Denuncio al mondo ed ai posteri con i miei libri tutte le illegalità tacitate ed impunite compiute dai poteri forti (tutte le mafie). Lo faccio con professionalità, senza pregiudizi od ideologie. Per non essere tacciato di mitomania, pazzia, calunnia, diffamazione, partigianeria, o di scrivere Fake News, riporto, in contraddittorio, la Cronaca e la faccio diventare storia. Quella Storia che nessun editore vuol pubblicare. Quelli editori che ormai nessuno più legge.
Gli editori ed i distributori censori si avvalgono dell'accusa di plagio, per cessare il rapporto. Plagio mai sollevato da alcuno in sede penale o civile, ma tanto basta per loro per censurarmi.
I miei contenuti non sono propalazioni o convinzioni personali. Mi avvalgo solo di fonti autorevoli e credibili, le quali sono doverosamente citate.
Io sono un sociologo storico: racconto la contemporaneità ad i posteri, senza censura od omertà, per uso di critica o di discussione, per ricerca e studio personale o a scopo culturale o didattico. A norma dell'art. 70, comma 1 della Legge sul diritto d'autore: "Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l'utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali."
L’autore ha il diritto esclusivo di utilizzare economicamente l’opera in ogni forma e modo (art. 12 comma 2 Legge sul Diritto d’Autore). La legge stessa però fissa alcuni limiti al contenuto patrimoniale del diritto d’autore per esigenze di pubblica informazione, di libera discussione delle idee, di diffusione della cultura e di studio. Si tratta di limitazioni all’esercizio del diritto di autore, giustificate da un interesse generale che prevale sull’interesse personale dell’autore.
L'art. 10 della Convenzione di Unione di Berna (resa esecutiva con L. n. 399 del 1978) Atto di Parigi del 1971, ratificata o presa ad esempio dalla maggioranza degli ordinamenti internazionali, prevede il diritto di citazione con le seguenti regole: 1) Sono lecite le citazioni tratte da un'opera già resa lecitamente accessibile al pubblico, nonché le citazioni di articoli di giornali e riviste periodiche nella forma di rassegne di stampe, a condizione che dette citazioni siano fatte conformemente ai buoni usi e nella misura giustificata dallo scopo.
Ai sensi dell’art. 101 della legge 633/1941: La riproduzione di informazioni e notizie è lecita purché non sia effettuata con l’impiego di atti contrari agli usi onesti in materia giornalistica e purché se ne citi la fonte. Appare chiaro in quest'ipotesi che oltre alla violazione del diritto d'autore è apprezzabile un'ulteriore violazione e cioè quella della concorrenza (il cosiddetto parassitismo giornalistico). Quindi in questo caso non si fa concorrenza illecita al giornale e al testo ma anzi dà un valore aggiunto al brano originale inserito in un contesto più ampio di discussione e di critica.
Ed ancora: "La libertà ex art. 70 comma I, legge sul diritto di autore, di riassumere citare o anche riprodurre brani di opere, per scopi di critica, discussione o insegnamento è ammessa e si giustifica se l'opera di critica o didattica abbia finalità autonome e distinte da quelle dell'opera citata e perciò i frammenti riprodotti non creino neppure una potenziale concorrenza con i diritti di utilizzazione economica spettanti all'autore dell'opera parzialmente riprodotta" (Cassazione Civile 07/03/1997 nr. 2089).
Per questi motivi Dichiaro di essere l’esclusivo autore del libro in oggetto e di tutti i libri pubblicati sul mio portale e le opere citate ai sensi di legge contengono l’autore e la fonte. Ai sensi di legge non ho bisogno di autorizzazione alla pubblicazione essendo opere pubbliche.
Promuovo in video tutto il territorio nazionale ingiustamente maltrattato e censurato. Ascolto e Consiglio le vittime discriminate ed inascoltate. Ogni giorno da tutto il mondo sui miei siti istituzionali, sui miei blog d'informazione personali e sui miei canali video sono seguito ed apprezzato da centinaia di migliaia di navigatori web. Per quello che faccio, per quello che dico e per quello che scrivo i media mi censurano e le istituzioni mi perseguitano. Le letture e le visioni delle mie opere sono gratuite. Anche l'uso è gratuito, basta indicare la fonte. Nessuno mi sovvenziona per le spese che sostengo e mi impediscono di lavorare per potermi mantenere. Non vivo solo di aria: Sostienimi o mi faranno cessare e vinceranno loro.
Dr Antonio Giangrande
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(pagine) GIANGRANDE LIBRI
WEB TV: TELE WEB ITALIA
NEWS: RASSEGNA STAMPA - CONTROVOCE - NOTIZIE VERE DAL POPOLO - NOTIZIE SENZA CENSURA
L’ITALIA ALLO SPECCHIO
IL DNA DEGLI ITALIANI
ANNO 2023
LO SPETTACOLO
E LO SPORT
SECONDA PARTE
DI ANTONIO GIANGRANDE
L’APOTEOSI
DI UN POPOLO DIFETTATO
Questo saggio è un aggiornamento temporale, pluritematico e pluriterritoriale, riferito al 2023, consequenziale a quello del 2022. Gli argomenti ed i territori trattati nei saggi periodici sono completati ed approfonditi in centinaia di saggi analitici specificatamente dedicati e già pubblicati negli stessi canali in forma Book o E-book, con raccolta di materiale riferito al periodo antecedente. Opere oggetto di studio e fonti propedeutiche a tesi di laurea ed inchieste giornalistiche.
Si troveranno delle recensioni deliranti e degradanti di queste opere. Il mio intento non è soggiogare l'assenso parlando del nulla, ma dimostrare che siamo un popolo difettato. In questo modo è ovvio che l'offeso si ribelli con la denigrazione del palesato.
IL GOVERNO
UNA BALLATA PER L’ITALIA (di Antonio Giangrande). L’ITALIA CHE SIAMO.
UNA BALLATA PER AVETRANA (di Antonio Giangrande). L’AVETRANA CHE SIAMO.
PRESENTAZIONE DELL’AUTORE.
LA SOLITA INVASIONE BARBARICA SABAUDA.
LA SOLITA ITALIOPOLI.
SOLITA LADRONIA.
SOLITO GOVERNOPOLI. MALGOVERNO ESEMPIO DI MORALITA’.
SOLITA APPALTOPOLI.
SOLITA CONCORSOPOLI ED ESAMOPOLI. I CONCORSI ED ESAMI DI STATO TRUCCATI.
ESAME DI AVVOCATO. LOBBY FORENSE, ABILITAZIONE TRUCCATA.
SOLITO SPRECOPOLI.
SOLITA SPECULOPOLI. L’ITALIA DELLE SPECULAZIONI.
L’AMMINISTRAZIONE
SOLITO DISSERVIZIOPOLI. LA DITTATURA DEI BUROCRATI.
SOLITA UGUAGLIANZIOPOLI.
IL COGLIONAVIRUS.
SANITA’: ROBA NOSTRA. UN’INCHIESTA DA NON FARE. I MARCUCCI.
L’ACCOGLIENZA
SOLITA ITALIA RAZZISTA.
SOLITI PROFUGHI E FOIBE.
SOLITO PROFUGOPOLI. VITTIME E CARNEFICI.
GLI STATISTI
IL SOLITO AFFAIRE ALDO MORO.
IL SOLITO GIULIO ANDREOTTI. IL DIVO RE.
SOLITA TANGENTOPOLI. DA CRAXI A BERLUSCONI. LE MANI SPORCHE DI MANI PULITE.
SOLITO BERLUSCONI. L'ITALIANO PER ANTONOMASIA.
IL SOLITO COMUNISTA BENITO MUSSOLINI.
I PARTITI
SOLITI 5 STELLE… CADENTI.
SOLITA LEGOPOLI. LA LEGA DA LEGARE.
SOLITI COMUNISTI. CHI LI CONOSCE LI EVITA.
IL SOLITO AMICO TERRORISTA.
1968 TRAGICA ILLUSIONE IDEOLOGICA.
LA GIUSTIZIA
SOLITO STEFANO CUCCHI & COMPANY.
LA SOLITA SARAH SCAZZI. IL DELITTO DI AVETRANA.
LA SOLITA YARA GAMBIRASIO. IL DELITTO DI BREMBATE.
SOLITO DELITTO DI PERUGIA.
SOLITA ABUSOPOLI.
SOLITA MALAGIUSTIZIOPOLI.
SOLITA GIUSTIZIOPOLI.
SOLITA MANETTOPOLI.
SOLITA IMPUNITOPOLI. L’ITALIA DELL’IMPUNITA’.
I SOLITI MISTERI ITALIANI.
BOLOGNA: UNA STRAGE PARTIGIANA.
LA MAFIOSITA’
SOLITA MAFIOPOLI.
SOLITE MAFIE IN ITALIA.
SOLITA MAFIA DELL’ANTIMAFIA.
SOLITO RIINA. LA COLPA DEI PADRI RICADE SUI FIGLI.
SOLITO CAPORALATO. IPOCRISIA E SPECULAZIONE.
LA SOLITA USUROPOLI E FALLIMENTOPOLI.
SOLITA CASTOPOLI.
LA SOLITA MASSONERIOPOLI.
CONTRO TUTTE LE MAFIE.
LA CULTURA ED I MEDIA
LA SCIENZA E’ UN’OPINIONE.
SOLITO CONTROLLO E MANIPOLAZIONE MENTALE.
SOLITA SCUOLOPOLI ED IGNORANTOPOLI.
SOLITA CULTUROPOLI. DISCULTURA ED OSCURANTISMO.
SOLITO MEDIOPOLI. CENSURA, DISINFORMAZIONE, OMERTA'.
LO SPETTACOLO E LO SPORT
SOLITO SPETTACOLOPOLI.
SOLITO SANREMO.
SOLITO SPORTOPOLI. LO SPORT COL TRUCCO.
LA SOCIETA’
AUSPICI, RICORDI ED ANNIVERSARI.
I MORTI FAMOSI.
ELISABETTA E LA CORTE DEGLI SCANDALI.
MEGLIO UN GIORNO DA LEONI O CENTO DA AGNELLI?
L’AMBIENTE
LA SOLITA AGROFRODOPOLI.
SOLITO ANIMALOPOLI.
IL SOLITO TERREMOTO E…
IL SOLITO AMBIENTOPOLI.
IL TERRITORIO
SOLITO TRENTINO ALTO ADIGE.
SOLITO FRIULI VENEZIA GIULIA.
SOLITA VENEZIA ED IL VENETO.
SOLITA MILANO E LA LOMBARDIA.
SOLITO TORINO ED IL PIEMONTE E LA VAL D’AOSTA.
SOLITA GENOVA E LA LIGURIA.
SOLITA BOLOGNA, PARMA ED EMILIA ROMAGNA.
SOLITA FIRENZE E LA TOSCANA.
SOLITA SIENA.
SOLITA SARDEGNA.
SOLITE MARCHE.
SOLITA PERUGIA E L’UMBRIA.
SOLITA ROMA ED IL LAZIO.
SOLITO ABRUZZO.
SOLITO MOLISE.
SOLITA NAPOLI E LA CAMPANIA.
SOLITA BARI.
SOLITA FOGGIA.
SOLITA TARANTO.
SOLITA BRINDISI.
SOLITA LECCE.
SOLITA POTENZA E LA BASILICATA.
SOLITA REGGIO E LA CALABRIA.
SOLITA PALERMO, MESSINA E LA SICILIA.
LE RELIGIONI
SOLITO GESU’ CONTRO MAOMETTO.
FEMMINE E LGBTI
SOLITO CHI COMANDA IL MONDO: FEMMINE E LGBTI.
LO SPETTACOLO E LO SPORT
INDICE PRIMA PARTE
SOLITO SPETTACOLOPOLI. (Ho scritto un saggio dedicato)
L’Artista.
Il rapper, il trapper oppure del sottogenere dei «gangsta».
L’hip-hop.
L'Autotune.
Si stava meglio quando si stava peggio.
Laureati.
Gli Stadi.
Imprenditori ed Agenti.
Gli Autori.
I Parolieri.
Il Plagio.
Le Colonne Sonore d’Italia.
Le Fake news.
Le Relazioni astratte.
Le Hollywood d’Italia.
Revenge songs.
Achille Lauro.
Ada Alberti.
Adele.
Adriano Celentano.
Adriano Pappalardo.
Ainett Stephens.
Alain Delon.
Alan Sorrenti.
Alba Parietti.
Alberto Fortis.
Alberto Marozzi.
Al Bano Carrisi.
Al Pacino.
Aldo Savoldello: Mago Silvan.
Aldo, Giovanni e Giacomo.
Ale e Franz.
Alec Baldwin.
Alena Seredova.
Alessandra Martines.
Alessandra Mastronardi.
Alessandra e Valentina Giudicessa.
Aleandro Baldi.
Alessandro Baricco.
Alessandro Benvenuti.
Alessandro Bergonzoni.
Alessandro Borghi.
Alessandro Cattelan.
Alessandro Cecchi Paone.
Alessandro e Leo Gassmann.
Alessandro Haber.
Alessandro Preziosi e Vittoria Puccini.
Alessia Fabiani.
Alessia Marcuzzi.
Alessia Merz.
Alex Britti.
Alex Di Luca.
Alexia.
Alfonso Signorini.
Alvaro Vitali.
Amadeus.
Amanda Lear.
Amara Rakhi Gill.
Ambra Angiolini.
Amedeo Minghi.
Amleto Marco Belelli, il Divino Otelma.
Anastasia Bartoli.
Andrea Bocelli.
Andrea Delogu.
Andrea Pucci.
Andrea Roncato.
Angela Cavagna.
Angela White.
Angelina Jolie.
Angelo Branduardi.
Angelo Duro.
Annalisa.
Anna Chetta alias Linda Lorenzi.
Anna Falchi.
Anna Mazzamauro.
Anna Tatangelo.
Anna Valle.
Antonella Clerici.
Antonella Elia.
Antonella Marino.
Antonino Cannavacciuolo.
Antonio Banderas.
Antonio Diodato.
Antonio Albanese.
Antonio Ricci.
Ariete si chiama Arianna Del Giaccio.
Arnold Schwarzenegger.
Articolo 31.
Arturo Brachetti.
Asia e Dario Argento.
Barbara Bouchet.
Barbara D’Urso.
Barbra Streisand.
Beatrice Fazi.
Beatrice Rana.
Beatrice Venezi.
Bebe Buell.
Belen Rodriguez e Stefano De Martino.
Beppe Convertini.
Beppe o Peppe Vessicchio.
Biagio Antonacci.
Bianca Balti.
Bob Dylan.
Bobby Solo: Roberto Satti.
Brad Pitt.
Brenda Lodigiani.
Brendan Fraser.
Brigitte Bardot.
Britney Spears.
Brooke Shields.
Bruce Willis.
Bruno Gambarotta.
Bugo.
Candy Love.
Carla Signoris.
Carlo Conti.
Carlo Freccero.
Carlo Verdone.
Carlotta Mantovan.
Carmen Russo.
Carol Alt.
Carole Andrè.
Carolina Crescentini.
Cate Blanchett.
Caterina Caselli.
Catherine Deneuve.
Catiuscia Maria Stella Ricciarelli: Katia Ricciarelli.
Cecilia Gasdìa.
Celine Dion.
Cesare Cremonini.
Capri Cavanni.
Charlize Theron.
Cher.
Chiara Claudi.
Chiara Francini.
Chiara Mastroianni.
Christian Clay.
Christian De Sica.
Christina Aguilera.
Christopher Walken.
Chu Meng Shu.
Cinzia Leone.
Cirque du Soleil.
Clara Serina.
Claudia Cardinale.
Claudia Gerini.
Claudia Koll.
Claudia Pandolfi.
Claudio Amendola.
Claudio Baglioni.
Claudio Cecchetto.
Claudio Lippi.
Claudio Santamaria.
Clint Eastwood.
CJ Miles.
Colapesce e Dimartino.
Colin Farrell.
Coma_Cose.
Corrado Tedeschi.
Costantino della Gherardesca.
Costantino Vitagliano.
Cristiana Capotondi.
Cristiano De André.
Cristiano Malgioglio.
Cristina Comencini.
Cristina D’Avena.
Cristina Scuccia.
INDICE SECONDA PARTE
SOLITO SPETTACOLOPOLI. (Ho scritto un saggio dedicato)
Dado.
Dalila Di Lazzaro.
Daniel Craig.
Daniele Luttazzi.
Daniele Silvestri.
Dargen D'Amico.
Dario Farina.
David Lee.
Den Harrow.
Dennis Fantina.
Diana Del Bufalo.
Diego Dalla Palma.
Diego Abatantuono.
Diletta Leotta.
Donatella Rettore.
Dredd.
Drusilla Foer.
Ed Sheeran.
Edoardo Bennato.
Edoardo Costa.
Edoardo Vianello.
Edwige Fenech.
Elena Di Cioccio.
Elena Santarelli.
Elenoire Casalegno.
Eleonora Abbagnato.
Eleonora Daniele.
Eleonora Giorgi.
Elettra Lamborghini.
Elisa Isoardi.
Elisabetta Valentini.
Elodie.
Ema Stockolma.
Emanuela Fanelli.
Emanuela Folliero.
Emanuela Trane: Dolcenera.
Emma Marrone.
Enrica Bonaccorti.
Enrico Bertolino.
Enrico Beruschi.
Enrico Brignano.
Enrico Lo Verso.
Enrico Ruggeri.
Enrico Silvestrin.
Enrico Vanzina.
Enza Sampò.
Enzo Braschi.
Enzo Ghinazzi, in arte Pupo.
Enzo Iacchetti.
Ernia.
Eros Ramazzotti.
Eugenio Finardi.
Euridice Axen.
Eva Elfie.
Eva Henger.
Eva Menta e Alex Mucci.
Eva Riccobono.
Eva Robin’s.
Ezio Greggio.
Fabio Concato.
Fabio De Luigi.
Fabio Fazio.
Fabio Rovazzi.
Fabrizio Bentivoglio.
Fabrizio Biggio e Francesco Mandelli.
Fabrizio Bracconeri.
Fabrizio Corona.
Fabrizio Moro.
Fanny Ardant.
Fedez e Chiara Ferragni.
Ferzan Ozpetek.
Ficarra e Picone.
Filippa Lagerbäck e Daniele Bossari.
Fiordaliso.
Fiorella Mannoia.
Fiorella Pierobon.
Fioretta Mari.
Francesca Alotta.
Francesca Michielin.
Francesca Neri.
Francesca Reggiani.
Francesco Baccini.
Francesco De Gregori.
Francesco Facchinetti.
Francesco Guccini.
Francesco Leone.
Francesco Nuti.
Francesco Pannofino.
Francesco Renga.
Francesco Salvi.
Francis Ford Coppola.
Franco Nero.
Francois Ozon.
Frank Matano.
Frankie Hi Nrg Mc.
Gabriel Garko.
Gabriele e Silvio Muccino.
Gabriele Salvatores.
Gabriella Golia.
Gabry Ponte.
Gaiè.
Gazzelle, all’anagrafe Flavio Bruno Pardini.
Gegia (Francesca Antonaci).
Gene Gnocchi.
George Benson.
Geppi Cucciari.
Gerry Scotti.
Ghali.
Gianna Nannini.
Gigi e Andrea.
Giampiero Ingrassia.
Giancarlo Giannini.
Giancarlo Magalli.
Gianluca Colucci: Gianluca Fru.
Gianluca Grignani.
Gianmarco Tognazzi.
Gianni e Marco Morandi.
Gigi D'Alessio e Anna Tatangelo.
Gigi Folino e il Gruppo Italiano.
Gigliola Cinquetti.
Gino Paoli.
Gino & Michele.
Giorgia.
Giorgia Surina.
Giorgio Mastrota.
Giorgio Pasotti.
Giovanna Mezzogiorno.
Giovanni Caccamo.
Giovanni Muciaccia.
Giovanni Pietro Damian: Sangiovanni.
Giovanni Scialpi.
Giuliana De Sio.
Giulio Rapetti Mogol.
Giulio Scarpati.
Giuseppe Tornatore.
Gli AC/DC.
Gli Inti-Illimani.
Gloria Guida.
Guendalina Tavassi.
Guillermo Mariotto.
Guns N' Roses.
Gwyneth Paltrow.
Henry Winkler.
Harry Styles.
Helen Mirren.
Heather Parisi.
Eva Herzigova.
Eva Longoria.
Iaia Forte.
Gli Skiantos.
I Baustelle.
I Cccp Fedeli alla Linea.
I Cugini di Campagna.
I Gialappa' s Band.
I Guzzanti.
I Jalisse.
Il Volo.
I Maneskin.
I Marlene Kuntz.
I Metallica.
I Modà.
I Negramaro.
I Pooh.
I Righeira.
I Ricchi e Poveri.
I Rolling Stones.
I Santi Francesi.
I Sex Pistols.
Ilary Blasi.
Elena Anna, Ilona Staller: Cicciolina.
Irene Maestrini.
Isabella Ferrari.
Isabella Rossellini.
Isotta.
Iva Zanicchi.
Ivan Cattaneo.
Ivana Spagna.
Ivano Fossati.
Jack Nicholson.
Jane Fonda.
Jennie Rose.
Jeremy Renner.
Jerry Calà.
Jo Squillo.
John Malkovich.
Johnny Depp.
Johnny Dorelli.
Joss Stone.
Jude Law.
Julia Roberts.
Justine Mattera.
INDICE TERZA PARTE
SOLITO SPETTACOLOPOLI. (Ho scritto un saggio dedicato)
Kanye West.
Kasia Smutniak.
Kate Winslet.
Ke Hui Quan.
Kevin Costner.
Kevin Spacey.
Kira Noir.
Lady Gaga.
Laetitia Casta.
La Gialappa’s Band.
Lalla Esposito.
Lars von Trier.
Laura Chiatti.
Laura Freddi.
Laura Morante.
Laura Pausini.
Lavinia Abate.
Lazza.
Lella Costa.
Lenny Kravitz.
Leo Gullotta.
Leonardo DiCaprio.
Leonardo Pieraccioni.
Levante.
Lewis Capaldi.
Lia Lin.
Licia Colò.
Liliana Cavani.
Lily Veroni.
Lina Sotis.
Linda Evangelista.
Lino Banfi.
Linus.
Lisa Galantini.
Little Dragon.
Lizzo.
Lo Stato Sociale.
Loredana Bertè.
Lorella Cuccarini.
Lorenzo Cherubini: Jovanotti.
Loretta Goggi.
Lory Del Santo.
Luc Besson.
Luc Merenda.
Luca Argentero.
Luca Barbareschi.
Luca e Paolo.
Luca Medici: Checco Zalone.
Luca Miniero.
Luca Ravenna.
Lucia Mascino.
Luciana Littizzetto.
Ludovica Martino.
Ludovico Peregrini.
Luigi Lo Cascio.
Luisa Corna.
Luisa Ranieri.
Luna Star.
Madame.
Maddalena Corvaglia.
Madonna.
Mago Forest, alias Michele Foresta.
Mahmood.
Malena, all’anagrafe Filomena Mastromarino.
Malika Ayane.
Manila Nazzaro.
Manuel Agnelli.
Manuela Arcuri.
Mara Maionchi.
Mara Venier.
Marcella Bella.
Marco Bellocchio.
Marco Bocci.
Marco Columbro.
Marco Della Noce.
Marco Ferradini.
Marco Giallini.
Marco Masini.
Marco Mengoni.
Marco Predolin.
Marco Risi.
Margherita Buy.
Maria Giovanna Elmi.
Maria Grazia Buccella.
Maria Grazia Cucinotta.
Maria Sofia Federico.
Maria Teresa Ruta.
Marina Suma.
Mario Biondi.
Mariolina Cannuli.
Marisa Laurito.
Marisela Federici.
Martin Scorsese.
Mascia Ferri.
Massimo Boldi.
Massimo Ceccherini.
Massimo Ciavarro.
Massimo Ghini.
Massimo Ranieri.
Matilda De Angelis.
Matilde Gioli.
Mattia Zenzola.
Maurizio Battista.
Maurizio Ferrini.
Maurizio Milani.
Maurizio Potocnik, in arte Reeds.
Maurizio Seymandi.
Maurizio Vandelli.
Maurizio Zamboni .
Mauro Coruzzi alias Platinette.
Mauro Pagani.
Max Felicitas.
Max Laudadio.
Max Pezzali e gli 883.
Megan Daw.
Megan Gale.
Mel Brooks.
Melissa Stratton.
Memo Remigi.
Micaela Ramazzotti.
Michael Caine.
Michael J. Fox.
Michele Guardì.
Michele Placido.
Michele Riondino.
Michelle Hunziker.
Michelle Yeoh.
Mika.
Milena Vukotic.
Mina.
Minnie Minoprio.
Miranda Martino.
Mita Medici.
Monica Bellucci.
Morgan.
Myss Keta.
Mr. Rain.
Nada.
Nancy Brilli.
Nanni Moretti.
Natasha Stefanenko.
Naomi Campbell.
Neri Parenti.
Nicole Doshi.
Niccolò Fabi.
Nina Moric.
Nina Zilli.
Nino D'Angelo.
Nino Formicola: Gaspare di Zuzzurro e Gaspare.
Nino Frassica.
Noomi Rapace.
INDICE QUARTA PARTE
SOLITO SPETTACOLOPOLI. (Ho scritto un saggio dedicato)
Omar Pedrini.
Omar Sharif.
Orietta Berti.
Ornella Muti.
Ornella Vanoni.
Ozzy Osbourne.
Pamela Anderson.
Pamela Prati.
Pamela Villoresi.
Paola Barale e Raz Degan.
Paola&Chiara.
Paola Gassman e Ugo Pagliai.
Paola Perego.
Paola Pitagora.
Paola Turci.
Paolo Belli.
Paolo Calabresi.
Paolo Conte.
Paolo Rossi.
Paris Hilton.
Pasquale Petrolo in arte Lillo; Claudio Gregori in arte Greg.
Patty Pravo.
Patti Smith.
Peppino di Capri.
Peter Gabriel.
Pico.
Pier Francesco Pingitore.
Pierfrancesco Favino.
Pier Luigi Pizzi.
Piero Chiambretti.
Piero Pelù.
Piero Pintucci.
Pilar Fogliati.
Pino Insegno.
Pino Scotto.
Pio ed Amedeo.
Playtoy Orchestra.
Povia.
Pupi Avati.
Quentin Tarantino.
Quincy Jones.
Raf.
Renato Pozzetto.
Renato Zero.
Renzo Arbore.
Ricky Martin.
Rita Pavone.
Ringo.
Robbie Williams.
Robert De Niro.
Roberta Lena.
Roberto da Crema.
Roberto Vecchioni.
Rocco Hunt.
Rocco Papaleo.
Rocco Siffredi.
Rocío Muñoz Morales e Raoul Bova.
Roman Polanski.
Ron: Rosalino Cellamare.
Ronn Moss.
Rosa Chemical.
Rosalba Pippa: Arisa.
Rosanna Fratello.
Rosario e Giuseppe Fiorello.
Rupert James Hector Everett.
Sabina Ciuffini.
Sabrina Impacciatore.
Sabrina Salerno.
Samuel L. Jackson.
Sandy Marton.
Sandra Milo.
Sara Diamante.
Sara Tommasi.
Scarlett Johansson.
Sean Penn.
Selen.
Selva Lapiedra.
Serena Grandi.
Sergio Caputo.
Sergio Castellitto.
Sergio Rubini.
Sergio Vastano.
Sergio Volpini.
Sharon Stone e Michael Douglas.
Shakira.
Simona Izzo.
Simona Tabasco.
Simona Ventura.
Simone Cristicchi.
Syusy Blady e Patrizio Roversi.
Sofia Scalia e Luigi Calagna, Sofì e Luì: Me contro Te.
Sonia Bruganelli e Paolo Bonolis.
Sophia Loren.
Stanley Tucci.
Stefania Orlando.
Stefania e Silvia Rocca.
Stefania Sandrelli.
Stefano Accorsi.
Susan Sarandon.
Susanna Messaggio.
Sydne Rome.
Sylvester Stallone.
Sveva Sagramola.
SZA, vero nome Solána Imani Rowe.
Taylor Swift.
Tananai.
Terence Blanchard.
Teresa Mannino.
Teresa Saponangelo.
Teo Mammucari.
Teo Teocoli.
Tiberio Timperi.
Tim Burton.
Tinto Brass.
Tiziana Rivale.
Tiziano Ferro.
Tom Cruise.
Tom Hanks.
Tommaso Paradiso.
Toto Cutugno.
Tullio Solenghi.
U 2.
Uccio De Santis.
Ultimo.
Umberto Smaila.
Wanna Marchi.
Will Smith.
Woody Allen.
Valentina Lodovini.
Valeria Golino e Riccardo Scamarcio.
Valeria Marini.
Valeria Rossi.
Valeria Solarino.
Valerio Scanu.
Valerio Staffelli.
Vanessa Gravina.
Vasco Rossi.
Vera Gemma.
Veronica Maya.
Victoria Cabello.
Vincenzo Salemme.
Viola Valentino.
Vittoria Belvedere.
Vladimir Luxuria.
Zucchero Fornaciari.
Yuko Ogasawara.
Xxlayna Marie.
INDICE QUINTA PARTE
SOLITO SANREMO. (Ho scritto un saggio dedicato)
Sanremo 2024.
Sanremo. Sociologia di un festival.
La Selezione…truccata.
I Precedenti.
Il FantaSanremo.
Gli Inediti.
I Ti caccio o non ti caccio?
Gli Scandali.
La Politica.
Le Anticipazioni. Il Pre-Voto.
Quello che c’è da sapere.
I Co-conduttori.
I Super Ospiti.
Testi delle canzoni di Sanremo 2023.
La Prima Serata.
La Seconda Serata.
La Terza Serata.
La Quarta Serata.
La Quinta ed Ultima Serata.
INDICE SESTA PARTE
SOLITO SPORTOPOLI. LO SPORT COL TRUCCO. (Ho scritto un saggio dedicato)
Il Certificato medico sportivo.
Giochi Sporchi del 2022.
Quelli che…il Coni.
Quelli che…il Calcio. La Fifa.
Quelli che…La Uefa.
Quelli che…il Calcio. La Superlega.
Quelli che…il Calcio. La FIGC.
Quelli che…una Compagnia di S-Ventura.
Quelli che…i tiri Mancini.
La Furbata.
Quelli che…il Calcio. Gli Arbitri.
Quelli che…il Calcio. La Finanza.
Quelli che…il Calcio. I Procuratori.
Quelli che…il Calcio. I Tifosi.
Quelli che…il Calcio. I Figli d’Arte.
Quelli che…il Calcio. La Politica.
Quelli che…il Calcio. Gli Altri.
Quelli che…il Calcio. Lionel Messi.
INDICE SETTIMA PARTE
SOLITO SPORTOPOLI. LO SPORT COL TRUCCO. (Ho scritto un saggio dedicato)
Quelli che…il Calcio. Le Squadre.
INDICE OTTAVA PARTE
SOLITO SPORTOPOLI. LO SPORT COL TRUCCO. (Ho scritto un saggio dedicato)
Quelli che…il Calcio. Le Squadre.
Il Calcioscommesse.
Quelli che…I Traditori.
Quelli che…Fine hanno fatto.
INDICE NONA PARTE
SOLITO SPORTOPOLI. LO SPORT COL TRUCCO. (Ho scritto un saggio dedicato)
I 10 proprietari più ricchi nello sport.
Quelli che…I Superman.
Quelli che…è andato tutto storto.
Quelli che…la Palla Canestro.
Quelli che…la pallavolo.
Quelli che il Rugby.
Quelli che ti picchiano.
Quelli che…il Tennis.
Quelli che…il pattinaggio.
Quelli che…l’atletica.
Quelli che…i Motori.
Quelli che…la Bicicletta.
Quelli che…gli Sci.
Quelli che…il Nuoto.
Quelli che…la Barca.
Quelli che…l’Ippica.
Quelli che… il Curling.
Il Doping.
LO SPETTACOLO E LO SPORT
SECONDA PARTE
SOLITO SPETTACOLOPOLI. (Ho scritto un saggio dedicato)
Dado.
Il comico Dado: «I miei quattro anni in attesa di giustizia per difendere mia figlia dal fango». Laura Martellini su Il Corriere della Sera il 27 Aprile 2023.
L'attore comico, vero nome Gabriele Pellegrini, ricostruisce l'estenuante processo che lo vede parte lesa per i messaggi minatori attribuiti al padre dell'ex di sua figlia
Dado, nome d'arte di Gabriele Pellegrini, attore comico ora in scena al Teatro Golden di Roma con lo spettacolo «L'amore è..». Battute, gag, tanta musica, anche perché sul palco ha riunito la band degli anni di scuola Dado e le pastine in brothers. Nella Capitale una garanzia di divertimento. Sempre di scena, the show must go on, anche se solo ieri era testimone come parte lesa al processo che vede il padre dell'ex di sua figlia sul banco degli imputati per diffamazione. Ricostruisce: «Sono stato bersagliato da 500 post, 9 profili fake e 300 commenti denigratori sotto ai miei interventi social, solo perché ho cercato di difendere mia figlia dai comportamenti aggressivi non solo del suo ragazzo - tutto ha inizio quattro anni fa, lei era 14enne lui di qualche anno più grande - ma di un'intera famiglia. Io mi domando: quando il proprio figlio ha comportamenti scorretti, in genere si chiede scusa alle persone cui ha provocato dolore. Qui succede il contrario, quasi sono io a dovermi giustificare, addirittura di aver postato all'epoca una foto con il naso rotto: secondo chi mi ha aggredito la mia sarebbe stata una messinscena. Mi sarei inventato le botte. Da non credersi».
«La famiglia, la mia forza»
Come ha vissuto questi anni? «Con fastidio, si può immaginare come ci si sente a sentirsi definire un orco; a essere accusati, da questo padre impetuoso, di aver mandato suo figlio in ospedale. Io che non ho mai bullizzato nessuno e vivo in una famiglia perbene! Ho una moglie eccezionale, ora fa la caregiver di mio padre che ha subìto un'operazione. Mia figlia, Alice, è artista anche lei. Sta con me sul palco. L'esperienza della musica e del canto l'ha aiutata ad aprire la porta delle emozioni e a trasformare un periodo di enorme turbamento in qualcosa di positivo. Ora ha un altro fidanzato, un'altra vita. Non a caso nello spettacolo interpreta una canzone scritta da me, che combina una musica allegra con un testo profondo e riflessivo, "mi fa male il mondo, mi fanno male alcune persone...».
La cattiva giustizia
Ridere delle follie del mondo, la ricetta del bravo comico: «Sa cosa mi provoca dolore? Che si perda tempo dietro a un processo per diffamazione in cui basterebbe saper chiedere scusa per poi magari stringersi la mano. Invece siamo impegnati in tribunale da quattro anni, di fronte a magistrati spesso impreparati: ho dovuto io dire al giudice che chi siede sul banco degli imputati è coinvolto in altri procedimenti. Fino a quando arriverà la prescrizione per superamento dei tempi, ed è come se nulla fosse mai accaduto. All'ultima udienza mi sono scaldato, lo ammetto, ho alzato la voce. Ci si mettono pure gli avvocati: non dovrebbero suggerire al proprio assistito di avere comportamenti più ragionevoli invece di portarla per le lunghe? Sono sconcertato: non è una giustizia degna di una società civile».
Quel film su un padre e una figlia mai visto
Recentemente un film, «Mia», con Edoardo Leo e Milena Mancini, racconta del rapporto di un padre con una figlia che vive un legame tossico: «Non sono riuscito ad andare oltre le prime scene, non me la sento di vederlo tutto. Sul web sono comparse foto in cui a proposito di mia figlia si diceva "due tro.. al prezzo di uno", e altri orrori. Purtroppo mi sono fatto un'idea, che quando si è un personaggio noto è facile diventare un obiettivo. Penso a quello che è accaduto a Michelle Hunziker, a Alex Britti. Gli odiatori trovano sempre il modo per dare il peggio e non si fanno certo scrupoli».
«Mai smesso di lavorare. L'ho fatto anche per mia figlia»
Chiede di poter fare una precisazione: «Dopo la mia deposizione è stato scritto che non ho più lavorato come conseguenza della causa in corso, ma io non ho smesso mai di recitare, a parte i 30 giorni di prognosi quando mi ritrovai con il naso spaccato. Non ho interrotto la carriera nonostante il fango, e che l'affetto del pubblico sia immutato si vede quando la sera concludiamo lo spettacolo con quello che chiamiamo il finale allungato. Gli spettatori entrano a far parte dello show mentre continuiamo a suonare. Ci stringiamo le mani, ci salutiamo. Solo e abbandonato non mi sono sentito mai». Dado & le Pastine in brothers, la sua band, rimarranno al Teatro Golden fino al 30 aprile, poi una tournée estiva che toccherà anche Milano, dove però sarà costretto a mandare in avanscoperta i suoi tecnici: «La prossima udienza è stata fissata al 27 giugno, dovrò essere a Roma quel giorno. Mi sento un po' antropologo underground, la risata come chiave di lettura della vita. E per fortuna..».
Dalila Di Lazzaro.
Estratto dell'articolo da fanpage.it venerdì 8 dicembre 2023.
Ospite della puntata di domenica 19 novembre di Verissimo è stata Dalila Di Lazzaro, che ha raccontato in un'intensa intervista i dolori e i soprusi che fin da bambina ha dovuto sopportare. La violenza è stata una costante della sua vita, che si è ripresentata in più occasioni, ma è riuscita anche a godere di un amore puro e incondizionato, nonostante l'incredibile sofferenza che ha dovuto affrontare.
Nei suoi libri, Dalila Di Lazzaro ha sempre affrontato con grande coraggio tutto quello che ha dovuto sopportare sin dalla prima infanzia. Ha conosciuto la violenza da piccola, quando ancora bambina ha subito i soprusi di ragazzi più grandi di lei e per lungo tempo non ne ha parlato con i suoi genitori:
La violenza è una cosa orrenda, parlo agli uomini che sono colpevoli di tutto questo, non ho potuto avere al mio fianco, mia mamma o il mio babbo per raccontarglielo, perché non erano molto presenti. Io avevo una tata con lei ho parlato e lei deve averglielo detto a mia madre.
Questi terribili episodi si sono verificati quando, in estate, era stata affidata ad una donna che viveva lontano dalla città e lì trascorse il suo tempo, mentre i suoi genitori lavoravano:
Mi misero in una casa in campagna, pensavano che li sarei stata bene, c’erano due ragazzi uno di 15 e l’altro di 20 e hanno abusato di me. Ma per due mesi, fino a che la signora si è accorta, che c’era qualcosa che non andava, da lì, li ha picchiati di brutto, poi mi ha fatto dormire sempre con lei. Per me è stato un trauma, mi svegliano alle quattro di notte, con un grande cane nero, e mi dicevano di stare zitta perché altrimenti il cane mi sbranava.
Silvia Toffanin, quindi, chiede alla sua ospite quali siano state le ripercussioni di così tanta violenza su una bambina, che poi in età adolescenziale ha dovuto fare i conti con nuove forme di abusi:
Ho sofferto molto quando sono arrivata a Roma, verso i 20 anni che dovevo comunque espormi, fare i provini, i miei primi passi, la pubblicità mi prendeva una sorta di affanno che poi erano gli attacchi di panico. Lì ho incontrato un professore, invitato al Costanzo Show perché era uno psichiatra per i bambini, e gli dissi che mi sentivo di morire, che non ce l'avrei fatta ad andare avanti così. Lui mi fece andare a Padova e da lì abbiamo iniziato un percorso, mi ha aiutato tantissimo.
Da ragazzina, infatti, Dalila Di Lazzaro ha vissuto delle vicende terribili che racconta con grande sofferenza, ricordando quei momenti difficili che l'hanno segnata per sempre. Sposatasi giovanissima, dopo aver avuto un figlio nemmeno maggiorenne, iniziò a lavorare come modella grazie alla sua bellezza e alla sua grazia:
Mi sono sposata a 15 anni, mio marito non trovava lavoro, io facevo la modella, lì vedevo un uomo che mi guardava, mi dava fastidio, sui 30-40 anni e lo dicevo alla mie colleghe più adulte, sono andata al bar in una sosta, mi disse sono di una grande azienda, mi disse è l’unica che vorrei avere come modella. Io lavoravo per mio figlio e la mia famiglia, mi disse che mi avrebbe dato 25 mila lire, io non pensavo.
Il racconto prosegue con dei dettagli ancor più terribili: "Questo era un maniaco, scappato da un manicomio criminale, era un personaggio serio, negli occhi si vedeva qualcosa di folle. Mi ha portato per quattro giorni. È stata un’avventura allucinante e ho avuto veramente lì la paura di morire, perché aveva trovato una casa, mi ha tagliato dappertutto, mi ha picchiato". Quando si presentò alla polizia per denunciare accadde qualcosa che la lasciò ancor più sgomenta:
Il capo della polizia mi voleva violentare nello studio, la polizia. C’era questo capo della Polizia con un’agenda molto così. Ha cominciato a farmi delle avance, io gli ho dato uno schiaffo.
[…]
Estratto dell’articolo di Giacomo Galanti per repubblica.it sabato 23 settembre 2023.
Dalila Di Lazzaro, classe 1953, nasce e cresce a Udine. Modella e attrice, una bellezza immortalata dai fotografi più celebri al mondo, ha conosciuto una grande popolarità tra gli anni ‘70 e ‘80. Prima che un incidente in moto l’ha costretta a ritirarsi dal mondo dello spettacolo.
Dalila Di Lazzaro, come sta?
Guardi lasciamo perdere, sono appena uscita dal pronto soccorso.
Che è successo?
Ho un braccio gonfio per la puntura di un ragno. […] Sono in Sardegna […]
In Sardegna è andata in aereo o ha ancora paura di volare?
Sono andata in aereo, la paura è passata. Anche se per molti anni, dopo un grave incidente aereo sull’Oceano Atlantico, sono rimasta scioccata e ho avuto un grande senso di claustrofobia.
Per la paura degli aerei ha perso l’occasione di girare Mai dire mai, della saga di 007.
[…] Un’occasione persa […] Per via del dolore cronico che mi porto dietro dall’incidente avuto anni fa non posso fare lunghi viaggi in auto. […]
Suo padre era un pugile.
Mio padre Attilio era stato nei pesi massimi e aveva incrociato i guantoni con Carnera. […]
Chi comandava in casa?
Mia madre. Era un business-woman che gestiva degli alberghi.
A 15 anni la sua adolescenza finisce e resta incinta del suo fidanzato.
Ero ancora una bambina, i miei genitori la presero malissimo. Da una parte non volevano che avessi il figlio, dall’altra erano contrari all’aborto. Reagirono in maniera molto violenta.
L’hanno cacciata di casa?
Non solo, arrivarono bacchettate sulle mani e acqua gelata addosso se provavo ad avvicinarmi. Dopo la nascita di Christian poi si sono addolciti: era la loro perla e lo hanno viziato tantissimo.
Come ha affrontato la vita da giovane mamma?
Mi sono sposata col mio fidanzato anche se poi è finita. Ricordo che andammo in viaggio di nozze a Venezia insieme a mia suocera perché eravamo minorenni. Poi lui è partito per il militare e ho dovuto iniziare a lavorare per mantenere la famiglia. Facevo la modella e partecipavo a qualche spot pubblicitario.
Proprio in quel periodo è stata vittima di una violenza sessuale.
Se ci penso mi vengono ancora i brividi. Avevo 17 anni e sono caduta nelle mani di un pazzo psicopatico che mi ha dato un appuntamento con la scusa di un’offerta di lavoro e ci sono cascata. Lui era scappato dal manicomio e la polizia lo stava cercando. Pensi che Alberto Lattuada ci voleva fare un film su questa mia storia. Però andai negli Stati Uniti e non se n’è fatto nulla.
Già da piccola aveva subito abuso.
Avevo 5 anni e un cugino mi violentò.
In casa sapevano?
Lo sapevano la mamma e la tata. Il babbo no, perché era un brav’uomo ma credo lo avrebbe ammazzato e ne sarebbe venuta fuori una tragedia. Purtroppo in questo senso sono stata sfortunata, perché c’è stato anche un terzo episodio.
Lo vuole raccontare?
Un grosso magnate brasiliano ricchissimo: un porco. Eravamo amici da anni e lo andai a trovare in un hotel di lusso a Roma. A un certo punto gli è preso un raptus. Allora non stavo tanto bene e questo pesava un quintale e mezzo. È stata una cosa allucinante, davvero molto brutta. Ma non l’ho denunciato. […] Lui è ancora vivo, ma denunciarlo oggi non avrebbe senso. Di sicuro se avessi avuto una bottiglia gliela avrei spaccata in testa.
A un certo momento ha lasciato la provincia ed è andata a Roma dove ha iniziato con il cinema sotto la protezione del produttore Carlo Ponti.
[…] Vedeva in me la nuova Greta Garbo e si incazzava parecchio perché io non avevo questa ambizione. Per recitare a certi livelli c’era da studiare tantissimo. Quando ho vissuto a New York mi aveva iscritto anche alla scuola di recitazione dove mi annoiavo da morire.
Il suo rapporto con Carlo Ponti ha fatto arrabbiare molto la moglie Sophia Loren.
Ha fatto tutto da sola e si è arrabbiata per nulla perché con Ponti non c’è stato niente.
Tra la fine degli anni ‘70 e l’inizio degli anni ‘80 ha un successo strepitoso. Tutti la volevano.
Diciamo che ho deciso di vivere. Come le ho detto, a New York la mattina studiavo ma mi annoiavo. Poi per il resto della giornata ero sempre in giro. Ero impazzita, New York allora era una Disneyland per gli adulti. Insomma, ho finalmente vissuto la giovinezza che non avevo avuto.
Ha lavorato anche con Andy Warhol.
Sì, una persona meravigliosa. Poi ho incontrato tutti i grandi fotografi e le star dell’epoca.
[…] mi sono goduta la vita e mi sono divertita da morire.
[…] A proposito di Leone, lei era presenta da Checco Er Carrettiere a Roma la sera della famosa foto con Gianni Minà, Robert De Niro, Muhamad Ali e Gabriel Garcia Marquez. Che ci faceva?
De Niro mi voleva conoscere. Leone mi chiama e mi dice: “Devi venire a cena se no non mi fa il film”. All’inizio mi ero illusa che avessero bisogno per C’era una volta in’America. Invece era proprio personale,
E De Niro l’ha corteggiata?
Sì molto.
Avete avuto una storia?
Non dico niente […] ma è stata una persona deliziosa. Pensi che abbiamo girato per Roma di notte e ci vide un conoscente della mia amica Mara Venier. E lei mi chiamò: “Sei stata con De Niro?”. Era molto curiosa.
Ha fatto perdere la testa anche a Jack Nicholson.
Un grande, ci siamo visti un mucchio di volte. Una volta a Venezia voleva venire a letto con me, tanto che si guardava dentro le mutande e diceva: “Sapesse cosa si sta perdendo”. Ma non me la sono sentita e mi sono inventata una di quelle scuse che abbiamo noi donne. E abbiamo dormito abbracciati tutta la notte.
E con Alain Delon come è andata?
Tutti dicono che è antipatico. Con me è stato gentilissimo e ci siamo trovati subito bene insieme sul set. Mi disse che gli piacevo ma ero fidanzata.
Lei è una donna molto bella, che rapporto ha con la bellezza?
Non me ne sono accorta perché mia madre faceva di tutto per sgonfiarmi su questo fronte. Non voleva che usassi la bellezza per lavorare. Si è rassegnata solo quando sono finita a Roma.
È stata corteggiatissima, addirittura ha raccontato che un suo fidanzato si è tatuato le sue iniziali sul bicipite così da non dimenticarla mai.
Spero che se li sia cancellati perché è il ragazzo con cui ho avuto l’incidente. Preferivo non incontrarlo mai perché mi ha rovinato la vita.
Parla dell’incidente che le ha procurato il dolore cronico?
Non è colpa di nessuno, sia chiaro. Ero in moto, nel sellino dietro a questo ragazzo e abbiamo centrato questa buca gigante. Diciamo che lui poteva dirmi: “Dalila attenta, alzati”. […] Per più di dieci anni non mi sono alzata da letto. Per andare a fare l’intervista da Mara Venier a Domenica In a inizio anno ci ho messo dieci giorni. […] Vivi ma sei come morta e gli amici ti abbandonano. […]
Ha mai pensato di non potercela fare, di farla finita in qualche modo?
Delle volte il dolore ti fa venire i pensieri più terribili. Però alla fine provi a tirare avanti, usi la morfina e dormi tanto. […] Ho avuto il tempo di scrivere sei libri che credevo non vendessero nemmeno una copia invece alcuni sono diventati dei best seller. Ho pure superato bruno Vespa.
Nella sua vita c’è un grande lutto, la morte in un incidente di suo figlio Christian.
È un dolore che non passa mai. Quando è mancato sì, forse ho pensato “Che vivo a fare?”. Ma ci si convive pensando che oltre alla vita ci sia qualcos’altro. Christian c’è sempre con me. Sono sicura che lo rincontrerò. Dopo la sua morte avevo pensato di dare una mano a qualcuno e adottare un figlio. Ma purtroppo l’Italia è un paese arretrato e a un single non è permesso. […]
Dalila Di Lazzaro e l'incidente che le ha cambiato la vita: "Per undici anni non mi sono nemmeno lavata". Andrea Pascoli su La Repubblica il 2 Gennaio 2023
È tornata lo scorso 1 gennaio da Mara Venier nel salotto di Domenica in Dalila Di Lazzaro, attrice e scrittrice che, a distanza di anni, ha voluto ricordare i drammatici momenti a seguito dell’incidente stradale subito venticinque anni fa, rivelando come le conseguenze siano state peggiori del fatto stesso: “L'incidente è stato 25 anni fa e io per 11 anni non mi sono alzata dal letto, neanche per lavarmi”.
Causato da una buca sul manto stradale di Roma, che provocò a Di Lazzaro diverse fratture e la condanna a un dolore cronico che tuttora la tormenta, l’attrice negli anni ha dovuto anche combattere contro chi non credeva al suo dolore: “È stato un incubo perché poi i medici non mi hanno creduta, all'epoca non si parlava di dolore cronico. Sono dovuta andare in Arizona e sono rimasti stupiti che in Italia non se ne parlasse”.
Dalila Di Lazzaro ospite a 'Domenica in'
Una vita, quella di Dalila, costellata sì da grandi successi ma purtroppo anche da eventi drammatici. Nel 1991 la morte del figlio ventiduenne sempre a seguito di un incidente stradale e pure un sinistro aereo: "Ho avuto un incidente aereo, io non simpatizzavo per il viaggiare con gli aerei. Ero con una mia amica e con il suo compagno decisero di affittare un aereo privato per andare alle Bahamas e per andarci dovevamo passare sul Triangolo delle Bermuda. Non c'era più la pressurizzazione e stavano scendendo in picchiata fino a toccare l'acqua dell'oceano e siamo rimbalzati fin tanto che non ci siamo fermati, alcuni si sono fatti male, io ero come morta, ero svenuta. Si sentiva che il mare stava risucchiando l'aereo. Mi hanno tirato fuori dall'aereo e mi hanno trascinata fuori fin sopra l'abitacolo".
Dalila Di Lazzaro negli anni successivi all'incidente, con un tutore ortopedico
Forte la commozione della stessa Venier, così come quella del pubblico, a cui Dalila ha però risposto con un desiderio: "Purtroppo non è finita. Io vorrei non avere la pietà della gente, sono combattiva, forte, voglio aiutare migliaia di persone che lottano contro il dolore cronico. Con la mia forza, vorrei portare avanti questo problema”.
Daniel Craig.
Andrea Carugati per “La Stampa” il 4 gennaio 2023.
«Sognavo di fare il comico ma sono finito a fare James Bond». Una dichiarazione che non ci si aspetta da Daniel Craig, eppure è così. L'aspirazione dello 007 più longevo nella storia del cinema non era quella di diventare un eroe dei film d'azione, ma di fare ridere il pubblico, e ora smessi i panni dell'agente segreto più famoso al mondo ne ha avuto la possibilità.
Dopo il successo di Cena con Delitto è tornato infatti nei panni dell'improbabile ispettore Benoit Blanc in Glass Onion, ruolo che gli è valso la nomination come migliore attore ai Golden Globes, mentre il film macina successi ed è il più visto su Netflix. Dietro l'angolo lo attende poi Luca Guadagnino per Queer, tratto dal romanzo di William S. Burroughs.
Da 007 al detective «più bravo al mondo» di «Grass Onion», un bel salto. Come ha fatto?
«Sono voluto tornare a recitare in un ruolo nel quale ho potuto esprimere una parte di me che il pubblico conosce poco ma che ho sempre coltivato. All'inizio pensavo che sarei diventato un attore comico, mi è sempre piaciuto far ridere la gente ed è sempre stato il mio sogno, ma poi le cose sono cambiate e mi sono trovato mio malgrado a fare l'attore d'azione. Ricordo che quando mi proposero di interpretare James Bond dissi ai produttori che era uno sbaglio. Ero d'accordo con i fan, mi sembrava un'idea folle. Da Sean Connery a Daniel Craig? E invece sono diventato il James Bond più longevo della storia e Sean, ai tempi, mi mandò un messaggio di approvazione e incoraggiamento che tengo ancora molto caro. Poi, per tanto tempo, nessuno si è mai sognato di propormi qualcosa di diverso, che fosse nelle mie corde, come accaduto con Cena con Delitto e ora Glass Onion. Erano anni che aspettavo di fare film come questi».
Un genere ispirato ai gialli di Agatha Christie, che fino a poco tempo fa era scomparso dai radar.
«Era stato un po' dimenticato, ma cosa c'è di più bello che andare al cinema e godersi un bel giallo? Un giallo come quelli di una volta ma con qualche elemento che lo rende molto contemporaneo e originale.
E soprattutto divertente. Ogni personaggio del film è memorabile e il cast è stellare, non capita tutti i giorni di recitare con colleghi del calibro di Edward Norton, Kate Hudson, Janelle Monáe, Hugh Grant, Ethan Hawke e tutti gli altri che Rian Johnson è riuscito a convincere a partecipare a questa grande festa».
È sempre stato appassionato del genere?
«La domanda che sostiene questo tipo di film è sempre la stessa: chi è l'assassino? E mi ha sempre affascinato. Da ragazzo ero un patito di quei film e di quei libri. Mi sono sempre piaciuti molto, anche se raramente ero in grado di capire chi fosse l'assassino prima della fine del racconto.
Ero un grande fan anche dell'ispettore Colombo che guardavo in modo quasi religioso e a cui mi sono decisamente ispirato per questo ruolo. Peter Falk sembrava sempre fuori dal mondo, sempre distratto, sconclusionato, caotico, ma alla fine riusciva sempre a fare confessare il colpevole e c'è molto di suo in Benoit Blanc».
Rispetto a qualche anno fa appare molto più sereno e rilassato.
«Ci vuole tanto tempo per abituarsi ad essere famosi e spesso nel processo ci si perde un po'. Devi sempre ricordarti le ragioni che ti hanno spinto a fare questo lavoro. Io ci ho messo vent' anni di carriera per imparare ad apprezzarlo pienamente e ora lo amo più che mai. Ho avuto la fortuna di avere alti e bassi e di imparare a confrontarmi con successi e fallimenti. Sono a un punto della mia vita e della mia carriera in cui mi diverto per davvero. Recitare ora mi regala le emozioni giuste».
E di James Bond cosa le è rimasto? Alla fine era trapelato che non lo tollerasse più.
«Quando ho detto che mi sarei tagliato le vene piuttosto che reinterpretarlo intendevo dire che avevo bisogno di un break. Ho amato essere stato Bond. È una cosa rara interpretare un personaggio così iconico. È una delle esperienze più intense e appaganti che abbia mai fatto, ma ci vuole molta energia per interpretarlo e non volevo diventare ridicolo».
E quindi lo ha ammazzato?
«Solo per farlo rinascere e ricominciare. Poi non sono certo l'unico colpevole della sua morte, anche se con Barbara (Broccoli, storica produttrice dei film tratti dai libri di Ian Fleming di cui la sua famiglia detiene i diritti, ndr.) abbiamo dovuto organizzarla di nascosto dallo studio, che era decisamente riluttante all'idea e si era opposto fermamente. Ma con Barbara avevamo un accordo e credo che anche lei fosse dell'idea di cominciare un nuovo capitolo».
Quale accordo?
«Dopo il roboante successo di Casino Royal, anticipato da un sacco di critiche nei miei confronti per non essere un Bond come tutti gli altri, visto che avevo le orecchie a sventola, ero troppo basso, troppo biondo e troppo, o troppo poco un sacco di altre cose, mi confrontai con Barbara e le chiesi quanti film ancora avrei dovuto fare secondo lei. "Tre? Quattro?". Lei mi disse quattro. Io ci pensai e dissi ok, ma a una condizione: "Alla fine lo voglio uccidere"».
Ecco, risolto il giallo: è stato lei.
«Confesso, come accade sempre con Colombo, Poirot e il mio nuovo amico Blanc. Però c'è da dire che è morto nel momento di maggior felicità della sua lunga vita e onestamente non avevamo che questa scelta a disposizione. E poi aveva trovato quello che stava cercando, era il momento giusto. Alla fine, come tutti noi che abitiamo sulla terra, anche James Bond cercava solo amore».
Daniele Luttazzi.
Daniele Luttazzi compie 62 anni: la laurea in medicina, l’«editto bulgaro», cosa fa oggi, 8 segreti. Arianna Ascione su Il Corriere della Sera il 26 Gennaio 2023.
Una raccolta di aneddoti e curiosità poco note sul comico di Santarcangelo di Romagna, nato il 26 gennaio 1961
Laureato in Medicina
«Il più colto e caustico fra i nostri comici. L'unico in grado di conciliare l’epica satirica e la visionarietà». Così nel 2001 scriveva Aldo Grasso sul Corriere parlando di Daniele Luttazzi, che proprio oggi compie 62 anni. Nato a Santarcangelo di Romagna il 26 gennaio 1961, figlio di insegnanti elementari, dà il via alla sua carriera artistica dopo la laurea (in Medicina): in attesa del bando di concorso per ricercatore in immunologia comincia a scrivere e a recitare monologhi comici. Nel 1989 vince il concorso per giovani comici La Zanzara d'oro. Tre settimane dopo, chiamato da Renzo Arbore, esordisce in tv a D.O.C. : Musica e altro a denominazione d'origine controllata.
Le origini dello pseudonimo
All’anagrafe è Daniele Fabbri: il suo pseudonimo è un omaggio al musicista e attore Lelio Luttazzi (1923-2010).
Eletto consigliere comunale a 19 anni
Forse non tutti sanno che nel 1980, a 19 anni, Daniele Luttazzi viene eletto consigliere comunale a Santarcangelo di Romagna nelle file della Democrazia Cristiana. Si dimetterà due anni dopo.
Il successo con «Mai dire Gol»
«Questa edizione del telegiornale andrà in onda in forma ridotta per venire incontro alle vostre capacità mentali», ricordate chi lo diceva? Amatissimi dal pubblico ancora oggi i tre personaggi proposti da Luttazzi a «Mai dire Gol» (1996-1998), programma che ha regalato al comico una grandissima popolarità: il giornalista di Tabloid Panfilo Maria Lippi (è sua la citazione riportata), il prof. Fontecedro - docente universitario freak a Palo Alto - (quello di «Cosmico!») e l’annunciatrice Luisella Gori.
Controversie
Una battuta sul Partito Socialista, fatta durante le prove a «Fate il vostro gioco» (varietà comico in onda su Rai 2 nel 1989), costa a Luttazzi la partecipazione al programma. Non sarà l’unico caso di censura a cui il comico andrà incontro nel corso della sua carriera. Anche la sua prima trasmissione come conduttore - il talk «Barracuda» (1998, Italia 1) - subisce alcuni tagli. Non saranno esenti da critiche (e polemiche) i programmi successivi, «Satyricon» (2001, chiuso dopo l'intervista a Marco Travaglio sul libro «L'odore dei soldi») e «Decameron» (2007, sospeso dopo cinque puntate a causa di una battuta su Giuliano Ferrara). In seguito alla chiusura di «Decameron» Luttazzi non ha più lavorato in tv (negli anni si è dedicato al teatro, al suo blog e ha pubblicato diversi libri satirici).
L’«editto bulgaro»
Nel 2002 l’allora Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, durante una visita ufficiale in Bulgaria, accusò Daniele Luttazzi, Michele Santoro ed Enzo Biagi, di aver fatto «un uso della televisione pubblica, pagata con i soldi di tutti, criminoso: credo sia un preciso dovere della nuova dirigenza Rai di non permettere più che questo avvenga» (dichiarazione conosciuta anche come «editto bulgaro»). Per l’intervista di Travaglio a «Satyricon» Berlusconi querelò per diffamazione sia il giornalista che Luttazzi: i due vennero assolti nel 2015. Soltanto nel 2019 si è parlato di un possibile ritorno del comico sulla tv di stato: «Voglio riportare Luttazzi in Rai - annunciò l’allora direttore di Rai2 Carlo Freccero -. Senza la satira che televisione pubblica sarebbe? È finita l’epoca di Berlusconi e quella di Renzi ci mancherebbe che si proibisca la satira. Mi sembra essenziale che Luttazzi torni in Rai: non posso lasciare la sua satira feroce nella nebbia del potere del politicamente corretto». («Ci siamo incontrati, c’è in vista un progetto per l’autunno - disse al Corriere Freccero -. La satira libera è un’altra caratteristica del servizio pubblico ed è finita l’epoca di Berlusconi e di Renzi»). Il progetto però non si è concretizzato.
La palestra di satira
Nel 2009 Luttazzi apre sul suo blog una palestra di satira, che sarà frequentata dai futuri fondatori del portale satirico Lercio.it. Il comico nel 2017 scriverà l’introduzione del libro «Lercio. Lo sporco che fa notizia» (Shockdom, 2017).
Cosa fa oggi Daniele Luttazzi
Oggi Daniele Luttazzi continua a fare satira: cura due rubriche sul Fatto Quotidiano e lo scorso anno per Paper First è uscito il suo ultimo libro, «Infinite Reich», una parodia che si confronta con un classico - «Infinite Jest» di David Foster Wallace, una satira del consumismo Usa come nuovo Reich - ricontestualizzandolo nella Germania nazista del 1945.
Daniele Silvestri.
Daniele Silvestri: «L’impegno era una gabbia. Ora racconto anche altre storie». Andrea Laffranchi su Il Corriere della Sera il 30 Maggio 2023
Esce «Disco X», decimo album in carriera del cantautore: «Brani nati dai racconti del pubblico».
Se dopo quello degli anni 70 è ancora esistito un cantautorato impegnato, una delle sue facce è sicuramente quella di Daniele Silvestri. Alla soglia del decimo album in carriera, Silvestri non molla la presa — una delle nuove canzoni fa capire immediatamente il suo pensiero sul razzismo — ma torna a guardare altrove. «Col precedente album “La terra sotto i piedi” la volontà di sporcarsi le mani si era tradotta in un gioco troppo intellettuale che vedeva la musica diventare parte di un tentativo preordinato. Qui c’è la voglia di suonare in libertà. Mi sono tolto la scusa della responsabilità che mi opprimeva e mi sono affidato alle storie, le mie o quelle di altri», spiega il cantautore.
Racconti e personaggi guidano il percorso di lettura di «Disco X» (esce venerdì 9 giugno). «Mi piace molto la parola cantastorie... Durante l’ultimo tour ho chiesto al pubblico di scrivermene alcune che poi durante lo show trasformavamo in canzoni mettendo in scena il processo creativo. Sono arrivate storie intime, dolorose, alcune non raccontabili, altre che contenevano il germe per diventare brani». Come «Tutta», il singolo che ha presentato il lavoro, nata da un’opera virtuale, immagini digitali e parole, di Paolo Poni, un libraio di Forlì. Ed è una storia, che mischia poesia e cronaca, quella di «Mar ciai» in cui le offese e le discriminazioni verso una ragazza di origini sinti finiscono nel tragico rogo di una roulotte. «Nei miei concerti spunta spesso il tema dei migranti, qui volevo concentrarmi sul tema dell’integrazione che vedo come ricchezza. Ho scritto questa canzone contro la facilità del trattare qualcuno come un capro espiatorio. Mostro l’atrocità e l’assurdità del razzismo. Il popolo sinti, e per questo ho chiamato a cantare Eva Pevarello che ha quelle origini, non è solo microcriminalità».
«Disco X» è aperto alle collaborazioni. Ci sono feat di Giorgia, Frankie Hi Nrg, Franco 126, Fulminacci, i Selton, Wrongonyou, Davide Shorty, Eva ed Emanuela Fanelli. Ognuno ha un suo spazio, ma si ritrovano tutti insieme in «Intro X» per prendere in giro la corsa ai clic, ai primati da rivendicare, e ai feat in batteria che caratterizzano la musica dell’era streaming. «Ho scelto l’esagerazione e l’ironia: quello che vedo intorno mi sembra figlio dell’immediatezza e della corsa ai like. Però, da ascoltatore, mi sembra facile distinguere fra le collaborazioni sincere e quelle che sconfinano».
La «X» del titolo non è un mistero. «All’inizio avevo chiamato “x”, visto che sarebbe stato il mio decimo disco, la cartella del pc dove raccoglievo gli spunti. Poi il fatto che non avessi obiettivi da raggiungere e che quella lettera rappresenti l’incognita in matematica ha dato un senso compiuto a tutto. È un disco meno concept e più istintivo. E poi c’è un terzo motivo: si dice “una cosa ics” per dire “qualsiasi”: mi piace l’idea di non cercare di farsi notare per forza, con la presunzione che sia meglio immergersi nelle profondità del mare che cercare di emergere», spiega Silvestri. Non la pensa così la famiglia del protagonista di «Il talento dei gabbiani» che spinge il figlio nel tritacarne di un talent. «Ci hanno riempito occhi e orecchie in questi anni, ma volevo allargare il discorso all’idea che le vite possano essere valutate in un istante e che quell’istante possa avere valore definitivo. Anche in questo caso ho ricevuto racconti di depressione e alla fatica nel trovare un modo di collocarsi nella società».
Dieci è un traguardo. Che direbbe al se stesso del punto di partenza? «Forse potrebbe dire qualcosa lui a me. Più si va avanti più grande è lo sforzo preservare la purezza, l’incoscienza e la libertà degli esordi. Se la sapienza fa migliorare un artigiano, nella musica rischia di fossilizzarti e farti ripetere. Volevo tornare a quando a 14 anni registrai su una cassetta, che sentirono solo i miei genitori, un disco ispirato dallo sceneggiato tv “Radici”». Anche quella era una storia.
Dargen D'Amico.
Dargen D'Amico giudice di X Factor 2023: perché indossa sempre gli occhiali da sole, il gruppo al liceo con i futuri Club Dogo, 8 segreti. Arianna Ascione su Il Corriere della Sera giovedì 2 novembre 2023.
Il rapper, cantautore e produttore è tra i protagonisti - insieme a Fedez, Morgan e Ambra - della diciassettesima edizione del talent show condotta da Francesca Michielin. Questa sera, in diretta su Sky e in streaming su NOW, il secondo Live Show
Perché indossa sempre gli occhiali da sole
Perché Jacopo Matteo Luca D'Amico in arte Dargen D'Amico (tra i protagonisti - insieme a Fedez, Morgan e Ambra - della diciassettesima edizione di X Factor, condotta da Francesca Michielin) indossa sempre gli occhiali da sole? «È una cosa utile soprattutto per me, dividere i due mondi - ha spiegato nel 2022 al Corriere -. Se ti convinci di essere quello che sale su un palco, dice qualcosa e le persone ti ascoltano per diritto divino, è difficile comportarsi poi in maniera sana. Preferisco fare lo spettacolo nel momento in cui sono sul palco e poi proseguire con una vita che ha altri interessi. La priorità è scrivere canzoni. Ma quando sono con i miei amici gli occhiali li tolgo». E questa non è l’unica curiosità sul giudice del talent show (che torna questa sera, in diretta su Sky e in streaming su NOW, con il secondo Live).
Come ha iniziato a fare musica
Nato a Milano il 29 novembre 1980 Dargen D’Amico ha iniziato a fare musica grazie alla sua insegnante delle elementari: «Ho iniziato da molto giovane, ho avuto una maestra che alle elementari ci stimolava - ha raccontato al Corriere -, ci faceva passare un’ora alla settimana a scrivere liberamente. Intorno ai 12 anni ho scoperto che c’era una musica che ti permetteva di riversare tutto nelle canzoni».
Le origini del nome d’arte
Dargen deriva dal nickname che il rapper e cantautore adottava, giovanissimo, nelle sue prime sfide di freestyle: Corvo D'Argento (un riferimento al libro-game «Il mistero del corvo d'argento»).
Ama i cantautori
I punti di riferimento musicali di Dargen D'Amico sono da sempre tre cantautori (lo ha dichiarato in diverse interviste): Enzo Jannacci, Lucio Dalla e Franco Battiato.
Il gruppo con i futuri Club Dogo
Nel 1999, mentre frequentava il liceo classico Giuseppe Parini di Milano, Dargen D’Amico ha dato vita ad un gruppo con un suo compagno di classe, Gué Pequeno, e con Jake La Furia: i Sacre Scuole. La formazione, che si è sciolta nel 2001 (Gué Pequeno e Jake La Furia hanno poi creato i Club Dogo insieme al produttore Don Joe), ha pubblicato un solo album: «3 MC's al cubo».
Ha scritto canzoni per altri
Nel 2021 Dargen D’Amico ha partecipato alla scrittura dei brani sanremesi di Francesca Michielin e Fedez («Chiamami per nome») e Annalisa («Dieci»).
A Sanremo nel 2022
Dargen D’Amico si è fatto conoscere dal grande pubblico con la sua partecipazione a Sanremo 2022: il suo brano «Dove si balla» si è classificato al nono posto ma ha avuto un enorme successo radiofonico. «Sanremo è una lente d’ingrandimento di quello che succede nella discografia - ha detto lo scorso anno al Corriere -. Poi può essere anche pericolosa questa lente, può carbonizzarti sul momento, ma dà comunque una lettura più larga di ciò che succede nella musica contemporanea. E capita che arrivino degli sconosciuti con un brano che poi ha successo».
Riservato sulla vita privata
Non si sa praticamente nulla della vita privata del riservatissimo Dargen D’Amico. «Non sento l’esigenza di parlarne, se è privato è privato - ha raccontato qualche anno fa a Vanity Fair -. Quando svilisci il segreto, perdi la dimensione dei gesti; alla fine il privato è composto dai gesti che ti piace vivere in totale autonomia, senza che nessuno possa avere la possibilità di influenzarli».
Dario Farina.
Estratto dell'articolo di Alba Solaro per “il Venerdì di Repubblica” il 17 febbraio 2023.
Dario Farina è un "uomo tra parentesi", lo dice anche il sottotitolo della sua biografia, Sarà perché ti amo - Storia di un uomo tra parentesi (Milieu). L'ha scritta il nipote Roberto, […] Dario Farina ha fatto vendere milioni di dischi e scritto musiche che tutti sanno, filosofi e calzolai, le canzonette un tempo condannate come nemiche del popolo, addormentatrici di coscienze (nel libro c'è un intero capitolo sul tema).
«Ma io non avevo la presunzione del prodotto artistico, volevo la semplicità, volevo arrivare a tutti», spiega ora Farina. Per capire chi è basta qualche titolo: per i Ricchi e Poveri ha scritto, tra le altre, Sarà perché ti amo (1981), Mamma Maria (1982), Voulez vous danser (1983), Se m'innamoro (vincitrice a Sanremo nel 1985); per Al Bano & Romina ha composto Felicità, hit globale da 25 milioni di copie, […]
Ricorda che quando arrivò il primo assegno Siae, sua moglie lo chiamò in lacrime. «Cos'è successo?». «Sono centotrentuno milioni, Dario. Sessant'anni del mio stipendio[…] Farina, che oggi ha 76 anni, via zoom da Monaco di Baviera dove vive da molti anni con la seconda moglie, Elke. «Ecco, una grande soddisfazione è stata scoprire che i tifosi del Milan hanno preso Sarà perché ti amo, le hanno cambiato il testo in Sarà perché tifiamo e ne hanno fatto il loro inno.Un amico mi ha detto che lo hanno fatto anche quelli del Bayern Monaco. Il coro di 20 mila tifosi, anche se stonati, è una bella emozione. Specie dopo anni passati a sentire artisti che mi dicevano che facevo cose troppo banali».
Glielo disse anche Marina Occhiena? Lasciò i Ricchi e Poveri proprio quando stava nascendo il vostro sodalizio.
«I Ricchi e Poveri venivano dalla Genova proletaria ed erano nati seguendo un certo tipo di tradizione vocale, polifonica, diverso da quello che io scrivevo. […] Ci lega il successo che abbiamo avuto, ma capisco che quando Freddy Naggiar della Baby Records ci fece incontrare non deve essere stato semplice trovarsi di fronte questo tizio che ancora non era nessuno e gli faceva sentire Sarà perché ti amo su un Wurlitzer…».
È vero che la canzone è nata quasi per sbaglio?
«Ero all'Hilton di Monaco, perché Naggiar preferiva lavorare lì coi tecnici tedeschi, e dovevo cenare con un amico, che mi aveva anche lasciato una chitarra per distrarmi. […] dopo un po' per noia ho preso la chitarra e cominciato a buttare giù un'idea. Quattro accordi, niente di più, perché non ero abituato alla chitarra, il mio strumento è il pianoforte. […]».
[…] Le ha pesato essere accusato di fare cose banali?
«Mi hanno fatto tutte le critiche possibili, ma queste canzoni sono oggi nell'immaginario di tutti. […]».
Lei e Pupo lavoravate insieme per la Baby Records di Freddy Naggiar, praticamente la Factory del pop italiano anni 80.
«Naggiar non era un musicista ma aveva un fiuto incredibile, e non mollava mai. Ci piacevamo forse perché entrambi eravamo nati in Egitto, lui ad Alessandria e io al Cairo. Mi aveva visto a Discoring, dove cantavo un pezzo dell'unico Lp mio che ho fatto, Destinazione Tu. Fu un fiasco, neanche mille copie vendute. Ma fu così che Freddy mi vide, e mi diede un appuntamento. […]».
Un'altra fortunata coincidenza.
«La storia della canzone è fatta di coincidenze, nel mio caso fortunate. Se a Lucio Dalla non si fosse rotto il motore della barca vicino a Sorrento, e in hotel non gli avessero dato la stanza di Caruso, forse non avrebbe mai scritto quella canzone. Anche Felicità è nata quasi per gioco, il testo lo buttò giù Popy Minellono che all'epoca viveva in Brianza. Pensare che Romina Power non voleva cantarla. Continuava a dire che le sembrava una canzone per bambini». […]
David Lee.
Barbara Costa per Dagospia il 4 giugno 2023.
Oddio, sto entrando in fase milf! Aiuto, come si fa, che devo fa', guardate 'sto ragazzetto qua: è sì o no un tenero bambolotto col suo consenso da buttarcisi a letto e strapazzare? Sicuro, che lo è, almeno per la sottoscritta, che vi dice che tale pargolo è un porno attore, si chiama David Lee e ha… no, aspettate un attimo, ma… c’è un errore, è impossibile, il pupo in questione ha 34 anni??? 34??? Con quel faccino??? E appena compiuti.
Ma che imbroglio è? Non c’è nessun imbroglio e i miei milfosissimi appetiti possono continuare tenaci a pulsare perché il porno non inganna: è sua furbata tipica (e rimunerante) quella di accoppiare ad attrici non più teen ragazzi che imberbi lo sono di aspetto ma non sulla carta di identità.
In questo modo ti assicuri un porno milf girato a pieni voti, la differenza d’età è percepita ma non reale, stai a posto con la tua coscienza e quella di tutti, e ditemi se David Lee, nonostante le sue 34 primavere, non è convincente nel recitare la parte dello sprovveduto, ingenuo, imbranato, come lì per caso a ritrovarsi suo malgrado preda di mature ninfomani che a David si offrono, si stracciano le mutandine, gli sbottonano i pantaloni, gli tirano giù le mutande, per amplessi in cui David è sballottato da un seno all’altro, una succhiata all’altra, e tra cosce e fianchi e vagine e lingue in ogni buco, per femminili orgasmi che David Lee urlano, pretendono, e di David Lee mai sono satolle e piene.
David Lee fa porno da soli 2 anni, fa scene solo per porno brand di grido, ed è sbagliato dire che ha iniziato a far porno tardi. Era il porno del passato che assumeva giovani e sbarrava le porte a chi vi bussava non più ventenne. Ora non funziona certo così, e femmine e maschi possono cominciare nel porno e farsi un nome anche dopo i 30, o dopo i 40, e David Lee ha iniziato a 31 anni, ma prima non è stato seduto su un divano a farsi le s*ghe: dopo lavori part time come bagnino, barista, ma pure arbitro di calcio, David ha servito nell’esercito USA per 6 anni.
La prima cosa che ha fatto, smessa la divisa, è farsi crescere i capelli. E entrare nel porno. Il background di David è originale: suo padre è americano d’ascendenza russa, ed è ebreo, sua madre è coreana, e buddista. E questa mamma appoggia la decisione del figlio di fare porno. E David, che è nato in Corea del Sud e c’ha vissuto, ha intenzione di restarci, nel porno, per di più "sfruttare" i suoi tratti somatici e penetrare nel porno giapponese. Il porno giapponese è a volumi di produzione e vendita il primo al mondo, al tempo stesso però è un porno nazionalistico a livelli estremi.
È rarissimo che attori non giapponesi lavorino in porno giapponesi, ci riescono le super star unicamente in presenze sporadiche. Lo stesso vale per attori non giapponesi ma asiatici, per esempio vietnamiti, coreani, di Taiwan, o cinesi di Hong Kong: è insolito siano ammessi in hard nipponici. Il porno giapponese è un porno autoctono, chiuso, ciò nonostante è mira ambita di pornoattori come David Lee per gli stipendi! Le paghe giapponesi sono anche più alte di quelle USA.
David Lee si chiama così perché David è il suo vero nome, Lee è stato scelto in onore di David Lee Roth, cantante dei Van Halen, gruppo rock che David venera, e poi il suo cognome vero è troppo lungo. Signore, prendete nota: David non è fidanzato ma in cerca di fidanzata. Va da sé che questa tipa non deve menarsela con la gelosia, né scocciargli sul porno, ma neppure sui suoi hobby nerd come quello di costruirsi candele con le proprie mani.
Per David, esser entrato nel porno da over 30 è stato il suo azzardo migliore. Perché, prima del porno, lui non se l’è tenuto stretto, ha fatto le sue esperienze, ha conosciuto sé stesso, e il proprio corpo. Lo ha capito. Lo ha messo alla prova, oltre la sua zona di comfort. Se a masturbarsi David è un patito di sex toys che gli massaggiano la prostata, sia nel privato che sui set, queste sono le posizioni che predilige: Spread Eagle (lui sopra, e lei sotto con le gambe ultra divaricate) e Amazon (lei seduta sopra, lui sotto con le gambe a 90,( vabbè, se non la conoscete, andatevela a vedere…). David ha in programma di sperimentare il porno BDSM, e lui nel ruolo di dominatore di donne sue schiave.
Sì, lo so, e David lo sa, che il suo fisico è troppo mingherlino, e le sue gambe troppo ma troppo magre. Che ci deve fare? Lui fa palestra regolarmente, ma la sua situazione non migliora. A me piace David perché è stra-sincero, e specie nello svelarti i "guai" che combina sui set.
La sua prima scena porno in assoluto, è stata quella con Jessica Ryan. David doveva leccarle il sesso. Peccato che per poco non ci rimane secco, soffocato, con la bocca immersa "dentro" di lei! Oggi è migliorato, nettamente, lo prova il porno "Snoop Around" con Kira Noir: nel cunnilingus procede senza intoppi.
Le nuove uscite di David Lee lo vedono sempre con le milf. La milf Francesca Le se lo sc*pa in "Hot Wife 4", la milf Reagan Foxx in "I’m Not Your Mommy!", ma sono le scene Brazzers a attirare più attenzioni: io vi segnalo "Mi sc*po l’ex della mia figliastra", e "Le mamme si sbattono gli adolescenti", e "Faccio ansimare la matrigna". OK, la traduzione dei titoli è mia, fatta veloce, ma si capisce, su!
Den Harrow.
Estratto dell’articolo di Franco Giubilei per “Specchio - la Stampa” il 17 luglio 2023.
[…] Il nome d'arte Den Harrow venne dall'assonanza con la parola "denaro", dopodiché Stefano puntò tutto sull'aspetto: «Gli Anni 80 avevano bisogno di una faccia che si facesse seguire dal pubblico, così ho impostato il mio personaggio sul look».
La prima esperienza davanti a una platea da migliaia di persone fu al Palalido di Milano nel 1983: «Mi avevano chiesto di aprire il concerto dei Depeche Mode, ancora non mi conosceva nessuno. Avevo un trucco assurdo da uomo tigre, così mi diedero degli occhiali da sole, i "Dj lunette" di Cecchetto, raccomandandosi di non togliermeli, sennò la gente mi avrebbe ammazzato vedendomi così. Io invece me li levai perché il pubblico mi sembrava freddo: le ragazze presero a urlare "figo! figo!", i ragazzi "culo! culo!" e mi lanciarono addosso lattine e bicchieri, un inferno».
Intanto però le vendite decollavano e Den Harrow diventava una star, in Italia e in Europa, a suon di To meet me, Mad desire, Catch the fox, Bad Boy, per citare solo qualche titolo. Le adolescenti impazzivano e nell'88 il biondo cantante esperto di arti marziali compariva fra i primi cinque nella classifica dei singoli più venduti nel Vecchio continente: «Ero a Stoccolma per una serata in discoteca e vidi Prince che ballava in pista - ricorda -. Mi guardava e mi fece segno di avvicinarmi. Pensavo mi avesse riconosciuto, ma quando mi sono avvicinato mi ha allungato un biglietto col numero della sua camera d'albergo dove raggiungerlo. Ci rimasi malissimo». […]
Den Harrow: «Le mie canzoni le cantava un altro ma guadagnai 13 miliardi. Mi diedero del truffatore e finii a fare gli spogliarelli». Renato Franco su Il Corriere della Sera il 25 marzo 2023.
Den Harrow (vero nome Stefano Zandri, 60 anni) racconta gli anni di Future Brain e Mad Desire: «In un una settimana prendevo dieci aerei, alle feste con George Michael c’era droga ovunque. All’Isola dei Famosi mi misi a piangere, sono passati 16 anni e ancora mi prendono per i fondelli...»»
Ha avuto un successo planetario come cantante, ma non cantava. È arrivato ad avere 13 miliardi di lire in banca ma poi ha perso tutto. Oggi vive nove mesi all’anno a Malaga, fa serate ma potrebbe anche non lavorare. La parabola di Den Harrow (vero nome Stefano Zandri, 60 anni da Nova Milanese) è l’immagine degli Anni 80, un decennio di superficialità ed edonismo, ma anche di opportunità che oggi sono impensabili.
L’adolescenza?
«Un disastro. Da ragazzino ero dislessico e grasso, venivo bullizzato. Fino ai 13 anni la mia infanzia è stata difficile. Poi — è il mio temperamento — mi sono arrabbiato, sono dimagrito 20 chili in un mese, mi sono messo a praticare arti marziali e dopo un anno ho picchiato tutti i bulli che mi avevano menato».
La scuola?
«Altro disastro. La dislessia non era ancora stata diagnosticata e quindi io per le maestre ero solo un ragazzo che faceva fatica a capire; sono stato bocciato in terza elementare. Ancora oggi se non mi concentro capovolgo lettere e numeri, sul cellulare ho la rubrica con tanti numeri di telefono sballati».
La musica è una traiettoria che arriva per caso.
«Da brutto anatroccolo mi ero trasformato in un bel ragazzino e avevo cominciato a frequentare una discoteca a Milano; ero un fan di Renato Zero e mi vestivo in modo eccentrico. Ero il belloccio del club, non pagavo né all’ingresso né al bar. Quando ballavo intorno a me la gente si metteva in cerchio a guardare, tipo Febbre del sabato sera, un film che all’epoca mi fece impazzire. Infatti volevo fare il ballerino, ma un giorno mi chiesero se volevo fare il cantante: c’era un disco già pronto, già cantato».
In che senso già cantato?
«Negli Anni 80 funzionava così, c’erano personaggi che prestavano solo l’immagine e la voce era di altri. Era la prassi, io avevo 19 anni e mi dissero che mi sarei chiamato Den Harrow: era un gioco di assonanze con denaro».
Lei era l’uomo-immagine di una canzone...
«Per di più dislessico. Immagini la fatica che facevo a imparare il playback. Mad Desire fece un milione di copie, per Future Brain dovevo fare solo una tappa al Festivalbar, ma le feci tutte e vinsi tra i giovani. Tra l’86 e il 90 ero tra i primi cinque cantanti d’Europa piu popolari tra le teenager, con Simon Le Bon, George Michael, Prince e Billy Idol. Con Don’t Break My Heart rimasi in classifica due anni in Germania, il disco fece 3,5 milioni di copie».
Che vita faceva?
«In una settimana prendevo 10 aerei, ho passato la mia gioventù in volo e in hotel. E poi ero frustrato, mi sentivo di prendere per il culo la gente. E non ero tranquillo, fare un buon playback era uno stress emotivo continuo, ma nessuno si era mai accorto di nulla. A quel punto avevo 30 anni e circa 13 miliardi di lire in banca (ho venduto 20 milioni di dischi)».
Il lusso più stravagante?
«Un giorno mi presento in ufficio, dico che non voglio prendere per il culo i mei fan, ma avevo 22 anni ed ero comprabile e corruttibile. “Ti piacciono le macchine? — mi chiedono —. Vai a farti staccare un assegno per comprare una Porsche e non rompere le balle”. Spesi 95 milioni. Gli sponsor mi davano tutto, non pagavo niente, né hotel né ristoranti. Guadagnavo tantissimo ma non spendevo troppo: buttavo soldi solo in orologi, auto e moto. Ho comprato anche la villa di Grace Jones a Ibiza».
La droga?
«Ce n’era tanta tanta tanta. Ricordo a Londra, una festa in una chiesa sconsacrata con Boy George e George Michael, c’erano ciotole e insalatiere piene. Andavi e ti servivi, montagne di cocaina, tiravano tutti. Si fa in fretta a cascarci».
Pure lei?
«Sono sempre stato un ragazzo curioso, ma mai tossicodipendente».
Quando si stancò di fingere?
«A un certo punto feci un ultimatum alla casa discografica: o canto io il prossimo brano o me ne vado. Mi fecero cantare il primo disco, Born to Love. Stavo diventando difficile da gestire, ma ero ricattabile».
Aveva 30 anni...
«Mi ritrovai con brani cantati da 7 voci diverse più la mia. E la gente, tutti grandi intenditori, non si è mai accorta di nulla. Poi quando è uscita la storia tutti a dire: eh sì lo sapevamo, si capiva. E quindi sono stato massacrato: ero il truffatore, quello che aveva imbrogliato la gente».
Si fece terra bruciata intorno...
«Nel frattempo mia madre — l’unico amore della mia vita — si ammalò e morì. E allo stesso tempo la finanza mi disse che c’era un controllo fiscale. Il commercialista era un amico, era di casa, ma venni a sapere che per 10 anni non avevo pagato niente. Nel 1991 la Finanza mi portò via tutto, due case, le macchine, rimasi con 10 milioni di lire sul conto e la disco dance era finita. Ho messo il dito sul mappamondo ed è venuta fuori San Diego. Sono partito con due valigie leggere per un posto dove non conoscevo nessuno».
Cosa faceva in California?
«L’istruttore di body building in un club sulla spiaggia. Poi andai a Las Vegas e per un mese studiai i ballerini di strip-tease ma erano molto piu grossi di me. In una palestra trovai uno spacciatore di bombe anabolizzanti: presi 15 chili in un mese, dovevo fare in fretta. Portavo sul palco le mie canzoni, l’unica cosa in più era togliermi i vestiti. Facevo 7 spettacoli al giorno per 3 giorni a settimana e guadagnavo un botto. Il nome d’arte era diventato Den Hard...».
Poi tornò in Italia spinto da?
«Per la voglia di rivalsa, ero arrabbiato con gli italiani, mi sono sentito molto maltrattato. Io ero il capro espiatorio, nessuno mi ha mai difeso. A Mediaset faccio Meteore, poi arrivo all’Isola dei famosi che mi rovina».
Il suo pianto a dirotto.
«Mi prendono per il culo ancora oggi dopo 16 anni con la storia del piangina, nonostante tutto quello che ho fatto. Ho fatto innamorare, divertire, ballare e si sono dimenticati di tutto».
Oggi cosa fa?
«Tantissime serate, revival Anni 80, ma posso anche permettermi di non lavorare».
Tornasse indietro?
«Non vorrei essere Den Harrow. Mi ha dato più rogne che altro».
Dennis Fantina.
Da fanpage.it il 29 aprile 2023.
Sono passati oltre 20 da quando Dennis Fantina ha vinto la prima edizione di Amici di Maria De Filippi, ai tempi Saranno Famosi. Il successo ai tempi fu tale per cui uno dei suoi primi dischi viene certificato disco d’oro: fu la realizzazione di un sogno. Negli anni Dennis ha partecipato a numerosi talent in tv, da The Voice of Italy a All Together now fino al più recente Tale e Quale Show. Vivere di musica però non è stato così facile e per questo Fantina ha deciso di cambiare completamente strada.
Intervistato da Serena Bortone a Oggi è un altro giorno, Dennis Fantina ha raccontato i suoi 20 anni di carriera, che gli hanno permesso di realizzare un sogno, pur non riuscendo ad imporsi mai a pieno come artista nel panorama musicale. Ecco perché, dopo aver perso il supporto di Radio Italia nella produzione dei suoi dischi, nel 2009 Fantina si è trovato costretto a trovare un altro lavoro per mantenersi. “Ad un certo punto è finito tutto, mi sono ritrovato senza lavoro. Avevo appena aperto un mutuo e avevo una famiglia, non potevo stare lì ad aspettare che arrivasse un produttore”, racconta. “Oggi collaboro con un mio amico che ha aperto un bar, quando non lavoro faccio questo. Per me l’importante è essere umili e dignitosi, non ruota tutto attorno al mondo dello spettacolo”.
Dennis Fantina ha una famiglia e non rinuncia alla musica
Nel frattempo è diventato un orgoglioso papà, nonostante non abbia mai abbandonato del tutto la passione per la musica. “Ho avuto due bambini”, ha raccontato nel 2019 sul palco di ‘All together now”, a Mille Hunziker. “Al momento sono disoccupato. Sopravvivo con la musica per quanto è possibile
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Diana Del Bufalo.
Diana Del Bufalo: «Quando avevo 19 anni fui arrestata a Londra per uno spray al peperoncino». Storia di Federica Bandirali su Il Corriere della Sera venerdì 8 dicembre 2023.
Ospite su Youtube del format del duo comico "Le Coliche", l’attrice Diana Del Bufalo racconta un fatto che mai aveva svelato fino a ora. Un fatto avvenuto a Londra: "Mi hanno arrestato, quattro persone con il mitra mi hanno scortato fuori dall’aeroporto, sono andata alla stazione di polizia. Ma è stato bruttissimo perché mi hanno preso il DNA, mi hanno fatto le foto segnaletiche" ha raccontato con la memoria che è tornata al suo soggiorno a Londra quando aveva solo 19 anni.
I motivi dell’arresto
Il motivo dell’arresto? L’attrice aveva in borsetta uno spry al peperoncino, che nel Regno Unito è considerato illegale. Ma lei spiega la sua scelta: “Ero andata a vivere a Londra, avevo 19 anni, mio padre me lo ha dato, 'guarda sei una signorina da sola, piccolina'. Quando poi sono tornata a casa per Natale, in aeroporto io non sapevo che era illegale avere lo spray al peperoncino, e io ce lo avevo nella borsa. In Inghilterra è illegale totalmente, in Italia no", ha spiegato. Per questo motivo Del Bufalo, amatissima in Italia, è stata portata in una stazione della polizia: "A Scotland Yard sono schedata come potenziale… ma sai tipo quelle cose da film con la telecamera, la luce? Sì, tipo il verbale: 'Quindi tu odi il nostro paese?'. 'Ma no figurati sono venuta a studiare qua'" ha proseguito nel racconto. 'Tu per noi avevi una pistola” avrebbero detto a lei i poliziotti che considerano lo spray di fatto un'arma vera e propria.
Diego Dalla Palma.
Diego Dalla Palma: «Vanoni, Melato, Patty Pravo: ecco come le ho rese più belle. Perdonai in punto di morte il sacerdote che mi molestò». Stefano Lorenzetto su Il Corriere della Sera mercoledì 25 ottobre 2023.
Il make up artist: «Al paesino ero la “femminuccia”, mia madre mi diede 25 mila lire per andarmene via». Costumista, sceneggiatore e truccatore, è diventato imprenditore dei cosmetici
Per capire da dove proviene Diego Dalla Palma, «il profeta del make-up italiano» (New York Times), basta dire che 40 anni fa fotografai una bottiglia di grappa con una vipera al posto della ruta, in vendita a 150.000 lire, «prodotta a Enego dal farmacista», garantì il droghiere. «La faceva anche mio cugino Vittorio, morto di rabbia a 40 anni per il morso di una volpe che allevava in cantina», conferma il truccatore, costumista, scenografo. Cresciuto in quel paese sui monti, privo di confini fra uomini e bestie, non poteva che intitolare Bellezza imperfetta. Fra vacche e stelle la pièce teatrale che sarà al Parioli di Roma dall’11 novembre e al Manzoni di Milano dal 5 dicembre. Quando nacque, a Enego su 4.500 abitanti solo due donne usavano il rossetto: «Una era mia madre Agnese».
E l’altra?
«La sua migliore amica. Il giorno in cui fu eletto papa Giovanni XXIII, il marito geloso la decapitò con l’accetta ed esibì la testa alla finestra. Mia mamma lo fece uscire di casa avvolto in una coperta. Da quel giorno il mal di vita la ghermì, non fu più lei».
L’assassino che fine fece?
«Morto pure lui. Con la scure s’era mozzato un polso».
Bellezza e mucche, strana relazione. Me la spiega?
«Da Malga Lambara scendevo a scuola con il camion del latte. La mamma mi diceva: “Te devi ’ndar via, no star qua fra le vache, come mì”. Non eravamo d’accordo su nulla. Il nostro è stato un violento nubifragio d’amore. Nel 1968 mi mise in mano 25.000 lire: “Ghemo solo questi, te i dago, ma no tornar indrìo!”. Si è sempre sentita una madre in prestito, non mi ha mai accarezzato. Assomigliava a Silvana Mangano. La bellezza non si può separare dal dolore. Come scrisse Paul Valéry, definire il bello è facile: è ciò che fa disperare».
Era lo stesso rapporto che legava Pier Paolo Pasolini alla madre Susanna Colussi?
«U-gua-le! Non ebbi il coraggio di dirlo al regista. Pasolini le fece interpretare la Madonna sotto la croce nel Vangelo secondo Matteo, io la truccavo per portarla al ristorante. Finito il make-up, le dicevo: te me par ’na vecia putana. E lei: “Eh no, vecia no!”. Tutte le donne mi hanno sempre chiesto una sola cosa: farle apparire giovani».
Ora si affidano al bisturi.
«Odio la chirurgia estetica. Guardi le facce di Madonna, Mickey Rourke, Linda Evangelista, Sylvester Stallone. E Faye Dunaway? Non esce più di casa, le hanno stravolto l’articolazione labiale».
Come scoprì il maquillage?
«Incontrando la morte. A 6 anni fui colpito da meningite linfocitaria. Una sorta di privilegio. In coma non vidi alcun tunnel, ma solo una luce lillà, fortissima, che mi dava un senso di trasparenza e di ristoro. Mia madre restò accanto a me in ospedale per molti giorni, solo con un’immagine di sant’Antonio stretta al petto. “Al risveglio eri contrariato”, mi raccontò».
Le mancava l’adorato lillà?
«Sì, il colore. I miei non potevano regalarmi i pastelli. Disegnavo a matita sulla carta usata nella malga per avvolgere il burro. Con i cocci dei mattoni rossi dipingevo bocche sui muri della porcilaia».
Ritorna mai a Enego?
«Manco da tanto tempo. Ho sofferto troppo. Mi deridevano: «Femminuccia». A distanza di anni, temevano che li contagiassi con il meningococco. Ah, l’ignoranza!».
A che età se ne andò?
«A 18 anni. Il viatico di mio padre Ottavio fu: “Ricòrdate sempre che sémo gente povera, no povera gente”».
Destinazione?
«Milano. Non sapevo dove lavarmi, dove dormire. Finii nel pensionato Belloni, viale Fulvio Testi, fra barboni ubriachi che scoreggiavano. Fame vera. Un giorno mi prostituii per un panino. La mia università è stata la povertà».
Primo lavoro?
«Costumista e scenografo. Un Natale mi presentai per la terza volta alla Rai in corso Sempione. Maud Strudthoff mi batté una mano sulla spalla: “De Palma, torna a casa”. Manco rammentava il cognome. L’ascensore era rotto, vagai nei corridoi. Lei mi rivide, s’impietosì: “Vabbè, ti provo in Un’ora per voi, condotto da Corrado e Mascia Cantoni per i nostri emigrati in Svizzera. Solo tre puntate”. Divennero 30. Da Guido Stagnaro a Enzo Trapani, per 10 anni lavorai con tutti i registi».
Ma resta più noto per l’arte di combinare fard e rimmel.
«Succede se ti occupi del viso di Ornella Vanoni, Mariangela Melato, Patty Pravo. Mi rapiva Amália Rodrigues, aveva negli occhi stregoneria e santità. Ero incantato da Lea Massari e Maria Tanase, la Édith Piaf dei Balcani, due amori di Indro Montanelli».
Nessuna rifiutava il trucco?
«Irene Papas. Anche Paola Borboni: teneva di più all’acconciatura e alle collane».
Ritocchini sugli uomini?
«Silvio Berlusconi. Si fece sfumare la base del naso. “Ce l’ho troppo prominente, come mio padre”, si doleva».
Non le chiese il fondotinta?
«È la telecamera il fondotinta, anzi il cerone. Tira fuori il peggio della nostra vanità».
Adesso lei è una griffe nel settore cosmetico.
«Nel 1978 aprii il Make up studio in zona Brera. Con la stufetta elettrica colavo barattoli di rossetto verde, blu, nero e ne facevo stick. Ma la più abile fu mia madre. Venne a trovarmi. In dialetto veneto conquistò una cliente, che se ne andò felice: le aveva venduto per 34.000 lire un rossetto da 12.000».
Chi esce di casa imbellettato vuole stupire o sedurre?
«Difendersi».
Lei lo fa?
«Un po’ di crema basica in tv, per mascherare il rossore da alpino, tipico dei veneti. Ma non fermo i segni del tempo. Cerco soltanto strategie per evitare la noia».
Si è definito pansessuale.
«Sono nato in una casa priva di infissi. Non ho porte, non ho confini. Di due grandi amori, Anna e Mario, preferisco ricordare Anna. Studiava alla Scala per diventare soprano. Mi ha donato equilibrio. Il sesso era il primo pensiero la mattina e l’ultimo la sera. Oggi osservo sgomento il mio corpo plissé e mi astengo».
Da quindicenne subì abusi.
«Quasi tutti i giorni, per due anni, al collegio Cavanis di Venezia. Dormivo nell’ala degli sfigati che non potevano pagare la retta. Padre Ugo, 120 chili, era suadente: “Dammi del tu”. Dapprima fu una violenza mentale, sulle note della Sinfonia n. 103 di Haydn. Conservo ancora tre pile di vinili che mi regalò».
Poi scoprì di essere omosessuale.
«C’era già l’inclinazione, in percentuali che non capivo, a seconda delle occasioni. Anni fa la mia segretaria mi passò al telefono un asmatico. Era padre Ugo: “Stavolta benedicimi tu, sto morendo. Mi vuoi bene, Diego?”».
In che modo reagì?
«Non conosco il rancore. Ci pensai un minuto. Risposi: sì, le voglio bene. Che mi cambiava, a perdonarlo? “Grazie, figliolo”, fu il suo congedo».
Dica qualcosa ai brutti.
«Non toglietevi una “t”».
Maria Francesca Troisi per mowmag.com il 14 aprile 2022.
Da figlio di pastori a profeta del Made in Italy (come da definizione del “New York Times”), la vita di Diego Dalla Palma è consacrata alla bellezza femminile. Dalla sua postazione speciale, quella di make-up artist, il maestro di stile di fama mondiale (è stato anche apprezzato costumista e scenografo) ne ha truccate più di tremila fra attrici, cantanti, ma anche donne comuni. In questo modo ha affinato la sua abilità di interagire con loro, confermando nel suo programma “Uniche” (su Rai Premium, dal 15 aprile in seconda serata con la sesta stagione), la capacità di confezionare interviste a donne dello spettacolo e della cultura che si trasformano in autentiche confessioni.
Per cui, fedele al format di successo, e al suo personaggio - autorevole, schietto e creativo - anche la nostra è stata una chiacchierata a cuore aperto, che ha spaziato dalle riflessioni private ai commenti su alcuni dei personaggi più in vista dello star system, fino ai voti sul look dei nostri politici, senza tralasciare di esaminarne gli eccessi e le dubbie dichiarazioni di qualcuno...
Dalla Palma, chi ci stupirà nella nuova edizione di "Uniche"?
A dire il vero nessuna, perché sono tutte proiettate a essere semplicemente sé stesse. Le confesso che le persone che desiderano stupire a tutti i costi mi fanno passare la voglia di continuare il racconto.
Invece qualcuna che l'ha delusa, in passato?
Almeno quattro o cinque, ma non mi chieda i nomi. Mi hanno deluso perché venivano per fare il personaggio. Ma ho sbagliato io a incontrarle, perché già immaginavo sarebbe andata così, che fossero costruite.
Avrà visto il video di Madonna su TikTok. Si è lasciata sopraffare dalla chirurgia?
Sì, si è lasciata prendere la mano, non me l’aspettavo da lei, visto che è un personaggio così anticonvenzionale. Ma il focus dell’anticonvenzionalità dovrebbe essere l’accettazione degli anni che passano. Altrimenti si diventa patetici, come lei.
Invece, le donne dello spettacolo italiano che hanno abusato coi ritocchi?
Parecchie… Valeria Marini porta la bandiera, ma anche Sabrina Ferilli, Maria De Filippi, ritoccata in maniera scioccante. Ci mancherebbe, facciano ciò che vogliono, ma non possono mica pretendere che la gente non si accorga dello scempio compiuto sul loro corpo. In verità mi piacerebbe vedere uomini e donne che combattono il tempo che passa con intelligenza, invece di affidarsi a persone senza scrupoli, e cambiarsi i connotati.
Lei ha mai ceduto al fascino del ritocco?
No! In passato ho avuto problemi coi denti, quindi ho dovuto subire interventi a denti e gengive, a causa di un imbecille che si occupava di immagine, e che mi aveva convinto a subire delle operazioni. Ma ero più giovane. Adesso, il mio unico vezzo è eliminare le macchie di vecchiaia, solo perché sono sgradevoli al tatto. Non mi farei toccare null’altro, in fondo mica si ritorna giovani veramente.
Che ne pensa delle recenti dichiarazioni di Donatella Rettore, che rivendica il diritto di usare parole come “frocio” e “negro”?
La Rettore è una delle persone più stupide che abbia mai conosciuto. Quindi non mi stupiscono affatto queste affermazioni.
Ma è favorevole al Ddl Zan?
Assolutamente sì.
Chiara Ferragni è una donna di buon gusto?
È di buon gusto, è intelligente, ma non ha lanciato uno stile che resterà nella storia. Può farlo, ed è ancora in tempo, così da diventare ineguagliabile. Invece ha dato la precedenza al marketing.
Spettacolo italiano e stile, il podio delle migliori?
Gaia mi piace molto. Così come Levante, e tra le vecchie glorie direi Patty Pravo, chirurgia esclusa.
Invece le tre peggiori?
Valeria Marini, Tina Cipollari e compagna (Gemma, la “dama” di “Uomini e Donne”, ndr). Ma qui c’è davvero l’imbarazzo della scelta. Francesca Cipriani, Lory Del Santo, Carmen Russo … ormai caricature di loro stesse.
Politici e stile, assegni i voti. Partiamo da Salvini.
Quattro.
Giorgia Meloni?
Sei.
Draghi invece?
Otto, con possibilità di arrivare a dieci.
Mattarella?
Sette.
Chiuderei con Berlusconi
Sufficiente... Aggiungo anche un’altra politica, che secondo me ha un potenziale enorme, Marianna Madia (Partito Democratico). È particolarmente stilosa, molto chic.
Tornando a Berlusconi, che ne pensa del suo “non matrimonio”?
Sono scelte personali, che però non condivido.
Un politico che intervisterebbe volentieri?
Giorgia Meloni.
Perché?
Premetto che non sono un suo sostenitore, ma ho l’impressione che sia una persona, insieme a Enrico Letta, di una complessità umana particolare. Sono convinto, insomma, che possa trasformarsi in un incontro piacevole.
E una donna dello spettacolo con cui scambierebbe, con piacere, quattro chiacchiere?
Giovanna Ralli, un’attrice che trovo ancora bellissima ed elegante a più di ottant’anni. E ancora Alice, e poi tra le più giovani, Elodie e Matilde De Angelis.
Elodie perché la incuriosisce? Il suo stile ultimamente ha fatto discutere...
Mi piace perché ha una sicurezza che nasce da un percorso particolare. Sì, il suo stile è chiaramente dettato da esigenze commerciali. Ma sono convinto che lei sia molto più interessante di quello che mostra. Molte case discografiche sbagliano le loro mosse, convinti che così facciano meglio. Mia Martini, Loredana Bertè, Ornella Vanoni, Fiorella Mannoia, per citarne qualcuna, non hanno mica usato simili espedienti. Ecco, Elodie ha un potenziale considerevole, messo in ombra dal puro marketing.
Dei Måneskin che ne pensa?
Adorabili, dal look alla voce di Damiano, fino a tutti gli altri componenti della band. I Måneskin sono credibili perché sono sempre sé stessi, con un’immagine ben definita.
Torniamo a gennaio quando ha condotto, sempre su Rai Premium, “Caro Diego”, in cui ha ospitato storie di uomini e donne che avevano smarrito la propria autostima. Ma lei si ama?
Non mi amo, non mi sono mai amato e mai mi amerò. Però mi considero.
Perché?
Forse perché ho sofferto molto nella vita, mi hanno indebolito in tanti. Sono stato soggetto a violenze fisiche, a bullismo, povertà, alla disperazione, a mancanza di sostegno. Non mi amo anche perché non mi piaccio fisicamente, non mi piace la mia voce.
Perché sono solo, nonostante le storie d’amore importanti vissute. Non mi amo perché non ho il coraggio di mandare tutto e tutti a quel paese, e dedicarmi alla mia passione per i viaggi. E non mi amo nemmeno per i richiami che subisco dalla tv, tant’è che “Caro Diego” è uno dei programmi che prediligo, che faccio a casa mia, dedicandomi a persone che hanno smarrito sé stesse. Ma anche “Uniche” è un bel percorso, perché mi ritrovo con persone che hanno le mie stesse caratteristiche.
Ha detto di aver subito violenza fisica, bullismo. È riuscito a perdonare chi gliel’ha inflitti?
Per fortuna possiedo il coraggio e il perdono. Non ho perdonato subito, anzi, ho attuato anche delle vendette violente, ma poi ho iniziato a ragionare. E mi sono liberato per me stesso e per loro. A mia volta poi, mi sono dovuto far perdonare. Come diceva Madre Teresa: “Se vogliamo veramente amare, dobbiamo imparare a perdonare”.
Lei cosa doveva farsi perdonare?
Eh … atti di violenza, tradimenti sessuali, l’impulsività che mi danneggia.
Non crede di essere troppo severo con sé stesso?
Me lo dicono tutti.
Perché è così severo?
Perché sono portato a pensare che non valgo niente, che forse aveva ragione chi mi ha deriso, calpestato e umiliato. Io poi sono un ex timido, ho affrontato la timidezza indossando una maschera. Ma sono anche estremamente sincero, così sincero che faccio del male prima di tutto a me stesso.
Come vorrebbe essere ricordato?
Non succederà, quindi quest’idea neanche mi sfiora. Parliamoci chiaro, sono cadute nel dimenticatoio personalità dello spettacolo e della politica enormi, figuriamoci io. Pensi che giorni fa ho dovuto spiegare a una persona di quarant’anni chi era Anna Magnani! Come siamo ridotti?
E se invece l’intervistatore fosse lei, come chiuderebbe questa chiacchierata?
Con questa domanda: sei contento di averla realizzata?
E come risponderebbe?
Sì. Le confesso una cosa: oggi non è stata una giornata facile, sono stanchissimo, ho subito due grandi delusioni, e sono anche di corsa in aeroporto (si sente, ndr). La verità, ero prevenuto su di lei, convinto mi facesse l’ennesima intervista stupida e superficiale.
Quindi ho accettato, ma di malavoglia, ero seccato, infatti avrei voluto liquidarla in 15 minuti, invece ne sono passati? (Cinquanta, ndr). Questo perché, a sorpresa, si è rivelata una donna intelligente, ferma, ma non invadente, e ho apprezzato particolarmente, perché questo ha permesso un confronto sincero, mi ha restituito il buon umore. E non capita spesso...
Diego Dalla Palma, l'orrore subito dal guru della moda: "Pestato dal mio fidanzato fino a farmi perdere i sensi". Libero Quotidiano il 15 giugno 2021. Diego Dalla Palma ha confessato di essere stato picchiato dal suo compagno fino a perdere i sensi. L’uomo è stato immediatamente denunciato, ma si trova ancora in libertà. Il guru della moda si è messo a nudo svelando anche dettagli molto personali e delicati della sua vita. "Sono stato molto amato da alcune persone che non potevo amare. In generale, ho avuto tre storie d’amore molto importanti: una con una donna, Anna, le altre due con due uomini che non vogliono che faccia il loro nome. Non ci sentiamo più e questo per me è un vuoto enorme: perché non avere contatti? Allora quello di un tempo non era amore», confessa. Il visagista ha ammesso di essere stato vittima di manipolazioni psicologiche. "C’è un uomo che mi ha picchiato quattro anni fa. Fu uno shock enorme, mi ha picchiato fino al punto di farmi perdere conoscenza. Quell’uomo è stato denunciato ma grazie alla legge se ne sta tranquillamente in giro per l’Italia. Non ho paura di rivederlo. Una sola cosa mi fa paura: lo stordimento, il non capire chi sono, il dipendere da altri. Se avessi delle avvisaglie in questo senso, farei una scelta precisa: andarmene", confessa. Sul Ddl Zan si dice favorevole: "Sono assolutamente favorevole al DDL Zan. Ma gli omofobi, che sono dei perdenti alla ricerca disperata di dare un senso ai loro fallimenti esistenziali, continueranno ad esistere fino a quando non ci sarà una profonda rivoluzione culturale. Cosa penso di Platinette che è contraria a questa legge? L’ho trovato sorprendente, sono sincero", conclude.
Da "ilfattoquotidiano.it" il 15 giugno 2021. Il Parlamento ungherese ha approvato il disegno di legge volto a vietare la “promozione dell’omosessualità ai minori”, presentato da Fidesz – il partito del Primo ministro Viktor Orban – la scorsa settimana e criticato da Amnesty International e Human Rights Watch come un attentato ai diritti Lgbtq. Il provvedimento è passato con 157 voti a favore e un solo contrario. “Al fine di garantire la protezione dei diritti dei bambini – si legge nel testo – la pornografia e i contenuti che raffigurano la sessualità fine a se stessa o che promuovono la deviazione dall’identità di genere, il cambiamento di genere e l’omosessualità non devono essere messi a disposizione delle persone di età inferiore ai diciotto anni”. Fidesz ha promosso l’iniziativa come parte di un programma per proteggere i minori dalla pedofilia. Le lezioni di educazione sessuale, inoltre – si legge ancora – “non dovrebbero essere finalizzate a promuovere la segregazione di genere, il cambiamento di genere o l’omosessualità”. In base a questo testo, una pubblicità come quella lanciata dalla Coca-Cola nel 2019 per promuovere l’accettazione dei gay in Ungheria non sarebbe ammessa, così come film e libri che mettono in scena dinamiche di amore omosessuale. E infatti il canale televisivo commerciale RTL Klub Hungary ha già fatto sapere che pellicole come “Il diario di Bridget Jones”, “Harry Potter” e “Billy Elliot” saranno trasmesse d’ora in poi soltanto in seconda serata e accompagnate da un divieto di fruizione ai minorenni. Lunedì sera oltre 5mila persone si erano radunate di fronte al palazzo dell’assemblea legislativa, in riva al Danubio, per protestare contro un testo che – sostengono – limita gravemente la libertà di espressione e i diritti dei bambini. Anche Dunja Mijatovic, Commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa, aveva invitato a “vigilare contro tentativi di introdurre misure che limitano i diritti umani o stigmatizzano alcuni membri della società”. Le organizzazioni per i diritti umani, ha ricordato, sostengono il diritto dei bambini a un’educazione sessuale completa, che verrebbe resa impossibile dalla censura sui temi Lgbt. “La legge contrasta con gli standard internazionali ed europei”, ha detto. “È una legge incompatibile con i valori fondamentali delle società democratiche europee e con i valori dei cittadini ungheresi, soltanto l’ultimo dei molti vergognosi attacchi ai diritti Lgbtiq dal governo di Viktor Orbán”, scrive in una nota Anna Donath, eurodeputata ungherese del gruppo liberale Renew europe (successore dell’Alde). Il gruppo a Bruxelles condanna la “putinizzazione dell’Ungheria da parte di Viktor Orban” e descrive la legge come “una replica della legge russa in vigore dal 2013 che vieta la propaganda Lgbtiq e che, proprio come in Russia, diventerà uno strumento di molestia e discriminazione”.
Diego Abatantuono.
Franco Giubilei per “Specchio - la Stampa” il 10 luglio 2023.
Studente occasionale alle scuole ufficiali, Diego Abatantuono racconta di aver "fatto il liceo" frequentando i Gatti di Vicolo Miracoli da amico - «stavo alle luci durante gli spettacoli senza capirci granché in impianti elettrici» -, e l'università al Derby. Qui Diego giocava in casa, oltre a giocare a bigliardo nel bar vicino all'istituto industriale cui era iscritto: il locale era degli zii e ci lavorava pure la madre, dunque il passo per salire su quel palco venne naturale, all'inizio per presentare spettacoli altrui e poi, di battuta in battuta, fino a costruire un monologo proprio.
Intorno a lui, personaggi che solo la Milano di allora: Enzo Jannacci, Beppe Viola, Cochi e Renato, Teo Teocoli, Massimo Boldi, Faletti, i Gufi, Bongusto, Califano, Funari, ma anche personaggi della Milano di notte come "il Bistecca", «uno il cui lavoro era venire al Derby, un grandissimo umorista e amico», ricorda Abatantuono.
Fra il pubblico del Derby pittori, scrittori, la crème della città, ma anche boss della mala come Francis Turatello: «E tu crescevi lì dentro, imparando ad avere a che fare con personaggi di ogni tipo e di ogni fascia sociale. Imparavi anche a mediare e prevenire problemi con i balordi della notte, e a saperti muovere con le donne», racconta Diego dalla sua villa sui colli di Riccione.
Alle sue spalle, cento film e un personaggio di enorme successo che poteva bruciarlo: il terrunciello venne sfruttato intensivamente, invadendo i cinema italiani al ritmo di dodici pellicole in due anni. «C'è stata una gestione pessima, il mercato è stato saturato di quel personaggio», dice l'attore, che seppe sottrarsi all'abbraccio soffocante della sua maschera grazie a Pupi Avati, il primo a vedere la sua vena amara nel farne il protagonista sofferto di Regalo di Natale, «peraltro dopo aver incassato il no di Lino Banfi», ricorda.
Quindi è arrivato Salvatores: «Nell'88 avevo lavorato ne Il segreto del Sahara di Alberto Negrin con un cast pazzesco: Andie Mac Dowell, Michael York, Ben Kingsley. Dopo l'incontro con Salvatores, ho fatto io i sopralluoghi per Marrakesh Express. Con Salvatores siamo andati a girare fra le stesse dune, negli stessi posti». Milanista doc, ha messo il suo tifo in Eccezziunale veramente e come scenografia ha scelto la vera curva sud del Milan andando a girarci la scena del derby, quando l'Inter segna e lui, il "Ras della Fossa", si sente male.
Come è stato portare il set in una curva di calcio durante una partita vera?
«Gli ultrà del Milan sono stati molto gentili con noi e ci hanno aiutato, così con la produzione gli abbiamo regalato un furgoncino che serviva per bandiere e tamburi da portare allo stadio. La mia disperazione al gol dell'Inter era reale, perché loro avevano segnato sul serio. Da ragazzino, la prima volta che sono andato a San Siro ci sono andato per conto mio, la prima partita un Milan-Cagliari, avevo 13 anni. Era una Milano in bianco e nero, coi tram, il grigio e la gente col cappotto. Entrato a San Siro mi sono detto: "ma questo ha i colori…". Segnò Riva, che era il mio mito dopo Rivera, e vinsero loro 1-0».
A proposito di San Siro: vogliono buttarlo giù, cosa ne pensa?
«Che non andrebbe abbattuto, anche perché la demolizione danneggerebbe l'aria di Milano per anni. Che costruiscano il nuovo stadio e intanto continuino a giocare lì, poi valuteranno cosa farne. Non sto neanche a dire cosa vuol dire per Milano: sette coppe dei campioni vinte dal Milan, l'Inter con tre. Io non solo lo terrei, ma metterei 500 alberi nel parcheggio attuale, Ne farebbero un parcheggio-bosco, ombroso per le macchine, io poi metterei grandi alberi anche al terzo anello dello stadio e tutto attorno, il bosco San Siro come il bosco verticale».
Dai derby di calcio all'altro Derby, il locale simbolo del cabaret milanese, il passo è breve, considerata anche la vicinanza fisica dello stadio.
«Si chiamava così perché era vicino all'ippodromo, oltre che allo stadio. Fino a prima del '68 era un locale jazz, l'Intra's Derby Club, ci suonavano musicisti come Enrico Intra e Franco Cerri, quello della pubblicità dell'uomo in ammollo. Poi con Jannacci è avvenuto il passaggio al cabaret, sono arrivati Cochi e Renato ed è arrivata anche la cultura milanese. Il Derby diventò un porto franco, fra il pubblico c'erano gente del bel mondo così come balordi o malavitosi, ma è sempre stato un posto tranquillo. Era il posto più straordinario e io, che lì dentro ero il più giovane di tutti, ho cominciato ad andarci a 15 anni».
Chi ha scoperto il suo talento nel cabaret?
«Mio zio mi ha fatto fare il direttore artistico al Derby, presentavo un cast di giovani, fra cui Porcaro e Faletti, Mauro Di Francesco e altri: salivo sul palco, loro dicevano una battuta, io aspettavo la reazione del pubblico e intervenivo: se ridevano dicevo "te l'avevo detto che la gag era buona", se invece non faceva ridere, gli davo addosso: "te l'avevo detto che non funzionava".
Era il metodo dell'interruzione, lo stesso che avrebbe usato Bisio a Zelig anni dopo. In quel periodo - era il '75 - Jannacci, Boldi e Beppe Viola lavoravano a uno spettacolo e venivano sempre al Derby, così mi videro e Jannacci si affezionò. Avremmo lavorato insieme per molti anni, c'era una grandissima stima».
Sembra un inizio casuale.
«Ho cominciato per caso, non ho mai pensato di fare questo mestiere, ma ho imparato presto che la chiave dell'umorismo è il senso dell'umorismo del pubblico, se tu dici una battuta e non la capiscono c'è qualcosa da rivedere, ma se il tuo umorismo non viene capito non ti devi demoralizzare.
Mi dava sicurezza guardare in fondo alla sala: se c'erano a vedermi Jannacci, Viola, Boldi o "il Bistecca" - un nostro caro amico del Derby e il più grande umorista mai vissuto, che di mestiere veniva al Derby, non faceva altro e viveva con la mamma portinaia -, voleva dire che funzionava».
Al Derby c'erano tanti talenti e personalità, fra voi non c'erano anche rivalità, o magari invidie?
«Le rivalità erano molto poche, poi c'era quello che aveva un carattere più acceso, ma non invidie vere e proprie, e comunque nessuno l'ha mai palesato. C'erano anche differenze profonde di genere nell'umorismo: Funari e Tony Santagata facevano altre cose rispetto a un Pozzetto, che era avanti trent'anni».
I film di Salvatores riflettevano anche una visione politica precisa. Lei aveva fatto politica negli Anni 70?
«Tutto il cinema è politico in senso lato. Quanto a me, a scuola parlavo alle assemblee perché mi piaceva discutere i problemi, seguivo la politica perché mi interessava, ma non frequentavo un gruppo extraparlamentare in modo particolare. Andavamo al cinema e anche lì discutevamo quattro ore del film. Coi Gatti ci andavo tutti i pomeriggi e ne parlavamo sempre. I film allora erano così importanti che venivano citati e capiti al volo anche quando vi accennavamo nei nostri spettacoli, e appena usciva l'ultimo libro di Woody Allen lo leggevamo insieme ad alta voce».
Ci fa un esempio?
«Io cominciavo il mio monologo in italiano, poi mi incazzavo e cominciavo a parlare meridionale, raccontavo di un'astronave che - "svulaz, svulaz, svulaz" -, si trovava sopra la Puglia, atterrava e i pugliesi offrivano da mangiare al capitano: questo si beveva una tanica di olio d'oliva, lo stomaco si gonfiava e invece che Alien usciva Vito, un bambino insopportabile. E tutti capivano il riferimento».
Cosa è rimasto di allora nei suoi rapporti attuali?
«Coi Gatti, i vecchi amici e i sopravvissuti del Derby, artisti e clienti, ci continuiamo a frequentare. Fra noi, coi Gatti e gli altri, a quei tempi dicevamo che il primo che avesse avuto successo avrebbe preso una casa grande, in modo da viverci tutti insieme, e in un certo senso è andata così, anche se sembrava un'utopia da ragazzi: ai primi Anni 80, quando ho avuto una casa grande, si sono sempre avvicendati i miei amici e i nostri figli sono diventati amici. Anche oggi, quando è possibile, noi sopravvissuti continuiamo a vederci a casa di qualcuno. Il precedente più clamoroso è Tognazzi, che faceva anche i tornei di tennis a casa sua, cucinava lui e aveva tutti gli amici a casa».
(...)
In una scena di Mediterraneo vi fumavate l'hascisch di un turco: l'euforia collettiva sembrava autentica, che cosa vi siete fumati veramente?
«Non c'era dentro niente, era tutto finto, e lo dico anche perché se fosse stato vero non avrei avuto nessun pudore, ma lì proprio non c'era niente. Invece qualche altra volta in qualche altro film è successo, ma in Mediterraneo era tutto frutto della nostra grande recitazione».
(...)
Allora ci dica le sue passioni, cinema e Milan a parte.
«Prima le ragazze: stare sul palco dava visibilità e aiutava, io poi ero bellissimo e avevo un discreto successo. Poi il calcio e il biliardo, giocati e visti, e la play station finché i miei figli dieci anni fa mi hanno impedito di farlo. L'ultima mia passione sono gli alberi: ne avrò piantati cento nel mio terreno a Riccione, cinquanta ulivi con cui faccio l'olio, e lecci, castagni, querce. E poi cantare, ridere, queste sono le mie passioni. Non conosco nessuno che si sia divertito come noi al Derby, dove il senso dell'umorismo ce l'avevamo tutti. Vivevamo fra gente divertente. In giro coi Gatti avevamo un'agendina dove c'era l'elenco dei ristoranti e delle ragazze che vivevano in zona. Non era l'epoca in cui i cuochi dilaniavano l'inguine come oggi, avevamo i nostri vini e ristoranti».
Diego Abatantuono: le origini e gli inizi come tecnico luci al Derby Club, chi è sua moglie, 7 segreti. Arianna Ascione su Il Corriere della Sera l'8 Luglio 2023
Domenica 9 luglio l’attore sarà tra i protagonisti di «Mediterraneo» (1991), cult di Gabriele Salvatores in onda su Cine34 alle 16.45
Origini e gli inizi come tecnico luci
«Attore, comico, sceneggiatore, produttore, conduttore, ristoratore, flagello di Dio, ras della fossa, mago di Segrate, barbiere di Rio e Babbo Natale»: così si descrive nella sua biografia di Instagram Diego Abatantuono, tra i protagonisti di «Mediterraneo» (cult di Gabriele Salvatores in onda su Cine34 oggi alle 16.45). L’attore è nato a Milano il 20 maggio del 1955, figlio di Matteo (calzolaio originario di Vieste) e Rosa (costumista originaria di Como). Quest’ultima lavorava anche come guardarobiera presso il Derby Club (di proprietà degli zii di Abatantuono, Gianni e Angela Bongiovanni), mitico locale di cabaret che l’attore praticamente ha frequentato fin da quando era piccolo. Durante l'adolescenza ha anche iniziato a lavorarci come tecnico luci. Ma questa non è l’unica curiosità su di lui.
Il cambio di rotta grazie a Pupi Avati
Nel 1986 Pupi Avati offre a Diego Abatantuono l’occasione per mettersi alla prova come attore drammatico. Lo chiama per «Regalo di Natale», al posto di Lino Banfi (che aveva dovuto rinunciare alla parte di Franco Mattioli perché Cecchi Gori gli aveva proposto «Pompieri»). «Lo andammo a trovare a Rimini, dove viveva all’epoca - ha raccontato qualche anno fa Avati a Leggo -. Non se la passava bene, dopo l’insuccesso dei suoi ultimi film. Lo misi alla prova: per la prima volta doveva rinunciare allo slang del “terrunciello”. Rimasero tutti interdetti nel vederlo recitare così bene in un ruolo drammatico. Mi ha detto che a quella chiamata deve la sua intera carriera». Abatantuono è poi tornato a lavorare con Avati in diverse occasioni: «Ultimo minuto» (1987), «La rivincita di Natale» (2004), «Il testimone dello sposo» (1997), «La cena per farli conoscere» (2007) e «Gli amici del bar Margherita» (2009).
Il successo del “terrunciello”
Nei suoi primi anni di carriera Diego Abatantuono ha portato al successo il personaggio del “terrunciello”, prima sul palco del Derby poi al cinema (lo ha interpretato in pellicole come «Fantozzi contro tutti», «I fichissimi», «Eccezzziunale... veramente», «Il ras del quartiere», «Attila flagello di Dio»). «Il terrunciello era un tipo umano molto comune negli Anni Settanta e Ottanta, specchio di un’immigrazione al galoppo - raccontava l’attore nel 2021 al Corriere -. Era uno che si voleva integrare a tutti i costi. Che diceva di sentirsi “milanese al cento per cento” ed “eccezzziunale veramente”. Ma aveva conservato tutte le caratteristiche, fisiche e di linguaggio, di un uomo del Sud. Mio nonno non aveva mai perso l’accento pugliese. Le radici non si possono cancellare. Mia nonna, che era una precisina, non è mai riuscita a toglierglielo, quell’accento. Pensi che lui, il nonno, era un mancino naturale e lei l’ha fatto diventare ambidestro. Aveva una calligrafia meravigliosa, tutta svolazzi: cominciava la firma con la sinistra e finiva con la destra».
Ha girato oltre 100 film
Diego Abatantuono ha girato oltre 100 film (soltanto tra il 1980 e il 1983 ne ha girati 17). Ha raccontato al Corriere: «(Marrakech Express ndr.) Era un film on the road e se la compagnia è divertente, all’avventura del film si aggiungono le disavventure della vita che vivi nelle pause, nei trasferimenti da un posto all’altro. In genere succede quando giri lontano da casa. Mediterraneo era stanziale, ma era impagabile stare in acqua e poi andare sul set. Il giudice Mastrangelo lo abbiamo girato in Salento prima che diventasse una moda. Il cinema rimane il luogo dove mi sento più a mio agio, è il mio habitat, so sempre quello che succede e prevedo quello che succederà».
Come è diventato milanista
Calcisticamente parlando, il cuore di Diego Abatantuono è rossonero. «In piazzale Velasquez ho abitato quando avevo circa 10 anni - ha raccontato al Corriere -. Gianni Rivera, il capitano del Milan, stava nello stesso palazzo, al settimo piano. E poi sì, c’è quell’episodio che ho raccontato tante volte. Un giorno dal portafoglio di mio nonno spuntarono due foto. Una di Gianni Rivera e una di Padre Pio. Mi incuriosii e chiesi: nonno, ma chi sono questi due signori? La risposta fu: uno che fa miracoli e un popolare frate pugliese».
Riconoscimenti
Nel corso della sua carriera Diego Abatantuono ha vinto tre Nastri d'argento: come miglior attore non protagonista per «Regalo di Natale» (1987), come miglior attore protagonista per «Puerto Escondido» (1993) e come miglior attore non protagonista per «Io non ho paura» (2004), oltre a due Ciak d’oro (miglior attore protagonista per «Mediterraneo» e miglior attore non protagonista per «Io non ho paura»). Nel 2021 gli è stato consegnato il David Speciale ai David di Donatello.
Moglie
Dal 1984 al 1987 Diego Abatantuono è stato sposato con la scenografa Rita Rabassini (oggi compagna del regista Gabriele Salvatores). Dall’unione - nel 1985 - è nata una figlia, Marta. In seguito Abatantuono, dall’amore con la sua storica compagna Giulia Begnotti (sposata nel 2021), ha avuto altri due figli: Matteo (1995) e Marco (1997).
Giulia Cazzaniga per “la Verità” il 4 febbraio 2023.
Nelle foto della cena dell'altra sera con alcuni degli amici di sempre alla polpetteria di via Vigevano a Milano - Meatball family, gestita dal figlio con alcuni soci - c'erano pure Cochi e Renato, Smaila, Boldi, Ale e Franz, Scintilla, Johnatan, Fausto Leali e molti altri. Hanno fatto il giro del Web. «Ci ritroviamo tutti gli anni per gli auguri», ci racconta pochi giorni dopo aver ritirato l'Ambrogino d'oro di Milano. Improvvisamente Natale è il titolo del suo ultimo film, su Amazon Prime, e Diego Abatantuono è pure in libreria: ha scritto con Giorgio Teruzzi, per Einaudi, Si potrebbe andare tutti al mio funerale.
Ma è vero che lei ha perso il conto di quanti film ha fatto?
«Faccio fatica a contarli. Alcuni sono passati sia in tv sia al cinema. Per fare un esempio, Il segreto del Sahara, girato in pellicola, era sia per la tv sia per il cinema. Insomma, quando me lo chiedo io rispondo 100 e faccio prima».
Certo è che il primo fu nel '76.
«Andai ad accompagnare i Gatti di vicolo Miracoli (Jerry Calà, Umberto Smaila, Franco Oppini e Nini Salerno, ndr) a un provino e il regista, Romolo Guerrieri, mi chiese se volessi fare la parte del balordo in Liberi armati e pericolosi. Dissi di sì, mi domandò se avessi la patente. Non la avevo, mentii. Poi sul set avrei dovuto fare una sgommata con la macchina e confessai: mi servivano i soldi. Lui capì, e finì bene. Da lì feci parecchie partecipazioni. Fu quello con Monica Vitti, però, il primo film da protagonista».
Il tango della gelosia.
«Fu un grande successo anche al botteghino».
La Vitti la conobbe sul set, o già vi eravate incontrati?
«Lei aveva sentito parlare di me e venne a vedere un mio spettacolo. Portò anche Steno, il padre dei Vanzina. In quegli anni facevo il cabaret a Milano e in tutta Italia, ma non a Roma. Allora con 2 milioni di lire, che avevo risparmiato con le serate, affittai un teatrino in piazza Navona e invitai tutti quelli che conoscevo. La prima sera feci il tutto esaurito: Monica, Steno, i Vanzina, Benigni, Troisi, Cochi e Renato e molti altri. Era pieno. Le sere successive non venne nessuno, comunque l'idea funzionò e da quel giorno partì tutto».
Arrivò la fama.
«In due anni feci 12 film. Avrei dovuto capirlo che erano troppi. Non fui aiutato nelle scelte, ero inesperto. Al contrario del mio agente. Davo molta importanza ai rapporti di amicizia. Comunque per me erano soldi».
Un set dopo l'altro
«Ero frastornato, non capivo più niente. Ho rischiato di bruciarmi, a un certo punto poi il mercato si satura. Le proposte calavano. Così, decisi di stare fermo un po'. Il personaggio del "terrunciello" inizialmente lo usavo solo per chiudere lo spettacolo, ma talmente era richiesto e talmente funzionava che pian piano ha vinto lui. Poi sono arrivati Pupi Avati, Comencini, Negrin, Salvatores, le belle pellicole».
Si ride meno o si ride ancora, in questa Italia?
«Si ride abbastanza, si ride se le cose fan ridere. La commedia all'italiana di Monicelli, Scola, Comencini, Risi e dei grandi attori come Sordi, Gassman, Tognazzi, Gian Maria Volontè o Mastroianni beh, quella generazione era così di alto livello che poi è stato difficile andare avanti.
Erano pellicole esilaranti e struggenti al tempo stesso. La guerra e la fame erano ancora ben impresse nella mente e nei ricordi di tutti. Comunque il cinema è andato avanti. Certo, la qualità forse è calata. Bisognerebbe guardare e riguardare i vecchi film che hanno reso grande il cinema italiano».
Ci vuole una cultura, un'educazione al divertimento?
«Ma sì, il pubblico dimentica velocemente. Prenda la parolaccia: va usata dove serve. Non si dice "culo" solo per far ridere un bambino. C'è qualche critico che di recente ha rivalutato Giovannona Coscialunga e i Pierini: è un po' snob definire quei film dei "cult". Che poi, a dire il vero, a me la parola "cult" mi ha sempre fatto anche un po' cagare. Alla fine, un film o è bello o è brutto».
Scrive nel libro che imparare a far ridere è come voler diventare più alti
«Certo, secondo me è impossibile. O ce l'hai, o non ce l'hai. Beh, però uno dei fratelli di mio padre ci provò, sa?».
A far ridere?
«No no, a diventare più alto. Si era attaccato dei pesi ai piedi, poi si appendeva a una sbarra. Forse si era allungato un po', ma nel busto. Le gambe erano rimaste corte. Ecco, anche per l'umorismo è così».
Mi ha colpito quanto dice di lei Pupi Avati: avesse Abatantuono imparato a recitare inglese, avrebbe perso in autenticità e istintività. La descrive come un raffinato psicologo che sa della vita, conoscitore dell'animo umano.
«Per far ridere devi sapere con chi hai a che fare, capire le persone, il Paese in cui vivi. Io ho studiato poco. La mia scuola sono state le serate con Jannacci, Beppe Viola, Dario Fo, Gaber o Felice Andreasi. Ricordo la grande cultura di Lino Toffolo. Stavo attento, ascoltavo e capivo. Non tutti hanno voglia di stare attenti, e quindi fanno fatica a capire. Sono stato fortunato, nel posto giusto al momento giusto».
Improvvisamente Natale è un film che non è passato dalla sala, si può vedere solo in streaming. Senza retorica: ci perdiamo qualcosa, a non andare più al cinema?
«Certo, il cinema visto al cinema è un'altra cosa. Secondo me negli anni le programmazioni hanno favorito i colossal stranieri, spesso penalizzando pellicole italiane di qualità. Una volta era diverso. Mi ricordo che alla prima di Eccezzziunale veramente c'erano 3.000 persone davanti al cinema Adriano a Roma, che volevano entrare».
Era il 1982.
«Le televisioni erano a tubo catodico, piccole, per farle funzionare si prendevano a pugni. Oggi sono grandi, come gli schermi dei cinema di una volta. È vero che con la pandemia la gente si è disabituata ad andare al cinema. Ma per tornarci, per riprendere la vecchia bella abitudine, ne deve valere la pena. Vedere un film comico in una sala di 600 posti con 4 persone, non è facile. Quando è piena, condividi le emozioni. Il cinema è bello vederlo in tanti».
Racconta che Gassman ipotizzò lei potesse essere il suo erede.
«L'ho saputo da qualcuno, che lo ha letto da qualche parte. Mi fa piacere, ne ho ricevuti anche altri di complimenti, ma non mi piace raccontarli. C'è chi d'abitudine racconta aneddoti e complimenti ricevuti appena un grande personaggio non può più negare o smentire, in quanto deceduto. Chi le lodi di Padre Pio, chi quelle di Totò ma lasciamo perdere».
Si potrebbe andare tutti al mio funerale è il racconto di una festa, ci sono proprio tutti.
«I morti, ma pure i vivi. Va interpretato, è costruito in modo da non capire se sono morto davvero o se sono vivo in un sogno. Sono a letto, sono malato, mia mamma mi mette il Vicks Vaporub sul torace. Sento che fuori c'è una festa, e io alle feste ci andrei pure malato. Vengo attratto, e lì comincia la storia. Per capire, però, bisogna leggere il libro».
Credo non le venga molto da ridere invece quando dicono di voler abbattere San Siro. La fede rossonera per lei è una questione molto seria.
«Certo che mi dispiacerebbe, a San Siro siamo affezionati. Mi sono un po' interessato e mi pare di aver capito che ci sarebbe la possibilità di ristrutturare un anello per volta senza far danni ambientali, potendo così salvare e non abbattere le scuderie, la zona intorno, un posto meraviglioso. Questa cosa dello stadio, in piccolo, è un po' come quella del ponte sullo stretto di Messina: c'è chi vuole guadagnarci, e non tiene conto di tutti i fattori in gioco».
Contrario al ponte?
«Sono stato in Sicilia, ma soprattutto me ne hanno parlato amici siciliani. Mi dicono che mancano le strade e le ferrovie, che c'è da metter mano a ospedali, scuole, acquedotti. Da 67 anni sento parlare delle disavventure della Reggio Calabria. Bisogna fare una cosa per volta».
È raro sentirla parlare di politica.
«Non ne parlo volentieri. La politica è fatta di persone. Ce ne sono di oneste e disoneste. La destra è al governo perché è stata votata dal popolo, e ci sarebbe la sinistra se fosse stata capace di muoversi bene. La democrazia è questa».
Di temi come ad esempio l'immigrazione che pensa?
«L'Africa è stata colonizzata e sfruttata per centinaia di anni, chi lo ha fatto dovrebbe occuparsene, invece la abbiamo abbandonata».
Cos' altro la preoccupa?
«Ancora non abbiamo capito che se non ce ne prendiamo cura, i fiumi tracimano e portano via le case. Senza alberi le montagne cedono. Con il Covid c'è chi se ne è approfittato. Reddito di cittadinanza e Superbonus sono state belle idee, ma dobbiamo ricordarci che il nostro è il Paese descritto da Scola, nel film I mostri: Tognazzi insegna al figlio i trucchi per fregare il vigile, per non pagare le paste al bar, per saltare le file, insomma per fare il furbo. Non è bello, se ne pagano le conseguenze. Pure oggi dire a uno che è una brava persona è un po' come dargli del coglione. E ho detto tutto».
Diletta Leotta.
Estratto dell’articolo di Simona Marchetti per corriere.it il 29 giugno 2023.
Le critiche e i pregiudizi femminili accompagnano Diletta Leotta sin da quando era adolescente. «In seconda o terza liceo una professoressa mi fece una nota sul registro, perché distraevo la classe.
Avevo i leggings e la felpa, cosa che tra l’altro era obbligatoria, perché quel giorno avevamo Educazione fisica». Sono passati anni da allora, ma la conduttrice di Dazn è ancora il bersaglio preferito di molte donne e con l’avvento dei social è pure peggio, perché chiunque si sente autorizzato a scrivere qualunque cosa. Meglio se cattiva.
E lei non riesce a spiegarsi il motivo di tanto astio nei suoi confronti. «Proprio non lo so, vorrei chiederlo a loro e anzi mi aiuti lei a capirlo - ha chiesto la stessa Leotta a Camilla Baresani, che l’ha intervistata per il nuovo numero di “Grazia” - Forse, nel caso della giornalista Paola Ferrari che più volte mi ha attaccata, è dovuto al fatto che non ci siamo mai incontrate. Magari, se mi conoscesse, direbbe: “Scusate ho sbagliato”».
Anche gli uomini non le risparmiano volgarità assortite, ma non ha mai avuto paura che potesse capitarle qualcosa di brutto, sebbene in passato sia stata vittima di un episodio di molestie. «A volte ho provato l’imbarazzo di sentirmi tutti gli occhi addosso, sguardi fastidiosi, viscidi, oppure i cori volgari allo stadio, che per fortuna ora sono cessati.
Ho avuto una sola brutta esperienza, quando ero adolescente. Il professore di ginnastica, quello che ci faceva mettere i leggings, una volta mi ha dato uno schiaffetto sul sedere, e ha detto qualcosa tipo: “Mi fai inzuppare il biscotto”. Non sapevo che cosa volesse dire, non l’avevo capito. Sono tornata a casa e l’ho subito riferito a mio padre, che è avvocato. Quel professore è stato subito sospeso e mandato via dall’istituto».
Ad agosto la conduttrice diventerà mamma di una bambina e lei e il compagno Loris Karius sono al settimo cielo, devono solo sceglierle il nome. «C’è una discussione in atto. Al momento sono orientata tra Ofelia, Rose e Bella, ma credo che sceglierò all’ultimo, quando la guarderò negli occhi per la prima volta».
A proposito del portiere del Newcastle, con lui è stato amore a prima vista e a fare da cupido è stata Barbara Berlusconi. «Ero alle sfilate di Parigi con delle amiche. Siamo andate a cena all’Hotel Costes. Poi, quando è entrato lui, Loris, ha illuminato il locale, come se fosse entrato il sole. Ho detto alle ragazze: “Guardate, è entrato l’uomo della mia vita”. […]
Con noi c’era Barbara Berlusconi, che parla benissimo inglese e ha detto: “Dai, andiamo a conoscerlo”. Io non parlavo inglese, mi vergognavo, ma lei lo ha fatto sedere con noi e da quel momento non ci siamo più staccati».
Donatella Rettore.
Donatella Rettore. Estratto dell'articolo di Luigi Bolognini per "la Repubblica" il 7 marzo 2023
La Magnifica Rettore ora è anche dottore. E la cantante è ancora emozionata per il diploma in Management delle risorse artistiche assegnatole dallo Iulm qualche giorno fa: "Io una laurea non l'ho mai presa e questo era stato un cruccio dei miei genitori".
Che per lei hanno contato molto. Ne parliamo?
"Con grande piacere. Mamma Teresita aveva un carattere forte, era una bellezza tra Alida Valli e Bette Davis, era stata attrice nella compagnia di Cesco Baseggio. Però disapprovava fortemente che io facessi la cantante. Papà Sergio, irruento, rosso di capelli, genuino, ha avuto una storia incredibile durante la guerra, di cui non mi parlò mai, la scoprii solo negli anni Novanta".
Cosa gli accadde?
"In guerra era stato spedito in Jugoslavia, fu catturato dai tedeschi e spedito in un campo di prigionia. Alla liberazione con altri commilitoni dovette tornare in Italia a piedi, e si ritrovò nel campo di Mauthausen, scoprendo di colpo tutto l'orrore dei lager, del quale non aveva mai saputo nulla. Quando ricomparve in paese non lo riconosceva nessuno: era uno e 80 e pesava 30 chili. I partigiani gli diedero un elenco di ex fascisti su cui avrebbe potuto vendicarsi. Lui rispose che voleva solo vivere e lasciar vivere. Sarà anche che la nostra famiglia è stata segnata dai lutti. Io sono l'ultima di quattro figli, ma l'unica sopravvissuta al parto". [...]
Che contrasto con la cantante spigliata, allegra e anticonformista che abbiamo imparato a conoscere.
"[…] Mi spedirono in collegio dalle suore, un inferno, soprattutto con una che mi prese così male che ancora negli anni Ottanta, quando ero famosa, mi spediva lettere di invettive. Ma niente mi fermò, e riuscii a tuffarmi nella musica appena possibile […]".
Tra le sue prime conoscenze, Lucio Dalla.
"Bravissimo, e con un grande insegnamento: le canzoni semplici non vanno disprezzate perché sanno arrivare a tutti. Ma faceva davvero impressione dal vivo, per quant'era peloso, cosa su cui non amava che si scherzasse. Ma un giorno glielo dissi: sotto le ascelle aveva un toupet. […]".
[…]
A proposito di sesso parlava del Kobra che non è un serpente ma un pensiero indecente.
"In effetti non la si può nemmeno definire un doppio senso, perché il senso è unico e chiarissimo. Siamo sempre al discorso dello svegliare il Paese. E lo svegliai: l'idea che fosse una donna a pensare al sesso, e in quel modo, colpiva. Esposti giudiziari, lamentele di genitori, il sequestro del disco, e alla fine la censura. Che fu assurda: tagliò solo le parole "quando amo". Insomma, sesso e amore come cose diverse".
Una carriera, la sua, che è arrivata fino a Elton John.
"[…] Volai a Londra, dovevo starci un mese, ci restai quattro anni. Stavo a Oakley street, e ogni mattina dal panettiere incrociavo David Bowie, elegante come un lord, che si levava il cappello e mi salutava, ovviamente non sapendo affatto chi fossi. Elton aveva un fascino clamoroso, non per l'aspetto fisico, ma per la voce sublime e l'incanto al pianoforte, divenni amica di sua madre Sheila, eccentrica al punto di rubarmi una pelliccia fucsia e uscirci per strada coi sandali".
Ma in Italia faceva scandalo lei, istigando al suicidio.
"Certo, perché cantavo "dammi una lametta che mi taglio le vene". A parte che semmai raccontavo, che è diverso dall'istigare, sfuggivano a tutti il nonsense, il gioco di assonanze, il voler ironizzare sulla mania dell'horror, e anche il fatto che la morte fa parte della vita. Se lo capissimo tutti vivremmo assai meglio".
E lei come vive? Ha rimpianti?
"Io vivo di magnifici ricordi e di un presente che offre sempre novità. L'unica cosa che cambierei è che accetterei il ruolo che è stato di Giuliana De Sio in Io, chiara e lo scuro. Ma era un periodo davvero troppo pieno di cose".
Dredd.
Barbara Costa per Dagospia il 15 Gennaio 2023.
"Morto" un pene, se ne fa un altro! Il giorno che Rocco Siffredi appenderà il pene al chiodo, al porno mancherà ma il porno non si fermerà, perché, per un pene che va, ce n’è sempre un altro che ci dà e ci ridà, e in questo caso specifico è di Rocco poco più giovane, e più abbondante!!! Eccomi di nuovo a parlare di lui, ma come di lui chi!??? Lui, Dredd Il Grande!!! Lui, il pene più grosso del porno, 30 (ufficiali, ma sono di più) cm di porno grazia!
Dredd ha 51 anni e l’ha giurato: è pronto a pornare per altri 10, a fondo trapanare le più temerarie p*ssere in circolazione, e Dredd è di parola: mai ha pornato quanto questi ultimi tempi. Milf, teen, vecchie, nuove, ma meglio se due alla volta! A scorrere le nuove uscite, ti gira la testa, come assicurano giri alle ragazze infilzate da un così esagerato sviluppo penico! Scaricati il (e su il) 3some di Dredd con Nicole Doshi e Elle Lee, e quello di Dredd con Kylie Rocket e Scarlit Scandal, e guarda quest’ultima, come, golosa, gli lecca i testicoli…
Solo a sbirciare le foto di scena, ti viene una voglia… e che io al momento a forza mi faccio passare, ché voglio dirti dei grattacapi che a Dredd il suo caz*one dà, e di preciso: come si sta con una proboscide simile? Dredd magnificamente, chi gli sta intorno meno. Dredd dice che lui preferisce indossare gli slip e elastici e rinforzati rispetto ai boxer, la sua mazza vi sta meno libera ma più sotto controllo (ragazzi lo so, la questione mutanda diverge, la lascio aperta…), perché dice che le donne lì lo fissano, vestito, e che gli uomini lì vanno fissi a scherzare, e che il suo penone è fin troppo al centro dell’attenzione.
Va bene sul lavoro, è grazie a lui che Dredd fa la bella vita, e tuttavia, sarà per tale esuberanza di misure che non trova una moglie? Dredd ha avuto lunghe convivenze, e però vuoi per la gelosia del porno, vuoi per il suo essere troppo gattaro, o per il suo mood di vita old-style, non sono durate. Ma c’è una novità: ospite di un pod-cast, Dredd ha rivelato di essere in fase poliamorosa, e di dare il suo cuore e ogni suo cm d’amore a più donne insieme (Dredd è etero).
A cui vanno aggiunte quelle che "ama" sui set, e sul suo OnlyFans, e altrui. Se Dredd rivela che ci sono colleghe che si rifiutano di girare con lui e specie di farci anale (che è la leccornia che i suoi fan cercano e vogliono), ehi, sono manfrine e scuse, perché, dai, c’è la fila di attrici bagnate al solo pensarlo! Rifiutare di girare una o più scene nel porno è un diritto, sacro e inamovibile, e prepararsi fisicamente ad "accogliere" Dredd per una donna è oberante, sì, ma… a notare le prenotazioni di lavoro che ha Dredd, dove stanno tutte 'ste titubanti? Mah.
Dredd l’ha confessato: lui porna meglio oggi a 51 anni rispetto a quando ha iniziato nel 2009. Dredd smentisce che l’età comporti meno vigore. Lui sc*pa più e meglio ora, e lo prova e testimonia la connessione mentale e fisica che con le partner instaura. Le capisce meglio, di conseguenza sa come sc*parsele al meglio. Ma per reggere un ritmo tale, è dovere di un pornoattore, e più se è a 50 primavere e oltre, abbracciare dieta ferrea ed esercizio fisico importante.
E Dredd è alla ricerca di un nuovo personal trainer: l’ultima, una donna, non lo segue più, è la "colpa" è di Dredd. Lui ammette che, essendo questa personal trainer super preparata ma pure fascinosa… insomma… con lei Dredd ha avuto un (ma piccolo, eh!) principio di erezione, e per principio, in Dredd, sta per alzata evidente… Dredd se ne scusa, di questo "incidente", e con sincerissimo imbarazzo, ma la personal trainer l’ha mollato. Dredd ci tiene a precisare che lui il suo pene mai l’ha misurato, e nemmeno di circonferenza, è certo vi siano colleghi più dotati di lui, ma è lui a riscuotere un successo straordinario di pubblico.
E Dredd si è stancato: basta scrivergli sui social che il suo pene è allungato dal chirurgo! Il suo pene è come mamma l’ha fatto, ma che chirurgo! Se fosse davvero andato a farselo allungare, perché se lo sarebbe fatto rifare curvato a destra? (e pensa se non fosse curvo, quanto lungo sarebbe!!!) Si sfati questo mito: i pornoattori non hanno il pene chirurgicamente aiutato, ce l’hanno più lungo e largo della media per dono di natura. E poi un allungamento chirurgico del pene non può andare oltre i 2/3 cm, ed è riservato a seri e medici comprovati casi di micro peni.
Drusilla Foer.
Michela Auriti per “Oggi” il 29 Dicembre 2022.
La prima comune curiosità è quella di etichettarla: chi è Drusilla? Diciamo prima cosa non è: non un travestito - termine peraltro fuori moda non una trans e nemmeno una drag queen.
Drusilla Foer nasce dalla creatività dell'attore e regista teatrale Gianluca Gori, dunque è un personaggio. Ma anche oltre, se Vincenzo Mollica ha giustamente notato che «è stata inventata una persona».
C’è più lealtà e sincerità in questa maschera che altrove, più profondità. Drusilla, ironica, ti fa vedere le cose sotto un'altra prospettiva. Al punto che la curiosità sulla sua vera natura sfuma nella sostanza universale che è, semplicemente, quella umana.
Al timone di L'Almanacco del giorno dopo (fino al 13 gennaio nel preserale di Rai 2), l'artista si presta a qualche ragionamento sull'anno che verrà e i temi che le stanno più a cuore. Parla anche molto di sé Illuminando ora il personaggio, più spesso la reale identità. Drusilla dichiara «tra i 40 e i 70 anni» ed è apparsa per la prima volta su YouTube nel 2011. Il suo alter ego Gianluca Gori, fiorentino, di anni ne ha invece 55.
Drusilla, cosa prevede per i diritti civili? Con il nuovo governo potrebbe soffiare un vento...
«... di regressione. Siamo l'ultima nazione in Europa ad avere certe chiusure, quindi un'involuzione o una disattenzione rispetto a questi temi è un fatto di inciviltà. Ognuno può sostenere la propria opinione, ma è giusto che tutti abbiano la possibilità di scegliere.
Qualora non si predispongano, nella Costituzione, voci che permettano libertà di espressione della propria sfera affettiva e sessuale si è in un Paese non libero e incivile.
Detto ciò, se il popolo ha eletto questo governo, vuol dire che ha dato fiducia a quel tipo di pensiero. Io aspetto di vedere. Se dovesse venire meno la volontà di portare civiltà, invito tutti a scendere in piazza e a fare molto casino. Dopo però, non prima».
Si avvertono rumori di fondo sul diritto all'aborto. Perché la società continua ad avercela con le donne, con la loro libertà ad autodeterminarsi?
«L'aborto è un tema che mi turba. Non saprei dire se sono favorevole oppure no, ma certamente dev'esserci la libertà di farlo. La libertà è soggettiva, quindi non si può privilegiare il divieto rispetto a una scelta, laddove ci sia rispetto per se stessi e per gli altri.
Non si può oggettivare una morale comune. C’è un errore secolare, una narrazione che vede la donna un passo indietro all'uomo. Bisogna scalzarla. Il mondo femminile ha pari dignità e potenzialità rispetto a quello maschile. Nessuno fa a gara con nessuno, c'è spazio per tutti».
Ha detto: «Vorrei essere la paladina di tutti coloro che, per qualsiasi motivo, sono tenuti ai margini». Che cosa veramente irrita la sua sensibilità?
«Ogni volta che c'è un recinto culturale rispetto a qualcosa. Per esempio poca libertà editoriale o artistica. L'omologazione del pensiero mi disturba, soprattutto quando è usata in funzione di un potere. Rende un popolo più vulnerabile, più gestibile».
Il suo amico Gianluca Gori, che le presta corpo e voce, la pensa come lei? Che rapporto avete?
«Siamo d'accordo su quasi tutto. Anzi, tolga il quasi: su tutto. Abbiamo la stessa calligrafia, la stessa visione della libertà, ma lui ha più volontà di me. È stato fotografo, pittore, molte cose. Però non so cosa ora faccia, tendo a non frequentarlo».
Quando è nata l'illuminazione di Drusilla?
«Una decina d'anni fa, mi pare. Tutte le cose che mi piacciono, a un certo punto si sono infilate in un imbuto: la scrittura, la rappresentazione, la musica, il teatro. Poi l'incontro con Franco Godi (compositore e produttore discografico, ndr) mi ha responsabilizzato. Ha responsabilizzato il personaggio».
Drusilla, lei ha avuto un anno impegnativo. L’esplosione dopo la partecipazione a Sanremo e ora la chiamano dappertutto, in teatro, al cinema, in tv. Il successo la sta stancando?
«Non è che stanchi il successo, cosa assai piacevole... Stanca il lavoro, mia cara! È consequenziale. Vorrei lavorare un po' meno, farmi una bella vacanza. Occuparmi degli interessi, ispirarmi, dormire. Ricaricare i pensieri, rinfrescare qualche convinzione».
È vero che lei pensa di non essere mai all'altezza?
«Si. Ho una sorta di pudore, perché sento la responsabilità verso le occasioni che mi propongono. Preferisco partire di rimessa per poi stupirmi. Ma penso che, quando uno fa il proprio lavoro con integrità e lealtà, alla fine ha quello che si merita».
Drusilla è arrivata al successo un po' tardi. Perché l'Italia non è meritocratica e non si è accorta di lei?
«No, semplicemente perché ha iniziato a lavorare tardi! Sulle spalle di uno che ha lavorato sodo tutta la vita».
Ah ecco: «l'anziana soubrette», come ama definirsi, è anche un po' sanguisuga.
«Ma si, un pochino. D'altra parte, una donna tale non potrebbe essere altrimenti».
Questa preponderanza di Drusilla affatica l'amico Gianluca?
«Ripeto: io tendo a non frequentarlo. Però sì, immagino di si. È un lavoro molto fisico e molto di pensiero, impegna tutto».
Posso chiederle se le manca un figlio?
«Ora no. Ma ci ho pensato quando ero molto giovane. Mi sarebbe piaciuto diventare genitore. Poi ho trovato luoghi per me più convincenti, più leali».
E’ felice?
«Sono una persona molto grata e la gratitudine è un bel sentimento. Insomma ho avuto moltissimo e non solo ora».
Origini toscane, di ottima famiglia. Com'è stata la giovinezza di Drusilla?
«Ricolma di affetto, di sollecitazioni alla curiosità e all'arte. Piena di libertà di andare verso ciò da cui si è attratti. Famiglia borghese con una grande fattoria a Siena, ma non è che si andava a zappare».
In un'intervista le hanno citato Hervé Foer, il marito scomparso di Drusilla (anche questo parte del personaggio creato da Gori, ndr) e lei ha detto: «È tutto quello che avrei voluto avere».
«La risposta perfetta, la sola che ho deciso di dare. Ha molte chiavi di lettura».
C'è stato un momento di commozione.
«Sono un'artista leale».
Che posto occupa l'amore nella sua vita?
«È cambiato durante gli anni. Adesso mi godo la gestione libera del mio tempo, senza il desiderio di stare con qualcuno. Sono single, si».
E il sesso?
«Ne ho fatto moltissimo, ho battuto qualsiasi media. Ora meno. Ma se anche non ne facessi più, sarei a posto».
Divagazione. Noto una sottile fede d'oro all'anulare di Drusilla e, sopra, un'altra più spessa con un brillantino. Lei spiega: «La prima non so di chi sia, è scomparsa l'incisione all'interno. L'ho trovata in casa. Potrebbe anche essere di un uomo, perché in famiglia gli uomini avevano le dita magre. L'altra è l'anello di fidanzamento che la mia mamma diede al mio babbo».
Drusilla, lei è assolutamente trasversale: mette d'accordo tutti, senza distinzione di genere e di età. Come se lo spiega?
«Non mi chiedo mai perché piaccio, piuttosto m'interrogo quando non piaccio. Io m'interesso a chiunque, che sia un bambino, una borghese, un assistente sociale, un pusher. C'è sempre qualcosa di valore in una persona.
E il grande dono che ho avuto nella mia educazione, andare oltre il primo impatto. Ma ci sono cose che non perdono: la tirchieria e la furbizia, il classismo. Però non ho pregiudizi e sono disposta a cambiare opinione (Nel monologo a Sanremo diceva: «L'atto più rivoluzionario che si possa fare è l'ascolto, per essere certi che le nostre convinzioni non siano solo convenzioni, ndr). Amo le persone piene di inciampi, di luminosità. E mi piacciono molto le contraddizioni».
Bè, lei è una contraddizione vivente.
«Un po' si. Ma non in quello che faccio».
Il successo le ha dato alla testa?
«Macché, mi sento sempre in colpa. Quando sono stata al festival di Venezia, mi hanno dato due carabinieri per muovermi: pensavo fossero tutti pazzi! La celebrità non è una mia tensione, alla mia età ambisco a fare le cose bene e che abbiano un senso. Ancora oggi sul lavoro mi chiamano Drusilla Führer».
E se tutto dovesse finire, anche in Rai, ce l'ha un piano B?
«Si, so fare tante cose. Autorato, regia, e se non è tv è teatro. M'invento un altro lavoro: magari in un bar e senza difficoltà. Ne ho fatti tanti, sa? E poi io vivo con poco. Mi compro un maglione l'anno ma di ottima qualità. Metto quello che ho. Già mi è sembrata una follia farmi sei vestiti per Sanremo che poi non indosso più. È una cosa che mi innervosisce».
Come sarà il suo 2023?
«Uscirà un mio disco di inediti, molti donati da musicisti come Mogol, Tricarico, Mariella Nava, Renzo Rubino, Pacifico, Pino Donaggio. Forse un po' di cinema e poi come sempre teatro. Spero che rimanga del tempo per me e per gli altri. Vorrei una vita un po' più normale. Ma sono tanto fortunata».
Si è fatta qualche amicizia nel mondo dello spettacolo?
«Pino Strabioli lo frequento da sempre e voglio molto bene a Piero Chiambretti. Ho un rapporto affettuoso con Ornella Vanoni e Valentina Persia, che è diretta e fragile come me».
Ha accennato ora alla sua fragilità. Ci sono momenti in cui Drusilla va consolata?
«Non aspetto la consolazione, ma mi piace la protezione. Le persone con cui lavoro, il mio team, mi proteggono tutti».
Perdoni la domanda: lei ha mai avuto periodi cupi, è mai andata dallo psicologo?
«Ma certo! Allo stesso modo in cui si va dal parrucchiere. Ci sono stati momenti di grande confusione nella mia testa».
E ci va ancora oggi?
«No, basta. Ormai si fa con quello che si ha».
Ed Sheeran.
Ed Sheeran rivela: «A mia moglie è stato diagnosticato un tumore mentre era incinta». Redazione Spettacoli su Il Corriere della Sera l’1 marzo 2023.
Il cantautore britannico ha annunciato l’uscita del nuovo album «Subtract», nato dopo un periodo di profondo dolore personale
Arriva il 5 maggio «-» («Subtract»), nuovo album di Ed Sheeran che conclude la sua serie di dischi intitolati con simboli matematici. Si tratta di un lavoro che va per sottrazione, appunto, riportando la superstar inglese, 32 anni, a una dimensione cantautorale acustica e che nasce da un periodo di profondo dolore personale. A raccontarlo è stato lui stesso con un post su Instagram: «Stavo lavorando a “Subtract” da un decennio, cercando di scolpire l’album acustico perfetto, scrivendo e registrando centinaia di canzoni con una visione chiara di come pensavo avrebbe dovuto venire. Poi, all’inizio del 2022, una serie di eventi ha cambiato la mia vita, la mia salute mentale e, infine, il modo in cui vedo la musica e l’arte. Scrivere canzoni è la mia terapia. Mi aiuta a dare un senso ai miei sentimenti. Ho scritto senza pensare a come le canzoni sarebbero state, ho scritto solo quel che saltava fuori. E in poco più di una settimana ho sostituito il lavoro di un decennio con i miei pensieri più profondi e oscuri».
Dopo questa premessa, Sheeran passa a spiegare che cosa è stato a portarlo a questo cambiamento: «Nel giro di un mese, mia moglie incinta si è sentita dire di avere un tumore, senza possibilità di cura fino a dopo il parto. Il mio migliore amico Jamal, un fratello per me, è morto improvvisamente. E io mi sono ritrovato in tribunale a difendere la mia integrità e la mia carriera di cantautore. Mi sono ritrovato in una spirale di paura, depressione e ansia. Mi sembrava di affogare, con la testa sotto la superficie, guardando verso l’alto senza riuscire a riemergere per respirare. Come artista, non mi sembrava di poter presentare al mondo con credibilità un lavoro che non rappresentasse accuratamente il punto in cui mi trovo e come ho bisogno di esprimermi in questo momento della mia vita. Questo album è puramente questo. Apre la botola della mia anima. Per la prima volta, non sto provando a realizzare un disco che piacerà alla gente, sto solo facendo uscire qualcosa che sia onesto e fedele a dove mi trovo ora nella mia vita adulta. Questo è ciò che ho scritto a febbraio scorso nel mio diario e il mio modo di capirci qualcosa. Questo è “Subtract”».
Sheeran non dà altre informazioni sulla salute della moglie, Cherry Seaborn: la coppia, che si conosce da quando entrambi erano poco più che bambini, è notoriamente riservata e Seaborn non è un personaggio pubblico. Quel che si sa è che i due hanno avuto la seconda bimba, arrivata due anni dopo la primogenita Lyra Antarctica, a maggio 2022 e che il cantautore aveva rivelato che la vita con due figlie era «bellissima». Il riferimento al tribunale, invece, deriva dalle accuse di plagio nei suoi confronti: il cantante è stato citato in giudizio per presunta violazione di copyright nei confronti di un brano di Marvin Gaye, «Let’s get it on» del 1972, simile, a quanto sostiene l’accusa, al suo successo «Thinking out loud».
Edoardo Bennato.
Edoardo Bennato: «Notti magiche non volevo farla. Ho 77 anni anni ma me ne sento 55». Candida Morvillo su Il Corriere della Sera domenica 30 luglio 2023.
Il cantante: «Corona mi chiama “Alpino”. Dal Papa mia figlia andò sola: io feci tardi e non mi svegliai». L’input per fare musica è venuto da sua madre «papà invece si svegliava alle 5 per andare all’Italsider»
Alle quattro di notte, Edoardo Bennato allunga le gambe, si stira sulla sedia, apre il cellulare e si mette a declamare una chat di WhatsApp fra lui e Mauro Corona, lo scrittore, come se potessimo stare qui fino a domani mattina. Nella hall di questo hotel di Bergamo ci siamo solo noi due e il suo manager che ormai gira attorno al nostro tavolo con sguardo da condor. Bennato, 77 anni, è nel pieno di un tour, ha appena fatto due ore e mezzo di concerto saltando che neanche Mick Jagger. Sta raccontando di quando nel ’69 Lucio Battisti gli dava uno strappo sulla sua Duetto e gli diceva «ahò, non te preoccupa’ verrà il momento tuo». E di quanto a Fabrizio De Andrè piacesse stare con lui e i suoi «amici del cortile», quelli cresciuti con lui a Bagnoli, gli stessi musicisti che sono crollati e si sono ritirati assieme al portiere di notte due ore fa. Dice: «Fabrizio schifava tutto il mondo della musica, tranne noi. Stava sempre con una sigaretta accesa in una mano e un whisky nell’altra. Posava il whisky solo per accendere una nuova sigaretta dall’altra sigaretta. Ultimamente, come lui, ho visto solo Mauro Corona, ma lui va a vino… Le leggo i messaggi… Mi chiama “vecio alpino” pure se sono di Napoli. Bennato legge e ride sotto gli occhiali scuri da rockettaro. Per cominciare, gli avevo chiesto come facesse a essere così in forma e lui, con quell’aria beffarda tutta sua: «Da una parte, ci lamentiamo della vulnerabilità di noi esseri umani, dall’altra, predichiamo buon senso, ecologia, evitare cose che ci fanno male e che invece assumiamo in modo schizofrenico, perché sono schizofreniche la nostra condizione singola e collettiva. La maggioranza degli umani va allo scatafascio come guidata da Lucignolo nel Paese dei balocchi».
Quindi? Come fa a stare così in forma?
«Potrei dire: lo sport. E in più, appena percepisco che qualcosa non mi quadra, lo evito. A 15 anni, trovai quegli oggetti strani: le sigarette. Ne provo una e dico: che schifo. E tutti: sì, ma poi ti abitui. Siamo un pianeta di masochisti. Io sono punker isterico perché vivo in una società che si dice acculturata, si vaccina e poi si fa male in modo violento, con alcol, fumo, droghe…».
Lei fa rock e non ha mai preso droghe?
«Il mio modo di essere eversivo non è questo. Mi piace la vita, un prato verde, giocare a calcio, inebriarmi sul windsurf del rumore del vento. Le stavo parlando dello sport: lo sport è stringere la mano all’avversario che ti ha superato. Quindi, è un’arte nobile. Però c’è una differenza fra sport e attività artistica: nello sport, un numero sancisce la tua capacità rispetto agli altri; mentre nell’arte, nella musica, tutto passa attraverso le forche caudine dei media. L’ho imparato quando, dopo nove anni di gavetta, uscì il mio primo album, Non farti cadere le braccia, e il direttore della Ricordi mi disse: Un giorno credi è bella, Una settimana e un giorno pure, però, a Radio Rai dicono che hai la voce sgradevole e non le trasmettono, quindi, per noi, finisce qui. Ti consiglio di cambiare mestiere».
Lei si era appena laureato, però non si mise a fare l’architetto. Perché?
«Perché, a Londra, mi ero costruito un tamburello a pedale come gli artisti di strada. Scrissi dei pezzi punk e mi misi a suonarli davanti alla Rai: Che bella città; Salviamo il salvabile; Arrivano i buoni, “… arrivano i buoni e hanno le idee chiare e hanno fatto un elenco di tutti i cattivi da eliminare”. Passa un direttore della Rai e mi porta a un Festival a Civitanova Marche dove l’intellighenzia di sinistra pensò che potevo rappresentare l’insoddisfazione giovanile. M’iscrissi a tutti i festival, facevo quattro o cinque brani compreso Uno buono, sfottò a Giovanni Leone. Nel ’73, era concesso sfottere il presidente della Repubblica, anzi, era una nota di merito».
Stavolta, arriva il successo.
«Ero protetto da una sorta di entità che sovrintende cultura, arte e musica, poi, l’entità si rese conto che non ero controllabile. Ma recriminare non mi è concesso. Va bene così, perché fare rock mi diverte e quello che importa è passare vibrazioni positive a chi viene ai concerti».
L’«entità» l’abbandona perché lei non è ascrivibile né alla destra né alla sinistra, perché, in fondo, in Che bella città spernacchiava sia Faccetta nera sia Bandiera rossa?
«Nel 2016, ho scritto Pronti a salpare , sugli immigrati, e nessuno l’ha fatta sua. O, nel 2003, Fausto Bertinotti disse che tutti avrebbero dovuto ascoltare Bennato, ma pure lì, l’unica cosa che è cambiata è che ora ci sentiamo spesso noi due per parlare di geopolitica. Solo che Fausto divide il mondo in buoni e cattivi, io parlo di umanità adulta e umanità bambina. Sostengo che la famiglia umana delle latitudini dove c’è un’escursione termica forte fra le stagioni ha progredito, dovendo aguzzare l’ingegno per adattarsi ai climi mutevoli, diversamente dall’umanità bambina dove la temperatura è più costante. A partire da Cristoforo Colombo, le due umanità non si sono riconosciute ed è proliferato il razzismo».
Com’era fatto il Sud da cui è partito lei?
«Papà si svegliava alle cinque, prendeva la bici, andava all’Italsider. Mamma si organizzava per far sì che lo stipendio bastasse, non avevamo frigo né televisore, ma, allo stesso tempo, lei voleva che noi tre figli avessimo sempre qualcosa da fare, per cui, d’estate, ci cercò un maestro di musica. L’ozio, per lei, era il male».
Non voleva sapervi scugnizzi per strada?
«Sì, finì che io avevo tredici anni e col Trio Bennato stavamo già in America, a suonare sulle navi da crociera, avevo passato Gibilterra, visto continenti di persone con la pelle nera. Ho conosciuto Salvador Allende, faceva il medico e non si faceva pagare dai poveri, però era circondato dai capipopolo incapaci».
Dopo, si laureò solo per far felice i suoi?
«Mi iscrissi ad Architettura a Milano perché lì c’erano le case discografiche, e io volevo fare la musica, ma certe cose le fai per input che ti arrivano in modo subliminale dalla mamma. Gli uomini che hanno stima della mamma sono uomini che amano e rispettano le donne e infatti io, le donne, le ho sempre rispettate».
La sua era la madre di «Viva la mamma»?
«Maestra di scuola, donna senza tante ciance, mise su un asilo dove sceglieva le maestre guardando l’affetto che avevano per i bambini».
Lei è stato il primo italiano a essere definito punk. Che ne sapeva del punk?
«Era il ’73, pure in America arrivò dopo. Era il mio modo istintivo di non essere definito e di cantare un mondo che non è definibile. Per esempio, “sul giornale c’è scritto puoi fidarti di me. Il peggiore di tutti si è scoperto chi è”. Poi, leggi i quotidiani e ognuno ha il suo cattivo. Io ho cantato contro la guerra, contro il papa, ho cantato: affacciati affacciati, benedici, guardaci, tanto sono quasi duemila anni che stai a guardare. E ho irriso pure me se stesso. Ho detto che sono solo canzonette e ho scritto Cantautore: tu sei saggio, tu porti la verità ah ah ah».
Nel 1980, fu il primo a riempire San Siro.
«Ho potuto farlo perché ero circondato dai compagni d’infanzia, quelli della scala B, della scala D… Abbassammo il biglietto anche a mille lire, mentre per i Pooh ce ne volevano magari dieci. E facemmo 15 stadi in 30 giorni, mezzo milione di presenze. Invece, negli anni ’70, ai concerti, arrivavano i picchiatori, fascisti pure se non erano di destra. Ci menavano quelli di Avanguardia Operaia, di Lotta continua. A Pesaro, nel settembre ’77, siccome avevamo suonato alla Festa dell’Unità, arrivarono in 15 scandendo: Bennato, Bennato, il sistema ti ha comprato. Pensavano di farci paura, ma io dissi: chi sono questi scornacchiati? E io e i miei gli saltammo addosso lanciandoci dal palco. I figli di papà se la videro con noi figli di operai. Io mi presi una coltellata alla schiena, ma ogni volta erano pugni, sprangate».
A quale sua canzone lei è più legato?
«A Le ragazze fanno grandi sogni, perché individuo il mondo femminile come depositario del buon senso che manca a noi maschi. Noi abbiamo perso ogni legame con la natura».
Si diceva che l’avesse scritta in memoria di Paola Ferri, la fidanzata che perse nell’incidente del ’95, mentre l’accompagnava a casa.
«Era una studentessa di Pedagogia. Guarda caso, figlia di contadini: era propositiva, pratica, piena di prospettive. Ma parliamo d’altro».
Le chiedo quanto è stato importante l’amore, per lei, dato che non l’ha cantato tanto.
«Certo che l’ho cantato. Una settimana un giorno fu tra le prime canzoni che scrissi: vorrei che mai mai mai mai mai nessuno al mondo mai potesse rubarti, portarti via lontano…».
Della mamma di sua figlia Gaia non si sa niente. State ancora insieme?
«Certo. Gaia, 18 anni, l’abbiamo fatta crescere nell’ armonia, infatti, è stupenda, sa fare tutto, è per me quello che è stata mia madre. L’ho avuta a quasi 60 anni con una ragazza che non solo l’ha fatta bella, ma che vive per lei. Suo padre me l’aveva detto: Silvana, da sempre, vuole solo diventare mamma. Io avrei voluto una squadra di calcio, sono pure un esperto di cambio pannolini. Penso che i figli ti aggancino alla realtà».
Perché ha attinto tanto alle favole? Ha usato Pinocchio, Peter Pan, Mangiafuoco…
«Perché c’è nelle favole tutta la schizofrenia di cui le parlavo. Pensi al pifferaio: salva la città dai topi, ma poi la gente non lo sostiene quando il sindaco non vuole dargli il milione che gli ha promesso. Parla della gente che, quando deve far valere i propri diritti, non lo fa».
Com’è nata «Un’estate italiana»?
«Quella sigla d’Italia ’90 non volevo farla, sapevo che non me l’avrebbero perdonata. Giorgio Moroder ci mise la musica, io e Gianna Nannini i testi. L’espressione “notti magiche” la misi io, ma era dell’amico Gino Magurno. La frase “e dagli spogliatoi escono i ragazzi siamo noi” è di Gianna. Avevo ragione, comunque: un critico musicale mi disse che ero stato un eroe finché non mi ero messo a sgambettare col pallone».
Ora, alle quattro, lei, quanti anni si sente?
«Come dice mia figlia, sempre 55. Lo disse pure a Papa Ratzinger quando fu ricevuta. Padre Georg le chiese dov’ero. E lei: ha fatto tardi e non si è svegliato, pensa di avere sempre 55 anni».
Dagospia sabato 14 ottobre 2023. LA PRECISAZIONE DI "STRISCIA LA NOTIZIA"
Caro Dago,
Edoardo Costa – nell’intervista concessa alla giornalista Rosanna Scardi e pubblicata sul Corriere della Sera, edizione di Bergamo, e da voi ripresa – parla di «accanimento mediatico» da parte di Striscia la notizia e afferma che «Antonio Ricci, da genio della comunicazione, tutti i giorni ripeteva la stessa bugia». Ma i fatti hanno dimostrato che il bugiardo è lui.
Infatti, Striscia si è limitata a documentare, a partire dal 2008, i comportamenti scorretti che l’attore ha tenuto per il tramite della onlus C.I.A.K., da lui fondata per aiutare i bambini in Africa e in Brasile. Delle migliaia di euro raccolti per beneficenza, solo una minima parte sarebbe effettivamente stata utilizzata per dare assistenza ai bambini.
Comportamenti scorretti che lo stesso attore ha ammesso pubblicamente in varie occasioni, dicendosi pentito dei suoi errori nella gestione dei fondi della onlus. Condotte illecite smascherate da Striscia, e successivamente confermate in sede processuale.
Per amore di cronaca facciamo presente come sulla vicenda si sia anche pronunciata la Corte di Cassazione, e per non sbagliarci preferiamo citare un passaggio della sentenza n. 17114 del 2019:
“Edoardo Cicorini è stato condannato alla pena di giustizia in ordine al reato di truffa ed appropriazione indebita, per avere, con una serie di iniziative promozionali, indotto diversi benefattori a consegnargli, nella qualità di presidente di una ONLUS, somme di denaro, asseritamente volte a sostenere iniziative solidaristiche e per essersi poi appropriato delle somme non contabilizzate (pari a 205.000 euro), di cui aveva la disponibilità in ragione della predetta qualità”.
Il Costa riferisce oggi che ci sarà una revisione della sentenza, ebbene, in caso di modifiche della decisione dei Giudici, non mancheremo di darne notizia.
INTERVISTA A EDOARDO COSTA. Estratto dell’articolo di Rosanna Scardi per corriere.it sabato 14 ottobre 2023.
All’apice della popolarità come attore di soap, uno scandalo travolge la sua esistenza e perde tutto. Dopo il crollo, la rinascita. Edoardo Costa racconta la sua trasformazione nel libro «The Change» (Santelli Editore). Domenica 15 ottobre, alle 17.30, la presentazione tra le opere d’arte della galleria Mazzoleni, in largo Belotti a Bergamo. La vita dell’attore cambia nel 2008 quando alcuni servizi televisivi di «Striscia la notizia» avanzano dubbi sulle somme da lui raccolte, tramite la sua associazione Ciak (Construction intelligent association kids), e destinate ai Paesi poveri.
Costa, dove vive ora?
«Principalmente a Los Angeles, ma sono spesso a Miami e ho casa anche fuori Milano. Sono trent’anni che vivo tra l’Italia e gli Stati Uniti, dove ho studiato recitazione. L’America mi ha adottato. Ma amo l’Italia (nel bene e nel male)».
In Italia è stato al centro di una vicenda giudiziaria che ha portato alla sua condanna per appropriazione indebita. Il suo libro parte da qui. Perché?
«Perché è stato il punto di leva, ciò che può spostare i macigni. La vita ti mette davanti l’opportunità di andare in profondità, di vivere appieno. Ero preso dai piaceri illusori in una vita di eccessi, da rockstar. Ora sono cambiato».
Modello e attore di «Un posto al sole», «Beautiful», «Vivere», «La notte prima degli esami» e tanti altri film. Come è finito al centro dell’inchiesta?
«L’inchiesta è nata dall’attacco mediatico di “Striscia” ed è seguito un iter giudiziario lunghissimo. Con la mia associazione Ciak avevo fatto cose straordinarie: ho costruito un asilo in Senegal, aiutato le onlus in Afghanistan, Kenya, Brasile, India. Mi sono fatto aiutare da persone esterne per realizzare libri fotografici e calendari, pagandole in nero. Mancavano le ricevute di 180 mila euro versati a loro in cinque anni. I reati fiscali sono caduti in prescrizione. I miei legali hanno rintracciato chi ha ricevuto i pagamenti in nero e ci sarà una revisione del processo. Ma, allora, avevo perso tutto: la mia scuola, due agenzie, due case di produzione, la mia onlus, i miei libri sono andati al macero».
Come si è sentito?
«Devastato. Non mi sapevo spiegare la ferocia dell’accanimento mediatico. Antonio Ricci, da genio della comunicazione, tutti i giorni ripeteva la stessa bugia. Provavo rabbia e un fortissimo desiderio di vendetta, anche perché a soffrire erano anche i miei genitori, mia sorella e miei nipoti».
Cosa direbbe a Ricci?
«Lo ringrazierei. Grazie al suo accanimento sono diventato la persona che sono oggi. Il cambiamento può arrivare in mille modi, da un problema di salute, un lutto. Nel mio caso, perdendo la reputazione».
Com’era la sua vita prima?
«Spingevo sull’acceleratore: di giorno lavoravo, poi c’erano la palestra, i meeting, gli eventi, le ospitate in tv. La droga era parte del gioco, quell’additivo che ti permetteva di farcela».
(...)
Tra i suoi maestri c’è lo yogi indiano Sadhguru, che il primo ottobre, all’Allianz Cloud di Milano, ha tenuto il più grande programma di meditazione organizzato in Italia. Lei c’era?
«Ero a Bologna per presentare il mio libro, sono tornato per stare con lui, è un trasmettitore di saggezza, insegna senza insegnare a vivere con gratitudine, compassione e amore».
È vero che ha fatto il provino per il «Grande fratello» e sarebbe stato scartato?
«È una fake news. Ma se ci fosse un reality dove posso dire ciò che penso, per elevare il livello di consapevolezza, ci potrei pensare… ».
Cosa guarda in tv?
«Non ho la tv. Ho visto qualche spezzone di “Belve” sui social e devo dire che la Fagnani è bella e brava. Mi è sempre piaciuta. I personaggi che intervista, no. Ma questa è l’Italia».
Edoardo Vianello.
Edoardo Vianello: «Non rinuncio ai miei “altissimi negri”». Carlo Cambi su Panorama il 29 Maggio 2023.
Il padre dei grandi tormentoni estivi: «Le polemiche sui “Watussi” mi nauseano. Il politically correct è una fisima della sinistra snob. Ho chiesto perché i partigiani non condannavano il comunismo e attendo ancora risposta»
«Essere che? Uomo pensante? Per esser detto fesso, un giorno e non adesso». Questo verso s’attaglia perfettamente alle polemiche che assediano con i ritmi della cancel culture chi altro non voleva fare se non cantare. Sono i versi di una raccolta, Oltre il sensibile, che forse lo stesso autore non voleva fosse diffusa. Quell’uomo era Alberto Vianello, uno dei poeti futuristi del cerchio di Filippo Tommaso Marinetti, e quei versi sono riemersi dopo che i figli Tunni (pittrice di gran talento) ed Edoardo li hanno cercati, scovati e raccolti. Edoardo a suo modo è un futurista della chitarra e della canzone e a 84 anni suonati (in tutti i sensi) si sente dire che quegli «altissimi negri» di una delle sue canzoni più celebri, I Watussi, sono politicamente scorretti. Eppure lui, cugino di Raimondo, ha fatto dello spettacolo la proiezione di una vocazione: quella di produrre cultura che fosse fruibile da tutti. Sulle orme del padre manager per necessità, poeta per vocazione. La vicenda artistica di Edoardo è lunghissima e proficua. Con Franco Califano, che lui ha scoperto, fondò la Apollo Records, la casa discografica che ha lanciato Renato Zero, Amedeo Minghi e i Ricchi e Poveri. Quasi nessuno sa che La partita di pallone che ha consacrato al successo Rita Pavone l’ha scritta lui. Ed è così forte la sua impronta stilistica che gli si attribuiscono altri brani non suoi - uno su tutti Stessa spiaggia stesso mare che è del romagnolo Piero Focaccia - che stanno però nel filone della cosiddetta «scuola romana» disimpegnata e allegra (Meccia, Fontana, Fidenco) che negli anni Sessanta si contrapponeva ai «genovesi» intimisti e cupi.
Vianello è Festivalbar, è Sanremo, è Canzonissima, è Mina ed Ennio Morricone, è una carriera lunga quasi quattordici lustri. Eppure tra le pieghe della sua produzione si scoprono non solo «pinne, fucile ed occhiali», non solo «abbronzatissima». Ci sono testi come quello di O mio Signore (1963) che recitano: «Non ho avuto tanto, eppure sono contento… grazie per tutto quello che hai fatto per me.». Forse è un anticipo di bilancio che Edoardo Vianello, all’annunciarsi di una nuova estate, accetta di fare con La Verità. Anche per replicare ad alcune polemiche, per rivendicare un’esigenza di verità da chi pronuncia molto spesso la parola libertà senza però riuscire a fare la rima baciata. Si pensa all’estate e viene in mente Vianello: Abbronzatissima, Fucile ed occhiali, la stessa Come dondolo hanno riempito le vacanze degli italiani da decenni: li hanno fatti ballare in discoteca come sotto l’ombrellone, sono state la colonna sonora dei viaggi verso la spiaggia. Vianello è un uomo solare? «Sono una persona solare, a prescindere dalle mie canzoni estive. Credo di aver composto ciò che sono come spirito». Osservando ciò che accade - prezzi in salita dei viaggi, degli alberghi con persino le spiagge sotto i riflettori dell’Europa, purtroppo la riviera romagnola devastata dall’alluvione, anche se hanno già messo tutto a posto - sarà un’estate da tormentone o tormentata? «Sarà un’estate tormentata, anche grazie a qualche mio... tormentone. C’è qualcosa in preparazione, vedremo... o forse ascolterete». C’è un suo verso che è tornato di moda perché lo ha ripreso Myss Keta che ha inserito anche la sua voce nel disco e nel video: che finimondo per un capello biondo. Ma questo mondo visto da lei che lo ha fatto ballare, lo ha fatto divertire, visto da lei che ha 84 anni e ha ancora la freschezza di un ragazzino (a proposito, come fa?) è un finimondo? Ci sono dei valori che lei non riconosce più? «Non è ancora un finimondo, ma ci stiamo arrivando. Credo che sia ormai giunto il momento di rimboccarci le maniche e metterci a lavorare seriamente come se stessimo uscendo da una sanguinosa guerra. I valori che non riconosco più sono quelli della mancanza di rispetto nei confronti del prossimo da parte di troppe persone arroganti e impreparate».
Edwige Fenech.
Estratto dell'articolo di Giovanna Maria Fagnani per il “Corriere della Sera” il 18 Settembre 2023
«Ho cresciuto mio figlio da sola, ma avevo anche l’aiuto dei miei genitori: mio papà è stato papà anche per mio figlio Edwin e mia mamma era una seconda mamma». Edvige Fenech, classe 1948, icona del cinema italiano degli anni 70 e 80, in particolare della commedia sexy, è stata una «ragazza madre».
Suo figlio Edwin Fenech, oggi produttore cinematografico, è nato quando aveva 22 anni e «sicuramente gli è mancato il papà vero, è normale. Ma è stato un bambino circondato da un tale amore, che, bene o male, se ne è accorto meno di quello che avrebbe dovuto accorgersi». L’attrice lo ha raccontato a Verissimo.
Un’esperienza che è stata difficile ha detto a Silvia Toffanin, «per me, come per tutte le altre. A quell’epoca c’erano delle ragazze madri, ma ce ne sono molto più oggi, perché la donna è molto indipendente». […] Il padre naturale? Edwin «Non l’ha mai cercato».
Edvige Fenech, nata in Algeria, si era sposata giovanissima, a 17 anni. «Contro il volere solo di mio papà, mia mamma era d’accordo. Ero innamorata, forse incosciente ma sono gli sbagli che fanno i ragazzi». Un’unione durata poco: «Se non sbaglio 14 mesi e questo mi dispiace molto. Non è un bel ricordo e ho cancellato quel periodo della mia vita». […]
Fenech ha ripercorso un episodio di molestie, durante un provino. «Succedeva, soprattutto alla mia epoca gli uomini erano ancora più maschilisti di quello che sono oggi. Una di quelle situazioni era veramente da denuncia, avevo forse 20-21 anni e non ero nessuno invece quella persona era molto importante. Chi avrebbe creduto a una giovane straniera che denunciava una persona simile?», ha raccontato a Silvia Toffanin.
Quell’uomo la aggredì: «Uscii da quel palazzo coi vestiti tutti strappati. Mi aveva dato appuntamento nel momento in cui la troupe era andata in pausa». Fuggì e si rifugiò in una stazione di servizio lì di fronte. «Chiedo al signore di chiamarmi un taxi, mi tenevo la camicia e lui mi dice: vuole che chiamo la Polizia? Io risposi di no».
Denuncerebbe oggi? «Non lo so. Oggi è più facile essere creduti ma c’è ancora molto da fare. Allora mi avrebbero presa per una mitomane» ha concluso la Fenech […]
Edwige Fenech: «Anch’io sono stata molestata, mi salvai tirando ginocchiate. Le docce sexy? Film carini». Candida Morvillo su Il Corriere della Sera il 17 Maggio 2023
«Il mio primo marito era gelosissimo: avevo 17 anni, lui 26. Quando scoprii che aveva anche un’amante, tornai a casa da mamma e papà». «Una volta ho avuto l’intero appartamento riempito di rose antiche: non si poteva camminare e il profumo stordiva»
In principio a Edwige Fenech ho chiesto quante vite ha avuto. «Più dei gatti», ha risposto. Abbiamo provato a contarle e ci siamo perse. Grossomodo: bambina francese di madre italiana e padre maltese nata benestante in Algeria; poi, profuga e povera in terra di Francia; modella; attrice icona di film erotici italiani; attrice di film d’autore; star della domenica e del sabato sera tv; produttrice di fiction e di film di successo, divorziata a 17 anni e ragazza madre a 19; signora della Roma bene quando è stata compagna di Luca di Montezemolo; «esule» in Portogallo dal 2015 e ora di nuovo al cinema con Pupi Avati, con un film, fra l’altro, primo al botteghino fra gli italiani.
Se le chiedo l’inizio di tutto?
«Quando a 14 o 15 anni, alta già come adesso, vengo fermata per strada, a Nizza, per dire una battuta in un film. Era Toutes folles de lui di Norbert Carbonnaux. Dovevo dire una parola che non conoscevo e non capivo e mi fecero rifare il ciak 32 volte: una figuraccia tremenda. La parola era “mantenuta”: “vuoi fare di me la tua mantenuta?”. Mamma era con me, ma anche lei non sapeva che cosa significasse. Pensai che non avrei mai rimesso piede su un set».
Invece, ha fatto una settantina di film da attrice, molti da star della commedia sexy, e una trentina da produttrice. Perché cambiò idea?
«Facevo l’indossatrice e, a 18 anni, vinsi il concorso di Lady Francia. Da lì mi portarono alla finale di Lady Europa a Cortina, dove arrivai seconda. Di nuovo, un agente mi fermò per offrirmi un ruolo, ma io e mamma ce ne tornammo a casa. Poi, arriva un telegramma: contratto pronto da firmare a Roma stop. Ci ritrovammo a Cinecittà, un mondo a noi totalmente estraneo, io non parlavo italiano. Mi dissero di firmare dove c’erano le crocette. Il film era Samoa regina della giungla. Avevo capito solo che sarei stata una specie di Tarzan in gonnella. Tutte le mattine, mi spalmavano di crema marrone. La sera, per ripulirmi, mamma impiegava un’ora e mezzo».
Come era la Edwige bambina in Algeria?
«Timida, giocavo poco con gli altri bambini, leggevo tanti libri, studiavo danza classica. Ho ricordi stupendi di spiagge e di strade romane coperte dall’acqua. Ricordo le pinne e la maschera bianche, piccole piccole, con le quali stavo sempre in mare a nuotare. Quando l’Algeria non è più stata francese, siamo andati in Francia, ma non ci volevano: non eravamo i benvenuti né lì né in Algeria, non avevamo più una casa. Papà ci ha messo dieci anni per mettersi in regola coi permessi, aprire un garage».
Perché dal 2015 vive in Portogallo?
«Ho sentito il bisogno di cambiare aria. Ero un po’ delusa da come andava la carriera: non mi vedevo in Italia ad aspettare che arrivasse un ruolo giusto per me. La scelta è caduta sul Portogallo perché avevo visto un documentario, sono andata a visitarlo e mi è piaciuto. Ci ho portato la mamma e la gatta. E mio figlio Edwin con la moglie e i bambini l’hanno amato tanto e, quando hanno lasciato Shanghai, sono anche loro venuti a vivere qui. Sono uscita di scena al momento giusto e volevo tornare nel modo giusto. In questi anni, ho rifiutato tante proposte. Ma era importante tornare solo se potevo esprimere qualcosa di forte. Quando mi ha chiamato Pupi Avati per La quattordicesima domenica del tempo ordinario, non potevo crederci».
Mi racconti la telefonata.
«Pupi si sveglia presto, come me, ma mi ha chiamato senza tener conto dell’ora in meno di fuso orario. Dovevano essere le cinque del mattino. Riconosco subito la sua voce. Penso: vorrà un’informazione. Invece, dice: ti devo raccontare una storia. Ascolto, mi commuovo. Era il copione che aspettavo da anni. Dopo, attacco il telefono e stavo stesa a letto con la gatta sulla pancia. Pensavo che doveva essersi ricordato di certi miei film drammatici che non sono i primi che vengono in mente pensando a me. Mi alzo e comincio a saltare per tutta la stanza con la gatta che saltava anche lei. Vado da mamma gridando: mi ha chiamato Pupi. Sembravo una ragazzina piuttosto che una signora della mia età».
Gli anni sono 72, lei recita coi capelli corti, dimessa, ed è bellissima e intensissima. Che cosa l’ha conquistata di Sandra?
«La sua voglia di libertà e indipendenza: non avrebbe dovuto sposarsi. Invece lo fa con questo Marzio, un sognatore che non cambierà mai e invecchierà continuando a cercare il successo come musicista».
Quella voglia d’indipendenza è stata anche sua, da ragazza?
«Nella prima parte della vita sì. Sandra che vuole affermarsi come modella e donna sono io, anche se Pupi non l’ha scritta per me, ma per sua stessa ammissione pensando all’inferno che ha fatto vivere alla moglie perché era geloso».
E lei la gelosia l’ha subita?
«Col mio primo marito: io 17 anni, lui 26. Matrimonio durato 14 mesi. Credo, appunto, che avessi voglia di libertà, indipendenza, ma non fu così per niente: lui si rivelò gelosissimo. E quando scoprii che aveva anche un’amante me ne tornai a casa da mamma e papà».
Fu altrettanto netta quando decise di avere suo figlio Edwin da sola.
«Avevo 22 anni, ero incinta, volevo quel bambino, ma rispetto il pensiero del prossimo e non avrei mai obbligato suo padre a fare il padre».
Aveva anche una carriera agli inizi, non temeva di non lavorare più?
«Certo che sì, non sono un’incosciente. E in quel periodo ho avuto dimostrazione di persone pessime: un orrendo produttore che rimandava il film da due anni s’inventò che voleva girare in quel momento lì e mi fece causa per inadempienza contrattuale. Ma ho avuto anche la fortuna di incontrare persone belle. Il produttore Luciano Martino, col quale poi mi fidanzai, arrivò con un contratto per tre film che mi salvò la vita. Mi fece sentire una leonessa».
Lei quando ha capito che piaceva e che piacere era una risorsa?
«Ci ho messo molto tempo, purtroppo. Mamma mi ripeteva: perché sei piena di complessi, perché? E io: perché le altre sono tutte più belle di me. Quando mi stabilii in Italia, avevo 19 anni, ma la testa di una bambina».
Girava anche sette, otto film l’anno, era solo per soldi?
«Avevo bisogno di lavorare e non ero schizzinosa, anche perché in Algeria non esisteva la distinzione tra film di serie A e di serie B».
Quante docce ha fatto nei film?
«Preferivo le docce alle scene d’amore. Dopo ho avuto la fortuna di cambiare carriera, ma non rinnego niente: alcuni film cosiddetti erotici erano carini, ben fatti, con attori bravissimi».
Me ne dica due.
«Titoli a parte, Giovannona Coscialunga disonorata con onore o Quel gran pezzo dell’Ubalda tutta nuda e tutta calda. In ogni caso, grazie a quella gavetta ho poi fatto quattro film con Steno, Cattivi pensieri con Ugo Tognazzi, Sono fotogenico di Dino Risi, Il ladrone di Pasquale Festa Campanile e, in teatro, D’amore si muore, di Giuseppe Patroni Griffi. È così per tutti gli attori: nessuno arriva subito al film geniale. È un mestiere in cui dipendi sempre da altri».
È per essere padrona del suo destino che nel 1999 diventa produttrice?
«Esattamente, ma ho recitato solo nei primi due film. Dopo, ho preferito imporre altre donne, perché, per me, impormi era stato difficile. La carriera da produttrice mi è piaciuta, anche se per le preoccupazioni non dormivo la notte. Non ho avuto le porte che si aprivano da sole, ma ho dovuto spalancarle a testate».
Le rivincite che l’hanno gratificata di più?
«Il successo di Commesse, che la Rai aveva tenuto due anni nel cassetto temendo che una storia di sole donne non piacesse. E altre serie tv come Le madri, Delitti privati e anche dei film che hanno avuto risultati clamorosi».
Che cosa la colpì di Al Pacino quando produsse il Mercante di Venezia di Michael Radford?
«I suoi occhi netti e profondi che avevano dentro un mondo, mentre eravamo a tavola seduti uno di fronte all’altro».
Un rimpianto?
«Non aver fatto la Gradisca di Federico Fellini in Amarcord. Mi portava a pranzo dalla sua cuoca, Ubalda, per cui lui mi chiamava Ubaldina, e mi diceva: Ubaldina, devi ingrassare per il film. Alla fine, prese Magali Noël, più matura e formosa di me. Ma io non riuscivo a ingrassare: ero giovane, bruciavo tutto quello che mangiavo».
Con Quentin Tarantino è rimasta in contatto dopo il cameo in Hostel 2?
«Sì, anche se è tanto che non ci vediamo. Fu lui a cercarmi mentre era al festival di Venezia, io giravo un film da produttrice, andai da lui in jeans, in uno stato pietoso. Conosceva tutti i miei film inquadratura per inquadratura».
Lei che cosa pensò quando scoppiò il MeToo?
«Che finalmente qualcuno denunciava. Ai miei tempi, la parola di una ragazza non aveva valore. A me è successo più volte di essere molestata da chi aveva il potere di farmi lavorare e non ho denunciato: chi mi avrebbe creduto? Però, anche in situazioni pesanti in cui ho corso il rischio di essere violentata, sono riuscita a uscirne indenne: ho un riflesso col ginocchio che è una roba micidiale. Alle attrici di oggi consiglio di mirare col ginocchio dove sappiamo».
E quanto erano vere invece le leggende sui corteggiatori che le regalavano Maserati o mandavano elicotteri che lei rifiutava?
«Sono cose di una vita fa... Un armatore greco aspettò a lungo il mio arrivo in porto, che non ci fu mai. E ho avuto casa riempita di rose antiche, non ci si camminava e il profumo stordiva».
L’armatore era Stavros Niarchos. E lo spasimante delle rose?
«Non lo dirò mai».
Ha più amato o è stata più amata?
«So di avere amato e credo che tutti abbiamo sempre l’impressione di essere quelli che amano di più, però magari era 50 e 50».
Oggi, è single?
«Lo sono da una decina d’anni, perché così ho voluto, ma non metto limiti alla provvidenza».
Il ritorno al cinema dell'attrice con Pupi Avati. Edwige Fenech: “Commedie sexy? Certo che le rifarei ma ero timidissima da giovane”. Antonio Lamorte su Il Riformista il 29 Aprile 2023
Edwige Fenech è stata il sogno erotico di tantissimi italiani, protagonista di commedie sexy e di gialli all’italiana che non avranno puntualmente fatto la storia del cinema ma che hanno riscosso un enorme successo di pubblico in sala e in televisione, dove ancora oggi vengono passati di quando in quando. “Certo che li rifarei, grazie a quelle pellicole sono diventata famosa e sono qui oggi”, ha detto in un’intervista in studio a Un Giorno da Pecora su Rai Radio1.
L’attrice nata in Algeria, 74 anni, torna al cinema con La Quattordicesima domenica del Tempo Ordinario, in sala dal 4 maggio. Ricorda che da giovane era timidissima, “senza un briciolo di fiducia in me stessa, fiducia che poi ho trovato da sola molto tardi. Non a caso a trent’anni smisi di mettermi in costume: quando sei famosa la gente ti studia”. Fenech ha lavorato con Mario Bava, Ugo Tognazzi, Lino Banfi, Steno, Pasquale Festa Campanile, Dino Risi, Alberto Sordi, Bruno Corbucci, Carlo Vanzina, Lina Wertmuller.
Federico Fellini la invitava a pranzo a casa e la chiamava “Ubaldina”. “Ad ogni pranzo Fellini mi prendeva la mano destra, in modo affettuoso e mi diceva: ma non mangia? Io non toccavo nulla, non potevo muovere la mano ed ero timidissima. Così Fellini diceva alla cuoca, che si chiamava Ubalda: ‘Fai mangiare l’Ubaldina, prepara qualcosa che le piace”. Tognazzi invece “cucinava benissimo tutti i tipi di pasta. Mi ricordo che faceva spesso la pasta con le barbabietole: era viola, bella da vedere, ma diciamo mediamente buona”.
Anche Quentin Tarantino ha voluto incontrarla: “Lo incontrai al festival di Venezia, mi dissero che voleva conoscermi e all’inizio non ci volevo credere e risposi: ‘Lasciatemi perdere’. Poi ci andai a cena e scoprì che era un cultore dei gialli e dei thriller italiani anni Settanta, e gli piacevano molto quelli in cui recitavo”. Tarantino le aveva proposto di recitare in un film che avrebbe prodotto, lei disse che ci sarebbe andata soltanto per un giorno. Perché era “delusa da come si era conclusa la mia carriera da attrice. Invece poi ci sono andata e siamo stati tutti felici. Il film era Hostel 2, prodotto da Quentin e diretto da Eli Roth, che ora è diventato un regista famosissimo. Sono felice di averci lavorato e se ora mi chiedesse di fare un film con lui direi subito di sì”.
Chiacchieratissima la sua storia Luca Cordero di Montezemolo, durata 18 anni. A Fenech diedero della raccomandata quando condusse il Festival di Sanremo e Domenica In grazie all’influenza del suo compagno. “Voglio sfatare questo mito: Luca non conosceva assolutamente nessuno in Rai all’epoca, figuratevi che ai tempi lavorava alla Cinzano in Svizzera. E io non avevo bisogno di esser raccomandata, ero famosissima“. E infatti ad amarla erano soprattutto gli italiani, per le sue commedie. Delle quali l’attrice oggi non si pente, ma se c’era una cosa che non le piaceva erano i titoli, “e il peggiore era Quel gran pezzo dell’Ubalda tutta nuda tutta calda”, una ritrosia che la scoraggiava anche ad andare a vederli al cinema. “Poi grazie ad una recensione di Walter Veltroni, che scrisse che il mio personaggio nell’Ubalda era alla Truffaut, mi convinsi a vederlo in tv e devo dire che aveva ragione: oggi gli darei un otto e mezzo come voto”.
Antonio Lamorte. Giornalista professionista. Ha frequentato studiato e si è laureato in lingue. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Ha collaborato con l’agenzia di stampa AdnKronos. Ha scritto di sport, cultura, spettacoli.
Emilia Costantini per il “Corriere della Sera” il 4 febbraio 2023.
Quando Pupi Avati le ha telefonato per proporle un ruolo nel suo nuovo film, ha detto subito di sì. «Da oltre 7 anni non volevo più lavorare, né mettere piede su un set — racconta Edwige Fenech, 73 anni —. Ma quella telefonata è stata un colpo di fulmine: Pupi mi ha raccontato la sceneggiatura e ho capito che un ruolo del genere, un ruolo vero, lo aspettavo da una vita.
Oltretutto me lo proponeva un maestro del cinema: un grande regalo. Appena ho finito la telefonata, ero talmente felice che ho cominciato a saltare in giro per casa come un canguro, con la mia gatta che mi inseguiva e saltava insieme a me. Sembravamo due matte».
Come si intitola il film e di che parla?
«Il titolo è provvisorio: La quattordicesima domenica nel tempo ordinario. Il racconto parte da una coppia di giovani, Marzio, interpretato da Lodo Guenzi, e Sandra, impersonata da Camilla Cerauli: si amano, si sposano ma poi si lasciano. Il destino li fa rincontrare dopo 35 anni e, stavolta, ad interpretarli siamo Gabriele Lavia ed io».
Dove si incontrano?
«Per caso, a un funerale, come spesso accade a una certa età (ride). Io lo riconosco subito, lui, pur riconoscendomi, mi trova molto cambiata. Il mio personaggio è una donna della mia età con varie criticità, non è felice e le capita di ritrovare il più grande amore della sua vita. Tra Marzio e Sandra sarà un profluvio di narrazioni, tra passato, presente e futuro».
Lei ha debuttato una sola volta in palcoscenico, in «D’amore si muore» con la regia di Patroni Griffi. Che effetto le fa recitare a fianco di un grande attore teatrale?
«Tra Gabriele e me, un’intesa perfetta. E poi è bello! Si porta benissimo i suoi anni (80, ndr). Adoro il teatro, ma ho fatto solo quello spettacolo perché è troppo faticoso. Sono una sedentaria, una lumaca che porta la sua casa sulle spalle. Quella volta, un’esperienza eccezionale ma...»
Ma?
«Avevo una paura terribile e Peppino, per convincermi, mi ripeteva: lo devi fare! La sera della prima a Roma, in scena indossavo una gonna grigia longuette. Un mese dopo, dovettero aggiustarmi la gonna perché ero talmente dimagrita che, da longuette, mi scivolava giù fino ai piedi!».
Il regista era molto severo?
«Assolutamente no! Lo spettacolo ebbe grande successo e forse ho un rammarico: non aver accettato la proposta che mi fece, in seguito, il produttore, offrendomi un’altra commedia. Ma se in quel momento ho detto no, doveva esserci un motivo».
Accettare di fare teatro non avrebbe potuto essere una sorta di riscatto dalla sua immagine di icona sexy di tanti film erotici?
«Chiariamo subito una cosa: quelli non erano film erotici , non erano porcherie, piuttosto commedie leggere, commerciali , con ammiccamenti che, se paragonati ai film veramente erotici di oggi, fanno ridere! Eravamo delle educande, non delle attrici sexy. Io, nelle varie scene, ero perennemente sotto la doccia: spogliata, ma ricoperta dal bagnoschiuma! Ovvio che, se all’epoca avessi avuto la fortuna di incontrare un regista come Ingmar Bergman, il mio percorso sarebbe stato un altro. Comunque, affermo che le sceneggiature erano ben scritte, anche se i titoli scelti, tipo “Giovannona coscia lunga” o “ Quel gran pezzo dell’Ubalda”..., non erano eccezionali, servivano a richiamare il pubblico».
I suoi genitori, contenti del suo percorso attoriale?
«Mamma, che sta per compiere 95 anni, molto contenta. Mio padre all’inizio non la prese bene. Poi, comprendendo la mia volontà, lo accettò. Inoltre, ho lavorato anche con registi e attori come Dino Risi, Steno, Alberto Sordi, Ugo Tognazzi... e ho ricevuto bellissime critiche».
Facendo poi la produttrice, fu difficile affermarsi, in quanto donna?
«Difficilissimo. C’era molta diffidenza nei miei confronti: le donne, se sono belle, sono automaticamente stupide e incapaci. Con le mie produzioni ho voluto dare spazio alle storie di donne, ai loro problemi, per dimostrare che le donne meritano di essere valorizzate: le donne valgono. Sono molto orgogliosa della mia carriera di produttrice, ma è un argomento chiuso, troppo complicato».
E adesso si rimette in gioco come attrice...
«Sì, sono felicemente mamma di un figlio che ha 51 anni e nonna di due bimbi di 10 e 3 anni... spero quindi di essere arrivata a un’età in cui non si guarda più quello che si guardava prima, ma solo la mia interiorità».
I 5 film con Edwige Fenech che hanno incendiato l’immaginario italiano. L’attrice francese è tornata a recitare in “La quattordicesima domenica del tempo ordinario” di Pupi Avati, ma il suo nome resterà legato indissolubilmente alla commedia sexy all’italiana. Massimo Balsamo il 2 Maggio 2023 su Il Giornale.
Tabella dei contenuti
Lo strano vizio della signora Wardh (1971)
Quel gran pezzo dell'Ubalda tutta nuda e tutta calda (1972)
Giovannona Coscialunga disonorata con onore (1973)
La pretora (1976)
La poliziotta fa carriera (1976)
"Certo che rifarei i film degli anni Settanta, grazie a quelle pellicole sono diventata famosa e sono qui oggi. Ai tempi non andavo neanche a vederli per via dei titoli. Poi grazie a una recensione di Walter Veltroni, che scrisse che il mio personaggio nell'Ubalda era alla Truffaut, mi convinsi a vederlo in tv e devo dire che aveva ragione: oggi gli darei un otto e mezzo come voto": nessun rimpianto e nessun rimorso per Edwige Fenech, icona sexy e sogno erotico di milioni di italiani degli anni Settanta e Ottanta. Una donna dalla bellezza incantevole e sempre pronta a reinventarsi, la Fenech rappresenta una grande fetta della storia del cinema italiano e a 74 anni è sempre pronta a mettersi in gioco: è infatti tra i protagonisti de “La quattordicesima domenica del tempo ordinario” di Pupi Avati, in sala dal 4 maggio.“Avevo chiuso ma una proposta come quella di Pupi non la ricevevo da anni. È stato come un miracolo, pensavo fosse un sogno. Adoro i miei film del passato ma questo lo aspettavo da tanto. Una gioia incontenibile”, il racconto dell’attrice, lontana dai set da ben sette anni.
Edwige Fenech in “La quattordicesima domenica del tempo ordinario” di Pupi Avati
Francese di origini algerine e naturalizzata italiana, Edwige Fenech ha iniziato la sua carriera cinematografica nel 1967 con il boccaccesco “Alle dame del castello piace molto fare quello”. Poi il comico e il passaggio alla commedia sexy all’Italia, un cinema fatto di situazioni divertenti, volgari e a sfondo hot. Lei, insieme a Gloria Guida e poche altre, diventa un punto di riferimento, regalando performance iconiche tra sensualità ed erotismo. Dall’insegnante alla dottoressa, passando per la poliziotta e la soldatessa: tanti i ruoli interpretati, tante le soddisfazioni raccolte. Senza dimenticare le avventure nei gialli e nel thriller, il passaggio alla televisione e la nuova vita da produttrice. Idolatrata da Quentin Tarantino, la Fenech è tornata a recitare nel 2007 per un cameo in “Hostel: Part II”, diretto da Eli Roth e prodotto dallo stesso QT. Ora il ritorno grazie a Pupi Avati ci consente di ripercorrere 5 film che hanno reso l’attrice di Annaba immortale.
Lo strano vizio della signora Wardh (1971)
È “Lo strano vizio della signora Wardh” di Sergio Martino a lanciare Edwige Fenech nell’Olimpo del giallo erotico. Un thriller di buona fattura che la vede interpretare in cui interpreta una signora dalle tendenze sado-masochiste che passa da una relazione all'altra finché non si ritrova sull'orlo della follia. Nel frattempo, un assassino seriale fa strage di belle donne…
Quel gran pezzo dell'Ubalda tutta nuda e tutta calda (1972)
Il titolo del decamerotico “Quel gran pezzo dell'Ubalda tutta nuda e tutta calda” è già tutto un programma. Il film diretto da Mariano Laurenti racconta i tentativi di Olimpio de’ Pannocchieschi (Pippo Franco) di conquistare la bella Ubalda, interpretata da Edwige Fenech. Un’opera ricca di scene erotiche, a tratti volgari per certi integralisti bacchettoni, e in grado di valorizzare al meglio la carica erotica della protagonista, di una bellezza raggelante.
Giovannona Coscialunga disonorata con onore (1973)
"Giovannona Coscialunga disonorata con onore" di Sergio Martino è una classica commedia degli equivoci a tinte erotiche. Qui Edwige Fenech interpreta una prostituta che il commendator La Noce cerca di far passare per sua moglie, in modo da ottenere i favori di un onorevole ed evitare guai… Una commedia divertente e senza troppe pretese, ricordata per qualche battuta e soprattutto per gli appetitosi spogliarelli di Giovannona Coscialunga.
La pretora (1976)
Tra buon ritmo, gag azzeccate e banalità sparse, “La pretora” di Lucio Fulci fa parte del filone delle commedie erotiche ed è conosciuto ai più perché è uno dei pochi film in cui Edwige Fenech ha girato scene di nudi integrali frontali. Bella e provocante come sempre in un’opera dalla forte connotazione macchiettistica.
La poliziotta fa carriera (1976)
Gianna si arruola nella polizia, ma si rivela un fiasco totale: più che la bravura in lei spicca la bellezza. Durante i primi casi a cui viene assegnata commette una serie di errori, ma finirà con il ricevere una promozione. Trama semplice, tutt’altro che ambiziosa, ma funzionale a una storia fatta di provocazioni, gag di doppi sensi e nudità. “La poliziotta fa carriera” di Michele Massimo Tarantini regala una delle migliori interpretazioni di Edwige Fenech. Sconsigliato - come quasi tutti gli altri - ai bacchettoni.
Elena Di Cioccio.
Estratto dell'articolo di ilmessaggero.it il 16 maggio 2023.
Franz Di Cioccio contro sua figlia Elena Di Cioccio. Il leader della PFM, commentando ai microfoni dell'Ansa il libro dell'ex iena "Cattivo sangue" (uscito lo scotso 4 aprile), ha dichiarato: «Elena ha detto cose che non stanno né in cielo né in terra». Nel romanzo-testimonianza la 48enne rivela la sua sieropositività e parla anche della chiusura del rapporto con il padre.
«Mia figlia è qui, è pensabile che io sia così?» ha detto Franz Di Cioccio riferendosi alla figlia maggiore, Cinzia, che ha voluto essere presente alla presentazione alla stampa del nuovo album live della PFM, "The event - Live in Lugano", oggi a Milano.
[…]
Dal suo punto di vista, la figlia «ha un rapporto conflittuale con sé, non si possono scrivere cose così, forse per lei è un modo di venirne fuori». Nel libro infatti Elena parla di esperienze traumatiche come il suicidio della madre, Anita Ferrari, che si è tolta la vita sette anni fa. «Non ho niente da perdonare, se vuole vendere libri...» il commento del padre.
Da parte sua, Cinzia ci tiene a dire che quella di Elena «è una visione, io non sono stata una bambina traumatizzata, ma le scelte sono personali».
Così come quella di rilevare i dettagli della morte della madre, «una scelta, quella di mia madre, che richiede profondo coraggio e per cui ho grande rispetto» ha detto Cinzia, spiegando che per questo non ha sentito di condividerne i dettagli oltre una stretta cerchia di persone.
Ma questo svelamento «ha creato un'ulteriore unione nella famiglia, abbiamo un'altra sorella, figlia di mia madre e del suo secondo marito, con cui - ha concluso - mi sento». […]
Dagospia il 29 marzo 2023. IL MONOLOGO DI ELENA DI CIOCCIO A "LE IENE"
“Ciao sono Elena Di Cioccio, ho 48 anni e da 21 sono sieropositiva.
Ho l’Hiv, sono una di quelli con l’alone viola.
Ero molto giovane quando questa diagnosi stravolse completamente la mia vita.
All’inizio ho avuto paura di morire, poi di poter fare del male al prossimo.
“E se contagi qualcuno?”, mi dicevo, “Non me lo perdonerei mai”.
Non è mai successo, non ho mai contagiato nessuno e non sono morta.
Invece in questi 21 anni, mentre le terapie mi consentivano via via di vivere una vita sempre più normale, ad uccidermi è stata una smisurata vergogna di me stessa.
Ho vissuto la malattia come se fosse una colpa.
Pensavo che tra me e l’altro, la persona peggiore fossi sempre io.
Mi sentivo sporca, difettosa. Avevo timore di essere derisa, insultata, squalificata dal pregiudizio che ancora esiste nei confronti di noi sieropositivi.
Così per difendermi, ho nascosto la malattia iniziando a vivere una doppia vita. Una sotto le luci della ribalta e un'altra distruttiva e depressa.
Ma una vita a metà non è vita, e ho capito che ne sarei morta se non avessi fatto pace con quella parte di me.
Io sono tante cose e sono anche la mia malattia.
Oggi sono fiera di me, non mi vergogno più, e l’Hiv che è molto diversa da come ve la immaginate.
Io non sono pericolosa, sono negativizzata e finché mi curo io non posso infettare nessuno. Potete toccarmi, abbracciarmi, baciarmi e tutto il resto.
Se volete continuare ad avere paura, io lo accetto, però girate lo sguardo verso il vostro vero nemico. L’ignoranza.”.
Estratto dell'articolo di Chiara Maffioletti per corriere.it il 29 marzo 2023.
Per ventuno anni è stato un segreto, pesante come un macigno. Ora Elena Di Cioccio, attrice, conduttrice in radio e in tv, ha deciso di liberarsi del fardello che l’ha costretta, per non finirne schiacciata, a diventare nel tempo mille persone, tutte diverse da quella che lei è davvero.
Per stare finalmente bene, era necessario raccontare la sua verità: «Ho 48 anni e da 21 sono sieropositiva. Ho l’Hiv». Lo ha detto alle «Iene», di cui per anni è stata un’inviata. Lo racconta senza il minimo sconto, nel libro in uscita il 4 aprile, Cattivo Sangue (edito da Vallardi), in cui ricapitola una vita clamorosamente fitta di sfide e dolori. «Oggi non ho rimpianti e non sono più arrabbiata. Ma ho dovuto processare molte cose», spiega.
Per quasi metà della sua vita ha cercato di nascondere il fatto di avere l’Hiv. Ora ha deciso di renderlo pubblico, scrivendoci anche un libro. Perché?
«Dopo anni passati divisa tra la paura e la rabbia, non mi sento più in difetto di niente. Io sono questa cosa qui e non voglio più nascondermi. Quando incontro ogni singola persona mi domando se, come e quando dire che sono sieropositiva: lasciando la mia parola scritta ora lo do per fatto, una volta per tutte».
In questi anni, scrive nel libro, ha nascosto le medicine nel frigo dietro la lattuga perché nessuno le vedesse, confidando il suo segreto solo a pochissime persone.
«E ho sperimentato ogni tipo di reazione in risposta a questa cosa: fuga, compassione, rabbia. Ma il problema è la partenza, non la risposta: è come sto io rispetto a questa cosa. Oggi un aiuto arriva grazie alla medicina che ha fatto finire l’epoca dell’alone viola, della paura, sia per voi ma anche per noi».
In che senso?
«Quindici anni fa: mi taglio la mano in una classe di teatro, esce del sangue. Si avvicinano per aiutarmi e io urlo: “No, non mi toccate”. Cavolo che brutto carattere. Oggi processare questa gigantesca marea di emozioni è possibile grazie a quello che la medicina ci dice, e cioè che siamo pazienti cronicizzati e in nessun modo io posso contagiare qualcuno. Per me è un sospiro di sollievo: non devo più stare sempre in allerta».
Eppure, dice, su questa malattia persiste lo stigma.
«Purtroppo sì, perché la comunicazione si è fermata al 1989: abbiamo fatto dei passi in avanti con quattro baci e strette di mano passate e poi il nulla. Ma non possiamo fare come i bambini che fingono che qualcosa non esista perché ti fa paura».
[…]
La malattia ha pesato anche sul suo desiderio di diventare mamma, scrive nel libro.
«È un capitolo molto sofferente per me. Oggi una donna sieropositiva negativizzata può avere rapporti anche senza preservativo e rimanere incinta. Per me non è stato così […]».
Nel libro parla anche della sua infanzia: è figlia del leader della Pfm Franz di Cioccio e della manager Anita Ferrari. Si è spesso ritrovata sola, senza sapere con chi si sarebbe svegliata, travolta dalle liti in famiglia e infine allo sbando.
«La separazione, non facile, tra i miei non ha aiutato. Ma in quegli anni però succedeva. Sono cresciuta prima del dovuto, dei buchi sono rimasti. Il mio intento non era sparare contro i miei genitori, come contro nessun altro. […]».
Sua mamma si è tolta la vita dopo che ci aveva già provato in passato. Come si può processare un simile dolore?
«Processare il dolore non è uno sport per tutti e mia mamma aveva stratificato una quantità di dispiaceri davvero grande, non processandoli, appunto. Alla fine se la sono portata via».
In poche righe, spiega anche che il figlio di sua madre, quindi suo fratello, è morto a tre anni, soffocato.
«L’ho scritto in poche righe perché non volevo indugiare su questo dolore ma era necessario per raccontare davvero chi fosse mia mamma».
Cosa le aveva detto dopo il primo tentativo fallito?
«È un inciampo che fanno in tanti quello di dire a qualcuno che soffre così: se mi vuoi bene smetti. Il problema è che non vogliono bene a loro stessi. […] Quando poi è successo, in qualche modo ero pronta. Mi ero già detta: arriverà il giorno che lo farà ma non posso stare sul balcone della vita ad aspettare che succeda. La mattina in cui ho trovato tutti quei messaggi sul telefono, ho capito tutto prima di leggerli».
Nella sua vita ha sperimentato diverse dipendenze.
«La dipendenza ti crea una situazione di benessere […] Il tuo impegno diventa anche cercare di uscire dal buco».
Uscire da quello della cocaina non è stato semplice.
«Quello è stato un passaggio giovanile che è poi diventato altro. Sì, uscirne è stato molto faticoso e ringrazierò mia mamma per sempre per avermi fatto sentire il peso di quello che stavo facendo quando mi ha scoperta».
Come è successo?
«Eravamo a un matrimonio, sono uscita dal bagno e me la sono trovata davanti: tu che sei su di giri non ti accorgi di niente ma da fuori si vede tutto benissimo. Lei mi ha detto solo: no, anche tu no. Era così spaventata, così addolorata e impotente che mi è proprio passata attraverso».
La sua dipendenza è stata anche affettiva, precipitando in relazioni tossiche in cui veniva anche picchiata.
«È sempre il tema del non proteggersi, qualcosa che non voglio fare più. Se sei in anoressia di affetto anche uno che alza la voce o peggio ti sta dando attenzione».
[…] Con papà al momento non abbiamo rapporti, ognuno è andato per la sua strada... e se penso a tutti quelli che mi chiamano per avere il suo numero o dei biglietti... ma c’è sempre domani. Domani può sempre accadere qualcosa di inaspettato». […]
Elena di Cioccio: il peso di un segreto e il passato difficile della conduttrice. Nella sua autobiografia dal titolo Cattivo Sangue edita da Vallardi, Elena di Cioccio racconta aneddoti della sua infanzia, relazioni tossiche e la paura di svelare un segreto ingombrante. Mariangela Cutrone il 13 Aprile 2023 su Il Giornale.
Cosa significa vivere con la paura di svelare un segreto che ci riguarda e che inevitabilmente potrebbe influenzare gli altri o contribuire a far cambiare il modo che questi hanno di percepirci o considerarci?
Ne sa qualcosa Elena Di Cioccio che nel suo primo libro “Cattivo Sangue” (edito da Vallardi) ci racconta i suoi ultimi vent’anni segnati dall’Hiv, un sgreto inconfessabile e ingombrante. Lo fa in una sorta di autobiografia in cui la nota conduttrice tv e attrice si mette a nudo, narrando esperienze di vita, aneddoti legati alla sua famiglia, stati emotivi altalenanti che terranno incollato il lettore sino all’ultima pagina.
Tra nuovi inizi, conquiste professionali, dipendenze, relazioni tossiche e segreti, Elena cerca di sfuggire alla sua parte autentica caratterizzata dal suo segreto per paura di essere giudicata e rifiutata. Si creerà il personaggio di Velena, una donna forte, provocatrice, sexy e strafottente, piena di idee creative che se ne frega del giudizio altrui. Vestendo i panni di Velena, Elena si sentirà invincibile nell’affrontare le insidie della vita e la sua malattia. Attraverso Velena sfuggirà al dolore, alla sofferenza e al bisogno di amore che bussa alla sua porta ogni volta che Elena torna a casa e rischia di soffocare nel suo senso di solitudine e inadeguatezza.
In “Cattivo sangue” riscopriamo una nuova Elena Di Cioccio, ricca di sfaccettature inedite. La sua è la storia di tutti noi che viviamo quotidianamente per affermare il nostro bisogno di affermarci in amore e nella professione scontrandoci con limiti, debolezze e fragilità che caratterizzano la nostra natura umana. Ripartendo dal roprio segreto, dai propri punti deboli e dalle inadeguatezze è possibile redimerci da tutto il dolore provato nel corso del proprio percorso esistenziale? È questo che in diverse occasioni Elena Di Cioccio si ritroverà a chiedersi dopo tante cadute ed errori commessi.
Attraverso la sua esperienza la Di Cioccio ci invita a fare pace con quelle parti di noi stessi che fatichiamo ad accettare perché ci fanno sentire fragili ed inadeguati. Quelle parti parlano di noi e non accettarle significa alimentare rischiose spirali dalle quali col tempo potrebbe risultare difficile e faticoso riemergere. Per rinascere e splendere di luce nuova bisogna prima perdonare i propri errori e consolare quelle parti di noi che necessitano prima di tutto della nostra cura e del nostro amore incondizionato.
In una sorta di catarsi Elena di Cioccio affida al lettore la sua storia. Lo fa con coraggio e determinazione non temendo più giudizi e cattiverie. In questo si denota molta maturità. Quando ci racconta episodi drammatici come la violenza domestica subita e la morte suicida di sua madre è inevitabile entrare in empatia con l’autrice. La Di Cioccio si racconta senza filtri e artifizi. “Cattivo sangue” è l’ennesima testimonianza che niente è come sembra. Ogni persona, attraverso la maschera che indossa per convenienza o per necessità, tende a celare la sua vera identità, il suo vissuto caratterizzato da traversie, dubbi, incertezze e debolezze. Eppure come ci insegna l’autrice tutto ciò andrebbe espresso perché fa parte della nostra natura umana. La storia di ognuno di noi, come anche quella della Di Cioccio, merita di essere raccontata per infondere coraggio in chi vive le medesime situazioni.
Un libro forte che trasuda pura vita, coraggio e voglia di rinascita quello di Elena Di Cioccio, un’autobiografia toccante e commuovente che arriva dritta al cuore del lettore e di chi sa che solo dopo aver toccato davvero il fondo è possibile riemergere per abbracciare a pieno la serenità che ognuno di noi merita.
Elena Di Cioccio: «Da 21 anni sono sieropositiva. Ho avuto paura di morire, mi sentivo sporca, difettosa». Storia di Redazione Web su Il Mattino il 28 marzo 2023.
«Ho l’Hiv, sono una di quelli con l’alone viola». Elena Di Cioccio, conduttrice ed ex inviata de Le Iene, nella trasmissione di Davide Parenti rivela di essere sieropositiva. «Ero molto giovane quando questa diagnosi stravolse completamente la mia vita. All’inizio ho avuto paura di morire, poi di poter fare del male al prossimo. ‘E se contagi qualcuno?’, mi dicevo, ‘Non me lo perdonerei mai’. Non è mai successo, non ho mai contagiato nessuno e non sono morta».
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Elena di Cioccio sieropositiva, il racconto
“Invece in questi 21 anni, mentre le terapie mi consentivano via via di vivere una vita sempre più normale, ad uccidermi è stata una smisurata vergogna di me stessa. Ho vissuto la malattia come se fosse una colpa. Pensavo che tra me e l’altro, la persona peggiore fossi sempre io. Mi sentivo sporca, difettosa. Avevo timore di essere derisa, insultata, squalificata dal pregiudizio che ancora esiste nei confronti di noi sieropositivi. Così per difendermi, ho nascosto la malattia iniziando a vivere una doppia vita. Una sotto le luci della ribalta e un'altra distruttiva e depressa”.
La guarigione
"Ma una vita a metà non è vita, e ho capito che ne sarei morta se non avessi fatto pace con quella parte di me. Io sono tante cose e sono anche la mia malattia. Oggi sono fiera di me, non mi vergogno più, e l’Hiv che è molto diversa da come ve la immaginate. Io non sono pericolosa, sono negativizzata e finché mi curo io non posso infettare nessuno. Potete toccarmi, abbracciarmi, baciarmi e tutto il resto. Se volete continuare ad avere paura, io lo accetto, però girate lo sguardo verso il vostro vero nemico. L’ignoranza".
Elena Di Cioccio: «Ho l’Hiv, sono sieropositiva da 21 anni. Il suicidio di mamma, la cocaina: non voglio più nascondermi». Chiara Maffioletti su Il Corriere della Sera il 28 Marzo 2023.
Alle Iene e nel libro Cattivo Sangue Di Cioccio racconta di avere l’Hive la sua esistenza: dagli abusi, alle botte, alla morte del fratellino di tre anni fino al suicidio della madre
Per ventuno anni è stato un segreto, pesante come un macigno. Ora Elena Di Cioccio, attrice, conduttrice in radio e in tv, ha deciso di liberarsi del fardello che l’ha costretta, per non finirne schiacciata, a diventare nel tempo mille persone, tutte diverse da quella che lei è davvero.
Per stare finalmente bene, era necessario raccontare la sua verità: «Ho 48 anni e da 21 sono sieropositiva. Ho l’Hiv». Lo ha detto alle «Iene», di cui per anni è stata un’inviata. Lo racconta senza il minimo sconto, nel libro in uscita il 4 aprile, Cattivo Sangue (edito da Vallardi), in cui ricapitola una vita clamorosamente fitta di sfide e dolori. «Oggi non ho rimpianti e non sono più arrabbiata. Ma ho dovuto processare molte cose», spiega.
Per quasi metà della sua vita ha cercato di nascondere il fatto di avere l’Hiv. Ora ha deciso di renderlo pubblico, scrivendoci anche un libro. Perché?
«Dopo anni passati divisa tra la paura e la rabbia, non mi sento più in difetto di niente. Io sono questa cosa qui e non voglio più nascondermi. Quando incontro ogni singola persona mi domando se, come e quando dire che sono sieropositiva: lasciando la mia parola scritta ora lo do per fatto, una volta per tutte».
In questi anni, scrive nel libro, ha nascosto le medicine nel frigo dietro la lattuga perché nessuno le vedesse, confidando il suo segreto solo a pochissime persone.
«E ho sperimentato ogni tipo di reazione in risposta a questa cosa: fuga, compassione, rabbia. Ma il problema è la partenza, non la risposta: è come sto io rispetto a questa cosa. Oggi un aiuto arriva grazie alla medicina che ha fatto finire l’epoca dell’alone viola, della paura, sia per voi ma anche per noi».
In che senso?
«Quindici anni fa: mi taglio la mano in una classe di teatro, esce del sangue. Si avvicinano per aiutarmi e io urlo: “No, non mi toccate”. Cavolo che brutto carattere. Oggi processare questa gigantesca marea di emozioni è possibile grazie a quello che la medicina ci dice, e cioè che siamo pazienti cronicizzati e in nessun modo io posso contagiare qualcuno. Per me è un sospiro di sollievo: non devo più stare sempre in allerta».
Eppure, dice, su questa malattia persiste lo stigma.
«Purtroppo sì, perché la comunicazione si è fermata al 1989: abbiamo fatto dei passi in avanti con quattro baci e strette di mano passate e poi il nulla. Ma non possiamo fare come i bambini che fingono che qualcosa non esista perché ti fa paura».
Lei però ha spesso desiderato di fingere di non essere malata.
«Assolutamente sì. Ero una persona scrupolosa, anche nei rapporti, eppure è successo. Mi fanno molta impressione le signore su con l’età che ho visto in cura, in ospedale, nei reparti dedicati: mi si spezzava il cuore perché si guardavano attorno come alieni al cospetto di una cosa che le terrorizzava. Non era il loro posto, ma invece è un posto anche per loro».
La malattia ha pesato anche sul suo desiderio di diventare mamma, scrive nel libro.
«È un capitolo molto sofferente per me. Oggi una donna sieropositiva negativizzata può avere rapporti anche senza preservativo e rimanere incinta. Per me non è stato così: diventare mamma non poteva essere lo slancio di un momento di passione ma serviva un passaggio tecnico che metteva in campo un altro gioco, la pianificazione. La maternità è stato un tasto veramente dolente, ma mi piacciono molto i bambini e mi ci diverto un sacco».
Nel libro parla anche della sua infanzia: è figlia del leader della Pfm Franz di Cioccio e della manager Anita Ferrari. Si è spesso ritrovata sola, senza sapere con chi si sarebbe svegliata, travolta dalle liti in famiglia e infine allo sbando.
«La separazione, non facile, tra i miei non ha aiutato. Ma in quegli anni però succedeva. Sono cresciuta prima del dovuto, dei buchi sono rimasti. Il mio intento non era sparare contro i miei genitori, come contro nessun altro. Ma volevo raccontare me stessa, la mia verità».
Sua mamma si è tolta la vita dopo che ci aveva già provato in passato. Come si può processare un simile dolore?
«Processare il dolore non è uno sport per tutti e mia mamma aveva stratificato una quantità di dispiaceri davvero grande, non processandoli, appunto. Alla fine se la sono portata via».
In poche righe, spiega anche che il figlio di sua madre, quindi suo fratello, è morto a tre anni, soffocato.
«L’ho scritto in poche righe perché non volevo indugiare su questo dolore ma era necessario per raccontare davvero chi fosse mia mamma».
Cosa le aveva detto dopo il primo tentativo fallito?
«È un inciampo che fanno in tanti quello di dire a qualcuno che soffre così: se mi vuoi bene smetti. Il problema è che non vogliono bene a loro stessi. Io a un certo punto ho capito che ero come lei e un giorno, nel suo primo Tso, le ho detto: ti devo lasciare andare. E lei mi ha risposto: hai ragione. Quando poi è successo, in qualche modo ero pronta. Mi ero già detta: arriverà il giorno che lo farà ma non posso stare sul balcone della vita ad aspettare che succeda. La mattina in cui ho trovato tutti quei messaggi sul telefono, ho capito tutto prima di leggerli».
Nella sua vita ha sperimentato diverse dipendenze.
«La dipendenza ti crea una situazione di benessere e, soprattutto, un’alternativa: ti impegna, anche quando poi si gira e ti mostra l’altra faccia della medaglia. Il tuo impegno diventa anche cercare di uscire dal buco».
Uscire da quello della cocaina non è stato semplice.
«Quello è stato un passaggio giovanile che è poi diventato altro. Sì, uscirne è stato molto faticoso e ringrazierò mia mamma per sempre per avermi fatto sentire il peso di quello che stavo facendo quando mi ha scoperta».
Come è successo?
«Eravamo a un matrimonio, sono uscita dal bagno e me la sono trovata davanti: tu che sei su di giri non ti accorgi di niente ma da fuori si vede tutto benissimo. Lei mi ha detto solo: no, anche tu no. Era così spaventata, così addolorata e impotente che mi è proprio passata attraverso».
La sua dipendenza è stata anche affettiva, precipitando in relazioni tossiche in cui veniva anche picchiata.
«È sempre il tema del non proteggersi, qualcosa che non voglio fare più. Se sei in anoressia di affetto anche uno che alza la voce o peggio ti sta dando attenzione».
In quegli anni ha pensato anche lei di farla finita. È più ricapitato?
«Non in quel modo. Ora rifletto sul fatto che uno degli effetti collaterali dei farmaci che prendo è il disturbo dell’umore, quindi se capita di svegliarmi accompagnata da pensieri tristi, oggi gli do una carezza e poi esco e vado a fare altro e dopo due ore, quando rientro, non ci sono più».
Per suo papà non sarà semplice leggere questo libro.
«Questa volta ho deciso di preoccuparmi solo di me: preoccuparmi degli altri è stata la mia occupazione principale per tutta la vita, ora avevo solo bisogno di essere me stessa. Con papà al momento non abbiamo rapporti, ognuno è andato per la sua strada... e se penso a tutti quelli che mi chiamano per avere il suo numero o dei biglietti... ma c’è sempre domani. Domani può sempre accadere qualcosa di inaspettato».
E cosa si immagina accadrà ora?
«Penso che tanti amici mi scriveranno... certo, mi aspetto anche delle critiche, ma sono pronta e lo capisco. La bontà di quello che fai non viene percepita da tutti. Ma quello che spero è di essere finalmente me stessa»
Inizierà un nuovo capitolo per lei?
«Sì, me lo auguro».
Elena Santarelli.
Elena Santarelli e la malattia del figlio Giacomo: «Il tumore potrebbe tornare, lui sa tutto». Vera Martinella su Il Corriere della Sera il 14 Febbraio 2023.
La showgirl ha deciso di sostenere Fondazione Veronesi: «La ricerca è speranza per chi è malato e chi lo sarà. Grazie a mio marito e al sostegno psicologico ne siamo usciti». Giacomo, che ora ha 13 anni, sa la verità
In occasione della Giornata mondiale sul cancro infantile, che si celebra in tutto il mondo il 15 febbraio di ogni anno, Elena Santarelli torna a parlare della malattia di suo figlio Giacomo, al quale all’età di 8 anni (nel 2017) è stato diagnosticato un tumore cerebrale. E lo fa non solo come mamma che ha vissuto una delle esperienze più difficili da immaginare, ma anche in virtù del nuovo ruolo che ha assunto da poco come ambasciatrice della Fondazione Umberto Veronesi, da anni impegnata con il progetto «Gold for kids» a sostenere concretamente la ricerca in oncologia pediatrica partendo da quel bisogno ancora insoddisfatto di fornire una cura su misura di bambini e adolescenti.
Partiamo da qui allora. Perché hai deciso di sostenere Fondazione Veronesi?
«Perché rappresenta l’eccellenza della ricerca scientifica in Italia e ha massima credibilità. Promuove la scienza, sostiene il lavoro dei migliori ricercatori e questo significa offrire speranza a chi è già malato e a chi lo sarà. Se posso, con la mia esperienza, contribuire a promuovere le loro attività, a sensibilizzare le persone a donare quello che possono, tanto o poco che sia, lo faccio volentieri. In particolare a favore della ricerca sui tumori infantili: c’è ancora tanto da fare per dare più possibilità di guarire a bimbi e adolescenti che si ammalano di cancro. Sono ancora pochi i farmaci studiati e testati per curare i bimbi e ragazzi, e ancor meno quelli per le recidive».
Ogni anno nel mondo oltre 250mila bambini e adolescenti ricevono una diagnosi di cancro: sono circa 60 i sottotipi diversi di tumori che colpiscono i più giovani. In Italia si registrano più o meno 1.400 diagnosi annue nella fascia di età 0-14 anni e 800 in quella adolescenziale, tra i 15 e i 19 anni. Le neoplasie infantili più frequenti sono leucemie (37,6% dei casi), tumori cerebrali (15,1%), linfomi (13,4%), neuroblastomi (8,9%), sarcomi dei tessuti molli (6,2%), nefroblastomi e tumori ossei (4,8%). «La ricerca ha fatto passi da gigante nella cura di queste patologie e oggi in più del 70% dei casi, ma per alcune forme di leucemia si supera il 90%, la malattia viene sconfitta — ricorda Paolo Veronesi, presidente di Fondazione —. Eppure, nonostante il progresso, ci siamo accorti che i bambini e in particolare gli adolescenti non sempre ricevono cure adeguate alla loro età».
Per questo è nato, nel 2014, il progetto «Gold for kids» con diversi obiettivi, tra i quali finanziare la ricerca scientifica nel campo dell’oncologia pediatrica; coprire i costi di gestione e avviamento dei protocolli di cura per i tumori infantili, che forniscono le linee guida operative per prendere in carico e curare ciascun paziente, secondo gli standard più elevati e innovativi, garantendo così le migliori possibilità di guarigione (i protocolli da aprire vengono individuati dall’Associazione italiana di ematologia e oncologia pediatrica); portare avanti la campagna di prevenzione #fattivedere, rivolta agli studenti delle scuole superiori, per sensibilizzarli alla prevenzione. Quest’anno, in particolare, Fondazione Veronesi si è impegnata su un altro fronte per sostenere una sperimentazione che fa capo all’ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma (la piattaforma di ricerca «PALM»), che mira mettere a punto una nuova cura per i bambini con una leucemia mieloide acuta che resiste alle terapie standard, che hanno una ricaduta e per i quali, a oggi, mancano soluzioni efficaci. Da lunedì 13 a domenica 19 febbraio è possibile sostenere Fondazione Umberto Veronesi per finanziare «PALM» con un sms da telefono cellulare o una chiamata da rete fissa al 45598.
Elena, cosa ricordi dei giorni in cui tu e tuo marito, l’ex calciatore Bernardo Corradi, avete scoperto la malattia di vostro figlio?
«Praticamente tutto, è un passaggio indelebile. Nella nostra famiglia e nella mia vita c’è un prima e un dopo il 30 novembre 2017, la data in cui abbiamo ricevuto la diagnosi di tumore cerebrale di nostro figlio, che allora aveva 8 anni, mentre Greta, sua sorella, era nata da meno di un anno. Giacomo era un bambino come gli altri, sano e sereno, a un certo punto ha iniziato a soffrire di forti mal di testa e vomito a getto, entrambi frequenti. Sentivo che c’era qualcosa che non andava, ma non capivo cosa».
Che cosa avete fatto allora?
«Arrivare alla diagnosi è la prima difficoltà. Tutti i genitori cercano di non essere troppo apprensivi, io non mi sono mai preoccupata molto per piccoli traumi tipici dei bambini, per la febbre alta o minimi sintomi. Bisogna essere cauti, senza allarmarsi troppo, ma non bisogna perdere tempo».
Lo dicono anche i medici: meglio non trascurare i sintomi che perdurano e parlare con un pediatra che può prescrivere eventuali accertamenti. Che è successo quando siete arrivati alla diagnosi?
«La diagnosi ti paralizza, è inevitabile. È sempre uno shock. Qualsiasi mamma si spaventa anche solo all’idea di dover far operare il figlio di appendicite. Cosa può essere sentire la parola cancro? Terrore, ansia e pure rabbia. Sono reazioni inevitabili, ci passiamo tutti, che vanno però smaltite. E l’aiuto psicologico può aiutare tanto. A noi è servito moltissimo: hai bisogno di un sostegno che ti guidi ad attraversare quella fase della vita in cui sprofondi tuo malgrado e a trovare un nuovo modo per tornare a una vita “normale”, che porta serenità in tutta la famiglia anche mentre si attraversa la tempesta».
La «normalità» è una meta da raggiungere per tanti malati di cancro, adulti e bambini, e per i loro familiari. Un traguardo importantissimo che i sani faticano a comprendere…
«Il bambino deve poter vivere il più normalmente possibile, è fondamentale. Deve sopportare dolore, terapie, solitudine. È una valanga di sofferenza, sommata alla paura, per lui, per i genitori, per i fratelli. Ogni volta che è possibile fare qualcosa di “normale” è ossigeno, è vita, è una dose di energia per poi riprendere cure, controlli, esami, ospedale. Che sia una merenda al bar, una gita fuori porta, un pomeriggio a far qualcosa che gli piace. Va bene tutto. E lo stesso vale per i genitori. Chi critica una madre o un padre perché si sono presi qualche ora di “svago” o relax (che poi la testa non la stacchi mai…) non ha neppure idea di quel che dice. Servono i momenti felici mentre attraversi l’inferno».
Ogni famiglia e ogni bambino malato è una storia a sé. Voi come siete sopravvissuti, anche come coppia?
«Con l’aiuto della nostra psicologa abbiamo imparato a gestire l’ansia, a vivere giorno per giorno, altrimenti diventi matto. Io l’ho chiesto solo alla fine dell’iter di cure, sbagliando: credevo di poter reggere tutto, invece alla fine sono crollata. Tuo figlio ha un tumore. Vivrà? Morirà? Nessuno può risponderti, le percentuali non possono essere la risposta: ogni caso è a sé. E vivi così per anni, in compagnia della paura: l’intervento chirurgico, chemioterapia, radioterapia. Noi abbiamo fatto tutto, è un percorso lungo. C’è una lotta quotidiana contro l’incertezza. A volte i bimbi stanno bene, o sembra, e poi peggiorano all’improvviso. Anche quando va bene, come nel caso di Giacomo, parte poi il periodo dei controlli. Prima di poter usare la parola “guarito” servono anni. Ci ha salvato il pensiero di portare avanti la famiglia in un nuovo capitolo della nostra storia. Indesiderato, ma da scrivere, un giorno dopo l’altro, senza pensare troppo al futuro che se no impazzisci».
Dopo un anno e mezzo di terapie, a maggio 2019 avete raggiunto un grande traguardo: la fine delle terapie. È iniziato un nuovo capitolo, migliore?
«Decisamente sì. Quando inizia il follow up un bel pezzo di strada è fatta, i controlli pian piano vengono diluiti, più il tempo passa e più respiri. Anche se io, dopo tutta la tensione, sono crollata poi nel follow up. Ma ho, abbiamo, avute tante fortune. Intanto quella di non avere problemi economici, che è una cosa non da poco. L’ospedale ti insegna tantissimo, abbiamo conosciuto e vissuto mesi accanto a mamme (a volte sole) e papà che al carico dei nostri stessi dolore e paura aggiungevano pure le difficoltà economiche, il peso di viaggi e spostamenti tortuosi, tutti i problemi quotidiani del lavoro e di una casa da mandare avanti… Mia madre si è trasferita a casa ad aiutarci, altro grande sostegno. E poi credo ritengo fosse una fortuna l’età di Giacomo: a 8 anni è più facile gestire un bimbo malato, ha meno “richieste” e bisogni rispetto al 13enne che è oggi, riesci anche a dargli spiegazioni meno complesse. Altro vantaggio l’età di Greta, che aveva solo un anno, è stato più semplice perché non si accorgeva di nulla».
A che punto siete oggi? Come vivete?
«Bene, a rischio di sembrare “banale” o di venire attaccata, lo dirò: dopo il tumore è tutto un po’ più bello. Sia chiaro, nessuno se lo augura e ne avremmo fatto a meno, ma visto che ci è capitato… abbiamo redistribuito le priorità, compreso quali sono i problemi veri. Per il resto ce la si prende meno. Godi più a pieno il tempo. Ma viviamo con tanta serenità, Bernardo in questo è bravissimo, più pratico, mi dice: “Anche attraversando la strada può succedere un dramma, se entri nel tunnel dell’ansia non vivi più. Oggi siamo qua, viviamo e cerchiamo di farlo bene”».
Siete tornati alla normalità?
«Sì, il più possibile. Siamo felici. Poi se mi chiedi se vado a letto la sera come prima del 30 novembre 2017 ti rispondo di no. Ho un grosso pensiero in più a quelli di tante altre mamme alle prese con figli 13enni e non sono più la stessa Elena. La vigilia di Natale o il 31 dicembre sera, festeggio, ma penso anche a chi è in reparto di oncologia con il suo bambino. Ma abbiamo avuto un grande insegnamento e, tra le varie lezioni, c’è pure quella di essere grati e godere a pieno ogni giorno».
E Giacomo come vive? Cosa sa?
«La verità. Credo sia molto importante che sappia esattamente come stanno le cose. Con i giusti modi gli abbiamo spiegato tutto: sa che cosa ha avuto e sa anche che il tumore può tornare, per questo facciamo i controlli. A volte capita. Anche in questo caso l’aiuto della psicologa è stato prezioso, ci ha guidato in un “porto sicuro”. È un ragazzino felice, sereno, non è arrabbiato con la vita. È un simpaticone, ha la battuta facile. Gli insegniamo a pensare con una testa vincente, senza ansie né autocommiserazioni: ha avuto un incidente di percorso bello tosto, lo abbiamo superato e andiamo avanti».
Elenoire Casalegno.
Elenoire Casalegno: «Ho fatto ballare la lambada a Vianello in canottiera. Con Sgarbi un flirt esplosivo». Maria Volpe su Il Corriere della Sera il 2 Aprile 2023
La conduttrice, ex modella: «Con Ringo, padre di mia figlia, ci siamo lasciati bene. I ragazzi non devono pagare le colpe degli adulti»
«Ho il carattere romagnolo: sono solare, estroversa. Saluto sempre tutti, è bello tendersi la mano. Un sorriso può far star meglio. Io credo molto nella gentilezza e nell’empatia e il fatto che in questa società manchi l’empatia mi rattrista e mi preoccupa. A mia figlia ho dato l’educazione dei miei genitori, le ho insegnato per esempio ad alzarsi per dare il posto al più debole, al più anziano, ma temo non lo faccia quasi più nessuno». Parole dolci, dal sapore antico. E che forse non ti aspetti da Elenoire Casalegno, 46 anni, ex modella, bellissima, altissima, apparentemente un po’ algida, anche se il sorriso tradisce una innata gentilezza. Una donna libera, indipendente, che non pare sgomitare. In questi 25 anni ci sono stati momenti di ampia eco mediatica, e momenti di lunghi silenzi, successi televisivi e incertezze professionali, copertine di giornali e gossip su fidanzati, compagni, presunti flirt.
Elenoire, come mai si definisce romagnola? È nata a Savona e vive a Milano da anni...
«Io nasco casualmente a Savona, ma non sono ligure, anche se sono legata a quella terra. Sono andata a vivere in Romagna molto presto e a 18 anni mi sono trasferita a Milano. Mi sento un po’ romagnola è un po milanese, con una nonna belga. Una cittadina del mondo..».
A 20 anni ha debuttato in televisione: prima ha condotto «Jammin» e poi il «Festivalbar». Prima ancora ha esordito come modella. Che ricordi ha di quel periodo?
«È stato un momento gioioso della mia vita, anche se in realtà io volevo fare il magistrato. Non pensavo al mondo dello spettacolo. Fu una mia amica che mi spinse nel mondo della moda, ma all’inizio scappai via. A 15 anni ero molto timida, avevo un pessimo rapporto con il mio corpo e non mi sentivo per niente bella. Poi, sempre una mia amica, mi iscrisse a Elite Model Look, concorso per aspiranti modelle. Avevo 17 anni e mi presentai accompagnata da papà..».
Una brava e timida ragazza...
«Sì davvero, è così. Ricordo un altro concorso per top model, nel quale mi misi a piangere. Non volevo farlo, ma alla fine strinsi i denti. Arrivò per caso anche il Festivalbar, un grande successo: Amadeus e Panicucci fecero il mio nome. Alle volte mi chiedo: chissà se oggi fosse un magistrato...».
A 20 anni, la storia con Vittorio Sgarbi tenne banco sui giornali. Eravate paparazzati ovunque...
«Mi viene da sorridere perché fu un flirt durato quattro mesi, ma è come se fosse stata la storia più lunga e importante della mia vita. I media continuano a parlarne.. In realtà non poteva durare di più. Io avevo 20 anni, ero testarda e forte. Lui, 44 anni, pure era forte, determinato e cercava di imporsi.. Un incontro che fu una vera bomba. Lui era un uomo di cultura ed era bello ascoltarlo mentre raccontava un quadro di Piero della Francesca. Era affascinante e mi piaceva perché era diretto. Magari usa termini un po’ forti, ma io preferisco le persone schiette, sincere, che non ti parleranno mai alle spalle».
Un uomo professionalmente molto importante nella sua vita è stato Raimondo Vianello: lo ha affiancato, dal ‘97 al ‘99, nella conduzione di «Pressing» su Italia 1.
«Avevo un bellissimo rapporto con lui, qualche volta conflittuale perché dicevo ciò che pensavo, ma lui amava questo mio aspetto. Perchè pure lui diceva sempre ciò che pensava, anche se lo faceva con la sua ironia, a tratti macabra.. Un uomo molto intelligente, oggi non c’è un suo delfino».
Un episodio che racconta Vianello e il vostro rapporto.
«Scelsi di non condurre l’ultima edizione di “Pressing” . Raimondo ci rimase male. Iniziarono i provini per sostituirmi, ma lui disse: “Se non c’è Casalegno, io non lo faccio più”. Così mi obbligarono a proseguire, e oggi sono contenta di averlo fatto. Ricordo che gli dissi: “Gliela farò pagare”. Lui per me è stato un grande insegnante, ho avuto la fortuna di lavorare al fianco a una grande persona, un uomo per bene, con una moglie per bene. E questo è molto raro. Ma era anche molto simpatico e divertente. Un giorno arrivai in studio, andai nel suo camerino: era in mutande e canottiera. Lo tirai fuori e gli feci ballare la lambada. Una scena esilarante».
Una delle sue battute cattive, Raimondo, gliel’ha mai rivolta?
«Si! Ero incinta ma non l’avevo detto a nessuno. Avevo le nausee e quando c’erano gli stacchi pubblicitari correvo in bagno a vomitare. Lui se ne accorse e mi chiese: “Ha preso un virus?”. Gli risposi: “Raimondo, sono incinta”. E lui: “Ma lo sa chi è il padre?”».
A proposito del padre di sua figlia: dal legame con Dj Ringo nel 1999 è nata Swami, oggi 23 anni. Siete stati per anni una coppia molto affiatata. Avete vissuto una lunga storia d’amore finita quando la bambina era piccola.
«Ci siamo separati che nostra figlia aveva due anni, ma la priorità era lei e volevamo che lei fosse serena. Noi adulti possiamo sbagliare, ma loro non devono subire gli effetti dei nostri errori. Trovo assurdo che due persone che fino a poco tempo prima andavano d’accordo, poi si scannino dall’avvocato. Abbiamo sempre trovato un punto d’accordo io e il papà di Swami. Facile? No, non è mai facile la separazione, ma sono felice che nostra figlia non ci abbia mai visto discutere neanche una volta. Era importante che lei vedesse suo padre come il migliore al mondo, non volevo che avesse un rapporto difficile con l’altro sesso».
Dunque è possibile lasciarsi bene? Quando legge i gossip sulla separazione Totti-Blasi che pensa?
«Si può e si deve lasciarsi bene. Cosa penso? Penso ai loro figli. Per i ragazzi vedere i genitori che litigano è molto triste, si sentono in mezzo a due fuochi. Quando i miei genitori litigavano in pubblico, io mi sentivo profondamente a disagio e sono rimasta segnata».
Nel 2016 ha partecipato alla prima edizione del Grande Fratello Vip. Ne valeva la pena?
«All’inizio non ero tanto convinta di mettermi alla mercé di tutti, mi creava problemi e disagio, poi gli autori sono stati bravi a convincermi . Alla fine ammetto che è stata un’esperienza interessante, unica, non replicabile. Non me ne fregava niente di vincere, anzi io pensavo di tornare a casa nel giro di una settimana. Ho vissuto il Gf come una sfida con me stessa: senza cellulare, con tempo a disposizione e con 16 sconosciuti. Non mi aspettavo di avere tanta pazienza e di riuscire a condividere un bagno solo con tante persone..C’è stato un momento in cui stavo sbroccando, ricordo una lite violenta con Valeria Marini per uno scolapasta: ho capito che dovevo uscire, il mio percorso era finito lì».
Che rapporto ha con il mondo social?
«È importante non confondere i social con la vita reale. Se mostri tutto, tutto perde valore. Questo bisogno di parlare di sessualità non la capisco. Come non capisco l’idea di postare ogni giorno una foto meravigliosa in luoghi meravigliosi: questa è la vita reale? Non ci credo».
È anti tecnologica?
«No, ma questa mondo virtuale è una bolla che prima o poi esploderà. Siamo noi che dobbiamo gestire la tecnologia e capire che il cellulare è un supporto, e che non deve diventare vita. La vita è fuori, dobbiamo incontrarci di persona, annusarci, perché è tutto diverso».
Lei è diventata mamma molto giovane. Come si vive la maternità a 23 anni?
«La nascita di un figlio è pura magia. Quando l’ho avuta tra le braccia ero senza parole. Le prime settimane facevo fatica a staccarmi da mia figlia. Certo l’immensa gioia degli anni dell’infanzia, piano piano si mitiga perché iniziano le battaglie. Quando sono adolescenti e giovanissimi comincia il lavoro più difficile al mondo e ti ricordi le frasi di tua madre.. Oggi il rapporto con Swami è bellissimo, abbiamo superato l’adolescenza, c’è stato il conflitto e ora si sta ritrovando l’equilibrio. Da più di un anno lei vive da sola e inizialmente per me è stato un po’ un damma perché per 21 anni siamo state solo io e lei.. Io continuo ad avere il frigorifero come se fossimo in due.. Ma da qualche tempo mi sono detta : “Tornerò ragazza”. Bisogna trovare il lato positivo delle cose..».
Insomma non è tutto rosa e fiori diventare madri..
«Esatto...c’è troppa retorica sulla maternità: cos’ha di meraviglioso la gravidanza quando vomiti 24 ore al giorno? E non sono per niente d’accordo quando si dice che una donna non è completa se non ha un figlio. Non è così».
Cosa pensa di Giorgia Meloni premier?
«Indipendentemente dalle idee politiche avere una donna Presidente del Consiglio significa avere le stesse opportunità degli uomini. Non sono mai stata per le quote rosa, ma per la meritocrazia e sono molto contenta che si stia aprendo la porta verso il futuro delle donne».
Lei ha avuto dei compagni, ma si è sposata solo una volta: nel 2014 con Sebastiano Lombardi, direttore di Rete 4. Nel 2017 una dolorosa separazione.
«Sì, è stato un grande dolore la fine del mio matrimonio. Ci devi lavorare per capire che non è un fallimento. Io non mi ero mai sposata perché dò un grande valore al matrimonio. Per anni ho scelto di non sposarmi perché una vocina mi diceva di no, poi a 38 anni ho fatto il grande passo ben calibrato e non credevo potesse finire. Piangevo disperata chiusa in bagno per non farmi vedere da mia figlia, ma tanto i figli capiscono tutto».
Ora a che punto è della sua vita?
«Ho fatto quattro anni di analisi che consiglio a tutti, sono migliorata e cresciuta. Vorrei arrivare alla fine dei miei giorni capendo fino in fondo chi sono . Oggi la mia priorità è trovare la serenità e non è poco. Amarsi per le donne è difficile, è un’attitudine che arriva un po’ tardi. Ora ho una relazione che mi dà serenità e sono più centrata su me stessa».
Eleonora Abbagnato.
Eleonora Abbagnato: «La lettera di Federico Balzaretti che mi colpì. La madre biologica delle mie figlie? Aveva altro da fare» Valerio Cappelli su Il Corriere della Sera il 25 marzo 2023.
L’étoile Abbagnato si racconta: i figli, la danza, il marito Balzaretti ex calciatore: «A 14 anni ero già a Parigi, Carla Fracci mi incoraggiò». Dal 2015 è direttrice del corpo di ballo dell’Opera di Roma: «Per gli allievi deve essere anche psicologa. Ho ricevuto lettere anonime»
Eleonora Abbagnato è tutta fuoco. «Sono siciliana e sono un vulcano». Fino al 2021, è stata l’unica ballerina italiana (insieme con Carlotta Zambelli, ma in epoche remote) a diventare étoile all’Opéra di Parigi, che è il luogo dove è nato tutto, perché fu Luigi XIV a istituire la prima Accademia di danza. Lì si imparano lo stile, le posizioni, l’eleganza, il gusto, il vocabolario che nella danza è francese. Sul palco, gli incontri della sua vita sono due: Pina Bausch, che a 17 anni la scelse per La Sagra della Primavera, e soprattutto Roland Petit. Dal 2015 è direttrice del corpo di ballo dell’Opera di Roma. Ma continua a ballare, sarà in un gala il 20 giugno al Ravenna Festival, stella tra le stelle. «Le mie ballerine mi chiamano Wonder Woman».
Com’è entrata la danza nella sua vita?
«Mamma aveva un negozio d’abbigliamento a Palermo e non avendo dove lasciarmi, al piano di sopra c’era la scuola di danza di Marisa Benassai, mi lasciava lì. A 4 anni ero già attaccata alla sbarra».
E poi?
«A 10 anni ho iniziato uno stage importante a Montecarlo, all’epoca era una grande scuola, frequentata da Nureyev. Poco dopo Marisa mi disse che a Palermo veniva Roland Petit, il grande coreografo, per La Bella Addormentata. Cercava una bambina. A 14 anni sono entrata alla scuola dell’Opéra di Parigi. Unica italiana. Il livello era molto alto, la direttrice, Claude Bessy, mi disse, vediamo se resisti. Fu Carla Fracci a incoraggiarmi a studiare fuori».
Ha sofferto la solitudine?
«Sì certo, sono partita col cartellino col mio nome appeso al collo. Ma piangevo soltanto quando la sera non riuscivo a parlare al telefono con mia madre. Non c’erano i cellulari. Ricordo come fosse oggi la cabina telefonica. Io ero socievole, chiacchieravo con le altre allieve, mi attardavo nei corridoi. Così ero sempre l’ultima in fila indiana davanti alla cabina. E non riuscivo sempre a telefonare. Alle nove di sera dovevamo spegnere la luce, tutte a dormire. Quando racconto la vita che facevo ai miei figli, paragono la scuola dell’Opéra di Parigi a un collegio, che non va vissuto come una punizione. Io ho dei ricordi splendidi».
Il cigno nero è il film che ci ha mostrato che non sono tutte rose e fiori.
«Non amo quel film, non ha fatto bene alla danza, non fa innamorare i giovani al balletto. E dice delle falsità, succede una volta su mille che il maitre si innamori della ballerina. Ma è vero che la danza è un mondo a parte, pieno di ripicche e gelosie esasperate. Anche io le ho vissute».
Le mettevano il dentifricio nelle scarpette?
«Questo no. Ma ricordo che a un concorso due ragazzine entrarono in camerino e mi dissero per scherzo che non mi avevano preso. La mia maestra di Parigi mi bucava i glutei con l’ago perché inarcavo troppo la schiena, ce l’ho molto elastica. I grandi maestri entravano in classe col bastone: non per darcelo in testa, era il senso dell’autorità. Comunque intimorivano. Era un’altra epoca, oggi i maltrattamenti non sono lontanamente possibili, gli allievi, soprattutto in America, non puoi nemmeno toccarli fisicamente che ti arriva una denuncia. Ed è esagerato, il rigore devi spiegarlo nel modo giusto. Oggi una direttrice di ballo deve essere anche psicologa. Gli elementi negativi non sono gli allievi ma le madri. Ci sono protagonismi esagerati».
Cosa le è successo?
«All’Opera di Roma ho ricevuto lettere anonime. Poi ho avuto minacce di morte nei giorni in cui, usando dell’acido, bruciarono la faccia del direttore del Bolshoi. Non ero a Mosca ma ne rimasi emotivamente provata. Quando ero étoile a Parigi arrivò una lettera che diceva: liberiamoci della mafiosa siciliana».
Lei vive in una piccola tribù. Ha due figli, Julia di 10 anni e Gabriel di 8; più i due figli che Federico Balzaretti ha avuto nel primo matrimonio, Lucrezia ne ha 17 e Ginevra 14.
«Di Lucrezia e Ginevra non sono la mamma ma le ho cresciute io. È una storia particolare, Federico ha avuto l’affidamento esclusivo».
E la loro mamma biologica?
«Aveva altro da fare».
Vede le figlie?
«No».
Com’è crescere figli non suoi?
«È più difficile, hai il pensiero che magari fai qualcosa di male, o che fai mancare loro qualcosa. Le amo, è come se fossero figlie mie. Ma se non studiano mi arrabbio, se si comportano male le sgrido e tolgo il cellulare. Ho sempre amato i bambini, da piccola giocavo a fare la mamma, mio papà aveva sei fratelli e sorelle, famiglia siciliana numerosa».
La chiamano mamma?
«A me non piace che mi chiamino così, però sì la piccola mi chiama mamma, la grande mi chiama Ele. Aveva un anno e mezzo quando l’ho vista la prima volta. È legatissima a Federico, che è un padre fantastico. Ed è stato sincero fin dal primo giorno. La prima cosa che mi ha detto, il giorno che ci siamo conosciuti (attraverso Nino, un amico comune che fa il parrucchiere), è che la sua priorità erano le figlie. Io ero guardinga, era diventato padre così giovane, a 21 anni... Ho saputo dopo che per le figlie aveva rinunciato a trasferirsi al Milan e al Napoli. Federico lo risposerei ogni mese».
Il calcio le interessa?
«Ha sempre fatto parte della mia vita, mio padre era presidente del Palermo e mio zio direttore sportivo del Catania, mio nonno materno giocava».
E i suoi due figli?
«Siamo fortunati, tra loro quattro si amano, non c’è nessuna gelosia. Gabriel gioca a calcio nei pulcini della Roma, Julia è alla scuola di danza dell’Opera di Roma. Non è originale come percorso. Ha un carattere forte, è generosa, sincera, diretta. Ci somigliamo. Me la portavo in tutti i teatri, non so se poi farà la ballerina. Si è già lamentata di non essere al centro del palco. Le ho risposto che non lo ero nemmeno io, ho lottato per esserlo».
Ma essere al centro del palco fa sentire soli?
«Sì, esiste la solitudine dei numeri primi. A me prendeva quando dovevo ballare sapendo di non essere al top, o di dover interpretare ruoli che non erano così adatti a me. E tutti gli occhi sono puntati su di te, l’étoile. Gli altri mi vedevano così, però io certe sere davvero non mi sentivo pronta».
Con Federico è stato un colpo di fulmine?
«Secondo il nostro comune amico, siamo simili nel carattere. Vero, abbiamo gli stessi valori, è un uomo d’altri tempi, ma lui per temperamento è più riservato, io sono ordinata in maniera ossessiva. Se qualcuno mi sposta un oggetto vado fuori di testa, i vestiti nei cassetti sono disposti per colore, il rosso col rosso e via dicendo. Sono maniacale anche nelle docce: ne faccio tre al giorno».
Il primo incontro con Federico Balzaretti?
«È avvenuto a cena da me a Palermo, c’era anche mio padre. Ci siamo frequentati, dopo un anno mi ha chiesto la mano, nella mia casa di Parigi, a Montmartre. Aveva acceso non so quante candele. Io temevo che prendesse fuoco tutto».
Ride: «Ho detto subito sì, hai visto mai che non me lo chiedeva più».
Cosa la colpì di Federico?
«Una lettera. Quando morì mia nonna paterna, Eleonora, mi scrisse di capire la mia sofferenza, e che la famiglia era un punto fondamentale per lui. Ora fa il dirigente sportivo alla squadra di Vicenza, io vivo a Roma con i figli. Ci vediamo il fine settimana. Il problema è che non sono una che ama il telefono. Ci mandiamo tanti messaggi, anche per farci forza. Una situazione non facile».
Ogni tanto lei fa incursioni in altri mondi.
«Tutto quello che serve per diffondere la danza. Ho fatto l’attrice per Ficarra e Picone; in tv, Amici, Sanremo, Ballando con le stelle; ho partecipato a un videoclip di Vasco Rossi, lo ricordo seduto in un angolo, discreto, quasi intimidito. Non me l’aspettavo, mi ha sorpreso».
Ci sono ancora pregiudizi sull’omosessualità nella danza?
«Meno, ma non se ne vanno mai via del tutto. All’estero sono più avanti».
Riti e scaramanzie prima di andare in scena?
«Se non dormo venti minuti subito prima dello spettacolo, non riesco a ballare».
Sta parlando al presente, come se fosse ancora Giselle... Il suo addio alle scene di Parigi com’è stato?
«Lungo, direi che si è consumato in tre atti. Il primo anno c’era la pandemia e non si ballava. L’anno successivo in Francia c’erano gli scioperi dei gilet gialli. Il vero addio c’è stato il 30 giugno 2021, quando ho compiuto 42 anni. L’età della pensione all’Opéra di Parigi. Ho fatto una festa invitando parenti, amici, vecchi partner, insegnanti».
In Italia a che età si smette?
«A 46. Mi chiede se sono troppi? Un po’».
Com’è dirigere un corpo di ballo nel nostro Paese, dove i teatri per la danza sono sempre pieni ma riconoscibilità sociale pari a zero?
«A Roma è stato faticoso perché l’Opera veniva da un periodo difficile. Siamo ripartiti da zero, svecchiando, togliendo polvere al repertorio. Ma è interessante, c’è tanto da costruire, i grandi coreografi quando vengono non se ne vogliono andare. Sono riuscita a creare un corpo di ballo come volevo. La danza è la Cenerentola ma ha i più grandi successi, e con un pubblico giovane. Il sovrintendente, Francesco Giambrone, palermitano come me, mi conosce da quando ero bambina, quando parlo mi capisce, è una persona di grande cuore».
Ma è difficile smettere?
«Sì, molto, da un giorno all’altro ti chiedono di restituire la chiave della stanza in cui ci sono i ricordi di una vita».
Come si vede tra dieci anni?
«Mi è difficile pensare a una situazione senza un teatro».
Eleonora Daniele.
Estratto dell’articolo di Chiara Maffioletti per corriere.it il 2 maggio 2023.
«Io quella casa la sogno ancora oggi». Per capire chi sia Eleonora Daniele, serve più che mai partire dal suo passato, dalla casa dei suoi genitori, nella campagna veneta, dove è cresciuta, ultima di quattro fratelli. «C’era un glicine enorme in giardino, molto bello. Io e mio fratello Luigi ce ne stavamo spesso lì sotto... venderla è stato un dolore enorme, se potessi tornare indietro vorrei tanto salvarla».
Come mai avete dovuto farlo?
«Mio fratello Luigi (morto nel 2015, a 44 anni, ndr) era autistico. Le famiglie che conoscono la disabilità devono fare fronte a grandi difficoltà, anche economiche: mio padre non aveva avuto scelta, ma ha molto accusato questa decisione. La sensazione per tutti è stata quella di vedersi portare via le radici. Ma serviva anche un posto comodo, più vicino al centro, dove mio fratello potesse essere seguito meglio. Era l’unica decisione da prendere».
(...)
Come è arrivato lo spettacolo nella sua vita?
«Lavoravo in banca ma ogni tanto mi chiamavano degli show room del posto, per fare l’indossatrice. Poi, un’emittente locale mi scelse per fare delle interviste in video. Del tipo: c’è Renato Balestra che fa l’ospite in un locale, vai a intervistarlo. Avevo un accento veneto che poi, molto tempo dopo, ho tolto solo dopo cinque anni di dizione. Ma mi pagavano un sacco, almeno in proporzione, cioè rispetto a quello che prendevo in quegli anni».
C’è qualche incontro di quegli anni che ricorda in particolare?
«Mi viene in mente una delle mie prime interviste, a Nicoletta Orsomando, che per me era una specie di mito. Comunque non ho mai cercato questo mestiere, è arrivato».
La bellezza ha contato?
«Sono cresciuta con la sindrome del brutto anatroccolo».
Ecco, questo però è poco credibile.
«Ma è vero: venivo spesso presa in giro per il mio corpo. Ero molto magra, a volte mi mettevo addirittura due paia di pantaloni per sembrare più grassa: una tuta nera sotto i jeans per avere qualche forma in più. Poi mi coprivo le braccia, magrissime. Insomma, mi vergognavo. Non bastasse, anche che i ragazzi mi chiamavano Olivia o “alicetta”... mi dicevano che le mie sorelle, che hanno dieci anni più di me, erano belle e io no. Insomma, davvero, sono stata considerata per anni come una delle più bruttine della scuola».
(...)
Eppure poco dopo arrivò Miss Italia.
«Arrivavo sempre seconda. E succedeva sempre qualche imprevisto, ogni volta che dovevo partecipare alle selezioni. A me o a altri: si apriva una possibilità ma dovevo arrivare il giorno dopo in Sardegna, per dire. Poi ho partecipato al concorso nazionale come Miss Veneto, a Salsomaggiore».
La svolta però è arrivata con il «Grande Fratello». Era il 2001.
«Prima avevo lavorato come comparsa a “La sai l’ultima?”, con Gigi Sabani e Natalia Estrada, ma ancora credevo fossero esperienze momentanee: continuavo a lavorare in banca. C’era una mia collega che seguiva il “Grande Fratello” accanitamente e ricordo che pensavo fosse pazza per appassionarsi a quel programma. Non capivo il fenomeno. Poco tempo dopo mi sono presentata comunque ai provini».
Presa. E da lì la sua vita è cambiata.
«Subito dopo ho iniziato a fare le telepromozioni, per un paio d’anni. In quella occasione incontrai Mara Venier e fu molto carina con me: nelle promozioni mi avevano dato un altro nome, ma lei disse che non ero sbucata dal nulla, quindi dovevano chiamarmi con il mio nome. Una piccola cosa, ma importante».
Come fu visto nella sua famiglia questo grosso cambiamento nel suo percorso?
«Mio padre aveva qualche timore. Era un uomo legato alle vecchie tradizioni: per lui lo spettacolo era un mondo fatto di luci e pochi contenuti... in un certo senso potrebbe essere stato il padre di Checco Zalone nel film in cui gli ricorda l’importanza del posto fisso... lo ha fatto anche con me, che a vent’anni avevo il mio lavoro in banca. Non voleva, insomma, che partecipassi al reality. Per me, piuttosto, aveva altri progetti».
(...)
C’è qualcuno che l’ha aiutata a sentirsi più a suo agio nel suo ambiente?
«Sono molto affezionata a Luca Giurato. Ho vissuto con lui gli anni di Unomattina e mi ha insegnato che si può essere leggeri pur parlando di cose serie. Mi ha fatto conoscere questa doppia cifra, che aiuta quando fai intrattenimento. Tra noi era nata una complicità molto bella, ogni tanto lo chiamo anche oggi. Mi è rimasto molto nel cuore».
Altri incontri che le sono rimasti nel cuore?
FUNERALE COSTANZO GLORIA SATTA MARA VENIER AFEF ELEONORA DANIELE FOTO DI BACCO
«Gina Lollobrigida. Quando l’ho conosciuta la prima volta mi sono molto emozionata. Ed ero impressionata: una donna come lei, che aveva vissuto tutto quello che aveva vissuto, che aveva conosciuto chiunque, con mille possibilità, restava una persona assolutamente eclettica e, soprattutto, una donna indipendente, padrona di sé stessa. Per me questo suo animo è stato un grande insegnamento oltre che un esempio di emancipazione».
Crede che le donne debbano ancora faticare molto per raggiungere l’obiettivo della parità?
«Le donne sono vittime di continui pregiudizi e delle sottoculture maschiliste che ancora esistono. Anzi, con i social stanno dilagando. La donna deve splendere per sé stessa, che non significa altro se non essere sé stessa, a prescindere da quello che gli altri vorrebbero. Per me è questo il principio fondamentale da cui dovrebbe partire la rivoluzione di ognuna di noi».
Estratto da cinquequotidiano.it il 2 maggio 2023.
(…) Dal Grande Fratello è arrivata in Rai approfittando di molte amicizie politiche, seguendo il suo fiuto di sopravvivenza, prima ha militato ufficialmente nel centro destra, in particolare Alleanza Nazionale, indimenticabili le riunioni del gruppo An in Rai. Appena il centro destra ha perso, la bussola l’ha indirizzata verso altri lidi, Lega compresa, per pochi mesi però, per poi ritornare alla grande in An, non trascurando Forza Italia. Ci ricordiamo come Il Tempo quotidiano di Roma esaltò il pianto di gioia di Eleonora per la nomina del sindaco di Roma Gianni Alemanno (…)
Eleonora Giorgi.
Eleonora Giorgi: «Ho un tumore al pancreas ma posso operarmi». Redazione Spettacoli su Il Corriere della Sera venerdì 24 novembre 2023.
L’attrice ha raccontato il suo stato di salute a Myrta merlino a «Pomeriggio 5»
«Ora ho bisogno di voi, del vostro amore: mi hanno diagnosticato un tumore al pancreas. Ora comincia il cammino che condividerò con decine di migliaia di persone, la chemio, l’operazione, poi il ritorno: lo voglio viere in vostra compagnia». Lo ha rivelato Eleonora Giorgi, ospite di Myrta Merlino a Pomeriggio 5. «Quando ci siamo incontrate — ha raccontato l’attrice, 70 anni, parlando con la conduttrice — avevo appena fatto per un puro caso una tac, venivo da una biopsia che poteva anche voler dire un anno, e invece adesso è arrivata la risposta, sono qui come guerriera, la cosa positiva è che potrò operarmi». Ha sottolineato Eleonora Giorgi negli studi di Canale 5: «Non siamo superman, non dobbiamo vergognarci della malattia. Una cara amica, molto prudente e molto buona, mi ha consigliato di non dirlo: avrai le facce di circostanza, ti isoleranno, mi ha detto. E invece no: tutti noi non ci dobbiamo vergognare se ci sentiamo male. Magari tornerò qui con una parrucchetta — ha sorriso, ringraziando i due figli— per lo straordinario amore che mi hanno testimoniato, a un livello che non immaginavo».
Eleonora Giorgi e la malattia: «Due anni fa i primi sintomi, avrei dovuto approfondire. Ora con la chemio inizia la battaglia». Michela Proietti su Il Corriere della Sera il 27 novembre 2023.
L’attrice e il cancro al pancreas: l’ho scoperto in tempo per via di una serie di circostanze fortuite
Eleonora Giorgi, ha paura?
«Molta, mercoledì inizierò il ciclo di chemioterapia all’Humanitas di Milano. Mi hanno detto che con il primo potrei dormire anche per tre giorni, tanto sarà forte. Dovrò ripetere le terapie ogni 15 giorni. Ma ho deciso di combattere con determinazione».
Adenocarcinoma al pancreas. Come ha reagito a questa diagnosi?
«Con incredulità, credevo che avessi problemi polmonari. Sono stata miracolata, perché l’ho scoperto per tempo per via di una serie di circostanze fortuite».
Quali circostanze?
«Avevo un forte raffreddore, il 26 ottobre, 5 giorni dopo il mio settantesimo compleanno, mi sono ritrovata a fare la mammografia. In quel momento è arrivato un brutto colpo di tosse. “Già che ci sono farei una lastra”, ho detto all’ecografista. E quell’angelo: “Signora prenoti una tac”».
E cosa è successo?
«L’esame ha rivelato dei piccoli noduli, di cui due frastagliati. Lo pneumologo mi ha prescritto una Pet che ha portato alla luce il carcinoma al pancreas. Se i noduli ai polmoni fossero stati metastasi ora avrei un anno e mezzo di vita davanti. Invece la biopsia ha detto che dopo la chemioterapia potrò operarmi».
Il primo pensiero dopo quel «verdetto».
«All’inizio ho pensato in modo egoista che se dovevo morire, beh pazienza: ho vissuto una vita incredibile e invecchiare non mi piace per nulla. Poi mi sono guardata intorno e ho visto i miei figli Andrea e Paolo addolorati, ho sentito il loro grande amore: tra le cose positive di questo momento c’è l’essere al centro dei loro cuori».
Il tumore al pancreas è considerato uno dei big killer.
«Ho esorcizzato molte paure documentandomi subito, insieme ai miei figli. Scoprirlo per tempo è decisivo. E ovviamente ho esaminato gli altri casi noti, come quello di Fedez e di Steve Jobs. Mi ha sorpreso scoprire che Jobs per lungo tempo si è affidato a cure alternative. Io ho piena fiducia nella scienza».
È un tumore spesso silente, è accaduto anche a lei?
«No, io avevo avuto dei sintomi. Due anni fa gli esami di routine mi avevano diagnosticato una glicemia alta: i medici la imputavano a una dieta scorretta, io che mangio in modo così frugale! O in alternativa davano la colpa alla vita sedentaria del Covid. Per scrupolo avevo fatto un’ ecografia al pancreas che non evidenziava nulla: avrei dovuto approfondire. Sono qui per dire proprio di non trascurare nessun segnale».
Il suo stato d’animo sembra comunque sereno.
«Ho pensato che posso essere d’esempio agli altri. Anche durante le biopsie ho messo in atto le mie doti di attrice, come quando non dovevo neppure muovere le ciglia per sembrare morta. Sono stata così immobile che i medici mi hanno fatto i complimenti».
Perché ha deciso di parlarne pubblicamente?
«Myrta Merlino, poco prima dell’inizio della trasmissione mi ha fatta sentire benvoluta. Avevo quel macigno nel cuore e ho pensato: “Forse qui posso chiedere al mio pubblico tutto l’amore di cui ho bisogno”».
È stata criticata?
«Nessuno ha avuto nulla da ridire».
Tornerà in trasmissione per dare aggiornamenti sul suo stato di salute? «Sì, perché voglio dare coraggio a chi combatte come me, ci sono anche tanti giovani e questo mi addolora. Mi servirà anche per non buttarmi giù: perderò i capelli, le sopracciglia, ma quei momenti mi daranno il pretesto per truccarmi, indossare un turbante nero o una parrucca vaporosa. Sentirmi viva».
Ha parlato di giovani in cura, Fedez sta combattendo la sua battaglia.
«So che ha parlato di depressione. Come una zia mi piacerebbe incontrarlo per sorridergli e fargli sentire quella serenità che ho dentro. Vorrei ricordargli che ha costruito una famiglia meravigliosa e una grande carriera».
Certi amori non finiscono. Eleonora Giorgi, i 70 anni e la storia d'amore con Massimo Ciavarro. Il 21 ottobre 1953 nasceva Eleonora Giorgi una delle attrici più amate del cinema italiano. Negli anni '80 salì alla ribalta delle cronaca rosa per la sua storia d'amore con il collega Massimo Ciavarro durata fino al 1996. Novella Toloni il 21 Ottobre 2023 su Il Giornale.
Tabella dei contenuti
Rizzoli e il divorzio
L'incontro sul set
La vita in campagna
Il ritorno al cinema
La gravidanza e la nascita di Paolo
Il matrimonio
Il divorzio
L'affetto e la stima
La reunion nel 2020
Settant'anni fa nasceva Eleonora Giorgi, una delle attrici più amate e rappresentative del cinema italiano. L'esordio a soli 19 anni nel film "Roma" di Federico Fellini le ha spalancato le porte della cinematografia, dove ha rivestito ruoli iconici in film indimenticabili come "Nudo di donna", "Mani di velluto" (con Adriano Celentano), "Mia moglie è una strega" (con Renato Pozzetto) e "Borotalco" (con Carlo Verdone), che gli fa ottenere un David di Donatello e un Nastro d'Argento. Richiestissima anche in televisione, dove ha recitato in numerose fiction ("Festa di Capodanno" e "Lo zio d'America"), Eleonora Giorgi ha ottenuto riconoscimenti e successi nella sua lunga carriera, ma è anche per la cronaca rosa, che è stata molto amata dal pubblico. La storia d'amore con il collega Massimo Ciavarro, nata sul set di "Sapore di mare 2" negli anni '80, ha scaldato il cuore dei fan almeno fino al definitivo addio avvenuto nel 1996.
Rizzoli e il divorzio
Eleonora Giorgi ha 26 anni quando sposa l'editore Angelo Rizzoli, dal quale ha il primo figlio Andrea. La relazione però termina bruscamente quando Rizzoli finisce al centro dello scandalo P2 e viene arrestato nel 1983. L'uomo trascorrerà in carcere tredici mesi, ma nel frattempo l'attrice presenta le carte del divorzio. Il cinema è il suo rifugio in questo momento difficile e ottiene grande successo con "Grand Hotel Excelsior" e "Mani di fata" prima di essere scelta da Bruno Cortini per il sequel di "Sapore di Mare".
L'incontro sul set
È il 1983 e Eleonora Giorgi ottiene il ruolo di Tea Guerrazzi in "Sapore di mare 2 - Un anno dopo". Nel cast c'è anche Massimo Ciavarro, che recita il ruolo di Fulvio Comanducci, e tra i due - che per esigenze di copione amoreggiano sul set - scocca la scintilla. "Non la conoscevo, ma avevo visto sue foto. Mi piaceva tantissimo. Ero imbarazzatissimo ma mi colpirono le sue parole, mi disse di giocare e ridere", racconterà anni dopo Ciavarro, parlando del loro primo incontro. La passione li travolge ma Eleonora Giorgi è ancora troppo esposta a livello mediatico - a causa della vicenda di Rizzoli e del divorzio - per godersi il suo nuovo amore alla luce del sole.
La vita in campagna
Dopo avere finito le riprese di "Vediamoci Chiaro", nel 1984, Eleonora Giorgi decide di prendere le distanze dalla scena pubblica per fare calmare le acque. I guai giudiziari dell'ex marito, infatti, sembrano condizionarla e l'attrice si rifugia con Massimo in campagna, dove vive due anni lontano da tutto e tutti tra animali e vita campestre. Ciavarro apre addirittura un'azienda agricola e fino al 1986 la coppia rimane ai margini dello showbiz.
Il ritorno al cinema
Nel 1986 Eleonora Giorgi accetta di far parte del cast di "Giovanni Senzapensieri" e recita nel film per la televisione "Atto d'amore". La storia d'amore con Massimo Ciavarro prosegue spedita ma la coppia cerca di mantenere privato il sentimento, rimanendo lontana da gossip e pettegolezzi. Anche l'attore è molto impegnato e torna da protagonista al cinema nel film cult "Grandi magazzini" e in tv con "Affari di famiglia".
La gravidanza e la nascita di Paolo
Dopo avere recitato in "Compagni di scuola" di Carlo Verdone - è il 1988 - si parla di possibile matrimonio per Eleonora Giorgi e Massimo Ciavarro, ma i due preferiscono vivere la loro vita in campagna dove producono olio e allevano animali. "Preferivamo quello ai film", confesserà Ciavarro anni dopo. Alla fine del 1990, Eleonora rimane incinta e il 22 ottobre 1991 nasce Paolo Ciavarro. L'attrice si allontana nuovamente dalla scena pubblica per crescere il piccolo Paolo e godersi l'amore del compagno al riparo dalle attenzioni di paparazzi e curiosi.
Il matrimonio
A dieci anni di distanza dal loro primo incontro, Eleonora Giorgi e Massimo Ciavarro si sposano nel 1993. Le nozze sono private e non ci sono foto di quel momento, che vede partecipe anche il piccolo Paolo, che ha poco meno di due anni. Dopo le nozze l'attrice e Ciavarro tornano alle loro occupazioni, in campagna, ancora lontani dai set ma molto attivi nell'imprenditoria agricola tra serre, giardini e animali.
Il divorzio
Tre anni dopo, senza troppo proclami, i due attori si dicono addio. È il 1996 e Eleonora Giorgi e Massimo Ciavarro divorziano. La decisione, si scoprirà anni dopo, viene presa dall'attrice: "Tra noi è finita perché gli uomini dopo un po’ tendono a darti per scontata e a metterti su uno scaffale". Pubblicamente, però, la coppia non darà mai spiegazioni se non di recente. Per la Giorgi il 1996 rappresentata il fallimento coniugale ma anche il ritorno in tv con due serie "Uno di noi" e "Mamma, mi si è depresso papà" oltre a ricevere il Premio "François Truffaut" alla carriera al Giffoni Film Festival.
L'affetto e la stima
Nonostante l'addio Eleonora Giorgi e Massimo Ciavarro rimangono uniti. La stima e l'affetto reciproco non svaniscono. Si presentano fianco a fianco alla consegna dei Nastri d'Argento nel 2006 e tornano sul set insieme nel film "Agente matrimoniale". Nel 2009, quando la Giorgi dirige il suo secondo film da regista, "L'ultima estate", chiama l'ex per sostenerla e il film viene prodotto insieme a Ciavarro. La fine della relazione ha segnato, però, l'attore, che di recente ha confessato: "La nostra separazione è stata molto dolorosa. Dolorosa perché comunque avevamo fatto tanto insieme, debbo dire che ci ho messo del tempo per riprendermi. Sono stato parecchio male".
La reunion nel 2020
Massimo e Eleonora rimangono legati grazie al figlio Paolo, ma in televisione si fanno vedere di nuovo assieme e in sintonia solo nel 2020, quando il figlio partecipa al Grande Fratello Vip. I due attori sono ospiti di Domenica Live e alla D'Urso Eleonora Giorgi confessa: "Ci siamo lasciati ma dopo tre anni gli ho supplicato di tornare insieme. Non avremmo dovuto lasciarci". Gli anni d'oro dell'amore però sono tramontati. Lui oggi vive tra Roma e Lampedusa, dove ha un'attività turistica, e si dedica allo yoga. Al suo fianco c'è una nuova compagna, della quale però non ha rivelato l'identità. Eleonora Giorgi, che lo scorso anno ha partecipato a "Il cantante mascherato 3", è invece single e concentra le sue energie su sceneggiature e cinema. Novella Toloni
Da "Un Giorno da Pecora" mercoledì 18 ottobre 2023.
I miei 70 anni? “Ho avuto delle cose dalla vita talmente enormi che non posso certo lamentarmi, il bilancio della mia vita è sicuramente positivo, nonostante i miei errori. E a quest’età non me ne frega più niente delle cose inutili, penso solo a quello a cui tengo veramente”. A dirlo, ospite di Un Giorno da Pecora, su Rai Radio1, è l’attrice Eleonora Giorgi, che sabato festeggerà il suo compleanno raggiungendo un traguardo molto importante.
Quanti anni si sente? “Io me ne sono sempre sentiti 13 o 14. Per dire, io ero amica di Oriana Fallaci, una donna che più impegnativa non si può. Anche con lei mi sentivo un’ adolescente candida”. I 70 anni – hanno scherzato i conduttori di Un Giorno da Pecora - sono i nuovi 50? “Ho fatto solo uno di quei lifting che non ti cambia tanto, che ti mette solo un po’ in ordine. E se hai un viso non disperato, allora i 70 sono i nuovi 50 anni, almeno se stai bene di salute”.
Lei è stata uno dei più grandi sex symbol italiani. Quando lo si è lo si resta per sempre? “Assolutamente si. Pensate però che quando ho fatto il primo film io avevo baciato solo un ragazzo”. Visto che con l’ospite in studio, il leghista Romeo, si parlava di Ponte sullo Stretto, anche la Giorgi ha detto la sua sull’argomento. “Io lo farei - ha detto a Rai Radio1 Giorgi - ho tanti amici in Sicilia che vogliono muoversi più facilmente, magari andare a Milano a cercare lavoro e ora devono spendere 1000 euro di biglietto aereo. Questo non è accettabile”.
Dopo anni di conflitti, la Giorgi ha poi fatto pace con Eleonora. Redazione su L'Identità il 30 Aprile 2023
di FRANCESCO URRU
Nonostante gli anni siano passati, il cinema di qualità italiano per fortuna ancora ci accompagna. L’attrice che abbiamo incontrato è stato e resterà il simbolo di quel cinema, semplice divertente made in Italy. Ha fatto sognare milioni di persone con il suo sguardo ora si affaccia al mondo dello spettacolo con bellezza e maturità molto profonde, con tante riflessioni su di sé e sul futuro.
Com’è Eleonora fuori dal set e dal lavoro?
Bella domanda. Dopo 50 anni su 69 di vita pubblica, avendo iniziato la mia carriera a 19 anni, forse per 20 o 30 anni, “Eleonora” ed “Eleonora Giorgi” hanno convissuto in una maniera che dopo ho reputato sbagliata: è stato come se il titolare d’azienda e l’azienda conducessero lo stesso stile di vita. Poiché tu sei la tua stessa azienda, è difficile dividersi quindi per scelta da almeno 20 anni “Eleonora” ed “Eleonora Giorgi”, sono due entità distinte. Eleonora Giorgi è il prodotto dell’esperienza di una carriera lunghissima, di un rapporto meraviglioso e felice col pubblico, e racconta una storia che è passata attraverso i decenni, rappresenta qualcosa di storico; è molto attenta quando indossa i suoi panni in tv, sul set o quando presenta un festival. C’è un rapporto con gli altri, con la professione, con l’immagine pubblica quasi come l’impegno di un militare. Eleonora invece è una persona libera che fa i suoi sbagli, che comunque è dedita ad Eleonora Giorgi, è grata perché la Giorgi mi ha fatto passare con i suoi impegni una vita molto più interessante, talvolta più estrema, talvolta più sofferta rispetto a quella che avrebbe vissuto Eleonora!
Ora si dedica di più al suo nipotino…
No, il nipotino è arrivato da 14 mesi ed è il mio bene supremo, ma lavoro ancora: ho scritto un film su tema che mi sta molto a cuore: quest’estate elaborerò come libro. Ho scritto anche un format che ho presentato a una rete, ma non ti posso dire il contenuto.
Neanche un piccolo spoiler?
Riguarda un determinato argomento, una cosa che comunque sarebbe destinata sempre a un day time.
Che cosa pensa e spera di trovare dietro l’angolo Eleonora?
Penso che l’età ti porti ad essere più disincantata, ma volendo essere ottimista spero che dietro l’angolo ci sia il recupero della mia carriera di attrice, il recupero del rapporto col pubblico, il poter produrre il format di cui ti ho accennato, magari addirittura un amore. Invece quello che penso che ci sia è tanto complesso, ma che nel frattempo devo sapere apprezzare quello che c’è ovvero il quotidiano che è la realtà.
Si sente in corsa contro il tempo?
Assolutamente no, lo vivo serenamente, adoro stare nell’età che ho, perché mi sento molto più capace di fare e di pensare, ho il pregio di avere l’esperienza: questo non esclude la consapevolezza che il tempo davanti a me si sia molto accorciato.
La giornata tipo di Eleonora. Eleonora si sveglia e…
Faccio i miei esercizi di ginnastica, mi programmo entro sera di camminare; la mattinata cerco di non uscire mai, se non lavoro in TV. Poi ho tutte quelle che sono le routine abituali di chi non ha un compagno: io non condivido il piacere dei commercialisti, delle bollette, tutte le rotture di palle, le ho tutte io e ho ogni giorno queste pratiche. Normalmente esco verso le 14,30 e dedico il mio pomeriggio alle cose esterne che ho da fare, che includono talvolta tutti gli aspetti di Eleonora Giorgi, che possono essere i capelli vestiti, cose da mettere in ordine. Una parte del mio lavoro che è come quello di una costumista, quasi.
Si sente penalizzata ora rispetto al passato come attrice?
Penalizzata non è un termine giusto. Io ho una storia molto particolare che talvolta viene anche dibattuta, ma adesso sarebbe un po’ lunga, ma io sono sorprendentemente una che ha 10 anni di carriera favolosa che mi fanno entrare nel cuore degli italiani ancora dopo quarant’anni dalla produzione di un contenuto, di un patrimonio, cioè quei 40 film da protagonista. Alcune sono grandissime commedie, altre addirittura tipo, Borotalco, entrato nei migliori 100 film italiani. Quello è un patrimonio che è rimasto a disposizione del pubblico che ne fruisce ancora in TV dopo quarant’anni ed è pazzesco e che comunque quello che mi fa sentire oggi uguale a ieri, anche perché la mia giornata si svolge quando esco di casa in mezzo a un mondo che mi riconosce tutto ciò già sulla strada, appunto per me è una festa andare a prendere un caffè al bar.
Un film che vorrebbe rifare?
Se vuoi sapere qual è l’esperienza che rivivrei volutamente è Borotalco. La costruzione del personaggio, calarmi dentro fino in fondo al ruolo, è stato meraviglioso, tutto quel divertimento che c’è stato davanti e dietro le quinte. Io lavoravo già da 8 anni, avevo fatto grandi film da protagonista, ma non avevo mai lavorato coi miei coetanei. Con Carlo siamo stati alunni ed è stato fantastico. Cioè un’alunna con gli alunni in classe, capito? Non professori e presidi.
Che cosa teme Eleonora, cosa la turba?
Mi fa paura tutto quello, ho chiesto a paura a tutta l’umanità. L’incidente in agguato dietro l’angolo, un qualcosa di inaspettato, una malattia grave, una perdita della sussistenza… Non è qualcosa in sé, anche l’elenco le altre cose che neanche le posso dire nella vita può succedere tutto. L’imponderabile, mamma mia. Nel bene e nel male.
Visto che nella sua carriera ha fatto tutto, che ne direbbe di diventare influencer?
Quando ho iniziato la mia carriera, la scuola di pensiero di quel tempo era che il divo si nascondeva. Io cresco con intorno a me Monica Vitti, di Sordi, Manfredi, Tognazzi, Gassman, Mastroianni. Tutta gente schiva che non farebbe mai vedere il suo privato, eh. Poi è cambiato tutto. A me Instagram diverte. Esserci quando mi va. Se non mi va, non ho quella cosa professionale che invece il pubblico ha sui social. Non credo riuscirei a diventare un’influencer: ho quel senso del privato antico che mi ha forgiata, che per quanto mi son traghettata, comunque mi influenza e che forse è incompatibile con questa professione.
Estratto dell’articolo di Arianna Finos per repubblica.it il 10 aprile 2023.
Eleonora Giorgi si è appena trasferita nella nuova casa ai Parioli, nel salotto ancora gli scaffali da riempire e scatole di libri, al muro il ritratto di nonna Katò, bellissima signora bruna dai capelli corti. Un ritorno alle origini.
[…] Lei è andata a vivere da sola presto.
“Sì, e mi sono fidanzata a 14 anni. Il paradosso che io divento al cinema la Lolita nuda, ma in realtà avevo avuto un solo ragazzo, Gabriele. […] Ho saputo che esisteva l'omosessualità al mio primo film. […] Io, che non sono alta e sono formosa, esordisco fotomodella di taglie forti per Annabella”.
Il primo incontro al cinema con Fellini e Roma, 1972.
“Sì, ero andata a vivere con Gabriele, ci prendono nella scena dei motociclisti, sono un puntino tra gli altri in Piazza Euclide. Ma Fellini l’avevo incrociato ragazzina, […] voleva me e mia sorella per fare le ragazzine del suicida in La dolce vita. E un’altra volta sulla spiaggia, sempre con Gabriele, Fellini mi aveva predetto che avrei fatto cinema, mi aveva detto di andare a Cinecittà”.
Il debutto con Storia di una monaca di clausura, scritto e prodotto da Tonino Cervi.
“[…] Ho dovuto sostituire Ornella Muti, che era diventata famosa con il film di Damiano Damiani, era conosciuta anche in Spagna. Cervi aveva incontrato tutte le aspiranti attrici. Io andai per curiosità, per competizione con mia sorella, con il cappello di paglia e le zeppe, buffa, carina. Lui si incantò, mi chiese di fare questo provino, erano solo delle foto.
Mi fecero indossare il vestito di Charlotte Rampling, mito assoluto della mia generazione, di Addio, fratello crudele che a me non entrava, ricordo il momento umiliante con i costumisti che stringevano i lacci del bustino come dannati. E poi c’era la scena di spogliatoio, mi era chiaro che fosse una specie di allusione. […] Gabriele delle scene di nudo disse: 'Ma che importa, il mondo è cambiato'. Alla conferenza stampa sono spigliata, piaccio ai giornalisti. Poi partiamo per Londra, in moto, dieci giorni. L’esame era saltato per via del film. Torno e scopro che avrò un contratto per quattro anni.
Inizio Appassionata, il personaggio diventa una Lolita d'Italia. Da allora, mentre Gabriele resta ragazzo, io entro in un mondo di adulti. I set per me erano come stare con professori e preside, a scuola. Io e Gabriele ci lasciamo”.
Con Ornella Muti sul set?
“La prima vola che la vedo penso che sia la donna più bella del mondo, denti come perle, occhi pazzeschi, vestita firmata, mentre io sono una studentessa. Sul set c’è tra noi una sotterranea competizione per avere le attenzioni: Tonino era furbissimo, si divertiva come un pazzo, godendo nel dividerci. E il convento tutto costruito dentro al Palatino, il più bel teatro di posa del mondo. La mia vicina di camerino era Elizabeth Taylor”.
Com’era?
“Lontanissima. Dicevano fosse spesso ubriaca, sottobraccio con il produttore, ricordo un certo Peppe il Roscio, terribile: 'Elisabeth!', urlava e le pizzicava il fondoschiena. Quando facevo la principessa invece che la novizia volevo che lei mi vedesse con quei costumi […]'”.
Si lascia, poi c’è Alessandro Momo.
“La mia prima storia con uno del cinema, ma con origini comuni. All’epoca vivo da sola, lavoro tanto, sono introversa. Ma Alessandro è un ragazzo di questo quartiere, mio padre e suo nonno si conoscevano.
Lui aveva una Honda piccola, io avevo comprato la moto di Gabriele. Era un pazzo vivacissimo. Lui girava Profumo di donna, ero in casa e mi sento chiamare dal cortile, è lui: 'Sono venuto a fare un giro'. Era venuto via dal set perché in quel mondo maschilista che c’era allora avevano sfottuto una comparsa, la 'comparsaccia', una vecchia signora procace,e a lui questo non era piaciuto.
Poi io parto per Londra con degli amici del cinema, serate, sfilate di moda…torno, avevo prestato la moto ad Alessandro. Lui mi dice 'vado a lezione, poi te la restituisco'. Sto da amici, ma mio padre mi trova: 'Alessandro è caduto dalla moto, corri al Santo Spirito'. Arrivo che c’erano solo i genitori, lui era morto, me lo hanno fatto salutare. Un grandissimo trauma”.
Una crisi profonda, la droga.
“La morte di Alessandro, la solitudine, è stato troppo. Ma entra nella mia vita Angelo (Rizzoli ndr): ho sempre sognato con i libri, ho avuto sempre un senso romantico della vita e lui un angelo lo diventa davvero. Aveva anche profondi problemi. Ma siamo stati felici. La grande crisi è il risveglio con la Finanza in camera da letto. E quello che mi hanno fatto dopo…io sono una donna fiera, umile ma fiera. Non voglio il ritratto di una persona che ha subito torti gravi. […]”.
Prima delle cronache giudiziarie eravate una coppia socialmente molto corteggiata.
“Sì, ne ridevamo, lui era più riservato e introverso di me. Poi sono successe cose molto pesanti. Ho passato gli ultimi trent’anni a ricostruire tutto quello che è successo davvero. Alla fine di quell'anno tragico, di arresti, in cui io scopro un mucchio di follie di cui non mi va di parlare […].
[…] Perché il suo è stato uno dei primi esempi in Italia di un'operazione economico politica che ha usato un braccio giudiziario. […] Alla fine di tutto questo è chiaro che io sono bruciata, e dico ad Angelo di ricominciare. […] Ho mantenuto un rapporto grande con il pubblico che mi ha scelta brillante, ottimista, buona, senziente, un po’ ingenua. Tra tutti i miei film amati c’è questo personaggio. Faccio cinquant’anni di carriera a giugno, da quell’esame mancato, dal primo set”.
[…] Torniamo ad Angelo Rizzoli.
“[…] Dopo la vicenda giudiziaria lui si lega a Berlusconi. Io gli faccio questo ultimatum. Così mai più. Perché io vedo che tutto ricomincia, uguale come prima. Ma non avevo capito, non ero abbastanza matura, che quella era l’azienda di suo nonno e c’era stato un furto e uno smacco, perché le testate erano fiorenti, l'azienda non aveva dei buchi, c'erano dei buchi per i soldi da dare ad Agnelli, avevano comprato sto maledetto Corriere della Sera, ma l'azienda era sana.
I politici tornavano nella nostra villa, vivevamo al di sopra delle nostre possibilità e io non volevo. Io dicevo prendiamo una casa a New York, nascondiamoci, inventiamoci una nuova vita, lui mi disse che ero una piccola borghese. 'Io non accetto critiche da nessuno, meno che mai da mia moglie, la porta è quella, se vuoi'. Non era vero, ma io ne ho approfittato. Perché non potevo, non volevo. Però a me lui è mancato. Siamo rimasti molto legati”.
[…] Rimpianti o pentimenti?
“Mi sono divertita a stilare mentalmente un elenco di tutte le volte che ho detto no a uomini considerati fantastici, da Alain Delon a Jack Nicholson fino ad Alberto Moravia. Mi sono detta: ma perché ero così? Perché tutti quei no? Ero traumatizzata dal fatto che al cinema mi avevano trasformato in un oggetto del desiderio.
Alla fine ho avuto un numero di uomini piccolissimo. Perché avevo paura di essere usata, perché probabilmente ero immatura. Adesso mi sono pentita di avere avuto sempre paura del sesso e degli uomini e quindi poter dire sì solo con il grande amore, sennò no. Ho capito troppo tardi che avrei dovuto avere lo stesso coraggio da esploratrice che avevo nella vita, anche con gli uomini. Chiedo scusa a tutti loro perché sono stata una stupida”.
A Warren Beatty ha detto sì.
“Grande seduttore, una di quelle persone che usano armi psicologiche, adorano il narcisismo, la seduzione. Era un incredibile uomo di charme, ti faceva parlare, e aveva abitudini riservate, come me.
I nostri vicini a Los Angeles erano Marlon Brando e Jack Nicholson. Brando non l’ho conosciuto, mentre un pomeriggio arriva una spider e un tizio con gli occhiali scuri e la camicia hawaiana, era Nicholson. Devo dire che lui si era fatto avanti quando non stavo più con Warren.
[…] Un ricordo bello fu quando Warren volle mostrare a un gruppo di amici Borotalco, ero stata premiata a Montreal. Ma, quando inizia la proiezione mi accorgo che la copia mandata da Cecchi Gori non ha i sottotitoli. Sobbalzo, ma Jack mi fa un cenno. Si guardano il film facendosi molte risate. 'Fantastico'".
Il film in cui si è piaciuta di più?
“Sicuramente Borotalco, l'unico dei miei film dove io, grazie alla fiducia di Carlo, che era un coetaneo, non avevo più 'presidi' e 'professori', ero con la mia generazione. Sicura di me ho costruito il personaggio, dentro e fuori, usando persino le mie scarpine turchesi…”.
[…] L'incontro con Massimo Troisi?
“Sì, una storia d’amore breve, ai tempi di Non ci resta che piangere […]. Dopo la separazione da Angelo, in uno stato emotivo particolare, accetto un invito di un operatore turistico insieme a mezzo mondo del cinema.
[…] Una mattina Massimo mi racconta: 'Ho fatto un sogno bellissimo, ero su un’isola, io e mille donne belle e disponibili'. Rispondo: 'Io invece vorrei stare su un'isola col più figo del mondo che non mi vuole…'. Era poetico, pigro, spiritoso, sempre con Sergio Leone, in caftano, al bar. Io e la Muti siamo le attrici più giovani ad aver visto quel cinema.
Ecco perché dopo Borotalco sono rimasta senza fiato per il fatto che Verdone non mi avesse richiamato. Pensavo a noi come a una nuova coppia comica, Sordi-Vitti, anche se loro sono irraggiungibili. Quando gira Io e mia sorella con Ornella Muti ero in Inghilterra, resto ferita, è spaventoso per me. Il personaggio di ragazzina rock, quello del film, ero io. Ho girato Compagni di scuola, un piccolo ruolo dopo quaranta film da protagonista. Mi sentivo mortificata ma non l’ho mostrato. Bisogna essere umili”.
Adriano Celentano?
“Uno degli uomini più sexy mai incontrati. Quando ho fatto il film con lui ero incinta e innamoratissima di Angelo, ma quando entra nella stanza sono comunque colpita dal suo sex appeal animalesco, che prescinde la sua volontà. Lui un lento, una bionda che parla veloce, personaggio che ho usato sul set anche con Pozzetto, Dorelli, Villaggio…”.
Massimo Ciavarro, Sapore di mare 2.
“Ci conosciamo sul set di Sapore di mare 2, io penso ad altro, la crisi con Angelo. A Forte dei Marmi in roulotte, bussa il regista ed entra con questo angelo, un putto, saltella da una gamba all'altra. Prima di uscire mi sussurra 'ahó io non te garantisco niente, le battute ecc'.
L’ho amato, nella sua paura di sbagliare. La nostra scena culto è 'pizza fredda e birra calda', mi fanno tutti la battuta. L’ho amato non da cotta, quasi da sorella, non che non ci fosse il sesso, ma l’affinità, era un’oasi di verità, semplicità, di valori basici, sani. Siamo stati insieme dieci anni, a un certo punto mancava il romanticismo.
Dopo che ci siamo lasciati, poi abbiamo fatto una piccola casa di produzione insieme. Lui mi odia per questo, perché effettivamente non era più il tempo dell'artigianato artistico. E poi è sparito di punto in bianco, per sempre, dalla mia vita. Lo vedo ogni tanto perché è nonno, ci sentiamo pochissimo. È la sua natura, è tenebrosissimo”.
Andrea De Carlo?
“Era il ragazzo che avrei dovuto incontrare dopo Gabriele, un’affinità creativa pazzesca. […] Durata sei anni, ma lui con un piede dentro e uno sul pianerottolo. [..] Ero divisa tra lui e i figli, non avevo tempo per me. Non c’era parità, ne ho sofferto”.
Oggi?
“Non ho un compagno. Anche perché secondo me, nonostante stia tutto cambiando molto velocemente, esiste una figura discriminata e non prevista del decreto Zan, che è la donna sopra i 60 anni, di cui tranquillamente Dagospia può scrivere 'le carampane' o ' le vecchiacce'. Una sessantenne non è una merce sul mercato dell’amore. Ci avete allungato la vita ma dobbiamo fare trent’anni da vedove". […]
Eleonora Giorgi, dalle origini dei genitori all’uso di cocaina. Sette curiosità su di lei. Federica Bandirali su Il Corriere della Sera il 29 Gennaio 2023.
E’ una delle attrici del film “Mia moglie è una strega”, grande successo del piccolo schermo. Oggi è anche regista e sceneggiatrice molto amata. Ma anche nonna del piccolo Gabriele
Gli esordi
E’ Eleonora Giorgi, 69 anni, una dei protagonisti del film “Mia moglie è una strega” (stasera su Cine 34 alle 20.55), grande successo del piccolo schermo. Oggi non è solo attrice, ma anche regista e sceneggiatrice molto amata. Ha esordito sul grande schermo in “Roma” di Federico Fellini, per poi diventare un sex-symbol negli anni ’70 ma il ruolo che la consacra al grande pubblico è quelli di Nadia Vandelli in “Borotalco” di e con Carlo Verdone.
Con Malgioglio
Nel 1981 incise un 45 giri con un testo scritto da Cristiano Malgioglio: il titolo era “Quale appuntamento”.
Figli
Ha due figli, Andrea nato nel 1980 dal matrimonio con l’editore Angelo Rizzoli, e Paolo – classe 1991 – nato dalla relazione con il collega Massimo Ciavarro conosciuto sul set di “Sapore di mare 2” e sposato nel 1993. Proprio Paolo l’ha resa nonna con la nascita del nipotino Gabriele, avuto dalla showgirl Clizia Incorvaia.
Le origini
Eleonora Giorgi è nata a Roma nell’ottobre del 1953: ha origini inglesi da parte di padre e ungheresi da parte di madre.
Momenti difficili
Nel 1974 viene indagata dalla Procura per incauto affidamento a seguito della morte del collega e fidanzato Alessandro Momo che perse la vita alla guida di una moto che l’attrice all’epoca 21enne gli aveva prestato. Da quel momento, per sua stessa ammissione, Eleonora Giorgi diventa dipendente dall’eroina fino all’incontro con Angelo Rizzoli che le salva la vita.
La rottura con Ciavarro
Per Massimo Ciavarro è stata dolorosa la rottura dalla Giorgi, come ha raccontato lui stesso a : “Oggi è un altro giorno”: “Non è stata una mia scelta” – ha spiegato Massimo – “Ad un certo punto, dall’oggi al domani, lei ha deciso che nel rapporto non trovava più quello che pensava dovesse esserci”.
Grande amica di Dalla
E stata grande amica di Lucio Dalla: “Lucio manca disperatamente in termini artistici, culturali e soprattutto d’amore. Perché stiamo vivendo cose troppo pesanti e Lucio era il cantore della nostra anima” ha detto in una recente intervista
Elettra Lamborghini.
Estratto dell’articolo di Giovanna Cavalli per il Corriere della Sera il 18 Settembre 2023
Bella com’è, sostiene che: «A casa sono un cesso fotonico».
«Verissimo, sorella. Vuole sapere come sto adesso mentre parliamo al telefono? Calzini bianchi sporchi di terra, perché sono uscita in giardino. Pantaloncini con seduta da ciclista che sembra porti il pannolone. Toppino sudato, prima mi sono allenata. In cucina, con una coperta addosso e il braccio a mollo nell’acqua ghiacciata perché ho la tendinite e mica guarisce, eh, fa così male che me lo staccherei, santa Maria!».
(…)
Già che ci siamo riassuma pure quanti piercing e tatuaggi si porta a spasso.
«Mmm… oddio. Uno, due, tre… quindici piercing dermal, che non si tolgono, altri invece li ho sfilati, non ne ho più tanta voglia. E i tatuaggi saranno una decina, alcuni pure sbiaditi. Quello che non cancellerei mai è il leopardo sul sedere, è iconico, poi farebbe troppo male».
Di secondo nome si chiama Miura, come la celebre Lamborghini coupé del 1966.
«Prima lo usavo, ora l’ho tolto, fa confusione. In famiglia abbiamo tutti il secondo nome di una macchina, sono nata così, non gli do peso, per me è come chiamarmi Francesca».
(...)
È apparsa nel 2016 in «Super Shore», poi il docu-reality «Riccanza» su Mtv, subito regina dei social, primo singolo «Pem Pem» (2018) doppio disco di platino, video da 160 milioni di visualizzazioni: partenza bruciante, come il leggendario motore V12 della Miura.
«Purtroppo questo non mi ha aiutato, quando le cose vanno troppo velocemente finisce che non ti godi niente. Avrei avuto occasioni anche prima, però non avevo il pezzo giusto ed ho aspettato. Sono testarda, finché non ottengo quello che voglio ci sbatto la testa pure mille volte. E non sono mai contenta. Appena conquisto un obiettivo, me ne pongo subito un altro. Se mi guardo indietro, però, vedo che ho fatto una bella strada. Avrei dovuto fermarmi, qualche volta, e darmi più pacche sulle spalle».
Adesso è uno dei quattro giudici a «Italia’s Got Talent» su Disney +. Il suo talento qual è?
«Non voglio elogiarmi da sola, ma credo che la mia dote principale sia arrivare dritta alle persone. Il carattere è la fonte del mio successo».
Finora è stata buonina con i concorrenti.
«Perché nessuno ha fatto una performance così di m..., glielo avrei detto alla grande».
Qualcuno ha mai stroncato lei?
«Qualche no l’ho preso, sempre motivato. Mi ha ferito però mi ha pure rafforzato. “Ora ti faccio vedere io”. E ripartivo».
L’ereditiera più amata dagli italiani.
«Non penso che la gente mi veda più così, non sono qui solo per il mio cognome pesante, voglio avere una mia identità. Non mi sento né ricca né famosa, per me tutte le persone sono uguali su questa terra. Quando mi fermano per strada o mi guardano sbalorditi, non lo capisco. Vorrei dirgli: “Ehi, sono proprio come voi eh”. Mi metterei seduta a parlare con tutti».
Sul web le tocca la sua dose di odiatori.
«Qualche giorno fa avrei voluto rispondergli per benino, ma il mio ufficio stampa non sarebbe stato contentissimo. Con la fama è compreso anche questo, ti ci devi abituare. Certo che il mondo sarebbe più bello se ognuno si facesse i cavoli suoi. Sono sensibile, ci resto male. Prima magari pubblico una storia “cazzuta”, poi la notte ci ripenso e mi sento giù. Fortuna che i miei hater non sono tanti».
Perché le piace tanto il twerking?
«Mah, ho vissuto in Messico e in America Latina, lì è un ballo normale, non c’è niente di volgare. Dipende se uno shakera bene le chiappe. Io porto una calza a rete, così il fondoschiena non si muove molto. I bambini — a cui piaccio tanto — non ci vedono niente di strano».
(...)
Di sé dice: «Sono una bonacciona».
«Sì, totale. Oh Gesù, credo di avere un buon carattere, tranne la poca pazienza, specie nel lavoro. Non vivo bene i tempi morti. E sono schietta, pure troppo. Dovrei rilassarmi di più».
Sui social mette foto super-sexy.
«Chi guarda solo quelle si fa una certa idea. Ma chi vede anche le mie storie conosce un’altra Elettra, che di sexy non ha niente. Cucino, taglio i cespugli in ciabatte».
Si pente di qualcosa fatta o detta?
«No. Ovvio, avrei voluto non fare certe cose, ma sono anche quelle che mi hanno portato ad essere la Elettra che sono oggi».
Cosa la fa arrabbiare?
«I social mi vanno sempre meno a genio. Siamo diventati una massa di pecoroni. Mi preoccupa la negatività, la cattiveria, non la capisco».
Nel 2020 a Sanremo con «Musica (e il resto scompare)».
«Santa Berenice, che stress! Mi hanno messo addosso troppa ansia: “Oddio, oddio, il Festival”. Di solito sono a mio agio, mi piace un sacco. E di palchi anche più grandi ne avevo già calpestati. Lì invece ero una pecorella spaurita, ho preso l’influenza, facevo l’aerosol. Insomma, potevo fare di più. Ho una canzone molto bella, se dovessi tornarci quest’anno, porterei quella».
Statua al Museo delle Cere di Amsterdam.
«Le hanno cambiato abito, l’altro è in manutenzione, perché cercano tutti di spogliarla e toccarle le tette. Pare che porti bene, come pestare gli attributi del Toro in Galleria a Milano».
Santa Maria, Santa Berenice.
«C’è anche Sant’Alò “che prima morì e poi si ammalò”. Un intercalare molto bolognese. Sono credente, forse non dovrei usarlo».
Il 26 settembre fa 3 anni di matrimonio con il dj Nick van de Wall, ovvero Afrojack.
«Incredibile, il tempo passa veloce, sembra ieri. Festeggiamo in Svizzera, in un centro detox, sì fa ridere. Niente telefonini. Si mangia poco e niente. Le coppie che riescono a non litigare significa che sono davvero molto affiatate».
Come vi siete conosciuti?
«A un Festival, suonavo prima di lui, ci hanno presentato. Ero concentrata sulla carriera, a sposarmi a 26 anni non ci pensavo proprio, magari a 36. Non avevo mai avuto storie serie. Il primo ragazzino al liceo, è durata un anno, poi basta, non mi sono più interessata all’amore».
E invece?
«Con Nick l’ho capito subito, è vero, succede così, ho deciso che volevo stare con lui».
«Buoni come lui non ne fanno», ha detto.
«Ed è vero. È buonissimo, paziente, ci siamo incastonati perfettamente. Tranquillo. Non mi piace uscire la sera, sono stanca, molto zen, non festaiola,vado a letto presto. Con lui posso essere me stessa, il nostro è un amore come tra padre e figlia, non platonico, ma incondizionato, gli voglio bene a prescindere».
Un difetto lo avrà pure lui.
«Ma no, ognuno ha il suo carattere. Disordinato, ritardatario, ma lo sono tutti gli uomini, allora anche io faccio la doccia che dura tre anni, se guardi queste cose non vai da nessuna parte».
Al suo compleanno gli ha promesso: «Farei di tutto per renderti felice».
«Ed è così. Vedendo quanta gente si lascia ci resto male. I miei nonni sono stati insieme 50, 60 anni, vorrei arrivarci anch’io».
Non è gelosa.
«Non me ne dà modo e nemmeno io. Non mi approccerei a un altro uomo nemmeno se mi pagassero, non me ne frega niente, ma era così anche prima di Nick, sto bene con i miei amici, i miei cani, i cavalli, i miei fan».
Tempo fa gli regalò un alpaca.
«Cloud, è ancora qui in giardino, Nick è stato molto contento. Non è tanto affettuoso ma ogni animale ha un suo linguaggio».
Ha realizzato i sogni o gliene restano ancora?
«Una marea, sorella, però non le posso dire quali, sennò non si avverano. Senza sogni non ci sarebbe la motivazione per vivere. Come non potrei mai stare senza lavorare. Un giorno, quando avrò meno pensieri e sarò più vecchietta, vorrei aprire una scuola per i bambini. O aiutare cani e gatti randagi».
Elettra Lamborghini: «Non mi sono mai arresa e ho dimostrato che non sono figlia "di"». Francesca Angeleri su Il Corriere della Sera il 2 Giugno 2023
Il nuovo album, il concerto a Collegno, il pensiero all’Emilia Romagna
Buona Festa della Repubblica. E soprattutto buona estate che è ufficiale, comincia già oggi, perché esce Elettraton, il nuovo album di Elettra Lamborghini. Un disco di inediti, il suo secondo in una carriera dove la cantate ha collezionato 1,6 miliardi di stream nel mondo, 500 milioni di visualizzazioni su Vevo/YouTube e 7,2 milioni di follower su Instagram. Contiene il nuovo singolo Mani in alto che da oggi si ascolta in tutte le radio oltre al brano A Mezzanotte, pubblicato a dicembre. Le dieci tracce sono scritte e prodotte con grandi nomi della musica italiana e internazionale come Villabanks, Shablo, Davide Petrella, Giordano Cremona, Riccardo Scirè, Jacopo Ettorre e la star spagnola Chema Rivas. La tournée tocca anche il nostro territorio: lunedì alle 18 si esibirà al Centro Commerciale Piazza Paradiso di Collegno.
Da Sanremo a oggi, con molti estimatori e anche tanti detrattori, fino al secondo album. Ha tenuto duro?
«Non mi è pesato tanto. Sapevo che ce l’avrei fatta, sono una ragazza che sa cosa vuole e ci sbatto anche la testa un milione di volte».
Ha carattere.
«Direi di sì. Sono una persona buona, ma non mi faccio mettere i piedi in testa da nessuno. Ho ricevuto un sacco di no, ma li ho presi tutti come uno sprone a migliorarmi sempre di più».
Dedicato ai tanti giovani che la seguono: come si trasformano i rifiuti in energia positiva?
«Non è sempre facile. Ma credo che tutto veramente parta dal carattere. Io sono fatta così, quando ricevo un no, subito cerco di pensare positivo. Mi dico: si vede che deve arrivare qualcosa di più bello. Per far sì che accada, cerco di migliorarmi oltre che analizzare cosa può esserci dietro».
E cosa c’è dietro?
«Magari la gente pensa che io non sia abbastanza preparata… Spesso c’è che le persone sono un po’ stronze. Allora mi metto nella posizione di: ti faccio vedere io che sono capace di spaccare tutto».
Ci descriva questo nuovo disco.
«È un album in cui metto nero su bianco la mia genuinità. È una musica che fa parte di me, sono canzoni felici che rappresentano la vera Elettra, senza brani “arzigogolati”. Sono pezzi nati per divertirsi. E credo si sentirà tantissima differenza tra questo e il primo album».
In cosa differiscono?
«Nella qualità del suono e della voce in particolare».
Crescendo professionalmente è cresciuta anche personalmente?
«La crescita artistica corrisponde sempre al sentirsi bene con se stessi».
Dietro di lei aleggia una sorta di pregiudizio legato alla sua famiglia, ai suoi privilegi.
«Lo so e non me la sono mai presa, infatti, per quei no che mi arrivavano. Mi chiedevo il perché e poi mi rispondevo: “Ok, è perché sono figlia di”. Mi sono messa l’animo in pace e buttata a capofitto per migliorare. Sono una persona fortunata, faccio il lavoro che mi piace, mentre sono in tanti che, invece, sono obbligati a fare cose che non amano. Non posso che essere grata e dare tutta me stessa per stare bene».
Cosa ama della musica?
«Il reggaeton è quella in cui mi riconosco di più. Quella in cui mi esprimo al meglio perché mi mette allegria, voglia di vivere, positività. La ricollego all’estate, a un drink sulla spiaggia».
Anche alle spiagge della sua Romagna?
«Sicuramente. Amo la mia terra. Vedo i video di queste persone che hanno una forza incredibile e gli sono vicina. Quando ero piccolina ci pensavo: “E se venisse un nubifragio a Bologna?”. Poi mi mettevo tranquilla pensando che l’acqua sarebbe scivolata giù dai colli. Sono orgogliosa della mia gente».
Ha un brano preferito dell’album?
«Il quarto, Travesuras, che è anche un po’ diverso dal mio genere solito. È più romantico».
Come sarà questa lunga tournée?
«Secondo me l’anno prossimo me la copieranno tutti, abbiamo molti ballerini e mascotte. Dietro c’è un grande team, dal coreografo alle luci. È un tour serio».
Estratto dell’articolo di Silvia Fumarola per “la Repubblica” il 30 maggio 2023.
Per lei vale la frase pronunciata da Jessica Rabbit: «Io non sono cattiva, è che mi disegnano così». Perché Elettra Lamborghini, 29 anni, faccia da bambina e corpo da pin-up, è una strana creatura. […] Il 2 giugno esce il nuovo disco Elettraton (da Elettra più reggaeton, la sua passione), poi partirà col tour estivo.
[…]
Tra le sue fan ci sono anche ragazzine molto piccole. Si è chiesta perché?
«Perché sono solare, senza peli sulla lingua. Non giudico e non ho tabù. Sono come mi si vede. I bambini non li freghi, capiscono se sei vera. Avevo pubblicato un video con i bimbi che mi parlano e mi saltano addosso come se fossi la loro sorellina o, meglio, sorellona. Gli piaci o non gli piaci, io sono genuina».
Faccia da bambina, corpo sexy: come vive il contrasto?
«Se vede le mie foto sui social sembro un puttanone, diciamolo. Mi piace fare la sexy ma se apro la bocca, di sexy o di malizioso in me, meno di zero. Magari una persona che mi vede per la prima volta, e non sa chi sia, dice: è una bomba sexy. Ma appena parlo si capisce che non sono una gattamorta che gode perché ha la fila di ragazzi».
Tornerebbe a Sanremo?
«Fino a un po’ di tempo fa le avrei detto di no. Me l’hanno pompato troppo, ci sono anche rimasta male, non l’ho vissuto bene, avrei potuto essere più rilassata. Il palco è casa mia, invece sono entrata come un agnellino indifeso. Però ho una canzone molto bella e mi sono ritrovata a pensare: con questo pezzo andrei a Sanremo. Chissà».
Appartiene a una famiglia di imprenditori, i suoi cos’hanno detto della sua scelta? «Inizialmente non capivano come funzionasse il mondo dello spettacolo. Specie in televisione uno può dire: oggi ci sei, domani no; è lecito avere dubbi. Si sono fidati di me e della mia determinazione: voglio arrivare qui e là, in due anni ce la faccio. Hanno visto che ho le palle».
Si è pentita di aver fatto “Riccanza”, in cui ostentava la sua ricchezza?
«Non mi pento di niente. Ero me stessa e non ne sono uscita male. Mi sono fatta conoscere».
[…]
Si è pentita dei tatuaggi?
«Eccome. Se avessi un figlio lo sconsiglierei, oddio non voglio fare la boomer.... Perché un tatuaggio è una maniera di esprimere chi sei, di essere particolare. Ma sì, sono pentita, li sto tirando via tutti e fa male. Non posso strapparmi la chiappa. Cosa vuole che le dica, papà mi aveva avvisato: “Poi te ne penti”» .
È giudice di “Italia’s got talent” e conduce “Only fun” sul Nove: le piace fare televisione?
«Tantissimo, perché mi piace far ridere. Sto al gioco. Sono entusiasta dei numeri che stiamo facendo con i PanPers, sul Nove. In questo genere di programma in cui vince l’ironia mi sento a casa, sarà la mia strada. Anche fare la giudice mi diverte, ma non mi piace illudere le persone. Preferisco dire un no con un bel sorriso».
E a lei hanno detto no con il sorriso?
«Una marea di no. Ogni tanto mi sono detta: “Mollo tutto”. Ma non mi appartiene, bisogna sempre trovare la motivazione. Quelli che ce l’hanno fatta non si sono arresi. Ci vuole costanza, fino alla fine».
Suo marito Afrojack le dà consigli?
«Appena ho un pezzo glielo faccio sentire, ci aiutiamo molto. Fino a quando non l’ascoltano tutti, non sto tranquilla. Ho un gruppo a cui faccio sentire le canzoni, di cui fa parte anche mia mamma. Conto i sì e i no».
[…]
Elisa Isoardi.
Elisa Isoardi compie 40 anni: il fratello eremita in montagna, perché fini l’amore con Salvini e altri 8 segreti su di lei. Arianna Ascione su Il Corriere della Sera il 27 Dicembre 2022
La conduttrice, attualmente al timone di Vorrei dirti che... su Rai 2, è nata il 27 dicembre 1982
Ha un fratello più grande di lei
Originaria di Monterosso Grana, paesino di 500 anime nel cuneese, Elisa Isoardi oggi compie 40 anni. Forse non tutti sanno che ha un fratello maggiore, Domenico, che ha sette anni più di lei e vive da eremita, «in una casa senza tv e senza gas, si scalda con la legna - ha raccontato la conduttrice al Corriere lo scorso anno in occasione della sua partecipazione all’Isola dei Famosi -. Io sono più simile a mia mamma, lui a mio papà, con questo tratto aspro e duro del carattere di chi vive in montagna. Persone grintose, che lavorano sodo. Io e lui appartenevamo a due mondi all’opposto ma questa esperienza ci sta riavvicinando, poco a poco: mi sta insegnando diverse cose pratiche, come accendere un fuoco o pescare. Per lui il fatto che fossi famosa è sempre stato ininfluente ma in questi giorni che mi è venuto a trovare mi ha detto, parlando dell’Isola: non vedo mai niente ma questa roba qua la guarderò». E questa non è l’unica curiosità su di lei.
A Miss Italia
«Da bambina sognavo di fare l’insegnante ma poi, crescendo, questo posto ha iniziato a starmi stretto - ha rivelato sempre al Corriere -. Così, a 16 anni, anche grazie a mia mamma che mi ha sostenuta, ho fatto il fugone verso Roma. Avevo bisogno di vincere la mia timidezza, il mio desiderio era fare teatro per questo». L’ex volto de La prova del cuoco ha mosso i suoi primi passi come modella e nel 1998 ha partecipato al suo primo concorso di bellezza: ha vinto il titolo di Miss Fragola, concorso locale organizzato a Peveragno. In seguito, nel 2000, ha partecipato a Miss Muretto e a Miss Italia (si è poi aggiudicata la fascia di Miss Cinema).
Gli spot pubblicitari
Quando lavorava come modella, agli inizi della sua carriera, Elisa Isoardi è comparsa in diversi spot pubblicitari e in due videoclip musicali: «Tu no» dei Gemelli DiVersi e «Che tempo fa» di Miotti.
L’esordio in tv
Nel corso degli anni Elisa Isoardi ha condotto per la Rai numerosi programmi oltre a La prova del cuoco (da Italia che vai a Buono a sapersi, da Unomattina a Linea Verde fino a Vorrei dirti che..., attualmente in onda su Rai 2). Ha iniziato però la sua carriera in qualità di inviata nella trasmissione Guarda che luna, condotta da Massimo Giletti e Hoara Borselli nel 2005.
L’esperienza radiofonica
Tra il 2009 e il 2011 la conduttrice ha fatto anche esperienza in radio: ha condotto su Rai Radio 2 i programmi Le colonne d'Ercole, con Armando Traverso e Federico Biagione, e I miei e i tuoi insieme a Gianfranco Monti.
L’amore con Matteo Salvini
Ha fatto molto chiacchierare in passato la sua relazione con Matteo Salvini durata tre anni. Soprattutto quando, per annunciare la rottura, la conduttrice ha pubblicato su Instagram uno scatto corredato da una citazione del poeta e cantautore Giò Evan: «Non è quello che ci siamo dati a mancarmi, ma quello che avremmo dovuto darci ancora». In precedenza aveva fatto discutere una foto in cui si vedeva Elisa alle prese con il ferro da stiro e le camicie da stirare (poi si è scoperto che non erano del suo compagno).
Un problema di salute (poi risolto)
Al settimanale DiPiù nel 2014 Elisa Isoardi ha raccontato di aver dovuto affrontare in passato un problema di salute: «Ho scoperto di avere un tumore, un grosso polipo che stava compromettendo parte della mia corda vocale destra. Il dottore mi ha detto che bisognava intervenire subito, non c’era tempo da perdere. Rischiavo di perdere la voce». In seguito all’intervento tutto si è risolto per il meglio.
Il cagnolino Zenit
Elisa Isoardi ha un cagnolino, un barboncino di nome Zenit, a cui è molto affezionata. Nel 2019 la conduttrice ha portato con sè il suo amico a quattro zampe anche sul set de La prova del cuoco.
Ballando e l’Isola dei Famosi
In seguito alla chiusura de La prova del cuoco nel 2020 Elisa Isoardi ha partecipato come concorrente alla quindicesima edizione di Ballando con le stelle in coppia con il ballerino Raimondo Todaro. Si è poi dovuta ritirare nella settima puntata per una distorsione alla caviglia (grazie al ripescaggio è comunque riuscita ad arrivare in finale). L’anno successivo ha preso parte all’Isola dei Famosi, ma anche in questo caso si è dovuta ritirare per via di un infortunio ad un occhio.
La vittoria ai Soliti Ignoti
Lo scorso anno, in versione concorrente ai Soliti Ignoti di Amadeus, ha vinto ben 157mila euro (poi devoluti all’ospedale Spallanzani di Roma per la lotta contro il Covid).
Elisabetta Valentini.
Estratto della prefazione di Antonella Lattanzi a “Fotomodella”, di Elisabetta Valentini (Accento edizioni), pubblicata da “TuttoLibri- La Stampa”
[...] Pubblicato nel 1988, Fotomodella risponde perfettamente al manifesto programmatico di Pier Vittorio Tondelli. Leggendolo, si ha proprio questa impressione: che la sua autrice stia cercando, con la scrittura, una verità. Quando scrive questo libro, Elisabetta Valentini sta smettendo, dopo dieci anni, di fare la modella.
Ha iniziato diciassettenne, a Firenze, quasi per caso. Si è proposta come segretaria nell'atelier di uno stilista, Emilio Pucci, ma è stato subito chiaro che non aveva mai visto una macchina da scrivere.
«Ma signorina lei non è una dattilografa!», l'ha rimproverata la responsabile. Poi, è successo. «Lei prende a guardarti con interesse. Cominci a sentire sulle linee del tuo corpo il suo sguardo professionale che lento e deciso scende a indagarti: la curva del collo, l'ampiezza delle spalle, il seno, i fianchi, il ventre. Come sedotta da quel suo sguardo ti alzi in piedi, muta, attenta, già soggiogata da quella reciproca e istintiva attrazione che lega il tuo corpo a chi lo guarda, e te a chi ti ammira. Il tuo corpo, obbediente, coglie in un attimo il desiderio estetico di chi ha davanti».
Così muore Elisabetta (almeno temporaneamente) e viene al mondo la modella: «completamente annullata dalla volontà» di chi le sta di fronte, Elisabetta compie lì, nell'atelier di Emilio Pucci, la sua prima, privata sfilata.
Dieci anni di passerelle, voli in giro per il mondo, ogni giorno, a tutte le ore, dieci anni di alberghi, di amici veri e amici fittizi, di colleghi vicini e lontani, di giovani leve magrissime che vengono a rubarti il lavoro - quanto sei precocemente vecchia in lavori come questi, la moda, il cinema, la danza - , di un amore lontano e profondissimo con un grande attore sposato (Valentini non lo nomina, ma il suo amante è stato per anni Ugo Tognazzi), di un altro fuoco che si accende, dieci anni in cui Elisabetta lambisce la droga - che negli anni Ottanta è ovunque, dalle periferie e le stazioni ai vertici della moda e del potere - ma non la abbraccia mai (e la racconta molto poco), dieci anni di corsa verso il successo. Dopo, Elisabetta decide di smettere di fare la modella.
Forse perché ha bisogno di libertà, dopo essersi incatenata alla pura ambizione per troppo tempo. Succede, a chi molto giovane ha pensato sempre e solo a qualcosa - ambizione, vocazione, successo, sono parole diverse dalle sfumature molto simili - , ha dedicato tutta la vita, i pensieri, gli incontri che ha fatto ma pure quelli che non ha fatto, le esperienze che ha fatto ma pure quelle che non ha fatto, la sua mancata spensieratezza a qualcosa, di dire un giorno: basta.
Non ne posso più. Non è per forza un atto di rabbia o di dolore, può essere semplicemente un atto di ribellione. Ed è una ribellione alle regole che, per anni, ti sei imposto tu.
È proprio in bilico su questa fine, su questo strappo, che Tondelli le chiede di scrivere la sua storia. Sa che Elisabetta scrive, e vorrebbe leggere qualcosa. In Panta-Tondelli Valentini racconta questo incontro. E dice di PVT: «Mentre parlava guardavo quel ragazzo particolare, che aveva circa la mia età, come se fosse giunto da un altro mondo. Mi piaceva quel suo viso regale e insieme imbarazzato».
Dopo la prima riluttanza - la paura di sbagliare e buttarsi in una nuova storia, inteso anche come storia personale - nel corso dell'anno seguente, Elisabetta Valentini lavora a Fotomodella, sempre seguita e supportata da PVT, passo dopo passo, in un rapporto umano e di scambio costante. «Dopo l'uscita del libro», scrive ancora Valentini, «continuammo a vederci, ma avevo la sensazione che una volontà di svanire si fosse impossessata di lui. Non facevo domande».
Svanire, poi, che ha molto a che fare con quello che ci racconta lei nel suo libro. Il corpo che deve svanire per essere esso stesso indossato da altri, la volontà che si deve annullare per interpretare tutti e nessuno sulla passerella, gli affetti che non devono incastrarti in ruoli - la maternità, per esempio, o l'essere moglie - e in luoghi perché tu, per fare il tuo lavoro, svanirai di continuo.
In questo sta parte della scelta che mi sembra di trovare alla base di Fotomodella. Raccontare un mondo, quello della moda degli anni Ottanta, testimoniare cos'erano quegli anni, svanendo. La droga, l'anoressia, la ferocia della competizione, la voracità di successo, la solitudine, il dolore: Valentini li racconta solo sfiorandoli, non immergendosi mai con tutto il corpo in queste realtà, ma come sfilandoci sopra. In un gioco di luci, corpi efebici, abiti maschili, creme per non invecchiare mai, delusioni, vittorie su cui, come su una passerella, scorre questo libro; e tu con lui.
Elodie.
Il corpo di Elodie: la cantante sul palco tra spacchi e body «per piacere a sé stessa, non per compiacere». Corriere della Sera domenica 3 dicembre 2023.
C’è un momento, nel passato di Elodie Di Patrizi, che custodisce il seme, forse anche il fondamento, di quello che oggi tutti riconoscono essere un fenomeno. Perché ci sono tante cantanti, alcune popstar ma pochissime icone e Elodie, ormai è chiaro, lo è.
Un po’ Beyoncé, un po’ Madonna ma soprattutto sé stessa, capace — quando nemmeno aveva vent’anni — di trasformare le strade malconce del Quartaccio in un immaginario red carpet: i riflettori ancora non erano puntati su di lei, ma dentro di lei sì, erano già accesi, suggerendole che, in qualche modo, chissà come, ma qualcosa di importante era in vista per lei. Si piaceva, lo ha raccontato spesso. Ed era vanitosa, tanto da specchiarsi ad ogni vetrina. Ma, ancora di più, si piaceva per come affrontava le tante difficoltà che doveva superare ogni giorno.Le piaceva il suo carattere, la sua personalità, insomma. Al punto che, un giorno — ed ecco il momento —, ha deciso di rasarsi a zero i capelli. «Ho cercato di spostare lo sguardo degli altri all’interno di me perché mi sentivo molto più di un bell’involucro», ha poi spiegato.
Ora siamo alla fine del 2023, di diritto il suo anno. È uscita la sua docuserie, Sento ancora la vertigine, ha pubblicato il primo club tape italiano, Red Light, e il suo tour da tutto esaurito, si trasforma ogni sera in un evento. Ogni data è uno show diverso in cui si canta, si balla ma anche si ammira quello che Elodie crea sul palco. Spesso attraverso il suo corpo, l’involucro. Un corpo esibito e guardatissimo, del resto anche i suoi video volano a quote di milioni di visualizzazioni.
Ma un corpo che divide. Lo spacco totale della sua mini rossa, i body di pizzo, le tute aderenti, la lap dance. Per tanti sono la manifestazione dell’emancipazione della donna, l’autodeterminazione di chi sceglie di non farsi guidare da pudori antichi e giudicanti, lo sberleffo al patriarcato.
Per molti altri sono però il segno della sua resa a quei codici duri a morire che portano alla triste e pericolosa oggettificazione sessuale del corpo delle donne. Tesi che trova riscontro addirittura nei meme che, nell’ultima settimana, hanno avuto per protagonista la cantante, quasi tutti incentrati attorno all’epica domanda: mutande sì, mutande no? Sotto quello spacco, le indossava? La sua risposta è stata un pausiniano «la tengo como todas», come per dire: non scandalizziamoci per cose che non fanno scandalo. Ma il dibattito resta aperto e le voci di chi pensa che così si rischi di finire dentro i soliti cliché rimangono alte.
In tutto ciò, il pensiero di Elodie è sempre stato chiaro: non lo faccio per piacere agli altri, ma perché mi piaccio io. Un pensiero che, nel suo caso, è diventato anche un manifesto: «Voglio essere libera di esprimermi e giocare. In questo momento storico poi, mi sembrava doveroso sfogarmi», aveva spiegato lanciando il suo club tape, la cui copertina è affidata a Milo Manara. Il maestro ha rielaborato lo scatto — anche in quel caso molto discusso — che accompagnava il singolo A fari spenti, in cui la cantante si mostrava nuda.
Solo che «nel disegno — aveva spiegato lui — non si copre pudicamente il sesso, anzi chiude la mano a pugno come se rivendicasse la dignità del suo corpo». Cosa che Elodie fa. Si piace e lo rivendica, convinta che anche in questo modo si risponda «a un problema importante: c’è qualcosa di misogino che non va giustificato in nessun modo, dovremmo metterci in discussione e pensare a quante volte abbiamo atteggiamenti sessisti noi donne. Sono secoli che dobbiamo fare un passo indietro e capire la fragilità dell’uomo, ma io sono stanca di giustificare la loro paura della bellezza della donna». Una consapevolezza che la rende forte e fiera, portatrice di quello che è «un messaggio visivo forte, libero, cattivello e musicalmente deciso. Mi sono sempre divertita a infastidire, lo farò sempre».
Determinata in modo innato, capace di far detonare quella rabbia accumulata nel tempo in una sanissima voglia di rivalsa. «Se magari come me arrivi dalla casa popolare — disse a Gq —, avere un risultato è ancora più complesso perché devi affrontare un sacco di complicazioni, quindi il successo del coatto è ancora più eclatante. E in quanto tale dev’essere celebrato, esibito».
Nel linguaggio dei semiologi, l’icona è un messaggio affidato all’immagine. Non è l’involucro, ma il pensiero che c’è sotto, una volta rasati i capelli o allungati, magari all’infinito. E vale anche con le extension.
"Ce l'ho come tutte...". È polemica sullo spacco di Elodie. La cantante è stata bersaglio di alcune critiche per la gonna con uno spacco veritiginoso. Arriva la sua reazione. Cristina Balbo l'1 Dicembre 2023 su Il Giornale.
Tabella dei contenuti
L’outfit “incriminato”
Il commento di Elodie
Elodie e la somiglianza con Joao Mario
Elodie travolta dalle critiche. Procede a gonfie vele il tour della cantante nei palazzetti italiani; tuttavia, nonostante i grandi consensi di pubblico e critica, l’ex allieva della scuola di Amici è finita nell’occhio del ciclone. Il motivo? Un outfit indossato in uno dei suoi concerti che non è di certo passato inosservato, suscitando così i commenti dei famosi “leoni” da tastiera.
L’outfit “incriminato”
Tutto è accaduto nel corso di un concerto nella Capitale, al Palazzo dello Sport di Roma, quando Elodie ha deciso di indossare un abito molto particolare per interpretare alcuni brani. Si tratta di una gonna rossa con uno spacco davvero vertiginoso, che per molti ha significato un tuffo nel passato, nonché il “vedo-non vedo” di Belen Rodriguez a Sanremo 2012. Insomma, una scelta quella di Elodie che ha lasciato ben poco spazio all’immaginazione.
Il commento di Elodie
Lo spacco molto profondo della minigonna di Elodie (che naturalmente aveva degli slip adeguati) ha scatenato un vero e proprio dibattito sui social. Da una parte, ci sono coloro che hanno difeso la scelta della cantante, rivendicando la sua liberà nel poter indossare – come tutti – quello che vuole; dall’altra, c’è chi, invece, l’ha definito inadeguato, perché troppo provocante.
Così, a volere dire la sua sulla vicenda ci ha pensato proprio la diretta interessata. “La tengo como todas”, nonchè “Ce l'ho come tutte”, ha scritto Elodie su X (ex Twitter). Una frase che è una diretta citazione di Laura Pausini. Quest’ultima, infatti, utilizzò queste parole in occasione di un concerto in Perù nel 2014, quando a causa di un problema con l’abito di scena fu costretta ad esibirsi con una vestaglia addosso.
Elodie e la somiglianza con Joao Mario
Ma non è finita qui, perché il post di Elodie non si è limitato soltanto alla citazione diretta della Pausini, ma ha anche proseguito con un’altra frase: “E comunque ieri tripletta”. In molti si domanderanno il perché di questa provocazione della 33enne: la cantante ha voluto rispondere a coloro che ritengono ci sia una somiglianza tra lei e il calciatore Joao Mario, ex Inter e attualmente in forza al Benfica. Proprio nella partita di Champions League del 29 novembre, infatti, il campione ha segnato una tripletta contro l’Inter. “Joao Mario con i capelli”, qualcuno aveva detto. Insomma, adesso arriva la replica di Elodie alla quale di certo non manca l’ironia.
Chiara Maffioletti per corriere.it - Estratti domenica 3 dicembre 2023.
C’è un momento, nel passato di Elodie Di Patrizi, che custodisce il seme, forse anche il fondamento, di quello che oggi tutti riconoscono essere un fenomeno. Perché ci sono tante cantanti, alcune popstar ma pochissime icone e Elodie, ormai è chiaro, lo è. Un po’ Beyoncé, un po’ Madonna ma soprattutto sé stessa, capace — quando nemmeno aveva vent’anni — di trasformare le strade malconce del Quartaccio in un immaginario red carpet: i riflettori ancora non erano puntati su di lei, ma dentro di lei sì, erano già accesi, suggerendole che, in qualche modo, chissà come, ma qualcosa di importante era in vista per lei. Si piaceva, lo ha raccontato spesso. Ed era vanitosa, tanto da specchiarsi ad ogni vetrina. Ma, ancora di più, si piaceva per come affrontava le tante difficoltà che doveva superare ogni giorno.
Le piaceva il suo carattere, la sua personalità, insomma. Al punto che, un giorno — ed ecco il momento —, ha deciso di rasarsi a zero i capelli. «Ho cercato di spostare lo sguardo degli altri all’interno di me perché mi sentivo molto più di un bell’involucro», ha poi spiegato. Ora siamo alla fine del 2023, di diritto il suo anno. È uscita la sua docuserie, Sento ancora la vertigine , ha pubblicato il primo club tape italiano, Red Light, e il suo tour da tutto esaurito, si trasforma ogni sera in un evento. Ogni data è uno show diverso in cui si canta, si balla ma anche si ammira quello che Elodie crea sul palco. Spesso attraverso il suo corpo, l’involucro. Un corpo esibito e guardatissimo, del resto anche i suoi video volano a quote di milioni di visualizzazioni.
Ma un corpo che divide. Lo spacco totale della sua mini rossa, i body di pizzo, le tute aderenti, la lap dance. Per tanti sono la manifestazione dell’emancipazione della donna, l’autodeterminazione di chi sceglie di non farsi guidare da pudori antichi e giudicanti, lo sberleffo al patriarcato. Per molti altri sono però il segno della sua resa a quei codici duri a morire che portano alla triste e pericolosa oggettificazione sessuale del corpo delle donne.
Tesi che trova riscontro addirittura nei meme che, nell’ultima settimana, hanno avuto per protagonista la cantante, quasi tutti incentrati attorno all’epica domanda: mutande sì, mutande no? Sotto quello spacco, le indossava? La sua risposta è stata un pausiniano «la tengo como todas», come per dire: non scandalizziamoci per cose che non fanno scandalo.
Ma il dibattito resta aperto e le voci di chi pensa che così si rischi di finire dentro i soliti cliché rimangono alte. In tutto questo, il pensiero di Elodie è sempre stato chiaro: non lo faccio per piacere agli altri, lo faccio perché mi piaccio io. Un pensiero che, nel suo caso, è diventato anche un manifesto:
«Voglio essere libera di esprimermi e giocare. In questo momento storico poi, mi sembrava doveroso sfogarmi», aveva spiegato lanciando il suo club tape, la cui copertina è affidata a Milo Manara. Il maestro ha rielaborato lo scatto — anche in quel caso molto discusso — che accompagnava il singolo A fari spenti , in cui la cantante si mostrava nuda. Solo che «nel disegno — aveva spiegato lui — non si copre pudicamente il sesso, anzi chiude la mano a pugno come se rivendicasse la dignità del suo corpo».
Cosa che Elodie fa. Si piace e lo rivendica, convinta che anche in questo modo si risponda «a un problema importante: c’è qualcosa di misogino che non va giustificato in nessun modo, dovremmo metterci in discussione e pensare a quante volte abbiamo atteggiamenti sessisti noi donne. Sono secoli che dobbiamo fare un passo indietro e capire la fragilità dell’uomo, ma io sono stanca di giustificare la loro paura della bellezza della donna». Una consapevolezza che la rende forte e fiera, portatrice di quello che, per usare le sue parole, è «un messaggio visivo forte, libero, cattivello e musicalmente deciso. Mi sono sempre divertita a infastidire, lo farò sempre».
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Estratto dell’articolo di Andrea Greco per “Oggi” sabato 29 luglio 2023
Quella di Elodie non è stata una marcia trionfale: parte dalla periferia in una famiglia piena di difficoltà, non finisce il liceo, la eliminano da X-Factor. A 18 anni sbarca il lunario come cubista: «Lo era stata anche mia mamma, me ne vergognavo»
Tutti i bambini sognano. La piccola Elodie Di Patrizi però lo faceva sempre: quando aspettava che la madre tornasse nel loro appartamentino della borgata Quartaccio per poi sparire di nuovo o mentre badava alla sorellina Fey. Quando veniva parcheggiata a lungo dalla vicina e quando capiva che a casa di soldi per arrivare a fine mese non ce n’erano.
[…] Si può però anche diventare regine per acclamazione popolare, sollevate una spanna sopra il resto dello scalpitante mondo dello spettacolo da un sentimento di affetto e ammirazione diffuso e trasversale. È proprio questo ciò che accade alla cantante romana, che con la hit Pazza Musica, interpretata insieme a quel fenomeno di Marco Mengoni, sta diventando la colonna sonora di questa estate.
Ma non è certo l’avere un brano in classifica che fa di Elodie un fenomeno. È piuttosto raro l’allineamento di premesse, desideri e talenti che si è verificato nella sua persona, partita dalla borgata romana e finita sulla copertina di Vogue, senza mai apparire fuori contesto. Ciò di cui dispone per ipnotizzare il pubblico sono 60 chili scarsi, distribuiti al meglio su 168 centimetri di statura. A lei bastano e avanzano.
Eppure non è stata una marcia trionfale. Tutt’altro, ma anche questo alla fine, vedremo, si rivela un elemento utile alla costruzione di un personaggio che ambisce a durare nel tempo, il massimo traguardo in anni nei quali la celebrità dura meno di un calippo lasciato fuori dal freezer.
La prima falsa partenza arriva quando Elodie ha 18 anni. Passa le selezioni di X-Factor, parte per gli home visit ,la fase nella quale i coach imparano a conoscere meglio i giovani selezionati e alla fine del ritiro viene esclusa da Simona Ventura: «Mi ha detto che mi eliminava perché secondo lei non ci tenevo abbastanza. Mi sono arrabbiata moltissimo, però aveva ragione», commenterà poi.
A iscriverla al talent di Sky era stato papà Roberto, artista di strada. e lei aveva accettato controvoglia e, come capita sovente agli adolescenti, si era accorta dell’importanza dell’occasione offerta solo quando era andata perduta. […]
Dopo aver fatto per un po’ la cameriera, viene convinta da un’amica, non senza difficoltà, a provare a fare la cubista: «Lo era stata anche mia mamma, e io da ragazzina me ne vergognavo. La giudicavo una cosa da poco di buono». Balla al Samsara di Gallipoli, uno dei locali della movida salentina.
Presto diventa una vocalist della discoteca e in quel contesto si accorge che il background del Quartaccio non è sempre un handicap: «C’era chi allungava le mani, chi provava a riprendermi da sotto col telefono. Di smartphone ne ho spaccati un mucchio». È in quel frangente, forse, che Elodie si accorge che la vita di borgata le ha insegnato qualcosa di utile: la capacità di sorridere per mostrare i denti.
Sette anni dopo Elodie è di nuovo a Roma, ed entra nella scuola di Amici. Lei ha 25 anni, gli altri 18 o 19: ha gli imbarazzi e le goffaggini dei pluriripetenti. Alex Braga, musicista e producer, che di quella edizione era uno dei professori di canto, la ricorda bene: «Mi sono impegnato per farle esprimere ciò che aveva dentro, si intuiva la sua originalità, ma era molto nascosta».
Si accorgono di lei anche Maria De Filippi ed Emma Marrone, che le insegna il molto che sa, con tutta l’energia che ha. Quello tra le due è un sodalizio che si prolunga, anche oltre la fine della trasmissione, che Elodie conclude al secondo posto. Sì, ma quanto si prolunga? Fino a quando «ho capito che volevo fare delle scelte diverse, ma voglio ancora molto bene a Emma», spiega lei.
«Fino a quando non ha capito che si era un po’ impantanata, e così ha cambiato guida, da Emma a Marracash», chiosa il critico musicale Dario Salvatori, che sul fenomeno Elodie ha uno sguardo disincantato: «La vulgata del fiore nato in periferia la trovo un pochino datata. […]
Alla vigilia di questo decennio tutto è pronto per il grande salto di qualità, e questo avviene con la più profonda delle rivoluzioni: ripartire dalle origini. In un momento nel quale qualsiasi ragazzino di buona famiglia si traveste da “maranza”, chi può fermare una ragazza bellissima che conosce la vita di strada meglio del trapper più trucido?
Elodie racconta la sua storia con onestà: la mamma fragile e persa, il padre musicista di strada, la scuola lasciata a metà. Appare selvaggia ma saggia, elegante ma sfrontata, vicina e distante […] Elodie ormai non è più quella bambina che sognava in periferia. Però, ogni tanto, la borgata che è in lei esce fuori e finisce in cronaca: una volta prende per il bavero un tizio che, incrociandola in aeroporto, le dà della drogata, un’altra attacca al muro dei ragazzini che sulla metropolitana non fanno scendere una coppia di anziani. […]
Elodie, il ritratto non autorizzato: com’è diventata la regina del pop italiano. ANDREA GRECO su Oggi.it il 19 luglio 2023.
La colonna sonora dell’estate è la sua “Pazza Musica”, cantata con Marco Mengoni. Ma l’ex ragazza di periferia non è destinata a brillare una sola estate. Come raccontiamo sul nuovo Oggi
Elodie Di Patrizi, 33 anni, è nata a Roma
Tutti i bambini sognano. La piccola Elodie Di Patrizi però lo faceva sempre: quando aspettava che la madre tornasse nel loro appartamentino della borgata Quartaccio per poi sparire di nuovo o mentre badava alla sorellina Fey. Quando veniva parcheggiata a lungo dalla vicina e quando capiva che a casa di soldi per arrivare a fine mese non ce n’erano. Sognava, l’ha ripetuto in tante interviste, quello che poi è accaduto: diventare Elodie.
FIN DA BAMBINA – Ci sono traguardi, e sono la maggior parte, a cui si arriva con solo l’appoggio di giurie qualificate: premi, medaglie, grolle, coppe e statuette si conquistano in genere così. Si può però anche diventare regine per acclamazione popolare, sollevate una spanna sopra il resto dello scalpitante mondo dello spettacolo da un sentimento di affetto e ammirazione diffuso e trasversale. È proprio questo ciò che accade alla cantante romana, che con la hit Pazza Musica, interpretata insieme a quel fenomeno di Marco Mengoni, sta diventando la colonna sonora di questa estate. Ma non è certo l’avere un brano in classifica che fa di Elodie un fenomeno. È piuttosto raro l’allineamento di premesse, desideri e talenti che si è verificato nella sua persona, partita dalla borgata romana e finita sulla copertina di Vogue, senza mai apparire fuori contesto. Ciò di cui dispone per ipnotizzare il pubblico sono 60 chili scarsi, distribuiti al meglio su 168 centimetri di statura. A lei bastano e avanzano.
PRONTI PARTENZA VIA, ANZI NO – Eppure non è stata una marcia trionfale. Tutt’altro, ma anche questo alla fine, vedremo, si rivela un elemento utile alla costruzione di un personaggio che ambisce a durare nel tempo, il massimo traguardo in anni nei quali la celebrità dura meno di un calippo lasciato fuori dal freezer. La prima falsa partenza arriva quando Elodie ha 18 anni. Passa le selezioni di X-Factor, parte per gli home visit, la fase nella quale i coach imparano a conoscere meglio i giovani selezionati e alla fine del ritiro viene esclusa da Simona Ventura: «Mi ha detto che mi eliminava perché secondo lei non ci tenevo abbastanza. Mi sono arrabbiata moltissimo, però aveva ragione», commenterà poi.
Estratto dell’articolo di Silvia Fumarola per repubblica.it il 16 maggio 2023.
"Con nonna abbiamo continuato a ballare anche dopo il concerto, era passata l'una di notte. Mi ha detto che si è dovuta fermare solo perché le faceva un po' male la caviglia". Elodie ride raccontando il post concerto al Forum di Assago, sold out della consacrazione.
Venerdì sera ha fatto scatenare gli undicimila spettatori. Tra il pubblico c'erano anche la mamma, Claudia, e nonna Marise. "Sono la mia forza, se sono questa è perché somiglio a loro. Me lo dicono sempre: a tre anni eri già così".
(...)
Oltre alla voce, il corpo è grande protagonista: la rende potente?
"Il corpo è in primo piano ma non perché sono esibizionista o per dire che sono la meglio, perché sono libera. Insieme alla musica, alla voce, ai look, il corpo è un altro passaggio".
Come ci si sente a essere un oggetto del desiderio?
"Non è quello il punto, non mi sento così. Mi piaccio se qualcuno mi piace. Un corpo è un corpo, mi sento bene con me stessa e mi piace fare uno show esprimendo tutta me stessa".
Avrà letto cos'hanno scritto sui social.
"Ma i social sono anche una fogna, non importa. Ho fatto la cubista a 20 anni, mi sentivo giudicata, pensavano che fossi una venduta.
Il corpo è bello, un'opera d'arte. Mi sento a mio agio, sono stata educata in una famiglia che ha un rapporto naturale, libero, col corpo. Ho sempre visto quello dei miei genitori. Tutti i corpi esprimono qualcosa, anche quelli di Botero: dipende da come li guardi. Io sono ignorante ma l'arte ti arriva, può capirla chiunque. Poi il corpo può diventare un oggetto scabroso e purtroppo esiste il body shaming che va combattuto".
Cosa ha provato al concerto?
"Felicità. È stato bellissimo essere in tanti sul palco. Io da sola non funziono. Mi sono goduta lo spettacolo, c'era una connessione profonda: è un po' come quando guardi un film o fai l'amore. Con i coreografi, Gabriele (Esposito) e Irma (di Paola), ci siamo detti: facciamo tutto insieme. Quando lavori con chi ti dà spazio cambia tutto. Sono fortunata, sono stati tutti generosi: loro, Vivo concerti, i miei manager Max Brigante e Jacopo Pesce".
Era reduce dalla cerimonia dei David di Donatello. Ritirando il premio per la canzone del film "Ti mangio il cuore", "Proiettili", ha detto una frase che suonava un po' da Calimero: "Non me l'aspettavo, io non vinco mai".
"Oddio, è suonata così? Ero senza respiro, emozionatissima. Ho fatto una battuta, non mi ero preparata un discorso. Non me l'aspettavo proprio di essere premiata, mi sono detta: vado con la mia amica, ero già felice di essere lì. Da Amici al David, è un percorso pazzesco. Un regista ha pensato a me, ho fatto un film, è un regalo enorme, non è che puoi pure vincere. Ne sono uscita male?" .
No. Ma nella vita si percepisce come una che non vince?
"No, nella vita credo di aver vinto. Ho tutto quello che ho desiderato e quello che non ho osato desiderare. Ma non ho mai vinto premi, sono arrivata seconda, quarta, ottava".
(...)
"Il Pride è la mia famiglia": quanto conta la battaglia per i diritti?
"È l'unica veramente importante, è la nostra battaglia. Se fossimo in grado di comprendere il prossimo potremmo essere felici. La politica? Quando sento rigidità e poca comprensione, quando esclude, allora no. Si devono ascoltare le ragioni di tutti".
Cos'ha trovato nel suo compagno Andrea Iannone?
"Tutto. L'amore. È disponibile, generoso, mi sostiene. Penso di essere simile a lui, stiamo bene e siamo lì, l'uno per l'altra, senza spiegarcelo".
Ottavio Cappellani per la Sicilia il 5 febbraio 2023.
Quando ho letto che Elodie era un po’ traumatizzata perché si è ritrovata con il seno nella bocca di un uomo mi sono incuriosito e anche un po’ preoccupato.
(..)
Certo, seguendo il sillogismo e la logica si potrebbe arrivare a pensare che, a Elodie, se se magnano ‘a zizza di un’artra nun gliene po’ frega’ de meno, ma comunque, Elodie sarà a Sanremo con un brano dal titolo “Due”, palco sul quale, è legittimo immaginare, porterà entrambe le minne tutte e due, “both”, che ha scoperto essere di sua esclusiva proprietà. Per questo motivo sono sicuro che questa faccenda della minna di Elodie nella bocca di un uomo non sia una trovata pubblicitaria, altrimenti avrebbe detto: “Sono traumatizzata, mi sono ritrovata con DUE minne nella bocca di un uomo”. Intervistata da qualcuno o da qualcosa (adesso ci sono anche le intelligenze artificiali), Elodie ha detto che “la musica mi permette di avere un alter Ego”. E qui, signori miei, bisogna stare molto attenti, perché le minne di Elodie, a questo punto, diventano quattro. E si rischia l’indigestione.
Estratto dell'articolo di Giulia Zonca per “la Stampa” il 6 febbraio 2023.
«Quando sono arrivata a Roma c'erano solo bianchi», Claudia Marthe parla dell'inizio degli Anni 80, di lei quattordicenne, creola, passata dalla multietnica Parigi alla monocromatica Italia. Non troppo tempo dopo, in mezzo al quartiere San Paolo della capitale, si sarebbe innamorata e appena ventenne sarebbe rimasta incinta di Elodie, la cantante uscita da «Amici», diventata ormai famosa e oggi pronta ad esibirsi al suo terzo Sanremo.
Quando la signora Marthe è rimasta incinta, si è preoccupata della sua età, «ero tanto giovane», non certo del colore che avrebbe avuto la pelle della bambina: «Per questo resto disorientata dalle parole della pallavolista Paola Egonu che non voglio affatto giudicare, ma mi piacerebbe capire».
Egonu ha detto: «Mi preoccupa l'idea di far crescere un figlio di pelle nera in questo schifo. E ha aggiunto Se dovesse essere di pelle mista, peggio ancora». Sarebbe il caso di Elodie, lei l'ha mai fatto considerazioni simili?
«No e mi fa proprio strano vederla così. Nei mesi in cui aspettavo Elodie, io e suo padre ci chiedevamo come sarebbe stata la pelle, che lineamenti avrebbe avuto, da chi avrebbe ereditato cosa: ci immaginavamo, come ogni genitore, di passarle i tratti più belli di ognuno e la pensavamo scura con gli occhi chiari. Quando è nata, mio suocero cercava la bambina nera nella nursery, gli ho detto: "È quella, è uscita poco cotta"».
Le è capitato di doverle proteggere da episodi di razzismo?
«L'ho educata a riconoscere l'ignoranza, ad usare l'autoironia che non significa fare finta di niente, ma smontare le reazioni che non sono accettabili. Però a farlo con intelligenza, a distinguere. Spero di averla preparata. Da piccola capitava che le toccassero i capelli straniti, è successo anche a me, lasciavo fare: "Vedete, sono così"».
Lei si è mai sentita discriminata in Italia?
«Quando mi sono trasferita era un'altra Italia, non parlavo la lingua, mi vedevo l'unica colorata per strada. Ho messo su un carattere forte, ho avuto i miei giorni tosti. Sono andata avanti e ho pure vissuto anni splendidi in un posto che sento casa».
Forse, nel 2023, pure l'Italia dovrebbe essersi evoluta.
«Lo sta facendo, però proprio non potrei definirlo un Paese che discrimina in base alla razza. Ci sono gli idioti, qui e altrove. Sono intollerabili, qui o altrove. E allora? Non facciamo più figli per paura degli stupidi? Tanto ci sarà sempre chi giudica e non solo la provenienza. O sei troppo grasso o troppo sproporzionato, sei sempre qualcosa. Se si dipende dall'approvazione altrui non ci si muove».
(...)
Egonu ed Elodie, saranno entrambe a Sanremo. Si immagina delle conversazioni?
«Spero si confrontino, si parlino perché Elodie ha vissuto pure lei esperienze negative, tutti abbiamo sofferto, ma bisogna superare. Vorrei dire a questa bellissima ragazza che deve volersi più bene: è splendida, affermata, è italiana e non ha bisogno di essere riconosciuta come tale, lo è. Non si può piacere a tutti, chi non accetta le differenze tra le persone è una minoranza».(...)
Elodie: «Dopo il primo Sanremo mi sono spaventata. Con Iannone sono felice. Marracash? Una storia complessa». Andrea Laffranchi su Il Corriere della Sera il 3 Febbraio 2023.
La cantante gareggia al Festival per la terza volta. Sul palco dell’Ariston con il brano «Due»: «Racconta di una storia finita»
La star che sta sul palco sicura come nel Sanremo 2021 in cui andò da ospite e si prese il palco. La donna che non ha paura di mostrare il corpo con gli hater che si scatenano ad ogni post. L’attivista che non teme il confronto con politici come Salvini e Meloni.
Eppure Elodie non è forte come sembra. Quantomeno ai suoi stessi occhi. «Non sembro fragile? Vi fate ingannare con niente...», racconta la cantante che sarà in gara a Sanremo con «Due». «Sono cosciente dei miei limiti. In terapia sono andata per quello, ma tra l’essere cosciente e il risolverli ce ne passa... C’è un nuova canzone «Una come cento», in cui racconto il mio essere fiera delle fragilità che racconto con onestà e fermezza. Sembro granitica ma se si trova la mia crepa finisco per fare cose puerili. Se mi dicono una cosa brutta piango invece che alzarmi e andare via». Le è capitato anche per una scena di Ti mangio il cuore , film di Pippo Mezzapesa presentato a Venezia lo scorso anno. «Mi sono trovata a discutere perché si vedeva il mio seno nella bocca di un uomo. Ho pianto e mi sono sentita sbagliata. Eppure il corpo è mio».
Sulla gestione del corpo non accetta critiche all’immagine che ha scelto per questo tratto di carriera: trucco sbavato, occhiaie, un richiamo all’heroin chic anni 90. «La bellezza mi ha reso libera e la uso come voglio. Quel trucco mostra fragilità e forse anche abuso, qualcosa che è capitato a tutte in momenti vari della vita. Per me stato un problema affrontare gli abusi quotidiani. Qualcuno che fa la battuta e ridi, ma lo fai perché non sai affrontare la situazione. Oggi non permetto più di oltrepassare la linea». Anche sui social. «Non sono gli insulti a colpirmi, sono commenti sterili. Mi ferisce quando non sono capita, quando viene travisato ciò che dico o faccio e ne viene data un’interpretazione sbagliata. In passato avrei reagito con rabbia, oggi respiro e vado oltre». È una paladina dell’empowerment femminile. Ce n’è di strada da fare, anche solo nella musica. Nella top 100 dello scorso anno c’erano nove donne, la prima al 33esimo posto: «Gli uomini sono sempre meno giudicati di noi donne. La musica come molte altre industrie si è aperta alle donne in tempi recenti, gli uomini da sempre ne hanno accesso quindi è normale che la presenza numerica sia differente. Dobbiamo lavorarci ancora tutti insieme».
Il 20 febbraio su Prime uscirà la docuserie Sento ancora la vertigine , un dietro le quinte sull’avvicinamento a Sanremo. «Ho un rapporto di amore e o odio con «Due». Un brano su una storia finita. Me ne sono innamorata al primo ascolto, ma ho trovato grandi difficoltà nell’interpretarla. Ero arrabbiata con me stessa perché non mi sentivo abbastanza brava. Solo dopo le prove con l’orchestra mi sono sentita felice».
Il 12 maggio farà uno show al Forum e c’è anche un disco in arrivo. Si chiama «Ok respira», raccoglie i singoli di questo ultimo anno e mezzo e sette inediti, collaborazioni con Mahmood, Elisa, Dardust...
«Per la prima volta ho partecipato alla scrittura. Volevo far valere la mia visione, una cosa non semplice per un interprete». In uno dei brani, «Apocalisse», parla direttamente a un suo ex. Prova a nascondersi, ma alla fine confessa che il destinatario è Marracash, il rapper con cui ha avuto una lunga storia. «È stata una relazione complessa e questo disco mi ha aiutato a metabolizzarla e a darle il posto che si merita». Oggi sta con Andrea Iannone, pilota della MotoGP. «Sono molto felice, ma la cosa piu importante è che ho capito che cosa non voglio, come non voglio sentirmi. Metaforicamente parlando non voglio “difendermi” a casa, quello deve essere il porto sicuro. Ci deve essere rispetto per l’identità dell’altra persona, l’amore viene da lì».
Si guarda indietro. Riassunto di una carriera. «Il primo momento di svolta è stato il programma «Amici». Se non lo avessi fatto chissà dove sarei. È difficile emergere come interprete se non passi da un talent». L’anno dopo, nel 2017, il primo Sanremo con «Tutta colpa mia», direzione canzone classica. «Mi resi conto che stavo percorrendo una strada chiusa. C’erano altre interpreti femminili affermate e di conseguenza non mi sarebbero mai arrivati pezzi di prima qualità. Mi sono spaventata, ho preso coraggio e cambiato direzione».
Ema Stockolma.
Il ballo, la convivenza, la rottura improvvisa: la storia d'amore tra Angelo Madonia e Ema Stokholma. È durata un anno la storia d'amore tra Angelo Madonia e Ema Stokholma ma la relazione, nata a Ballando con le stelle, ha fatto sognare i telespettatori e i fan. Novella Toloni il 4 Novembre 2023 su Il Giornale.
Tabella dei contenuti
Galeotta la pista di Ballando
La scelta della riservatezza
L'inizio della storia fuori da Ballando
La convivenza a Roma
Una famiglia allargata
Le voci sulle nozze
L'ultimo post insieme
La notizia della rottura
Un anno fa, di questi tempi, il ballerino professionista Angelo Madonia e la conduttrice radiofonica Ema Stokholma annunciavano di essersi innamorati sulla pista di Ballando con le stelle. La complicità nata durante le prove della trasmissione si era trasformata in amore e in una convivenza. Ma di recente, senza troppi proclami, la coppia ha messo la parola fine alla loro relazione.
Galeotta la pista di Ballando
È settembre 2022 e Angelo Madonia e Ema Stokholma si incontrano negli studi della Rai. La conduttrice radiofonica, 39 anni di origini francesi, è una voce popolare della radio e è conosciuta per avere avuto una storia con il rapper Gemitaiz. Milly Carlucci decide farla ballare con Angelo Madonia, anche lui 39 anni, palermitano. Tra i due, nonostante i timori iniziali, c'è subito sintonia e i due esordiscono a Ballando l'8 ottobre. Con il passare delle settimane, Angelo e Ema sono sempre più vicini e, complice il ballo e le tante ore passate in sala prove e negli studi della diretta, iniziano a frequentarsi fuori dal contesto televisivo.
La scelta della riservatezza
I giudici e Milly Carlucci sono a conoscenza della nascente relazione ma, sebbene il pubblico noti la forte complicità tra i due, la coppia non conferma la relazione. Madonia e la Stokholma si frequentano fuori dagli studi Rai e vengono paparazzati insieme in un paio di occasioni. Solo dopo un mese dall'inizio del programma la coppia si sbilancia pubblicamente mantenendo, però, una certa riservatezza sulla relazione. "Stiamo percorrendo questo momento di vita insieme, vediamo dove ci porterà", dice in diretta tv Angelo Madonia dopo un ballo con Ema, che replica: "Siamo contenti di vivere questa esperienza insieme. Mi pare evidente che ci sia qualcosa". Il 20 novembre per la prima volta i due fanno il suo esordio sui social come coppia e Madonia pubblica la foto di un bacio con l'eloquente scritta "I love you".
L'inizio della storia fuori da Ballando
Il 23 dicembre la finale di Ballando con le stelle decreta il terzo posto di Ema Stokholma e Angelo Madonia e per loro inizia una nuova pagina di vita. La coppia è libera di frequentarsi lontano dalle telecamere e sui social condivide attimi di vita insieme per la gioia dei fan, che hanno imparato a conoscerli su RaiUno. Ad unirli è la passione per i tatuaggi e l'interesse per i rispettivi impegni. Lei dj, speaker e pittrice, lui ballerino e coreografo. E finalmente arriva la prima ammissione di lei. "Angelo è una persona seria, sto imparando a conoscerlo e a capire che posso anche espormi. Ha le chiavi di casa, è una cosa seria", dice la Stokholma durante un'intervista.
La convivenza a Roma
La coppia sembra voler fare sul serio e in primavera inizia una convivenza. A parlare della svolta nella loro storia è Madonia: "La casa che abbiamo messo su che all’inizio era un suo progetto è il centro delle nostre giornate. Facciamo colazione insieme, poi ci dedichiamo ai rispettivi impegni di lavoro e poi ci ritroviamo a casa dove spesso io cucino". Su Instagram sono tante le foto delle loro giornate assieme anche lontani dalla capitale con viaggi, che li tengono al riparo dall'attenzione dei media.
Una famiglia allargata
Il fatto che Angelo Madonia abbia alle spalle due relazioni amorose naufragate - che gli hanno lasciato in dono due figlie, Alessandra e Matilde - non sembra intaccare l'amore tra Ema e il ballerino. La speaker radiofonica è pronta a prendersi cura delle due bambine, quando passano il tempo con il padre. "Ema ha la delega per andarla a prenderla a scuola: è un’organizzazione felice perché le mamme delle mie figlie ed Ema vanno d’accordo, è un gruppo familiare sereno", dichiara Madonia in un'intervista a Nuovo.
Le voci sulle nozze
È giugno 2023. La coppia sembra essere solida tanto che il ballerino, in un'altra intervista, si sbilancia sul possibile futuro insieme. "Lei è davvero una donna unica, una persona che non assomiglia a niente e nessuno. Se sarei disposto ad allargare la famiglia? Lei è la donna della mia vita ed il mio compito è quello di renderla felice", confessa, aggiungendo: "Se la sposerei? Certo che sì, perché ha tutte le qualità del mondo e regala anche uno sguardo moderno alle mie figlie". Ema e Angelo trascorrono l'estate insieme ma qualcosa sta per cambiare.
L'ultimo post insieme
L'ultimo post insieme, dove Ema Stokholma dichiara il suo amore al compagno, è datato 22 agosto. I due sono in vacanza a Airelles Gordes, in Francia, e sembrano innamorati ma poi lei smette di seguirlo su Instagram e il gossip si infiamma. Lui continua a commentare i suoi post con apprezzamenti, ma la rottura appare evidente e dopo un anno l'amore sembra essere finito.
La notizia della rottura
La coppia non fa annunci ma a svelare che la relazione è finita è Guillermo Mariotto, giudice di Ballando con le stelle, che nella puntata del 28 settembre scorso, si lascia scappare un commento, che non lascia dubbi. Madonia gareggia in coppia con Paola Perego e per spronarla il giudice dice: "Voglio di più da Paola Perego. Ti devi lasciare andare. Guarda tutta quella roba di lui, che adesso è pure libero". Madonia appare colpito dalle parole ma non smentisce e Milly Carlucci invita tutti a parlare di ballo e non di vicende personali.
Estratto da fanpage.it venerdì 25 agosto 2023.
Ema Stokholma torna a parlare dell’infanzia difficile segnata dalle violenze familiari. Non è la prima volta che la conduttrice radiofonica racconta del rapporto turbolento con la madre, accusata di infliggerle sin da bambina violenze fisiche e psicologiche. Ora, a 39 anni, ha trovato il coraggio di tornare in Francia, nel paese in cui è cresciuta.
Il ritorno all’infanzia violenta
Del suo passato difficile ne ha parlato in un libro dal titolo Per il mio bene, ma parte del percorso terapeutico è stato, probabilmente, anche il ritorno a Roman-sur-Isère, il paese in cui è cresciuta. “Se ci fossi tornata prima di scrivere il libro, non so se l’avrei finito, l’emozione sarebbe stata troppo forte. Ho vomitato tutta la notte, mi è venuto un febbrone”, ha racconta in un’intervista al Corriere della Sera.
È tornata sul ponte in cui, a circa 8 anni, sua madre la spinse a gettarsi. “Non l’ascoltai solo perché in quel momento che, ignaro, si mise a parlare con lei e la distrasse. Le violenze erano parte del nostro quotidiano”. Infine, ha fatto una visita nella casa in cui viveva con la madre, ora in affitto, fingendosi un’aspirante compratrice. “Quello che accadeva dentro casa non era cola di nessuno: mia madre era malata, ma l’indifferenza che trovavamo fuori, di fronte a lividi e urla, è stata colpa di tutti”. La donna è morta di leucemia nel 2020, ma Ema ammette di non essere mai riuscita a perdonarla.
La storia d’amore con Angelo Madonia
Per affrontare il viaggio Ema Stockholma, oggi 39 anni, ha portato con sé il compagno Angelo Madonia, con il quale ha condiviso l’esperienza a Ballando con le stelle e che le ha regalato la serenità inedita dell’affetto familiare. “Non ce l’avrei fatta a tornare lì da sola. Il senso di famiglia che mi dà Angelo mi ha aiutato a trovare il coraggio. Lui è una persona molto sensibile”
(...)
Ema Stockolma torna dopo 30 anni nella sua città. «Da quel ponte mia madre mi disse di buttarmi». Storia di Giovanna Maria Fagnani su Il Corriere della Sera il 18 agosto 2023.
Un tuffo negli anni più dolorosi del suo passato. La dj e conduttrice tv Ema Stockolma, ha trovato il coraggio di tornare a casa. Mancava da trent’anni da Romans-sur-Isère, la città francese dove è nata e cresciuta con la madre Dominique e il fratello Gwendal e dove ha vissuto per anni in balia delle violenze perpetrate contro di lei proprio dalla madre. Un’esperienza raccontata nel suo libro «Per il mio bene», frase che la mamma le diceva per giustificare le botte o gli insulti e perfino l’istigazione al suicidio, che fortunatamente non ebbe esito. Flashback strazianti, che la dj ripercorre in un lungo sfogo pubblicato su Instagram. Ha cercato di essere forte, ma, alla fine, confida: «Ho vomitato tutta la notte». «Ho corso. In 20 minuti avevamo gia visto tutto. Chiusa la pratica. 30 anni che aspettavo questo momento e in manco mezzora finiamo tutto e non se ne parla più» racconta ai follower.
Nella sua città non ci era più tornata. «Che ci tornavo a fare in quel posto dove ero nata, cresciuta, dove ero quasi morta?» si domanda alludendo all’episodio più brutto: «Da quel ponte mia madre mi disse di buttarmi, oggi non so perché istintivamente ci ho sputato nell’ acqua, davanti a Angelo Madonia (il suo fidanzato, conosciuto a Ballando con le Stelle ndr) che mi guardava incredulo. Strano come i ricordi siano selettivi. Immagini quotidiane ma insignificanti ti si imprimono in un angolo della testa o della pancia e non sai perché» racconta per poi rievocare come riuscì a sottrarsi dalla violenza della madre fuggendo di casa.
«Quasi 30 anni fa in una Peugeot 106 insieme a mia madre e mio fratello cercavamo una nuova vita. Pochi anni dopo quella partenza scappavo di casa per non tornarci mai più, scegliendo l’Italia come un pomodoro sceglie lo spaghetto, perché questa nuova vita non l’avevo trovata io, e la violenza degli anni passati non era rimasta in quella cittadina del sud della Francia ma era salita con noi sulla Peugeot». Dopo anni di attesa («come quando leggi un libro non da solo ma in due e devi sempre aspettare che sia il momento giusto anche per l’altra persona per iniziare un nuovo capitolo»), è tornata in quelle strade e nel video pubblicato si vedono il fiume, la chiesa, i campi. «Sto correndo per le stesse strade dove correva mio fratello, anche se a me diceva che camminava veloce ma io avevo il fiatone per seguirlo. Quelle strade le ho percorse senza vestiti, nuda come un bruco, quando scappavo dalle botte». Camminando, rivede i negozi della sua infanzia: «L’insegna Annie boutique di un negozio che era un fantasma già quando c’ero io. Il poster con l’asino disegnato a fumetto sulla vetrina della libreria, che non si sa per quale motivo non lo hanno tolto dal 1990, quasi a dire: vieni qua e pensi di emozionarti per casa tua, invece ti farò piangere io, che sono solo uno stupido poster. Oggi la casa è vuota, in affitto, era vuota pure quando ci stavamo noi dentro». La conclusione è fra speranza e emozioni violente. «Sono stata dove da bambina non pensavo di aver un oggi, insieme a Angelo e Jordan (il loro cane ndr), come per dire guarda che sei viva e che stai alla grande, guarda che stringerai i denti e diventerai sensibile. La verità? Ho vomitato tutta la notte».
Emanuela Fanelli.
Emanuela Fanelli: «Difficile oggi fare comicità: le piattaforme controllano anche le virgole per paura di offendere». Dalle recite scolastiche al cinema, ha conquistato il pubblico con l’ironia. E ora è candidata ai David. Dialogo a tutto campo con l’attrice. Che ai complimenti risponde: «Oggi ti dicono “sei un genio” e il giorno dopo che non fai più ridere». Claudia Catalli su L'Espresso il 20 Aprile 2023
La sua ironia ha conquistato prima gli spettatori di “Una pezza di Lundini”, poi quelli della serie su Sky e Now, “Call my agent – Italia”, in cui interpreta la mitomane e sedicente attrice Luana Pericoli. Nei suoi panni Emanuela Fanelli, 36 anni, ha tenuto testa a Corrado Guzzanti, dimostrando che alla lunga “la tigna” – cioè la determinazione nel fare questo mestiere a modo suo, senza compromessi e senza mollare – paga. Al punto da essere arrivata alla sua prima candidatura ai David di Donatello per il film “Siccità” di Paolo Virzì come miglior attrice non protagonista.
Partiamo dal primo provino, nel 2015, per “Non essere cattivo”.
«Prima non avevo neanche un’agente, la mia mi ha vista recitare una sera in un pub a Testaccio. Ancora facevo la maestra nella scuola materna. L’ho fatto per dieci anni: era un mestiere che amavo, non era la passione della mia vita, ma preferivo stare con i bambini che fare l’attrice in film che io stessa non avrei guardato».
La sua tigna ha pagato.
«C’è voluto tempo. Il primo laboratorio teatrale l’ho fatto a 16 anni, poi facevo piccole parti nel teatro classico, nei matinée, nelle sagre di paese mentre il pubblico mangiava i panini con le salsicce…».
Dalle sagre è arrivata, via via, al tappeto rosso di Venezia con il film di Virzì.
«“Siccità” è stato un dono; Paolo mi ha affidato il ruolo di una ragazza sempre sottovalutata dalla sua famiglia, una che passa per scema, eppure è sveglia, intelligente, ben disposta verso gli altri, infatti diventa leader suo malgrado».
Un po’ come lei, che oggi spicca tra le star di “Call my agent – Italia” nei panni di Luana Pericoli.
«Scherzare sul mondo del cinema smitizzandolo ha divertito il pubblico. Luana è stata più apprezzata di quanto pensassi. Ha convinto poter ridere di attori italiani famosi e di certe loro caratteristiche, come il trasformismo di Pierfrancesco Favino».
Il commento che ha ricevuto più spesso?
«Quanto m’hai fatto ride’ co’ Guzzanti l’ultima puntata».
Il complimento a cui non ha creduto?
«Fanelli genio. Un’esagerazione, c’è troppa facilità oggi a dividersi in tifoserie in cui si cambia squadra rapidamente. Un giorno sei genio, l’altro diventi: “Ahó, non fai ride’, cambia lavoro”».
Si sente davvero la quarta sorella Guzzanti?
«Non mi paragono neanche, loro sono meravigliosi, ma mi ha fatto ridere dirlo nella serie!».
Com’è recitare con Corrado Guzzanti?
«Una tortura cinese: sfido chiunque a non ridergli in faccia. È stato un sogno».
Tra l’altro, sette anni fa avevate condiviso una scena di sesso in “Dov’è Mario?”.
«Penso di essere l’unica ad aver fatto una scena di sesso con lui e lui è l’unico ad averla fatta con me. Ci vantiamo di questo primato con gli amici al bar».
Trova ci sia ancora spazio per una comicità politicamente scorretta oggi?
«Dipende su quale piattaforma, alcune controllano anche le virgole. Lo fanno per evitare che possa offendersi qualcuno. Però, per citare Ricky Gervais, non è che chi si offende abbia sempre ragione a priori».
Le piace “Lol” su Prime Video?
«Qualunque programma umoristico per me è il benvenuto, a prescindere dai gusti».
In “Una pezza di Lundini” si sentiva libera di dire ciò che voleva?
«Sia io sia Lundini avevamo una libertà editoriale totale, l’unico limite era il gusto personale. Non amo offendere nessuno, cerco di evitarlo. Credo anche che ogni comico debba assumersi la responsabilità di quello che dice. Se una battuta fa ridere poco e offende molto, non ha senso».
Chi la fa ridere oggi?
«Il mago Forest, Nino Frassica, Corrado Guzzanti, Fabio De Luigi, Antonio Albanese, tutta la comitiva dandiniana del “Pippo Chennedy Show”».
Donne?
«Paola Cortellesi, la migliore. Se penso alle grandi di ieri, Franca Valeri (di cui ha parlato in “Illuminate” su Rai 3, ndr) e Anna Marchesini».
Esiste un’ironia femminile?
«Come diceva Valeri, esistono gli esseri umani, quelli che hanno l’ironia e quelli che non ce l’hanno».
Che cosa pensa dei comici sui social?
«Un giorno sono trending topic, il giorno dopo sono già sostituiti da altro. Alcuni video di persone sconosciute mi fanno molto ridere. Di mio non sono molto “social”, mi annoia. E poi ritengo ancora importante il contatto diretto con il pubblico. So che suona come una cosa da tromboni».
Difficile far ridere in tempo di pandemia, guerre e calamità naturali?
«È commovente quando ti fermano per strada e dicono: “Stavo passando un brutto momento e mi hai fatto ridere”. Spesso la vita sa essere pesante, quindi fa piacere sapere che mi considerano tra quelli che vanno a vedere per tirarsi su il morale».
Le capita di pensare che non ci sia nulla da ridere?
«Succede. Quando è scoppiata la guerra in Ucraina dovevo preparare un numero comico e mi chiedevo: “Ma che c**o me rido?”. Però, per educazione familiare sono abituata a buttare tutto sul ridere: il confine tra il veramente tragico e il veramente comico è sempre molto labile».
Qual è stata la prima volta che ha capito che sapeva far ridere?
«A casa ridevano tutti quando dicevo le cose. Poi ho fatto teatro a scuola e mi fecero interpretare la signora Peachum de “L’opera da tre soldi” di Bertolt Brecht: ero una vecchia prostituta ubriacona con il dialetto ciociaro e ridevano tutti. Lì ho capito che non facevo ridere solo a casa mia».
Perché non si è mai dedicata alla satira politica?
«Mi piace guardarla, ma nello scrivere non mi è mai venuta, forse non ne ho la capacità. O forse la politica fa già molto ridere, difficile fare la parodia di cose già parodistiche. Oggi basta guardare “gli originali”».
Perché non ci sarà una nuova stagione di “Una pezza di Lundini”?
«A poker devi lasciare il tavolo quando hai vinto, altrimenti poi perdi. Noi abbiamo preferito finire lasciando la sensazione a chi l’ha guardata del “quant’era bella”».
La vedremo a teatro?
«Mi piacerebbe, ma me la faccio sotto. Temo che ci si aspetti da me qualcosa che non sono in grado di dare. E poi adesso non posso fermarmi per provare, fare la tournée e tutto il resto».
Perché non può fermarsi?
«Come dicono sempre le attrici: “Ho tante cose che bollono in pentola, ma non posso ancora parlarne per scaramanzia”».
Però, come la sua Luana Pericoli, avrà almeno sentito Tarantino.
«Quentin lo sento, negarlo offenderebbe l’intelligenza dei lettori. Ma è un tipo umorale, non so se mi va di aspettarlo».
Emanuela Folliero.
Estratto dell’articolo di Alessandra Cantilena per mowmag.com il 3 settembre 2023.
Dopo anni a presentare i “Bellissimi” di Rete4 e tante trasmissioni legate ai film, Emanuela Folliero ha scelto di dare più spazio nella propria vita al suo amato cinema. Per questo ha deciso di accettare l’invito alla Biennale del Cinema di Venezia ed è proprio lì che l’abbiamo raggiunta per farci spiegare questa svolta: “[…]
Gli habitué del tubo catodico non scordano i ventotto anni di rassicurante, professionale ed “esplosiva” presenza estetica di una delle più amate “Signorine Buonasera” della tv. Emanuela Folliero, milanese, rimase a lungo oltre alle colleghe della Rai a riassumere al pubblico i classici del cinema italiano ed estero con ‘I Bellissimi’ a cura della redazione di Rete 4. […]
Emanuela, come va con ‘I Bellissimi’ a Venezia?
Non li ho mai abbandonati, sono legata da sempre al mondo dei film, non solo perché ne ho presentati moltissimi, ma perché il cinema mi ha sempre abitato e continua a farlo, e nel modo migliore: l’amore per il cinema è una benedizione e al contempo anche la maggiore maledizione. Quando guardiamo un film troppo spesso dimentichiamo tanti perché: se il protagonista in primo piano cammina nel sole e dietro “passano” con gli ombrelli, facciamo finta che sia un caso.
[…]
Quale messaggio vorrebbe che il cinema oggi diffondesse?
Sono cresciuta con Rossella O’Hara. Un film che può formare ancora le nuove generazioni su cosa siano i tempi dell’amore: dal corteggiamento alla conquista, perché l’amore è una quiete accesa ma oggi mi sembrano tutti impegnati a bruciare i tempi. La magia del cinema, di certi film, è di raccontare ancora che una emozione non deve essere bruciata subito per essere vissuta. Da questo problema nasce ed è nato il Metoo. Un movimento che è arrivato sui media ma che non ha cambiato la realtà nelle strade, dove la violenza anche psicologica verso le donne esiste minuto per minuto. Credo che anche in questo il cinema possa fare molto.
Pensa che la nostra sia una società ancora maschilista?
Non lo penso, la è! Altrimenti non ci sarebbe bisogno di rispondere alla domanda. Basti vedere che quest’anno tra i sei film italiani in concorso a Venezia non c’è neanche una donna.
Crede che la donna approfitti, talvolta, del suo essere seducente e della sensibilità maschile al fascino femminile, per scopi legati alla carriera?
Certo che sì. Succede in tutte gli ambiti lavorativi. Non è che il nostro mondo sia peggiore di altri. Anzi...
[…]Le è mai accaduto di ricevere una proposta indecente in cambio di incarichi di lavoro appetibili?
Una proposta è sempre indecente, se no sarebbe una domanda. Mi è successo più volte, ma il vero problema non è l’uomo che propone, e non dovrebbe nemmeno proporlo, ma la donna che accetta.
[…]
I binomi bella-stupida e brutta-intelligente hanno fatto sempre parte della vita delle donne, come pregiudizi coi quali scontrarsi e misurarsi. Come se ne esce?
L’unico problema, mai come oggi, è che gli stupidi sono sempre pieni di sicurezze, mentre gli intelligenti sono pieni di dubbi.
Le donne favoriscono questo status quo tramite l'asservimento ai canoni di bellezza a tutti i costi?
Sì, senza alcun dubbio. Ci pensavo proprio in questi giorni che sto rileggendo Freud. Nel suo Mosè annota: “Un essere umano senza qualità è un essere con tutte le qualità senza l’essere umano”. Le donne hanno un senso di colpa atavico, sin dai tempi di Eva e Adamo. Ecco, forse è arrivato il momento di liberarcene.
Emanuela Folliero: «Così abbordai mio marito. Stefano D’Orazio? Ci lasciammo con un brindisi. Il calendario? Ero contraria». Michela Proietti su Il Corriere della Sera il 26 Febbraio 2023.
La conduttrice: «Evitai un molestatore gettandomi da un’auto. Il calendario? Ero contraria. Ho conosciuto Pino Oricci al mare: provavo a nuotargli vicino per conoscerlo, ma era imprendibile. Ci sono riuscita al bar, davanti a sei caffè»
Emanuela Folliero, per 28 anni ha dato la buonanotte all’Italia con I Bellissimi. E ora?
«Potrei anche vincere un Oscar, ma rimango quella dei Bellissimi. Tre anni fa ho concluso il contratto con Rete 4, ma è una stagione della mia vita che è terminata in modo positivo e ora sono più libera: prima avevo un’esclusiva e nessuno mi chiamava. Ora lavoro anche in Rai».
I suoi ex datori di lavoro?
«Non ho avuto proposte interessanti da loro. A parte il Grande Fratello Vip: ma ho pensato al mio adolescente, Andrea, e al suo giudizio. Quando entriamo nei negozi dove c’è musica e ballo lui mi fulmina: “mamma, no!”».
Julia Roberts ha detto che Hollywood non le perdona l’età. Lei ha da poco compiuto 58 anni.
«In realtà, per come vanno le cose in televisione in Italia, credo di essere una donna troppo giovane per avere un programma tutto mio».
Non le manda a dire.
«Sono schietta. Lo ero anche ai provini».
Ha dovuto difendersi?
«È successo. A un casting mi chiesero di spogliarmi nuda. Risposi: “Non sono venuta dal dottore” e me ne sono andata, non prima di aver avvisato le altre che aspettavano fuori dalla porta. Ma sono entrate lo stesso».
Come si è difesa dalle molestie?
«Tra un chiacchiera e l’altra, tiravo fuori che avevo un papà avvocato. E quando lo dicevo, l’approccio cambiava».
Da che famiglia proviene?
«Sono nata a Milano da genitori milanesi, ma il nonno paterno era pugliese. Da piccola mi chiamavano cigno nero, perché ero secca secca, avevo i capelli neri e guardavo con l’occhio di lato. Mia zia diceva: “mmmh... questa qui è strana”».
Era strana?
«No, solo molto introversa, per una timidezza estrema. Da adolescente soffrivo di una forma di malinconia che chiamavo “tristezza molesta”. Ero alla ricerca della mia strada».
Come l’ha trovata?
«Iniziando a lavorare. Mentre frequentavo il liceo artistico ho cominciato a distribuire volantini sui pattini a rotelle: facevo parte dei Roller Project, percorrevamo il tratto di strada da San Babila a Loreto attaccandoci alle macchine».
N on era pericoloso?
«Avendo fatto pattinaggio artistico me la cavavo. Una volta però sono andata contro una vetrina e ho abbracciato un tipo, Rummenigge...».
Nel frattempo faceva la pubblicità.
«A 18 anni sono stata avvicinata da un modello: mi ha portata in agenzia e mi hanno scritturata per la Valtur. L’ho rivisto anni dopo, marito di Andie MacDowell. Era Paul Qualley».
La televisione?
«Ho cominciato con Licia Dolce Licia: avevo 20 anni e il provino consisteva nel girare in tondo, scambiandoci degli sguardi».
Prendeva tutto quello che arrivava?
«Non volevo fare la modella ma neppure la valletta: l’ho fatta per un breve periodo a Ok!Il prezzo è giusto. Poi però l’ho anche presentato».
Non pensava che rifiutare fosse rischioso?
«Il nostro lavoro è così: precari per sempre. Gianna Tani, la casting manager, mi consigliava di tenere alta l’asticella: poi ad un certo punto mi ha proposto di sostituire Cinzia Lenzi».
Perché hanno scelto lei?
«Forse perché ero di Milano. La Lenzi abitava a Firenze e faceva la pendolare. Mi hanno detto che ero stata scelta proprio da Berlusconi».
Le hanno detto anche il motivo?
«Per il sorriso rassicurante e lo strabismo di Venere. Non per le tette: avevo una camicia a fiorellini abbottonata, con le maniche a sbuffo».
Ma è diventata subito un sex symbol.
«Ma non mi ci sono mai sentita: da piccola mi chiamavano poker d’ossi e sec symbol. Andavo in giro con il golf di mio fratello, anche al mare».
Silvio Berlusconi.
«L’ho incontrato per la prima volta a Segrate, veniva in mensa e si metteva a raccontare le barzellette e a distribuire i pasti: “Folliero ma non le ho mai fatto la corte? Ah no? Perché?”»
Ha contato più la fortuna o il talento?
«Ho detto molti no che mi sono costati . Ma alla fine ho fatto così tanti programmi che per ricordarmene devo andare su Wikipedia».
Un suo pregio?
«Non vivo nel passato, ma solo nel futuro».
Un incidente di percorso.
«Ad un certo punto un agente mi ha suggerito il Paolo Limiti Show, un programma Rai di prima serata: “tanto hai il paracadute, torni in Mediaset quando vuoi”: mi hanno messo a fare la valletta. E quel paracadute non si apriva più...».
Il calendario.
«Avevo 38 anni, non ne volevo sapere. Poi mi hanno dato una pila di libri dei più grandi fotografi e sono andata anche a guardarmi le pornostar, per capire le posizioni. Quando l’ho visto in edicola ho pensato: “non lo comprerà nessuno”. Abbiamo dovuto ristampare».
Qualche critica?
«Alfonso Signorini mi ha detto che con gli stivali bianchi sembravo “da Nomentana”».
Oggi il nudo non è più ammesso.
«Una forma eccessiva di protezione delle donne: suona come l’ammissione di essere indifese. A me è capitato di tutto, da quello in ascensore che ha aperto il cappotto al tipo che si strusciava sul tram 90. Una volta mi sono buttata giù dall’auto con l’autostop perché stava finendo male: certo, queste cose non devono più succedere».
Stranamore.
«Sono stranamore di mio nella vita, mi piace ascoltare le persone, faccio miei i problemi degli altri cercando una soluzione».
Dopo aver preso il posto di Iva Zanicchi, ha preso quello di Alberto Castagna.
«Ero nel camper, poi a fine trasmissione andavamo a cena. Lui era già malato e una sera a tavola davanti gli altri mi ha detto: “l’anno prossimo questo lavoro lo fai tu, mi sono rotto i coglioni e vado a pescare”».
Come ha saputo della sua morte?
«Come tutti, da Bonolis, a Sanremo. Mi diceva “voglio morire da vivo”: era in dialisi ma rubava dal mio piatto. Era affamato di vita».
Le hanno chiesto di sostituirlo.
«Mancavano alla fine della trasmissione sei puntate, dovevo salire sul treno in corsa. Per rispetto a lui ho aspettato la stagione successiva».
Ha iniziato pochi giorni dopo il parto .
«Dopo 15 giorni dal taglio cesareo, per l’esattezza. Ricordo la truccatrice e la parrucchiera, mi hanno anche vestito e messo il busto...»
Una mamma «tardiva»: aveva 42 anni.
«Ero in cura per le cisti ovariche, dopo una visita la mia dottoressa mi ha detto che ero incinta. A quell’età si chiama “premium baby” e prima di affezionarmi all’idea ho voluto essere certa di portare a termine la gravidanza».
Il padre di suo figlio?
«Un ragazzo di Bassano del Grappa, che conoscevo da sei mesi e colmava alcuni miei vuoti. Non eravamo fatti per stare insieme, ma si è trasferito a Monza per starci più vicino».
Il baby-blues.
«In clinica ho avuto un crollo. Le infermiere mi hanno vista piangere e si è diffusa la voce della depressione post-partum. Ho detto: “devo reagire”. E ho deciso di farmi aiutare».
Da chi?
«Da uno psicologo di Bergamo che mi ha consigliato il mio garagista. Aveva scritto un libro di dinamica mentale applicata e mi ha ridato in mano le chiavi della mia vita».
Suo marito Pino Oricci.
«L’ho conosciuto in Sardegna. L’ho visto andare in acqua e ho pensato: “però, niente male”. Provavo a nuotargli vicino, ma lui faceva triathlon ed era imprendibile».
Alla fine?
«L’ho abbordato al bar. Ha ordinato sei caffè e gli ho domandato: “Li bevi tutti tu?”».
Il suo ex storico Stefano D’Orazio.
«Ci ha presentati un amico a un concerto dei Pooh: mi ha invitata a cena Da Vittorio, a Bergamo. Mi scriveva frasi d’amore sui tovaglioli di stoffa: “tanto con quel che costano”, diceva...»
Perché vi siete lasciati?
«Programmi di vita differenti. Ci siamo lasciati con un brindisi, davanti a una coppia di amici: “volevamo dirvi che non stiamo più insieme”. Da quel giorno siamo diventati amici».
La sua morte.
«Anche dall’ospedale faceva battute a sua moglie Tiziana: “c’è chi sta peggio di me”. Una sera mi è capitato un braccialetto che Stefano aveva regalato a mio figlio. Poche ore dopo è morto».
La scomparsa di Maurizio Costanzo.
«Inaspettata. Quando andavo a Roma passavo a trovarlo. L’ultima volta mi ha regalato una delle sue tartarughine portafortuna. Era sempre generoso, anche con le parole: quando gli chiedevano chi fossero le conduttrici che meritavano qualcosa in più, citava me».
Le ha dato qualche consiglio?
«Quando facevo Stranamore mi diceva di inviargli le storie degli ospiti, così poteva suggerirmi il modo migliore per esporle».
Lei è molto attiva sui social.
«Mi scrivono i “money slave”, quelli che vogliono regalarti una borsa di Louis Vuitton o pagarti la spesa senza volere nulla in cambio».
Ha mai accettato?
«Certo che no, ma mi diverto molto».
Chirurgia estetica sì o no?
«Resisto, piuttosto ritocco le foto».
Yoga o pilates?
«Ballo da sala. Da piccola ho fatto ginnastica correttiva per la scoliosi. Il pilates è simile...».
Il prossimo programma?
«L’8 marzo registro una puntata di Celebrity Chef con Alessandro Borghese, insieme a Patrizia Rossetti. L’idea mi diverte molto».
Cosa si rimprovera?
«La pigrizia: sono una che non va alle feste e agli eventi, mi fa una fatica furibonda. E nel mio ambiente, per lavorare, tocca fare salotto».
Estratto dell'articolo di Giulia Cazzaniga per “la Verità” il 23 gennaio 2023.
A scuola di dizione le davano pugni nello stomaco per imparare a usare il diaframma. Alla pronuncia giusta non deroga quasi mai, neppure in casa, se non per la parola «bene» che andrebbe detta con la prima «e» aperta, «ma proprio non ci riesco». La voce è una caratteristica di Emanuela Folliero. La fisicità un’altra. Quella però, racconta, «prima di tirarla fuori ho dovuto compiere 30 anni, perché sono molto timida».
(...)
Di Chiesa ha qualche ricordo?
«Una persona gentile e puntuale. Veniva spesso ospite in tanti programmi».
Nonno pugliese, mamma della bergamasca, lei è nata in un mix di dialetti e poi ha conquistato la dizione perfetta delle annunciatrici.
«E la passione per la lingua italiana: sono un po’ una fanatica della grammatica, mi infastidiscono gli errori. Oltre che certe parlate dialettali, perché non le capisco: ad esempio in serie come “Gomorra”. Qui al Nord parliamo quasi “neutri”».
Vive a Milano, dove - lo ha denunciato qualche anno fa - si sentiva poco sicura. Va meglio?
«Anzi. Apro il portone senza dare le spalle e sono sempre in allerta».
Colpa della politica se non c’è sicurezza? Il Paese è peggiorato?
«Chi delinque, spesso, lo fa per disperazione. Manca il lavoro, non è una cosa da poco. Confido molto nel nuovo governo perché la situazione possa cambiare».
Ci crede?
«Giorgia Meloni mi piace molto, ed è raro che io mi esponga. Però mi sono informata e ho studiato, prima di votare. Ho letto anche il suo libro. Ha sempre masticato politica, fin da ragazza. Si applica, ci mette il cuore, sa le lingue e si dà da fare.
Non è tanto questione di destra o sinistra, ma della persona. La conosco personalmente da anni, è sempre attenta e disponibile. Mi ha colpito molto la velocità con la quale ha risposto al mio messaggio di congratulazioni quando è stata eletta. E una donna presidente del Consiglio è una conquista».
(...)
Dici “Emanuela Folliero”…
«Con due “L”, mi raccomando, che in tanti si sbagliano. Lo dico dalle elementari. Per non parlare di chi mi chiama Fogliero».
… ed è sinonimo di una bellezza prorompente.
«Ma al provino di Mediaset andai abbottonata. Una camicetta a fiori con le rouches che è ancora in qualche armadio».
La bellezza le ha aperto tante porte. Ha fatto anche concorsi?
«Fui eletta Miss Rovetta, un Paese vicino a Clusone, e poi vinsi in Lombardia, da ragazzina. Valeva per Miss Italia e arrivai a essere chiamata a Salsomaggiore, ma preferii andare in vacanza con mio fratello a Sanremo».
(...)
Perché al provino di Mediaset andò senza scollature?
«Sono sempre stata molto magra e con un seno importante. Avevo una passione per la danza classica, e mi diedero il benservito proprio per quello. Quindi ben presto è diventato un problema, più che un valore. E poi all’epoca c’erano le ragazze Cin Cin, e non esistevano vie di mezzo tra il tailleur e loro. Pian piano sono cambiata io, fidandomi di più di me stessa, e sono cambiati pure i tempi».
Fino ad arrivare al suo calendario senza veli del 2003. Ora non mi dirà che si è pentita di farlo…
«No. Certo, il giorno che è uscito in edicola pioveva e me lo ricordo ancora, temevo che sarebbe stato un flop. Per non parlare di mia madre che non era convinta della mia scelta. Temevo di aver fatto brutta figura. Però fu una bella esperienza, mi lasciarono libera di scegliere le pose, così da non risultare volgare ma solo sensuale».
Ci riuscì?
«Credo di sì, visto che c’erano file di donne agli eventi a cui partecipavo che mi chiedevano l’autografo sulle foto perché volevano regalare il calendario ai mariti a Natale».
Sta scherzando?
«No, glielo assicuro. Si vede che non mi vedevano come una “mangiauomini”».
Vendette molto? E - se posso - fu un bel guadagno?
«Furono 400.000 copie, andammo in ristampa. Il guadagno davvero non me lo ricordo, so che fu sostanzioso, soprattutto per l’indotto: tantissime serate. Capitò che in una sera sola avessi tre eventi programmati in tre località toscane».
(...)
«È capitato anzi che mi affiancassero la security, per stare in mezzo alla folla. Si ricorda la giornalista a cui toccarono il sedere in diretta e fece scandalo? Non sa quante volte mi è successo, ma io mi son sempre difesa o con un bel calcio o con le parole. Il rispetto prima di tutto e a qualunque costo».
Grandi firme del giornalismo italiano imputano a Mediaset di aver peggiorato la televisione. E pure di aver contribuito a rendere le donne oggetto…
«Berlusconi spesso è il capro espiatorio… È come il nero: sta bene con tutto. Ha creato una televisione moderna, nuova, competitiva che ha dato da mangiare a migliaia di persone e continua a farlo. E poi guardi, le assicuro che ciascuna di noi annunciatrici era lasciata libera di trovare un suo stile. Nessuno ci ha mai detto o imposto cosa fare».
Libere di essere più o meno seducenti?
«C’è oggi fin troppa ipocrisia su questo tema. La donna è un oggetto solo se accetta di esserlo, se lo sceglie. Quando tanti anni fa mi chiesero ad esempio di fare la valletta a “Ok il prezzo è giusto”, in costume da bagno, dissi di no pur avendo passato il provino. Poi ho condotto il programma per un periodo, quando Iva Zanicchi si candidò in politica».
Ha lavorato con due big della tv italiana. Paolo Limiti e Alberto Castagna. Le furono maestri?
«Se vuole la verità, visto il suo giornale, io per Limiti lasciai Mediaset ma non fui tanto contenta del suo show in Rai. Mi assegnarono balletti e canti in playback, non ero a mio agio. Certo, Limiti era una enciclopedia di storia del cinema e della tv».
E Castagna?
«Un uomo rispettoso delle donne e del pubblico, simpatico e diretto. Mi lasciò in eredità “Stranamore”, il suo programma. Da lui imparai molto».
Altri maestri di vita?
«Stefano d’Orazio» (dei Pooh, ndr).
Con il quale ebbe una relazione.
«Sì, e poi una grande amicizia. Persino per la televisione più piccolina ci metteva sempre il cuore, pianificando ogni dettaglio». (Ci interrompe il marito, Giuseppe Oricci. Le chiede dove trovare alcune cose, lei poi torna da noi.)
(...)
Emanuela Trane: Dolcenera.
Estratto dell’articolo di Daniele Priori per “Libero quotidiano” lunedì 2 ottobre 2023.
«Nera che non si vedeva da una vita intera cosí dolcenera...». Emanuela Trane è un fiume in piena, proprio come la canzone di Fabrizio De André dalla quale, due decenni fa, ha preso il nome d’arte: Dolcenera. […] festeggerà il suo primo ventennio di carriera […]
C'è stato invece in questi primi vent’anni qualcosa che l'ha condizionata?
«Le radio. Io pensavo che chiunque scrivesse qualcosa di valore avesse la possibilità di essere trasmesso. Ho capito tardi che esistevano invece altri poteri. Al punto che oggi la musica è diventata un bordello. Tutti i ragazzini che fanno musica il sogno quasi non ce l’hanno più. Sono troppo consapevoli dei meccanismi».
I talent in questo che ruolo hanno?
«Al momento mi sembrano essere un po’ decaduti. X Factor è rimasto solo in Italia. Per un periodo hanno fatto lo scouting che un tempo facevano più le case discografiche, poi è arrivato il web a prendere il posto dei talent. Adesso c’è Tik Tok e chissà cos’altro dovremo aspettarci...»
Ci vediamo a casa torna d’attualità, undici anni dopo il Sanremo 2012, per un disco di platino...
«In realtà l’avevo già maturato ma non l’avevo mai ritirato...»
E perché?
«Perché ogni successo è già successo e io vivo sempre proiettata nel futuro, nei pezzi nuovi da scrivere, senza mai dare nulla per scontato».
Qual è oggi la casa artistica (e non solo) di Dolcenera?
«[…] La mia intensità nei live ce l’hanno in pochi. Sono stata tanto sul palco, al punto che oggi sono in giro con tre concerti: uno con la band, uno recital piano solo e uno con l’orchestra sinfonica. Questo mi fa pensare che nella vita magari potrà capitarmi di sentirmi appesantita e non più libera di scrivere ma la sensazione del palco, quella, non credo che la perderò mai».
Assieme alla sua voglia di contaminarsi addirittura coi “ragazzacci” della trap. Come ci è finita in mezzo?
«Un po’ per gioco e per fare ricerca musicale. Volevo capire come costruiscono le canzoni a livello armonico, di accordi e di melodia. Suonare una canzone al piano vuol dire renderla nuda e capirne l’essenza. Quando uno è nudo capisci se è fico o non è poi così fico...»
E come ha trovato la trap?
«Come il resto dei generi musicali. Alcuni brani valgono, hanno istinto e ispirazione abbastanza puri, altri no. Semmai inviterei a suonare in acustico tantissime altre canzoni che oggi vivono solo grazie al sound design...»
La sua anima è anche rock. I Maneskin sono davvero dei grandi o sono un bluff?
«Penso che abbiano avuto un coraggio enorme ad andare a Sanremo con quella canzone, Zitti e buoni. Andavano incontro a morte certa. Il loro credere in quello che fanno è bellissimo e, sicuramente anche per il fatto che manca gente che nel mondo suona il rock dal vivo, con loro è successo una sorta di miracolo. Ora per restare inattaccabili dovranno mettere il blues nelle loro canzoni. Il rock and roll non può prescindere dal blues. E la loro unica pecca, se così si può dire, è nel loro essere nati in Italia, dove il blues non sappiamo nemmeno cosa sia...»
Senta recentemente ha dichiarato: “L’indie, fenomeno prettamente italiano, non mi ha mai convinta”. Non le sembra un po' incoerente?
«Ma l’indie italiano oggi si chiama urban e non è più indipendente perché stanno nelle major. I termini cambiano di significato». […]
Emma Marrone.
SE LO FA UNA DONNA E' NORMALE, SE LO FA UN UOMO E' MOLESTIA. Estratto dell'articolo di Daniele Prato per lastampa.it giovedì 30 novembre 2023.
È di Acqui il ragazzo misterioso che il mondo del web insegue da oltre 48 ore, per quel bacio inaspettato che Emma Marrone gli ha stampato sulle labbra lunedì 27 novembre durante il suo concerto ai Magazzini Generali di Milano.
Lui è Paolo Ranieri, influencer, fashion e travel blogger, figurante tv, da anni presenza fissa fra il pubblico delle più importanti trasmissioni Rai e Mediaset, con un seguito su Instagram di 132 mila persone. […] Paolo che al concerto di Emma era presente da semplice fan.
[…]
Un po’ emozionato, un po’ frastornato da un «lip kiss» arrivato a sorpresa, da ore Paolo si ritrova al centro dei gossip e dei commenti sulle pagine social, specie da parte dei fan di Marrone: «Saranno fidanzati?», «Beato lui!», «Di certo si conoscevano». «Invece no – assicura Ranieri –, Emma e io non ci conosciamo. È stato un suo gesto spontaneo che mi porterò nel cuore. La rivedrò martedì nella tappa di Torino del suo tour "In da club". Chissà se mi riconoscerà».
Certi amori non finiscono. Amici, i gossip, l'addio per Belen: la storia d'amore tra Emma Marrone e Stefano De Martino. Novella Toloni il 24 Giugno 2023 su Il Giornale.
Dal 2010 al 2012 Emma Marrone e Stefano De Martino hanno conquistato i fan con la loro storia d'amore prima che Belen Rodriguez facesse breccia nel cuore del ballerino napoletano
Sono trascorsi più di dieci anni dal gossip che travolse Emma Marrone, Stefano De Martino e Belen Rodriguez. La cantante salentina era legata da tre anni al ballerino napoletano, quando quest'ultimo perse la testa (ricambiato) per la showgirl argentina. Il clamore per la rottura tra De Martino e Emma per "colpa" di Belen infiammò la cronaca rosa per mesi, ma oggi tra i tre protagonisti della storia è tornato il sereno. Ma l'amore tra Emma e Stefano, cominciato sui banchi di scuola, è ancora una di quelle storie che incantano i fan dell'ormai ex coppia di Amici.
Galeotto fu Amici di Maria de Filippi
Emma Marrone e Stefano De Martino partecipano alla nona edizione del talent show musicale Amici di Maria De Filippi. È il 2009 e la cantante salentina, 24 anni, conquista il pubblico con la sua voce graffiante e la grinta. Nella scuola c'è anche Stefano, ballerino napoletano appena ventenne, e tra i due il feeling cresce settimana dopo settimana. Il pubblico tifa per la giovane coppia, una delle prime nate davanti alle telecamere di Amici, ma solo dopo l'uscita dalla scuola i due escono davvero allo scoperto per la gioia dei paparazzi.
La sorpresa a Mattino Cinque
Dopo avere vinto Amici per Emma Marrone inizia un periodo intenso fatto di interviste, ospitate, concerti e festival musicali. A pochi giorni dalla finale del talent, è il 10 maggio, la cantante salentina è ospite di Federica Panicucci a Mattino Cinque per raccontare la sua storia, il passato difficile e la voglia di sfondare nel mondo della musica, ma al termine dell'ospitata De Martino piomba in studio per una sorpresa. Il ballerino si siede accanto a Emma che, incalzata dalla conduttrice, parla per la prima volta della loro storia. Pochi giorni dopo, sulla rivista Visto, l'artista ammette: “Personalmente non sono mai stata così felice come in questo periodo. E non parlo solo della mia vittoria ad Amici e dei due dischi di platino. Ma anche della mia vita sentimentale”.
Tensione al ristorante: arrivano Belen e Stefano E la Marrone scappa via
Le foto sulle copertine
Emma e Stefano vengono paparazzati in giro per l'Italia: lei impegnata nel tour e nella registrazione del secondo album, lui tra ospitate, musical e impegni professionali. La coppia non perde occasione di scambiarsi baci e effusioni in pubblico per la gioia dei fotografi e le copertine delle riviste si moltiplicano. Emma e Stefano sono amatissimi dal giovane pubblico di Amici. L'amore sembra solido ma la lontananza gioca un brutto scherzo ai due.
La crisi poi il ritorno di fiamma
Gennaio 2011. Iniziano a circolare i primi rumor sul tradimento di Stefano De Martino con la collega ballerina Giulia Pauselli ed ex allieva di Amici. Emma non commenta ma i due si allontanano e non si fanno più vedere assieme. Mesi dopo Stefano confessa: "Era una storia nata dentro al programma, in un contesto particolare e subito dopo l'uscita da Amici sia io che lei eravamo impegnati lavorativamente, spesso in città e continenti diversi. Lei aveva i suoi concerti e le sue date promozionali, io sono andato negli Stati Uniti per ballare con il Complexions Contemporary Ballet". La lontananza, però, dura poco e nell'estate 2011 i fotografi li pizzicano di nuovo insieme più innamorati che mai. Il settimanale Chi immortala la Marrone e De Martino per le vie di Milano, mano nella mano, felici e affiatati. Il peggio sembra essere passato e i due, tra un impegno e l'altro, trascorrono l'estate insieme.
Belen: "Aspetto un figlio da Stefano De Martino"
Il colpo di fulmine con Belen
A ottobre 2011 Stefano De Martino torna ad Amici: è uno dei ballerini professionisti della nuova stagione del talent di Maria De Filippi. Nel cast fisso c'è anche Belen Rodriguez ballerina "d'eccezione", mentre Emma è capitana di una delle squadre del Serale. Prima in sala prove poi in studio tra l'argentina e il napoletano scatta la passione nonostante Stefano sia fidanzato con Emma. I giornali parlano del clamoroso tradimento. Stefano e Belen non commentano ma la cantante su Facebook prende le distanze dai due: "In questo momento non ci sono grandi parole da dire ma ci tengo a dirvi che nonostante tutto io sto bene, sono qui a fare il mio lavoro e sento tutto il vostro calore. Ci tengo anche a dirvi che io mi dissocio da tutto ciò che sta accadendo".
Maria De Filippi: "Lo dissi io a Emma"
Belen viene fischiata dal pubblico di Amici durante una delle dirette serali e Emma viene informata del tradimento da Maria. "La situazione era tragica, ma al momento fu uno choc per tutti. Nessuno di noi aveva capito. Lui confessò, si erano innamorati ad Amici, ma Stefano non voleva dirlo a Emma, così a Emma lo dissi io, fui molto onesta e chiara con lei". È la fine della storia d'amore tra Emma e Stefano, che inizierà la lunga relazione (tutt'ora in corso) con Belen Rodriguez.
Ivan Rota per Dagospia il 24 dicembre 2022.
Emma Marrone posta anche stamani dopo aver risposto a un hater che le aveva scritto :” Come festeggerai il Natale? Con mamma e papino?”. Il padre della cantante é mancato da poco e lei ha risposto per le rime concludendo con:” Ti meriti la vita di merda che hai”. Oggi un altro leone da tastiera le scrive: ”Hai sempre una grandissima classe vedo. Fermo restando che quella sia una cogliona”. Emma risponde: “Vi siete svegliati tutti buoni oggi… Solo perchè non hanno perculato vostro padre… che non c’è più. Andate a cagare… Buon Natale. Questa é la classe.”
Al GF Vip, la slinguazzante Dana Saber uscita dalla camera dove stava dormendo aveva visto “un demone nero con la faccia da mucca sulla mia valigia“. Lo ha raccontato ai concorrenti però nessuno le ha creduto.. “Si chiamano incubi, non esistono queste cose” ha detto Luca Onestini, ma la “modella” ha continuato imperterrita : “L’ho visto! Mi sono messa a pregare, ma non volevo svegliare gli altri. Non era un incubo, ero sveglia, l’ho visto!”
“ Erano anni che lavoravo a questo libro, ma non ero contenta di come stava venendo e l’avevo accantonato. Mi dicevano di scrivere un libro sui miei segreti di bellezza, su come facevo a mantenermi in forma, ma non lo sentivo mio”: queste le parole di Pamela Prati su Come una Carezza, libro presentato a Roma da Francesca Barra. La diva ci fa sapere che alla presentazione c’é stata grande partecipazione soprattutto di ragazze e ragazzi che la baciavano e abbracciavano avendola vista anche al GF Vip.
Ecco il post di Lorenzo Biagiarelli, compagno di Selvaggia Lucarelli: “Volevo dire solo che domani se volete passare nel nostro locale spazzatura troverete un botto di onestà intellettuale e coraggio perché torna a casa una persona a cui ne avanza sempre tantissimo e non sappiamo più dove metterlo. Selvaggia ti amo sempre di più”. Biagiarelli ieri sera non ha partecipato alla finale di Ballando con le Stelle.“Non è stata la cosa migliore che avete fatto ma è stata bella” ,ha detto Selvaggia Lucarelli e a Moreno Porcu e a Alex Di Giorgio, “Ragazzi, cioè, se volete io vado a casa. Volete che vado a casa? Ok, prego Mariotto“. Milly, o ci capiamo e posso parlare o questo teatrino è diventato stucchevole. Assolutamente un cavolo. Cosa posso dire che sono bravi? Ok, sono bravi, dai. Da ora in avanti dirò solo che sono bravi“.
Sara Di Vaira, ospite da Serena Bortone a Oggi é un altro giorno: “Chiamare Selvaggia (Lucarelli)? Ma come faccio io a telefonarle se poi lei mi registra? Io non la chiamo! nel momento in cui io mi confronto voglio essere libera. Io con gli altri giudici ho sempre discusso e mi sono sempre confrontata in 13 anni. Certe volte il confronto è stato anche duro a essere sincera. Ma resta un confronto tra noi, non usando i social e pubblicando usando altri mezzi. Nel momento in cui io ti chiamo tu cosa fai? Lei ha detto chiaramente che ha registrato una chiamata! Ma io non ti chiamerò mai, perché non mi fido. Io non mi fido di una persona così. Non saluta nemmeno, no ed è la verità”.
Al GF Vip, Wilma Goich ci é ricascata:la cantante ha lasciato tutti a bocca aperta prima di coricarsi nella sua stanza da letto. La gieffina ha dato di nuovo un bacio a stampo sulle labbra di Daniele Dal Miro, ex tronista di Uomini e Donne : un gesto che mai nessuno si sarebbe aspettato, nemmeno il baldo giovane.
Mario Balotelli ha messo la testa a posto almeno in amore? Il calciatore ha portato alle Maldive la nuova fidanzata Francesca Monti, ex cameriera. Una sorta di luna di miele che secondo amici a loro vicini potrebbe essere l’anticamera del matrimonio.
Niente matrimonio per Gianni Vattimo bloccato dalla procura di Torino in quanto l’uomo che doveva sposare, Simone Caminada, é accusato di circonvenzione di incapace, ovvero di Vattimo che peró lo difende a spada tratta. Caminada é accusato di aver approfittato del filosofo per farsi dare soldi e di essersi fatto nominare suo unico erede.
Enrica Bonaccorti.
Enrica Bonaccorti e «la truffa del cruciverbone»: «Fininvest non la prese bene». Redazione Spettacoli su Il Corriere della Sera il 7 Gennaio 2023.
La conduttrice intervistata da Peter Gomez nel programma «La confessione» sul Nove
«Sai, potevi anche glissare. Queste cose non fanno bene alla televisione». Enrica Bonaccorti — intervistata da Peter Gomez nel programma «La confessione» sul Nove — ha raccontato un retroscena sulla celebre «truffa del cruciverbone». Era il 1991 quando mentre conduceva una puntata di «Non è la Rai», una spettatrice che giocava al telefono al gioco del Cruciverba diede la risposta esatta prima ancora di sentire la domanda. Enrica Bonaccorti fu prontissima e non fece finte di niente: «Qui non c’è altra spiegazione, non è altro che una truffa, un imbroglio». Ma Fininvest non la prese bene la faccenda, ricorda Enrica Bonnaccorti: «Tanto è vero che quando finì il programma con tutti i festanti intorno, tutti che mi incoraggiavano dicendomi “brava che lo hai detto”. Invece nella saletta con i capi c’era un gran silenzio. Allora io chiesi: “Non mi dite niente?”. E il capotavola mi rispose: “Sai, potevi anche glissare. Queste cose non fanno bene alla televisione».
Enrica Bonaccorti: «Così ho scoperto di avere le arterie tutte ostruite: un paio di mesi e potevo andarmene». Storia di Maria Volpe su Corriere della Sera il 26 settembre 2023.
Era un po’ sparita dai social, dalla tv. Ma complice il periodo estivo, il pubblico non si è preoccupato. Invece Enrica Bonaccorti, attrice, conduttrice, scrittrice, 73 anni, ha scritto un lungo post su Facebook per raccontare un dramma che l’ha colpita, per fortuna finito bene: « Sono stata operata d’urgenza per un intervento di 8 ore a cuore aperto, altri due mesi e sarei morta». Bonaccorti, donna garbata ed elegante, spesso ospite di numerosi programmi televisivi, dopo averne condotti tantissimi nella sua vita (da «Italia sera» a «Non è la Rai») ha voluto coinvolgere il suo pubblico descrivendo le sue vicissitudini che potevano portarla alla morte.
Il racconto sui social
Così comincia il lungo racconto: «Amici miei cari, carissimi, non ho più postato nulla da metà luglio, e non perché fossi in vacanza in qualche isola sperduta o perché avessi deciso di troncare i miei rapporti con voi. Al contrario, vorrei che quello che è successo a me, un’operazione improvvisa a cuore aperto, lasciasse una traccia di conoscenza in tutti quelli che mi leggono, perché io non avevo nessuna fitta al cuore, non avevo alcun dolore». Dunque un punto importante che emerge dal suo post è il bisogno di «avvisare» quante più persone possibili di quanto sia importante non tralasciare nessun sintomo, nessun segno che ci dà il nostro corpo. Prestare attenzione al minimo segnale e perseguire la via della prevenzione.
Quei sintomi difficili da interpretare
Continua: «I miei sintomi erano solo una grande stanchezza e davvero poco fiato , che imputavo a un po’ di depressione e soprattutto all’età, mentre mia figlia Verdiana continuava a ricordarmi quanto fosse in forma Sandra Milo che è ben più grande di me. L’unica stranezza è che un giorno a inizio luglio comincio ad avere ovunque un prurito terribile, tutto il corpo diventa rosso fuoco a macchie. Non avevo cambiato niente nell’alimentazione o nei farmaci, non avevo preso sole, insomma era solo il mio corpo che urlava che qualcosa non andava. Ovviamente mi faccio controllare a fondo da un dottore che trova un calcolo a un rene».
La scoperta e l’intervento durato otto ore
Cominciano una serie di esami, fino alla scoperta delle arterie tutte ostruite, «un paio di mesi e potevo andarmene». Si rendono necessari 4 bypass, ma soprattutto «un’operazione a cuore aperto, che è durata in tutto otto ore! Morale della favola: mi han detto che ho avuto una gran fortuna, una scoperta accidentale che mi ha salvato la vita». In questo caso emerge chiaramente anche quanto la fortuna abbia assistito Enrica, e quanto lei non abbia mai mancato di lottare e sperare. Senza essersi mai lasciata andare. A parte forse qualche momento di scoramento in terapia intensiva. Ma nell’insieme, l’autrice del testo di una delle canzoni più belle interpretate da Domenico Modugno, «La lontananza», ha lottato con tutte le sue forze, con al suo fianco la figlia Verdiana che non l’ha mai lasciata sola.
La perdita del compagno e il grazie ai medici
Bonaccorti circa un anno fa aveva perso il suo adorato compagno e si stava riprendendo, ma anche questa complicata operazione non le ha fatto perdere il sorriso. Nel post ringrazia poi il professor Massimo Massetti, direttore del dipartimento di scienze cardiovascolari del Policlinico Gemelli, che insieme al dottor Lauria e alla sua equipe l’hanno operata, e tanti altri medici che l’hanno seguita con grande attenzione. «Devo la vita a loro. E anche la qualità della vita che mi han fatto vivere dai primi di luglio ad adesso. Circondata da persone meravigliose, la loro umanità nel prendersi cura di me mi ha fatto oltrepassare i dolori, le preoccupazioni».
L’invito a non trascurarsi
E conclude: «Fate tesoro della mia esperienza, controllatevi quanto più potete, sperando soprattutto che abbiate la stessa fortuna che ho avuto io! Non vedo l’ora di ritrovarvi! Spero al più presto».
Enrico Bertolino.
Estratto dell’articolo di Luca Bottura per “OGGI” il 24 giugno 2023.
Il 27 giugno 1980, alle 20.59, un missile abbatteva sui cieli di Ustica il Dc9 Itavia I-TIGI in volo da Bologna a Palermo, uccidendo 81 persone. Sparato da chi? Un Mirage francese oppure da chi altro? Il bersaglio era un Mig libico ritrovato settimane dopo in Calabria? Lo Stato italiano non collaborò, diciamo così, alle indagini.
La verità, emersa a frammenti subito dopo lo schianto, è solo in parte stabilita da decenni di processi. Nella base Nato del Monte Venda (Padova) era in servizio Enrico Bertolino: comico, attore, formatore. Soprattutto amico mio. Questo è il suo racconto.
Come mai eri lì?
«Mio padre aveva corrotto un maresciallo per farmi fare la leva in Aeronautica. Roba da poco, allora si mandavano le piante. Ma mi sa che avesse sbagliato pianta, magari era una graminacea. Così diventai controllore di volo nelle viscere del Monte Venda, dalle parti di Vo’ Euganeo. La base è stata smantellata a fine anni Novanta, anche per un piccolo problema». […]
Come si esplicitava il nonnismo?
«Ricordo un certo Barbero, di Torino: un nonno gli diede fuoco dopo averlo cosparso di alcool perché insisteva a voler finire una partita a Pacman. Altri aspettavano le reclute truccati come i Kiss, quel gruppo musicale con le facce bianche e nere, di notte. Gli facevano fare delle flessioni sulle turche, rompendo delle bottiglie e facendogli mettere le mani sui vetri e con la faccia dentro alla turca».
Lo segnalavi?
«Lo segnalavo. Gli ufficiali mi rispondevano: “Va bene, ne prendiamo atto”. E basta: usavano gli anziani della caserma per sbrigare le incombenze noiose». […]
Com’era strutturata la base?
«Era un luogo nevralgico con centinaia di addetti, aveva la responsabilità della difesa aerea fino a Roma. Fu anche il primo focolaio di ribellione dei controllori di volo militari che volevano essere “civilizzati”. Per far rientrare lo sciopero telefonò anche Pertini, ma al centralino c’era un aviere bresciano che si esprimeva a suoni gutturali, spesso vittima di scherzi da parte dei “nonni”. Alzò la cornetta: “Sono il presidente Sandro Pertini, voglio parlare con il generale Vittoriano Cecchini”. E lui: “Sempre ‘sti scherzi de merda. Io sono Felice Gimondi, va’ a dar via il cü”. Prese venti giorni di consegna».
Chi eri a vent’anni?
«Ero senza arte né parte. Lasciai una fidanzata, come tutti. Ma ero contento di non fare la coda al telefono a gettoni. Uno che fu abbandonato a distanza, Pedrazzini, tornò in camerata e bevve una bottiglia di Vecchia Romagna. Andò in coma etilico».
Sembra il bar di Guerre Stellari.
«Era il disagio degli anni Ottanta. C’era uno di Bologna che fumava canne a ripetizione. C’era l’eroina… A Macerata, durante l’addestramento, incontrai un tenente che portava il cappello da nazista: “Oggi purtroppo la guerra non c’è ma, se arrivasse, vi farò pisciare cherosene”». […]
Quella sera dov’eri?
«Nel tunnel, pronto per montare in servizio. All’improvviso gli ufficiali si chiudono dentro e comunicano: “Ragazzi, stasera qua sotto non entra nessuno”. C’era un tenente colonnello che si esprimeva a monosillabi e buttava giù il telefono. Fibrillazione. Dopo un po’ ci dicono: “Prendete il pullman e portatevi giù alla base”. E io: “Ma come, devo fare il mio turno”. E loro: “Tutti via, tutti via”».
Reazione?
«“Che culo, stanotte si dorme”. Però poi, sapendo che quel che era successo, ci dicemmo che qualcosa non quadrava». […]
Enrico Beruschi.
Drive In, Enrico Beruschi affonda la sinistra: "Cosa tentarono di fare a casa mia". Egidio Bandini su Libero Quotidiano il 04 ottobre 2023
Enrico, Drive In “riabilitato” anche a sinistra: Repubblica titola “Personaggi memorabili” e Rai 3 ti invita proprio a parlare dello spettacolo che segnò davvero il nuovo corso del varietà e dell’intrattenimento tv. Cosa te ne sembra?
«Cosa ne dici, si saranno svegliati? Forse sì; pensa che anni fa vennero a casa mia per una intervista video, tentando di farmi confermare che Drive In era all’origine del male, o giù di lì.
Probabilmente era per infierire su Silvio Berlusconi, che si era messo in politica, mentre bisogna riconoscere che il grande sviluppo delle televisioni deve molto, forse tutto, al nostro caro sempre “amato Silvio”. Drive In, in particolare, aveva sollevato dei timori tra i dirigenti per quel tantino di trasgressione che metteva in mostra, ma fu proprio il Cavaliere che decise di mandarlo in onda, con la sua solita lungimiranza: negli affari e nella vita. Se ripenso a quella sera, al tavolo con lui e Liza Minnelli. Al “Teatro Nuovo”, la grande cantante teneva un recital e Berlusconi, seduto in seconda fila mi disse: “Uè, Enrico, ma non hai visto che adesso faccio la televisione sul serio?”. Poi siamo andati a cena e con Silvio c’era Walter Chiari, all’epoca amante di Ava Gardner e, quindi, in grado di parlare inglese. Mi chiamarono al loro tavolo e Walter spiegò alla Minnelli che ero uno dei nuovi comici: che emozione! Così, più o meno, è nato tutto. E il segno l’ha lasciato perché, a distanza di 40 anni, la gente perla strada mi ferma e mi parla ancora della nostra fortunata trasmissione. E oggine parlano anche Repubblica e Libero!».
Qual è la vera storia di “Drive In”? Tutta farina del sacco di Antonio Ricci o era piuttosto un insieme di genialità? Come fu il debutto?
«Drive In nasce come un “menage a trois”, fra Antonio Ricci, Giancarlo Nicotra e il sottoscritto. Antonio Ricci si prende il ruolo dell’autore, che ha avuto il colpo di genio di circondarsi di altri validi autori per ogni tipo di personaggio o di situazione. Noi ci spartivamo gli altri compiti e ognuno portava le sue idee, compreso Berlusconi che, come sempre, dimostrò di avere un gran “fiuto”, consigliò di prendere Carmen Russo. E dopo Carmen, vennero Tinì Cansino e Lory Del Santo. Tutto senza le ipocrisie pelose di oggi: chi fra di noi allora non sognava di addormentarsi sul loro seno?».
Battute, tormentoni, atteggiamenti e frasi che ormai fanno parte dell’immaginario collettivo, come il tuo “E allooora?” o il mitico “È qui che c’è le donne nude?” dell’indimenticabile Giorgio Faletti, per non parlare di “Ass fidanken!” e delle opere di Teomondo Scrofalo, tutto dal vivo, un po’ come i “Tik tok” o “You tube” di oggi. Drive In potrebbe funzionare anche nell’era del social?
«Certo che funzionerebbe, a patto di affrontare copione e improvvisazione come facevamo noi, perché i tormentoni e le battute più azzeccate, all’inizio, nascevano per caso, poi abbiamo cominciato a provarli, senza però farne mai il perno su cui costruire la scena; faccio un esempio: per quei venti che si ricordano, ne abbiamo buttati lì 200 oppure 2000, eliminandoli se non ci convincevano, se non convincevano noi che ci confrontavamo tutti assieme. Il mio “e allooora” nasce a Non stop, per saltare di palo in frasca nei monologhi di cabaret, senza un nesso. Salti che il regista Enzo Trapani mi chiedeva, proprio per accorciare i monologhi, un po’ un antesignano di Twitter e delle sue 140 lettere...».
Il titolo di ieri su Libero recitava “Contrordine compagni”, una delle più fortunate serie di vignette del “Candido” di Giovannino Guareschi, cui tu sei affezionato e straordinario interprete. Guareschi sempre e comunque attuale?
«Guareschi è sempre nel mio cuore e vado in giro per l’Italia a portare sul palcoscenico i suoi racconti, dal Don Camillo e Peppone al Corrierino delle famiglie o allo Zibaldino: letti da me divertono molto il pubblico, che ormai mi segue ad ogni serata, come domenica scorsa al concerto per pianoforte a quattro mani (il duo pianistico SVAR, Simona Guariso e Carlo Balzaretti ndr) dal titolo Guardando le stelle in compagnia di Giovannino Guareschi, sulle musiche di Alessandro Cicognini, autore delle colonne sonore dei film di don Camillo dove io, naturalmente, ero la voce narrante. Guareschi, alla fine, è attuale come il Drive In. Tutti e due riscoperti dalla sinistra un po’ tardino, forse...».
Estratto dell'articolo di Giulia Cazzaniga per “la Verità” il 17 luglio 2023.
Nel caldo torrido di Milano, le serate di Enrico Beruschi, classe 1941, sono ben più frizzanti di quelle dei coetanei, ma pure di chi è ben più giovane di lui. Racconta di aver visto pochi giorni fa sia Cochi che Renato - furono compagni di scuola prima di colleghi al Derby - alla Pasticceria Gattullo a Porta Lodovica, ritrovo degli artisti di allora «ed è stata una festa».
Reduce dal compleanno di Roberto Vecchioni - «erano tutti musicisti, ma mi consideravano uno di loro perché una volta ho fatto il Festival di Sanremo, nel 1979» - e dall’ascolto di un quintetto di ottoni della Filarmonica della Scala allo storico Spirit de Milan - «pienone, doveva vedere quanti giovani c’erano» -, lo raggiungo durante qualche giorno di riposo sul lago di Lecco, ad Abbadia Lariana, tra le sue mete preferite fin da bambino. Ché il padre era così appassionato delle scalate sulla Grignetta «che mia madre era fin gelosa della “Rosalba”, dove andava sempre, ma era semplicemente il nome del suo rifugio preferito».
Acconsente a una lunga chiacchierata solo a patto che non titoliamo come ha fatto qualcuno di recente sulle donne del Drive In, «che mia moglie ci è rimasta male».
Su sua moglie c’è questo giallo da sempre: si dice - e internet segue le dicerie - lei sia sposato con la collega attrice Margherita Fumero, ma…
«È semplicemente una carissima amica. Mia moglie si chiama Adelaide. Era una segretaria alla Galbusera, dove lavoravo come vicedirettore commerciale. Era la più bella. Una volta la feci piangere con la mia severità, e per farmi perdonare la riaccompagnai in stazione e… siamo sposati da 49 anni e abbiamo avuto due figli».
Un po’ un cliché, il capoufficio e la segretaria…
«Nemmeno per sogno: quando le cose si fecero serie tra noi, lei lasciò l’azienda. Mia moglie è forse l’unica donna che ha messo in soggezione uno come Beppe Grillo, sa?».
Racconti.
«Erano gli anni Ottanta. A cena dopo una mia prima teatrale, lui mi dice davanti a tutti che mi vuole bene. La guarda e le chiede: “Perché, Adelaide, non credi che io voglia bene a Enrico?”. Lei, gelida: “Anche le vipere hanno dei sentimenti?”».
Tostissima. Ma non eravate amici, con lui?
«Lo siamo stati, sì, ci conoscevamo bene. Abbiamo fatto anche Luna Park insieme. Nel 1977 io ero a Non Stop, lui a Secondo voi con Pippo Baudo. Ed eravamo l’uno la riserva dell’altro: folcloristico, no? La cosa diciamo strana per allora era che avevamo entrambi la barba: due comici con la barba non si erano mai visti, perché da tradizione teatrale il comico deve essere permeabile al travestimento».
Mai litigato?
«Due screzi, questione di soldi, ma non glieli racconto».
Lo sente ancora?
«No, e non sono per nulla d’accordo su quel che ha fatto poi in politica».
E di Berlusconi che ricordo ha? Si può dire che fu grazie a lui, se è diventato così famoso?
«Lo conoscevo già, ma quel giorno lo incontrai a un concerto di Liza Minnelli con la moglie, Veronica Lario. La conoscevo come attrice, bellissima. Berlusconi mi disse: “Hai visto che ho messo sul serio in piedi una tv? Cosa aspetti a presentarti?”. Fui tra la prima decina di personaggi a cui chiese l’esclusiva. Mi tolse dal mercato».
Guadagnò molto, grazie a lui?
«Devo dirle in sincerità che la cifra iniziale fu di cinque volte superiore a quel che mi dava la Rai. Ma quei soldi le assicuro che me li sono guadagnati, e gliene ho fatti fare ben di più».
Con Drive In in particolare. Fu lei a idearlo, con Antonio Ricci e Gian Carlo Nicotra.
«Lo inventammo in un ufficio di Milano 2. Ma il grande merito va soprattutto ad Antonio Ricci. Portammo la prima pellicola - un oggetto alto mezzo metro - in via Rovani e in tanti ci avrebbero voluto boicottare. Ma Berlusconi ci mandò a pranzo e poi Ricci scoprì che aveva fatto guardare il programma alle impiegate e pure agli uomini della sicurezza e a quelli delle pulizie: voleva vederne la reazione. Piacque anche a lui. Era in grado di prendere decisioni da fior di milioni in pochi minuti».
Oggi il figlio Pier Silvio sta portando cambiamenti a Cologno.
«Mi ricordo di quando lo festeggiammo per i suoi 18 anni con una scenetta in tv. Mi piacerebbe incontrarlo ancora. Fino a qualche anno fa ho provato a far proposte per Mediaset, ma credo mi considerino troppo vecchio per certe cose. Eppure un paio di idee e di suggerimenti li avrei».
La fama fu a un certo punto travolgente, per voi del Drive In?
«Non credo mi abbia mai travolto. Con le donne, ad esempio, le possibilità a un certo punto aumentarono, ma non ho mai voluto risvegliami con al fianco una signorina che per quanto bella credesse di aver abbracciato un televisore. Ho sempre cercato di difendere le più belle, anzi, da vero uomo. Cerco di insegnare oggi a mia nipote che occorre sempre ragionare con la propria testa. Capiterà di perder qualcosa di superficiale, ma poi ci si può sentire davvero soddisfatti di come ci si è comportati. Meglio seguire le passioni, quelle vere».
Che oggi per lei sono…
«Giovannino Guareschi e la lirica su tutte».
(…)
Enrico Beruschi: «Ero l’unico a non tampinare le ragazze di Drive In, ero il bersaglio degli scherzi di Greggio e D’Angelo». Giovanna Cavalli su Il Corriere della Sera il 9 Febbraio 2023.
Intervista al comico di Drive In: «Prima della tv ero un capoufficio, feci piangere la segretaria: poi è diventata mia moglie. A scuola avevo 10 in condotta, la maestra mi mise accanto Pozzetto. Poi toccò a Cochi Ponzoni»
«Prima mi hanno tirato su con la carrucola vestito da amorino barbuto con arco e frecce — imbracato con dei mutandoni elastici legati ai tiranti di metallo — e poi, fingendo un problema tecnico, hanno mandato in pausa l’attrezzista e sono spariti, lasciandomi lì appeso a dondolare dal soffitto per venti minuti, non le dico che male alle parti basse...».
Chi è stato?
«Gianfranco D’Angelo ed Ezio Greggio, chi sennò? Poi sono tornati fingendosi costernati: “Scusaci tanto, ci eravamo distratti...”», ricorda ancora (virtualmente) indolenzito il tartassato “ragionier” Enrico Beruschi, quello che «porca l’oca sempre a me mi toca », con quella faccia un po’ così («Non lo facevo apposta, la bocca è proprio storta»), vittima prediletta degli scherzi infami della scatenata banda di Drive In , Italia 1, programma simbolo di quegli esagerati, gaudenti e sempre più rimpianti anni Ottanta. «Che fine ho fatto? Beh, non sono mica morto, sa?». E in effetti — dopo tanto teatro, zero o quasi tv dal 1992 («Non mi chiamano, che posso farci?») e qualche regia lirica («Ho in programma un Don Giovanni di Mozart») — la Antonio Ricci & Co. a dicembre lo ha richiamato in servizio per tre sere, al posto di un acciaccato Enzo Iacchetti, al bancone di Striscia la Notizia «accanto all’Ezio», debutto assoluto a 81 anni, una botta di nostalgia. «Perché non l’ho mai fatto prima? Ricci dice che sono troppo lento per il tiggì. Ma dopo dieci minuti sembrava fossi lì da sempre, sono una vecchia pantegana».
Alle medie era in classe con Renato Pozzetto.
«Bocciato in prima, Renato era piuttosto esuberante, per farlo stare buono lo misero al primo banco accanto a me che avevo dieci in condotta. Non funzionò mica tanto».
All’istituto tecnico invece trovò Cochi Ponzoni.
«Cochi il bello, l’unico che parlava bene inglese perché i genitori d’estate lo mandavano in vacanza a Londra. Durante le lezioni, in fondo all’aula, con un lato del banco sollevato in aria, fingevamo di essere su un caccia americano mitragliato dai giapponesi. Colpito a morte dal nemico, Cochi si accasciava sulla sedia gridando “Viva la mer...!”. Un giorno però il banco crollò a terra. Sospesi».
Si diplomò ragioniere per la gioia di mamma Clara.
«Ricevetti 34 offerte di lavoro. Scelsi il Credito italiano perché la Banca Commerciale voleva assumermi dal 15 di agosto, eh no. Ci rimasi due anni, poi partii militare, ricominciai vendendo enciclopedie, prima di sistemarmi al biscottificio Galbusera, giovane e severissimo capufficio. Qualche anno fa ho rincontrato un mio vecchio venditore: “Ci terrorizzavi tutti”».
Compresa la sua futura moglie Adelaide.
«La segretaria più carina, io il capo più brutto. Quando mi presentai pur di non darmi la mano finse di starnutire. Un giorno che l’avevo rimproverata si mise a piangere, mi fece tenerezza, così mi offrii di accompagnarla alla stazione. La Cinquecento era piccola, cambiando marcia le sfiorai la mano e... e siamo sposati da 48 anni».
Il debutto al Derby.
«Ci andavo spesso, ma restavo in piedi per non pagare la consumazione. Il patron Walter Valdi mi arruolò così: “ Ti , faccia di m..., dicono che sai far ridere, cominci domani”. Mi presentai con tre barzellette, una era quella dei due contrabbandieri travestiti da mucca».
La paga era di...?
«Di 4 mila lire al giorno, tipo dieci euro. Otto ore in ufficio, due di sonno, poi la sera sul palco, il mattino dopo di nuovo in Galbusera. Teo Teocoli mi chiamava Biscottino. Due anni dopo mi licenziai».
Nel 1977 sbucò a «Non Stop» con I Gatti di Vicolo Miracoli, La Smorfia (Massimo Troisi, Enzo Decaro, Lello Arena), poi Carlo Verdone, Zuzzurro e Gaspare.
«Eravamo tutti comici sconosciuti, io il più vecchio, non avevamo una lira, la sera mangiavamo in una trattoria di Torino dove si spendeva poco, vicino agli studi Rai. Massimo, Enzo e Lello parlavano solo napoletano. “Se riuscite a dire almeno una frase in italiano, con le e belle aperte, giuro che pago io il conto”, gli proponevo, niente da fare».
A «Luna Park», 1979, c’era Beppe Grillo.
«Alloggiavamo nello stesso residence, si usciva a cena e pagavamo sempre noi, anche per venti. Così una sera gli dissi: “D’ora in poi mangiamo a casa”. Io facevo la spesa, Beppe cucinava porcherie».
Al Festival di Sanremo con: «Sarà un fiore/Peccato che non sa telefonare/Che tante cose ti vorrebbe dire/Marisa dai non chiedermi cos’è».
«Ero fuori posto, non sapevo niente di musica, non conoscevo nessuno, alle prove facevo passare tutti avanti. La sera della finale Mike Bongiorno dietro le quinte mi avvisò: “Resta vestito che sei terzo”. Così rimasi in smoking bianco, poi arrivai quinto».
Nel 1982, concerto di Liza Minnelli a Milano, l’incontro con Silvio Berlusconi.
«Mi chiamò: “ Uè , Enrico! Adesso ho una tv, fatti vivo”. Con Ricci e Nicotra ci siamo chiusi in un ufficio a Milano 2, con le poltroncine incellofanate. Ed è nato Drive In ».
I funzionari non volevano mandarlo in onda.
«Portammo la pizza con il numero zero a Berlusconi, in via Rovani. “Lasciatela lì, intanto andate a pranzo”. Quando siamo tornati l’aveva già guardata con segretarie, guardie giurate, addetti alle pulizie. Era piaciuto, via libera».
D’Angelo il titolare, Greggio l’aiutante, lei lo stralunato cliente che corteggiava la formosa cassiera Carmen Russo: «Signorina, mi piacciono le sue idee». E intorno le ragazze Fast-Food.
«Che volevano denunciarmi: sono stato l’unico a non averle mai tampinate».
Impersonava anche Beruscao, («È una brutta fazenda») il penultimo mandingo, con la faccia tinta di nero e l’orologio magico.
« Orologiao-ao-ao . Sta nel comò, un pataccone da gilet».
Disavventure di scena?
«Ero vestito da sposa, dovevano tirarmi addosso non riso ma ravioli, duri come sassi, uno mi centrò un occhio. “Ti portiamo al pronto soccorso”. “In abito bianco?”. Una volta Margherita Fumero doveva picchiarmi con un ananas di gomma. Qualcuno lo sostituì con una noce di cocco, lei non se ne accorse. Bam. Randellata. Fortuna che avevo ancora un po’ di capelli».
Enrico Brignano.
Ilaria Ravarino per il Messaggero - Estratti mercoledì 15 novembre 2023.
Nove libri pubblicati e nemmeno una biografia («Lo farò quando sarò davanti alla fossa»). Comico e monologhista, in questi giorni a teatro con Ma diamoci del tu, il romano Enrico Brignano, 57 anni, ha un'insospettabile anima da scrittore.
L'ultima fatica letteraria, Non facciamone una tragedia la mitologia secondo me pubblicata da Einaudi per volontà dell'agente Beppe Caschetto, cui il libro è dedicato è una rilettura dei miti greci da Prometeo a Edipo, che l'attore immagina di raccontare la sera alla figlia Martina. Eroi riletti in chiave moderna e dei «che si comportano con le donne come gli uomini di potere con le veline. Solo che non le fanno diventare assessori comunali, ma immortali».
(...)
I miti erano scorretti. Lei?
«Io sono per calmierare, per l'ironia. Sono fasi: ci sono periodi in cui si potevano fare delle cose, come quando Michelangelo dipingeva i nudi per i Papi, e momenti in cui arrivavano i mutandai e quegli stessi nudi andavano coperti. Oggi siamo nella fase del mutandaio. Vorrei avere la sfacciataggine e il genio di un Checco Zalone o un Angelo Duro, che ci vanno giù pesanti».
E invece?
«Devo essere quello che sono. Non mi limito ma cerco altre strade».
Le commedie al cinema non funzionano: colpa del politicamente corretto?
«Da una parte è un problema di abitudine al cinema che non c'è più, dall'altra di investimento, in termini di budget e di autori.È diventata una questione di contratti: "ha firmato coso?", allora si fa. Alcune commedie poi escono in poche copie, due settimane e non le trovi più. I miei genitori non hanno fatto in tempo a vedere il mio film, Una storia pericolosa. Uscito il 30 agosto, con la promozione a 3 euro e 50. Che alla gente suona come se gli stessi rifilando un prodotto scadente, come se gli vendessi una borsa falsa».
Cortellesi, allora?
«Il suo film è un miracolo. Un successo straordinario e meritato».
Perché non cambia genere? «Perché da me vogliono questo. Se non ci sono io, del resto, chi prendono?
Si diceva di un suo ritorno in tv. E poi?
«No. Andrò da Fazio a presentare il libro, è un vecchio amico. Ma un programma in questo momento di buriana no. Ora tutti sono esperti di share. Non me la sento, sarebbe troppo rischioso. "Le perle ai sorci", diceva mio padre».
Prima dei 60 anni che obiettivo si dà: Sanremo?
«No, piuttosto un film da regista. Ed essere coccolato in un filmone da un autore bravo e importante. Oppure un tour mondiale: noi dal Paese ce ne andiamo, ma fuori c'è tanta gente che dell'Italia ha nostalgia».
Estratto dell'articolo di Giovanna Cavalli per il “Corriere della Sera” giovedì 27 luglio 2023.
L’infanzia a Dragona, periferia sud di Roma: «Ridente borgata tutta abusiva e non contemplata dal piano regolatore, affacciata su una bella marana — affluente del Tevere — e con certe zanzare da tre etti, tre etti e mezzo, che decollano verticalmente» (dallo show «Enricomincio da me»).
«Non era nemmeno segnata su Tuttocittà. Capitava tra D1 e D14, proprio in mezzo alla piega. Per le strade girava l’eroina, ma se arrivavi a quel punto eri già perduto da tempo. E c’era la banda della Magliana, però a casa mia a mantenere l’ordine ci pensava papà Antonino. Di poche parole.
Più che altro emetteva suoni.
“ Ahò... ehè... e no... che non ce lo sai ... embè... e allora!”. Ci metteva a posto così, me e mio fratello Gaspare, che in effetti non siamo mai finiti in questura. “ Viè qua che te devo menà, nun me fa core che è peggio”. Quando guidava, con mamma accanto e noi seduti dietro, senza aria condizionata, con coperte abruzzesi stese sui sedili di finta pelle — mica avevamo cuffiette e playlist — se ci azzardavamo a chiedere “Siamo arrivati?”, ci mollava subito una cinquina».
(…)
L’incontro con Proietti.
«Lo vidi in tv, parlava del suo laboratorio teatrale. A 17 anni, accompagnato da mamma e papà, andai a Trastevere a chiedere informazioni. Ma arrivò la cartolina rosa
(…)
Il provino con il Maestro.
«Quando Gigi entrò, quasi non riuscivo a parlare, ero tesissimo, volevo morire sul posto. Lui impassibile. Disperato, attaccai con lo sketch dell’annuncio dei treni in partenza, ripetuto in ogni dialetto. Alla fine ridevano tutti i provinanti. E pure Gigi. Mi ero fatto le ossa con le serenate sotto ai balconi. In sei, vestiti da Rugantino, pantaloni di velluto pure ad agosto. Ci davano 700 mila lire, una piotta a testa».
Con i fratelli Vanzina in «South Kensington».
«Dissero: “Lavorerai con Judith Godréche”. Aveva recitato con Leonardo DiCaprio. “E mo’ si ritrova con Brignano da Dragona”. E infatti “ci è annata in puzza ”, come si dice da noi. Dovevamo girare la scena dell’incontro in aereo, che si chiudeva con un bacio. Dentro un simulatore di volo nella campagna londinese.
Pioveva che dio la mandava, avevo i capelli lunghi e gonfi, parevo mi zia con la messa in piega. Lei aveva a disposizione una Mercedes e quattro addetti con gli ombrelli, la guardai sperando si impietosisse, mi lasciò lì sotto il diluvio. A quel punto parevo sempre mia zia, però matta. Presi il pullman delle comparse, arrivai in ritardo e beccai pure il cazziatone dei Vanzina. Mi spedirono ad asciugarmi i capelli, impazziti come la maionese. Girammo la scena del bacio: il più brutto dei baci brutti del cinema».
Perché un suo show si chiamava «Brignano con la O»? Sbagliavano cognome?
«Sempre, anche ora. Mi chiamano Brignani. O Grignani. “’A Gianlù, come stai?”.
Oppure: “T’ho visto al gioco dei Pacchi, forte eh”. Faccio finta di niente e ringrazio».
SPQR: sono pesanti questi romani di oggi?
«Siamo in caduta libera, nel declino totale anche della lingua. Ridotti al “Bella, fratè ”.
La romanità vera non c’è più.
Quella di adesso — auto a noleggio e mazzette di soldi mostrate su TikTok — non mi piace, è cafona e sgraziata. Il coatto buono di cuore non esiste più, rimpiazzato da gente che si tatua il filo spinato sul braccio o si fa il polpaccio nero, manco avesse strusciato contro la marmitta».
I suoi migliori amici?
«Per una questione di igiene mentale, sono persone che non fanno questo mestiere. Nel mio ambiente mi trovo bene con Salemme e Panariello, Maurizio Casagrande, Max Tortora, Lillo. Ma quando hai bambini piccoli, molti ti cancellano. Altro che drink e aperi-cena, noi al massimo chiediamo: “Ce l’hai lo Zymil?”».
Giorgia è vicina di casa
«A due appartamenti dal mio. La sento cantare. Ci incontriamo ai bidoni con i sacchetti dell’umido».
Il 30 luglio è il primo anniversario di matrimonio.
«Non avrei scommesso sulla crisi del settimo mese, invece... Si sono lasciati Albano e Romina, Totti e Ilary, noi no, anche se io non ho Rolex, al massimo porto lo Swatch».
Liti futili per...?
«Io sistemo le ciabatte al lato del letto, Flora potrebbe mettere i calzini sul divano».
Il giorno delle nozze le venne il colpo della strega. «Colpa dell’aria condizionata a -18. Un male cane. “Corri e porta il bisturi”, supplicai il dottore. La tata Laura mi ha fatto un siringone alle 10 e uno alle 15, la sera al ricevimento ho pure ballato».
Enrico Lo Verso.
Enrico Lo Verso: «Il mio film vinse il Leone d’Oro ma poi smisero di chiamarmi. Non ho mai capito perché. Ora poto alberi e faccio teatro». Alessandra Arachi su Il Corriere della Sera venerdì 3 novembre 2023
Parla l’attore: «Non sono mai stato il tipo che cerca di ingraziarsi i produttori. Ho lasciato Roma e vivo in Sicilia»
Si sente in sotto fondo il rumore di una motosega, anche il vento che ulula. Poi il silenzio.
Enrico Lo Verso, cosa sta facendo?
«Devo potare gli alberi, è il periodo giusto. La motosega l’ho appena comprata, sono molto soddisfatto, funziona benissimo».
Dove sono questi alberi?
«Attorno a una casetta che ho in Sicilia. Sotto Noto. Sono nato a Palermo e cresciuto a Siracusa. Abitavo a Roma, prima. Ora sto più in Sicilia che a Roma».
Sta lavorando adesso?
«Sì, teatro, teatro, teatro».
E cosa sta recitando per il teatro?
«Uno spettacolo che non volevo fare: “Uno, nessuno, centomila di Luigi Pirandello».
Perché non voleva? Non le piace Pirandello?
«No, non era per Pirandello. Tanti anni fa ho deciso che non avrei fatto teatro perché non mi piaceva come funzionava il mondo legato al teatro».
E quindi? Perché accettare Pirandello?
«Per la passione della regista, una donna giovane. Mi ha cercato. E poi mi ha ricercato tante volte. Mi ha incuriosito la sua intraprendenza. Alla fine le ho risposto al telefono».
E ha accettato.
«Non subito. Lei voleva che leggessi il testo. Siamo stati al telefono per più di un’ora, mi ha convinto».
Come si chiama la regista?
«Alessandra Pizzi. Quando l’ho letto ho pensato che quel testo aveva il dovere di andare in scena, non solo il diritto. Pensavo però che avrei recitato per poco tempo, che sarebbe stato una tournée breve».
Invece?
«Siamo in giro dal 2016, con la pausa per il Covid. Quei quattro o cinque spettacoli e quei sessanta spettatori che avevo immaginato io sono diventati seicento repliche e oltre trecentomila spettatori».
Il debutto?
«A Lecce. Poi abbiamo girato come pazzi. Siamo arrivati a fare quindicimila chilometri in un mese. Quando mi sono dovuto fermare per la pandemia, mi sono accorto che ero così stanco che non riuscivo nemmeno a portare fuori il cane».
Ha accettato questo spettacolo perché si è trovato in sintonia con la regista. Nessun altro motivo?
«Amo le produzioni indipendenti. C’è passione in quello che si fa».
Mi tolga una curiosità: ad un certo punto della sua carriera la scelta indipendente ha voluto farla anche per il cinema?
«Avrei voluto farla. Ma non mi è stato possibile».
Cosa intende dire?
«Nel momento in cui ero più richiesto avevo deciso di fare ogni anno almeno un film di un regista esordiente. Volevo movimentare il mondo del cinema. Speravo di trovare il giovane esordiente che sarebbe poi diventato il regista osannato».
Poi cosa è successo?
«A un certo punto, inspiegabilmente, ho smesso di essere richiesto. E per paradosso questo è successo subito dopo il Leone d’oro a Venezia»
In che anno il Leone d’oro?
«Nel 2000. O nel 1999, non ricordo di preciso. Comunque quel periodo là».
Ma cosa è successo? Lei era molto bravo e famoso. Aveva fatto come protagonista film come «Lamerica», «Il ladro di bambini»...
«E poi “Farinelli”, “La scorta”, “Così ridevano”... Ogni film in cui ero protagonista diventava un film protagonista».
Un momento magico, sarà stato circondato da donne, tante corteggiatrici...
«Non mi ricordo, forse qualcuna c’era, ma non ci facevo caso».
Usciva la sera, frequentava il jet set?
«Perché esiste il jet set?»
Ma perché non l’hanno più chiamata?
«Non lo so».
Come non lo sa?
«Posso soltanto fare ipotesi. Comunque i fatti sono questi. Da allora non ho mai più lavorato in un film con una grossa produzione. Però ci sono sempre stati registi e sceneggiatori che hanno continuato a cercarmi».
Quindi il diniego arrivava proprio dai produttori?
«Si può arrivarci per deduzione».
Non può dire nemmeno un’ipotesi che secondo lei ha generato questa rottura?
«Non ho mai fatto gli auguri a Natale...».
Cosa vuole dire?
«Non ho mai fatto auguri a Natale a qualcuno che fosse più potente di me. Non cerco di compiacere. Ed è un tratto di me che, a chi è abituato al contrario, può dare fastidio».
Cosa ha fatto dopo?
«Mi sono rimboccato le maniche e ho fatto altre cose. Pensando: il tempo passerà, succederanno altre cose».
Sono accadute?
«Piano piano sto ricominciando. Con una filosofia di base: ciò che conta è hic et nunc. Conta che quando reciti devi essere nel presente e dare il meglio. Punto» .
«Lamerica» di Gianni Amelio lo vede protagonista in un film che parla di immigrazione, argomento quanto mai attuale. Cosa ne pensa di questa esplosione di immigrati che arrivano dall’Africa?
«Penso che per entrare in Italia i migranti dovrebbero farlo a testa alta, legalmente, mostrando i documenti che servono per essere riconoscibili nel caso in cui non rispettino le regole. Quei documenti poi devono servire per ottenere un visto».
Ma quelli che arrivano con i barconi non li hanno i documenti.
«E chi lo dice? Si procurano i soldi per pagare gli scafisti, avranno anche la possibilità di mettersi in regola con i documenti e, appunto, ottenere il visto. Abbiamo presente sì, film “Io capitano”? »
Appunto. Il film di Matteo Garrone mostra tutte le difficoltà e le atrocità del viaggio dei migranti.
«Ma basta che si comprino un biglietto aereo invece di dare i soldi agli scafisti. Bisogna mettere i migranti in condizione di poter scegliere tra la legalità e l’illegalità. Perché pensare che là non ci siano possibilità? Le possibilità ci sono. Siamo noi che intanto dobbiamo cominciare a cambiare».
In che modo?
«Leggevo l’altro giorno di un aspirante ingegnere che viene dal Senegal e che vive a Bologna nei vagoni abbandonati alla stazione perché nessuno è disposto ad affittargli una casa, una stanza. Ha una borsa di studio di quattrocento euro al mese».
Progetti per il futuro?
«Girerò una serie con Luigi Lo Cascio e Claudia Pandolfi, la seconda stagione di “The Bad guy”. È poi appena stato presentato al festival di Roma un film dove recito “Desirè” di Mario Vezza. Ma soprattutto continuerò a lavorare in teatro».
Cosa?
«Sempre con Alessandra abbiamo messo in scena la Metamorfosi di Ovidio e Apologia di Socrate».
Tornerà a vivere a Roma?
«E per quale motivo? Qui ci sono le piante che crescono, il sole che arriva...».
Enrico Ruggeri.
Enrico Ruggeri: «Facevo 150 concerti l’anno e avevo una storia a sera. Mio padre assente, ha dilapidato un patrimonio». Renato Franco su Il Corriere della Sera l'1 maggio 2023
Il cantautore si racconta: «Andavo in giro con un pitone per fare colpo. Oggi i ragazzi sono tutti uguali. Io di destra? È una semplificazione»
«Personalità modesta, linguaggio povero, lentezza di intuizione».
«Fu il giudizio dei professori alla maturità. Dimostra come spesso la scuola inibisca, non riesca a tirare fuori il meglio di te. Ma non mi sono abbattuto. “Ve la faccio vedere io” fu la mia prima reazione. Il mio motore sono sempre state le stroncature, le critiche negative, anche se mi feriscono enormemente. Per me è sempre così, le cose migliori le ho sempre fatte quando sono sotto tiro».
Enrico Ruggeri , gli inizi punk con i Decibel, 11 Festival di Sanremo (due vittorie con Si può dare di più e Mistero), autore per se stesso e per altri, svariate hit («ci sono 13 canzoni che nei miei concerti non posso non fare»), 32 album, oltre 4 milioni di dischi venduti, più di 2.000 concerti. Acuto. Abrasivo. Controcorrente, a volte troppo.
Ai tempi del liceo, il Berchet di Milano, suonava negli Champagne Molotov, a dimostrazione che i «Comunisti col Rolex» non hanno inventato niente...
«Il nome dichiarava l’intento: siamo incazzati ma abbiamo stile».
Erano gli anni Settanta, comunisti contro fascisti.
«Ricordo una volta in tram, avevo un album di David Bowie, venni fermato da alcuni “compagni” che mi chiesero: perché ascolti quel frocio qualunquista? In quegli anni la sinistra era omofoba, oggi non lo ricorda più nessuno, ma era così».
Vede che è di destra.
«È una semplificazione frutto di un’analisi superficiale. Io vengo da un mondo nel quale c’era una dittatura, al liceo dominavano i comunisti, le Br erano i compagni che sbagliavano, stavo in una scuola dove assemblea e professori applaudirono l’uccisione di Calabresi, Gad Lerner e Pisapia erano i più equilibrati. Le menti libere tendono a essere refrattarie alle imposizioni e io da allora mi sono battuto contro quella dittatura, pur condividendo certe battaglie considerate di sinistra».
Tipo?
«Nelle mie canzoni ho parlato di trans — nel 1990, quando non interessava a nessuno — di profughi, di carceri... Mi sento al di sopra delle etichette. Decido di caso in caso. Ad esempio preferirei che l’Italia non fosse nella Nato. È una cosa di sinistra? Non so, ma io lo penso».
Come le pare Elly Schlein?
«Credevo potesse favorire Renzi e Calenda... È più facile stare all’opposizione che governare, ma penso che ci siano temi che interessano di più di altri: ad esempio secondo me la casalinga di Voghera non ha così a cuore i diritti Lgbt, mentre è interessata all’occupazione e alle pensioni. E il mio non è un giudizio di merito, ma strategico».
Alla fine tra fascisti e comunisti ha scelto la musica.
«È stata la mia salvezza da quel mondo: avevo la mia micro-popolarità al liceo perché ero quello strano che suonava».
Andava in giro con un pitone per fare colpo...
«Appartengo a una generazione in cui dovevi essere diverso per rimorchiare, mentre oggi gli adolescenti sono tutti uguali; io ogni cento metri vedo uno che scambio per mio figlio. Allora invece il pensiero era diverso: devo fare qualcosa che non fa nessuno. Il pitone lo aveva Alice Cooper, Alex di Arancia Meccanica... E poi funzionava».
La Milano di ieri e di oggi, i giovani analogici e quelli digitali, che differenze vede?
«Una è l’omologazione di cui parlavo prima. L’altra è che il denaro oggi è diventato una qualità morale. Io vengo da una generazione che qualche libro l’ha letto. Oggi invece la cultura sembra rientrare nell’alveo della noia, si ride al solo nominarla. Io mi incazzo quando mio figlio mi chiede quanto guadagno. Vengo da un mondo che pensava fosse un atto di maleducazione chiedere quanto uno guadagna».
Diceva che la musica l’ha salvata. I suoi genitori l’hanno appoggiata?
«No, ma neanche ostacolato. Mia madre è andata avanti a pagarmi le tasse dell’università fino all’87. Quando ho vinto Sanremo con Si può dare di più ha capito che non avrei finito Giurisprudenza».
E suo papà?
«È sempre stato assente, è morto di depressione. Non ha lavorato un solo giorno della sua vita e ha dilapidato un patrimonio di generazioni. Ma lo ringrazio perché io sono cresciuto con il disprezzo del denaro tipico dei ricchi e provo la rabbia che anima i poveri. Intendiamoci, non ero povero, appartenevo alla piccola borghesia, ma avevo zie super snob, respiravo il gusto del bello, l’aria da signori pur non essendolo. Una condizione ideale: se fossi nato ricco avrei fatto di meno, ma se fossi stato proletario sarei stato meno elegante».
Ha appena pubblicato il suo nuovo brano, «Dimentico», in cui parla in prima persona dell’Alzheimer.
«È una canzone nata non perché abbia avuto casi in famiglia, ma perché ho preso due schiaffi nel giro di pochi giorni. Prima ho conosciuto La Meridiana, una cooperativa che gestisce un centro dove ho passato un po’ di tempo con persone malate, poi ho visto The Father con Antony Hopkins. E sono rimasto molto colpito. È un tema stimolante perché ha a che fare con qualcosa che si rompe in quel punto indefinito che è anima e cervello, cuore e percezione: siamo impreparati, tanti si vergognano. Dal punto di vista artistico per me sono interessanti quei temi dove l’oggettività non esiste e anche la conoscenza è aleatoria».
Come l’amore: lei ha scritto «Quello che le donne non dicono», un successo di Fiorella Mannoia: come era nata?
«Come frase a effetto potrei dire che ci sono uomini che parlano di donne e uomini che parlano con le donne. È nata dall’aver ascoltato centinaia di donne, anche per motivi abietti; quando cerchi di rimorchiare e lei si lamenta del marito mentre tu pensi: partiamo bene. L’uomo in fondo è come il politico in campagna elettorale: quando corteggia una donna le prospetta un futuro bellissimo, poi, ottenuto l’incarico, non è all’altezza».
Centinaia di donne?
«Quando diventi famoso le opportunità si moltiplicano in modo esponenziale. Ho passato stagioni in cui facevo 150 concerti all’anno e se andava male andavo via con una ragazza per sera. Se andava male...».
Enrico Silvestrin.
Estratto dell’articolo di Barbara Visentin per il Corriere della Sera il 30 giugno 2023.
Intorno ai tweet di Enrico Silvestrin, negli ultimi giorni, si aperto un dibattito piuttosto acceso: l’ex vj di Mtv, oggi divulgatore musicale sui suoi canali Twitch e YouTube, martedì sera ha asfaltato senza mezzi termini il concertone Love Mi organizzato da Fedez a Milano. Ha definito il cantante «il divulgatore della m... di questo Paese» e il pubblico in piazza «disagiati senza cultura». In tanti gli hanno dato ragione, altri l’hanno insultato e altri ancora gli hanno dato del boomer. Ma lui, 51 anni, a farsi dare del boomer non ci sta: «Io lavoro sul presente, faccio ricerca musicale su quello che c’è oggi. E oggi c’è della musica bellissima, solo non quella che passa da noi».
Prima di tutto: come mai martedì stava guardando Love Mi?
«Guardo queste cose perché poi nelle mie dirette ne parlo, cerco di contestualizzare socialmente quel che accade nella musica italiana. Fa il paio con altre situazioni devastanti di musica in tv che ci sono oggi, come Battiti Live: per me, che la musica in tv l’ho fatta quando si poteva definire tale, fa tristezza, tanto che volevo tirare il telecomando contro il televisore».
Invece ha twittato.
«Sì e i miei erano tweet di scazzo mentre guardavo questa roba immonda sul divano, senza la pretesa di sollevare nulla, ma solo con il fastidio che provo per questi eventi. Da più di quattro anni parlo quotidianamente della condizione drammatica del nostro Paese, sia musicale che culturale, con questo pubblico festante e felice di ascoltare merda e Fedez che non sa fare altro che proporre merda. Non ho problemi con la parola perché non ce n’è una edulcorata».
Ha sentito Fedez dopo i suoi tweet?
«No, per dirgli cosa, “smettila di divulgare merda? Regala qualcosa di diverso a questi ragazzi?”. È quel che succede quando questo è quel che conosci, quando non hai gusto e non hai voglia di fare ricerca in un mondo culturale diverso: te ne fai promoter sfruttando la pochezza culturale del pubblico che si beve queste prestazioni, non di artisti, ma di personaggi. Il problema non è neanche lui».
(...)
Alcuni le hanno dato del boomer.
«Io sono proprio l’opposto, una sparuta minoranza sa quel che faccio, ma io faccio sentire tutto tranne che classici, metto pezzi che hanno una settimana di vita, solo che non passano per determinati circuiti. C’è tutto un altro mondo, ma l’Italia non sa che esiste. Ci sono artisti italiani di una bravura devastante, con successo internazionale, a noi sconosciuti: Maria Chiara Arigirò, Marta Del Grandi, Emma Tricca. Per noi è sconosciuto tutto. Viviamo in una provincia che meriterebbe di più. Io cerco di passare quel che ascolterebbe un ragazzo se fosse a Berlino, New York o anche solo in Inghilterra su Bbc Radio 6 Music - e parliamo della Bbc, emittente di Stato».
Qual è il problema della musica italiana?
«Il pop italiano, con tutte quelle vaccate in tv fra playback e autotune, investe sui personaggi, non sugli artisti. È un mondo che copia se stesso non avendo contaminazioni con l’estero. Una cosa delirante che anche Morgan ha detto quando c’era nell’aria un Dipartimento della musica al ministero della Cultura è parlare delle quote italiane nelle radio: questa è assoluta incompetenza. Oggi i giovani ascoltano solo musica italiana, pop e trap che copiano se stesse. Dovremmo avere invece delle quote internazionali obbligatorie, contaminarci con l’estero perché siamo indietro».
Neanche Morgan ha competenza?
«No, perché non conosce il presente: conosce il passato. È fuori dal mondo reale da secoli».
Non è un po’ esagerato dare dei «disagiati senza cultura» a dei ragazzi che si divertono sotto un palco in piazza?
«E cosa sono allora? Disagiati vuol dire persone che vivono in condizioni di disagio. Chi ascolta un live di Tananai ha cultura? Hanno zero pretese per se stessi. Di che parlano se incontrano un ragazzo inglese? Veniamo dal weekend di Glastonbury in Inghilterra: una delle cose più belle di quest’anno, lì vivono la musica in un’altra maniera».
A Glastonbury c’erano anche i Maneskin.
«Sì, hanno fatto anche un bel concerto, anche se non li sopporto e non li amo. Il Guardian ne ha parlato bene. Paradossalmente all’estero riempiono lo slot mancante del rock nostalgico che lì non c’è».
Non ci sono i Greta Van Fleet?
«Quelli non li calcolo nemmeno, sono proprio dei cosplayer. Mi fa ridere chi pensa che la musica di oggi sia la trap oppure i Maneskin e i Greta Van Fleet: in mezzo c’è una galassia che non ascolteremo mai perché abbiamo tagliato tutti i ponti. Le nostre due radio che fanno rock sono per anziani nostalgici, Virgin Radio è una vergogna che contribuisce all’idea che il rock sia morto e che il bello sia rimasto negli anni 60».
(...)
Da biccy.it il 30 giugno 2023.
Anche quest’anno è tornato Love Mi, l’evento organizzato da Fedez che unisce musica e solidarietà. Il mega concerto ha l’obiettivo di raccogliere fondi da donare alla Fondazione Together to go (i ricavi serviranno a costruire un centro in a Milano per la riabilitazione dei bambini affetti da patologie neurologiche complesse, in particolare Paralisi Cerebrali Infantile e Sindromi Genetiche con Ritardo mentale). Ieri sera però sui social si è levata una voce contro lo show e Fedez. Enrico Silvestrin su Twitter ha scritto diversi tweet dando al rapper del ‘divulgatore di m***a’.
“La venue perfetta del LoveMi è Guantanamo. Anche il pubblico ha l’autotune. Stam***da andrebbe nascosta, invece viene trasmessa. Fedez è il divulgatore della m***a di questo paese. Già che siete recintati, vi dovrebbero rinchiudere tutti. Disagiati senza cultura. Ecco cosa succede quando normalizzi la mediocrità, quando seppellisci le alternative, quando pensi solo al minimo risultato con il minimo sforzo. Grazie a tutti per lo sforzo congiunto. Paese senza alcuna visione e senza alcun futuro.
Enrico Vanzina.
Arianna Finos per la Repubblica - Estratti domenica 3 dicembre 2023.
Enrico Vanzina è l’autore con il fratello regista Carlo, (scomparso nel 2018) di soggetto e sceneggiatura di Vacanze di Natale.
Il film era una fotografia comica dell’Italia del 1983. Quanto è cambiato da allora e cosa avevate già intuito dell’oggi?
«Il film era quarant’anni avanti, c’era una linea precisa di quello che sarebbe successo. Fino ad allora c’era una antica borghesia soprattutto del Nord — perché a Roma era completamente diversa — traghettata dall’800 e che fino a quel momento puntava sull’essere, sullo studio, su come migliorarsi.
Invece a certo punto in Italia la borghesia ha pensato all’avere non più all’essere. Oggi la borghesia è in totale ritirata, si è spostata su posizioni di sinistra, tradendo il suo dna originale. Visto oggi Vacanze di Natale è stato un mattoncino del racconto di un cambiamento sociologico che fino a quel momento non era mai stato intercettato».
Le capita di vedere ancora in giro qualcuno che rimanda a quei personaggi?
«Come Sordi ha copiato gli italiani con i suoi personaggi, così gli italiani poi hanno fatto con lui. Il film diventa una ispirazione per un modo di essere, e ancora in tanti si ispirano a quei personaggi. Anche il personaggio di Guido Nicheli è un modello di un certo tipo di personaggi che esiste ancora. Vacchi è proprio lui, portato all’esasperazione. Solo che lui era buffo e simpatico e invece questi sono un poco inquietanti».
Che rapporto ha lei con il film?
«Fortissimo, con Carlo abbiamo raccontato qualcosa di molto preciso. La commedia riprende un lato che possiamo chiamare neorealista: si tornava a raccontare la realtà, in modo anche buffo. Ero a Capri e scrissi il pezzo in cui il personaggio di Christian De Sica viene sorpreso a letto con il maestro di sci dai genitori e fa un discorso sul fluido che è quarant’anni avanti. “Papà io sono moderno”».
(...)
Arianna FInos per la Repubblica - Estratti domenica 3 dicembre 2023.
Malgrado Enrico Vanzina sostenga di aver plasmato il personaggio su sé stesso, Jerry Calà non ha dubbi: «Billo sono io». È lui il cantante da piano bar, seduttore seriale protagonista di Vacanze di Natale e di una storia d’amore con Stefania Sandrelli.
Che rappresenta quel film per lei?
«Una consacrazione. Il personaggio è quello che mi è rimasto più addosso. Ero molto Billo all’epoca, oggi mi sono calmato».
Con i Vanzina l’incontro c’era stato molto prima.
«Erano venuti a vedere in teatro a Roma i Gatti di Vicolo Miracoli. Con Carlo ed Enrico facemmo due film. Poi mi scelsero come protagonista e io uscii dai Gatti».
(...)
Com’è stato recitare con Stefania Sandrelli?
«Era un mito. Dovevamo fare una scena con un bacio e lei così, tanto per farmi stare tranquillo, mi disse “Oh Jerry, guarda che io i baci per finta mica li so dare”. Risposi, timido: “Si figuri…”». La sua battuta culto? «“Non sono bello, piaccio”: ho innalzato la categoria dei simpatici non bellissimi».
Quell’Italia?
«Vacanze di Natale fu un film che non ritengo appartenere alla categoria successiva dei Cinepanettoni. È una signora commedia. È un “instant movie”, fotografia di quegli anni Ottanta, gli italiani in vacanza, gli arricchiti, i vorrei ma non posso, i nuovi ricchi romani a cui si dedicava la battuta “fora i romani dal Veneto”. Tutti volevano mostrarsi belli e spendaccioni».
Segreto del successo?
«Aurelio veniva da Roma a dirci ogni volta: “Ho visto i giornalieri, guardate che non fate ridere”. Lo faceva apposta, noi ci guardavamo e ce la mettevamo tutta. Una bugia che ha avuto un effetto benefico».
Da ansa.it - Estratti domenica 5 novembre 2023.
Vittorio Gassman, Ugo Tognazzi, Alberto Sordi, Gigi Proietti, Nino Manfredi, Monica Vitti, Mariangela Melato, Virna Lisi, Stefania Sandrelli, Isabella Ferrari solo per cominciare.
Questa l'impresa di Enrico Vanzina in Vi Racconto, nuova rubrica di approfondimento settimanale di Cine34, in onda sul canale tematico Mediaset da lunedì 6 novembre in seconda serata per un anno intero. "Sarà un enorme lavoro, ma lo faccio volentieri perché Cine34 è una rete da sempre molto vicina al cinema italiano. Così quando mi hanno chiesto di introdurre piccoli ritratti, anche biografici, di alcuni attori insieme ad aneddoti ho accettato volentieri. Per me - dice Enrico Vanzina all'ANSA - è stato un tuffo nella memoria anche personale che mi ha fatto riflettere".
A quali di questi personaggi si è sentito più legato? "Sicuramente Sordi e Proietti perché sono quelli che ho conosciuto meglio. Con loro è stato un viaggio psicanalitico perché mi sono chiesto: oltre a me quante persone hanno influenzato? Sono due attori che fanno parte dell'immaginario del nostro Paese". Il cinema del passato che racconta come sarebbe stato con il politicamente corretto?
"I primi dieci giganti di Vi Racconto sono uomini e donne del cinema italiano che hanno frequentato anche, se non prevalentemente, la commedia. Una commedia che, va detto, non esisterebbe con il politicamente corretto. Ora questo genere - sottolinea Vanzina, autore di oltre cento sceneggiature - non si sarebbe certo sviluppato se non ci fosse stato un atteggiamento scorretto che non era altro che un modo di indagare sulle fragilità umane senza dare però alcun giudizio. Il pubblico, certo, non giudicava quando vedeva i personaggi di Sordi o Gassmann, ma non per questo non capiva cosa rappresentassero all'interno della società di allora. Un esempio su tutti: quando vedi Alberto Sordi nel Medico della mutua certo ridi di questo suo personaggio, ma comunque capisci che quello che fa è sbagliato. La commedia all'italiana ha vissuto poi sempre sull'accettazione delle ragioni degli altri".
(...) Quanto sono stati allora importanti Sonego, Monicelli, Risi, mio padre Steno, Age e Scarpelli e per la musica Trovajoli, Morricone, De Rustichelli. Dell'Armata Brancaleone certo si ricorda Gassman, ma anche il 'Branca Branca Branca' di Rustichelli. Era un mondo di enorme talento diffuso, oggi tutto questo si è perso, siamo in una dimensione web con dei ragazzi che fanno delle cose molto corte e poi non hanno il fiato per portarle sullo schermo. Se si pensa a un film come Guardie e ladri di Steno e Mario Monicelli chi scrive insieme a loro due? Vitaliano Brancati ed Ennio Flaiano, insomma era un altro mondo".
Estratto dell'articolo di Francesco Melchionda per perfideinterviste.it il 3 settembre 2023.
Enrico Vanzina, a leggere le sue interviste sui giornali, con quella faccia così bonaria e disincantata, sembra diventato, ai miei occhi, il grande patriarca del cinema comico italiano. Un grande dispensatore di suggerimenti e consigli e aneddoti. Le piace questo ruolo che, forse, è venuto fuori a sua insaputa?
No, non mi piace perché detesto avere consigli. Penso che nella vita bisogna sbagliare da soli. Non penso di avere l’aria disincantata. Sono pervaso da rabbie furibonde e da momenti di tenerezza spaventosi che m’inquietano. Diceva Hemingway: diventando più vecchi, non si diventa più saggi, ma più attenti. E aveva ragione. La saggezza è una stupidaggine. E’ bellissimo sbagliare con i capelli bianchi in testa, forse è anche più bello. Ho visto tanto nella vita, e quello che racconto viene interpretata come saggezza, ma è, invece, solo cronaca.
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Mi sono sempre chiesto, guardando i suoi film, il motivo che l’ha spinta, in tutti questi anni, a raccontare, in maniera quasi ossessiva, un certo tipo di mondo, il generone romano, i soldi, la vanità, i frizzi e i lazzi di una gioventù dorata lontana anni luce dal mondo reale. Come mai? Invidia, curiosità, voglia, anche solo idealmente, di farne parte?
E’ una domanda sbagliata, la sua. Negli anni, con mio fratello Carlo, ma anche da solo, abbiamo descritto tanti mondi, non solo quello legato al mondo dorato di cui parlava lei nella domanda. Abbiamo fatto film gialli, melò, politici. È un pregiudizio che non mi sta bene!
Perché, ad esempio, non spostare il suo binocolo sulla gente povera, sui quartieri di periferia, sulle borgate? Non l’attrae l’uomo comune? Eppure ce n’è di comicità tra le persone povere…
Io credo che abbiamo fatto più film sulla classe popolare che non sulla classe ‘alta’. Febbre da Cavallo, i film con le rapine, o quelli con Abantantuono, o le pellicole dove parlavamo dei ricchi, i veri protagonisti, in realtà, sono quelli della classe popolare. Anche questo mi sembra un pregiudizio ideologico. E lo trovo stolto. E quando c’è un pregiudizio, non si vede la realtà per quello che è. Ad esempio, ho raccontato il mondo degli Ottanta, e quello che mi stava attorno. E siccome quella fase storica del nostro Paese è stata molto criticata, sono passato come un cantore, quando, invece, nei miei film c’erano grosse prese per il culo! Chi non lo vede non ha il senso dell’umorismo. E’moralista. E Dio me ne liberi!
Se si distaccasse, anche solo per un momento, dai film che ha scritto, e si mettesse dalla parte di uno spettatore, considererebbe i suoi film, più pop, o cinici?
I nostri film hanno avuto una grande fortuna: sono stati aiutati dal tempo. Per anni, e succede ancora oggi, le nostre pellicole, oltreché al cinema, sono stati proiettati sul piccolo schermo, e questo ha attraversato tutte le generazioni. Nel bene e nel male, se mi mettessi dalla parte dello spettatore, il nostro cinema lo considererei pop, senza ombra di dubbio. E poi, io, anche più di Carlo, sono una persona pop, perché la mia curiosità mi ha sempre portato alla comprensione dei fenomeni popolari, cercando di raccontarli con un minimo di stile e delicatezza. Secondo me, lo sguardo pop negli ultimi decenni ha raccontato benissimo la nostra realtà. E mi fa piacere essere considerato un piccolo rappresentante pop della storia culturale italiana. Piccolo piccolo.
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Qual è, secondo lei, la pellicola meno riuscita della sua carriera?
Sembrerà strano quello che dico, ma sicuramente Sapore di Mare. E’ un film bello, ma poteva venire molto più bello.
Perché, cos’è che non ha funzionato?
Eravamo troppo giovani, e non ci stavamo rendendo conto di quello che stavamo facendo. Se lo rifacessi oggi, sarebbe sicuramente più profondo e curato. Ma forse la sua acerbità giovanile lo rende quello che poteva essere. Quindi va bene così.
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Di attori e attrici, in tutti questi anni, ne ha visti tanti. Quali sono stati quelli che l’hanno delusa più, e umanamente e professionalmente?
Non sono molto attratto dagli attori in generale. Mi piacciono le cassiere, gli avvocati, i meccanici.
Perché proprio gli avvocati?
Perché gli avvocati sono i veri attori, mentre gli attori spesso sono degli avvocati mancati. I quali perorano la loro causa. Tornando alla sua domanda, le dico che essere deluso dagli attori fa parte del contratto iniziale. Sai già in partenza, che ti tradiranno. Sono dei Giuda, però come Giuda ha accresciuto il mito di Cristo, gli attori, direttamente e indirettamente, ti aiutano a crescere. Mi hanno tradito in tanti, facendomi delle porcate inenarrabili.
Quali sono le peggiori porcate che ha subito?
Quando nei loro libri, ad esempio, scrivono delle cose false. O dimenticano. Che è anche peggio.
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A quale attore, oggi, metterebbe in bocca le battute e le sguaiataggini che le vengono in mente quanto scrive la storia di un film?
A tutti gli attori giovani e bravi, ma non è facile. Siamo nell’antidivismo e questo non mi piace. Un tempo gli attori conservavano un loro mistero perché apparivano raramente. Oggi, come lei ben sa, questo non accade perché gli attori sono sempre in vetrina. I veri divi del cinema, oggi, sono i registi.
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Con quale produttore cinematografico ha litigato di più, e per soldi e per le idee?
Non ho lavorato con tanti produttori. Ho avuto un’accesissima discussione, agli inizi della mia carriera, con Goffredo Lombardo; ma lo ringrazierò sempre perché mi ha fatto esordire. E, nel recente passato, con Aurelio De Laurentiis, perché non la vedevamo allo stesso modo su alcune cose legate ad un film. Ma voglio molto bene anche a lui.
Il dissidio da dove nasceva?
Il dissidio, se così possiamo definirlo, nasceva sulle idee, su come sviluppare un progetto, una scena. Ma fa parte tutto del gioco, anzi ben vengano le discussioni che aiutano a far crescere un film. I produttori un tempo magari non erano molto colti, ma avevano una grande sapienza popolare e, quindi, vuoi o non vuoi, dovevi stare lì ad ascoltarli e capire perché ti facevano un appunto. Tutto il contrario di oggi.
Perché?
Perché il cinema è finito nelle mani di manager che spesso conoscono poco cosa voglia dire fare un film. Manager spesso stranieri, che stanno all’estero, e che fanno cinema con soldi che non solo i loro.
E con quali soldi, scusi?
Quelli delle loro grandi compagnie.
Cosa pensa della dinastia dei Cecchi Gori?
Erano entrambi geniali, sia Mario che Vittorio, anche se quest’ultimo è stato visto e raccontato dalla stampa come uno che non capiva nulla. E chi lo dice, sbaglia. Vittorio ha avuto intuizioni pazzesche, ha fatto fare il salto di qualità alla sua casa di produzione, ha vinto Oscar, ha intravisto il potenziale del cinema oltre i nostri confini, ha capito l’importanza del connubio cinema-televisione.
Dove ha sbagliato, allora, Vittorio Cecchi Gori?
Dove sbagliamo tutti: ha permesso che il suo carattere prendesse il sopravvento sulla sua intelligenza.
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Qual è stato il più grande insuccesso o i film sbagliati?
Il film più brutto è stato Banzai, con Paolo Villaggio. Ci siamo cullati in fesserie assurde, e abbiamo fatto un film orrendo. Il lato positivo di quell’esperienza, per certi versi meravigliosa e formidabile, è che abbiamo conosciuto il Giappone come nessuno avrebbe potuto fare.
Quali sarebbero le fesserie assurde di cui parla?
Scrivere cose in malafede. E’ il peccato più grande che può commettere uno scrittore.
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Cosa disprezza di più, la prostituzione del corpo o quella cerebrale?
Tutt’e due. Le ho viste entrambe, e spesso, e fanno parte dell’animo umano. Affrontare questo argomento con moralismo, è assolutamente inutile. Spesso, le persone che vivono in quel modo hanno però una vita interiore meravigliosa e più ricca rispetto a chi, magari, non si è mai prostituito. Fare i conti con la morale alla mia età è molto complicato.
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Quanta prostituzione c’è nel cinema italiano?
Poca, pochissima. Perché il cinema italiano non esiste, o quasi. Oramai girano pochi soldi. E chi si prostituisce lo sa. Va altrove.
In che senso non esiste?
Vale poco. Sia in termini economici che di stima da parte degli italiani. Sono tutti incollati alle serie straniere.
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Le è mai pesato essere considerato figlio di papà, soprattutto agli inizi della sua carriera?
E’ stata un’arma a doppio taglio; da un lato il vantaggio di vivere in un contesto familiare molto stimolante, dove si respirava cinema tutti i giorni; dall’altro lato, invece, è una grossa fregatura. Se non sei all’altezza del nome che porti, poi, la tua carriera può finire all’istante.
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I suoi film, per certi versi, hanno incarnato anche un modello di vita, un inno ai piaceri, all’edonismo. Si sente edonista?
No, per niente. Ma mi piace vivere. Sono una persona semplice con una punta di snobismo.
Perché snob?
Perché mi sento leggermente superiore a molti cafoni che spadroneggiano in giro. Gli intelligenti, anche antipatici, possono spadroneggiare. I cafoni, no.
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"La borghesia? È incafonita. E la sinistra non ha capito il nostro cinema popolare". Il regista che ha raccontato un'epoca. "Ora l'Italia socialista voterebbe a destra". Federico Bini il 15 Agosto 2023 su il Giornale.
Tornato nella sua amata Versilia, ospite a «Gli incontri del Principe», storico salotto estivo condotto dal giornalista Stefano Zurlo, dal quinto piano del celebre Gran Hotel Principe di Piemonte, Enrico Vanzina guarda il panorama e si lascia andare ad una battuta che sa tanto di finale amaro: «Non è la Versilia a essere cambiata, è l'Italia».
Suo padre era liberale in un mondo, quello della cultura, dominato dal Pci.
«Erano un gruppo di amici, come anche Flaiano, che confluirono nel Mondo di Pannunzio. A Roma vivevamo in un quartiere dove vicino abitava Giovanni Malagodi e ogni tanto andavamo in pellegrinaggio papà, io e Carlo (da piccoli) a guardare le finestre del politico liberale».
Chi erano i grandi personaggi che frequentavano la vostra casa?
«Una lista infinita. Soldati, Flaiano, l'amico della nostra vita, Totò, Sordi... da piccolo ma lo ricordo bene vidi anche Leo Longanesi».
Qual è il segreto della «leggenda» di Totò?
«È stato il più bravo di tutti. Lui seguiva l'orario alla francese, iniziando le riprese a mezzogiorno perché sosteneva che la mattina non faceva ridere. Quando con la nostra famiglia andavamo a trovarlo a casa ci offriva del tè. Era un uomo dai modi gentili, elegante e legatissimo a papà».
E di Alberto Sordi?
«Lui per tutta la vita ha raccontato gli italiani sullo schermo, guardandoli e osservandoli; ad un certo momento il suo modello è diventato così forte che gli italiani hanno copiato lui».
Quando conosce Gigi Proietti?
«A New York nel 1970. Ero ospite di mio fratello che stava facendo l'aiuto regista di Monicelli. La prima sera andammo a vedere Ray Charles che suonava all'Apollo. Tutti si girarono verso di noi perché eravamo gli unici bianchi nel tempio della musica nera. Rimanemmo fermi, lui guardò il pubblico alla mandrake e poi arrivando verso di me disse: Mi sto cagando sotto!».
Poi giraste il capolavoro «Febbre da cavallo».
«Offrirono il film a papà e siccome io conoscevo la materia mi chiese di aiutarlo. Alla fine della sceneggiatura si congratulò: Da grande potrai fare lo sceneggiatore».
La figura di Mandrake?
«Era uno dei personaggi che frequentavano il mondo delle corse».
«Sapore di mare» compie quarant'anni.
«Mai avremmo immaginato quel successo. Proponemmo come titolo Sapore di sale, ma c'era già un soggetto depositato alla Siae con lo stesso nome, così dovemmo cambiare. Fu un colpo di fortuna. Grazie Gino, forse il film si deve a te».
Un aneddoto?
«Gran parte del film è girato a Fregene e il ruolo di Virna Lisi lo offrimmo all'inizio a Catherine Spaak che non accettò».
Lei definì Virna Lisi una delle più belle donne incontrate.
«La più bella perché riusciva a coniugare la bellezza del volto con quella del cuore. Ma soprattutto un'altra cosa, è stata bella in tutte le età».
«Vacanze di Natale»: «L'Italia socialista» disprezzata a Cortina dalla signora Covelli (Rossella Como) oggi come voterebbe?
«A destra».
E la Covelli?
«Adesso è lei che vota sinistra».
La battuta di Giovanni Covelli (Riccardo Garrone): «E anche questo Natale ce lo semo levato dalle palle»?
«Mi è venuta mentre scrivevo la scena, mi sono messo a ridere io, molto».
Cos'è accaduto alla borghesia italiana?
«Ad un certo punto ha fatto una scelta, invece dell'essere ha preferito l'avere e si è incafonita moltissimo. In questo momento noi abbiamo una società cafona con dei politici in larga parte cafoni».
La sinistra ha sempre disprezzato i vostri film.
«Che però piacevano al popolo. È stato un errore clamoroso. Non hanno capito l'importanza del cinema popolare italiano che ha raccontato meglio di tutti questo Paese».
Il segreto del suo successo?
«L'attenta osservazione della realtà intorno a noi. Qualche tempo fa ho fatto una lunga passeggiata a Villa Borghese con Carlo Verdone. Stavamo chiacchierando e ci siamo detti: Ma cosa abbiamo fatto nella nostra vita?. Siamo arrivati a questa conclusione: abbiamo pedinato gli italiani» (ride).
Il cinema è un'industria?
«Artigianato che talvolta diventa arte».
La recente vittoria del «David di Donatello»?
«Quando ricevendomi al Quirinale il Presidente della Repubblica mi ha detto finalmente un riconoscimento alla commedia di questo Paese, per me è stata la vittoria di Steno, Risi, Monicelli...».
Il 12 giugno è scomparso Berlusconi. Quale titolo darebbe alla sua vita?
«Vita da Silvio».
Dagospia il 10 maggio 2023. “Sapore di Mare? È sopravvalutato. Un film molto fortunato, non so perché piaccia tanto”. A “Non è un Paese per giovani”, la trasmissione condotta da Massimo Cervelli e Tommaso Labate su Radio 2, interviene Enrico Vanzina che stasera verrà premiato con un David speciale: “E' un mercoledì da leoni!”. Anche per il derby di Champions.
E subito ritorna in mente il discorso di Diego Abatantuono in “Eccezzziunale veramente”: “Un film meraviglioso, quando siamo entrati a San Siro per girare ci tremavano le gambe. Siamo riusciti a fare un film sul calcio, una soddisfazione enorme. Anche per smentire il luogo comune secondo cui le pellicole sul calcio vanno sempre male. Ricordo che alla prima al cinema Adriano di Roma c’erano pure i tifosi giallorossi con i tamburi…”.
Lo sceneggiatore riavvolge il filo dei ricordi: Sordi e Totò, “la colonna sonora del mio cuore”, Riccardo Cocciante, compagno di scuola ("Ci rompeva i timpani ma ha avuto ragione lui: un genio"), l’incontro con Bruce Lee durante la lavorazione di Piedone a Hong Kong (“Sono salito sul ring con lui che ci ha tirato un po’ di calci. Era simpaticissimo”), i tormentoni delle sue commedie più riuscite: “Nel 2002 ci fu una proiezione di Vacanze di Natale, sembrava di stare a un concerto di Vasco, il pubblico accompagnava il film con le battute.
“Anche questo Natale se lo semo levato dalle palle”, “Secondo te che fa Cerezo a Capodanno?” A proposito, vi rivelo che Toninho Cerezo si è rotto le scatole perché a Capodanno lo chiamano tutti. Capricci sul set? “Il più bello quando abbiamo girato “La Partita” con Faye Dunaway”. Un titolo sottovalutato? "Il cielo in una stanza', 'il Pranzo della domenica' e 'Le finte bionde' che dà una fotografia perfetta della società di oggi. E' un film avanti di 30 anni…”
Estratto da rainews.it il 6 marzo 2023
''Con le mie figlie abbiamo appreso di come l'Accademia del David di Donatello si sia già dimenticata di Carlo Vanzina, mio marito, il loro papà. Dare un premio a suo fratello e non un riconoscimento a Carlo, è stato un gesto di ingratitudine verso un regista che ha girato ben oltre 60 film. Un gran signore del cinema italiano a detta di tutti coloro che ci hanno lavorato in più di 40 anni di stimata carriera''. Così alle agenzie di stampa Lisa Melidoni Vanzina ha accusato la giuria del David di aver ''emarginato'' suo marito Carlo Vanzina "avvilendone la memoria''.
Carlo Vanzina è mancato nel luglio 20