Denuncio al mondo ed ai posteri con i miei libri tutte le illegalità tacitate ed impunite compiute dai poteri forti (tutte le mafie). Lo faccio con professionalità, senza pregiudizi od ideologie. Per non essere tacciato di mitomania, pazzia, calunnia, diffamazione, partigianeria, o di scrivere Fake News, riporto, in contraddittorio, la Cronaca e la faccio diventare storia. Quella Storia che nessun editore vuol pubblicare. Quelli editori che ormai nessuno più legge.

Gli editori ed i distributori censori si avvalgono dell'accusa di plagio, per cessare il rapporto. Plagio mai sollevato da alcuno in sede penale o civile, ma tanto basta per loro per censurarmi.

I miei contenuti non sono propalazioni o convinzioni personali. Mi avvalgo solo di fonti autorevoli e credibili, le quali sono doverosamente citate.

Io sono un sociologo storico: racconto la contemporaneità ad i posteri, senza censura od omertà, per uso di critica o di discussione, per ricerca e studio personale o a scopo culturale o didattico. A norma dell'art. 70, comma 1 della Legge sul diritto d'autore: "Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l'utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali."

L’autore ha il diritto esclusivo di utilizzare economicamente l’opera in ogni forma e modo (art. 12 comma 2 Legge sul Diritto d’Autore). La legge stessa però fissa alcuni limiti al contenuto patrimoniale del diritto d’autore per esigenze di pubblica informazione, di libera discussione delle idee, di diffusione della cultura e di studio. Si tratta di limitazioni all’esercizio del diritto di autore, giustificate da un interesse generale che prevale sull’interesse personale dell’autore.

L'art. 10 della Convenzione di Unione di Berna (resa esecutiva con L. n. 399 del 1978) Atto di Parigi del 1971, ratificata o presa ad esempio dalla maggioranza degli ordinamenti internazionali, prevede il diritto di citazione con le seguenti regole: 1) Sono lecite le citazioni tratte da un'opera già resa lecitamente accessibile al pubblico, nonché le citazioni di articoli di giornali e riviste periodiche nella forma di rassegne di stampe, a condizione che dette citazioni siano fatte conformemente ai buoni usi e nella misura giustificata dallo scopo.

Ai sensi dell’art. 101 della legge 633/1941: La riproduzione di informazioni e notizie è lecita purché non sia effettuata con l’impiego di atti contrari agli usi onesti in materia giornalistica e purché se ne citi la fonte. Appare chiaro in quest'ipotesi che oltre alla violazione del diritto d'autore è apprezzabile un'ulteriore violazione e cioè quella della concorrenza (il cosiddetto parassitismo giornalistico). Quindi in questo caso non si fa concorrenza illecita al giornale e al testo ma anzi dà un valore aggiunto al brano originale inserito in un contesto più ampio di discussione e di critica.

Ed ancora: "La libertà ex art. 70 comma I, legge sul diritto di autore, di riassumere citare o anche riprodurre brani di opere, per scopi di critica, discussione o insegnamento è ammessa e si giustifica se l'opera di critica o didattica abbia finalità autonome e distinte da quelle dell'opera citata e perciò i frammenti riprodotti non creino neppure una potenziale concorrenza con i diritti di utilizzazione economica spettanti all'autore dell'opera parzialmente riprodotta" (Cassazione Civile 07/03/1997 nr. 2089).

Per questi motivi Dichiaro di essere l’esclusivo autore del libro in oggetto e di tutti i libri pubblicati sul mio portale e le opere citate ai sensi di legge contengono l’autore e la fonte. Ai sensi di legge non ho bisogno di autorizzazione alla pubblicazione essendo opere pubbliche.

Promuovo in video tutto il territorio nazionale ingiustamente maltrattato e censurato. Ascolto e Consiglio le vittime discriminate ed inascoltate. Ogni giorno da tutto il mondo sui miei siti istituzionali, sui miei blog d'informazione personali e sui miei canali video sono seguito ed apprezzato da centinaia di migliaia di navigatori web. Per quello che faccio, per quello che dico e per quello che scrivo i media mi censurano e le istituzioni mi perseguitano. Le letture e le visioni delle mie opere sono gratuite. Anche l'uso è gratuito, basta indicare la fonte. Nessuno mi sovvenziona per le spese che sostengo e mi impediscono di lavorare per potermi mantenere. Non vivo solo di aria: Sostienimi o mi faranno cessare e vinceranno loro. 

Dr Antonio Giangrande  

NOTA BENE

NESSUN EDITORE VUOL PUBBLICARE I  MIEI LIBRI, COMPRESO AMAZON, LULU E STREETLIB

SOSTIENI UNA VOCE VERAMENTE LIBERA CHE DELLA CRONACA, IN CONTRADDITTORIO, FA STORIA

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ABOLIZIONE DEI CONCORSI TRUCCATI E LIBERALIZZAZIONE DELLE PROFESSIONI

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WEB TV: TELE WEB ITALIA

108x36 NEWS: RASSEGNA STAMPA - CONTROVOCE - NOTIZIE VERE DAL POPOLO - NOTIZIE SENZA CENSURA

 

  

 

L’ITALIA ALLO SPECCHIO

IL DNA DEGLI ITALIANI

 

 

ANNO 2023

LO SPETTACOLO

E LO SPORT

TERZA PARTE

 

 

DI ANTONIO GIANGRANDE


 

L’APOTEOSI

DI UN POPOLO DIFETTATO

Questo saggio è un aggiornamento temporale, pluritematico e pluriterritoriale, riferito al 2023, consequenziale a quello del 2022. Gli argomenti ed i territori trattati nei saggi periodici sono completati ed approfonditi in centinaia di saggi analitici specificatamente dedicati e già pubblicati negli stessi canali in forma Book o E-book, con raccolta di materiale riferito al periodo antecedente. Opere oggetto di studio e fonti propedeutiche a tesi di laurea ed inchieste giornalistiche.

Si troveranno delle recensioni deliranti e degradanti di queste opere. Il mio intento non è soggiogare l'assenso parlando del nulla, ma dimostrare che siamo un popolo difettato. In questo modo è ovvio che l'offeso si ribelli con la denigrazione del palesato.


 

IL GOVERNO


 

UNA BALLATA PER L’ITALIA (di Antonio Giangrande). L’ITALIA CHE SIAMO.

UNA BALLATA PER AVETRANA (di Antonio Giangrande). L’AVETRANA CHE SIAMO.

PRESENTAZIONE DELL’AUTORE.

LA SOLITA INVASIONE BARBARICA SABAUDA.

LA SOLITA ITALIOPOLI.

SOLITA LADRONIA.

SOLITO GOVERNOPOLI. MALGOVERNO ESEMPIO DI MORALITA’.

SOLITA APPALTOPOLI.

SOLITA CONCORSOPOLI ED ESAMOPOLI. I CONCORSI ED ESAMI DI STATO TRUCCATI.

ESAME DI AVVOCATO. LOBBY FORENSE, ABILITAZIONE TRUCCATA.

SOLITO SPRECOPOLI.

SOLITA SPECULOPOLI. L’ITALIA DELLE SPECULAZIONI.


 

L’AMMINISTRAZIONE


 

SOLITO DISSERVIZIOPOLI. LA DITTATURA DEI BUROCRATI.

SOLITA UGUAGLIANZIOPOLI.

IL COGLIONAVIRUS.

SANITA’: ROBA NOSTRA. UN’INCHIESTA DA NON FARE. I MARCUCCI.


 

L’ACCOGLIENZA


 

SOLITA ITALIA RAZZISTA.

SOLITI PROFUGHI E FOIBE.

SOLITO PROFUGOPOLI. VITTIME E CARNEFICI.


 

GLI STATISTI


 

IL SOLITO AFFAIRE ALDO MORO.

IL SOLITO GIULIO ANDREOTTI. IL DIVO RE.

SOLITA TANGENTOPOLI. DA CRAXI A BERLUSCONI. LE MANI SPORCHE DI MANI PULITE.

SOLITO BERLUSCONI. L'ITALIANO PER ANTONOMASIA.

IL SOLITO COMUNISTA BENITO MUSSOLINI.


 

I PARTITI


 

SOLITI 5 STELLE… CADENTI.

SOLITA LEGOPOLI. LA LEGA DA LEGARE.

SOLITI COMUNISTI. CHI LI CONOSCE LI EVITA.

IL SOLITO AMICO TERRORISTA.

1968 TRAGICA ILLUSIONE IDEOLOGICA.


 

LA GIUSTIZIA


 

SOLITO STEFANO CUCCHI & COMPANY.

LA SOLITA SARAH SCAZZI. IL DELITTO DI AVETRANA.

LA SOLITA YARA GAMBIRASIO. IL DELITTO DI BREMBATE.

SOLITO DELITTO DI PERUGIA.

SOLITA ABUSOPOLI.

SOLITA MALAGIUSTIZIOPOLI.

SOLITA GIUSTIZIOPOLI.

SOLITA MANETTOPOLI.

SOLITA IMPUNITOPOLI. L’ITALIA DELL’IMPUNITA’.

I SOLITI MISTERI ITALIANI.

BOLOGNA: UNA STRAGE PARTIGIANA.


 

LA MAFIOSITA’


 

SOLITA MAFIOPOLI.

SOLITE MAFIE IN ITALIA.

SOLITA MAFIA DELL’ANTIMAFIA.

SOLITO RIINA. LA COLPA DEI PADRI RICADE SUI FIGLI.

SOLITO CAPORALATO. IPOCRISIA E SPECULAZIONE.

LA SOLITA USUROPOLI E FALLIMENTOPOLI.

SOLITA CASTOPOLI.

LA SOLITA MASSONERIOPOLI.

CONTRO TUTTE LE MAFIE.


 

LA CULTURA ED I MEDIA


 

LA SCIENZA E’ UN’OPINIONE.

SOLITO CONTROLLO E MANIPOLAZIONE MENTALE.

SOLITA SCUOLOPOLI ED IGNORANTOPOLI.

SOLITA CULTUROPOLI. DISCULTURA ED OSCURANTISMO.

SOLITO MEDIOPOLI. CENSURA, DISINFORMAZIONE, OMERTA'.


 

LO SPETTACOLO E LO SPORT


 

SOLITO SPETTACOLOPOLI.

SOLITO SANREMO.

SOLITO SPORTOPOLI. LO SPORT COL TRUCCO.


 

LA SOCIETA’


 

AUSPICI, RICORDI ED ANNIVERSARI.

I MORTI FAMOSI.

ELISABETTA E LA CORTE DEGLI SCANDALI.

MEGLIO UN GIORNO DA LEONI O CENTO DA AGNELLI?


 

L’AMBIENTE


 

LA SOLITA AGROFRODOPOLI.

SOLITO ANIMALOPOLI.

IL SOLITO TERREMOTO E…

IL SOLITO AMBIENTOPOLI.


 

IL TERRITORIO


 

SOLITO TRENTINO ALTO ADIGE.

SOLITO FRIULI VENEZIA GIULIA.

SOLITA VENEZIA ED IL VENETO.

SOLITA MILANO E LA LOMBARDIA.

SOLITO TORINO ED IL PIEMONTE E LA VAL D’AOSTA.

SOLITA GENOVA E LA LIGURIA.

SOLITA BOLOGNA, PARMA ED EMILIA ROMAGNA.

SOLITA FIRENZE E LA TOSCANA.

SOLITA SIENA.

SOLITA SARDEGNA.

SOLITE MARCHE.

SOLITA PERUGIA E L’UMBRIA.

SOLITA ROMA ED IL LAZIO.

SOLITO ABRUZZO.

SOLITO MOLISE.

SOLITA NAPOLI E LA CAMPANIA.

SOLITA BARI.

SOLITA FOGGIA.

SOLITA TARANTO.

SOLITA BRINDISI.

SOLITA LECCE.

SOLITA POTENZA E LA BASILICATA.

SOLITA REGGIO E LA CALABRIA.

SOLITA PALERMO, MESSINA E LA SICILIA.


 

LE RELIGIONI


 

SOLITO GESU’ CONTRO MAOMETTO.


 

FEMMINE E LGBTI


 

SOLITO CHI COMANDA IL MONDO: FEMMINE E LGBTI.


 

LO SPETTACOLO E LO SPORT


 

INDICE PRIMA PARTE


 

SOLITO SPETTACOLOPOLI. (Ho scritto un saggio dedicato)

L’Artista.

Il rapper, il trapper oppure del sottogenere dei «gangsta».

L’hip-hop.

L'Autotune.

Si stava meglio quando si stava peggio.

Laureati.

Gli Stadi.

Imprenditori ed Agenti.

Gli Autori.

I Parolieri.

Il Plagio.

Le Colonne Sonore d’Italia.

Le Fake news.

Le Relazioni astratte.

Le Hollywood d’Italia.

Revenge songs.

Achille Lauro.

Ada Alberti.

Adele.

Adriano Celentano.

Adriano Pappalardo.

Ainett Stephens.

Alain Delon.

Alan Sorrenti.

Alba Parietti.

Alberto Fortis.

Alberto Marozzi. 

Al Bano Carrisi.

Al Pacino.

Aldo Savoldello: Mago Silvan.

Aldo, Giovanni e Giacomo.

Ale e Franz.

Alec Baldwin.

Alena Seredova.

Alessandra Martines.

Alessandra Mastronardi.

Alessandra e Valentina Giudicessa.

Aleandro Baldi.

Alessandro Baricco.

Alessandro Benvenuti.

Alessandro Bergonzoni.

Alessandro Borghi.

Alessandro Cattelan.

Alessandro Cecchi Paone.

Alessandro e Leo Gassmann.

Alessandro Haber.

Alessandro Preziosi e Vittoria Puccini.

Alessia Fabiani.

Alessia Marcuzzi.

Alessia Merz.

Alex Britti.

Alex Di Luca.

Alexia.

Alfonso Signorini.

Alvaro Vitali.

Amadeus.

Amanda Lear.

Amara Rakhi Gill.

Ambra Angiolini.

Amedeo Minghi.

Amleto Marco Belelli, il Divino Otelma.

Anastasia Bartoli.

Andrea Bocelli.

Andrea Delogu.

Andrea Pucci.

Andrea Roncato.

Angela Cavagna.

Angela White.

Angelina Jolie.

Angelo Branduardi.

Angelo Duro.

Annalisa.

Anna Chetta alias Linda Lorenzi.

Anna Falchi.

Anna Mazzamauro.

Anna Tatangelo.

Anna Valle.

Antonella Clerici.

Antonella Elia.

Antonella Marino.

Antonino Cannavacciuolo.

Antonio Banderas.

Antonio Diodato.

Antonio Albanese.

Antonio Ricci.

Ariete si chiama Arianna Del Giaccio.

Arnold Schwarzenegger.

Articolo 31.

Arturo Brachetti.

Asia e Dario Argento.

Barbara Bouchet.

Barbara D’Urso.

Barbra Streisand.

Beatrice Fazi.

Beatrice Rana.

Beatrice Venezi.

Bebe Buell.

Belen Rodriguez e Stefano De Martino.

Beppe Convertini.

Beppe o Peppe Vessicchio.

Biagio Antonacci.

Bianca Balti.

Bob Dylan.

Bobby Solo: Roberto Satti.

Brad Pitt.

Brenda Lodigiani.

Brendan Fraser.

Brigitte Bardot.

Britney Spears.

Brooke Shields.

Bruce Willis.

Bruno Gambarotta.

Bugo.

Candy Love.

Carla Signoris.

Carlo Conti.

Carlo Freccero.

Carlo Verdone.

Carlotta Mantovan.

Carmen Russo.

Carol Alt.

Carole Andrè.

Carolina Crescentini.

Cate Blanchett.

Caterina Caselli.

Catherine Deneuve.

Catiuscia Maria Stella Ricciarelli: Katia Ricciarelli.

Cecilia Gasdìa.

Celine Dion.

Cesare Cremonini.

Capri Cavanni.

Charlize Theron.

Cher.

Chiara Claudi.

Chiara Francini.

Chiara Mastroianni.

Christian Clay.

Christian De Sica.

Christina Aguilera.

Christopher Walken.

Chu Meng Shu.

Cinzia Leone.

Cirque du Soleil.

Clara Serina.

Claudia Cardinale.

Claudia Gerini.

Claudia Koll.

Claudia Pandolfi.

Claudio Amendola.

Claudio Baglioni.

Claudio Cecchetto.

Claudio Lippi.

Claudio Santamaria.

Clint Eastwood.

CJ Miles.

Colapesce e Dimartino.

Colin Farrell.

Coma_Cose.

Corrado Tedeschi.

Costantino della Gherardesca.

Costantino Vitagliano.

Cristiana Capotondi.

Cristiano De André.

Cristiano Malgioglio.

Cristina Comencini.

Cristina D’Avena.

Cristina Scuccia.


 

INDICE SECONDA PARTE


 

SOLITO SPETTACOLOPOLI. (Ho scritto un saggio dedicato)

Dado.

Dalila Di Lazzaro.

Daniel Craig.

Daniele Luttazzi.

Daniele Silvestri.

Dargen D'Amico.

Dario Farina.

David Lee.

Den Harrow.

Dennis Fantina.

Diana Del Bufalo.

Diego Dalla Palma.

Diego Abatantuono.

Diletta Leotta.

Donatella Rettore.

Dredd.

Drusilla Foer.

Ed Sheeran.

Edoardo Bennato.

Edoardo Costa.

Edoardo Vianello.

Edwige Fenech.

Elena Di Cioccio.

Elena Santarelli.

Elenoire Casalegno.

Eleonora Abbagnato.

Eleonora Daniele.

Eleonora Giorgi.

Elettra Lamborghini.

Elisa Isoardi.

Elisabetta Valentini.

Elodie.

Ema Stockolma.

Emanuela Fanelli.

Emanuela Folliero.

Emanuela Trane: Dolcenera.

Emma Marrone.

Enrica Bonaccorti.

Enrico Bertolino.

Enrico Beruschi.

Enrico Brignano.

Enrico Lo Verso.

Enrico Ruggeri.

Enrico Silvestrin.

Enrico Vanzina.

Enza Sampò.

Enzo Braschi.

Enzo Ghinazzi, in arte Pupo.

Enzo Iacchetti.

Ernia.

Eros Ramazzotti.

Eugenio Finardi.

Euridice Axen.

Eva Elfie.

Eva Henger.

Eva Menta e Alex Mucci.

Eva Riccobono.

Eva Robin’s.

Ezio Greggio.

Fabio Concato.

Fabio De Luigi.

Fabio Fazio.

Fabio Rovazzi.

Fabrizio Bentivoglio.

Fabrizio Biggio e Francesco Mandelli.

Fabrizio Bracconeri.

Fabrizio Corona.

Fabrizio Moro.

Fanny Ardant.

Fedez e Chiara Ferragni.

Ferzan Ozpetek.

Ficarra e Picone.

Filippa Lagerbäck e Daniele Bossari.

Fiordaliso.

Fiorella Mannoia.

Fiorella Pierobon.

Fioretta Mari.

Francesca Alotta.

Francesca Michielin.

Francesca Neri.

Francesca Reggiani.

Francesco Baccini.

Francesco De Gregori.

Francesco Facchinetti.

Francesco Guccini.

Francesco Leone.

Francesco Nuti.

Francesco Pannofino.

Francesco Renga.

Francesco Salvi.

Francis Ford Coppola.

Franco Nero.

Francois Ozon.

Frank Matano.

Frankie Hi Nrg Mc.

Gabriel Garko.

Gabriele e Silvio Muccino.

Gabriele Salvatores.

Gabriella Golia.

Gabry Ponte.

Gaiè.

Gazzelle, all’anagrafe Flavio Bruno Pardini.

Gegia (Francesca Antonaci).

Gene Gnocchi.

George Benson.

Geppi Cucciari.

Gerry Scotti.

Ghali.

Gianna Nannini.

Gigi e Andrea.

Giampiero Ingrassia.

Giancarlo Giannini.

Giancarlo Magalli.

Gianluca Colucci: Gianluca Fru.

Gianluca Grignani.

Gianmarco Tognazzi.

Gianni e Marco Morandi.

Gigi D'Alessio e Anna Tatangelo.

Gigi Folino e il Gruppo Italiano.

Gigliola Cinquetti.

Gino Paoli.

Gino & Michele.

Giorgia.

Giorgia Surina.

Giorgio Mastrota.

Giorgio Pasotti.

Giovanna Mezzogiorno.

Giovanni Caccamo.

Giovanni Muciaccia.

Giovanni Pietro Damian: Sangiovanni.

Giovanni Scialpi.

Giuliana De Sio.

Giulio Rapetti Mogol.

Giulio Scarpati.

Giuseppe Tornatore.

Gli AC/DC.

Gli Inti-Illimani.

Gloria Guida.

Guendalina Tavassi.

Guillermo Mariotto.

Guns N' Roses.

Gwyneth Paltrow.

Henry Winkler.

Harry Styles.

Helen Mirren.

Heather Parisi.

Eva Herzigova.

Eva Longoria.

Iaia Forte.

Gli Skiantos.

I Baustelle.

I Cccp Fedeli alla Linea. 

I Cugini di Campagna.

I Gialappa' s Band.

I Guzzanti.

I Jalisse.

Il Volo.

I Maneskin.

I Marlene Kuntz.

I Metallica.

I Modà.

I Negramaro.

I Pooh.

I Righeira.

I Ricchi e Poveri.

I Rolling Stones.

I Santi Francesi.

I Sex Pistols.

Ilary Blasi.

Elena Anna, Ilona Staller: Cicciolina.

Irene Maestrini.

Isabella Ferrari.

Isabella Rossellini.

Isotta.

Iva Zanicchi.

Ivan Cattaneo.

Ivana Spagna.

Ivano Fossati.

Jack Nicholson.

Jane Fonda.

Jennie Rose.

Jeremy Renner.

Jerry Calà.

Jo Squillo.

John Malkovich.

Johnny Depp.

Johnny Dorelli.

Joss Stone.

Jude Law.

Julia Roberts.

Justine Mattera.


 

INDICE TERZA PARTE


 

SOLITO SPETTACOLOPOLI. (Ho scritto un saggio dedicato)

Kanye West.

Kasia Smutniak.

Kate Winslet.

Ke Hui Quan.

Kevin Costner.

Kevin Spacey.

Kira Noir.

Lady Gaga.

Laetitia Casta.

La Gialappa’s Band.

Lalla Esposito.

Lars von Trier.

Laura Chiatti.

Laura Freddi.

Laura Morante.

Laura Pausini.

Lavinia Abate.

Lazza.

Lella Costa.

Lenny Kravitz.

Leo Gullotta.

Leonardo DiCaprio.

Leonardo Pieraccioni.

Levante.

Lewis Capaldi.

Lia Lin.

Licia Colò.

Liliana Cavani.

Lily Veroni.

Lina Sotis.

Linda Evangelista.

Lino Banfi.

Linus.

Lisa Galantini.

Little Dragon.

Lizzo.

Lo Stato Sociale.

Loredana Bertè.

Lorella Cuccarini.

Lorenzo Cherubini: Jovanotti.

Loretta Goggi.

Lory Del Santo.

Luc Besson.

Luc Merenda.

Luca Argentero.

Luca Barbareschi.

Luca e Paolo.

Luca Medici: Checco Zalone.

Luca Miniero.

Luca Ravenna.

Lucia Mascino.

Luciana Littizzetto.

Ludovica Martino.

Ludovico Peregrini.

Luigi Lo Cascio.

Luisa Corna.

Luisa Ranieri.

Luna Star.

Madame.

Maddalena Corvaglia.

Madonna.

Mago Forest, alias Michele Foresta.

Mahmood.

Malena, all’anagrafe Filomena Mastromarino.

Malika Ayane.

Manila Nazzaro.

Manuel Agnelli.

Manuela Arcuri.

Mara Maionchi.

Mara Venier.

Marcella Bella.

Marco Bellocchio.

Marco Bocci.

Marco Columbro.

Marco Della Noce.

Marco Ferradini.

Marco Giallini.

Marco Masini.

Marco Mengoni.

Marco Predolin.

Marco Risi.

Margherita Buy.

Maria Giovanna Elmi.

Maria Grazia Buccella.

Maria Grazia Cucinotta.

Maria Sofia Federico.

Maria Teresa Ruta.

Marina Suma.

Mario Biondi.

Mariolina Cannuli.

Marisa Laurito.

Marisela Federici.

Martin Scorsese.

Mascia Ferri.

Massimo Boldi.

Massimo Ceccherini.

Massimo Ciavarro.

Massimo Ghini.

Massimo Ranieri.

Matilda De Angelis.

Matilde Gioli.

Mattia Zenzola.

Maurizio Battista.

Maurizio Ferrini.

Maurizio Milani.

Maurizio Potocnik, in arte Reeds.

Maurizio Seymandi.

Maurizio Vandelli.

Maurizio Zamboni .

Mauro Coruzzi alias Platinette.

Mauro Pagani.

Max Felicitas.

Max Laudadio.

Max Pezzali e gli 883.

Megan Daw.

Megan Gale.

Mel Brooks.

Melissa Stratton.

Memo Remigi.

Micaela Ramazzotti.

Michael Caine.

Michael J. Fox.

Michele Guardì.

Michele Placido.

Michele Riondino.

Michelle Hunziker.

Michelle Yeoh.

Mika.

Milena Vukotic.

Mina.

Minnie Minoprio.

Miranda Martino.

Mita Medici.

Monica Bellucci.

Morgan.

Myss Keta.

Mr. Rain.

Nada.

Nancy Brilli.

Nanni Moretti.

Natasha Stefanenko.

Naomi Campbell.

Neri Parenti.

Nicole Doshi.

Niccolò Fabi.

Nina Moric.

Nina Zilli.

Nino D'Angelo.

Nino Formicola: Gaspare di Zuzzurro e Gaspare.

Nino Frassica.

Noomi Rapace.


 

INDICE QUARTA PARTE


 

SOLITO SPETTACOLOPOLI. (Ho scritto un saggio dedicato)

Omar Pedrini.

Omar Sharif.

Orietta Berti.

Ornella Muti.

Ornella Vanoni.

Ozzy Osbourne.

Pamela Anderson.

Pamela Prati.

Pamela Villoresi.

Paola Barale e Raz Degan.

Paola&Chiara.

Paola Gassman e Ugo Pagliai.

Paola Perego.

Paola Pitagora.

Paola Turci.

Paolo Belli.

Paolo Calabresi.

Paolo Conte.

Paolo Rossi.

Paris Hilton.

Pasquale Petrolo in arte Lillo; Claudio Gregori in arte Greg.

Patty Pravo.

Patti Smith.

Peppino di Capri.

Peter Gabriel.

Pico.

Pier Francesco Pingitore.

Pierfrancesco Favino.

Pier Luigi Pizzi.

Piero Chiambretti.

Piero Pelù.

Piero Pintucci. 

Pilar Fogliati.

Pino Insegno.

Pino Scotto.

Pio ed Amedeo.

Playtoy Orchestra.

Povia.

Pupi Avati.

Quentin Tarantino.

Quincy Jones.

Raf.

Renato Pozzetto.

Renato Zero.

Renzo Arbore.

Ricky Martin.

Rita Pavone.

Ringo.

Robbie Williams.

Robert De Niro.

Roberta Lena.

Roberto da Crema.

Roberto Vecchioni.

Rocco Hunt.

Rocco Papaleo.

Rocco Siffredi.

Rocío Muñoz Morales e Raoul Bova.

Roman Polanski.

Ron: Rosalino Cellamare.

Ronn Moss.

Rosa Chemical.

Rosalba Pippa: Arisa.

Rosanna Fratello.

Rosario e Giuseppe Fiorello.

Rupert James Hector Everett.

Sabina Ciuffini.

Sabrina Impacciatore.

Sabrina Salerno.

Samuel L. Jackson.

Sandy Marton.

Sandra Milo.

Sara Diamante.

Sara Tommasi.

Scarlett Johansson.

Sean Penn.

Selen.

Selva Lapiedra.

Serena Grandi.

Sergio Caputo.

Sergio Castellitto.

Sergio Rubini.

Sergio Vastano.

Sergio Volpini.

Sharon Stone e Michael Douglas.

Shakira.

Simona Izzo.

Simona Tabasco.

Simona Ventura.

Simone Cristicchi.

Syusy Blady e Patrizio Roversi.

Sofia Scalia e Luigi Calagna, Sofì e Luì: Me contro Te.

Sonia Bruganelli e Paolo Bonolis.

Sophia Loren.

Stanley Tucci.

Stefania Orlando.

Stefania e Silvia Rocca.

Stefania Sandrelli.

Stefano Accorsi.

Susan Sarandon.

Susanna Messaggio.

Sydne Rome.

Sylvester Stallone.

Sveva Sagramola.

SZA, vero nome Solána Imani Rowe.

Taylor Swift.

Tananai.

Terence Blanchard.

Teresa Mannino.

Teresa Saponangelo.

Teo Mammucari.

Teo Teocoli.

Tiberio Timperi.

Tim Burton.

Tinto Brass.

Tiziana Rivale.

Tiziano Ferro.

Tom Cruise.

Tom Hanks.

Tommaso Paradiso.

Toto Cutugno.

Tullio Solenghi.

U 2.

Uccio De Santis.

Ultimo.

Umberto Smaila.

Wanna Marchi.

Will Smith.

Woody Allen.

Valentina Lodovini.

Valeria Golino e Riccardo Scamarcio.

Valeria Marini.

Valeria Rossi.

Valeria Solarino.Valerio Scanu.

Valerio Staffelli.

Vanessa Gravina.

Vasco Rossi.

Vera Gemma.

Veronica Maya.

Victoria Cabello.

Vincenzo Salemme.

Viola Valentino.

Vittoria Belvedere.

Vladimir Luxuria.

Zucchero Fornaciari.

Yuko Ogasawara.

Xxlayna Marie.


 

INDICE QUINTA PARTE


 

SOLITO SANREMO. (Ho scritto un saggio dedicato)

Sanremo 2024.

Sanremo. Sociologia di un festival.

La Selezione…truccata.

I Precedenti.

Il FantaSanremo.

Gli Inediti.

I Ti caccio o non ti caccio?

Gli Scandali.

La Politica.

Le Anticipazioni. Il Pre-Voto.

Quello che c’è da sapere.

I Co-conduttori.

I Super Ospiti.

Testi delle canzoni di Sanremo 2023.

La Prima Serata.

La Seconda Serata.

La Terza Serata.

La Quarta Serata.

La Quinta ed Ultima Serata.


 

INDICE SESTA PARTE


 

SOLITO SPORTOPOLI. LO SPORT COL TRUCCO. (Ho scritto un saggio dedicato)

Il Certificato medico sportivo.

Giochi Sporchi del 2022.

Quelli che…il Coni.

Quelli che…il Calcio. La Fifa.

Quelli che…La Uefa.

Quelli che…il Calcio. La Superlega.

Quelli che…il Calcio. La FIGC.

Quelli che…una Compagnia di S-Ventura.

Quelli che…i tiri Mancini.

La Furbata.

Quelli che…il Calcio. Gli Arbitri.

Quelli che…il Calcio. La Finanza.

Quelli che…il Calcio. I Procuratori.

Quelli che…il Calcio. I Tifosi.

Quelli che…il Calcio. I Figli d’Arte.

Quelli che…il Calcio. La Politica.

Quelli che…il Calcio. Gli Altri.

Quelli che…il Calcio. Lionel Messi.


 

INDICE SETTIMA PARTE


 

SOLITO SPORTOPOLI. LO SPORT COL TRUCCO. (Ho scritto un saggio dedicato)

Quelli che…il Calcio. Le Squadre.


 

INDICE OTTAVA PARTE


 

SOLITO SPORTOPOLI. LO SPORT COL TRUCCO. (Ho scritto un saggio dedicato)

Quelli che…il Calcio. Le Squadre.

Il Calcioscommesse.

Quelli che…I Traditori.

Quelli che…Fine hanno fatto.


 

INDICE NONA PARTE


 

SOLITO SPORTOPOLI. LO SPORT COL TRUCCO. (Ho scritto un saggio dedicato)

I 10 proprietari più ricchi nello sport.

Quelli che…I Superman.

Quelli che…è andato tutto storto.

Quelli che…la Palla Canestro.

Quelli che…la pallavolo.

Quelli che il Rugby.

Quelli che ti picchiano.

Quelli che…il Tennis.

Quelli che…il pattinaggio.

Quelli che…l’atletica.

Quelli che…i Motori.

Quelli che…la Bicicletta.

Quelli che…gli Sci.

Quelli che…il Nuoto.

Quelli che…la Barca.

Quelli che…l’Ippica.

Quelli che… il Curling.

Il Doping.


 

LO SPETTACOLO E LO SPORT

TERZA PARTE



 

SOLITO SPETTACOLOPOLI. (Ho scritto un saggio dedicato)

Bianca Censori, chi è l'ultima moglie di Kanye West. Ventotto anni australiana, Bianca Censori è la donna che da nove mesi è al fianco del rapper Kanye West. Ecco chi è l'architetto che ha preso il posto di Kim Kardashian. Novella Toloni il 16 Settembre 2023 su Il Giornale.

Tabella dei contenuti

 Il matrimonio con Kanye West

 Chi è Bianca Censori

 La trasformazione

Da perfetta sconosciuta a star del web in appena sei mesi. La nuova moglie di Kanye West, Bianca Censori, non smette di fare parlare di sé e i motivi sono più di uno. Il primo, la strabiliante somiglianza con Kim Kardashian, prima moglie del rapper. Il secondo, gli stravaganti outfit con i quali si sta mostrando durante la sua lunghissima vacanza in Italia. Il terzo, il suo passato è praticamente sconosciuto.

Fino a gennaio 2023 Bianca Censori era una perfetta sconosciuta. Poi la notizia del matrimonio segreto con il rapper americano Kanye West - fresco di divorzio dalla Kardashian - l'ha catapultata sulla scena. I siti americani hanno cominciato a parlare di lei e in Italia il suo nome e il suo volto sono diventati famosi per lo scandalo di Venezia.

Il matrimonio con Kanye West

Tmz prima e il Daily Mail dopo hanno riferito che Kanye West e Bianca Censori si sono sposati il 9 gennaio di quest'anno con una cerimonia privata. L'unione non sarebbe stata regolarizzata però, vista l'assenza di un certificato di matrimonio. Dopo il "sì" la coppia sarebbe volata nello Utah per una romantica luna di miele in un elegante resort. Da quel momento, Ye - così si fa chiamare il rapper da oltre un anno - e Bianca si sono mostrati in pubblico sempre insieme e le voci sul matrimonio si sono concretizzate quando il rapper ha sfoggiato una fedina all'anulare sinistro lo scorso febbraio a Los Angeles.

"Banditi a vita". Kanye West scandaloso a Venezia: cosa è successo

Chi è Bianca Censori

Sull'identità di Bianca Censori e sul suo passato invece si sa molto poco. Le uniche notizie che si hanno sul suo conto - oltre all'età, 28 anni, è le origini, Melbourne in Australia - provengono dal suo account LinkedIn. Nel suo curriculum digitale si legge che l'australiana si è laureata in Architettura presso l'Università di Melbourne nel 2017 e nel 2020 ha conseguito un master sempre in Architettura. Dopo avere provato a sfondare nel mondo del fashion design con una sua linea di gioielli - Nylons Jewellery - la Censori ha lavorato come consulente di design presso Kelektiv a South Yarra prima di trasferirsi a Los Angeles alla fine del 2019. Negli States, Bianca è stata subito notata dall'azienda Yeeze, il cui fondatore è proprio Kanye West, e l'incontro fatale con il rapper sarebbe avvenuto proprio negli uffici, dove lei è Architectural Designer.

La trasformazione

Quando Bianca Censori ha conosciuto Kanye West, lui sarebbe rimasto folgorato dall'incredibile somiglianza con la moglie, Kim Kardashian: lunghi capelli scuri, lineamenti simili e fisico prorompente. Ma dall'inizio della loro relazione la donna ha avuto una vera e propria trasformazione optando per capelli corti biondo platino (oggi tornati corvino) e indossando abiti stravaganti - soprattutto collant velati e accessori bizzarri - che l'hanno fatta al centro dei pettegolezzi. Lei, invece, sembra volere mantenere un basso profilo. Non rilascia dichiarazioni e sui social il suo account Instagram è stato cancellato come un'intervista rilasciata nel 2021, che oggi risulta rimossa dalla rete.

Il volto coperto, il cuscino sul seno: i look choc di Kanye West e sua moglie in giro per l'Italia. La lunga estate italiana di Kanye West è sempre più al centro dei gossip soprattutto per gli stravaganti look sfoggiati dal rapper e Bianca Censori. Novella Toloni l'8 Settembre 2023 su Il Giornale.

Le lunghe vacanze italiane di Kanye West e sua moglie Bianca Censori continuano a fare discutere. Dopo lo scandalo a Venezia, sul quale la Polizia municipale veneziana sta conducendo un'indagine, la coppia americana è arrivata a Milano e nel capoluogo lombardo non è passata di certo inosservata.

La lunga estate di Kanye West in Italia

Ad attirare l'attenzione sono soprattutto gli stravaganti outfit scelti da West e della compagnia. Lui sempre in total black con il volto coperto da una t-shirt sistemata come copricapo e ciabatte ai piedi. lei avvolta in collant nude e micro top sempre colore carne, che a colpo d'occhio la fanno sembrare perennemente nuda. Scelte di stile che Kanye e Bianca stanno sfoggiando in ogni città italiana, nelle quali hanno fatto tappa da giugno a oggi.

A Firenze la Censori è finita sui quotidiani locali per avere passeggiato per il centro con indosso solo un paio di calze nude e reggiseno sportivo, mentre a Roma il rapper ha fatto discutere per avere camminato a piedi scalzi per il centro. Poi ci sono i fatti di Venezia, dove West è stato fotografato con il sedere di fuori a bordo di un motoscafo e in atteggiamenti intimi con la moglie. Episodio per il quale i coniugi potrebbero essere multati per atti contrari alla pubblica decenza.

La tappa di Milano è solo l'ultima di una lunga serie, dunque, nella quale West e Censori hanno attirato la curiosità di cittadini e paparazzi. Tre giorni fa, prima di arrivare in Lombardia, l'australiana, 28 anni, che lo scorso gennaio avrebbe sposato con cerimonia privatissima il rapper, aveva percorso le vie del centro di Firenze coperta da un cuscino viola sul petto sottratto - si dice - dalla hall del Royal Suite Hotel Della Gherardesca, dove soggiornava con West.

Le immagini, come quelle di Venezia, sono finite in rete e sono diventate virale, alimentando il chiacchiericcio attorno ai due americani. Perché la moglie del rapper abbia scelto di "indossare" un cuscino rimane un mistero, Qualcuno ipotizza che la donna abbia voluto nascondere le generose grazie dopo i guai di Venezia, altri invece suppongono che la donna abbia avuto un "incidente fashion", rimediato alla meglio con un cuscino. Ma, cambiarsi d'abito no? Eppure, Kanye e la sua compagna sono stati fotografati in lussuose boutique, ma a quanto pare la loro idea di moda è molto soggettiva.

Kanye West a Venezia: ora i vigili indagano per "atti contrari alla decenza". Le foto scandalo di Kanye West e sua moglie Bianca Censori sono finite sul tavolo della polizia municipale di Venezia, che ha aperto un'indagine interna. Novella Toloni il 7 Settembre 2023 su Il Giornale.

Le foto scandalo di Kanye West e sua moglie Bianca Censori sono finite sul tavolo della polizia municipale di Venezia. Da giorni sui tabloid inglesi si vocifera che la vicenda fosse al centro di una indagine da parte delle autorità locali in merito alle foto diventate virali sul web, dove la donna sembra praticare sesso orale al rapper, mentre sono a bordo di un motoscafo sulla laguna veneziana.

Ora ilGiornale.it è in grado di rivelare che la coppia americana è al centro di una inchiesta interna alla polizia municipale di Venezia. A occuparsi del caso è il comando generale della polizia locale - coordinato dal comandante Mario Agostini - che si è messo in moto visto il clamore mediatico scatenatosi attorno a West e alla moglie. Atto dovuto o c'è una denuncia in corso? Di concreto c'è molto poco. Dopo avere visto le foto sui giornali e sulle agenzie, il comando si è attivato, ma oggettivamente le foto pubblicate da Dagospia non è mostrano l'atto, bensì mostrano che West era seduto con i pantaloni abbassati e il sedere di fuori e la moglie davanti a lui. Ma nel fascicolo della municipale non c'è alcuna documentazione che sul motoscafo sia avvenuto un atto sessuale.

L'indagine interna sta proseguendo nel tentativo di cercare di raccogliere materiale, ma di video non ce ne sono, c'è solo la possibile testimonianza del motoscafista che, però, in questi giorni con la mostra del cinema, non è ancora stato sentito, ma potrebbe essere convocato la prossima settimana. L'uomo, del quale non si conosce l'identità, è l'unico in grado di poter fornire maggiori dettagli su quanto accaduto sul motoscafo. Sebbene fosse impegnato alla guida e, successivamente al telefono durante le operazioni di sbarco, il conducente dello scafo è il "test chiave", se così si può dire, dell'inchiesta interna condotta dalla municipale di Venezia.

L'impressione di chi si occupa del caso, però, è che la vicenda sia stata montata ad arte per attirare l'attenzione; organizzata nel dettaglio per finire sui giornali visto il clamore suscitato, mentre le autorità non avevano alcuna intenzione, nè interesse, a dargli risonanza. Per questo le indagini sono iniziate in sordina, prima che il Daily Mail rivelasse, che le autorità locali si stavano muovendo.

Se Kanye West e sua moglie Bianca Censori saranno ritenuti "colpevoli" di atti contrari alla pubblica decenza - violazione oggetto di indagine da parte dei vigili - la polizia locale procederà come da prassi. Trattandosi di atti contrari alla pubblica decenza non c'è alcun reato, bensì una violazione amministrativa: 150 giorni per notificarlo e 3300 euro di sanzione con tanto di verbale se verrà accertata l'infrazione. Per sapere come andrà a finire, però, ci vorranno ancora settimane. Intanto la coppia americana si trova ancora in Italia - a Milano - ma è stata ufficialmente bandita a vita dal consorzio Venezia Turismo Motoscafi, che attraverso i suoi rappresentati ha fatto sapere che né West né sua moglie saranno i benvenuti a bordo di una delle imbarcazioni veneziane.

DAGONEWS il 12 Settembre 2023 su Il Giornale. 

Sembra che i turisti veneziani non siano stati gli unici testimoni del romantico pompino in barca di Bianca Censori al finto marito Kanye West a Venezia. Le foto mostrano che, oltre al barcarolo, c’era una misteriosa donna. 

Come si vede da alcune immagini, la 28enne era accovacciata tra le gambe del rapper 46enne che aveva le mutande calate. Ma pochi centimetri dietro Bianca c’era la donna al quale è stato offerto uno spettacolo in primo fila. Uno show che sembrava apprezzare visto l’espressione sul viso. 

La società di noleggio della barca ha detto che "la terza persona a bordo del taxi" che viaggiava con Ye e Censori ha "ostruito la visuale del capitano". 

Dagospia il 5 Settembre 2023 su Il Giornale.IL PORCO DELLA LAGUNA – LA POLIZIA STA INDAGANDO SUL PRESUNTO POMPINO DI BIANCA CENSORI A KANYE WEST A VENEZIA: LUI È STATO BECCATO CON IL CHIAPPONE ALL’ARIA E LEI, INGINOCCHIATA E APPOGGIATA ALLE SUE GAMBE, AVEVA LA BOCCA POMPATA UN PO’ TROPPO VICINA AL SUO AUGELLO – I DUE SONO STATI PAPARAZZATI E ORA RISCHIANO UNA DENUNCIA PER ATTI OSCENI. ROBETTA DI POCO CONTO PER UN MILIONARIO VISTO CHE… 

Estratto dell'articolo da ilmessaggero.it il 5 Settembre 2023 su Il Giornale.

La polizia sta indagando su Kayne West e sua moglie Bianca Censori dopo che sono stati ripresi in atteggiamenti intimi e compromettenti, osceni secondo le autorità, durante le loro vacanze a Venezia.  

Ormai quelle foto hanno fatto il giro del mondo: i paparazzi hanno immortalato dei momenti molto intimi. Si vede la coppia West-Censori, lui che ha i pantaloni abbassati, le sue natiche al vento e lei che riemerge sotto al marito. In altre immagini ancora il rapper americano, 46 anni, è stato visto seduto mentre la moglie australiana, 28 anni, era china su di lui.

Il Daily Mail riporta che la polizia della laguna ha identificato il conducente della barca su cui era la coppia.  Dovrebbe essere interrogato nei prossimi giorni per riferire cosa ha visto esattamente sul motoscafo. Nel frattempo gli agenti stanno chiedendo ai fotografi di consegnare le immagini che hanno fatto il giro del mondo. […]

«Ci sono norme di decoro pubblico che devono essere seguite da turisti e locali allo stesso modo e tutte le violazioni sono severamente punite», ha fatto sapere la polizia della Laguna. 

«Si vedeva chiaramente che i suoi pantaloni erano abbassati […] Le immagini mostrano chiaramente la coppia in intimità […]  Il reato oggetto di indagine è un atto contrario alla pubblica decenza che è punibile con una sanzione amministrativa», continuano. 

Elisabetta Pesce, assessore alla pubblica sicurezza di Venezia, ha dichiarato al MailOnline: «Senza ombra di dubbio quello che abbiamo visto dalla coppia è stata una mancanza di rispetto per Venezia, che è la città più incantevole del mondo».

Kasia Smutniak: «Voglio rispetto per i segni sul mio viso. La verità non è popolare, ma va guardata». Maria Serena Natale su Il Corriere della Sera venerdì 13 ottobre 2023.

L’attrice arriva sugli schermi con un film di cui è regista. Racconta le migliaia di profughi bloccati alla frontiera tra Bielorussia e Polonia, suo Paese natale: «L’ho girato con il telefonino, per essere più agile». «I social distorcono il reale? Se li usiamo bene, sono una strada per aprire mondi. Dobbiamo riprenderci il modo di rappresentare la realtà»

Nella tradizione ebraica il dibbuk è lo spirito sospeso tra mondo dei vivi e regno dei morti che si appropria di un corpo per chiudere una storia irrisolta. «Era novembre 2021» racconta Kasia Smutniak, «con Diego Bianchi lavoravamo a un reportage sui migranti bloccati tra Polonia e Bielorussia. Ricordo una sera di nebbia, giornalisti da tutto il mondo venuti a raccontare qualcosa che nessuno vedeva perché le autorità polacche impedivano l’accesso alla zona rossa. Scesi dalla macchina e la prima cosa che mi colpì di fronte a quella folla indaffarata e già annoiata fu un assurdo silenzio. Solo a un centinaio di metri c’erano persone che rischiavano la vita nel bosco, al freddo, e cosa si faceva per aiutarle? Non avevo mai incontrato prima un’indifferenza simile eppure la percepii in modo inspiegabile, personale, fisico. La riconobbi». Per il dibbuk la storia non finiva lì. 

Mesi dopo, Kasia torna. La zona rossa è sempre inaccessibile, una striscia di terra larga da tre a sei chilometri e lunga 186, sulla frontiera che separa la Polonia dalla Bielorussia ultima dittatura d’Europa. È una striscia militarizzata, sorvegliata con droni e sensori notturni, dove non sono ammessi giornalisti né volontari. Dal luglio 2022 su questo confine dimenticato sorge una barriera di acciaio e filo spinato alta 5,5 metri nel bel mezzo della Puszcza Białowieska, foresta vergine patrimonio Unesco, antico regno di zar e bisonti. Una distesa di alberi plurisecolari e paludi che d’estate non dà acqua da bere e d’inverno gela. Qui dal 2021 il regime bielorusso spedisce famiglie afghane, irachene, siriane attratte con l’inganno di un visto a pagamento e di un passaggio sicuro per la libertà. «Quando a Ferragosto di quell’anno è caduta Kabul abbiamo visto tutti le immagini delle persone aggrappate agli aerei che cadevano nel tentativo di fuggire. Non era difficile immaginare che prima o poi quella gente sarebbe arrivata da noi».

Migliaia di donne, anziani e bambini si ritrovano in trappola, portatori inconsapevoli del messaggio intimidatorio e destabilizzante rivolto dal dittatore Aleksandr Lukashenko e dal presidente russo Vladimir Putin all’Occidente, abbandonati senza assistenza e respinti dalla guardia di frontiera polacca con idranti e gas lacrimogeni. Nel suo lavoro di debutto alla regia, il documentario Mur che dopo la prima mondiale al Toronto International Film Festival sarà presentato nei prossimi giorni alla Festa del Cinema di Roma e dal 20 ottobre arriva nelle sale, Kasia Smutniak cerca il Muro che nessuno doveva vedere, e ne ritrova molti altri. 

«Mur» è un film di Kasia Smutniak prodotto da Domenico Procacci, Laura Paolucci, Kasia Smutniak. Scritto da Kasia Smutniak e Marella Bombini. Una produzione Fandango in associazione con Luce Cinecittà. 

«Da bambina passavo le estati a giocare davanti alla casa dei nonni a Lodz, costruita sulle macerie del ghetto. La casa stava di fronte al cimitero ebraico, a duecento metri c’erano le rotaie da dove durante la Seconda guerra mondiale partivano i treni per i campi di sterminio. Quando sono tornata per le riprese ho trovato tutto com’era: il muro di mattoni, una panchina... tutto tranne due finestre che avevo sempre visto dalla strada, mentre ora sono murate. Mi hanno spiegato che in realtà erano state chiuse subito dopo la guerra, eppure io sapevo che all’interno c’era una stanza con le pareti verdi e una scrivania...».

Classe 1979, figlia unica di un generale dell’aeronautica militare che le trasmette la passione per il volo tanto che a sedici anni otterrà il brevetto da pilota, Kasia cresce tra le grandi trasformazioni che negli Anni 80 spianano la strada al sindacato Solidarnosc e alla caduta del regime comunista nel 1989. È la Polonia che rimette in moto l’orologio della storia congelata nella Guerra fredda, che prega papa Wojtyla e segue Lech Walesa, sogna l’America e si apre all’Europa. Dalla fine degli Anni 90 Kasia sceglie l’Italia dove diventa stimata attrice di cinema e tv. Oggi è impegnata in progetti come la onlus intitolata a Pietro Taricone, il compagno morto in un incidente di paracadutismo nel 2010, che ha dato una scuola ai bimbi dell’ “ultimo Tibet”, il Mustang in Nepal. Altri confini, altri attraversamenti. Dal 2019 è sposata con il produttore Domenico Procacci.

Non si può fare a meno di tornare al passato per raccontare chi siamo diventati.

«Il presente senza passato è finzione. Quando si è giovani si danno per scontate tante cose, più andiamo avanti più abbiamo bisogno di capire. Vengo da una famiglia di militari e quando ero piccola ci spostavamo spesso, il fatto di non aver avuto una vera e propria casa dell’infanzia mi ha spinto da adulta a tornare in cerca delle radici. La Polonia e tutti i Paesi dell’Est hanno una storia difficile segnata dal sangue, tu ne fai parte anche se sei di passaggio, anche se i fatti più dolorosi non ti hanno coinvolto direttamente. Sono posti pieni di memoria, che conservano il ricordo di ghetti e campi di sterminio, tracce degli eventi più tragici e vergognosi della storia umana».

Per questo ha scelto di raccontare in prima persona e dal confine polacco-bielorusso un fenomeno epocale come le migrazioni?

«Mi sono chiesta: perché le vicende di allora e queste di oggi mi toccano così tanto, perché sono diventate un’ossessione? Attraverso me stessa volevo analizzare il punto di vista di tutti noi, quelli che “non c’entrano” eppure sono partecipi, che dalle seconde file vedono e soffrono per ciò che accade in Polonia come a Lampedusa e vorrebbero fare qualcosa ma si sentono impotenti. Io avevo questa possibilità, ho tentato di capire la genesi del male e di guardare dentro una paura che in fondo ci accompagna già da molto tempo. Prima gli attentati delle Torri gemelle, poi l’epoca del terrorismo, la crisi economica, il Covid ci hanno abituato a convivere con la paura nei confronti del prossimo e delle culture diverse, del futuro. Non sono una reporter ma so raccontare le emozioni, così, senza una troupe ma solo con i telefonini e un’attrezzatura leggera, ho puntato “la telecamera” su di me e ho cominciato a girare. Volevo arrivare al muro a tutti i costi, raccontare la sofferenza e il coraggio di persone che hanno dovuto scegliere».

E la sua paura di seguire in situazioni di pericolo chi sfida la legge per salvare le vite degli altri e la propria coscienza?

«Più che il timore reale di farmi male o di essere arrestata o dei cani che ti inseguono nel bosco, sentivo la responsabilità per la sicurezza della persona che era partita con me, Marella Bombini, co-autrice del progetto, che non parlava polacco e si ritrovava in un contesto decisamente rischioso. Ancora di più temevo di non essere forte abbastanza per arrivare fino in fondo; di non farcela più a vedere tanta disperazione e violenza, bambini piccoli lasciati morire di notte nella foresta..». Si ferma. «Avevo paura di ritrovarmi davanti a una scelta, spegnere la telecamera e non tornare più indietro».

Ad oggi non si conosce il numero esatto delle vittime perse in quel mare d’alberi.

«No, l’unica speranza di queste persone è la rete clandestina di volontari e attivisti che aspettano messaggi sul cellulare e partono a qualsiasi ora per provare a raggiungere chi è in difficoltà. Uno di loro, che racconto nel film, fa il muratore, è divorziato con tre figli e non ha nemmeno l’auto, eppure non ha esitato un attimo. Un altro fa l’interprete e ha messo a disposizione la sua conoscenza dell’arabo andando persino ad abitare sul confine. Un’altra è un’artista e per aiutare gli altri ha rivoluzionato la propria vita. Ognuno si porta dentro una ferita ma non tutti lo sanno».

Un trauma che l’Europa prima o poi dovrà elaborare, lo stesso raccontato da Agnieszka Holland in Green Border , il film premiato a Venezia e criticato dalla politica a Varsavia. Le autorità hanno dato una risposta molto diversa all’altra grande crisi che il Paese vive in modo terribilmente concreto, l’Ucraina.

«Appena è scoppiata la guerra, da noi si è creato un movimento spontaneo capace di superare ogni difficoltà per accogliere i profughi. A tutti i livelli. Chiunque sentissi in quei giorni era impegnato a fare qualcosa per dare una mano. Negli stessi momenti poco più a nord del confine con l’Ucraina la polizia continuava a respingere ragazzi che imploravano aiuto, donne incinte, malati, persone con disabilità. Si era creata una barriera naturale tra due realtà ed è stato quello il primo muro che mi ha convinta a partire».

Il 15 ottobre la Polonia vota dopo otto anni che hanno profondamente segnato la società, oggi divisa su tutto: lettura del passato e progetti per il futuro, diritti delle donne, famiglia, ambiente, rapporti con l’Unione europea. Proprio guerra e immigrazione sono finite al centro di una campagna elettorale brutale.

«Il muro per fermare i migranti è diventato il tema principale e questa campagna è stata piena di colpi bassi, dominata dal populismo e da un linguaggio che semplifica anziché aiutare a riflettere sulle cause delle crisi. Siamo in un momento di fragilità conseguenza della guerra e può bastare davvero poco per trasformare in un attimo i rifugiati ucraini in un problema politico, in un gruppo da prendere di mira. È una fase molto pericolosa».

Lei andrà quindi a votare?

«Certo e spero in un cambio di rotta. Siamo sempre stati un Paese strategico per l’equilibrio tra Russia e America, da queste elezioni dipende molto anche per la nostra Europa unita e senza confini. Chissà se quell’Europa esiste ancora».

Video di denuncia e richieste di aiuto viaggiavano e viaggiano tuttora su Facebook e TikTok: la stessa costruzione del documentario dimostra le grandi potenzialità di uno strumento che spesso facilita la distorsione del reale. I social sono conciliabili con la verità?

«Basta che lo vogliamo. Cogliere questa possibilità significa aprire mondi. La verità non piace a nessuno, non è popolare, ma se vogliamo davvero arrivarci i social possono essere una strada». 

Anche nella rappresentazione del corpo e della bellezza che cambia?

«Dobbiamo riprenderci il modo di rappresentare noi stessi. Prima ero più timida ma oggi esigo rispetto per i segni che porto sul volto. Sono io e nessun altro a decidere come raccontare il mio corpo. La mappa delle emozioni è la nostra storia».

Nessun filtro dunque, come nelle foto di Riccardo Ghilardi che ospitiamo in copertina e in pagina e che esaltano le discromie della pelle. Una scelta di libertà condivisa da personalità molto diverse, da Kesha a Lady Gaga, da Isabella Rossellini a Michelle Pfeiffer, Cindy Crawford, Julia Roberts...

«Lavorare sull’immagine dà una grande responsabilità nei confronti dei giovani, delle ragazze che sono circondate da modelli non raggiungibili, fuori dalla realtà. Nella serie televisiva Domina interpreto Livia Drusilla, la terza moglie dell’imperatore Augusto, una donna forte e sicura. Come potrei trasmettere forza e sicurezza se io per prima non fossi sincera con me stessa e con gli altri?».

Con la fuga del tempo che rapporto ha?

«Proprio il tempo ci ha permesso di fare esperienze e trovare il nostro modo di entrare in relazione con il mondo. È il passare del tempo a renderci più interessanti e per questo più belle».

LA VITA - Kasia Smutniak è nata in Polonia 44 anni fa. Figlia di un ex generale dell’Aviazione, ha il brevetto di pilota ed ha cominciato a lavorare come modella. Ha sfilato per i brand più importanti sulle passerelle di tutto il mondo. Ha esordito sul set nel 2000 con il film Al momento giusto, diretto da Giorgio Panariello. Tra i suoi film più importanti Caos calmo (Grimaldi, 2008), Allacciate le cinture (Ozpetek, 2014) e Perfetti sconosciuti (Genovese, 2016).

LA FAMIGLIA - Sul set del film Radio West (2003) ha conosciuto il futuro compagno Pietro Taricone, con il quale ha avuto la figlia Sophie (con lei nella foto). Taricone è morto in un incidente di paracadutismo nel 2010. Nel 2019 ha sposato il produttore Domenico Procacci, dal quale ha avuto il secondo figlio, Leone.

Kasia Smutniak: «Ora sono alla ricerca di esperienze più che di ruoli». Affascinante, carismatica. E impegnata. Ha appena girato “Mur”, sul muro ai confini della Bielorussia voluto dal governo polacco. Uno scandalo da denunciare. Lisa Ginzburg su L'espresso il 19 luglio 2023.

L’intelligenza è accoglienza, e il sorriso di Kasia Smutniak vedendomi arrivare dopo quasi due ore di ingorgo romano sotto l’ennesimo diluvio estivo, dice quel genere di accoglienza: di chi, senza sapere, sa. Sorriso magnifico come lo è il suo viso e l’intera sua presenza, ma una bellezza vissuta senza enfasi, nessun indugio su vanità di superficie.

Consapevolezza piuttosto, che vuol dire presenza mentale: l’essere molto bella e carismatica, Kasia Smutniak lo vive più che altro come solido punto di partenza, una base su cui meglio attecchisca il pensiero, la decisione di stare al mondo allenandosi a un’attenzione costante. Da ragazza ha fatto la modella perché aveva passato l’età per intraprendere la carriera militare di pilota (ma il brevetto lo ha). Il padre generale dell’Aeronautica polacca, la madre che da poco aveva perso un fratello in un incidente in volo (un destino presago come solo il destino sa essere, Kasia sarà vedova di Pietro Taricone morto in un’esercitazione di volo nel 2010), lei, figlia unica, di procurare ansie di sorta ai genitori non se l’è sentita. Viaggiare per le sfilate di moda è venuto quasi per caso. Come l’arrivo in Italia, un Paese in cui trovarsi bene e poi restare sino a mettere radici è venuto naturale (parla un italiano fluente e dal bellissimo lessico, a segno di un amore per la lingua non fine a sé stesso, anche eloquente di altri amori).

Ha conosciuto e combattuto vari luoghi comuni anche nostrani sul femminile in genere, e la “causa” delle donne la interpella, con il tempo man mano di più, specie da quando in Polonia, il Paese dove è nata e cresciuta, la condizione femminile conosce un’involuzione che dovrebb’essere (e non è abbastanza) monito per tanti altri angoli d’Europa. Se le chiedo quali tra i tanti ruoli interpretati l’hanno segnata di più, al primo posto mette quello di protagonista di “Nelle tue mani” di Peter Del Monte (film del 2007, sette anni dopo l’esordio di attrice). 

Da donna profondamente ricettiva qual è, lei distingue la sensazione di agio data dalle atmosfere su un set, da un’altra più intima e personale, la gratificazione di avvertire un’appartenenza, a un ruolo, a una storia, a un film nella sua totalità che vuol dire anche, moltissimo, sintonia con chi quel film lo ha scritto e lo dirige, intanto dirigendo lei. In seguito Ferzan Ozpetek, Paolo Sorrentino, Francesca Archibugi nel recente “Il colibrì”: prima però è stato Del Monte a saper vedere Kasia Smutniak lasciandola libera di esprimersi nei tanti risvolti della sua femminilità forte, perché concreta e spirituale insieme. La maturità e la forza vitale che trasmette (anche nel secondo matrimonio con Domenico Procacci, produttore cinematografico a capo della Fandango, un sodalizio luminoso per come, tra le altre cose, è rispettoso del suo passato di donna segnata da un lutto d’amore), trova corrispettivo nel rapporto che Kasia ha con il lavoro. Rapporto maturo e in divenire, che include il mutamento, mettersi in discussione, cambiare, non cristallizzarsi. Così, dopo tanti ruoli in film e serie televisive (“Domina”, la più recente; la seconda stagione dall’8 settembre su Sky Atlantic), e dopo avere più volte confidato ad amici e a colleghi increduli che avrebbe smesso di fare l’attrice, o quantomeno si sarebbe presa una pausa, è stata fedele nel mantenere quell’impegno preso con sé stessa.

Un impulso imperativo a mettersi in gioco su piani diversi, che significa, pragmatica e saggia come lei è, misurarsi con la realtà e le sue ingiustizie. «La ricerca prioritaria è diventata di esperienze, più che di ruoli»: nel 2016, crea una Onlus sotto la cui egida fonda una scuola in Tibet in cui studiano attualmente ottantasei bambini (da poco ha incontrato il Dalai Lama e la sorella di lui, da loro ascoltando e imparando molto circa i sistemi pedagogici). 

Poi, di recente, qualcosa di più profondo ancora è scattato. Smette di leggere le sceneggiature che continuavano ad arrivarle, e prende la sua decisione. «Quel che mi circonda è diventato più forte dei ruoli possibili: un po’ come quando durante la pandemia non si riusciva a leggere libri per come la realtà intorno era forte, più di qualsiasi storia inventata».

Lei, nata nel 1979 nell’Europa dell’Est, la cui infanzia ha conosciuto in tutta la sua portata metamorfica l’evento della caduta del Muro di Berlino, ha capito che voleva occuparsi dei muri. Dell’abominio del loro venire innalzati, quasi sempre sotto lo sguardo indifferente di chi a quei muri vive accanto. Così Kasia Smutniak ha deciso di partire e andare a filmare qualcosa che la interpellava e addolorava moltissimo: la costruzione del muro ai confini con la Bielorussia decisa dal governo polacco, nella stessa porzione di terra (di foresta, la più antica d’Europa, popolata da bisonti e da alberi secolari) dove nel 2022 per alcuni mesi, subito prima dell’inizio della guerra in Ucraina, transitavano migranti di molte diverse nazionalità, afgani, siriani, iracheni, congolesi, tutti in transito e senza dimora dopo la caduta di Kabul. Centoottanta chilometri di barriera alta sei metri in metallo e filo spinato, a respingere e di fatto imprigionare quei migranti in quella che loro stessi chiamano “jungle”, una giungla che è uno scandalo umanitario e civile a cielo aperto, ma di cui nessuno sembra curarsi.

Nasce così “Mur”, il documentario che presto vedremo nelle sale, prodotto dalla Fandango e da Kasia Smutniak, realizzato insieme ad altre collaboratrici (tutte donne, anche Marella Bombini, qui sua compagna di viaggio). Un film girato in parte con i telefoni cellulari, ascoltando storie di persone terrorizzate e in pericolo costante di morire, dovendo proteggerle dal loro stesso partecipare al documentario. Girato aiutata dal parlare il polacco sua lingua madre, ma contemporaneamente parlando e ascoltando molte altre lingue, e intanto realizzando di trovarsi accanto (sul confine) di una Polonia cupamente diversa da quella lasciata più di vent’anni prima. Girato nella convinzione che continuare a distogliere lo sguardo dai muri (ce ne sono diciotto in tutta Europa, e questo raccontato in Mur vuol essere simbolico di tanti), perseverare nel non saper guardare ai traumi che quelle disumane barriere generano, vuol dire nient’altro che preparare nuovi traumi, nuovi muri, nuove involuzioni. 

Umanamente, anche, le interessava raccontare cosa significhi “essere accanto”. Testimoni proprio malgrado, ma testimoni perché accanto. Quand’era bambina, e giocava con i cuginetti intorno alla casa di sua nonna, c’era (c’è ancora) un muro di fronte alla casa. Non sapeva, come ha poi scoperto, che quel muro divideva lo spazio da quello che era stato il Ghetto di Lødz (il secondo più grande in Polonia, dopo Varsavia). Mi dice della poesia di Czeslaw Milosz che parla di questo permanere “involontario” della memoria dei luoghi. S’intitola “Campo dé Fiori”, parla del rogo di Giordano Bruno e compara la piazza romana a Varsavia. Questo anche ci racconterà in “Mur”: il dramma del vivere accanto, senza sapere, o senza voler sapere. «Sono traumi che vengono tramandati, un po’ come accade agli ebrei di terza generazione» conclude, seria e bellissima.

Io, ebrea di terza generazione, lascio Kasia Smutniak divisa tra la gioia di averla incontrata e un’altra, meno allegra. La felicità di imbattermi in una traiettoria di vita come la sua, dove una necessità interiore autentica porta a lasciare una vita passata a recitare personaggi, e invece andare verso le persone, le ferite umane, dell’umano. In tempi di narcisismo dissennato, è molto. È moltissimo.

Claudia Silvestri per comingsoon.it il 19 dicembre 2022.

James Cameron e Kate Winslet sono tornati a collaborare in Avatar: La via dell'acqua. A venticinque anni dall'uscita di Titanic, i giornalisti di tutto il mondo hanno quindi deciso di non lasciarsi sfuggire l'imperdibile occasione di trovare una risposta definitiva ad una delle domande più ricorrenti della Storia del cinema: Jake si sarebbe potuto salvare salendo sulla - famigerata - zattera? Josh Horowitz - conduttore del podcast Happy, Sad, Confused - è riuscito ad ottenere l'opinione di Kate Winslet in persona, impegnata nel tour promozionale dell'ultima fatica di James Cameron. 

Titanic - secondo Kate Winslet Jack si sarebbe potuto salvare?

Josh Horowitz, in realtà, aveva già interrogato sulla questione Leonardo DiCaprio, durante una conferenza stampa per la presentazione di C'era una volta... ad Hollywood, ottenendo però come risposta un laconico "no comment". Ha quindi poi deciso di proporre la domanda anche a Kate Winslet, la quale è apparsa - inizialmente - contrariata dalla domanda, al punto da commentare l'intera situazione con un secco "Non lo so, c***o. 

Questa è la risposta, non lo so." L'attrice ha però poi fornito una spiegazione più dettagliata, affermando di conoscere molto bene le dinamiche legate all'acqua, anche grazie all'esperienza maturata sul set di Titanic e di Avatar: La via dell'acqua:

Se metti due adulti su una zattera diventa immediatamente instabile. Quindi la verità è che, se devo essere onesta, non credo che saremmo sopravvissuti se fossimo saliti entrambi su quella porta. Penso che si sarebbe capovolta e non sarebbe stata un'idea sostenibile.

Secondo Kate Winslet, Rose era destinata a sopravvivere senza il "suo" Jack. Un amore destinato a finire in tragedia, ma che ha dato vita - fuori dal set - ad una delle amicizie più sincere di Hollywood. Kate Winslet, che nel sequel di Avatar interpreta la guerriera Na'vi Ronal, è apparsa di recente nella miniserie HBO Omicidio ad Easttown, ottenendo una candidatura agli Emmy e ai Golden Globe come miglior attrice protagonista. Leonardo DiCaprio, la cui ultima apparizione risale al film Netflix Don't Look Up, è invece atteso nel nuovo film di Martin Scorsese, Killers of the Flowers Moon, al fianco di Brendan Fraser e Robert De Niro.

Avatar: La via dell'acqua ha debuttato nelle sale italiane al primo posto del box office. Un risultato decisamente incoraggiante, ma che dovrà essere replicato nei cinema di tutto il mondo, dal momento che per rientrare nei costi di produzione la pellicola dovrà diventare uno dei film con il maggior incasso nella Storia del cinema, provando a battere sia Avatar (al 1° posto) che Titanic (al 3° posto).

Giovanni Berruti per “la Stampa” il 19 dicembre 2022.

Jack e Rose, nessuna via d'uscita. Uno dei due protagonisti di «Titanic» doveva morire. La scelta è ricaduta così sul personaggio interpretato da Leonardo Di Caprio. Ma per i fan del capolavoro di James Cameron, che domani festeggia il suo 25° compleanno negli Stati Uniti (era uscito nelle sale il 19 dicembre 1997, a gennaio 1998 in Italia), un finale diverso era possibile: su quella porta galleggiante del transatlantico, improvvisata a zattera, ci sarebbe stato infatti abbastanza spazio per far salire entrambi e coronare così il loro amore in eterno.

Se l'attore si è limitato, in occasione di un'intervista promozionale per «C'era una volta a Hollywood», a un «no comment» con sorriso, e Kate Winslet, ospite al «The Late Show with Stephen Colbert», si è cimentata in una reinterpretazione della scena assieme al conduttore, oggi a intervenire è lo stesso regista del kolossal campione d'incassi, da poco nelle sale con il sequel di «Avatar». Per mettere la parola «fine» a una diatriba, che da sempre reputa «stupida», si è infatti affidato a un insolito strumento: una ricerca scientifica.  

«Abbiamo condotto uno studio per mettere questa cosa a tacere una volta per tutte - ha dichiarato Cameron a «The Toronto Sun » - Abbiamo fatto un'analisi forense approfondita con un esperto di ipotermia, che ha riprodotto la zattera del film. Ci sarà un piccolo speciale a riguardo in uscita a febbraio».

I risultati di questo studio saranno infatti allegati al ritorno nelle sale del film, previsto il prossimo 9 febbraio, in un'inedita versione in 3D e 4K. Il regista entra nel dettaglio: «Abbiamo preso due controfigure con la stessa massa corporea di Kate e Leo e dopo averle ricoperte di sensori, dentro e fuori, le abbiamo calate nell'acqua ghiacciata e abbiamo testato se sarebbero sopravvissute attraverso una serie di metodi. La risposta è stata che non c'era modo che entrambi potessero sopravvivere. Solo uno dei due poteva».

Al di là delle polemiche, sono diverse le curiosità per una pellicola, che si è segnata un posto nella storia del cinema. A partire dal record di vittorie agli Oscar, ancora oggi detenuto al fianco di «Ben- Hur» e «Il Signore degli Anelli - Il ritorno del re», con ben undici statuette, tra cui miglior regia e miglior attrice protagonista, su quattordici nomination. A proposito di attori, né DiCaprio né la Winslet, all'epoca ventenni, sono state le prime scelte del cineasta. 

 Se il primo ha rischiato di perdere la parte per un'iniziale eccesso di supponenza, come di recente raccontato dallo stesso Cameron, la seconda si è ritrovata invece a lottare duramente per il ruolo che secondo alcune indiscrezioni doveva essere affidato a Gwyneth Paltrow. Ci mise talmente tanto impegno che durante le riprese delle scene del naufragio rischiò addirittura l'ipotermia per non aver indossato una muta, nel tentativo di render più credibile la propria sofferenza.

Ma soprattutto «Titanic», che racconta il naufragio del transatlantico britannico avvenuto il 15 aprile 1912, in cui persero la vita circa 1.500 persone delle 2.200 a bordo, oggi è al terzo posto della classifica dei più grandi incassi di sempre al botteghino mondiale, con 2,2 miliardi di dollari. Per anni al primo posto, è stato alla fine battuto prima da «Avatar» (2,9 miliardi), sempre di Cameron, e poi da «Avengers: Endgame» (2,7 miliardi). Il dettaglio impressionante?

 La durata complessiva delle scene ambientate nel 1912 coincide con il tempo impiegato dalla nave per affondare, ovvero due ore e quaranta. Così come la scena della collisione, di 37 secondi, con il reale scontro con l'iceberg. La popolarità di un progetto porta però inevitabilmente a un confronto con il pubblico. Nel bene e nel male. Il settore cinematografico e televisivo è infatti pieno di diatribe legate a un finale non reputato adeguato (che poi chi meglio dello stesso autore potrebbe stabilirlo?) dagli spettatori. 

Esempi? La conclusione dell'ottava e ultima stagione de «Il Trono di Spade», che ha provocato diverse polemiche sul web. Oltre a una petizione per cambiarla, ancora in corso nonostante siano passati tre anni dalla messa in onda dell'episodio, è diventata virale una riscrittura da parte di uno sceneggiatore, Daniel Whidden. Per non parlare di «Avengers: Endgame», che nel dietro le quinte ha visto un acceso dibattito tra i fratelli Russo e il regista di Iron Man, Jon Favreau, o dell'ultimo James Bond, «No Time To Die», che segna letteralmente l'addio di Daniel Craig al personaggio. 

Ma tutto ha perfettamente un senso, come spiegato direttamente dallo stesso Cameron: «È un film sull'amore, il sacrificio e la mortalità, proprio come Giulietta e Romeo. L'amore si misura con il sacrificio... Jack doveva morire - ha dichiarato a «Vanity Fair» - Fosse stato per il freddo o per la caduta di una ciminiera, poco importa. Sarebbe andato giù. Si chiama arte: le cose accadono per motivi artistici, non per regole fisiche».

Estratto dell'articolo di Ari. Fi. per “la Repubblica” il 14 marzo 2023.

[…]Il viaggio di Ke Huy Quan, viso minuto dietro gli occhialoni, era partito da molto più lontano e la sua storia incarna le due facce dell’american dream: quella degli outsider che ce la fanno, e quella degli sconfitti che sanno fare ritorno. Il primo sogno è quello di un ragazzino vietnamita che da Saigon, con il padre e cinque fratelli, si trasferisce a Hong Kong, la famiglia accolta negli Stati Uniti nel ’79: «Il mio viaggio è iniziato su una barca. Ho passato un anno in un campo profughi», […]

Diventato americano, Ke Huy Quan è stato anche uno dei tanti attori bambini incastrati negli ingranaggi storti dell’industria del cinema. È Short Round, al fianco di Harrison Ford in Indiana Jones e il Tempio maledetto, 1884 — infinito l’abbraccio tra i due dopo la cerimonia — con Steven Spielberg gira l’anno dopo anche i Goonies. Poi non trova più ruoli, si arrangia come controfigura, è difficile. «A un certo punto avevo quasi rinunciato a questo mestiere ».

Poi, di fronte al successo di Crazy Rich Asians, pensa che si aprano nuovi spazi per gli attori di origini asiatiche. Decide di darsi un’altra possibilità: la sua prima audizione è quella con i Daniels, per il ruolo del marito mite dell’eroina Michelle Yeoh. Trent’anni dopo, Ke Huy Quan torna sul grande schermo, ma la pandemia congela l’uscita del film. […]

 «E adesso sono sul più grande palcoscenico di Hollywood.— il sorriso più grande di lui — Dicono che succeda solo nei film. Questo è il sogno americano». […]

Da baby attore "sparito" a vincitore dell'Oscar: la rivincita di Ke Hui Quan. Ke Hui Quan ha fatto commuovere tutta la platea del Dolby Theatre di Los Angeles con il suo discorso di ringraziamento per la vittoria come Miglior Attore Non Protagonista. Erika Pomella il 13 Marzo 2023 su Il Giornale.

Come era stato ampiamente predetto Ke Hui Quan ha vinto il premio Oscar come Miglior Attore Non Protagonista per la sua interpretazione in Everything Everywhere All At Once. Nonostante i limiti evidenti della pellicola firmata dai Daniels, il reparto istrionico ha toccato vette molto alte e l'interpretazione di Ke Hui Quan è stata tra quelle che hanno convinto di più. La sua vittoria è stata annunciata da Ariana DeBose e Troy Kotsur, entrambi vincitori nel 2022 del premio alla miglior interpretazione da Non Protagonista, rispettivamente per West Side Story e CODA - I segni del cuore.

L'annuncio della vittoria ha commosso molto tutta la platea del Dolby Theatre di Los Angeles: questo perché la vita personale dell'attore è la vita di una "carriera mancata". Ke Hui Quan ha infatti cominciato a lavorare quando era molto piccolo, prendendo parte a film diventati cult come Indiana Jones e I goonies. Poi la sua carriera sembrava essersi arenata nel 2002, senza la possibilità di trovare ruoli capaci di lanciarlo nel mondo dorato di Hollywood. Poi è stato scelto per interpretare il marito di Michelle Yeoh in Everything Everywhere All At Once e la sua carriera sembra aver ricevuto una seconda possibilità E proprio su questo tema Ke Hui Quan ha costruito il suo discorso di ringraziamento. L'attore ha infatti parlato dell'importanza di continuare a credere ai sogni, persino quando essi sembrano averti dimenticato e lasciato alle spalle. Salendo sul palco più ambito di Los Angeles, l'attore è scoppiato a piangere e poi ha detto:

"Mia madre ha 84 anni ed ora è casa e sta guardando la tv. Mamma, ho appena vinto un Oscar! Il mio viaggio è cominciato su una barca, ho passato un anno in un campo profughi e in qualche modo sono finito qui. Dicono che le storie come queste siano storie adatte per i film, che si vedono solo al cinema. No, sono storie vere. Possono succedere. Questo è il vero sogno americano. Grazie davvero tanto all'Accademy per questo onore. Sono onorato di essere qui. Grazie anche a mia mamma per tutti i sacrifici che ha fatto per portarmi qui e al mio fratellino che ogni giorno mi ricorda di prendermi cura di me. Grazie ai Daniels. Ma io devo tutto all'amore della mia vita, mia moglie che mese dopo mese e anno dopo anno per ben 22 anni mi ha sempre detto che un giorno, un giorno il mio momento sarebbe arrivato. E ai sogni bisogna crederci e io ho quasi rinunciato. E a tutti voi, ricordate: tenete vivi i vostri sogni. Grazie, grazie davvero di avermi accolto nuovamente. Vi voglio bene".

La vittoria dell'Oscar - che è stato seguito da quello consegnato a Jamie Lee Curtis per lo stesso film - è una bella conferma per l'attore che, statuetta alla mano, può sperare ora di ricevere maggiore attenzione dall'industria dei sogni di Hollywood e di poter riprendere in mano una carriera pronta a decollare di nuovo.

"Dopo 38 anni d'attesa finalmente mi sento di nuovo un vero attore". Recitò da ragazzo nei "Goonies" e nel "Tempio maledetto" di Spielberg poi la carriera stroncata: "Volevo disperatamente fare questo mestiere". Francesca Scorcucchi il 14 Marzo 2023 su Il Giornale.

Fra il film Indiana Jones e il tempio maledetto, del 1984, e Everything Everywhere all at once passa un arco temporale di 38 anni. Ke Huy Quan, arrivato in America da profugo, ne aveva 13 quando recitò con Harrison Ford nella saga di Indiana Jones, ne ha 51 adesso. In mezzo c'è stata una lunga, forzata pausa dalla recitazione. La sua carriera, dopo i successi di Indiana Jones e dei Goonies, non era riuscita a decollare e così, dopo vari tentativi falliti, Ke Huy Quan aveva deciso di rinunciare al suo sogno, aveva cercato alternative. Sempre nell'ambito del cinema, però..Ha fatto l'assistente alla regia, il coordinatore degli stuntmen.

Poi un giorno Daniel Kwan e Daniel Scheinert gli danno una chance e lo scritturano nel cast del loro nuovo, surreale film. Ieri Ke Huy Quan per quella parte ha vinto un Oscar che ha dedicato alla madre: «Ha 84 anni e mi sta guardando: mamma, ho vinto un Oscar!», ha detto sul palco del Dolby. «Il mio viaggio è iniziato su una barca. Ho passato un anno in un campo profughi. E in qualche modo sono finito qui sul palcoscenico più grande di Hollywood. Dicono: storie come questa accadono solo nei film. Non riesco a credere che stia succedendo a me. Questo è il sogno americano. I sogni sono qualcosa in cui devi credere, ho quasi rinunciato ai miei. A tutti voi là fuori: per favore mantenete vivi i vostri sogni».

É pesante l'Oscar?

«Un po', dove lo posso posare?» (ma intanto non lo molla, lo brandisce in alto, lo bacia)

Nei titoli de I Goonies e Il Tempio Maledetto lei è accreditato come Jonathan, ora è tornato al suo nome di battesimo.

«Quando iniziai mi consigliarono di cambiare il mio nome in qualcosa di più americano. Non lo feci con leggerezza, mi pesava cambiare nome, ma lo feci perché volevo disperatamente fare questo mestiere. Quando 3 anni fa decisi di riprovarci avevo una sola certezza. Sarei tornato a usare il mio vero nome».

Dal palco ha citato sua madre.

«Appena hanno fatto il mio nome un fiume di emozioni mi ha investito e il mio pensiero è andato a lei, mia madre. È lei la ragione per cui sono in America, per cui ho avuto una vita migliore. Lei stava bene in Vietnam, ma ha rinunciato a quello che aveva per dare un'opportunità ai suoi ragazzi».

Quando ha ottenuto la parte in questo film non ha detto niente in famiglia, sino a quando è uscito il trailer.

«Vero, allora ho chiamato tutti i parenti, uno a uno, la mia intera famiglia per avvertirli, una buona porzione di essa, oggi è volata da Houston per festeggiare qui».

Dietro il palco un abbraccio con Steven Spielberg...

«Sono corso da lui durante la pubblicità e lui mi ha abbracciato e mi ha detto: Ke ora sei un attore premio Oscar. Sentirlo da Spielberg è stata un'emozione fortissima».

E ora?

«E ora chiamerò il mio agente. L'ho fatto per tanti anni. Ogni tre, sei mesi, gli chiedevo se c'era qualcosa per me. Lui rispondeva sempre no, ma che avrebbe continuato a cercare. Immagino che ora la sua risposta cambierà».

Estratto dell’articolo da repubblica.it il 2 luglio 2023. 

La saga dei Dutton, la famiglia protagonista della serie Yellowstone (e di 1923, e di 1883) è niente in confronto alla guerra che si è aperta tra Kevin Costner e sua moglie Christine Baumgartner. In ballo ci sono un divorzio, un accordo prematrimoniale e una certa quantità di dollari che la donna avrebbe chiesto per il mantenimento dei figli e che invece, secondo il marito, sarebbero destinati alla chirurgia estetica della quale sembra che la moglie sia un’assidua frequentatrice.

La donna è stata avvistata giovedì 29 giugno all’aeroporto di Los Angeles con due dei suoi tre figli, Hayes Logan e Grace Avery; poche ore prima il marito l’aveva accusata di avergli chiesto 248.000 dollari al mese ufficialmente come supporto al mantenimento dei figli, cifra che invece – secondo Costner – sarebbe destinata a interventi di chirurgia plastica. I 248 mila dollari andrebbero ad aggiungersi al milione e 200 mila dollari che l’attore ha già versato alla consorte in base agli accordi prematrimoniali.

Baumgartner, designer di borse, si è rifiutata di lasciare la magione di Costner (una residenza dal 145 milioni di dollari a Santa Barbara) nonostante l’accordo prematrimoniale riportasse l’obbligo, per la donna, di andarsene entro 30 giorni dalla richiesta di divorzio, inoltrata il primo maggio scorso. Ma la donna ha fatto sapere […] che potrebbe lasciare la dimora solo a condizione di un aumento degli assegni […] 

Costner […] afferma che la moglie vuole questi soldi non per i figli ma per se stessa: il suo commercialista avrebbe infatti scoperto che la donna ha speso in segreto più di 100.000 dollari in chirurgia estetica, oltre a migliaia di dollari per lo shopping, prelievi bancomat e altro ancora[…]

Kevin Spacey, il caso “zero” del linciaggio hollywoodiano. L’attore, vittima del populismo giudiziario internazionale, è stato assolto sia negli Usa che in Gran Bretagna. Ma dopo sei anni…Valentina Stella su Il Dubbio il 16 ottobre 2023

«Il mio mondo è esploso», ha testimoniato Kevin Spacey in tribunale a Londra. «C'è stata una corsa al giudizio e prima che la prima domanda venisse posta o si rispondesse, ho perso il mio lavoro, ho perso la mia reputazione, ho perso tutto nel giro di pochi giorni». Adesso chi ripagherà il due volte premio Oscar, uno dei più grandi attori della sua generazione, visto che è stato assolto sia negli Stati Uniti che in Gran Bretagna? Quando all’inizio di gennaio di quest’anno ha ricevuto, tra mille polemiche, un premio alla carriera dal Museo Nazionale del Cinema in una cerimonia a Torino l’attore ringraziò il museo per aver avuto «il coraggio, le palle, di invitarmi». Adesso che non serve più il coraggio qualcuno tornerà a farlo recitare sui grandi schermi? Sembrerebbe di no.

Come racconta inews.co.uk verso la fine di luglio, il New York Times ha contattato 15 importanti manager del teatro britannico. Il giornale americano ha voluto tastare il polso a Londra: potrebbe Kevin Spacey tornare alla ribalta? La loro risposta è stata il silenzio. Nessuno era disposto a commentare. Solo Alistair Smith, redattore del giornale di settore The Stage ha parlato della questione. Il ritorno di Spacey, ha scritto, «è altamente improbabile», così come un suo ritorno ad Hollywood. Insomma l’ostracismo continua a essere la sua punizione lavorativa. Come società, finora non siamo riusciti a sviluppare un approccio sano per riabilitare coloro che cadono in disgrazia e vengono soprattutto assolti.

Da quando era stato accusato di molestie e abusi sessuali, Spacey aveva smesso di lavorare come attore: nel 2017 era stato addirittura sostituito nel film di Ridley Scott “Tutti i soldi del mondo”, le cui riprese erano già state completate. Era stato poi escluso anche dal cast di “House of Cards”, la serie di Netflix di cui era stato protagonista per cinque stagioni. Intanto da allora la vera giustizia, quella delle Corti e non della piazza, ha fatto il suo corso: nel 2019, quando la presunta vittima si è improvvisamente rifiutata di testimoniare, i pubblici ministeri del Massachusetts hanno ritirato le accuse contro di lui in un procedimento penale in cui era accusato di aver aggredito sessualmente un uomo di 18 anni a Nantucket nel 2016. Un altro caso in California, intentato da un massaggiatore, è stato archiviato dopo la morte della presunta vittima.

L’anno scorso una giuria di New York lo ha assolto nella causa civile da 40 milioni di dollari che gli aveva intentato Anthony Rapp, l'attore di “Star Trek: Discovery” che l'aveva accusato di averlo molestato quando era ancora adolescente. A luglio di quest’anno un tribunale londinese lo ha assolto nel processo in cui era accusato di aver aggredito sessualmente quattro uomini. Le lacrime sono scese sul suo volto durante la lettura del verdetto finale di non colpevolezza. Il premio Oscar ha guardato la giuria, ha messo la mano sul petto e ha detto «grazie» ai nove uomini e tre donne che gli hanno restituito l’onore nel giorno del suo 64° compleanno.

Quello concluso tre mesi fa era l’ultimo processo pendente nei suoi confronti. Questi sono i fatti: cosa possiamo trarne? Senza dubbio questa sequela di assoluzioni è la prima vera crepa nel movimento del #metoo di cui Kevin Spacey era stato uno dei maggiori simboli. Il reietto è stato messo al bando dall’industria cinematografica, contro di lui si sono alzati i pugni delle femministe, è stato processato e giudicato colpevole dalle tricoteuse del nuovo millennio. Nessuno ha avuto la pazienza di attendere i verdetti del tribunale. L’epurazione doveva essere repentina, senza lasciare minimamente spazio alla presunzione di innocenza, inghiottita dal populismo giudiziario internazionale. Eppure Philip Roth, anch’egli travolto post mortem da questa ondata con accuse generiche e poco sostanziate, in poche parole è riuscito a dare senso a tutto questo: «Io presto ascolto al grido delle donne offese e ferite (nel caso di Spacey, uomini, ma non fa differenza, ndr). Non provo altro che solidarietà per il dolore e la loro richiesta di giustizia.

Ma mi rende ansioso la natura del tribunale che si sta pronunciando su quelle loro accuse. Mi rende ansioso, in quanto libertario e sostenitore dei diritti civili, perché non mi sembra un vero tribunale. Quello che invece vedo sono accuse rese istantaneamente pubbliche e subito seguite da un castigo perentorio. Vedo che all’accusato viene negato il diritto all’habeas corpus, il diritto a un confronto con chi lo accusa, e il diritto a difendersi in qualcosa che somigli a una vera corte di giustizia, dove possono essere fatte distinzioni rigorose riguardo alla gravità del crimine riportato» (Blake Bailey, Philip Roth – La biografia, Einaudi, pagine 1030, euro 26). Ecco, il grande scrittore americano con un perfetto equilibrismo tra le giuste pretese delle presunte vittime a farsi ascoltare e il diritto degli imputati ad essere giudicati nelle sedi opportune è riuscito a rappresentare tutti gli elementi in gioco del #metoo.

Quest’ultimo ha avuto sicuramente un impatto significativo sulla nostra cultura. Ad esempio la questione del consenso è cambiata grazie ad esso, con più persone che ora capiscono che «no» significa «no». Tuttavia nel 2018, Amber Heard si era dichiarata un «personaggio pubblico che rappresenta gli abusi domestici», e ha portato a un processo di alto profilo contro il suo ex marito, Johnny Depp. L’assoluzione di quest’ultimo ha rivelato che l'opinione pubblica è diventata meno amichevole nei confronti degli accusatori. Addirittura la violenza domestica continua a essere sottostimata, con solo il 41% dei casi denunciati alla polizia nel 2020, in calo rispetto al 47% del 2017, secondo il Dipartimento di giustizia americano.

Dagospia giovedì 27 luglio 2023. OGNI TANTO UNA BUONA NOTIZIA: FORSE POSSIAMO ARCHIVIARE QUEL PROGETTO POLITICO DI “REGIME CHANGE” NEI POSTI DI POTERE (TOGLIERE UOMINI E METTERCI DONNE) CHE SI CHIAMA “ME TOO” - L’ASSOLUZIONE DI KEVIN SPACEY E LE FALSE ACCUSE CONTRO JOHNNY DEPP DA PARTE DI AMBER HEARD, SENZA CONTARE LE INFAMANTI “RIVELAZIONI” CONTRO WOODY ALLEN, DIMOSTRANO CHE LA NEO-INQUISIZIONE ANTI-MASCHIO, INIZIATA (GIUSTAMENTE) CON IL CASO WEINSTEIN, E’ ANDATA FUORI CONTROLLO - “REPUBBLICA”: “IL METOO HA TRAVOLTO CINEMA, FINANZA E POLITICA, CON DECINE DI UOMINI IN POSIZIONI DI POTERE RIMOSSI DAI LORO INCARICHI. MA È STATO ACCOMPAGNATO DA FORTI POLEMICHE PERCHÉ SPESSO LA RESPONSABILITÀ DEGLI ACCUSATI VENIVA SANCITA SENZA UNA REALE DIMOSTRAZIONE DELLA VERIDICITÀ DEI FATTI”

Alba Parietti: «Il MeToo? Quello italiano è stato una barzelletta». Cosa insegna l’assoluzione di Kevin Spacey? Parla l’opinionista tv: «Io mi sono stufata di sentire inutili lamentele. La verità è che i veri potenti non si denunciano mai. E alla fine ci si accanisce contro una singola persona, senza mai cambiare le cose». Francesca Spasiano su Il Dubbio il 28 luglio 2023

Cosa resta del MeToo? È la domanda che si pone all’indomani dell’assoluzione di Kevin Spacey, diventato suo malgrado il simbolo di un movimento che ha sconquassato il mondo dello spettacolo in ogni parte del mondo. Cadute le accuse, svanisce anche la gogna. E forse l’attore americano potrà riprendersi la carriera che gli è stata sottratta. Ma cosa è cambiato, intanto, dentro quel sistema che si voleva smantellare? Per quel che riguarda l’Italia «assolutamente nulla», risponde Alba Parietti. «Il MeToo interessa soprattutto perché riguarda personaggi famosi, è il gusto del gossip - aggiunge la conduttrice e opinionista tv -. Ci siamo limitati a guardare la punta dell’iceberg, senza badare a quello che c’era sotto. E senza prendere coscienza di ciò che accade nel mondo, dove ogni giorno alle donne sono negati i diritti fondamentali. Ecco perché bisognerebbe estendere la nostra visione e smettere di piangersi addosso. Altrimenti facciamo le Elkann sul treno per Foggia».

Il MeToo italiano: caccia alla streghe o una rivoluzione mancata?

In America tutto è partito da due casi eclatanti, Weinstein ed Epstein, vicende documentate e arcinote. In Italia, il MeToo è stata un po’ una barzelletta: si è parlato di un unico caso, il caso Brizzi, assunto come capro espiatorio. Intanto il sistema è rimasto intatto. Tanto nel mondo dello spettacolo, quanto negli altri ambiti lavorativi dove ci sono tante situazioni che non hanno la stessa risonanza mediatica. Se c’è stata una caccia alle streghe? Prenda il caso di Roman Polanski, che ha pagato un prezzo altissimo per le accuse che gli sono state rivolte. Accuse che mi hanno molto stupita, e nelle quali non rivedo la persona che ho conosciuto per anni.

Ritiene che nel suo ambiente alcune vicende siano state strumentalizzate?

Bisogna imparare ad essere intellettualmente onesti. Io non giudico nessuna donna. Qualsiasi persona ha diritto di sognare la più fantastica delle carriere, senza accettare compromessi. Ma sono altrettanto convinta che questo sia possibile in pochissimi casi. Perché per ogni persona di talento, ce ne sono altrettante pronte a tutto per fare carriera. E bisogna ammettere che è la regola del gioco.

Accettare compromessi?

Scardinare questo tipo di sistema è molto - molto complicato. Perché c’è una grande capacità in questo lavoro di scavalcare gli altri senza alcun tipo di scrupolo morale. Io posso permettermi di dire che in 46 anni di carriera non ho mai accettato un compromesso.

Le è capitato di trovarsi in situazioni spiacevoli?

Due in particolare, molto inquietanti. Ho avuto la forza di reagire e di uscirne senza grosse conseguenze. Ma anche senza vantaggi per la mia carriera. Una volta, quando avevo 18 anni, ho ricevuto delle avances da parte di una persona che si trovava in una posizione di potere. Sono rimasta paralizzata, ma per fortuna avevo di fronte una persona non violenta che ha capito la situazione. E io purtroppo l’ho considerato un episodio normale. Il meglio che potessi sperare è che questa persona non mi perseguitasse lavorativamente per un rifiuto.

Ci ha più ripensato negli anni?

Ho cercato di limitare i danni. Non l’ho raccontato a nessuno, non volevo farne un caso. S’immagina un mondo in cui nessun produttore o regista importante ci prova con un’attrice? Crede che possa succedere? Dovrebbe, ma è un’utopia. Un giorno un grosso dirigente disse al mio agente: “Ricorda che la Parietti che non ha santi in paradiso”. Vede: certamente si può fare carriera anche senza accettare compromessi, ma facendo cento volte più fatica. E questo non è un lavoro per persone deboli. Ci sono i lupi e gli agnelli, ma gli agnelli devono imparare a diventare dei falchi ed essere capaci di difendersi.

Si potrebbe obiettare che non sono le donne a doversi difendere, ma gli uomini a dover cambiare.

Mi creda, nessuno è più femminista di me. Però io mi sono stufata di sentire inutili lamentele. La verità è che i veri potenti non si denunciano mai. E alla fine ci si accanisce contro una singola persona, senza mai cambiare le cose.

Come le si potrebbe cambiare, a suo parere?

Le donne devono imparare a difendersi culturalmente. Certo gli uomini devono cambiare per primi, ma anche le donne devono appropriarsi del diritto di non stare al gioco. E di sottrarsi a questo schema di scambio. Oggi si è perso il senso della morale e della vita. Vedo un analfabetismo totale dei sentimenti, un mondo mercificato e brutto da vedere.

E al contempo siamo diventati “puritani”, come sostiene qualcuno?

Se parla del politicamente corretto, ci siamo tolti soltanto il gusto della battuta. Un’ipocrisia totale. Perché non si può più dire nulla, ma sul piano dei diritti non è cambiato nulla.

Ma tornando al discorso precedente, per una donna che trova il coraggio di denunciare le cose non sono mai semplici. Il rischio è di finire sul banco degli imputati, fuori e dentro i tribunali.

Quando una donna denuncia viene sempre giudicata, lo abbiamo visto nei casi più eclatanti, come nella vicenda Genovesi. Si diceva: “Ah, ma queste ragazze facevano le escort”. Come se significasse che sono schiave. Il problema è il giudizio, che spesso viene proprio dalle donne. Una donna che fa la escort e viene violentata, è una donna violentata. Punto. Bisogna sempre distinguere tra una scelta consapevole da parte delle donne, che possono accettare dei compromessi e non vanno giudicate per questo. Ma quando non c’è una scelta, si tratta di violenza. A qualunque livello.

Che idea si è fatta del caso LaRussa Jr? Il presidente del Senato ha ricevuto duri attacchi per le parole pronunciate in difesa del figlio, ed è diventato anche un bersaglio delle femministe che hanno affisso dei manifesti in segno di protesta.

Credo che abbia ragione Meloni, quando dice che se fosse stato suo figlio avrebbe scelto di restare in silenzio. Sono abituata a non giudicare mai prima di conoscere i fatti. E questo deve valere anche per il presidente La Russa. Ma non mi piace fare la forcaiola, i processi si fanno in tribunale.

CASO KEVIN SPACEY, GIUSTO ROVINARGLI LA CARRIERA? Si & No

Il Sì&No del giorno.

Caso Kevin Spacey, giusto rovinargli la carriera? “Sì, bisognava proteggere le vittime e difendere l’integrità del cinema”. Veronica Cereda su Il Riformista il 28 Luglio 2023 

Nel Sì&No del giorno ci occupiamo del caso dell’attore Kevin Spacey, accusato di molestie sessuali, assolto nelle ultime ore da tutte le accuse. Dalle accuse a Spacey, mosse i primi passi il movimento #Metoo, mentre Spacey vide la sua carriera sostanzialmente stoppata. Abbiamo chiesto se sia stato giusto rovinare la carriera all’attore all’attivista Veronica Cereda, che è favorevole, e al parlamentare ed avvocato Francesco Bonifazi, che è contrario.

Qui il parere di Veronica Cereda.

L a decisione di interrompere la carriera di Kevin Spacey è stata giustificata dalle gravi accuse di molestie sessuali che sono state mosse nei suoi confronti. Le accuse, rese pubbliche nel 2017, coinvolgevano numerose persone che avevano lavorato con lui o che avevano avuto incontri personali. Queste affermazioni hanno scosso l’industria cinematografica e hanno avuto un impatto significativo sulla reputazione di Spacey come attore e figura pubblica. Le accuse di molestie sessuali sono estremamente serie e possono avere un profondo effetto sulle vittime coinvolte. Esse non solo causano un trauma emotivo e psicologico, ma possono anche influenzare negativamente la vita e la carriera delle vittime. È fondamentale ascoltare e sostenere le vittime, garantendo che le loro storie siano ascoltate e che ricevano giustizia.

Le accuse contro Kevin Spacey hanno ricevuto un’attenzione significativa da parte dei media e dell’opinione pubblica, mettendo in luce l’importanza di affrontare seriamente i problemi legati agli abusi sessuali nell’industria dell’intrattenimento e oltre. Questi eventi hanno innescato un’importante discussione sulla cultura del silenzio e dell’impunità che ha a lungo caratterizzato l’industria cinematografica e spettacolare. Le azioni prese per interrompere la carriera di Spacey sono state intraprese da istituzioni e produttori cinematografici sulla base delle accuse e delle prove disponibili. Queste azioni possono includere il licenziamento da progetti in corso o il rifiuto di lavorare con lui in futuro. Tale reazione può essere vista come una misura preventiva per proteggere l’immagine e l’integrità dell’industria, ma soprattutto per proteggere le vittime e garantire che non si sentano emarginate o ignorate. È importante sottolineare che la presunzione di innocenza è un principio fondamentale nei sistemi giuridici democratici.

Tuttavia, quando si affrontano casi di molestie sessuali, spesso può essere difficile ottenere prove concrete e la verità può risultare complessa da stabilire. Pertanto, mentre il sistema giuridico può trattare il caso in base alle leggi vigenti, la società e l’industria del cinema devono prendere decisioni basate sul rispetto e sulla protezione delle vittime. Un altro aspetto importante di questo dibattito riguarda il messaggio inviato alla società. Quando una figura pubblica Veronica Cereda / Attivista accusata di abusi sessuali continua a lavorare senza conseguenze, ciò potrebbe trasmettere il messaggio che tali comportamenti sono tollerati o ignorati. Al contrario, interrompere la carriera di un individuo accusato di molestie sessuali può inviare un segnale forte che tali comportamenti sono inaccettabili e non saranno ignorati o minimizzati.

In conclusione, la decisione di interrompere la carriera di Kevin Spacey dopo le accuse di molestie sessuali è stata giustificata dal bisogno di proteggere e sostenere le vittime, mantenere l’integrità dell’industria cinematografica e inviare un messaggio chiaro contro gli abusi sessuali. È importante continuare a lottare contro la cultura dell’impunità e lavorare verso un ambiente più sicuro e rispettoso per tutti. Veronica Cereda

Il Sì&No del giorno

Caso Kevin Spacey, giusto rovinargli la carriera? “No, una vita spezzata, per anni sotto la scure di una giustizia sommaria e mediatica”. Francesco Bonifazi su Il Riformista il 28 Luglio 2023 

Nel Sì&No del giorno ci occupiamo del caso dell’attore Kevin Spacey, accusato di molestie sessuali, assolto nelle ultime ore da tutte le accuse. Dalle accuse a Spacey, mosse i primi passi il movimento #Metoo, mentre Spacey vide la sua carriera sostanzialmente stoppata. Abbiamo chiesto se sia stato giusto rovinare la carriera all’attore all’attivista Veronica Cereda, che è favorevole, e al parlamentare ed avvocato Francesco Bonifazi, che è contrario.

Qui il parere di Francesco Bonifazi.

Un grido di dolore e di vergogna dovrebbe levarsi dall’Inghilterra e dagli Stati Uniti per ciò che è accaduto a Kevin Spacey. Ma più in generale dovrebbe levarsi un grido di dolore per l’insensata e, ahimè, colpevole compressione dei princìpi di Giustizia che si è verificata in questi due Paesi, caratterizzati storicamente dal sistema di Common Law da sempre antesignano nel riconoscimento dei diritti e nell’esercizio della Giustizia.

Questa assoluzione mi auguro serva a far comprendere che la Giustizia, quella vera, quella che incide sulla vita di ciascuno di noi, si forma solo e soltanto nel Processo, nel contraddittorio tra le parti. La Giustizia non può essere quella emersa dalle parole di improbabili accusatori o, peggio, quella descritta nei caratteri e nelle parole di qualche spregiudicata testata giornalistica, impegnata più nello sciacallaggio mediatico che non nel rispetto del diritto di cronaca. Un sistema, quello della giustizia sommaria, che trova infine sublimazione nel mare magnum, privo di regole e di morale, dei social network. Sempre più spesso, purtroppo anche in Italia, la verità processuale cede il passo alla verità mediatica frutto di una cronaca giudiziaria (per fortuna non tutta) priva di scrupoli e più impegnata ad additare il colpevole che non a ricercare criticamente la verità. Una vita spezzata, anzi correggo, tante vite spezzate; quella di Kevin Spacey, quella della sua famiglia e quella di chi gli vuole bene.

Per anni sotto la scure di una giustizia sommaria, mediatica, Spacey è stato designato dai media come il colpevole di efferati reati che in verità non ha mai commesso. Da carnefice oggi ci accorgiamo che è stato vittima di una giustizia ingiusta, che lo ha leso irreparabilmente nella sua reputazione, nel suo onore, nella sua dignità, oltre ad avergli distrutto la vita professionale. È bene ripetercelo: per tutto il mondo egli è stato, per oltre quattro anni, il “predatore seriale, viscido e spregevole” (così gli atti d’accusa), e oggi, grazie alla Giustizia vera, quella che si esercita davanti ai giudici nel Processo, torna finalmente ad essere Kevin Spacey, un uomo vittima di una distorsione e di un arretramento culturale che sta colpendo tutto l’Occidente e che vede negli Stati Uniti un negativo anticipatore. Per ironia della sorte si potrebbe affermare che Kevin Spacey in questi anni fosse stato confuso col suo personaggio più famoso, quello del politico corrotto, privo di scrupoli e morale. Egli però non lo era, era invece il grande attore che con grande capacità e con grande professionalità ha interpretato il suo carnefice, metafora (il politico corrotto) dello scadimento dei valori essenziali delle nostre società.

Le deriva giustizialista, lo sciacallaggio mediatico, il massimalismo giudiziario rappresentano un’aggressione profonda alla nostra cultura, ai nostri valori giuridici, una vera involuzione. Permettere che la nostra cultura giuridica ceda il passo alla rabbia giustizialista, significa non solo mortificare la nostra storia, ma indietreggiare verso sistemi sommari che abbiamo sempre e giustamente contrastato. Siamo l’Occidente, siamo i figli di culture democratiche, siamo fermi sostenitori dello stato di diritto, per questo dobbiamo reagire con forza a questa spinta verso l’anticultura massimalista, giustizialista, che minaccia ahimè non solo gli Stati Uniti, ma anche la nostra Europa e la nostra Italia. Francesco Bonifazi

Estratto dell’articolo di Arianna Farinelli per “la Repubblica” giovedì 27 luglio 2023.  

Kevin Spacey è stato assolto ieri a Londra dall’accusa di aver abusato sessualmente di quattro uomini. Durante il processo il suo avvocato ha dichiarato che chi lo accusava ha mentito solo per ottenere dei benefici finanziari. Già l’anno passato, Spacey era stato assolto in un altro processo per abusi sessuali a Manhattan. Non è questo il primo processo dell’era del MeToo che finisce in questo modo. Lo scorso anno l’ex moglie di Johnny Depp, Amber Heard, era stata condannata per aver ingiustamente accusato il marito di violenza.

E già allora il New York Times scriveva che quel processo aveva decretato una volta per tutte la fine del MeToo, il movimento diventato globale dopo le accuse di abusi sessuali al produttore Harvey Weinstein. In questi anni il MeToo ha finito per travolgere il mondo del cinema, della finanza e della politica, con decine di uomini in posizioni di potere rimossi dai loro incarichi. Ma è stato accompagnato anche da forti polemiche perché spesso la responsabilità degli accusati veniva sancita senza una reale dimostrazione della veridicità dei fatti. 

E ci sono stati casi famosi, come quello di Woody Allen, che hanno diviso l’opinione pubblica e decretato la fine della carriera del regista, almeno negli Stati Uniti. Quest’anno il film di Allen e quelli di registi come Luc Besson e Roman Polanski, anche loro accusati di abusi, verranno presentati alla Mostra di Venezia, segno che forse i tempi sono davvero cambiati rispetto al MeToo.

Quello che invece non è cambiato, e anzi è in crescita, è la violenza di genere: più 33% di casi di violenza sessuale nel 2022, secondo il ministero dell’Interno. Pertanto, il punto vero non è se il MeToo è morto come movimento, ma se la battaglia per i diritti delle donne è viva. Nel nostro Paese, poi, come hanno dimostrato i casi di cronaca delle ultime settimane, è sempre più radicato il pregiudizio che addebita alla donna la responsabilità della violenza sessuale subita. Il 12 luglio il Parlamento Europeo ha approvato una direttiva per combattere più efficacemente la violenza di genere negli Stati dell’Unione.

[…] Forse, invece di occuparci dei processi alle celebrità, dovremmo impegnarci in un profondo cambiamento culturale, oltre che giuridico, affinché si crei maggiore consapevolezza e rispetto attorno al tema del consenso.

Estratto dell’articolo di Caterina Soffici per “la Stampa” giovedì 27 luglio 2023.

Kevin Spacey non è più un mostro. L'hanno assolto ieri a Londra da tutti e nove i capi d'accusa, tra cui violenza sessuale e induzione di attività sessuali senza consenso. Per tutto il tempo della lettura dei verdetti l'attore due volte premio Oscar è rimasto in piedi in un box trasparente al centro dell'aula, in abito blu scuro, guardando la giuria senza far trasparire emozioni. […] 

La giuria ci ha messo appena dodici ore e mezza a decidere. Una giuria composta da 12 cittadini britannici comuni (nove uomini e tre donne) tirati a sorte dalle liste elettorali.

Un aspetto interessante, questo, perché il verdetto popolare ribalta la condanna mediatica contro l'attore descritto negli ultimi sei anni come un «predatore seriale», «viscido, disgustoso e spregevole», un «cobra che si credeva intoccabile» in quanto ricco, potente e famoso, paragonato a un serpente perché abile in una mossa fulminea con la quale si avventava sugli organi sessuali delle sue giovani prede.

Il verdetto arriva dopo un processo lungo un mese, nel giorno del compleanno numero 64, e c'è già chi parla di una nuova nascita per Spacey. Anche se non è ovvio rifarsi una vita, dopo che sei stato uno dei simboli negativi del potere cattivo dei maschi di Hollywood, e quattro uomini ti hanno accusato, proprio all'inizio del #MeToo, di aver abusato del tuo potere per molestarli sessualmente.

Era il 2017 quando le accuse di comportamenti inappropriati sono iniziate ad emergere contro Spacey su entrambe le sponde dell'Atlantico. Durante il processo, sono stati ascoltati i quattro uomini che hanno dichiarato che Spacey li aveva aggrediti tra il 2001 e il 2013, durante il periodo in cui l'attore è stato il direttore artistico dell'Old Vic, il più importante teatro di prosa londinese.

Uno dei denuncianti aveva accusato Spacey di averlo toccato più volte senza il suo consenso. In una occasione, nel 2004 o nel 2005, ha detto che l'attore gli ha afferrato i genitali così forte da farlo quasi uscire di strada mentre era alla guida e si stavano dirigendo al "White White Tie and Tiara Ball" di Elton John. 

[…] Un altro accusatore ha detto di aver scritto a Spacey sperando che gli facesse da mentore e di essere poi andato a bere qualcosa a casa dell'attore a Londra. Lì si sarebbe poi addormentato e si sarebbe svegliato trovandosi Spacey in ginocchio che gli praticava sesso orale. Spacey ha ammesso queste relazioni, ma ha sostenuto che erano consensuali.

La difesa (che pare sia costata all'attore tra i 2 e i 3 milioni di sterline) ha giocato tutto sull'aspetto del ricatto, sostenendo che tre dei denuncianti hanno mentito nella speranza di ottener un guadagno economico. Patrick Gibbs, l'avvocato di Spacey, ha sostenuto che lo stile di vita promiscuo dell'attore lo ha reso un «bersaglio facile» per le false accuse.

L'attore dal canto suo ha ammesso di aver fatto uso di droghe «ricreative» ma ha sempre negato di aver approfittato del suo ascendente e di aver agito in modo non consensuale. Va anche ricordato che nel 2022, una giuria federale di Manhattan aveva dichiarato Spacey non responsabile di percosse dopo che l'attore Anthony Rapp aveva intentato una causa accusandolo di averlo assaltato e di avergli fatto una avance sessuale nel 1986, quando Rapp aveva 14 anni. Ora è da capire se davvero questa seconda rinascita a 64 anni sarà possibile. […]

In difesa di Golia. Tommaso Cerno su L'Identità il 28 Luglio 2023

Come in una nemesi i Soliti Sospetti, la figura più forte accusata da quella più debole, si trasforma nei soliti pregiudizi. Kevin Spacey è condannato dal mondo, cade dal suo altare ma poi è innocente. Perché Davide e Golia non è sempre la realtà. Dovremmo trarre una lezione dall’esito del processo di Londra a quello che è stato il più grande attore del momento nel mondo proprio quando venne colpito dalle accuse di molestie da parte di giovani aspiranti attori che l’avevano incontrato.

È stato facile scrivere la trama del film che lui non aveva ancora girato. Un film in cui chi non era Kevin si sentiva vittima di un successo planetario e tifava per quelle accuse. Accuse che si sono materializzate come una condanna dantesca, cancellando il suo nome dal cinema in poche ore, cancellandolo dai titoli di coda, cancellandolo dai progetti già in corso, mentre nel silenzio ipocrita tutti noi avevamo già deciso che quel signore che sugli schermi era il presidente degli Stati Uniti cinico e fluido Underwood nella realtà era un molestatore di ragazzini. E nell’America neopuritana non c’è stato scampo. È un po’ il sistema hollywoodiano applicato alla giurisprudenza quello che ci fa leggere la trama come l’avrebbe scritta uno sceneggiatore, quella trama che vediamo ripetersi nelle fiction nei film identica sempre, quella trama per cui il debole ha ragione e prima o poi riuscirà nella società perfetta che non guarda in faccia a nessuno a sconfiggere il potente.

Il problema è che le società perfette non esistono e che non sempre le trame corrispondono alla realtà. Anche se ci piacerebbe pensare che chi ha fatto e ha avuto più di noi in fondo nasconde segreti inconfessabili, anche se ci stimola l’idea che veder cadere chi sta in alto porta un po’ più in alto anche noi, si tratta di grandi bugie che raccontiamo a noi stessi. E che mostrano invece quanto poco crediamo davvero in quello che diciamo.

Noi vogliamo una giustizia uguale per tutti e invece la giustizia ha sempre il manico dalla parte di chi accusa. Noi vogliamo una società da sogno in cui non è possibile che una persona che non ha avuto ciò che voleva dalla vita inventi delle accuse o ingigantisca dei fatti perché non potendo arrivare là dove un altro è arrivato vuole veder scendere lui fino al suo livello. Eppure succede anche questo. Perché non è detto che un grande attore, inarrivabile, narcisista, omosessuale debba per forza violentare o molestare i ragazzi che incontra nella vita privata o in quella lavorativa.

Come non è sempre vero che il debole che denuncia il più forte lo fa per un senso di giustizia, vincendo le paure o sfidando il sistema. Capita anche che lo faccia per invidia o per vendetta e che il sistema stia bello e schierato proprio dalla sua parte, indipendentemente dai fatti reali e se noi vogliamo davvero che chi subisce torti o malvagità, così come violenze o soprusi, possa difendersi da chi li ha compiuti usando una posizione di forza, sfruttando l’ufficio del capo, facendo quello che succede davvero in molti sistemi gerarchici, dobbiamo limitarci ad analizzare i fatti. Perché altrimenti noi faremo un danno proprio a chi è vittima davvero esponendo al mondo i limiti del nostro sistema giudiziario e morale.

Sono pronto a scommettere che nemmeno stavolta cambierà nulla perché è troppo bello dal divano di casa sposare la sentenza che ci fa vedere il mondo come più giusto, sensazione che non viene rovesciata nemmeno quando abbiamo le prove che la giustizia in quel caso stava tutta da un’altra parte. E così come nell’ultima scena dei Soliti sospetti mentre Kevin Spacey smette di zoppicare e mostra a tutti il vero volto di Kaiser Soze noi lo rivedremo camminare eretto a dirci che quel passo incerto che ha travolto la sua vita non era reale, mentre tutti guardavano da una parte la verità si consumava come in un gioco di prestigio agli antipodi del racconto su cui il mondo è rimasto sospeso per anni. Con la differenza che Soze era un criminale che fuggiva e si mimetizzava nel mondo incapace di afferrarlo mentre Kevin è un innocente che farà molta fatica a rientrare in quello spazio che durante la vita si era costruito recitando la parte di un altro.

Estratto dell'articolo di tg24.sky.it mercoledì 26 luglio 2023.

L'attore statunitense Kevin Spacey è stato dichiarato non colpevole da una giuria presso un tribunale di Londra nel processo in cui era accusato di aver commesso reati sessuali nei confronti di quattro uomini. Il 64enne premio Oscar è stato assolto da nove accuse, tra cui violenza sessuale e induzione di attività sessuali senza consenso. 

I presunti abusi e molestie sessuali contestate a Londra riguardavano vicende risalenti a un periodo compreso fra il 2001 e il 2013. Il verdetto della giuria popolare, radunata dinanzi alla Southwark Crown Court, è arrivato dopo circa un mese di udienze. L’attore si era sempre dichiarato innocente rispetto alle accuse, riguardanti una decina di episodi, rivoltegli da 4 uomini più giovani tra cui un ex aspirante attore.

Le accuse erano denunciate in due tranche, prima dal giovane aspirante attore, poi da altri tre uomini che a quel tempo avevano tra i 20 e i 30 anni. Nella fase finale del procedimento la pubblica accusa ha insistito nel presentare il due volte premio Oscar come un personaggio che ha sfruttato il suo potere e la sua influenza nel mondo dello spettacolo per abusare di uomini più giovani di lui sostenendo che il suo comportamento andasse giudicato alla stregua delle molestie sessuali commesse ai danni di donne e denunciate dal movimento MeToo.

L'avvocato difensore di Spacey, Patrick Gibbs, ha invece negato ogni accusa, sebbene l'attore abbia riconosciuto di essere una persona "promiscua" e ammesso di aver fatto uso di droghe "ricreative" ma allo stesso tempo ha negato con forza di aver approfittato del suo ascendente e di aver agito in modo non consensuale. […]

 Estratto dell’articolo di Paola De Carolis per il “Corriere della Sera” mercoledì 26 luglio 2023.

Si è difeso dicendosi, tra le lacrime, un uomo «propenso al flirt» ma non per questo «cattivo» e definendo le accuse di molestie e violenze sessuali a lui rivolte «pura follia»: al termine di un processo lungo quasi un mese, il destino dell’attore Kevin Spacey è ora nelle mani di dodici giurati. 

Spetterà a loro – normalissimi londinesi convocati a svolgere il proprio dovere civico – decidere chi ha ragione in un caso che alla Southwark Crown Court di Londra ha portato una sfilata di star e l’attenzione dei media internazionali. 

Due volte premio Oscar – per American Beauty e I soliti sospetti – ex direttore del teatro Old Vic, famosissimo anche grazie alla serie House of Cards, Spacey si è battuto con ogni mezzo: conferma dell’importanza del verdetto londinese, si è avvalso della testimonianza via video di Elton John e del marito David Furnish oltre a quella di Chris Lemmon, figlio di Jack, che lo hanno ritratto come un amico affidabile e sempre pieno di rispetto verso gli altri, […]

[…] L’assoluzione piena gli permetterebbe di riavviare una carriera interrotta bruscamente dalle prime accuse nel 2017, all’epoca degli esordi del #MeToo. Un verdetto di colpevolezza, invece, allontanerebbe la possibilità di riabilitazione in modo definitivo. 

Quattro gli accusatori – la loro identità è protetta dalla legge, ma si sa che del gruppo fanno parte un ex autista di Spacey e un aspirante attore – e dodici i capi d’accusa, che risalgono al periodo tra il 2001 e il 2013. Spacey in aula à stato descritto come un predatore seriale «viscido, disgustoso e spregevole».

Nel corso delle udienze sono emersi i dettagli delle presunte molestie: da quella che è stata definita la «mossa caratteristica» di Spacey, ovvero l’abilità di afferrare l’inguine delle sue vittime in modo inaspettato e violento, a un rapporto di sesso orale avuto con un uomo che crede di essere stato drogato una volta arrivato nell’appartamento dell’attore. Le azioni e i movimenti di Spacey sono stati paragonati a quelli di «un cobra che si credeva intoccabile».

Da parte sua, l’attore ha ammesso di aver condiviso momenti di intimità con alcuni suoi accusatori ma ha sottolineato di aver avuto soltanto rapporti consensuali.

Ha ammesso inoltre di aver «interpretato male» i segnali ricevuti da uno dei quattro uomini e di aver cercato di spingersi «goffamente» oltre il flirt prima di capire di aver frainteso. Ha detto di aver fatto uso di droghe e di essere promiscuo, aggiungendo però che tutto questo non fa di lui un mostro. […]

Non colpevole. Kevin Spacey assolto per le accuse di molestie sessuali, perché l’attore era finito sotto processo. È terminato con una sentenza di assoluzione il processo ai danni della star di Hollywood. A denunciarlo sono stati quattro uomini. Redazione Web su L'Unità il 26 Luglio 2023

“Non colpevole“, lo ha stabilito la giuria londinese che si è occupata del processo a carico di Kevin Spacey. La decisione è giunta dopo tre giorni di riunione in camera di consiglio. Il verdetto è stato già consegnato alla Southwark Crown Court. L’attore era stato accusato di molestie sessuali, dopo la denuncia di quattro uomini. I fatti sarebbero accaduti venti anni fa. Tre hanno dichiarato di essere stati afferrati in modo violento da Spacey al linguine. Il quarto, un aspirante attore, l’aveva invece accusato di avergli praticato del sesso orale dopo essersi risvegliato a casa della star di Hollywood, dove era svenuto o si era addormentato.

L’altro procedimento giudiziario

L’attore si è sempre dichiarato non colpevole. Perché Kevin Spacey è stato accusato? La star di Hollywood è stato assolto lo scorso ottobre dalla Corte Federale di New York dopo che il premio Oscar era finito sotto processo in seguito alle accuse del collega Anthony Rapp. Quest’ultimo, lo aveva denunciato per alcuni fatti avvenuti nel 1986. Rapp sarebbe stato molestato da Spacey quando aveva 14 anni e l’attore era già noto a Broadway. La denuncia fu fatta nel 2017 e la presunta vittima chiese 40 milioni di dollari di risarcimento. Sulla vicenda si scatenò il movimento ‘MeeToo‘. Il processo è durato tre settimane e i giurati hanno impiegato 90 minuti per prendere una decisione. Il verdetto è stato consegnato al giudice Lewis Kaplan.

Perché Kevin Spacey è stato accusato

Spacey è uno degli attori più famosi e importanti della storia del cinema. Ha vinto due oscar per le interpretazioni nei film I Soliti Sospetti e American Beauty. Da ricordare Americani, Il prezzo di Hollywood, Iron Will, Seven, L.A. Confidencial, Bugie, baci, bambole e bastardi, The big Kahuna, K-Pax, The life of David Gale. A causa delle accuse è stato licenziato da Netflix che gli impedì di essere protagonista dell’ultima stagione di House of cards. Lo stesso gli è capitato per il film girato da Ridley Scott, Tutti i soldi del mondo. Il lungometraggio ha raccontato la storia del rapimento di John Paul Getty III, nipote di uno degli uomini più ricchi del mondo: Jean Paul Getty. Proprio quest’ultimo era stato interpretato da Spacey, poi sostituito da Christopher Plummer. Redazione Web 26 Luglio 2023

 Estratto dell’articolo di Natalia Aspesi per “la Repubblica” sabato 29 luglio 2023

Oggi le prede che potevano concupire Kevin Spacey (o essere da lui concupite) l’hanno lasciato un po’ ciccio, come può esserlo a 64 anni uno che ha passato anni brutti tra gente bruttissima, a spiegare che quelle cose là lui non le aveva proprio fatte, per lo meno con loro. Proprio a Londra, dove era stato a dirigere l’Old Vic in tempi quasi remoti, dal 2003 al 2009, quando gli allora giovanetti da lui avvicinati dicevano di essersi addormentati mentre lui ne faceva di ogni colore e loro continuavano a dormire. […] ora le signore possono singhiozzare contente: innocente!

Anche lui, pover’uomo, di quei lontani passaggi tra giovanotti non aveva più memoria, ma il MeToo, vindice, che non fa differenze tra uomo, donna o altro, si è abbattuto su di lui per almeno cinque anni di umiliazione e vuoto: niente sesta puntata dell’appassionante Underwood per Netflix, niente Tutti i soldi del mondo in cui, sostituito da Christopher Plummer, doveva essere l’avaro miliardario Jean Paul Getty. 

Niente soprattutto Gore, prodotto da Netflix, sulla aristocratica vita di Gore Vidal, grande scrittore omosessuale americano, già girato ma messo in cantina. E in più, tanto per dire il suo momento di disperazione, si è lasciato mettere in un film di Franco Nero, L’uomo che disegnò Dio, scomparso in un baleno.

Riuscirà il grande attore Spacey a tornare a galla, mentre nel frattempo gli attori si son messi a scioperare e al cinema vanno ormai i novantenni? I tempi cambiano in un baleno. Adesso anche il MeToo, dopo aver raggiunto picchi estremi (quale quello di mandare in galera un buon giovane che ti diceva “che bel sedere”), sta un po’ in affanno. Ma pochi anni bastano a rendere vecchia una bella idea, a renderla frusta? 

Parliamo adesso delle vere protagoniste, le donne per cui il MeToo è nato. In un bell’articolo su Repubblica, Arianna Farinelli ricorda come il codice penale italiano, 609 bis, prevede che oggi il reato di stupro sia necessariamente legato alla violenza e non al rapporto sessuale senza consenso.

Sinceramente, e con tutta la buona volontà, è difficile pensare a una folla presente al fattaccio, che sostenga che ha ragione lei o ha ragione lui, col consenso o senza consenso. È dall’estate del 2019, quasi quattro anni, e da qualche settimana che ci si chiede se Ciro Grillo (con processo avviato) e Leonardo Apache La Russa (ancora a indagine) siano colpevoli o no, ed è probabile che le sentenze ci saranno quando i due saranno lieti nonni: […] 

Poi altre cose sono di molto cambiate. Secondo il Pd si sono raddoppiati i queer che le donne neanche le vedono, una massa immensa di influencer maschi e non solo loro ha imparato a depilarsi tutto e se non sembri un leone perché dovresti perdere tempo con una signorina? Ma poi dove sono finite le giovani timide che nulla sanno della vita e nessuno gli ha detto di tenerla ben stretta sino alle sante nozze, guarda la povera Maria Goretti? 

Si sa che oggi va di moda, anche in piena estate, uscire di casa a mezzanotte per andare a divertirsi nei luoghi giusti (come Apophis a Milano) sino alle 7 del mattino. Non per niente i giovani in vacanza al mare sanno che l’abbronzatura è del tutto fuori moda. È che passare la notte fuori può essere anche un po’ noioso e puoi passare al petting (che parola anziana!), giusto sino a quando ti accorgi che non va bene, la ragazza in quel momento, o dando spintoni, dice di no che è no ma può anche essere sì. Sì sì o sì no?

Forse il momento in cui stare insieme, in una bella notte di estivo tifone a 40 gradi con vento che sradica gli alberi, diventa da cose carine a stupro. Forse sì, forse no? MeToo è nato contro i produttori che pretendevano di portarsi a letto le ragazze che poi diventavano dive. Oggi quel tempo è già […] finito, il numero di film, per esempio in Italia, che poi nessuno va a vedere, è in parte fatto da registi ignoti, spesso più o meno inutili e malamente finanziati. La 80esima Mostra di Venezia, che si svolgerà dal 30 agosto con la direzione di Barbera, promette di essere un ritorno al grande cinema, come se tutto tornasse come prima. Chissà il MeToo.

L’assoluzione della marmotta. E ora fateci vedere Kevin Spacey che fa Vidal, o almeno fategli fare il cattivo di Mission: Impossible. Guia Soncini su L'Inkiesta il 27 Luglio 2023

Sono cadute anche le accuse londinesi, ma la nomea del più grande attore vivente ormai è rovinata. Chissà se esistono davvero quelli che promettevano che l’avrebbero scritturato una volta che fosse stato prosciolto 

«Molte persone temono che, se si schierano dalla mia parte, non avranno più una carriera. Ma so che c’è chi è pronto a scritturarmi nel momento in cui verrò prosciolto da queste accuse a Londra. Nel momento in cui accade, sono pronti a farsi avanti». L’ha detto il 6 maggio, a un intervistatore di Die Zeit, Kevin Spacey, che a quel punto era stato assolto o prosciolto in tutti i processi americani.

Ieri l’assoluzione della marmotta è tornata. Le accuse londinesi erano legate a quattro diversi uomini che asserivano d’essere stati forzatamente concupiti o toccati da Spacey, in un arco di tempo tra il 2001 e il 2013. Le accuse erano arrivate nel 2022, tre prima e una dopo l’ultimo articolo in cui avevo scritto: adesso che Spacey è stato assolto, potete per favore restituirlo al pubblico?

Questo per dire che, nonostante quello concluso ieri fosse l’ultimo processo pendente, non è affatto detto che oggi un attore senza talento o un qualunque tizio con qualche nevrosi non si sveglino e non decidano che la ragione della loro mancata realizzazione è che una volta si sono svegliati e hanno trovato Kevin Spacey che glielo stava ciucciando (una delle accuse londinesi era formulata esattamente così).

A quante assoluzioni si può assistere prima di decidere che sì, va bene, l’altare del consenso al quale ci inginocchiamo tutti (scusate il doppiosenso) è sacro, ma insomma chiunque conosca gli uomini in generale e gli uomini gay in particolare fatica a non mettersi a ridere di fronte a queste accuse, e non esiste che noi non possiamo vedere il film di Netflix su Gore Vidal (cioè: il più grande attore vivente che interpreta uno dei più interessanti personaggi del Novecento) perché qualcuno si è pentito d’essersi fatto fare un pompino da Kevin Spacey. Mi scuso per la crudezza coi lettori e con chi volesse affidarmi la conduzione d’una striscia in Rai, ma insomma di questo si tratta.

Non sono, dicevo, affatto sicura che quest’assoluzione sia quella definitiva, e quindi non so se l’ottimismo di Spacey sia giustificato, però la Zeit faceva l’esempio di Johnny Depp, trattato come un appestato finché erano in piedi le accuse di Amber Heard, e ora eccolo tornare in gran spolvero a Cannes con “Du Barry”. Solo che per Depp si sapeva dove stesse la fine: aveva meno ex mogli di quanti giovanotti ci saranno in giro con cui Spacey si è accoppiato in decenni di vita busona segreta.

C’è, inoltre, un altro vantaggio: lo sciopero del sindacato degli attori e di quello degli sceneggiatori. Magari tra un po’ Netflix si trova coi magazzini vuoti, magari quel Kevin Spacey nel ruolo di Gore Vidal che hanno da parte torna utile a riempire una stagione senza novità.

Se non avessero già presentato il programma di Venezia, sarebbe bello immaginarlo lì, in quest’Italia in cui, mi pare la definizione sia di Maria Laura Rodotà, il MeToo viene a morire. In programma c’è già Woody Allen: due assolti dai tribunali ma reietti della società civile ci starebbero bene.

Alla Zeit, Spacey ha detto anche che la sua reputazione è ormai irrecuperabile, non si può pensare di sanarla; leggevo e pensavo come sempre a Rhett Butler: chi ha coraggio fa anche a meno della reputazione. Ma soprattutto pensavo che forse giusto ai tempi della guerra civile americana si parlava di reputazione tanto quanto in questo secolo, in questo secolo che ogni giorno ci dimostra che la reputazione non conta niente, non vale niente, non esiste.

Per mille ragioni, che vanno dal fatto che nessuno sta dietro a tutte le notizie (ci sarà sempre quello che sa delle accuse a Spacey ma non delle assoluzioni), all’economia dell’attenzione che non ci permette di occuparci di tutto (esisterà persino un pubblico per cui Kevin Spacey è quello che fa Keyser Söze finto zoppo e poco più), all’attenzione labile dell’opinione pubblica: ogni giorno c’è qualcuno – un politico, una influencer, una scienziata, un calciatore – che viene sputtanato in modi che ci fanno pensare che non lavorerà mai più, e poi dopo una settimana è tutto dimenticato. Abbiamo già tante cose da pensare, possiamo mai tenere a mente gli scandaletti continui?

Mentre aspettava che la sua fedina penale tornasse immacolata, Spacey ha fatto una serie di cose minori (tra cui un film di Franco Nero, essendo noi appunto il paese dove il MeToo viene a morire, per non parlare di come si mangia bene). Il regista inglese di uno di questi film ha gongolato alla Zeit che, se Spacey fosse stato assolto, il suo sarebbe stato il primo film con Spacey innocente a venire distribuito – e ora così sarà, immagino. Ma, poiché a maggio ancora non si sapeva come sarebbe finita, aveva anche preso in considerazione l’ipotesi d’una condanna: «C’è gente che lo verrà a vedere lo stesso: nessuno ha smesso di ascoltare Michael Jackson».

Non è questione di distinguere l’uomo dall’artista: è questione che pochissime di noi hanno voglia di fare Torquemada quando ci svacchiamo sul divano. Vogliamo vedere un attore che ci piaccia, ascoltare una canzone che ci faccia ballare. È questione di livelli di talento piuttosto rari, e infatti Michael Jackson, per sostenere questa tesi, è l’esempio che usano sia Ricky Gervais sia Chris Rock nei loro monologhi. Non è che là fuori ci sia un pieno di cantanti accusati di cose brutte ma che hanno una discografia irresistibile. Non hanno scritto tutti “Billie Jean”, non hanno tutti, con la sola forza del loro sguardo sfrontato e della loro voce teatrale, reso imperdibile una puttanata sesquipedale qual era “House of Cards”.

Chissà se esistono davvero, quelli che hanno promesso a Kevin «appena t’assolvono ti scritturo». Voglio credere di sì, e voglio credere che uno di loro sia Chris McQuarrie, già sceneggiatore dei “Soliti sospetti”, e ora regista e sceneggiatore di tutto ciò che fa Tom Cruise. Riuscite a pensare a un esito più superfragilistico, dopo tutto questo golgota, di: Kevin Spacey cattivo cattivissimo nel prossimo “Mission: Impossible”?

DAGONEWS il 21 luglio 2023.

“Non è un crimine fare sesso, anche se si è famosi”. È questa la strategia difensiva dell’avvocato di Kevin Spacy, Patrick Gibbs. Nella sua arringa, il legale ha invitato i giurati di essere “sicuri” del loro verdetto, qualunque esso sia: “Se siete anche meno che sicuri, sarà vostro dovere dichiararlo non colpevole”. 

L’attore, due volte premio Oscar, deve rispondere di nove capi d’accusa per violenza sessuale, nei confronti di quattro uomini. La giuria dovrebbe ritirarsi lunedì prossimo, per poi emettere il verdetto. Mercoledì scorso, quattro capi d'accusa sono stati ritirati a causa di un "cavillo legale". Ma rimane l'accusa più grave: aver indotto una persona “a praticare attività sessuale penetrativa senza consenso”. Un reato che comporta una condanna massima all'ergastolo.

Variety ha ricostruito con un lungo articolo la vicenda: “Le quattro presunte vittime hanno testimoniato nel corso delle ultime quattro settimane insieme a familiari e amici. La denuncia più vecchia cronologicamente, che risale a un anno imprecisato dei primi anni 2000, sostiene che Spacey abbia ripetutamente toccato i genitali e il sedere della presunta vittima sopra i suoi vestiti e abbia messo la mano dell'uomo sui propri genitali. Nell'ultima occasione, Spacey avrebbe afferrato l'uomo - che stava guidando - così forte all'inguine da aver quasi causato un incidente d'auto. 

Spacey si difende sostenendo che si sia trattato di un rapporto "consensuale" e che non si è mai spinto oltre il “limite di sopportazione” della presunta vittima. L’attore afferma che la palpata all'inguine, che sarebbe avvenuta mentre si recava a un evento nella casa di Elton John a Windsor, non sia mai avvenuta.

La seconda presunta vittima ha detto invece che Spacey gli ha fatto commenti sessuali aggressivi nel 2005, prima di afferrarlo per l'inguine durante un evento di beneficenza. In questo caso l'attore ritiene il racconto del tutto inventato. Il terzo denunciante, che nel 2013 ha incontrato Spacey in un pub del Gloucestershire, prima di tornare nella casa in affitto dell'attore con un gruppo di amici per continuare la festa, ha accusato Spacey di aver cercato di baciarlo e, anche in questo caso, di avergli afferrato l'inguine. Spacey ha definito l'incontro un "passaggio maldestro" per il quale si è poi scusato. 

Arriviamo così alla quarta denuncia, la più grave. Risale al 2008, quando l’attore avrebbe portato un uomo nel suo appartamento di Londra dove si la vittima si sarebbe addormentato (o è svenuta). Quando l’uomo si è risvegliato, ha trovato Spacey che gli praticava del sesso orale. Spacey ha dichiarato che l'incontro era consensuale e ha fornito i tabulati telefonici per dimostrare che c'erano stati contatti continui durante quella sera e nei mesi successivi.

Nella requisitoria conclusiva di mercoledì, la pubblica accusa ha esortato la giuria a considerare la somiglianza dei quattro casi. Giovedì, però, l'avvocato di Spacey ha suggerito che le accuse si "sminuiscono" l'una con l'altra. "È facile inventare accuse contro un uomo nelle condizioni del signor Spacey", ha detto. "Con questo intendo un uomo promiscuo, un uomo che non si dichiara pubblicamente, anche se tutti gli addetti ai lavori sanno che è gay. Un uomo che vuole essere solo un ragazzo normale, che beve birra e ride e fuma erba e si siede davanti [al sedile di un'auto] e passa il tempo con persone più giovani da cui è attratto".

L'avvocato, che esercita da quasi 40 anni, ha anche ammonito la giuria a non lasciarsi influenzare dalla promiscuità o dall'orientamento sessuale di Spacey. "Non è un crimine amare il sesso e non è un crimine fare sesso, anche se si è famosi. Non è un crimine fare sesso occasionale, non è un crimine fare molto sesso e non è un crimine fare sesso con qualcuno dello stesso sesso, perché siamo nel 2023 e non nel 1823", ha detto Gibbs. 

"Potreste dedicare un momento a pensare dove si trova lo squilibrio di potere nel processo [del tribunale] e dove il signor Spacey - seduto da solo con un carceriere dietro il vetro - si colloca nell'equilibrio di potere in questo tribunale", ha detto Gibbs. "Non si tratta di una storia strappalacrime, [ma la difesa] si trova ad affrontare lo svantaggio di dover dimostrare il contrario molto tempo dopo".

Parlando a un'aula gremita, Gibbs ha usato la sua arringa per rivedere puntualmente la denuncia di ogni presunta vittima e suggerire alla giuria i motivi per cui le ritiene fallaci. 

"La realtà è che le false accuse, anche quelle apparentemente convincenti, esistono davvero", ha detto. "Non sempre, ma a volte accadono davvero, soprattutto quando ci sono di mezzo fama, denaro, sesso, segreti, vergogna e confusione sessuale". 

Riguardo alla “presa dell'inguine”, Gibbs ha detto che si tratta di una "finzione progettata per drammatizzare e dare dignità a una reimmaginazione, molto tempo dopo gli eventi, di tutto ciò che è realmente accaduto tra i due uomini". Ha inoltre affermato che la data del presunto incidente è stata smentita da documenti e testimonianze di Elton John e di suo marito David Furnish, oltre che dal modo in cui Spacey ha viaggiato per recarsi all'evento di Windsor.

Gibbs si è poi soffermato sull'evento di beneficenza, durante il quale Spacey avrebbe fatto commenti sessualmente aggressivi prima di bloccare il denunciante a un muro e afferrargli il pene. "Ci sono parole che attirano l'attenzione", ha detto Gibbs. "Cazzo è una, scopare è un'altra, succhiare è una terza". "Non è stato sentito da nessuno", ha concluso, indicando le testimonianze di alcune persone che si sono occupate dell'evento di beneficenza e che hanno negato di aver sentito Spacey fare commenti sessuali o di averlo visto aggredire qualcuno. […]

Per quanto riguarda la denuncia più grave, in cui Spacey è accusato di aver praticato sesso orale a un uomo mentre era addormentato o incosciente, Gibbs ha fatto riferimento ai tabulati telefonici che, a suo dire, smentiscono la versione dei fatti della presunta vittima.

 L'uomo ha affermato di essere rimasto incosciente per circa cinque ore, fino al mattino, mentre Spacey ha detto che l'incontro consensuale è durato circa due ore prima che l'uomo cambiasse atteggiamento e lasciasse rapidamente l'appartamento. I "vecchi" tabulati telefonici di Spacey mostrano che ha effettuato una chiamata di 19 secondi all'uomo intorno a mezzanotte e mezza e una serie di chiamate e messaggi nei mesi successivi. 

Interrogato sui tabulati telefonici al banco dei testimoni, la presunta vittima ha detto di non aver mai ricevuto chiamate o messaggi successivi da Spacey e ha suggerito che l'attore potrebbe aver usato un "malware" per farli sembrare inviati.

"Un malware che genera messaggi di testo casuali a persone a cui hai fatto un pompino?". Ha detto Gibbs nella sua arringa finale. "Si potrebbe dire che qualcuno ha guardato troppo CSI". 

L'avvocato ha anche messo in dubbio l'affermazione dell'uomo di essersi "addormentato" nell'appartamento di Spacey. "Le cose erano così noiose, così soporifere nell'appartamento del premio Oscar che si è appisolato?”, ha chiesto Gibbs, con la voce carica di incredulità.

Gibbs ha cercato di dipingere Spacey come un uomo decisamente poco passionale, dicendo che era "comprensibile" che volesse ubriacarsi in un pub del Gloucestershire dove la gente lo chiama "K-dog" piuttosto che "Lex Luthor". "Che possa trovare interessante almeno quanto stare su un tappeto rosso e sorridere per la telecamera con qualcun altro che ha vinto un Oscar", ha detto Gibbs. 

L'avvocato ha anche parlato della "cancellazione" di Spacey dopo le accuse mosse contro di lui dall'attore Anthony Rapp nel 2017. Ha fatto due volte riferimento alla "mostrificazione" di Spacey e ha elogiato Elton John e Furnish per il loro "coraggio" nell'accettare di essere testimoni della difesa. 

Gibbs ha dichiarato che, nonostante gli "ovvi rischi di associazione con un uomo il cui nome è diventato tossico", il duo ha accettato di testimoniare lunedì in videoconferenza da Monaco riguardo alla presenza di Spacey al loro annuale White Tie and Tiara Ball all'inizio degli anni 2000, nonché se l'attore abbia mai visitato la loro casa di Windsor in altre occasioni.

"Per il loro eterno merito, [John e Furnish] sono rimasti in piedi e hanno contato come testimoni nella difesa di un uomo che è stato universalmente cancellato", ha detto Gibbs. "Rischiando senza dubbio l'ira di Internet per essere associati a un uomo a cui non è stato permesso di lavorare negli ultimi sei anni". 

Dopo che Gibbs ha terminato le sue dichiarazioni conclusive, Spacey si è avvicinato all'avvocato e gli ha dato una pacca sulla spalla, apparentemente in segno di gratitudine.

Ivan Marra per cinema.everyeye.it il 21 luglio 2023.

Sono giorni decisivi per la vicenda Kevin Spacey: l'attore si trova in questi giorni a doversi difendere in tribunale dalle ben note e molteplici accuse di molestie rivolte nei suoi confronti negli anni scorsi, e nel farlo è tornato ancora una volta ad affrontare la tanto discussa questione del suo coming out. 

Come probabilmente ricorderete, Zachary Quinto e altri avevano accusato Spacey di aver fatto coming out solo per distrarre l'opinione pubblica da quanto gli stava accadendo: un'accusa di cui la star di American Beauty ha parlato proprio in queste ore, chiarendo di non aver mai agito con quest'intenzione. 

"Su di me avvertivo tantissima pressione, sapevo di dover fare qualcosa. Se non avessi detto che sono gay sarebbe stato un incubo dal punto di vista dei danni d'immagine. Ora però capisco anche la reazione di molte persone di fronte a quella scelta. [...] La comunità gay mi invitava da tempo a uscire allo scoperto, l'ho fatto solo allora per mettere una volta per tutte a tacere le voci sulla mia sessualità" sono state le sue parole. 

Spacey ha concluso: "Ora che le accuse che mi ha fatto Anthony Rapp si sono rivelate false, forse qualcuno potrà comprendere meglio il perché della mia decisione di allora". Vedremo se queste spiegazioni basteranno: nei giorni scorsi, intanto, una delle presunte vittime di Spacey l'ha paragonato al John Doe di Seven.

Estratto da lastampa.it sabato 15 luglio 2023.

«Molto aperto, a volte promiscuo: ma questo non fa di me una cattiva persona». Nuovi elementi sono emersi dalla prima testimonianza di Kevin Spacey al processo londinese che lo vede imputato di cattiva condotta sessuale. 

L’attore si è sforzato di trattenere le lacrime raccontando di come le accuse per violenza sessuale abbiano sconvolto la sua carriera. «Il mio mondo è esploso», ha detto Spacey in aula. «C’è stata una corsa al giudizio e prima ancora che la prima domanda fosse posta o avesse avuto risposta, ho perso il lavoro, ho perso la mia reputazione, ho perso tutto nel giro di pochi giorni».

[...] Le odierne accuse che invece lo vedono imputato a Londra sono relative all’aggressione sessuale nei confronti di quattro uomini: per tre di loro, Spacey nel controinterrogatorio ha negato ogni responsabilità e ha definito «passaggio maldestro» l’aver afferrato l’inguine del quarto accusatore. 

gli [...] è stato chiesto se potesse aver ignorato o capito male i segnali delle persone con cui ha interagito. Spacey ha risposto di aver «decisamente interpretato male» i segnali di uno dei denuncianti, aggiungendo: «E lo accetto». [...] Spacey ha risposto che trovava più difficile fidarsi delle persone «a causa di quello che ero».

Estratto dell'articolo di blitzquotidiano.it venerdì 7 luglio 2023.

In questi giorni l’attore Kevin Spacey […] sta affrontando un nuovo processo per violenze sessuali nel periodo in cui era direttore artistico di un importante teatro di Londra, l’Old Vic Theatre. 

La procuratrice Christine Agnew, come raccontano i tabloid inglesi, lo ha definito “un uomo che non rispetta i confini o lo spazio personali, un uomo che sembra divertirsi nel far sentire gli altri impotenti e a disagio, un bullo sessuale“. Anche a Londra Kevin Spacey si è dichiarato innocente.

In aula intanto è stata divulgata la testimonianza di uno dei quattro uomini che lo ha denunciato. Spacey, le parole dell’accusatore, lo avrebbe afferrato “come un cobra”. L’uomo dice di aver incontrato l’attore premio Oscar a un evento in un teatro del West End nel 2005. 

Nella registrazione dell’interrogatorio della polizia, che è stata divulgata nel corso dell’udienza, la vittima ha raccontato che Spacey “puzzava di alcol” e “sembrava spettinato”. “La mia prima impressione è che fosse molto arrogante, mi trattava dall’alto in basso”. 

“Ha guardato la mia regione inguinale. È stato molto aggressivo. Nessuno mi ha mai parlato in quel modo. Era tutto hardcore”: Poi Spacey lo avrebbe afferrato: “con una tale forza che è stato davvero doloroso”. E qui la similitudine “come un cobra”. 

“Ricordo di essermi congelato e di aver spinto via il suo braccio e di essermi sentito scioccato e frustrato dal fatto che qualcuno era così squallido nei miei confronti”.

Kevin Spacey, le nuove accuse di violenza: "Mi svegliai mentre faceva questo su di me". Alice Coppa su Notizie.it l'11 Luglio 2023

Una nuova testimonianza shock è stata ascoltata in aula alla Southwark Crown Court di Londra nel processo per abusi contro Kevin Spacey.

Kevin Spacey: le accuse del testimone

4 uomini hanno denunciato il celebre attore Kevin Spacey per 12 capi d’accusa relativi a reati sessuali e nella terza settimana del processo, riferisce il sito americano di The Hollywood Reporter, alla giuria è stato mostrato un video di un’intervista della polizia risalente al 2007 in cui la quarta presunta vittima ha raccontato l’abuso che avrebbe subito da parte dell’attore nella sua abitazione.

L’uomo in questione lascia intendere di esser stato in qualche modo drogato da Spacey che, infine, avrebbe abusato di lui. Dopo un periodo di tempo imprecisato l’uomo si sarebbe svegliato sul divano presente nella casa dell’attore e avrebbe trovato Spacey inginocchiato sul pavimento intento a praticare del “sesso orale su di lui” dopo avergli aperto i pantaloni. La presunta vittima a seguire si sarebbe allontanato da casa dell’attore e, a suo dire, lo stesso Spacey gli avrebbe intimato di non dire nulla di ciò che era avvenuto.

L’attore – che ha fatto coming out quando sono emerse le prime accuse di abusi ai suoi danni – si è sempre dichiarato innocente e al momento non ha rilasciato dichiarazioni.

Estratto dell'articolo di tg24.sky.it mercoledì 26 luglio 2023.

L'attore statunitense Kevin Spacey è stato dichiarato non colpevole da una giuria presso un tribunale di Londra nel processo in cui era accusato di aver commesso reati sessuali nei confronti di quattro uomini. Il 64enne premio Oscar è stato assolto da nove accuse, tra cui violenza sessuale e induzione di attività sessuali senza consenso. 

I presunti abusi e molestie sessuali contestate a Londra riguardavano vicende risalenti a un periodo compreso fra il 2001 e il 2013. Il verdetto della giuria popolare, radunata dinanzi alla Southwark Crown Court, è arrivato dopo circa un mese di udienze. L’attore si era sempre dichiarato innocente rispetto alle accuse, riguardanti una decina di episodi, rivoltegli da 4 uomini più giovani tra cui un ex aspirante attore.

Le accuse erano denunciate in due tranche, prima dal giovane aspirante attore, poi da altri tre uomini che a quel tempo avevano tra i 20 e i 30 anni. Nella fase finale del procedimento la pubblica accusa ha insistito nel presentare il due volte premio Oscar come un personaggio che ha sfruttato il suo potere e la sua influenza nel mondo dello spettacolo per abusare di uomini più giovani di lui sostenendo che il suo comportamento andasse giudicato alla stregua delle molestie sessuali commesse ai danni di donne e denunciate dal movimento MeToo.

L'avvocato difensore di Spacey, Patrick Gibbs, ha invece negato ogni accusa, sebbene l'attore abbia riconosciuto di essere una persona "promiscua" e ammesso di aver fatto uso di droghe "ricreative" ma allo stesso tempo ha negato con forza di aver approfittato del suo ascendente e di aver agito in modo non consensuale. […]

Kevin Spacey e le denuncia per molestie: «Non mi sono mai nascosto, non ho vissuto in un grotta». Stefania Ulivi, inviata a Torino su Il Corriere della Sera il 16 Gennaio 2023.

L’attore a Torino per tenere una masterclass e ricevere un premio si confessa

Prove tecniche di ripartenza dopo una assoluzione per molestie ma con ancora altri procedimenti penali in corso. Kevin Spacey è in Italia in visita ufficiale, invitato dal Museo del cinema di Torino per tenere una masterclass e ricevere il premio Stella della Mole, con la proiezione di American Beauty, per cui vinse il suo secondo Oscar. “Non chiamatela ripartenza” dice nell’incontro stampa in un albergo torinese. Di vicende giudiziarie l’attore 63enne non parla, c’è un processo in corso – nei giorni scorsi qui da Torino ha dovuto collegarsi con l’udienza davanti al giudice della Southwark Crown Court di Londra, dichiarandosi non colpevole dei capi di accusa contestatigli -, la star de I soliti sospetti e House of cards parla di come ha vissuto gli ultimi anni. “La mia vita è andata avanti. Non mi sono mai nascosto, non ho vissuto in una grotta. Sono andato al ristorante, ho visto amici, incontrato persone, anche lavorato. Sono grato a Franco Nero che mi ha voluto nel suo film L’uomo che disegnò Dio, per il gesto ancora prima che per la parte”.

Una carriera la sua che ha un prima e un dopo l’ottobre 2017. Lo avevamo lasciato sul set di Tutti i soldi del mondo di Ridley Scott, da cui fu sostituito, con il film già al montaggio, con Cristopher Plummer che dovette rigirare tutte le sue scene. Travolto dall’accusa di aver molestato nel 1996 Anthony Rapp, all’epoca quattordicenne, vicenda per cui ha ricevuto un’assoluzione nei mesi scorsi. Dopo quella di Rapp ne sono arrivate altre, alcune archiviate, e altre in corso come quella partita dalla denuncia di un uomo per diversi episodi avvenuti tra il 2001 e il 2004. I ruoli memorabili come il Lester Burnham di American Beauty o il Frank Underwood di House of cards sono alle spalle, pronto a parlarne come farà nella masterclass. Oggi arrivano film come “Once upon a time in Croatia” di Jacov Sedlar, sulla figura, molto controversa, del leader Franjo Tudjiman. O quello che ha girato in North Carolina “Peter 58” del giovane Micheal Zaiko Hall. “La vita è piena di occasioni e opportunità di imparare. A volte è importante stare in silenzio e ascoltare, e nel silenzio trovare le risposte”.

Quindi, cancelliamo Kevin Spacey? Pedro Armocida il 14 Gennaio 2023 su Il Giornale.

C'è chi dice no. No, non va bene dare un riconoscimento artistico, la Stella della Mole del prestigioso Museo del Cinema di Torino, a un attore due volte Premio Oscar. Perché no? Perché Kevin Spacey, che lunedì riceverà il riconoscimento dalle mani del presidente del museo Enzo Ghigo e da Vittorio Sgarbi sottosegretario alla Cultura, è accusato di molestie sessuali. Ieri il quotidiano di Torino, La Stampa, rilanciava le posizioni di Cinzia Spanò, una delle fondatrici dell'associazione Amleta che raccoglie le testimonianze di chi ha subito molestie nel mondo del cinema, per la quale «cultura e violenza non possono stare insieme» mentre Laura Onofri di Se non ora quando? s'è detta convinta che non si può dare spazio a una persona «che ha avuto questo tipo di problemi». Va ricordato che la prima denuncia, la più famosa perché scoperchiò un vaso di Pandora pieno di altre accuse odiose (abusi sessuali su minori, come quella dell'attore Anthony Rapp che nel 2017, sull'onda del caso Weinstein, lo accusò di molestie avenute nel 1986 quando Spacey aveva 26 anni e lui 149 si sia conclusa con un'assoluzione «perché il fatto non sussiste», così ha sentenziato nell'ottobre scorso la giuria della causa civile a New York. Intanto in questi cinque anni l'attore sessantatreenne che, in seguito alla prima accusa, ha fatto coming out dichiarando la propria omosessualità, è diventato persona non grata a Hollywood e la sua carriera s'è interrotta forse per sempre. È la conseguenza dei processi mediatici che non sono mai equi e giusti né per i presunti colpevoli né per le vittime a cui va tutta la solidarietà. Vedremo come andrà a finire con l'incriminazione per molestie sessuali nei confronti di tre uomini, all'epoca pre-adolescenti, nel Regno Unito. Spacey proprio ieri si è dichiarato innocente in video collegamento (è già a Torino dove lunedì terrà anche una masterclass) di fronte al giudice dell'udienza introduttiva del processo che si terrà in estate. Ma intanto, oggi, è un uomo libero, innocente come chiunque fino a che una sentenza non ne dichiari la colpevolezza, che può ritirare un premio che riconosce giustamente le qualità attoriali d'uno dei grandi interpreti della storia del cinema (American Beauty) e delle serie tv (House of Cards).

Estratto dell'articolo di Gloria Satta per "Il Messaggero" il 10 gennaio 2023.

«Ci è voluto coraggio per scritturarmi, mentre molti altri hanno avuto paura. E per questo sarò sempre grato a Franco Nero». Kevin Spacey racconta in esclusiva al Messaggero la sua rinascita avvenuta grazie a un film italiano, girato a Torino: L'uomo che disegnò Dio, diretto appunto da Nero. Il grande attore americano, 63 anni, due Oscar e una carriera leggendaria, camaleontica, parla per la prima volta dopo cinque anni. Anni lunghi una vita in cui, travolto dalla furia giustizialista del movimento #MeToo con le sue denunce a scoppio ritardato, è finito sotto processo per molestie sessuali ed è stato messo al bando da Hollywood. (…)

Perché ha scelto di tornare al cinema proprio con questo film?

«Come tutti gli attori, vado dov'è il lavoro. Ma a dire la verità è stata la decisione di Franco Nero di scritturare proprio me a farmi accettare la proposta. Ha avuto coraggio, mentre tanti altri hanno avuto paura. La mia gratitudine per lui sarà per sempre».

 Non le dispiaceva non essere il protagonista?

«La parte era piccola, ma l'invito aveva un grande significato. Ho detto di sì non tanto al ruolo che avrei interpretato sullo schermo quanto al ruolo che Franco stava giocando nella mia vita».

(…)

 E adesso che progetti ha?

«Stanno succedendo tante di quelle cose che è difficile pianificare. Un tempo avevo un programma del tutto diverso e decidevo le opportunità su tutta la linea. Ma ora il lavoro più importante che voglio fare non riguarda la recitazione».

Cosa intende?

«Riguarda me stesso e gli altri. Ogni giorno rappresenta un'opportunità di fare meglio, far ridere qualcuno per contribuire a rendere buona la sua giornata. E in passato non mi sono concentrato come avrei potuto su questo aspetto. Come molti attori ho guardato troppo a me stesso».

 (...)

Dagospia l’11 gennaio 2023. “UN’ESCLUSIVA MONDIALE A KEVIN SPACEY PUÒ SUSCITARE INVIDIE. È UMANO, ANCHE SE UN PO’ PATETICO” – GLORIA SATTA SCRIVE A “DAGOSPIA” E RISPONDE PICCATA A VALERIO CAPPELLI CHE L’AVEVA ACCUSATA DI AVER ACCETTATO L’INTERVISTA CON L’ATTORE CON LA CLAUSOLA CHE LE IMPEDIVA DI FARE DOMANDE SULLE VICENDE GIUDIZIARIE: “BASTA UN MINIMO DI ESPERIENZA DI GIORNALISMO PER SAPERE CHE NESSUNO PARLEREBBE MAI PUBBLICAMENTE DEI PROCESSI. C’È CHI MASTICA AMARO, MA…”

LA RISPOSTA A "DAGOSPIA" DI GLORIA SATTA A VALERIO CAPPELLI 

Carissimo Dago,

capisco che un’esclusiva mondiale come la prima intervista a Kevin Spacey dopo cinque anni e rotti di silenzio, dovuto alle sue vicende giudiziarie, possa suscitare invidie. E’ umano, anche se un po’ patetico.

 Basta un minimo di esperienza di giornalismo per sapere che nessuno parlerebbe mai pubblicamente dei processi che lo vedono imputato, specie se ultra-delicati, e ancora in corso.  Spacey, di cui ho correttamente riportato la situazione giudiziaria, ha tutto il diritto di non prendere posizione dell’argomento per difendersi nelle sedi opportune.

Giornalisticamente, era molto più interessante ascoltare dopo tanto tempo la voce dell’attore ostracizzato sulla base di semplici accuse, fargli raccontare in prima persona la sua rinascita cinematografica, registrare le sue emozioni e i suoi progetti. Lo ringrazio ancora per avermi concesso l’intervista.

C’è chi mastica amaro, ma altri ringraziano Il Messaggero per aver ridato la voce al più grande attore della sua generazione. E sono la maggioranza.

Alessio Mannino per mowmag.com l’11 gennaio 2023.

 Martedì 10 gennaio il Messaggero mette a segno uno scoop mondiale: la prima intervista a Kevin Spacey dopo il proscioglimento dall’accusa di molestie sessuali all’attore Anthony Rapp, che sulla scia del movimento #MeToo aveva fatto causa nel 2020 alla star hollywoodiana, ventiquattro anni dopo i fatti.

 La firma dell’articolo è di Gloria Satta, e leggendola salta all’occhio un, chiamiamolo così, particolare: del processo giudiziario di Spacey nemmeno un cenno nelle domande, a parte naturalmente averlo ricordato nell’attacco del pezzo e avergli pudicamente chiesto che cosa gli “hanno insegnato gli ultimi anni”.

Immancabilmente presenti le frasi di rito su quanto apprezzi l’Italia (“Adoro il vostro Paese”) e soprattutto la felicità per essere tornato a lavorare, con ringraziamenti ad abundantiam a Franco Nero, che in qualità di regista lo ha chiamato nel film “L’uomo che disegnò Dio” per la parte della rinascita.

 Più che uno scoop, diciamo sicuramente un’esclusiva planetaria. Complimenti al Messaggero e alla Satta. Accade però che, sempre in data 10 gennaio, Pier Paolo Mocci, ex cronista del Messaggero e oggi curatore editoriale di Fortune Italia, sul proprio Facebook scriva un lungo post di felicitazioni per la Satta sotto il quale, fra i commenti, ne spunti uno di Valerio Cappelli, giornalista del Corriere della Sera, che rivela un retroscena interessante.

Questo: “A me era stata proposta due mesi fa (l’intervista, ndr) e d’intesa col giornale ho detto no, perché l’attore Kevin Spacey non voleva parlare della sua vicenda giudiziaria. Infatti non ne ha parlato”. E conclude così: “Bisogna sapere di no, a volte”.  Alla replica di Mocci, che difende la Satta, a suo dire brava nel riuscire a “girare intorno alla cosa”, Cappelli chiarisce meglio il concetto: “Ho rinunciato perché la richiesta dei suoi avvocati era un insulto a questa professione (…) un po’ di schiena dritta farebbe bene a tutti. Passo e chiudo”.

In sostanza, secondo Cappelli l’esclusiva era “telefonata”,  imboccata, cioè proposta probabilmente anche ad altri, e sicuramente al Corriere, ma c’è chi non ha voluto sottostare a una clausola-capestro, e chi invece ha accettato.  E altrettanto probabilmente, la motivazione dei legali di Spacey non si riferiva soltanto all’ultimo caso chiuso a fine ottobre 2022, dopo altri due archiviati nel 2019 e nel 2020, ma anche alle accuse di violenze sessuali ancora in piedi, da parte di altri tre uomini per cui potrebbe nuovamente tornare a processo quest’anno, ma stavolta  in Inghilterra.

Dagospia l’11 gennaio 2023. “UN’ESCLUSIVA MONDIALE A KEVIN SPACEY PUÒ SUSCITARE INVIDIE. È UMANO, ANCHE SE UN PO’ PATETICO” – GLORIA SATTA SCRIVE A “DAGOSPIA” E RISPONDE PICCATA A VALERIO CAPPELLI CHE L’AVEVA ACCUSATA DI AVER ACCETTATO L’INTERVISTA CON L’ATTORE CON LA CLAUSOLA CHE LE IMPEDIVA DI FARE DOMANDE SULLE VICENDE GIUDIZIARIE: “BASTA UN MINIMO DI ESPERIENZA DI GIORNALISMO PER SAPERE CHE NESSUNO PARLEREBBE MAI PUBBLICAMENTE DEI PROCESSI. C’È CHI MASTICA AMARO, MA…”

LA RISPOSTA A "DAGOSPIA" DI GLORIA SATTA A VALERIO CAPPELLI 

Carissimo Dago,

capisco che un’esclusiva mondiale come la prima intervista a Kevin Spacey dopo cinque anni e rotti di silenzio, dovuto alle sue vicende giudiziarie, possa suscitare invidie. E’ umano, anche se un po’ patetico.

 Basta un minimo di esperienza di giornalismo per sapere che nessuno parlerebbe mai pubblicamente dei processi che lo vedono imputato, specie se ultra-delicati, e ancora in corso.  Spacey, di cui ho correttamente riportato la situazione giudiziaria, ha tutto il diritto di non prendere posizione dell’argomento per difendersi nelle sedi opportune.

Giornalisticamente, era molto più interessante ascoltare dopo tanto tempo la voce dell’attore ostracizzato sulla base di semplici accuse, fargli raccontare in prima persona la sua rinascita cinematografica, registrare le sue emozioni e i suoi progetti. Lo ringrazio ancora per avermi concesso l’intervista.

C’è chi mastica amaro, ma altri ringraziano Il Messaggero per aver ridato la voce al più grande attore della sua generazione. E sono la maggioranza.

Alessio Mannino per mowmag.com l’11 gennaio 2023.

 Martedì 10 gennaio il Messaggero mette a segno uno scoop mondiale: la prima intervista a Kevin Spacey dopo il proscioglimento dall’accusa di molestie sessuali all’attore Anthony Rapp, che sulla scia del movimento #MeToo aveva fatto causa nel 2020 alla star hollywoodiana, ventiquattro anni dopo i fatti.

 La firma dell’articolo è di Gloria Satta, e leggendola salta all’occhio un, chiamiamolo così, particolare: del processo giudiziario di Spacey nemmeno un cenno nelle domande, a parte naturalmente averlo ricordato nell’attacco del pezzo e avergli pudicamente chiesto che cosa gli “hanno insegnato gli ultimi anni”.

Immancabilmente presenti le frasi di rito su quanto apprezzi l’Italia (“Adoro il vostro Paese”) e soprattutto la felicità per essere tornato a lavorare, con ringraziamenti ad abundantiam a Franco Nero, che in qualità di regista lo ha chiamato nel film “L’uomo che disegnò Dio” per la parte della rinascita.

 Più che uno scoop, diciamo sicuramente un’esclusiva planetaria. Complimenti al Messaggero e alla Satta. Accade però che, sempre in data 10 gennaio, Pier Paolo Mocci, ex cronista del Messaggero e oggi curatore editoriale di Fortune Italia, sul proprio Facebook scriva un lungo post di felicitazioni per la Satta sotto il quale, fra i commenti, ne spunti uno di Valerio Cappelli, giornalista del Corriere della Sera, che rivela un retroscena interessante.

Questo: “A me era stata proposta due mesi fa (l’intervista, ndr) e d’intesa col giornale ho detto no, perché l’attore Kevin Spacey non voleva parlare della sua vicenda giudiziaria. Infatti non ne ha parlato”. E conclude così: “Bisogna sapere di no, a volte”.  Alla replica di Mocci, che difende la Satta, a suo dire brava nel riuscire a “girare intorno alla cosa”, Cappelli chiarisce meglio il concetto: “Ho rinunciato perché la richiesta dei suoi avvocati era un insulto a questa professione (…) un po’ di schiena dritta farebbe bene a tutti. Passo e chiudo”.

In sostanza, secondo Cappelli l’esclusiva era “telefonata”,  imboccata, cioè proposta probabilmente anche ad altri, e sicuramente al Corriere, ma c’è chi non ha voluto sottostare a una clausola-capestro, e chi invece ha accettato.  E altrettanto probabilmente, la motivazione dei legali di Spacey non si riferiva soltanto all’ultimo caso chiuso a fine ottobre 2022, dopo altri due archiviati nel 2019 e nel 2020, ma anche alle accuse di violenze sessuali ancora in piedi, da parte di altri tre uomini per cui potrebbe nuovamente tornare a processo quest’anno, ma stavolta  in Inghilterra.

Barbara Costa per Dagospia sabato 12 agosto 2023.

“Grazie a tutti gli uomini e le donne che ho f*ttuto quest’anno!!!”. Questo il "sentito" ringraziamento di Kira Noir, sul palco degli Oscar del Porno 2023. Kira Noir ha vinto l’Oscar più ambito: lei è la Miglior Pornostar Donna. Ma sbaglia chi sui media riporta che Kira Noir è la prima pornostar "di colore" ad ottenere un tale riconoscimento. È vero, verissimo che, in 40 anni di Oscar Porno, a nessun’attrice non bianca era andata codesta statuetta, e però, di che "colore" è Kira Noir ? Lasciate stare il suo cognome d’arte, c’entra niente. C’entra che Kira non è black, non è afro, non è di "quel" colore per cui i "corretti" si scapicollano a tifare. Ma poi, p*rcaccia miseria, "di colore"…!!!

Solo a pensarlo c’è da andarsi a nascondere. Siamo tutti di un qualche colore, cribbio!!! E ad ogni modo, e per chi ci tiene, Kira Noir non è nera, non è bianca, non è gialla, non è… Kira ha mamma e papà e nonni afro, europei, giamaicani, cinesi, e indios. Tutto miscelato in un "colore" che è il suo e che "tinge" pelle e anima di questa superlativa femmina californiana ma solo di nascita (Kira è cresciuta a Nashville) che ha 29 anni, ed è nel porno da quasi 8.

Kira che non ha mai fatto altro se non sex works (già, lei prima di darsi al porno era una stripper, una spogliarellista di grido, ma coi capelli corti, rossi, e nome d’arte Mary Jane, nei club "Hustler", quelli di Larry Flynt) e a oggi ha recitato in oltre 500 video, tra scene e film completi, sia gonzo (solo e solo sesso) che no. Kira è tra le pornostar a cui il presente irride sì per il grandioso traguardo raggiunto, molto di più perché lei è una star del porno che attualmente tanto si gira: quello con plot definiti e doti recitative alte, prodotto in serial. 

La statuetta quale Miglior Attrice in carica è la sesta che Kira può deporre nella sua bacheca. Negli anni scorsi ha fatto incetta di Oscar quale Best attrice non protagonista, vincendone 3 per 3 volte consecutive, un altro primato nel settore. Uno dei porno di cui Kira va più fiera è "Kira vs. Kira", rilasciato lo scorso gennaio e porno di vulcanico, selvaggio sesso torrido…tra sole ragazze.

Si distingue per una lesbica gang-bang, con doppio anal, mediante minacciosissimi sex toys, e anal che di rado manca nei porno di Kira, essendo lei provetta anal-queen. La perfezione del suo lato B è il suo marchio di fabbrica. E Kira è altresì attrice che poco e nulla è intervenuta sulle sue curve, rimaste da chirurgo intatte, eccetto il seno. Non è più piatta come mamma l’ha fatta. E, gesù, quelle labbra, quella bocca, è naturale! Ma pure gli zigomi???

Kira non teme concorrenza, nemmeno dell’esercito infinito di sex ninfette che fanno chiasso su OnlyFans coi loro porno amatorial. In quanto Best Attrice in carica, è piena di prenotazioni e lavoro: ha terminato "Machine Gunner", un porno 007, un thriller porno, un porno d’azione, dove il sesso il più ferino non latita, ma pure porno di suo recitato, e Kira ne è la protagonista: lei è un agente dei servizi segreti in missione per conto del governo USA. Deve stanare un collega traditore che poi si rivela essere il suo ex…

Alle nuove arrivate, Kira raccomanda di fare tutto il contrario di quello che ha fatto lei. Lei si è sposata a 18 anni, con uno di 10 anni più grande, e marito che per nulla gradiva che lei facesse la spogliarellista per campare, e farlo campare. Quanto volete sia durata, un’unione tale? Quanto un gatto in tangenziale! Kira per prima lo riconosce: lei non sa fare altro che non sia performance sessuale. 

Sebbene Kira non intenda ma nel modo più categorico piantare il porno – è pure da un triennio ambasciatrice Pornhub, e suo viso e corpo di punta – lei consiglia di dotarsi di un lavoro “nel mondo reale”, alternativo al porno mentre nel porno ci si prova. Kira il porno lo ha s-p-o-s-a-t-o, per questo si è presentata con su un abito da sposa “slut wife style” agli Oscar! Miei cari e care, l’energia sessuale che Kira porta e sprizza nei suoi video, e che tanto ci piace, è energia sua, è fisicità sua, intelligenza sua, e di nessun’altra: quante tra le attricette che un giorno sì e l’altro pure sui social si atteggiano a porno dive, arriveranno al suo livello? E ancora: ci avete fatto caso?

Black, white, ebony… tutti aggettivi vituperatissimi, ma che il porno usa e seguita a usare, imperterrito. Il porno, di ogni moda e trend "giusto", adeguato, se ne stra-frega. Il porno è cinico. Tali termini servono a vendere, e fanno vendere. Il porno non dispone di salva c*li di nessun tipo. Poggia e confida solo su sé stesso. Non dimenticatevelo mai: nel porno, l’unico colore che conta, è quello dei soldi.

Lady Gaga: 15 anni fa la conquista del mondo con The Fame. Gianni Poglio su Panorama 19 Agosto 2023

Il 19 agosto 2008 usciva The Fame, il best seller che ha dato il via alla carriera trionfale di una delle più grandi performer pop di sempre

Un album di debutto che è diventato storia della musica. Compie 15 anni The Fame il disco che ha imposto Lady Gaga sulla scena mondiale: synth e beat anni Ottanta, melodie accattivanti, ma soprattutto lei, presenza scenica da superstar, carattere, determinazione, travestimento, inclinazione a provocare. Dal punto di vista musicale non c'è nulla che non sia già sentito, ma a fare la differenza c'è il fattore Gaga. Nasce e così un disco di pura pop culture, corredato di testi che celebrano entusiasticamente gli aspetti più insulsi ed effimeri della celebrità. «The Fame riguarda il modo in cui chiunque può sentirsi famoso (ricordate Andy Warhol?). La cultura pop è arte. Non ti rende figo odiare la cultura pop, quindi l'ho abbracciata». Oltre le parole, la musica con una manciata di singoli "spaccaclassifiche" come Poker Face, LoveGame, Paparazzi. Bad Romance, altra hit senza tempo, compare nella ripubblicazione (The Fame Monster) datata 2009. Look glam metal, chitarre e adrenalina dance sono gli ingredienti di Born This Way, il secondo disco, un altro successo trionfale, giusto per chiarire che quello di Gaga è un fenomeno destinato a durare. A lungo. Anche per l'abilità nel cogliere prima di molti altri le connessioni inevitabili tra musica e social. Ma questo è stato solo l'inizio: Lady Gaga, che prima di diventare famosa ha scritto brani per altri artisti come Britney Spears e le Pussycat Dolls e si è esibita per anni nei club underground della Lower East Side di New York, aveva obiettivi molto più ambiziosi. Diventare la regina della pop dance era solo il primo. Ad oggi ha conquistato oltre quattrocento riconoscimenti tra cui 13 Grammy Awards, un Oscar (per il brano Shallow, dalla colonna sonora del film A Star is Born di cui era coprotagonista con Bradley Cooper), 2 Golden Globe, 2 Brit Awards. Gaga (il nome è ispirato all'hit dei Queen, Radio Gaga) ha scelto la strada del pop farsi largo nella mischia della scena alternative newyorkese di inizio Millennio, ma ha sempre mostrato una potentissima attitudine rock: lo dice la sua passione per il Glam degli anni Settanta, per Freddie Mercury David Bowie, le esibizioni in veste di vocalist con i Metallica, la sua presenza nel backstage dei Kiss. Gaga, che a differenza di molte colleghe famose scrive musica e testi delle sue canzoni, è un'artista vera dotata di una versatilità geniale che le consente di surfare tra i generi musicali e le arti. Basti pensare ai due splendidi album "jazzy" incisi con uno dei più grandi crooner di sempre, Tony Bennett, e alle brillanti esibizioni dal vivo con lui. Oppure a un disco spiazzante, ma intrigante come Joanne in cui, oltre ad abdicare a tutte le sue stravaganze estetiche, decide di anche di prendere le distanze dai suoni artefatti e sintetici del suo disco più brutto, Artpop, per andare alle radici della musica americana, tra pop rock, country, folk e soul. E poi, ancora, la credibilità come attrice (House of Gucci e A star is Born) e le canzoni per le colonne sonore. Nella soundtrack di A star is Born ci sono due capolavori della sua discografia: Shallow e Always remember us this way. Nella stessa scia, Hold my hand che accompagna le scene di Top Gun. La storia iniziata quindici anni fa con The Fame è la storia di una delle più grandi performer pop di sempre, un'autrice di canzoni e attrice che cambia pelle quando vuole, che si trasforma e si rigenera senza rinunciare a se stessa. E, infine, un dettaglio fondamentale: quindici anni di successo negli acceleratissimi anni Duemila, non sono una rarità, ma un'eccezione assoluta.

Estratto dell’articolo di Valerio Cappelli per corriere.it il 2 luglio 2023.

Laetitia Casta al Festival di Spoleto, diretta da Safy Nebbou, porta domani una leggenda del pianoforte, «Clara Haskil», la storia della musicista romena morta nel 1960. Una vita difficile, tumultuosa, raccontata dal preludio della sua esistenza alla fuga finale. 

Perché questa storia?

«Non sapevo nulla di lei, non l’avevo mai sentita nominare. Ha avuto un destino pieno di fragilità, una sensibilità straordinaria. Aveva il panico del palco ed ebbe il successo mondiale solo negli ultimi anni. È stata in fuga dal nazismo, ha avuto problemi alla schiena, le applicarono un busto con un trauma che non l’ha mai abbandonata. Da piccola, a Bucarest, ebbe un’infanzia naïf e gioiosa. Poi…».

Poi?

«La sua casa bruciò e il padre, che si buttò tra le fiamme per salvare la sorellina, morì per le ferite. Clara è cresciuta col fratello del padre, uomo severo che la mandò al Conservatorio ma in casa la teneva come in prigione. Mi sono identificata in lei, nella sua anima».

E lei interpreta quindici personaggi...

«Otre a Clara, i suoi familiari, il violinista Arthur Grumiaux, il pianista Dinu Lipatti e Chaplin, di cui Clara fu amica». 

(...)

Lei ha quattro figli.

«Il più grande ha 22 anni ed è andato a vivere da solo a Milano, il più piccolo ne ha 2. La gente lo legge sulle riviste e mi chiede, ma come fai a lavorare e avere quattro figli? Mi guardano come un marziano. Io rispondo, perché non fate la stessa domanda agli uomini? Vuole sapere che madre sono? Una donna libera e i miei bambini lo vedono ogni giorno. Mi fa orrore lo stereotipo della madre perfetta, i cliché: io sono attratta dal lato femminile degli uomini».

E qual è il lato femminile di suo marito Louis Garrel?

Sorride: «Ah, questo deve chiederlo a lui».

È vero che le piace indossare abiti maschili?

«Trovo che lo smoking sia sexy. Mia madre mi voleva sempre carina, io allora per ribellarmi mettevo i pantaloni sotto la gonna. Una persona è complessa. Non mi sono mai innamorata di una donna, ma la scoperta della sessualità è avvenuta con una ragazza. Fu come quando si gioca al dottore e all’infermiera. Oggi c’è una nuova generazione più profonda e libera. Si ama l’anima, non il fatto di essere uomo o donna».

Laetitia Casta: “In Italia mi sento a casa”. Al “Festival dei Due Mondi” di Spoleto interpreta la pianista Clara Haskil. “Un’anima speciale”, dice la modella francese. Che racconta il suo amore per la moda, il cinema, il palcoscenico. E per il nostro Paese. Francesca De Sanctis su L'Espresso il 29 Giugno 2023

Un bel sospiro e via, si va. Dove? In scena al “Festival dei Due Mondi” di Spoleto con il monologo “Clara Haskil. Prélude et fugue”. A interpretarlo sarà Laetitia Casta. Sì, proprio lei, la modella francese amata anche in Italia che, a quanto pare, non teme le sfide, considerando la disinvoltura con la quale si muove tra moda, cinema, teatro. «Un po’ di emozione c’è, ma poi quando sono sul palco mi lascio andare...», ammette lei che ha già raccontato in Francia (con grande successo) la storia di Clara Haskil (1895-1960), pianista rumena dalle doti eccezionali, ebrea in fuga dal nazismo, artista alle prese con la malattia e con la paura di affrontare il pubblico fino alla fama raggiunta in tarda età. Scritto da Serge Kribus, firma la regia Safy Nebbou che aveva già diretto Casta in teatro qualche anno fa (“Scene da un matrimonio” di Ingmar Bergman). Lo spettacolo sarà al Teatro Caio Melisso Spazio Carla Fendi di Spoleto (30 giugno e 1° luglio, al pianoforte Isil Bengi).

Laetitia Casta, racconti di Clara Haskil: che cosa sapeva di lei?

«Nulla, in realtà. Ho scoperto la sua storia leggendo il testo di Kribus. Mi sono immersa nella lettura e subito mi sono entusiasmata all’idea di poterla interpretare sul palcoscenico. Ho cominciato a cercare tutto quello che è stato scritto su di lei. Non c’è molto in termini di biografia, esiste un documentario, qualche libro fotografico, ma niente di più. Quando lo spettacolo ha debuttato in Francia, era la prima volta che la sua vita veniva raccontata in teatro. È stata una vita difficile quella di Clara, ma ha qualcosa di universale e alla fine va verso la luce. Poter interpretare un personaggio così intenso per me è stato un regalo. Certo, se ci ripenso... Ho impiegato un anno per imparare a memoria la parte. In quel periodo ero anche incinta. La passione mi ha fatto dimenticare tutte le difficoltà. Questo lavoro mi chiama, come una voce dal cielo».

Che cosa l’ha conquistata di questa donna?

«Clara ha superato tante avversità: la guerra, la malattia... Una persona molto solitaria, un’anima speciale, sensibile. Ha un carattere difficile, certo, ma è anche un’artista che ha attraversato il mondo. Un personaggio molto interessante per l’epoca».

C’è qualcosa che l’accomuna a Clara?

«Anche se non ho vissuto la guerra né la malattia, ci sono cose che conosco bene: la lontananza dalla famiglia, la difficoltà nel dimostrare sempre di essere a livelli alti in un mondo di adulti. Questo l’ho vissuto sulla mia pelle. Ho iniziato la mia carriera quando ero molto giovane, avevo 14 anni, Clara 12».

A quell’età, scoperta per caso da un fotografo, come ha vissuto l’inizio della sua carriera? Era spaventata?

«Ho vissuto tutto con molta serenità. Ma ora che ho dei bambini posso fare il paragone con la mia vita, che allora mi sembrava normale, mentre normale non era. Lavoravo tanto, era un’esigenza dettata dal mio mestiere, come per Clara. Lei si mette in discussione, è piena di dubbi come artista; ed è una cosa positiva e negativa nello stesso tempo. Volevo affrontare anche questo aspetto della creazione, la dimensione mistica dell’incontro con il pubblico».

L’arte può essere un’ancora di salvezza?

«Noi artisti abbiamo questa fortuna: possiamo mettere da parte la realtà per un momento ed entrare in un mondo in cui connetterci con la gente. È uno degli aspetti più belli del mestiere. Il teatro o il cinema contribuiscono ad affrontare meglio la vita. A me ha aiutato come donna, mi ha fatto crescere e vibrare. Se non vibro come artista, non posso far vibrare il pubblico. E la storia di Clara mi ha davvero toccato il cuore».

In scena non c’è solo Clara, ma anche tutti i personaggi che lei incontra nella sua vita, compresi quelli maschili…

«Sì, ma io entro più nella psicologia dei personaggi che Clara incontra in momenti diversi della sua vita: madre, nonna, zio, professori, amici».

Fra cui Charlie Chaplin.

«Sì, anche se nello spettacolo compare in un momento velocissimo».

Erano grandi amici, però.

«Negli ultimi anni di vita lo sono stati. Si sono conosciuti quando lei era già anziana, in Svizzera, dove vivevano entrambi. Lui aveva molta stima di lei, le ha chiesto di comporre delle musiche per lui, trascorrevano parecchie ore insieme».

La sua carriera è lunga e varia, che cosa le dà il teatro rispetto al cinema o alla moda?

«Io amo tutto, perché sono mondi diversi da esplorare. Mi piace essere libera. Con la moda sento meno pressione, perché la vivo con leggerezza e felicità. Il teatro è la disciplina in cui viene richiesta più energia, ma anche quella in cui me ne viene restituita di più».

Con quali registi italiani le piacerebbe lavorare?

«Ho appena finito di girare il film “Una storia nera” di Leonardo D’Agostini, tratto dal romanzo di Antonella Lattanzi. Amo il cinema italiano: Moretti, Garrone, Bellocchio sono grandi artisti. Questo è il cinema che mi piace e che mi fa sognare».

Ascolta molta musica?

«Sì, sempre. Amo Mozart, per esempio. Clara era una delle più grandi specialiste di Mozart. Ma ascolto diversi generi musicali, quando lavoro la musica è sempre lì».

E con la letteratura che rapporto ha?

«Mi piace molto leggere. Di recente ho comprato un libro sulla scultrice Germaine Richier, un altro sulla storia delle donne in fotografia e poi ho un’amica che mi ha regalato un libro di uno scrittore geniale: “Les éclats” di Bret Easton Ellis».

Autori italiani?

«Conosco poco la letteratura italiana, purtroppo».

Però conosce bene l’Italia.

«Ho un rapporto profondo con l’Italia. Le mie radici sono italiane. La mia bisnonna era toscana: mi piaceva, era libera, forte, generosa, aperta, con senso dell’umorismo. Era anche una donna di casa. E dopo la guerra si è trasferita in Corsica. Avevo 12 anni quando è morta, l’ho frequentata molto. L’Italia è sempre stata presente nella mia vita».

Ha avuto anche una lunga storia con Stefano Accorsi, padre di due dei suoi quattro figli.

«Certo. Anche se era più lui che veniva in Francia. Ma il mio rapporto con l’Italia è precedente, nasce dalla moda. In Italia mi sento a casa, più che a Parigi. Non mi sento tanto parigina, ma mediterranea, riguarda il mio modo di muovermi, è una cosa fisica».

Viviamo in un’epoca complicata, prima il Covid, poi la guerra in Ucraina. Che cosa le manca di più?

«Mi manca qualcuno che abbia una visione, una voce intelligente, una persona con grandi valori. Qualcuno che possa aiutarci e dire: “Attenzione, sta per accadere questa cosa”. Ora per capire la politica bisogna che ciascuno di noi si faccia un’idea da solo. In Francia non siamo lontani da voi politicamente, con Marine Le Pen. E mi dispiace. Ma credo nell’Europa, nella necessità di rimanere uniti, di comunicare, senza giudicare, e trovare una via d’uscita alla guerra».

Gli artisti possono fare la loro parte?

«Certo, hanno la loro maniera di parlare del mondo. Per esempio, il mio prossimo progetto a teatro sarà la messa in scena di “Una giornata particolare” di Ettore Scola, regia di Lilo Baur. In questa storia speciale si parla di omosessualità, guerra, nazismo. Tutto ciò mi interessa e mi piacerebbe portare in scena lo spettacolo anche in Italia».

Il ritorno della Gialappa’s Band su Tv8: «Ma non siamo più in tre, Carlo Taranto non aveva più voglia». Chiara Maffioletti su Il Corriere della Sera il 17 Aprile 2023.

L’ex trio (ora duo) ritorna con un nuovo programma su Tv 8: «Gialappashow»

Questa volta, chi cambia canale non è un burfaldino ma fa la cosa giusta. La Gialappa’s Band torna — finalmente — con un programma tutto suo, ma lo fa in una nuova collocazione: Tv8. «Gialappashow» debutterà a maggio, condotto dal Mago Forest e con tanti comici arruolati: nomi nuovi e vecchie glorie (tra cui Marcello Cesena) che con il trio hanno segnato una bella fetta di tv. Trio che, però, in questa occasione diventa un duo: Carlo Taranto, il signor Carlo, non ci sarà. Terranno le fila di tutto Marco Santin e Giorgio Gherarducci. Ma nemmeno in questa occasione cedono ai sentimentalismi: «Carlo? Ci mancherà molto, soprattutto quando dovremo mandare la pubblicità».

La sua assenza non è una novità: sempre più spesso siete voi due a portare avanti la Gialappa’s.

Santin: «È già da qualche anno che non ha più molta voglia di lavorare. Dietro questa scelta non c’è un litigio o altro. Semplicemente non ne ha voglia. Abbiamo provato a coinvolgerlo ma è stato netto. A me spiace soprattutto per lui, perché alla fine quando si convince a tornare poi si diverte parecchio».

Gherarducci: «Spiace che si levi questo piacere... poi dei tre è quello che ha la memoria migliore, infatti non avremmo potuto fare il nostro libro, Mai dire noi (edito da Mondadori), senza di lui. Ci manca, certo, anche a livello organizzativo: per come curava la scaletta o nella parte delle cronache, ad esempio quelle che abbiamo fatto con i Mondiali, gli Europei o Sanremo. La formula a tre era giusta, ma evidentemente per lui la fatica era superiore al divertimento».

Un’altra separazione è quella con Mediaset.

Santin: «In realtà il progetto di cui parlavano da due anni, cioè quello di rifare degli speciali di Mai dire gol, mi risulta sia ancora in piedi. Vedremo se si concretizzerà». Gherarducci: «Di certo tra l’ipotesi di rifare uno spettacolo rivolto solo al passato o inventarne uno nuovo, che guarda al futuro, questa seconda ci stimolava di più e sembrava anche più sensata».

Santin: «Senza contare che riuscire a trovare delle date in cui tutti i comici che hanno fatto la nostra storia fossero liberi contemporaneamente non è una cosa semplice. Bisio, De Luigi, Cortellesi, Aldo, Giovanni e Giacomo... non potevamo rifare Mai dire gol senza questi pezzi da novanta. Ma, ripeto, non è escluso che prima o poi accadrà. Al momento siamo felici di lavorare a una cosa nuova».

L’impianto del nuovo show sarà il solito?

Gherarducci: «Sì, Forest che conduce più una manica di idioti che gli ruota attorno». Santin: «In più ci saranno i filmati, solo che questa volta riguarderanno i programmi Sky, di tutta la piattaforma... cose che avremmo sempre voluto commentare, tipo Masterchef. Ma non solo».

Gli ultimi mesi sembrano piuttosto positivi per voi, no?

Gherarducci: «Siamo stati rivalutati ma da vivi, il che è piuttosto straordinario». Santin: «Dipende anche dalla scelte che sono state fatte, in realtà. Gli ultimi anni a Mediaset abbiamo commentato un programma che ci piace come Le Iene, ma in cui la nostra presenza era marginale: non spostava gli equilibri per noi. Del resto è uno show che guardi per i servizi».

Gherarducci: «E infatti oggi lo conduce Belén e lo guardano lo stesso. Dopo la fine di quella collaborazione siamo rimasti fermi per un po’: quello si è rivelato essere il momento giusto per scrivere il nostro libro, che è stato molto apprezzato».

Proprio per lanciare il libro siete andati da Fazio e da allora la vostra è diventata una presenza quasi fissa.

Santin: «È successo tutto spontaneamente, con lui come con Cattelan. Ci divertiamo molto e per noi è un ruolo diverso dal solito: andare in video a 60 anni anziché a 35 è una scelta intelligente, poi. Però ci stiamo proprio bene».

Vi preparate a commentare, ancora una volta, la tv: quanto è cambiata dai vostri inizi?

Santin: «Beh i programmi nuovi sono quasi tutti sulle piattaforme e sulle tv satellitari. Rai e Mediaset non sono cambiate moltissimo: puntano sui soliti titoli, tirandoli per mesi. Solo che per commentare otto mesi di “Grande Fratello” servirebbe più che altro un vitalizio».

Cosa ne pensate di una trasmissione come «Lol»?

Gherarducci: «Non lo considero un programma comico, ma più un piccolo reality con dei comici. La riuscita dipende molto dal cast».

Livello dell’ansia a meno di un mese dal debutto?

Santin: «Più a ridosso arriverà. Sentiamo grande entusiasmo, una certa aspettativa c’è. Va anche detto che è una rete molto più piccola, non prevediamo ascolti da tv generalista. In più è un programma che andrà giudicato nel lungo periodo».

Avete un contratto di esclusiva?

Santin: «La nuova regola è: nessuna esclusiva. Soprattutto da quando non le pagano. Abbiamo lavorato al programma di Michelle Hunziker, siamo da Fazio, lavoriamo su Dazn... non ha senso pensare a un’esclusiva».

Vi fa effetto aver segnato più di una generazione con la vostra comicità?

Gherarducci: «È stato un incidente, non volevamo. Ormai mio figlio, che ha 15 anni, mi dice che i suoi professori quando capiscono chi è si entusiasmano. Gli dicono: ma io sono cresciuto con tuo padre».

Santin: «Invece il mio, che è più piccolo, quando gli domandano che lavoro fa tuo papà, risponde: niente. La verità è che la nostra carriera è nata davvero per gioco e nessuno di noi avrebbe scommesso mai sul fatto che sarebbe successo quello che poi è successo».

R.D.G. per “la Repubblica – Roma” il 9 gennaio 2023. 

A 78 anni gioiosamente portati, con quasi 50 stagioni di repliche storiche (ora con novità neo-melodiche) de La Cantata dei Pastori , con verve insolente e candida, divisa nera da scrivano del '700, faccia tosta e guance rosse da risate, e trasformando una sacra rappresentazione in varietà, Peppe Barra commuove, stupisce ed emoziona.

Entrate monellesche in scena, schermaglie, silenzi di sberleffo, duetti cantati. La macchina scenica è un'enciclopedia di passato e presente, con Lamberto Lambertini coautore e regista, e il suo affamato Razzullo è in sintonia col Sarchiapone che Lalla Esposito sa ben impersonare in sembianze maschili, con nuovo cast di buoni e cattivi. Bravi i musicisti. Scenografie da cartoon. Sala Umberto di Roma fino al 15.

Descrivere Lalla Esposito solo come una cantante-attrice vorrebbe dire banalizzare la sua voce, la sua prosa, le braccia, il corpo, la faccia. Un viso che già da solo riempirebbe di sé il palco, senza orpelli o sovrastrutture, nel silenzio scandito dai respiri di chi è andato ad ascoltarla e a vederla.

No, non sto parlando di una bellezza statuaria, ma di un concentrato di donna. Lalla ha quel non so che, quella forza misteriosa, quella cosa che ogni artista vorrebbe per sé: Lalla Esposito incarna il famoso duende descritto meglio e prima di me da Goethe e Lorca. Quel folletto o spiritello (‘o monaciello, detto in dialetto) che “brucia il sangue come un topico di vetri”, che respinge tutta la dolce geometria appresa e rompe ogni stile.

Il suo sopraggiungere presuppone sempre un cambiamento radicale di ogni forma rispetto a vecchi piani, per dare sensazioni di freschezza del tutto inedite. Ciò che in realtà avviene è un qualcosa di nuovo che nulla ha a che vedere con quanto esisteva prima.

 Lei, Lalla, ammette di non avere il fuoco sacro e che non vorrebbe mai lavorare per una raccomandazione, ma bensì essere scelta sia da chi produce sia da chi la va a vederla a teatro: vuole essere la scelta, non l’imposizione.

Tante sono le collaborazioni in vari spettacoli di successo: da Toni Servillo a Roberto De Simone, passando per i fortunati incontri sia con Giuseppe Patroni Griffi con il quale ha preso parte agli spettacoli “Napoli Milionaria” e “Sabato Domenica e Lunedi”; sia quello con Luca De Filippo, con il quale ha lavorato per tre anni nella sua compagnia.

È Bernardina nel “Masaniello” di Porta-Pugliese e ha collaborato per anni con Maurizio Scaparro negli spettacoli “Amerika” e “Don Giovanni” con la musiche di Nicola Piovani. Ha fatto parte della compagnia di Enzo Moscato. I colleghi con i quali ha lavorato hanno nomi importanti, come Lina Sastri; Isa Danieli; Peppe Barra; Mariano Rigillo; Massimo Venturiello; Sal da Vinci e tanti altri ancora.

 Ancora diretta da Armando Pugliese, con cui si intuisce un feeling molto profondo, recita e canta anche in “Napoli chi resta e chi parte”, uno spettacolo tratto da “Caffè di notte e giorno” e “Scalo Marittimo” di Raffaele Viviani e “Teresa Sorrentino” scritto da Elvio Porta con le musiche e canzoni di Sergio Esposito.

Lars von Trier e l’ultimo capitolo della trilogia «The Kingdom»: «La mia terapia è l’horror». Giuseppina Manin su Il Corriere della Sera il 3 Gennaio 2023.

Il regista danese: «L’humour nero per me è salvifico. La solitudine? È dolorosa, pensavo fosse una forza»

Tutto ebbe inizio con il pianto di una bambina proveniente dal fondo di un ascensore di un ospedale. A sentirlo un’anziana paziente, la signora Drusse, professione medium. Era il 1994, «The Kingdom» di Lars von Trier piombò come un meteorite sulla Mostra del Cinema di Venezia, quasi cinque ore di horror medicale in overdose di humor nero: fantasmi insepolti, feti in barattolo, cancri al fegato coltivati come trofei, lavapiatti con sindrome di Down a commentare tutto con il distacco epico di un coro greco. Osanna, invettive, scandalo, per una serie destinata a diventare di culto. E sempre a Venezia è arrivata nel ’97 la seconda parte e, lo scorso settembre, la terza e ultima, «The Kingdom - Exodus».

L’uscita da un ospedale che, da quando ha saputo di avere il Parkinson, ha assunto per lei ben altro significato...

«La verità è che, sano o malato, ho sempre avuto paura degli ospedali», confessa il regista danese, autore di film come “Dancer in the Dark”, “Dogville”, “Melancholia”. Cacciato da Cannes nel 2011 per alcune dichiarazioni antisemite, superata la dipendenza da droga e alcol, Lars si è scoperto malato. Ma ha continuato a lavorare. E nei giorni scorsi ha ricevuto il premio Marco Melani, regista e critico scomparso nel ’96, celebrato per volere del comune di San Giovanni Valdarno e di Enrico Ghezzi.

«Scegliere un ospedale come sfondo di una storia lunga e spaventosa, è stata senza dubbio una scelta strana — prosegue —. Ma la mia teoria è che l’ansia e la creatività provengano dallo stesso luogo. Si tratta di utilizzare quell’energia in modo positivo».

Quando iniziò «The Kingdom» aveva alle spalle film come «L’elemento del crimine» e «Europa». Come le venne in mente una serie così diversa?

«In realtà era nata per fare un po’ di soldi e salvare la Zentropa, la mia casa di produzione. L’abbiamo presa alla leggera, l’abbiamo scritta in fretta e furia. Nessuno pensava a un tale successo».

E l’idea dell’ospedale dei fantasmi?

«A darmi lo spunto fu “Belfagor”, la prima grande serie europea che ho visto da bambino, ambientata al Louvre. A colpirmi era il fatto che il grande mondo del museo contenesse tante altre piccole storie. La scelta di un ospedale è stata in parallelo. I primi episodi erano horror, ma per via di un cast piuttosto pittoresco, si è insinuato un po’ di humour. Ne è uscito un cocktail divertente che mi ha spinto a ampliare la serie. Questi ultimi episodi si basano quasi solo sull’umorismo, che è più anarchico dell’horror. E più salvifico per il mio umore».

Quindi questa serie è stata una sorta di terapia?

«Per tutta la vita ho sofferto di depressione e sapevo che la cura era il lavoro. Per realizzare “Exodus” ci sono voluti 4-5 anni. Non è un’opera di cui vado particolarmente fiero, ma la collaborazione con gli attori ha funzionato in modo ottimale».

Resta l’eterno conflitto tra danesi e svedesi. Oggi metafora di altri scontri?

«Non ho mai fatto film con intenti morali ma solo seguendo il mio desiderio. Come tutti sono colpito e rattristato da ciò che stiamo trasmettendo ai giovani: ho due nipoti, odio vederli soffrire per colpa dell’ingenuità della mia generazione».

Sta pensando alla guerra?

«È inquietante come il meccanismo dell’attuale sia simile a quello di tutte le altre. Il diavolo ha creato il nazionalismo, che continua a crescere in noi anche se ci consideriamo pacifisti. Il nazionalismo e la religione inventati come difesa della civiltà hanno reso labili i confini tra bene e male. La mia generazione ha vissuto l’età dell’oro della democrazia senza rendersene conto, senza far nulla per fermare un negativo ritorno al passato».

Come auspica il futuro?

«Con il pianeta intatto».

Ha un nuovo progetto?

«Sto creando un database contenente ciò che ritengo di aver sperimentato durante il mio lavoro. L’idea è che chiunque si occupi di cinema o voglia farlo possa consultarlo. Sono stato molto fortunato, ho potuto realizzare quel che volevo quando volevo. Sento il dovere di trasmettere ciò che ho sperimentato».

Il cinema è sempre al centro della sua vita?

«È l’unica cosa che so fare, quindi devo continuare a farlo. Costi l’ansia che costi. A questo punto della vita sono morbosamente solo. Ho sempre creduto che la solitudine fosse una forza, ma devo rendermi conto di quanto possa essere dolorosa».

Laura Chiatti: «Mio marito Marco Bocci? Mai controllato il suo telefono. Un regista mi scaricò perché arrivai in tuta». Valerio Cappelli su Il Corriere della Sera il 30 Aprile 2023

L’attrice: «Gli insulti per il mio peso? Mi azzuffo con gli haters. Non sono più abituata ai tacchi. Da ragazzina ero ribelle»

Laura Chiatti, nel film di suo marito Marco Bocci, La caccia, che esce l’11 maggio, è con i suoi tre fratelli. Si riuniscono dopo la morte improvvisa del padre. L’eredità nasconde una terribile verità.

Nel film tre maschi e lei, che interpreta una tossicodipendente

«Non credo che la droga sia un aspetto così importante, quello è un passaggio che Silvia (si chiama così il mio personaggio) attraversa per raggiungere un obiettivo che la porta a scansare un passato da dimenticare nella sua disastrata famiglia. È un ruolo a cui sono legata perché in genere mi chiamano per commedie romantiche, dove sono o fatalona o leggerina, e non si guarda mai l’oltre. Invece Marco col mio oltre, con l’aspetto più nero e intimista, ci vive ogni giorno. Ho sempre cercato di camuffare la mia inquietudine».

Il cinema cambia le carte.

«Io vivo tra lacune, rimpianti, insicurezze. Conosco i miei limiti. L’inglese, per dirne uno, lo capisco ma non lo parlo bene, sono pigra, ho dovuto rinunciare a film importanti, anche se quando Sofia Coppola mi prese per Somewhere, con cui vinse a Venezia, imparai la parte tre mesi prima. Uno dei temi di questo film è che Silvia ha accusato in modo più violento i traumi dell’infanzia e ha cercato di trasformarli nell’obiettivo della maternità, attraverso un’altra persona, per mettere al mondo una vita che le faccia dimenticare la sua».

Ma lei nella vita, dopo avere avuto due figli, è sempre così insicura?

«Con la maternità alcune cose si acuiscono e altre si attenuano, Enea e Pablo mi fanno sentire il tempo che passa. Sono apprensiva verso me stessa, a volte si lamentano per i troppi compiti e dico, eh, anche per me era lo stesso. Io non mi vedo così autoritaria».

Non era anche ipocondriaca?

«Questo è un discorsone. Sono un tipo di ipocondriaca al contrario. Non faccio nemmeno mezza visita medica, mi autodiagnostico. Poi per paura vado su Google e resto sempre col dubbio. È un auto-sabotaggio continuo. Però cinque anni fa Marco, mio marito, ha avuto una encefalite, eravamo in camera da letto, sono stata tempestiva nel soccorrerlo. È stato miracolato, difficilmente se ne esce vivi. Quel giorno ho capito la fine della gioventù, la fragilità».

Com’è stato lavorare diretta da suo marito?

«Quando litigavamo gli dicevo: guarda che non lo faccio il film, eh. Ma non ci credeva. Sul set non ho ansia da prestazione, mi diverto, so quello che posso fare bene o meno bene, con Marco ero in ansia perché non ci avevo mai lavorato, lui ama ricevere dagli attori, ne studia la psicologia, è un regista randagio».

E lei è una donna libera.

«Non vado dietro al gregge. E non è un vantaggio. Ho perso incontri, possibilità, film. Sono nata libera e indipendente. Ho cominciato a 14 anni, sono cresciuta in Umbria, in una piccola realtà diversa da Roma o Milano. Canticchiavo, partecipavo ai concorsi di canto, la passione poteva essere quella. Al cinema ho cominciato per caso cercando di capire cosa potesse essere questo lavoro».

Ma da ragazzina cosa sognava di fare?

«La parrucchiera. Il sabato accompagnavo mamma a farsi i capelli e quella era la mia dimensione reale. Venendo dalla provincia, al cinema mi autogestivo, non avendo una formazione teatrale mi sentivo inadeguata. Sul set di Sorrentino, per L’amico di famiglia, ho capito che questo sarebbe diventato il mio lavoro. Venivo da Un posto al sole, Paolo è un regista che giustamente pretende. Non sono mai stata omologata perché non mi sono mai vista uguale alle altre attrici. Ma ho dei riferimenti, sono Golino dipendente. È la mia eroina. Anche lei è libera».

Ha ancora una venerazione per Kate Moss?

«Ora un po’ meno. Le ho regalato un anello, avevo una tee-shirt col suo volto. Ho visto che sua figlia Lila fa l’indossatrice col cerotto, senza nascondere il diabete. È bellissima. Di recente sono rimasta colpita da una delle figlie di Monica Bellucci, che al tempo del film di Giovanni Veronesi, Manuale d’amore 3, quello con De Niro, tenevo in braccio. Era una bambina. Mi fa strano che sia diventata una donna».

Lei è stata lanciata da Federico Moccia.

«No, il regista di Ho voglia di te è Luis Prieto, Moccia aveva scritto il libro da cui è tratto il film, non so lui che fine abbia fatto. Quel film cementò il sodalizio di ferro con Riccardo Scamarcio. L’ho conosciuto a 16 anni, ora vado per i 41. La nostra coppia al cinema andò avanti un bel po’, non so perché. Siamo ancora molto amici».

Essere liberi in un ambiente conformista come il cinema.

«Hai presente quando sei a tavola con altri attori e tutti parlano male di un personaggio politico di destra e io dico che mi sta simpatico? Divento la pecora nera. Me ne sono sempre fregata, non si tratta di essere di destra o di sinistra. Non sto parlando di politica ma di dinamiche che non mi appartengono. Non fingo di essere una intellettuale per avere più credibilità. Sintetizzando in maniera cruda, mi sento più vicina a Valeria Marini che a Laura Morante. Sono istrionica, non ho un’identità precisa, non penso che si possa essere solo in un certo modo, al cinema mi piacciono film di serie A e di serie C».

Torniamo a lei cantante da ragazzina.

«Cantavo alle sagre, in Umbria era atteso per una serata di karaoke Fiorello, di cui ero innamorata, avevo il poster, quelle cose lì, lui lo sa. Quella sera al suo posto arrivò il fratello, Beppe. Io cantai Ma non ho più la mia città di Gerardina Trovato. Ne ho un ricordo bello e malinconico, ho sempre una lieve angoscia che mi accompagna, non vivo mai con spensieratezza, la timidezza che nessuno vede non mi molla. Ero una ribelle, un cavallo imbizzarrito dicevano i prof, ma non in modo insano, avevo 6 in condotta, in classe saltavo dalla finestra e dopo la ricreazione non rientravo, nulla di trascendentale».

Lei viene da una famiglia modesta, giusto?

«Estremamente modesta. Sono cresciuta a Villa di Magione, vicino Perugia. Mio padre faceva il metalmeccanico e rientrava a casa tardi con la tuta piena di grasso e olio, mamma era segretaria nel negozio di maglieria della zia. Sono cresciuta con la nonna, autoritaria ma mi viziava per quanto possibile. Le insegnai io a leggere. Il pomeriggio lo passavo al baretto vicino casa. Le mie amiche, quando tornai dal Festival di Cannes con il ramo di una palma, giocando su quella che danno alla migliore attrice, l’hanno impressa insieme alle impronte delle mie mani sul cemento di una strada, come fanno ai divi in Usa. La mia Hollywood è in una frazione di Perugia. A Cannes ero andata per il film di Sorrentino, i giornali francesi mi definirono la nuova Brigitte Bardot e ne fui lusingata».

I social?

«Mi azzuffo spesso con gli haters, non sopporto quando mi toccano la famiglia o mi dicono che sono diventata anoressica. Reagisco con cinismo o ironia. Avevo preso dieci chili dopo le due gravidanze, li ho persi con una nutrizionista. E mi insultano. Sono sempre stata 53 chili».

E il complesso dell’altezza?

«Ah, quello non ce l’ho più. Sono 1 e 67, per una vita mettevo i tacchi anche se facevo ginnastica. Non sono più abituata, quando certe volte di sera li metto, traballo. Come faccio, gioco a pallone con i miei figli, a volte in porta a volte all’attacco. Ho un animo maschile, cameratesco. Adesso girerò un film con tutte femmine ma non sono preoccupata perché ci conosciamo già tutte, è il seguito di Addio al nubilato».

Nel primo film baciava un’altra donna.

«Lo farò anche nel secondo. Le scene intime sono noiose. Come puoi fare una scena di sesso? È strano, parliamoci chiaro. Esci di casa, vai a lavorare e baci uno che a volte non hai mai visto prima. È sempre imbarazzante, anche per una come me. Sono mezzo uomo e non ho pudore. Io sul set in quelle situazioni non distinguo tra uomo o donna. Se nasce qualcosa con un collega, nasce fuori da quelle scene».

E invece come fu il suo addio al nubilato?

«Meraviglioso e doloroso, aspettavo già Enea, ebbi un distacco di placenta che mi costrinse a letto per venti giorni. Le mie amiche mi organizzarono una festa nel giardino della casa in Umbria dove sono cresciuta. Mi hanno fatto trovare un trono. Io seduta, spettatrice, loro che ballavano. C’era una drag queen e la gigantografia di Kate Moss. Che giornata pazzesca».

Prima ha detto di aver perso occasioni per la sua voglia di libertà.

«Le racconto un episodio che mi fa ancora male. Non dirò il nome, ma un regista molto importante, per un film molto importante, mi fece un provino e mi prese. Al secondo provino mi presentai come sono io, con la tuta e le pinze per fermare i capelli. Mi disse che ci aveva ripensato, avevo un’aria troppo leggera e spensierata per quel ruolo drammatico. Lì mi arrabbiai e gliene dissi di tutti i colori. Perché, non avrei tirato fuori la sofferenza durante le riprese? Io le cose le dico in maniera sfacciata e a volte mi precludo delle occasioni».

Tra la famiglia e il cinema?

«Non ho dubbi, scelgo la famiglia. Ho appena rinunciato a una serie in Trentino che mi avrebbe portato via sei mesi da casa».

Siete belli, lei e suo marito. Gelosi?

«Lui lo è. Io non ho mai letto i messaggi sui cellulari degli altri e del suo: sono come le malattie, visiti visiti e alla fine qualcosa trovi».

Laura, ogni volta che ci parliamo facciamo il conto dei suoi tatuaggi.

«Sono rimasti 14, lì dov’è possibile la copertura. Sono i cicli della vita. Gli ultimi sono i cuoricini dei miei due figli, Enea ha 8 anni e Pablo 6».

Lei è il Totti delle attrici. Libera, diretta, spontanea. Le mancano solo le barzellette.

«Io mi vedo come una che lascia tutto a metà, fatalista. Invece di combattere mi dico, sarà quel che sarà».

Sì, ma fossero tutte vere e simpatiche come lei, le attrici...

Da leggo.it il 2 maggio 2023.

A due giorni dalla polemica che ha investito Laura Chiatti, che a Domenica In ha detto che non tollera «l'uomo che si mette a fare il letto, dare l'aspirapolvere. Mi abbassa l'eros, me lo uccide», interviene un difensore d'eccezione: è Mario Adinolfi, che all'Adnkronos condanna le critiche ricevute dall'attrice e spezza una lancia in suo favore. «La forza di Laura Chiatti è stata quella di affermare che uomo e donna sono diversi», le parole di Adinolfi. 

«La sessualità e l'attrazione scattano tra diversi, inutile il contrario - sottolinea -le polemiche che si sono scatenata per le affermazioni di Laura Chiatti sulla differenza tra uomo e donna sono frutto di una deriva ideologica gender e sono l'occasione per discutere del fatto che se Roberto Vecchioni cantava 'Voglio una donna con la gonna' non deve essere uno scandalo». 

«Il Papa in Ungheria ha detto che tutto ciò che riesce a raccontarci la bellezza della differenza tra uomo e donna è estremamente importante - dice Adinolfi - La tendenza a eliminare le differenze tra o sessi è il valore della così detta ideologia gender. Aggredire la Chiatti solo perché fa una battuta rende chiaro il clima che si respira oggi: c'è ormai la volontà di raccontare sempre un rapporto conflittuale uomo-donna e dentro questo rapporto conflittuale alcuni elementi della femminilità tradizionale sembrano essere diventati dei tabù». 

«Nessuno vuole mettere la catena ai piedi alla donna - tiene a precisare - ma la donna oggi deve essere per forza androgina e l'uomo deve essere per forza mammo? Oppure se c'è una narrazione che qualche volta è anche altra la si può accogliere anche laicamente?», chiede Adinolfi. «Siamo sicuri che per le donne sia stato un vantaggio rinunciare sull'altare del politicamente corretto alcune questioni ed elementi della femminilità tradizionale?», conclude.

Estratto dell’articolo di Arianna Ascione per corriere.it il 19 maggio 2023.

I tempi di Non è la Rai

«Ancora mi si avvicinano per strada per rievocare quei giorni, come se il tempo si fosse fermato». Laura Freddi, che proprio oggi compie 51 anni, ricorda con affetto i tempi di Non è la Rai, fucina di talenti di Gianni Boncompagni che le ha regalato il successo negli anni Novanta. «Ero timidissima, mi nascondevo dietro le foglie delle palme finte intorno alla piscina, sperando di non essere inquadrata - raccontava qualche mese fa al Corriere -. Dopo una settimana passata a mimetizzarmi dietro la scenografia, Gianni e Irene Ghergo mi presero da parte. “Lauretta, tesoro, non puoi mica continuare così”.

Avevo solo bisogno di essere sbloccata. Alla fine ci pensò Enrica Bonaccorti, tirando fuori una certa somiglianza con Kim Basinger. Così un giorno mi spinsero a forza davanti al Cruciverbone, il posto più ambito da tutte le ragazze, a improvvisare un finto e casto spogliarello con la musica di Nove settimane e mezzo, mi vergognavo da morire, avrei preferito cantare, invece no, ci doppiavano per forza».

(...) 

L’amore con Paolo Bonolis

Sul set di Non è la Rai Laura Freddi conosce Paolo Bonolis (all’epoca conduttore della trasmissione) e tra i due sboccia l’amore. Con lui la showgirl conduce anche il programma estivo Belli freschi, ma nel 1995 la relazione giunge al termine: «Io ero giovanissima, lui aveva già dei problemi di vita importanti - ha raccontato tempo fa Freddi a Oggi è un altro giorno -. Io volevo una famiglia, un figlio, mentre lui aveva delle problematiche legate al precedente matrimonio (quello con l’americana Diane Zoeller ndr.). La donna che sono oggi non è la Laura che aveva 19 anni. Io ho avuto poche storie importanti ma lunghe e tutti i miei ex sono amici, ci vogliamo bene, c’è un rapporto buonissimo». 

Nella Casa del Grande Fratello Vip

Dopo una serie di esperienze professionali a LA7 e Vero Tv nel 2015 Laura Freddi prende parte alla quinta edizione di Tale e quale show (Lady Gaga, Raffaella Carrà e Lorella Cuccarini sono solo alcuni dei personaggi del mondo della musica che ha imitato). Nel 2016 entra nel cast della prima edizione del Grande Fratello Vip e rimane all’interno del reality quasi fino alla fine (viene eliminata poco prima della finale).

Il Grande Fratello Vip ha risollevato la showgirl dopo un periodo poco fortunato, ha rivelato lei al Corriere: «Per colpa di una causa di lavoro durata 12 anni che mi ha prosciugato le finanze. Purtroppo non sempre si incontrano persone oneste. Avevo firmato documenti che non avrei dovuto firmare e per difendermi ho bruciato tutti i miei risparmi, ho pure dovuto vendere la casa che stavo ancora pagando. Con le cartoline verdi degli avvisi di pignoramento avrei potuto farci un albero di Natale. Mi sono risollevata con il cachet del Grande Fratello Vip, una mano santa».

Vita privata

Nel 2006 Laura Freddi convola a nozze con l’imprenditore Claudio Casavecchia e sogna di diventare mamma. Ma il suo desiderio va in frantumi: purtroppo, dopo essere rimasta incinta, perde il bambino che aspettava. Nel 2008 il matrimonio arriva al capolinea. Successivamente la showgirl incontra Leonardo D'Amico, fisioterapista della nazionale italiana di beach volley: «Ho cominciato a giocare tardi, a 36 anni, ed ero una mezza cartuccia. Durante un torneo ho preso una botta tremenda, non mi passava, il mio allenatore mi ha consigliato il fisioterapista della nazionale. Era Leonardo. Siamo diventati amici. Parlavamo, parlavamo.

Io gli mandavo segnali, ma lui niente». Poi però scoppia l’amore e nel 2018, a 45 anni, Laura Freddi corona il suo sogno più grande: il 3 gennaio viene al mondo sua figlia Ginevra. «Ho sempre voluto diventare mamma, ho sempre avuto un istinto materno molto spiccato» ha raccontato qualche anno fa la showgirl a Verissimo. Nel corso dell’intervista ha svelato tutte le difficoltà che ha dovuto affrontare per riuscire a rimanere incinta. Tra queste l’endometriosi: «Avevo dei dolori, ma non mi era mai stata diagnosticata. Per fortuna la mia forma era abbastanza lieve. Dopo ho subito un'operazione e ho fatto una cura, e dopo sei, sette mesi ho scoperto di aspettare Ginevra». Proprio nel giorno del suo compleanno, il regalo più bello.

Laura Freddi: «Mi vergognavo a viaggiare sulle auto scassate di Bonolis. Ambra è ancora un’amica». Giovanna Cavalli su Il Corriere della Sera il 18 marzo 2023.

La showgirl: «Ero rimasta senza soldi, un reality mi ha salvato. Prima di entrare in scena Claudio Bisio mi offriva un goccetto di grappa per farmi coraggio»

«Ma come è bello qui, ma come è grande qui, ci piace troppo ma... non è la Rai...». «Ero timidissima, mi nascondevo dietro le foglie delle palme finte intorno alla piscina, sperando di non essere inquadrata».

L’unica, le altre sgomitavano eccome. E poi nel 1991 aveva già 19 anni, quasi vecchiotta, per Gianni Boncompagni.

«Mi diceva che ne dimostravo 15, magrolina, non troppo formosa. Dopo una settimana passata a mimetizzarmi dietro la scenografia, Gianni e Irene Ghergo mi presero da parte. “Lauretta, tesoro, non puoi mica continuare così”. Avevo solo bisogno di essere sbloccata. Alla fine ci pensò Enrica Bonaccorti, tirando fuori una certa somiglianza con Kim Basinger. Così un giorno mi spinsero a forza davanti al Cruciverbone — il posto più ambito da tutte le ragazze — a improvvisare un finto e casto spogliarello con la musica di Nove settimane e mezzo , mi vergognavo da morire, avrei preferito cantare, invece no, ci doppiavano per forza», racconta Laura Freddi (ospite fissa di Oggi è un altro giorno, Raiuno), che di quei celebrati anni Novanta è stata una bionda icona e le icone restano eternamente uguali a sé stesse, beate loro: «Ancora mi si avvicinano per strada per rievocare quei giorni, come se il tempo si fosse fermato».

Vi chiamavano Lolite, voi ragazzine di «Non è la Rai».

«Gianni con me si è sempre comportato più che bene, eppure lo bersagliavano di critiche, contro di lui c’era troppo accanimento, esagerato. Che poi eravamo poco truccate, innocenti, disciplinate. “Non vi illudete, questa fama potrebbe non durare”, ci ripetevano».

Con Ambra amiche o nemiche?

«Amiche. Ci sentiamo ancora oggi, per messaggino, parliamo dei nostri figli».

Quello non fu il suo vero esordio in tv.

«Avevo debuttato due anni prima, su un’emittente locale di Napoli, Canale 34, facevo sondaggi telefonici e portavo un tremendo ciuffo cotonato a fungo, ma ho distrutto le prove, eh eh. Prima ho fatto non so quanti concorsi di bellezza, non mi piacevano, però li vincevo tutti, ero la regina di Ostia e Fiumicino, improbabili talent scout mi lasciavano bigliettini da visita pure alla fermata del bus, ma papà li strappava».

Poi diventò la Velina bionda di «Striscia la Notizia», in coppia con la bruna Miriana Trevisan.

«Le prime Veline parlanti e microfonate, senza pattini e non troppo prorompenti. Con Greggio e Iacchetti ho riso tantissimo, come coppia non si battono. Enzino è ancora oggi un mio carissimo amico, gli voglio un gran bene. Antonio Ricci invece non si vedeva mai, per scherzo lo chiamavo “il fantasma”. Ogni tanto chiedevo: “Ma come è fatto? Esiste davvero?”. Però un genio. E sì, non so quante volte sono caduta dal bancone durante gli stacchetti. Ma mai come al Festivalbar quando, scendendo le scale cantando, sono finita addosso al pubblico, il filmato gira ancora sul web».

Velina e calciatore, ci è cascata anche lei, per quanto a scoppio ritardato.

«Dopo due anni, sì. Facevo il Quizzone con Amadeus e abitavo con Cristina Quaranta (ride), pensi che coraggio che ho avuto, e lo dico perché è una mia amica, sia chiaro. Lei conosceva un sacco di gente, ogni tanto mi presentava qualcuno. Una sera invitò Fabio Galante, io non ne volevo sapere. “Ti prego, non chiamarlo più”. Come non detto. Una sera lui praticamente si legò al termosifone di casa, non voleva andarsene e a quel punto... ho ceduto».

Tre anni insieme.

«Era giovane e bello, giocava nell’Inter, io ero gelosissima, ora non più. Con Fabio diciamo che ce n’era bisogno, ho colto dei segnali importanti, ho cercato di perdonare, ma Milano era piena di vita, di distrazioni. Quelle poche volte che andavo a vederlo in tribuna, se per caso sbagliava un tiro, tutto lo stadio si voltava verso di me, come se fosse colpa mia. Forse pensavano che gli facessi fare la bella vita, in realtà eravamo molto casalinghi».

Al «Quizzone» con Gerry Scotti.

«Non mi pareva vero. Un giorno ripetei il balletto di Nove settimane e mezzo, dietro una tendina montata su rotelle. Durante un movimento con la gamba l’autoreggente si impigliò in una vite e così, scendendo le scale, mi trascinai dietro pure il separé. Il regista urlò: “Stoop!”, Gerry invece era entusiasta, voleva mandarla in onda così».

Stesso programma, con Amadeus.

«Insieme nel 1995 abbiamo condotto anche il concorso The Look of the Year in Corea. Odio l’aereo, ho paura, perciò avevo preso dei tranquillanti, sul volo non ho chiuso occhio, in compenso sono rimasta rimbambita per tre giorni. E mi ricordo ancora il forte odore di aglio che aleggiava ovunque, specie negli ascensori. Se l’ho chiamato per farmi invitare a Sanremo, visto che siamo amici? Non è da me. Certo, a chi non piacerebbe salire su quel palco anche per cinque minuti?»

Con Claudio Bisio e la banda di «Zelig Tour».

«Un delirio, viaggiavamo in pulmino da nord a sud, alle piazzole di sosta ci mettevamo a ballare tutti quanti, non si dormiva mai. Ma lavorare con lui è semplice, ti fa diventare bravo e simpatico. Prima di entrare in scena, per darmi coraggio, mi offriva un goccetto di grappa».

Quando le telefonò Maurizio Costanzo per proporle «Buona Domenica»...

«Stavo per riattaccargli in faccia perché credevo fosse uno scherzo, inoltre avevo la febbre e un principio di colica renale. “Mi scusi, sto andando al pronto soccorso, mi può richiamare tra qualche giorno?”. E così ha fatto, per fortuna. Un periodo meraviglioso, la rifarei domani, ho nostalgia della tv di allora».

Lo sa che le tocca la domanda, magari due-tre, su Paolo Bonolis, sì?

«Lo so, lo so. Che devo dirle? Paolo è stata la persona più importante tra i miei affetti, ero molto giovane allora e lui già sposato e padre. Agli occhi dei miei 19 anni era affascinante, mi piaceva, mi faceva divertire, mi colpì per ironia e cultura. Mi faceva guardare anche tre film al giorno, mi leggeva i libri, era un fiume in piena. Viaggiavamo molto. Anche se con Sonia, sua moglie — ormai siamo diventate amiche, tanto che quando si è assentata per due puntate dal Gf Vip ha voluto me come opinionista al suo posto ed è stato un grande gesto — abbiamo scoperto che ci ha portato in vacanza negli stessi posti: Polinesia, New York, oggi ci ridiamo».

Due contro uno, poveraccio.

«Alla presentazione del suo libro Notte Fonda, lo scorso novembre, c’ero anch’io. Ho voluto che la dedica me la scrivesse Sonia. E siccome a un certo punto nel racconto Paolo parlava di una giapponese che né io né lei avevamo mai sentito nominare, lo abbiamo messo in mezzo, con una scherzosa scena di gelosia stereo: “E adesso chi sarebbe questa? Parla, confessa”».

Sonia Bruganelli ha ammesso di averla detestata per un sacco di tempo. «Poi l’ho conosciuta: un gattino. E non l’ho più odiata».

«Il suo era un odio virtuale, forse aveva idealizzato la mia figura, ma i cinque anni e mezzo che ho passato con Paolo sono una briciola, rispetto al loro matrimonio. Perché lo lasciai? Ci siamo voluti molto bene e separarsi è stata una sofferenza per entrambi. Io desideravo di più, una famiglia, ma il momento era sbagliato, i nostri tempi non coincidevano».

Cosa proprio non sopportava di lui?

«Guidava macchine tremende, tipo una vecchia Escort blu metallizzato con uno specchietto bianco rimediato allo sfascio, un accrocco, mi vergognavo ad andarci in giro. Paolo invece non ci faceva caso. Orologi, auto, vestiti, era spartano, parsimonioso. Una volta, ospite dei miei genitori, ad Acilia, voleva una sigaretta, in casa non ce n’erano; perciò fece il giro di tutto il palazzo, porta a porta, per farsene offrire una. In accappatoio e ciabatte. Regali? Si. Ricordo un tremendo set di valige gialle».

Più o meno in quegli anni Nek cantava: «Laura non c’è, è andata via...».

«Passata la rabbia, io e Paolo ci abbiamo scherzato su. E Nek è diventato uno dei miei migliori amici. L’ho conosciuto a Superclassifica show e siamo sempre rimasti in contatto, abbiamo un legame speciale, è venuto spesso da me in radio, gli chiedo consigli, mi piacciono le persone con un’energia positiva, come lui».

Tempo fa ha passato un periodaccio.

«Per colpa di una causa di lavoro durata 12 anni e che mi ha prosciugato le finanze. Purtroppo non sempre si incontrano persone oneste. Avevo firmato documenti che non avrei dovuto firmare e per difendermi ho bruciato tutti i miei risparmi, ho pure dovuto vendere la casa che stavo ancora pagando. Con le cartoline verdi degli avvisi di pignoramento avrei potuto farci un albero di Natale. Mi sono risollevata con il cachet del Grande Fratello Vip, una mano santa».

A proposito di mani: ha conosciuto Leonardo D’Amico, il suo compagno, facendosi male a tre dita durante una partita di beach volley.

«Ho cominciato a giocare tardi, a 36 anni, ed ero una mezza cartuccia. Durante un torneo ho preso una botta tremenda, non mi passava, il mio allenatore mi ha consigliato il fisioterapista della nazionale. Era Leonardo. Siamo diventati amici. Parlavamo, parlavamo. Io gli mandavo segnali, ma lui niente, era di...».

Di coccio.

«Ecco sì. Mi chiedevo: “Ma perché questo qui non ci prova?” Allora ho cominciato a provocarlo. Lo invitavo a salire da me. “No, grazie”. Poi mi ha spiegato che non si fidava, voleva essere sicuro che fossi presa. Un giorno mi chiama: “Passo per un caffé tra dieci minuti”. Panico. Ero vestita da casa, ho fatto la doccia a razzo. Pronta».

E?

«Finalmente si è deciso, alleluja».

Estratto dell’articolo di S.S. per “Specchio – La Stampa” il 14 maggio 2024.

Laura Morante è cresciuta in una famiglia di otto figli. Lei ne ha tre, uno per matrimonio. Quando Gabriele Muccino l’ha chiamata per parlarle della seconda stagione di A casa tutti bene (dal 5 maggio su Sky e in streaming su Now), dove lei interpreta Alba, la madre matriarca di una famiglia numerosa e complessa, le ha detto, entusiasta, di aver scritto per lei una bellissima storia d’amore. Non ha condiviso l’entusiasmo. «Gli ho risposto che una storia d’amore proprio non mi andava e gli ho proposto di mettere un cane al posto di un uomo. L’ha fatto», dice a La Stampa. 

[…]  Una volta, durante un provino, Damiano Damiani le chieste di levarsi i capelli dalla fronte, lei non lo fece, lui le urlò di farlo, allora lei gli disse: «Questo è un provino anche per lei, e io non voglio lavorare con lei». 

Da regista ha firmato due film, Ciliegine e Assolo. Da attrice è stata diretta, tra gli altri, da Bertolucci, Monicelli, Salvatores, Cristina Comencini, Avati, Francesca Archibugi, Verdone, Resnais. E naturalmente Nanni Moretti. Per lui è stata Bianca nell’indimenticabile Bianca. 

S’è molto parlato del perché, nella scena finale di Il Sol dell’avvenire, l’ultimo film di Nanni Moretti, dove ci sono tutti gli attori a lui più cari, quelli con cui ha lavorato di più, lei non ci sia. «Nanni me lo ha chiesto ma io non me la sono sentita: purtroppo il nostro rapporto si è guastato dopo La Stanza del figlio. Non siamo in guerra, ci vogliamo bene, ci facciamo gli auguri di compleanno, ma ci sono state troppe cose che mi hanno ferita e non me la sono sentita di fare buon viso a cattivo gioco, non sarebbe stato coerente», dice. 

Risponde da Ventotene […], dove è appena arrivata per girare, 27 anni dopo, il sequel di Ferie d’Agosto di Paolo Virzì. Lei aveva quarant’anni, faceva la parte di Cecilia, insicura, incerta, ma innamoratissima compagna di Silvio Orlando, l’intellettuale di sinistra, naturalmente in crisi, scontento, frustrato, perbene. 

Ha sempre detto di non provare nostalgia per i film che ha fatto, tranne che per Ferie d’Agosto.

«Perché si creò, tra tutti noi, un’atmosfera indescrivibile. Unica». 

E ora?

«Sono arrivata due giorni fa, non è ancora successo niente. Però ritrovare i compagni di quell’avventura è emozionante. Ed è anche buffo: di quanto tempo sia passato mi dà la misura mia figlia, che allora era una bambina e adesso è una donna. Alcuni non ci sono più e questo aggiunge malinconia».

Aggiunge?

«Ferie d’agosto era un film profondamente malinconico». 

Come tutti i film sulla sinistra. Meglio: sull’essere di sinistra.

«Non lo so. Ci sono stati molti momenti in cui le battaglie di sinistra hanno unito le persone, rendendole felici. Ce ne sono stati e ce ne saranno. Ora però la sinistra è disgregata come non mai. Alcuni di noi si sono allontanati dal partito da cui si sentivano rappresentati perché non era più l’espressione di quello in cui credevamo. Io stessa ho smesso di votare Pd a un certo punto. Mi è costato parecchio dolore, ma non credo nelle etichette: credo nella realtà. Un partito che non rappresenta le istanze di sinistra, non è un partito di sinistra, è semplice».

Elly Schlein non la rassicura in questo senso?

«È troppo presto per dirlo. L’ho trovata oscillante sull’invio delle armi: prima di diventare segretario era assolutamente contraria, dopo è parso che si ravvedesse. Questo mi ha delusa, io sono una pacifista convinta». 

Il suo ricordo più divertente di Ferie d’Agosto?

«Silvio Orlando se l’è dimenticato e questo mi dispiace, ma io e lui giocammo a scopone, in coppia fissa, durante tutte le riprese: nessuno ci battè mai». 

[…] Qual è la cosa che più le dà tormento?

«L’angoscia per il mondo. Quando cammino per strada, da quando è cominciata la guerra in Ucraina, provo spesso a immaginarmi come dev’essere fare lo stesso in un paese invaso, mi metto nei panni di quelle persone, capisco che fortuna ho e che disastro c’è laggiù». 

Qual è la sua qualità migliore, nella relazione con gli altri?

«Non tollero la slealtà, quindi mi impegno a essere leale, a volte fino a diventare ridicola, perché per mantenere una promessa faccio qualsiasi cosa. L’ho raccontato in una parte del mio libro, Brividi immorali (La nave di Teseo)».

Quanto ha pesato essere la nipote di Elsa Morante mentre lo scriveva?

«Ha pesato prima. Nel senso la sua presenza è stata fortemente inibente, per me come per tutti noi, che in famiglia siamo cresciuti circondati dai libri, innamorati della letteratura. E credo che quella inibizione fosse inevitabile». 

Era davvero così difficile, Elsa Morante, come hanno detto sempre tutti?

«Aveva un carattere duro. Io ero una bambina. Ed ero abituata a mia madre, che invece era dolcissima. Per me Elsa aveva una predilezione particolare e una volta mi volle portare con sé a Roma: io ero molto agitata proprio per via di quella sua durezza, e questo fece sì che il mio sonnambulismo si acuisse tanto. Mi rispedì a casa quasi subito».

[…] Lei una volta ha detto: il coraggio lo trovo soltanto se qualcuno mi costringe.

«Ah sì? Che brutta frase. Non mi sembra nemmeno ben detta in italiano. La disconosco!». 

Come mai non ha imparato a nuotare?

«È una delle paure che non sono riuscita a superare. Sto a galla ma non vado dove non tocco e mi spiace perché amo il mare moltissimo, non sa che frustrazione». 

Ha mai corteggiato un uomo?

«No, sono sempre stata troppo pigra. Un po’ pigra e un po’ timida. Però avrei voluto essere più intraprendente».

[…] Che ne pensa del codice Intimacy? […] Una terza figura presente sul set per controllare che, durante le scene intime, non avvengano abusi.

«Gendarmizzare il set non mi sembra una buona idea. Poi magari invece funziona, non lo so. So che il cinema viene raccontato come un luogo di violenza e molestie continue ed è ingiusto. Di certo avvengono ed è inaccettabile, ma né più né meno che altrove. Nel cinema è di certo più difficile estirpare il fenomeno perché è un settore in cui creare un criterio meritocratico è complicato, e questo favorisce, purtroppo, la tendenza a usare potere e compravendita per agevolare una carriera».

[…] Cosa le dà più gusto?

«Mangiare il pane, ahimè». 

Perché ahimè?

«Perché in Italia è diventato difficilissimo trovarne di buono».

"La solitudine" di Laura Pausini trent'anni fa trionfava a Sanremo. Marco Vigarani su Il Corriere della Sera il 27 Febbraio 2023

Tradotto in tutto il mondo, il brano che racconta dell'ex fidanzato Marco è diventato un inno per i giovani. Al Festival sbaragliò la concorrenza dei big

Un inno senza tempo e senza frontiere. Il 27 febbraio del 1993, esattamente trent'anni fa, Laura Pausini vinceva il Festival di Sanremo nella sezione Novità con il brano La solitudine e da quel momento iniziava una carriera sfolgorante. Probabilmente è impossibile incontrare qualcuno che non conosca parole e musica di questa canzone che inizia con l'iconica frase «Marco se n'è andato e non ritorna più», ma nella prima stesura realizzata da Pietro Cremonesi e Federico Cavalli era previsto un altro protagonista.

Marco, il primo fidanzato

 «Inizialmente il brano cominciava con 'Anna se n'è andata' - ha raccontato in più occasioni l'artista di Faenza - ma per il resto la storia era la fotografia della mia vita fino a quel momento, perché io comunque andavo veramente a scuola con il treno delle sette e trenta. Marco era il mio fidanzatino dell'epoca e per questo, quando cantavo quel brano, mi emozionavo tanto». Il primo contratto della cantante con l'etichetta CGD prevedeva soltanto la pubblicazione del singolo e le permise di presentare il brano al Festival di Sanremo. Il 22 gennaio del 1993 La solitudine fu inserita ufficialmente nell'elenco dei brani in gara per la sezione dedicata agli artisti emergenti e l'artista di Solarolo la interpretò per la prima volta il 23 febbraio come quarto brano della serata, accompagnata dall'orchestra diretta dal maestro Maurizio Tirelli. 

Successo internazionale

Superata la prima fase di selezione, la canzone trionfò nella serata del 27 febbraio davanti ad altri artisti diventati poi volti noti del panorama musicale italiano, come Nek e Gerardina Trovato. Addirittura i 7464 voti ricevuti furono superiori anche a quelli che si aggiudicò Enrico Ruggeri che vinse il Festival con "Mistero" grazie a 7077 preferenze. Il videoclip venne girato a Ostia e vede la cantante romagnola camminare sul pontile e giocare con alcuni cuccioli di pastore tedesco in riva al mare. La solitudine nei successivi tre decenni non è diventata soltanto un classico della canzone italiana ma anche un successo internazionale con grande riscontro in Belgio, Francia e Paesi Bassi prima di essere tradotto e pubblicato anche in spagnolo con il titolo La soledad per il mercato latinoamericano e successivamente pure in inglese come La solitudine (Loneliness). 

Versione dance e con Morricone

Oltre a queste tre versioni proposte da Laura Pausini, spiccano decine di cover realizzate in tutto il mondo come quelle in greco e filippino. Curiosamente "Ik wil niet dat je liegt" di Paul de Leeuw raggiunse il primo posto nella classifica di vendita in Olanda superando la versione originale dell'artista italiana. Spesso la canzone è stata proposta da alcuni artisti sudamericani in versione ballabile con il ritmo della salsa. Tra tante proposte, forse quella più memorabile resta quella del 2013 inserito da Laura Pausini nella raccolta "20 - The Greatest Hits" con un arrangiamento curato dall'indimenticabile Ennio Morricone. Oggi La solitudine festeggia i suoi primi trent'anni di successo e chissà quali novità la attendono nei prossimi decenni.

Tre concerti da record

Per festeggiare il trentesimo anniversario del suo debutto, Laura sta realizzando in queste ore un'impresa da record: tre concerti in tre luoghi diversi nell'arco di una sola giornata. "#Laura30" è il nome scelto per l'iniziativa completamente gratuita che prevede l'esibizione dell'artista prima all’Apollo Theater di New York poi al The Music Station di Madrid e infine al Teatro Carcano di Milano. Dieci canzoni ad ogni concerto per 24 ore di musica che valgono trent'anni di trionfi.

Filippo Facci per “Libero quotidiano” il 23 Dicembre 2022. 

Ci siamo levati dalle bolas anche Miss Italia 2022, archetipo di quei concorsi di bellezza che dureranno per l’eternità mentre la moderna biologia – troppe femministe lo ignorano - ha già archiviato ogni visione riduzionista del corpo delle donne: maschi e femmine sono diversi, e si guarderà alle gambe delle miss o a quelle dei calciatori con occhi sempre e appunto diversi, senza che cambiamenti «culturali» possano celermente cambiare le cose.

Non l’ignoranza, bensì istinti primordiali continueranno a spingere milioni di donne a proporsi lietamente come modello fatto di anse, curve e fonti di desiderio. Persiste la polemica sulla magrezza delle ragazze, in parte dovuta alla sessualità ambigua di chi selezionai modelli estetici e le modelle di carne (poca) anche se il mercato sta sistemando anche questo.

Superata poi la questione reazionaria sull'italianità (con l'elezione dell'ex domenicana Denny Mendez, 1996) si potrebbe almeno puntare sull'autenticità della bellezza, che non sia dopata, distante dalle baby girl che già scoppiano di silicone nell'età dello sviluppo: anche i concorsi di bellezza ridondano di laminazioni delle ciglia, microblading delle sopracciglia, interventi su labbra e naso e zigomi, poi fianchi, glutei, capelli con le extension, denti incapsulati. Servirebbe un esperto che faccia selezione tra la bellezza e l'estetismo da marketing erotico.

Lavinia Abate è la vincitrice di Miss Italia 2022: il video della sua presentazione. Sciolto nell'acido a 26 anni per uno scambio di persona, presi i due killer vent'anni dopo. Dario del Porto su La Repubblica il 21 dicembre 2022.

Napoli, volevano punire il ragazzo che aveva avuto una relazione con la sorella di un esponente del clan. Ma presero quello sbagliato. Era il luglio 2000 quando Giulio Giaccio fu prelevato da 4 finti poliziotti, in realtà membri del gruppo camorristico Polverino. Il corpo non è mai stato ritrovato

Volevano risolvere "una cosa di famiglia" e punire un ragazzo che aveva avuto una relazione con la sorella di un esponente del clan. Ma si rivolsero all'uomo sbagliato, un operaio incensurato di 26 anni che non c'entrava nulla, né con la camorra, né con quella storia contrastata. Nonostante l'errore, lo uccisero e il corpo senza vita fu sciolto nell'acido. 

 Dopo più di vent'anni, i carabinieri coordinati dal pm Giuseppe Visone danno un nome e un volto ai due dei presunti responsabili dell'omicidio di Giulio Giaccio, prelevato da quattro finti poliziotti il 30 luglio del 2000 mentre si trovava in piazzetta Romano a Pianura, periferia occidentale di Napoli.

Da leggo.it il 23 dicembre 2022.

L'Italia ha ottenuto la sua nuova Miss: è la 18enne Lavinia Abate che si aggiudica la corona del 2022, simbolo della ragazza più bella del Paese. La romana ha prevalso sulle altre 21 finaliste aggiudicandosi lo scettro di Miss Italia 2022, oltre al titolo di Miss Lazio e Miss Eleganza. Sui social, però, il risultato finale non ha convinto molti utenti che non hanno perso tempo per creare un dibattito: «Questi sono i canoni di bellezza di oggi?», ha sottolineato qualcuno. 

Lavinia Abate la nuova Miss Italia

Canto, ballo e pianoforte. Lavinia Abate non ha ancora completato il liceo ma ha già un'idea precisa su cosa vuole fare nel suo futuro: «Sono creativa, determinata e molto sensibile. Spero che Miss Italia mi dia la possibilità di diventare una cantautrice e compositrice», ha dichiarato nell'intervista di presentazione per il contest di bellezza.

Lavinia ha raccontato di aver trascorso un'adolescenza difficile a causa del busto che ha dovuto indossare per 5 anni: una condizione che l’ha segnata profondamente. «Miss Italia le dà possibilità di dimostrare a sé stessa che la sua schiena non influisce sul suo aspetto estetico e di acquisire più sicurezza», si legge sul suo profilo Instagram. 

Le critiche

Sotto i post del profilo Instagram della nuova reginetta si leggono i commenti e le congratulazione da parte di amici, familiari e nuovi follower: «Congratulazione, finalmente una Miss Italia romana», ha scritto un follower. Tuttavia, non mancano le espressioni infelici di alcuni utenti che non condividono la sua vittoria: «Niente di speciale», ha scritto qualcuno. «Mi aspettavo di meglio», ha aggiunto qualcun altro. 

Poi, gli insulti diretti al suo aspetto fisico: «Questi sarebbero i canoni di bellezza attuali? Io vedo solo una ragazza magrissima e a dirla tutto nemmeno così bella», ha scritto lapidario un utente che ha chiosato così: «Si rendono conto dei danni che fanno alla società promuovendo canoni di bellezza simili?»

L'83esima edizione della manifestazione. Chi è la nuova miss Italia Lavinia Abate: la 18enne, romana, all’ultimo anno di liceo che sogna diventare cantautrice. Vito Califano su Il Riformista il 22 Dicembre 2022

Si chiama Lavinia Abate, ha 18 anni e viene da Roma. È lei la nuova Miss Italia, proclamata ieri sera nella cerimonia al centro congressi multimediale dell’hotel Browne Plaza Rome St. Peter’s, nella Capitale. A presentare lo spettacolo un giornalista, Salvo Sottile, non succedeva dal 1946. La serata è andata in diretta streaming sul sito e sui canali social del concorso.

Abate l’ha spuntata su 21 candidate miss, una per regione, scelte nelle pre-finali che si sono svolte a Fano, nelle Marche dopo lunghe selezioni locali. “Quest’anno per la prima volta tutte le 21 finaliste restano nella famiglia di Miss Italia. Le seguiremo tutte”, ha annunciato la patron del concorso Patrizia Mirigliani. Seconda classificata, Carolina Vinci, Miss Sardegna e Miss Cinema. Terzo posto per Virginia Cavalieri, Miss Emilia Romagna.

Abate era arrivata alla finale con la fascia di Miss Lazio e dopo aver vinto anche il titolo nazionale di Miss Eleganza. La 18enne frequenta l’ultimo anno di liceo scientifico Azzarita, pratica danza da oltre dodici anni ed è una musicista. Sogna di diventare cantautrice o compositrice e infatti suona il pianoforte e studia composizione. Ha cantato infatti nella finale una canzone che ha scritto lei, Vino Rosso.

Ha raccontato di aver dovuto indossare per cinque anni il busto, a causa di una scoliosi, “una condizione che l’ha segnata profondamente, rendendo la sua adolescenza difficile”. Al termine della serata, dopo la proclamazione, la Miss Italia in carica, la napoletana Zeudi di Palma, ha ceduto la corona alla nuova vincitrice. “Non avrei mai immaginato di sentire proprio il mio nome, fino all’ultimo ho preferito mantenere basse le aspettative per non illudermi e restarci troppo male”. Ha detto di non essere fidanzata e di non seguire il calcio.

Il 2022 sarà ricordato nella storia della manifestazione come l’anno in cui vennero elette due Miss: la prima a febbraio e la seconda a dicembre. Quella di ieri è stata l’edizione numero 83 della manifestazione. A presiedere la giuria Massimo Boldi. Gli altri membri della giuria l’attrice e insegnante Fioretta Mari e la conduttrice radiofonica Francesca Manzini. Entrambe hanno sostenuto il ritorno di Miss Italia in Rai perché “è un’istituzione al pari di Sanremo” e “ha dato un’opportunità nello spettacolo a tante meravigliose e talentuose ragazze”. È la speranza della patron Patrizia Mirigliani.

Vito Califano. Giornalista. Ha studiato Scienze della Comunicazione. Specializzazione in editoria. Scrive principalmente di cronaca, spettacoli e sport occasionalmente. Appassionato di televisione e teatro.

Lazza: «Mi ascoltano i bambini ma non cambio, resto un rapper». Storia di Marta Blumi Tripodi su Il Corriere della Sera il 23 aprile 2023.

Anche se non si direbbe, il successo di Lazza dopo il secondo posto a Sanremo con Cenere è cresciuto solo relativamente. «A livello di classifica, ero in testa prima e sono rimasto in testa dopo», osserva il diretto interessato in un momento di pausa in camerino prima del concerto al Forum di Assago. In effetti i risultati clamorosi del suo terzo album solista, Sirio, precedono di parecchio la kermesse: è stato il più venduto del 2022, nonché l’album con più settimane al primo posto nella storia della classifica italiana (esiste dal 1995), ben 20. Anche il tutto esaurito del suo tour nei palazzetti risale a prima del Festival con biglietti evaporati in pochi minuti.

È la prima volta al Forum per Jacopo Lazzarini, anni 28, e gioca in casa, essendo nato e cresciuto nel quartiere di Calvairate. Tra il pubblico, oltre a vecchi e nuovi fan, ci sono gli amici di sempre, i genitori, perfino la nonna: «Lei però avrà i tappi nelle orecchie», dice emozionato. Sul palco anche i colleghi Sfera Ebbasta, Capo Plaza, Fred De Palma, Anna, Giaime. Da una parte c’è l’energia dell’hip hop, veicolata da una band di strumentisti; dall’altra l’anima più tradizionale, omaggio ai suoi studi di pianoforte classico in conservatorio, con un quartetto d’archi e un pianista. Una scelta ambiziosa, che ricorda quelle di artisti americani come Kanye West: «Era una cosa inedita per l’Italia, e volevo un impatto epico», spiega. Il risultato finale è molto convincente, grazie anche alle sue doti di performer.

Dopo l’exploit di Sanremo, Lazza ha dovuto imparare a dialogare con un nuovo tipo di pubblico: quello di «bambini e signore anziane», che lo hanno scoperto in tv grazie alle forti venature pop di Cenere. «Non posso rivolgermi a loro come mi rivolgo ai miei soliti fan, ma non posso neanche cambiare me stesso, sono un rapper», commenta. «Per me è importante che la gente sappia che non sono solo quello di C enere». Questi cambiamenti non gli fanno paura, ma qualche timore per il prossimo album c’è: «Per me esiste solo musica bella e musica brutta, ma l’ascoltatore medio si aspetta di vederti replicare i risultati precedenti. Mi spaventa l’idea di dover bissare il successo di Sirio».

Dopo il tour si prenderà una pausa e andrà negli Usa, la sua prima volta oltreoceano: «In teoria è una vacanza, in pratica senza musica non so stare, quindi ne approfitterò per lavorare», confessa, aggiungendo che sogna di poter sfondare all’estero. L’Italia gli sta un po’ stretta, soprattutto da quando la sua quotidianità è stata stravolta: «Non riesco a muovermi senza ritrovarmi un telefono in faccia. Ormai se non filmi qualcosa è come se non ti fosse successa. Approvo Bob Dylan che ha vietato i cellulari ai suoi concerti!».

Col pubblico preferisce un contatto diretto, anche se a volte la sua spontaneità è mal ripagata: «A Sanremo avevo regalato un paio di scarpe autografate a una bambina che piangeva. Il giorno dopo le ho ritrovate su eBay: i genitori le avevano messe in vendita a 400 euro», ride. Mentre si adatta al nuovo status di idolo nazionalpopolare, continua a calcare i palchi di tutta Italia: quelli dei palazzetti, dell’Arena di Verona e del Primo Maggio. Ma senza un messaggio politico: «Sinceramente? Ho sempre visto in tv quella marea di persone, non vedevo l’ora di suonarci anch’io».

Lella Costa: «L’amore tra anziani è ancora uno scandalo». Da sempre interprete ironica e impegnata, l’attrice porta in scena “Le nostre anime di notte”. Storia di un uomo e di una donna nella terza età. E della possibilità di innamorarsi ancora. Francesca De Sanctis su L’Espresso il 20 Marzo 2023

«Il teatro? Ah sì sì, un mestiere meraviglioso, da questo punto di vista mi sento una privilegiata, non tutti possono permettersi di fare nella vita ciò che si ama...». E pensare che all’inizio Lella Costa – autrice, attrice e scrittrice – al teatro non ci pensava proprio. «C’era la politica, certo. E l’urgenza di dire certe cose». Così negli anni ha costruito la sua carriera intrecciando arte e impegno civile. Riflettere, insomma, si può fare eccome, anche in teatro e con leggerezza. Riflessioni che possono riguardare, per esempio, la necessità, oggi, di rinsaldare certi legami, di ristabilire i rapporti con gli altri per uscire dalla solitudine, come accade nello spettacolo in scena in questi giorni: “Le nostre anime di notte”, con Lella Costa, Elia Schilton e la regia di Serena Sinigaglia, tratto dall’omonima opera postuma dello scrittore americano Kent Haruf scomparso nel 2014 (prossime repliche: Lac di Lugano fino al 19 marzo, Teatro Comunale di Vicenza il 28 e il 29 marzo, Teatro Fraschini di Pavia dal 31 marzo al 2 aprile).

Siamo abituati a vederla in teatro soprattutto nei monologhi, che sono diventati un po’ la sua cifra stilistica. Ma sempre più spesso la vediamo in scena indossando parrucche o affiancando altri attori…

«Eh sì, ormai ne ho interpretati tanti di spettacoli in cui non sono sola in scena, da “Ferite a morte” a “Human”. Di questo testo che sta andando in scena ora, “Le nostre anime di notte” di Kent Haruf, mi sono innamorata subito, durante il reading organizzato all’uscita del libro dal Teatro Franco Parenti, con Gioele Dix e Ruth Shammah. Ma è stata un po’ complicata tutta la questione dei diritti. Poi doveva uscire il film (la trasposizione cinematografica è del 2017, film interpretato da Robert Redford e Jane Fonda) e prima di portare il testo in teatro doveva passare un po’ di tempo. Dopo c’è stato il Covid e alla fine eccoci qua... Neanche a farlo apposta sembra scritto per parlare di un problema molto sentito durante il lockdown: la percezione della solitudine. È un testo che parla di gentilezza, ironia, relazioni».

I protagonisti sono due persone adulte, ciascuna con la propria storia, che ad un certo punto della vita sentono il bisogno di cercarsi...

«Addie e Louis sono due persone non più giovani, che vivono da sole - ma che non hanno una tragedia alle spalle - in una cittadina immaginaria. A un certo punto è lei, Addie, a dire a Louis: “Mi chiedevo se potevo venire a dormire da te...”. E non c’è nessuna proposta erotica o oscena in questo. Inizia così una bella storia notturna tra loro, cominciano a parlare, a prendersi in giro, a dirsi cose mai dette prima. La meraviglia di una storia vera».

Si può amare anche nel terzo tempo della vita?

«Si può amare e si può non amare. Non c’è una regola, e questo vale a qualunque età. Meglio essere amati certo, o provare dei sentimenti, ma tutto è lecito nella vita».

E allora perché nella pièce i figli si scandalizzano? Amare ad una certa età viene visto come qualcosa di sovversivo?

«In effetti i nostri due protagonisti sono dei Romeo e Giulietta che hanno tutti contro. Mi viene in mente la colonizzazione iconografica che mi faceva notare il mio amico Andrés Neuman: digitando la parola “bellezza” in internet, vengono fuori solo immagini di fotomodelli, non un quadro, per esempio. Come se la presunta bellezza fosse adeguata solo in certe fasi della vita. Allo stesso modo è uno scandalo che due persone si frequentino ad una certa età. Gli americani poi sono ancora più cinici, pensano subito alle questioni economiche. In Italia succede che in certe famiglie ribellarsi a determinati ruoli fa sbarellare, sbroccano tutti... Ma chi ha detto che ad una certa età non si possa amare? Però viene visto come qualcosa di sovversivo».

E come va fra i due dal punto di vista dell’eros?

«Il loro incontro è pudico. Il primo esito è negativo. Insomma lui non ce la fa... Poi però accadrà, ma in scena non lo raccontiamo».

Quindi è possibile avere una vita sessuale felice anche ad una certa età?

«Io penso che si parli fin troppo di sesso. Certe cose accadono nell’intimità. Mi fanno impazzire questi giovani che mentre si danno un bacio per strada si stanno già fotografando con il telefonino. Ma dico io.... godiamoceli certi momenti! Mi chiedo se così facendo non ci stiamo perdendo qualcosa».

Si può cambiare in ogni momento della vita?

«Si può cambiare, ma non siamo costretti a farlo se non vogliamo. Abbiamo diritto alla libertà, sempre».

Nel nuovo libro di Lidia Ravera, “Age Pride”, si parla di rovesciamento del desiderio nel terzo tempo della vita: la donna da oggetto dovrebbe diventare soggetto, è d’accordo?

«Mi piace Lidia Ravera, interpretai anche un suo testo: “Nuda proprietà”. Dal punto di vista erotico non saprei. Nelle relazioni sicuramente sì, si può giocare un po’ di più...».

Lei è sposata da tanti molti anni, dunque è possibile avere una relazione stabile duratura, ma come si fa?

«“Tutte le famiglie felici si assomigliano fra loro, ogni famiglia infelice è infelice a modo suo” per citare Tolstoj. Credo di aver avuto la fortuna di incontrare la persona giusta. E la mia fortuna resiste solo perché sono sempre fuori casa e quindi porto aria nuova! Forse un buon modo per resistere è prima imparare a vivere da soli e poi passare alla convivenza».

Avere 70 anni: le pesa il passare del tempo?

«Io mi sento una privilegiata e consapevole di fare un bellissimo mestiere. Ma diciamo la verità, invecchiare fa schifo... Io non mi sento diversa, ma so di avere meno giorni a disposizione. Mi piace vivere, anche se ho poco tempo. Bisognerebbe vivere ogni giorno come se fosse l’ultimo. Insomma ogni tanto ci penso agli anni che passano».

Per fortuna ha una vita piena e non credo abbia molto tempo per pensarci. Da un paio di anni per esempio è anche direttrice artistica del Teatro Carcano di Milano, come sta andando?

«Può sembrare una follia prendere in gestione oggi una sala teatrale. Ma il Teatro Carcano è un teatro importante e Milano è la mia città. Ho ricevuto tanto da questa città a cui voglio molto bene e accettare la direzione artistica mi sembrava un modo per ricambiare. Non sono sola poi a dirigere questo spazio storico. Direi che sono in compagnia di due donne straordinarie: Mariangela Pitturru e Serena Sinigaglia. Insomma, c’è una bella energia a mi pare che il pubblico stia apprezzando».

A proposito di donne: alla guida dei due principali partiti politici oggi ci sono Elly Schlein e Giorgia Meloni. Lei che è sempre stata dalla parte delle donne, lo giudica un fatto positivo?

«Sono entrambe due donne che fanno politica da tanto tempo e di sicuro non sono arrivate lì per caso. Ma non basta essere donna per essere una leader femminista. Cominciamo davvero a mettere in agenda i temi che riguardano le donne. Il gesto della premier neozelandese che si è dimessa per tornare a fare la mamma, Jacinda Ardern, parla chiaro. Le cose cambieranno quando le donne detteranno l’agenda, non basta ricoprire posizioni apicali. Bisogna agire... Io ho iniziato a non andare più a manifestazioni in cui ci sono dieci uomini e una sola donna».

Si può fare politica con il teatro?

«Assolutamente sì. Anche se non è obbligatorio. Per me forma e sostanza coincidono, credo che si possa fare. Ma ognuno nel suo campo. Mi è stato più volte chiesto di candidarmi ma mi sono sempre sottratta perché ognuno può fare la sua parte nel suo terreno. Io non voglio dare lezioni a nessuno. Faccio quello che posso e so fare».

Resta sempre la solita femminista…

«Anche se oggi essere femminista può significare tante cose, direi proprio di sì».

Quali saranno i suoi prossimi progetti?

«Intanto continua la tournée de “Le nostre anime di notte” e poi torno in scena con “Ballare”... Se non posso ballare… non è la mia rivoluzione” sempre con la regia di Serena Sinigaglia, ispirato a “Il Catalogo delle donne valorose” di Serena Dandini, la storia di 101 donne».

Progetti mai realizzati o incontri non ancora accaduti?

«Due desideri: Ian McKellen in Inghilterra e Ariane Mnouchkine a Parigi».

Lenny Kravitz rivela: «Ho tenuto 10 anni lo spinello di Mick Jagger, poi un giorno sono rimasto senza erba e l’ho fumato». Simona Marchetti su Il Corriere della Sera mercoledì 6 dicembre 2023.

In un’intervista al magazine “Esquire” per il lancio del nuovo album “Blue Electric Light”, il rocker ha ricordato un episodio avvenuto anni fa, dopo un concerto durante il quale aveva cantato un paio di pezzi con il frontman dei Rolling Stones

Uno degli idoli indiscussi di Lenny Kravitz è sempre stato Mick Jagger. Ecco perché quando anni fa ha avuto l’occasione di incontrare il frontman dei Rolling Stones nel backstage di uno dei suoi concerti e si è sentito addirittura proporre di cantare un paio di canzoni insieme quella stessa sera, il rocker era convinto che fosse uno scherzo. Invece Jagger era serissimo e non solo lui e Kravitz si sono poi realmente esibiti sul palco, ma hanno anche passato la notte insieme nell’albergo del cantante, parlando e fumando marijuana. «Ho conservato quello spinello per circa dieci anni - ha raccontato lo stesso Kravitz in una recente intervista al magazine “Esquire” per il lancio del suo nuovo album “Blue Electric Light” (il primo dopo oltre cinque anni), in uscita il prossimo 15 marzo. - Poi un giorno sono rimasto senza erba e l’ho fumato».

Ancora oggi, a sentir lui, Jagger è il migliore di tutti.«Mick supera qualsiasi ventenne. Io ho suonato con lui, e lo so bene: non ti rendi conto di quello che è in grado di fare, finché non lo vedi andare avanti e indietro sul palco per due ore e mezza. Se ti prendi cura di te stesso, l’età non conta». E Kravitz sembra seguire lo stesso credo visto che, alla soglia dei 60 anni (ne ha 59), si è dato una ripulita dagli eccessi di un tempo (una volta ammise di aver fumato marijuana ininterrottamente dagli 11 ai 35 anni), è diventato vegano e va in palestra tutti i giorni.

«Disciplina e sacrificio ti permettono di raggiungere il tuo obiettivo quotidiano», ha spiegato il rocker, rivelando di soffrire ancora occasionalmente di episodi di depressione («ma ormai durano solo poche ore, mai più di un giorno») e di volersi risposare e avere altri figli (dal primo matrimonio con Lisa Bonet, da cui ha divorziato nel 1993, è nata Zoe). «Ormai sono cresciuto, sono diventato più forte, più disciplinato e più aperto a questa possibilità, ma è stata una cosa molto difficile per me da capire».

Leo Gullotta: «A 70 anni ho sposato mio marito Fabio Grossi. Il governo Meloni è offensivo».  Redazione Online su Il Corriere della Sera il 12 Aprile 2023

L’attore si è raccontato nel libro «La serietà del comico». «Ho vissuto la mia omosessualità con naturalezza. Venne fuori come una notizia, per me fu naturale»

Leo Gullotta ha raccontato tutto: sessant’anni di carriera, la sua storia personale e professionale, che offre uno spaccato del mondo dello spettacolo italiano. Lo ha fatto nel libro La serietà del comico (edito da Sagoma), scritto con Andrea Ciaffaroni e uscito pochi mesi fa, adesso al centro di un tour di presentazioni.

In un’intervista a Repubblica , Gullotta, 77 anni, racconta come sono nate queste pagine e si sofferma anche su una storia d’amore lunga 43 anni: quella con il compagno Fabio Grossi, sposato nel 2019.

«Ho vissuto la mia omosessualità con naturalezza. Venne fuori come una notizia, per me fu naturale. Alla conferenza stampa del film Uomini uomini uomini un giornalista mi chiese se ero anch’io un omosessuale. Serenamente ho detto: “Sì, perché?”. Pagine strapiene, allora non c’era il coming out. Fino ai 25 anni ho vissuto la mia vita da eterosessuale, ho avuto le mie storie. Dico sempre: mi piaceva il cioccolato, poi ho scelto la crema».

Già qualche anno fa, Gullotta era intervenuto sul dibattito relativo alla legge sulle unioni civili, entrata in vigore in Italia nel 2016: «Ci sono voluti trent’anni per questa legge che è legge di civiltà», aveva detto durante una puntata di RaiPlay. «Mi sono sposato con il mio compagno da una vita e ho cercato di comunicare anche la conquista di un diritto», disse.

Nell’intervista a Repubblica Gullotta racconta anche di quando la Rai non gli affidò il ruolo di don Pino Puglisi per via del suo orientamento sessuale: «Un funzionario Rai di allora, essendo don Pino Puglisi in dirittura di beatificazione, si preoccupò che il Vaticano – a cui interessava solo la qualità – non volesse un omosessuale. La pochezza di pensiero porta a questo. Non ho fatto drammi».

Gullotta ripercorre la strada che lo ha portato a fare l’attore, i suoi idoli, la collaborazione con Nanni Loy, e guarda al futuro del nostro Paese. Quando gli viene chiesto se Elly Schlein possa rappresentare una svolta, risponde: «Aprirà porte e finestre, ora lo deve fare. Appare – ed è – una persona serena, sicura di poter guidare il Pd. Se abbiamo questo governo, è anche colpa della sinistra che gli ha preparato tutto su un piatto d’oro».

Sul governo Meloni: «A tutt’oggi con questo governo è offensivo quello che accade dal punto di vista civile e umano. Addirittura sposano la linea di Orban, apprezzando di più la vita non concessa all’omosessualità, con la scusa delle mamme che fanno i figli all’estero, raccontando storie incredibili e negando i diritti a bambini che esistono. Dove sta l’umanità di queste persone? Sono parole spudorate»

Dagospia il 4 febbraio 2023. Da “TRENDS & CELEBRTIES - RTL 102.5 NEWS”

"Vent'anni fa il Bagaglino, successo meraviglioso, sono entrato a casa degli italiani grazie a quello spettacolo. Ma si va avanti. Negli ultimi anni di televisione forse qualche passo indietro è stato fatto dal punto di vista dell'intrattenimento in generale", dice Leo Gullotta ospite di Trends & Celebrities su RTL 102.5 News. "I programmi giornalistici, invece, hanno fatto passi in avanti".

 Ora, dopo 66 anni di carriera, Gullotta è in giro per la promozione della sua biografia, ma racconta la sua vita. Senza social. "Non li uso, vedo il protagonismo in maniera anonima di tutti e non sono d'accordo", svela.

Gullotta, poi, parla della chiusura dello storico Salone Margherita, da dove per anni è andato in scena Il Bagaglino. "La location della Banca d'Italia e credo che non si aprirà più. E' stato fatto, appartiene al percorso artistico e basta. Mi dispiace se quel luogo diventasse una jeanseria", continua l'attore. Che sottolinea: "Ho iniziato per caso a fare questo mestiere per caso in una piccola città di provincia, vicino Catania.

 “Ero un bambino curioso. Andavo, senza avere il fuoco sacro dello spettacolo, allo Stabile di Catania con attorno i più grandi professionisti. A 18 anni, dopo il diploma, confrontandomi con mio padre ho deciso di continuare a fare l'attore. Perché era quello che sentivo. E dico grazie a papà Carmelo e mamma Santina".

Non dimentico mai Catania, la mia città d'origini. Ho tantissimi nipoti, ho il piacere di riscoprire le mie radici. Ma anche l'incazzatura di una terra che ha note pure negative. Bisogna dirlo", svela ancora in radiovisione.

 "I giovani hanno subito più di noi adulti. Dobbiamo stare vicino ai ragazzi, non dobbiamo avere con loro un rapporto superficiale. Faccio un appello ai genitori: stabilite un punto di connessione con i vostri figli", tuona Leo Gullotta a RTL 102.5 News. "I giovani sono il nostro futuro".

Estratto dell'articolo di Alessandro Ferrucci per il “Fatto quotidiano” il 15 febbraio 2023.

Testimone consapevole, selezionatore di emozioni, di esperienze. Portatore sano di una storia complessa in cui la Luna non si nasconde dietro un dito. E il proprio “io” è a servizio di un noi più complesso e articolato di un singolo sipario sull’esistenza.

Così per capire Leo Gullotta è perfetto il tavolo di un ristorante, scelto da lui in una zona di Roma Est (“meno turistica, qui ancora ci si riconosce e si parla”), ed è sempre lui a indicare i piatti da ordinare, senza se e senza ma, senza appello a diete, orari o rischio di sonno post pranzo.

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 penso a Turi Ferro, uno Zelig meraviglioso, guardarlo era già una lezione; o a Leonardo Sciascia seduto in platea, silenzioso, con le sue dita gialle, macchiate dalla nicotina; oppure Giuseppe Fava, con il suo sorriso unico e unico nello scrivere di mafia negli anni Sessanta, con tanto di mappe su chi comandava e dove. Pippo ha rotto i coglioni fino all’ultimo; (abbassa la voce) a Catania c’è una via intitolata a lui e ogni anno il 5 gennaio (giorno del suo omicidio, ndr) gli amici si radunano per ricordarlo. Non è mai venuto un sindaco. (Silenzio) Però non ho imparato solo dai big.

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Nino Manfredi.

Con lui ho avuto un rapporto meraviglioso; nel famoso quartetto dei “colonnelli”, lui è il più “americano”: in tutta la carriera non ha mai replicato un personaggio, ha cambiato sempre.

 Questo è il mestiere dell’attore.

Tra i quattro colonnelli spesso è messo in coda. Perché Nino parlava, studiava e se incontrava un giovane valido se lo portava dietro e gli dava il giusto spazio.

 Che vuol dire “parlava”?

Non stava zitto, non era accondiscendente; ho passato giornate incredibili con lui e Nanni (Loy, ndr) a provare i copioni, perché con loro due, prima del ciak, si approfondiva.

Manfredi ha la fama del “secchione”...

Conosceva pure le parti degli altri attori.

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 Ha recitato nei “cinepanettoni” anni Settanta... Quelli delle soldatesse, professoresse o infermiere...

Sì.Tutta esperienza, allora non sapevo nulla di cinema: in quel mondo ho capito come si sta davanti a una cinepresa, come si utilizza la voce.

E non pensava “oddio dove sono finito”.

Mai avuto questa puzza sotto il naso; invece è stata un’invenzione per campare.

 Lei di sinistra, Pingitore di destra, avete mai discusso di politica?

Abbiamo lavorato vent’anni insieme al Bagaglino e lo spettacolo si provava tutti i giorni, eppure non abbiamo mai litigato; (sorride) tutto l’arco parlamentare è venuto da noi, è entrato nella nostra vignetta, si è fatto prendere per il culo, si è prestato alla liturgia e se proponevo qualcosa di diverso, Pingitore non mi limitava; (cambia tono) spesso sui giornali sono stato attaccato per la mia presenza nel gruppo del Bagaglino, come se per la mia carriera fosse una deminutio.

 E invece...

È una stupidaggine; (pausa) ho partecipato anche all’ultimo film di Steno (Animali metropolitani del 1987, ndr), una pellicola non buona, ma almeno ho potuto lavorare con uno dei più grandi e sono riuscito a conoscerlo. Tra i film meno buoni c’è Stark System, regia di Armenia Balducci, compagna di Volonté. Anche lì, ho accettato per stare su un set con un gigante come Gian Maria.

E...?

Persona grandemente professionale, appena lo conoscevi avvertivi una forza particolare; uomo non solare, da battaglia, qualsiasi tipo di battaglia; ecco, questo è uno dei casi in cui sono stato pagato per vivere dal vivo un pezzo di storia del cinema, una lezione di come si vive davanti alla macchina da presa.

 Un’esperienza che non le è piaciuta?

Non lo dirò mai.

 (...)

Molti suoi colleghi preferiscono il set alla vita.

Per me sono due situazioni ben distinte che non si possono mettere insieme; anni fa Christian De Sica mi ha proposto una parte in Uomini Uomini Uomini, dovevo interpretare un omosessuale, e io lo sono, ma questo non vuol dire che ho portato dentro la mia vita. E poi De Sica è un professionista che conosce come pochi questo lavoro: preciso, puntale, bravissimo.

 A sua mamma ha parlato di omosessualità?

No, quando l’ho capito, lei era ormai anziana. Ho lasciato perdere. Ma a parte questo non ho mai avuto problemi, mai alcun turbamento, tanto che la questione è uscita nella conferenza stampa di Uomini Uomini Uomini, quando un giornalista è stato diretto e me lo ha domandato. E io: “Sì, perché?”; (pausa). Fino ai trent’anni sono stato etero, poi è accaduto qualcosa e ho solo capito che non mi piaceva più la crema ma il cioccolato.

Rivede i suoi film?

Quando capita.

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Con Tornatore ha girato Il camorrista.

Ero all’Anfiteatro di Campobello di Mazzara, a un certo punto arriva un ragazzo, si presenta: “Piacere, sono Giuseppe Tornatore”. “Piacere”. “Vorrei saper perché non ha gradito la sceneggiatura de Il camorrista”. “Ma io non ne so nulla”. “L’ho data al suo agente”. “Mai ricevuta”. A quel punto l’ho interrotto: “Parteciperò a questo suo film”. Poi sono andato alle poste e ho mandato un telegramma al mio agente: “Non ti interessare più a me”.

 Come mai ha accettato così?

Per la buona fede, perché era arrivato fino a lì per cercarmi; grazie a quel film ho vinto il mio primo David.

Farà mai il regista?

A ognuno il suo mestiere. Non ci si può improvvisare e l’arte di arrangiarsi non è per me.

 Il Bagaglino le manca?

È stato un momento bellissimo, lo ricordo con piacere, però non ho nostalgia.

Ha conosciuto Berlusconi?

Inevitabile. Ma a differenza di molti miei colleghi non mi sono mai prostrato e non ho accettato i suoi regalini.

Che regalini?

Si presentava con orologi per gli uomini e gioielli a forma di farfalla per le donne. L’orologio non l’ho preso.

Da quando ha perso la “e” aperta alla catanese?

(Ride) Se m’incazzo torna.

Lei chi è?

Una persona perbene. Da sempre

(Per la cronaca: dopo tre antipasti, i tonnarelli cacio e pepe, la coda e il dolce. Tutto buonissimo. Chi scrive è andato in crisi).

Leonardo DiCaprio fu interrogato dall’Fbi: era amico del latitante che truffò la Malesia. Storia di Irene Soave su Il Corriere della Sera il 4 Marzo 2023.

Molto umorismo si fa sulle fidanzate — sempre più giovani — di , ma qualche riserva la meritano, a giudicare dalle recenti cronache giudiziarie trapelate grazie al canale Bloomberg, anche i criteri con cui si sceglie gli amici. Nel 2018 è stato interrogato dall’Fbi, e lo si è saputo soltanto ora, in merito ai suoi rapporti con il losco uomo d’affari malese Jho Low, detto in patria «il Grande Gatsby malese», ora latitante e ricercato in tutto il mondo, responsabile della sparizione di 4,5 miliardi di dollari da un fondo d’investimento dello stato malesiano incanalati nelle sue tasche da un complesso sistema di società off-shore e poi — con parte degli stessi soldi — finanziatore anche della produzione di The Wolf of Wall Street (2013). Beffa della beffa: nel film, il ruolo di DiCaprio è proprio quello di un mago della finanza che si rivela un truffatore.

Cinque anni di amicizia — ma il primo incontro, in discoteca, risale al 2010 — tra Low, che DiCaprio chiamava «my man», il mio uomo, e l’attore, a cui lui dava diversi nomignoli, sono stati ricostruiti dagli agenti dell’Fbi in migliaia di messaggi e mail. Di fatto, il quadro che esce è un quadro davvero alla Gatsby: il milionario di fatto «comprava» l’amicizia del divo, come di molti altri divi, a colpi di regali sontuosi e progetti milionari. Ma la fiducia di DiCaprio se l’era guadagnata, tanto che — così il dossier degli investigatori — i due avevano anche conosciuto le reciproche madri (e il divo ha con la sua un rapporto quasi monogamo). Progettavano business congiunti: un mega-fondo da 1 miliardo di dollari per più film, un parco dei divertimenti Warner Bros in Asia con giostre basate sui film di DiCaprio, un resort ecologico in Belize. L’attore si è difeso dicendo di aver fatto «controllare» il background dell’«amico» dai suoi manager, e che gli era stato assicurato si trattasse di una persona a posto.

Le indagini proseguono da anni. Nel 2019, in Malesia, era già stato arrestato e poi rilasciato su cauzione, per riciclaggio, il produttore di The Wolf of Wall Street: il denaro, era appunto l’accusa, veniva dall’appropriazione indebita ai danni del fondo statale. Già nel 2018 — proprio nel periodo in cui si svolgevano questi interrogatori, trapelati solo ora — il New York Times riferì che DiCaprio aveva dato una serie di doni sontuosi che Jho Low gli aveva fatto: cimeli cinematografici come la statuetta dell’Oscar da 600.000 dollari di Marlon Brando e un dipinto da 9 milioni di dollari di Jean-Michel Basquiat.

Di regali sontuosi elargiti come caramelle — e persino sacchi pieni di banconote — era intessuta anche l’amicizia, dal sapore ugualmente prezzolato, tra il latitante malese e Kim Kardashian, anche lei interrogata dagli investigatori del servizio federale per i suoi rapporti con Low.

Rapporti eccentrici: Kardashian ha ricordato di essere rimasta sveglia fino all’alba in un casinò di Las Vegas con Low, e di avere vinto 350 mila dollari al gioco. Lei voleva restituirglieli, lui insistentemente rifiutava, e alla fine lei racconta di essere uscita dal casinò con sacchi di banconote da cento dollari.

In un’altra occasione, anche a Kim Kardashian e all’allora marito Kanye West il miliardario si era offerto di regalare un dipinto di Basquiat. I due avevano rifiutato, ma non per scrupolo: perché Kanye, investimento per investimento, gli aveva fatto sapere che avrebbe preferito un Monet. Il regalo non arrivò: «Low», confessa Kardashian, «era molto volubile in fatto di regali, e molto spesso ne prometteva senza poi farli».

Leonardo Pieraccioni: «Ho il diploma di terza media. Le attrici dei miei film? Lorena Forteza è caduta in depressione, Natalia Estrada alleva cavalli». Valerio Cappelli su Il Corriere della Sera il 17 Aprile 2023.

Il regista: «Per due volte sequestrai Baglioni nella mia auto»

Leonardo Pieraccioni, cosa facevano i suoi genitori?

«Mamma aiutava un’amica a vendere la lana per i lavori all’uncinetto, papà per cinquant’anni ha fatto il commesso in un grande studio di avvocati».

La sua età più bella?

«I miei primi quattordici anni. Si rideva tanto in casa, in via della Mattonaia, quartiere popolare di Firenze. Per tutta la vita ho cercato di riprodurre il suono di quelle risate. Erano catartiche, in famiglia si prendevano in giro con gli amici, come da tradizione toscana, sembrava di stare sul set di Amici miei. Quelle risate sono state un buon auspicio per il mio futuro».

A scuola come andava?

«Ho il diploma di terza media. Quando mi bocciarono a scuola, il mi’ babbo per farmi capire che la vita dei non istruiti è difficile mi mise a lavorare in una falegnameria dal suo amico Arturo Vannini che nel film Il pesce innamorato ho omaggiato: faccio il falegname e mi chiamo Vannino. Tuttora mi piace l’odore del coppale. Ma il mio sguardo era sempre rivolto al Teatro Verdi, che era di fronte alla bottega».

Questa cosa della terza media...

«Ho provato come perito aziendale, mi ritrovai in una classe con 2 ragazzi e 25 ragazze. La professoressa di matematica, Pravisani, mi chiese: fai ancora gli spettacolini in tv? Sì. Ecco, continua a farli perché la scuola non fa per te. La presi alla lettera».

E ha cominciato a recitare.

«A 16 anni, con le imitazioni di Troisi, Bombolo, Benigni. Ho smesso quando ho capito che ridevano dei personaggi e non delle cose che dicevo io. Presto cominciai con il cabaret normale. La mia gavetta sono stati i pub, le piazze».

Il salto?

«In tv, a Fantastico 1992, con la grande Raffaella Carrà. L’unica che credette in me. Avevo fatto un biglietto da visita con su scritto: Leonardo Pieraccioni, provinista professionista. A Roma avrò fatto quaranta provini per tutti i programmi possibili e immaginabili. Ne ricordo uno al Bagaglino di Pingitore. Ma avevano ragione loro, ero un misto tra i comici toscani, Benigni, Benvenuti, Nuti, e non avevo sviluppato la mia personalità. A quell’età avevo i capelli corti, la giacchetta di velluto anche d’estate, sembravo un pinolo, uno fuori posto. Lavoravo come magazziniere, leggevo Sorrisi e Canzoni dove mettevano tra parentesi l’età degli attori. Tutti sbocciavano un po’ prima dei 30 anni. Mi dissi, se fino a quell’età non hai combinato nulla torni a fare il magazziniere».

Invece centrò l’obiettivo.

«Claudio Cecchetto mi aveva visto con Carlo Conti nel varietà Succo d’arancia su una tv locale e mi chiamò a DeeJay Television. A 28 anni girai il film I laureati, su ragazzi che non volevano crescere. Chi debuttava aveva la sindrome dei David di Donatello, io mai avuta, sono un guitto, contento di ciò che faccio».

Dopo «Il ciclone» la chiamarono il Golden Boy del cinema italiano.

«Rita Rusic, che mi produceva con Vittorio Cecchi Gori mi disse, con I laureati hai incassato 15 miliardi di lire, se ne facciamo 8 sarà un successo. Il Ciclone ne incassò 78. Nessuno aveva previsto quel successo, tantomeno io».

Nemmeno quel film raddrizzò il suo cattivo rapporto con la critica.

«Fanno il loro mestiere, a volte infausto. Un film è come un figlio. Il critico è un pediatra. Spogliato il bambino dicono se ha le gambe storte. Il fatto è che trovano la gamba storta anche quando è dritta. Parlano al plurale. Ormai hanno una funzione folcloristica. Uno scrisse che ho la faccia da puffo, oggi non potrebbe scriverlo, sarebbe bullismo».

Però è strano che la sua ispirazione si accenda ogni due anni, sotto Natale.

«È fisiologico. Faccio la mia vita, ho mia figlia Martina che ha 12 anni, il teatro con i miei amici Conti e Panariello...».

C’è chi dice che lei fa sempre lo stesso film. Il ragazzo qualunque che incontra la bellona di turno.

«Non è così, quell’omino che veniva travolto da ragazze belle come modelle, prevalentemente sudamericane, e faceva scattare l’immedesimazione scatenando fantasie è rimasto fino al 2001: Il principe e il pirata è con Luisa Ranieri».

Perché le attrici dei suoi primi film si sono dimenticate? Lorena Forteza ha abitato i sogni di milioni di italiani.

«Lorena era caduta in depressione, ha avuto problemi familiari, Natalia Estrada credo continui ad allevare cavalli. Di altre non so».

Lei faceva cinema per rimorchiare?

«Non mi considero un latin lover. Mai avuto mezza storia con le mie attrici, manco mezzo bacio, se non con Laura Torrisi, con cui ho fatto una figlia».

Che fine ha fatto?

«Sta preparando qualcosa come attrice. Le donne sulle crisi di coppia a 40 anni capiscono quello che gli uomini capiscono a 50. Ci sono donne che non sono pronte a fare le mogli. Ora Laura ha 42 anni e le auguro un matrimonio meraviglioso per i prossimi 60 anni arrivando a 100 mano nella mano col suo sposo».

Perché le sue storie non durano?

«Il matrimonio è una maratona di 50 km. Bisogna avere fiato e testa per superare i momenti critici. A me dopo qualche curva mi si rompono i lacci delle scarpe. Non supero i tre anni. Ho 58 anni e non è un fatto d’età. È una sorta d’infantilismo, corro il rischio della sindrome da Peter Pan. Io ci parlo con i miei amici sposati, al 90 per cento sono separati. Poi si risposano e si riseparano. Ho la resistenza di una formica zoppa. Ma forse è vero fino a un certo punto, sto da quattro anni con Teresa che è fuori dal cinema, vendeva capsule per il caffè, ha una figlia anche lei, ci vediamo dal lunedì al giovedì, poi sto con mia figlia Martina. I genitori separati e i figli diventano coppiette, arriva il weekend e ci chiediamo, che si fa stasera, pizza o bistecca? I figli dei separati godono di una certa indulgenza dei genitori. Ho visto in tv lo psichiatra Paolo Crepet che invece su questo tema è granitico e ne ho fatto la parodia».

Lei che padre è?

«Protettivo. Il mi’ babbo quando non finivo i compiti mi diceva, sai cosa succede se non li finisci? Niente. E così sono io con la mi’ figliola. Ma so che faccio arrabbiare Crepet. Mia madre dice che sono nato vecchio, a 10 anni ascoltavo Guccini, la mia fantasia si è formata lì. Non è vero che sono sempre allegro».

Lei non ha mai lasciato Firenze.

«Mai avuto rapporti con la Romanella del cinema. L’unica festa l’ho fatta quando ho compiuto 50 anni. Venne Renato Zero con la torta, sono un sorcino da sempre. Per il resto, parenti e amici, Panariello, Conti».

E Massimo Ceccherini?

«Feci a lui la prima telefonata. Mi fai un regalo per i miei 50 anni? Non venire al compleanno. Temevo che facesse le sue battute di m..., che mi creasse imbarazzo mettendomi a disagio».

Ceccherini è un Bukowski all’italiana?

«Sì, è un poeta maledetto che da ragazzino faceva l’imbianchino col su’ babbo. Ha avuto momenti caotici con qualche bicchierino di rum di troppo. Era il terrore delle feste. Noi gente di cinema siamo piccoli imprenditori attenti a non sbagliare, lui è un vero artista, va giù dritto a 200 all’ora senza casco. Non legge i copioni, non vuole sapere niente. Ma ora è diventato un prete di provincia. Abita in campagna sopra Pistoia con una ragazza che l’ha salvato. Ma ogni tanto dovrebbe bersi un goccetto. È diventato di una noia, parla solo del figlio. Prima era troppo se stesso, come lo era Piero Ciampi».

Il cantautore di Livorno ci porta a Claudio Baglioni, che lei sequestrò in auto. Ride:

«E per due volte. Lo costrinsi a restare un’ora nella sua auto ad ascoltare le mie canzoni. Come cabarettista ho imparato tre accordi alla chitarra. Sono il Salieri dei cantautori. Volevo un parere dal Mozart della canzone italiana. Mi disse cose carine, com’è lui, aggiungendo, non sono male. Mi ha chiamato anche Amadeus per Sanremo».

Ma non l’abbiamo vista al Festival.

«Infatti. Non ci sono andato. Gli avevo proposto uno sketch in cui portavo una canzone scartata in gara. Mi lamentavo per non essere stato preso. Amadeus la ascoltò e mi richiamò: questa canzone è brutta anche tra le canzoni scartate».

Fantastico.

«Poi ho un episodio con Vasco Rossi, di cui avevo usato Una canzone per te in Fuochi d’artificio. Gli proposi di recitare la scena di un passaggio in auto. Fu l’unico a chiedermi di fare un provino. Poi il suo manager mi disse che aveva rinunciato, mai saputo perché».

Si è rifatto recitando con David Bowie. Peccato che «Il mio West» di Veronesi sia stato un flop.

«Bowie arrivò in Garfagnana, posto sperduto e meraviglioso. I set sono complicati, gli spostavano i ciak di ore e lui restava vestito da cow-boy senza lamentarsi. L’unica richiesta da divo fu che nel suo casolare i cani se ne stessero a cento metri di distanza. Era a conoscenza del mio successo e si incuriosì. Al trucco mi fece un lungo discorso, il mio inglese si fermava a “The door is open”, alla fine del suo monologo incomprensibile alle mie orecchie dissi yes. Mi guardò con un’espressione che diceva, ma è questo il divo italiano del momento? Così nei giorni seguenti cercavo di ignorarlo, come se avessi un atteggiamento snob. L’ultimo giorno gli portai una torta al limone, l’ho fatta per te, gli dissi. E lui, really? Io, entusiasta per aver capito gli risposi per dieci volte really. Quel giorno capì che ero un cialtrone. Gli chiesi l’autografo che ancora conservo».

Ha conosciuto Francesco Nuti prima che...

«Che si ammalasse, sì. Da ragazzo recitavo nei teatrini, mi chiese di andarlo a trovare a Roma, dove viveva, a Natale. Mi presentai senza appuntamento. La domestica aprì e gli disse, c’è un certo Pieracciolli. E lui, ma sei venuto davvero. Gli lessi dei soggetti orribili. Lui fu gentile, adottò il metodo Baglioni».

Levante: «Torno leggera dopo il buio della depressione post partum». Micol Sarfatti su Il Corriere della Sera il 20 Marzo 2023.

La cantante diventata madre di una bimba racconta a 7: «‘Vivo’ era una specie di preghiera. Quando l’ho cantata a Sanremo è stato come se mi fossi riappropriata del mio corpo»

Un anno e qualche mese fa Levante, al secolo Claudia Lagona, posava sulla copertina di 7 con una folta chioma scura, quella con cui siamo sempre stati abituati a vederla. Era incinta, da quasi otto mesi portava in grembo Alma Futura. Definiva la maternità «un viaggio inaspettato» e aveva una colomba sulla spalla. Oggi ha capelli biondissimi, è reduce dal Festival di Sanremo dove ha cantato Vivo, brano che parla di rinascita dopo una depressione post partum. Alma Futura è venuta al mondo e ammette: «Senza di lei non saprei più vivere». Sulla copertina di Opera Futura, il suo ultimo album, stringe tra le braccia un cigno. L’unico punto in comune tra ieri e oggi sono le foto con creature alate. «Per Opera Futura volevo una tigre», racconta, «poi ho riflettuto sul fatto che fosse un animale in via di estinzione e difficile da gestire sul set. Mi è tornata in mente la poesia di Emily Dickinson La speranza è quella cosa piumata e allora ho pensato al cigno». Quando la incontriamo, Levante indossa shorts in pelle e collant neri, tacchi altissimi, un maglione luccicante. È luminosa, gli spettri della paura sembrano ormai allontanati.

In Vivo canta “la gioia del mio corpo è un atto magico”. Una dichiarazione di intenti?

«Sì. Quando l’ho scritta ero nel buio totale del post partum. Era come recitare una preghiera, non sapevo quando, come e se sarebbe mai stata esaudita. Cantarla all’Ariston è stata una grande emozione. Quelle parole sono diventate realtà. Sono un animale da palcoscenico, sento tantissimo il mio corpo e in quel momento ho avuto la sensazione di essermene riappropriata. La maternità ti cambia, è innegabile, tante donne, io per prima, temono di non tornare più come erano. Non è ovviamente solo una questione di forma fisica, è proprio una percezione di sé. Anche io ero spaventata, ma poi ho ritrovato me stessa, sentire questo miracolo è stato potentissimo. Credo di aver parlato di un tema così complesso sfidando tutte le convenzioni e gli stereotipi. Ho indossato delle tutine da super eroina, proposto un brano ritmato che dice “ Vivo un sogno erotico “, ballato sui tacchi. Vivo non è solo un inno femminista, parla di un io corale, di rinascita. Mi stanno scrivendo tanti uomini per dirmi che li sta aiutando in un momento difficile e per me è bellissimo».

I capelli biondi fanno parte di questa rinascita?

«Sono l’espressione di un bisogno di leggerezza. Avevo voglia di cambiare, sono sempre stata mora, con brevi parentesi miele e castano. Volevo solo schiarirli un po’, ma, dal parrucchiere, ho tenuto la colorazione per più tempo del previsto perché mi piaceva il color rame che emergeva mano a mano. Sono tornata a casa alle 10 di sera e Pietro, il mio compagno, mi ha detto: “Tu sei completamente pazza”. Ho provato una strana ebbrezza, come quando a 17 anni mi sono fatta il piercing al naso senza dirlo a nessuno. È stato bellissimo, liberatorio. Erano decenni che non facevo qualcosa che avrebbe contrariato tutti! Tornerò castana perché sicuramente mi concede una gestione più semplice della chioma, ma questo aspetto un po’ punk per ora mi piace».

Lei però sembra più sofisticata che punk.

«Invece lo sono. Da ragazzina ero la classica punkabbestia, mi mancava giusto il cane. Appena ho potuto mi sono fatta tatuaggi ovunque. La radice elegante, direi addirittura classica, mi arriva da mia nonna Maria, la mamma di mia mamma, una donna meravigliosa che recita poesie in francese e sembra vivere in una bolla perlata. Sono molto legata a lei e a nonna Rosalia, la mamma di papà, che purtroppo se n’è andata qualche mese fa per colpa del Covid».

I capelli biondi non sono piaciuti a tutti. Sui social non sono mancati i commenti negativi: la feriscono ancora o ormai passa oltre senza curarsene troppo?

«Negli anni mi sono costruita un mio spazio, un’immagine che si è consolidata, ma appena esco da lì, da quello che gli altri hanno imparato a conoscere, piovono critiche. Diciamo che l’esperienza del cambio di colore di capelli è stata uno studio antropologico».

Cioè?

«Ci sono persone che mi hanno scritto “lo hai fatto solo per farti notare”, “è tutta una strategia”. Francamente mi fanno ridere. Ho una carriera decennale, sono reduce dal programma televisivo più visto d’Italia, ho scritto libri, fatto tournée... Diciamo che la visibilità non è un problema e sono già abbastanza sotto i riflettori. Mi stupisce l’attaccamento all’immagine di una sconosciuta, così morboso da sfociare in aggressività e violenza verbale. Io non ho indetto un referendum sul mio look, non ho chiesto l’opinione di chi mi segue sui social. Purtroppo c’è un’ossessione per il giudizio, viene venduto come libertà di espressione, invece è solo maleducazione. Tra l’altro ci sono molti artisti uomini che giocano con lo stile, ma, guarda a caso, non vengono sommersi di critiche come capita alle donne».

Il dibattito, o forse sarebbe meglio dire il rumore, sui social è stato al centro di uno dei suoi brani più noti: Non me ne frega niente , datato 2017. È un tema che le sta a cuore?

«Molto, perché è centrale nel nostro tempo ed evolve in continuazione. L’ispirazione per Non me ne frega niente mi era arrivata dopo un lungo post su Facebook che avevo scritto dopo l’attentato al Bataclan del 13 novembre 2015. Mi ero scagliata contro i Je suis Paris scritti a caso, senza cognizione del dramma in corso, e avevo ricevuto commenti feroci. Volevo ironizzare su chi aveva sempre un’opinione su tutto. In Opera futura, invece, c’è un brano che si chiama Capitale, mio capitale, in cui critico il finto attivismo dei social. Ormai non si contano nemmeno più gli influencer che abbracciano buone cause perché questo è il nuovo trend. Vogliono solo esserci, non importa come. Una volta c’era la moda, oggi ci sono i diritti, come fossero un oggetto. Chi ha un grande seguito e comunica un’idea senza conoscerla davvero può essere pericoloso, oltre che poco credibile. E poi, diciamoci la verità, non si possono abbracciare tutte le cause».

Anche la maternità è diventata un trend topic dei social.

«Sì e c’è un rischio fortissimo di banalizzazione e di esibizionismo. La maternità andrebbe raccontata in un modo diverso, e non mi riferisco solo ai social, ma proprio alla narrativa che viene fatta da decenni, se non secoli. Prima di diventare mamma avevo paura soprattutto del parto, che nel mio caso è andato benissimo, e del cambiamento del corpo. Nessuno mi aveva preparata al dolore dell’anima del post partum. In quel momento può capitare, come è capitato a me, di vivere un contrasto tra la gioia che secondo la società dovresti provare e il desiderio di fuggire e tornare alla tua vita di prima. Magari pensi cose brutte, ma se ti esponi la gente ti dice: “Questo figlio lo hai voluto tu”. Oppure: “Le donne partoriscono da millenni, non sei certo l’unica. Di cosa ti lamenti?”. In Opera Futura c’è un pezzo che si chiama Mater, l’ho scritto perché volevo raccontarmi come so fare, cioè con la musica, ma anche perché ho sentito la responsabilità di dire “può succedere ed è importante farsi prendere per mano”».

Lei è stata aiutata?

«Pietro è stato un sostegno fondamentale, senza di lui non so come avrei fatto. Non tutte hanno questa fortuna. Mi hanno scritto donne che si sentivano ancora tristi a più di un anno dal parto. In casi come questi penso sia necessario farsi seguire da professionisti».

Tornando ai social, l’ormai noto “potere della condivisione” non la convince?

«No. Tanto più su argomenti delicati come il parto. Non credo che le foto di cicatrici e mutandoni alzino il livello del dibattito. Temi come la maternità, i diritti, l’identità di genere meritano una cura maggiore».

Ha dedicato a sua figlia una canzone che porta il suo nome: Alma Futura . È un modo per raccontarsi a lei o per raccontarla agli altri?

«È un regalo. Volevo lasciarle una piccola eredità. Ho perso mio papà quando ero piccola e non ho alcun ricordo della sua voce. È stato un modo per sigillare la gioia di averla portata in grembo e poi accolta nella mia vita».

È felice?

«Mi sento di nuovo leggera, ed è meraviglioso. Credo sia il punto di arrivo di un percorso che ho messo anche in Opera Futura, un album che ho iniziato a scrivere nel marzo 2020 per liberarmi dalla pesantezza del lockdown e ha accompagnato una mia evoluzione artistica e personale. Lì dentro c’è una sintesi del passato, ma anche qualcosa di me che ancora non so. Mi piace. Il 27 settembre sarò in concerto all’Arena di Verona e non vedo l’ora. Per la prima volta l’avrò tutta per me. Nel 2014 avevo aperto il concerto dei Negramaro, ho ancora la pelle d’oca quando ripenso a come risuonano gli applausi lì dentro. Stiamo preparando un’esibizione all’altezza del luogo che la ospita, ci saranno anche tanti amici. Ora, dopo il buio, mi godo la luce».

IL RITRATTO

LA MUSICA - Claudia Lagona è nata il 23 maggio 1987 in provincia di Catania. Debutta nella musica nel 2013 con il singolo Alfonso. Nel 2014 incide il primo album Manuale Distruzione, seguito nel 2017da Nel caos di stanze stupefacenti, lo stesso anno è tra i giudici di XFactor . Nel 2020 partecipa a Sanremo con il brano Tikibombom, nel 2023 torna con Vivo. Ha curato la colonna sonora del film Romantiche di Pilar Fogliati

I LIBRI - Il 19 gennaio 2017 esce il suo primo romanzo Se non ti vedo non esisti. Nelle prime tre settimane arriva alla quarta ristampa ed entra nella classifica dei libri di narrativa più venduti in Italia. Il 13 novembre 2018 esce Questa è l’ultima volta che ti dimentico. Nel giugno 2021 è la volta di E questo cuore non mente. Tutti editi da Rizzoli

IL NUOVO ALBUM - Il suo ultimo album si intitola Opera Futura, (Parlophone/ WarnerMusic Italy) contiene dieci brani che parlano di vita attraverso gli aspetti sensoriali, attraverso il corpo

L’ARENA DI VERONA - Il 27 settembre 2023 si esibirà all’Arena di Verona, con i brani del nuovo album e le hit che hanno scandito la sua carriera

Levante: «Non mi sposerò mai più. Con Pietro Palumbo la mia storia più lunga: è il genitore più attento per nostra figlia Alma Futura». Elvira Serra il 16 Marzo 2023 su Il Corriere Della Sera.

La cantautrice Claudia Lagona: «La mia vita oggi è l’opposto di quella di “Alfonso”». Il cameo nel film di Fogliati: «Quando a una festa si girano a guardarmi vorrei sotterrarmi». I capelli biondi: «Ma chi l’ha detto che le donne del Sud devono essere scure, con capelli neri e i baffi?»

Dieci anni fa con «Alfonso» cantava «che vita di m.». Adesso che vita è?

«C’è sempre un motivo per lamentarsi... Ma oggi la mia vita è l’opposto. Ai tempi di Alfonso ero triste, frustrata. Semmai ora mi mancano i sogni. Forse il mio obiettivo maggiore è mantenere quello che ho: credo sia la parte più difficile».

Levante, al secolo Claudia Lagona, è seduta in una saletta della Warner Music a Milano. Indossa un cardigan blu e una maglia a righe intonata alle calze. Risponde a tutto, sempre, surfando sui ricordi di una vita vissuta con lo sguardo sempre rivolto al passato, a quel punto di non ritorno che è stata la morte del padre. Aveva 9 anni e un’invincibile nostalgia segnò tutti i giorni a seguire. Fino al 13 febbraio dello scorso anno, quando gli occhi di Claudia hanno abbracciato un mondo nuovo: quello ridisegnato dalla nascita di Alma Futura, figlia sua e di Pietro Palumbo, il compagno avvocato. In mezzo, cinque album (l’ultimo è Opera Futura), tre romanzi, un matrimonio finito, un film (dove ha un cameo e firma la colonna sonora), otto tournée, due Festival di Sanremo e un X Factor da giudice.

Se le dico Lido Jolly?

«E vabbé, non mi hanno nemmeno dedicato un ombrellone, che so, il numero 23: Levante. È il lido della Playa di Catania dove andavamo ogni estate con la mia famiglia. Affittavamo una cabina per un mese. Rispondevamo allo stereotipo del siculo che va in spiaggia con la parmigiana e le cotolette nella borsa frigo. Il bagno potevamo farlo rigorosamente dopo tre ore, e ci chiedevamo lo stesso se saremmo sopravvissuti».

Il suo primo ricordo?

«Uno dei primi è una corsa. Vedo ancora le scarpettine blu con l’occhio di bue, eccole (mostra una foto sul cellulare, ndr), e la felicità di scoprirmi capace. Poi tante immagini tra le braccia di mia madre: volevo stare sempre in mezzo ai grandi, farmi cullare dai loro discorsi».

Fin da piccola desiderava fare la cantautrice?

«Sì. I miei mi incoraggiavano: mi mettevano al centro e mi chiedevano di fare uno show».

Poi suo padre è mancato.

«Avevo 9 anni e cominciai a scrivere testi pregni di dolore, tant’è che quando feci il provino da Teddy Reno, ad Ariccia, lui disse che erano veramente tristi per una ragazzina di 13 anni».

Si chiamava Rosario.

«Prima di fare terapia avevo un’immagine di lui severa, ma santificata. La morte ci dà questo potere di rendere le persone che se ne vanno bellissime. Poi, attraverso un percorso di ricerca, ho visto un padre anche tanto duro. Me lo voglio ricordare con la pipa in bocca mentre mi prende in giro per le A che portavo a casa da scuola. La sua ossessione era il nostro rendimento scolastico, eravamo terrorizzati dal non essere abbastanza bravi. Questa cosa me la sono portata dietro e per camuffare il senso di inadeguatezza mi mostravo più dura e antipatica di quanto non fossi in realtà».

Da Palagonia, dove ha vissuto fino ai 14 anni, si è trasferita a Torino.

«Fu un viaggio lunghissimo, in treno, con i miei nonni. Arrivammo il 1° settembre del 2001. Ho frequentato il liceo linguistico Regina Margherita, poi mi sono iscritta in Economia, convinta da mia sorella Rosalia, ingegnere. Dopo due mesi passo a Lettere. Dopo 10 esami e scarso rendimento mia mamma dice: pensaci, forse è il caso che molli tutto e provi a fare la cantante».

Fu brava a incoraggiarla.

«La madre migliore del mondo. Mi ha lasciata spesso libera di scegliere, mai stata impositiva».

Dunque lascia Lettere.

«Sì, ma ancora non mollo e mi iscrivo in Psicologia: ho dato solo Filosofia e Inglese. Questa cosa di non essermi laureata mi dispiace. Ho pensato di riprendere, magari Storia o Filosofia. Ma a me gli esami mettono ansia».

Ha lavorato in un bar.

«La Drogheria: stavo lì dalle 10 alle 17. Lavorare era una necessità, avevo accumulato troppe multe: facevo sempre scadere il parcheggio».

Ha mai pensato di mollare?

«Altroché, forse pure prima della Drogheria. Quando ero stata a Leeds per la musica e non andò bene ebbi un attimo di sconforto. Se non fossi riuscita a fare la cantautrice sarei diventata designer di interni o architetta, non so, ma avrei trovato lo stesso la mia felicità. Non realizzare un sogno non può essere motivo di disperazione».

Si è anche sposata: con Simone Cogo, musicista.

«Sì, nel 2015. E ci siamo lasciati nel 2016, siamo stati insieme due annetti. Siamo ancora amici. È stato un matrimonio di grande passione, in chiesa, eravamo accecati d’amore».

E poi cos’è successo?

«Poi ho avuto paura: “per sempre” mi spaventava... Però lui ha capito. Non mi voglio più sposare. Pietro, il mio compagno, lo sa: la nostra è la storia più lunga che ho avuto. E poi adesso c’è Alma: il legame più forte che potessimo creare».

Ha detto che tra di voi lui è il genitore migliore. Perché?

«Ha una grande pazienza, è il più attento. Io non ho paura che Alma esplori casa, non le voglio trasmettere la mia ansia, la lascio libera. Lui la segue ovunque. Che madre indegna, eh...».

Il ricordo più vivido del parto?

«Pio X di Milano, la mia ostetrica dice: “Ci vediamo domani”. Col cavolo che partorisco il 14 febbraio!, penso io. In tre ore faccio tutto: alle 18 tenevo Alma in braccio. Che stupore quando me l’hanno messa sul petto...».

Se sua figlia volesse fare la cantante?

«Io le auguro di imparare a suonare uno strumento, perché ti apre la testa, è una porta per la libertà. E se desiderasse fare la musicista la supporterei. Purtroppo questo è un mondo che non perdona i “figli di”. Ma è ovvio che un figlio assorba dai genitori quello che fanno».

A lei chi ha insegnato a suonare?

«Ho imparato da autodidatta. Mio padre suonava l’organo, mio fratello la chitarra».

Un tempo apriva i concerti degli altri: Max Gazzè, Paolo Nutini, Negramaro. Chi aprirà il suo all’Arena di Verona il 27 settembre?

«Non ci ho ancora pensato. Potrebbe essere bello chiederlo a Galea, che ho scoperto tramite il mio fan club. Me la sono ritrovata poi a X Factor e l’ho eliminata, ma mi ha perdonato».

Ha duettato con il suo mito Carmen Consoli, con Tiziano Ferro, con altri. E con sua madre Maurizia com’è stato?

«Se penso al coraggio che ha avuto per salire sul palco del Forum di Assago...».

Ma almeno l’ha pagata?

«Ma siamo matti! È venuta per amicizia! Tutti i miei parenti comprano il biglietto ai miei concerti: è una cosa bella. E poi ci sono gli amici di terzo grado che chiedono di entrare gratis...».

A Sanremo la classifica non l’ha mai premiata: con Tikibombom arrivò 12esima e quest’anno, con Vivo, 23esima. Dispiaciuta?

«No, non avevo aspettative. Credo che la classifica rispecchi i tempi che stiamo vivendo: non a caso tutte le canzoni della cinquina finale parlano d’amore. Io canto “Vivo un sogno erotico”, ero tutto fuorché rassicurante e lo capisco».

A Lecce non poté esibirsi nella piazza del Duomo per la canzone «Gesù Cristo sono io».

«Credo di essere l’unica artista italiana a essere stata allontanata dalla Curia da una piazza. Manuel Agnelli mi ha invidiato molto: a lui non era riuscito in trent’anni di carriera».

Quando si è emozionata di più in concerto?

«All’Arena di Verona quando ho cantato con Carmen Consoli, il 27 agosto 2022. Ero incinta al quarto mese. Non sapevo che l’outfit fosse nero, io ero vestita di bianco: esco sul palco e trovo pure lei vestita di bianco. Ho anche sbagliato la canzone, nonostante il gobbo, tanto ero confusa. Pensare che quando l’avevo conosciuta, nel 2010 agli Mtv Days, le avevo chiesto se potevo mandarle la mia musica; poi non lo feci».

Anche lei riceve i cd da aspiranti cantanti?

«Sì, ho pile accumulate negli anni, ma le ho ascoltate pochissimo. Mentre leggo tutte le lettere dei miei fan: me le portano ai firma copie».

Com’è recitare in un film? Lo ha appena fatto in «Romantiche», di Pilar Fogliati: la colonna sonora originale è sua.

«Interpreto me stessa e la scena mi è capitata spesso nella vita: quando entro a una festa e tutti si girano a guardarmi. In quei momenti vorrei sotterrarmi in una buca di seimila metri».

Un ricordo dei tempi delle ristrettezze?

«Nella casa che condividevo con le mie cugine e un’altra amica avevo una stanza mansardata. Mi rivedo che apro il cassetto della biancheria intima e conto i soldi nella busta, questi per l’affitto, questi per la spesa... Non bastavano mai».

Uno sfizio che si è tolta?

«A ottobre per il compleanno di Pietro gli ho regalato il viaggio a New York in business. Siamo partiti con Alma e abbiamo passato lì Halloween in un hotel a Times Square».

Ama dipingere. Farà mai una mostra?

«Potrebbe non tardare ad arrivare».

Venderà i suoi quadri?

«Perché no. Prima li vorrei far valutare».

Chi altro vorrebbe conoscere, dei suoi miti?

«Alejandro Jodorowsky e Marina Abramovic: per loro canterei gratis, qualunque cosa. Jodorowsky lo devo assolutamente incontrare! Ha verbalizzato quello che faccio fin da piccola».

Il suo atto psicomagico più potente?

«La musica: mi sono salvata».

Ha quasi 1 milione di follower. Che effetto fa?

«Oggi nessuno. In questi ultimi mesi ho letto cose che mi ero dimenticata si potessero scrivere: critiche e attacchi gratuiti».

Si riferisce ai suoi nuovi capelli?

«Sì. Va bene essere stupiti del mio cambio di colore, ma non ho chiesto consigli né indetto un referendum. E poi chi l’ha detto che le donne del Sud devono essere scure, avere capelli neri e magari pure i baffi? Fatico ad accettare la libertà degli altri a esprimersi sulle mie scelte».

A chi si sente più grata?

«A mia madre. Senza di lei non ci sarei».

Levante: «A Sanremo canterò della mia depressione post parto. Un tema ancora tabù». Emanuele Coen su L’Espresso il 30 gennaio 2023.

È il tema al centro della nuova canzone “Vivo” che la cantautrice siciliana, tra i big del Festival, porterà all’Ariston. «È come se il senso di colpa prevalesse sul dolore. Non puoi essere triste perché hai vissuto una gioia»

L’ultima volta a Sanremo, tre anni fa, Levante se la ricorda bene. “Tikibombom”, la canzone che accarezza gli “animali stanchi” della diversità, i freak, gli strani che non seguono il ritmo degli altri, restò per settimane in cima alle classifiche, nonostante il dodicesimo posto al festival. Disco di platino, il singolo festivaliero che ha avuto vita più lunga, in pieno lockdown. Adesso Claudia Lagona, 35 anni, autrice di canzoni e romanzi (il terzo, “E questo cuore non mente”, è uscito nel 2021 per Rizzoli), capelli non più castani ma biondi, torna al Festival in gara tra i big come la sua grande amica Elodie. Porta “Vivo”, «una canzone che parla di un momento buio della mia vita, la crisi post-parto». Alla vigilia dell’uscita del nuovo album “Opera Futura”, il 17 febbraio.

Levante, lei è diventata mamma di Alma Futura un anno fa, il 13 febbraio. Non la spaventa parlare di uno stato d’animo così personale?

«Quando ho scritto questo brano, il 4 marzo dell’anno scorso, sapevo che avrei affrontato un argomento molto difficile. Oscillavo tra stati d’animo opposti, desideravo ritrovare un equilibrio nonostante la depressione. Al centro della canzone c’è l’ambizione di riprendere possesso della propria vita, riappropriarsi di mente e corpo, avere la sensazione di poterli ancora amare, sentirsi vivi. Credo di aver raccontato tutto questo con parole semplici».

In che modo?

«”Vivo” è un sogno in potenza. Nel testo sembra che io stia vivendo quelle cose, in realtà le sto sognando. Ho scritto questa canzone a tre settimane dal parto, ero nel buio totale. Oggi il tema resta molto delicato, se ne parla in maniera troppo superficiale. È ancora tabù, come se il senso di colpa prevalesse sul dolore. Non puoi essere triste perché hai vissuto una gioia, hai avuto la fortuna di dare la vita. E invece il periodo che segue il parto è molto complicato per noi donne, devi fare i conti con un corpo che non è più tuo. È diventato una casa».

Veniamo a Sanremo. Quest’anno è tra i big e pensare che fino all’altroieri un certo mondo indie, di cui lei fa parte, snobbava il palco del Teatro Ariston. Cosa è successo?

«Fino a qualche anno fa Sanremo non era un palco ambito. La direzione artistica ha dato una svolta: oggi finalmente il Festival ha fatto luce su un genere musicale che esiste, riempie i club, fa concerti, ascoltatori e sta anche in classifica. Finalmente Sanremo guarda alla musica indipendente, l’ha messa allo stesso livello dell’Olimpo della musica italiana. È stato un gesto intelligente e quindi oggi tutta quella fetta di artisti che mai avrebbe partecipato è felice di farlo. In realtà, da quando ho esordito, ho tentato di entrare a Sanremo tra i giovani ma non c’è stato verso (ride), qualcuno ha detto “troppo strana”. Tuttora vengo percepita come strana, semplicemente vorrei essere considerata perché ho uno sguardo diverso rispetto ad altri. Ma oggi è bello essere al Festival, insieme a tanti artisti che un tempo non avrebbero mai pensato di poter partecipare».

Lei si è sempre schierata contro omofobia e discriminazione di genere. Qualche mese fa, alla viglia delle ultime elezioni politiche, in un post su Instagram ha attaccato Giorgia Meloni (senza mai citarla) e ha menzionato una frase di Elly Schlein, candidata alla segreteria del Pd: “C’è molta differenza tra leadership femminili e leadership femministe”. Di recente Schlein ha confessato di fare il tifo per lei e Elodie a Sanremo. È ancora attuale l’impegno da parte di un cantautore?

«Lo trovo necessario e attuale, ma solo se sincero. Purtroppo oggi si rischia di sembrare retorici o prendere posizione per convenienza. Personalmente non mi sono mai sentita obbligata a parlare di politica o indignarmi per qualcosa. Quando lo faccio scelgo l’approccio da cittadino, da essere umano, come se discorressi delle cose che non vanno con gli amici in salotto. Lo stesso vale per la mia musica».

La decisione di tingersi i capelli di biondo ha fatto molto discutere i suoi fan. Perché questo cambio di look?

«Anche la scelta del biondo fa parte del post-parto. Mi vedevo brutta, tuttora non mi vedo chissà che (ride). Dentro di me sono sempre stata bionda, mi sono detta “voglio fare questo colore folle”. Non si capisce che colore ho, lo chiameremo pesca. Tornerò mora, ovviamente, ma mi stupisce come la gente l’abbia presa sul personale. Con le mie sopracciglia nere, i capelli neri, sono stata talmente iconica che le persone si sono sentite tradite. Non resterò a lungo bionda, anche perché la ricrescita è uno “sbattone” totale. Ma è bello cambiare, osare. La vita è una sola».

Sono passati dieci anni dal 2013, quando il singolo d’esordio “Alfonso” scala le classifiche, riempie le piazze e diventa un manifesto generazionale. Com’era la Levante di allora?

«Sono stati dieci anni pazzeschi. Per fortuna dimentico tutto quello che ho fatto, ma sono ancora quella ragazza che si sente a disagio alle feste. Probabilmente non mi passerà mai perché sono fatta così, anche se poi mi diverto e quando torno a casa mi dico: “Meno male che ci sono andata”. Sento ancora quel tipo di timidezza, Alfonso fa ancora parte di me. A distanza di dieci anni, amo ancora tantissimo questa canzone».

Estratto dell'articolo di Stefano Mannucci per il “Fatto quotidiano” il 29 giugno 2023.

Ho perso le parole. L’incubo di ogni cantante. Te le dimentichi, il gobbo si oscura o peggio: senti il buio nel cervello e capisci che quella canzone non la porterai mai a casa, perché la testa ti congiura contro. Il tilt di Lewis Capaldi si è risolto con un commovente coro del pubblico di Glastonbury, che ha intonato al posto suo la hit Someone you loved. […] 

Sceso dal palco, Lewis ha scelto il niente, almeno per il momento. Stop al tour, annullate le restanti 24 date, il cantante italo-scozzese (il padre è originario del Frusinate) ha deciso di dedicarsi alla sua salute mentale dopo la diagnosi della Sindrome di Tourette. […]

Certo che se sei una star il freno a mano tirato può farti fare testacoda. Lo sa Billie Eilish, anche lei afflitta dalla stessa sindrome. Ne ha parlato con David Letterman, rivelando che non pochi altri big nascondono quella fragilità sistemica. 

Kurt Cobain aveva scritto un pezzo catartico, Tourette’s, disperatamente autobiografico. Da ragazzino gli avevano certificato una natura ipercinetica e difficoltà di attenzione: e curato, come milioni di altri bambini americani, con il Ritalin. […]

A pensarci bene, il grunge era la terapia rock per una generazione, soprattutto negli Usa, che Big Pharma aveva precocemente impasticcato. Ma se l’insidia non è la Tourette, bensì un accidente quasi irreversibile come un ictus, se vuoi tornare a cantare circondati di amici dediti a te. È accaduto a Joni Mitchell, colpita dalla folgore nel 2015: “curata” nello spirito da colleghi amorevoli capitanati da Brandi Carlile, Joni si è riappropriata della propria leggenda tornando on stage l’anno scorso al Festival di Newport e il 10 giugno scorso a Gorge in un set vero e proprio.

Poi ci sono gli adorabili confusi.  Non rincoglioniti, ma affetti da amnesie estemporanee. È capitato a tutte le superstar. Adele […] Miley Cyrus, Ariana Grande, Jay Z, Beyoncè, Ed Sheeran: ognuno di loro ha un aneddoto sul panico che ti assale quando sei sotto i riflettori e ti senti impreparato come uno scolaretto all’esame. 

Nel 2017 persino lo smagato Chris Martin si perse nella nebbia dei versi della sua Princess of China. […] Gli italiani se la cavano meglio con la memoria? Macché: a Sanremo 2023 Ramazzotti si bloccò clamorosamente su Un’emozione per sempre: per fortuna era la serata dei duetti, il salvagente glielo tirò Ultimo. La Vanoni cazziò Baudo, sempre in diretta tv, perché gli impallava il suggeritore elettronico mentre attaccava una cover di Vasco.

[…] Ma il Re degli Scordanti è notoriamente Celentano. Irrimediabile la figuraccia per il tributo in morte di De André su La guerra di Piero. Piovvero fischi. Come in qualche Sanremo d’antan. O a Rock Economy, dove farfugliò sillabe a caso su L’arcobaleno, l’elegia mogoliana per Battisti. Adriano spiegò: è sparito il gobbo. La scatola nera degli smemorati in Mi 7ma. 

Estratto dell'articolo di Elena Aquilanti per editorialedomani.it il 29 giugno 2023. 

Il cantautore e polistrumentista scozzese ha annunciato l’interruzione dei concerti a causa di problemi di salute. La decisione dopo il concerto di Glastonbury, dove ha dovuto interrompere l’esibizione proprio mentre cantava il suo brano più famoso: Someone you loved

[…]

Durante il concerto Capaldi ha perso gradualmente la voce e proprio sulle note della canzone non è riuscito a proseguire. Allora Capaldi si è rivolto al suo pubblico dicendo: «Ho solo bisogno che tutti voi cantiate insieme a me più forte che potete». Così, i fan hanno risposto, cantando in coro. Alla fine del concerto il cantante ha ringraziato il pubblico e ha spiegato che la sua voce si era «bloccata».

Proprio a causa dei problemi di salute, […] Lewis Capaldi ha preso la decisione di non proseguire il tour. […] A dare l’annuncio è stato lo stesso cantante con un post su Instagram: «Il fatto che questo non sorprenda nessuno non lo rende più facile da scrivere ma sono davvero dispiaciuto di farvi sapere che mi prenderò una pausa dal tour. Mi dispiace davvero tanto per tutti coloro che avevano pianificato di venire a un mio concerto di qui alla fine dell’anno ma ho bisogno di sentirmi bene per esibirmi all’altezza di come vi aspettate. Suonare per voi ogni notte è tutto quello che avevo sempre sognato quindi questa è stata una delle decisioni più difficili che abbia mai dovuto prendere nella mia vita. Tornerò il prima possibile».

«So di essere incredibilmente fortunato a potermi prendere una pausa quando gli altri non possono e vorrei ringraziare la mia fantastica famiglia, gli amici, il team, i professionisti medici e tutti voi che siete stati così di supporto in ogni fase della vita attraverso i bei momenti e ancora di più durante questo ultimo anno in cui ne ho avuto bisogno più che mai».

[…]

«Speravo che tre settimane mi avrebbero sistemato. Ma la verità è che sto ancora imparando ad abituarmi all’impatto della Tourette e sabato è diventato ovvio che ho bisogno di passare molto più tempo a rimettere la mia salute fisica e mentale in ordine, così da poter continuare a fare ciò che amo ancora a lungo».

Barbara Costa per Dagospia il 2 luglio 2023.

Cade l’ultimo tabù del porno! Evviva! Non è un abbaglio, è uno sconvolgimento. Guardate il fisico di questa ragazza. Sì, lo so, è da urlo, una f*ga inaudita, ma, per cortesia, soltanto per qualche minuto, interrompete lo smanacciamento ed esaminatele glutei e cosce: le vedete, sì? Ma come che cosa, le smagliature!!!!! Righe e righe solcanti c*lo e anche di Lia Lin, esordiente porno, e con le smagliature che la inondano, prepotenti, nelle foto più posate ma non filtrate né ritoccate.

Non vi fa indurire pene o clitoride pure così, e proprio perché è così? E pensare che fino a poco tempo fa le smagliature erano il nemico il più infido delle pornostar. Anni di combattimenti eroici, spietati, senza cedimenti, contro un tale inestetismo, una lotta col porno che si rendeva via via affinato e nitido nelle inquadrature, sempre più "ginecologiche", insinuanti su e giù nei coiti, con le attrici a scapicollarsi, a svenarsi di laser, e medicina estetica: il palesarsi d’una smagliatura corrispondeva a tragedia e costava altrettanto.

Prendere una bellezza come Lia Lin baciata da "quelle" linee e porla a prototipo del sesso il più desiderato ed esaudiente, il più invitante, non decreta la fine ma dà colpi micidiali ai corpi fin troppo plastificati. Oddio, non che lo standard di fascino di Lia Lin sia quello della ragazza della porta accanto (uno standard che a me personalmente ammoscia ogni tentazione), e però, mica è da tutte slanciarsi in sensualità come si può concedere – e specie di labbra – questa 22enne.

I p*pparoli non li freghi! Lia Lin l’hanno "postillata" dalle sue prime scene! E i p*pparoli l’hanno subito evidenziato, che nei siti porno lei è inclusa nella categoria sbagliata: Lia Lin non è asiatica, manco per niente. Sì, l’aspetto, il nome d’arte, possono ingannare, ma i p*pparoli disattenti, o quelli di bocca buona. A parte che Lia Lin ha usato diversi porno alias – Naomi Hill, Kim Rossi, e altri – e a parte antenati filippini, Lia Lin è figlia di padre brasiliano e di mamma russa. 

Lei in Brasile ci è nata ma è stata trasferita in Russia in tenera età dalla madre, a San Pietroburgo, quando i suoi genitori si sono separati. Lia Lin a soli 22 anni ha già fatto vari lavori: dai 16 è una modella professionista (è alta 1.75, pesa 49 chili) ed è dai 18 che vive, da sola, e viaggia, da sola, ed è totalmente indipendente. Da adolescente si è cimentata ginnasta di livello, ha una laurea in marketing, sa non so quante lingue, e ha fatto pure l’interprete.

Sono queste le ragazze che il porno più ricerca e imbarca: persone che sanno gestirsi da sé e al massimo grado, e Lia ci racconta che lei ha lasciato la moda perché è un ambiente “d’una concorrenza allucinante”, preferendogli il porno e di suo sbagliando, vuoi perché lo considerava un settore attiguo a quello della moda (ma quando mai!), vuoi perché in verità non immaginava la competizione che appesta e regna nel porno.

Lia ha iniziato col porno quello più intenso, con le orge selvagge e le gang-bang a battaglia di porno brand notissimi come "Legal Porno". Sono queste porno case di produzione che pagano e tanto le ragazze che accettano di girare filmati estremi, rappresentanti perversioni supreme, pissing ma a ingozzo, fellatio ma a ingozzo di peni e peni abnormi, insistenti in bocca e in ogni altro anfratto pattuito e contento, per amplessi multipli, aggressivi, imperiosi, sopraffattori di fanciulle senzienti siffatte giostre circensi.

Sono porno che vaste platee rigettano, opposte a altrettante vaste che ci si svagano, e ne sono spettatrici fidate e continue. Il porno di "Legal Porno" e consimili ha un mercato gigantesco mai sazio.

E infatti, tra i video più visti di Lia Lin si segnalano le sue triple penetrazioni, e anali e vaginali, e le sue orge 6 contro 1, ovvero le orge dove 6 (e sovente più) uomini non risparmiano nulla a una donna al centro della scena che – ve l’ho già detto e ve lo ripeto – nel porno è lei protagonista dell’azione quindi di tale orgia, com’è lei che la comanda: è lei che comanda su quei 6 (e sovente più) peni ed è lei che comanda su quei 6 (e sovente più) maschioni: le di lei espressioni di oppresso asservimento sono una recita, fatte in funzione dell’orgasmo che lo spettatore cerca, prova e approva.

Lia Lin ha graffiato un’altra porno rivoluzione: fino a poco tempo fa, le attrici che nel porno si davano a amplessi ultra sfrenanti e a immagine consumanti, erano scartate per far porno più… soft. Invece tra le ultime uscite di Lia Lin troviamo "Mystery Man", porno "morbidissimo", e ci sono lesbian "morbidissimi", e per chi non se ne fosse accorto, avviso che Lia risalta in più pellicole by Rocco Siffredi: "Skinny but Not Teeny", e "Lia’s Big Step Family" sono solo quelle dove abbaglia già dalla cover. Smentisco risolutamente che Lia Lin vuole smettere col porno. È una fake che gira in rete. Lia Lin non si pone piani, né limiti.

Estratto dell'articolo di Alessandra Paolini per “la Repubblica” il 30 aprile 2023. 

La spina nel cuore di Nicola Pietrangeli è una donna bionda che, scavallati i sessant’anni, ancora affascina per charme e bellezza. Licia Colò non è una da gossip, della sua vita privata ha sempre parlato poco.

Ma confessa di essere stata sorpresa dalle parole con cui il grande campione del tennis italiano, qualche giorno fa, ha descritto a Repubblica la fine della loro relazione: «Non è vero — dice — che tra noi abbia pesato la differenza di età. La realtà è che le cose finiscono. Anche le più belle e importanti. Come quella fra me e Nicola, e quella più recente con Alessandro (Antonino ndr ),mio marito, l’unico uomo che mi ha fatto venire voglia di mettere al mondo un bambino». 

Pietrangeli ha raccontato di aver pensato che la vostra storia sarebbe stata per sempre.

«Anche io, quando mi innamoro, penso sia per sempre. Però non è mai capitato. L’importante è continuare a volersi bene. A me l’hanno insegnato i miei genitori». 

(...)

Un narcisista...

«Esatto, un narcisista: veleno allo stato puro. Ero bella e mi convinceva che ero brutta. Non era lui ad essere basso, ma io troppo alta. Un tipo d’uomo da cui bisogna subito scappare. Lo dico sempre a mia figlia Liala, che ha 17 anni. Poi ho incontrato lui, il secondo uomo della mia vita…». 

Lui chi?

«Nick Pietrangeli: quello che mi ha fatto capire che potevo volare». 

Certo. Lui l’amava.

«Non è solo quello. Nicola era ed è una persona sicura di sé, generosa. Mi ha insegnato a dire “Io voglio”. Mi diceva “Puoi arrivare dove vuoi”». 

E lei gli cucinava gli spaghetti con i capperi, che Nick ha definito “di-vi-ni”...

(Ride) «Io sono negata in cucina… Ma saper amare vuol dire anche non scocciare con “la pasta è scotta”, “nel sugo manca il sale”...». 

Perché la gente ancora si ricorda della sua storia con Pietrangeli?

«Sarà perché tra me e lui c’erano 30 anni di differenza?». 

A lei non pesava?

«No. Intanto, lui era un gran figo .E poi — sarà pure una frase fatta — l’amore non ha età: si può essere attraenti fino alla fine. Quando incontrai Enzo Majorca, ad esempio, il campione di apnea, lo trovai bellissimo. Aveva gli occhi luminosi di un ventenne. E si avvicinava già agli ottanta...». 

Con Nick vi frequentate ancora?

«In realtà in vent’anni ci saremo visti tre o quattro volte. Poi, un paio di settimane fa, era domenica, mi ha telefonato e chiesto che facevo. “Vado ad Ostia, al mare, con Liala e mia cugina” dico. E lui, che è sempre stato un gran signore: “Posso venire con voi? Non c’è cosa più bella che offrire il pranzo a tre signore...”».

(...) 

Invecchiare le fa paura?

«Certo, poi però penso che Brad Pitt ha la mia stessa età ed è ancora un grande gnocco . E così mi consolo». 

Il rimpianto?

«Non sentirmi più figlia. I miei genitori sono morti entrambi, mamma solo un anno fa. Mi mancano tanto, mia madre più romantica, papà inquieto come me. Era un pilota dell’Alitalia. Appena poteva andava in windsurf». 

Cosa la fa stare male?

«La rabbia che c’è in giro. Dovremmo tutti girare lo sguardo dove si vede più luce».

La sua luce da che parte sta?

«La mia sta su un foglio. Papà già stava male, lo portai a fare una visita. “Signor Colò”, disse la neurologa, “scriva quello che vuole”. E gli mise davanti un foglio. Papà stava lì, seduto, con la penna in mano. Perso. La mano gli tremava… Io avevo il cuore piccolo piccolo. Ma non mollò. E piano piano cominciò a buttare giù delle lettere. Poi delle parole. E alla fine scrisse: “La vita è meravigliosa, peccato sia così breve”».

Liliana Cavani: «Vincere il Leone a 90 anni è una seconda giovinezza. Combatto i tabù ideologici, non quelli sessuali». Paolo Conti su Il Corriere della Sera venerdì 25 agosto 2023.

La regista si racconta a 7 alla vigilia della Mostra del cinema in cui riceverà il premio alla carriera: «Il tempo non esiste, è come il filo di un grande gomitolo che non finirà mai. I ragazzi senza futuro? Andranno avanti. Per istinto» 

Liliana Cavani, 90 anni, regista. Alla Mostra del cinema riceverà il Leone alla carriera. Tra i suoi film più famosi «l portiere di notte», «La pelle», «Francesco». A Venezia porta fuori concorso «L’ordine del tempo»

Liliana Cavani: il Leone d’oro alla carriera alla 80a Mostra del cinema di Venezia coincide con i suoi 90 anni. Ha detto di lei il direttore della Mostra, Alberto Barbera: «Il suo è uno sguardo politico nel senso più alto del termine, antidogmatico, non allineato, coraggioso anche nel modo in cui affronta i tabù più sfidanti». E poi, sempre a Venezia, la presentazione fuori concorso dell’atteso film L’ordine del tempo , liberamente ispirato all’omonimo saggio del fisico Carlo Rovelli per Adelphi, una scommessa intellettuale e narrativa. Domanda ovvia ma inevitabile: cosa pensa di tutto questo?

«Una bella sorpresa. L’occasione di una seconda giovinezza. Per me questo film è importante per tanti motivi. Ero senza progetti da tre anni. È un po’ come aver ricominciato».

Si riconosce nella lotta ai tabù?

«Certamente. Io però non penso ai tabù sessuali ma a quelli ideologici, o politici. In quella motivazione, sì, mi riconosco».

Il Leone alla carriera a Venezia le piace come riconoscimento?

«Certamente sì, molto. E pensare che a Venezia vinsi un Leone d’Oro per il documentario nel 1965 con Philippe Pétain: processo a Vichy. Non ero lì, non avrei mai pensato di vincere. E non andai a ritirarlo: ero lontana, in vacanza, stavo bene dov’ero...».

«LA LINEA CHE UNISCE I MIEI FILM? LA CURIOSITA’ DI CAPIRE IL MIO TEMPO. DI COMPRENDERE LA STORIA CHE CI RIGUARDA»

La sua filmografia è vasta e diversissima nei temi: da Portiere di notte , ai tre film su Francesco d’Assisi, a Milarepa , al famoso Galileo che quasi nessuno ha visto, ai documentari per la Rai. Cosa tiene tutto insieme?

«La curiosità di capire il mio tempo. Di comprendere la storia che ci riguarda. E dire che sono laureata in Lettere antiche e certamente, uscita dall’università, sapevo molto più della guerra del Peloponneso che del mio secolo».

Cosa ha imparato da Tucidide?

«Moltissimo. In un passaggio descrive un atroce massacro di civili. E commenta: per tutto questo non c’è perdono. Da allora, parliamo del 400 avanti Cristo, nulla nella guerra è cambiato. Anzi, è peggiorato, se solo pensiamo alla Shoah. Non c’è perdono... non ci può essere perdono. Penso anche all’Europa di oggi». 

A proposito di Shoah e di storia, lei esordì alla Rai con documentari che ormai fanno parte dei migliori capitoli della Tv pubblica: Storia del Terzo Reich del 1962, l’anno dopo L’età di Stalin ...

«Visto che ero ferrata solo in Tucidide, mi misi a studiare, a studiare, a studiare. Per Storia del Terzo Reich vidi per tre mesi ore e ore di materiali anche sui campi di sterminio. Col montatore ogni tanto dovevamo interrompere, uscire, prendere aria. Era tutto troppo sconvolgente. Insostenibile. Una barbarie che, direi, va oltre la storia. Avevo un nonno socialista, centrale nella mia formazione. Sperava nel progresso dell’uomo. Chissà quanto sarebbe deluso oggi...».

Nella sua filmografia tre opere sono dedicate a Francesco d’Assisi. Lei come si definisce? Atea? Credente?

«Io sono cresciuta in una famiglia atea e questo ha influenzato la mia formazione. Rispondo dicendo che per me il cristianesimo...».

«C’È UNA MALATTIA PSICHICA NELLE MENTI CHE PROGETTANO GUERRE O INQUINANO. SE AVVELENI L’AMBIENTE, AVVELENI TE STESSO E CHI TI È CARO. SE DISTRUGGI QUALCOSA NEL MONDO, LO DISTRUGGI ANCHE PER TE... VORREI UNA POLITICA IN ARMONIA CON LA SCIENZA. UTOPIA?»

Dunque non il cattolicesimo...

«Io parlo di cristianesimo... per me è una religione molto affascinante. E Francesco è un genio, indipendentemente dalla fede che si può avere. La sua fraternitas nasce da un’idea modernissima: tutti siamo fatti della stessa materia. Esseri umani, animali, la natura. Tutto si basa sulla tavola periodica degli elementi di Mendeleev. Di lì l’intuizione di Francesco, il continuo richiamo alla pace, il Cantico delle creature. La sua idea di una connessione che unisce tutti e tutto è assolutamente visionaria. In più, guardandolo con gli occhi di oggi, Francesco è un ragazzo che si ribella all’andazzo generale, cerca un senso alla propria vita. E poi ho una controprova letteraria, su Francesco».

In che senso?

«L’unico di cui Dante parla veramente bene è Francesco. E di Dante bisogna fidarsi».

Arriviamo al film, all’incontro con un grande fisico come Carlo Rovelli. Due mondi lontani, i vostri, almeno sulla carta...

«Avevo letto il suo libro e l’avevo trovato bellissimo. Io, da sempre, quando leggo qualcosa penso subito a ricavarne un film, è un istinto... Ci siamo incontrati. Abbiamo parlato a casa mia. Ed è nato un progetto molto intrigante».

Cos’è il tempo per lei?

«Il tempo (ride; ndr) di fatto non esiste. Il concetto può andar bene come guida per la giornata, o per tenere un diario. Ma il tempo è come veder passare il filo di un grande gomitolo che però non finisce mai».

C’è un tema di fondo, nel film: che tutto può finire da un momento all’altro.

«Questo è il punto. E paradossalmente la notizia dell’evento magari arriverebbe solo dopo, quando tutto è già avvenuto...».

Com’è andata con gli attori?

«Un gruppo formidabile. Bravissimi. Abbiamo lavorato molto bene, sono felice».

Probabilmente il tema coinvolgerà le nuove generazioni, appesantite dalla percezione di un non-futuro, dalla mancanza di prospettive.

«Io da ragazzina ho vissuto la guerra. Ricordo i bombardamenti e la paura. Nessuno sperava in un futuro. Nessuno ci pensava. Ma poi i giovani progettano per istinto, vanno avanti. È la vita. Tutte le esperienze fanno crescere».

A cosa si riferisce?

«Da bambina nella mia Carpi vidi la tragedia dei 16 martiri uccisi dai fascisti il 15 agosto 1944. Avevo 11 anni, mi infilai nella folla in piazza, vidi quei corpi coperti dal sangue rappreso tra i vestiti, con le donne che urlavano i nomi dei figli o dei mariti. Poi dimenticai tutto. Nel 1970 girai I cannibali e mi accorsi che, senza volerlo, disponevo per corso Venezia, a Milano, i cadaveri esattamente come li avevo visti a Carpi. Girammo senza il permesso del Comune (ride; ndr) ma i vigili ci aiutarono a evitare blocchi nel traffico».

A proposito di tempo, tutti viviamo rimuovendo la morte, pensando che non ce ne andremo mai...

«Ma non è una rimozione: è anzi un regalo della vita. L’interesse e la curiosità tengono attiva l’intelligenza, l’attenzione per ciò che ci circonda fino all’ultimo. Bellissimo, no?».

Qual è il film al quale tiene di più?

«Davvero non saprei. So però che a Roma, sabato 15 luglio scorso, all’arena del Parco degli Acquedotti hanno proiettato il mio Francesco con Mickey Rourke del 1989 e che i più giovani erano entusiasti, attentissimi. Questo per me conta».

«IL MIO ‘GALILEO’ FERMATO DAL VATICANO ? QUESTO NON SO DIRLO. FORSE C’ERA IL PROBLEMA DI DOVER AMMETTERE CHE LA BIBBIA AVEVA SBAGLIATO, CHE GALILEO AVEVA RAGIONE» 

Nella sua filmografia c’è anche un film quasi cancellato, il Galileo del 1968, mai trasmesso dalla Rai. Per le pressioni del Vaticano, così si dice.

«Questo non so dirlo. Forse c’era il problema di dover ammettere che la Bibbia aveva sbagliato, che Galileo aveva ragione, che la Chiesa semplicemente non aveva accettato né seguito l’evidenza della scienza. Però so che ora il film è finito nella library di Mediaset, dopo alcuni passaggi. E che sarebbe bello vederlo, attualissimo com’è».

Un film che salverebbe nella storia del cinema, uno solo?

«Sicuramente L’oro di Napoli di Vittorio De Sica, un capolavoro assoluto».

Lei spesso dice che Bergman le è stato essenziale. Perché?

«Per il suo pensiero, per la sua capacità di arrivare all’interiorità della vita che me lo rende vicino. Lo scoprii a Bologna negli anni dell’università, la domenica mattina ci organizzavamo tra studenti per vedere i suoi film, quelli di Bresson, il Neorealismo...».

Per lei Venezia è anche il ‘68, anno in cui presentò proprio Galileo . E la polemica sui fatti di Praga...

«Ero stata nel 1967 proprio a Praga, c’era anche Milos Forman. Respirammo tutti un’aria di libertà e di novità. Nei giorni della Mostra l’invasione sovietica di Praga era appena avvenuta, io ero lì con il mio Galileo completamente abbandonato, senza alcun sopporto organizzativo, nemmeno un ufficio stampa. Così cominciai a chiedere a tutti: ma che facciamo per Praga? Ma nessuno dice niente? E nessuno disse niente... A sinistra tutti erano invece molto occupati ad attaccare il direttore della mostra Luigi Chiarini... così andò. Una grande delusione».

Il cinema italiano è attivissimo, nel 2021 (dati ministeriali) sono stati prodotti 313 film. Troppi?

«Il rischio è che molti film restino fermi, che nessuno li veda, che vengano girati e abbandonati. Quando girai Milarepa nel 1974, a un costo bassissimo, la distribuzione credette nel film. Ne circolarono poche copie ma molto sostenute nelle sale. Il rapporto col pubblico è essenziale per un autore. Altrimenti chi si rivolge più a un regista che, sì, ha girato un film ma non è mai stato distribuito né visto?».

Francesco d’Assisi parlava di fraternitas , di elementi che ci accomunano tutti. Ma la realtà, la contemporaneità sono spaventosamente diverse e lontane da quella prospettiva.

«In troppe menti che progettano guerre o inquinano credo alberghi una specie di malattia psichica. Se avveleni l’ambiente, avveleni te stesso e chi ti è caro. Se distruggi qualcosa nel mondo, lo distruggi anche per te. So che può apparire utopia ma una politica di equilibrio, di sfruttamento dei vantaggi offerti dalla scienza, diciamo di armonia, consentirebbe a tutti di vivere bene. Invece si punta ad altri primati. L’aver avuto per primi la bomba atomica ha poi portato a Hiroshima e Nagasaki. Ma di quale primato mai si può parlare?».

LA VITA - Liliana Cavani, 90 anni, è nata a Carpi (Modena) il 12 gennaio 1933. Nel 1960 si laureò in Letteratura e Filologia all’Università di Bologna. Avrebbe voluto fare l’archeologa

LA CARRIERA - Nei suoi 62 anni di carriera. Cavani ha girato 21 film, 5 serie tv e 5 cortometraggi

I SUCCESSI - Il film più noto della regista emiliana è sicuramente Il portiere di notte (1974) con Dirk Bogarde e Charlotte Rampling. Celebri anche L’ospite (1971) con Lucia Bosè e Glauco Mauri; La pelle (1981) con Marcello Mastroianni e Dove siete? Io sono qui (1993) con Gaetano Carotenuto e Chiara Caselli

LA CURIOSITÀ - Per tre volte Liliana Cavani si è cimentata con San Francesco: nel 1966 con il film tv Francesco d’Assisi; nel 1989 e nel 2014 con i due Francesco per il cinema

Da ansa.it il 10 gennaio 2023.

Nella Sala della Crociera del ministero della Cultura a festeggiarla, davanti ad una gigantesca torta bianca con sopra rose rosse, tanti artisti italiani mentre il ministro Gennaro Sangiuliano e il sottosegretario Vittorio Sgarbi facevano gli auguri alla grande regista italiana che li compirà il 12 gennaio.

 C'erano, tra gli altri, Marco Bellocchio, Paolo Sorrentino, Paolo Virzì, Pupi Avati, Michele Placido, Giovanna Ralli, Susanna Nicchiarelli, Cristina Comencini e poi ancora Fausto Bertinotti, Luciano Violante, Walter Veltroni, Gianni Letta, il produttore Pietro Valsecchi, la poetessa Barbara Alberti, la direttrice del Centro sperimentale Marta Donzelli, quella della Festa di Roma Paola Malanga oltre al sottosegretario Gianmarco Mazzi.

"Una celebrazione riuscita e divertente - ha commentato al termine Sangiuliano - sembrava un'assemblea studentesca". Anche con annuncio a sorpresa: il direttore del teatro Quirino, l'attore, produttore e regista napoletano Geppy Gleijeses ha dato notizia del ritorno alla regia teatrale della Cavani con una coproduzione con il teatro La Pergola di Firenze per Sei personaggi in cerca di autore, rendendola ancora di più sorpresa e felice per un impegno programmato per il 2024 dopo che avrà finito di lavorare e lanciare il nuovo film, L'ordine del tempo, dal bestseller del fisico Carlo Rovelli, con Claudia Gerini, Alessandro Gassmann, Edoardo Leo protagonisti.   

 "Un grazie infinito. Pensavo di trovare dieci persone e già erano sufficienti, mi hai sorpreso - ha detto al taglio della torta Liliana Cavani rivolgendosi al deus ex machina di tutta la festa ossia Vittorio Sgarbi - Grazie grazie grazie", ha ripetuto. "Sono grata per questa manifestazione gentile, generosissima, benevola, non so neanche se me la sono meritata. Intanto ringrazio, ho sentito tante cose interessanti e belle".    

Nata al Capri, Hollywood di Pascal Vicedomini "quando ho avuto l'apparizione di questa ragazza", ha detto Sgarbi, l'idea di festeggiare tra i libri della meravigliosa sala del ministero ha visto d'accordo subito Sangiuliano. "Vittorio mi chiama 7-8 volte al giorno per proporre dalle 30 alle 40 idee. Su questa non c'è stato bisogno di convincermi. Per me la Cavani è La Pelle, un film che ho molto amato". Telefonate notturne dal sottosegretario agli artisti "che hanno subito aderito perché la amano, convinto che ci siano tesori nazionali viventi", ha detto Sgarbi raccontando dei due film che lo hanno segnato nell'infanzia, Ultimo tango a Parigi e Il portiere di notte.   

 L'happening, perché di questo alla fine si è trattato, è servito a riunire grandi maestri, ciascuno con la propria personalità pronta ad emergere. Pupi Avati, "mi sveglio pensando di avere 14 anni poi mi rendo conto di quanti ne ho" ha scherzato il regista "più antico" in sala. "Cavani Bellocchio Bertolucci sono i tre moschettieri che mi hanno ispirato da ragazzo", ha detto.

Poi Marco Bellocchio, l'amico di una generazione, quello per cui Cavani ha avuto stasera uno slancio affettuoso: "Noi siamo in prima linea lo siamo sempre stati, siamo la generazione più avanti, con emozione e con amore dico che ci accomuna una coerenza che credo sia pagante, per questo siamo ancora vivi, se non altro cercando di fare il film che volevamo fare".

 E dopo Paolo Virzì che da affabulatore ha ripercorso la cinematografia della "giovanotta", film per film, "folgorato dai Cannibali, la scoperta al Quattro Mori di Livorno, un film di rabbia istinto rivolta, spiazzante libero scandaloso che, avevo 16 anni, mi fece uscire esaltato". Sorrentino si è intrattenuto con il ministro, che gli ha ricordato una comunanza di strade a Napoli e poi via via si sono alternati i saluti dei presenti come Barbara Alberti che ne ha ricordato gli scandali ("oggi con certe sue scene si finisce in galera"), Bertinotti, Letta, Veltroni.

E gli assenti come Edoardo Leo - "non mettere candeline né numeri, non contare niente, tu sei una donna senza età" - e Alice Rohrwacher ("hai fatto crescere il mio sguardo come una vela al vento"), con parole affidate alla presidente del sindacato giornalisti cinematografici Laura Delli Colli. "Fare film è passione, se no perché lo faccio? Altrimenti lavorerei. Mi sono sempre sentita fortunata a fare quello che volevo e questo - ha concluso Cavani, ricordando pure le polemiche e le censure del Portiere di notte - è stato il regalo bellissimo che mi ha dato la vita".

Liliana Cavani, compie novant’anni l’eterna ragazza del cinema italiano. Storia di MAURIZIO PORRO Il Corriere della Sera il 10 gennaio 2023.

Festa grande con cremoso affondo in una gigantesca torta dalle rose rosse, lunedì 9 gennaio al ministero della Cultura a Roma per i 90 anni che Liliana Cavani compirà ufficialmente il 12 gennaio, mentre sta terminando il suo quindicesimo film, L’ordine del tempo dal bestseller di Carlo Rovelli con Claudia Gerini, Alessandro Gassmann ed Edoardo Leo, e tornerà al teatro per una nuova edizione dei Sei personaggi

Festa di una generazione di grandi registi, più o meno coevi, come Pupi Avati e Marco Bellocchio, attivissimo con Esterno notte e poi un film, che fu uno dei compagni di cordata quando nei primi anni Sessanta uscì allo scoperto una Nouvelle vague italiana (Cavani, Bertolucci, Bellocchio, Gregoretti, Leone) che anticipava il Sessantotto. Una festa voluta fortemente dal ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano («È andata oltre le colonne d’Ercole della cultura dell’epoca, la cultura non sono solo i musei e i monumenti, ma soprattutto le persone»), dal sottosegretario organizzatore Vittorio Sgarbi, deus ex machina che ha raccolto con entusiasmo, con una rete di telefonate notturne, i molti ospiti della festa che ha colto quasi di sorpresa la regista e che alla fine si è rivelata un divertito e commosso happening collettivo.

E lo stesso Sgarbi, come molti l’altra sera, ha ammesso che i due film che l’hanno formato da giovane sono stati Il portiere di notte di Cavani e Ultimo tango a Parigi di Bertolucci. «Il ministero della Cultura — ha detto — vuole sostenere il cinema, la bellezza e la civiltà italiana».

«Mi hai sorpreso, pensavo di trovare dieci persone: grazie, grazie, grazie di questa manifestazione gentile, generosa, benevola che non so neanche se mi sono meritata» ha risposto l’autrice di Galileo, Milarepa, La pelle, per citare alcuni dei suoi successi attraverso cui sono passati grandi attori come Mastroianni e Cardinale. C’era tutto il nostro cinema, gli attori, i registi, i produttori, a festeggiare la Liliana carpigiana che è sempre stata un passo avanti, coraggiosa nell’affrontare con un cinema molto diverso dalla commedia italiana temi all’inizio legati alla controcultura giovanile, poi nel dirigere per la tv documentari storici eccezionali, infine nell’osservare alcune figure cosmico-storiche attraverso una lente culturale aperta.

E naturalmente coraggiosa nel suo film «scandalo» con Bogard e Rampling, che fece molto discutere anche per il tema legato al nazismo e agli orrori della storia; e coraggiosa anche nel raccontare tre volte, con diversi attori, la vita di san Francesco, da Castel a Rourke. Nonché coraggiosa per aver diretto La traviata col maestro Muti dopo la storica edizione con la Callas, regia di Luchino Visconti.

«Avevi un sorriso così luminoso che restituisce questa età alla nostra adolescenza. Ci svegliamo la mattina quattordicenni e poi ci rendiamo conto che abbiamo 84 anni», scherza Avati in un gruppo con Virzì, Sorrentino, Placido, Comencini, Veltroni, Letta, Alberti, Ralli, Donzelli, Malanga, Nicchiarelli. Uno slancio affettuoso Cavani lo conserva per Bellocchio, dicendo: «Noi siamo sempre stati in prima linea, con emozione e amore ti dico che ci accomuna una coerenza credo pagante, per questo siamo ancora vivi e facciamo i film che vogliamo fare».

La Cavani eterna ragazza, o «giovanotta» come la chiama Paolo Virzì, che ancora ricorda quanto uscì esaltato sedicenne dalla visione in un locale di Livorno dei Cannibali. Tutto converge, coincide, s’accorda, il Centro Sperimentale le ha dedicato un numero della rivista «Bianco e nero». Liliana ha sempre guardato avanti in nome della libertà, dice il ministro a nome di tutti e liberando un concetto condiviso da sempre, perché la Cavani non è stata mai vittima delle mode, se mai le ha create: «Una celebrazione riuscita e divertente — ha commentato Sangiuliano — come un’assemblea studentesca». «Fare film è passione — dice la festeggiata — altrimenti lavorerei. Mi sono sempre sentita fortunata a fare quello che volevo e questo, ricordando pure le polemiche e le censure per il Portiere di notte, è stato il regalo bellissimo che mi ha dato la vita».

I 90 anni di Liliana Cavani: «Il tempo per me non esiste ma le rughe sì: se scoprono che ormai ne ho troppe non mi fanno lavorare». Giuseppina Manin su Il Corriere della Sera il 27 dicembre 2022

L’intervista. La regista e il set ispirato al saggio del fisico Carlo Rovelli. «Il 12 gennaio non festeggerò nulla» l’intervista

«Ma bisogna proprio parlarne?» La voce gentile di Liliana Cavani si fa un po’ risentita. Questa storia dei 90 anni non le va giù. Il 12 gennaio la grande signora del cinema italiano, apprezzata ovunque per film come «Portiere di notte», «Francesco», «I cannibali», «La pelle», taglia un traguardo invidiabile, in piena forma, con un nuovo film in tasca.

L’età della pace non è nel suo vocabolario?

«Preferisco l’età del lavoro. Lavoro da 70 anni, sono quelli che vanno contati. E sono già troppi. Fino all’anno scorso nessuno si occupava dei miei anni. I numeri tondi sono insidiosi, tutti se ne ricordano e te li ricordano».

Lei invece non ci pensa?

«Certo che sì, so bene che la scadenza è vicina. Ci penso così tanto che il mio nuovo film parla proprio di questo, del tempo. Quello misterioso e sfuggente delle nuove frontiere della fisica, dove passato e futuro si confondono. Un tempo che si frantuma e non esiste più. E quindi, in questa prospettiva, i miei 90 anni non ci sono proprio».

Quanto mai opportuno è quindi per lei «L’ordine del tempo», titolo ispirato al saggio di Carlo Rovelli?

«Ci siamo incontrati a casa mia, parlati a lungo. Un saggio non è una storia, la storia l’ho scritta io con Paolo Costella, Rovelli ha collaborato per la parte scientifica. Ed è finito pure nel film, interpretato da Edoardo Leo, il protagonista di una storia corale con attori davvero bravi quali Alessandro Gassman, Claudia Gerini, Ksenia Rappaport e un cameo di Angela Molina».

Come si fa a trasformare una teoria della fisica in una storia cinematografica?

«L’idea di un tempo che sta per finire, di un’umanità che forse sta vivendo i suoi ultimi giorni, tra guerre, pandemie e catastrofi climatiche, è qualcosa che fa parte del sentire collettivo. La mia Apocalisse arriva dal cielo: un asteroide cambia rotta e punta sulla Terra. Si chiama Anaconda, come il serpente che si rigenera da solo. Una catastrofe annunciata che si cerca di tener nascosta per non scatenare il panico. Tra i pochi che ne sono a conoscenza il nostro fisico, che con alcuni amici si ritrova al mare per festeggiare un compleanno».

E ai vecchi amici si dice la verità, anche se sconvolgente.

«Sapere che tra poco tutto finirà innesca mille reazioni. Che fare nelle ultime ore? Rimediare a degli errori, dire quello che non ho mai detto? Disperarsi o reagire? Sarà l’istinto di vita a prevalere: non sapendo quando moriremo, continuiamo a vivere, tenerci stretti gli affetti più cari. Fino all’ultimo istante».

Non pensare alla morte che sta arrivando. Una scelta che vale anche per lei?

«Nessuno vuole morire. Per me, cresciuta in una famiglia atea, l’aldilà non esiste. Però, mentre giravo Milarepa in Tibet, incontrai un Lama. Quando gli confidai che per me dopo non c’era nulla, scoppiò a ridere in modo irrefrenabile. Poi disse: ma con un’idea simile come fa a campare? Mi ha lasciato il dubbio che qualcosa resti, magari ci si trasforma, si vivono altre vite… Ma non m’importa».

Cos’è che conta per lei?

«Gli amori, le amicizie. Solo questi danno significato al breve spazio che si chiama vita».

E il cinema?

«È in cima ai miei amori, come l’amore per la cultura. Sto rileggendo l’Iliade. Il tempo della scuola è lontano, quello di Omero lontanissimo. Eppure mi è più vicina che mai. L’anello temporale, il loop di Rovelli, può cambiare il flusso degli eventi. Il tempo è memoria. Aver potuto studiare mi dà un profondo senso di gratitudine. La cultura è il dono più bello che si può regalare ai giovani».

Ma il caso, quanto conta in tutto questo?

«Moltissimo. Io mi sono laureata in filologia linguistica, ma poi a Roma mi sono iscritta al Centro Sperimentale, ho partecipato a un concorso Rai, l’ho vinto, ma ho rifiutato il contratto perché non volevo fare la regista interna. Volevo girare documentari. Per tre mesi mi sono chiusa negli archivi Rai a visionare i tantissimi materiali sui campi di sterminio. E poi ho girato La storia del Terzo Reich. Portiere di notte deriva da quello che ho visto allora. Quando mi dicono che esistono i negazionisti mi monta una rabbia terribile. Io quei lager li ho visti tutti».

Si dice atea, ma Francesco e Chiara sono i suoi santi protettori, tornati a più riprese nei suoi film.

«Il primo Francesco, 1966, lo devo a Angelo Guglielmi che mi dette credito. Nel 2013 girai Mi chiamo Francesco. La Rai lo teneva nel cassetto finché, destino volle, Bergoglio diventò papa e scelse quel nome. Il giorno dopo l’hanno messo in palinsesto».

Francesco, un nome che ha segnato il suo papato.

«La sua voce è la sola a levarsi per la pace. Le guerre sono tutte ingiuste, bisogna smetterla e basta. La logica delle armi serve solo a chi le fabbrica».

Tornando alla nuova creatura, a che punto è il film?

«Abbiamo finito le riprese a Sabaudia. La casa sul mare che cercavo l’ho trovata lì, tutta di legno, un’Arca di Noè. Perfetta per il mio diluvio universale. Siamo nella fase montaggio. Il film sarà pronto per primavera».

Nel frattempo, come festeggerà i suoi 90 anni?

«Non voglio festeggiarli per niente. Il tempo non esiste ma le rughe sì. Se scoprono che ne ho troppe, dopo chi mi fa più lavorare?».

Barbara Costa per Dagospia sabato 23 settembre 2023.

“Io ho sc*pato mucho, ma mai quanto adesso!”. Volete cambiare vita? Dare un calcio ai vostri primi 40 anni? Prendere peni in doppia ma non ancora in tripla? Prendete esempio e energia da Lily Veroni, 39 anni, che ha iniziato a fare porno solo 3 anni fa. E che porno! Sebbene il suo debutto nell’hard segni un duo lesbico, Lily Veroni si sta facendo c*lo e nome nel settore perché è una performer abilissima nel porno extra strong, il porno in cui “si sc*pa forte, si sc*pa duro, e io voglio e mi piace sc*pare duro, il sesso convenzionale mi annoia!”. 

Se pensate che una tal femmina sia preda di disagio, vittima d’adolescenza inquieta, shockata da pene amorose… ehi cambiate frequenza! Sintonizzatevi su quella giusta, quella che raggiunge Lily Veroni, che in realtà si chiama Samantha, è italiana!!!, nata e cresciuta a Milano, con un fratello minore, in una famiglia comune. È la sessualità di Lily ad aver bruciato le tappe: a 16 anni gioca e sperimenta col suo primo 3some, a 21 sono già 5 uomini e donne che degusta insieme, per una sessualità dirompente che la scopre “bisex convinta”. A 20 anni Samantha non ancora Lily lascia l’Italia e va in giro dentro e fuori l’Europa, impara le lingue – ne parla 5, italiano, inglese, spagnolo, russo, tedesco – ora è al suo secondo master in gestione alberghiera. 

Si fidanza con un ragazzo inglese, con cui convive 4 anni a Tenerife, pensano di sposarsi. In tutto questo, come cavolo ci si è infilato il porno? Lily non ha mai tacitato la sua sessualità prepotente, né il suo talento speciale nei p*mpini. Mai ha messo in rete un suo video, pur se spronata (Lily è una valente fruitrice del porno gay tra maschi, suo genere preferito per masturbarsi). Succede che la storia d’amore col suo inglese finisce, e lei lascia Tenerife e deve scegliere se trasferirsi a Madrid dalle sue amiche o andare a Barcellona, da sola, da un produttore porno. 

Così Lily debutta nel porno a inizio 2020, 3 settimane prima del lockdown. Lo stop forzato la sprona. Si rifà il seno. A set riaperti, supera a pieni voti un provino per "Legal Porno", il re europeo del porno tosto, smoderato. È in questo porno qui che Lily sta emergendo. Numeri in cui si impone su orge 6 uomini per volta (minimo), su pissing inondanti, e reciproci, su anali scuotenti, plurimi, e bdsm in ogni forma. Lily è bdsm di natura, per lei è genuinità darsi in sadomaso maestrie orgasmiche, sconquassanti. Bilancio attuale? “Questa è la mia vita, io ne sono felice!”.

Lily definisce il porno “una parentesi”, un intermezzo pieno di soddisfazioni. Lei parla più spagnolo che italiano, ne ha perfetta cadenza, l’unica cosa che del porno le scoccia sono gli allenamenti – necessarissimi per riuscire in un porno simile – e la preparazione che, davanti a un anale, ti deve dentro lavare e “allargare”, con sex toy appropriati, poi “una volta che sei allenata e pronta mentalmente… vai! Fila tutto liscio come l’olio!”. La scena di cui Lily va più fiera è un trio “con me in mezzo a un attore gay e a uno bisex, e il gay l’ho "sverginato" io, lui non era mai stato con una donna. Ho centrato l’apoteosi!”. Lily gira porno con attrici trans. Lily è una persona molto positiva, in lei è assente il giudizio e peggio se moralistico sulle scelte altrui.

Su lei, come su tutti noi nel porno, ricade la condanna inclemente: in risposta noi ci asteniamo dal mettere in croce, alla gogna, chi ha respiro di vivere in consapevolezza fuori e oltre la massa. Lo stigma c’è, e non si può scansare, ma a Lily non pesa: “Io col porno regalo benessere a me stessa e a chi libero decide di guardarmi. Non faccio niente di male, a me e a nessun altro!”. 

Lily Veroni la puoi incontrare in Italia nei suoi spettacoli sexy su e giù nella penisola. Lily ha ritoccato la seconda volta il seno l’anno scorso, una protesi le era caduta, e attenzione: il suo seno non è rifatto, nooo, “è ricostruito, m’era crollato dopo essere dimagrita di 10 chili!”. E benedetto sia il botox! Lily non è come le pupattole spianate e piallate e al tempo stesso ti pigolano che loro sono naturali! Al diavolo, lei si aggiusta, si puntura, ne va la sua felicità. Lily ha però un rimpianto, e grossissimo, quello di non aver fatto porno prima: “Quanti soldi mi sono persa?”.

Francesco Melchionda per perfideinterviste.it il 25 giugno 2023.

Lina Sotis, com’è stato, per lei, vivere senza una madre, e da sempre?

Credo che lei abbia cominciato questa intervista con la domanda che meno mi aspettavo e che più mi appartiene. Penso di averlo capito alla vecchiaia, e solo grazie a un analista. Mia madre è morta di parto, per cui non l’ho mai conosciuta. Da ragazza, l’ho vissuta in maniera protagonistica perché sono anche molto egocentrica. 

Ero sempre quella senza mamma, tutti a dire “poverina, lei è senza mamma”. Papà, avendo molte amanti, mi ha dato la possibilità di conoscere le donne che frequentava; erano loro – penso, ad esempio, a Palma Bucarelli – a regalarmi delle attenzioni e carezze. Quando papà, per motivi politici, si sposò con la prima donna penalista, lei, per me, fu importantissima ed essenziale. 

Perché?

Perché era terribile, severa ma anche molto libera. Ricordati – mi diceva sempre: fai l’amore con chi vuoi… Io – ripeteva – preferisco Maria a Giuseppe… Ad essere sincera, tutto l’opposto di mio zio, liberale, il massimo della borghesia illuminata, perbene, e crudele di Roma.

Cosa vuol dire che suo padre si sposò per motivi politici? Che interessi aveva a sposare una donna lesbica, mi è parso di capire…?

Papà fece l’annullamento a Claretta Petacci per volere del Duce.

Maria era comunista. Nessuno disse mai niente ma a ripensarci forse ai tempi era importante.

Ha mai sentita la mancanza di sua madre?

È una domanda dura, la sua! La sento più adesso che da bambina. Perché allora volevo fare in modo di aver qualcosa.  A scuola, ad esempio, ero la più buona ed ubbidiente. Ma, ovviamente, lo facevo solo per avere delle carezze.

(...) 

Ce l’ha ancora la faccia da stronzetta e snob come quando era giovane?

Lei che dice?

Può darsi…

Mi fido di lei, allora.

Il libro che più le ha dato visibilità e soldi, è stato Bon Ton: da dove nasce questa ricerca ossessiva delle buone maniere?

Questa ricerca ossessiva delle buone maniere nasce dal Marymount perché la contessa Palmieri, che era la direttrice dell’istituto, ci educava ad avere un certo tipo di portamento. Ricordo che quando ci vedeva, il suo mantra ossessivo era: signorine, bon ton! Ero una signorina completamente ignorante, ma sul bon ton ero particolarmente ferrata!  Quando poi, anni dopo, mi chiesero di scrivere un galateo, perché bravissima a comportarsi in tutti i contesti sociali, risposi di sì… Ad essere sincera, inizialmente, mi sarebbe piaciuto più scrivere qualcosa di più insolente perché mi ispiravo a Dorothy Parker. Furono Calasso e Peppino Turani a spingermi a che io scrivessi qualcosa sulle buone maniere. 

Quarant’anni fa, quando hai scritto il tuo primo Bon Ton, lo hai dedicato, come hai confessato ad Anna Pettinelli di Rds, ai berlusconiani… Chi sono, oggi, i nuovi barbari?

I nuovi barbari, oggi, possono essere tutti, indistintamente. Le ragazze in short strettissimi, e con la pancia di fuori, in città, mi danno fastidio; o gli uomini che escono in infradito: che orrore! Ogni posto, ha il suo modo per vestirsi. E che tristezza, poi, quelli che camminano per strada con gli occhi rivolti al cellulare…

Perché le stavano sulle scatole i berlusconiani? Cosa avevano di così insopportabile?

Non mi stavano antipatici, sono stati la mia fortuna. Se non ci fossero stati loro, il bon ton non sarebbe andato così bene.

Sei stata, per decenni, una firma del Corriere della Sera. Mi aspettavo una pubblicazione con Solferino in pompa magna. Come mai, invece, il suo nuovo libro è finito nelle grinfie della Baldini? Il gruppo Cairo ha trovato la sua ultima fatica noiosa, demodé, poco vendibile?

Urbano s’è arrabbiato moltissimo. Quando lo è venuto a sapere, mi ha detto: Lina, ma perché non l’hai dato a me? Gli ho risposto dicendogli la verità: perché Elisabetta l’ha voluto a tutti i costi, e io ho ceduto volentieri alle sue lusinghe.

Non le pesa essere ricordata come la giornalista “Bon Ton”? Sembra quasi un marchio, ormai, il suo… Non trova?

Meglio così che niente…

Le piace ancora il Corriere della Sera?

Sono una vecchia che ama ancora tantissimo il Corriere!

Le piaceva Craxi?

Lo conoscevo bene. Con Anna venivano a cena da me e lui cominciava a cantare, soprattutto canzoni francesi. Lo ho frequentato parecchio quando Bettino non era ancora così famoso. Ho un bel ricordo di loro. Che tempi…!

Per gli uomini perde ancora la testa?

No! Non sono più così carina. Ma, finché ho potuto e voluto, mi sono concessa a tutti gli uomini che mi piacevano. 

E a lei, è mai capitata una cafoneria, una scivolata, una caduta di stile?

Un giorno Gianmarco Moratti, il mio primo marito, mi fa: preparati al meglio, che andiamo a Roma. Io, tutta ubbidiente, mi preparo, con i vestiti rigorosamente neroazzurri, saluto i bambini e partiamo per la Capitale. Lasciati i bagagli nella casa romana, Gianmarco mi porta nello studio di un avvocato, il quale, dopo i convenevoli di rito, mi dice subito: lei è un’adultera, abbiamo le sue foto. Trasalii, ci misi un po’ a riprendermi. Mi rivolsi a mio marito e gli dissi: ma non c’era bisogno di fare tutto questo casino…! Eh no – mi rispose – mi hai tradito, ed è pure milanista!

Quindi la sua vera rabbia, non era tanto legata al tradimento, ma al fatto che il suo amante era milanista…

Secondo me, il vero dramma era che fosse rossonero… Ad ogni modo, reagii come una ragazza reale.

Cioè? Cosa fece?

Mi sfilai questo bellissimo brillante che mi aveva regalato, glielo misi in mano, e gli dissi: ti spetta anche questo. Dopodiché, me ne andai…

Si sposa con Gianmarco Moratti, e poi lo tradisce per un playboy, così racconta alla sua fedelissima Michela Proietti. Lo fece per noia o per godere?

Per noia… Fare la ricca signora, mi scocciava terribilmente. E poi ero convinta che tutti loro lo facessero… 

Nel suo essere borghese, alla fine s’intrappolò nel solito cliché della donna ricca e annoiata

Ero, in realtà, una signora indaffarata a far conoscere i Moratti e a portarli un po’ più su… Che ingenua sono stata!

Cosa vuol dire: portare i Moratti un po’ più su? Erano volgari?

No, erano ricconi…

Ma l’amavi, Gianmarco?

Gli volevo bene, e poi, per me, era un modo anche per respirare un po’ di libertà, dopo gli anni del collegio. 

È stata, poi, una donna infedele?

Costretta ad essere infedele perché gli uomini di cui mi sono innamorata lo erano a loro volta.

Hai mai provato attrazione per le donne?

No, mai, e me ne dolgo. Adesso, le confesso, mi piacerebbe tantissimo innamorarmi di una donna.

Fino a che età ha provato ebbrezza erotica e vero istinto carnale?

È proprio curioso… Fino a sette anni fa; e devo dirle che non ne sento per niente la mancanza. 

L’attraggono i ragazzi?

No, eppure per diverso tempo ho avuto un delizioso ventitreenne che mi ha corteggiato con una certa insistenza. Adesso, se ci ripenso, me ne pento.

In una intervista ha detto che Miriam Mafai e Irene Brin sono state quelle a cui si è più ispirata. Le stava sulle palle la Cederna, la regina dei salotti? Era invidiosa del suo charme?

No, per niente! Camilla l’adoravo tantissimo, e da lei ho imparato tutto, però bisogna dire la verità: la più brava di tutte è Natalia Aspesi. 

Qual è stato il salotto milanese più interessante e divertente?

Ce n’era uno solo, quello di Giulia Maria Crespi…

La zarina…

La zarina, come la chiama perfidamente lei, sapeva mischiare a dovere. A casa sua ti capitava di incontrare Spadolini, che mi stava per nulla simpatico, e Mario Capanna. Quando portai Roberto Calasso, che all’epoca non era ancora conosciuto, Giulia mi disse: questo non è per nulla scemo…

So che Calasso è stata una figura importante per lei; cosa le ha insegnato?

Tutto. Mi fece conoscere Kraus, la Szymborska e tanti altri. E, poi, nello scrivere un articolo, mi ha insegnato l’importanza della brevità. Roberto mi diceva sempre: quelli bravi, quando scrivono, sono brevi. Impara a tagliare, Lina… 

(...)

Che si fa nei salotti? E a cosa servono? A fare carriera? A ostentare denaro, potere, lusso?

Ultimamente, i salotti si frequentano, sì, per fare carriera, conoscere qualcuno per avere un contatto, un aiuto. Negli ultimi tempi, il salotto di Francesco Micheli aveva preso un po’ questa direzione. Il salotto di Maria Giulia, invece, essendo molto aperto ma, al contempo, anche molto chiuso, la carriera non la facevi di sicuro. Quello di Rosellina Archinto era settoriale. Ma quello più irresistibile, indimenticabile, era quello di Gae Aulenti. Gae dava delle cene per cinque massimo sei persone, e lì trovavi gli inarrivabili: Umberto Eco, il grande architetto e compagnia cantante…

Quali sono stati, nei suoi tanti anni al Corriere, i giornalisti che ha apprezzato di meno, e che, magari, le hanno fatto qualche sgarbo? Sii cattiva, Lina!

Grandi sgarbi non ne ho ricevuti. Quello che mi stava antipatico, perché quando passava nei corridoi si dava delle arie, era Vittorio Feltri. Diceva sempre: io le donne le tengo in un garage, una cosa abbastanza sgradevole. 

Chi erano i potenti che la sua penna non poteva nemmeno toccare?

Nessun direttore mi ha mai detto: Lina, mi raccomando, questo non si può criticare, sbeffeggiare. Era tutto legato ai miei voleri…

Quindi, immagino, si sarà autocensurata un sacco di volte?

Moltissimo…

Aveva paura di non fare carriera?

No, semplicemente non volevo mettere il Corriere, che in fondo adoravo, in delle cattive acque. Sulla politica, invece, non mi sono mai tappata la bocca. Le faccio un esempio: quando Ignazio La Russa era assessore a Milano, dicevo sempre: troppo volgare per fare l’assessore…

Cosa pensa di Paolo Mieli?

Paolo è stato un mio carissimo amico romano, e un uomo molto intelligente. Quando, però, andavo a fare i bagni nella piscina di mia cugina, a Roma, capitava di incontrarlo; ma, ad essere sincera, non lo guardavamo mai…

Perché, Lina?

Noi eravamo belle, lui era brutto, e nessuno se lo filava. La coincidenza ha voluto che, poi, me lo sono trovato alla direzione del Corriere. 

Il direttore del Corriere con cui ha avuto rapporti burrascosi?

Quello con cui, forse, ho avuto rapporti più distanti, è quello che ho amato di più: Ferruccio De Bortoli. Lo conobbi al Corriere dell’Informazione: eravamo compagni di banco. Insieme siamo cresciuti e, insieme, siamo finiti poi al Corsera. Quando ha preso le redini del giornale come direttore, non sono mai andato a bussare alla sua porta per chiedergli, chessò, una prima pagina… Mi sembrava poco elegante e, quindi, preferii non metterlo in imbarazzo.

In Sbucciando Piselli, libro mitologico scritto con Federico Zeri, Roberto D’Agostino scrive: tra le forme di Pronto Soccorsi Ideale va messo e raccontato a tutti il pettegolezzo. È liberatorio, illumina la giornata, ravviva il depresso. Anche per lei è così?

Nel pettegolezzo non cattivo per gli altri, vedo solo gioia per me e per quelli che mi stanno ascoltando.

Qual è stato il pettegolezzo, o la cattiveria, scritta o raccontata in una delle sue frequentazioni salottiere?

Quando una volta raccontai di un signore e, alla fine, chiusi il pezzo con: ma, in fin dei conti, il signore chi è? Fui inutilmente scortese e insolente…

Ecco, adesso, a distanza di anni, può svelarci il nome: chi era?

No. Rispetto per un signore che lavorava, o tentava.

Ricorda l’uomo peggio vestito?

Sicuramente mio marito. Quando mi accompagnava agli eventi mondani, era difficile convincerlo a vestirsi in un modo consono alla situazione.

Un mulo, quindi?

Esattamente.

I vezzi estetici dell’Avvocato non li trovava ridicoli?

Non sono mai stata una estimatrice di Gianni perché, francamente, l’ho sempre trovato troppo egocentrico. Quando ti faceva la corte, non lo faceva mai perché era veramente intenzionato a conoscerti, ma solo per riempire e soddisfare il suo ego smisurato. Lo si avvertiva a pelle.

Non le piaceva come si vestiva?

No, per niente. Trovavo ridicolo l’orologio Cartier sul polsino… Solo una donna resiliente (parola che detesto) come Marella poteva sopportare tutto…

Chi ha saputo raccontare la società mondana italiana? A me verrebbe da dire Arbasino!

Alberto, senza dubbio. Uomo geniale e di una cultura pazzesca. Quando ci vedevamo a Roma, ricordo, mi diceva sempre: noi quelli dei Parioli non li frequentiamo! 

Ha conosciuto, amato, e sposato, uomini molto ricchi. Quanto conta, per lei, il denaro?

In realtà, ho sposato solo un uomo molto ricco. Aveva un padre, Angelo, che mi piaceva da morire. Ma una cosa che non amavo, e mi creda, era il fatto che avevano molti danari. Questo sentimento nasce, probabilmente, dal fatto che mi piacciono da morire i soldi che mi guadagno lavorando. La casa in cui stiamo adesso, ho fatto in modo di comprarla lavorando duramente. Ma la casa più bella in cui ho abitato era la garçonnière di Stendhal, un tempo diventato lo studio di Andrea Cascella. Quando Ralph Laurent ha comprato, sai cosa ci hanno messo lì, adesso? Le cabine per provare i jeans! Hanno distrutto un monumento nazionale!

Guadagnavi tanto?

Ero tra quelle che guadagnava bene, ma non benissimo. Fu Romiti, all’epoca presidente della Rcs, a proporre il mio aumento.

Quante volte le è capitato di dire: gli interisti non vincono mai a causa di Massimo Moratti?! Quanto denaro sperperato…

Nemmeno una! Adoravo Massimo… Quante risate quando imitava Celentano.

Però come presidente lasciava a desiderare…

Ma chissenefrega… 

(...) 

Estratto dell'articolo di Roberta Mercuri per vanityfair.it martedì 28 novembre 2023.

La leggendaria modella Linda Evangelista degli uomini non ne vuole più sapere. Lo ha rivelato lei stessa durante un’intervista con il Sunday Times: «Non voglio più andare a letto con nessuno. Non voglio sentire il respiro di nessuno». L’ultima volta che è uscita con un uomo, ha raccontato, è stata «sicuramente prima del Cool-Sculpting», la procedura di riduzione del grasso a cui si è sottoposta nel 2016 e che l’ha lasciata «permanentemente deformata e brutalmente sfigurata», tanto da costringerla a vivere - per ben cinque anni - da reclusa.

[…] «Non provo più interesse nel conoscere nuovi potenziali partner, ritrovare un amore non è una priorità».

La vita privata della Evangelista in passato è stata molto movimentata. Prima ci furono le nozze con Gérald Marie, ex capo dell’ufficio parigino di Elite Model Management. La coppia si sposò nel 1987 - lei aveva 22 anni, lui 37 - e divorziò nel 1993 (solo di recente Linda ha rivelato che l'ex marito la sottopose a terribili abusi fisici e psicologici).

Successivamente la modella frequentò per sei anni l’attore Kyle MacLachlan. Poi, nel 1999, rimase incinta del giocatore della nazionale francese Fabien Barthez, ma perse il figlio al sesto mese di gravidanza. L’11 ottobre 2006 diede alla luce un bambino, Augustin James, nato da una breve relazione con l’imprenditore francese Francois-Henry Pinault, oggi marito di Salma Hayek.

[…] ora la top model ha fatto sapere che non ha un uomo almeno dal 2016. […]

Aldo Cazzullo per il Corriere della Sera - Estratti il 18 Settembre 2023 

Chi è quel signore vestito di bianco sottobraccio a Lino Banfi?

«Un mio amico. Sono stato a trovarlo sette volte. La prima gli dissi: voglio diventare il giullare del Papa. Quando lei è incavoleto, mi chiama, e io la faccio sorridere». 

E il Papa?

«Ogni tanto mi chiama. E io gli racconto gli episodi più divertenti della mia vita, e pure quelli tristi: il mio sogno è sempre stato far ridere e piangere insieme. Come prova d’amicizia gli ho chiesto questa foto. Lui ha messo via il bastone, e si è appoggiato a me». 

(…)

E sua madre?

«Non era andata a scuola proprio. Quando doveva firmare le dicevano: Nunzia, fa’ la cruoce. Ma lei rispondeva: “Mi chiamo Nunzia Colia”, e di croci ne faceva due: una per il nome e una per il cognome. Mamma me la sono goduta più a lungo. Quando si ammalò, cercai per lei il miglior chirurgo. Dopo l’intervento il luminare volle incontrarmi, mi portò in uno sgabuzzino, chiuse a chiave. Pensai dovesse darmi notizie gravi».

Invece?

«Si inginocchiò, mi baciò la mano, e disse: “Ho sempre sognato di baciare la mano che ha toccato il culo a Nadia Cassini”. Avevo affidato la vita di mia madre a un pazzo».

(...)

Come cominciò per lei lo spettacolo?

«L’avanspettacolo. Quando venivano le compagnie, nell’intervallo il pubblico scandiva il mio nome: Zagaria-Zagaria… Io salivo sul palco con una calza della mamma in testa, e imitavo i grandi della musica nera: Don Marino Barreto, Nat King Cole, Armstrong… Un giorno l’impresario mi propose di seguirlo».

E lei?

«Esitavo, ero un ragazzino… Poi incrociai lo sguardo di una ballerina bellissima. Mi sorrise e mi fece il segno: firma… Firmai. Per papà fu un dolore. Mi disse solo: fatti sentire ogni tanto».

Primo ruolo?

«Il figlio ingrato. Quello che doveva inginocchiarsi e baciare le mani dello Zappatore».

Poi partì per Milano.

«Con la valigia dell’emigrante: l’unico vezzo fu legarla, anziché con lo spago, con un foulard di mamma. Sulle case era scritto “non si affitta ai meridionali”, o anche direttamente “non si affitta ai terùn”. Così cancellai con la scolorina la n di Andria, per risultare nato ad Adria, e facevo l’accento veneto: “Ghe xè una camera per mi?”. I soldi finirono subito. Avevo 19 anni da compiere e una fame arretrata. Dormivo nei vagoni sui binari morti della stazione. Un clochard, anzi un barbùn de prufesiùn come si definiva, mi prese sotto la sua protezione: “Quel vagone parte, dormi in quell’altro…”. Fu lui a suggerirmi l’idea delle tonsille». 

Tonsille?

«Faceva freddo, sognavo un letto e un pasto caldo, e il barbùn mi chiese: “Ce le hai ancora le tonsille?”. Ce le avevo. “Fattele togliere. Tanto non servono a niente. E ti fai una bella settimana in ospedale”. Ma io non sono malato. “Ma sei un attore, no? Intanto prendi questo”, e mi prepara un intruglio a base di chinino che in effetti mi fa gonfiare la gola. Vado in ospedale, a Baggio, e convinco i medici a operarmi. Non avevo calcolato che dopo ti tengono a digiuno…».

E la dimisero, immagino.

«Avevo più fame di prima, ed ero disperato. Così mi ricordai di quel che diceva mio padre: quando sei nei guai, di’ la verità. Al primario dissi la verità: “Mi sono operato per fame”. Quello capì, mi perdonò, e mi affidò a una suora: “Questo ragazzo ha bisogno di un’altra settimana di ricovero, e di due pasti abbondanti al giorno”». 

Quando divenne Lino Banfi?

«Più tardi, a Roma. Lavoravo nel teatro di Graziano Jovinelli, che mi mandò da Totò con una lettera di presentazione: “Ma mi raccomando, non la aprire, non leggere quello che scrivo di te”».

E lei?

«Io ovviamente aprii la lettera, con il trucco del vapore, e la lessi. C’era scritto: “Caro Totò, hai davanti un giovane di talento, che non si smarrisce nei congiuntivi”. Praticamente una laurea. Totò mi chiese: come ti chiami? E io: Pasquale Zagaria, in arte Lino Zaga. E lui: non va bene, lo devi cambiare». 

Perché?

«È quello che gli chiesi. E lui: “Abbreviarsi il nome porta bbuono, guarda me che mi chiamo Antonio. Ma abbreviarsi il cognome porta malissimo”».

Ma perché Banfi?

«Raccontai tutto al mio impresario, che era pure maestro elementare. Lui aprì il registro di classe e lesse alla prima riga: Aurelio Banfi. Gli ho rubato il cognome, e non l’ho mai conosciuto, mi piacerebbe incontrarlo… Eravamo in trattoria, e brindammo a Lino Banfi. L’oste si unì al brindisi: “Speriamo che tu abbia successo, così mi pagherai i conti”». 

Cosa faceva a teatro?

«Il presentatore. Tre spettacoli al giorno, tra un film e l’altro. Aspettavamo dietro lo schermo, così vedevamo il film al contrario. Il personaggio del pugliese nacque dopo, in un cabaret romano, il Puff».

Come andò?

«Lando Fiorini aveva litigato con Montesano, che l’aveva mollato per la tv: “Ti sostituisco con il primo stronzo che trovo al Jovinelli!”. Il primo stronzo ero io. Arrivo e vedo questo pubblico sofisticato, molto diverso da quello dell’avanspettacolo: pellicce, gioielli veri, non falsi o tatuati. Pensai di maltrattarli un po’: “Porca puttena, che chezzo siete venuti a fare su questi pouf scomodissimi?”. Potevano mandarmi a quel paese. Risero».

La Puglia allora non era di moda: Modugno passava per siciliano, Arbore per napoletano.

«Non avevamo tradizione teatrale, non abbiamo avuto Pirandello o Eduardo. Checco Zalone me l’ha riconosciuto: ho aperto la via della pugliesità. All’epoca nessuno di noi era profeta in patria». 

Neppure lei?

«Nel 1972, tramite il suo segretario Nicola Rana, mi convoca in prefettura a Bari Aldo Moro: “Mi hanno detto che lei nei suoi spettacoli fa una battuta su di me… Me la ripete?”».

Qual era?

«In Russia Stalin è morto e c’è la destalinizzazione, in Italia Moro è ancora vivo ma c’è già la demoralizzazione…».

E Moro?

«Sorrise: “Bella. Molto fine. Ma non la dica più”. Mentre uscivo incrociai Pinuccio Tatarella». 

Il missino?

«Lui. Gli volevano bene tutti, anche Moro. Cominciammo a parlare di Puglia: perché non creare un consorzio di imprese, una per la pasta, una per l’olio, una per il vino? Moro e Tatarella erano d’accordo. Ma non riuscirono a trovare tre produttori disposti a collaborare. Si facevano tutti la guerra».

È vero che lei votava Msi?

«No, anche se qualcuno mi chiamava Pancetta Nera. Mio padre era un democristiano di centrodestra, e io pure. Ho sempre guardato l’uomo. Mi piace Veltroni e non solo perché si chiama Walter come mio figlio, quando si candidò a sindaco di Roma lo accompagnai nei centri anziani. Mi piaceva Craxi».

Lo conobbe?

«In un ristorante milanese. Stava con Berlusconi, che ci presentò. Lui era presidente del Consiglio, io ero quello che toccava il culo a Nadia Cassini e sbirciava Edwige Fenech dal buco della serratura. Eppure fu gentilissimo, fece il baciamano a mia moglie. Un signore».

I 5 Stelle l’hanno mandata all’Unesco.

«Non i 5 Stelle; Di Maio. Mi propose un gioco: “So tutte le battute di nonno Libero a memoria, interrogami…”. Ora facciamo le riunioni via zoom, sa quella cosa in cui ti vedi dentro una finestrella del computer? Voglio battermi per Canosa, far diventare il ponte sull’Ofanto patrimonio dell’umanità». 

Quando aveva conosciuto Berlusconi?

«A una festa del padrone della Simac, macchine per gelati, dove ero andato pensando che potesse scapparci uno spot, una pubblicità. Vidi Berlusconi e pensai che fosse il pianista, perché suonava e cantava una canzone di Gilbert Becaud, la storia di un prigioniero innamorato: “A Pâques ou à la mi-carême/ quand je serai libéré/ lorsque j’aurai fini ma peine…”. La sapevo anch’io, così cantai con lui: “Marie, Marie, ecris donc plus souvent…”. Poi mi dissero: sai chi è quello? Il padrone di Telemilano. Finì che mi scritturò».

Eravate coetanei, come con il Papa.

«Berlusconi aveva due mesi meno di me; così mi chiamava “vecchio”. Ogni 11 luglio mi telefonava per gli auguri di compleanno: ciao vecchio! Una volta mi chiese di rifare un monologo di Risatissima in cui lo prendevo in giro». 

Cosa diceva?

«Berlusconi mi ha deluso, pensavo fosse alto tre metri… Lui vide la registrazione e mi chiamò: “Sei stato bravissimo, ma eri in maniche di camicia. Ti pregherei di rifarlo. Non cambiare una parola; ma mettiti il frac, o almeno la giacca. Ricorda che noi il sabato sera entriamo nelle case degli italiani».

Com’erano Franco e Ciccio?

«Grandissimi. Ogni tanto litigavano e ognuno minacciava l’altro: ti lascio e mi metto con Lino Banfi! Una volta accadde davvero: nel 1979 a Ciccio venne un’ulcera e io partii al suo posto con Franco per l’America, c’erano anche Rosanna Fratello e Bobby Solo. Di notte mi svegliavo per andare a vedere il mio nome che lampeggiava sull’insegna del Madison Square Garden».

E Villaggio? È vero che era cattivo?

«No. Semmai, cialtrone. Giravamo i Pompieri con Boldi e De Sica, lui diceva: offriamo la cena pure a quelli del tavolo vicino, poi se ne andava. E dovevamo pagare noi, per lui e per i vicini. Però, a differenza di altri comici, non era geloso dei colleghi che facevano ridere». 

Come fa a dirlo?

«Conosce la scena di “Fracchia e la belva umana”, quando il commissario Auricchio entra al ristorante, viene accolto da un stornello beffardo e dice: continua a suonere…».

I classici li conosco: «Nun me chiamo frifrì, sono commissario, e ti faccio un culo così…»

«Manganelli, l’ex capo della polizia, mi ha raccontato che la faceva cantare in coro a tutti i nuovi commissari, come rito iniziatico. Ecco, quella scena nel copione non c’era. Se lei guarda bene il film, nota che il suonatore cerca lo sguardo del regista e di Villaggio, per capire cosa fare. E loro gli dissero di continuare a suonere».

Aldo Fabrizi?

«Eravamo vicini di casa, uscivamo a passeggio: “Accanto a me sembrerai magro come Alain Delon”. Pativa Sordi: il marchese del grillo avrebbe voluto farlo lui». 

Peppino De Filippo?

«Mi disse: tu si ‘na bella bestia da palcoscenico».

Sofia Loren?

«Mi chiamò un mattino molto presto, per farmi i complimenti per una fiction sui bambini che l’aveva commossa. “Nuie simme ciucci ‘e fatica” mi spiegò: dobbiamo lavorare sino all’ultimo respiro». 

Nadia Cassini l’ha più rivista?

«Me la fece ritrovare Chiambretti in una trasmissione, c’era anche Annamaria Rizzoli. Nadia era ingrassata, aveva bevuto, era una creatura splendida ma fragile».

E la Fenech?

«Sempre meravigliosa. Nata in Algeria in un paese che si chiama Bona, ora vive a Lis-bona. Cosa vuole di più?».

Rifarebbe quei film?

«Rifarei tutto. Un critico di sinistra mi confidò che andava di nascosto a vederli e piangeva dalla risate. Gli dissi: perché non lo scrivi? E lui: sei matto, poi mi licenziano. I figli di Dino Risi rievocano volentieri tutti i film del padre, tranne “Il commissario Lo Gatto”: perché? Carlo ed Enrico Vanzina invece hanno sempre ricordato che Steno mi diresse in “Dio li fa e poi li accoppia”. Ero un salumiere omosessuale che chiedeva al prete, Johnny Dorelli, di sposarlo con un uomo…». 

C’è invece un film che si pente di aver rifiutato?

«Regalo di Natale. Ero stato travolto dal successo dell’Allenatore nel pallone, tenevo il ritmo di tre film all’anno, stimavo Pupi Avati ma non volevo rinchiudermi nel suo circolo, Cavina Haber Delle Piane… Fu un errore. Ma sono contento di aver fatto la fortuna di Abatantuono».

Ha ragione Favino a lamentare che personaggi italiani siano recitati da stranieri?

«Favino è un attore bravissimo, ha pure origini pugliesi. Però è sempre stato così. Quando un’opera italiana ha successo, la rifanno con attori americani. Vent’anni fa girai con Nino Manfredi un film per la tv, “Difetto di famiglia”: quella volta il gay era Manfredi, e io suo fratello che si vergogna ma alla fine gli dona mezzo fegato e lo salva. Otto milioni di spettatori. Ora lo rifanno in America, con De Niro e Al Pacino. In compenso, una volta ho girato un film in tedesco». 

(...)

Sordi com’era?

«Giravamo “Detenuto in attesa di giudizio”, dovevamo fare tardi per i primi piani, e io avevo il compleanno di mia figlia Rosanna. Gli chiesi se potevo farli prima io. Alberto mi diede un buffetto affettuoso e mi disse: “Beato te, che c’hai una bella famiglia”. Andai al suo funerale, un ammiratore in lacrime mi disse: “Lino, ce saremo pure pe’ te”. Ma vaff…». 

Dicono fosse avaro.

«Non è vero. Sordi non era avaro; Sordi aveva il senso dell’importanza del denaro, che è una cosa del tutto diversa. Se noi davamo cento lire al mendicante, lui gliene dava mille. Se noi davamo mille lire di mancia al portiere d’albergo, lui gliene dava diecimila. Una volta gli chiesi: perché lo fai? E lui: perché io so’ Alberto Sordi, e da me s’aspettano questo».

Vedo che lei qui in casa ha incorniciato due lettere. Questa è di Federico Fellini.

«Mi chiedeva sempre di raccontargli qualche episodio dell’avanspettacolo, soprattutto delle ballerine…». 

Questa invece è di Papa Francesco: «I nonni sanno essere forti nella sofferenza, e tu sei il nonno di una Nazione intera. Raccogli l’eredità di fede e di bontà di Lucia…».

«Me la scrisse quando morì mia moglie. Abbiamo fatto in tempo a festeggiare i sessant’anni di matrimonio».

Come vi eravate conosciuti?

«Mi avevano espulso dal seminario, avevo saltato l’adolescenza, e cercavo una fidanzata. Così noto questa ragazza, carina, molto timida, che fa la rammendatrice. La fermo: “Signorì, te devo parlare…”». 

E lei cosa rispose?

«“Che vvuoi? Vattinne!”. Per fortuna ho insistito: le devo tutto. La sua famiglia non mi voleva; così facemmo la fuitina. Ci sposammo alle sei del mattino, in sacrestia. Un freddo tremendo. Il testimone tardava, e il prete si innervosì: “Sbrighiamoci, che dopo ho un matrimonio!”. Ci rimasi malissimo: padre, e il nostro cos’è? Così promisi a mia moglie che un giorno avrebbe avuto una festa da principi. E ho mantenuto». 

Come ha fatto?

«Per le nozze d’oro diedi un ricevimento all’hotel Parco dei Principi. Volevo un principe vero, e mi dissero: ci sarebbe il principe Giovannelli, viene a tutte le feste. Lo invitai. Venne. Con Mara Venier, Nancy Brilli, Scarpati, Arbore…».

Perché deve tutto a sua moglie?

«Andammo a Roma sul camion della verdura di mio cugino: devo ancora pagarlo adesso. Era nata Rosanna. Non avevamo una lira, solo debiti coi cravattari. All’asilo mi dicevano: la bambina deve mangiare la carne, se no diventa rachitica. Questa parola — rachitica — mi rigira ancora dentro. Così andai dal senatore Iannuzzi».

Chi?

«Il senatore di Canosa. Mi trovò un posto da fattorino in banca, con la prospettiva di essere promosso usciere. Basta con l’avanspettacolo, da domani si lavora seriamente. Non ci dormii tutta la notte. All’alba Lucia mi disse: “Tu oggi non vai. Non voglio vivere con un uomo infelice. Tu devi fare l’attore. E io sarò sempre al tuo fianco” (Lino Banfi si commuove). Fino all’ultimo giorno l’ho baciata, l’ho chiamata amore, e l’ho amata veramente. Abbiamo anche concordato un segnale, un fischio, per riconoscerci nell’altra vita, tra tante anime». 

In questa foto lei bacia pure il Papa…

«Sì, l’ultima volta ci siamo baciati sulla guancia. Mi era già capitato con Wojtyla e con Ratzinger, ma quelli erano baci appena accennati. Stavolta ho sentito davvero la guancia del Papa. Siamo due vecchi coetanei che quando si incontrano si sorridono, come due bambini che hanno combinato una marachella».

Lei è un uomo di successo, le hanno dato un premio al festival di Venezia, su Tik-Tok ha fatto un milione di clic in un giorno, però…

«Però ho sempre un velo di malinconia, è vero. Sto preparando un film sulla mia vita, lo chiamo il largometraggio. C’è una scena in cui dialogo con mio padre, ovviamente mio padre sono io. Lui teneva molto all’eleganza, portava un borsalino che si toglieva per salutare i signori. Lo penso con il pizzetto e gli occhiali. Nel frattempo ha preso tre lauree. E il cappello non se lo leva più». 

Come immagina l’aldilà?

«Spero abbia ragione Dino Verde, l’umorista, che diceva: il Padreterno parla napoletano, lingua universale. San Pietro parla romanaccio. La Madonna invece è veneta: “Comandi…”. Poi c’è uno che racconta barzellette e fa ridere tutti, e quando Dio gli chiede “chi sei?”, risponde: “Sono Antonio, ma voi chiamatemi Totò”».

Bellissima. Ma dico davvero: come immagina l’aldilà?

«Un posto tranquillo e accogliente, perché così Lucia me lo sta preparando».

Lei mi fa ridere e piangere insieme.

«Ci ho messo quasi novant’anni; ma alla fine ce l’ho fatta».

Estratto dell'articolo di Paolo Graldi per “il Messaggero” il 22 giugno 2023.

Berlusconi lo conosceva bene?

«Una grande amicizia: sentirò la mancanza della telefonata che mi faceva da quarant'anni, tutti gli anni, ogni 11 luglio: "Ciao vecchio, come stai?". Quando mi scritturò all'inizio degli Anni 80 per fare Risatissima, lui ci teneva che io lo sfottessi perchè funzionava: la gente rideva. Io dicevo "quest'uomo quando sono andato a trovarlo a Mileno, credevo che era tre metri e mezzo, invece era un uomo normale anzi più basso di me con delle recchie tipo elefante". Più dicevo queste cose, più lui veniva in camerino: "Lino picchia, va bene: la gente ride!"». 

Una grande autoironia.

«Pensavano che lui fosse permaloso. Non è vero. Gli rimasi impresso più degli altri per i racconti della mia vita da migrante. Diventammo amici perché cantavamo nella stessa tonalità le canzoni francesi; ma soprattutto quando raccontai quello che dicevo alle ballerine negli spettacoli - "Guardate Sordi, Manfredi, Gassman ma io un giorno ci lavorerò con questi, io farò i film, io firmerò gli autografi, io comprerò le bistecche..." - loro mi guardavano come fossi matto. Mi raccontò che era accaduto anche a lui quando diceva che voleva costruire Milano 2.

Tre-quattro giorni dopo l'attacco con la statuetta andai al San Raffaele di Milano a salutarlo. Il fratello Paolo mi fece entrare ma combinai un guaio: io volevo farlo ridere, ma lui non poteva: "Porca puttena Silvio, che ti hanno fatto? Altro che corpo contro un dente ma questo è contro quattro denti". Lui non poteva ridere aveva paura che si aprissero i punti». 

Una vita di attore, il suo bilancio?

«Delusioni 35 per cento, gioie acquisite 65 per cento. Ho dovuto aprirmi una strada che non c'era, inventarmi un linguaggio inizialmente esasperato e poi piano piano smussato.

Io dovevo riuscire a creare un genere e oggi rifarei tutto quello che ho fatto». 

C'è una frase nella tua infanzia che ancora ti accompagna?

«"Ti spezzo la noce del capocollo", che diceva mio zio Michele. Mi ricordo che quando qualcuno litigava, andavamo da lui a lamentarci e lui: "Portamelo qua, ci spezzo la noce del capocollo". 

Pensa cosa ho trovato nel mio moviolone dei ricordi: quando c'era la guerra dovevamo scappare ai ricoveri. E mio nonno: "Pasqualino, ricordati i pupi". Io avevo costruito due piccoli pupazzi, Orlando e Rinaldo, li portavo nel ricovero e facevo ridere i bambini della mia età. Era il mio compito già da allora. E fra di loro i pupi si dicevano "ti spezzo la noce del capocollo"». 

Come definiresti la sua carriera dall'inizio ai nostri giorni?

«Nazionalpopolare, un termine che mi piace. Però da questo a diventare amico di tre papi non me l'aspettavo. È stato molto più grande di me quello che ho avuto». 

Qual è il segreto di un successo solido?

«Durante tutta la mia carriera ho saputo sempre cedere la mia sedia, ad esempio al vecchio generico che sta lì a prendere freddo in piedi. Questo altruismo dentro di me l'ho sempre avuto». 

Che cosa decide il successo di un film?

«Gli agenti allora dicevano "il marciapiede è caldo". Nei cinema usciva il film e la prima giornata più gente entrava più il marciapiede era caldo. Quello che rimane di tanti film che ho fatto io è il linguaggio assimilato da tre generazioni. Questo è il compenso oltre all'incasso del film». 

C'è stato un maestro nella sua vita?

«Ho saputo rubacchiare poco a ognuno dei vari grandi quando li vedevo lavorare. Allora tutti volevamo diventare Sordi, io sono riuscito ora perchè sono sordo al 30 per cento... Totò mi suggerì di modificare il diminutivo del cognome Zaga da Zagaria - non portava bene. L'amministratore della compagnia era anche un maestro elementare in una scuola di Roma, aprì il registro il primo cognome era Banfi. Scrivemmo sulla locandina Lino Banfi». 

Che cos'è il dolore per lei?

«È una cosa talmente forte che comincia quasi con un odio verso tutti e poi invece stranamente in certi momenti il dolore diventa quasi una carezza. Delle sere, solo davanti alla tv, automaticamente dico una frase girando la testa verso destra, verso la poltrona che adesso è vuota, pensando che mia moglie sia ancora lì. Poi in un attimo capisco. Allora lascio la parola a metà. Però quella è quasi una gioia che provo in quel momento. Quindi il dolore provoca anche rilassamento, sorriso, insomma è una strana sensazione che non si può spiegare».

Il sentimento nel quale ti riconosci di più?

«L'altruismo». 

Che cosa apprezzi di più nel prossimo?

«La sincerità : chi viene da 60 anni di lavoro come me del palcoscenico diventa una vecchia puttena, come direbbe Banfi papele papele, è difficile prendermi in giro». 

Che cosa detesta di più negli altri?

«Quando una brava persona diventa per alcuni il fesso della situazione». 

Che cos'è l'applauso del pubblico?

«L'applauso quando è forte vuol dire che ti vogliono bene. Addirittura adesso si alzano in piedi, si commuovono e mi chiamano maestro». 

Che cosa significa questo amore del pubblico?

«Significa che io ho saputo costruire insieme a mia moglie che è stata definita poi dal Papa "la luce" perché dice "a che serve che voi attori sapete recitare bene se non avete una bella luce in faccia". Io e mia moglie abbiamo messo i mattoncini uno vicino all'altro con cemento armato di prima qualità». 

La parola più bella.

«Amore, che nessuno usa più. Con mia moglie ci chiamavamo così. Vorrei insegnare ai giovani ad usare la parola amore».

(…)

Estratto dell'articolo di Carlo Testa per corriere.it il 22 febbraio 2023.

È morta Lucia Zagaria, 85 anni, moglie di Lino Banfi. La donna era malata di Alzheimer da lungo tempo. A darne l’annuncio è stata la figlia Rosanna, con un lungo post su Instagram condividendo sul social una foto da giovane della mamma in bianco e nero mentre mangia un gelato: «Ciao Mami, ora sei di nuovo così. Buon viaggio».

La figlia aveva più volte parlato della malattia della mamma. Ospite a Verissimo, lo scorso gennaio, aveva detto: «Da un po’ di anni, mamma non sta bene e sente sempre il bisogno di papà vicino. Lo cerca sempre e questo viene prima di tutto il resto, prima di qualunque altra cosa: la salute e l’unione familiare». [...]

Il matrimonio

Lucia Zagaria era sposata con l’attore pugliese dal 1962 e dal loro matrimonio era nati due figli, Rosanna e Walter. Lino Banfi è sempre rimasto accanto alla moglie durante tutto il periodo della malattia e in una intervista aveva raccontato. «Lucia ha sempre fatto un po’ più di confusione e mi dice "Oddio dobbiamo morire tutti"? Io voglio talmente bene a questa donna che le ho detto "Lucia, guarda, la maggior parte della gente che muore sono uomini quindi non ti preoccupare, alle donne tocca dopo a voi"».

[...]

La lettera di Banfi a Papa Francesco

Banfi, sempre ospite a Verissimo, aveva ricordato di quando sua moglie durante la pandemia gli aveva chiesto: «Lino, ma non possiamo trovare il sistema di morire insieme noi due? Perché se muori prima tu io non ce la faccio». [...]

Per questa ragione l’attore pugliese aveva scritto una lettera a papa Francesco: «Ho chiesto al Santo Padre - aveva detto alla moglie Lucia - quello che mi hai chiesto di chiedere precisamente. Gli ho raccontato il tuo desiderio, quello di andarcene insieme, nello stesso momento, tenendoci per mano come abbiamo fatto sempre nella nostra vita». Una richiesta difficile anche per il Papa che ha comunque risposto a Banfi: «Il Papa mi ha detto che non ha il potere di farci andare, anche se io e te non potremmo vivere senza l’altro, lui pregherà per noi».

Lino Banfi e la moglie Lucia: «Mi mandava i soldi quando non ne avevo: avrei voluto morire insieme a lei». Renato Franco su il Corriere della Sera il 23 Febbraio 2023

L’attore aveva ripercorso così in un’intervista a «7» la lunga storia d’amore con la moglie Lucia Lagrasta, morta mercoledì: «Ci sposammo alle sei di mattina in una sagrestia. La cerimonia durò poco. Eravamo soli»

Quasi 61 anni di matrimonio più 10 di fidanzamento. Difficile trovare al mondo una coppia più unita e longeva. Un filo lunghissimo che affonda le radici all’inizio degli anni Cinquanta e che si è spezzato per sempre. A 85 anni è morte Lucia Lagrasta, la moglie di Lino Banfi. L’annuncio l’ha dato la figlia Rosanna con un post su Instagram («Ciao mami, ora sei di nuovo così. Buon viaggio») accompagnato da una foto in bianco e nero della madre sorridente con in mano un gelato. Malata da tempo (aveva l’Alzheimer) ha lasciato da solo l’attore (86 anni) che ha attraversato diverse epoche cinematografiche e televisive raccontando le passioni degli italiani: il sesso (con le commedie scollacciate degli anni 70/80), il calcio (con il cult L’allenatore nel pallone) e la famiglia (con i buoni sentimenti di Nonno Libero nel Medico in famiglia).

Quella tra Lucia Lagrasta e Lino Banfi è stata una storia unica, che lui aveva ripercorso nei dettagli qualche tempo fa in una lunga intervista a 7: «A 17 anni decisi di seguire una compagnia teatrale. Lucia rimase a Canosa. Ogni tanto ci scambiavamo una lettera. Lei mi mandava qualche soldo. Era parrucchiera e io avevo sempre bisogno di quattrini. A Milano facevo una vita miserabile. Dormivo nei treni fermi in stazione coprendomi con un cartone. Mi feci pure togliere le tonsille per poter trascorrere qualche giorno in ospedale con pasti caldi gratis».

Lui cercava fortuna mentre lei aspettava e mandava il denaro. Sapeva già però che — come diceva lui — le voleva bene e così decise di organizzare con suo padre una missione diplomatica per chiedere Lucia in moglie. Il papà di lei però non ne vuole sapere e li respinge con perdite. Questo matrimonio non s’ha da fare. La soluzione è il classico escamotage che è stato un format molto praticato al sud: la fuitina («scappammo su una macchina presa in affitto»). Una fuga di due giorni che rende il matrimonio obbligatorio: «Il 1º marzo 1962 ci sposammo. Alle sei di mattina in una sagrestia. La cerimonia durò poco. Eravamo soli. All’uscita promisi a Lucia che, se Dio ci avesse dato tempo e felicità, un giorno avrei festeggiato degnamente il nostro amore. E così è stato. Nel 2012 abbiamo celebrato le nozze d’oro, benedetti da Papa Ratzinger e circondati da amici celebri».

Appena sposato però Lino Banfi era ancora Pasquale Zagaria (il suo vero nome), un attore senza film. Sbocchi non se ne vedono, così trova una raccomandazione per un colloquio per un posto fisso in banca. È il bivio, il palcoscenico o lo sportello? «Quel lavoro non l’ho mai cominciato. La notte prima del colloquio io e Lucia restammo svegli fino alle tre di notte. Sentendomi rassegnato, lei mi prese la mano e disse: "Non mi va di avere accanto un marito triste con un lavoro che non vuole fare. Continua il tuo percorso d’artista!". Non è stato facile sentirselo dire da una donna che aveva passato tutto quel che aveva passato». Il resto è una storia di successo (il suo), ma anche di amore (il loro) perché la coppia resiste a tutto, anche alle tentazioni che set come quelli con Edwige Fenech e Barbara Bouchet potevano offrire. Sempre insieme per 70 anni. Due figli, Rosanna, attrice, e Walter, regista e produttore.

Gli ultimi anni sono faticosi, avanza l’età e avanza anche la malattia. Lo scorso luglio Lino Banfi aveva scritto una lettera a papa Francesco per chiedergli di esaudire l’ultimo desiderio della moglie: «Gli ho raccontato il tuo desiderio, quello di andarcene insieme, nello stesso momento, tenendoci per mano come abbiamo fatto sempre nella nostra vita. Francesco mi ha detto che non ha il potere di farci andare, anche se io e te non potremmo vivere senza l’altro, lui pregherà per noi». La paura più grande di sua moglie era quella di non riconoscerlo più, ma lui la rassicurava come si fa nei film: «È semplice: ci ripresenteremo un’altra volta».

Estratto dell’articolo di Clarida Salvatori per corriere.it il 23 Febbraio 2023.

Un momento emozionante. Toccante. Inatteso. Dopo la benedizione del feretro di Lucia Lagrasta, arriva una lettera. È da parte di Papa Francesco: «Porgo le mie condoglianze a tutta la famiglia - le parole che provengono dal pulpito -. I nonni sanno essere forti anche nella sofferenza. E tu sei nonno di una nazione intera».

 L’applauso commuove Lino, Rossana e i presenti tutti nella parrocchia di Sant’Ippolito. «Ero da poco stato in udienza da lui, ma non mi aspettavo questo pensiero. Lucia è diventata più famosa di me - è riuscito a dire l’attore, visibilmente provato alla fine della cerimonia -. Ora per me scattano i tempi supplementari e i rigori. Avrei voluto morire con lei».

 Stamattina a Roma, nella parrocchia di Sant’Ippolito in viale delle Province, c'è stato l'addio a Lucia Lagrasta, moglie di Lino Banfi, che a 85 anni si è spenta dopo una lunga malattia. Il feretro, una bara di legno chiaro, è arrivato nella chiesa del quartiere universitario romano circondato da cuscini di rose rosse e bianche.

Tante le persone che hanno partecipato alle celebrazioni, accolte dalla figlia Rosanna. «Se ne è andato il pilastro della famiglia - ha detto - era molto discreta, sempre in secondo fila, ma ora sarà difficile senza di lei. Grazie per l’affetto che ci state dimostrando. Tutta la città si è stretta intorno a noi. Non ce lo aspettavamo». Tra i primi ad arrivare anche l’attore Giulio Scarpati, la presentatrice Milly Carlucci, Mara Venier e il produttore Pietro Innocenzi. Tra la folla di romani anche gli ex ministri del governo Conte Luigi Di Maio e Vincenzo Spadafora e l'attore Paolo Conticini.

 «Lucia è ancora in mezzo a noi. Non la vediamo ma è qui - sono queste le prime parole del cardinale Francesco Coccopalmiero, amico della coppia, che ha celebrato la messa con il parroco don Manlio Asta, che poi si rivolge direttamente a Lino -. A te che amavi tanto la tua Lucia, che eri unito a lei da tantissimi anni, fin da quando eravate piccoli. Abbiamo percorso una parte della vostra vita insieme e oggi vi esprimiamo tutto il nostro dolore». Poi rivolto anche alla figlia Rosanna: «La domanda angosciosa di oggi è: dov’è Lucia? La rivedremo? Saremo ancora con lei? La risposta non può venire da noi. Le anime dei giusti, come quella di Lucia, sono nelle mani di Dio».

(...)

Da ilsussidiario.net il 23 Febbraio 2023.

Lucia Zagaria ha sempre sostenuto la carriera del marito: “Se non fosse stato per lei avrei abbandonato la carriera di attore. Mi disse: ‘Preferisco che tu sia povero ma felice, piuttosto che ricco e infelice’. E il suo ottimismo mi ha portato fortuna. Io, invece, vedo sempre il bicchiere vuoto e rotto. E se non lavoro, mi deprimo’’, aveva raccontato Lino Banfi a Verissimo. 

Estratto dell'articolo di Paolo Giordano per ilgiornale.it il 23 Febbraio 2023.

Se ne è andata per la seconda volta, Lucia, ma adesso è per sempre. «Lino, ma non possiamo trovare il sistema per morire insieme, noi due? Perché se muori prima tu io non ce la faccio» aveva chiesto Lucia Lagrasta in Zagaria pochi anni fa, durante la pandemia, a suo marito Lino Zagaria detto Banfi. Poco tempo dopo lui ha scritto una lettera al Papa in cui confessava di aver chiesto a Dio, come ultimo desiderio, di morire nello stesso momento della moglie «tenendoci per mano come abbiamo fatto sempre nella nostra vita».

Non è stato possibile e ieri Lucia Zagaria, quasi 85 anni, è mancata al Campus Bio Medico di Roma, dove da anni era in cura, pare, per una forma progressiva e implacabile di Alzheimer (i funerali oggi alle 12 nella Parrocchia di Sant'Ippolito). La figlia Rosanna ha pubblicato una foto in bianco e nero della mamma con in mano un gelato: «Ciao mami, ora sei di nuovo così, buon viaggio». L'ondata di affetto popolare, espresso dai social ma non solo, è stata subito gigantesca ma non solo perché Lino Banfi è senza dubbio uno dei volti italiani più popolari. È stata una reazione così commossa soprattutto perché i signori Banfi rappresenta(va)no un ideale praticamente irraggiungibile.

 Erano probabilmente la coppia più longeva dello spettacolo italiano, hanno attraversato decenni insieme e sono rimasti sempre, inequivocabilmente, magnificamente lontani da pettegolezzi morbosi, scandaletti, schermaglie, piazzate televisive. Lei era nata nell'aprile del 1938 a Canosa di Puglia e conobbe il quindicenne Pasqualino Zagaria quando aveva tredici anni. Da allora sempre insieme. Quasi dieci anni di fidanzamento e poi il matrimonio nel marzo del 1962, dal quale sono arrivati due figli e due nipoti. Erano insieme quando lui cercava, passo dopo passo, porta sbattuta dopo porta sbattuta, a fare il passo più lungo della gamba, passare dalla Puglia degli anni Cinquanta al palcoscenico dei teatri o ai set del cinema.

Già ora è una carriera difficile. Ma allora era praticamente un terno al lotto. Banfi ha raccontato di quando cadde in mano agli usurai, di quando viveva a Milano alla stazione dei treni oppure nelle case in costruzione. Insomma, una gavetta come si deve. Si chiamava Lino Zaga allora, era il suo nome d'arte e anche alla moglie piaceva. Fu poi Totò a convincerlo a trasformare Zaga in Banfi perché, superstizioso com'era, pensava che portasse bene accorciare i nomi di persona ma portasse molto male accorciare i cognomi. Da allora Lino Banfi ha attraversato la storia dello spettacolo italiano rimanendo legato a un'unica donna che non si è mai mostrata, che non ha mai richiamato attenzioni pur essendo anch'ella un'attrice.

Non ha detto nulla neanche quando suo marito recitava con le donne più sexy e desiderate del tempo, da Edvige Fenech a Nadia Cassini a Barbara Bouchet, che erano più svestite che vestite. Lino Banfi, come pochi altri nella storia dello spettacolo, non si è mai separato, è rimasto sempre e comunque il simbolo del pater familias affidabile e fedele, costi quel che costi. Perciò la commozione di tutti ieri, quando si è saputo che era morta.

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Si sposarono all’alba in gran segreto, poi insieme fino all’ultimo. Lino Banfi e la lunga storia d’amore con la moglie Lucia, uniti anche nella malattia: “Non potevamo vivere l’uno senza l’altro”. Elena Del Mastro su Il Riformista il 23 Febbraio 2023

La storia d’amore tra Lino Banfi e Lucia Zagaria è lunga oltre 70 anni, una vita intera in cui i due si sono sempre tenuti mano nella mano, nella buona e nella cattiva sorte come negli ultimi anni in cui lei ha sofferto per l’Alzheimer. Un amore che li ha visti sempre uniti finchè lei si è spenta a 85 anni, lasciando per la prima volta lui solo a 86 anni. La loro storia d’amore è iniziata negli anni ’50 quando i due erano poco più che ragazzini con tanti sogni nel cassetto. Poi quei sogni sono diventati realtà, una favola bella di una vita passata insieme.

L’annuncio l’ha dato la figlia Rosanna con un post su Instagram: “Ciao mami, ora sei di nuovo così. Buon viaggio”, ha scritto con una foto in bianco e nero della mamma sorridente con in mano un gelato. Il Corriere della Sera ha ripercorso le tappe di quell’amore indissolubile con le parole di una vecchia intervista rilasciata da Banfi a 7. “A 17 anni decisi di seguire una compagnia teatrale. Lucia rimase a Canosa. Ogni tanto ci scambiavamo una lettera. Lei mi mandava qualche soldo. Era parrucchiera e io avevo sempre bisogno di quattrini. A Milano facevo una vita miserabile. Dormivo nei treni fermi in stazione coprendomi con un cartone. Mi feci pure togliere le tonsille per poter trascorrere qualche giorno in ospedale con pasti caldi gratis”, ha raccontato.

Si volevano bene e lui a un certo punto cercò il coraggio per chiedere la mano di Lucia a suo padre. Ma lui gliela negò e così misero in atto il piano che all’epoca era un grande classico per le giovani coppie: una fuga d’amore che poi rese obbligatorio il matrimonio. Lui lo ha raccontato così: “Il 1º marzo 1962 ci sposammo. Alle sei di mattina in una sagrestia. La cerimonia durò poco. Eravamo soli. All’uscita promisi a Lucia che, se Dio ci avesse dato tempo e felicità, un giorno avrei festeggiato degnamente il nostro amore. E così è stato. Nel 2012 abbiamo celebrato le nozze d’oro, benedetti da Papa Ratzinger e circondati da amici celebri”.

Appena sposato Banfi era ancora un attore senza ingaggi e così fece un colloquio per un posto fisso in banca. “Quel lavoro non l’ho mai cominciato. La notte prima del colloquio io e Lucia restammo svegli fino alle tre di notte. Sentendomi rassegnato, lei mi prese la mano e disse: ‘Non mi va di avere accanto un marito triste con un lavoro che non vuole fare. Continua il tuo percorso d’artista!’. Non è stato facile sentirselo dire da una donna che aveva passato tutto quel che aveva passato”. Ed è stata quella probabilmente la spinta definitiva verso il successo. Sempre insieme per 70 anni. Due figli, Rosanna, attrice, e Walter, regista e produttore.

Per la coppia gli ultimi anni sono stati difficili nell’affrontare la malattia ma nulla li ha separati mai. Al Corriere Banfi ha confidato che durante la malattia la paura più grande di sua moglie era quella di non riconoscerlo più. Lui con tutto l’amore del mondo l’aveva rassicurata dicendole: “È semplice: ci ripresenteremo un’altra volta”. L’attore scrisse una lettera a Papa Francesco che stringe il cuore riportando gli ultimi desideri di sua moglie: “Gli ho raccontato il tuo desiderio, quello di andarcene insieme, nello stesso momento, tenendoci per mano come abbiamo fatto sempre nella nostra vita. Francesco mi ha detto che non ha il potere di farci andare, anche se io e te non potremmo vivere senza l’altro, lui pregherà per noi”.

Elena Del Mastro. Laureata in Filosofia, classe 1990, è appassionata di politica e tecnologia. È innamorata di Napoli di cui cerca di raccontare le mille sfaccettature, raccontando le storie delle persone, cercando di rimanere distante dagli stereotipi.

Linus e Carlotta Medas, l’incontro galeotto nel 1987: «Ma il primo bacio solo dopo che mi separai». Elvira Serra su Il Corriere della Sera il 9 aprile 2023.

Il direttore di Radio Deejay: «Lei a 16 anni con le amiche mi faceva la claque». Lei: «In certi momenti gli ho controllato il cellulare, ma lo abbiamo fatto entrambi». Lui: «Due maratone di New York insieme, per dispetto non si è nemmeno allenata»

Chi di voi ha più paia di scarpe?

Carlotta: «Ça va sans dire, Linus! Ha anche l’armadio più grande».

Linus: «Ma solo perché i miei vestiti sono più voluminosi. Comunque, io di scarpe ne ho tante. Non è che faccia il collezionista, molte me le regalano per la corsa. Però sono a numero chiuso: ci sono otto mensole da 4 posti, per ogni paio che entra un paio esce; devono restare 32».

Carlotta: «A me resta spazio libero, e le mie mensole sono più corte...».

Linus e Carlotta Medas si stuzzicano con botte e risposte in cucina, sotto gli occhi del gatto Marino e della cagnolina Bruna dipinti dal padrone di casa, mentre Ilde, la labrador in carica, russa nella stanza accanto. I due figli di 26 e 19 anni, Filippo e Michele, dopo aver abbandonato il nido sono tornati «moltiplicandosi» con le fidanzate e Carlotta, cuoca professionista certificata, ha dovuto mettere accanto alla porta di ingresso una lavagnetta con gli smile-calamite per sapere chi c’è ogni giorno a cena e organizzarsi con la spesa. Marito e moglie sono teneri e diversi: lo stesso bicchier d’acqua per uno sarà sempre mezzo vuoto, per l’altra mezzo pieno.

Carlotta non si è fatta contagiare dalla corsa?

Carlotta: «No, anzi, a me stimola qualcosa di contrario alle endorfine: se corro, divento isterica».

Linus: «Però abbiamo fatto due maratone di New York insieme, nel 2005 e nel 2006. Per dispetto lei non si è nemmeno allenata: io andavo piano e lei pianissimo, io pianissimo e lei camminava, io camminavo e lei stava ferma...».

È vero che Linus è partito per una maratona a New York due settimane dopo la nascita di Michele, nel 2003?

Carlotta: «Se è per questo è andato a vedersi una partita della Juve dopo che era nato il primogenito, e io ero ancora ricoverata all’ospedale!».

Linus: «Ma che dici! Intanto per la nascita di Filippo mi sono perso la finale di Champions vinta contro l’Ajax. E poi l’altra partita era un’amichevole a Cesena, che dovevo fare? Stare a casa a Riccione a piangere mentre ti aspettavo? La verità è che la nostra relazione funziona perché non abbiamo nulla in comune».

Carlotta: «Dai, non è vero. nei viaggi funzioniamo benissimo. Io e te insieme vinceremmo Pechino Express».

Linus e Carlotta Medas si sono sposati il 17 giugno del 2001

Difetto e pregio di Linus.

Carlotta: «Uno solo?».

Cominciamo...

Carlotta: «È permaloso».

Linus: «Non è vero!».

Carlotta: «E insoddisfatto».

Linus: «Eternamente insoddisfatto: è la mia condanna, ma anche la mia virtù».

Carlotta: «E va be’, sarà anche la tua virtù, ma non la nostra. L’essere sempre insoddisfatto di sé lo porta avanti, ma quando hai delle persone di fianco le fai sentire come se fossi insoddisfatto anche di loro».

Ora scegliamo due pregi.

Linus: «Bello in modo assurdo».

Carlotta: «A me piaci. E poi sei sexy. Ma questi sono giudizi soggettivi. Posso invece dire che Linus è una persona molto corretta, buona, generosa, protettiva, affidabile. Io sono figlia di un militare e queste caratteristiche le apprezzo molto».

Linus: «In effetti sono la riedizione di suo padre... L’affidabilità è sottovalutata, oggi, come se fosse qualcosa da sfigati. Invece anche io l’apprezzo molto nei miei amici».

Linus con Carlotta Medas

Quali sono i pregi e i difetti di Carlotta?

«Pregio principale: è un’anima pura, a differenza mia che sono un’anima scura. Sfiora quasi l’ingenuità: ha conservato il candore di quando l’ho conosciuta».

E il difetto?

«Può essere parente di quell’adolescenza infinita che si porta dietro».

È un’ottima cuoca.

Linus: «Ed è una dote che tutti le riconosciamo e che ci fa sentire dei privilegiati. Ma quando si era appena trasferita da me a Milano, era come se avessi adottato un velociraptor: ogni giorno rompeva qualcosa. Una volta mi disse: vorrei prepararti la trota salmonata, ma non so come si salmona la trota...».

Oggi, invece, cosa prepara?

Carlotta: «Gli preparo le cose che gli faceva la madre: pasta con i cavolfiori, pasta con le patate, pasta con i ceci, pasta con i fagiolini... Per il pollo con i peperoni, però, l’ho fregato: gli avevo detto che era una ricetta messicana, invece lo avevo visto preparare da Orietta Berti in tv».

Gelosia: come la vivete?

Linus: «Io negli Anni ‘80 ero un teen idol totalmente inconsapevole. Facevo le serate in discoteca e andavo via con la sicurezza che mi sollevava di peso, circondato da ragazzine. L’unica di quella generazione che non mi ha mai visto con quegli occhi era lei».

Carlotta: «La gelosia giustificata non è gelosia, diventa rabbia. Ma a prescindere da questo, io non gli ho mai rotto le scatole, non lo opprimo».

Controlla il suo cellulare?

«Ci sono momenti in cui l’ho fatto, perché magari tra di noi le cose non andavano bene. Ma lo abbiamo fatto entrambi. Ora non lo guardo più, seguo gli indizi: sto prendendo un attestato da criminologa...».

Linus e Carlotta con i figli Filippo, a destra, e Michele, a sinistra

Quando vi siete conosciuti Carlotta aveva 16 anni e Linus doveva compierne 30.

Linus: «Era il 1987, il primo anno che facevamo Deejay Television dall’Aquafan di Riccione. Stavo per sposarmi, il matrimonio purtroppo sarebbe durato solo quattro anni. In tv hai bisogno della claque per le telepromozioni e Carlotta era stata scelta con le sue amiche: erano adorabili, non c’era nessuna malizia tra noi».

Carlotta: «Io avevo il suo autografo nel diario Naj-Oleari, lo conservo ancora».

E il primo bacio?

Linus: «Molti anni dopo, giugno 1992, a San Marino: era una delle primissime volte che uscivamo. Poi abbiamo avuto un gatto e lo abbiamo chiamato Marino: agli altri raccontavamo che era perché arrivava dal mare».

Meglio Linus o Simon Le Bon?

Linus: «Non lo chieda!».

Carlotta: «Mi sono messa con lui per conoscere Simon! Il 2 maggio andrò con tre mie storiche amiche a Londra per vedere i Duran Duran. Se penso al primo concerto, a 16 anni a Milano... Arrivammo in treno e venendo a San Siro pensai: “Che fortunati quelli che vivono qui, possono sentire gratis tutti i concerti!”. Ora ci vivo io qui».

Dopo, grazie a Linus, i Duran Duran li ha incontrati.

«Sì, due volte. Una a Radio Deejay, l’altra a un concerto, quando Linus procurò a me, a un mio amico e a Filippo i pass per il backstage. Ho chiacchierato con tutti. Poi Simon durante lo show ha chiesto in inglese: “Dov’è Filippo?”, e gli ha dedicato una canzone. Comunque a me piace di più John Taylor».

La vostra città del cuore?

Linus: «Firenze. Abbiamo cominciato a frequentarci quando lei studiava architettura lì. Partivo da Milano a mezzogiorno, non appena finivo il programma, e ripartivo il mattino dopo alle 5. Non risco ad andarci senza ricordarmi di quel periodo».

Carlotta, chiudiamo con la Porsche: l’ha mai guidata?

«Una volta, qui dietro casa. Ma io ho una specializzazione ad “arrotondare” le macchine e avevo paura di farlo anche con questa. Se devo dire la verità, è una macchina che non mi piace tanto: un bellissimo oggetto, per carità, ma è scomoda. Una volta siamo andati in Costa Azzurra e quando sono scesa sembravo un gatto attaccato alle tende...».

Estratto dell'intervista di Andrea Scarpa per “il Messaggero” il 23 dicembre 2022.

(...) 

 Claudio Cecchetto?

«A cosa serve vivere di rancori?».

Il 2023 per lei è un anno particolare anche per motivi privati, giusto?

«Il prossimo anno compirò 66 anni, la stessa età che aveva mia madre quando se ne andò. Era del 1923 e queste coincidenze mi mettono l'ansia... Io ho il suo stesso carattere. Tendo al cupo e al solitario come lei». 

E da solo ci sa stare?

«No. Cerco la solitudine, ma se mia moglie va a trovare i suoi per un weekend, da solo non riesco a guardare neanche la tv. Mi deprimo tantissimo». 

Il futuro come lo vede?

«Detesto la parola futuro. È una truffa. Le cose ormai cambiano in maniera velocissima. Ora penso solo a quello che farò dopo l'estate 2023». 

E cosa farà?

«Sono ossessionato dal Milan degli immortali di Sacchi, composto da grandissimi campioni che poi sono invecchiati tutti insieme, di botto. In radio temo la stessa cosa.

Vorrei fare degli inserimenti, ma non è facile trovare i nuovi Fabio Volo, La Pina o Nicola Savino». 

È mai stato sul punto di lasciare tutto? Lavora nella stessa azienda da 38 anni...

«Sì. Prima del 94 volevo puntare sulla tv, come tanti altri, ma poi sono diventato direttore e non ho più avuto il tempo di pensarci». 

Ha comprato il regalo di Natale a Elkann, che dal 2020 è il nuovo proprietario della radio?

«Non abbiamo quel livello di confidenza». 

Un tifoso juventino come lei, dopo le ultime turbolenze, diciamo così, gli ha mandato un wapp di solidarietà?

«Sì. Gli ho scritto dicendogli che sono a disposizione per dare una mano a migliorare l'immagine della Juve. Gratis, ovviamente. Ho sempre sofferto l'idea di arroganza che trasmette la Juve. Andrea Agnelli ha fatto bene fino a un certo punto poi si è avvitato». 

Elkann cosa le ha risposto?

«Magari». 

La sua azienda anni fa le promise una Ferrari in regalo se fosse arrivato a sei milioni di ascoltatori al giorno, ma lei non ce la fece, vero?

«Vero. Mi fermai a 5 milioni 980 mila. Niente Ferrari».

E ora ha una Porsche Targa?

«Sì. Ho fatto anch' io questa stupidaggine. È un'auto che, la vita non fa sconti, mi sono permesso non avendo più il fisico. Si guida quasi da sdraiati e per uscire devo rotolare perché non posso neanche aggrapparmi al tettuccio, che è di tela. Diciamo che è come comprarsi un quadro. La uso ogni tanto». 

Vent' anni fa fece il remix del monologo Accetta il consiglio, quello del film The Big Kahuna con Kevin Spacey e Danny DeVito. In pratica, un lungo elenco di suggerimenti e considerazioni esistenziali. Tipo quello che dice: Goditi il tuo corpo. Usalo in tutti i modi che puoi, senza paura e senza temere quel che pensa la gente. A parte la corsa e la bici si è dato da fare?

«Per niente». 

Quante donne ha avuto?

«Se sono state dieci in tutta la mia vita è un miracolo. Con la prima moglie sono stato undici anni, fino al 92, e subito dopo mi sono messo con Carlotta, la seconda. Con le donne sono sempre stato un po' imbranato. Ero così anche negli Anni Ottanta, periodo di cui non ho un buon ricordo». 

Perché?

«Forse perché si divertivano tutti e io no: bisognava vivere la notte, fare cazzate, drogarsi». 

Droghe, le ha provate?

«Certo. Come faccio a essere della mia generazione e non averle provate?». 

Tutte quelle che andavano in quegli anni?

«Tranne l'eroina, sì. Dopo una serata in discoteca faceva parte del gioco. Dopo il cachet c'era anche il regalino. Mai preso il vizio, però». 

Da anni, dopo aver fatto il consigliere del sindaco Sala a Milano, si parla di un suo impegno in politica: ci siamo?

«Non dico che non mi piacerebbe, penso che potrei anche fare bene, ma non credo di averne i requisiti. È come presentare il Festival di Sanremo». 

Che vuol dire?

«Sarei capace di presentarlo e sarei un ottimo direttore artistico ma non ho quella credibilità popolare che ha Amadeus. Lui è un uomo Rai1, perfetto per quel mondo lì, io no»..

A proposito di Sanremo, fra i big c'è Lazza: saprebbe cantarmi una sua canzone?

«No. So chi è, però. Ma non mi faccia fare la figura del vecchio, su...». 

E una di Lda.

«So chi è, il figlio di Gigetto (Gigi D'Alessio, ndr)». 

E di Mara Sattei?

«La sorella di Tha Supreme. Quando è venuta da me a Deejay chiama Italia poi si è lamentata sui social perché le ho chiesto del fratello. Mi ha dato del maleducato». 

Chi vince il Festival?

«Ultimo. Mi incuriosisce Chiara Ferragni, è una macchina da guerra». 

In The Big Kahuna si dice di buttare gli estratti conto: i suoi con la nuova proprietà sono migliorati?

«Il mio compenso è lo stesso da dieci anni. Ed è più di quello che mi serve».

Quanto in un anno? Con sei zeri?

«Almeno sei zero, certo. Me lo merito, anche se da qualche anno non me ne frega più niente dei soldi».

 Quindi se le chiedo quanti ne ha in banca non lo sa?

«Non ne ho la minima idea. Poi con tutto quello che è successo in borsa negli ultimi anni...». 

Preoccupato?

«Per niente. Mi dispiace solo che la vita sia così breve. Vorrei avere il doppio del tempo

Maria Elena Barnabi per Gente il 26 novembre 2022.

«Quando a ottobre ho sentito la notizia dello schianto sulla A4 del furgone dell’associazione Centro 21 onlus di Riccione (i sei occupanti sono tutti morti, ndr) ho fatto una cosa che mi ricorderò per sempre», racconta Linus. «Ho subito mandato un messaggio al mio amico Massimo Pironi: lui era il presidente di quella onlus che si occupa di ragazzi con la sindrome di Down, e mi avrebbe detto tutto. Non mi ha risposto. Dopo ho saputo che dentro quel van c’era anche lui. Quel messaggio è ancora lì senza risposta». 

Linus dice tutto questo guardandomi dritto in faccia con quei suoi occhi chiari, ma io distolgo lo sguardo perché un po’ mi commuovo. Una cosa così è successa anche a me, forse a tutti: credere vivo un amico che invece era già morto. E in quel momento capisco perché Linus, che fa radio da quasi cinquant’anni, rimane una delle voci più ascoltate d’Italia: perché ti racconta cose che sono anche tue. 

Siamo nel suo ufficio all’ultimo piano di via Massena a Milano, dove ci sono gli storici studi di Radio Deejay, ma anche quelli di Radio Capital e Radio m2o, cioè del polo radiofonico del gruppo Gedi, di cui Pasquale Di Molfetta (il vero nome di Linus), 65 anni, è direttore editoriale. Di origini pugliesi, nato a Foligno ma cresciuto nell’hinterland milanese, Linus è senza dubbio oggi una delle figure più di spicco della radio italiana. Ha iniziato negli Anni 70 mentre faceva l’operaio («La fame aiuta», dice lui), nel 1984 è entrato a Radio Deejay e ne ha assunto la direzione un decennio dopo.

Da 31 anni va in diretta tutte le mattine con il suo programma Deejay Chiama Italia e decide il futuro dei suoi speaker, da Fabio Volo ad Alessandro Cattelan, da La Pina al Trio Medusa. La scusa per vederci è la festa di Natale di Radio Deejay (sarà l’1 dicembre al Fabrique di Milano): l’incasso dei biglietti, andati a ruba in meno di tre minuti, sarà devoluto all’associazione Centro 21 onlus di Riccione. 

Linus, cominciamo dall’inizio: hai detto che dei tuoi anni di operaio ti ricordi il freddo.

«Negli Anni 70 il freddo era vero, tangibile, mettevo la calzamaglia sotto i jeans. Ma era anche un freddo dentro, che non passava. Non volevo continuare a fare l’operaio, ma il mondo delle radio era così precario. Ero sempre senza soldi. Per dire: per andare negli studi di una piccola radio di Bollate, siccome non avevo l’auto, rubavo le biciclette». 

Poi ti è arrivata la chiamata di Claudio Cecchetto: Radio Deejay ti voleva. E hai svoltato.

«Avevo detto alla mia fidanzata che dopo le vacanze avrei mollato la radio e mi sarei trovato un lavoro vero. E invece...».

E invece hai iniziato una carriera  lunghissima. Molti dei tuoi ex colleghi  ora sono star televisive. Non hai mai pensato che al posto di Amadeus a Sanremo ci potresti essere tu?

«Se la mia carriera avesse avuto un altro percorso... Invece sono qui e ho fatto altre cose: io non ho quella credibilità nazionalpopolare che serve per la Tv che fa lui». 

Amadeus era così già da ragazzo?

«Sì, è sempre stato più “vecchio” della sua età anagrafica. Gli è sempre piaciuto porsi in modo rassicurante. È nato per fare Raiuno. È stato bravo e determinato. Sa che cosa sa fare e cosa no». 

E per quelle che non sa fare, chiama Fiorello.

«E per farlo bisogna avere pazienza perché Fiorello ti toglie l’anima. È veramente il tipico artista: umorale, imprevedibile, super sensibile. Un giorno ti dice sì, l’altro no. Stargli dietro è un lavoro e Amadeus è stato una goccia cinese». 

L’altro ex ragazzo magnifico di Radio Deejay è Gerry Scotti.

«Gerry è il più bravo di tutti noi. Ha quel guizzo di follia, quell’esuberanza e quel carisma che lo rendono unico. Ma sa anche essere molto scorbutico. Poteva lanciarsi di più, credo. Ha fatto una carriera bellissima, ha guadagnato tanti soldi». 

E si dice che per Gerry Scotti i soldi siano importanti…

«Lo dice sempre lui stesso. E noi scherziamo tantissimo di quella volta che nel 1985 andammo a Lecce per fare una serata in discoteca a Pasqua. L’aereo era carissimo, il treno ci metteva troppo, e allora Gerry mi disse: “Andiamo in auto, ma non con la mia che è a benzina e consuma. Prendiamo quella di tuo fratello, che è diesel”. E così usammo la Golf di Alberto e Gerry guidò come un pazzo. Ma io dico: puoi andare in auto fino a Lecce?». 

Ti mancano quegli anni?

«Degli Anni 80 non mi manca niente. C’era qualcosa che non andava, che mi rendeva inquieto. Preferisco gli Anni 90: ero più sicuro di me». 

Quest’anno Radio Deejay ha fatto 40 anni. E tu?

«Ad aprile saranno 47 di radio. Ho iniziato nel 1976». 

Chi è il tuo erede?

«Non so neppure se c’è. Un giorno arriverà uno più bravo di me». 

Cos’hai di speciale? Perché ti ascoltiamo tutte le mattine da trent’anni?

«Perché sono un rompiscatole, e per primo con me stesso. Ho una buona memoria e una grande curiosità che mi porta a informarmi di tutto. Se però mi rendo conto che non ho dato il massimo, rimango di umore pessimo per tutta la giornata. E poi ho la fortuna di lavorare con Nicola». 

Nicola Savino, il tuo partner in radio da ventisei anni.

«Io da solo valgo 8, in coppia con lui 10. Io faccio il perfettino e poi lui arriva e mette a nudo le mie manie e le mie debolezze. Mi fa diventare più simpatico». 

Tu antipatico? Giammai. Sono calunnie!

«Ma infatti. Sono la persona più buona del mondo». 

Però sei tagliente.

«Questo è un vanto, l’ho preso da mia mamma: è una cosa tipica dei pugliesi, non ti fanno passare niente senza un piccolo commento acido. Sono così anche con mia moglie Carlotta (hanno due figli, Filippo, 26 anni, e Michele, 19, ndr): a volte sembriamo Sandra e Raimondo». 

Nel 2023 ti scade il contratto. Poi?

«Tra un anno saremo seduti a decidere. Troveremo sicuramente un accordo». 

Contano molto i soldi?

«Per me niente. Per quello ne guadagno tanti. Non ho mai fatto questioni di soldi con nessuno». 

L’ipotesi di buttarti in politica come sindaco di Milano?

«Pura fantapolitica. Una boutade». 

Beh, bisognerà trovarti qualcosa da fare se l’anno prossimo non ti rinnovano il contratto.

«Ho imparato che non bisogna mai fare progetti. Il futuro è una parola che non esiste. Il futuro è oggi». 

Oggi il tempo è bello. Sei venuto in Porsche?

«Esattamente. Se era brutto, mica la tiravo fuori dal garage. Si rovina».

Linus: «Mio fratello Albertino? Sono contento che ora abbia la sua radio. Non dimentico il freddo di quando facevo l’operaio». Elvira Serra su Il Corriere della Sera il 15 Ottobre 2022

Il direttore artistico di Radio Deejay. «Mio figlio Michi sarà il miglior dj dei prossimi vent’anni». L’addio ai microfoni: «Non ho ancora firmato il rinnovo». Gli ospiti in radio: «Kobe Bryant mi disse che era un mio fan. Fonzie di Happy Days creò il caos in radio» 

Chi la chiama Linuccio?

«Mio fratello e mia sorella. E un pochino il mio migliore amico, Jager. Anche io mi chiamo Linuccio quando parlo con me stesso».

Chi la chiama Pasquale?

«Quelli che pretendono di essere in confidenza con me, ma non mi conoscono, altrimenti saprebbero che neppure mia madre mi chiamava così».

E sua moglie Carlotta?

«Lei Linusc , con la esse romagnola».

Pasquale Di Molfetta detto Linus compie 65 anni il 30 ottobre e ne dimostra dieci di meno. Figlio di Michele, artigiano che costruiva e vendeva cornici porta a porta, e di Maria, casalinga pragmatica di Canosa di Puglia (come il marito), fa radio dal 1976. Direttore storico di Radio Deejay (dal 1994), oggi guida il polo radiofonico del gruppo Gedi.

Se le dico casa?

«Ho trascorso metà della mia vita a Paderno Dugnano, dove ci siamo trasferiti quando avevo due anni e mezzo, l’altra metà a Milano. Mi sento milanese. Spesso mi esprimo in automatico con frasi come “Va a ciapà i ratt”...».

Il primo ricordo di Milano?

«Ero un bambino asmatico e i miei genitori mi ci portavano per le cure. Venivo in treno con mamma o in Lambretta con papà: stavo in piedi davanti, mentre lui guidava, fumava e mi spiegava quello che vedevamo. Ho queste visioni di Milano molto luminosa, molto bianca, compresi i marmi della Stazione Centrale! Ricordo strade larghe, tanta luce, tanta gente».

È più andato da Sgaramella, il bar dove suo padre la trascinava quando giocava a carte?

«Ci passo davanti ogni tanto. Andare a Paderno Dugnano significa tre cose: trovare mia sorella, che sta ancora lì, i miei al cimitero o prelevare Jager per un giro in bici. Sgaramella è sempre lì, ha cambiato nome cento volte».

Ai tempi suo padre aveva 45 anni, e le sembrava già anziano. Che effetto le fa, oggi?

«Continuo a fare paragoni. Io somiglio molto a mia mamma, come carattere e nei lineamenti. Lei è morta a 66 anni ed era nata nel ‘23. Io nel ‘23 avrò 66 anni. Questa simmetria di numeri al contrario mi inquieta».

Ha mai fatto un regalo simbolico ai suoi?

«Loro andavano poco in vacanza. Un po’ perché non se lo potevano permettere, un po’ perché mia madre non la smuovevi. Poi ho affittato una casa in montagna per un anno, e lei c’è andata un mese d’estate. Credo si sentisse come la moglie di Kennedy».

Ha fatto in tempo a vedere il suo successo?

«Il successo sì, nel 1984 facevo già Deejay Television. Se n’è andata nell’89 e non ha fatto in tempo a vedere nessuno dei nipoti. Ma è riuscita a vedere me e mia sorella sposati: per lei era un gran traguardo».

Un’immagine che le fa ancora tenerezza?

«Un martedì mattina mio padre ci chiama dicendo che stava male, il giovedì mattina è mancata. In ospedale non era più la mamma poco affettuosa cui eravamo abituati. A un certo punto mi chiede di andare a casa sua e controllare sotto il materasso dov’era il suo borsellino: dentro c’erano 30 milioni di lire. Le loro finanze erano sempre state precarie, ma lei era riuscita a risparmiare negli ultimi anni di nuovo benessere, privandosi di chissà quali cose».

Lei si spende molto per Milano. Penso solo alla Deejay Ten, che organizza dal 2005. Le piacerebbe diventare sindaco?

«Mi piacerebbe nel senso che a me piace gestire le cose e quello del sindaco, alla fine, è un lavoro gestionale, si è un po’ spogliato delle valenze politiche. Gestire le cose vuol dire gestire le persone, che è quello che faccio a Radio Deejay dalla fine del ‘94. Dunque sarebbe divertente, mia madre sarebbe contenta».

Chi è il sindaco che le è piaciuto di più?

«Dal punto di vista dell’apertura culturale Milano è cambiata con Pisapia. Poi ho rivalutato la Moratti: l’ho conosciuta meglio ed è una persona molto capace e di spessore. Ma la rivoluzione l’ha fatta Beppe Sala».

Un difetto di Milano?

«Oggi la creatività viene vissuta come coniugazione di business, moda e design. Ma così è lontana dalle persone. Noi siamo stati la città di Leonardo da Vinci, caspita! Ora invece siamo la città di Armani, al quale non mancherei mai di rispetto, ma lui per primo prenderebbe le distanze da questo paragone».

Ha un legame fortissimo con Riccione, città di sua moglie e appendice estiva di Radio Deejay. Il sindaco lo farebbe lì o a Milano?

«Meglio Milano: Riccione è troppo piccola e avresti sempre davanti un elettore che ti rinfaccia quel che stai o non stai facendo!».

Fa la radio da quasi 50 anni. «Fino a quando» vuole continuare, per citare il suo libro?

«La gente è convinta che lo abbia scritto come provocazione, ma è un pensiero che mi accompagna tutto il giorno. Le cose belle prima o poi devono finire e non voglio che succeda a sfumare. Nel 2023 mi scade il contratto: mi hanno già proposto un rinnovo di 5 anni, ma non ho ancora firmato. Comunque non è detto che ci arrivi al 2023, no?».

Se togliamo Radio Deejay, chi è Linus?

«Non credo di essere molto diverso da chi ero prima di diventare famoso. Sono una persona che ha bisogno di sentirsi benvoluta».

Dei «Ragazzi di via Massena» molti hanno sfondato in tv. Ha un rammarico?

«Sarei bugiardo se dicessi che non ho quel tipo di rammarico. Ma non perché la tv sia più bella della radio: è che a volte ho un po’ di frustrazione nel percepire il mondo radiofonico come se fosse di Serie B».

Un ricordo di quando faceva l’operaio, tagliando e incollando grandi fogli di kevlar?

«Il freddo terrificante. Lavoravamo in un capannone, d’inverno ero costretto a indossare calzamaglia, jeans, quattro maglioni uno sopra l’altro. Avevo 18-19 anni e il mio sogno era avere un lavoro qualunque nel quale potermi vestire come un ragazzo della mia età».

La Porsche quando è arrivata?

«Tardi, mi ha incoraggiato Nicola Savino , a me imbarazzava. La prima l’ho comprata 5-6 anni fa, il colore più discreto possibile, coupé normale. L’ho rivenduta con seimila chilometri. Ora ho una Porsche Targa, quella che volevo davvero. Quando facevo le superiori a Cesano Maderno c’era un tale con un Carrera Targa arancione che mi sembrava venisse da Marte».

Perché la usa così poco?

«Per me è come aver comparto un’opera d’arte. Mi obbligo a usarla una volta alla settimana per venire alla radio: 4 chilometri ad andare e 4 a tornare. Non la uso nemmeno per andare a Riccione, poi diventa scomoda».

Parliamo di Carlotta. Quando l’ha conosciuta aveva 16 anni. Vi siete messi insieme cinque anni dopo. È una storia romantica.

«Sì, è vero. Mi chiedo ancora cosa abbia trovato in me: non potremmo essere più diversi. Lei era così carina, io veramente uno sfigato».

Che cosa è per lei?

«Il mio equilibratore. Ho un’inclinazione alla cupezza che ho preso da mia mamma. Ho bisogno di stare con la gente. Carlotta è socievole, solare, positiva e mi compensa».

I figli vivono ancora con voi?

«Fino a qualche mese fa Michele, il piccolo, viveva a Madrid, dove faceva il liceo, e Filippo, il grande, a Milano con altri due amici. Filo a breve dovrebbe trasferirsi a Roma per lavoro e così ha deciso di tornare con noi. Lo stesso Michi. Così io e mia moglie ci siamo ritrovati tutti in casa: in certi momenti è complicato».

Nessuno ha seguito le orme del padre?

«Michi diventerà il più bravo dj dei prossimi 20 anni. Con lui l’accordo è che comunque deve fare l’università e un percorso convenzionale: di fianco può fare quello che vuole».

E se le dicesse che vuole lavorare a Rtl?

«Gli chiederei se è impazzito! Per adesso sta imparando il mestiere da m2o, con mio fratello Albertino, che è il direttore artistico».

Com’è fare il capo del proprio fratello?

«La cosa più complicata del mondo... Sono contento che adesso abbia la sua radio. Io, come suo direttore editoriale, lo guardo e lo lascio fare. Prima avevo spesso l’atteggiamento del fratello maggiore che rompe le scatole».

L’ospite che l’ha emozionata di più?

«Peter Gabriel, per fascino e umanità».

Quello che ha agitato di più la palazzina?

«Henry Winkler: Fonzie di Happy Days. Sono venuti da tutti i piani per foto e autografo».

L’intervista più bella?

«A Kobe Bryant, per la sua capacità di essere sia uomo di spettacolo che persona molto semplice. Quando è venuto da noi, una decina di anni fa ed era già famoso, si ricordava di me: a 15 anni era in Italia e mi guardava a Deejay Television. È stato un ribaltamento dei ruoli bizzarro ed emozionante».

Farebbe il giudice a «X Factor»?

«No, perché non mi piace questa spettacolarizzazione del giudizio. Il programma è fantastico, ma non ritengo di essere così esperto da dire tu vai bene o non vai bene. Semmai sono in grado di dire con buona approssimazione se una canzone sarà un successo o no».

Chi è il cantante più grande di tutti i tempi?

«Elvis». 

Se le dico dipingere?

«Meglio: disegnare. Ho avuto ospite Zerocalcare e lo invidio. Fa quello che avrei sempre voluto fare. Startene nella tua stanza con la radio accesa e disegnare per me significava il paradiso, il lavoro più bello del mondo».

E se chiedessimo a Linuccio di disegnare la sua famiglia, cosa farebbe?

«Disegnerebbe qualcosa tipo il Quarto Stato di Pellizza da Volpeda, con tanta gente, perché la mia famiglia è molto allargata, non riesco a pensare solo a noi quattro. Mi piace pensare che lì dietro ci sono le famiglie di ognuno di noi e poi le loro famiglie e poi gli amici di quando ero piccolo. E così via...».

Estratto dell’articolo di Erica Manna per “la Repubblica” il 14 gennaio 2023.

È stato proprio quello che ha vissuto nel mondo dello spettacolo a spingerla a «diventare femminista»: perché «mi sono resa conto che era necessario: reagire, combattere. Diventare portatrice di un certo pensiero». Lisa Galantini […]

[…] «Avevo avuto l'opportunità di essere protagonista in televisione, senza spintarelle, superando il provino: la serie era La nuova squadra, io interpretavo la vicequestore Paola Ricci. È in quella occasione che ho ricevuto da una persona delle avance che non me la sono sentita di accettare».

Chi era?

«Preferisco non dirlo. La sua reazione al mio rifiuto fu sarcastica. E in quel momento la mia vita è cambiata: per anni non ho più lavorato in tv. E se già oggi è difficile farsi credere, all'epoca il Me Too non esisteva proprio: era la tua parola contro la mia. In un lavoro come il nostro, poi, così effimero, è facile trovare giustificazioni per farti fuori: non eri giusta per la parte, o non hai funzionato […]».

Quali? Cosa fece?

«Era caduto il governo Prodi. Tornato Berlusconi, non piaceva la rappresentazione che la fiction dava della Polizia. Volevano un'immagine più forte: un capo maschio, single. Al mio posto, dunque, hanno chiamato Marco Giallini: un grandissimo professionista, peraltro. Oggi queste ragioni non sarebbero più plausibili. Ma io avrei comunque potuto continuare a recitare nella serie. Invece, dopo quel rifiuto, ero isolata: fatta fuori». […] «Ho passato un momento di grande dolore, rabbia. Così, ho scritto una lettera a un ex direttore Rai per raccontare il fatto. Non ho mai ricevuto una risposta». […]

Barbara Costa per Dagospia il 3 giugno 2023.

È scappata dalla guerra in Ucraina un anno fa. Era l’aprile 2022. E oggi è Oscar del Porno quale Miglior Pornostar Internazionale. Non pensate male: nessun pietismo, buonismo, sete d’ingraziarsi qualcuno o alcunché. Il porno dei salamelecchi se ne imp*pa. Sono estranei al suo DNA. E per il porno la porno attrice numero Uno Internazionale 2023 è… Little Dragon, ucraina, (si chiama Sharon?), 28 anni, nata e cresciuta e fino all’invasione russa residente a Odessa.

Little Dragon non è stata premiata per la sua disgraziata situazione in patria, bensì per come quel suo c*lo delizioso, quei suoi seni stuzzicosi, quelle sue gambe tornite si sono dimenati sui set porno europei negli ultimi mesi, benché la rossa ucraina fosse nient’altro che una novellina (è nel porno professionale solo da metà 2021). E questa fulva fanciulla a fare porno non ci pensava affatto. Lei era una ragazza come tante, e una frana a scuola, ma che all’università si è rifatta, laureandosi tecnico di laboratorio a pieni voti.

Portando a spasso curve simili,  Little Dragon, prima e dopo la laurea, ha sfilato in 15 concorsi di bellezza, dentro e fuori l’Ucraina, non ne ha vinto nemmeno uno, e ha partecipato a due piccoli reality tv. È come modella di nudo che ha rimediato la prima fama (e grana) ed è posando nuda per "Playboy" che ha stretto amicizia con due fari del porno, la russa performer Jia Lissa, ma di più con Julia Grandi, una autorità del porno europeo – è a capo di "JulModels", eccelsa agenzia di porno star – e nome di punta del porno americano – Grandi è regista by "Vixen", brand porno che detta legge, in ogni sua ramificazione. 

Quando Little Dragon ha rotto col fidanzato con cui conviveva (è lui quello che le ha fatto odiare il sesso anale perché non glielo sapeva fare?) ha rincontrato Julia Grandi a un party, mettendola al corrente delle sue nuove intenzioni: “Voglio provare col porno”, le ha detto Little Dragon, “voglio fare una doppia penetrazione!”. Julia Grandi le ha quietato i bollenti propositi. Alle novizie scene di tal sorta non si fanno fare. Ma quale novizia…??? Mica è vero che Little Dragon era del tutto digiuna di porno. La ragazza a 20 anni ne ha fatti un paio, di porno, inezie, insomma, io non vorrei sbagliare, ma mi pare sia lei la mora e senza quei ritocchi al viso ai provini per alcuni hard "Woodman Casting X" francesi.

Superato le scetticismo della Grandi, girate le scene e compreso alla svelta come il porno si muove e funziona, Little Dragon ha girato poco altro – lesbo, ma anche anale (nel porno sanno come non farle male, tutt’altro!) e duetti con pornodivi quali Manuel Ferrara e il nostro Christian Clay – e solo porno di alta qualità e solo per studios importanti. Facendosi notare. Tanto oltreoceano. Quando Putin ha invaso l’Ucraina, Little Dragon era a pornare a Praga. Non è rientrata in patria. Ha preso due biglietti per gli USA, per lei e per la sua gatta Freya. 

Negli USA si è lanciata. La sua determinazione l’ha ripagata. Ora, con un Oscar di tal grido in tasca, Little Dragon è ricercatissima. Ha superato il casting di "Deeper", e il suo corpo si intreccia e orgasma con quelli di attrici ultra-affermate. Little Dragon cerca di non pensare a quel che succede nella sua Ucraina. Impossibile ignorarlo – ha lì la madre e la sorella – ma è super concentrata sui suoi obiettivi. Altro non può fare. Non dipende certo da lei. Riconosce ed è grata agli Stati Uniti per come l’hanno accolta e per quanto le permettono di fare e guadagnare. Una carriera reale, internazionale, nel porno te la fai se in America riesci a sfondare. 

Devi ergerti sulle produzioni statunitensi. La nostra Valentina Nappi ha ottenuto il suo Oscar per Best Scena di Gruppo Trans con un porno made in USA. È dal 2020, dallo scoppio della pandemia, che non porna sul suolo americano. Ma vi è rientrata. È reduce da mesi di intenso lavoro in porno terra USA (e godetevela, e proprio con Little Dragon, in "Tart", di fresca uscita, per i tipi di "Slayed"). Incrociamo le dita e cominciamo a tifare. Con Vale Nappi ritornata lì a sudare, gli Oscar del Porno 2024 – e le statuette più pesanti! – potrebbero tingersi di tricolore.

Dagospia mercoledì 2 agosto 2023. Diana Dasrath e Tim Stelloh - nbcnews.com mercoledì 2 agosto 2023.

Tre ex ballerini di Lizzo hanno e di aver creato un ambiente di lavoro ostile. Sostengono anche di aver fatto pressioni su uno di loro per toccare un artista nudo in un club di Amsterdam e di aver sottoposto il gruppo a un'audizione "straziante" dopo aver mosso false accuse secondo cui stavano bevendo sul posto di lavoro. 

I ballerini hanno accusato Lizzo - un'artista nota per abbracciare la positività del corpo e celebrare il suo fisico - di richiamare l'attenzione sull'aumento di peso di un ballerino e successivamente rimproverare, quindi licenziare, quel ballerino dopo aver registrato un incontro a causa di una condizione di salute.

La causa, depositata presso la Corte Superiore di Los Angeles e fornita a NBC News dallo studio legale dei querelanti, accusa anche la responsabile della squadra di ballo di Lizzo, Shirlene Quigley,  di fare proselitismo con altri artisti e deridere coloro che hanno avuto rapporti prematrimoniali condividendo fantasie sessuali oscene, simulando sesso orale e discutendo pubblicamente della verginità di uno dei querelanti. 

La causa nomina Lizzo, il cui vero nome è Melissa Viviane Jefferson, la sua società di produzione e Quigley come imputati. Oltre alle accuse di ambiente di lavoro ostile e molestie sessuali, la causa porta denunce per molestie religiose e razziali, falsa detenzione, interferenza con potenziali vantaggi economici e altre accuse.

"Il modo come Lizzo e il suo team hanno trattato i loro artisti sembra andare contro tutto ciò che Lizzo rappresenta pubblicamente, mentre in privato fa vergognare i suoi ballerini e li umilia in modi non solo illegali ma assolutamente demoralizzanti", ha detto l’avvocato Zambrano in una dichiarazione. 

Il viaggio allo strip club di Amsterdam, Bananenbar, è avvenuto dopo un'esibizione in città all'inizio di quest'anno. La causa afferma che gli afterparties di Lizzo erano di routine e non obbligatori, ma sostiene che coloro che vi partecipavano erano favoriti dal cantante e avevano una maggiore sicurezza sul lavoro.

Al club, Lizzo avrebbe "iniziato a invitare i membri del cast a toccare a turno le performer nude, afferrando dildo lanciati dalle vagine delle performer e mangiando banane che sporgevano dalle loro vagine", dice la causa. "Lizzo ha quindi iniziato a fare pressioni su una ballerina affinché toccasse il seno di una delle donne nude". 

Una settimana dopo, dopo uno spettacolo a Parigi, Lizzo ha invitato i suoi ballerini in un club in modo che "potessero imparare qualcosa o essere ispirati dallo spettacolo". "Ciò che Lizzo non ha menzionato quando ha invitato i ballerini a questa esibizione è che si trattava di un cabaret bar per nudisti".

Nel frattempo, Lizzo continua a ispirare i fan. In una recente clip circolata sui social media, si può vedere la cantante raccontare a una giovane donna che partecipa a un concerto in Australia quanto sia bella e speciale e come "potrebbe essere la più grande ballerina del mondo". 

Lizzo denunciata dalle sue ballerine per molestie. Andrea Pascoli su La Repubblica il 2 Agosto 2023 

La cantante è stata accusata di creare un ambiente di lavoro “ostile”, inclusi episodi di body shaming e razzismo da Arianna Davis, Crystal Williams e Noelle Rodriguez, parte della sua crew 

Molestie sessuali e ambiente di lavoro ostile: questa le accuse ricevute dalla popstar Lizzo da parte di tre ballerine del suo corpo di ballo. Comportamenti “sessualmente denigratori” e “pressing a partecipare a inquietanti spettacoli di sesso” quanto si legge nella denuncia depositata alla Corte Suprema della Contea di Los Angeles da Arianna Davis, Crystal Williams e Noelle Rodriguez, parte della crew della cantante trentacinquenne nel periodo 2021-2023. 

Le querelanti hanno accusato la popstar, vero nome Melissa Viviane Jefferson, di aver violato il Fair Employment and Housing Act (FEHA) della California non garantendo un’adeguata protezione da molestie, aggressioni e discriminazioni. Nello specifico durante uno show tenuto in un nightclub di Amsterdam Lizzo avrebbe fatto pressioni per coinvolgere in atteggiamenti disdicevoli con alcuni performer le ballerine, che avrebbero acconsentito per paura di ripercussioni sulle loro carriere. A ciò si aggiungono inoltre accuse di molestie religiose, razziali e pure “body shaming”. Da sempre icona della “body positivity”, Lizzo è infatti accusata assieme alla sua coreografa Tanisha Scott di aver fatto commenti a Davis circa la sua forma fisica dopo uno show, commenti che “hanno dato a Ms. Davis l’impressione di dover giustificare il suo aumento di peso e rivelare dettagli personali sulla sua vita al fine di mantenere il suo lavoro”. 

“Come Lizzo e il suo management hanno trattato il suo team sembra andare contro tutto ciò che la popstar rappresenta pubblicamente” le parole di Ron Zambrano, avvocato delle ballerine, “In privato umilia i suoi performer in modi che non solo sono illegali, ma assolutamente demoralizzanti”. Dalla diretta interessata e dai suoi rappresentanti, per il momento, ancora nessun commento, ma il popolo social sta già provvedendo a chiederle pubblicamente spiegazioni.

Estratto dell'articolo di Sofia Mattioli per “la Stampa” il 2 marzo 2023.

Un inno all'amore per se stessi formato XL, il messaggio arriva a caratteri cubitali. Speciale. La supereroina del pop Lizzo, 4 Grammy e una trasformazione in superwoman con un costume nel video che accompagna il brano, stasera porta al Mediolanum Forum la sua miscela vincente. […] «La canzone che dà il titolo all'album è per me la più importante - dice Lizzo - mi aiuta, il mondo può essere così crudele».

 La genesi del testo? «Avevo avuto una brutta giornata e sui social continuavo a vedere cose che non mi piacevano, ho scritto così una canzone che mi ricordasse quanto fossi speciale e amata anche quando sono triste. Il brano è un reminder per tutti, non sei mai solo. Sei amato e speciale. Se nessuno te l'ha detto oggi sei speciale».

Il fenomeno Lizzo, al secolo Melissa Viviane Jefferson, ha dimensioni titaniche[…] «Voglio dedicare questo premio a Prince - ha detto ritirando il Grammy -. Quando è scomparso ho deciso di dedicare la mia vita a fare musica, musica positiva. Pensavo: non importa se la mia allegria vi disturba. Era un momento in cui la musica ispirata a messaggi motivazionali e positivi non era mainstream. Non mi sentivo per niente capita ma sono stata coerente con me stessa perché volevo rendere il mondo un posto migliore ma dovevo essere io quel cambiamento».

«[…] Ho sofferto su di me i peggiori insulti e so di cosa parlo quando canto "sei speciale". Nessuno si deve sentire male solo perché è obeso, troppo magro o ha un fisico che non rispetta i canoni della normalità. Tutti siamo speciali e non ci sono difetti di cui vergognarsi, ma pregi di cui prendersi cura. Sento che il mio compito è quello di urlarlo al mondo».

 […] «Instagram, lo sappiamo tutti, è la app delle immagini... Mi piace molto scattare foto del mio culo e postarle, ora sono anche tornata su Twitter. Non mi interessa nient'altro, non penso agli hater, sono diventata più brava a leggere commenti negativi perché in realtà sono stupidi. […]»

Estratto dell'articolo di Lisa Robinson per “Vanity Fair” il 29 gennaio 2023.

Melissa Viviane Jefferson, nata 34 anni fa a Detroit, si è trasferita a Houston quando aveva nove anni – «più campagna che città», mi racconta – ed è cresciuta in una famiglia in cui la madre amava la musica gospel e il padre ascoltava Elton John e Billy Joel.

 Ha ricevuto una formazione classica ed è forse la flautista più importante della musica pop dopo Ian Anderson dei Jethro Tull. Il suo successo è arrivato dopo dieci anni di lavoro, lotte e insicurezze. Le sue canzoni, orecchiabili e costantemente in vetta alle classifiche, sono state definite edificanti e positive, sicuramente ballabili: i suoi singoli Truth Hurts, Good as Hell, About Damn Time saranno suonati per molto tempo nelle discoteche.

Il musicista-produttore Nile Rodgers, leggenda della discomusic, afferma: «La musica è più di un semplice intrattenimento; la gente cerca le energie per affrontare la giornata e le trova in una colonna sonora di grandi canzoni. Lizzo è un’artista straordinaria che con le sue canzoni ha reso migliori gli ultimi tre anni. Con quelle e con il suo atteggiamento, sta dimostrando al mondo che tutto è possibile».

Le parole di Mark Ronson, cantante, musicista e produttore, premio Oscar per la migliore canzone con Shallow, coautore con Lizzo di Break Up Twice per Special, non sono da meno: «Sapevo che Lizzo era una grande autrice e un’interprete fenomenale, ma non ero consapevole di quanto profonda fosse la sua musicalità. L’ampiezza della sua gamma e delle sue influenze è impressionante».

A scuola è stata vittima di bullismo e si è sempre sentita «diversa», anche se non sa se in meglio o in peggio. Mentre i compagni di scuola si fissavano sul rap – che anche lei adorava, soprattutto quello di Houston – Lizzo si apriva alla musica rock, in particolare ai Radiohead. «Era una scuola di neri», racconta, «per lo più neri, ma anche marroni, caraibici, avevo amici nigeriani... Ascoltavano quello che passava la radio: Usher, Destiny’s Child, Ludacris. Io andavo matta per OK Computer dei Radiohead. Lo tenevo nascosto, anche quando facevo parte di una rock band, perché non volevo essere presa in giro dai miei coetanei: mi avrebbero urlato “Ragazza bianca!”. Inoltre, indossavo quei pantaloni a zampa d’elefante con dei ricami e mi dicevano: “Sembri una ragazza bianca, perché vuoi sembrare una hippie?”. Quello che volevo in realtà era essere accettata, l’isolamento fa davvero male».

E aggiunge: «Il mio meccanismo di difesa era l’umorismo. Sono diventata il clown della classe, esibivo una sicurezza che non avevo. Ho quella tipica ansia sociale, per cui più sono stressata più divento forte e divertente». «Non sapevo che sapesse cantare», dice la madre, «ma ha sempre avuto una voce molto definita e potente. E sapevo che avrebbe usato la sua voce per qualcosa». Dopo il successo della figlia, il loro ottimo rapporto si è addirittura rafforzato. «Parliamo al telefono tutti i giorni», confida la madre, «anche se non mi preoccupo per lei, perché è cresciuta con sani valori. Credo che la famiglia ti aiuti a rimanere con i piedi per terra, a ricordare il tuo vero scopo».

 Oltre al rapporto con la famiglia c’è quello con i social media, che vede Lizzo relazionarsi con oltre 25 milioni di follower su TikTok e quasi 13 milioni su Instagram. [...]

Quando le domando se si è stancata di tutti i discorsi sulla «body positivity», mi risponde che no [...] «Si sta domandando che cosa succederebbe se perdessi peso? La mia musica e il mio peso sono così intrinsecamente legati che se dovessi perdere peso, perderei fan o autorevolezza? Non m’interessa! Ho uno stile di vita molto sano: mentalmente, spiritualmente, cerco di mantenere pulito tutto ciò che metto nel mio corpo. La salute è una priorità, ovunque mi porti fisicamente. Non sono vegana per perdere peso, semplicemente mi sento meglio quando mangio vegetali. Ma», ammette, «proprio quando pensi di aver capito tutto, le cose cambiano di nuovo. Mangio quando sono stressata, a volte fino al punto di non rendermi conto di quanto ho mangiato.

Tutto può essere dannoso, ma in un certo senso questo mi conforta. È sbagliatissimo associare l’aumento di peso alle cose negative che lo causano. Il cibo è una cosa meravigliosa che ci nutre, negativo è lo stress, non i 10 chili in più o in meno. Mi sento molto fortunata perché non considero più l’aumento – e nemmeno la perdita – di peso un male. È neutrale. Il cibo è anche divertente. Mi piace mangiare, ora ho uno chef e non ci penso. Ieri sera ho mangiato un brownie».

Lo Sfogo di Lizzo contro haters e body shaming: "Dovreste pagare ogni commento. Questo corpo è arte"". su La Repubblica l’11 Gennaio 2023.

"Se la gente pagasse per i messaggi che lascia online, forse non perderebbe tutto questo tempo in cose inutili". Inizia così lo sfogo di Lizzo dopo l'ennesima critica lasciata sui social dagli utenti. "Vi rendete conto che gli artisti non sono qui per soddisfare i vostri standard di bellezza ma per fare arte?". Quello della cantante di 2 Be Love è un grido di rabbia contro i leoni da tastiera che si sentono in dovere di giudicare ed etichettare le persone in base a canoni prestabiliti. Lizzo non è nuova a discorsi di questo genere: nell'agosto 2021 era scoppiata in lacrime durante una diretta per le centinaia di insulti ricevuti dopo l'uscita del fortunato singolo "Rumors" (un featuring con Cardi B che aveva ottenuto 10 milioni di visualizzazioni in poche ore). L'oggetto di tanto odio? La forma fisico della cantante.

Beatrice Manca per fanpage.it l’11 Gennaio 2023.

La cantante Lizzo è sempre stata una paladina dell'amore verso se stessi: in moltissime occasioni ha ribadito l'amore per il suo corpo, così lontano dagli stereotipi di bellezza convenzionali, e si è scagliata contro grassofobia e bodyshaming. All'ennesimo commento sul suo peso e sulla sua immagine, però, ha deciso di dire basta: ha postato un video in bikini in cui si dice fiera delle sue curve e si scaglia contro gli hater, che parlano senza pensare alle conseguenze: "Se dovessimo pagare i commenti sui social la gente ci penserebbe prima di scrivere". 

Il messaggio di Lizzo: "Questo corpo è arte"

Lizzo ha pubblicato un lungo video sui social in cui si dice stanca dei discorsi sui corpi: “O mio dio, sei così grassa, devi perdere peso, o mio dio, perché sei dimagrita? Mi piacevi di più prima. Oh mio dio, devi iniziare ad allenarti – dice, ripetendo alcuni dei commenti più frequenti letti sui social media – Ma tutto bene? Vi rendete  conto che gli artisti non sono lì per assecondare i vostri standard di bellezza?”

Lizzo non nasconde la rabbia e la stanchezza per il continuo scrutinio sul suo corpo: "Quanto tempo sprechiamo con queste cose. Possiamo lasciarci tutte queste idiozie alle spalle per favore?". Lizzo conclude con un messaggio di puro amore verso se stessi: "Questo corpo è arte e farò tutto ciò che voglio io con il mio corpo".

 Lizzo si scaglia contro gli hater

Il video, girato su una spiaggia tropicale, ha collezionato un milione di visualizzazioni nel giro di un weekend e ha ricevuto tantissimi commenti di supporto, da Sharon Stone a Lilly Singh. Nella caption del video la cantante ha scritto lapidaria: "Se dovessimo pagare per ogni commento che pubblichiamo sui social le persone inizierebbero a pensare prima di scrivere".

Lizzo si difende dalle accuse di molestie: «Tutto falso, sono devastata». Redazione Spettacoli su Il Corriere della Sera giovedì 3 agosto 2023.

La popstar, paladina della body positivity, da sempre orgogliosa delle sue forme extralarge, è stata citata in giudizio da tre sue ex ballerine. Accusano la cantante e il suo staff di molestie a sfondo sessuale, religioso e razziale, fat shaming, discriminazioni 

Si dice «sconvolta» dalle accuse mossale da tre sue ex ballerine la popstar Lizzo (al secolo Melissa Viviane Jefferson» che, martedì scorso, ha ricevuto notizia dell’azione legale intentata alla Corte Superiore di Los Angeles. Tre ex danzatrici del corpo di ballo della popstar, Arianna Davis, Crystal Williams e Noelle Rodriguez, hanno citato in giudizio Lizzo insieme al suo capitano di ballo e alla sua società di produzione Big Grrrl Big Touring (Bgbt). Le accuse sono molto gravi: molestie sessuali, religiose e razziali, discriminazione, aggressione e falsa detenzione. Tra gli episodi più gravi denunciati, anche alcuni momenti in cui le ballerine sarebbero state costrette a partecipare a spettacoli di sesso e ad interagire in atteggiamenti «hot» con altri ballerini tra il 2021 e il 2023.

In un post su Instagram, Lizzo interviene nella vicenda, dicendosi estranea alle accuse: «Questi ultimi giorni sono stati incredibilmente difficili e incredibilmente deludenti — scrive Lizzo —. La mia etica del lavoro, la morale e il rispetto sono stati messi in discussione. Il mio carattere è stato criticato. Di solito scelgo di non rispondere a false accuse, ma queste sono incredibili come suonano e sono troppo oltraggiose per non essere affrontate. Sono devastata dopo aver sentito queste affermazioni inventate fatte contro di me». Tra le accuse contro Lizzo, il cui vero nome è Melissa Viviane Jefferson, c’è quella di aver «fatto pressioni sulla signora Davis perché toccasse il seno» di un’artista in una discoteca di Amsterdam. La signora Davis, dopo aver resistito, alla fine ha acconsentito «per paura che potesse compromettere il suo futuro nel team» se non l’avesse fatto.

Lizzo attacca le sue accusatrici: «Queste storie sensazionalistiche provengono da ex dipendenti che hanno già ammesso pubblicamente che gli era stato detto che il loro comportamento in tournée era inappropriato e poco professionale» e poi difende il suo lavoro: «Come artista sono sempre stata molto appassionata di quello che faccio. Prendo sul serio la mia musica e le mie esibizioni perché alla fine della giornata voglio solo esprimere la migliore arte che rappresenta me e i miei fan. Con la passione arrivano il duro lavoro e standard elevati. A volte devo prendere decisioni difficili, ma non è mai mia intenzione far sentire qualcuno a disagio o come se non fosse considerato una parte importante della squadra».

Lizzo, sempre in prima linea contro il bodyshaming è anche accusata, insieme alla coreografa di danza Tanisha Scott, di aver fatto vergognare una delle ex ballerine, Arianna Davis, in tournée per un presunto aumento di peso. L’accusa sostiene inoltre che il capitano della squadra di ballo, Shirlene Quigley, abbia fatto pressioni delle sue convinzioni cristiane sugli artisti e deriso coloro che facevano sesso prima del matrimonio. È anche accusata di aver discusso apertamente della verginità di una delle ex ballerine e di averla postata sui social media. Accuse, inclusa la discriminazione razziale, sono rivolte anche al team di gestione di Bgbt, secondo le quali i membri neri della compagnia di ballo sarebbero stati trattati in modo discriminatorio rispetto agli altri membri del team. I querelanti affermano anche che Lizzo e il team della società di produzione non li avrebbero pagati in modo equo durante alcune parti del tour europeo della pop star. Ai ballerini sarebbe stato offerto solo il 25 per cento della loro retribuzione settimanale come acconto durante il periodo in cui non si esibivano nel tour, affermando inoltre che Lizzo e la società preferivano che non svolgessero altri lavori durante queste pause.

Due delle tre ballerine, Davise e Williams, sono state licenziate da corpo di ballo, mentre Rodriguez si è successivamente dimessa . Le prime reazioni al caso sono arrivate da Beyoncé quando durante un concerto a Boston, martedì, in alcuni video sembra aver omesso il nome di Lizzo mentre si esibiva in Break My Soul (Queen’s Remix) brano che celebra le donne nere nell’industria dell’intrattenimento e nel cui testo appare il nome di Lizzo insieme a quelli di Nina Simone, Lauryn Hill e Nicki Minaj

Estratto dell’articolo di Massimo Basile per “la Repubblica” giovedì 3 agosto 2023.

Tre ballerine hanno denunciato Lizzo per molestie sessuali, discriminazione e body shaming.

Il caso non è nuovo nel mondo dello spettacolo, ma è inaspettata la persona al centro delle accuse: Lizzo, pseudonimo di Melissa Viviane Jefferson, 35 anni, di Detroit […] 

[…] Arianna Davis, Crystal Williams e Noelle Rodriguez dipingono la cantante come un’arpia, una despota che non si fermava davanti a niente, pronta a umiliare i suoi collaboratori e a farli lavorare in condizioni “intollerabili”.

Una delle tre, Davis, ha accusato Lizzo di averla costretta, in un night club ad Amsterdam, a toccare il seno di una performer nuda e a prendere in mano dildo e banane. Al momento i legali dell’artista non hanno commentato. Due delle ragazze erano state ingaggiate da Lizzo dopo averla conosciuta durante uno dei tanti reality tv. La terza era stata assunta a parte. Tutte e tre hanno lavorato alle coreografie di scena per due anni, dalla primavera del 2021 all’inizio di quest’estate. 

Lizzo è accusata di aver dedicato “troppa attenzione, e non richiesta,” al fatto che le danzatrici avessero messo su peso. Una di loro, Williams, sarebbe stata licenziata davanti a tutti da un agente della cantante, una settimana dopo una lite scoppiata tra lei e Lizzo.

Davis, a cui è stato diagnosticato un disturbo dell’alimentazione, era stata cacciata per aver registrato un incontro con la cantante. Quell’episodio aveva spinto l’amica, Rodriguez, ad andarsene. 

[…]

I fan sono rimasti spiazzati. La cantante è stata a lungo vittima di bullismo quando era giovane: durante gli anni scolastici era stata più volte offesa e presa in giro dai suoi compagni. Adesso che è diventata una persona di potere, hanno commentato alcuni suoi fan, Lizzo «dovrebbe mostrare più empatia verso gli altri e invece si è trasformata lei stessa in bulla».

Lodo Guenzi: «Mi conoscono per la musica ma sono un attore che canta». Storia di Valerio Cappelli su Il Corriere della Sera il 29 aprile 2023.

Il successo, Lodo Guenzi, uno che ha buone letture alle spalle e parla poetizzando un po’, lo ha ottenuto con la musica. Al Festival di Sanremo lui e il suo gruppo, Lo Stato Sociale, nel 2018 arrivarono secondi. Il 6 maggio esce il nuovo album Stupido, sexy, futuro. Eppure si considera «un attore che canta». E nel film di Pupi Avati, La quattordicesima domenica del tempo ordinario, in uscita il 4 maggio, interpreta Marzio, un musicista fallito; si esibisce in duo, I Leggenda. La storia attraversa la loro vita. Da anziani, lui è Gabriele Lavia e l’altro è Massimo Lopez. Lodo si sposerà, la donna da adulta è Edwige Fenech. «Questo film ha a che fare con i miei inizi e con la parte di me che ha ancora voglia di suonare», dice Lodo. Allora lei è un attore? «L’ho sempre fatto. Non ho una tecnica vocale da cantante, anche se la gente mi conosce per la musica».

Il suo Marzio è una testa calda, un tipo geloso, possessivo. Un ragazzo rovinato dai suoi sogni che si trasforma in una persona violenta. «Questo film è una lettera d’amore spedita agli amici che hanno cominciato con me, 15 anni fa. Alcuni non ci sono più. La possibilità del fallimento è forte. Quando decidi di vivere di sogni, se non li realizzi puoi pensare che un giorno ti cambia la vita. Io ne ho realizzati alcuni. Ma non sono mai appagato, non c’è mai la fine del viaggio. Agassi, l’ex tennista, nel suo libro scrive che quando sei in cima a un torneo dello Slam, vincere non cambia nulla e tu custodisci questo segreto».

I suoi inizi sono quelli di tanti artisti, conditi dalla follia: «Nel ’90 eravamo in furgoncino in giro per pochi soldi, andavamo a Ferrandina in Basilicata, su una superstrada si ruppe un semiasse, finimmo dispersi nella campagna, si alzò del fumo, poi una fiammata». Lo Stato Sociale è un gruppo politicizzato «con un certo gusto ironico, è una band leggera che fa musica leggera; dice che «nel mondo del lavoro l’eccellenza è un bene, basta che la sopravvivenza sia a disposizione di tutti, anche di quelli che non hanno talento, o degli stupidi. Ora tutti hanno paura dell’eccellenza perché anche la sopravvivenza è diventata una gara».

Il nome del gruppo, «così tetragono, è un’occasione per prendere in giro concetti ingombranti, guardiamo fuori dalla finestra e parliamo dei rapporti di forza su cui è costruita la società. Sicuramente ha avuto peso il fatto che sono di Bologna, dove si cresce con una bella coscienza politica».

Nel film il duo Leggenda non viene preso a Sanremo, voi siete arrivati secondi. «È stata una settimana che ci ha cambiato il destino. Ma il film è l’esperienza più bella della mia vita, anche se non dovesse vederlo nessuno. Ho empatia per Marzio, terrorizzato all’idea di restare aggrappato ai sogni quando tutto andrà male». La moglie lo tradisce con l’altro della band. Un film sul tradimento dell’amicizia? «Nelle band si ragiona più come nei matrimoni, il gruppo è centrale, totalizzante, mentre la ragazza che se la fa con l’amico musicista è devastante ma laterale. Ne ho conosciuti tanti...».

Lei nasce 36 anni fa in una famiglia benestante di Bologna, suo padre docente universitario, sua madre giudice. E ha una grande sensibilità nei confronti degli altri meno fortunati: «Sono benestante, è vero, ma più povero di Carl Marx. Penso che proprio perché te lo puoi permettere devi avere un occhio sulla società».

Estratto dell’articolo di Giovanni Gagliardi per repubblica.it martedì 29 agosto 2023.

"Io sono stata vittima di un bastardo che mi ha violentato, massacrata di botte e lasciata su una strada del cazzo a Torino. Ogni sei ore, ogni sei ore un femminicidio. Per non parlare poi di abusi, quali Palermo. Per questo ho smesso di tacere. Io non sono carne. Non sono carne”. 

È durissima la denuncia di Loredana Bertè, che in concerto a Palmi, in provincia di Reggio Calabria, a pochi chilometri dal suo paese d’origine, Bagnara Calabra, ha voluto manifestare la sua solidarietà alle vittime di violenza sessuale, dopo gli stupri di gruppo di Palermo e di Caivano, aderendo alla campagna social Io non sono carne tra gli applausi del pubblico.

Il racconto a ‘Verissimo’

La cantante aveva raccontato la sua terribile esperienza a Verissimo, nel 2020. "A 16 anni sono stata violentata - disse a Silvia Toffanin - Facevo serate con le Collettine (corpo di ballo di Rita Pavone, ndr). Eravamo in giro per l’Italia con Don Lurio a fare serate, ero l’unica vergine del gruppo e tutte provavano a convincermi, parlandomi di una persona innamorata pazza di me".

La violenza

"Dopo un mese ho deciso di andare a prendere una cosa da bere con lui – aveva continuato la cantante – Mi ha portato in un appartamento scannatoio, le ragazze devono stare molto attente. Quando ho sentito che chiudeva con il lucchetto la porta mi sono spaventata, terrorizzata. Volevo andare fuori, ma lui mi ha riempita di botte, mi ha violentata. Sono riuscita a uscire per miracolo, con i vestiti tutti strappati e con un taxi che si è fermato: stavo svenendo e mi ha portato in ospedale" 

(...)

 "Sono stata vittima di un b...". Loredana Bertè interrompe il concerto e parla di stupri. Durante un live a Palmi, Loredana Bertè ha sospeso lo show per raccontare la violenza subita anni fa a Torino. Novella Toloni il 29 Agosto 2023 su Il Giornale.

I terribili fatti di cronaca di Palermo e Caivano non smettono di fare discutere. Da giorni sul web è in atto una campagna di sensibilizzazione - lanciata dal settimanale F - per dire basta alle violenze e agli abusi sulle donne. L'hashtag #iononsonocarne è il più utilizzato da giorni in Italia e a dargli visibilità sono stati soprattutto i personaggi famosi, che hanno deciso di imprimere sulla loro pelle il messaggio. Anche Loredana Bertè si è fatta portavoce di questa campagna e lo ha fatto dichiarandosi lei stessa vittima di abusi, raccontando dello stupro subìto anni fa a Torino.

Il grido della Bertè dal palco

La cantante si trovava a Palmi, in provincia di Reggio Calabria, per un concerto del suo tour estivo, quando ha deciso di interrompere momentaneamente il suo live per parlare dei drammatici fatti di cronaca delle ultime settimane. Quando la musica si è interrotta, Loredana Bertè ha preso il microfono e ha parlato a cuore aperto al pubblico. "Io stessa sono stata vittima di un bastardo che mi ha violentato, massacrata di botte e lasciata su una strada del cazzo a Torino", ha raccontato l'artista, che poi è tornata sui recenti fatti nazionali. "Ogni sei ore un femminicidio! Per non parlare poi di abusi come quello di Palermo. Per questo ho smesso di tacere: io non sono carne", ha esclamato l'artista dal palco del concerto, ricevendo l'applauso del pubblico. Poi ha ripreso il suo concerto intonando "Ho smesso di tacere", brano del 2021 scritto per lei da Ligabue, che racconta proprio la storia della violenza sessuale subìta dalla cantante, quando era una ragazza.

"Resto poco diplomatica. E a 71 anni preparo un disco contaminato"

La violenza raccontata a Verissimo

Loredana Bertè ha nascosto la verità sul suo doloroso passato per anni, ma nel 2020 - durante un'intervista nel programma Verissimo con Silvia Toffanin - confessò di essere stata vittima di una violenza sessuale. "Avevo 16 anni...c'era questo tizio che mi riempiva di fiori ogni sera, così alla fine dopo un mese ho deciso di uscire con lui. Mi portò in un appartamento scannatoio e quando ho sentito che chiudeva la porta col lucchetto mi sono spaventata", rivelò l'artista parlando della violenza, delle botte e della fuga, salvata da un tassista che la accompagnò in ospedale. Per questo dalla Calabria, sul palco dove stava cantando, la Bertè ha deciso di far sentire la sua voce in difesa delle donne contro ogni tipo di violenza.

Loredana Bertè: quando fece da barista a Warhol, le foto su Playboy e altre 8 curiosità sulla coach di The Voice Senior. Arianna Ascione su Il Corriere della Sera il 3 Febbraio 2023

La leonessa della musica italiana è tra i protagonisti del talent show condotto da Antonella Clerici. Questa sera su Rai 1 in prima serata il quarto appuntamento

Mimì e Loredana, nate lo stesso giorno

È l’interprete più poliedrica della musica italiana, ha collaborato con alcuni tra i più grandi autori dando vita a canzoni leggendarie - da «...E la luna bussò» a «In alto mare», da «Non sono una signora» a «Il mare d’inverno» - e ha spesso e volentieri scandalizzato i benpensanti (tutti ricordano ad esempio il suo pancione finto a Sanremo nel 1986). Parliamo di una delle protagoniste di The Voice Senior, la leonessa della musica italiana Loredana Bertè. Forse non tutti sanno che è nata il 20 settembre, stesso giorno di sua sorella Mia Martini (a tre anni di distanza). L’indimenticata cantante è stata ricordata qualche settimana fa proprio all’interno del talent show di Rai 1 condotto da Antonella Clerici: la concorrente Lisa Manosperti nella sua audizione al buio ha interpretato «Almeno tu nell’universo».

Gli inizi come ballerina

La vita di Loredana Bertè è costellata di aneddoti. Ad esempio: sapevate che ha mosso i suoi primi passi nel mondo dello spettacolo come ballerina al Piper Club, luogo del suo primo incontro con Renato Zero? Nel 1966 entrambi entrarono a far parte del gruppo di ballo dei Collettoni e Collettini che accompagnava Rita Pavone nei suoi spettacoli.

Fan dei Beatles

Lei e Mimì — che l’ha iniziata alla musica facendole ascoltare i suoi dischi preferiti — hanno sempre amato i Beatles. Li hanno anche visti in concerto all’Adriano di Roma, andando a più spettacoli.

Un regalo ingombrante

Il suo compagno d’avventura a The Voice Senior Gigi d’Alessio (con cui Loredana partecipò a Sanremo nel 2012 in duetto sul brano «Respirare», poi arrivato al quarto posto) una volta ha raccontato di aver ricevuto dalla cantante un regalo molto particolare: una statua gigante di Elvis. Lei non sapeva dove metterla.

Quando cantò davanti al re di Svezia in giarrettiera

Ai tempi del suo matrimonio con il tennista Bjorn Borg, all’epoca ambasciatore di Svezia, si esibì davanti al re Gustavo. In giarrettiera, come ha ricordato intervistata al Tempo delle Donne 2020: «Cantai per il re Gustavo e andai a fare il brindisi con le giarrettiere, una miniminimini gonna e il corpetto con disegnate delle bambole rotte. Ogni volta che uscivo era uno scandalo, mi chiamavano “rockettara” all’italiana. Una volta mia sorella Mimì andò a cantare Oslo, vestita in Armani. Dissero: la cognata di Borg, questa sì che è una signora!».

Barista (per caso)

A New York, dove si trovava nel 1976 in qualità di madrina di tutti i negozi Fiorucci che aprivano nel mondo, incontrò Andy Warhol, nel punto vendita sulla 53ma strada: «Mi divertivo a sistemare e a fare i caffè e lui mi scambiò per la barista: mi chiese un cappuccino con la brioche. Per un mese ogni pomeriggio alle cinque si presentò lì. Fu lui a soprannominarmi “pasta queen”».

Senza veli per Playboy

Nel 1974 Loredana Bertè ha posato senza veli per la rivista Playboy. «L’ho fatto per i soldi», ha poi confessato.

Pioniera del reggae in Italia

Reduce dal successo di «Dedicato» nel 1979 la cantante andò in Giamaica per un viaggio. Si innamorò del reggae (vide anche Bob Marley in concerto) e decise di portare questo genere musicale in Italia: «Ho seguito una folla che entrava in uno stadio e ho visto questo artista con i capelli rasta lunghi fino al pavimento che cantava Exodus — diceva anni fa in un’intervista a Radio Italia — è stata una visione. Ho comprato tutti i dischi e, tornata in Italia, ho massacrato Mario Lavezzi per fargli studiare quelle sonorità». Così nacque «...E la luna bussò».

Il marito «finto povero»

Il primo marito di Loredana, l’ereditiere Roberto Berger (conosciuto su un volo per New York), inizialmente non le aveva detto che era ricco. Racconta lei nella sua biografia «Traslocando - È andata così» (Rizzoli): «L’ultimo giorno del 1983 mi sposai con Roberto Berger alle Isole Vergini. Berger era uno s*****o. Un ragazzo ricchissimo che si fingeva povero e piangeva miseria. Uno che, pur essendo erede dei distributori miliardari dell’Hag e delle acque minerali, si faceva pagare anche i caffè».

A cena con Bin Laden e Bush alla Casa Bianca

«Ho conosciuto Bin Laden e suo figlio in una cena alla Casa Bianca. E c’erano anche Bush Senior e Bush Jr»: Loredana lo ha raccontato qualche anno fa al programma di Rai Radio2 Un Giorno da Pecora (ma ha rivelato l’aneddoto anche in altre occasioni). «Io ero a quella cena con Borg, e Bin Laden era ad un tavolo vicino a me, quando parlava io volevo ascoltare, perché come tutti sanno lui fu un eroe indiscusso della Cia». La circostanza è stata confermata al Venerdì di Repubblica da Lele Mora: «Fu una bella giornata, un pranzo magnifico, c’era anche Bin Laden, solo che quando lo dice Loredana tutti pensano sia pazza».

Daniela Lanni per “la Stampa” - Estratti giovedì 16 novembre 2023

«A tre anni ballavo in cameretta e mettevo le bambole come pubblico. Riunivo i miei fratelli e imitavamo i Ricchi e Poveri, volevo essere la "brunetta": facevo degli acuti che mi sentiva tutto il vicinato». Lorella Cuccarini, cresciuta inseguendo il mito di Carla Fracci e Raffaella Carrà, non ha mai avuto dubbi su quello che voleva fare da grande. Per riuscirci ha fatto tanta gavetta. 

Determinazione e amore per questo mestiere hanno chiuso il cerchio. «Tra alti e bassi sono passati 38 anni da quando ho iniziato e non ho mai perso la voglia di sfidarmi.

Finché avrò le energie, non mollo». Oggi, a 58 anni, la ballerina, conduttrice, attrice, cantante e insegnante ad Amici, passa da uno studio tv a un palcoscenico come se fosse una ragazzina. A teatro è la protagonista di Rapunzel, scritto e diretto da Maurizio Colombi per Viola Produzioni, nei panni della perfida matrigna Gothel. Una tournée che la porterà in tutta Italia. 

(…)

Più difficile fare la showgirl o la mamma?

«La mamma. Nessuno ti insegna, cerchi di mettere a frutto l'esperienza dell'essere figlia. A Sara, la prima dei miei quattro, dico sempre che ha pagato la mia inesperienza. In famiglia abbiamo un rapporto aperto, intimo, ma resto un genitore, non un'amica». 

Un genitore che vuole la felicità dei propri figli. Lo ha dimostrato in maniera decisa, replicando al clamore suscitato dal post di sua figlia Chiara in cui ha detto di potersi innamorare di uomini come di donne.

«Mi sono stupita del movimento creato da quella frase. L'ho trovata rappresentativa di quello che è lei e un po' tutti i ragazzi oggi, che vogliono uscire dalle etichette. Io ho lottato tutta la vita contro quelle date a me: la più amata, la fidanzata d'Italia, la moglie ideale.Siamo quello che siamo, nessuno deve essere chiuso in un perimetro che qualcuno ha deciso per lui».

La famiglia è il suo «porto sicuro». Lei, però, non ha avuto un'infanzia facile.

«I miei genitori litigavano sempre. Quando avevo 9 anni si sono separati e, paradossalmente, abbiamo trovato una serenità. Mamma è stata bravissima, rigorosa, affettuosa, si è caricata il peso della famiglia. Faceva la sarta, lavorava anche di notte e non ci ha mai fatto mancare qualcosa. Mio padre, invece, non l'ho mai sentito intimamente vicino».

Ha trascorso momenti difficili. Per anni è sparita, non c'erano programmi per lei. Come li ha affrontati?

«Nei momenti no, non mi distruggo. Non personalizzo: ci si rimbocca le maniche e si va avanti. La vita è fatta di alti e bassi, sembrano quasi disegnati, casuali ma con un senso». 

Quarto anno ad Amici come insegnate e giurata. Come si rapporta coi ragazzi?

«Con disciplina: è una scuola e so quanto bisogna sudare per fare questo mestiere, ma è chiaro che ci metto anche la mia esperienza di genitore. I ragazzi vivono in una bolla in cui tutto è amplificato. Oggi nei giovani noto una fragilità che va gestita, ognuno è diverso, c'è chi deve essere spronato, altri abbracciati, protetti».

In estate le avevano proposto di ritornare in Rai e non ha accettato. Perché?

«Sono in un momento della vita in cui non mi interessa essere il primo nome in cartellone, avere un programma mio, mi piace stare in un ambiente in cui mi sento accolta, apprezzata e mi diverto». 

Un «no» definitivo?

«Mai dire mai. Ma a 58 anni vivo il momento. La vita e questo mestiere sono fatti di emozioni e, se riesco a provare emozioni che mi fanno state bene, è giusto che resti dove sono».

Lorella Cuccarini, il dolore: "Ero all'apice del successo, l'aborto mi ha fermata". Hoara Borselli su Libero Quotidiano il 10 novembre 2023

Lorella Cuccarini? Beh, non devo mica presentarvela. Ha quasi sessant’anni, è sempre sulla cresta dell’onda, è una artista, una mamma e una figlia. Figlia di chi? Di una sarta che lavorava 24 ore al giorno per dare da mangiare a lei e ai suoi fratelli.

Lorella bambina cosa voleva fare da grande?

«Ti dico quello che mi raccontava la mia mamma: a tre anni facevo i miei spettacoli con tutte le mie bambole che venivano sistemate come se fossero il pubblico e ballavo e cantavo. Dice che costringevo i miei fratelli più grandi a imparare le canzoni dei Ricchi e Poveri perché li adoravo, e io interpretavo Angela con quella sua voce pazzesca e mettevamo in scena il quartetto. Era un gioco, una passione, non avrei mai immaginato che potesse diventare la mia professione». 

Quando ha capito che sarebbe potuto diventarla?

«Ho iniziato a studiare danza dall’età di nove anni, Dai diciotto ai venti anni ho fatto la ballerina di fila anche in programmi televisivi. Per me quello era già essere arrivata».

Poi cosa è successo?

«Mi chiesero di ballare per una “convention”. A me non andava. Mi convinse il fatto che ci fossero Bryan & Garrison che erano coreografi di rilievo all’epoca e nonostante pagassero pochissimo decisi di andare. I soldi contavano poco, anche se ero povera. Posso dire che quella “convention” mi ha cambiato la vita».

Perché?

«Mi vide Pippo Baudo e mi fece fare una serie di provini che mi portarono a “Fantastico”. Sliding doors. Se io quella volta avessi guardato più all’aspetto venale aspettando un lavoro meglio retribuito avrei perso l’occasione della mia vita».

Che figlia è stata?

«Sono cresciuta in una famiglia molto unita anche se avevamo solo un genitore: la nostra mamma. Eravamo tutti molto responsabili in casa. Mamma faceva la sarta e lavorava ventiquattro ore al giorno dovendo occuparsi da sola della famiglia. Se cuciva c’erano soldi per mangiare, se non cuciva no. Eravamo ragazzini responsabili. Avevamo i turni ed erano turni uguali per tutti. Mio fratello se c’era da sistemare la cucina, pulire e sistemare le camere lo faceva. E ognuno di noi cercava di pesare il meno possibile sul bilancio familiare».

Avete iniziato quindi a lavorare molto giovani?

«Mio fratello Roberto andava a caricare e scaricare le cassette di frutta e verdura in estate al mercato che avevamo sotto casa, per guadagnare qualcosa. Ricordo che il pomeriggio portava su quello che magari era rimasto e che ancora non era proprio scaduto ed era qualcosa che potevamo riutilizzare. Sono ricordi molto vivi nella mia mente e sono felice di aver avuto questa forma mentale».

I suoi figli invece hanno vissuto in una condizione economica ben diversa. Ha trasmesso loro gli stessi valori ereditati da sua madre?

«Ho cercato di spiegare loro che tutto ciò che si vuole raggiungere si ottiene solo con sacrifici e difficoltà. Ho cercato di insegnargli di non accontentarsi, di non mettersi paura. Affrontare la vita a muso duro con spalle forti, non ritirarsi alla prima difficoltà. Ho cercato in qualche modo fargli mantenere i piedi a terra».

In che modo? Mi fa un esempio pratico?

«Loro hanno vissuto in un’epoca nella quale il telefonino era parte integrante della vita dei ragazzi. Beh alla primogenita sono riuscita a darglielo a sedici anni. Una fatica pazzesca (sorride). Però quanto sono stata felice di esserci riuscita». 

Le ha mai rimproverato questa scelta?

«Lei ci ringrazia. È cresciuta con i libri, con gli amici che venivano a casa avendo le porte sempre aperte. Invece di dirsi le cose tramite i messaggini comunicavano fra loro, si guardavano negli occhi».

Come è riuscita a conciliare carriera e figli?

«Per me i figli sono la vita, sono ciò che ha dato senso alla mia esistenza. Le racconto un episodio...».

Prego...

«Quando feci “Buona domenica” nel ‘92/’93 con Marco Columbro... Due edizioni di straordinario successo. Una diretta di sette ore tutte le domeniche. Alla fine della seconda edizione mi accorsi di essere rimasta incinta e purtroppo quella gravidanza non andò a buon fine. Persi il mio bambino appena finito il programma. Quello fu un momento particolare, difficile della mia vita. Io sarei stata felice di suggellare il rapporto con mio marito Silvio con l’arrivo di questo bambino che non era cercato in quel momento però era capitato e non ero riuscita a portare a termine la gravidanza».

Come ha reagito a quel dolore grandissimo?

«Ho avuto un po’ di paura, la sensazione che questo lavoro non mi avrebbe lasciato lo spazio. E in quel momento, all’apice della mia carriera, nonostante mi avessero chiesto di fare la terza edizione del programma, ho deciso di fermarmi».

Ha messo la carriera da parte?

«Sì, mi sono ascoltata, ed è ciò che mi capita sempre quando sto affrontando dei momenti difficili, anche se quello che mi dico spesso non è comodo. Nonostante tutti cercassero di convincermi ad andare avanti io ho sentito dentro di me che era giusto fermarmi. Presi una pausa di riflessione contro tutto e contro tutti e quello che fu un momento estremamente complicato della mia vita in realtà poi diventò bellissimo perché decisi di ritornare a studiare, presi il diploma linguistico, nacque un progetto bellissimo, (“Trenta ore per la vita”), soprattutto rimasi incinta della mia prima figlia Chiara».

Poi tutto liscio?

«No. Ce ne sono molti di momenti difficili. Ricordo quando rimasi incinta dei miei due gemelli: avrei dovuto dopo due mesi debuttare nello spettacolo teatrale “Grease” e fu la mia stessa ginecologa sconsigliarmi di affrontare un impegno così gravoso per la mia salute avendo una gravidanza a rischio. Erano già stati venduti circa 100.000 biglietti, non mi potevo tirare indietro e utilizzando tutte le precauzioni possibili ho portato a termine questo impegno fino al quinto mese di gravidanza».

Sbaglio o non fu momento semplice quando lasciò Mediaset per la Rai?

«Non sbaglia, è stato un momento molto duro. Dopo 14 anni a Mediaset ho accettato una proposta dalla Rai che mi legava all’azienda con un contratto di tre anni che non venne onorato da un punto di vista professionale. Non andò come previsto perché mi tennero al palo, in panchina, non mi affidarono progetti lavorativi come da accordi».

Come ha vissuto quel periodo?

«A distanza di tempo l’ho quasi considerato benedetto perché erano appena nati i gemelli ed era il periodo in cui avevo perso mia madre. Mi sono dedicata anima e corpo ai miei quattro figli. Sono stati due-tre anni difficili lontani dagli schermi ma per me preziosissimi».

Su TikTok ha più di 500.000 follower, realizza video in cui canta, balla... si diverte e non si prende sul serio...

«È stata un’idea di mia figlia Chiara, che fa la social media marketing. Mi ha detto: “sei sempre così giocosa a casa, una matta, sei un personaggio e ti vedono sempre molto rigorosa. Perché non facciamo vedere questa parte dite?”. Ho sempre avuto molto pudore e ho sempre fatto vedere questo in video, e allora mi ha convinta a far vedere anche un lato leggero di me e che mi piace condividere».

Si diverte?

«Mi diverte non prendermi troppo sul serio, oggi sono in un momento della mia vita in cui mi sento più leggera. Non ho più quell’ansia da prestazione che magari avevo fino a qualche anno fa. Quello che dovevo fare l’ho fatto. Sono in un momento in cui mi sento veramente realizzata».

Per anni è stata definita la più amata dagli italiani...

«Quello per me è stato solo un claim, uno slogan. Non ho mai ambito ad essere la più amata ma solo di essere amata dagli italiani. Un personaggio pubblico non può piacere a tutti, bisogna fare i conti con questo. L’importante è che chi ti apprezza lo faccia per ciò che tu veramente sei, quindi ho sempre cercato il più possibile di essere me stessa. il più grande insegnamento che mi ha lasciato mia madre è quello: il valore del rispetto e il potermi guardare serenamente allo specchio». 

Lorella Cuccarini: «Mi sono voluta bene. Il fisico? Un nutrizionista mi ha detto che sbagliavo tutto: ora faccio 5 pasti al giorno». Maria Volpe su Il Corriere della Sera il 10 Marzo 2023.

A pranzo con una 57enne che sembra una trentenne. «Nel 2002 la mia forma fisica stava cambiando, mi ero quasi rassegnata...». Poi la svolta: nuova alimentazione con 5 pasti al giorno, allenamento metabolico e Calisthenics

Classe 1965. Mese di nascita: agosto. È un Leone che deve ancora compiere 58 anni. È Lorella Cuccarini. L’incontro con lei, da vicino, è sorprendente. L’abbiamo vista tutti sul palco del Teatro Ariston, al Festival di Sanremo, lo scorso febbraio, cantare con Olly la sua mitica canzone La notte vola e ballare scatenata. Un vestitino sottoveste nero che metteva in risalto un corpo perfetto, gambe lunghe e toniche, braccia muscolose, spalle eleganti, linea ineccepibile. Tutto da trentenne. Il confronto con lei è faticoso. Sì, lei è una ballerina, danza ore al giorno da quando aveva 9 anni. Niente comparazioni. Non vanno fatte e basta. Però 57 anni, sono 57 anni. Ha del miracoloso. E non c’è neppure stato l’intervento della chirurgia estetica. Rivedo Lorella dopo un po’ di anni. La guardo intensamente. Scruto ogni centimetro della sua pelle. Lucida, fresca, naturale. Capelli lunghi lucidi, freschi, naturali.

«SONO STATA DA UNA NUTRIZIONISTA CHE MI HA INSEGNATO A FARE 5 PASTI AL GIORNO. TEMEVO PER IL VISO...»

Ci vediamo al ristorante (voglio controllare cosa mangia). La abbraccio e le confesso: dopo Sanremo abbiamo bisogno di capire come fai. Lei sorride compiaciuta. Ha un paio di jeans, un maglioncino verde, scarpe da ginnastica. Ovviamente sta d’incanto. Giacca e zainetto da ragazzina. Ci sediamo al tavolo. Sai che sei la Gwynetw Paltrow italiana?, le dico. E penso all’idea dell’attrice americana, sbandierata alla soglia dei 50 anni, lo scorso settembre, di vivere il tempo che passa e la propria età con armonia e gioia. Non lottare per battere i segni del tempo, non votarsi alle pratiche di anti-aging , ma cavalcare l’ aging. L’orgoglio dell’anagrafe e dell’imperfezione. Seppur con tecniche e filosofie che hanno a che fare con il benessere di corpo e mente, con discipline più o meno rigide legate a fitness, alimentazione, sonno, movimento, prodotti di bellezza.

«NON CAPISCO LE DONNE CHE SI GUARDANO INDIETRO. IO LA GWYNETH PALTROW ITALIANA? LEI PERÒ HA 7 ANNI IN MENO»

A Cuccarini-Paltrow non dispiace affatto il paragone. Ostenta umiltà: «Mi pare troppo». Ma poi sottolinea, con la precisione che la contraddistingue: «Gwyneth ha sette anni meno di me». Eh già, sette anni non sono pochi. Torniamo all’inizio: capire come si fa a 57 anni ad avere quel fisico. E pure quel viso disteso, con poche rughe. Ci si potrebbe “accanire” sul collo: non che sia un collo come i nostri, per carità, ma almeno non è da ventenne. È da trentacinquenne. «Ogni stagione della vita ha in serbo sorprese. Non ha senso fare paragoni con i 20 anni. Io posso dare ancora molto, ne sono convinta», dichiara con grande piglio. Aggiungendo: «Non capisco le donne che si guardano indietro». Lorella è così, tranchant . E si cominciano a capire un po’ di cose.... Dobbiamo ordinare. «Qui fanno antipasti di pesce, cotto e crudo, fantastici. Alla fine davvero non riesci più a mangiare niente». Difficilmente condivisibile, ma Lorella è così. Sono certa che solo il carboidrato dia quell’effetto di splendida sazietà, ma mi adeguo. Per imparare.

UN MATRIMONIO CHE DURA DALL’AGOSTO DEL 1991, QUATTRO FIGLI, UNA FAMIGLIA COMPATTA, CHE FA SQUADRA: «SONO COSE CHE CONTANO TANTO... MA IL BARICENTRO SONO IO»

Riprendiamo il filo del discorso: «Ho sempre creduto in me e mi sono sempre voluta bene». Quanto ha contato in tutta questa forza, la sua situazione sentimentale solida, il suo matrimonio (con Silvio Testi) che dura dall’agosto del 1991, i suoi quattro figli, una famiglia compatta, che fa squadra? «Tanto. Io so ogni volta dove tornare. L’amore di un uomo e dei ragazzi è profondamente appagante. L’energia gira tra noi. Ma il baricentro sono io. Se non sei forte e solida non puoi neanche essere un riferimento per loro. Oggi sono risolta. Avevo più ansia da prestazione anni fa. A 30 anni sei piena di obiettivi». Arriva il pesce. Lei ha capito che sul palco di Sanremo era successo qualcosa di speciale? Che milioni di persone sintonizzate, in coro, stavano dicendo: «Ma la Cuccarini ha 57 anni? Ma che fisico ha? Ma non ci credo!». Le è arrivata quest’ondata? «Sì, mi è arrivata tutta. Appena finita l’esibizione, per ore e ore, il mio telefono è impazzito: messaggi, telefonate, social. Non so esattamente il perché. Forse perché quella mia immagine in minigonna non è frequente. Hanno visto una sensualità che non conoscevano. Del resto non ho mai pensato fosse il mio punto di forza».

«NEL 2002 HO TOLTO LA TIROIDE PER UN SOSPETTO TUMORE. LA MIA FORMA FISICA UN PO’ È CAMBIATA. PRIMA ERO SEMPRE ATTORNO AI 56 CHILI, DOPO L’INTERVENTO SONO ARRIVATA A 61. E MI ERO UN PO’ RASSEGNATA»

Giovane, sexy, allenata, in forma. Provi a spiegare come è arrivata a questo traguardo, cosa c’è dietro Lorella Cuccarini. «Faccio un passo indietro. Nel 2002 ho tolto la tiroide per un sospetto tumore. La mia forma fisica un po’ è cambiata. Prima ero sempre attorno ai 56 chili, dopo l’intervento sono arrivata a 61. E mi ero un po’ rassegnata a vivere con questo nuovo assetto, con una nuova forma fisica. Peraltro i primi anni Duemila sono stati difficili, complicati. L’anno scorso sono stata da un nutrizionista e mi ha detto che sbagliavo tutto, sbagliavo l’approccio di una alimentazione fatta di privazioni. Mi ha insegnato a fare 5 pasti al giorno: colazione, pranzo, cena e due spuntini, senza mai saltarne uno. Mi concedo la pasta (50 grammi) o meglio ancora il riso che adoro, il pane no. Verdura, frutta, pesce. Qualche volta sgarro, ma solo qualche volta. In due mesi sono tornata 56 chili. E mi sono sentita benissimo. Da allora sto davvero in forma, mi sento piena di energia. Prendo anche integratori e non mi sono mai sentita meglio».

«Temevo per il viso: dimagrendo ho pensato che potesse sciuparsi. Invece no. Ho cominciato poi due attività sfidanti e divertenti: calisthenics (allenamento a corpo libero che migliora la forza e la coordinazione, utilizzando solo il proprio peso corporeo come attrezzo per potenziarsi) e un allenamento metabolico (per migliorare l’apparato cardiovascolare e respiratorio). Sto bene, davvero bene. Combatto con una me dentro, che ha 30 anni, e ha ancora voglia di spaccare il mondo; e una me fuori, che ne ha 57, ed è un po’ più assennata. Il problema sono i recuperi: recuperare a questa età è un po’ più complicato».

«IL SUCCESSO A SANREMO ? PENSO SIA ARRIVATO IL MESSAGGIO CHE, ANCHE A QUASI 60 ANNI, POSSIAMO ANCORA DARE TANTO, IO NE SONO CONVINTA... E MAI BADARE AI GIUDIZI DEGLI ALTRI»

Lorella Cuccarini con Pippo Baudo e Alessandra Martinez in «Fantastico 6», del 1985, in cui Cuccarini sostituì Heather Parisi (foto Getty Images)

Nel frattempo assaggia tutti gli antipasti, prediligendo i crudi. Pochissimo fritto e niente pane. Torniamo a Sanremo: qualcosa è successo però su quel palco. «Penso sia arrivato il messaggio che, anche a quasi 60 anni, possiamo ancora dare tanto, io ne sono convinta. A Sanremo ci sono stata io, Carla Bruni, Luisa Ranieri, e poi Massimo Ranieri, Morandi, Al Bano. Possiamo ancora dire la nostra. È passato questo a casa: per essere felici, viviamo appieno la nostra età cercando di stare bene, prendendoci cura di noi, dedicandoci del tempo, ascoltandoci e mettendo noi al centro. Questo dobbiamo fare per stare bene. Sento di avere tanta esperienza e più leggerezza oggi, rispetto ai 20 anni. Mai badare ai giudizi degli altri, mai sentirsi o fare il tappetino. Le donne devono imparare a prendersi cura di sé stesse, ognuna seguendo una propria ricetta. Segreti non ce ne sono. Certo non si può prescindere dal mangiare bene, e dal movimento. Anche solo camminare va bene».

«ANCHE I MOMENTI DIFFICILI SONO STATI UNA OPPORTUNITÀ. ANZI, SONO CONVINTA DI UNA COSA: QUANDO VA TUTTO TROPPO BENE, RISCHI DI MONTARTI LA TESTA. QUANDO INVECE INTUISCI CHE POTREBBE ESSERCI LA PAROLA “FINE”, CAPISCI CHE DEVI COMBATTERE»

Detto così sembra davvero tutto facile e possibile. In parte forse lo è, ma serve una volontà ferrea. La sensazione è che Lorella sia abituata a una disciplina rigorosissima, fin da bambina. E che, per battere il tempo senza sfidarlo, quella disciplina sia fondamentale. Di più, indispensabile. Quella disciplina che oggi insegna ai ragazzi di Amici : «Un’esperienza bellissima. Il rapporto con i giovani è prezioso. Mi piace anche l’idea di aver fatto un passo indietro, di non essere protagonista, e di essermi messa al servizio degli altri». E quella disciplina, che le è servita quando la carriera ha avuto un momento difficile. Non c’erano programmi in vista per lei, ma ha tenuto duro e ha potuto dedicarsi ai suoi gemelli (Chiara e Giorgio, nati nel 2000, dopo i due primogeniti, Sara e Giovanni). «Guardando indietro, mi rendo conto che anche quei momenti difficili sono stati una opportunità. Anzi, sono convinta di una cosa: quando va tutto troppo bene, rischi di montarti la testa. Quando invece intuisci che potrebbe esserci la parola “fine”, capisci che devi combattere. Dolore e sacrificio sono ingredienti fondamentali nella vita. Non c’è soddisfazione, se non c’è un percorso di fatica».

«PER I MIEI 60 ANNI MI VOGLIO REGALARE UNO SPETTACOLO TUTTO MIO IN TEATRO, UNA COMMEDIA MUSICALE»

È il suo modo di vivere. È la sua etica. Difficile non riflettere sul fatto che rigore-armonia di corpo e mente non siano la sua carta vincente. Lorella ha mangiato con gusto e parsimonia. Gli antipasti di pesce erano gustosi. Lei è appagata. Basta così. Il dolce no. Il caffè sì. Mangia anche una piccola meringa. Poi scappa ad Amici . E mentre va via, parla del futuro: «A ottobre lanceremo un riediting de La notte vola che compie 35 anni. Una canzone davvero incredibile, oltre le bandiere, che mette la voglia di vivere. E per i miei 60 anni mi voglio regalare uno spettacolo tutto mio in teatro, una commedia musicale». Alcune conferme, alcune scoperte post pranzo. Lorella è un caso raro, una ballerina, un’atleta, inutile fare confronti e soffrire; Lorella è rigorosa, disciplinata, un po’ ci nasci, come con gli occhi azzurri, un po’ ti devi mettere e stare nella scia della fatica, del sacrifico, della volontà. Le donne belle, belle naturali, belle-sane, dopo i 50 anni — come Lorella o Claudia Schiffer, Valeria Mazza e altre — sono donne forti, che hanno costruito su sé stesse e spesso tengono famiglia (solida), sono “risolte” direbbe qualcuno. Noi, “umane” e più fragili, possiamo sempre provarci.

LA CARRIERA

IL DEBUTTO - Nata a Roma il 10 agosto 1965, ha iniziato a studiare danza a 9 anni alla scuola di Enzo Paolo Turchi. La sua primissima apparizione televisiva è stata nel 1978, all’età di 12 anni, in una puntata del varietà Ma che sera. Scoperta da Pippo Baudo, ha lavorato nei varietà del sabato sera di Rai1 Fantastico 6, nel 1985, e Fantastico 7, nel 1986, accanto ad Alessandra Martinez.

IL TORMENTONE - Il suo singolo pubblicato nel gennaio 1989, La notte vola (testi di Silvio Testi e musica di Marco Salvati e Peppe Vessicchio), sigla del varietà Odiens di Antonio Ricci per le reti Mediset, ottiene un grandissimo successo. Odiens è condotto dalla stessa Cuccarini con Enzo Greggio, Gianfranco D’Angelo e Sabrina Salerno.

SANREMO - E proprio La notte vola viene scelta dal cantante Olly per la serata dei duetti all’ultimo Festival di Sanremo. Accanto a lui, una Cuccarini con miniabito nero con le piume che, a 57 anni, 37 dopo il suo debutto a Fantastico balla con la stessa agilità ed energia che aveva da ragazza.

PROGETTI - In ottobre, racconta nell’intervista, verrà lanciato un riediting de La notte vola. In programma anche «una commedia musicale tutta mia.»

Lorella Cuccarini, fisico perfetto a 57 anni. Il segreto? Dieta e metodo Calisthenics. FABIANA SALSI su Il Corriere della Sera il 15 Febbraio 2023.

Talento, passione e buon senso, ovvero alimentazione sana e movimento: ecco come fa questa protagonista assoluta del grande spettacolo italiano a essere sempre sulla cresta dell’onda

Lorella Cuccarini, l’ultima delle soubrette

Lorella Cuccarini è stata una tra le grandi conferme di Sanremo 2023: una professionista dello spettacolo eclettica, in grado di passare dal canto al ballo (e fare le due cose contemporaneamente) in performance ogni volta differenti. Ne dà prova continuamente, anche oggi, in qualità di insegnante nel programma Amici di Maria De Filippi e nei suoi spettacoli teatrali. A far parlare in questi giorni, però, è il duetto con il rapper Olly sulle note di «Una notte vola», tra i momenti più autentici del Festival. Cartina di tornasole, l’entusiasmo di spettatori di ogni età perché Lorella ha riportato alla mente a millenial e boomer uno dei brani che hanno segnato il varietà degli anni ’80 e ’90 . E mostrato alla generazione Z e alla X quanto possa essere contemporaneo quel modo elegante di esibirsi. Per tutti è stata un’occasione di (ri)vederla in un’esibizione piena di energia. E questo, banale a dirsi, nonostante il tempo passi. Noi , il tempo che passa, vogliamo rimarcarlo perché a 57 anni — la soubrette romana è nata il 10 agosto 1965 ed è madre di quattro figli — mantiene un’energia invidiabile. «È in forma la Cuccarini», ha commentato con stupore Gianni Morandi, rivolgendosi ad Amadeus alla fine dell’esibizione sul palco dell’Ariston. Come fa? Con un mix di dieta e allenamento ad hoc.

La dieta di Lorella Cuccarini

Il segreto alimentare di Lorella Cuccarini? Semplicemente mangia in modo sano ed equilibrato. Volendo usare le sue parole: «Sano e pulito». La Cuccarini lo ha raccontato in una intervista a VanityFair: «Vario spesso. Carboidrati: soprattutto riso o pasta integrale. Poi due spuntini al giorno con frutta, frutta secca, barrette proteiche».

La dieta di Lorella Cuccarini: 5 pasti al giorno

Non solo alimentazione sana, ma anche tanti pasti al giorno. Nella stessa intervista Lorella Cuccarini ha raccontato: «Spesso, per perdere peso si diminuisce il numero dei pasti; io per stare in forma e mantenere alto il metabolismo, mangio 5 volte al giorno». Il metabolismo per funzionare bene va allenato: più si mangia e più si brucia. Non tutti i cibi sono uguali: per evitare picchi di insulina, e quindi accumuli di grassi, bisogna preferire alimenti sani. Proprio come quelli suggeriti dalla showgirl, cominciando da frutta fresca e secca. Quanto alle barrette proteiche, e tutti gli integratori di questo tipo, sono adatte a chi svolge attività fisica intensa. Un passaggio dallo specialista è sempre consigliato.

La dieta di Lorella Cuccarini: la prevenzione, sempre a tavola

Sempre con buon senso, Lorella Cuccarini ha saputo prevenire inevitabili accumuli di grasso, come quelli che si verificano durante le gravidanze, nel suo caso tre, di cui una gemellare. «Ho giocato di anticipo, facendo un po' di sacrifici per evitare che il peso acquisito naturalmente durante i nove mesi di attesa diventasse, dopo ogni gravidanza, difficile da perdere e creasse poi problemi nel recupero», sottolineando quanto la costanza, anche nell’attività fisica, l’abbia aiutata a mantenere la sua forma perfetta.

Come si allena Lorella Cuccarini

Lorella Cuccarini ha sempre fatto movimento, fin da piccola alla scuola di danza di Enzo Paolo Turchi. E ora continua, con costanza: «Faccio anche poco, ma tutti i giorni. In quest'ultimo anno alterno lezioni di Metabolico e di Calisthenics, due discipline che si avvicinano molto alla preparazione atletica per la ginnastica artistica: un’ora al giorno», ha detto la showgirl, facendo riferimento a due allenamenti molto diversi e complementari. Il primo — metabolico — è un workout a circuito con i pesi che serve a tonificare, aumentare la massa magra e quindi metabolismo basale cioè il dispendio energetico: i muscoli più sono tonici e più utilizzano calorie anche quando sono a riposo. Il Calisthenics, invece, è un tipo di allenamento che sfrutta il peso del corpo assicurando tonicità, elasticità e forza muscolare.

L’allenamento di Lorella Cuccarini: il consiglio da seguire

Non riuscite ad allenarvi? Non è una buona scusa per non fare movimento. Lo ha ricordato anche Lorella Cuccarini: «Altro consiglio è quello di camminare. Se non si ha tempo per andare in palestra, basta una mezz’ora al giorno, a una bella andatura: è un toccasana».

Lorella Cuccarini e Silvio Testi: «Avevamo entrambi una relazione. Ci siamo sposati dopo sei mesi». Chiara Maffioletti su Il Corriere della Sera il 4 Gennaio 2023.

Insieme da 31 anni: «Era il produttore di Baudo, lo trovai bellissimo. Gli alti e bassi, i silenzi, lui non ha mai amato il lato frivolo del mio lavoro»

«Quando ci dipingono come la famiglia del Mulino bianco, mi viene un po’ da ridere». Lorella Cuccarini, 37 anni di carriera, il sorriso come firma anche nei momenti meno semplici, da 31 anni è sposata con il produttore Silvio Testi ma ci tiene a rendere tridimensionale un rapporto che non è (solo) una favola.

Un legame solido, quattro figli, ma non siete la famiglia del Mulino Bianco, dice.

«La famiglia perfetta non esiste. I momenti difficili ci sono stati, ma abbiamo sempre cercato di superare insieme l’impatto delle crisi personali di ognuno di noi».

Sono state molte?

«Nel corso di una vita ce ne possono essere tante, sì: dalla perdita delle persone care, a quelle lavorative. Il segreto è cercare sempre di tamponare, da una parte e dall’altra. Essere di supporto, ma anche non creare ingerenze».

In che senso?

«Vedo come gestisce le difficoltà mio marito: ha un approccio molto diverso dal mio. Io sono una che tira fuori quello che prova, affronto le cose di petto. Anche insieme, perché penso che i pesi condivisi diventino più leggeri. Ma Silvio non è come me: ha bisogno dei suoi spazi, dei suoi silenzi. Se tu questa cosa non la comprendi rischi di non valorizzare la persona che ami. Quindi io rispetto quei momenti di silenzio che fanno parte del suo carattere come lui rispetta il mio modo vulcanico di fare le cose. Siamo due facce di una stessa medaglia. Però funziona».

La diversità dell’altro, prima di essere accettata può risultare un po’ pesante?

«Basta ricordarsi che siamo individui singoli prima che coppia. Non ho mai forzato Silvio per accompagnarmi agli eventi o anche solo per fare delle foto assieme. So che nasce come uomo che sta dietro le quinte, non ha mai amato il lato più frivolo di questo mestiere. Però io non ho smesso di andare alle prime: ci vado sola o con un figlio, ma non vivo la sua assenza come un affronto così come lui non mi tiene il broncio se esco. Siamo molto liberi».

Anche fisicamente? C’è chi ha bisogno di spazi separati.

«No, non ci pensiamo minimamente. È così bello stare insieme, specie nelle rare volte in cui ci ritroviamo con i ragazzi, figuriamoci se potremmo mai allontanarci».

Eppure il vostro inizio è stato una scommessa, vero?

«Ci siamo sposati dopo sei mesi di fidanzamento. A me lui è piaciuto subito: era il produttore musicale di Pippo in Fantastico 6. L’avevo trovato molto bello e mi piaceva il suo mondo creativo. Ma io ero ai miei inizi, poi avevo una relazione e lui pure, quindi l’ultima cosa che avrei voluto era lanciare dei messaggi: tutto era rimasto nell’ambito della stima. Poi, quando ci fu il mio passaggio in Mediaset, avevo bisogno di una persona che lavorasse per me sul piano musicale, quindi l’ho richiamato. A quel punto eravamo liberi tutti e due...».

E sei mesi dopo eravate marito e moglie. Molto rock.

«Tutto era talmente bello che sembrava proprio il pezzo del puzzle che completa un disegno stupendo e che sarebbe stato complicatissimo trovare, disperso tra tanti altri pezzi. Insieme avevamo creato l’incastro perfetto: mi ha chiesto di sposarlo a Natale e non ci ho pensato un attimo».

In famiglia come furono le reazioni?

«Mia madre all’epoca era un po’ perplessa, ma solo per la velocità della cosa. Ma si è sempre molto fidata di me. Disse: “Se è quello che senti, va bene”».

Se uno dei vostri figli vi dicesse che sposerà qualcuno conosciuto sei mesi prima?

«Beh noi non potremmo proprio fiatare. Credo che i ragazzi sappiano dare la giusta importanza al matrimonio. Ho la sensazione che oggi questo passo venga vissuto con leggerezza, come se si potesse fare e disfare tutto. Per quanto mi riguarda non è così, poi io sono credente: il matrimonio davanti al Signore per me ha un valore immenso. Ai miei figli ricorderei solo che non è un gioco».

Le sorprese più belle che lui le ha fatto?

«Ce ne sono state talmente tante... quelle che mi colpiscono di più sono quelle che valgono dei sacrifici: Silvio è stato capace di fare viaggi anche di sei ore in macchina per stare con me due ore e tornare indietro. Per me questi sono regali pazzeschi».

E lei a lui?

«Silvio ama andare in barca, ma non l’ha mai avuta. Suo papà era un pescatore, questa cosa gli è rimasta dentro. Qualche anno fa, a sua insaputa, ho organizzato un giro in barca in Grecia: è venuto in aeroporto all’oscuro di tutto e ha apprezzato molto».

Cosa ne pensa lui delle sue prese di posizione? Si è espressa anche sui vaccini Covid, dicendo che non l’aveva fatto.

«Credo che siamo persone libere e sufficientemente intelligenti per capire cosa è più giusto per noi. A prescindere dal tema, Silvio mi consiglia sempre di “stare buona”: sa come funzionano le cose, come possono essere riportate le opinioni e ogni tanto si discute per questo. Ma io sono trasparente, non riesco a nascondere nulla, sono fatta così. E poi penso sia brutto non prendere delle posizioni. Certo, io agisco molto di pancia e di cuore e, alle volte, poco di testa. Viceversa lui è troppo riflessivo e cervellotico: rischi di costruire dei castelli che non esistono nella realtà».

A proposito dell’agire di pancia, ha commentato su Instagram con delle faccine che si tappano la bocca le parole di Heather Parisi dette in tv da Cristiano Malgioglio...

«Mi faceva molto sorridere sentire che siamo sempre in contatto quando sono stata anche bloccata da lei, sui social. Detto questo, io contro Heather non ho niente, anche se l’epilogo del nostro programma, Nemica amatissima, è stato diverso da come speravo... Insomma, anche se ero dispiaciuta per come ci eravamo lasciate e anche se non ci sono stati più rapporti, per me rimane la stima per una professionista che ho sempre apprezzato. Però, ecco, da allora non ci siamo più sentite. Non ho visto la trasmissione, quindi forse anche lei era sarcastica».

Nella sua carriera c’è stato qualche momento di difficoltà, degli anni meno brillanti. Come li ricorda?

«Quando fai i conti con un percorso che dura da 37 anni, non esiste personaggio che non abbia avuto alti e bassi, è normale. L’importante è non perdere mai il senso del proprio valore, cosa che ho sempre cercato di mantenere ben chiara. A volte le cose non vanno, ma quando ci sono momenti critici non devi mettere in discussione anche te stesso. Ecco, io non ho mai perso il senso del mio valore e non lo dico con spavalderia. Però so quello che valgo e quello che potrei fare. I più grandi nemici di noi stessi siamo quasi sempre noi».

Uno sguardo lungimirante che aiuta a superare anche le turbolenze inevitabili in un lungo matrimonio?

«Io e Silvio siamo della generazione di quelli che aggiustavano tutto: quando qualcosa si rompeva, non la rimpiazzavi subito, perché magari per averla avevi fatto sacrifici. Ora trattiamo tutto, anche i sentimenti, come le cose che possediamo: se si rompono si buttano. Ma i rapporti, salvo quando non sono sani, si devono sistemare perché altrimenti non troveremo mai una nostra pace. Ecco, io sono molto brava ad aggiustare».

Jovanotti compie 57 anni: l’amore con Francesca che dura da quasi 30 anni, la figlia Teresa, 7 segreti. Arianna Ascione per corriere.it mercoledì 27 settembre 2023.

Il racconto della vita privata del cantautore, nato a Roma il 27 settembre 1966

Il compleanno

Non è un periodo semplice quello che Jovanotti sta vivendo: il cantautore, che la scorsa estate mentre si trovava in Repubblica Dominicana ha avuto un brutto incidente in bicicletta (in cui ha riportato varie fratture), è alle prese con la riabilitazione. ««Casa! Tre giorni a casa prima di ripartire per Forlì dove sto facendo la fisioterapia seguito da Fabrizio Borra, che mi strapazza per mantenere il tono e la funzione neuromuscolare attiva, così quando (non so ancora quando, potrebbero volerci mesi) inizierò ad andare senza stampelle avrò una buona base per recuperare e tornare a camminare e pedalare e soprattutto (per me) a stare su un palco - ha scritto ai suoi fan su Facebook all’inizio di settembre -. Un piccolo progresso al giorno, e ogni volta che passo da casa ritrovo il motivo per essere grato. Il mio vecchio Otto è pieno di acciacchi ma sembra sapere tutto di me, e non mi molla un attimo quando torno. Avanti tutta!». Nonostante le difficoltà Jovanotti (che il 27 settembre festeggia il suo 57esimo compleanno) non ha mai perso il sorriso e la positività, con la famiglia - sua moglie Francesca Valiani e la figlia Teresa - sempre al suo fianco.

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Il primo incontro con Francesca

Jovanotti e Francesca si conoscono praticamente da sempre: lei era amica della sorella del cantautore, Anna. Nel 2017, intervistata da Vanity Fair, Francesca Valiani ha ricordato un episodio molto particolare del loro passato: «Avevo 14 anni, lui metteva i dischi in una discoteca di Cortona. Mi venne a portare un biglietto per una serata in quel locale. I miei naturalmente non mi fecero andare, ma io quel biglietto lo conservai, senza nessun motivo, per anni dentro il portafoglio. Ce l'ho ancora».

Una vita insieme

«Io credo nelle affinità profonde - ha raccontato Francesca a Vanity Fair -. Ma questo non vuol dire che sia facile: tutto è stato una conquista. Il nostro rapporto in questi diciotto anni è cambiato totalmente, grazie a un lavoro quotidiano di correzione e rimessa a punto. Tra i due c’è sempre uno che si dedica alla manutenzione dell’amore e nella nostra coppia sono io che mi accorgo, che riavvito i bulloni che stanno mollando, che vedo qualche cosa che si sta sbrecciando. Ci metto attenzione, tempo, pensieri». Il grande amore tra Jovanotti e la sua Ragazza Magica va avanti, lontano dai riflettori, dal 1994. L’unica volta che il gossip ha trascinato la coppia al centro dell’attenzione è stato nel 2002, in occasione di un momento di crisi. Poi superato: «Mi sono messo in discussione guardando finalmente i difetti, affrontando la crisi e gli errori compiuti», ha raccontato il cantautore.

Il matrimonio a Cortona

Dopo tanti anni insieme il 6 settembre 2008 Jovanotti e Francesca Valiani sono convolati a nozze a Cortona, nella chiesa di Santa Maria Nuova. «I love you baby @fravaliani come ogni 6 settembre come ogni giorno forever», scriveva qualche giorno fa su Instagram il cantautore nel giorno dell’anniversario di matrimonio (il 15esimo).

La nascita di Teresa

Il 13 dicembre 1998 a Forlì, città in cui Jovanotti ha vissuto per diversi anni, il cantautore e Francesca Valiani sono diventati genitori: quel giorno infatti è nata Teresa Lucia, alla quale il cantautore ha dedicato la canzone «Per te». Mamma Francesca con il pancione e la neonata appaiono nel videoclip del brano, un collage di filmati casalinghi. «Per te è per la mia Teresa - ha ricordato a distanza di vent’anni il cantautore - è la sua canzone di quando ho saputo che stava venendo al mondo, e la canzone è nata insieme a lei e funzionava anche qui in casa, lei la ascoltava già nella pancia e poi nel suo primo anno di vita ogni volta che non voleva saperne di dormire la caricavo in macchina, mettevamo il cd di Per Te a volume alto e in un minuto si addormentava. Magia».

La malattia

«Per gli ultimi sette mesi ho tenuto un segreto, faccio fatica a raccontare una storia prima di conoscerne la fine. Il 3 luglio 2020 mi è stato diagnosticato un linfoma di Hodgkin, un tumore del sistema linfatico». Con un post su Instagram a inizio 2021 Teresa ha parlato per la prima volta della malattia che l’aveva colpita, da cui poi dopo mesi di cure è guarita. «Sono stata incredibilmente fortunata ad avere una famiglia, amici e team di medici spettacolare che mi hanno seguito e aiutato durante tutti questi mesi - ha detto -. Per un certo verso il cancro è una malattia molto solitaria, ma il supporto di chi ti sta vicino è fondamentale per superarla, io non ce l’avrei fatta senza di loro. La paura non è andata via, e ci vorrà del tempo perché possa fidarmi di nuovo del mio corpo, ma non vedo l’ora di ricominciare a vivere». «Lei è stata la roccia alla quale io e Lorenzo ci siamo aggrappati, non il contrario», parola di mamma Francesca.

La laurea a New York

«Un po’ di mesi fa ha avuto un momento di difficoltà e ha dimostrato una forza che ero così ammirato… Molto forte. Mi è piaciuta tantissimo. È stata strepitosa». Ospite di Mara Venier a Domenica In nel 2022 Jovanotti ha parlato così di sua figlia Teresa, di cui è sempre orgogliosissimo. A un anno di distanza dalla guarigione la 24enne ha completato il suo percorso di studi, laureandosi alla School of Visual Art di New York. «Lei è una lettrice folle - ha detto di lei papà Jovanotti sempre a Domenica In -. Legge i russi, la grande letteratura. È una ragazza in gamba. Mi piace. Se me la presentassero, direi “È una ragazza forte”. Poi ha dei difetti, eh: ha un caratterino…Quando si punta su una cosa, non la smuovi».

Loretta Goggi: «Ritorno dopo trent’anni, non per celebrarmi». Emilia Costantini su Il Corriere della Sera il 9 Marzo 2023.

Si intitola «Benedetta primavera» lo show condotto da Loretta Goggi con Luca Bizzarri e Paolo Kessisoglu, dal 10 marzo su Rai1 per quattro puntate in prima serata

«Gastone Moschin mi prese in braccio ed esclamò: ammazza quanto pesi...! Ti chiami Cosetta, ma non sei una Cosetta». La battuta risale al celebre, storico sceneggiato I miserabili, diretto da Sandro Bolchi, dove già furoreggiava una Loretta Goggi appena dodicenne. E adesso la showoman torna in tv con il programma «Benedetta primavera», da lei condotto con la partecipazione di Luca Bizzarri e Paolo Kessisoglu, su Rai1 da stasera in quattro puntate.

«Torno a trent’anni di distanza da «Via Teulada 66» — spiega Loretta — un varietà che non funzionava perché non c’erano i giochini, le telefonate in diretta col pubblico... affrontavamo argomenti più seri e venne sospeso dopo pochi mesi. Da allora a oggi, oltre ad accettare il ruolo di giurata in Tale e quale show, mi sono dedicata al mio grande amore, il teatro. Il piccolo schermo non mi è mancato e forse io non sono mancata al piccolo schermo. Altre volte mi avevano fatto proposte celebrative, ripercorrendo le mie canzoni. Stavolta mi propongo un programma tagliato su di me, come sono adesso, una donna di 72 anni. Mi ha convinto il direttore Stefano Coletta, dicendomi: in 63 anni di carriera hai fatto di tutto, quindi è inutile cercare nuove idee, il format sei tu».

Una lunga carriera, iniziata da enfant prodige e proseguita attraverso il mondo dello spettacolo, declinandolo nei più svariati generi artistici e conquistando dei primati: è stata la prima