento un po’ banale»: una ballad più vecchia dei 23 anni dell’interprete
Colla Zio – «Non mi va» (voto 6)
Si sente che arrivano dalla strada, non quella dei rapper ma quella dei busker. La voglia di fare festa e coinvolgere è quella, ma con un tocco contemporaneo.
Shari - «Egoista» (voto 5)
Atmosfere urban e dark per un brano che non trova il gancio per incidere, nonostante la firma di Salmo.
Estratto dell'articolo di Francesco Prisco per ilsole24ore.com il 16 Gennaio 2023.
Gianluca Grignani, «Quando ti manca il fiato» 5-
Colapesce e Dimartino, «Splash» 6-
Articolo 31, «Un bel viaggio» 5
Gianmaria, «Mostro» 5
Anna Oxa, «Sali» 5-
Mr. Rain, «Supereroi» 4
Rosa Chemical, «Made in Italy» 3,5
Giorgia, «Parole dette male» 6-
ANNA OXA
Lda, «Se poi domani» 3
Lazza, «Cenere» 6,5
Ariete, Mare di guai 7-
Sethu, Cause perse 4-
Tananai, «Tango» 4,5
Levante, «Vivo» 6,5
Leo Gassmann, «Terzo cuore» 6-
Modà, «Lasciami» 5,5
Marco Mengoni, «Due vite» 6-
Shari, «Egoista» 3
Paola e Chiara, «Furore» 4
Cugini Di Campagna, «Lettera 22» s.v.
Olly, «Polvere» 3
Ultimo, «Alba» 6-
MADAME
Madame, «Il bene nel male» 7-
Will, «Stupido» 5-
Mara Sattei, «Duemilaminuti» 7,5
Colla Zio, «Non mi va» 7-
Coma Cose, «L’addio» 6,5
Elodie, «Due» 5,5
Ci sono i nomi da battere, ma anche alcune possibili sorprese. Abbondano quindi gli «oggetti misteriosi», strane operazioni di commistione che per adesso non sai ma, una volta approdate in Riviera, chissà... Queste le sensazioni che si colgono subito dopo l’ascolto in anteprima delle 28 canzoni in gara a Sanremo 2023, quarta edizione consecutiva diretta da Amadeus, in programma dal 7 all’11 febbraio.
Se guardiamo all’apparato spettacolare, sarà il festival dei vecchi leoni (Morandi, Ranieri, Al Bano, Pooh) e delle influencer (Chiara Ferragni), del ritorno degli ospiti internazionali (Black Eyed Peas) e della parentesi geopolitica (Volodymyr Zelensky in videocollegamento per la finale), poi ci saranno novità anche sul piano del regolamento: al tradizionale ballottaggio a tre della finale si sostituisce un ballottaggio allargato a cinque concorrenti. Ecco l’idea che ci siamo fatti sulla gara, dopo i pre-ascolti stampa effettuati presso la sede Rai di via Mecenate a Milano.
Quello che c’è da sapere.
Festival di Sanremo e Rai.
I luoghi del festival.
Dove alloggiano i cantanti?
Le strade che portano a Sanremo.
Le Auto.
Serate, ospiti e conduttori.
La scaletta ufficiale delle serate di Sanremo.
Disturbi ed alterazioni della voce.
La Corruzione simpatica…
I Look.
La Giuria.
Gli Incassi.
Costi.
Una cordata vuole portarlo via alla Rai. Il sindaco: «Valuteremo». Renato Franco, inviato a Sanremo, su Il Corriere della Sera il 9 Febbraio 2023.
«Striscia la notizia» ha rivelato che può esserci questa possibilità
«È arrivata al Comune di Sanremo un’offerta non della Rai per organizzare e gestire il Festival di Sanremo a partire dal prossimo anno». La conferma è arrivata da Giuseppe Faraldi, assessore al Turismo del Comune di Sanremo che ha risposto alla domanda di Pinuccio, inviato di Striscia la notizia. Era stato proprio il tg satirico di Antonio Ricci a rivelare che poteva esserci questa possibilità.
«La valutazione per la gestione di un Festival come questo non può essere fatta a fronte di una proposta arrivata poche ore fa — ha detto l’assessore Faraldi —. È una valutazione da fare al momento opportuno, con gli uffici opportuni, di certo non in questo momento». «Non ho ancora letto la lettera, dopo il Festival la valuteremo nelle sedi opportune», ha aggiunto il sindaco Alberto Biancheri. Insomma siamo solo agli inizi di una possibile trattativa. Certo se succedesse davvero sarebbe un fatto clamoroso. A far gola è anche un marchio (il Festival Sanremo) che oggi alla Rai frutta oltre 50 milioni di euro di ricavi, a fronte di una spesa di organizzazione che si aggira sui 20 milioni.
«Dopo 73 edizioni, quindi, il Festival della canzone italiana potrebbe non essere più trasmesso dalla Rai — spiega in una nota Striscia la Notizia —. Ricordiamo che la convenzione tra Rai e Comune di Sanremo è in scadenza e che una recente sentenza del Tar sollecitata da Afi (Associazione Fonografici Italiani) apre la strada verso il bando pubblico». La proposta è stata protocollata mercoledì e secondo il tg satirico di Canale 5 chi vuole organizzare il Festival di Sanremo il prossimo anno non è un’emittente televisiva, ma un operatore del mondo dello spettacolo.
Sanremo 2023, tutti i luoghi del festival. Rachele De Cata Panorama il 9 Febbraio 2023.
Il teatro, piazza Colombo, Casa Sanremo, la nave della Costa Crociere. Se non avete rimediato un costosissimo biglietto per l’Ariston niente paura: Sanremo 2023 è diventato un festival diffuso. Da godere, come direbbe Valerio Scanu, in tutti i luoghi e in tutti i laghi
C’era una volta il festival di Sanremo, e c’era il teatro Ariston in corso Matteotti come unica location dell’evento. C’è oggi il festival di Sanremo, edizione numero 73, ma ci sono così tanti palchi, concerti, cantanti e vip di ogni genere e gradi che anche per noi addetti ai lavori è un turbinio. Intervisto il concorrente in gara o l’ospite del Suzuki stage di piazza Colombo (a cento metri dal teatro)? Meglio uno degli ospiti della serata delle cover, o Salmo che si tuffa sulla Costa Crociere? Per fare ordine tra le cose da fare, ecco una mappa dei luoghi del festival, il grande evento diffuso di cui tutta l’Italia sta parlando. Il teatro Ariston È la sede della gara. Qui si stanno svolgendo le cinque serate in programma. Gran finale sabato 11 febbraio, o, vista la ricca scaletta, appuntamento al bar direttamente domenica a colazione. Piazza Colombo A pochi passi dall’Ariston c’è un palco a cielo aperto in cui ogni sera si danno il cambio artisti legati in qualche modo al festival. Un concerto di ripiego per chi non ha l’agognato ticket (abbonamenti da 1.200 euro esauriti in dieci minuti)? Tutt’altro: da Annalisa a Piero Pelù, da Nek ad Achille Lauro, il parterre del Suzuki Stage è da podio Casa Sanremo, l’ospitality del festival
Ancora qualche passo più in là, oltre piazza Colombo, si arriva al Palafiori dove da qualche anno ha sede Casa Sanremo, la casa commerciale del festival. Qui ci sono i corner degli sponsor, qui hanno sede gli studi televisivi di un palinsesto sempre più ricco, qui ci si lascia coccolare tra angoli spa e specialità food. Un luogo di relax, incontri e possibilità. Molti gli eventi aperti al pubblico ma i più esclusivi richiedono un ambitissimo pass (che – per la cronaca - noi abbiamo). La Costa Smeralda Per il secondo anno consecutivo, Costa Crociere ha siglato una partnership con il festival di Sanremo organizzando una kermesse parallela a bordo della nave. Ma se l'idea nel 2022 era nata come ipotetica bolla sanitaria per gli addetti ai lavori, ed era partita in sordina, quest’anno il mood crociera ha invaso Sanremo. E ogni sera ospiti come Fedez, Salmo e Guè fanno da richiamo per gli amanti della musica. L'iniziativa è ancora riservata solo ai soci del club membership, ma non è detto che l’anno prossimo le cose non possano cambiare. Scommettiamo che con i biglietti in vendita ci sarà il boom di viaggi di nozze sulla nave di Sanremo? Altro che crociera ai Caraibi!
Rachele De Cata su Panorama l’11 Febbraio 2023.
Hotel ma anche ville private. Con il tutto esaurito per il festival, e grazie agli avvistamenti di fan e camerieri, abbiamo stilato un elenco di buen retiro per degli artisti che calcano il palco dell'Ariston
Dai dati ufficiali Sanremo è un comune da circa 50.000 abitanti. Con una particolarità: ogni anno in occasione del festival di Sanremo la cittadina ligure diventa il centro del mondo. Impossibile parcheggiare, trovare posto in hotel e persino camminare nei pressi del teatro Ariston. A proposito di dormire, anche i cantanti e i loro staff invadono Sanremo. Volete sapere dove si ritirano dopo le loro esibizioni? Ve lo diciamo noi. Hotel Globo, il passaggio verso l’Ariston Come da tradizione, l’hotel Globo è la sede operativa di Amadeus e di Gianni Morandi (e di tanti altri conduttori prima di loro). La location è strategica, perché è situata proprio di fronte al teatro Ariston. Negli anni girava voce di un passaggio sotterraneo che collegasse l’hotel al teatro: si tratta in realtà di attraversare il cortile interno dell’albergo e di sbucare davanti a un’entrata laterale dell’Ariston che durante il festival viene transennata a chiusa alla vista dei curiosi. Insomma, il tunnel vero e proprio non c’è ma il barbatrucco funziona lo stesso. All’hotel Globo alloggiano anche Marco Mengoni e i Modà, e dalla terrazza all’ultimo piano va in onda il podcast Muschio Selvaggio di Fedez. Facile dedurre che qui ci sia la base (e qualche stanza) per il programma. Albergo, sì ma quale? Se volete fare un giro a caccia di vip, ecco qualche dritta. I Coma_Cose sono all’hotel Londra, dove ieri sono arrivate anche Giorgia ed Elisa, sua ospite per la serata delle cover. Lazza è all’hotel de Paris (quello di Blanco e Mahmood dell’anno scorso, dovrebbe esserci anche Elodie), Tananai e Sethu sono ospiti del Royal. J-Ax è al Miramare, mentre Francesca Fagnani, cocondutrrice della serata del mercoledì ha scelto il Grand Hotel del Mare (dove hanno soggiornato anche Celentano e la De Filippi). Al Grand Hotel Des Anglais, infine, si potrebbero incontrare i Cugini di Campagna e Gianluca Grignani (ma anche Alba Parietti e Anna Pettinelli). Le ville in collina Lontano da occhi indiscreti, c’è chi si ritira con lo staff in sontuose ville vista mare. Chiara Ferragni ha scelto Villa Dendi, residenza da 700 metri con otto camere da letto, tre cucine e piscina a sfioro. La residenza è in vendita per cinque milioni di euro, in affitto per una cifra compresa tra i 6000 e gli 8000 euro a notte, a seconda del periodo (e qui febbraio è altissima stagione). La villa però ha anche un valore affettivo per la Ferragni: l’anno scorso fu l’headquarter di Elisa ma nel 2021 fu la casa di Francesca Michielin e Fedez (secondi in classifica con Chiamami per nome). Villa Gioiello è invece la dimora sanremese di Levante. Anche qui lo spazio non manca: 5 camere, 5 bagni, piscina, giardino e barbecue. L’abbiamo visitata qualche giorno fa e ci ha dato delle buonissime sensazioni. Perché, si sa, dormire bene è il primo toccasana per chi deve salire su un palco.
Talent o conservatorio, concerti o Youtube: tutte le strade che portano a Sanremo. Da Shari a Will, da Ariete a Colla Zio, le tappe della carriera dei concorrenti di quest’anno. E i consigli degli esperti del mondo musicale. Per arrivare al Festival senza cambiare personalità. Angiola Codacci-Pisanelli su L’Espresso il 30 gennaio 2023.
La strada che porta a Sanremo passa dai talent televisivi, si sa. Ma, chiederebbe il Nanni Moretti di “Ecce Bombo”, mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente? Nel senso che il talent show musicale - che sia Amici, saldamente ancorato a Maria De Filippi, o X Factor che cambia giudici ogni anno - se si guarda il curriculum dei finalisti di questa edizione del Festival di Sanremo sembra un jolly che ognuno gioca a modo suo. Per ottenere il risultato migliore in quella che dopo alti e bassi è tornata ad essere, per usare le parole di un decano dell’industria discografica come Lucio Salvini, «la notte che può cambiarti la vita».
Questo era vero almeno finché «si vendevano milioni di dischi e un Sanremo ben fatto poteva cambiare il bilancio di una casa discografica», continua Salvini, che è stato per 17 anni ai vertici della Ricordi e nove alla Fonit Cetra. «Ma ora tutto è diverso perché i dischi non si vendono più». Però proprio quest’anno, risponde Michele Canova, produttore di diversi artisti che sono passati dal festival, «i guadagni fatti con lo streaming sono tornati ai livelli di quando la musica era solo in cd». Da quando la vendita di dischi è crollata, però, il grosso degli incassi si fa con i concerti: in questi giorni vengono annunciati i live dei protagonisti del festival. «Cantare dal vivo è il massimo per un artista», commenta Tosca, che a Sanremo ha vinto un’edizione e partecipato altre volte «e sempre con grande divertimento. Il live è fondamentale», continua, «perché ogni cantante è innamorato del pubblico, e ogni concerto è come un appuntamento con la persona che ami».
Tornando al ruolo dei talent come trampolino per una carriera, a Sanremo dal 7 all’11 febbraio ci saranno Marco Mengoni, lanciato nel 2009 dalla vittoria a X Factor, e gIANMARIA che nel 2021 è arrivato secondo (lo stesso piazzamento degli ormai mitici Måneskin). È arrivata seconda ad Amici Elodie, che a X Factor era stata eliminata in corso d’opera. Sono usciti presto anche Will e Ariete, ma la figura più clamorosa l’ha fatta Mr Rain, che si è ritirato da X Factor subito dopo essere stato selezionato.
Levante al talent di Sky c’è arrivata direttamente come giudice, Madame come ospite. Tananai invece ha partecipato a Top Dj, selezione per disk-jockey, ma del resto la sua strada per Sanremo ha seguito un percorso originale: è passato anche al Politecnico di Milano, dove ha studiato architettura. Inusuale anche il curriculum di Rosa Chemical: pittore di murales e modello per Gucci, ha già cantato a Sanremo l’anno scorso proprio con Tananai.
Per Leo Gassman e LDA, invece, la gara televisiva è servita a rafforzare un’immagine schiacciata sul ruolo di “figlio di papà”. Dai genitori, Alessandro Gassman e Sabrina Knaflitz, entrambi attori, Leo ha ereditato una presenza scenica fuori dal comune. LDA invece deve al padre, Gigi d’Alessio, il debutto nel disco “Buongiorno”, ma la carriera l’ha consolidata grazie ad Amici. Mara Sattei non è “figlia di”, ma sorella: al fratello, Tha Supreme, deve l’inizio di un successo dovuto anche al talent di Mediaset.
«Giorgia e io abbiamo iniziato a cantare insieme nei club: lei cantava in inglese, io in portoghese», ricorda Tosca. Che parallelamente alla sua carriera internazionale, da otto anni è impegnata nella direzione di un Laboratorio di alta formazione artistica della Regione Lazio. «Ai ragazzi di Officina Pasolini consiglio di capire bene chi sono prima di intraprendere una strada, a saper dire di no, di non lasciarsi plasmare. Se si è se stessi, si può andare ovunque, anche a Sanremo. Il miraggio non è partecipare, ma far conoscere il proprio lavoro. In un’industria che oggi vuole prodotti, non progetti, che dà a un giovane solo pochi giorni per giudicare se la canzone che ha inciso funziona oppure no, è molto difficile».
Il caso più famoso di metamorfosi ad uso del mercato lo ha vissuto Caparezza: difficile immaginare il rapper dai ricci selvaggi nelle vesti di Mikimix, cantante pop minimalista atterrato a Sanremo nel 1997. «Io c’ero, me lo ricordo bene», dice Canova. «Però cambiare la personalità di un artista è difficile, e soprattutto non funziona: la cosa giusta è esaltare le sue qualità vincenti. E questo oggi l’industria musicale lo sa fare meglio di vent’anni fa, quando si mandavano allo sbaraglio venti cantanti a Sanremo Giovani sperando che almeno uno funzionasse».
Sanremo Giovani è sempre di più la vetrina del festival: sei finalisti di quest’anno vengono da lì. A Colla Zio, gIANMARIA, Sethu, Shari, Olly e Will è affidata una “mission impossible”: attrarre il pubblico più giovane verso una kermesse che ha 73 anni e fino a pochi anni fa era fuori moda. Sono stati i giovani a decretare la clamorosa vittoria del Måneskin: ma era il 2020, e i ventenni chiusi in casa per il Covid si sono concentrati su Sanremo con una dedizione irripetibile.
«Sanremo l’hanno rovinata gli anni Ottanta, quando si cantava in playback», racconta Canova. «Poi nel Duemila, quando alcuni giovani cantanti italiani hanno sfondato a livello internazionale, è diventato una vetrina per artisti già affermati in un genere che veniva sentito come vecchio. Le cose sono cambiate con Pippo Baudo e Amadeus, che hanno fatto un grandissimo lavoro di scouting». Tra i due c’è stato Claudio Baglioni, che a Sanremo (caso più unico che raro) non ha mai gareggiato ma lo ha diretto nel 2018 e 2019: e con la sua immagine da “cantautore non impegnato” ha fatto molto per richiamare i giovani autori pop che hanno svecchiato la lista dei partecipanti.
Hanno un pedigree da cantautori Colapesce e Dimartino, protagonisti di un duo che l’anno scorso ha conquistato critica e pubblico: il primo ha in curriculum una Targa Tenco, il secondo un premio al Meeting delle etichette indipendenti di Faenza. I Coma Cose invece erano sconosciuti quando furono chiamati a cantare al concerto del Primo Maggio nel 2019. I Colla Zio si sono fatti le ossa nei festival milanesi, e vent’anni fa anche Kekko Silvestre dei Modà ha fatto esperienza direttamente davanti al pubblico, in locali del Nord. Silvestre poi ha consolidato la carriera firmando successi di altri come “Non è l’inferno”, con cui ha vinto Sanremo Emma, che quando non partecipa al festival è sempre una dei “king maker”: concorrente di Amici e giudice di X Factor, conosce tutti e ha contribuito a lanciare, tra gli altri, Elodie. Altro kingmaker ancora determinante è Claudio Cecchetto: Paola e Chiara erano coriste degli 883, fortunata creatura del produttore e dj.
Lanciarsi nel mondo del web è come gettare in mare un messaggio in bottiglia: solo Will deve gli inizi della sua carriera ai video che ha caricato su Youtube, mentre Sethu ha debuttato sul canale Trash Gang. Più facile trovare buoni contatti attraverso le scuole di musica: Gianluca Grignani è andato a Milano alla Cpm di Franco Mussida, uno dei fondatori della Premiata Forneria Marconi, Shari invece alla Groove Factory di Udine. Pochi hanno messo piede in un conservatorio: Leo Gassman ha studiato chitarra, Olly canto, Lazza pianoforte. Ma il giovane rapper più che il conservatorio lo sostiene la scena musicale milanese, una catena umana che va da Ghali a Ernia, da Gué a Dargen D’Amico.
Ha iniziato in conservatorio anche l’artista che ha il record di concerti da tutto esaurito e che ha collezionato due bocciature nei talent, sia a X Factor che ad Amici. Niccolò Moriconi, in arte Ultimo, torna a Sanremo dopo il doloroso testa a testa nel 2019 quando la vittoria andò a Mahmood. Ultimo può contare sui fan che si piazzeranno davanti alla tv, pronti a votarlo anche a scatola chiusa. Quattro anni fa aveva avuto l’endorsement di Matteo Salvini, allora ministro dell’Interno, e questo non lo aveva aiutato: chissà se questa volta il suo ingombrante fan riuscirà a stare zitto…
Cantanti, conduttori e ospiti di Sanremo: ecco quali auto possiedono. Molti dei protagonisti del Festival di Sanremo 2023 sono anche grandi appassionati di automobili: dai cantanti agli ospiti, ecco le vetture che guidano e che possiedono. Alessandro Ferro l’8 Febbraio 2023 su Il Giornale.
Siamo ormai dentro il clima del Festival di Sanremo tra i più attesi di sempre: se già si conoscono i testi delle canzoni, tutti gli ospiti e i vari co-conduttori che affiancheranno Amadeus, in pochi sanno le passioni automobilistiche degli stessi e quali autovetture posseggono o a quali hanno fatto da sponsor. Ecco una carrellata partendo da quello che si sa sui cantanti in gara per poi finire con le vetture sponsor del Festival.
Auto dei cantanti
Presenti in gara ci sono gli Articolo 31: a proposito di auto, fu celebre lo scherzo che J-Ax fece ai propri fan nel 2021 quando, come postato sul proprio profilo Facebook, disse che la Sony gli aveva regalato una Bentley decappottabile mostrandosi stupefatto in una foto con la super auto alle sua spalle. In realtà, però, si trattava di uno scherzo per testare, come disse, "l'invidia sociale". Lo spunto ci dà però modo di parlare di un'auto extra lusso posseduta, tra gli altri, anche dal tennista Djokovic che ha la Continental GTC ideata per lunghi viaggi: decappottabile, ha un motore V8 a 12 cilindri che fa volare il mezzo fino a 318 Km/h grazie ai suoi 550 cavalli. Il prezzo di partenza di questa tipologia è di 230mila euro: i modelli sono numerosi, dalla Bentayga Extended Wheelbase alla Flying Spur fino alla Continental GT, Continental GTC e alla versione Mulliner.
Il rapper Lazza, pseudonimo di Jacopo Lazzarini, possiede invece un'Audi TT che è stata inserita anche su una strofa del testo "Medellin". La versione base della gamma Coupé ha un prezzo base di 53.950 euro: esiste anche nelle versioni Roadster e Coupé TFSI ma anche la TT RS. Dotata di una capacità di partenza di 305 litri, la Coupé ha una motorizzazione TFSI da 2,0 litri con una potenza di 197 CV (145 kW) o 245 CV (180 kW). Nella variante più potente con trazione integrale quattro, l'auto ha un'accelerazione da 0 a 100 km/h in 5,1 secondi. In base all'impostazione che viene scelta, il sistema con cui è progettata l'autovettura interviene su sterzo, cambio di marcia ma anche sulle caratteristiche del motore.
Auto di conduttori e ospiti
Amadeus, il conduttore della 73esima edizione del Festival di Sanremo possiede un Suv della Mercedes, il classe M che dal 2015 è stato ribattezzato Gle: lungo 478 cm e laargo 191, il serbatoio può contenere fino a 95 litri con il pieno che consente di percorrere anche 1500 km. È tra le autovetture più riuscite del marchio tedesco, monta un motore V6 da 3000 di cilindrata e possiede fino a 612 cavalli. Il prezzo di partenza era di 58mila euro ma con l'aggiunta di accessorri e altri dettagli i costi aumentano.
Co-conduttore assieme ad Amadeus ci sarà Gianni Morandi che possiede lo stesso Suv ma la versione aggiornata, ossia il Gle 300: elegante e possente, raggiunge i 100 Km/h da 0 in 5,7 secondi e possiede fino a 7 sedili all'interno dell'abitacolo a testimoniare la comodità. Gli equipaggiamenti sono di serie o in versione Amg Line. Adesso disponibile anche in versione Plug-in hybrid, è disponibile con motore diesel o a benzina. Con un battery pack di dimensioni maggiorate, Gle Plug-in hybrid ha un'autonomia pari a 100 chilometri in modalità full electric. Nella prima e ultima puntata del Festival sarà presente anche la regina delle influencer, Chiara Ferragni: come abbiamo visto sul Giornale.it, la moglie di Fedez possiede una Bmw X7, uno dei Suv più importanti della multinazionale tedesca. L'auto possiede un motore 6 cilindri benzina che ha una capacità di accelerazione da 0 a 100 km/h in 5,8 secondi. La vettura ha anche un sistema intelligente di parcheggio, 400 cavalli e un prezzo base di 107mila euro.
Non sappiamo se l'abbia anche in garage ma un'altra ospite di Sanremo, la tanto discussa Paola Egonu, è stata testimonial per la Lamborghini Huracan: con il motore V10 e una tecnologia tra le più avanzate, può offrire un’esperienza di guida impareggiabile in ogni condizione di strada anche grazie al cambio Lamborghini Doppia Frizione (LDF) e il sistema di trazione integrale a controllo elettronico. Eroga una potenza da 640 cavalli, velocità massima 325 Km/h e da 0 a 100 km/h in 3,2 secondi e la sua cilindrata è di 5.204. Infine, l'attrice toscana Chiara Francini, co-conduttrice della penultima serata, nel 2015 fece da testimonial per la Hyundai i10 Sound Edition: l'auto attuale può essere venduta con un motore benzina di i10 dalla potenza di 67 CV e 96.2 Nm di coppia massima. La i10 Sound Edition possiede anche un sistema di riconoscimento vocale così da poter gestire i vari comandi soltanto con l'uso della voce.
Da Mahmood ai Maneskin
Tra gli ospiti della Kermesse figura Mahmood che, nel video del brano "Soldi", si vede distintamente un’Alfa Romeo Giulietta che dal 1977 sostituì l'indimenticabile Alfa Romeo Giulia. Inizialmente la vettura prevedeva due differenti soluzioni entrambe a benzina da 1.300 cc (95 Cv) e da 1.600 cc (109 Cv) a cui poi si aggiunse in seguito anche la versione da 1.8 litri e una ancora più potente (2 litri) nel 1980. La produzione sarebbe durata per altri cinque anni prima di essere sostituita dall’Alfa Romeo 75. Ospite della seconda serata c'è Al Bano che utilizza la sua Range Rover 2.5 TD del 1993. Come ricorda Motorzoom, Albano ha spiegato che l’automobile lo ha accompagnato in lungo e in largo nelle sue tournee in Italia. "Quando io e Romina ci siamo separati, lei ha voluto la Range e gliel’ho lasciata. Però poi quest’auto è stata lasciata ferma all’aperto, anche se sotto una tettoia, per molti anni, e si era ridotta in condizioni pietose", aveva dichiarato in una passata intervista. Successivamente l'auto è tornata in suo possesso e pare che l'abbia rimessa a nuovo.
Arriviamo così a Damiano dei Maneskin, il più "semplice" di tutti: per girare nelle trafficate strade di Roma utilizza una Smart bianca basic nemmeno recentissima. Adesso, la basica coupé elettrica ha un prezzo di partenza di 20mila euro, autonomia fino a 132 km, 40 minuti il tempo di ricarica e 60 Kw la potenza massima. Ospite anche Tom Morello, famosissimo chitarrista americano che come scrivono i media d'oltreoceano è un grande patito di automobili tant'é che possiede una Mercedes Benz classe S, un'Audi Q5, una Range Rover e molte altre auto. La nostra Arisa, invece, nel recente passato ha posato sul suo profilo Instagram con un'Audi Q2 alle spalle che ha definito "il bolide migliore di sempre". Lo ha scelto di colore verde scuro, questo cross-over (o Suv urbano) riuscitissimo dell'azienda tedesca ha un prezzo base di partenza di 29.500 euro.
L'ultima sera c'è il super ospite, Gino Paoli, che si è da sempre dichiarato amante delle quattro ruote: come si legge su Automotorinews, la sua preferita rimane l'Alfa Romeo Giulietta Spider. “Quelli della mia generazione adoravano la Giulietta Spider, non c’è un c...o da fare” dichiarò senza peli sulla lingua. In particolare, il modello realizzato da Pininfarina aveva un motore da 1.290 cc e 65 cv di potenza. Fu la prima auto della sua generazione a raggiungere la velocità massima di 155 km/h. La Giulietta Spider segna un'epoca dell’automobilismo italiano che poi rivelà comunque di avere altre auto tra cui Porsche e Ferrari prima di abbandonarle per vetture meno sportive e più comode. "Ne ho avute tante – dichiarò - Poi, un giorno mi sono stufato, ho pensato che l’auto serve solo per andare da un posto all’altro e ho preso la più comoda che c’era" passando al Range Rover che è "silenzioso e comodo. Puoi fare dei gran chilometri e nemmeno te ne accorgi".
Luisa Ranieri sarà ospite di Amadeus sabato prossimo: nella serie tv in cui interpreta Lolita Lobosco si vede alla guida di una Bianchina, la macchina prodotta da Autobianchi dal 1957 al 1969. "L’auto d’epoca di Lolita è una Bianchina perfettamente funzionante, controllatissima, di un privato pugliese che l’affitta", ha dichiarato a TV Sorrisi e Canzoni. La minicar targata era basata sulla Fiat 500 e disponibile in versione berlina, cabriolet, station wagon e furgoncino.
Auto scelte dal Festival 2023
Per l'edizione di quest'anno, Suzuki si riconferma testimonial del Festival presentando all'esterno del Teatro Ariston due modelli della gamma giapponese: la Vitara Hybrid e S-Cross Hybrid. Nel primo caso si tratta di una 100% ibrida che possiede duna batteria da 140v e un motogeneratore da 24,6kW. Inoltre, il nuovo cambio robotizzato AGS offre una elevata elettrificazione che si traduce in un calo delle emissioni e dei consumi. Prezzo di partenza, promozionale, a 29.400 euro. L'S-Cross Hybrid, con una potenza massima di 75 Kw ha il suo punto di forza nei consumi e, come per la berlina, ha un motore elettrico chiamato generatore di avviamento integrato (ISG) che funziona insieme al motore a benzina per migliorarne l'efficienza in termini di consumi ed emissioni.
Marco Zonetti per Dagospia il 12 febbraio 2023.
Se il palco dell'Ariston di Sanremo è una vetrina preziosa per conduttori, cantanti e ospiti, la prima fila del teatro è la vetrina (e la cartina al tornasole) di chi conta davvero in Rai in un preciso momento storico. Soprattutto nella finale. E ieri sera, ultima e più importante tranche del 73° Festival, le poltronissime lasciavano trapelare molti indizi interessanti.
La presidente Rai Marinella Soldi sedeva nei posti più importanti accanto all'Ad Carlo Fuortes, e questo è ovvio e giustificato dal loro ruolo di vertici dell'azienda. Ma, orgogliosamente assisa fra l'Amministratore Delegato e il Direttore dell'Intrattenimento Prime Time Stefano Coletta, ecco far bella mostra di sé la conduttrice Mara Venier, confermando così anche quest'anno la sua posizione centrale e d'influenza nella Tv pubblica.
La territoriale Giovanna Civitillo, moglie di Amadeus, restava anch'ella salda in prima fila accanto alla moglie di Gianni Morandi, la più discreta Anna Dan. Quest'ultima, però, vedeva seduto accanto a sé un "nuovo personaggio" della soap sanremese, nonché figura di rilievo nel panorama della Tv di Stato. Alludiamo a Francesca Bria, consigliera di amministrazione Rai in quota Pd.
Bria, di solito assai defilata e silente tanto che i comunicati da lei diffusi fin dal giugno 2021 quando è stata nominata in CdA Rai si contano sulle dita della mano, non soltanto ieri ha difeso pubblicamente a spada tratta Stefano Coletta dagli attacchi politico-istituzionali di Fratelli d'Italia, ma quella stessa sera è comparsa fisicamente all'Ariston. E in prima fila, come dicevamo.
Trasferta sanremese, quella della consigliera dem, per dimostrare solidarietà a Coletta e a Fuortes in presenza, oppure rivendicazione del proprio ruolo di consigliera Rai e, soprattutto, monito dell'importanza cruciale del proprio voto in CdA? Ricordiamo infatti che, nell'ultima seduta del Consiglio di Amministrazione Rai, l'Ad Fuortes si è salvato solo grazie al parere favorevole di Francesca Bria, che solitamente gli aveva votato contro. Questo solo per sottolineare il rilevante "potere contrattuale" di cui gode al momento la consigliera dem.
Ma ieri sera la prima fila riservava ben altre sorprese. Occorre ricordare che tutta la giornata sanremese era stata monopolizzata da polemiche infuocate, con tutto Fratelli d'Italia (partito di maggioranza in Italia e al Governo) e più o meno l'intero Centrodestra inferociti contro Fedez per aver stracciato la foto del viceministro Galeazzo Bignami e per aver rivolto in diretta su Rai1 nella quarta serata del Festival l'invito a Giorgia Meloni a legalizzare la marijuana.
Alla luce di tutto ciò e al culmine di una simile giornata campale, non ci saremmo aspettati di vedere lo stesso Fedez campeggiare, come se nulla fosse successo, in prima fila all'Ariston. Una sfida aperta del festival di Sanremo alla maggioranza di Governo, come interpretare altrimenti la presenza in primo piano di Fedez, pietra dello scandalo le cui "intemperanze" antigovernative vengono da giorni cavalcate da FdI per invocare la cacciata dei vertici Rai? E, ulteriore beffa per le rivendicazioni dei "camerati", ecco un importante loro alleato, governatore della Liguria in quota Centrodestra e quindi "padrone di casa" a Sanremo, ovvero Giovanni Toti, fatto arretrare in seconda fila, e in secondo piano, rispetto a Fedez.
La posizione privilegiata del cantante, l'arrivo a sorpresa della consigliera Bria e il predominio di Venier hanno inoltre costretto un altro habituè delle poltronissime, Alberto Matano, a separarsi dall'amica Mara per accomodarsi in "castigo" in terza fila accanto al marito Riccardo Mannino e al compagno di Stefano Coletta, Fabio Cotti Zelati.
Nelle varie inquadrature della platea, il conduttore de La vita in Diretta non appariva esattamente entusiasta di essere confinato in un punto così poco visibile. Segno evidente che, in azienda, "zia Mara", seduta anche quest'anno accanto all'Ad, conta ben più del buon Matano e di molti altri.
Da notare poi che, ad applaudire Chiara Ferragni, co-conduttrice della serata, non c'erano solo il marito e la madre dell'influencer, ovvero Marina Di Guardo seduta in prima fila accanto al genero, ma anche la sorella Valentina Ferragni che, inquadrata varie volte, oscurava – seduta alle sue spalle – perfino la dilagante Andrea Delogu, lanciatissima prezzemolina con il dono dell'ubiquità addirittura insignita di un'onorificenza dal Quirinale. Questo solo per sottolineare il potere dei Ferragnez e del loro indotto familiare.
Quanto ad altre indiscrezioni dall'Ariston, la penetrazione omosessuale mimata da Fedez e Rosa Chemical, e poi il loro bacio gay sul palco – "con tanto di lingua", come hanno sottolineato in molti – pare aver turbato non poco il direttore Coletta che, al primo spazio pubblicitario, è uscito dal teatro, telefono all'orecchio ed espressione tirata, stretto nei fili di una fitta conversazione con un misterioso interlocutore.
Intanto, il 73° Festival di Sanremo si è concluso e dovremo aspettare fino a febbraio dell'anno prossimo per vedere chi sarà seduto in prima fila all'Ariston nella serata finale. Ci saranno ancora Carlo Fuortes (che finora resiste valorosamente al fuoco concentrico), Marinella Soldi e Francesca Bria, dato che il loro mandato scade naturalmente per tutti e tre nel giugno 2024? Ci sarà ancora Mara Venier? E Stefano Coletta? Ma soprattutto ci saranno ancora i sempre più dilaganti "Ferragnez" con il loro sempre più nutrito codazzo? Nei prossimi giorni, viste le incarognite polemiche di queste ore con tanto di richiesta insistita di dimissioni dei vertici Rai per il "caso Fedez", potremmo già avere una risposta a questa domanda.
Marco Zonetti per Dagospia il 13 febbraio 2023.
1) Anche questo Sanremo se lo semo levato dalle…, come direbbe il filosofo, ovvero l'avvocato Giovanni Covelli-Riccardo Garrone di Vacanze di Natale. Ma riguardando i punti salienti della finale di sabato scorso, alla luce delle polemiche che stanno investendo la Rai dopo il bacio di Rosa Chemical a Fedez reo di aver anche stracciato la foto del viceministro FdI Bignami in divisa da SS, scopriamo ogni volta nuove interessanti presenze.
Seduta in prima fila tra la "gente che conta", abbiamo già indicato la solitamente defilatissima consigliera di amministrazione Rai Francesca Bria, in quota Pd, al cui sostegno in CdA l'attuale governance della tv pubblica resta aggrappata come all'ultimo treno per fuggire da una città in fiamme. Solo il suo voto, infatti, nell'ultima seduta del consiglio, ha permesso all'Ad Carlo Fuortes di restare al proprio posto. E ora che il Centrodestra vuole la testa del vertice Rai l'appoggio di Bria è quanto mai cruciale per garantire la sopravvivenza dell'attuale assetto in azienda.
Ma in prima fila all'Ariston durante la finale, accanto alla consigliera in quota Pd, abbiamo scorto anche un'altra presenza peculiare. Parliamo dell'ancor più defilato consigliere di amministrazione Rai in quota M5s Alessandro Di Majo. Così discreto da non avere neanche un profilo social, se non un poco utilizzato account Twitter.
E così anche Di Majo, che nell'ultimo Cda ha invece votato contro Fuortes, era insolitamente visibile nelle poltronissime durante la finale di sabato scorso. E la sua presenza accanto a Bria sembra avere un significato politico, a parte il desiderio di assistere alla kermesse da una postazione privilegiata. Ovvero un atto di sostegno pubblico a Fuortes in una giornata difficilissima come quella di sabato scorso, sostegno che potrebbe tradursi in un prossimo voto a suo favore in CdA, garantendogli così la sopravvivenza e sconfiggendo l'offensiva delle Destre contro l'Ad.
Di Majo, del resto, non sembrava affatto turbato dalle "intemperanze" di Fedez e Rosa Chemical, anzi ne appariva divertito, ed è difficile pensare che il consigliere in quota M5s, paladino come il Pd delle rivendicazioni LGBTQI+, possa partecipare alla detronizzazione di Fuortes sulla base delle richieste "anti-gender" delle Destre scandalizzate.
Speculazioni a parte, nella serata dello "scandalo gay" non erano soltanto presenti all'Ariston esponenti del M5s e del Pd, ma anche di Fratelli d'Italia e Lega. Il direttore di RaiNews Paolo Petrecca in quota Giorgia Meloni campeggiava infatti in seconda fila, accanto nientemeno che alla direttrice del Day Time Rai in quota M5s Simona Sala.
Mentre in quarta fila, dietro a Serena Bortone fatta arretrare in terza come Alberto Matano per lasciare posto in prima alla regina della Rai Mara Venier seduta accanto a Fuortes, ecco comparire il senatore leghista Giorgio Bergesio, già membro della Vigilanza Rai nella scorsa legislatura. Carica che sarà rinnovata, dicono, non appena ricostituiranno la commissione.
Nella serata finale, per il Centrodestra, mancava all'appello Forza Italia. Ma dobbiamo ricordare che Simona Agnes, consigliera di amministrazione Rai in quota Fi, aveva già presenziato in prima fila all'Ariston nelle prime serate del Festival di quest'anno, finanche cantando e agitando le mani a tempo di musica.
Questo andirivieni di consiglieri Rai a Sanremo, questo "balletto" di esponenti politici all'Ariston, con Fuortes in bilico dal punto di vista politico ma alquanto rafforzato in seno all'azienda dagli ottimi ascolti del Festival di Sanremo, com'è da interpretarsi per avere un vaticinio sul futuro della governance della tv pubblica? Attendiamo con trepidazione il CdA Rai previsto per dopodomani, 15 febbraio.
2) Divertente osservare come i "giornaloni" (per dirla con Marco Travaglio), certe autorevoli firme della stampa e dei notiziari televisivi, in primis Alessandra Sardoni del TgLa7, ma anche molti esponenti politici si cimentino a parlare di Rai definendo Stefano Coletta "il direttore di Rai1" dimostrando di non essere molto informati sull'argomento.
Coletta infatti non è più il direttore dei Rai1 fin dall'estate 2022, poiché le "direzioni di rete" sono state eliminate e sostituite dalle "direzioni di genere". Coletta è invece attualmente l'assai più potente direttore dell'Intrattenimento Prima Serata Rai. Ciò significa che egli è responsabile dei programmi in onda su Rai1, ma anche su Rai2 e Rai3, nella fascia di maggior ascolto.
Basti pensare all'Almanacco del giorno dopo condotto da Drusilla Foer, a Una scatola al giorno con Paolo Conticini, stimatissimo da Coletta, al controverso Muschio Selvaggio di Fedez, a Mi casa es tu casa di Cristiano Malgioglio tutti in onda su Rai2. O a Sex, programma di educazione sessuale presentato da Angela Rafanelli (e passato praticamente inosservato) su Rai3. Ma anche a Non sono una signora, trasmissione condotta da Alba Parietti e dedicata alle drag queen, in onda prossimamente sulla Seconda Rete, che si annuncia assai più "scandalosa" del bacio gay all'Ariston.
I giornali di Destra e gli esponenti della maggioranza di Governo scatenati contro "l'indottrinamento LGBTQI+ del direttore di Rai1" lo sanno che il "colettismo" dilaga non solo sulla rete Ammiraglia ma anche su tutte le reti Rai nella fascia di maggior ascolto? E che, a parte The Voice Senior e il Festival di Sanremo (il cui conduttore Amadeus non è stato scelto da Coletta bensì da Teresa De Santis), i suoi programmi hanno avuto perlopiù ascolti non esaltanti per non dire flop?
3) Fabio Fazio sembra averci preso gusto. In ogni puntata di Che tempo che fa ospita infatti sempre vari colleghi dell'agenzia che lo rappresenta, la Itc 2000 di Beppe Caschetto, e fa promozione ad almeno una serie della concorrenza. Anche ieri sera la "quota Caschetto" era in gran spolvero con Fazio, Luciana Littizzetto, Stefano De Martino e Geppi Cucciari, tutti seguiti dalla Itc 2000.
In studio inoltre sono intervenute Marisa Laurito, Mara Maionchi e Sandra Milo per presentare la nuova stagione di Quelle brave ragazze, serie targata Sky e prodotta dalla Blu Yazmine di Ilaria Dallatana, ex direttrice di Rai2. Ricordiamo che la Blu Yazmine era finita anni fa nel mirino della commissione di Vigilanza Rai, del consigliere di amministrazione in quota dipendenti Riccardo Laganà, nonché di Striscia la Notizia, per i tanti appalti ottenuti nella Tv pubblica in brevissimo tempo, malgrado la società fosse nata solo nel giugno 2020.
4) Giorgia Cardinaletti, mezzobusto del Tg1 promossa al timone dell'edizione più prestigiosa delle 20.00, non è stata reclutata per co-condurre il Festival di quest'anno, a vantaggio di Francesca Fagnani. Ma è stata ricompensata conducendo il Tg1 serale per tutta la settimana sanremese, con collegamenti con l'Ariston, interviste a cantanti, conduttori, ospiti e così via, nel periodo di ascolto più elevato del notiziario.
Cardinaletti sostituì anche i colleghi Anzaldo e Zucchini nella puntata in cui Maneskin e Amadeus furono intervistati nello studio del Tg1. Una sostituzione dal peculiare tempismo poiché, quella settimana, la conduzione non sarebbe dovuta toccare a lei.
Ma la valente Giorgia gode del resto della stima della direttrice del Tg1 Monica Maggioni, che l'ha promossa all'edizione delle 20.00 – al posto di Emma D'Aquino – e che l'ha voluta in seconda serata su Rai1 nel programma sostituto di Sette Storie. E Cardinaletti è anche molto stimata professionalmente dall'ex Dg Rai e attuale direttore del Tg3 Mario Orfeo.
La mezzobusto del Tg1 è poi l’ex compagna di Francesco Caldarola, storico capo autore di Agorà attualmente condotto da Monica Giandotti, moglie di Stefano Cappellini caporedattore di Repubblica, il cui testimone di nozze è lo stesso Orfeo. E Giorgia è anche officiante di nozze del collega Senio Bonini, conduttore di Agorà Extra l'anno scorso e ora al timone di Tg1 Mattina sempre diretto da Monica Maggioni. Ah, che grande famiglia l'informazione Rai!
Un programma settimanale recluta da anni giovani e giovanissimi collaboratori gay, tutti fisicamente affini e genere "orsetto", ai quali viene offerta enorme visibilità nonché un trampolino di lancio per future carriere televisive. Il fatto che il non più giovane conduttore della trasmissione sia ammogliato e con figli desta qualche perplessità. Di chi parliamo?
La scomparsa improvvisa di un dirigente ha gettato nel panico le tante persone, uomini e donne, che si erano avvantaggiate professionalmente della sua amicizia. "E mo' che facciamo?" ripetevano all'Ariston in questi giorni i vari beneficiati in trasferta sanremese, non esattamente eredi di Enzo Biagi o di Raffaella Carrà. A chi alludiamo?
Sanremo: gli ospiti internazionali che hanno fatto la storia del Festival. Mariella Baroli su Panorama l’08 Febbraio 2023
A poche ore dall’inizio della 73esima edizione di Sanremo, ripercorriamo alcuni dei momenti più indimenticabili del Festival, quando i protagonisti sul palco dell’Ariston erano star internazionali del calibro di Freddy Mercury, David Bowie e Madonna.
Era il 1984, i Queen si esibivano sul palco dell’Ariston con Radio Ga Ga. In quell'occasione, la Rai costrinse un furioso Freddie Mercury a cantare in playback.
Estratto dell’articolo di R. Fra. per il “Corriere della Sera” l’11 Febbraio 2023.
«Non faccio il Festival con la politica, il Festival non è di destra, di sinistra, di centro: Sanremo è patrimonio di tutti. Tutti devono godere di questo spettacolo».
Amadeus si sfila dalla bagarre politica e difendendo il suo Sanremo difende anche se stesso. […] Amedeo Sebastiani ha imparato a scivolare sull’acqua. […] «Non ho mai avvertito pressioni dalla politica, in nessuno dei miei quattro Sanremo», spiega il conduttore. I risultati poi sono uno scudo per difendersi da qualunque attacco.
«Lo stress fa parte del Festival e viene superato innanzitutto con il gradimento del pubblico perché è normale che gli ascolti abbiano lo loro importanza […] Quando ottieni dei numeri clamorosi lo stress lo avverti meno […] I risultati aggiungono sicurezza e adrenalina. La politica? Non ho mai detto per chi voto e mai lo farò».
[…] La presidente Meloni dice che avrebbe preferito vedere Zelensky in carne e ossa a Sanremo: «La vicenda è chiara a tutti. Avete visto Vespa con la sua intervista al presidente: io ho preso atto del suo desiderio di essere al Festival. Inizialmente l’idea era di mandare un videomessaggio. Poi lo stesso Zelensky, con il quale siamo in contatto tramite l’ambasciata, ci ha fatto sapere di voler intervenire con una lettera. Abbiamo lasciato totale libertà di scegliere la modalità dell’intervento». […] «Non mi piace attaccare o accusare, ma se mi attaccano so come difendermi». […] «Ho fatto judo, un’arte marziale di difesa […] mai di attacco». […]
Estratto dell'articolo di Maurizio Caverzan per la Verità il 14 gennaio 2023.
In realtà, i finti buoni sono tremendi. Furbetti, maliziosi, determinatissimi. Per un punto di share metterebbero il proprio figlio adolescente in prima fila all’Ariston a godersi la pomiciata tra un rapper che viene dai centri sociali e gira in Lamborghini e un ex graffitaro e modello di Gucci che canta vestito da donna.
E se al ragazzo cresce la disforia di genere, pazienza. Quello che conta è il risultato. Bisogna sempre migliorare. Superarsi. Ama(poco)deus ex-machina lo sa bene. Un Festival dopo l’altro. Il terzo più del secondo e il quarto più del terzo. Purtroppo arriverà anche il quinto. E poi chissà.
«Nella vita, al di là dei festival, dipende tutto dal risultato», ha teorizzato nella conferenza stampa di chiusura. «Se si ottengono questi risultati hai una forza. Se avessi fatto il 15-20% in meno sarei un allenatore esonerabile. Qualsiasi allenatore è forte finché la squadra vince, se la squadra perde anche i più grandi sono a rischio esonero. Ecco perché devo portare quello che sento, bisogna sbagliare con le proprie idee».
Il pluridirettore artistico di Sanremo, con moglie perennemente al seguito, non si pone limiti. Colpa anche dei vertici Rai. Se dai troppo potere a un solo artista facile che si pensi un supereroe. Sembra preistoria la perculata di Checco Zalone: «Grazie a nome di tutti gli italiani, tu Amadeus ci fai sentire dei geni».
Dopo che nel terzo è riuscito a emanciparsi da Fiorello, il quarto Festival di fila ha completato la metamorfosi. Da conduttore a condottiero. Quest’anno Amedeo Umberto Rita Sebastiani da Ravenna, gavetta nelle radio locali e a DeeJay prima di sfiancarsi nella spola Mediaset-Rai, ha replicato senza giri di parole al vicepremier Matteo Salvini, al ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, ai politici di Fratelli d’Italia, autoinvestendosi di un compito che sarebbe toccato a qualche dirigente. Un cambio di ruolo. Un’autopromozione.
Sul palco, invece, nello spasmodico inseguimento dello share, ha confezionato un Sanremo grondante politica. Infarcito di messaggi obliqui. Come quello ordito la prima sera da Roberto Benigni alla presenza di Sergio Mattarella e indirizzato alla premier: cara Giorgia Meloni, se vuoi fare il presidenzialismo devi passare sul nostro corpo. E di altri più espliciti.
Come quello che si è inverato nella soave slinguazzata di cui sopra. «Ai bambini va spiegato che esiste una persona diversa da un’altra, un uomo che ama un uomo, una donna che ama una donna: è normale, l’amore non ha etichette. E questo va portato ovunque, anche nello spettacolo», aveva argomentato nei panni di guru del Festival di Zan Remo.
C’è la fascia protetta per proteggere i minori? Quella vale per impedire ai bambini dell’innocente coro di Mr. Rain di esibirsi dopo la mezzanotte. Non al pubblico infantile di assistere alla twerkata del rapper in abiti femminili sul pacco del marito di Chiara Ferragni.
In realtà, i finti buoni sanno andare al sodo. Le regole sono fatte per essere piegate a proprio piacimento. Se c’è da invitare il capo dello Stato all’Ariston la trattativa la conducono il pluridirettore artistico e il suo agente Lucio Presta (lo è anche di Benigni e Morandi, il prossimo è Mattarella?), scavalcando l’amministratore delegato Carlo Fuortes, la presidente Marinella Soldi, il direttore dell’Intrattenimento prime time Stefano Coletta e il cda al completo.
Se c’è da lasciare Fedez prendere a pesci in faccia mezzo governo ci si trincera dietro il rispetto della libertà artistica. Infine, a forza di mitragliare Festival, Ama(poco)deus ex-machina ha disimparato anche a fare la scaletta, confinando dopo l’una di notte il monologo di Chiara Francini, il migliore e il più originale tra tutti quelli che, invece, hanno incantato il demi-monde di riferimento.
(...)
In realtà, i buonisti sono spietati. Con gli altri, s’intende. Quelli che non li elogiano, non li lisciano. Avete presente Fabio Fazio? Più che Baudo, è lui il suo modello. Dietro la patina un po’ untuosa da bravi ragazzi, c’è gelido zinco. Intoccabili.
Se si dissente, cliccano sulla consolle e parte la recita da martire. «Se mi mandano via me ne vado», ha detto sperando nella sollevazione popolare. Se se ne va, magari l’opposizione trova un leader, i telespettatori ridono, la moglie sempre al seguito piange e in Rai si devono mettere a lavorare. Perché in questi anni gli hanno appaltato mezzo palinsesto.
Le sei anime di Sanremo, dal bianco e nero al miracolo Amadeus. Amadeus un tempo voleva compiacere tutti, oggi bacchetta Salvini: la metamorfosi da democristiano a condottiero. Renato Franco su Il Corriere della Sera il 9 febbraio 2023.
Il cambio di passo del presentatore, giunto alla sua quarta edizione del Festival, si vede dalle interviste, dalla sicurezza delle risposte, dalla capacità di placare le polemiche
Difficile cogliere l’esatto momento in cui Amadeus si è trasformato da conduttore in condottiero. Per tanti la battuta di Checco Zalone («Grazie a nome di tutti gli italiani, tu Amadeus ci fai sentire dei geni») nascondeva un pizzico di verità, nel senso che la supponenza di molti vedeva in lui un miracolato, un normal one di successo, un metro di paragone del proprio fallimento («Se ce l’ha fatta lui, posso farcela anche io»). A completare il pregiudizio si aggiungeva una narrazione di comodo: se i Festival di Amadeus sono dei bestseller televisivi è perché al suo fianco ha Fiorello, il vero fuoriclasse della coppia. Anche qui una valutazione affrettata, perché se è vero che Fiorello è un numero 1, guardando però solo la luce emanata dallo showman ci siamo persi che di fianco a lui anche Amadeus si stava accendendo di luce propria.
Le nostre pagelle della seconda serata di Sanremo
Il vero cambio di passo probabilmente risale all’anno scorso. Perché se nei Festival 2020 e 2021 Fiorello si era speso per tutte le 10 serate, nel 2022 aveva salutato l’amico dopo la prima. Così tutto era rimasto in mano ad Amadeus, conduttore di un’edizione in cui aveva dimostrato di saper camminare (anzi correre) da solo, in cui aveva fatto vedere di poter reggere sulle sue sole spalle tutto il peso della più importante manifestazione televisiva italiana. L’autostima di tre Festival di successo ha aiutato la sua consapevolezza e la sua sicurezza, ma non ne ha alimentato (eccessivamente) l’ego. E la presenza di Mattarella nella sera di debutto del suo quarto Festival ha certificato che la sua metamorfosi è probabilmente compiuta. Più che sul palco (che è la sua comfort zone), il cambio di atteggiamento si vede nelle interviste, nelle risposte pronte, nella capacità di smorzare una polemica o di affrontarla senza alimentarla.
L’ultima risposta affilata Amadeus l’ha rifilata a Salvini («Sono quattro anni che attacca il Festival, se non gli piace basta che non lo guardi»), ma era stato efficace anche nello spegnere la preoccupazione della deputata di Fratelli d’Italia Maddalena Morgante che si era detta sconcertata per la piega, a suo dire, «gender fluid» che ha preso Sanremo: «Non sono d’accordo, ma magari il pezzo di Rosa Chemical diventerà il brano preferito dei suoi figli e forse lo ballerà anche lei». Amadeus paladino dei diritti; se non alfiere del cambiamento, comunque partecipe della trasformazione in atto nella nostra società. «Ho sempre un po’ paura del moralismo. Ai bambini va spiegato che esiste una persona diversa da un’altra, un uomo che ama un uomo, una donna che ama una donna: a mio avviso è normale, non ci sono etichette. E questo va portato ovunque, anche nello spettacolo, con il massimo rispetto per tutti. Io educo i miei figli così e non li ho visti mai sconvolti. L’importante è che non si sconvolgano i genitori».
L’evoluzione da conduttore democristiano (un paradigma per sopravvivere in Rai, mai scontentare nessuno) a leader carismatico sta qui, nel non aver paura ad affrontare anche la politica ogni volta che cerca di azzannare il Festival per il ritorno di visibilità che offre. Amadeus ha percorso il suo ultimo gradino forte di numeri che rendono inattaccabile il suo lavoro. Ma forte anche di una certa filosofia zen che sembra essere il suo orizzonte emotivo: «Fiorello dice che sono lo swiffer delle polemiche, ma io non penso a come creare una discussione, non mi interessa, semplicemente accade. Quando succede, le polemiche si affrontano con onestà, con sincerità. Poi che accada sempre con Sanremo è normale: la polemica va dove c’è visibilità, non dove bisogna sgomitare per farsi notare». Apprende svelto: «Io do molta importanza alla libertà di pensiero, l’articolo 21 della Costituzione prevale su tutto». Quindi meglio non sottovalutarlo. Un altro paio di lezioni di Benigni e ce lo ritroviamo statista.
Il Mangiafuoco calabresissimo che fa e disfa i burattini della tv. Luigi Mascheroni il 3 Aprile 2023 su Il Giornale.
È l'agente delle star: Mediaset, Rai e Sanremo sono "cosa sua". Protegge gli amici, la giura ai nemici: critici, ex clienti, giornalisti
Lucio Presta the dark side of the stars, il manager in ombra dei divi più sovraesposti è come un personaggio sorrentiniano della Grande bellezza. «In questo Paese per farsi prendere sul serio bisogna prendersi molto sul serio». E lui si Presta perfettamente alla definizione.
Definizione di Lucio Presta: procuratore, imprenditore, produttore tv. È, o è stato, l'agente, in ordine di cachet, di Benigni, Bonolis, Amadeus, Gianni Morandi, Antonella Clerici (se vuole, mandando tre WhatsApp, può farsi un Sanremo dal vivo in taverna), Venier, Cuccarini, Belén, Teo Mammucari, Ezio Greggio, Michele Santoro, Simona Ventura, Federica Panicucci, Rita Dalla Chiesa, Stefano De Martino, la Palombelli (!), la moglie Paola Perego Ma Lucio Presta definizione per definizione - è anche un Pippo Baudo all'ennesima Cosenza calabresissimo, 63 anni, anelli, riccioli e turdilli - perché come Baudo - così dice - li ha fatti e li ha distrutti tutti lui. «Questo l'ho inventato io!». Da meridionale con complesso di inferiorità e provinciale non risolto, pur assurto alla gloria professionale, Lucio Presta non riesce a godersi fino in fondo il trionfo come un Fiorello qualunque lui sì da Catania all'Olimpo sempre con la soddisfazione sotto i baffi e se ne sta lì, appollaiato sul suo deposito di dobloni, come se fosse un precario del successo con l'ossessione di essere il demiurgo della tivù italiana. Eppure come agente, alla destra di Beppe Caschetto, col quale spartisce la torta degli ascolti e la crème dei teledivi, è bravissimo. Il suo talento è saper riconoscere quello degli altri. Cinico, spiccio, schivo (ma malato di Twitter), vendicativo («Se uno vuole fare a pezzi un mio artista deve pensarci bene perché se lui oggi fa male a me, io domani posso fare male a lui. Voglio che rifletta»), facilmente irritabile (da cui il soprannome «Brucio Presta»), pragmatico da cui la legge economica che regola la sua idea di televisione «Prima di passare alla gloria meglio passare alla cassa» Presta è altrettanto bravissimo a insinuare il sospetto che se in Rai cambia l'Ad, è perché dietro c'è la sua zampa; se uno viene nominato Ceo delle Olimpiadi Milano-Cortina si intesta l'incarico, e se poi la stessa persona viene giubilata ti fa intendere che è stato lui a cambiare le carte; e se adesso il marito della Meloni fa un talk show su Rete 4 qualcuno dice che Presta ha già provato ad attribuirsi il merito
Eccellente uomo di relazioni la moglie lo chiama «Wolf», perché tutti si rivolgono a lui per risolvere i problemi è però negato per la politica. Anni fa a Cosenza si candidò a sindaco, appoggiato dai renziani, ma poi capì che non era aria, e lasciò perdere.
Vincente, consigliere, spin doctor. Lucio Presta è un po' il Richelieu di Matteo Renzi (però il terribile documentario «Firenze secondo me» non è andato molto bene, e neanche secondo i vertici del canale Nove), e un po' Mangiafuoco dei burattini dello star system: crea miti, organizza vite e carriere (pacchetto completo), architetta palinsesti, fa e disfa gli artisti, i programmi, le fasce orarie, determina soprattutto lo share. Se non fosse per lui da Bonolis alla Clerici, da Morandi a Amadues quater, quinquies, sexies - Sanremo sarebbe solo una ridente cittadina della riviera ligure.
Uomo del Sud che ha trovato il suo nord seguendo il movimento delle stelle televisive, una vita da pendolare fra LucioRai e MediaPrest, da Viale Mazzini a Cologno Monzese con un formidabile equilibrismo e un'innegabile abilità nell'antica arte del baratto Io ti do Roberto, tu mi dai il prime time, io ti presto Paolo e tu ti tieni anche Paola Lucius Augustus Presta, Imperatore di Tivulandia, si accontenta di un 12-15 per cento.
Il restante 85-88 per cento è fatto di un'infanzia cosentina fino alle elementari, poi collegio cattolico a mille chilometri da casa per punizione, a La Spezia; una discesa giovanile sulla fascia da mezzala, quando era magrissimo, 64 chili per 1,84, e lo chiamavano «Fogliolina», e oggi è sui cento ed è lo «Squalo» balena; a 14 anni cameriere, da Praia a Mare al demi-monde, cosa che gli insegna come si accontenta sempre il cliente; quindi ballerino, dieci anni di carriera e cinque edizioni di Fantastico e qui Lucio è l'eccezione in assoluto: maschio e non checca e poi la svolta: manager degli artisti tv. Primo cliente una nèmesi, retrospettivamente - Heather Parisi. «Ti pignoro!».
Pignolo, tre ore di sonno a notte, collezionista di orologi senza mai indossarne uno che è un po' come essere l'agente di Benigni senza sentire il bisogno di leggere la Comedìa tre matrimoni, quattro figli in tutto, un culto per la famigghia, «E adesso mi faccio la barca!», un'auto-agiografia (titolo: Nato con la camicia, Mondadori, anche se con il Cav non si sono mai presi), un guardaroba abbastanza basic (Adidas e giubbotto di renna), un debole per il dialetto romagnolo, chissà perché; scaramantico (odia il colore verde, tranne quello dei soldi), ricco sfondato, lui è quello che guida il Porsche portandosi nel bagagliaio un capretto per farlo allo spiedo, devoto di don Bosco, gira col porto d'armi (dice di essere stato aggredito due volte sotto casa quando abitava al Nuovo Salario, ora però non ce n'è più bisogno: vive al Fleming), impone cachet stellari - e la minchia di Ode alla Costituzione di Benigni a Sanremo, con tanto di Mattarella al seguito e caso diplomatico, fu salata assai Lucio Presta crede in due cose. Le querele, che adora. E l'amicizia: da calabro, per gli amici è pronto a tutto. In particolare a giurartela.
Amici (ex amici) con i quali Lucio Presta, uomo di percentuali e contratti, ha conti in sospeso.
Massimo Giletti: parlò male del reality La talpa, condotto da sua moglie, Paola Perego (finì a sputi e denunce). Aldo Grasso: scrisse che Presta imponeva velati ricatti alla Rai, tipo «Vi porto un fuoriclasse ma fai lavorare mia moglie Paola Perego» (controreplica via Twitter di Presta: «Grasso, sei un coglione»). Giancarlo Magalli: parlò pubblicamente della «clausola Perego», cioè «Se vuoi Bonolis prendi anche mia moglie, Paola Perego» (risposta di Presta via intervista: «Magalli è un delinquente»). Barbara d'Urso: lui la chiamò «Suora laica in paillettes che produce orrore in tv», ma adesso hanno fatto pace con photo opportunity su Twitter. E Antonio Ricci: non si sa cosa sia successo ma una volta Lucio Presta ha detto: «Ricci crede di essere il dottore della televisione. Invece è la malattia».
Frase-tormentone di Lucio Presta su Twitter: «Buongiorno a tutti, meno uno».
Frasi che piacciono molto a Lucio Presta. «Io so che gli uomini le cose se le risolvono tra loro, i quaqquaraquà se le risolvono in altra maniera». «Io non attacco mai. Proteggo i miei artisti». «Il mercato è mercato». E comunque sono sempre «Cifre fuori dalla realtà». Ma soprattutto: «Sono salesiano. Prima mi vendico, poi perdono». Del resto, è noto, sono soltanto tre le cose che Dio non conosce. Quanti ordini di suore ci sono. Cosa pensano davvero i gesuiti. E quanto sono ricchi i salesiani.
E per il resto, come dice il proverbio, «Andare a letto presto e alzarsi Presta, fanno l'uomo sano, ricco e potente».
Av salut burdel!
Il gip del Tribunale di Roma archivia l’indagine su Matteo Renzi e Lucio Presta, per finanziamento illecito. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 20 Marzo 2023.
La vicenda era legata ai bonifici fatti dal manager tv per il documentario 'Firenze secondo me', dove il leader di Italia Viva guidava gli spettatori alla scoperta della città
Archiviazione per Matteo Renzi e Lucio Presta. Il gip di Roma ha archiviato l’inchiesta che vedeva indagati l’ex premier e oggi leader di Italia Viva Matteo Renzi, il noto manager televisivo Lucio Presta e suo figlio Niccolò Presta. L’accusa nei confronti dei tre era quella di “finanziamento illecito“. A chiedere l’archiviazione i procuratori aggiunti Paolo Ielo e Stefano Pesci della procura di Roma.
Il procedimento verteva sui rapporti economici tra Renzi e l’agente televisivo e, in particolare, i bonifici del documentario “Firenze secondo me”, che nel 2019 finirono in una relazione dell’antiriciclaggio della UIF, l ‘ Unità investigativa finanziaria della Banca d’Italia. Il documentario venne realizzato da Renzi con la casa di produzione Arcobaleno ed è andato in onda su Nove, canale del gruppo Discovery Italia, a cavallo tra il 2018 e il 2019. Un flop, con ascolti al 2%, ma evidentemente Discovery non nutriva grosse aspettative visto che pagò appena 20mila euro. L’ex segretario del Pd ottenne invece un cachet di 454 mila euro.
“Non so in cosa possa sostanziarsi questo avviso di garanzia: tutte le nostre attività solo legali, lecite, legittime” – aveva dichiarato Matteo Renzi due anni fa quando venne alla luce il procedimento penale nei suoi confronti – “Si parla di una mia attività professionale che sarebbe finanziamento illecito alla politica, cosa che non sta né in cielo né in terra. Quando arriveranno gli atti potremo discutere e confrontarci“. aggiungendo in una videodiretta su Facebook, commentando l’indagine che lo coinvolgerebbe. “Io non ho paura, sono andato contro tutti e contro tutto per fare un nuovo governo. Pensate se possono farmi paura con qualche velato avvertimento e con qualche avviso di garanzia comunicato via stampa in un determinato giorno“.
Parte di quel denaro, secondo la ricostruzione fatta dagli investigatori, sarebbe servito a Renzi per ripagare il prestito di 700mila euro che aveva ricevuto dalla signora Anna Picchioni, vedova dell’imprenditore Egiziano Maestrelli, per comprare la villa di Firenze, costata un milione e 350mila euro (per 285 metri quadrati). Renzi affermò che il prestito era stato ripagato con i suoi guadagni ottenuti come conferenziere e, appunto, grazie alla realizzazione del documentario.
Ad annunciare l’archiviazione è lo stesso Lucio Presta su Twitter. “Desidero ringraziare la procura di Roma che ha svolto le indagini che mi vedevano indagato con il senatore Matteo Renzi, conclusesi con l’archiviazione – scrive Presta – Li ringrazio per aver avuto la professionalità e l’equilibrio che hanno garantito di salvaguardare la mia rispettabilità, la mia professionalità, la vita mia e quella di mio figlio Niccolò. Ringrazio i legali (Cersosimo-Lucarelli) per il grande lavoro svolto“. Redazione CdG 1947
Giovanni Tizian e Emiliano Fittipaldi per editorialedomani.it il 22 marzo 2023.
La vena del politico è sfociata – come è noto - in alcuni format tv da lui inventati, pagati cari e amari da Presta ma mai realizzati; e in un mandato di rappresentanza a Presta «per promuovere nel mondo la mia attività professionale esclusivamente nell’ambito dello spettacolo», costati all’agente ben 300mila euro. A cui vanno aggiunti altri 400 mila euro per l’ideazione e la conduzione del documentario “Firenze secondo me”, mossa economicamente disastrosa per la società Arcobaleno Tre controllata da Presta: costata in tutto quasi un milione, l’opera è stata venduta a Discovery Channel per appena mille euro, ad oggi nemmeno incassati.
La procura di Roma ha chiesto l’archiviazione degli indagati perché, pur evidenziando come l’investimento fatto da Presta appare «estraneo» a una logica commerciale sensata, secondo la nuova legge Cartabia per chiedere il rinvio a giudizio degli indagati è necessario che esista una «ragionevole previsione di condanna». Tradotto, senza prove solide che garantiscano una buona probabilità di vittoria il magistrato deve archiviare prima ancora di andare in udienza preliminare.
In questo caso, nonostante Presta abbia finora girato a Renzi 700 mila euro attraverso un’operazione che appare come «un mero costo», secondo i pm e il gip che ha accolto la richiesta di archiviazione non ci sono evidenze schiaccianti contro l’agente e Renzi: il documentario è stato effettivamente girato ed è opera «reale» forse vendibile ai posteri, mentre il contratto di esclusiva potrebbe – non è cosa da escludere a priori – portare futuri guadagni alla Arcobaleno Tre.
Detto questo, le 20 pagine della richiesta di archiviazione descrivono la storia di un’operazione bizzarra tra l’allora segretario del Pd e un potente agente che lavora anche con la tv di Stato, con scritture private abortite, retrodatazioni, curiose trattative con le società del capo di Forza Italia Silvio Berlusconi (Mediaset e la casa editrice Mondadori) in merito all’acquisto dei diritti di “Firenze secondo me”. Con il corollario che alcune giustificazioni di Presta messe a verbale spesso vengono smentite dai fatti e da successive testimonianze di test chiave.
Soprattutto, il dispositivo di archiviazione evidenzia come l’impresa culturale Renzi-Presta sia collegata, temporalmente ed economicamente, all’acquisto di Renzi della casa di Firenze. Come già raccontato da chi scrive sull’Espresso e su Domani, la villa fu infatti acquistata grazie a un prestito (da 700 mila euro) ottenuto dall’anziana madre di alcuni imprenditori toscani amici del senatore, i Maestrelli. Soldi restituiti dal leader del Terzo Polo proprio grazie a parte della provvista ottenuta dall’Arcobaleno Tre, che in tutto ha girato a Renzi esattamente 700mila euro.
Partiamo dall’inizio della vicenda. E dal documentario “Firenze secondo me”. È il 16 giugno 2018, e i coniugi Renzi ottengono da Anna Picchioni (madre dell’imprenditore Riccardo Maestrelli che nel 2015, durante il governo Renzi, era stato nominato nel cda di CpdImmobiliare) il prestito con cui possono comprare la casa dei loro sogni.
Due giorni dopo, il 18 giugno, Renzi si impegna a girare alcune scene dell’opera con specifico riferimento al “Calcio fiorentino”: lo segnala un contratto «non sottoscritto» trovato dagli investigatori della Guardia di Finanza negli uffici dell’Arcobaleno Tre. Passa un mese, e il 27 luglio Renzi apre una partita iva. Gli servirà per firmare il 31 luglio il contratto da conduttore e autore del documentario, per un totale di 400mila euro. Per il film la società di Presta tra troupe e location spenderà altro mezzo milione, con un investimento totale di 920 mila euro.
Se per gli investigatori il politico ottiene di fatto da Presta «700 mila euro e la produzione di un lungometraggio idoneo a promuovere la propria immagine pubblica», la società dell’agente «è apparsa avere riportato un mero costo».
La richiesta di archiviazione evidenzia poi che le prime trattative per piazzare il documentario in tv iniziano a luglio 2018 con Mediaset, dunque solo dopo che Renzi e Presta hanno già preso i primi accordi per girarlo. Nell’interrogatorio ai pm l’agente di Amadeus segnala come avrebbe raggiunto un accordo con gli alti dirigenti del Biscione Alessandro Salem (da lustri braccio destro di Piersilvio Berlusconi), Giorgio Restelli e Massimo Porta.
Un patto da un milione di euro non scritto, ma «suggellato da una stretta di mano», ha detto Presta a verbale. «In seguito» scrivono ancora i pm «per via di una asserita divergenza con Salem che avrebbe voluto trasmettere la produzione in prima serata, mentre Presta insisteva per la seconda, il documentario non sarebbe stato mandato in onda. Sarebbe stato comunque pagato, così come da accordi intervenuti». Presta, in effetti, dichiara di non «avere perso nemmeno un euro dalla produzione di Firenze secondo me».
Se in una mail agli atti del 10 ottobre sembra raccontare che è Presta a lamentarsi con Salem per «il venir meno dell’impegno assunto per l’acquisto del documentario», non è chiaro come mai l’agente litighi con i dirigenti di Berlusconi che volevano dare la massima visibilità all’opera.
La procura di Roma ha poi trovato traccia di un’altra lettera tra Mediaset e Arcobaleno Tre, che fa in effetti riferimento all’acquisto del documentario per soli 300 mila euro, ma che resterà comunque una promessa «non portata a termine». Anche un manager di RTI sentito in procura, Andrea Giudici, ha escluso che Mediaset abbia mai, per quanto a sua conoscenza, «proceduto all’acquisto».
Dunque, Presta non ha incassato un euro da nessun network tv. Da altre aziende dell’universo berlusconiano, invece, qualche denaro è arrivato. L’agente ha detto che l’esclusiva di “Firenze secondo me” «gli avrebbe procurato un contratto con Piemme», editore controllata dalla Mondadori, per pubblicare un libro dal titolo omonimo.
Mentre i magistrati di Piazzale Clodio hanno scoperto che un contratto tra Renzi e Mondadori originato dal documentario esiste davvero. Ma pure che alla fine i 50 mila euro pattuiti sono stati poi riversati su un altro libro di Renzi, “Controcorrente”.
Un saggio su Firenze del politico però potrebbe finalmente uscire nel 2024. La Mondadori ha firmato un contratto con Renzi e Presta, che potrebbe recuperare finalmente qualche spiccio: 16.625 euro è la somma corrisposta sul contratto firmato ad ottobre 2021. Quest’anno, invece, la casa editrice di Berlusconi forse darà alle stampe “Almanacco”, sempre a firma Renzi, volume che dovrebbe richiamare un format televisivo “5 minuti”, già venduto nel 2018 dal politico a Presta. «In forza di tale contratto alla Arcobaleno è stata corrisposta, difformemente da quanto dichiarato da Presta nell’interrogatorio, la somma di 10 mila euro, e non 40 mila».
Torniamo al torrido luglio 2018. Il giorno prima di firmare il contratto per il documentario, Renzi sigla con Presta anche una scrittura privata da 200 mila euro, con cui trasferisce al sodale i diritti di due format tv da lui ideati: il già citato “5 minuti” e “Mr Interviste”, entrambi mai realizzati. Non si sa come mai Presta e Renzi decidano improvvisamente nello stesso giorno di firmare contratti su tanti lavori d’ingegno così diversi che sommati insieme arrivano proprio ai 700 mila euro del prestito ottenuto dall’allora segretario del Pd.
Ma durante le perquisizioni gli investigatori trovano «un contratto avente pari data, medesimo oggetto, ma diverso importo di euro 500mila». Si tratta di una scrittura privata che secondo la commercialista di Presta sentita in procura sarà «poi superata», e tagliato ai 200mila euro suddetti.
La circostanza ha fatto ipotizzare a Piazzale Clodio che il compenso che Presta voleva investire su Renzi non fosse «parametrato al valore della prestazione artistica, bensì a un risultato economico complessivo che si voleva raggiungere; ottenuto il quale (attraverso altri contratti, ndr) si è optato per un compenso inferiore a quello preventivato».
Anche il contratto da 100 mila euro con cui l’ex premier cede a Presta «i diritti di sfruttamento economico di eventuali opere future d’ingegno del senatore» è del 30 luglio 2018. Come gli altri, presenta peculiarità non banali: se «per prassi» è l’artista che paga il suo agente, «nel contratto stipulato da Renzi con l’Arcobaleno Tre invece è quest’ultima che retribuisce il rappresentato».
Alla fine della fiera, i pm dicono che «dubbi» possono essere sollevati, che alcune affermazioni di Presta (come quelle sui soldi avuti da Mediaset) non sono state «confermate dalle indagini a riscontro», e che non si può dire con certezza se i progetti editoriali con Mondadori «siano o meno fumo negli occhi». Il «mero sospetto» è però irrilevante: piaccia o non piaccia, non essendoci prove decisive per sostenere a processo bisogna archiviare. Cartabia docet, e Renzi e Presta possono festeggiare.
Libri, doc e i misteri Mediaset. Tutti gli affari di Renzi e Presta. GIOVANNI TIZIAN ED EMILIANO FITTIPALDI su Il Domani il 22 marzo 2023
Il senatore e il suo agente sono stati archiviati dalla procura di Roma per il reato di finanziamento illecito. Ma per i pm Presta di fatto ha perso (ad ora) 700mila euro. Usati da Renzi per restituire il prestito per la casa
Matteo Renzi e Lucio Presta sono stati archiviati dalle accuse di finanziamento illecito e sovrafatturazione, in merito ai denari (in tutto 700mila euro) che l’agente delle star ha girato cinque anni fa all’ex premier come compenso per «l’attività artistica del senatore».
La vena del politico è sfociata – come è noto - in alcuni format tv da lui inventati, pagati cari e amari da Presta ma mai realizzati; e in un mandato di rappresentanza a Presta «per promuovere nel mondo la mia attività professionale esclusivamente nell’ambito dello spettacolo», costati all’agente ben 300mila euro. A cui vanno aggiunti altri 400 mila euro per l’ideazione e la conduzione del documentario “Firenze secondo me”, mossa economicamente disastrosa per la società Arcobaleno Tre controllata da Presta: costata in tutto quasi un milione, l’opera è stata venduta a Discovery Channel per appena mille euro, ad oggi nemmeno incassati.
EFFETTO CARTABIA
La procura di Roma ha chiesto l’archiviazione degli indagati perché, pur evidenziando come l’investimento fatto da Presta appare «estraneo» a una logica commerciale sensata, secondo la nuova legge Cartabia per chiedere il rinvio a giudizio degli indagati è necessario che esista una «ragionevole previsione di condanna». Tradotto, senza prove solide che garantiscano una buona probabilità di vittoria il magistrato deve archiviare prima ancora di andare in udienza preliminare.
In questo caso, nonostante Presta abbia finora girato a Renzi 700 mila euro attraverso un’operazione che appare come «un mero costo», secondo i pm e il gip che ha accolto la richiesta di archiviazione non ci sono evidenze schiaccianti contro l’agente e Renzi: il documentario è stato effettivamente girato ed è opera «reale» forse vendibile ai posteri, mentre il contratto di esclusiva potrebbe – non è cosa da escludere a priori – portare futuri guadagni alla Arcobaleno Tre.
Detto questo, le 20 pagine della richiesta di archiviazione descrivono la storia di un’operazione bizzarra tra l’allora segretario del Pd e un potente agente che lavora anche con la tv di Stato, con scritture private abortite, retrodatazioni, curiose trattative con le società del capo di Forza Italia Silvio Berlusconi (Mediaset e la casa editrice Mondadori) in merito all’acquisto dei diritti di “Firenze secondo me”. Con il corollario che alcune giustificazioni di Presta messe a verbale spesso vengono smentite dai fatti e da successive testimonianze di test chiave.
Soprattutto, il dispositivo di archiviazione evidenzia come l’impresa culturale Renzi-Presta sia collegata, temporalmente ed economicamente, all’acquisto di Renzi della casa di Firenze. Come già raccontato da chi scrive sull’Espresso e su Domani, la villa fu infatti acquistata grazie a un prestito (da 700 mila euro) ottenuto dall’anziana madre di alcuni imprenditori toscani amici del senatore, i Maestrelli. Soldi restituiti dal leader del Terzo Polo proprio grazie a parte della provvista ottenuta dall’Arcobaleno Tre, che in tutto ha girato a Renzi esattamente 700mila euro.
LA TRATTATIVA CON MEDIASET
Partiamo dall’inizio della vicenda. E dal documentario “Firenze secondo me”. È il 16 giugno 2018, e i coniugi Renzi ottengono da Anna Picchioni (madre dell’imprenditore Riccardo Maestrelli che nel 2015, durante il governo Renzi, era stato nominato nel cda di CpdImmobiliare) il prestito con cui possono comprare la casa dei loro sogni.
Due giorni dopo, il 18 giugno, Renzi si impegna a girare alcune scene dell’opera con specifico riferimento al “Calcio fiorentino”: lo segnala un contratto «non sottoscritto» trovato dagli investigatori della Guardia di Finanza negli uffici dell’Arcobaleno Tre. Passa un mese, e il 27 luglio Renzi apre una partita iva. Gli servirà per firmare il 31 luglio il contratto da conduttore e autore del documentario, per un totale di 400mila euro. Per il film la società di Presta tra troupe e location spenderà altro mezzo milione, con un investimento totale di 920 mila euro.
Se per gli investigatori il politico ottiene di fatto da Presta «700 mila euro e la produzione di un lungometraggio idoneo a promuovere la propria immagine pubblica», la società dell’agente «è apparsa avere riportato un mero costo».
La richiesta di archiviazione evidenzia poi che le prime trattative per piazzare il documentario in tv iniziano a luglio 2018 con Mediaset, dunque solo dopo che Renzi e Presta hanno già preso i primi accordi per girarlo. Nell’interrogatorio ai pm l’agente di Amadeus segnala come avrebbe raggiunto un accordo con gli alti dirigenti del Biscione Alessandro Salem (da lustri braccio destro di Piersilvio Berlusconi), Giorgio Restelli e Massimo Porta.
Un patto da un milione di euro non scritto, ma «suggellato da una stretta di mano», ha detto Presta a verbale. «In seguito» scrivono ancora i pm «per via di una asserita divergenza con Salem che avrebbe voluto trasmettere la produzione in prima serata, mentre Presta insisteva per la seconda, il documentario non sarebbe stato mandato in onda. Sarebbe stato comunque pagato, così come da accordi intervenuti». Presta, in effetti, dichiara di non «avere perso nemmeno un euro dalla produzione di Firenze secondo me».
Se in una mail agli atti del 10 ottobre sembra raccontare che è Presta a lamentarsi con Salem per «il venir meno dell’impegno assunto per l’acquisto del documentario», non è chiaro come mai l’agente litighi con i dirigenti di Berlusconi che volevano dare la massima visibilità all’opera.
La procura di Roma ha poi trovato traccia di un’altra lettera tra Mediaset e Arcobaleno Tre, che fa in effetti riferimento all’acquisto del documentario per soli 300 mila euro, ma che resterà comunque una promessa «non portata a termine». Anche un manager di RTI sentito in procura, Andrea Giudici, ha escluso che Mediaset abbia mai, per quanto a sua conoscenza, «proceduto all’acquisto».
Dunque, Presta non ha incassato un euro da nessun network tv. Da altre aziende dell’universo berlusconiano, invece, qualche denaro è arrivato. L’agente ha detto che l’esclusiva di “Firenze secondo me” «gli avrebbe procurato un contratto con Piemme», editore controllata dalla Mondadori, per pubblicare un libro dal titolo omonimo. Mentre i magistrati di Piazzale Clodio hanno scoperto che un contratto tra Renzi e Mondadori originato dal documentario esiste davvero. Ma pure che alla fine i 50 mila euro pattuiti sono stati poi riversati su un altro libro di Renzi, “Controcorrente”.
Un saggio su Firenze del politico però potrebbe finalmente uscire nel 2024. La Mondadori ha firmato un contratto con Renzi e Presta, che potrebbe recuperare finalmente qualche spiccio: 16.625 euro è la somma corrisposta sul contratto firmato ad ottobre 2021. Quest’anno, invece, la casa editrice di Berlusconi forse darà alle stampe “Almanacco”, sempre a firma Renzi, volume che dovrebbe richiamare un format televisivo “5 minuti”, già venduto nel 2018 dal politico a Presta. «In forza di tale contratto alla Arcobaleno è stata corrisposta, difformemente da quanto dichiarato da Presta nell’interrogatorio, la somma di 10 mila euro, e non 40 mila».
SCRITTURE PRIVATE
Torniamo al torrido luglio 2018. Il giorno prima di firmare il contratto per il documentario, Renzi sigla con Presta anche una scrittura privata da 200 mila euro, con cui trasferisce al sodale i diritti di due format tv da lui ideati: il già citato “5 minuti” e “Mr Interviste”, entrambi mai realizzati. Non si sa come mai Presta e Renzi decidano improvvisamente nello stesso giorno di firmare contratti su tanti lavori d’ingegno così diversi che sommati insieme arrivano proprio ai 700 mila euro del prestito ottenuto dall’allora segretario del Pd. Ma durante le perquisizioni gli investigatori trovano «un contratto avente pari data, medesimo oggetto, ma diverso importo di euro 500mila». Si tratta di una scrittura privata che secondo la commercialista di Presta sentita in procura sarà «poi superata», e tagliato ai 200mila euro suddetti.
La circostanza ha fatto ipotizzare a Piazzale Clodio che il compenso che Presta voleva investire su Renzi non fosse «parametrato al valore della prestazione artistica, bensì a un risultato economico complessivo che si voleva raggiungere; ottenuto il quale (attraverso altri contratti, ndr) si è optato per un compenso inferiore a quello preventivato».
Anche il contratto da 100 mila euro con cui l’ex premier cede a Presta «i diritti di sfruttamento economico di eventuali opere future d’ingegno del senatore» è del 30 luglio 2018. Come gli altri, presenta peculiarità non banali: se «per prassi» è l’artista che paga il suo agente, «nel contratto stipulato da Renzi con l’Arcobaleno Tre invece è quest’ultima che retribuisce il rappresentato».
Alla fine della fiera, i pm dicono che «dubbi» possono essere sollevati, che alcune affermazioni di Presta (come quelle sui soldi avuti da Mediaset) non sono state «confermate dalle indagini a riscontro», e che non si può dire con certezza se i progetti editoriali con Mondadori «siano o meno fumo negli occhi». Il «mero sospetto» è però irrilevante: piaccia o non piaccia, non essendoci prove decisive per sostenere a processo bisogna archiviare. Cartabia docet, e Renzi e Presta possono festeggiare.
GIOVANNI TIZIAN ED EMILIANO FITTIPALDI
Emiliano Fittipladi, nato nel 1974, è vicedirettore di Domani. Giornalista investigativo, ha lavorato all'Espresso firmando inchieste su politica, economia e criminalità. Per Feltrinelli ha scritto "Avarizia" e "Lussuria" sulla corruzione in Vaticano e altri saggi sul potere.
Giovanni Tizian, classe ’82. A Domani è capo servizio e inviato cronaca e inchieste. Ha lavorato per L’Espresso, Gazzetta di Modena e ha scritto per Repubblica. È autore di numerosi saggi-inchiesta, l’ultimo è il Libro nero della Lega (Laterza) con lo scoop sul Russiagate della Lega di Matteo Salvini.
Estratto dell’articolo di Concetto Vecchio per “la Repubblica” il 13 febbraio 2023.
[…] Amadeus dice che se lo cacciano è per le sue idee. «Andrebbe cacciato per la mancanza di idee. Ma lo terranno lì, perché comanda Lucio Presta». […]
Estratto dell’articolo di Tommaso Rodano per “il Fatto quotidiano” il 13 febbraio 2023.
Il vero vincitore di Sanremo non ha dovuto aspettare la finale: Lucio Presta ha dominato il Festival dal principio. Il re degli agenti tv conduce la kermesse tramite il suo assistito Amadeus, ha piazzato Roberto Benigni […] e nella sua scuderia è passato anche Gianni Morandi.
Non bastava: Presta è finito pure nelle foto ufficiali del Quirinale per testimoniare la trasferta sanremese di Sergio Mattarella, di cui è stato regista. Se Sanremo è la gallina dalle uova d’oro della Rai, la Rai è il pollaio di Lucio Presta. […] lui è al di sopra dei capricci politici. […] come ha raccontato a Claudio Sabelli Fioretti nel 2005: “Se un direttore vuole fare a pezzi un mio artista, deve pensarci bene: se lui oggi fa male a me io domani posso fare male a lui. Voglio che rifletta. Non sono uno che vende spazzole”.
[…] il botto arriva nei primi anni 2000, quando Paolo Bonolis diventa il grande mattatore della tv italiana e fa l’elastico tra Rai e Mediaset. Con lui spicca il volo anche Lucio, ex ballerino di Fantastico negli anni ‘80. Sulla pista da ballo non ha lasciato ricordi indelebili, come agente delle star invece è diventato il migliore. Bonolis e Amadeus, appunto, ma pure sua moglie Paola Perego, Antonella Clerici, Marco Liorni, Ezio Greggio, Lorella Cuccarini, i tour teatrali di Checco Zalone e molti altri.
Il cosentino Lucio Presta è persona dai molti vezzi: nella casa di campagna alleva quattro mucche highlander, quelle col manto peloso come yak; ha un rapporto affettuoso anche con le armi perché “ho subito due rapine e sono il miglior deterrente che conosca”. […] “Prima mi vendico e poi perdono”. […] Chiedere, tra gli altri, a Mario Orfeo e Monica Maggioni: il primo è stato silurato dalla Direzione Approfondimenti, la scorsa estate, anche per la guerra personale che gli ha mosso Lucio, la seconda è finita in black list perché nel 2017 fece chiudere il programma della moglie Perego […]
Se attacchi Presta, Presta se ne ricorderà. Lo sanno anche giornalisti e critici tv, sottoposti a un regime di monitoraggio quasi militare: chi scrive male di un assistito di Lucio può aspettarsi chilometrici audio whatsapp con le reprimenda di Gina Cilia, la sua più stretta collaboratrice. Forse anche per questo, in genere, la stampa lo tratta con i guanti […] Il prossimo anno è ancora di Amadeus, e quindi ancora di Presta: sarà la decima edizione condotta da un suo cliente. Lui giura che sarà l’ultima, ma qualcuno pensa davvero che si ritiri a pascolare le vacche, lasciando il dominio tv al suo rivale Beppe Caschetto?
Nel frattempo però Presta ha regalato ai figli le quote di Arcobaleno Tre, la sua società storica, e poco dopo anche loro si sono disimpegnati. Poi c’è stato il pessimo affare di Firenze secondo me, il tremendo documentario con Matteo Renzi. Doveva rilanciare la popolarità dell’ex premier, è finito in un’indagine della procura di Roma, con l’ipotesi di un presunto finanziamento illecito: costato quasi un milione di euro – tra compenso per Renzi e costi di produzione – non ha incassato praticamente nulla.
Chi gliel’ha fatto fare? Forse gratitudine e affetto - Presta insieme a Simona Ercolani è stato il produttore della Leopolda nelle stagioni più brillanti, inoltre è conterraneo e grande amico del renziano Ernesto Carbone […] Nel 2017 il tentativo di limitare il suo strapotere - e quello di Caschetto - fece approvare in Vigilanza Rai una risoluzione “contro i conflitti di interessi di agenti, autori e conduttori”, poi recepita nel 2020 con una direttiva dell'ex ad Fabrizio Salini. Formalmente è ancora in vigore, nella sostanza è lettera morta: lavorano sempre, quasi solo, quei due.
Estratto dell’articolo di Leandro Palestini per www.repubblica.it del 11 ottobre 2005
Massimo Giletti annuncia di voler querelare Lucio Presta, potente manager dei divi dello spettacolo (nella sua scuderia Benigni, Bonolis, Amadeus, Venier, Perego) per l' aggressione subìta domenica in una piazza di Roma, a Domenica in finita. Duplice la versione dei fatti. Secondo il conduttore, il manager lo avrebbe insultato, gli avrebbe sputato e «minacciato pesantemente» per aver parlato male del reality La talpa, condotto dalla ex compagna di Presta, Paola Perego.
Il manager esclude la premeditazione, dice d'aver «incrociato casualmente» Giletti, ma confessa di avergli detto a brutto muso «che lui va in tv non per fare spettacolo, ma per tre ragioni: per smentire le voci sulla sua omosessualità; per parlare male dei colleghi; per dire che è caduto dal motorino, quando invece è stato preso a schiaffi». Massimo Giletti non entra nei dettagli, la sua versione è più sofferta. «Sono stato insultato pesantemente, minacciato e, quando mi sono girato, Presta mi ha anche sputato. Per fortuna non mi ha preso», racconta il conduttore.
«Sono rammaricato del fatto che uno non possa esprimere in tv i suoi giudizi sul valore morale di certi reality. Non so perché Presta abbia perso la testa: forse non credeva alla coppia Giletti-Baudo, e invece gli ascolti di Domenica in volano. L' altra sera il mio spazio ha fatto il 35% di share, come una volta Bonolis. Ma noi costiamo due lire». E sullo sputo di Presta aggiunge: «Credevo che i lama, quegli animali che sputano sempre, fossero confinati negli zoo». […]
Così Presta ha scavalcato i vertici Rai. Il manager di Amadeus ha trattato direttamente con il Colle. Laura Rio il 9 Febbraio 2023 su Il Giornale.
«Invece di ringraziare, ci criticano pure». Arriva durissima la risposta di Amadeus ai consiglieri Rai infastiditi perché non sono stati messi al corrente della presenza del presidente Mattarella nella prima serata del Festival di Sanremo. Insomma - dice il presentatore - invece di festeggiare un avvenimento storico e i risultati di ascolto eclatanti (60 per cento di share), la Rai si spacca. Per questo l'irritazione del conduttore, del suo entourage e del direttore Prime Time Stefano Coletta si tocca con mano nella sala stampa di Sanremo. Irritazione che sale ancora di più quando si fa notare la «preoccupazione» del Cda perché «l'operazione Mattarella» è stata gestita passando sopra i vertici Rai da Lucio Presta, che non ha ruoli ufficiali nella tv di Stato, ma è manager del conduttore, di Morandi e di Benigni (la cui lettura della Costituzione è stata la chiave di volta per convincere Mattarella a venire a Sanremo) e di fatto organizzatore reale del Festival. «Al posto dei consiglieri - attacca Amadeus - direi grazie a qualunque persona abbia fatto in modo che il presidente fosse all'Ariston. Invece di colpevolizzarla andrei a stringergli la mano». E precisa con chiarezza che «la trattativa è stata gestita da Presta con Giovanni Grasso, portavoce del Quirinale, semplicemente perché si conoscono e si stimano da tempo». Ma perché era necessaria tutta questa segretezza? «Per ragioni di sicurezza del presidente stesso, come ci ha chiesto il Quirinale».
Al di là di questa poco convincente spiegazione, le repliche di Amadeus e del direttore Coletta («Io non mi sono per nulla sentito sminuito dall'essere tenuto all'oscuro di tutto») mostrano la totale confusione che regna ora in Rai. Come sempre succede in un momento di passaggio. Il vertice e il cda sono specchio delle larghe intese di Draghi e finché l'attuale maggioranza (leggi Giorgia Meloni, che per ora ha deciso di lasciare Fuortes al suo posto) non deciderà di metterci le mani, la situazione andrà peggiorando. Parte dei consiglieri - quelli di centrodestra - stanno cercando da tempo di buttare l'ad (espressione della sinistra draghiana) fuori dall'azienda, contestando aspetti economici e gestionali, ma lui resiste concedendo spazi e uomini alle istanze dell'attuale Governo. E quanto successo per Mattarella è lo specchio di tutto questo. In nessuna azienda «normale» operazioni come quella di Mattarella sarebbero gestite esternamente. Ma in nessuna azienda «normale» accadrebbe che, proprio nei minuti in cui Mattarella appare sul palco dell'Ariston ed entra Benigni per declamare la Costituzione, il Cda, massimo organo di governo dell'azienda medesima, protesti per quanto sta accadendo. In questa chiave, c'è, addirittura, chi insinua che il Capo dello Stato sia stato «coinvolto» in un'operazione di soccorso «rosso» all'attuale governance per mantenere ai loro posti l'ad e, a cascata, quelli che a lui sono più o meno legati, dal direttore Coletta a tutti i manager interni ed esterni più vicini al Pd. Non per nulla Salvini strepita contro il festival un giorno sì e l'altro pure. Prossimo appuntamento di scontro la presenza-non presenza di Zelensky sabato sera. Anche da questa operazione i consiglieri sono tagliati fuori.
Giacomo Amadori per “La Verità” il 9 febbraio 2023.
Uno dei primi a festeggiare su Twitter lo sbarco del capo dello Stato a Sanremo è stato Matteo Renzi: «Inizio straordinario. Il presidente Mattarella in sala, Morandi che canta l’inno, Benigni show. Chapeau».
Tanto entusiasmo potrebbe non essere casuale, visto che uno degli organizzatori dell’evento è stato Lucio Presta, l’agente delle star, da Amadeus e Benigni, ma anche e, forse, soprattutto di Renzi. Sui rapporti tra il manager e il politico, vale la pena di ricordarlo, sta indagando la Procura di Roma che nei prossimi giorni dovrà sciogliere il dilemma: chiedere il processo per i due indagati o l’archiviazione. Gli inquirenti contestano il reato di finanziamento illecito di un parlamentare e l’utilizzo e l’emissione di fatture false.
La vicenda ruota intorno a pagamenti per un valore di 700.000 euro effettuati dalla Arcobaleno Tre di Presta a Renzi, esattamente la stessa cifra che il senatore aveva ricevuto come prestito infruttifero dalla famiglia Maestrelli per l’acquisto di una villa a Firenze.
I pm Alessandro Di Taranto e Gennaro Varone il 30 giugno del 2021 avevano inviato la Guardia di finanza a perquisire Presta e il figlio Niccolò, entrambi indagati, e anche altri soggetti, alla ricerca di materiale utile alle investigazioni.
I contratti per prestazioni di servizi sotto la lente d’ingrandimento sono tre: uno ha portato alla produzione del documentario in quattro puntate Firenze secondo me, poi venduto al canale Discovery a una cifra molto modesta.
C’è poi un contratto di cessione di opere d’ingegno per cui sarebbe stato effettuato il pagamento prima della realizzazione dei progetti: uno riguardava una specie di Accadde oggi in pillole di cinque minuti, un altro era, invece, un format in cui Renzi avrebbe dovuto intervistare personaggi famosi; c’era infine un mandato di rappresentanza artistica in esclusiva del fu Rottamatore da parte di Presta.
Da mesi, però, nessuno parla di questa inchiesta e la Procura da tempo sta riflettendo su come procedere. Forse a causa di questo silenzio tombale sulla vicenda gli uomini del presidente hanno interloquito senza problemi con l’indagato Presta per la parte operativa (per esempio per capire da dove far entrare l’auto presidenziale e dove fare accomodare Mattarella e la figlia). Anche perché il manager si è presentato come responsabile organizzativo dell’evento. Per la parte artistica invece al Colle hanno avuto come interlocutori Amadeus e l’amministratore delegato della Rai, Carlo Fuortes.
La lunga marcia per portare il presidente a Sanremo è iniziata l’anno scorso quando Amadeus decide di rivolgersi dal palco dell’Ariston al Capo dello Stato, appena riconfermato. Allora il conduttore, dopo avergli augurato buon lavoro, gli fece sapere, «a nome di tutti gli italiani», di considerarlo «un punto di riferimento».
Il conduttore svelò di aver saputo che il capo dello Stato e il fratello Piersanti nel 1978 avevano assistito all’«ultimo leggendario concerto di Mina» alla Bussola domani di Viareggio.
E per questo aveva deciso di dedicargli Grande, grande, grande, suonata dall’orchestra, una canzone «che spiega meglio di ogni cosa di ogni parola quello che pensiamo veramente di lei», aveva detto. A metà novembre Amadeus è tornato alla carica con il portavoce di Mattarella, Giovanni Grasso, chiedendo se fosse impensabile l’idea che il presidente interagisse in qualche modo con Sanremo, magari con un videomessaggio, con un collegamento o con un’intervista da realizzare prima. Grasso ne ha parlato con Mattarella che non ha dato subito l’assenso, ma quando si è orientato verso il sì è stato coinvolto anche Fuortes ed è partita l’organizzazione vera e propria dell’evento.
Dopo aver dato il suo assenso il presidente ha scelto, anziché di esternare, di partecipare da spettatore, seppur eccellente, come del resto ha fatto anche in occasione di altri eventi culturali o sportivi.
A quel punto, come ci hanno rivelato fonti Rai, la macchina ha dovuto iniziare a lavorare a un piano, a considerare come giustificare la presenza di Mattarella, seppur in visita privata. Dal Quirinale hanno fatto sapere che il presidente stava facendo degli incontri per i 75 anni della Costituzione e hanno chiesto se fosse possibile tenere in considerazione quel tema.
L’idea di Roberto Benigni è venuta in corso d’opera e molto probabilmente a lanciarla è stato il suo agente Presta. Al Colle era informati del fatto che il comico avrebbe parlato di alcuni articoli della Costituzione e in particolare di quello sull’arte e sulla scienza, ma non sarebbero stati a conoscenza dell’intero monologo.
Si è a lungo discusso di chi avrebbe dovuto cantare l’inno Fratelli d’Italia. Il sogno inizialmente è stato quello di riuscire a portare al Festival Mina in persona.
Poi si è discusso di Ornella Vanoni e Patty Pravo. Qualcuno aveva pensato anche un omaggio dei Pooh. Si è ipotizzato pure il coinvolgimento di qualche grande direttore di orchestra. Alla fine la soluzione è stata trovata in casa con Gianni Morandi.
Il presidente avrebbe deciso di abbandonare il teatro dopo il preludio per evitare di ascoltare solo alcuni cantanti e lasciare gli altri a fare dietrologie.
La notizia dell’inaspettata visita privata di Mattarella è rimasta riservata sino all’ultimo sia per motivi di sicurezza (in questo periodo sono molto temuti eventuali attentanti degli anarco-insurrezionalisti) che per motivi di organizzativi.
Infatti se fosse diventata di pubblico dominio, anche solo un giorno prima dell’arrivo del presidente, si sarebbe aperta la corsa all’occupazione di tutte le prime file da parte di ogni genere di autorità, parlamentari, prefetti, generali, sino all’ultimo sindaco ligure.
Il progetto di Bruno Vespa di mandare in onda un videomessaggio del leader ucraino Volodymyr Zelensky ha colto di sorpresa anche il Colle che ha osservato in silenzio l’evolversi del progetto sino al suo naufragio.
Il presidente, quando si è saputo del possibile contributo del capo dello Paese invaso, aveva già dato la sua disponibilità a presentarsi all’Ariston e quindi si è davvero rischiato di avere un ingorgo di capi di Stato nella città dei fiori: Mattarella il primo giorno e Zelensky l’ultimo. Le date non sono mai state in discussione. Al Quirinale hanno solo compreso che gran parte del governo non era favorevole alla carrambata e non si sono certo strappati le vesti dopo aver evitato di essere trascinati in ulteriori possibili polemiche. Che comunque sono arrivate lo stesso. Per fortuna di tutti la Procura di Roma attenderà la fine di Sanremo prima di inviare l’avviso di chiusura delle indagini o di chiedere l’archiviazione del dominus di Sanremo, Lucio Presta.
Il dominio di Presta, l’agente che occupa i vuoti della Rai. GIOVANNA FAGGIONATO su Il Domani il 08 febbraio 2023
Dice il direttore artistico della 73esima edizione del Festival di Sanremo, Amadeus, che la Rai dovrebbe ringraziare Lucio Presta. Cioè il più potente degli agenti televisivi, suo manager e l’uomo che ha organizzato all’insaputa dei vertici Rai la presenza del capo dello stato, Sergio Mattarella, al teatro Ariston.
Viene il dubbio che il ringraziamento debba essere almeno reciproco, considerato che la Rai tende a esternalizzare di fatto il suo asset di maggior valore, l’unico che riporta gli italiani di fronte alla televisione, un palcoscenico su cui si tessono oltre che successi anche relazioni di potere.
La Arcobaleno Tre, amministrata dal figlio Niccolò, è tornata ai fasti di una volta, grazie alla produzione di Arena Suzuki, sempre con Amadeus e sponsorizzata dallo sponsor istituzionale di Sanremo. E ha investito nella MK3 entrando nel management musicale.
Dice il direttore artistico della 73esima edizione del Festival di Sanremo, Amadeus, che la Rai dovrebbe ringraziare Lucio Presta.
Cioè il più potente degli agenti televisivi, suo manager e l’uomo che ha organizzato all’insaputa dei vertici Rai la presenza del capo dello stato, Sergio Mattarella, al teatro Ariston, ad applaudire al trittico Roberto Benigni, Amadeus e Gianni Morandi, tutti suoi artisti. Viene il dubbio che il ringraziamento debba essere almeno reciproco, considerato che la Rai continua a esternalizzare il suo asset di maggior valore, l’unico che riporta gli italiani di fronte alla televisione, un palcoscenico su cui si tessono oltre che successi anche relazioni di potere.
Presta è da sempre considerato, assieme a Giuseppe Caschetto, il regista che non appare mai: il primo con un portafoglio di artisti popolari, da Ezio Greggio a Antonella Clerici, alcuni dei migliori autori televisivi e un rapporto storico con Benigni; il secondo che nell’epoca d’oro di Che tempo che fa decideva vita e morte di un prodotto culturale.
A sentire le voci che si rincorrono su di lui Presta è in grado di influire sui palinsesti e pure di influenzare le nomine apicali: gli viene attribuito anche un ruolo da protagonista nel siluramento di Mario Orfeo dalla direzione approfondimenti l’estate scorsa. Ma qui contano i numeri. La Arcobaleno Tre, amministrata dal figlio Niccolò, nel 2021 è tornata ai fasti di una volta anche grazie all’effetto Festival. E cioè a oltre un milione di utili, una soglia che non veniva superata dal 2017 quando aveva registrato 1,3 milioni di utili a fronte di oltre 10 milioni di ricavi. Non è andata sempre così.
All’approvazione del bilancio 2018, di fronte a un calo dei ricavi, la società si riprometteva di «studiare apposite strategie» per «guadagnare ulteriore spazio nel mercato televisivo», eppure l’anno 2019 si era chiuso con un rosso di 131mila euro, e con ricavi pari a 6,9 milioni di euro non in grado di coprire i costi di produzione. Tra gli imperativi, allora, c’era quello di ridurre i costi delle produzioni televisive.
Poi nel 2020 è iniziata la grancassa del Sanremo di Amadeus, la macchina perfetta per aumentare lo spazio vitale. Dopo il Sanremo 2020, nel 2021 Amadeus conduce anche Arena Suzuki, due puntate su Rai2, produzione indicata come l’origine dell’aumento dei ricavi della Arcobaleno Tre. Nel 2022, le puntate diventano tre. Lo sponsor è la Suzuki, da molti anni il marchio automobilistico di Sanremo, che dal 2021 è entrato nella rosa degli “sponsor istituzionali” a fianco di marchi come Plenitude e Costa crociere e che da quest’anno avrà anche un maxi palco in piazza: il Suzuki stage.
Sempre tra 2020 e 2021 cambiano anche le partecipazioni azionarie: nel 2020, secondo il registro delle imprese, viene depositato l’atto per lo scioglimento della Blue Box, la storica società di distribuzione con cui Presta portava in giro, tra gli altri, gli spettacoli di Benigni. Dal 2021 risulta ceduta anche la partecipazione nella Sdl 2005, di Paolo Bonolis e consorte Sonia Bruganelli, e invece entra nel portafoglio delle partecipazioni il 14,38 per cento della Milano K3 srl, cioè la società di music management fondata da Angelo Calculli, ex manager di di Achelle Lauro.
Le svolte degli ultimi anni però sono anche altre. Presta ha ceduto le sue quote nella Arcobaleno Tre a due commercialisti (restano pur ridimensionate quelle dei figli) nello stesso periodo in cui trapelava la notizia di una indagine a suo carico e del figlio Niccolò per presunto finanziamento illecito nei confronti dell’ex premier Matteo Renzi. La procura di Roma sta infatti indagando dal 2021 sui soldi versati a Renzi dalla società in varie forme, tra cui progetti televisivi pagati fuori scala e documentari mai realizzati. Le ispezioni della Guardia di finanza e pure dell’Inps sono citate nei bilanci della società, assieme alla pandemia, come causa della convocazione oltre la scadenza ordinaria dell’assemblea dei soci che ha approvato insieme il bilancio 2019 e 2020. A prescindere dall’esito delle indagini, quella con Renzi è una amicizia di lungo corso, che nel 2016 ha generato persino in una candidatura come sindaco di Cosenza per il Pd.
L’avventura politica è finita in un soffio, con un ritiro per motivi personali, mentre quella televisiva continua e va a gonfie vele.
Chi conosce i meccanismi della Rai dice che sarebbe meglio fare di Sanremo una produzione tutta interna, ma non c’è niente di nuovo sotto il sole: quando l’azienda è debole vince la logica spartitoria e vince il più forte, anche se si tratta di società nemmeno lontanamente comparabili all’ordine di grandezza della Rai.
Ora la più forte è quella di Presta, che deve ringraziare anche la debolezza del servizio pubblico.
Accompagnata da “Nessuno mi può giudicare” per l’ingresso si è presentata con un abito con disegnato il suo corpo: «Il corpo di noi donne non deve generare odio e vergogna», ha detto rivolgendosi a Gianni Morandi e Amadeus. Nel primo monologo di Sanremo 2023, Chiara Ferragni si è rivolta a una «bimba» leggendo una lettera che poi ha detto essere «la piccola Chiara». Sé stessa. Ha raccontato «dei selfie» che le chiedono ma anche del fatto che «non posso piacere a tutti».
In ogni momento, ha proseguito, c’era un pensiero: «Non sentirmi abbastanza». Ma si è invitata a non avere paura e ad andare avanti: «Un amico un giorno mi ha detto che nessuno fa la fila per delle montagne russe piatte. Vivile tutte senza paura, anche se la paura ti accompagnerà tante di quelle volte che perderai il conto, ma se una cosa ti fa paura probabilmente è la cosa giusta da fare». e bisogna procedere per vincere «le insicurezze nella sua testa».
«Abbiamo tutti la scritta fragile». Gli unici che potranno dare il giudizio sull’operato di una vita «sono i tuoi figli».
Molti i passaggi sulla maternità. Dalla gioia di aver avuto dei figli al rapporto con gli impegni: «La nostra cultura ci ha insegnato che una madre ha una identità», e ancora: «Quando diventi mamma però sarai ritenuta solo una mamma, e pensaci: quante volte la società fa sentire in colpa una donna perché per lavorare è lontana dai figli? Sempre. Quante volte succede per gli uomini? Mai». Le donne vengono colpevolizzate perché lavorano, gli uomini no. «Ma se tu fai tutto per i tuoi figli, sei una brava madre, magari non perfetta, ma brava». Poi è tornata sul corpo e sui giudizi: «Se nascondi il tuo corpo sei una suora, se lo mostri sei una troia».
Essere una donna «non è un limite, gridatelo a chiunque e lottate insieme ogni giorno per cambiare le cose. Io ci sto provando, anche in questo momento». Con una stoccata a un uomo che si voleva prendere il merito «di avermi creata». Alla fine, ha concluso, «andrà tutto bene, e sono fiera di te».
GIOVANNA FAGGIONATO. Giornalista specializzata in economia e affari europei. Prima di arrivare a Domani, ha lavorato a Milano e Bruxelles, per il Sole 24 Ore e Lettera43.
Gino Castaldo su L’Espresso il 6 Febbraio 2023.
Si fa presto a dire Festival. Da Mario Merola a Bono la kermesse non è mai stata uguale a sé stessa, sino a riuscire a riportare l’attenzione sulle canzoni. Un critico che lo conosce bene ne ripercorre le evoluzioni
Non fatevi fregare. Se mai qualcuno dovesse chiedervi cosa ne pensate di Sanremo, o peggio ancora: che cos’è Sanremo? Non rispondete, o meglio chiedete di definire meglio. Di quale festival si parla? L’inganno è tutto qui, il nome è sempre quello, ma di festival ce ne sono stati tanti, diversi e spesso neanche tanto conciliabili tra di loro.
C’è quello degli esordi, tutto radio e languide presentazioni dove contavano davvero solo le canzoni e a cantarle erano solo in tre, tanto che nel 1952 fu possibile che Nilla Pizzi si piazzasse ai primi tre posti con tre diverse canzoni, c’è il misero inesistente Sanremo di metà anni Settanta, dimenticato da tutti e perfino dalla Rai.
C’è la favola degli anni Sessanta, l’età dell’oro, quando c’erano le canzoni migliori, quelle che ancora oggi sono pezzi pregiati del nostro immaginario canoro, c’è quello degli anni Ottanta quando si votava con le schedine del Totip e vincevano sempre Al Bano e Romina e i Ricchi e Poveri. C’è stata l’era del baudismo e prima ancora quella di Mike Bongiorno, c’è stato il festival “modernista” di Fazio, quello distaccato e sarcastico di Raimondo Vianello, c’è stato l’unicum del festival 1967 dove uno dei cantanti in gara, Luigi Tenco, si è ucciso la notte in albergo dopo l’esibizione e la sera dopo la finale si è svolta ugualmente come se niente fosse, tanti diversi, opposti, incomunicabili Sanremo, compreso l’ultimo, quello di Amadeus, quello della missione che sembrava impossibile, ovvero riportare le canzoni al centro dell’attenzione, per assurdo l’unico risultato che ormai sembrava irraggiungibile pur trattandosi del sedicente, autoproclamatosi festival della canzone italiana.
Che questo dato faccia scalpore la dice lunga sulla spuria, ingannevole e camaleontica natura della manifestazione più amata e odiata della storia dello spettacolo. Notiamo alcune coincidenze. Alla fine degli anni Settanta il festival era moribondo, prossimo all’estinzione, poi cominciò gradualmente a risalire, nel 1981, con attenzione ancora scarsa ma più vigile, la Rai ricominciò a investire sul festival, vinse Alice con una canzone firmata da Battiato e si percepì di nuovo il brivido della canzone da amare.
Ma il punto era un altro. La verità è che le canzoni non erano più così decisive. Era partita l’era della concorrenza, erano cominciate le trasmissioni di Canale 5 che iniziò a rubare pezzi pregiati alla tv di Stato. Improvvisamente Sanremo diventò una risorsa da sfruttare e questo spiega perché per molti anni il festival è stato concepito essenzialmente come un programma televisivo.
Di molte edizioni più che le canzoni ricordiamo gli exploit di Benigni, gli scandali, ricordiamo la pancia finta della Bertè, l’arrivo di Madonna, le irruzioni, il trio Marchesini-Solenghi-Lopez. Altri tempi altri Sanremo. Nella sua infinita capacità di adattamento e sopravvivenza il festival è riuscito a mutare, a cambiare per rimanere se stesso, a cambiare ancora, fino a ritornare al punto di partenza.
Al di là delle diverse conduzioni possiamo identificare almeno sei diverse fasi con sei diverse anime, la prima dal 1951 al 1957, ovvero quella melodica e radiofonica; dal 1958 al 1971, più o meno da Volare di Modugno a 4 marzo 1943 di Dalla, è l’età dell’oro; dal 1972 al 1981 la decadenza; dal 1981 al 2000 il festival della televisione; dal 2001 al 2016 gli anni di mezzo, interlocutori; dal 2017 a oggi, il ritorno delle canzoni.
Da quando Amadeus, complice anche il trampolino delle precedenti edizioni firmate Baglioni, è riuscito a concentrarsi sulle canzoni, è successo il miracolo: la mattina dopo al bar ci si accapiglia su chi ha cantato meglio, sulla canzone più interessante e sulla peggiore.
A noi addetti ai lavori ci massacrano di domande. Dal negoziante abituale che conosce la nostra professione ora scatta implacabile la domanda: “dottò, ma che dice, ’sto Achille Lauro è un bluff? E Madame?”. Ovvio direte, e invece no, non succedeva da tempo immemore, casomai si parlava del pettegolezzo, del comico, delle papere, delle gaffe, dei retroscena, magari dell’ospite straniero che piratesco e altero passava e se ne andava senza alcun rischio.
Il festival è impossibile definirlo perché a Sanremo c’è stato tutto e il contrario di tutto, l’unico luogo in cui è stato possibile vedere Bruce Springsteen cantare in penombra The ghost of Tom Joad (era il 1996) e Toto Cutugno a cantare L’italiano col Coro dell’Armata Rossa (nel 2013), l’unico inimmaginabile luogo in cui negli anni hanno potuto convivere il più profondo provincialismo strapaesano ed eventi da leggenda del rock come quando i Placebo senza alcun preavviso si misero a sfasciare gli strumenti mettendo in serio imbarazzo la povera Carrà alla sua prima e unica conduzione.
Solo in quel teatro è stato possibile il verificarsi di un cortocircuito che se l’avesse pensato un fantasioso sceneggiatore gli avrebbero dato del matto, ovvero che Bono cantasse dal vivo accompagnato da The Edge alla chitarra, che decidesse di scendere in platea e attraversare il corridoio centrale cantando, proseguendo fino ad arrestarsi di fronte a Mario Merola che stava arrivando (in ritardo) in quel momento, e poi fargli un leggero inchino, un gesto di pura cortesia dovuto anche al fatto che Bono ignorava nella maniera più assoluta chi fosse lo spettatore ritardatario. Bono e Mario Merola nello stesso punto dello spazio-tempo? Possibile solo perché il festival è tutto e niente, perché è stato talmente tante cose diverse da poter contenere di tutto, festival, antifestival e controfestival e provate voi a metterlo in discussione.
Estratto dell'articolo di Carlo Antonelli per gqitalia.it il 7 febbraio 2023.
Anzitutto lui: Amadeus. Con quel nome spaventoso, come se fosse una cosa normale. Concentriamoci subito su quest’uomo, sull’architrave di questa baracca. Gli altri verranno con calma.
Porta tutto questo macigno sulla groppa da anni, eppure non si vede. Una forza equina (come le sue origini, in famiglia, cavalli da tutte le parti) e per questo leggiadra e potente insieme. Senza sforzo apparente. Lo intravedi ogni tanto, quando la faccia si contrae per la fatica di un’esitazione, di un imprevisto, poi torna perfettamente bidimensionale e fresca, per essere un 61enne.
E qui iniziamo a capirci qualcosa. Amadeus in qualche modo è pura voce, e vagamente querula. Il corpo è irrilevante, non lo percepisci se non come gruccia alla quale sono appesi i vestiti da matrimonio che mette al Festival, con variazioni tra il sobrio vellutato e la lieve baracconata.
Cerco di capire -mentre arriva la prima sera di questa Via Crucis di cinque notti- se esistono sue foto in slip almeno, cerco di entrare nella sessualità di questa specie di lemure (parliamoci chiaro). Niente, poca roba. Un servizio al mare venduto in esclusiva a Oggi con la seconda moglie Giovanna Civitillo, carina (attenzione, una ballerina conosciuta in uno show Mediaset, sposata poi in chiesa in seconde nozze col primo matrimonio annullato dalla SACRA ROTA, wow wow wow). È con Fiorello dentro il solito villaggio vacanze, spazio-tempo cristallizzato negli anni Ottanta dal quale i due non si sono mai allontanati, un anfratto psichico eterno (come a San Junipero in quella puntata di Black Mirror) che è come una fonte magica medievale di energia infinita, di eterna giovinezza.
Altra chiave della faccenda: la demografia reale del Paese. Parliamo di due grandi boomer – tecnicamente - che dimostrano di non sbiadire mai, specchio della maggioranza che hanno di fronte, nel migliore dei casi, e che la presenza anti-machista e mangiatrice di elementi organici sani di Gianni Morandi rafforza in modo identico, nella fascia più alta (“sta sempre bene” “sembra un ragazzino”.. Sanremo in fondo è tutto un grande check-up collettivo). Nelle stesse foto vacanziere Fiorello - che ovviamente è ovunque anche qui, perché di allucinante bromance si parla - ha inaspettatamente dei buoni pettorali, Amadeus ha persino delle cosce tornite. Ma l’energia erotica di entrambi è quasi pari a zero: a-fallica, estremamente sfumata, troppo giuggerellona. Le donne che hanno classicamente affiancato il nostro disk-jockey in questi anni – con il guizzo apparente di Drusilla ok, ma troppo bon ton, per nulla perturbante - sono potenti, dominatrici, se lo magnano, vedi la Fagnani ovviamente. Ferragni se lo potrebbe comprare, ad Amadeus, e portare a casa a intrattenere il figlio già entertainer, già messo sotto a lavorare coi post.
“Ama” (interessante sub-soprannome, tra l’altro) è un maschio che recede. È una forza-cava. È apparentemente post-patriarcale, come quasi tutte le figure qui, a iniziare dagli avventori del remake di Blade Runner che sono i vari direttori d’orchestra delle singoli esibizioni.
Ama sembra appunto amare tutti ma non ama nessuno: è e rimane un conduttore radiofonico sempre inizio Ottanta, a Verona, che con un simpatico gioco delle tre carte imbarca Claudio Cecchetto e da lì come un salmone risale il fiume milanese di Radio Deejay e poi il Festivalbar e quindi una sfilza di bestiali show con una tignazza e un entusiasmo da far paura, sempre mascherati dalla timbrica e dalla conduzione “up” da Superclassifica della settinana, “giovane”.
(...)
Per questo ci troviamo qui incollati. E perché non abbiamo un cazzo da fare: abbiamo perso otto punti di potere d’acquisto negli ultimi mesi, che si sommano a quelli persi nel cinquennio precedente; abbiamo ridotto i consumi e le vacanze (tranne la fascia ultraricca, peraltro qui rappresentata). Ci son rimasti i mondiali in Qatar persino senza la nazionale e l’analoga eccitazione di vedere tutti insieme questa enorme messa cantata, lunghissima, e non ci sono spezzettamenti e reazioni da social da scrollare in differita che tengano. Il veneto Ama porta qui la resistenza flessibile ai cambiamenti del mondo della piccola e media impresa delle sue parti, che non molla mai e anzi esporta di più, anche dentro questa ennesima tempesta.
E poi un’ultima cosa ci dice della potenza post-sessuale del nostro: Amadeus è daltonico. La fantasmagoria messa in piedi con sforzo bestiale dai tecnici magnabranzini della Rai, la scenografia del genio assoluto di Castelli (la sua ventunesima per il Festival!) lui la vede tutta distorta, come fosse sotto acido. Ecco perché è tutto contento lì a Sanremo: te credo, sta di fuori.
Sanremo 2023: le conduttrici, gli ospiti, i cachet e le serate, guida al Festival. Francesco Canino su Panorama il 6 Febbraio 2023.
L'ordine di esibizione il martedì e mercoledì, quanto guadagnano gli artisti e i conduttori, quando arrivano i Måneskin e i Depeche Mode, chi sono i favoriti della vigilia. Intanto si sgonfia il "caso" Zelensky: «Nessun videomessaggio, solo una lettera.
Ci siamo. Il sipario sulla 73esima edizione del Festival di Sanremo sta per alzarsi. Poco più di ventiquattrore e si apre la maratona televisiva e musicale più amata e discussa della tv italiana, in scena dal 7 all’11 febbraio su Rai1. L’Amadeus quater ha già il suo tormentone: se lo scorso anno era tutto un “ma Fiorello ci sarà?” , quest’anno l’attenzione (e la polemica politica) è catalizzata dal discorso di Volodymyr Zelensky. E come da tradizione festivaliera, si passa dalla polemica feroce al "tanto rumore per nulla": alla fine il presidente ucraino ci sarà ma sono con un messaggio letto da conduttore. Niente video, dunque, solo una missiva. Si comincia dunque: oggi le ultime prove dei cantanti, martedì la prima diretta. Ecco il programma, serata per serata.
Sanremo 2023, le scalette e le co-conduttrici serata per serata
Mettiamoci l'anima in pace: la durata delle serate si annuncia monstre, con chiusura prevista non prima dell’1.30 fino a venerdì, intorno alle 2 sabato. Roba da nottambuli, sì, ma nulla che il Grande Fratello, non faccia tutto l'anno. E per chi vuole fare ancora più tardi, c'è pure Fiorello che si è inventato ik suo Dopo Festival, un Viva Rai2 speciale Sanremo in onda subito dopo la fine di ogni puntata. Per il resto, la maratona è tutta sulle spalle di Amadeus, che ha voluto condividerla per tutte e cinque le serate con Gianni Morandie con quattro co-conduttrici per tutti i gusti: c'è Chiara Ferragni, che aprirà e chiuderà l’evento, il martedì e il sabato sera; la giornalista Francesca Fagnani, surfando sul successo di Belve, arriva il mercoledì; giovedì tocca alla pallavolista star Paola Egonu; venerdì sarà invece sul palco l’attrice Chiara Francini. Per tutte cambi d'abiti e gara di look, annunci, sketch ad alto tasso di improvvisazione è l'immancabile e temutissimo “monologo” su temi cari o vicini alle loro sensibilità. Stando alle indiscrezioni della vigilia, quello della Ferragni dovrebbe essere sul rapporto con gli haters e l’empowerment femminile.
Chi si esibisce il martedì e il mercoledì
Intanto è stato rivelato chi si esibirà e quando. In rigoroso ordine di uscita, martedì 7 gennaio tocca a Anna Oxa, Gianmaria, Mr. Rain, Marco Mengoni, Ariete, Ultimo, Coma Cose, Elodie, Leo Gassmann, Cugini di Campagna, Gianluca Grinagni, Olly, Colla Zio e Mara Sattei. Mercoledì 8 invece Will, Modà, Sethu, Articolo 31, Lazza, Giorgia, Colapesce e Dimartino, Shari, Madam, Levante, Tananai, Rosa Chemical, LDA, Paola e Chiara. Giovedì sera si esibiranno tutti e 28 i big in gara (qui per sapere in anteprima come sono le canzoni).
Il “giallo” sull’immagine della Ferragni
Tra le indiscrezioni della vigilia, ce n’è una assai gustosa che riguarda Chiara Ferragni,che tiene banco soprattutto tra gli addetti ai lavori. Secondo il sito di tv Davide Maggio, nel contratto dell’influencer ci sarebbe infatti una clausola che prevede per il Festival «un vincolo totale delle immagini». Cosa significa? «Che l’utilizzo di qualsiasi immagine o contributo non è consentito, anzi, è espressamente vietato perché vincolato alla sola messa in onda Rai». Insomma, l’unico modo per vederla all’opera potrebbe essere la diretta.
Depeche Mode, Mäneskin e gli altri super ospiti
Tocca alla coppia Mahmood-Blanco spianare la strada agli ospiti di Sanremo 2023: martedì saranno le prime guest star per celebrare il primato di Brividi, il singolo più venduto dell’anno (che fosse un brano sanremese, non accadeva dal 1958 con Nel blu dipinto di più). Poi andrà in scena la reunion dei Pooh, mentre Elena Sofia Ricci sarà all’Ariston per lanciare la serie Fiori sopra l’inferno. Mercoledì otto la spruzzata di nostalgia è affidata al trio Al Bano-Massimo Ranieri-Gianni Morandi, in quota comici c’è Angelo Duro (campione di sold out teatrali) mentre tocca ai Black Eyed Peas garantire quella internazionale. Giovedì sera si celebra il ritorno dei Måneskin e quello di Peppino Di Capri (tra i recordman di presenze al Festival). Venerdì niente ospiti musicali – vista la parata di big che duetteranno coi cantanti in gara – ma faranno un’incursione sul palco i protagonisti di Mare fuori 3, serie sbanca streaming su RaiPlay che approderà la prossima settimana su Rai2. Per il gran finale, sabato, c’è l’attesissimo ritorno dei Depeche Mode, mentre sul fronte italiano ci saranno Gino Paoli, Ornella Vanoni e Luisa Ranieri.
Zelensky, dal video alla lettera
La vigilia sembrava destinata ad essere bollente a causa del videomessaggio di Zelensky, ma la polemica pare essersi già parzialmente sgonfiata come un soufflé. «Siamo in contatto con l'ambasciatore ucraino e siamo giunti alla definizione dell'intervento: non invierà un video ma un testo», rivela il direttore del Prime Time Stefano Coletta. Ma cosa contiene questa lettera? «Non lo sappiamo. Quando al controllo preventivo, sorrido all'idea che un direttore Rai possa censurare un presidente», replica Coletta a chi ventilava possibili censure. A leggerla sarà Amadeus, che spiega: «Ho chiesto all'ambasciatore di farcelo avere già tradotto. Leggerò la lettera esattamente come mi arriverà. Lo spoiler di Bruno Vespa? Nessun problema. Le modalità non le sapevamo». Poi Amadeus torna sulla questione polemiche («sono lo Swiffer della polemica, le attiro, come dice Fiorello) e non risparmia una stoccata alla politica: «Le polemiche? Storicamente Sanremo attira polemiche perché è la maggiore visibilità che si può avere, anche la politica. Tutti hanno la libertà e il diritto di esprimere una critica, una parola, su Sanremo, come facciamo con il calcio non siamo tecnici, ma discutiamo già sulla formazione.
Il meccanismo delle votazioni e la finalissima a 5
Ma come funziona il meccanismo di voto che porterà al vincitore, sabato sera? Martedì e mercoledì tocca ai giornalisti accreditati in Sala stampa votare (equamente divisi tra web, carta stampata e radio), che valuteranno le 28 canzoni stilando così la prima classifica provvisoria. Giovedì 9 febbraio entra in gioco il pubblico con il televoto e la Giuria demoscopica (300 consumatori abituali di musica) con uguale peso (50% a testa): con una media delle precedenti votazioni, si arriverà ad una nuova classifica. Anche nella serata cover ci sarà un sistema di votazione mista, ripartita così: 33% Demoscopica, 33% televoto, 34% Sala stampa. Si cambia ancora nella finalissima di sabato, col solo televoto in campo a giudicare i 28 in gara: i cinque più votati – non solo i primi tre come in passato – si giocheranno la vittoria ripartendo da zero e a decidere il vincitore saranno ancora una volta televoto (34%), Demoscopica (33%) e Sala stampa (33%). La media delle tre votazioni decreterà il vincitore di Sanremo 2023. Chi vincerà? I pronostici dei bookmakers
Ma chi vincerà quest’anno? I bookmaker sono scatenati ormai da settimane e scommettono quasi tutti sugli stessi “cavalli vincenti”. I super favoriti, pur con quote variabili, restano Marco Mengoni, Ultimo e Giorgia. Ma la storia del Festival insegna che i pronostici sono fatti per essere smentiti e la finale a cinque potrebbe riservare più di qualche sorpresa.
I cachet ai conduttori e i “rimborsi” agli artisti
Quanto guadagnano i conduttori di Sanremo? E i cantanti in gara? Chi prende il cachet più alto? Sono alcune delle chiavi di ricerca più utilizzate in questi giorni su Google. Ecco le risposte, tenendo presente che si parla di indiscrezioni non confermate dalla Rai. Al padrone di casa, Amadeus, andrebbero tra i 350 e i 600 mila euro, cifre in linea con gli anni passati ma più basse di alcuni suoi predecessori (Baglioni ne avrebbe incassati 800 mila nel 2019). Il co-conduttore Gianni Morandi ne incasserebbe 300 mila mentre Chiara Francini, Francesca Fagnani e Paola Egonu tra i 25 e i 30 mila. Discorso a parte per Chiara Ferragni: ne dovrebbe percepire 100mila e ha già annunciato che devolverà il suo compenso all’associazione nazionale Di.Re, attiva con oltre 80 centri antiviolenza in tutta Italia. Quanto ai cantanti in gara, la Rai assicura ad ogni team 50mila euro per ogni progetto presentato, «3mila euro all’artista, altri 5mila servono a finanziare la serata dei duetti con ospiti. Accanto a queste risorse si collocano gli investimenti delle case discografiche a sostegno delle spedizioni sanremesi che, per ciascun artista in gara, possono arrivare fino a 100mila euro», svela Il Sole 24 ore.
Chi canta sulla nave e sul palco di Piazza Colombo
Per la serie “oltre all’Ariston c’è di più” , lo show si snoderà anche su altri due palchi. Ovviamente brandizzati. C’è quello sul mare, con la Costa Smeralda ormeggiata di fronte alla città, dove a gestire i collegamenti e gli ospiti ci sarà Salmo: la line up prevede Fedez, Takagi & Ketra e Guè. Altre star, altro palco: su quello allestito in Piazza Colombo ogni sera ci sarà un artista diverso da Piero Pelù ad Annalisa, da Achille Lauro e La Rappresentante di Lista, poi Francesco Renga e Nek.
Dario Salvatori per Dagospia il 29 gennaio 2023.
Sull’ultimo numero di “Donna” Paolo Conti si chiede se “E’ possibile sopravvivere se non si guarda il Festival di Sanremo?”. La domanda è retorica, anche perché ci sono altri 25 milioni di italiani che non guardano il Festival, magari guardano altro, vanno al ristorante, viaggiano, fanno l’amore. Nella metà degli anni Settanta l’appuntamento si era quasi dissolto, basta dare un’occhiata ai vincitori (Gilda, Homo Sapiens, Mino Vergnaghi, ecc.) e la stessa Rai non ci credeva più. Da tre serate, passò ad una serata, non si aspettavano nemmeno le premiazioni ed era il Tg della notte ad annunciare il vincitore, senza riproporre le immagini.
Conti cita un pezzo di Andrea Laffranchi sul “Corriere della Sera”: “Sanremo è impermeabile al mondo esterno. Anche quello più frivolo delle mode e delle tendenze, non ci entra”. E’ vero che Laffranchi è l’unico bocconiano della sala stampa, ma nel microcosmo refenziale della gara le tendenze entrano eccome. Pure troppo. Fulminacci, Tananai, Colla zio, Rosa Chemical e altri cosa sono? Evergreen, standard, vintage? No, sono cantanti del momento, intercettati dagli ultimi tre direttori artistici impressionati dai loro milioni di like e di streaming, i quali, senza studio, gavetta e talento cercano un posto al sole. E non hanno timore di perdere i loro fans di provenienza. Prendete lo Stato Sociale, gruppo noto per il vasto uso del turpiloquio; poi è arrivato Claudio Baglioni, ha fatto un fischio, e loro erano già là.
“Il turpiloquio? Noi? Macchè!”. Stesso discorso per i Maneskin. Gli si chiese di ripulire il testo. Rispose Victoria: “Abbiamo vent’anni ma non siamo mica stupidi.”. Testo ripulito. Visto che si proclamano rockers dovrebbero sapere che quando nel febbraio del 1967 i Rolling Stones vennero chiamati per la quinta volta all’”Ed Sullivan Show”, (davanti ad una platea di 140 milioni di telespettatori americani) il conduttore stesso pretese di purgare il testo di “Let’s spend the night together”, Mick Jagger lo rassicurò. Salvo poi cantare il brano in versione integrale. Cosa che non fece Lucio Dalla nel 1971 con la sua”4 marzo 1943” e cosa che non farà quest’anno Madame per il suo pezzo “Puttana”, immediatamente cambiato.
Non è nemmeno vero, come aggiunge Paolo Conti, che i testi delle canzoni degli ultimi anni ascoltate a Sanremo, potrebbero essere di oggi ma anche del 1980. Ma nemmeno per sogno. Lo scorso anno un vecchio leone come Massimo Ranieri portò in gara “Lettera di là dal mare” con un testo di Fabio Ilacqua (lui si un autore di tendenza, disciplinatamente fuori dal coro), l’autore di “Occidentali’s karma”, che confezionò la vittoria a Francesco Gabbani nel 2017. Quest’anno a rifare il make-up hanno pensato gli esagerati Cugini di Campagna con “Lettera 22” (una citazione vintage andava inserita), scritta per loro la Rappresentante di Lista, ovvero la coppia Veronica Lucchesi e Dario Mangiaracina.
Per i cantanti, più che la vittoria o i piazzamenti, ciò che conta e mettere in piedi dei tour estivi, possibilmente decorosi e magari con mezzi speciali. Per tutti noi, ciò che vale la pena guardare non è al centro, ma ai margini. Ci sono incongruenze interessanti a vedere entrambi le parti. Per dirla con Roland Barthes: “Il vecchio binomio romantico del cuore e della testa non ha però realtà se non in un’iconografia di origine oppiacea in cui ci si sbarazza degli intellettuali mandandoli a occuparsi dell’emozione e dell’ineffabile.”
Dario Salvatori per Dagospia il 24 gennaio 2023.
Ieri tutti i quotidiani a testate unificate hanno riportato una intervista a Colapesce e Dimartino. Praticamente una velina. Oggetto: la loro prossima partecipazione al Festival di Sanremo, dove saranno in gara con il brano “Splash”. Scontata la curiosità dei cronisti, un po’ meno quella dei due interpreti: “E’ una canzone che ha due livelli di lettura. Può alludere a qualcosa di brutale, ma che racconta anche il peso delle aspettative e di come queste influenzino la nostra vita. E’ un brano sulla direzione che pensiamo stia prendendo la nostra vita. Le aspettative logorano l’anima. La canzone è una grande metafora. Per chiunque ascolti il significato è aperto". Urca.
Una delle strategie che propone il brano è di quelle che non si dimenticano: “Come stronzi galleggiare per non sentire il peso delle aspettative.” Beh, a questo punto non è proprio la “musica leggerissima” del 2021 che doveva anestetizzare la pandemia. E le influenze? “Luigi Tenco di –Mi sono innamorato di te-, Domenico Modugno di –Vecchio frac- e –Nel blu dipinto di blu-, Peppino Di Capri di –Mondo crudel-, Lucio Battisti di –Anima latina-“
Se fossero nati in America Colapesce e Dimartino sarebbero depositari del nuovo easy-listening, di quella musica che piace agli studenti bianchi, provenienti dalla costosissima Juilliard non certo dalla Berklee che invece è frequentata da italiani e latini. Park Avenue e Simon&Garfunkel centrifugati. In Italia il loro genere suggerisce Erasmus, Luiss, aperitivo tutto l’anno, il “corsivo” di Tik Tok, Roma nord.
A pensare che con lo splash c’è chi ci campa. I Beach Boys, per esempio, da sessanta anni. In Italia e nelle canzoni italiane è un termine proletario, da fagottari con le melanzane alla parmigiana. Però “Domenica d’agosto”(1969), scritta da Gianni Morandi e portata al successo da Bobby Solo, dimostrò che gli steccati ideologici e culturali poco contavano quando le canzoni avevano gli ingredienti giusti per catturare il pubblico: “Domenica d’agosto, che caldo fa/la spiaggia è un girarrosto, non servirà/bere una bibita/se in fondo all’anima sogno l’oceano, Splash!”. Brano entrato negli spot televisivi.
Ancor più proletario il ritornello di “Pinne, fucile ed occhiali”(1962) proposto da Edoardo Vianello: “Con le pinne, fucile ed occhiali/ quando il mare è una tavola blu/ sotto un cielo di mille colori/ ci tuffiamo con la testa all’ingiù. Splash!”. Indispensabile l’armamentario da sub della domenica. Proto trash la copertina: Vianello con lo smoking, goffo e immerso nell’acqua, a suo agio Maria Grazia Buccella in versione sirena. Una delle canzoni più campionate del cantante romano.
Tornando in America come dimenticare “Splish splash”(1958), di Bobby Darin (1936-1973), italo-americano (Roberto Cossotto) del Bronx, talmente bravo che l’anno dopo già interpretava Kurt Weil. I fans del rock and roll lo odiavano un po’ perché aveva sposato Sandra Dee(1942-2005), la reginetta dei teen film. Ai teenagers piaceva lei, non Marilyn Monroe, considerata un mito da “adulti”. Non a caso in “Grease” Olivia Newton John per sedurre John Travolta sguaina un’arma infallibile: “Look at me! I’m Sandra Dee!”.
Intanto il termine splash era entrato in tutti i comparti. Anche a Cape Canaveral per esempio. Quando il 23 marzo 1965 decollò Gemini 3, il primo volo spaziale effettuato con una capsula con un equipaggio composto da due astronauti, Gus Grison e John Watts Young, il termine era già in uso. Mentre gli astronauti scendevano cantavano “Blue moon”, ma da quel giorno non si chiamò più ammaraggio bensì “splash down”.
Dario Salvatori per Dagospia il 23 gennaio 2023.
A Sanremo torna l’Arca! Quella di Anna Oxa. Il titolo della sua canzone è “Sali”, ma c’è da giurare che il verso di cui si parlerà sarà “L’Arca dell’umanità andata a fondo”. Soltanto un’altra volta questo termine così desueto si fece strada, grazie a Sergio Endrigo che nel 1970 si piazzò al terzo posto con “L’arca di Noè” (in coppia con Iva Zanicchi), scritto in piena solitudine dal cantante istriano. Di questo testo, scritto senza Sergio Bardotti, se ne parlò subito: “Un volo di gabbiani telecomandati/e una spiaggia di conchiglie morte/nella notte una stella ghiacciata confonde il marinaio/la luna è piena di bandiere senza vento/che fatica essere uomini.”
E poi l’estrema cantabilità del ritornello: “Partirà/la nave partirà/dove arriverà questo non si sa/sarà come l’arca di Noè/il cane, il gatto io e te.”. Il testo venne subito fulminato da Lietta Tornabuoni che a quell’epoca seguiva Sanremo per “La Stampa”: “Una rimasticatura di Lorca”.
A seguire l’ansia di padre Ugolino Vagnuzzi,( dal 1962 guida spirituale di Adriano Celentano): “Questa canzone non lascia nemmeno uno spiraglio alla speranza.” Endrigo fu esortato a spiegare: “E’ molto semplice. I gabbiani telecomandati sono i missili e la luna piena di bandiere senza vento si riferisce alla bandiera di plastica piantata sul suolo lunare dagli americani.” Ma non finì così. Siccome nel testo si accennava al cherosene, gli ambientalisti, non ancora così organizzati, insorsero contro la civiltà della macchina, pesci morti, inquinamento, cancro. Il povero Endrigo fu costretto a ribadire ancora: “Il cherosene è un propellente. Punto. Colleghi più giovani parlano di diesel come il motore del Duemila, però non ve ne siete accorti. Che fatica essere uomo!”.
C’è da credere che l’atteggiamento di Anna Oxa sarà diverso, potente, non certo derivativo. “Sali”(canto dell’anima) è una canzone scritta da Francesco Bianconi (Baustelle) e Kaballà, due autori che già in passato hanno scritto per lei. La sua arca sarà più vicina a quella di Indiana Jones, forse custodirà un tesoro, vocalmente più avventurosa. Altrimenti non si torna a Sanremo dopo dodici anni. Anna Oxa ha sempre diviso: i giornalisti e gli addetti ai lavori che hanno ascoltato il brano si sono espressi dal 3 al 9, dimenticando che la Oxa è una performer a tutto campo.
Ricordate? Il debutto vestita da punk albanese, in seguito sale sul palco con un tappeto da yoga e ci si sdraia sopra, un’altra volta oliata come un culturista e ancora con il tanga in bellavista. Sono immagini che scorrono puntuali ogni volta che si ripropone la gallery sanremasca. Con questo suo ritorno la Oxa entra nel “Club dei 15”, ovvero gli interpreti che hanno calcato quel palco per quindici volte: Toto Cutugno, Milva, Al Bano, Peppino Di Capri.
Giurie e meccanismi di voto, eventi collaterali, esibizioni; Tutto ciò che c'è da sapere sulla 73 esima edizione del Festival. MARIA ASSUNTA CASTELLANO su Il Quotidiano del Sud il 23 Gennaio 2023
Tutto pronto (o quasi) per il Festival di Sanremo 2023, annunciati già i cantanti in gara (LEGGI LA NOTIZIA), delineate e definiti serate, ospiti e conduttori. Ma vediamo nel dettaglio cosa accadrà dal 7 all’11 febbraio.
LE SERATE
Non si conosce ancora l’ordine di esibizione degli artisti nelle cinque serate del Festival, ma si conosce il numero di cantanti ad esibirsi serata per serata. In apertura (7 febbraio) ascolteremo le canzoni della prima metà dei 28 artisti in gara. Nella seconda serata invece, la metà restante. Tutti e 28 i cantanti si esibiranno poi nella terza sera del festival (9 febbraio). La quarta serata (10 febbraio) è affidata alle cover e duetti e prevede l’esibizione di tutti i partecipanti con i loro ospiti. Stessa cosa per la sera conclusiva in cui tutti gli artisti si esibiranno, stavolta soli e con il loro brano in gara.
CONDUTTORI E CO-CONDUTTORI
Per quest’anno, oltre al già annunciato Amadeus (conduttore e direttore artistico), alla co-conduzione ci sarà Gianni Morandi per tutte e cinque le serate. Sarà poi l’imprenditrice digitale e influencer, Chiara Ferragni, ad affiancare agli altri due nella prima (7 febbraio) e nell’ultima serata (11 febbraio).
Nel secondo appuntamento con il Festival della canzone italiana (8 febbraio), la co-conduzione vedrà protagonista la giornalista Francesca Fagnani. Il 9 febbraio (terza serata), sarà la volta della pallavolista Paola Egonu. In fine, nella penultima sera (10 febbraio), co-condurrà l’attrice Chiara Francini.
GLI OSPITI
Alcuni sono già stati annunciati ma, si sa, Sanremo è pieno di sorprese e alcune arrivano anche in corso d’opera. Quel che è già stato reso noto è che ad aprire il Festival di Sanremo 2023 saranno Mahmood e Blanco con il loro brano vincitore della scorsa edizione, “Brividi”.
Attesa anche la reunion dei Pooh, a sei anni dall’ultima esibizione insieme. Sul palco dell’Ariston ci saranno Roby Facchinetti, Dodi Battaglia e Red Canzian. Accanto a loro anche Riccardo Fogli. Insieme faranno un omaggio a Stefano D’Orazio. Tra gli ospiti, annunciati anche Al Bano e Massimo Ranieri che si esibiranno assieme a Gianni Morandi (già co-conduttore) nella seconda serata.
Annunciati anche gli ospiti internazionali: l’8 febbraio previsti i Black Eyed Peas. Italianissimi ma oramai apprezzati in tutto il mondo, anche i Måneskin saranno ospiti del Festival, nella serata del 9 febbraio. Nella sera conclusiva del Festival, annunciato da Bruno Vespa, sarà presente in collegamento anche il presidente ucraino Volodymyr Zelensky.
I PALCHI COLLATERALI
Era nato con la 70esima edizione del Festival il grande palco in piazza Colombo per far vivere alla città l’aria della kermesse anche fuori dall’Ariston. E torna anche quest’anno con una serie di ospiti che canteranno. Prevista la presenza di Piero Pelù, Francesco Renga e Nek, Achille Lauro, Annalisa e La Rappresentante di Lista che si esibiranno in collegamento con il Teatro Ariston.
PALCO SUL MARE
Anche quest’anno, partner del Festival sarà Costa Crociere. Per l’occasione, su Costa Smeralda, ormeggiata a largo di Sanremo, ci sarà il “Palco sul mare” con numerosi ospiti che si esibiranno durante le cinque serate del festival. Già annunciata la presenza di Salmo, Fedez, Takagi & Ketra e Guè.
SANREMO 2023, GARA, GIURIA E VOTAZIONI
Nella prima e nella seconda serata (7 e 8 febbraio), a votare sarà la giuria della sala stampa, così suddivisa: un terzo carta stampata, un terzo radio e un terzo web. Nella terza serata (9 febbraio) il voto è affidato ancora alla sala stampa (50%) ala quale si aggiunge il televoto (50%). Il 10 febbraio (quarta serata) a votare saranno ancora una volta sala stampa (33%) e televoto (34%) ma interverrà anche la giuria demoscopica (33%). Nella serata conclusiva (11 febbraio) invece, a giudicare gli artisti sarà solo il televoto che verrà sommato ai voti ottenuti nelle precedenti classifiche.
Al termine della quinta serata, a differenza degli altri anni, non si avrà un podio dal quale scegliere il vincitore, ma verrà stilata la classifica dei primi cinque finalisti, con la somma di tutte le classifiche delle varie serate. A questo punto ripartirà la votazione, alla quale parteciperanno tutte le giurie (televoto, sala stampa, demoscopica) e verrà decretato il vincitore assoluto.
Gianluca Nicoletti per “la Stampa” l’11 dicembre 2023.
La scaletta ufficiale delle serate di Sanremo circola ogni sera on line. Quello che dovrebbe essere un documento, a esclusivo uso degli addetti ai lavori, è praticamente pubblico da un'ora prima che inizi la diretta della kermesse. Per questa ragione gran parte degli italiani quando Amadeus, con finto stupore, si è chiesto ieri sera: «dove è Gianni?… » Aveva già letto sulla scaletta: «Saluti… A seguire Amadeus si chiede dove sia Gianni che doveva entrare insieme a lui… A schiaffo su stacco audio di Zitti e buoni… Gianni in tenuta da podista entra correndo da platea e raggiunge il palco… Battute…»
È chiaro che lo zoccolo duro degli abbonati in prima fila conserverà tutto il piacere della sorpresa, si godrà ogni straordinario effetto meraviglia immaginato e scritto dall'esercito di autori. Tutti quelli però minimamente contaminati dall'emanazione del Festival che ha vita autonoma sui social, già dalle 20.00, avranno letto che alle 21:21: «Amadeus lancia ingresso dalle scale della Francini su stacco Orchestra… Chiara non scende e Ama fa alcuni gradini…A sorpresa lei risponde dalla platea (seduta)…»
Per chi conosce in anticipo una combine, quando la vede in tv pensa a una recita parrocchiale. È lampante che seguire Sanremo con la scaletta in mano è come prendere il bromuro prima di fare sesso. La scaletta è virale nel tam-tam dei social, alcune testate on line l'hanno pubblicata integralmente, chi la trova la condivide subito con amici, millantando amicizie altolocate nell'organizzazione del Festival.
Il bello è che ai giornalisti accreditati in sala stampa all'Ariston, almeno ufficialmente, questa scaletta dettagliata al minuto non viene data. La divulgazione della scaletta equivale a uno spoiler, all'uccisione del pathos di tutto il Festival, toglie ogni senso alle gag ai colpi di scena, annulla il senso del tempo liturgico del più sacro dei riti televisivi italiani. Di sicuro, la talpa che la fa trapelare ogni sera, poi dirà che la sua è una battaglia contro il Deep State.
Come evitare disturbi ed alterazioni della voce sul palco di Sanremo. Andrea Soglio su Panorama su 12 Febbraio 2023
Cause, sintomi e come prendersi cura dello strumento di comunicazione primaria. Soprattutto nella settimana del Festival Come evitare disturbi ed alterazioni della voce sul palco di Sanremo
Sul palco dell’Ariston, ventotto artisti si sfidano a colpi di gorgheggi e vocalizzi. In palio, uno dei premi più ambiti del panorama musicale nostrano. «Perchè Sanremo è Sanremo» riassume, nella sua semplicità, l’immensa rilevanza e risonanza del Festival della Canzone Italiana, giunto alla sua Settantatreesima edizione senza conoscere stanchezza o cedimento. Una festa che coinvolge la città Ligure e tiene incollato allo schermo il Paese intero, in platea così come sul divano di casa, e che ci ricorda, ancora una volta, il potere straordinario della musica di emozionarci, trasportarci, coinvolgerci. E così come i loro colleghi seduti nell’orchestra, anche i cantanti in gara devono prendersi cura del loro personalissimo strumento: la voce. Ad affiancare molti di loro troviamo validissimi Vocal Coach (uno per tutti, Pachy Scognamiglio. Esperto del mondo musicale, è il celebre vocal coach che “allena” la voce di Elodie, Madame, Mr.RAIN, Gianmaria, Shari, Olly e Sethu, tutti presenti in questa edizione del Festival), il cui lavoro spazia dalla gestione di ansia e stress all’allenamento e defaticamento delle corde vocali, senza trascurare la prevenzione da eventuali fattori infiammatori. La voce come "strumento" musicale e professionale
I cantanti possono andare incontro a frequenti alterazioni della voce parlata (disfonia) e cantata (disodia). La maggior parte degli esperti ritiene che il carico vocale giochi un ruolo significativo nel provocare disturbi della voce e nell'influenzare la risposta al trattamento. Chi deve utilizzare la voce per motivi professionali nel canto va incontro più frequentemente a patologie delle corde vocali, sia organiche che disfunzionali. A questo riguardo, è importante innanzitutto fare chiarezza su quasi siano le cause di possibili alterazioni vocali, e ai rimedi più efficaci. Quali sono le precauzioni per prendersi cura del proprio strumento, le corde vocali? Scopriamolo insieme al Professor Andrea Nacci, Specialista in Otorinolaringoiatria, Dirigente Medico. U.O. Otorinolaringoiatria, Audiologia e Foniatria Universitaria, Azienda Ospedaliero Universitaria Pisana e consulente Schwabe Pharma Italia. La salute vien bevendo: l’importanza dell’idratazione Un elemento che viene spesso trascurato è rappresentato dall’idratazione cordale- spiega il prof. Nacci- consigliata per la buona salute della voce e per prevenire o trattare alcuni casi di disfonia. Le cause di disidratazione delle corde vocali sono rappresentate da disidratazione sistemica, reflusso faringo-laringeo (risalita di contenuto gastrico a livello del tratto aereo digestivo superiore), processi flogistici acuti, fattori emotivi, abuso di caffè, tabacco e alcool, dieta iperproteica ed utilizzo di alcuni farmaci. Le laringiti acute, quindi, che determinano importanti alterazioni della voce, possono riconoscere non solo una etiologia infettiva (generalmente virale) ma possono essere anche una conseguenza di reflussi di materiale acido dallo stomaco.
Un alleato della voce: il farmaco vegetale
Nel primo caso, potranno essere consigliati farmaci vegetali ad azione antivirale- prosegue l’esperto- caratterizzati da rari effetti avversi e nella quasi totalità dei casi di lieve entità, e nel secondo caso antiacidi, citoprotettivi e/o dispositivi barriera come gli alginati. A conferma dell'importanza di una buona idratazione cordale, studi clinici e sperimentali hanno dimostrato che, in caso di disidratazione della laringe, si verificano alterazioni nella espressione di alcune proteine delle corde vocali che determinano in ultima analisi aumento dello sforzo fonatorio, aumento delle perturbazioni della frequenza fondamentale, minore efficienza di vibrazione ed accumulo di muco viscoso sulle corde vocali stesse. Gli stessi studi però concordano nel ritenere reversibili queste condizioni, per cui una adeguata reidratazione permette di migliorare la performance sia della voce parlata sia della voce cantata. Per questo motivo si consiglia di bere almeno due litri di acqua al giorno, ed in caso di disfonia/disodia si consiglia una idratazione locale con fumenti caldo umidi (ad esempio con camomilla) ed aerosol con acido ialuronico (molecola con proprietà idratanti, riparatrici e rigenerative della mucosa cordale). La voce ci mette tutti in “relazione" Attraverso la combinazione di intensità, altezza e timbro la voce riesce a trasmettere una vasta gamma di emozioni quali rabbia, gioia, tristezza e paura, indipendentemente dal significato delle parole. È una forma importante di espressione e prendersene cura nel modo corretto è fondamentale sia per chi usa la voce per ragioni professionali ma anche per tutte le persone. Perché comunicare è un'esigenza universale.
Sanremo 2023: le conduttrici, gli ospiti, i cachet e le serate, guida al Festival. Rachele De Cata su Panorama su 12 Febbraio 2023
Kit antisga, tazze per la colazione e giochini passatempo. Anche quest’anno i cantanti di Sanremo 2023 si sono sbizzarriti con i gadget da regalare in sala stampa. Piccoli doni dal valore simbolico per fare simpatia (e - chissà - addolcire un po’ il voto)
Sanremo 2023, i cantanti a caccia di giornalisti a colpi di gadget
Da quando Sanremo è lo show più chiacchierato d’Italia, si è diusa una pratica di marketing che è già una consuetudine. Ovvero presentare l’artista in sala stampa lasciando sulle scrivanie dei giornalisti un piccolo omaggio. E no, non parliamo di cd e vinili che potrebbero essere considerati strumenti di lavoro. Nella maggior parte dei casi si tratta di gadget ispirati alla canzone, che vengono cercati, barattati (come l’anno scorso con gli occhiali da sole colorati di Dargen D’Amico) o conservati come reliquie. Ovviamente non si tratta di oggetti con un reale valore economico, ma non manca chi se li accaparra per rivenderli su Ebay: successe qualche anno fa con gli occhiali di Ringo Starr dei Pinguini Tattici Nucleari, rivenduti a cinquanta euro, mentre il 45 giri di Musica Leggerissima (un’edizione stampata solo per la settimana di Sanremo) raggiunse la cifra record di 400 euro. Insomma, c’è del business. I gadget di Sanremo 2023 Premesso che ne girano tanti altri, ecco quello che abbiamo inlato nello zaino quest’anno. Iniziamo con lo Skaramantikit griato Tananai: